A cura diCNOS-FAP
CULTURAASSOCIATIVAeFEDERAZIONE CNOS FAPStoria e attualità
Anno 2012
Coordinamento scientifico:Dario Nicoli (Università Cattolica di Brescia)
Hanno collaborato:Matteo D’ANDREA: Segretario Nazionale settore Automotive.Dalila DRAZZA: Sede Nazionale CNOS-FAP – Ufficio Metodologico-Tecnico-Didattico.FIAT GROUPAutomobiles.Comunità professionale AUTOMOTIVE: Angelo ALIQUÒ, Gianni BUFFA, Roberto CAVAGLIÀ, EgidioCIRIGLIANO, Luciano CLINCO, Domenico FERRANDO, Paolo GROPPELLI, Nicola MERLI, RobertoPARTATA, Lorenzo PIROTTA, Antonio PORZIO, Roberto SARTORELLO, Fabio SAVINO, GiampaoloSINTONI, Dario RUBERI.
©2012 By Sede Nazionale del CNOS-FAP(Centro Nazionale Opere Salesiane - Formazione Aggiornamento Professionale)Via Appia Antica, 78 – 00179 RomaTel.: 06 5137884 – Fax 06 5137028E-mail: cnosfap.nazionale@cnos-fap.it – http: www.cnos-fap.it
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SOMMARIO
PresentazionePer ricordare don Pasquale Ransenigo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
PARTE ICULTURA ASSOCIATIVA E FEDERAZIONE CNOS-FAP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
Cultura associativa e scelte istituzionali civilistiche dei Salesiani in Italia negli anni1966-2000 (Pasquale Ransenigo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9La Federazione CNOS-FAP in Italia: origini e sviluppo (Guglielmo Malizia) . . . . . . . . . . 27
PARTE IIGIOVANI E LAVORO: ELEMENTI DI MPAGISTERO SALESIANO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89
Intervento del Rettor Maggiore don Egidio Viganò ai lavori della prima Assembleadella Federazione CNOS-FAP, 1987 (Egidio Viganò) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91Missione salesiana e mondo del lavoro, 1983 (Egidio Viganò) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101L’impegno della Congregazione Salesiana per il mondo del lavoro, 1985 (Egidio Viganò) 119Preparazione dei Salesiani per il mondo del lavoro, 1982 (Juan Vecchi) . . . . . . . . . . . . . . 131La Formazione Professionale e l’educazione per il lavoro nel progetto educativopastorale salesiano, 2009 (Pasqual Chávez Villanueva) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151Il servizio dei Salesiani d’Italia a favore dei giovani nella Scuola e nella FormazioneProfessionale, 2010 (Pasqual Chávez Villanueva) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 159La pastorale giovanile salesiana, 2010 (Pasqual Chávez Villanueva) . . . . . . . . . . . . . . . . . 213
Allegati - Don Pasquale Ransenigo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 221Un breve profilo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 223Bibliografia dei principali scritti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 229
Indice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 231
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Presentazione
Per ricordare don Pasquale Ransenigo
Perché un volume dal titolo “Cultura associativa e Federazione CNOS-FAP:storia e attualità”?Innanzitutto per ricordare un salesiano che sulla cultura associativa e sullaFormazione Professionale è stato maestro: “... per oltre 40 anni” si è impegnato peri giovani attraverso la Formazione Professionale.In secondo luogo per raccogliere materiali utili per quanti, salesiani e laici,oggi operano nell’ambito della Formazione Professionale, invitati dal Rettor Mag-giore a “rilanciare” l’«onesto cittadino» e il «buon cristiano».Commenta don Pascual nella Strenna 2013:
In riferimento all’«onesto cittadino», ci si impone una riflessione profonda. Innanzitutto,a livello speculativo, essa deve estendere la sua considerazione a tutti i contenuti relativial tema della promozione umana, giovanile, popolare, avendo, al contempo, attenzionealle diverse qualificate considerazioni filosofico-antropologiche, teologiche, scientifiche,storiche, metodologiche pertinenti. Questa riflessione si deve poi concretizzare sul pianodella esperienza e della riflessione operativa dei singoli e delle comunità. Vorrei qui ricor-dare che, per i Salesiani di don Bosco, un Capitolo Generale di grande rilievo, il CG 23,aveva indicato come importanti luoghi ed obiettivi dell’educazione la “dimensione socialedella carità” e “l’educazione dei giovani all’impegno e alla partecipazione alla politica”,“ambito da noi un po’ trascurato e disconosciuto” (cfr CG 23, numeri 203-2010-212-214).Se da una parte comprendiamo la scelta di don Bosco di non fare se non “la politica delPadre Nostro”, dall’altra dobbiamo anche chiederci quanto la sua iniziale scelta di un’edu-cazione intesa in senso stretto, e la conseguente prassi dei suoi educatori di escludere dallapropria vita la “politica”, non abbiano condizionato e limitato l’importante dimensionesocio-politica nella formazione degli educandi. Oltre alle obiettive difficoltà create da dif-ferenti regimi politici con i quali don Bosco ha dovuto convivere, non vi hanno per casocontribuito anche degli educatori propensi al conformismo, all’isolazionismo, con un’in-sufficiente cultura ed una scarsa conoscenza del contesto storico-sociale?Dovremo quindi procedere nella direzione di una riconferma aggiornata della “sceltasocio-politica-educativa” di don Bosco. Questo significa non promuovere un attivismoideologico, legato a particolari scelte politiche di partito, ma formare ad una sensibilità so-ciale e politica, che porta comunque a investire la propria vita come missione per il benedella comunità sociale, con un riferimento costante agli inalienabili valori umani e cri-stiani. Si tratta quindi di operare all’insegna di una più coerente attuazione pratica nel set-tore specifico. Detto in altri termini, la riconsiderazione della qualità sociale dell’educa-zione – già immanente, anche se imperfettamente realizzata nell’opzione giovanile fonda-mentale, anche dal punto di vista delle enunciazioni e delle formule – dovrebbe incenti-vare la creazione di esplicite esperienze di impegno sociale nel senso più ampio. Ma ciòsuppone anche uno specifico impegno teorico e vitale, ispirato ad una più ampia visione
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dell’educazione stessa insieme a realismo e concretezza. Non bastano proclami e mani-festi. Occorrono anche concetti teorici e progetti operativi concreti da tradurre in pro-grammi ben definitivi e articolati.E altrettanto si dovrebbe dire del rilancio del “buon cristiano”. Don Bosco, “bruciato”dallo zelo per le anime, ha compreso l’ambiguità e la pericolosità della situazione, ne hacontestato i presupporti, ha trovato forme nuove di opporsi al male con le scarse risorse(culturali, economiche, ...) di cui disponeva.Ma come attualizzare il «buon cristiano» di don Bosco?Come salvaguardare oggi la totalità umano-cristiana del progetto in iniziative formal-mente o prevalentemente religiose e pastorali, contro i pericoli di antichi e nuovi inte-grismi ed esclusivismi? Come trasformare la tradizionale educazione, il cui contesto era“una società monoreligiosa”, in una educazione aperta, e al tempo stesso critica, di fronteal pluralismo contemporaneo? Come educare a vivere in autonomia e nello stesso tempoessere partecipi in un mondo plurireligioso, pluriculturale, plurietnico? A fronte dell’at-tuale superamento della tradizionale pedagogia dell’obbedienza, adeguata ad un certo tipodi ecclesiologia, come promuovere una pedagogia della libertà e della responsabilità, tesaalla costruzione di persone responsabili, capaci di libere decisioni mature, aperte alla co-municazione interpersonale, inserire attivamente nelle strutture sociali, in atteggiamentonon conformistico, ma costruttivamente critico?
Il volume non intende offrire risposte a queste impegnative domande. Ha il soloumile scopo di riportare pezzi di storia, che sono state delle risposte all’impegnosalesiano della formazione dell’onesto cittadino e buon cristiano.Noi amiamo pensare, infatti, che l’impegno di don Pasquale Ransenigo e l’im-pegno dei salesiani e dei laici che operano nella Federazione CNOS-FAP siano“attuazione pratica”, una delle modalità per la formazione dell’onesto cittadino edel buon cristiano.L’organizzazione del volume che pubblichiamo rispecchia queste due finalità.Riportando testi scritti da don Pasquale Ransenigo vogliamo ricordare, innan-zitutto, l’impegno di un salesiano che resta, per tutti noi, di stimolo a lavorare inquesto particolare ambito.Raccogliendo documenti di storia della Federazione CNOS-FAP e di magisterosalesiano sul rapporto tra salesiani e mondo del lavoro, in secondo luogo, vogliamooffrire spunti di riflessione per l’oggi e per il domani.Nel volume il lettore troverà la riflessione sul valore della cultura associativa ecome la Federazione CNOS-FAP ha cercato di realizzare questi valori nel contestoitaliano (prima parte). Sono stati riportati, inoltre, i principali interventi/documentidel magistero salesiano che hanno riflettuto sul ruolo dei Salesiani nell’ambito delmondo del lavoro (seconda parte).L’augurio che la presente pubblicazione, oltre che memoria, si riveli di stimoloe di incoraggiamento a tutti i salesiani e i laici che operano nella Formazione Pro-fessionale soprattutto quella rivolta ai giovani.
La Sede Nazionale
Parte I
CULTURAASSOCIATIVAEFEDERAZIONE CNOS-FAP
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Cultura associativa e scelte istituzionali civilistichedei Salesiani in Italia negli anni 1966-2000Pasquale RANSENIGO
Don Pasquale Ransenigo ha scritto questi “appunti” negli ultimimesi di vita.Sono “appunti”, dice l’autore, che non rispondono ad esigenzecommemorative ma tendono a verificare se le iniziative, attivatedalla Congregazione nel recente passato, possono costituireun patrimonio di famiglia a cui ricorrere, oggi, per superare lapreoccupante situazione di crisi di alcune Associazioni promossein Italia dall’Ente CNOS.Il confronto con la diffusa e capillare presenza di aggregazioniassociative di varia natura nell’attuale società italiana non puòlasciare indifferenti quanti, per vocazione personale o istituzio-nale, svolgono ruoli educativi e pastorali nel mondo giovanile.
PREMESSA
Questi “appunti” non rispondono ad esigenze commemorative ma tendono averificare se le iniziative, attivate dalla Congregazione nel recente passato, possonocostituire un patrimonio di famiglia a cui ricorrere, oggi, per superare la preoccu-pante situazione di crisi di alcune Associazioni promosse in Italia dall’Ente CNOS.Il confronto con la diffusa e capillare presenza di aggregazioni associative di varianatura nell’attuale società italiana non può lasciare indifferenti quanti, per vocazionepersonale o istituzionale, svolgono ruoli educativi e pastorali nel mondo giovanile.Per superare la crisi non sono sufficienti, per il mondo salesiano italiano, le ela-borazioni culturali e le strategie pensate a tavolino, ma dovrebbe risultare determi-nante e più efficace conoscere e socializzare, nei fatti, le varie fasi di un processoculturale e istituzionale perlopiù sconosciuto anche a non pochi salesiani che, a di-stanza di anni da tali eventi, si trovano ad operare nell’ambito di Associazioni/Fede-razioni dotate di propri Statuti ispirati ad una cultura associativa e a scelte istituzio-nali che fanno riferimento all’Ente Promotore denominato “CENTRO NAZIONALEOPERE SALESIANE – CNOS”.Obiettivamente, si è trattato di un processo culturale ed istituzionale che haavuto inizio nel periodo post bellico e ha coinvolto con diverse vicende la Congre-gazione dei Salesiani in Italia, in particolare gli Ispettori e i rispettivi Economi ispet-toriali, preoccupati di acquisire e sviluppare competenze professionali al proprio in-terno per mantenere, da una parte, l’identità del carisma salesiano a servizio dei gio-vani a rischio e del ceto popolare e, dall’altra, di poter fruire anche di aiuti e sussidieconomici pubblici necessari per attuare la propria missione educativa e pastorale.
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In coerenza con le premesse, si sono individuati i fatti significativi di questoprocesso, che possono offrire opportunità di scelte operative, culturali, sociali e po-litiche già sperimentate e da valutare responsabilmente con la più ampia partecipa-zione e condivisione possibile.
1. LA “CASA S. LORENZO DI ROMA PER DELEGATI NAZIONALI DELLE ISPETTORIEITALIANE”
La prima fase di questo processo culturale e istituzionale coincide con la deci-sione dei Superiori salesiani di creare a fine 1966 una nuova “Casa S. Lorenzo” inviale dei Salesiani, 9 di Roma1.Tale scelta rappresenta storicamente un primo tentativo istituzionale di costi-tuire una Comunità salesiana che rappresentasse con i propri Delegati nazionali unpunto di riferimento culturalmente e politicamente “visibile” non solo per le Ispet-torie salesiane d’Italia ma anche per le Pubbliche Amministrazioni nazionali e lo-cali, a cui facevano già riferimento le prime “Associazioni nazionali di Settore”(C.G.S. - P.G.S. - T.G.S. - COSPES) istituite nel 1967-68 nell’ambito salesiano2.Tuttavia la destinazione canonica della Casa Salesiana S. Lorenzo “per Dele-gati nazionali” (i cosi detti Azzurri) 3 ebbe una vita breve (1966-1973), anche se laCasa S. Lorenzo non fu mai soppressa e rimase sempre a Roma con diverse vicissi-tudini, ubicazioni e organico4, che sono provvidenzialmente documentate nell’auto-
1 La Casa S. Lorenzo di Roma è stata eretta canonicamente con Decreto del Rettor Maggioren. 1035 del 21.11.1966.2 Associazioni costituite:- Cinecircoli Giovanili Salesiani (G.G.S.), atto notarile del 12.11.1967, notaio V. Pompili;- Polisportive Giovanili Salesiane (P.G.S.), atto notarile del 09.11.1967, notaio V. Pompili;- Centri di Orientamento Scolastico, Professionale e Sociale”(COSPES), atto notarile del28.02.1968, notaio V. Pompili;- Turismo Giovanile Salesiano (T.G.S), atto notarile del 28.02.1968, notaio V. Pompili.La Federazione “Centro Nazionale Opere Salesiane - Formazione e Aggiornamento Professio-nale (CNOS-FAP) verrà costituita con atto notarile del 09.12.1977 – notaio Roberto Franci (vedipunto n. 6).3 L’organico 1967 della Comunità della “Casa per Delegati nazionali delle Ispettorie italiane” ècomposto: dal Dir. sac.Orlando Carlo; sac.Buttarelli Armando; sac.Cipriani Giuseppe; sac.ClementelGiuseppe; sac. Paltrinieri Ivo; sac. Scotti Elio; sac. Vacalepre Arcadio; sac. Valentini Michele (cfr.Elenco Generale 1967 della Ispettoria Romano-Sarda, vol. 1°).L’organico della Comunità rimane invariato dal 1967 all’ottobre 1973, mentre al direttore donOrlando Carlo (1967-1970) succedono don Bassi Mario (1970-72) e don Sartor Tullio (1972 - ottobre1973).4 Le principali tappe:a) Il 3 ottobre 1973 don Magni Dante, Superiore emerito della Ispettoria Centrale di Torino, suc-cede a don Sartor Tullio non come direttore di Comunità ma solo in qualità di Presidente e Le-gale Rappresentante dell’Ente CNOS, a seguito dell’immediato scioglimento dell’organico dellaCasa per Delegati delle Ispettorie. Infatti nell’Elenco Generale dell’anno 1974 dell’IspettoriaRomano-Sarda non compare più la suddetta Casa, mentre nell’anno 1975 vi appare di nuovo lamedesima “Casa Salesiana di Roma S. Lorenzo”. Ma (senza precisarne la via e il numero civico)
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biografia “Storia di un figlio di don Bosco” che don Dante Magni consegnò ai con-fratelli nell’aprile 1997 (utilizzata ampiamente nella stesura dei presenti “appunti”),con riferimenti importanti alle difficoltà da superare per mantenere in vita, con unanuova Comunità salesiana, “la Casa S. Lorenzo di Roma – Ente CNOS”.Nonostante ciò non si deve sottovalutare il ruolo che svolsero questi Delegatidelle Ispettorie, in particolare don Valentini Michele, nel ricercare una prima mo-dalità istituzionale per inserirsi nell’ambito civilistico attraverso la costituzione,con Atto notarile, di una Associazione che, per la prima volta, viene denominata“CENTRO NAZIONALE OPERE SALESIANE (C.N.O.S.)” 1967.
2. IDENTITÀ GIURIDICA E DURATA DELLA “ASSOCIAZIONE C.N.O.S.” 1967
Allo scopo di evidenziare ulteriormente l’importanza, ma anche i limiti diquesta prima scelta istituzionale dei Salesiani, è necessario fare riferimento alleconnotazioni giuridiche specifiche dell’Associazione.
detta Casa è indicata con sede in Roma e con riferimento diretto al Presidente della CISI (sac.Fiora Luigi), sotto la denominazione “Sede Centrale C.N.O.S. – CENTRO NAZIONALEOPERE SALESIANE”, con Presidente dell’Ente il sac. Magni Dante, Amministratore il sac.Volpe Antonio, i Consiglieri il sac. De Bonis Antonio e il sac. Valentini Michele.b) Don Magni, ormai generale senza l’esercito dei Delegati nazionali, si appoggia prima alla Co-munità salesiana di Cinecittà e poi, sollecitato anche da don Fiora, cerca e trova accoglienza daldicembre 1973 presso la Comunità Salesiana di Roma S. Callisto in Via Appia Antica 126 e dal1978 anche presso la Comunità di s. Tarcisio in Via Appia Antica 102 (Case dell’Ispettoria Cen-trale di Torino), dove continua a svolgere funzioni e ruoli di Presidente dell’Ente CNOS (cfr. au-tobiografia di don Dante Magni, Storia di un figlio di don Bosco, aprile 1997, pag. 42-46).c) Don Magni ottiene da don Fiora la promessa di avere in aiuto, negli anni successivi 1977-80, al-cuni Confratelli salesiani provenienti soprattutto dai Centri di Formazione Professionale: donSilvino Pericolosi; don Pasquale Ransenigo; don Alfonso Bertoldi; don Giancarlo Manara; sig.Gianluigi Stiappacasse; sig. Francesco Berra; sig. Bernardino Pinton.Don Magni, disponendo della stabilità e professionalità di nuovi confratelli, è nominato anchedirettore della “Casa Salesiana S. Lorenzo – CNOS”, (trasferita ormai sul territorio delle Cata-combe di S. Callisto), incrementando così le attività e le funzioni dell’Ente CNOS con una du-plice priorità di programma d’azione entro l’anno 1997: definire le caratteristiche e le azionispecifiche dell’Ente CNOS con il relativo Statuto (approvato nel novembre 1977); istituire laFederazione Nazionale “Formazione e Aggiornamento Professionale” (CNOS-FAP) con AttoCostitutivo nel dicembre del medesimo anno. In tale Atto, il Presidente CNOS, don Magni,viene nominato anche Presidente CNOS-FAP.Il rapido conseguimento dei due obiettivi prioritari del programma confermano soprattutto l’effi-cacia delle scelte statutarie relative all’azione promotrice di Associazioni da parte dell’EnteCNOS nonché la scelta di confluenza dell’Associazione CNOS-1967 nella neo FederazioneCNOS-FAP, eliminando rischi di dualismo istituzionale con la definitiva collocazione strutturaledell’assetto associativo civilistico delle istituzioni salesiane che operano nel sistema della Forma-zione Professionale con la possibilità di fruire del supporto di relazioni istituzionali già avviatecon il Ministero del Lavoro che, nell’ambito della Formazione Professionale e dell’orientamento,metteva a disposizione consistenti risorse economiche per la promozione e il coordinamentonazionale delle sedi operative associate.
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2.1. C.N.O.S. 1967Il “CENTRO NAZIONALE OPERE SALESIANE (C.N.O.S)” 1967 è una Asso-ciazione “di fatto” e sprovvista di riconoscimento della personalità giuridica,anche se istituita con atto notarile del dott. Vincenzo Pompili del 22 aprile 1967 inRoma; è composta “solamente da persone fisiche” di alcuni confratelli della Casasalesiana S. Lorenzo, viale dei Salesiani 9 in Roma.Va precisato che questa Associazione “CENTRO NAZIONALE OPERE SALE-SIANE (C.N.O.S)” – anche se ha la denominazione comune con l’attuale EnteCNOS – è antecedente e distinta giuridicamente dal medesimo “Ente CNOS” Pro-motore di Associazioni/Federazioni settoriali nazionali nell’ambito salesiano, che èinvece “dotato di personalità giuridica civilmente riconosciuta con DPR n. 1016del 20/09/1967 e DPR n. 294 del 02/05/1969” (cfr. successivo punto 3).Tuttavia, la distinzione istituzionale e giuridica tra “Associazione CNOS1967” e il nuovo “Ente CNOS 1969” non ha comportato la immediata soppressionedell’Associazione 1967 e del relativo Statuto ma, nei fatti, la comune denomina-zione di tali istituzioni – in assenza di uno Statuto specifico del nuovo EnteCNOS – non ha limitato i ruoli operativi del “Delegato nazionale don Michele Va-lentini”, il quale ha continuato ad esercitare la sua funzione statutaria nell’Associa-zione negli anni 1966-1974 per ottenere l’approvazione e il finanziamento pubblicodi attività di Orientamento (COSPES) e di Corsi professionali attivati nei Centri diAddestramento Professionale (CAP) e di Formazione Professionale (CFP) dei Sale-siani in Italia.Non sorprende, quindi, se l’apporto dei primi finanziamenti pubblici delle atti-vità di Formazione Professionale e di orientamento ebbero ricadute positive sulleistituzioni educative e formative salesiane in Italia (CAP -CFP -COSPES), creandoun senso di appartenenza CNOS (così si diceva) nei loro dirigenti e operatori che sisentivano orgogliosi e coinvolti attivamente in un processo culturale-associativoanche a livello nazionale.Ciò rendeva ancora più urgente e necessario intervenire decisamente nell’am-bito giuridico per superare una situazione di dualismo istituzionale tra “Associa-zione CNOS 1967” e “l’Ente CNOS” definito nei relativi DPR n. 1016 del 1967 en. 294 del 1969. Ciò verrà definito attraverso due interventi necessari: a) l’approva-zione canonica dello STATUTO dell’Ente CNOS da parte del Rettor Maggiore deiSalesiani (15.06.1977); b) un accordo specifico sottoscritto nell’Atto Costitutivodella FEDERAZIONE CNOS-FAP (09.12.1977), che sancisce, a tutti gli effetti, il“subentro” della Federazione CNOS-FAP nelle attività specifiche di FormazioneProfessionale riferite fino allora alla “Associazione CNOS 1967”.5
5 “L’Associazione CNOS (1967), nella persona del suo mandatario e Delegato Nazionale DonMichele Valentini, demanda ogni propria attività nel settore specifico della Formazione Professionalealla Federazione CNOS-FAP, la quale, mentre ringrazia della fiducia, accetta”. (art. 4 dell’AttoCostitutivo della Federazione nazionale CNOS-FAP).
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2.2. Elementi significativi dello Statuto della “Associazione C.N.O.S.” 1967 6I contenuti di alcuni articoli dello STATUTO di questa Associazione (da noisempre indicata con l’anno della sua istituzione 1967) documentano che, aldilà diuna manifesta preoccupazione di non disperdere il patrimonio di significative atti-vità svolte da istituzioni salesiane nella città di Roma, si voleva assicurare la sceltaesplicita dei Salesiani d’Italia di corrispondere alle attese – manifestate anche daesponenti politici, in particolare dall’onorevole Giulio Andreotti, riconosciuto nel-l’ambito salesiano amico ed estimatore personale di don Michele Valentini – direndere strutturale la loro collocazione culturale, educativa e sociale nell’ambitoassociativo e civilistico del nostro Paese. A tale scopo si riportano i contenuti degliarticoli più significativi.
Art. 1 – “Il CNOS ha avuto inizio, come ente di fatto, nel lontano calamitoso periodopostbellico, sotto la denominazione di “Opera Salesiana Ragazzi di Don Bosco” e, suc-cessivamente, di “Opera di Salesiana Assistenza Giovanile”, con lo scopo di risolvere ildelicato problema sociale, sollevato da numerosi ragazzi, detti “Ragazzi della strada oSciuscià”, i quali, abbandonati a se stessi avevano creato molte preoccupazioni allestesse autorità religiose, civili e militari del tempo. I Salesiani in conformità agli idealidel loro Fondatore S. Giovanni Bosco, avevano cercato di allontanare tali giovani daipericoli della strada, ricoverandoli nei loro Istituti e avviandoli ad un onesto lavoro.Tale programma veniva in seguito provvidenzialmente favorito dalla legge 29 aprile1949 n. 264 e successive modificazioni, che offriva ai Salesiani la possibilità di promuo-vere, su scala nazionale una positiva collaborazione con il Ministero del Lavoro attra-verso i C.A.P., cui apportavano il contributo della loro secolare e multiforme esperienzapedagogica, professionale e sociale.Art. 2 – Scopo del Centro Nazionale Opere Salesiane è la promozione, il potenziamento ela gestione delle attività formative ed assistenziali della gioventù nel campo spirituale, ci-vile, scolastico e professionale... istituendo e ampliando collegi, colonie, oratori, campisportivi, C.A.P., procurando attrezzature scolastiche tecnico didattiche, ricreative...Art. 4 – Possono essere associati solamente i membri ecclesiastici e laici della Congrega-zione Salesiana, i quali dovranno prestare la loro opera per il conseguimento dei fini del-l’Ente.Art. 11 – Il Delegato Nazionale7 rappresenta di diritto il Presidente nella relazioni con lePubbliche Amministrazioni, Società, Enti e privati; sovraintende e coordina le attività e ilpotenziamento dei Centri Regionali, Provinciali e locali; riscuote i contributi dispostidalle Pubbliche Amministrazioni e da terzi, rilasciandone relativa quietanza; devolve aiCentri periferici le aliquote dei contributi loro spettanti... Di tutto il suo operato rendeconto al Consiglio Direttivo”.
6 Sono presenti all’atto costitutivo dell’Associazione: don Carlo Orlando, don Michele Valentini edon Elio Scotti della Casa salesiana di viale dei Salesiani 9; don Secondo De Bernardi e don AntonioDe Bonis della Casa salesiana di via Marsala 42. I suddetti 5 comparenti formano il primo ConsiglioDirettivo dell’Associazione. Il Comitato di Presidenza è composto dal Presidente don Carlo Orlando edal Delegato nazionale don Michele Valentini. A comporre il Collegio dei Revisori dei Conti sononominati: presidente il Cav. Alessandro Novelli, don Giuseppe Cipriani ed Elio Menichelli.7 Don Michele Valentini.
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2.3. In sintesiCon riferimento particolare ai contenuti degli articoli 1 e 2 del citato Statuto enei limiti di uno strumento istituzionale purtroppo inadeguato, si può oggettiva-mente documentare l’acquisizione di elementi basilari di una cultura associativa deiSalesiani d’Italia avviata in questo primo tentativo di inserimento istituzionale nel-l’ambito civilistico che, come si documenta subito, richiede però di disporre un as-setto giuridico idoneo e stabile per raggiungere le finalità proposte.
3. COLLOCAZIONE DELLA “CASA SALESIANA S. LORENZO IN ROMA” NEL NUOVOASSETTO ASSOCIATIVO PRECISATO CON DUE DPR RELATIVI ALLA SUA PERSONA-LITÀ GIURIDICA
Si deve pure ricondurre all’impegno dei Delegati nazionali della Casa sale-siana di S. Lorenzo in Roma la decisione di ottenere, in soli due anni, un primo De-creto del Presidente della Repubblica (DPR n. 1016 del 20 settembre 1967) per ilriconoscimento della personalità giuridica di detta Casa denominata “Istituto SanLorenzo - Centro italiano opere salesiane religioso-sociali” e un secondo Decretodel medesimo Presidente della Repubblica (DPR n. 294 del 2 maggio 1969) perchévenga “riconosciuto, agli effetti civili, il mutamento della denominazione del sotto-titolo della Casa salesiana di S. Giovanni Bosco, denominata “Istituto S. Lorenzo -Centro italiano opere salesiane religioso-sociali” in “Centro Nazionale Opere Sa-lesiane – C.N.O.S.”.Nell’economia di questi “appunti” è da rilevare la portata culturale e politicanon tanto del primo DPR (che riconosce la personalità giuridica della Casa sale-siana S. Lorenzo, ai sensi dell’art. 29 lettera b. del Concordato, applicato anche peraltre Istituzioni religiose e per altre Case salesiane), quanto la tempestiva decisionedei “Delegati nazionali delle Ispettorie italiane”di ricorrere ad un secondo DPR permutare la denominazione del sottotitolo della suddetta Casa salesiana, attribuendolela connotazione nazionale ed eliminando i riferimenti religioso-sociali.Non può sfuggire infatti la motivazione di una richiesta urgente di tale muta-zione che nel medesimo testo del DPR è criptata nella parentetica agli effetti civili.Cosa comporta tale specificazione? È solo una strategia per sottrarsi a contrapposi-zioni ideologiche e confessionali? Oppure è una scelta responsabile che prelude aduno sviluppo di un processo inedito di inserimento istituzionale dei Salesiani d’I-talia nell’ambito associativo con ragioni sociali comuni ad altri Enti che operanocon analoghe finalità educativo e promozionali sul territorio nazionale?La risposta a questi interrogativi va ricercata non tanto sul piano di riflessioniastratte, quanto sulle scelte operative conseguenti alla nuova collocazione istitu-zionale della Casa salesiana S. Lorenzo – indipendentemente dalla sua ubicazionein viale dei Salesiani, 9 in Roma – scelte, che negli anni 1970-80, attivate e realiz-zate dal neo Presidente dell’Ente CNOS don Dante Magni, coadiuvato inizial-
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mente dall’Amministratore don Antonio Volpe e dai Consiglieri don Antonio DeBonis e don Michele Valentini, ma con riferimento diretto al Presidente CISI donLuigi Fiora8.La risposta è ancora data dai fatti: avviare un articolato processo di riflessione,di consulenza e di confronti, che porti alla elaborazione di un apposito STATUTOdella Casa S. Lorenzo “Centro Nazionale Opere Salesiane – CNOS”, nel quale sipossa definire la nuova collocazione strutturale e permanente del CNOS nell’am-bito civilistico e soprattutto le modalità necessarie per raggiungere i fini specifici dipromozione e di coordinamento di Associazioni e Federazioni che, già presenti inambienti salesiani9, dovranno poi rinnovare e adeguare i propri Statuti associativiper renderli coerenti con i contenuti dello Statuto proprio dell’Ente CNOS.
4. PROCEDURE ADOTTATE PER L’APPROVAZIONE CON DPR DELLO STATUTOCNOS
L’operazione “Statuto CNOS” si presentava quindi una scelta inedita per laCongregazione salesiana in Italia che, a differenza degli altri Paesi dove operano isalesiani, esigeva una mediazione delicata tra due ordinamenti giuridici: quello ca-nonico-ecclesiastico e quello civilistico delle associazioni.Motivati a trovare tale mediazione da codificare nello “Statuto CNOS” eranosoprattutto i salesiani impegnati nelle strutture della Formazione Professionale che,a differenza delle istituzioni salesiane paritarie del sistema dell’istruzione, pote-vano fruire di pubblici finanziamenti statali e regionali con riferimento alle compe-tenze del Ministero del Lavoro o delle Amministrazioni Regionali.L’operazione “Statuto CNOS” fu portata a termine in due anni (1977-1979) diintenso lavoro, nel rispetto delle procedure necessarie, sia in ambito canonico chein quello civilistico.
4.1. Fasi di elaborazione e approvazione “canonica” dello Statuto dell’EnteCNOSIl Consiglio Direttivo della Casa Salesiana denominata “Centro NazionaleOpere Salesiane – CNOS”, in seduta del 3 novembre 1977 delibera di adottare loStatuto dell’Ente CNOS, predisposto con l’apporto dell’avv. Edoardo Boitani e didon Angelo Begni da sottoporre all’esame e alla approvazione dei Superiori dellaCongregazione Salesiana.Gli Ispettori, nelle riunioni della CISI del 28 marzo e del 5 aprile 1977, dopoapprofondito esame condotto con l’aiuto di esperti, approvano il contenuto delloStatuto dell’Ente CNOS, da sottoporre all’approvazione delle Autorità competenti.
8 Cfr. nota n. 4, lettera a.9 Cfr. nota n.2.
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Il Rettor Maggiore dei Salesiani don Luigi Ricceri, avuto consenso del proprioConsiglio, approva lo Statuto dell’Ente CNOS con Decreto n. 1035 del 10.11.1977.Il Sottosegretario della S. Congregazione dei Religiosi e Istituti Secolari, sac.Edoardo Simeoni, presentate alcune osservazioni e richieste di delucidazioni sulcontenuto degli articoli 1 e 8, approva il testo definitivo dello Statuto in data 16 no-vembre 1977.
4.2. Come e perché ottenere anche l’approvazione dello Statuto dell’ENTECNOS con DPRL’approvazione con DPR dello STATUTO CNOS sembrava offrire “maggiorigaranzie” soprattutto alle Associazioni e Federazioni promosse da Enti Nazionaliper superare eventuali rischi di restrizione di esercizio di libertà culturali e di plura-lismo istituzionale che si potevano configurare a seguito del trasferimento di nuovecompetenze alle Regioni e agli Enti Locali.Dotare l’Ente CNOS di un proprio Statuto, approvato canonicamente ma sprov-visto di riconoscimenti civilisti rischiava di essere politicamente inefficace per pro-muovere e coordinare a livello nazionale e locale Associazioni e Federazioni setto-riali. Queste Associazioni e Federazioni, a servizio dei giovani, necessitano di essereequiparate alle analoghe strutture associative sostenute da autorizzazioni esterne perfruire di aiuti anche finanziari da parte delle Amministrazioni Regionali e Locali.Anche altre Istituzioni e Strutture associative si muovevano in tale direzione.Sulla scorta del parere del dott. Ciro Conte della Direzione generale AffariCulto del Ministero dell’Interno si avviano le pratiche per l’approvazione con DPRdello Statuto dell’Ente CNOS, che si concludono con la firma del PresidenteSandro Pertini del DPR n. 166 del 19 marzo 1979 e pubblicato sulla G.U. n. 148del 31 maggio 1979.Nel caso specifico, si presentava però il dubbio sulla possibilità di ottenerel’approvazione con DPR, trattandosi di uno STATUTO che si riferiva ad una “CasaSalesiana S. Lorenzo” (Ente ecclesiastico) che come tale poteva fruire delle dispo-sizioni contenute nell’art. 5 della vigente legge n. 848 del 27-5-1929. In questo ar-ticolo, con riferimento particolare agli “Enti di Culto con attività di educazione eformazione”, si precisava che anche “gli enti ecclesiastici, civilmente riconosciutiin quanto esercitano attività di carattere educativo, assistenziale, o comunque diinteresse sociale a favore dei laici, sono sottoposti alle leggi civili concernenti taliattività”. Quindi ciò era possibile, anche se tale approvazione costituiva una novitàassoluta nell’ambito degli istituti religiosi10.
10 Alla richiesta di un parere per procedere alla presentazione della domanda di una esplicita ap-provazione dello Statuto CNOS con DPR, l’avvocato Edoardo Boitani (esperto CEI ed estensoredello Statuto CNOS insieme a don Angelo Begni, per conto di don Magni) rispondeva che “in sede diriconoscimento della personalità giuridica con apposito DPR, ai sensi dell’art. 29 lettera b. del Con-cordato, lo Stato italiano non era tenuto all’approvazione esplicita di alcun Statuto”. Ovviamente,l’avv. Boitani lasciava piena libertà di azione alle competenti Autorità Salesiane.
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La possibilità di ottenere, l’approvazione dello Statuto CNOS con DPR è con-fermata dal dott. Ciro Conte, della Direzione generale Affari Culto del Ministerodell’Interno, con un suo parere scritto, specificando che “nel riconoscere la perso-nalità giuridica della Casa Salesiana di S. Giovanni Bosco, denominata ‘CentroNazionale Opere Salesiane – CNOS’, non è stato approvato esplicitamente il rela-tivo STATUTO... Si richiede, quindi, che a ciò venga provveduto, anche al fine dinormalizzare, ‘secondum legem’ il funzionamento dell’Ente... L’Ente concordatariopuò avere un proprio Statuto, e se Ente ecclesiastico-religioso, questi dovrà essereconforme alle rispettive Costituzioni: questa è prassi per tutti gli Enti concorda-tari”.Superata ogni incertezza, i Superiori Salesiani hanno dato mandato a donDante Magni, Presidente e Legale Rappresentante della Casa Salesiana di S. Lo-renzo denominata “Centro Nazionale Opere Salesiane – CNOS”, di inoltrare do-manda alle competenti Autorità dello Stato Italiano per ottenere l’approvazione delrelativo Statuto. L’istanza, inoltrata il 9 settembre 1977, ha avuto esito positivo. Suproposta del Ministro dell’Interno Rognoni, il Presidente della Repubblica SandroPertini con il DPR n. 166 del 19 marzo 1979 approvava lo Statuto dell’ENTECNOS. (cfr. G.U. n. 149 del 31.5.1979).
5. FINI SPECIFICI NELLO STATUTO DEL “CENTRO NAZIONALE OPERE SALESIANE −CNOS”
La complessa e articolata documentazione degli adempimenti procedurali postiin essere dai Salesiani per assicurare l’approvazione canonica e la collocazione ci-vilistica dello STATUTO del “Centro Nazionale Opere Salesiane – CNOS” risultaampiamente motivata alla luce di normative “innovative”, con specificità tutta ita-liana per la Congregazione Salesiana, che dovevano essere sancite nello Statutomedesimo e a cui dobbiamo fare riferimento11.
5.1. La distinzione fondamentale tra fini istituzionali e fini specifici del CNOSè definita nell’articolo 2 dello Statuto:“Il CNOS fa parte a tutti gli effetti della Congregazione Salesiana, e i suoi fini istituzio-nali sono quelli contenuti nelle Costituzioni della Congregazione Salesiana; principal-mente promuove il perfezionamento spirituale dei soci, mediante l’intenso esercizio delleopere di evangelizzazione e promozione umana. In armonia con le Costituzioni Salesianee in conformità alla metodologia del Fondatore S. Giovanni Bosco, il “CNOS” si pro-pone il raggiungimento dei seguenti fini specifici:
11 Una riflessione approfondita sui contenuti rilevanti dello Statuto in oggetto è stata predispostadall’Ente CNOS, con la consulenza dell’Ufficio Giuridico CISI, nel documento “Nota Ente Cnos eAssociazioni/Federazioni e Istituzioni Salesiane”, che intende chiarire identità giuridica, collocazioneistituzionale, reciproci rapporti tra Ente e Associazioni/Federazioni promosse e tra queste e le Istitu-zioni salesiane. (cfr. Notiziario CISI, n. 3 – settembre 1996).
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- coordinare a raggio nazionale attività culturali, formative, educative, ricreative, assi-stenziali, artistiche, sociali...;- promuovere iniziative di studio, di ricerca e sperimentazione in rapporto ai problemiinerenti l’orientamento e la Formazione Professionale...;- curare la formazione e l’aggiornamento del personale docente nelle scuole di ogniordine e grado e nei Centri di Formazione Professionale;- promuovere iniziative per l’orientamento scolastico e professionale;”
NOTA 1I fini istituzionali del CNOS sono, dunque, comuni ad ogni Casa Salesiana; mentre i fini speci-fici del CNOS sono definiti nel relativo Statuto che, approvato dai legittimi Superiori salesiani,determinano nell’ordinamento canonico l’ambito proprio della missione affidata – per obbe-dienza – ai Salesiani di quella Casa perché venga realizzata ai vari livelli territoriali.
5.2. Le modalità e le strutture a cui il CNOS deve far riferimento per conse-guire i fini specifici della propria missione sono sancite esplicitamente al-l’articolo 4 dello Statuto:“L’azione di promozione e di coordinamento di cui all’art. 2 verrà svolta soprattuttomediante la costituzione di Associazioni e Federazioni settoriali, a raggio nazionale, in-terregionale e regionale fra Istituzioni salesiane che svolgono attività omogenee e chedecidono liberamente di associarsi. Il CNOS quale Ente promotore opererà per la costi-tuzione di tali Associazioni e Federazioni, le quali potranno darsi degli Statuti e deiRegolamenti che, nelle linee fondamentali, siano conformi a quanto previsto al riguardodal presente Statuto e approvati dai competenti organismi salesiani”.
NOTA 2Costituire Associazioni e Federazioni è l’oggetto proprio della funzione di promozione del-l’Ente CNOS che, come si evince anche dal successivo articolo 5 dello Statuto, non può essereridotta alla sola azione di coordinamento che, ovviamente risulta complementare e necessariama non sostitutiva all’azione di promuovere Soggetti Istituzionali dotati di propri Statuti asso-ciativi.Comportamenti ambigui su tale materia rischiano di annullare culturalmente e operativamente lescelte istituzionali statutarie fatte dai competenti Superiori Salesiani, col rischio di assimilarel’azione promotrice del CNOS ad altre lodevoli e necessarie attività di coordinamento esercitateda Organismi e Strutture salesiane ai diversi livelli ispettoriali, interispettoriali e nazionali.
5.3. I reciproci rapporti tra Ente CNOS e Associazioni/Federazioni promossesono definiti nei contenuti dell’articolo 5 dello Statuto:“Il CNOS eserciterà in seno alle predette Associazioni e Federazioni funzione di guida econtrollo atta a garantire l’orientamento e l’ispirazione codificata dalle Costituzionisalesiane.Ciascuna delle Federazioni e Associazioni, costituite in seguito all’azione dell’Entepromotore CNOS, avrà nel suo Consiglio Direttivo un membro di diritto designato dalPresidente del CNOS con lo specifico incarico di mantenere i collegamenti col CNOSmedesimo, e di redigere annualmente una relazione sull’andamento dell’Associazione oFederazione. Le distinte relazioni confluiranno nella Relazione Annuale del Presidentedel CNOS sullo stato dell’Ente”.
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NOTA 3Risulta necessario approfondire il contenuto dell’articolo, certamente innovativo, per evitare si-tuazioni di crisi e di conflittualità relazionali che possono, nei fatti anche recenti, portare a deci-sioni quantomeno non conformi alle diverse competenze che lo Statuto attribuisce all’azionepromotrice dell’Ente CNOS nelle sue relazioni con i Superiori, in particolare con la CISI.
Per superare tali rischi sembrano opportune e utili due precisazioni importanti:a. la “funzione di guida e controllo” che l’Ente CNOS esercita in seno alle Asso-ciazioni e Federazioni deve essere collocata tra i fini istituzionali della CasaSalesiana S. Lorenzo – Ente CNOS in quanto funzione “atta a garantirel’orientamento e l’ispirazione codificata dalle Costituzioni salesiane”. Estra-polata dal contesto e senza riferimento alle sue finalità, la “funzione di guida econtrollo” può dare adito, nei fatti, ad interventi e decisioni che possonoriguardare l’ordinamento interno o la gestione stessa delle attività associativepreviste da appositi Statuti che, nel caso specifico, “devono essere conformiallo Statuto CNOS e approvati dai competenti organismi salesiani” (cfr. Sta-tuto CNOS, art. 4).b. “Mantenere i collegamenti con il CNOS e redigere annualmente una rela-zione sull’andamento dell’Associazione o Federazione” è un incarico speci-fico affidato alla responsabilità e professionalità di un membro di diritto desi-gnato dal Presidente del CNOS nel Consiglio Direttivo delle Associazioni oFederazioni.
Ovviamente, il contenuto del termine “andamento” include il raggiungimentodei fini istituzionali e specifici che l’Ente Promotore CNOS deve assicurare attra-verso la relazione complessiva da trasmettere ai competenti Superiori e alla CISI12.
5.4. Le procedure per modificare lo Statuto sono indicate nell’articolo 10 delloStatuto:“Eventuali modifiche al presente Statuto potranno essere proposte dal Consiglio Diret-tivo alla competente autorità salesiana, con l’approvazione del Rettor Maggiore dellaSocietà Salesiana e con il nulla osta della Santa Sede”.
12 “L’unitarietà dei fini istituzionali e specifici comporta, in particolare, per la CISI:• la responsabilità di assicurare alla Casa salesiana S. Lorenzo le risorse di persone e di profes-sionalità adeguate all’assolvimento della propria missione specifica, che è insieme culturale,educativa e pastorale, civilista, funzionale ed operativa;• l’onere di immettere nell’ambito associativo CNOS confratelli salesiani, che per obbedienzareligiosa esercitano peculiari funzioni negli Organi sociali delle Associazioni e Federazionipromosse dall’Ente e, se Delegati nazionali CNOS, con lo specifico incarico di mantenere icollegamenti;• la responsabilità di curare una adeguata formazione specifica di tali salesiani e dei laici, Dele-gati dell’Ente CNOS...” (cfr. “Nota Ente CNOS e Associazioni/Federazioni e Istituzioni sale-siane”, Notiziario CISI n.3, sett. 1996, punto 2.1).
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NOTA 4Finora non sono state presentate proposte di modifiche e conseguentemente è sempre vigente loStatuto CNOS approvato nel novembre 1977.
6. LA FEDERAZIONE NAZIONALE “FORMAZIONE AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE”(CNOS-FAP): INTERVENTI PER LA SUA COSTITUZIONE − UN APPREZZAMENTOAUTOREVOLE
Nell’intento di prospettare una coerente conclusione culturale e istituzionale diquesti “appunti” sembra importante socializzare, tra i fatti significativi del processodi inserimento dei Salesiani nell’ambito civilistico e associativo italiano, le caratte-ristiche “innovative” che la Federazione Nazionale “Centro Nazionale Opere Sale-siane - Formazione Aggiornamento Professionale (CNOS-FAP)” rappresenta so-prattutto negli eventi che precedettero e accompagnarono la scelta di costituire neldicembre 1977 una nuova Istituzione associativa dopo quelle già presenti da un de-cennio nell’ambito salesiano13.
6.1. Interventi per la costituzione della Federazione CNOS-FAPLe motivazioni di procedere con urgenza e correttezza giuridica per tale sceltasono documentate dalla relazione che Don Angelo Begni presentò agli EconomiIspettoriali nel 1974, con lo scopo di coinvolgere le competenti Autorità salesianeper la necessaria autorizzazione.Di tale relazione ne riportiamo, per i suddetti motivi e per la competenza pro-fessionale e salesiana del relatore, il contenuto trascritto dei 10 paragrafi del mano-scritto.14
1. “Il Decreto del Presidente della Repubblica del 20/07/1967 n. 1016 riconosce la per-sonalità giuridica della Casa salesiana di S. Giovanni Bosco, denominata “Istituto SanLorenzo - Centro Italiano opere salesiane religioso-sociali” con sede in Roma.2. Il Decreto del Presidente della Repubblica del 02.05.1969 n. 294 riconosce, agli effetticivili, il mutamento della denominazione del sottotitolo della casa salesiana di S. Gio-vanni Bosco denominata “Istituto S. Lorenzo - Centro italiano opere salesiane religioso -sociali” in “Centro Nazionale Opere Salesiane - C.N.O.S.”, con sede in Roma.3. In data 22 aprile 1967 (e quindi precedentemente ai due Decreti del Presidente dellaRepubblica) era stata costituita con atto notarile una associazione denominata “CEN-TRO NAZIONALE OPERE SALESIANE” (C.N.O.S.)
13 Cfr. nota n.2.14 Il manoscritto è conservato presso la Sede Nazionale CNOS-FAP di via Appia Antica, 78 -Archivio CNOS, cartella CNOS - C 1, allegato “R”.
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4. Nei suddetti due Decreti del Presidente della Repubblica tale associazione non è men-zionata. Perciò fra i due ENTI (ISTITUTO SAN LORENZO - C.N.O.S.) e ASSOCIA-ZIONE (CENTRO NAZIONALE OPERE SALESIANE - C.N.O.S.) non esiste nessun col-legamento giuridico. Si tratta di due entità distinte e indipendenti aventi in comune solola denominazione.5. All’art. 4 dello statuto di questa Associazione C.N.O.S. è detto che “possono essereassociati solamente i membri ecclesiastici e laici della Congregazione Salesiana”. Sitratta cioè di una associazione di persone fisiche. Di conseguenza non possono far partedella Associazione gli enti gestori dei cosiddetti C.A.P., a suo tempo riconosciuti dal Mi-nistero del Lavoro, né i C.A.P. medesimi come tali.6. Perciò finora mi sembra abbia dominato un grosso equivoco, che certo ci è statomolto utile, ma che è necessario eliminare se si crea una nuova Associazione (Federa-zione) CNOS-FAP.7. Mi sembra che l’Associazione CNOS-FAP dovrebbe essere promossa dall’IstitutoS. Lorenzo e costituita fra gli enti gestori (con personalità giuridica o enti di fatto) deiCENTRI di FORMAZIONE PROFESSIONALE.8. Compito dell’Associazione CNOS-FAP dovrebbe essere quello di promuovere e coor-dinare i C.F.P. lasciandone la gestione ai singoli Enti gestori; questo salverebbe la suaautonomia gestionale (con tutte le semplificazioni per il CNOS-FAP e le DELEGAZIONIREGIONALI CNOS-FAP); verrebbe stabilito un sufficiente collegamento con l’ISTITUTOS. LORENZO - CNOS, di cui L’Associazione CNOS-FAP sarebbe una emanazione; i sin-goli Enti gestori, oltre che gestire in proprio i C.F.P. potrebbero gestire anche altre attività(la Legge della Regione Lombardia prevede che i locali e le attrezzature di ciascun C.F.P.possono dall’Ente gestore essere utilizzati anche per altre attività – per esempio IstitutiTecnici Industriali – purché compatibili con l’attività del C.F.P.); i singoli Enti gestoridovrebbero avere per tutte le attività dagli stessi esercitate un unico numero di codicefiscale.9. Forse sarebbe anche possibile che un Ente gestore avente personalità giuridica, possaassumere la gestione anche di altri CFP che non possono appoggiarsi a un Ente con per-sonalità giuridica, abolendo così l’Ente di fatto che fa loro da sostegno. Questo qualorala legge della Regione a cui il CFP manca l’appoggio di un Ente giuridico rendesse lacosa opportuna.10. Comunque mi sembra cosa di fondamentale importanza che i singoli Enti gestori diCFP conservino l’autonomia gestionale, almeno quelli che attualmente si trovassero intali condizioni”.
La socializzazione dei contenuti della relazione di don Begni ha avuto imme-diato riscontro ai diversi livelli della Congregazione, coinvolgendo esperti salesianie laici per esaminare e vagliare le diverse soluzioni prospettate in ambito canonico,istituzionale, amministrativo e fiscale.In questo impegno prioritario sono stati coinvolti in modo particolare i Confra-telli della rinnovata Comunità S. Lorenzo - CNOS che costituiscono il primo orga-nico della Sede Nazionale della Federazione CNOS-FAP, ormai trasferita definiti-vamente in via Appia Antica, 78 in Roma. Ottenute le autorizzazioni necessarie,il 9 dicembre 1977 viene istituita la Federazione Nazionale CNOS-FAP, con Atto
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Notarile del dott. Roberto Franci di Roma, alla presenza del Presidente CNOS donDante Magni e del relativo Consiglio Direttivo, di ben 18 Legali Rappresentanti diIstituzioni salesiane e di altri 15 Confratelli salesiani che operano nell’ambito del-l’orientamento e della Formazione Professionale nelle Ispettorie salesiane italiane.Oltre la definizione dello Statuto CNOS-FAP, nell’atto Costitutivo si precisanoanche 2 obiettivi, già evidenziati, che dovevano trovare riscontro immediato a li-vello istituzionale della Federazione:Art. 1 - L’Ente CNOS interviene (per la prima volta) come Ente Promotore dellaFederazione.Art. 4 - L’Associazione CNOS (1967), nella persona del suo mandatario e DelegatoNazionale don Michele Valentini, demanda ogni propria attività nel settore spe-cifico della Formazione Professionale alla Federazione CNOS-FAP, la quale,mentre ringrazia della fiducia, accetta.
6.2. Apprezzamento autorevoleDopo pochi mesi dalla sua costituzione, la Federazione Nazionale CNOS-FAPcelebra il 5 maggio 1978 la prima Assemblea Generale. Il Rettor Maggiore dei sa-lesiani don Egidio Viganò, è invitato a incontrare i Soci e a offrire il suo contributodi valutazione sulle linee programmatiche della nuova Federazione. In premessa alsuo intervento precisa subito di voler condividere con i Soci presenti alcune rifles-sioni che superano meri riferimenti di circostanza, validi solo per questa Federa-zione, ma si fondano su sue esperienze dirette e personali confrontate con il nuovocontesto in cui si collocano le novità istituzionali e associative dei Salesiani inItalia, ma che coinvolgono ovviamente tutta la Congregazione.La prima riflessione proposta dal Rettor Maggiore15
“riguarda proprio la motivazione principale di questa vostra Assemblea che non è sol-tanto espressione dell’importanza della Formazione Professionale, ma risponde ad unaesigenza caratteristica e specificatamente italiana che investe le strutture educative inuna svolta socio-politica di questo paese e che risulta, a chi proviene da esperienze dialtri paesi, urgente e indispensabile soddisfare. Si tratta della necessità si superare il set-torialismo ispettoriale per entrare in una dimensione di livello nazionale”.(omissis)“Non bisogna tralasciare sforzo alcuno per costituire un’Associazione che operi ad unlivello superiore delle Ispettorie. Perché, non mi sembra un’esagerazione l’affermareche non c’è futuro, letto alla luce dell’attuale situazione socio-politica se non scegliendoquella strategia salesiana che ci permette di inserirci in questa dimensione strutturaleche va crescendo in questo paese. Qui c’è novità!
15 Il testo dell’intervento del Rettor Maggiore, pubblicato nella collana “Quaderni CNOS-FAP”-maggio 1978, è articolato in quattro riflessioni:1° superare il settorialismo ispettoriale;2° Federazione capace di sostenere un confronto culturale e politico;3° Istituzione responsabile della formazione del proprio personale;4° comunità educativa aperta alla partecipazione.
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Si parla, oggi, di necessità di nuove presenze salesiane: in questo settore, voi dimostrateuna novità di presenza salesiana che non si è inventata ieri. Questo è bello, perché signi-fica che nel cuore salesiano c’è sempre fantasia e la capacità di scelte intelligenti(omissis). Capisco, però, che queste scelte crescono tra difficoltà varie e non tutti per-cepiscono immediatamente le ragioni valide che guidano a tali scelte. Questo tipo diASSOCIAZIONISMO deve operare a livello superiore delle Ispettorie, non perché questenon servano, ma perché la configurazione dell’attuale società italiana ha, oggi, questaesigenza”.
NOTALa priorità della riflessione assegnata dallo stesso Rettor Maggiore, nell’introdurre il suo inter-vento, non è dettata da “parole di circostanza” rivolte ai soli Soci della Federazione CNOS-FAP,ma conferma quanto sia importante attualizzare nei fatti le scelte culturali, istituzionali e civili-stiche definite nel vigente Statuto dell’Ente Promotore CNOS, approvato dai competenti Supe-riori della Congregazione nonché dal Presidente della Repubblica.
7. RIFLESSIONI E PROPOSTE CONCLUSIVE
A conclusione di questi “appunti” si pone la domanda: quali potrebbero essere“i fatti significativi” che i Salesiani, impegnati nella missione educativa e pastoralein Italia, dovrebbero tener presenti per superare la crisi in cui versano attualmentealcune Associazioni promosse dall’Ente CNOS e soprattutto per confermare l’iden-tità culturale e istituzionale dell’Ente medesimo?Le possibili risposte alla domanda posta sembrano derivare direttamente daruoli e scelte da assumere almeno in tre direzioni.
7.1. A livello di CongregazioneRipercorrendo a ritroso il percorso delineato negli “appunti” è facile rilevareche la cultura associativa e le scelte istituzionali civilistiche fatte dai Salesiani inItalia rappresentano, al di là dei condizionamenti storici e sociali, una specificitàdella missione salesiana in Italia, confermata anche dall’intervento autorevole delRettor Maggiore don Egidio Viganò.Si tratta, come dimostrato dai fatti, di individuare e assicurare associativa-mente una necessaria mediazione culturale e istituzionale che specifica l’identitàpastorale ed educativa con cui i salesiani operano in Italia, che corrisponde allascelta preferenziale per i giovani a rischio di emarginazione culturale, professionalee sociale.La cultura e la collocazione istituzionale delle Associazioni promosse dal-l’Ente CNOS non si riducono a ruoli meramente strumentali, ma permettono unapresenza a difesa della pluralità dell’offerta educativa e formativa nelle varie di-mensioni del progetto educativo e pastorale delle Comunità salesiane in Italia.Con tale specificità si possono arricchire anche i confronti con le esperienzeeducative e pastorali che i salesiani sperimentano nei diversi paesi del mondo e
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prima ancora si entra in collaborazione con altre realtà ecclesiali e laiche che si im-pegnano nel sociale in Italia. Il ruolo del CNOS, assunto e riconosciuto in questianni, ha permesso di catalizzare forze varie, a difesa di alcuni principi della demo-crazia e della dottrina sociale della Chiesa.Determinante è la dimensione esplicitamente culturale che richiede capacità di“calare i valori salesiani” nel contesto culturale, civile, canonico e congregazionale:un’opera di mediazione indispensabile, se si vuole che le Associazioni e Federa-zioni promosse dall’Ente CNOS siano effettivamente salesiane nel civile, non auto-referenziali, per non correre il rischio di essere meramente copertura organizzativae funzionale.
7.2. A livello del carisma salesianoSi sente dire che oggi i tempi sono cambiati, il passato è culturalmente e ope-rativamente improponibile per mantenere in vita la collocazione istituzionale e lefunzioni specifiche dell’Ente CNOS, promotore di Associazioni e Federazioni a li-vello nazionale.Con tali affermazioni, si dimentica la tradizione salesiana. La “cultura del ci-vile”, come rilevato anche da questi “appunti”, si colloca al di dentro del carisma.Don Bosco non si è posto parallelamente o in opposizione alle Istituzioni civili delsuo tempo, ma si è inserito in esse, dialogando, assumendo ciò che c’era di buono,mai disprezzando anche suggerimenti e aiuti economici (vedi il rapporto con Mini-stri anticlericali, vedi il chiedere anche aiuti economici), spingendo i primi sale-siani a fare altrettanto (vedi l’invio dei Salesiani all’Università e i suggerimenti datiai direttori nel rapporto con le Autorità).Ha preferito quella che noi chiamiamo oggi “animazione”, cioè cambiare daldi dentro istituzioni e norme (vedi il rapporto col mondo del lavoro e l’inserimentoattraverso la stampa nella problematica, anche scolastica, del suo tempo).La presenza dei Salesiani oggi “nell’ambito civilistico” permette di essere làdove si decidono le sorti dei giovani, di partecipare all’elaborazione di leggi enorme, soprattutto a difesa dei più deboli, di testimoniare una presenza di Chiesa nelsociale, a difesa del principio della sussidiarietà (così frequentemente richiamato dalMagistero), di spingere i cattolici ad entrare in dialogo con il mondo di oggi.Disattendere ruoli e scelte istituzionali in tale ambito o snobbarle non significauna perdita per la Congregazione e la Chiesa in Italia?
7.3. A livello di una presenza istituzionale originaleLe Associazioni e Federazioni promosse dal CNOS hanno raggiunto un altogrado di partecipazione e condivisione quando la Casa salesiana S. Lorenzo “CentroNazionale Opere Salesiane – CNOS” si è dotata di un proprio Statuto, definito eapprovato con il coinvolgimento ai vari livelli dei competenti Organi della Con-gregazione Salesiana, nonché della più alta Carica dello Stato italiano.
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In un periodo di crisi, che sta vivendo in particolare l’Associazione PGS a li-vello nazionale, non sembra opportuno avviare sperimentazioni che toccano aspettiistituzionali dell’assetto statutario dell’Ente CNOS, tanto più quando si riscontranoforti e motivate perplessità riguardo ad eventuali vantaggi di identità salesiana chederiverebbero da tali sperimentazioni.Ovviamente tutto si può cambiare, ma deve essere chiaro che ciò va verificato,condiviso e approvato – se ancora è possibile − con le analoghe modalità e proce-dure adottate per l’elaborazione e approvazione dello STATUTO CNOS.Perciò, il ricorso ad esperti esterni alla Congregazione deve prevedere adeguaticonfronti con le professionalità e le competenze di Confratelli salesiani, ai quali vaassicurata l’opportunità di fruire di percorsi specifici di formazione, da inserire ob-bligatoriamente nei curriculi della Formazione Salesiana Iniziale, per promuovereun “patrimonio di famiglia” ed una specificità di interventi, che hanno dato i lorofrutti.Sembra importante, quindi, che anche la Comunità − Ente CNOS sia posta ingrado di seguire, soprattutto a livello nazionale, quelle iniziative legislative cheriguardano le aree in cui sono presenti le Associazioni promosse. Se così non fosse,non è esagerato dire che qualcosa verrebbe a mancare soprattutto nel presidio sco-lastico-formativo e nell’ambito delle attività del tempo libero del nostro sistemaitaliano, affidato spesso a forze tutt’altro che sensibili ai valori cui si ispira la pro-posta salesiana.
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La Federazione CNOS-FAP in Italia:origini e sviluppo Guglielmo MALIZIA
Nei giorni 3 e 4 aprile 2003 la Federazione CNOS-FAP a Romaha celebrato, con un convegno nazionale dal titolo “Un rinno-vato impegno del CNOS-FAP nella Formazione Professionale inItalia”, i suoi 25 anni di vita.Il prof. Guglielmo Malizia è stato invitato a scriverne la storia:“25 anni di storia e di esperienze della Federazione NazionaleCNOS-FAP in Italia”.Il testo che viene proposto è il contributo del prof. GuglielmoMalizia aggiornato dalla Sede Nazionale con riflessioni edeventi legati ai tempi successivi al 2002.
La Formazione Professionale qualifica in modo originale la scuola dei Sale-siani fino ad assurgere a criterio di riconoscimento di essi e delle loro opere (Vi-ganò, 1978). E la Federazione Nazionale CNOS-FAP è la struttura associativa chein Italia attualizza l’esperienza di don Bosco e dei suoi figli in quest’area.Nostro compito è di presentarne sinteticamente i primi 25 anni di storia. Il pe-riodo di tempo da illustrare è relativamente breve, ma l’intreccio degli avvenimentirisulta molto complesso. Abbiamo cercato pertanto di concentrare l’attenzione sutre fasi: il primo decennio di attività tra la fine degli anni ’70 e della prima decade’80, la realizzazione del Centro di Formazione Professionale (CFP) polifunzionalenella prima metà del ’90 e la costruzione di un sistema maturo di Formazione Pro-fessionale (FP) nella seconda parte del ’90 fino ai nostri giorni. Inoltre, abbiamo in-quadrato l’evoluzione della Federazione all’interno delle dinamiche sociali che lehanno fatto da sfondo durante gli ultimi 30 anni.In questa breve introduzione non poteva mancare un richiamo alla riflessione eall’esperienza salesiana in campo professionale. Ci serviamo delle parole di uno deinostri maggiori esperti in materia, José Manuel Prellezo: “Nel lungo e laboriosocammino percorso dai laboratori di Valdocco alle scuole tecnico-professionali sale-siane sono riscontrabili tappe differenziate nelle quali, pur con qualche ombra o in-certezza, emerge sempre più chiaramente l’impegno per i giovani operai comeaspetto essenziale della missione dei figli di don Bosco. [...] I laboratori e le scuoleprofessionali hanno consentito ai Salesiani di attuare in modo privilegiato la loromissione giovanile e popolare, attirando le simpatie anche degli ambienti laici.Specialmente in momenti di depressione economica e di scarsa attenzione pubblicaall’istruzione professionale, i laboratori e le scuole tecnico-professionali salesianehanno offerto a numerosi ragazzi/e dei ceti meno agiati un mezzo di promozionesociale. In sintonia con lo spirito delle origini, i documenti più recenti e autorevoli
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ribadiscono con forza la proposta di mettere i ‘centri d’insegnamento professionalein funzione dei più bisognosi’.Nella lunga strada – 150 anni ca. – dell’impegno a favore del mondo giovanileper il mondo del lavoro non sono mancati momenti di arresto, situazioni di incer-tezza, scarsità di personale qualificato, offerte meno adeguate alle urgenze nuovedel sistema produttivo in trasformazione. Ma neppure sono mancate, d’altro canto,spinte al superamento di tale stato di cose. Dagli studiosi e dagli stessi vertici dellaSocietà Salesiana è stato caldeggiato l’invito a sviluppare la creatività e lo spirito diinventiva e a puntare sulle professioni ‘più favorite sul mercato del lavoro’. Tale in-vito è stato sintetizzato felicemente, all’inizio del nostro secolo, con l’espressione:‘coi tempi e con don Bosco’” (Prellezo, 1997, 50-51).In sintesi, si può affermare che l’originalità dell’apporto della CongregazioneSalesiana e del suo Fondatore in questo campo consiste:– nella intenzionalità educativa che punta allo sviluppo integrale della persona-lità del giovane apprendista,– nelle concezione promozionale che mira alla sua professionalità,– nella maturazione etica e socio-politica in vista della formazione dell’“onestocittadino” (Viganò, 1988).
1. LA NASCITA DEL CNOS-FAP E IL PRIMO DECENNIO DI ATTIVITÀ
È il momento dell’inizio formale e del periodo di consolidamento della Fede-razione. Abbiamo collocato ambedue gli eventi nel trapasso socio-culturale ed eco-nomico che si è verificato fra gli anni ’70 e ’80.
1.1. Tra due culture dello sviluppo formativoUn segno della profonda trasformazione che si è compiuta tra le due decadi,’70 e ’80, è offerto dal ricorso alla categoria della complessità che a partire daglianni ’80 è divenuto sempre più frequente da parte dei sociologi per qualificareglobalmente la situazione dei sistemi dei paesi occidentali (Malizia - Frisanco,1991). Essa sta ad indicare la numerosità e la varietà delle componenti sociali, laforza del dinamismo che le muove e le rinnova, le incongruenze non superabiliche caratterizzano le loro relazioni. Sul piano macrostrutturale il referente è datodalla presenza talmente abbondante e diversificata di rapporti che rende impossi-bile, o quasi, tracciare il quadro unitario di una società, mentre sul micro si sotto-linea la distanza che separa le capacità di conoscenza, di scelta e di controllo delsingolo da quelle del sistema. I principi d’azione si qualificano per la loro naturasettoriale in quanto sono finalizzati al conseguimento degli obiettivi temporanei especifici dei singoli sottosistemi. Riguardo a questa raffigurazione della società al-cuni tendono a evidenziare la moltiplicazione delle possibilità e delle opportunitàe l’ampliamento dell’organizzazione, mentre altri sottolineano la graduale ingo-
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vernabilità dei sistemi, l’assenza di un centro organizzatore e l’aumento della en-tropia sociale.La progressiva terziarizzazione del mondo economico e soprattutto l’intreccioterziario delle culture, che stavano portando l’Italia verso una fase di sviluppo post-industriale, implicavano una trasformazione culturale e sociale di vaste propor-zioni, in quanto significavano una razionalizzazione dei comportamenti, una ri-strutturazione dei processi decisionali, un allargamento delle capacità conoscitive.Il trend in questione poneva tra l’altro l’esigenza di un’alfabetizzazione informaticadei giovani e delle generazioni adulte e di un apprendimento attraverso le nuovetecnologie, ed era destinato a far lievitare le nuove offerte formative a fianco e inconcorrenza alla scuola. Inoltre, dopo il raggiungimento del traguardo di una soddi-sfazione diffusa dei bisogni primari, il paese viaggiava verso la qualità sofisticata enon era pensabile che le istituzioni formative potessero continuare a limitare la loroattenzione alle sole problematiche di ordine quantitativo, pena la progressiva emar-ginazione dalle dinamiche sociali.Nonostante i segni di crescita e di sviluppo enumerati sopra, non sono mancateproblematiche gravi rappresentate in particolare dai seguenti fenomeni: il manteni-mento di forme tradizionali di povertà, anche quantitativamente appariscenti, e l’e-mergerne di nuove; il permanere di tassi elevati di disoccupazione, soprattutto gio-vanile; l’affermarsi di una competitività sfrenata e di un individualismo esasperato;una società polarizzata tra una forza lavoro ristretta, impegnata in attività di spessoreculturale particolarmente gratificanti, e una porzione quantitativamente molto consi-stente di persone che svolgono mansioni ripetitive di scarso contenuto culturale.Nel 1983 il Rapporto Censis sulla situazione sociale del paese faceva notareche il sistema scolastico e di FP si trovava in una situazione di transizione fra dueculture dello sviluppo formativo. Negli anni ’50-’70 era prevalso “una sorta dimodello lineare e semplice di sviluppo [...], basato su presupposti di quantità, uni-cità, centralizzazione” (Censis, 1983, 164; Malizia, 1988). Durante il periodo ac-cennato si è assistito a un’esplosione quantitativa della domanda di scolarizza-zione, si è passati da una scuola elitaria a una di massa, lo Stato si è sforzato diadeguare il sistema formativo alla domanda sociale, dando priorità alle fasce gio-vanili, senza però riuscire a soddisfare pienamente e in modo tempestivo le esi-genze emergenti. Educazione e scuola risultavano identificate secondo la logica diuna società semplice mentre il servizio statale e l’impegno finanziario del Mini-stero della Pubblica Istruzione occupavano un ruolo centrale rispetto alla forma-zione organizzata da altri enti pubblici e dai privati. L’offerta formativa si qualifi-cava inoltre per l’uniformità in risposta ad esigenze comuni e per il prevalere diuna situazione di stabilità.Le nuove tendenze che stavano emergendo sembrano puntare verso “unaspecie di modello (o meglio di spunti per un modello) complesso [...] basato su pre-supposti di qualità, di differenziazione e personalizzazione dei servizi, di moltepli-cità di risorse formative, di decentramento” (Censis, 1983, 164). Mentre l’offerta
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pubblica continua a restare agganciata ai bisogni tradizionali, la domanda socialepur non rinunciando al minimo garantito dallo Stato si orientava decisamente versola qualità e l’individualizzazione dei percorsi formativi. L’eguaglianza non venivapiù ricercata nell’uniformità, ma nel rispetto delle esigenze personali; si affermavala prospettiva della mobilità, della transizione, del passaggio. Emergeva l’alter-nanza studio-lavoro soprattutto nella fase di primo inserimento professionale in cuisi venivano a intrecciare attività lavorative e di formazione, mentre l’utenza poten-ziale si estendeva agli adulti. Diminuiva il monopolio della scuola sull’educazione,si allargava l’offerta formativa al di là dell’istruzione formale e crescevano i sog-getti che offrivano formazione oltre lo Stato. Si sentiva la necessità di superare lacontrapposizione fra centralizzazione e decentramento in un’ipotesi di governo del-l’istruzione che prevedeva un coordinamento e un controllo centrali accanto a unforte potere locale d’iniziativa.La formazione non poteva più essere identificata con l’azione dello Stato, maandava considerata come un sistema allargato e diversificato che abbracciava, oltreall’intervento statale, tutto un complesso di risorse e di agenzie che agivano nel-l’area dell’educazione. Il “sistema formativo allargato” verrebbe ad includere: unapluralità di soggetti che intervengono nel settore della formazione (lo Stato, le Re-gioni, gli Enti locali, altri enti e privati) tra i quali realizzare ipotesi di coordina-mento, integrazione o almeno interdipendenza; iter formativi differenziati in ri-sposta alle esigenze di personalizzazione dei percorsi; obiettivi diversificati di ap-prendimento che dovrebbero essere determinati esplicitamente, valutati con mezziidonei e certificati con modalità nuove; collegamenti diversificati con gli altri si-stemi confinanti con il formativo (famiglia, lavoro e tempo libero). In tale prospet-tiva il compito del potere pubblico non veniva annullato, ma trasformato in unruolo di stimolo, valutazione e supporto.Quanto in particolare alla FP, con l’approvazione nel 1978 della legge quadron. 845/78 si concludeva una lunga evoluzione che, iniziata negli anni ’50, avevagradualmente innalzato la finalità educativa globale del settore dalla prevalenzadell’addestramento alla trasmissione di una cultura professionale (Ghergo, 2009). Ilsistema di FP delineato dalla normativa appena richiamata “appare organico e strut-turato. Esso fa riferimento ad una rete di CFP, dotati di una notevole libertà di ini-ziativa nel territorio di riferimento, in stretta relazione con le imprese. Il sistema diFP è inteso in senso alternativo alla scuola, (per questo motivo è stato denominatoin modo forse un po’ spregiativo ‘scuola di serie B’), volto ad offrire alla gran partedegli adolescenti e dei giovani – quelli che non proseguivano gli studi dopo la terzamedia – un’opportunità di ‘elevazione culturale’ e di qualificazione professionale,in modo da posticipare l’ingresso nel mondo del lavoro e da garantire loro una mi-gliore dotazione umana e professionale. Dal punto di vista strategico tale imposta-zione conduce alla delineazione di un sistema regolato come il sistema d’istruzionema parallelo ad esso, con tipologie formative e ordinamenti didattici definiti, mache in un secondo tempo sono divenuti in certa parte sostanzialmente rigidi e itera-
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tivi, tanto da dare vita ad una componente di CFP a carattere para-scolastico” (Gan-dini - Nicoli, 1999, 270-271; Ghergo, 2009).La FP di base, destinata cioè ai giovani con o senza licenza media e con bassaqualifica, aveva registrato negli anni successivi una crescita costante che però si erainterrotta nel 1985-86 quando si era verificato un calo significativo degli iscritti; alcontrario risultava in aumento la domanda di corsi professionalizzanti da parte deidiplomati, degli adulti, della forza lavoro in riconversione, del grande pubblico(Malizia - Chistolini - Pieroni, 1990). Comunque, dopo la crisi quantitativa dallametà degli anni ’80 alla fine della decade (1988-89) si osserva un aumento nel datoglobale che però premia i corsi di 2° livello e quelli di formazione sul lavoro,mentre quelli di 1° livello presentano una ripresa che, tuttavia, non li riporta sui va-lori degli inizi del decennio.Al di là delle problematiche di ordine quantitativo il sottosistema pubblico –Stato, Regioni ed Enti convenzionati – denotava difficoltà di slancio. Le causeerano varie: le carenze del quadro legislativo, quali lo stallo della riforma della se-condaria superiore che manteneva in una condizione di grave incertezza le sortidella FP di base; il prestigio non molto elevato di cui godeva la FP regionale, comedi una scuola di serie B; l’inadeguatezza a rispondere ai bisogni del mercato di la-voro, per cui non infrequentemente la decisione sui corsi era condizionata dall’of-ferta più che dalla domanda; una burocratizzazione pervasiva che si manifestava tral’altro nella trasformazione tendenziale delle convenzioni da atto contrattuale adatto autoritativo, nella standardizzazione soffocante di interventi e costi, nell’ecces-sivo garantismo e nella scarsa flessibilità della politica del personale; la conoscenzainsufficiente dei dati della spesa e la mancanza di meccanismi reali di controllo deirisultati reali (Relazione del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, 1987).Indubbiamente a monte incidevano le connotazioni del nuovo ciclo economicoaccennato sopra quali la progressiva terziarizzazione dei processi produttivi, lo svi-luppo impressionante della scienza e della tecnologia, l’internazionalizzazione delmercato. In altre parole, la FP stava attraversando una fase di trasformazione carat-terizzata dal passaggio da una mono-utenza tradizionale a una pluriutenza di porta-tori di esigenze nuove e diversificate, dall’ampliamento della gamma dei servizi,dalla crescita e dalla differenziazione delle offerte extrascolastiche, dall’introdu-zione di nuove tecniche di autoformazione e di formazione personalizzata.
1.2. La nascita della Federazione Nazionale CNOS-FAP (fine anni ’70) e il suoconsolidamento (anni ’80)Entro questo quadro di una società in profondo cambiamento, in data 9 di-cembre 1977 veniva creata presso notaio la Federazione Nazionale CNOS-FAP(Centro Nazionale Opere Salesiane - Formazione e Aggiornamento Professionale).Contestualmente si approvava lo Statuto e si stabilivano le cariche sociali.La Federazione era promossa dall’Ente CNOS. Questo è “un Ente con perso-nalità giuridica civilmente riconosciuta con D.P.R. 20/9/1967 n. 1016, modificato
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con D.P.R. 2/5/1969” (Statuto CNOS=STC, a.1) (CNOS, 1977). Il CNOS “fa partea tutti gli effetti della Congregazione Salesiana” che lo ha costituito per assicurareai Salesiani la titolarità giuridica ad inserirsi nell’assetto civilistico della società e asvolgere attività culturali, formative, educative, ricreative, assistenziali, artistiche esociali, anche con finanziamenti pubblici (STC, a.2). Per conseguire le proprie fi-nalità istituzionali, il CNOS ha promosso la costituzione di Associazioni o di Fede-razioni settoriali a raggio nazionale, interregionale e regionale in diversi ambiti del-l’attività salesiana in Italia, nelle quali esercita un’azione di guida e di controllo inordine alla ispirazione salesiana, coinvolgendo le istituzioni della Congregazioneche svolgono attività omogenee (STC, a 2 e 4).Una delle Federazioni settoriali che il CNOS ha costituito per realizzare i suoiscopi istituzionali è la “Federazione Nazionale Centro Nazionale Opere Salesiane-Formazione e Aggiornamento Professionale” (CNOS-FAP) (Statuto del CNOS-FAP=StF, a.1) (CNOS-FAP, 1981). Essa persegue i seguenti scopi:
“a. coordinare le attività di formazione professionale svolte dagli Enti Associati, promuo-vendo eventuali associazioni;b. promuovere iniziative di studio, ricerca e sperimentazione in rapporto ai problemi ine-renti all’orientamento e alla formazione professionale [...];c. curare la formazione e l’aggiornamento del personale docente nei Centri di Forma-zione Professionale;d. collaborare [...] a iniziative tendenti alla formazione, qualificazione e riconversionedei lavoratori ad ogni livello;e. promuovere iniziative per l’orientamento professionale e scolastico [...];f. aderire alle organizzazioni regionali, nazionali e ultranazionali che perseguano lestesse finalità [...]” (StF, a. 2).
Anche la Federazione CNOS-FAP, al di là delle attività atte a conseguire ipropri fini istituzionali, opera in prevalenza per la promozione e il coordinamentodelle Sedi periferiche e lo fa principalmente attraverso le rispettive Delegazioni Re-gionali che assicurano alle suddette Sedi identità associativa e servizi culturali e ge-stionali nel rispetto delle loro autonomie e responsabilità dirette (StF, a.2 e 6).I soci sono di tre tipi: i soci fondatori di cui all’atto costitutivo; le istituzionisalesiane, le Associazioni promosse dalle stesse o dalla Federazione NazionaleCNOS-FAP che svolgono attività di FP; membri qualificati della società salesiana(StF, a.3).Organi sociali sono: l’Assemblea Generale che è l’organo supremo della Fede-razione; il Consiglio Direttivo Nazionale che è l’organo esecutivo delle delibera-zioni e degli indirizzi determinati dall’Assemblea Nazionale; la Giunta e la SedeNazionale che attraverso i propri Uffici e i relativi responsabili assicura piani an-nuali di attività, ricerca e sperimentazione a tutti i livelli; le Delegazioni Regionali;i Settori Professionali; il Collegio dei Revisori dei Conti.All’interno, poi, della Conferenza degli Ispettori Salesiani di Italia e MedioOriente (CISI) è contemplata la presenza di un Superiore Provinciale (Ispettore) il
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quale assicura il coordinamento e la coerenza con le iniziative nazionali della Con-gregazione Salesiana nel campo della FP e della scuola, garantendo la fedeltà dellaFederazione al sistema educativo, alle metodologie e allo stile di S. Giovanni Bosco.Nell’assetto istituzionale della Federazione è previsto un ruolo significativoper le Delegazioni Regionali a cui presiede il Delegato Regionale, chiamato a svol-gere funzioni di rappresentanza della Federazione di fronte alle AmministrazioniRegionali e Locali (StF, a.15).A livello locale sono attive le Associazioni e/o Federazioni Locali che la Fede-razione promuove attraverso le Delegazioni. I loro compiti si riferiscono prevalen-temente alla gestione del personale e delle risorse umane e strumentali dei rispettiviCFP.Alla costituzione del CNOS-FAP hanno portato anzitutto le stesse ragioni chesono alla base della creazione dell’Ente CNOS e delle Associazioni da questo pro-mosse. In particolare, hanno giocato una incidenza significativa su questa deci-sione: l’esigenza di legittimazione della presenza e dell’azione educativo-pastoraledei Salesiani; il bisogno di garantirsi spazi di libertà in un momento di montantestatalismo; la ricerca del dialogo e del confronto con le istituzioni pubbliche, conaltri enti e con le associazioni in vista di un servizio culturale ed educativo semprepiù efficace alla gioventù; il reperimento di finanziamenti pubblici per poter eserci-tare l’opzione preferenziale per i più poveri (Rizzini, 1988).Passando più nello specifico della Federazione CNOS-FAP, si possono richia-mare alcune motivazioni particolari:– la dipendenza da una associazione civile era necessaria al personale salesianoper operare nella FP ed essere retribuito con finanziamenti pubblici, non po-tendo tale personale essere alle dipendenza del medesimo Ente ecclesiastico diappartenenza;– inoltre, tali finanziamenti in base alla legge quadro erano erogati medianteconvenzioni a strutture di enti che risultassero emanazione di organizzazionispecifiche o di associazioni con finalità educative sociali;– sul piano strettamente congregazionale, si consentiva di aggregare le strutturee le iniziative locali mediante un coordinamento di livello nazionale o almenoregionale, uscendo dal settorialismo delle province religiose, o ispettorie nellinguaggio salesiano; va sottolineato che la medesima esigenza di aggrega-zione emergeva anche nella società civile (Viganò, 1978).Nel mondo delle politiche della formazione e del lavoro il dialogo culturale perportare avanti le nostre proposte non poteva svolgersi solo nell’ambito del singoloCFP ma richiedeva di elevarsi a livelli più alti per essere introdotto nei punti chiavedove si gioca il futuro in particolare dei giovani. Solo una Federazione che costi-tuisse un corpo organico, sostenuto nella sua azione anche da studi di natura scienti-fica quali quelli condotti dall’Università Salesiana, poteva effettuare in modo vin-cente il confronto con i vertici del potere decisionale o con i centri di ricerca cheplasmano l’opinione pubblica di un paese. Condizione di un confronto alla pari era
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anche la disponibilità di un personale qualificato: pure da questo punto di vista la di-mensione nazionale del CNOS-FAP offriva una grande opportunità positiva. La na-tura civilistica dell’Associazione poteva facilitare il passaggio da un CFP gestito dasoli religiosi come padroni a una comunità educativa che ricerca il massimo di par-tecipazione da tutti coloro che intervengono in questo progetto di crescita umana.La formula si è dimostrata subito positiva. In cinque anni (1977-78/1981-82)gli allievi crescono del 5% quasi, passando da 8.937 a 9.365, i formatori dell’8% da714 a 777 e i Centri di 4 unità da 36 a 40 (cfr. Tav. 1). Ma il balzo in avanti è so-prattutto qualitativo: i CFP si inseriscono dinamicamente nel contesto sociale, met-tendo a disposizione della comunità locale civile ed ecclesiale il loro patrimonioculturale, educativo e pastorale, corresponsabilizzando i laici e concorrendo me-diante lo strumento dell’associazione del privato-sociale alla elaborazione delle po-litiche formative a livello locale e nazionale.A ciò ha concorso il rapido consolidamento del CNOS-FAP che si è compiutonegli anni ’80 (Rizzini, 1988). Nel 1980 all’assetto previsto dallo Statuto si aggiun-geva quello normativo dei Regolamenti della Sede Nazionale e delle DelegazioniRegionali che dotava la Federazione di articolazioni efficaci sul piano territoriale.Nel 1982 venivano istituiti i Settori Professionali (meccanico, elettromeccanico,elettronico, grafico e le commissioni culturale e matematico-scientifica), mentre ilrelativo Regolamento diveniva definitivo nel 1987: con questa nuova struttura ve-niva potenziata la dimensione associativa del CNOS-FAP nel senso che ogni for-matore in quanto membro di un settore professionale specifico o di una commis-sione contribuisce a definire le linee generali della programmazione formativa e atradurle in pratica. Nel 1984 la rivista “Rassegna CNOS” iniziava le pubblicazioni;l’intento era di offrire ai formatori e agli operatori della FP, ai centri di studi impe-gnati in questo ambito, agli amministratori e ai politici un “periodico saggio deglistudi e delle ricerche degli esperti e l’esperienza degli operatori dei suoi 41 Centri,impegnati oggi particolarmente nella innovazione e sperimentazione della didatticae delle tecnologie formative” (Editoriale, 1984; cfr. anche Editoriale, 1993). Inquesto modo, si pensava di poter dare un contributo determinante a realizzare unodei compiti, appena ricordato, che il Rettore Maggiore dei Salesiani, don Egidio Vi-ganò, aveva assegnato fin dall’inizio alla Federazione, quello cioè di realizzare unconfronto rigoroso con il mondo culturale e politico a livello nazionale ed europeosui problemi delle politiche del lavoro e della formazione (1978). Da ultimo, nel1989 veniva elaborata la Proposta Formativa CNOS-FAP che articolava l’attivitàdella Federazione intorno a quattro strategie fondamentali: la costruzione della co-munità formativa come soggetto e ambiente di formazione; la qualificazione educa-tiva e professionalizzante del CFP; la tensione verso una professionalità fondata suuna valida e significativa cultura del lavoro ed un progetto di vita; l’offerta del ser-vizio di orientamento professionale.Pertanto, si può senz’altro condividere il giudizio che il presidente del CNOSdi allora, don Felice Rizzini, ha dato sul primo decennio del CNOS-FAP: “La con-
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sistenza della Federazione CNOS/FAP, le salde tradizioni maturate in centoquaran-t’anni di storia e l’assistenza prestata dagli organismi federativi, specie quelli cen-trali e regionali [...] l’hanno resa partecipe di un forte dialogo con il Ministero e leRegioni, con gli Enti di FP, specie con quelli di ispirazione cristiana attraverso laCONFAP, e con gli altri organismi e l’hanno resa capace di esprimere una propriacultura professionale e di fare scelte adeguate, conservando un certo prestigio edautorevolezza per l’esperienza acquisita, per le ricerche di studio portate avanti conla collaborazione del laboratorio CNOS istituito presso la Facoltà di Scienze del-l’Educazione dell’U.P.S., per le pubblicazioni (sussidi e rivista specializzata) e perle iniziative assunte di sperimentazione, specie sotto il profilo didattico ed a favoredi giovani in difficoltà e a rischio” (Rizzini, 1988, 174; cfr. anche Editoriale,1994b). In questo periodo l’attività formativa principale è quella di primo livelloche però viene profondamente rinnovata nei contenuti e nell’organizzazione sullabase anche dei risultati di numerose maxisperimentazioni affidate dalle Regioni edal Ministero a livello di singolo CFP. La scelta dei giovani e delle famiglie con-tinua a orientarsi in maniera consistente verso i Centri CNOS-FAP, anche se nel1986-87 si nota una leggera diminuzione degli iscritti (cfr. Tav. 1) anche a seguitodel blocco delle iniziative regionali, di alcuni esperimenti di pubblicizzazione delpersonale, della limitazione dei finanziamenti e del ricorso generalizzato di alcuneRegioni a forme generalizzate di aggiornamento che causarono la sospensione delleattività corsuali. Efficace è l’attività di orientamento che i Centri di OrientamentoScolastico Professionale e Sociale (COSPES) promossi dagli Enti CNOS e CIOFSoffrono alla Federazione, partecipando alla programmazione educativa, accompa-gnando gli allievi ed assistendo i formatori e i genitori. Una conferma della consi-stenza qualitativa e quantitativa delle attività formative poste in essere si può desu-mere anche dal riconoscimento della Federazione come ente nazionale di primo li-vello per poter fruire dei contributi finanziari previsti dalla legge n. 40/87.Da ultimo non si può non sottolineare un aspetto che, però, non è specifico diquesto periodo, ma che costituisce una costante dei 30 anni di attività del CNOS-FAP. Si tratta dell’impegno “a fare della formazione professionale un vero e pro-prio sistema” (Rizzini, 1988, 176) a cui riconoscere parità e autonomia nei con-fronti del sistema scuola.
2. LA FEDERAZIONE CNOS-FAP DURANTE GLI ANNI ’90
Agli inizi della prima decade ’90 l’Italia ha attraversato una fase di attesa e distanca in cui sembrava che alla fiducia nello sviluppo ulteriore si fosse sostituito ildemone della de-costruzione (Censis, 1991). In ogni caso le ombre, anche moltofosche, che gravavano sul nostro cielo, non esaurivano il quadro globale che eramolto più vario e complicato: accanto alle crisi e alle sfasature che si erano imposteall’attenzione generale, non andavano dimenticate le lunghe derive positive, né gli
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spazi e i varchi che si stavano aprendo per rinnovare e adeguare il nostro paese.Tuttavia, nel prosieguo l’attenzione verrà concentrata sugli aspetti negativi perchéconsentiranno di capire meglio le problematiche della FP e le risposte della Federa-zione CNOS-FAP.
2.1. Una società inquieta in fase di attesaNei primi anni ’90 il processo di sviluppo a lungo termine del nostro paese sitrovava in un periodo di stasi e di blocco. Il sovraccarico dei soggetti, dei processie dei comportamenti aveva portato a una ridondanza non regolata che creava piùrigonfiamento che strategia. Al tempo stesso sembrava essere entrata in crisi la ten-sione ad innovare e a fare qualità: fantasia e creatività, che avevano accompagnatoe, soprattutto, preceduto lo sviluppo degli ultimi decenni, apparivano decisamentein ribasso, mentre la scena denotava una crescente presenza di ordinarietà, ripeti-tività e routine. Un altro trend negativo poteva essere visto nella tendenziale dere-sponsabilizzazione dei diversi centri di decisione a cominciare dalla famiglia sem-pre più propensa al consumo che all’investimento o al risparmio.Una grave sfasatura era riscontrabile anche a livello di intervento pubblico chesi caratterizzava da una parte per l’aumento incontrollabile del suo costo e dal-l’altra per la caduta in verticale della sua incidenza e utilità e per la situazione diframmentazione e di crisi in cui versava il sistema di rappresentanza. Ma il pericolopiù serio era costituito senz’altro dal fatto che la forza del credere si era molto ri-dotta sia nei riguardi della politica sia entro la società civile, mentre si affermava ilfenomeno, a cui si è già accennato sopra, della de-costruzione: sembrava che si vo-lesse abbattere tutto dall’assetto costituzionale, ai partiti di massa, ai sindacati, agliordinamenti regionali per, poi, ripartire di nuovo da zero.Passando infine agli aspetti socio-economici della situazione del paese nellaprima decade ’90, ci si limiterà a sottolineare i mutamenti profondi in atto nel mer-cato del lavoro per poterli mettere a confronto con la FP. Da una parte si riscon-trava un calo delle occupazioni industriali e dei mestieri tradizionali, mentre dal-l’altra emergevano nuove professioni e quasi-professioni nell’industria e nel ter-ziario: queste ultime rinviavano a paradigmi di lavoro molto diversi dai profili a cuitradizionalmente aveva preparato la FP (Butera, 1989). Il mercato del lavoro assu-meva un carattere sempre più frammentato, mentre la FP si era attrezzata ad offrireformazione solo ad alcuni di questi segmenti, per cui non riusciva a soddisfare ladomanda globale. Si registrava inoltre una notevole polarizzazione fra settori forti edeboli della forza lavoro e l’insorgere di una nuova stratificazione sociale; anche inquesto caso storicamente la FP si era occupata quasi esclusivamente delle fascemarginali. Altri cambi nel sistema sociale ponevano problemi non semplici alla FP:l’importanza determinante della qualità della persona umana nelle aziende; l’au-mento della rilevanza dell’atmosfera di un’organizzazione e della sua cultura; unarelazione più adulta fra singolo e organizzazione; una domanda diffusa di riconver-sione delle proprie competenze lavorative; l’esigenza di abilità sempre più com-
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plesse; la maggiore mobilità; la richiesta di interventi in tempo reale. In ogni casonon si trattava più di formare persone che dovevano svolgere dei paradigmi di la-voro già definiti, ma di preparare operatori che portavano valori e capacità di inno-vazione, di creatività, di impegno, di qualità e di eccellenza.Va riconosciuto che la FP aveva conseguito notevoli traguardi negli ultimi 20anni: una definizione più adeguata, una corrispondenza più stretta con il sistemaproduttivo, un’accettazione crescente della sua rilevanza strategica e un riconosci-mento più ampio della sua autonomia (Conferenza Nazionale sulla FormazioneProfessionale, 1992; Ruberto, 1992; Ghergo, 2009). Tuttavia, il mondo della FP,pur essendosi reso conto sufficientemente dell’evoluzione in atto nella realtà for-mativa, stentava a tradurla nel proprio sistema in strategie efficaci e generalmenteaccettate. Inoltre, sebbene si fossero realizzate sperimentazioni valide, i risultatitardavano a ricadere sulle strutture non solo a causa della rigidità degli ordina-menti, ma anche di operatori contrari all’innovazione. I CFP dimostravano suffi-ciente dinamismo, ma trovavano un freno nella propria origine perché ritenute perlo più strutture di serie B. Le imprese si rivelavano più esigenti quanto all’efficaciacontrollabile degli interventi e più aperte alla collaborazione con le scuole e i CFP,ma limitavano il loro interesse alla stretta funzionalità delle azioni formative con imiglioramenti produttivi e organizzativi, mentre trascuravano la formazione invista dello sviluppo prioritario delle competenze dei lavoratori e della ricerca.È stata anche rimproverata alla FP di quegli anni una considerazione inade-guata del rapporto tra la domanda e l’offerta formativa: infatti, da una parte si regi-strava un eccesso di offerta formativa rispetto alla domanda sociale da cui segui-vano non infrequentemente sovrapposizioni e irrazionalità, mentre dall’altra l’of-ferta formativa si rivelava inadeguata nei confronti della domanda economica siaper la preparazione carente degli operatori pubblici sia per la scarsa disponibilitàdelle imprese ad assumere parte dei costi. Il dibattito sull’offerta tendeva a concen-trarsi sul curricolo, sulle metodologie e sulle esigenze occupazionali dei formatori edegli operatori piuttosto che sulla formazione da acquisire al termine del percorsodi FP; a sua volta la progettazione curricolare si dimostrava insufficiente soprat-tutto nel momento dell’analisi della professionalità presente nell’impresa. In ag-giunta si riscontrava una eccessiva diversificazione tra le Regioni e non mancavanoaree ad alta concentrazione di condizioni problematiche per cui la situazione stavarasentando la polarizzazione. Il sistema di certificazione era assente o assoluta-mente inadeguato perché privo del fondamento solido di criteri oggettivi.Nonostante ciò, il carattere strategico della FP era riconosciuto da una por-zione importante di ricercatori e di operatori che la consideravano una variabile de-terminante della crescita socio-economica. La FP era il sottosistema formativo chenel nostro paese si qualificava per la più grande concretezza in quanto operavanello snodo tra domanda e offerta di lavoro; in particolare essa interveniva nellafase di raccordo fra tre gruppi di sistemi: produttivo e scolastico; lavorativo e for-mativo; della stratificazione sociale e della promozione degli strati più deboli della
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società. Inoltre, presentava un grado notevole di flessibilità e di apertura verso ilcontesto esterno, anche se non nella misura voluta. In sostanza le strutture della FPerano chiamate a costituire il perno del sistema regionale della transizione-reinseri-mento, in altre parole del passaggio dalla scuola alla vita attiva e della riqualifica-zione dei lavoratori. Cinque erano le aree di cui essa di fatto si occupava: la FP di1° e di 2° livello, la formazione sul lavoro, i corsi speciali, i corsi di altro tipo(Isfol, 1990). Un ruolo così impegnativo esigeva cambiamenti notevoli nelle strut-ture di FP: emergevano nuovi compiti di integrazione e coordinamento, si richie-deva flessibilità di organizzazione, strutture e curricoli, bisognava rendere i CFPcapaci di gestire l’innovazione.Accanto ai problemi organizzativi, l’altra questione centrale degli inizi delladecade ’90 era costituita dalla situazione degli operatori della FP che vedeva anzi-tutto una giustapposizione e frequente sostituzione o integrazione delle figure diprocesso (progettisti, tutor, coordinatori) alle figure di contenuto (docenti, istrut-tori) (Isfol, 1992). Inoltre, i compiti dei formatori tendevano a combinarsi nelleforme più varie sia nel momento dell’assunzione che dell’organizzazione del la-voro. Si registrava anche una situazione di elevata instabilità nei ruoli per cui questinon sempre corrispondevano alle articolazioni precedenti delle figure, né d’altraparte ne emergevano di nuovi che ottenevano un consenso generale e la loro diffe-renziazione era talora molto forte. La struttura del mondo del lavoro in cui coesiste-vano modalità tradizionali e nuove e una gamma di forme intermedie esigeva daiformatori il possesso non tanto delle abilità di adattamento al cambio quanto la ca-pacità di prevenirlo e di fornire strategie adeguate di risposta.Di qui l’esigenza di disporre di categorie anche contrattuali che affrontasserola tematica dell’innovazione dei profili professionali e del relativo inquadramento.
2.2. Il CNOS-FAP e il CFP polifunzionaleLe linee fondamentali delle politica della Federazione CNOS-FAP agli inizi deglianni ’90 possono essere sintetizzate nei seguenti orientamenti assunti a livello di As-semblee Generali e di Consigli Direttivi Nazionali della Federazione medesima:
“a) un serio impegno da parte di tutti i membri della Federazione, secondo ruoli e re-sponsabilità diversi, coinvolgendo allievi e genitori, per approfondire i valori caratteriz-zanti la attività formativa salesiana. [...].b) [...] le iniziative assunte perché l’elevamento dell’istruzione obbligatoria dai quattor-dici ai sedici anni possa essere soddisfatto in una pluralità di canali, compreso quellodella formazione professionale. [...]c) La qualificazione del personale, salesiano e laico impegnando: il singolo CFP a diven-tare fulcro della formazione permanente dello stesso; le Sedi Regionali a progettare unpiano regionale adeguato; e la Sede Nazionale ad organizzare con i Settori Professionali,corsi di qualificazione di aggiornamento, seminari di studio e convegni, ed a riservarenegli incontri, previsti dagli statuti e dai regolamenti, temi formativi. A questo scopovengono ulteriormente valorizzati: la rivista «Rassegna CNOS»; gli studi-ricerche delLaboratorio CNOS; la sperimentazione di nuovi testi e sussidi multimediali [...].
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d) il potenziamento degli organismi nazionali, regionali e locali con personale specializ-zato e con attrezzature aggiornate e la valorizzazione delle strutture associative, con-forme allo statuto ed ai vari regolamenti” (Rizzini, 1988, 176-177).
A nostro parere e anche in relazione alla presentazione della situazione dellaFP sopra indicata, l’aspetto più innovativo dell’attività del CNOS-FAP nei primianni ’90 va identificata nella elaborazione di un nuovo modello organizzativo delCFP. Come si è osservato sopra, i CFP erano stati raggiunti agli inizi della decade’90 da fenomeni di involuzione burocratica (Isfol, 1995). Infatti, non infrequente-mente si notava una focalizzazione eccessiva sui bisogni degli operatori a scapitodei destinatari; inoltre, non mancavano casi in cui si privilegiava il controllo nor-mativo sulle procedure rispetto alla verifica sostanziale sui risultati. In reazione aquesti segnali degenerativi si andava diffondendo l’esigenza di elaborare un mo-dello alternativo al CFP tradizionale.A tal fine il Laboratorio “Studi e Ricerche” del CNOS-FAP ha realizzato nellaprima metà degli anni ’90 quattro ricerche, tre su finanziamento del Ministero delLavoro (Malizia et al., 1991 e 1993; Malizia et al., 1996) – rispettivamente sul co-ordinatore progettista, su quello di settore/processo e sul direttore e lo staff di dire-zione – e una dello stesso CNOS-FAP sul coordinatore delle attività di orienta-mento (Pellerey - Sarti, 1991). Sulla base dei risultati di tali investigazioni è statopossibile elaborare un modello di organizzazione delle azioni di FP che si qualificaper essere al tempo stesso formativo, comunitario, progettuale, coordinato, aperto,flessibile e qualificato (Malizia et al., 1993). In sostanza si tratta del modello delCFP polifunzionale che, mentre da una parte cerca con la pluralità delle sue offertedi adeguarsi alla complessità della società odierna, dall’altra non rinuncia, anzimira a rafforzare il suo ruolo formativo al servizio di una gamma molto ampia didestinatari. Esso si contrappone alla formula dell’agenzia formativa (Isfol, 1995)che però non sembra trovare il conforto dei dati delle ricerche menzionate sopra.I risultati di tale impegno associativo hanno costituito il quadro di riferimentoentro il quale si è collocato anche un articolo (n. 7) del CCNL della FormazioneProfessionale convenzionata (1994-1997)2.2.1. Un modello formativo e comunitarioGli studi a medio e lungo termine coincidevano in generale su una previsione:l’avvio del terzo millennio sarebbe stato contraddistinto da una vera e propriaesplosione delle conoscenze in tutti i campi (Cresson - Flynn, 1995). Nel nuovomodello di società, ricerca, sapere e formazione diventavano il fondamento del si-stema sociale e non sarebbero stati più soltanto fattori di sviluppo: in altre parole,la formazione, con la ricerca e il sapere, rappresentava il fondamento stesso dellasocietà post-industriale o post-moderna.Anche nella FP la centralità della formazione significa promozione integraledelle persone; in questo caso, tuttavia, tale finalità prioritaria viene raggiunta attra-verso l’acquisizione di un ruolo professionale qualificato e di una specifica cultura
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che è professionale, umanistica ed integrale. In altre parole tale cultura deve esserefocalizzata sulla condizione produttiva che, a sua volta, va inquadrata in una conce-zione globale dell’uomo e che ottiene la sua piena significatività nella dimensioneetica e religiosa.La formazione è opera comune, presuppone un accordo di base sulle finalità, icontenuti, le metodologie da parte di tutte le componenti della FP, giovani e adulti,animatori e operatori, genitori e collaboratori. La centralità della formazione esigela costruzione di una comunità che sia allo stesso tempo soggetto e ambiente dieducazione. I dati delle ricerche evidenziano la convergenza delle opinioni deglioperatori della FP sulla centralità della formazione (e di una formazione di qualità)e sul modello comunitario (Malizia et al., 1991 e 1993).È chiaro che la centralità della formazione e la costruzione di una comunitàsono esigenze che si impongono in ogni Centro. Esse vanno realizzate in qualsiasitipo di CFP, qualunque sia la sua dimensione o il contenuto della sua offerta. Né lacomplessità delle azioni intraprese dal Centro, né la presenza o la preponderanza dicorsi mirati a un pubblico adulto possono indurre a pensare che il CFP si sia tra-sformato in un’azienda o in un’agenzia. Il CFP rimane un’istituzione formativa e lasua riorganizzazione, pur necessaria ed urgente, resta al servizio della scelta educa-tiva e comunitaria la quale conserva il primato anche nella FP. Ed è questa logicadi fondo che distingue principalmente il CFP polifunzionale del CNOS-FAP dacerte concezioni agenziali della FP.2.2.2. Un modello progettualeIn quegli anni si era andato delineando un consenso generale sulla necessità dirinnovare il modello organizzativo delle istituzioni formative, in quanto apparivadel tutto superato rispetto alle esigenze attuali della società. La strategia principaledi azione andava ricercata nella crescita e nella diffusione di un’adeguata culturaorganizzativa che significava fondamentalmente sviluppo della capacità di avviareprassi progettuali di sistema. In altre parole, bisognava anzitutto passare da un ap-proccio organizzativo individualistico e disintegrato ad uno integrato che si tradu-cesse in proposte unitarie e qualificanti di Centro e di corso. In secondo luogo ladimensione progettuale non poteva essere solo una caratteristica dell’azione delsingolo formatore, ma doveva connotare l’attività di tutto il sistema. Inoltre, laprogettazione doveva includere come componente imprescindibile il controllo; al-trimenti i risultati dell’azione organizzativa avrebbero continuato a presentarsicome casuali.In ogni caso dalle ricerche più volte menzionate emerge chiara ed inequivoca-bile la domanda degli operatori di introdurre nella FP la funzione/figura del coordi-natore di progetto che viene inteso come un’articolazione della funzione del forma-tore (Isfol, 1992; Malizia et al., 1991). In altre parole, si fa strada una impostazionedi natura educativa che parte dal presupposto che il CFP sia principalmente una co-munità formativa e più specificamente una comunità di formatori. Ne segue che la
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progettazione degli interventi impegna la corresponsabilità di tutti e diventa stru-mento prezioso attraverso cui la comunità formativa si crea e si sviluppa: infatti,tale azione consente alla comunità del CFP di identificare la domanda sociale diformazione, di fissare gli obiettivi dei propri interventi in relazione alle esigenzedel contesto, di elaborare strategie educative valide in risposta al territorio, di valu-tare la propria attività in rapporto alle mete che ci si è posti. In altre parole la pro-gettazione è il cemento che unifica la comunità formatrice e il dinamismo che la facrescere.2.2.3. Un modello al servizio della personaLa promozione integrale della persona significa che l’educando occupa ilcentro del sistema formativo e che pertanto questo deve fare dell’oggetto dell’edu-cazione il soggetto della sua propria educazione. A ogni persona va assicurato il di-ritto ad educarsi scegliendo liberamente il proprio percorso tra una molteplicità divie, strutture, contenuti, metodi e tempi; in sostanza, è il sistema formativo chedeve adattarsi all’educando e non viceversa.Indubbiamente, tutti gli operatori, i formatori, l’intero CFP e la FP nel suocomplesso sono primariamente impegnati a promuovere lo sviluppo integrale dellapersonalità degli allievi. Tra le nuove funzioni/figure che emergono dalle nostre ri-cerche, una che è chiamata a svolgere particolarmente tale servizio è senz’altroquella del coordinatore delle attività di orientamento (Pellerey - Sarti, 1991).Negli ultimi anni si era passati progressivamente dalla considerazione dell’o-rientamento come un insieme di servizi, spesso esterni alle istituzioni formative oalmeno autonomi da esse, ad una in cui l’orientamento si presentava come un pro-cesso educativo, continuo, finalizzato a far acquisire e a far utilizzare alla personale conoscenze, le abilità e gli atteggiamenti necessari per rispondere adeguatamentealle scelte che continuamente era chiamata ad operare, soprattutto in relazione al-l’attività professionale. Per ottimizzare, armonizzare, sincronizzare le attività for-mative e didattiche con valenza orientante dei diversi operatori e del Centro nel suocomplesso, si è ritenuto necessario individuare una persona, il coordinatore delleattività di orientamento che, pur continuando a far parte del corpo docente, in modoparticolare si facesse carico della realizzazione coordinata e finalizzata di questoinsieme di attività.2.2.4. Un modello coordinato e integratoNella FP era in atto un processo di differenziazione e di moltiplicazione dellefunzioni, un tempo accentrate nelle figure del direttore e del formatore anche a mo-tivo della prevalenza di strutture semplici, fondate su attività generalmente consoli-date (Nicoli, 1991a,b,c). Queste dinamiche di riarticolazione si manifestavano conparticolare chiarezza a livello di personale formativo, dove sempre più si richiede-vano precise specializzazioni di ruoli e funzioni. Esse a loro volta rinviavano allaintroduzione di forme nuove di integrazione attraverso la creazione di figure di rac-cordo quali i coordinatori, in particolare di settore/processo.
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A sua volta l’indagine del Laboratorio “Studi e Ricerche” del CNOS-FAP suldirettore aveva messo in risalto una diffusa insoddisfazione nei confronti dell’arti-colazione dei suoi compiti quale delineata nel CCNL (Malizia et al., 1996). Sem-brava necessario un riaccorpamento e una semplificazione di quell’elenco fram-mentato di mansioni in un disegno sintetico ed essenziale di grandi funzioni. Inparticolare, sulla base dei risultati dell’indagine si sono proposte le seguenti sei: re-sponsabilità della gestione del CFP nei confronti dell’Ente locale o di formazione;leadership della comunità degli operatori, in particolare attraverso la presidenzadell’organo collegiale dei formatori e la responsabilità della gestione del personale;motivazione del personale e cura del suo aggiornamento; direzione e coordina-mento delle attività; coordinamento delle attività progettuali; innovazione dell’or-ganizzazione del CFP.La stessa indagine ha messo in risalto anche l’emergere di un altro organismo,lo staff di direzione. In proposito, la funzione che viene indicata al primo posto èquella relativa al collegamento tra il CFP e il sistema delle imprese presenti sul ter-ritorio. A questa si aggiungono il coordinamento tra le varie attività promosse al-l’interno del CFP, la preparazione delle principali decisioni da prendere, la pianifi-cazione e l’organizzazione delle attività del CFP in vista del raggiungimento degliobiettivi formativi. Lo staff non è pensato come un contraltare al direttore, macome un sostegno al ruolo direttivo e una compartecipazione alle attività di condu-zione del CFP. Dovrà svolgere consulenza al direttore, presentargli proposte, parte-cipare alle decisioni, eseguire le iniziative promosse e decise dal direttore, verifi-care le azioni formative.2.2.5. Un modello apertoNel campo delle istituzioni formative un impatto decisivo è stato esercitato dalnuovo modello di sviluppo, l’educazione permanente: in proposito si possono ri-cordare due dei suoi assunti principali (Malizia, 1988). Anzitutto, lo sviluppo inte-grale della persona umana e in particolare, l’educazione di ogni persona, di tutta lapersona, per tutta la vita, richiede il coinvolgimento lungo l’intero arco dell’esi-stenza, oltre che della scuola, di tutte le agenzie educative in una posizione di paridignità formativa, anche se ciascuna di esse interverrà in tempi e forme diverse se-condo la propria natura, la propria metodologia e i propri mezzi (policentricità for-mativa). In secondo luogo, l’educazione è una responsabilità della società intera,comunità e singoli che sono chiamati a gestire democraticamente le iniziative for-mative (società educante).L’esigenza dell’apertura al contesto attraversa tutte le figure/funzioni della FP.I compiti del coordinatore di progetto convergono in questa direzione: si tratta diindividuare la domanda sociale di formazione, di fissare gli obiettivi degli inter-venti formativi in relazione alle esigenze del contesto, di elaborare strategie educa-tive valide in risposta al territorio (Malizia et al., 1991). A sua volta il coordinatoredi settore/processo costituisce uno snodo tra il CFP, le aziende e i singoli formatori
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(Malizia et al., 1993). La funzione del coordinatore delle attività di orientamento èfinalizzata tra l’altro a mantenere il coordinamento e il collegamento fra la strutturaformativa e i soggetti istituzionali e sociali, il sistema scolastico e formativo,nonché gli eventuali specialisti e Centri specifici di orientamento (Pellerey - Sarti,1991). Da ultimo, il direttore è chiamato ad assumersi la responsabilità della ge-stione del CFP nei confronti dell’Ente locale o di formazione.2.2.6. Un modello flessibileLa flessibilità rappresenta una caratteristica che è connessa strettamente con lanozione di sistema aperto. Con tale aspetto si è inteso riferirsi ai problemi di sede,di organico di appartenenza, di status. Ciò che si vuole sottolineare è che il sistemadel CNOS-FAP è a “geometria variabile”: la sua realizzazione può essere la piùvaria, tutto dipende dalle particolari condizioni di ogni Centro per cui si può andareda un’attuazione molto elementare alla più complessa; quello che va assicurato inogni caso è la presenza in ciascun CFP delle funzioni e non delle figure e, nel con-testo territoriale, delle necessarie unità specialistiche di supporto (CFP complessi,sede regionale di Ente, servizi territoriali regionali).2.2.7. Un modello qualificatoCon il termine qualificazione si è voluto significare il tipo di formazione ne-cessario per l’esecuzione dei vari compiti. La ricerca in questo caso fornisce indi-cazioni in relazione al coordinatore di progetto, al coordinatore di processo/settore,al coordinatore delle attività di orientamento e al direttore, indicando per ognunoconoscenze e competenze.Quanto ai requisiti per l’accesso alle quattro funzioni/figure, si riscontra un ac-cordo generale su una esperienza previa di docenza (e di managerialità per il diret-tore) e su un corso di formazione in servizio finalizzata. Gli operatori, però, si divi-dono sulla laurea che per il momento non poteva essere imposta a tutti, ma chedovrà essere introdotta in futuro in relazione anche con la generale elevazione deilivelli culturali di base per l’insegnamento.
3. DOPO L’ANNO 2002: VERSO UN SISTEMA MATURO DI FP
Secondo il Libro Bianco su istruzione e formazione della Commissioneeuropea, nella seconda metà degli anni ’90 “la società europea è entrata in unafase di transizione verso una nuova forma di società”, la società della conoscenza(Cresson - Flynn, 1995, 22). Tutto ciò significa che la collocazione di ogni in-dividuo nella società dipenderà fondamentalmente dalle conoscenze che eglipossiede. “La società del futuro sarà quindi una società che saprà investire nell’in-telligenza, una società in cui si insegna e si apprende, in cui ciascun individuopotrà costruire la propria qualifica. In altri termini una società conoscitiva”(Ibidem, 5).
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3.1. L’avvento della società della conoscenzaLe tecnologie dell’informazione, informatiche e telematiche, hanno provocatonell’ultimo decennio uno scenario di radicale transizione sociale verso nuove formedi vita e di organizzazione sociale che ha fatto parlare di “società della cono-scenza” (Malizia - Nanni, 2010 e bibliografia ivi citata; Cresson - Flynn, 1995;Margiotta, 1997; Nanni, 2000). I micro-processori stanno inducendo sotto i nostriocchi una “rivoluzione globale” dagli esiti non ancora chiari e scontati. Ciò siestende non solo alla produzione e alla comunicazione sociale, ma anche ai modi divita e dell’esistenza individuale, familiare, sociale, mondiale. Si sono accresciuteenormemente le opportunità di accedere all’informazione e al sapere, ma d’altraparte si richiedono adattamenti e competenze nuove che, se mancano, possono pro-vocare emarginazione ed esclusione sociale.3.1.1. I fattori strutturaliSemplificando al massimo il discorso, si può probabilmente affermare che sulpiano economico lo scenario appare dominato da sei dinamiche principali: il pas-saggio graduale da un’economia di scala ad una della flessibilità, la progressiva ter-ziarizzazione dei processi, l’avvento delle nuove tecnologie, la globalizzazione deiprocessi, l’emergere del concetto di qualità totale, la transizione da un modellomeccanico di organizzazione e di gestione ad uno organico (Giovine, 1998; Malizia- Nanni, 2010).In particolare, l’economia della flessibilità ha attribuito il primato al mercatorispetto alla produzione: la riduzione dei costi di produzione conserva la sua rile-vanza, ma diviene prioritaria la capacità di risposta alla domanda del mercato nelmomento, nel luogo e nel modo appropriato. L’organizzazione del lavoro si con-traddistingue di conseguenza per la flessibilità delle tecnologie e delle strutture, peril primato del conseguimento dei risultati sulla esecuzione fedele di prescrizioni eper l’importanza assunta dal piccolo e dal decentramento.In questo contesto i servizi finali o per la produzione si espandono dando vitaad aziende e amministrazioni specializzate (terziarizzazione esterna) o a strutturespecializzate entro la grande impresa (terziarizzazione interna). Il fenomeno è con-nesso con due altri “trends”, uno alla differenziazione strutturale e un altro alla in-tegrazione. Il dato di partenza consiste nel fatto che tra i prodotti assumono rile-vanza sempre maggiore i servizi immateriali ad alta tecnologia intellettuale.Il terzo fattore è dato dall’avvento delle nuove tecnologie dell’informazione.Queste sono nuove perché muta l’oggetto che non è più la produzione di un pezzoo la scrittura a macchina di una lettera, ma sono operazioni di natura più intellet-tuale, come il controllo di processo o l’innovazione. Esse creano problemi per leoccupazioni tradizionali in quanto tendono ad assumerne i compiti e perché restrin-gono le possibilità di lavoro. Inoltre, il quasi monopolio che viene esercitato sullenuove tecnologie dell’informazione dalle grandi potenze o, peggio, da gruppi parti-colari di interesse, attribuisce a questi ultimi un reale potere culturale e politico su
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ampi strati dell’opinione pubblica mondiale, soprattutto quelli che sono sprovvistidi sufficienti capacità di interpretare e criticare le informazioni ricevute; non solo,ma anche opera come un fattore potente di omologazione culturale che tende ad an-nullare le specificità delle varie entità nazionali e dei differenti gruppi.La libera circolazione mondiale delle immagini e delle parole costituisce tral’altro uno dei grandi acceleratori della mondializzazione. Più in generale, lo svi-luppo impressionante della scienza e della tecnologia, che sta rivoluzionando le no-stre società, si caratterizza anche per la globalizzazione dei processi che non si li-mita alle multinazionali. Di fatto, si estende la cooperazione tra aree geografiche esi sta sviluppando l’integrazione nelle produzioni, nei mercati e negli stili di con-sumo. Per effetto della deregolamentazione e dell’apertura dei mercati finanziaritutte le economie sono largamente condizionate dai movimenti di masse enormi dicapitali che passano con grande velocità da un luogo all’altro, attratti dalle diffe-renze nei tassi di interesse e dalle anticipazioni speculative, e che sembrano im-porre le loro esigenze persino ai governi nazionali. Al tempo stesso non si può nonriconoscere che l’espansione del commercio mondiale ha esercitato un influsso po-sitivo su vari paesi e che la crescita mondiale è stata fortemente stimolata dalleesportazioni.L’affermarsi della qualità totale significa che è quest’ultima, intesa come sod-disfazione del cliente, e non il profitto, a occupare il primo posto nelle finalità diun’impresa: in altre parole diviene decisiva la qualità percepita dal cliente. A montedell’emergere di tale concezione vi sarebbe la riscoperta della finalizzazione delprocesso produttivo all’uomo, che tornerebbe a occupare di nuovo il centro dellascena. Le conseguenze sono molto rilevanti anzitutto nei rapporti con l’esterno, inquanto diviene centrale l’impegno per identificare la domanda del cliente.Pertanto, in ambienti complessi, turbolenti, dinamici, incerti, imprevedibilicome gli attuali, il modello organizzativo non può più essere centrato sulle proce-dure della dipendenza e dell’esecuzione e sugli aspetti formali e strutturali dell’or-ganizzazione, per cui tutto è razionalmente e scientificamente predefinito attraversouna dettagliata descrizione dei sistemi di divisione e controllo del lavoro. Nelnuovo modello si vengono a richiedere alle persone capacità di innovazione, di go-verno dell’imprevisto e delle varianze, competenze di problem solving, abilità co-municative e relazionali. Non vi sono organizzazioni, attività professionali, compe-tenze “al sicuro’’. A tutti i diversi attori è richiesta una grande capacità, quella digovernare l’incertezza, di affrontare attivamente il cambiamento. Adattarsi, antici-pare, innovare, rischiare diventano abilità “trasversali”, attrezzi culturali di soprav-vivenza di soggetti e organizzazioni. Questo contesto più mutevole ed incerto, seda una parte è fonte di minacce, apre dall’altra la via verso nuove opportunità.In altre parole, si sta compiendo il passaggio da un modello industriale di eco-nomia ad uno post-industriale. Il primo pone l’accento su una concezione quantita-tiva della crescita (“trarre più dal più”), sul volume della produzione, su una impo-stazione lineare, atomistica, gerarchica, dualistica e manipolativa del lavoro e della
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sua organizzazione. Il secondo sottolinea la qualità e l’intensità dello sviluppo (“ot-tenere più dal meno”), il valore della produzione, la natura simbolica, interattiva,contestuale, partecipativa, autonoma e intellettuale dell’attività occupazionale edella sua strutturazione. Il mondo delle aziende è dominato da imprese piccole,flessibili, dinamicizzate dalla risorsa “conoscenza”, capaci di produrre una vastagamma di beni e servizi che sono molto spesso immateriali.Ciò comporta, “negativamente”, che le grandi imprese riducano le loro atti-vità: le funzioni produttive di base sono conservate, mentre i servizi di supportovengono affidati a ditte o persone esterne. Per questa via, la grande industria è riu-scita a ridurre la forza lavoro in maniera anche molto drastica. Il passaggio al post-industriale si accompagna anche ad un aumento dei fenomeni di precarizzazione edi de-regolazione del lavoro che mettono in crisi il tradizionale sistema di relazionisociali. Nel contempo la globalizzazione e la informatizzazione contribuiscono adaumentare la disoccupazione o sotto-occupazione che, a differenza della prima edella seconda “rivoluzione industriale” del passato, non riesce più ad essere intera-mente assorbita dai settori emergenti (il cosiddetto “quaternario”). Ciò spinge ad unaumento delle diseguaglianze e della forbice delle professionalità, tra una ristrettaélite di “ingegneri della conoscenza” e una massa di persone destinate a lavori de-qualificati. Sembra quasi che i nostri sistemi sociali non riescano ad assicurare atutti un accesso equo alla prosperità, a modalità decisionali democratiche e allo svi-luppo socio-culturale personale (Consiglio dell’Unione Europea, 2001). In questocontesto tra i gruppi più vulnerabili vanno senz’altro annoverate le persone che pre-sentano specifici problemi di apprendimento e in genere le fasce più deboli dellapopolazione (disabili, donne, giovani, popolazione rurale, ecc...).Ritornando ora alla questione occupazionale, si può dire in sintesi che il pas-saggio alla società della conoscenza trasforma il senso e il modo di lavorare: na-scono nuove professioni, vecchi mestieri cambiano “pelle”, altri scompaiono defi-nitivamente. Si diversificano i lavori, e prima ancora le tipologie e le forme giuri-diche dei rapporti di lavoro. C’è un’indubbia “intellettualizzazione” del lavoro. Èrichiesta la flessibilità e la mobilità occupazionale e la polivalenza della culturaprofessionale.Per rispondere al meglio a queste esigenze del mondo dell’occupazione sidovrà pensare a una nuova figura di lavoratore che non solo possieda i necessarirequisiti tecnici, ma anche nuovi saperi di base (informatica-informazione, in-glese, economia, organizzazione), capacità personali (comunicazione e relazione,lavoro cooperativo, apprendimento continuo) e anche vere e proprie virtù del la-voro (affrontare l’incertezza, risolvere problemi, sviluppare soluzioni creative).3.1.2. Le dinamiche culturaliLa cultura della società della conoscenza risulta fortemente segnata dalla rivo-luzione silenziosa dei microprocessori (Malizia - Nanni, 2010; Nanni - Rivoltella,2006; Malizia, 2006; Botta, 2003). L’avvento delle nuove tecnologie dell’informa-
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zione origina spinte contrastanti: moltiplicazione delle opportunità di informazionee di formazione e creazione di nuove forme di analfabetismo e di nuove margina-lità; elevazione dei livelli di cultura generale e di competenze per l’accesso almondo del lavoro e parcellizzazione che ostacola ogni tentativo di sintesi; poten-zialmente personalizzante e al tempo stesso generatrice di consumo passivo daparte soprattutto degli strati più deboli della popolazione; fattore di pluralismo, maanche all’origine del relativismo etico.In altre parole i giovani portano nella scuola e nella FP la cultura del fram-mento che, se ha il merito di aver contribuito a mettere in crisi il dogmatismo dellegrandi ideologie, pone gravi problemi al sistema educativo. Infatti, la cultura diquest’ultimo presenta caratteristiche opposte: tende a trasmettere una visione siste-matica e organica della realtà, vorrebbe offrire ad ogni allievo gli strumenti per co-struire un proprio progetto di vita, radicato nel passato e aperto al futuro, intendeaiutarlo ad elaborare un quadro di riferimento unitario, organico, coerente, tra-smette il meglio delle conquiste della storia in continuità con il passato, forma al-l’impegno per il bene comune e al rispetto dei diritti umani che considera valori pe-renni da approfondire e da ampliare, ma non da ribaltare.Sul piano culturale le grandi narrazioni “metafisiche”, i grandi miti dell’Occi-dente – come ha scritto Lyotard – non riescono più a difendere le loro pretese di as-solutezza, di unicità ed egemonia veritativa, cioè di guida vera e ideale per tutti(Lyotard, 1981).Ad un pensiero prevalentemente analitico, logico, dimostrativo si viene a con-trapporre (o a preferire) un pensiero più narrativo, più espositivo; alle concettualiz-zazioni generali si controbilanciano le molte forme dell’autobiografia, del saggioesplorativo attento alle sfumature, alle contaminazioni cognitive, ai giochi lingui-stici, alle ibridazioni dei punti di vista. L’assolutezza della scienza lascia il passo amodi di vedere e di esprimersi più “ermeneutici” (cioè insieme più soggettivi, piùinterpretativi, più comprensivi). Si parlò per questo, negli anni Ottanta del secoloscorso di “pensiero debole” (Vattimo - Rovatti, 1983). Alle grandi ideologie, sullascena delle idee di moda, sono succeduti i molti racconti, le più disparate offerte diconoscenza e di saperi. La perdita delle totalità significative spesso diventa defini-tiva. Frequentemente il frammento non si compone ulteriormente e scade nellaframmentazione irrelata (Pera, 1994; Mari, 1995).La secolarizzazione religiosa (cioè una vita sociale senza religione), più checome “logica conseguenza” del trionfo della scienza e dello sviluppo tecnologico,si è attuata a livello pratico, vale a dire nel senso che le menti e i cuori della gentesi sono rivolti più che altro al consumismo, al benessere e al divertimento ma,d’altro canto, ha provocato o comunque è stata controbilanciata da un ritorno difiamma del sacro, della magia, dei riti, di nuove forme di religiosità e da quella dif-fusa tendenza ad una religiosità soggettivistica e cosmica, che nelle società del so-prasviluppo o comunque in via di sviluppo ha avuto la sua classica espressione neimovimenti della New Age. Si è parlato in Occidente di neopaganesimo e di poli-
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teismo post-cristiano, ma anche di mercato del sacro, di fiera dei misteri, di nuovipercorsi di religiosità e di mistica e di nuove denominazioni religiose (Volli, 1992;Terrin, 1992).Ciò non ha solo posto problemi alle religioni ufficiali, ma dice quanto l’atten-zione alla buona qualità della vita, al mondo delle emozioni e dell’affettivitàchiede di essere presa in considerazione poiché non esaudita né dalle agenzie tradi-zionali di senso (chiese, partiti, politica, scienza, tecnica), né da quella che è statadetta la “speranza tecnologica” (Nanni, 2000).Certamente lo statuto del sapere e del conoscere si è trasformato. Agli studidella mente e della logica c’è da affiancare quelli sull’intelligenza emotiva, dei bi-sogni, del desiderio. In questo clima si comprende come la coscienza della parzialitàdi ogni affermazione e della sua inevitabile configurazione storica e culturale vadabilanciata con la irriducibile pretesa di verità e certezza che ognuno viene ad averequando fa un percorso conoscitivo. Il problema dell’identità va “composto” conquello della molteplicità, del pluralismo, della complessità, senza per forza avere lasensazione teorica e pratica di cadute nel relativismo, nell’incertezza e nella confu-sione “babelica” (a cui segue solo lo scetticismo) o nella perdita dell’identità perso-nale e etnico-culturale (Morin, 1995; Nanni, 2000; Malizia - Nanni, 2004).Questi andamenti dei processi storici dell’Occidente vengono a combinarsi e ascontrarsi con gli spostamenti delle popolazioni per i motivi più svariati, da quellidi tipo economico a quelli di tipo politico, culturale, turistico, dando luogo al feno-meno della multicultura. Questa viene a caratterizzare sempre più la vita internadelle nazioni e il quadro internazionale. A livello di cultura ciò tende ad esaltare ilfenomeno del pluralismo a tutti i livelli; e inoltre mette in crisi i tradizionali mo-delli di uomo, di cultura e di sviluppo.Tutto ciò non è senza riflessi sull’istruzione e sulla formazione.
3.2. Un decennio di riformeEntro questo quadro, a partire dalla prima decade ’90 si è andata diffondendonell’opinione pubblica la convinzione che non bastasse intervenire sull’uno ol’altro dei livelli del sistema educativo per risolvere i problemi alla radice, ma chesi dovesse procedere a una ridefinizione dell’intera struttura (Malizia e Nanni, incorso di pubblicazione; Malizia e Nanni, 2010 e bibliografia ivi citata; Ghergo,2009). Più in particolare, l’esigenza di una nuova architettura nasceva anzituttodalla riflessione sulle trasformazioni della società. Il contesto di accelerazione delcambiamento e gli effetti conseguenti dell’obsolescenza delle professioni e delladisoccupazione rendevano urgente sostituire il modello tradizionale focalizzatosulla trasmissione delle conoscenze con uno centrato sull’acquisizione di compe-tenze e di metodi. Al tempo stesso, si dimostrava altrettanto necessario rafforzare laformazione culturale generale in modo da abilitare la persona a gestire situazionicomplesse dagli sviluppi imprevedibili. Inoltre, appariva urgente che il sistemaeducativo uscisse dalla autoreferenzialità ed entrasse in relazione con il mondo
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della produzione. La riforma della scuola rispondeva anche a esigenze di tipo per-sonalistico e socio-politico, nella linea della Costituzione che disegna una comunitànazionale fatta di membri al contempo persone, cittadini, lavoratori.Sulla domanda di riforma globale incideva la considerazione delle criticità delsistema educativo esistente. Infatti, si trattava di superare la discontinuità esistentetra i diversi livelli della scolarizzazione, di togliere l’eccessiva parcellizzazionedegli indirizzi della scuola superiore e la loro eccessiva rigidità, di raccordarsi nonsolo con l’università e il mondo del lavoro, ma anche con i diversi vissuti culturalidelle persone, che si muovono tra i poli opposti dell’analfabetismo di ritorno e l’e-sigenza di una sempre più incisiva educazione permanente, fra divari non solo eco-nomici ma globalmente vitali fra Nord e Sud, fra una generazione e l’altra, fra svi-luppo crescente e nuove povertà, fra faticosi e lenti processi di integrazione e rin-novate forme di esclusione e disagio.Il decennio delle riforme inizia con la riforma Berlinguer, legge n. 30/001. Perquanto riguarda la secondaria superiore, questa aveva conservato la tradizionaledurata quinquennale. Era cambiata, però, l’età minima dell’entrata, che era ormaidi 13 anni in seguito alla fusione tra elementare e media nella scuola di base e la ri-duzione a 7 anni da 8 della durata complessiva. Il percorso successivo prevedevasia uno sbocco al termine dei primi due anni per l’assolvimento dell’obbligo forma-tivo in altri sottosistemi – anche tramite forme di integrazione con la FP – siaun’altra uscita alla fine dei cinque verso l’istruzione universitaria o verso quellanon universitaria, come la FP di secondo livello, e l’istruzione e formazione tecnicasuperiore. Il curricolo si articolava in aree: classico-umanistica, scientifica, tecnicae tecnologica, artistica e musicale; ciascuna di queste a sua volta era ripartita in in-dirizzi (tendenzialmente in numero inferiore agli attuali). Pertanto, le finalità veni-vano ripensate in funzione di questo complesso quadro di riferimento: da una partesi rinunciava a ogni pretesa di preparazione specialistica e si aboliva qualsiasi strut-turazione gerarchica tra i differenti tipi di formazione; dall’altra si decideva di pun-tare a una diffusione più larga e qualificata di livelli di formazione generale, conl’intenzione di assicurare a tutti i fondamenti culturali della professione futura.Tutto questo però era previsto all’interno di un modello fortemente scuolacen-trico. Infatti, né la legge n. 30/00 né il successivo piano quinquennale di attuazionetraducevano in termini concreti la reciprocità e la necessaria integrazione tra scuolae FP; e non era reso operativo il principio secondo cui non è sostenibile, né cultu-ralmente, né socialmente, l’idea di un sistema educativo composto unicamente dascuole. Sicché si continuava a mantenere la FP in una posizione di fondamentalemarginalità e di subalternità rispetto alla sostanziale unicità del percorso scolastico.E ciò, mentre nella gran parte dei Paesi dell’Unione Europea la FP veniva ricono-sciuta come parte legittima e non sussidiaria dell’offerta formativa, come canale
1 Del decennio delle riforme ci limitiamo a presentare solo i passaggi essenziali che si riferi-scono al secondo ciclo.
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percorribile di pari dignità con la scuola e come un ampliamento reale del dirittoalla formazione.La riforma Berlinguer aveva confermato l’istituzione dell’obbligo formativofino a 18 anni, introdotto dalla legge n. 144/99 in base al quale per gli studenti cheavevano assolto l’obbligo di istruzione si profilavano tre possibili percorsi che erapossibile realizzare anche in forma integrata: proseguire gli studi nella scuola se-condaria superiore; frequentare la FP ai fini del conseguimento di una qualifica;iniziare il percorso di apprendistato, caratterizzato dalla alternanza formazione/lavoro. La successiva riforma Moratti, legge n. 53/03, compie in proposito un ulte-riore salto di qualità, assicurando a ognuno il diritto all’istruzione e alla forma-zione, per almeno 12 anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualificaentro il diciottesimo anno di età.Secondo la riforma appena citata, il sistema educativo si articola nella scuoladell’infanzia (3-6 anni), in un primo ciclo che comprende la scuola primaria (6-11)e la scuola secondaria di primo grado (11-14) e in un secondo ciclo di cui fannoparte il sistema dei licei (14-19) e quello dell’Istruzione e della Formazione Profes-sionale (14-21). Quanto ai licei, sono confermati gli assi culturali tradizionali, clas-sico, scientifico e artistico; al tempo stesso ne nascono dei nuovi, economico, tec-nologico, musicale, linguistico, delle scienze umane. Essi hanno durata quinquen-nale: l’attività didattica si sviluppa in due periodi biennali e in un quinto anno cheprioritariamente completa il percorso disciplinare e prevede inoltre l’approfondi-mento delle conoscenze e delle abilità caratterizzanti il profilo educativo, culturalee professionale del corso di studi. Si concludono con un esame di Stato il cui supe-ramento rappresenta titolo necessario per l’accesso all’università.Ferma restando la competenza regionale, il sistema dell’Istruzione e della For-mazione Professionale (IeFP) realizza profili educativi, culturali e professionali aiquali conseguono titoli e qualifiche professionali di differente livello, valevoli sututto il territorio nazionale se rispondenti ai livelli essenziali di prestazione definitisu base nazionale. Inoltre, i giovani che seguono questi percorsi non soltanto si ve-dono garantita anno dopo anno una passerella per trasferirsi nei licei, ma hannoanche modo di proseguire dopo i quattro anni per un quinto, un sesto e un settimoanno, così da acquisire una qualifica professionale superiore. Potranno altresì dis-porre di un quinto anno per affrontare l’esame di Stato per l’iscrizione all’università.L’introduzione di un percorso graduale e continuo di Istruzione e FormazioneProfessionale parallelo a quello scolastico e universitario dai 14 ai 21 anni è inpiena linea con le tendenze più diffuse e avanzate del nostro continente. Infatti, laFP non viene più concepita nella gran parte dei paesi europei come un addestra-mento finalizzato esclusivamente all’insegnamento di destrezze manuali, ma rap-presenta un principio pedagogico capace di rispondere alle esigenze del pieno svi-luppo della persona secondo un approccio specifico, fondato sull’esperienza reale esulla riflessione in ordine alla prassi che permette di intervenire nel processo di co-struzione dell’identità personale.
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L’Accordo Stato-Regioni su istruzione e formazione del 2003 ha consentito diavviare già da quell’anno la sperimentazione dei percorsi triennali di istruzione edi formazione previsti dalla riforma Moratti. Questa offerta ha ottenuto un grandesuccesso tra i giovani e le famiglie. Infatti, tra il 2003-04 e il 2008-09, cioè in ap-pena 6 anni, il numero degli iscritti ha registrato un vero balzo in avanti in quantosi è quintuplicato raggiungendo la cifra di 150.489 (Isfol, 2009, 80).In discontinuità con i suoi predecessori il Ministro della Pubblica Istruzione,on. Fioroni, del governo di centro-sinistra decideva di non elaborare un’altra ri-forma complessiva del sistema e ha adottato un metodo diverso, più pragmatico. Lostesso approccio, anche se con finalità, contenuti e strategie differenti, è stato as-sunto dalla on. Gelmini che l’ha sostituito nel 2008 quando il centro-destra è tor-nato al governo: ma sull’azione di quest’ultima ritorneremo nella sezione succes-siva quando presenteremo in generale i nuovi regolamenti relativi alla secondariadi 2° grado.Con la legge n. 296/06 e il decreto 22 agosto 2007 n. 139 l’obbligo di istru-zione è stato elevato a 16 anni, come anche l’età minima per l’ingresso nel mercatodel lavoro. In proposito, va subito precisato che, sebbene rappresenti un passaggionecessario nella carriera formativa di un ragazzo, esso non possiede una natura ter-minale perché rientra nell’ambito del diritto-dovere di istruzione e di formazione epertanto non è una fase di un percorso che si conclude con il conseguimento di untitolo di studio. Inoltre, esso non deve essere confuso con l’obbligo scolastico,perché può essere adempiuto anche frequentando percorsi di Istruzione e Forma-zione Professionale.Un altro aspetto importante dell’azione del Ministro Fioroni è stato la revi-sione del secondo ciclo. In particolare, sono stati reintrodotti gli istituti tecnici eprofessionali e al tempo stesso sono stati aboliti il liceo tecnologico ed economico,con il pericolo però di una ulteriore emarginazione della FP dato il carattere profes-sionalizzante degli istituti, soprattutto di quelli professionali. È pur vero che iltitolo che potranno conferire di norma è il diploma di istruzione secondaria supe-riore, ma è anche previsto che in via sussidiaria e su domanda delle Regioni questiultimi potranno rilasciare anche qualifiche professionali. C’è da dire, in positivo,che sono attribuiti alla competenza delle Regioni le qualifiche e i diplomi profes-sionali, inclusi in uno specifico repertorio nazionale.Con l’approvazione il 4 febbraio 2010 in seconda e definitiva lettura da partedel Consiglio dei Ministri di tre Regolamenti, uno per i licei (DPR n. 89/10), unoper gli istituti tecnici (DPR n. 88/10) e uno per quelli professionali (DPR n. 87/10),il ministro Gelmini ha avviato il completamento del progetto di riorganizzazionedel sistema educativo italiano di istruzione e di formazione riguardo al suo seg-mento da più lungo tempo non riformato, quello dell’istruzione secondaria supe-riore (Tonini - Malizia, 2010; Cicatelli, 2010c).Prima di passare al loro esame, procediamo a una contestualizzazione (Maliziae Nanni, in corso di pubblicazione; Malizia - Nanni, 2010). I dati mettono in evi-
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denza che la mobilità sociale in Italia è limitata e che la scuola tende a svolgere unafunzione riproduttiva delle diseguaglianze piuttosto che una funzione di lotta alledisparità sociali.Da sempre si va affermando che una strategia per affrontare questo nodo pro-blematico consiste nell’assicurare a tutti gli studenti i livelli essenziali delle presta-zioni concernenti i diritti civili e sociali in tema di istruzione e di formazione. Inconcreto, a fronte dell’elevarsi della complessità, tipica della società globalizzata edella conoscenza, si punta su interventi a favore dell’innalzamento della prepara-zione di base a livello di diritto-dovere di istruzione e di formazione e di obbligo diistruzione; al tempo stesso si cerca di evitare lo spezzettamento dei saperi.Un’altra strategia fa capo alla personalizzazione del processo di insegnamento-apprendimento. Infatti, l’eguaglianza delle opportunità nell’istruzione non significaeguaglianza di trattamento, ma eguale possibilità di essere trattati in manieradiversa per poter realizzare le proprie capacità. Pertanto, il processo formativo vaorganizzato in modo che ciascun alunno possa procedere nell’apprendimentosecondo il ritmo che gli è più congeniale.In questa linea si può leggere l’azione del Ministro Gelmini circa la revisionedel secondo ciclo del sistema educativo. La finalità da lei proclamata è stata quelladi elevare tutta l’offerta alla “serie A”. Piuttosto che prolungare in maniera indefi-nita il dibattito sulla precocità o meno della scelta a 14 anni tra secondaria di2° grado da una parte e Istruzione e Formazione Professionale dall’altra, il Ministroha inteso evitare le contrapposizioni ideologiche e misurarsi in maniera conver-gente con la sfida di elaborare percorsi capaci di aiutare tutti gli studenti a trovarela strada più adeguata. “L’indifferenziazione dei percorsi, la pretesa di uccidere lepropensioni individuali per pretendere, ope legis, che ogni adolescente percorra lastessa strada è la traiettoria più sicura verso gli abbandoni e le dispersioni. Diamoad ogni persona la sua scuola, e ogni persona troverà nella sua scuola le ragioni perfrequentarla con profitto” (Gelmini, 2008, 14). Ovviamente, si dovrà manteneresempre aperta la possibilità di ripensare la propria scelta e questo per l’intero arcodell’esistenza, assicurando un sistema efficace di apprendimento per tutta la vita.Tale orientamento del Ministro ha trovato da subito un’attuazione importante.Uno dei suoi primi interventi è consistito nella conferma della presenza di uncanale di Istruzione e Formazione Professionale nel nuovo obbligo di istruzionegià elevato dal Ministro Fioroni a 16 anni (cfr. art. 64 della legge n. 113/08). Piùarticolata è la valutazione dei tre Regolamenti citati anche per la complessità dellamateria.Entrando nel merito, mentre la riforma Berlinguer aveva adottato una imposta-zione unitaria (tutti Licei) e quella Moratti una formula binaria (i sottosistemi deilicei e dell’Istruzione e Formazione Professionale), il Ministro Gelmini in conti-nuità con il suo predecessore, l’on. Fioroni, sembra aver optato per un modello atre poli: i licei; gli istituti tecnici e gli istituti professionali; l’Istruzione e la Forma-zione Professionale. Come ha affermato S. Cicatelli, la proposta dei Regolamenti
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costituisce “un riassetto operato su un impianto sostanzialmente confermativo del-l’ordinamento da sempre vigente nella scuola italiana. Nessuna ‘riforma Gelmini’,dunque. E ormai anche addio alla ‘riforma Moratti’ (Cicatelli, 2010c, 1). In altreparole, si tratta di una pura e semplice razionalizzazione e modernizzazione dell’e-sistente sulla base del modello tradizionale della nostro secondo ciclo, con l’aggra-vante che i percorsi di Istruzione e Formazione Professionale regionale tornano adessere l’offerta per i “falliti” dei tre percorsi delle scuole statali (licei, istituti tecnicie istituti professionali), ammesso che le Regioni non decidano di affidarli agli isti-tuti professionali.Detto questo non si può neppure non essere d’accordo con quanto G. Bertagnaevidenzia di positivo in questi Regolamenti, sempre che il Ministro Gelmini inter-venga decisamente per rendere i percorsi di IeFP un canale nazionale e stabile.Riportiamo alla lettera le sue affermazioni: “Cosicché oggi si può dire che entri invigore la ‘Morfiormini (Moratti, Fioroni, Gelmini)’, davvero la prima riforma del-l’impianto degli studi secondari a partire dal ministro De Vecchi (1936) in poi. Nonè perfetta. Si poteva fare meglio e forse in maniera anche più strategica. Ma ilrisultato ‘epocale’, viste le abitudini per lo più verbose della nostra classe politica esindacale, è che finalmente c’è ed entra in vigore. E che fra tre anni il parlamentoha chiesto una seria verifica della sua applicazione. C’è da augurarsi che questa siacondotta coinvolgendo maggioranza ed opposizione, Stato e Regioni, governo eparti sociali perché al di là delle esasperazioni ideologiche tipiche della lotta poli-tica contingente, la scuola è una cosa troppo seria per essere lasciata al pendolodella maggioranza e agli interessi corporativi” (Bertagna, 2010, 10).Una valutazione che fa sintesi tra queste posizioni è possibile trovarla nell’ana-lisi di P. Ferratini. A suo parere la politica scolastica del Ministro Gelmini consistein un tentativo serio di ripensare il nostro sistema educativo sulla base di una ideo-logia tradizional-moderata che potrebbe essere espressa nello slogan del ritornoalla scuola del tempo che fu con la correzione apportata dalle tre “i”, internet, in-glese, impresa. Nello stesso tempo non si può contestare il traguardo raggiunto diaver concluso il decennio delle riforme e il sessantennio delle attese deluse introdu-cendo un punto fermo da cui ripartire. In ogni caso, la salvezza del sistema italianodi istruzione e di formazione va cercata fondamentalmente in un ritorno al passato,in un ieri da ripristinare e in un recupero della scuola di prima. Nelle parole delMinistro “Autorevolezza, autorità, gerarchia, insegnamento, studio, fatica, merito.Sono queste le parole chiave che vogliamo ricostruire, smantellando quella costru-zione ideologica di vuoto pedagogismo che dal 1968 ha infettato come un virusla scuola italiana” (Ferratini, 2009, 725). Si tratta di richiami che hanno esercitatofinora una forte efficacia di persuasione nei confronti della opinione pubblica, ridu-cendo di molto l’incidenza delle critiche ed evitando che confluissero in un rile-vante dissenso sociale.Non solo i licei e gli istituti tecnici e professionali, ma anche il sottosistema diIeFP è stato raggiunta da un processo parallelo di cambiamento. Esso si è realizzato
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in una forma più graduale e maggiormente attraverso lo strumento degli Accordi inConferenza Stato-Regioni piuttosto che mediante il ricorso ad interventi legislativi(Malizia e Nanni, in corso di pubblicazione; Tonini - Malizia, 2010; D’Agostino,2010; Frisanco, 2010; Gaudio - Governatori, 2010; Poggi, 2010; Salerno, 2010). Ilprimo passo è stato compiuto con l’Accordo Stato-Regioni su istruzione e forma-zione del 2003 (a cui si è già accennato sopra) che, senza attendere lo specifico de-creto legislativo, ha consentito l’attivazione in via sperimentale dei corsi di Istru-zione e di Formazione Professionale rivolti alle ragazze e ai ragazzi che, conclusoil primo ciclo di studi, manifestano la volontà di accedervi preferendoli all’offertadella secondaria di 2° grado. L’Accordo ha stabilito che i percorsi formativi deb-bano avere una durata almeno triennale, anche allo scopo di agevolare i passaggifra sottosistemi, attraverso il riconoscimento di crediti formativi acquisiti non solonegli itinerari appena ricordati, ma anche nell’apprendistato. Ha inoltre deciso diattivare un percorso articolato di partenariato istituzionale a livello nazionale inraccordo con il livello regionale.La cooperazione tra Stato, Regioni e autonomie locali ha permesso di definirenel 2004 gli standard formativi minimi relativi alle competenze di base; i dispositividi certificazione finale e intermedia; e le modalità per riconoscimento dei creditiformativi ai fini dei passaggi tra i sistemi. Nel 2006 sono stati approvati gli standardformativi minimi delle competenze tecnico-professionali relativi a 14 figure inuscita dai percorsi sperimentali.A sua volta, come si è ricordato sopra, con la legge n. 113/08 il Ministro Gel-mini ha riconosciuto definitivamente la possibilità di adempiere il nuovo obbligo diistruzione, già elevato dal ministro Fioroni a 16 anni, nei percorsi triennali speri-mentali di IeFP.Infine, l’Accordo Stato-Regioni del 2010 ha approvato il primo Repertorionazionale che comprende 21 figure professionali come sbocco dei corsi triennali e21 al termine di quattro anni. Esso, inoltre, sancisce la possibilità di ottenere quali-fiche e diplomi professionali utilizzabili a livello nazionale e corrispondenti alterzo e quarto livello europeo.Ma ciò che sembra degno di rilievo è il fatto che – oltre all’evoluzione realiz-zata sul piano ordinamentale – la IeFP sia riuscita anche a predisporre un modelloformativo proprio e avanzato. I capisaldi sono da una parte la definizione di unachiara strategia d’azione focalizzata sulla concezione della “persona competente” edall’altra l’affermazione della centralità dell’“esperienza reale” nei processi diapprendimento. La prima ha permesso di superare ogni forma di giustapposizionetra Istruzione e Formazione Professionale mediante la messa a punto di un’offertaunitaria dal valore pienamente educativo, culturale, sociale e professionale. Laseconda ha consentito di costruire un processo di apprendimento su compiti reali,basati sui principi della personalizzazione, della partecipazione degli allievi, delcompito reale, della comunità di apprendimento, del coinvolgimento della societàcivile.
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Nel complesso si può affermare che l’introduzione dei percorsi sperimentalitriennali e quadriennali ha innovato e migliorato in misura significativa il sottosi-stema dell’IeFP. Essi “sono divenuti, infatti, un efficace strumento di prevenzionedella dispersione scolastica e di acquisizione di una professionalità competente,accogliendo circa 150.000 giovani (Isfol, 2009); hanno un costo inferiore rispettoal parallelo percorso scolastico statale triennale (cfr. Rapporto sul futuro della for-mazione in Italia, 2009); si sono rivelati un efficace strumento di promozione dellaoccupabilità/occupazione dei giovani (cfr. i monitoraggi regionali)” (Tonini - Ma-lizia, 2010, 16). L’offerta, inoltre, dimostra una evidente natura popolare in quantogli iscritti provengono in prevalenza dalle classi sociali meno abbienti, da famiglieimmigrate e da condizioni disagiate. Del resto, essa non si presenta come concor-renziale rispetto alla secondaria di 2° grado, ma piuttosto come complementare: inquanto, in caso di assenza, non verrebbe supplita da alcuna modalità scolastica.C’è purtroppo da dire che i percorsi di IeFP sono attuati a macchia di leo-pardo: non si riscontrano in tutte le Regioni e solo nel Nord vi è una copertura sod-disfacente, mentre la situazione è molto carente nel Centro e nel Sud, tranne chenel Lazio e nella Sicilia. Un discorso simile va ripetuto per le risorse che si sonodimostrate inadeguate rispetto alla domanda dei giovani e che oltretutto sono stateoggetto negli ultimi anni di notevoli tagli.Del tutto diversa da quella sostanzialmente positiva dei percorsi sperimentalidell’IeFP è la valutazione della situazione ad oggi dell’apprendistato per i minoriin vista dell’adempimento del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione (To-nini - Malizia, 2010; D’Agostino, 2010; CNOS-FAP, 2010). Infatti, esso è sempremeno utilizzato dalle imprese ed è in crisi sotto l’aspetto formativo: statistiche difonte regionale parlano di appena 36.905 minori assunti con contratto di apprendi-stato e di un numero intorno ai 6.500 – che è anche in calo nel tempo – di soggettiche nel 2007 hanno frequentato attività di formazione esterna rispetto ai 125.853adolescenti tra i 14 e i 17 anni che sono fuori dei percorsi scolastici e formativi(CNOS-FAP, 2010, 2-4). Peraltro, la stessa normativa sull’apprendistato trova pro-blemi di implementazione anche a causa della mancanza della intesa interistituzio-nale tra Ministeri (Lavoro e Istruzione) e Regioni. Certamente, un rilancio potrebbevenire dall’approvazione del Disegno di Legge 3 marzo 2010, n. 1167b, che con-sente l’assolvimento dell’obbligo d’istruzione anche nei percorsi di apprendistatoper l’espletamento del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione. Tuttavia, anostro parere, tale provvedimento potrà raggiungere risultati positivi solo a condi-zione che sia riorganizzata la dimensione formativa, migliorata la preparazione deiformatori e valorizzato l’apporto della IeFP. I percorsi formativi sperimentali sonoandati a regime e sono divenuti “ordinamento” solo a partire dall’anno 2011-2012ma le caratteristiche di precarietà ed instabilità sono rimaste. Il sistema o (sotto)sistema di IeFP, infatti, è stato avviato con le istituzioni formative accreditate (iCFP) solo dove già operano e, in via sussidiaria (spesso sostitutiva) dagli IstitutiProfessionali di Stato accreditati dalle Regioni.
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3.3. Il cammino della Federazione CNOS-FAPIn questo contesto l’azione della Federazione non poteva limitarsi a sempliciritocchi anche se numerosi, o concentrarsi su determinati ambiti particolarmentecarenti. Al ripensamento dell’architettura del sistema educativo di istruzione e diformazione doveva corrispondere un rinnovamento profondo della FP del CNOS-FAP. È quanto è stato avviato con coraggio e lungimiranza dalla Federazione e chenon è ancora compiuto, anche se sono state poste solide fondamenta. Prima di par-lare delle grandi linee di intervento del disegno complessivo è opportuno ricordarel’impegno del CNOS-FAP per una riforma del sistema educativo di istruzione e diformazione che mettesse al centro gli allievi, soprattutto quelli più marginali.3.3.1. La promozione della Formazione Professionale Iniziale (FPI)2 nella riformaUna delle direttrici dell’azione del CNOS-FAP è stata quella di opporsi allalegge n. 9/99 sull’elevazione dell’obbligo scolastico nelle disposizioni che colloca-vano la FP in una condizione di marginalità e di subalternità rispetto alla scuola.Al contrario la posizione della Federazione era che tale innalzamento doveva es-sere realizzato in strutture distinte, ma formativamente equipollenti e interagenti,quelle cioè della scuola e della FP accreditata. In altre parole bisognava prevedereun sistema di offerte plurime con una collaborazione istituzionalizzata tra il sotto-sistema scolastico e regionale e una mobilità orizzontale garantita tramite creditididattici certificati. L’elevazione andava attuata sulla base dei principi della diver-sificazione delle opzioni, della individualizzazione e della personalizzazione deipercorsi, della flessibilità dei modelli di intervento, della continuità dei livelli delsistema formativo, della integrazione delle offerte. Inoltre, ai giovani che, dopo ilsoddisfacimento dell’obbligo, non intendevano continuare gli studi nella secon-daria superiore, doveva essere garantito il diritto alla formazione fino al diciotte-simo anno di età, prevedendo offerte atte a consentire il conseguimento almenodi una qualifica professionale. E alla fine di una lunga battaglia la Federazione èriuscita ad ottenere l’abrogazione della legge.Una presa di posizione analoga è stata assunta, successivamente, dalla Federa-zione CNOS-FAP nei confronti del Governo Prodi II (2006-08) che aveva, tra isuoi punti programmatici, l’innalzamento dell’obbligo scolastico a 16 anni. Si ri-proponeva, ancora una volta, la tesi che solo la scuola era il luogo idoneo per l’i-struzione obbligatoria: quindi, obbligo da assolvere a scuola fino a 16 anni e solodopo tale data era proposta agli allievi la facoltà di scegliere la Formazione Profes-sionale Iniziale. Le proposte elaborate dalla Federazione CNOS-FAP in sintonia
2 Con l’espressione Formazione Professionale Iniziale (FPI) si indicano, generalmente, quelleattività di formazione che vengono proposte ai giovani in età compresa tra i 14 e i 18 anni. Tra queste,i percorsi formativi triennali e quadriennali di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) sono i piùimportanti. Vanno richiamate, inoltre, quelle attività formative che possono essere realizzate nell’ap-prendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione o in progetti per categoriespecifiche (giovani a rischio, portatori di handicap, ecc.).
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con gli Enti aderenti a CONFAP e a FORMA hanno portato ad una soluzione con-divisa. La sintesi normativa è stata, infatti, l’obbligo di istruzione fino a 16 anni enon l’obbligo scolastico in quanto la “nuova istruzione” poteva essere assoltaanche nei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale (Nicoli, 2006, 47).Intorno agli anni duemila il CNOS-FAP è stato uno degli ispiratori dell’intro-duzione dell’obbligo formativo che ha consentito di estendere il diritto alla forma-zione a complessivi dodici anni per tutti i giovani tra i 6 e i 18 anni. Sull’esempiodi altri paesi dell’UE, questa è la strada da percorrere se si vuole veramente assicu-rare ai giovani quell’ampia formazione di base idonea a promuovere la crescita per-sonale, l’orientamento, la prosecuzione degli studi, l’inserimento nell’attività lavo-rativa e la partecipazione responsabile alla vita democratica. L’introduzione del-l’obbligo formativo può essere considerato il momento del rilancio della FPI intesacome sistema e con finanziamento proprio. Solo dopo questa legge, infatti, è statoavviato in Italia il rilancio della FPI anche dal punto di vista normativo.La Federazione non ha mancato di riconoscere anche gli altri progressi signifi-cativi che si sono fatti con la legge n. 30/00 e con gli altri interventi del governo del-l’Ulivo. In proposito si possono ricordare la Formazione Integrata Superiore (FIS)e il potenziamento dell’apprendistato e dei tirocini. Nonostante ciò, l’azione delgoverno rimaneva lontana dal riconoscimento di una piena parità tra scuola e FP.A ciò si giunge con la riforma Moratti almeno in linea di principio. Infatti,come si è già osservato sopra, questa configura la FP come percorso alternativo allascuola, al pari di questa capace di accompagnare gli allievi verso il conseguimentodi obiettivi educativo-formativi. A partire dai 14 anni i ragazzi possono inserirsi nelsotto-sistema di Istruzione e Formazione Professionale e, dopo tre anni, acquisi-scono una “qualifica professionale”, dopo quattro un “diploma professionale” e at-traverso corsi triennali di formazione superiore, possono ottenere un “diploma pro-fessionale superiore”, in una prospettiva di crescita professionale verso ruoli tecnicidi responsabilità.Dopo un decennio di acceso dibattito e di aspre contrapposizione (Campione -Ferratini - Ribolzi, 2005) riportato anche nei paragrafi precedenti, oggi, la norma-tiva vigente stabilisce che i giovani assolvono il diritto-dovere all’istruzione e allaformazione almeno fino al conseguimento di una qualifica professionale entro il18° anno di età, titolo professionalizzante che si consegue presso strutture forma-tive accreditate dalle Regioni (i CFP), nel rispetto dei livelli essenziali delle presta-zioni definiti dalle norme generali dello Stato (legge n. 53/03; D. Lgs. n. 76/05;D. Lgs. n. 226/05, capo III). Leggi ulteriori hanno precisato il secondo ciclo cheoggi risulta composto dal (sotto)sistema dell’istruzione secondaria superiore, arti-colato in licei, istituti tecnici e istituti professionali e dal (sotto)sistema dell’Istru-zione e Formazione Professionale, di competenza delle Regioni, nel quale i giovanipossono assolvere l’obbligo di istruzione fino al sedicesimo anno di età e il diritto-dovere all’istruzione e alla formazione fino al diciottesimo anno di età (leggen. 296/06, legge n. 40/07, legge n. 133/08).
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Il quadro legislativo, sommariamente richiamato, recepisce molte delle istanzeespresse nei documenti prodotti e socializzati dalla Federazione CNOS-FAP econdivisi anche in quelli di CONFAP e di FORMA. Questo quadro, pur ancora in-completo, presenta, a giudizio della Federazione CNOS-FAP, elementi strutturalipositivi.La Federazione CNOS-FAP ha giudicato positivamente, in primo luogo, lapossibilità offerta ai giovani di scegliere la FPI all’età di 14 anni. Si tratta di unatappa, ormai, profondamente assimilata dai giovani e dalle famiglie come “etàidonea per una prima scelta”; collocare la scelta della FPI accanto a quella scola-stica a questa età appare ragionevole perché permette di prevenire, tra l’altro, laprassi di riservare alla FPI solo i giovani che ripiegano dopo un fallimento scola-stico. La normativa, sotto questo aspetto, ha recepito le istanze degli Enti di FPaderenti a CONFAP e FORMA superando le posizioni di quanti volevano affer-mare il prolungamento dell’istruzione obbligatoria nella sola istituzione scolastica.L’obbligo scolastico, pur storicamente meritevole, oggi appare insufficiente adindicare il conseguimento di un livello di istruzione e di formazione adeguato aibisogni di una persona che vive consapevolmente nella nostra società.La normativa vigente sulla FPI va, in secondo luogo, nella direzione della“diversificazione e dell’ampliamento dell’offerta formativa”, una via sempre sotto-lineata dalla Federazione CNOS-FAP e dagli Enti di Formazione Professionale ade-renti a CONFAP e FORMA, una via peraltro europea, necessaria anche in Italia siaperché la scuola italiana deve affrontare il problema della dispersione scolasticache è collocata in modo particolare nei “bienni” dei percorsi del sistema dell’istru-zione secondaria superiore sia perché, nell’attuale società, la scuola in generale“deve proporre sempre meno modelli omologanti e sempre più rispondere allesfide della differenziazione, dinanzi ad un destinatario sempre più disomogeneo ead una utenza caratterizzata, da qualche anno, dalla crescente presenza di stra-nieri” (Campione - Ferratini - Ribolzi, 2005, 69; Ghergo 2009). Assumere la FPIcome parte dell’intera offerta del secondo ciclo è, senza ombra di dubbio, l’esitopiù complesso ma anche tra i più positivi del cammino percorso in questi decenniper l’affermazione del successo formativo.Il riferimento ai soggetti che erogano la FPI rimanda, in terzo luogo, al nododella “sussidiarietà orizzontale”. L’introduzione del principio di sussidiarietà intutto l’ordinamento politico e amministrativo dell’Italia, soprattutto a livello regio-nale, è una questione importante e, a giudizio di molti, anche decisiva. Se non siriconosce il valore pubblico delle iniziative personali e sociali, infatti, si rischia diindebolire la responsabilità dei cittadini e di rendere sempre più inefficiente il ser-vizio pubblico. È alla luce di questa riflessione che la Federazione CNOS-FAP giu-dica positivo il coinvolgimento degli Enti di FP nello svolgere le attività di FPI afavore dei giovani. Si tratta di una scelta che va nella direzione della valorizzazionedegli organismi della società civile senza replicare a livello regionale nuove formedi centralismo. Questo risultato è il frutto di un cammino piuttosto difficile e lungo.
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Negli anni Ottanta del secolo scorso, infatti, la FPI era stata ricondotta all’internodelle politiche attive del lavoro; era dunque una formazione fuori dal sistema scola-stico ma poteva essere realizzata, oltre che direttamente dalla Regione, anche daEnti che potevano essere emanazione delle organizzazioni democratiche dei lavora-tori o associazioni con finalità formative e sociali (Legge 845/78, art. 5, comma b).Nel decennio successivo si era registrata una proposta dell’on. Mezzapesa che pre-vedeva che anche il sistema di FP potesse contribuire all’assolvimento dell’obbligoscolastico, allora ipotizzato fino a 16 anni. Ma la proposta non fu accolta. Neglianni duemila, il Ministro Berlinguer, dopo un obbligo scolastico innalzato fino a 15anni, introdusse un obbligo formativo extra scolastico fino a 18 anni. La riformacomplessiva, però, fu bloccata; nelle Regioni si avviò, in maniera differenziata,solo l’obbligo formativo, in molti casi svolto da una istituzione scolastica che inte-grava il percorso con moduli di Formazione Professionale (i c.d. percorsi integrati).Nel periodo successivo, il Ministro Moratti, riformulando l’obbligo scolastico el’obbligo formativo nel diritto-dovere, coinvolse anche le istituzioni formative nel-l’assolvimento di tale diritto-dovere. Ma anche questa proposta fu rivista nellalegislatura successiva e le Regioni reagirono in modo molto differenziato, avviandomodelli diversi di percorso formativo. Con il Ministro Fioroni si ripropose il di-lemma tra innalzamento dell’obbligo scolastico e l’allungamento dell’istruzioneobbligatoria. La soluzione fu a favore di quest’ultima, ma inquadrata in una fasetemporanea. Il Ministro Gelmini, intervenendo ancora una volta sulla materia conla Legge 133/2008, stabilisce che l’obbligo di istruzione si assolve anche nei per-corsi di istruzione e formazione professionale, e sino alla completa messa a regimedelle disposizioni contenute nel capo III del D.Lgs. n. 226/05, anche nei percorsisperimentali di istruzione e formazione professionale. Le istituzioni formative,ancora oggi emanazione delle organizzazioni democratiche dei lavoratori o associa-zioni con finalità formative e sociali possono concorrere, con la FPI, all’assolvi-mento del diritto-dovere all’istruzione e formazione fino al diciottesimo anno dietà. Questo punto di arrivo, che la Federazione CNOS-FAP giudica positivamente,è aperto ad una nuova sfida, la riforma federale dello Stato. A giudizio della Fede-razione CNOS-FAP la riforma si giocherà anche su questo aspetto, cioè nel pro-gressivo superamento delle differenze che esistono fra le Regioni in fatto di appli-cazione del principio di sussidiarietà orizzontale al campo della FPI. Solo così siavrà un “pluralismo” anche dal punto di vista istituzionale.Non è esagerato affermare che la Federazione CNOS-FAP ha potuto dare ilproprio apporto originale e qualificato soprattutto nell’organizzazione dell’offertaformativa. Ha dato le “ali” al percorso formativo, qualificandolo sia dal punto divista pedagogico che metodologico e didattico. La Federazione CNOS-FAP, attivaall’interno di FORMA, da subito, ha contribuito ad elaborare un PROGETTOPILOTA, un idealtipo di percorso caratterizzato da specifici obiettivi da raggiun-gere, da un preciso modello formativo, da standard professionali e formativi e dauna peculiare metodologia formativa (FORMA, 2002). La sperimentazione, poi,
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avviata in molte Regioni, è stata segnata da una notevole documentazione cheattesta la vitalità della Federazione CNOS-FAP e degli Enti dove, o come protago-nisti o sotto la regia regionale, hanno partecipato attivamente al monitoraggio e allainnovazione del percorso formativo progettato. Si riportano, per offrire al lettore lavastità e la varietà delle tematiche affrontate, i titoli delle principali pubblicazioniprodotte durante la sperimentazione. Molte di esse sono state realizzate a livellonazionale e offerte alla Federazione come strumento di lavoro o di formazione,altre sono sorte nelle Regioni soprattutto come documentazione del monitoraggioeffettuato.A livello nazionale la Federazione CNOS-FAP, avvalendosi anche di consu-lenti, ha elaborato vari documenti dal carattere fondativo oltre che proseguire, annodopo anno, negli studi e nei monitoraggi attraverso la Rivista Rassegna CNOS.I testi che hanno ispirato e guidato il monitoraggio della sperimentazione nelleRegioni sono, in particolare, NICOLI D., Linee guida per i percorsi di istruzione eformazione professionale, 1° edizione 2004; 2° edizione 2008; CNOS/FAP eCIOFS/FP (Edd.), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati nellecomunità professionali alimentazione, aziendale e amministrativa, commerciale edelle vendite, elettrica ed elettronica, estetica, grafica e multimediale, legno e arre-damento, meccanica, sociale e sanitaria, tessile e moda, turistica e alberghiera;MALIZIA G. - ANTONIETTI D. - TONINI M., Le parole chiave della formazione pro-fessionale, 2° ed. 20073.Studi e forme di ricerca-azione hanno approfondito aspetti del percorso forma-tivo triennale e quadriennale, dell’apprendistato, dei percorsi destrutturati, delleanagrafi formative. Si ricordano, in particolare, NICOLI D. - TACCONI G., Valuta-zione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello stato dell’arte e ri-cerca nelle pratica educativa della Federazione CNOS-FAP, il 1° volume nel 2007e il 2° volume nel 2008; D’AGOSTINO S., Apprendistato nei percorsi di diritto-dovere, 2007; MALIZIA G. - PIERONI V., Percorsi/progetti formativi “destrutturati”.Linee guida per l’inclusione socio-lavorativa di giovani svantaggiati, 2005; AL-FANO A., Un progetto alternativo al carcere. I sussidi utilizzati nel Centro polifun-zionale diurno di Roma, 2006; MALIZIA G., Diritto-dovere all’istruzione e alla for-mazione e anagrafe formativa. Problemi e prospettive, 2007.Sull’identità del formatore e sulla sua formazione sono stati promossi varistudi. Si ricordano, innanzitutto, gli studi coordinati da M. Pellerey: PELLEREY M.Processi formativi e dimensione spirituale e morale della persona. Dare senso eprospettiva al proprio impegno nell’apprendere lungo tutto l’arco della vita, 2007e BAY M. - GRZADZIEL D. - PELLEREY M., Promuovere la crescita nelle competenzestrategiche che hanno le loro radici nelle dimensioni morali e spirituali della per-sona, 2010. Sono da ricordare, inoltre, le pubblicazioni di G. Tacconi e S. Fontana
3 Tutte queste pubblicazioni come le seguenti hanno come casa editrice il CNOS-FAP e luogo dipubblicazione la Tipografia Pio XI, Roma.
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sulla formazione al sistema preventivo di don Bosco: TACCONI G., Insieme per unnuovo progetto di formazione, 2003; FONTANA S. - TACCONI G. - VISENTIN M.,Etica e deontologia dell’operatore della FP, 2003; i volumi di G. Ruta che hannoconcorso a sistematizzare la formazione all’insegnamento della religione nella FP:RUTA G. (Ed.), Etica della persona e del lavoro, 2004; Vivere, Linee guida per iformatori di Cultura etica e religiosa nei percorsi di Istruzione e Formazione Pro-fessionale, 2007.Per sostenere gli operatori della FP nella delicata azione di interazione con lafamiglia e il mondo del lavoro, la Sede Nazionale ha elaborato alcune ricerche-azioni. Si segnalano BECCIU M., COLASANTI A. R., La corresponsabilità CFP – fa-miglia: i genitori nei CFP. Esperienza triennale nel CFP CNOS-FAP (2004-2006),2006; MALIZIA G. - PIERONI V., Accompagnamento al lavoro degli allievi quali-ficati nei percorsi triennali del diritto-dovere. Linee guida e raccolta di buonepratiche per svolgere le attività, 2009; MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINIOA., Individuazione e raccolta di buone prassi mirate all’accoglienza, formazione eintegrazione degli immigrati, 2009; oltre a due guide operative per gli operatoricurate da GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo. Una pro-posta di percorsi per la creazione d’impresa, 2° ed. 2007 e da MARSILII E., Dallaricerca al rapporto di lavoro. Opportunità, regole e strategie, 2007.Aspetti di carattere di filiera e di carattere europeo messi a disposizione deglioperatori per la loro formazione sono stati dati attraverso la pubblicazione deivolumi: PELLEREY M. (a cura di), Studio sull’intera filiera formativa professionaliz-zante alla luce delle strategie di Lisbona a partire dalla formazione superiore nonaccademica, Roma 2008; COLASANTO M. (a cura di), Il punto sulla formazione pro-fessionale in Italia in rapporto agli obiettivi di Lisbona, 2008; MALIZIA G., Poli-tiche educative di istruzione e formazione. La dimensione internazionale, 2008; NI-COLI D., I sistemi di Istruzione e Formazione professionale (VET) in Europa, 2009.Non potevano mancare studi sugli aspetti pedagogici ed educativi degli allieviche frequentavano i percorsi formativi triennali. Ricerche e monitoraggi sono statidocumentati in vari volumi. Si ricordano, tra gli altri, MALIZIA G. - BECCIU M. -COLASANTI A. R. - MION R. - PIERONI V., Stili di vita degli allievi/e dei percorsi for-mativi del diritto-dovere, 2007; MALIZIA G. - PIERONI V., Follow-up della transi-zione al lavoro degli allievi/e dei percorsi triennali sperimentali di IeFP, 2008.Avvalendosi della consulenza del CENSIS la Federazione CNOS-FAP ha in-dagato con studi e ricerche mirate su specifiche questioni: la scelta dei giovani, lacarenza di proposte di formazione nelle Regioni del Sud e il rapporto tra Enti di FPe imprese. I risultati sono riportati nei volumi: DONATI C. - BELLESI L., Giovani epercorsi professionalizzanti: un gap da colmare?, 2007; BELLESI L. - DONATI C.,Ma davvero la formazione professionale non serve? Indagine conoscitiva sulmondo imprenditoriale, 2008; DONATI C. - BELLESI C., Verso una prospettivadi lungo periodo per il sistema della formazione professionale. Il ruolo della reteformativa, 2009.
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Il monitoraggio delle sperimentazioni ha permesso alla Federazione e agli Entidi FP aderenti a CONFAP e a FORMA di essere protagonisti della sperimentazionee di documentarne gli esiti. Si riportano, per evidenziarne la quantità e la vastità, iprincipali testi:Emilia Romagna: LODINI E. - VANNINI I., Istruzione e formazione: il monito-raggio dell’integrazione, 2006; SACCHI G., Istruzione e formazione: l’integrazionepossibile, 2006.Lazio: MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CPFdel CNOS-FAP e del CIOFS/FP del Lazio, 2007.Liguria: FRANCHINI R. - CERRI R. (a cura di), Per una istruzione e formazioneprofessionale di eccellenza. Un laboratorio per la riforma del sistema educativo,2005; NICOLI D. - PALUMBO M. - MALIZIA G. (a cura di), Per una istruzione e for-mazione professionale di eccellenza. Nuovi percorsi formativi per la riforma del si-stema educativo, 2005.Lombardia: Regione Lombardia. Istruzione e formazione professionale. Pro-getto sperimentale triennale: linee guida dell’area professionale alimentare, com-mercio e vendite, edile e del territorio, elettrica, estetica, grafica e multimediale,meccanica, servizi impresa, 2003.Piemonte: MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V. (a cura di), Una formazione disuccesso. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali di istruzione e forma-zione professionale in Piemonte 2002 – 2006, 2006; NICOLI D. - COMOGLIO M. (acura di), Una formazione efficace. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentalidi istruzione e formazione professionale in Piemonte 2002-2006, 2008.Puglia: BALDI C. - LO CAPUTO M., L’esperienza di formazione formatori nelprogetto 2003. La riflessività dell’operatore come via per la prevenzione e la curaeducativa degli allievi della formazione professionale iniziale, 2008; LANESE C., Cisono dei posti vuoti in classe. Analisi della dispersione scolastica e linee di inter-vento, 2009.Sardegna: CNOS/FAP Sardegna (a cura di), Repertorio dei profili professio-nali e dei corrispondenti percorsi formativi in Sardegna, 2003; CNOS/FAP (a curadi), Guide metodologiche per l’elaborazione di piani e di percorsi formativi, 2003;CNOS/FAP (a cura di), Il portfolio delle competenze individuali, 2003; CNOS/FAP(a cura di), L’orientamento in Sardegna. Un modello operativo di intervento, 2003.Sicilia: MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFPdel CNOS-FAP e del CIOFS/FP della Sicilia, 2007.Veneto: NICOLI D. - LOZZI M. - CATANIA C. - MALIZIA G., Studio, ricerca, valu-tazione, monitoraggio delle politiche di formazione e istruzione, 2004; FORMAVENETO, Metodologie e strumenti per un nuovo modello regionale di riconosci-mento delle qualifiche nel secondario e per un coerente processo di adeguamentodelle competenze degli operatori della formazione professionale, 2004; CNOS/FAP(a cura di), Rapporto dell’esperienza sull’apprendimento per competenze in 22CFP degli Enti aderenti a Forma della Regione Veneto, 2006 (paper).
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Lo studio più compiuto ed organico è stato certamente quello sulle LineeGuida per i percorsi di Istruzione e Formazione Professionale. Il testo, facendoriferimento anche ad avanzate esperienze europee, quella francese in particolare,contiene un preciso modello di competenza e di cultura del lavoro, suggerisce per-corsi scanditi da “situazioni di apprendimento”, consegna al formatore una defini-zione rigorosa di traguardi formativi, elabora un preciso iter valutativo del per-corso e dell’offerta, suggerisce una modalità di formazione dei formatori. Rappre-senta il riferimento culturale, metodologico e procedurale per la progettazione e lagestione dei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale in diritto-dovere,dai 14 fino ai 18 anni, come pure dei progetti integrati nelle iniziative del secondociclo degli studi, secondo un approccio rigoroso, coerente con le normative ita-liane e le disposizioni europee, così da delineare una IeFP di qualità. La proposta èelaborata in modo da consentire una sua gestione aperta e flessibile, compresol’apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere come pure forme di alter-nanza più impegnative rispetto ai soli stage. Essa è basata sul concetto di “forma-zione efficace” ed è centrata sui principi del coinvolgimento degli allievi, dellapersonalizzazione, del compito reale, della comunità di apprendimento, del coin-volgimento della società civile. Si tratta di una metodologia che è in grado di met-tere a frutto le “risorse vitali dell’educazione”. La prima è costituita dai giovanidestinatari, che presentano spesso una motivazione legata alla figura professionalescelta, alla possibilità di “imparare facendo”, ma anche al riscatto di una espe-rienza scolastica non raramente problematica; subito connessa a questa vi è il for-matore, una figura decisiva per il successo delle attività di IeFP, con caratteristicheumane, deontologiche, metodologiche e tecniche che lo rendono un modello diriferimento per l’intero sistema educativo; infine, è risorsa decisiva per il successodelle attività formative la presenza di organismi formativi dotati di una propriavocazione e missione educativa e sociale, riferita proprio ad adolescenti e giovaniche si iscrivono alle azioni formative della IeFP al fine di accrescere la propriacultura, apprendere un lavoro, diventare cittadini della società della conoscenza.La missione dell’IeFP consiste nell’offerta di percorsi formativi a carattere profes-sionalizzante, tendenzialmente polivalenti, coerenti con i riferimenti europei (EQFe ECVET), con una tappa triennale ed una quadriennale, riferiti alle necessità delcontesto economico locale, nell’ambito delle prerogative che la Costituzione attri-buisce alle Regioni ed alle Province autonome. I percorsi di IeFP si distinguonoper quattro caratteristiche peculiari: il riferimento ad opere espresse dalla realtàsociale, dotate di una tradizione tale da collocarle in modo stabile nel contesto lo-cale oltre che nazionale; la presenza di un’ispirazione educativa che ne connotal’azione attraverso lo stile della comunità educante, della valorizzazione dei talentie potenzialità dei destinatari e del coinvolgimento dei soggetti del territorio; lavalorizzazione della cultura del lavoro “vitale”, presente nel contesto come situa-zione di apprendimento entro cui svolgere percorsi di valore educativo, culturale eprofessionale; la metodologia attiva tesa a sollecitare il coinvolgimento dei desti-
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natari attraverso compiti reali così da sollecitare l’apprendimento per soluzionedei problemi e per scoperta.Il quadro delineato, tuttavia, positivo in vari aspetti, è ancora da completare. IlCNOS-FAP si augura che l’impianto normativo della FPI sia portato a termine peril successo formativo dei giovani. Mentre è operativo il primo Repertorio nazionaledelle figure professionali riferito ai principali processi produttivi resta da comple-tare la filiera professionalizzante in modo che si possano creare le condizioniperché i giovani beneficino di una opportunità formativa organica e verticalmentepercorribile, di pari dignità di quella dell’istruzione. Occorre superare, in secondoluogo, la precarietà finanziaria. Oggi i percorsi di IeFP sono sostenuti da finanzia-menti statali, regionali e comunitari ma non sono né stabilizzati né raccordati alladomanda dei giovani e delle famiglie. Solo un finanziamento stabile è rispettosodella domanda di formazione dei giovani. Un’altra lacuna da colmare riguarda ladiffusione geografica di questa offerta formativa. Nelle Regioni del Nord (TrentinoAlto Adige, Veneto, Lombardia, Piemonte) i giovani che, dopo la scuola media,scelgono un percorso di IeFP sono intorno al 10% contro la media nazionale che siattesta intorno al 5% (in Trentino Alto Adige arrivano al 19.1%). Il successo diquesta offerta va attribuito al ruolo sicuramente fondamentale delle relazioni tra si-stema formativo e mondo dell’impresa che ha consentito di poter effettuare pro-poste formative qualificate in termini di competenze tecnico professionali e rispon-denti ai fabbisogni del mondo del lavoro. Questa situazione non trova riscontronelle Regioni del Centro e del Sud, dove la percentuale dei licenziati iscritti ai per-corsi di IeFP è notevolmente inferiore al valore percentuale nazionale con un 3,1%per le Regioni del Centro, un 2,2% per le Regioni del Sud, una percentuale uguale azero in alcune Regioni. Un’ultima criticità è legata al personale impegnato. Accredi-tamento dei CFP e accreditamento dei formatori sono l’ultimo tassello che resta an-cora da definire in modo organico, per far sì che anche la FPI abbia un organico de-finito e specifico per questa particolare offerta. Questi sono gli aspetti, insieme allariforma federale, che la Federazione CNOS-FAP sta monitorando per una soluzionepositiva.3.3.2. L’aggiornamento del CFP polifunzionaleAll’inizio del 1999, la Sede Nazionale CNOS-FAP ha affidato all’Istituto diSociologia FSE-UPS la realizzazione di un’indagine mirata alla rilevazione dielementi della situazione dei Centri della Federazione in riferimento ai requisitirichiesti dal regolamento attuativo della legge 196/97, art. 17, e in vista dellaindividuazione di indicatori di qualità per un CFP polifunzionale (Malizia - Pie-roni, 1999). La Federazione avverte infatti l’esigenza di individuare nuove formedi aiuto e di supporto soprattutto al direttore e alle figure di staff presenti nei CFPo nella Sede Regionale (impegnate in attività di orientamento, coordinamento,analisi, progettazione e valutazione dei fabbisogni), essendo questi i ruoli più co-involti nel processo di cambiamento/rinnovamento. Più in particolare, avendo pre-
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sente un modello organizzativo di CFP dinamico, orientato al sistema qualità erispondente alla logica dell’accreditamento, si intende elaborare, con la collabora-zione di un gruppo di esperti, un progetto di fattibilità inteso a predisporre un pro-cesso permanente di monitoraggio e valutazione delle attività della FP CNOS-FAP.Dall’indagine emerge che se molto è stato attuato in questi ultimi anni e l’o-biettivo della polifunzionalità si è rivelato una realtà per molti Centri, la fase dicompletamento di certi obiettivi richiede ancora ulteriori sforzi e nuove strategied’intervento. Pertanto, stando ai risultati ottenuti attraverso il rilevamento, si sug-geriscono i seguenti passi da intraprendere, ai fini di una più completa realizza-zione del modello CNOS-FAP di CFP polifunzionale.1) Una prima proposta riguarda il conseguimento della “certificazione” del “si-stema qualità”, con tutti requisiti che tale obiettivo comporta.2) Tra essi va indubbiamente annoverata la introduzione di nuove figure: oltre aquelle che già esistono nella più parte dei Centri vanno previsti (meglio an-cora se come figure di sistema nello staff) il responsabile dei servizi di sicu-rezza ed il responsabile della qualità; non ci si nasconde però che sarannosempre più richieste in un immediato futuro anche quella del responsabiledelle reti informatiche e del coordinatore delle attività di integrazione (invista di una FP indirizzata a vantaggio delle fasce deboli, sempre più ampieed attuali in una società in rapida trasformazione tecnologica), coerentementeanche all’esigenza (avvertita in oltre la metà dei Centri e sperimentata in unaparte degli stessi) di potenziare l’orientamento e le azioni formative a favoredi questi soggetti.3) Un altro passo da compiere in tempi brevi è quello di una sempre più decisaapertura del CFP al territorio così da assumere una piena posizione di colla-borazione, concertazione, integrazione con le varie realtà di riferimento.4) Continuare, come era stato fatto egregiamente fino a quel momento, nell’orga-nizzazione di corsi di formazione per i formatori nelle due principali direttrici:a. corsi per tutti, mirati cioè al costante aggiornamento della formazione dellevarie figure di formatori;b. corsi “ad hoc” per la preparazione di figure specialistiche, con particolareriferimento a quelle da introdurre ex-novo.5) Effettuare un costante monitoraggio sulla “qualità” della formazione erogatanei CFP della Federazione, sulla base di un modello aggiornato di CFP poli-funzionale e di standard minimi di qualità e nel rispetto della giusta autonomiadi ogni Centro.6) Creare una rete informatizzata, in grado di collegare tutti i Centri, così darealizzare una informazione in tempo reale su problematiche emergenti e dasocializzare innovazioni e sperimentazioni in atto.7) Ampliare e/o rendere accessibile a un maggior numero possibile di Centri lapartecipazione a progetti/programmi multiregionali e transnazionali.
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Sulla base dei risultati di questa ricerca la Federazione ha ritenuto opportunoorientare lo sforzo di rinnovamento soprattutto in tre direzioni: il potenziamento dellaformazione dei formatori, l’attuazione dell’obbligo formativo e del diritto-dovereall’istruzione e formazione e la realizzazione di un modello organizzativo di qualità.3.3.3. Il potenziamento della formazione dei formatoriAnche in questo caso si è partiti con una ricerca che è stata realizzata dalla SedeNazionale del CNOS-FAP nel gennaio-giugno 2000 con lo scopo sia di approfondirela conoscenza della situazione della formazione del personale del CNOS-FAP, sia dielaborare la proposta di un sistema di qualità per una preparazione più adeguatadegli operatori, sia di predisporre un’ipotesi di standard formatori (Malizia - Pieroni- Salatin, 2001). L’indagine evidenzia un posizionamento professionale medio at-tuale più che buono degli operatori CNOS-FAP (in rapporto ad altri enti italiani), masegnala più o meno indirettamente alcune criticità del sistema organizzativo:– una situazione con significative eterogeneità tra gli operatori, sia a livello dipercezione che di situazioni professionale (es. tra Nord e Sud, tra generazioni etra salesiani e non salesiani);– un sistema ancora non adeguatamente orientato all’utenza e al territorio:abituato ad aspettare gli utenti più che ad andare verso di loro (forse perchénon ha mai avuto gravi problemi di domanda e di risorse), non particolarmentepreoccupato di ascoltare (non a caso risultano sottodimensionate le compe-tenze marketing e valutazione);– un sistema non molto aperto e tendenzialmente autoreferenziale, che collaboraancora poco con altri soggetti nel territorio; ciò può essere un limite nella pro-spettiva del “fare rete”;– un sistema non adeguatamente differenziato nei suoi servizi e funzioni: moltofocalizzato sulla erogazione formativa tradizionale con ancora debole presenzadi altri servizi (orientamento, accompagnamento, counselling, ...) e un po’ in-dietro sulle nuove tecnologie didattiche e sulla FAD.Circa il dispositivo formativo proposto, sono condivisibili le indicazioni dellaricerca con un impianto flessibile basato su:– formazione d’ingresso: corso formatori (master di primo ciclo o di secondociclo per i livelli più alti);– formazione in servizio: interventi ricorrenti con attenzione all’identità del-l’Ente e alla formazione comportamentale (in presenza); sviluppo delle for-mule a distanza (moduli FAD) e degli stage all’estero.I dati della ricerca non vanno letti solo in sé, ma anche in rapporto ai trend os-servabili a livello nazionale. A questo livello e in particolare in rapporto allo sce-nario dell’accreditamento degli operatori:– il livello generale degli operatori appare in grado di reggere la copertura dellefunzioni previste e dei relativi standard (c’è anche di più rispetto agli standardminimi);
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– ci sono segnali incoraggianti di apertura all’innovazione, visto il rilievo datoall’analisi della nuova domanda di formazione implicito nelle risposte relativealla figura del direttore della ricerca;– il modello organizzativo può reggere un orientamento alla qualità senza enormirivoluzioni;– è possibile rilevare inoltre una complementarità tra il rilievo delle competenze“salesiane” (sistema preventivo, carisma pedagogico...) collegate alla “mis-sion” e le competenze professionali richieste.Sulla base di questi dati è stato elaborato un piano con una prospettiva polien-nale. Esso s’inserisce nella missione di servizio della Federazione CNOS-FAP Na-zionale alle sedi locali e dovrebbe integrarsi agli eventuali piani formativi di CFP,ai piani formativi regionali e ai piani formativi individuali, anche in funzione dellaimplementazione delle nuove normative in materia di formazione continua e dellosviluppo della contrattazione collettiva di comparto.Dal punto di vista degli obiettivi, il piano ha carattere strategico e si propone disistematizzare un dispositivo di formazione iniziale degli operatori, in grado diequilibrare le componenti valoriali e professionali, di fornire le linee guida per ilconsolidamento di un dispositivo di formazione permanente in servizio, compati-bile e coerente con i processi d’accreditamento interno ed esterno in atto, e forniredelle proposte di percorsi per l’acquisizione e/o lo sviluppo delle competenze indi-viduate più necessarie dalla ricerca e/o segnalate dai responsabili dell’Ente.Il piano assume come criteri di base metodologici la distinzione tra la forma-zione di ingresso e quella in servizio, di base e specialistica, il principio di intera-zione tra formazione e attività professionale e la pluralità dei modi di formazione(presenziali e non presenziali). Esso muove inoltre dalla consapevolezza della tri-plice articolazione degli interventi a livello nazionale, regionale e locale, pur svi-luppando solo le proposte relative al livello nazionale.Per facilitare la traduzione operativa del piano, si è ritenuto opportuno predi-sporre un catalogo che contenga una offerta formativa permanente e sistematicaper gli operatori, basata sulle buone prassi in atto presso le singole sedi. Più speci-ficamente esso è finalizzato ai seguenti obiettivi:– “sistematizzare la formazione iniziale degli operatori, in modo da equilibrarele componenti valoriali e professionali, soprattutto attraverso la proposta dimoduli ‘comportamentali’;– fornire le linee guida per il consolidamento della formazione permanente inservizio, compatibile e coerente con i processi di accreditamento interno edesterno in atto;– fornire delle proposte di percorsi per l’acquisizione e/o lo sviluppo dellecompetenze più necessarie individuate dalla ricerca e/o segnalate dai responsabilidell’Ente;– mettere a sistema la formazione in atto e quella in fase di progettazione e faci-litare l’accesso alle informazioni disponibili per quanto riguarda le opportunitàdi crescita professionale” (CNOS-FAP - CePOF, 2003, 8).
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Oggi la formazione dei formatori ha raggiunto una metodologia ed una struttu-razione sufficientemente stabile. Vengono proposte attività corsuali residenziali na-zionali legate soprattutto alla crescita dei settori professionali, attività residenzialilocali connesse in particolare ai bisogni delle varie Delegazioni regionali, attività diformazione per il personale direttivo, attività di formazione a distanza per tutti glioperatori. Il catalogo, nella sua globalità, copre tutti i settori, dall’area pedagogico-salesiana, a quella della dottrina sociale della Chiesa, a quella metodologico-didat-tica, a quella tecnologica.3.3.4. La sperimentazione dell’obbligo formativo e del diritto-dovereSi è trattato di una ricerca-azione che intendeva contribuire allo sviluppo dellaFP contestualmente e in sinergia con la riforma in corso del sistema educativo diistruzione e di formazione (Malizia - Nicoli - Pieroni, 2002). Più specificamente,l’innovazione, a cui l’indagine si è collegata dal momento del suo avvio nel 2000, ècostituita dall’introduzione dell’obbligo formativo fino a 18 anni di età, che ha ri-conosciuto la possibilità (attraverso la Legge 144/99, art. 68) di assolvere tale ob-bligo in percorsi anche integrati di istruzione e formazione:1) nel sistema di istruzione scolastica;2) nel sistema di Formazione Professionale di competenza regionale;3) nell’esercizio dell’apprendistato.Sulla base delle indicazioni legislative, il CNOS-FAP e il CIOFS/FP hannodato vita ad un progetto sperimentale a carattere nazionale che ha occupato 2 anni,il 2000-01 e il 2001-02. Di seguito, alcune delle dimensioni più significative.Anzitutto, l’impostazione seguita integra le esigenze professionali con le cultu-rali e con le educative. In secondo luogo, va sottolineata l’articolazione del modelloformativo in saperi (insieme di nozioni strutturate in una materia/disciplina o areaculturale), competenze (un saper agire o reagire riconosciuto) e capacità personali(il complesso delle caratteristiche, quali tratti, disposizioni, vocazione e attitudini,che il soggetto mette in atto in diverse situazioni e che ne connotano la personalità)(Nicoli, 2000). Questa impostazione tiene conto degli aspetti più validi dei modellidell’IFSOL e della Tecnostruttura delle Regioni e al tempo stesso li supera perchéconsidera i saperi di base, trasforma correttamente le competenze trasversali in ca-pacità personali, arricchisce il gruppo delle competenze professionali e distingue alsuo interno un ambito specifico e uno trasversale. In terzo luogo, viene riconosciutauna rilevanza centrale alle istanze della personalizzazione attraverso i moduli del-l’orientamento, dell’accoglienza e dell’ac-compagnamento.I Centri dell’inizio della sperimentazione sono 73 in tutto e si distribuisconoquasi alla pari tra CNOS-FAP e CIOFS/FP, 41.1% l’uno e 38.4% l’altro, mentre iCentri di Formazione Professionale degli altri Enti costituiscono un quinto del to-tale (20.5%).Tra il 2000-01 e il 2001-02, gli iscritti al 1° anno della sperimentazione sonocresciuti di 234, pari all’8%, passando da 2.915 a 3.149: il dato attesta del successo
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dell’iniziativa. Nel 2001-02 vanno aggiunti gli allievi del secondo anno, 1.918, percui a regime si raggiunge la cifra di 5.067.Sia nel 2000-01 che nel 2001-02, la grande maggioranza degli iscritti al 1°anno della sperimentazione (70.1% e 68.1%) si trova in una situazione di difficoltàdal punto di vista scolastico in quanto semplicemente “prosciolti dall’obbligo”: nonhanno cioè conseguito la promozione al secondo anno della scuola secondaria su-periore e si sono potuti iscrivere alla FP Iniziale perché al compimento del quindi-cesimo anno di età hanno dimostrato di aver osservato per almeno 9 anni le normesull’obbligo scolastico. Il dato evidenzia ancora una volta i gravi limiti della leggen. 9/99 sull’elevazione dell’obbligo scolastico, in quanto i ragazzi che volevanoiscriversi alla FP erano costretti a un anno di parcheggio nella scuola secondaria su-periore, senza conseguire nessun risultato utile per il loro percorso formativo nep-pure quello del passaggio al secondo anno della secondaria.Passando ad esaminare i flussi degli allievi, si nota che il vero abbandono è in-feriore al 10% dei casi, nel 1° anno, e al 5%, nel 2° anno. Le cifre non sono dram-matiche, ma rimangono significative e devono spingere a trovare le strategie perrendere solo fisiologiche le uscite prima della conclusione. In ogni caso, l’anda-mento complessivo dei flussi, in particolare per quanto riguarda il rapporto allieviritirati/aggiunti, permette di attribuire alla sperimentazione un indubitabile suc-cesso in quanto le perdite, a lungo andare, si sono ridotte già a partire dal 2° anno.Nel 2001-02, i formatori coinvolti nella FPI sperimentale sono 553 e si ripar-tono tra 398 del CNOS-FAP (72%) e 155 del CIOFS/FP (28%).Il gradimento degli allievi relativamente al sperimentazione dell’obbligo for-mativo si situa globalmente sull’“abbastanza” e, in un certo numero di casi, è an-dato pure oltre (anche se non si arriva al “molto”, ci si avvicina ad esso in modo so-stanziale).A sua volta, la soddisfazione dei formatori, si colloca complessivamentesull’“abbastanza” e, in un certo numero di casi, si è spinta oltre.In generale, appare una buona predisposizione degli organismi formativi versouna prospettiva pedagogica orientata alla personalizzazione dei percorsi formativi,con un approccio che privilegia la valorizzazione delle modalità attive quali il labo-ratorio, i compiti reali e non raramente le simulazioni ed i casi di studio. Soprat-tutto l’analisi delle prassi pedagogiche e didattiche rivela una ricchezza di intentied una concentrazione di risorse in direzione di una metodologia completa, orga-nica, ancorata ad un’impostazione educativa, culturale e professionale esplicita.Questo significa che gli organismi indagati – appartenenti alla tradizione “educa-tivo-professionale” – si sono trovati molto a loro agio nel cogliere l’opportunitàdell’obbligo formativo al fine di rilanciare la loro proposta formativa.Emerge anche un notevole investimento degli Enti e dei Centri in tema di meto-dologie didattiche (dopo anni di scarsa applicazione in tale ambito), segno di unatendenza profonda che può portare a frutti importanti per l’intero settore. Nasce intal senso l’esigenza di delineare una modalità di valorizzazione stabile di tale produ-
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zione, sotto forma di un “Centro risorse educative per l’apprendimento” (CREA),ovvero una struttura di supporto alla didattica (d’aula, alternativa all’aula, mista),che può essere presente in ogni CFP, e nel contempo inserita in una rete nazionale,nella quale concentrare le risorse che consentono di dare vita a processi di forma-zione basati su una strategia attiva. In proposito la Federazione ha avviato subito unapposito progetto a livello nazionale.Gli esiti della rilevazione consentono di evidenziare alcuni punti chiave del-l’impegno dei Centri indagati:a) l’esigenza del rispetto dell’età evolutiva degli alunni nella fase dell’obbligoformativo;b) l’attenzione alla continuità tra i cicli, che favorisca il superamento della dis-persione, e la necessità di una corretta impostazione dell’orientamento;c) l’esigenza di predisporre le condizioni per un’effettiva scelta, da parte deglialunni, dei percorsi di scuola o di FP, che abbiano pari dignità culturale, edu-cativa e professionale, a partire dal termine della scuola secondaria di I grado,con inizio dal 14° anno di età, analogamente a quanto avviene in quasi tutti ipaesi europei.In conclusione, la ricerca ribadisce l’importanza della FP come percorso alter-nativo alla scuola, al pari di questa capace di accompagnare gli allievi verso ilconseguimento di obiettivi educativo-formativi e, quindi, all’acquisizione di una“Qualifica professionale” e di un “Diploma professionale” e, attraverso corsi trien-nali di formazione tecnica superiore, un “Diploma professionale superiore”. La ri-forma Moratti accoglie questa istanza. Dopo la sperimentazione dell’obbligo for-mativo la Federazione CNOS-FAP si è impegnata nel monitoraggio della sperimen-tazione dei percorsi triennali e quadriennali di qualifica e di diploma professionale icui esiti sono documentati nel paragrafo precedente, il 3.3.1.3.3.5. Il modello organizzativo: l’accreditamento interno e la certificazioneAnzitutto, è bene iniziare con una chiarificazione delle parole del titolo dellasezione che, però, non è solo terminologica. L’accreditamento costituisce una atte-stazione di “parte seconda”, in particolare dell’Ente pubblico che il CFP adempie aun complesso di requisiti riguardanti la struttura organizzativa e gestionale, i pro-dotti e i servizi (Nicoli, 2000). In proposito, è anche opportuno distinguere tra: l’ac-creditamento interno o associativo che mira a verificare la conformità delle moda-lità di funzionamento e degli esiti della singola agenzia formativa rispetto ad unmodello di riferimento autodefinito, dato ad esempio dall’associazione a cui si ade-risce; e l’accreditamento esterno, che intende valutare il rispetto di alcuni standardminimi normativamente definiti – sul piano delle strutture, del funzionamento e/odegli esiti – come condizione per l’accesso a finanziamenti e/o alla distribuzione dirisorse; il modello di qualità assunto a riferimento, infatti, viene definito da unafonte normativa a livello locale o nazionale (ad esempio MPI o Regioni) (Maliziaet al., 2001). A sua volta, la certificazione esterna che è un atto di “parte terza”,
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cioè di un organismo indipendente rispetto al committente delle azioni formative eal cliente, mira a verificare la conformità delle modalità di funzionamento e degliesiti della singola agenzia formativa rispetto ad un modello di riferimento definitoda una fonte normativa esterna (vedi, ad esempio, le norme internazionali ISO).L’accreditamento interno si giustifica alla luce di una precisa volontà, tesa adattivare entro un’organizzazione a rete (associazione, federazione...) un processo diadeguamento delle parti, che la costituiscono, a requisiti organizzativi e/o gestio-nali e/o qualitativi (Nicoli, 2000; Malizia et al., 2001). Esso si configura perciòcome uno strumento per governare cambiamenti finalizzati a omogeneizzare orga-nizzazioni a rete e a potenziarne l’efficacia specialmente quando i cambiamentiriguardano aspetti fondamentali dell’organizzazione. Il tutto in vista di tramandaree sviluppare la “mission”, il carisma e la qualità dei servizi erogati dall’ente; inoltreha il vantaggio di poter essere delineato come patto tra soggetti che sostiene la for-mazione di ispirazione cristiana.A fronte dei criteri esposti, vanno richiamate le condizioni essenziali che de-vono sussistere per l’efficacia del processo: in primo luogo dovrà essere presente all’interno dell’Associazione la consape-volezza della necessità di un cambiamento rispetto alla situazione organizza-tiva e gestionale attuale; essa costituisce una condizione indispensabile per av-viare e sostenere il processo; in secondo luogo è strettamente necessaria una forte motivazione a livello lo-cale, da parte del direttore e dei responsabili di funzioni degli organismi for-mativi, tesa ad avviare il percorso di accreditamento associativo. Questa rap-presenta infatti una garanzia insostituibile per la sostenibilità e l’efficacia delprocesso di accreditamento associativo che si intende realizzare; in terzo luogo è molto importante “ancorare” il processo di accreditamento adun progetto specifico predisposto per risolvere un problema impellente (adesempio la realizzazione della riforma Moratti). Questa condizione consentedi focalizzare l’attenzione di tutto il personale coinvolto che, lavorando su unproprio problema, avrà sempre presente il senso e l’utilità del processo di accre-ditamento.Gli obiettivi del processo possono essere identificati nei seguenti:a. guidare e accompagnare il processo di cambiamento indispensabile per affron-tare la nuova impostazione del centro e dei suoi processi/prodotti più impor-tanti e strategici;b. sviluppare negli organismi formativi associati un modello efficace e condivisodi gestione della qualità della formazione;c. anticipare l’accreditamento esterno e preparare le condizioni in modo da po-terli conseguire con il minimo sforzo;d. attivare tra gli organismi associati il processo di costruzione di una rete basatasull’obiettivo comune di realizzare prodotti formativi di qualità per soddisfaresia il committente che gli utenti;
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e. mettere a disposizione dei Centri gli orientamenti comuni per realizzare unpercorso di certificazione conforme alle linee guida della politica della qualitàdella Federazione.In concreto riguardo a quest’ultimo punto, come modello concettuale di riferi-mento è stata adottata l’impostazione E.F.Q.M., proposta dalla “European Founda-tion for Quality Management”. Tale scelta si giustifica per diverse ragioni. Anzitutto,si tratta di un modello conosciuto e diffuso, basato sui risultati positivi di molte espe-rienze e soprattutto sul principio della qualità totale e della centralità della personaall’interno dell’organizzazione; inoltre, esso facilita l’apprendimento del linguaggiodella qualità e l’avvio di un processo continuo e graduale di miglioramento.Ancora più importante è richiamare il quadro dei criteri ispiratori della politicadella qualità della Federazione che si può ritrovare nella Carta dei valori salesianinella formazione professionale, un documento già quasi del tutto definitivo chedovrà sostituire la Proposta Formativa dell’Ente. In questo testo si afferma che“L’educazione salesiana ha come fondamento il ‘Sistema Preventivo’ di don Bosco,basato sulla religione, la ragione e l’amorevolezza. Da questo ‘sistema’ scaturisceuna forza morale che lega educatore e educando, coinvolge la famiglia del giovanee fa vivere tutti in un clima fortemente umano e cristiano. In questo clima, l’educa-tore ha sul giovane un’autorità morale, e la sua azione è indirizzata unicamente adaiutare il giovane. [...]La Formazione Professionale salesiana non ha come traguardo ultimo il buonfunzionamento della società (‘collocare la persona giusta al posto giusto’). Il gio-vane infatti non è una formica nel formicaio né un mattone nell’edificio di unacasa. È una persona libera, che tende alla sua realizzazione ed alla felicità. La so-cietà, infatti, sarà una buona società solo se formata da uomini liberi, responsabili eprofessionalmente validi. Non è quindi una formazione ‘collettiva’, ma fortemente‘personalizzata’, in cui ciascuno ha spazio per pensare liberamente e prepararsi arealizzare la propria vita.[...]I Salesiani sono convinti che i valori debbono essere testimoniati ‘insieme’, inun clima di famiglia. È questo ambiente, infatti, che prepara al ‘lavorare insieme’,che è la principale caratteristica della nuova organizzazione del lavoro, orientataalla piena valorizzazione delle risorse umane. [...]Una buona Formazione Professionale esige un sistematico servizio di orienta-mento, che favorisce nel giovane la capacità di scegliere il suo avvenire professio-nale. Il servizio lo aiuta a conoscere innanzitutto se stesso, le proprie attitudini einclinazioni, il mondo del lavoro e delle professioni, permettendogli di scegliere ilprogetto per il proprio futuro e, insieme agli educatori, il modo migliore per realiz-zarlo. [...]Un orientamento così inteso non si limita ad intervenire nei momenti delledecisioni, ma si concretizza in un ‘cammino educativo’ che accompagna il giovanenel suo sviluppo, tenendo costantemente presente la sua crescita personale ed il suoinoltrarsi attraverso momenti delicati della sua vita e del suo lavoro. [...]
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Per offrire al giovane il miglior servizio possibile, la strategia del Centro puntaai seguenti obiettivi:– il giovane e la sua famiglia sono coinvolti nello svolgimento del progetto e neesprimono il livello di soddisfazione;– gli operatori garantiscono la propria qualificazione e la condivisione del pro-getto formativo; la loro presenza e la loro competenza previene le difficoltà,risolve i problemi che si presentano, migliora il livello del lavoro e della vitadei giovani;– le strutture, la tecnologia, gli strumenti del Centro di Formazione Professionalesono costantemente aggiornati;– il contatto con il mondo delle imprese e, più in generale, con gli altri servizidel territorio (Scuole, Servizi per l’impiego, ...), è intenso e continuo;– il ‘know-how’ è progressivamente migliorato” (CNOS-FAP, 2003, 5-7).Sul piano operativo, in base ai risultati delle due indagini citate sopra riguar-danti la realizzazione del CFP polifunzionale e la formazione dei formatori, la Fe-derazione ha elaborato nel 2001 un modello di accreditamento interno e il relativoprogetto di fattibilità e iniziato il processo per la sua realizzazione, assicurando aogni Centro un apposita consulenza. Tuttavia, a livello regionale ha assunto sempremaggiore importanza l’attuazione di un sistema qualità dei CFP in prospettiva ISO9000:2000, finalizzato alla certificazione e nel quadro dell’accreditamento esterno.Nel 2002 si è continuato nella strada intrapresa. Pertanto, si è costituito un co-mitato tecnico-scientifico nazionale per garantire l’esame critico dei documenti eproporre miglioramenti e si è anche creato un gruppo di lavoro per la definizionedegli standard delle sedi formative. L’intervento più significativo in questo ambitoè consistito nella preparazione di una guida interpretativa della vision 2000 e so-prattutto nella elaborazione di un manuale di qualità di 1° livello di cui si sta cu-rando l’attuazione contestualizzata nei diversi centri del CNOS-FAP in base a unpiano di consulenze. Lo scopo ultimo di questa operazione è costituito dalla certifi-cazione complessiva di tutta la Federazione che si è quasi completamente realizzatadurante la prima decade degli anni 2000.Un percorso quasi contemporaneo è stato compiuto per l’accreditamento dellesedi orientative. Nel campo dell’orientamento la Federazione si è avvalsa tradizio-nalmente della preziosa azione dei COSPES. Nonostante l’impegno del CNOS-FAP,questi sono diffusi in maniera disorganica sul territorio nazionale, mentre la norma-tiva richiede che in ogni Regione esista un sistema di orientamento realizzato attra-verso la creazione di sedi orientative accreditate. Si è pertanto elaborata una pro-posta che si caratterizza per un impianto ispirato ai principi educativi della Carta deivalori e che si presenta “come intervento di accompagnamento e sostegno della per-sona lungo l’intero arco della vita” (CNOS-FAP, 2002, 9). Attualmente la Federa-zione sta promuovendo il sorgere di sedi orientative in ogni Regione attraverso unservizio di consulenza sulla base di una apposita Linea Guida scritta con il coinvol-gimento di esperti e operatori dell’Orientamento (Linea Guida, 2010).
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4. IL RETAGGIO DI QUESTO PRIMO PERIODO
È tutt’altro che semplice delinearlo perché le iniziative sono state davvero nu-merose e le linee di azione risultano diversificate e complesse. C’è anche il rischiodi una notevole soggettività dato che mancano studi storici adeguati e soprattuttomanca il distacco necessario dagli eventi considerati. Al tempo stesso ci sembradoveroso fare un tentativo di redigere un bilancio, focalizzando l’attenzione sugliaspetti positivi perché sono quelli più utili per costruire un futuro altrettanto (e sepossibile anche più) luminoso del passato e del presente.
4.1. Una crescita quantitativa tendenzialeNei primi quindici anni (1977-78/1991-92) l’aumento del sistema di FP delCNOS-FAP con qualche eccezione è stato in generale costante, ma al tempo stesso èrimasto entro limiti contenuti: infatti, si è restati in una fascia compresa tra il 10 e il30% (cfr. Tav. 1). Sono stati i corsi ad espandersi maggiormente, del 29.9%, passandoda 411 a 534 e facendo quindi registrare una crescita in valori assoluti di 123. Anche iformatori registrano un andamento in costante aumento (+161 in valori assoluti),anche se percentualmente più contenuto dei corsi (+22.6%). Gli allievi presentano unabattuta di arresto tra il 1981-82 e il 1986-87 nel senso che si riscontra una crescitazero (numeri indici 104.8 e 104.7 rispettivamente); comunque, nei quindici anni l’au-mento è di 1.816, pari al 20.3% in percentuale. A loro volta, i centri sono in crescita,anche se solo di tre, da 36 a 39, e dopo aver registrato nel 1986-87 un aumento di 6.
Tav. 1 – Evoluzione del sistema di FP del CNOS-FAP (anni scelti: in VA e IND)
Legenda: VA=Valori Assoluti; IND=Numeri IndiciFonte: Rielaborazione su dati CNOS-FAP
Il primo balzo in avanti si realizza nel 1996-97 con gli allievi che cresconodella metà (+53%; o +4.375 soggetti) rispetto all’anno della fondazione della Fe-derazione; tra il 1996-97 e il 2001-02 continua l’espansione di un altro 50% percui al termine dei 25 anni gli iscritti risultano più che raddoppiati (+106.3%, o+9.498). L’aumento è ancora maggiore nei corsi che tra il 1977-78 e 2001-02 sonoquasi triplicati, essendo saliti da 411 a 1.125 (+714). Nel 1996-97 i Centri ritor-nano sui valori del 1986-87, 42 unità, e nel 2001-02 si attestano su 54 con un saltodel 50% (+18) rispetto agli inizi. In questo secondo periodo (1991-92/2001-02),l’andamento dei formatori è al contrario molto contenuto e tra il 1991-92 e il1996-97 la crescita è pressoché zero, anche se poi nel quinquennio successivol’aumento supera il 40% e nei 25 anni si colloca al 64.8%, pari a 463.
Sistema di FP del
CNOS-FAP
1977-78 1981-82 1986-87 1991-92 1996-97 2001-02
VA IND. VA IND. VA IND. VA IND. VA IND. VA IND.
Centri 36 100.0 40 111.1 42 116.7 39 108.3 42 116.7 54 150.0
Corsi 411 100.0 448 109.0 477 116.1 534 129.9 698 169.8 1.125 273.7
Allievi 8.937 100.0 9.365 104.8 9.354 104.7 10.753 120.3 13.672 153.0 18.435 206.3
Formatori 714 100.0 777 108.8 827 115.8 875 122.6 880 123.2 1.177 164.8
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Tav. 2 – Tipologia di attività formative e di allievi (anno 2001-02; in VA e %)
Legenda: VA=Valori Assoluti; %=PercentualiFonte: Rielaborazione su dati CNOS-FAP
Nel 2001-02 (cfr. Tav. 2) oltre la metà degli allievi della Federazione (53.5%)frequentano corsi che in base alla terminologia della riforma Moratti possiamochiamare di secondo ciclo: specificamente, più di un terzo (36.3%) è iscritto allaformazione iniziale, il 10.7% ai corsi dell’obbligo scolastico in integrazione con lascuola e il 5.4% a corsi in integrazione con la media superiore. Un 10% quasi(8.8%) è collocato nella formazione superiore: il 7.8% nel post-diploma e l’1%negli IFTS. Il 35.8% è impegnato nella formazione sul lavoro: apprendistato(13.9%) e formazione continua di occupati e disoccupati.Gli allievi della fasce deboli sono 343, pari al 2% circa. In sintesi, intorno aglianni 2000, si può dire che i CFP del CNOS-FAP sono diventati polifunzionali, pre-sentano cioè un’offerta formativa molteplice, e al tempo stesso hanno conservato laloro tradizionale attenzione alla fascia 14-18 anni.L’anno formativo 2003-04 è l’anno dell’inizio della sperimentazione dei per-corsi formativi triennali in tutte le Regioni.La Federazione CNOS-FAP, in quell’anno segna una ulteriore crescita soprat-tutto nella Formazione Professionale Iniziale realizzando 1.300 corsi di cui quasi600 nella FPI e servendo 21.561 allievi di cui oltre 6. 000 in età tra i 14 e i 18 anni.Una ulteriore espansione si è registrata nell’anno formativo 2005-06, l’annodella massima espansione formativa.I corsi formativi realizzati sono stati 1.503 di cui 713 nella FPI e 20.409 allievidi cui quasi 14 mila in età tra i 14 e i 18 anni.All’aumento delle attività è corrisposta anche la crescita delle sedi che erano60 nell’anno formativo 2003-04 e 61 nell’anno 2005/2006.Scelte politiche regionali restrittive hanno avuto riflessi consistenti anche sulleattività della Federazione CNOS-FAP, determinando la chiusura di molte sedi ope-rative e la contrazione delle attività in varie Regioni quali la Sardegna, l’Abruzzo ela Calabria.Sulla base dell’ultima rilevazione, anno 2009-10, la Federazione CNOS-FAPsvolge 1.173 corsi di cui 646 nella FPI, coinvolge 21.100 allievi di cui 12.500 circain età tra i 14 e i 18 anni, 1.336 operatori, di cui 853 a tempo indeterminato. LaTav. 3 mostra l’andamento di quest’ultimo periodo rispetto ai corsi e agli allievi:
Tipologia di attività formative Corsi Allievi VA % VA %
Obbligo scolastico 120 10.7 2.179 11.8
Formazione iniziale 392 34.8 6.687 36.3
Integrazione scuola media superiore 58 5.1 994 5.4
Fasce deboli 30 27 343 1.9
Apprendistato 161 14.3 2.561 13.9
Postdiploma 65 5.8 1.441 7.8
Ifts 9 0.8 187 1.0
Formazione continua occupati e disoccupati 290 25.8 4.043 21.9
Totale 1.125 100.0 18.435 100.0
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Tav. 3 – Tipologia di attività formative e di allievi (anni 2003-04/2009-10; in VA)
LegendaVA=Valori AssolutiCorsie Allievi=si tratta dell’intera attività formativaCorsi di FPI e Allievi di FPI=si tratta solo dei corsi rivolti a giovani tra i 14 e i 18 anni e dei relativi allieviFonte: Rielaborazione su dati CNOS-FAP
Mutuando da una terminologia diffusa nella scuola italiana, i settori produttivisono ordinariamente classificati in settore primario, secondario e terziario. A questisi aggiunge sempre più spesso un “quarto settore”, detto anche “terziario avan-zato”. La Federazione CNOS-FAP e le scuole a indirizzo tecnico-professionalesono presenti nei vari settori produttivi ma si sono storicamente consolidate soprat-tutto nei settori industriale e terziario avanzato, privilegiando, di questi, soprattuttogli aspetti formativi relativi al campo meccanico, elettrico-elettronico, grafico-mul-timediale e informatico. Oggi la Federazione è attiva con percorsi di durata trien-nale, quadriennale e con la formazione attivata nell’istituto dell’apprendistato. Laproposta della Federazione si completa con quella del CNOS/Scuola operantenei medesimi settori con percorsi quinquennali e, nei campus, anche con lauree di1° livello in “Ingegneria meccanica”, “Ingegneria elettrica” e in “Scienze e tec-niche della comunicazione”.
4.2. L’impegno per un sistema paritario di FPIn questo caso, si farà riferimento alle parole di uno dei Presidenti del CNOS-FAP che più si è battuto per la realizzazione di tale impegno. Una delle linee fon-damentali costanti della politica della Federazione è consistita nella “piena valo-rizzazione della formazione di base di primo livello, innovandola fortemente,come risposta alle esigenze di una larga fascia di giovani che non accedono allascuola secondaria superiore o sono emarginati dal sistema scolastico, e comeautentica risorsa per elevare la qualificazione dell’operaio e renderlo capace dirinnovamento.A questo scopo si desidera fare della formazione professionale un vero e pro-prio sistema4 [...] che, nel quadro della formazione permanente, preveda interventidi primo, secondo e terzo livello, e rientri periodici per mettere il lavoratore ingrado di affrontare i cambi sempre più incalzanti” (Rizzini, 1988, 176; cfr. ancheEditoriale, 1987 e 1999).
4 Il corsivo è nostro.
Attività
formative 2003/04 2004/05 2005/06 2006/07 2007/08 2008/09 2009/10
Corsi 1300 1300 1503 1495 1295 1061 1173
Corsi di FPI 540 647 713 766 598 614 646
Allievi 2003/04 2004/05 2005/06 2006/07 2007/08 2008/09 2009/10
Allievi 20.561 21.343 26.409 25.932 20.609 18.779 20100
Allievi FPI 8842 11.422 13.206 14.057 10.369 12.203 12.620
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Nel libro “Tutta un’altra scuola. Proposte di buon senso per cambiare i sistemiformativi” pubblicato nel 2005, venivano riportati alcuni “punti nodali” che dove-vano essere sciolti, a giudizio degli autori, per ammodernare il sistema scolastico eformativo italiano (Campione - Ferratini - Ribolzi). Alcuni di questi nodi, quali ladurata dell’obbligo scolastico, il potenziamento del cosiddetto “secondo canale”, laportata del “successo formativo”, le problematiche legate alle “competenze istituzio-nali” sono stati oggetto di acceso dibattito politico e di interventi normativi in questodecennio ed hanno portato a soluzioni che stanno influendo in vario modo sulla de-finizione dell’intero sistema educativo di istruzione e formazione del nostro paese(Campione - Ferratini - Ribolzi, 2005). In questo scenario di dibattito la FederazioneCNOS-FAP si è impegnata ad essere sempre presente con proprie proposte. Nellapresente sede ci limitiamo solo a richiamare con titoli quanto abbiamo espostoanche precedentemente. La Federazione, fedele all’idea della FP da intendere comesistema, ha sempre agito per far sì che la FPI, in Italia, costituisse una strategia perfronteggiare la dispersione scolastica e formativa, una formazione alla cittadinanza ealla occupabilità, un percorso distinto da quello scolastico ma equivalente negliobiettivi da raggiungere, la base di una filiera formativa progressiva e verticale nel-l’ottica della formazione per tutto l’arco della vita e aperta ai possibili passaggi daun sistema all’altro, un tassello del sistema europeo dei titoli e delle qualifiche, unapporto della società civile ed espressione della sussidiarietà orizzontale, una pro-posta concreta di pastorale giovanile ecclesiale, oltre che salesiana.
4.3. I giovani e la formazione integraleUn primo criterio ispiratore dell’azione della Federazione nei 30 anni trascorsiconsiste nella visione unitaria del giovane destinatario dei nostri interventi, senzadicotomie tra cultura e pratica, fra intelletto e corpo, fra rapporti personali e presta-zioni, tra contenuti e tecnica (Van Looy - Malizia, 1998). Ciò ha permesso di deli-neare un iter formativo in cui lo sviluppo cognitivo, quello tecnico, quello socio-politico e quello morale e religioso non costituiscono comportamenti stagni, masono tra loro fortemente intrecciati in modo da contribuire alla crescita della capa-cità della persona di accostare in modo attivo e maturo la realtà.È un orientamento che ha portato a potenziare nell’attività formativa i processidi personalizzazione in modo da educare soggetti solidi, maturi, consapevoli e ca-paci di assumere responsabilità sociali e professionali conformi alla propria voca-zione. Per affrontare in modo vincente le sfide della “infosocietà” non basta unapreparazione tecnico-professionale adeguata, ma i giovani devono essere capaci di:pensare in modo autonomo e critico; essere intellettualmente curiosi; instaurarerapporti positivi e stabili con gli altri, intrecciando con essi un dialogo fecondo, va-lorizzandoli, collaborando in progetti comuni; risolvere i conflitti; gestire il cam-biamento con originalità e libertà; vivere la vita come vocazione e servizio.La personalità che si è intesa sviluppare in modo globale non coincide con unio separato o isolato rispetto alla comunità e al contesto di appartenenza. La sogget-
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tività, se rimane ripiegata su se stessa, può trasformarsi in un impedimento alla for-mazione integrale proprio perché manca l’apporto dell’altro. Al contrario il pro-cesso educativo deve tradursi in un iter in cui ciascuna individualità cresce con egrazie a quelle di tutti i soggetti con i quali si entra in relazione: infatti, per liberarsidel proprio centrismo è necessario assicurare un incontro dinamico tra differenze.Se orientare significa porre l’individuo in grado di prendere coscienza di sé edi progredire per l’adeguamento dei suoi studi e della sua professione alle mutevoliesigenze della vita, si capisce la stretta connessione dell’orientamento con la matu-razione della personalità e anche l’importanza di una riaffermazione delle suecaratteristiche in chiave pedagogica e salesiana (Editoriale, 1994a e 1998). Gliallievi della FP, sia per l’età che per la condizione di svantaggio in cui molti si tro-vano, hanno bisogno di tale accompagnamento da vicino, rispettoso e al tempostesso propositivo, che li aiuti a conoscere le loro potenzialità, che li guidi nellacomplessità della realtà sociale, che li sostenga nella elaborazione di un progetto divita come servizio agli altri secondo la propria opzione vocazionale. L’obiettivofinale è la costruzione dell’identità personale e sociale del soggetto in un adeguatoprogetto di vita, inteso come compito aperto alla realtà comunitaria e sociale, ecome appello all’attuazione dei valori che danno senso alla vita. Passando più nellospecifico, si è trattato di avviare alla ricerca della identità, di formare alla proget-tualità e all’autonomia decisionale e di far acquisire una maturità professionaleadeguata che permetta di combinare sapere, saper essere, saper fare.Un ulteriore passaggio, piuttosto recente, è stato quello di assumere la qualitàcome criterio ispiratore dell’attività formativa (ISFOL, 2003, CNOS-FAP, 2008).A questo punto è opportuno richiamarne le dimensioni principali.a. La qualità pedagogica e didattica salesianaLa qualità pedagogica del percorso di formazione, sia esso tecnico che pro-fessionale, pone la persona al centro dell’attenzione educativa: il giovane vieneaccolto così come è. La pedagogia salesiana dà particolare attenzione alla personache è portatrice di valori etici, di potenzialità cognitive ed affettive, di progetti.Facendo leva su queste potenzialità i formatori e i docenti formano questa personaad inserirsi nella società e nel mondo del lavoro in maniera attiva e critica, forte diuna coscienza di cittadino e di lavoratore, attento e aperto alla complessità della so-cietà italiana, europea e mondiale. Tutto ciò prende forma in un progetto educativoe formativo, che tiene conto dei tempi, dei modi e dei ritmi di apprendimento chesono propri di ciascuno per assicurare a tutti il successo formativo.La qualità pedagogica ispira e stimola la qualità didattica. Qualità didatticasignifica, per i Salesiani, curare in modo particolare tre aspetti:– l’orientamento alle competenze che tende ad assicurare un insieme integratodi conoscenze, abilità, competenze, valori, atteggiamenti e comportamenti,finalizzato al conseguimento di una qualifica professionale o di un diploma distato;
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– l’apprendimento attraverso il fare che consente agli allievi e agli studenti, rea-lizzando “capolavori” di progressiva complessità, di sperimentare attivamentele proprie competenze anche attraverso l’errore, di collegare l’operatività alsapere e al saper essere, di ritrovare il senso dell’apprendere e di riflettere sul-l’esperienza compiuta;– la pluralità dei contesti di apprendimento che superano di gran lunga l’uso po-vero dell’aula e del laboratorio perché valorizzano anche le opportunità forma-tive che provengono dal mondo del lavoro e dal territorio.b. La qualità dei risultati: una proposta di “valutazione”La valutazione è, in primo luogo, un processo formativo che riguarda gli al-lievi e gli studenti che sono aiutati a prendere coscienza del raggiungimento degliobiettivi di apprendimento, dei miglioramenti compiuti, delle risorse attivate e delledifficoltà incontrate. La valutazione è, in secondo luogo, un processo formativo cheriguarda il servizio stesso che è spinto ad un miglioramento continuo rispetto agliobiettivi raggiunti, le strategie adottate, i mezzi messi in campo.c. La qualità dell’organizzazione a sostegno del progetto educativoÈ sempre questa visione di qualità a spingere i Salesiani a pensare all’organiz-zazione del CFP o della scuola non come una “agenzia”, ma come luoghi di appren-dimento e comunità educative strutturati in modo da favorire la partecipazione el’iniziativa degli allievi e delle famiglie. Sono anche centri di servizi che offrono,oltre che istruzione e formazione, anche orientamento, accompagnamento al lavoro,aggiornamento continuo. Data la complessità delle funzioni formative ed educative,l’équipe formatrice è composta di diverse figure professionali di sistema, chiamatetutte ad agire all’interno del progetto educativo.d. La qualità del ciclo di vita del processo formativoOgni CFP o ogni scuola a indirizzo tecnico corre, nel tempo, il pericolo del-l’autoreferenzialità. Per prevenirlo, i Salesiani, in primo luogo, verificano che lapropria offerta sia una risposta ai bisogni del territorio, oltre che dei giovani; cura,in secondo luogo, una rete di relazioni che agevolano i giovani nel loro diritto dicompiere scelte anche reversibili e nell’apprendimento che, oggi, è sempre più per-manente e aperto, cioè dato anche dai contesti non formali e in formali e non soloformali.
4.4. Il modello organizzativo del CFP polifunzionaleUna società sempre più complessa come l’attuale richiede che le persone ven-gano preparate ad affrontare le esigenze che da questa situazione derivano (VanLooy - Malizia, 1998). Le organizzazioni formative e in particolare i formatori, nonpotranno più accontentarsi di contenuti e di processi consolidati e in parte ripetitivi,ma dovranno divenire attori capaci di gestire la diversità, la varietà e il cambio. Daquesto punto di vista, grande è stato l’impegno del CNOS-FAP per preparare gli
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operatori a lavorare sempre più per progetti anziché per programmi, per obiettivianziché per procedure, per processi anziché per routine.Nella società dell’informazione la trasmissione delle conoscenze da parte delformatore perde di priorità a motivo dell’apporto molto significativo che può essereofferto dalle nuove tecnologie, mentre egli è chiamato sempre di più a svolgereun ruolo di mediazione tra l’educando e le informazioni per aiutare quest’ultimo aintegrarle in un quadro sistematico di conoscenze. La sua funzione consiste più nelformare la personalità degli allievi e nell’aprire l’accesso al mondo reale che nonnel trasmettere nozioni programmate, più nel fare da guida alle fonti che non nel-l’essere lui stesso fonte o trasmettitore di conoscenze. Nei Centri questa transizioneè in atto, anche se è tutt’altro che compiuta.Circa la funzione/figura del dirigente va accettato anche nei nostri CFP l’allar-gamento che la riflessione e l’esperienza propongono in questo ambito: essa com-prende oltre agli aspetti pedagogici e di animazione, anche compiti di natura mana-geriale. La funzione/figura del dirigente deve avere come terreno di azione un’areaqualificata dalla compresenza di amministrativo e di educativo e della finalizza-zione dell’organizzativo a sostegno dell’azione educativa. In particolare, il diri-gente è chiamato a potenziare il clima dei rapporti con i docenti in tre direzioni:l’instaurazione di un’atmosfera di familiarità, il riconoscimento di una giusta auto-nomia al personale, l’attribuzione ad esso di un posizione di corresponsabilità nellavita dei CFP.Il rinnovamento e il potenziamento del ruolo del dirigente si inserisce inun progetto più ambizioso finalizzato alla diffusione nei Centri della Federazionedi una nuova cultura organizzativa ispirata a un modello progettuale, coordinato/integrato, aperto e flessibile. Questo significa che la progettazione degli interventidovrebbe consentire alla comunità formativa di identificare la domanda sociale diformazione, di fissare gli obiettivi dei propri interventi in relazione alle esigenzedel contesto, di elaborare strategie educative valide in risposta al territorio, di valu-tare la propria attività in rapporto alle mete che ci si è posti. A loro volta, coordina-mento e integrazione vogliono dire essenzialmente sincronizzazione e armonizza-zione delle azioni di un gruppo di persone e delle attività di tutte le articolazioni diuna organizzazione in vista del raggiungimento di mete condivise; si tratta di favo-rire la combinazione più efficace degli sforzi dei singoli individui che compongonoun gruppo o di più sottogruppi di un’organizzazione più ampia. L’esigenza del-l’apertura al contesto si basa sulla considerazione che i Centri possono conservarsisolo sulla base di un flusso continuo di risorse da e per l’ambiente per cui loscambio con il contesto costituisce il meccanismo fondamentale che consente ilfunzionamento dell’organizzazione. Nonostante il riferimento a un modello, l’orga-nizzazione deve rimanere flessibile nel senso che la realizzazione del modello puòessere la più varia mentre tutto dipende dalle particolari condizioni di ogni CFP percui si può andare da un’attuazione molto elementare alla più complessa; quello cheva assicurato in ogni caso è la presenza in ciascun CFP delle funzioni e non delle
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figure e, nel contesto territoriale, delle necessarie unità specialistiche di supporto.Accreditamento interno e certificazione hanno costituito e stanno offrendo un’op-portunità formidabile di rinnovamento della cultura organizzativa dei CFP delCNOS-FAP.Pertanto un impegno fondamentale è stato ed è quello di migliorare la forma-zione iniziale e in servizio del personale, in particolare per quanto riguarda gliaspetti salesiani. Sullo sfondo il criterio guida è quello di preparare il personale arispondere in modo sempre più efficace ai bisogni complessi, vari e mutevoli deidestinatari dei nostri CFP. Più immediatamente un progetto di formazione in ser-vizio va calibrato sulle esigenze dei formatori considerati non come utenti anonimi,standard, ma come persone concrete con le loro attese specifiche.
4.5. Il processo di insegnamento-apprendimentoAnzitutto, va notato il progressivo allargamento dell’offerta a tutte le categoriedi persone che richiedono interventi specifici di formazione professionale senzalimitarsi ai giovani (Van Looy - Malizia, 1998). Le caratteristiche dell’attuale svi-luppo economico, in particolare il ritmo elevato di cambiamento e l’esigenza dilivelli più alti di competenze, hanno portato a questo ampliamento dei destinatariche, tuttavia, rientrano sempre in quelle classi popolari che sono oggetto della no-stra missione. L’allargamento degli utenti si è accompagnata anche a un amplia-mento della gamma dei settori della FP offerta dalla Federazione.Il nuovo ciclo economico rinvia a una nuova professionalità in cui predominail lavoro pensato, fatta cioè di competenze più avanzate, di conoscenze più teori-che, di caratteristiche più spinte di riflessività, di libertà, di risposta, di adattamentoe di controllo. La ricaduta sulla formazione è chiara: si esige una formazione dibase più solida che comprenda un bagaglio di cognizioni tecnico-scientifiche piùsofisticate, capacità di pensiero astratto più elevate, disponibilità alla formazione ri-corrente, possesso di abilità organizzative, progettuali, e di innovazione, capacità disapersi relazionare con gli altri e di saper affrontare il cambiamento, senza farsi tra-volgere, ma conferendo ad esso un significato umano e ponendolo al servizio dellosviluppo individuale e sociale. La nuova domanda di formazione del sottosistemaeconomico ha portato i Centri salesiani a rafforzare la formazione della capacità diadeguarsi e di dominare il ritmo accelerato del cambio tecnologico e scientifico.Il potenziamento del processo di insegnamento-apprendimento dei nostri CFPè stato collocato nel quadro dell’innovazione pedagogica degli ultimi anni. Più inparticolare questa richiede una maggiore integrazione tra momenti formativi istitu-zionalizzati e momenti formativi informali in una prospettiva globale di educazionepermanente e differenziata. La FP ha adottato le metodologie proprie di una peda-gogia dei diversi e della differenza.La FP salesiana si caratterizza per alcune scelte di campo sul piano metodolo-gico che vanno conservate. Anzitutto va ricordata l’attenzione al valore educativodel lavoro senza distinguere troppo tra attività manuale e intellettuale, una opzione
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importante sia dal punto di vista della motivazione dell’allievo sia da quella dellapreparazione professionale da dare. Un secondo aspetto è l’interesse per il giovaneche viene accolto così come è, e di cui si considerano non solo le carenze, maanche le potenzialità di maturazione. A ciò si aggiunge l’attenzione all’inserimentonel mondo del lavoro che, però, non porta mai a trascurare un orizzonte più ampiodi formazione in cui ci sia spazio per attività mirate alla maturazione globale dellapersona.
4.6. Federazione CNOS-FAP e impreseUn capitolo particolarmente nuovo, rispetto ai decenni passati, è relativo al rap-porto tra la Federazione CNOS-FAP e il mondo delle imprese. Va subito precisatoche ogni CFP o Scuola a indirizzo tecnico, da sempre, ha coltivato relazioni con ilmondo produttivo del proprio territorio, mettendo progressivamente a regime dellemodalità, lo stage in particolare, utili a raccordare l’offerta formativa con le esi-genze aziendali e a proporre agli allievi una formazione imperniata sempre più sullecompetenze. In anni recenti, tuttavia, la Federazione ha coltivato rapporti più conti-nuativi con varie imprese, dando vita a forme di collaborazione soprattutto nei set-tori meccanico, elettrico, grafico. Si stanno sviluppando così forme di cooperazionea un livello superiore a quello del singolo CFP o della singola scuola, con l’effetto dimettere in rete tutti i CFP e tutte le scuole a indirizzo tecnico di un determinato set-tore. A seguito di questi accordi, CFP e istituti tecnici/professionali paritari salesianipossono beneficiare dell’apporto formativo e tecnico delle aziende del settore, del-l’allestimento (talvolta anche gratuito) di laboratori specializzati, dell’agevolazionenell’ammodernamento di propri macchinari, dell’utilizzo della rete aziendale perl’organizzazione di stage, tirocini e forme di alternanza scuola-lavoro. Questi ac-cordi di collaborazione (alcuni già attivi, altri in via di perfezionamento) stanno por-tando i CFP della Federazione CNOS-FAP a qualificarsi ulteriormente in vari campiquali il fotovoltaico, la meccanica industriale, il risparmio energetico, la tecnologiadell’auto, l’automazione industriale, dla grafica, la serramentistica.Le Intese o Accordi hanno interessato le principali aziende dei settori profes-sionali in cui la Federazione CNOS-FAP opera. A titolo esemplificativo si ricor-dano i più importanti e significativi: la costituzione del polo automotive(25.09.2006); Accordo con Aluscuola (27.02.2008); Accordo con Fiat Group Auto-mobiles Spa (20.05.2008); Accordo con Schhneider Electric S.p.A. (19.02.2009);Collaborazione tra il CFP CNOS-FAP “Bearzi” (Udine) e Siemens per l’allesti-mento del Centro tecnologico midrange (20.02.2009); Accordo con DMG Italia(19.05.2009); Accordo con Sandwik Coromant (08.06.2009); Accordo con Heiden-hain Italiana (20.04.2010); Accordo con De Lorenzo (29.11.2010); Accordo conENI (20.01.2011).Questa prassi è stata segnalata come “prassi significativa” anche presso l’ONU.Il 26 luglio 2010, infatti, all’ECOSOC è stato presentato il contributo salesiano al-l’occupazione giovanile. Il tema dell’Annuale Verifica Ministeriale dell’ECOSOC è
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stato “Promozione della capacità produttiva, dell’occupazione e del lavoro digni-toso per sradicare la povertà nel contesto di una crescita economica inclusiva, equae sostenibile a tutti i livelli per raggiungere gli Obiettivi del Terzo Millennio”.La circostanza ha permesso di evidenziare i modelli di crescita economica chefavoriscono la creazione di posti di lavoro, che sono sostenibili, inclusivi ed equi eche possono essere adattati alle esigenze particolari dei paesi, promuovendo nelcontempo la protezione sociale e diritti sul lavoro. La società civile è stata invitataa partecipare a questo importante dibattito con interventi scritti e orali che richie-dono l’attenzione degli Stati membri su questioni che le singole ONG propongono.I Salesiani di don Bosco hanno contribuito con un intervento scritto e orale sultema dell’occupazione giovanile preparato dal salesiano don Thomas Brennan, dal2007 consultore dell’ECOSOC.Nell’intervento scritto, dopo aver presentato le informazioni di base sull’anda-mento dell’occupazione giovanile, don Brennan ha evidenziato due esempi di pro-grammi promossi dai salesiani per la formazione al lavoro dignitoso dei giovani,soprattutto per quelli economicamente e socialmente svantaggiati.Il primo è il “Don Bosco Tech”, una rete di 125 Centri di Formazione Profes-sionali sparsi in 25 Stati dell’India, la più grande ONG impegnata nella formazionein India. Il loro ambizioso obiettivo è di fornire Formazione Professionale e inseri-mento lavorativo a 2 milioni di giovani nell’arco di dieci anni si sta realizzando.Il secondo il lavoro del CNOS-FAP (Centro Nazionale Opere Salesiane - For-mazione Aggiornamento Professionale) dell’Italia che promuove il partenariato trai Centri di Formazione Professionale e aziende private come Fiat, Schneider, Sie-mens, Bosch, Heidenhain Italiana, DMG Mori Seiki, ENI, ecc. Il partenariato hal’obiettivo di elevare la qualità dell’offerta formativa e favorire l’occupazione deigiovani.
4.7. La dimensione religiosa e pastoralePer superare la dicotomia o giustapposizione tra la FP e la educazione cristianasi è cercato di realizzare un processo di evangelizzazione veramente integrato nellavita dei Centri (Van Looy e Malizia, 1998). Il relativo iter comprende le seguentiarticolazioni: un ambiente di vita permeato dei valori evangelici; una cultura chesia focalizzata sull’integralità della persona, soprattutto che tenga conto della suadimensione spirituale e religiosa; momenti ed esperienze esplicite di evangelizza-zione; proposta a coloro che lo vogliono di un cammino di educazione alla fede daattuare in comunione con la comunità cristiana. Gli obiettivi sono identificati neiseguenti: trasmettere agli allievi una concezione umanistica ed evangelica dellarealtà sociale; offrire a tutti o a gruppi specifici esperienze spirituali e di apertura aDio sia nella vita ordinaria sia in momenti significativi dell’attività formativo; darel’opportunità di effettuare esperienze di servizio gratuito e di solidarietà con le per-sone in situazione di svantaggio; proporre la possibilità di un accompagnamentopersonale da parte di qualche educatore cristiano.
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Un aspetto centrale nel potenziamento del processo di evangelizzazione ècostituito dal rafforzamento della comunità educativo-pastorale. Infatti, in una pro-spettiva pastorale non basta il personale preparato, un curricolo adeguato o attrez-zature di avanguardia; è anche necessaria una comunità di persone che abbiano co-scienza della globalità della proposta pastorale salesiana, che interagiscano inmodo sistematico e reciproco sulla base del progetto educativo-pastorale locale,che verifichino continuamente e, di conseguenza, migliorino e innovino i processieducativi e pastorali, che si impegnino ad aprirsi al territorio, in particolare almondo giovanile, e che realizzino un iter sistematico di formazione permanente.Se l’educazione viene ad assumere una posizione centrale nella società, èchiaro che il servizio più significativo che possiamo offrire alle nuove generazioniconsiste proprio in una formazione solida. Questa non va intesa naturalmente in unsenso riduttivo come semplice istruzione o addestramento, ma deve fornire aognuno le capacità per vivere al meglio nella società della conoscenza. L’eredità di30 anni di storia e di esperienza pone la Federazione CNOS-FAP in una posizionedi vantaggio nel realizzare questo compito. Con il sostegno di Dio, di Maria Ausi-liatrice e del nostro Fondatore, come Salesiani ci impegniamo a operare in futuroanche più efficacemente che nei primi 30 anni per offrire a tutti i giovani, special-mente a quelli più emarginati, un orizzonte di senso e di significato, una guida alloro agire e conoscenze e competenze adeguate per la vita e per il lavoro, in mododa aiutarli ad acquisire quella preparazione valoriale, culturale e professionale ele-vata che consenta loro di inserirsi da protagonisti in un mondo sempre più artico-lato e complesso.A supporto di queste istanze religiose e pastorali la Federazione CNOS-FAP haadottato il modello organizzativo e di gestione voluto dalla legge (D. Lgs. 8 giugno2001) ma ritenuto anche un utile strumento per rafforzare l’azione formativa e pre-ventiva con tutti i soggetti che agiscono in una struttura salesiana. Il Codice Etico,in particolare, è di aiuto e di guida per far sì che tutti gli operatori agiscano, dalpunto di vista educativo, religioso e pastorale, nella medesima direzione, mettendoin atto quella comunità educativo-pastorale che è alla base di ogni efficace azioneeducativa (CNOS-FAP, 2008).
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Parte II
GIOVANI E LAVORO:ELEMENTIDI MAGISTERO SALESIANO
I Salesiani hanno iniziato nel 1980 con vari Convegni, svoltisi in Italia, in Spagna e inAmerica Latina, un faticoso cammino destinato, quasi, a rifondare la loro pastorale per ilmondo del lavoro. Hanno voluto confrontare le loro esperienze ed offrire elementi per unprogetto educativo e del lavoro. I vari documenti fondativi che sono stati elaborati neglianni dalla Federazione CNOS-FAP riflettono questo cammino.La riflessione sulle prassi significative elaborate su “Salesiani e mondo del lavoro” è stataaccompagnata anche da interventi magisteriali.Questa seconda parte del volume raccoglie i principali scritti dei Rettori Maggiori attorno altema “Missione salesiana e mondo del lavoro”. Si riportano alcuni testi particolarmenteconnessi a questo tema scritti da don Egidio Viganò, don Juan Vecchi e don Pascual ChávezVillanueva.
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Intervento del Rettor Maggioredon Egidio Viganòai lavori della prima Assembleadella Federazione CNOS-FAP, 1978 Egidio VIGANÒ
Don Egidio Viganò, Rettor Maggiore dei Salesiani, ha seguito laFederazione CNOS-FAP fin dal suo nascere.Il testo riportato è stato l’intervento alla prima Assemblea dellaFederazione CNOS-FAP che si è svolta il 16 maggio 1978.L’intervento mette in luce l’importanza della Formazione Profes-sionale nel carisma salesiano e la specificità dell’organizzazioneassociativa.Il testo, che è stato registrato, viene riproposto nello stile collo-quiale.La numerazione è proposta dalla redazione della Sede nazionale.
Volentieri ho accolto l’invito di incontrarmi con voi, Delegati e Direttori deiCentri di Formazione Professionale affidati ai Salesiani d’Italia, e con molto pia-cere vi rivolgo un saluto che viene dal profondo del mio animo per il tipo di con-fratello e di missione salesiana che voi rappresentate.A conferma di questi sentimenti vi posso portare alcuni esempi che sottolineanol’importanza del vostro impegno educativo e pastorale. Innanzitutto un ricordopersonale.
1. TRE TESTIMONIANZE DI PRESENZA SALESIANA NELLA FORMAZIONE PROFESSIO-NALE
Sapete della mia provenienza dal Cile. Ebbene proprio nell’estremo sud del-l’America Latina, nella Terra del Fuoco, un direttore salesiano, d. Mario Zavattarodi origine italiana, ha dedicato tutta la sua vita in un Centro professionale agricolo,dal quale si è dovuto allontanare per essere curato in un ospedale di Santiago delCile, a duemila chilometri di distanza e dove morì per cancro al cervello. Il Go-verno socialista di quel Paese si è fatto carico delle spese per far ritornare la salmadi questo grande salesiano da Santiago a Porvenir, un paese della Terra del Fuoco, eha voluto dedicare la principale via del paese a don Mario Zavattaro e ha fatto eri-gere un monumento funebre a questo sacerdote che aveva servito realmente i bi-sogni del popolo e della gente, aiutandola a crescere in promozione umana e pro-fessionale. È un lusinghiero riconoscimento che proviene da uno schieramento po-litico e amministrativo non sospetto e che sa riconoscere la validità dell’impegno
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salesiano di promozione umana che altri governi di posizione ideologica più vicinaai valori cristiani, non sempre valutano con pari sensibilità.Un’altra testimonianza personale proviene dall’esperienza che ho fatto nel par-tecipare alla seduta plenaria della Sacra Congregazione dei Religiosi, composta daCardinali e Vescovi e da quattro Membri Religiosi, che ha il compito di assistere ilSanto Padre nel governo della Chiesa in tutto il mondo. Il tema dei lavori di questaconvocazione plenaria era appunto “la presenza dei religiosi per una promozioneumana nel contesto socio-politico dell’attuale società”. Un tema molto scottante edelicato, che è stato affrontato sulla scorta di studi e di approfondimenti che hannorichiesto un anno di lavoro e sono contenuti in un grosso volume che documenta lereali situazioni dei vari continenti. A presentare la situazione problematica del-l’Asia è stato chiamato il perito Padre Lazzarotto del PIME, che forse alcuni di voiconoscono, il quale a conferma dell’efficacia della presenza dei religiosi nell’im-pegno di promozione umana in quel continente citò espressamente “le famosescuole professionali dei Padri Salesiani”. L’unica imperfezione della citazione era iltermine “Padri”, riferito ai Salesiani!Una terza ed ultima testimonianza mi è suggerita dalla mia recente partecipa-zione alla ricorrenza decennale dell’Opera Salesiana di Selargius, in Sardegna. ESelargius è proprio un Centro di formazione professionale. Al di là della soddisfa-zione personale di avere avuto modo di visitare, per la prima volta, questa meravi-gliosa isola e di constatare la vivacità di iniziative salesiane che hanno fatto fiorirenumerose e qualificate vocazioni, che sono ben rappresentate anche in questa As-semblea, mi ha molto ben impressionato quest’opera professionalmente qualificatae robusta e aperta alla crescita del futuro nostro in quella simpatica terra.Così ho avuto modo di sentire gli apprezzamenti positivi che venivano espressida uomini politici, pubblici amministratori e rappresentanti sindacali: Selargius,nessuno lo tocca! Questo Centro di formazione professionale è di esempio a tutti,anche al governo regionale!Questa esperienza l’ho voluta comunicare familiarmente anche in un inter-vento di buona-notte, qui alla Casa Generalizia, affermando di essere tornato dallaSardegna ricco di due scoperte in profondità della vocazione salesiana.Prima scoperta: l’importanza degli adolescenti, richiamati dall’attrattiva di unvalido modello di santità giovanile in Domenico Savio, al quale si è ispirata la gior-nata della “Festa del Ragazzo” in Sardegna (argomento, questo, che esula dalle pre-senti considerazioni).Seconda scoperta: la funzione straordinaria che ha la formazione professionalenel contesto culturale attuale.E all’importanza delle strutture educative, in particolare della scuola, che cirichiama anche il recente documento della Sacra Congregazione dell’Educazione,dal quale emerge l’impegno a recuperare la concezione e funzione di una scuolacattolica di tipo ecumenico, che offra occasione di dialogo e di confronto culturale,indispensabile per l’affermazione del pluralismo democratico.
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Il venir meno di strutture educative capaci di elaborare una propria identitàculturale, come deve essere una scuola cattolica, condiziona negativamente la for-mazione e l’espressione di forti personalità culturali, ispirate alla fede per un im-pegno di crescita umana globale. Ora, nell’ambito della presenza della scuola catto-lica nei vari paesi – io ho girato un po’ il mondo – la nota più originale che con-traddistingue la scuola dei salesiani, fino a diventare criterio di riconoscimento diessi, è proprio la Scuola Professionale. Quindi, nella citata buonanotte, ho espressa-mente parlato della riscoperta della funzione straordinaria che ha la scuola profes-sionale e, per conseguenza, della necessità nella pastorale vocazione, in tutta lanostra capacità di crescita salesiana, la figura del Salesiano Coadiutore. Perché,abbiate pazienza voi confratelli che non siete Coadiutori, non si può concepire unascuola professionale salesiana senza la presenza del Salesiano Coadiutore! Diquesto contatto diretto, esistenziale e non per riflessione al tavolino, io traggo mo-tivo per farvi riflettere: siete proprio impegnati in una parte vitalissima e di futuroper la crescita della nostra vocazione. Non è quindi per opportunismo, o perché sistia parlando adesso di questo settore, che io dico questo; ma è un convincimentoprofondo di essere qui a colloquio con dei Confratelli che esprimono una dellegrandi originalità della vocazione salesiana, evangelizzatrice in una dimensione piùampia di quella catechetica. Il salesiano, infatti, non è solo un catecheta, ma è uneducatore e, come tale, sa portare il messaggio di evangelizzazione in tutte le suedimensioni di crescita umana, dove la professionalità costituisce un’area caratteri-stica dell’impegno salesiano.Da queste testimonianze di esperienza personale deduco l’importanza e lagrandezza di questo vostro impegno.Vorrei, ora, approfittare di questo nostro incontro per fare con voi alcune im-portanti riflessioni su quanto state facendo, anche se per pochi minuti e con ovvilimiti che provengono da non essere io immerso direttamente, come lo siete voi,nell’impegno che state assolvendo, ma che percepisce l’importanza di tutto ciò.
2. ECCO ALCUNE IDEE CHE TRAGGONO ORIGINE ANCHE DA UN PO’ DI RIFLESSIONE
a. Superare il settorialismo ispettorialeLa prima di queste idee riguarda proprio la motivazione principale di questavostra Assemblea che non è soltanto espressione dell’importanza della formazioneprofessionale, già rilevata nell’impressione introduttiva a queste mie parole, ma ri-sponde ad un’esigenza caratteristica e specificatamente italiana che investe le strut-ture educative in una svolta socio-politica di questo paese e che risulta, a chi pro-viene da esperienze di altri paesi, urgente ed indispensabile soddisfare, anche conl’aiuto e la collaborazione del Superiore Regionale, don Natali, qui presente.Si tratta della necessità di SUPERARE IL SETTORIALISMO ISPETTO-RIALE per entrare in una dimensione di livello nazionale.
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Voi avete appena costituito una Federazione che, appunto perché in dialogo econfronto continuo con l’elaborazione di leggi o progetti di leggi regionali e nazio-nali, deve aggregare le strutture e le iniziative periferiche in linee unitarie coordi-nate e promosse da un organismo vivo che opera a livello nazionale.Più volte ho detto al Superiore Regionale D. Natali, da quando ci troviamo alavorare insieme, che la CISI ha un’importanza fondamentale nel creare le struttureintermedie nel processo di decentramento. Una di queste strutture intermedie è il li-vello operativo nazionale.Anche in questo Don Bosco ci è di esempio: egli ha fondato la nostra Congre-gazione in un processo generale di secolarizzazione; ossia, quando si sopprimevanogli istituti religiosi egli fonda, accettando tutte le sfide. E la sfida è: noi per esserereligiosi non possiamo non tener conto delle leggi sociali, belle o brutte che siano,non certo per adeguarsi ad esse in modo acritico. Non siamo stupidi! Ci sono sediappropriate per esprimere le nostre valutazioni di cittadini che hanno il senso dellapersona umana, della democrazia e della necessità di creare una società sempre piùrispettosa della crescita umana. Questo però può diventare una discussione di tipoastratto e che minaccia di concludere al nulla di fatto.Don Bosco era un realista: “noi cercheremo in tutte le cose la legalità... se sirichiedono esami, questi si subiscano, se patenti o diplomi si farà il possibile perottenerli: e così si andrà avanti” (cfr. E. Ceria, Annali, vol. I, pag. 30).La conclusione di questa prima riflessione è, appunto, quella di non tralasciaresforzo alcuno per costruire un’associazione che operi ad un livello superiore delleIspettorie. Perché, non mi sembra un’esagerazione l’affermare che non c’è futuro,letto alla luce dell’attuale situazione socio-politica, se non seguendo quella stra-tegia salesiana che ci permette di inserirci in questa dimensione strutturale che vacrescendo in questo paese.Qui c’è novità!Si parla, oggi, di necessità di nuove presenze salesiane: in questo settore, voidimostrate una novità di presenza salesiana che non si è inventata ieri. E questo èbello, perché significa che nel cuore salesiano c’è sempre la fantasia e la capacitàdi scelte intelligenti.Capisco, però che queste scelte crescono tra difficoltà varie e non tutti percepi-scono immediatamente le ragioni valide che guidano a tali scelte; e c’è anche da la-mentare che qui ci siano solo due persone che debbono sentire bene questo rilievo,Don Paolo Natali e Don Carlo Melis che incarichiamo di riferire, nella prossimariunione della CISI, il parere di tutti noi su questa novità che non è moda, ma ri-sponde alle esigenze dei tempi.In fin dei conti... è far crescere le strutture che ci sono e ripensare alla lorostrutturazione.Se c’è stato un Santo e un Fondatore che non si è legato alle strutture, questo èDon Bosco. Sarebbe ridicolo che facessimo dipendere il nostro futuro da struttureanacronistiche. E per inventare strutture bisogna sudare, soffrire: noi lo facciamo,
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voi lo state facendo. Ecco, in sintesi, il contenuto di questa prima riflessione:questo tipo di ASSOCIAZIONISMO deve operare a livello superiore delle Ispet-torie, non perché queste non servano, ma perché la configurazione dell’attuale so-cietà italiana ha, oggi, questa esigenza.b. Una seconda importante riflessione: perché fare questo?Mi sembra che il ruolo e l’importanza di questa Federazione è non tanto di na-tura socio giuridica, anche se questa ci deve essere per le osservazioni fin quiesposte, ma di natura socio-culturale.È impossibile un dialogo, un confronto culturale nel mondo del lavoro, oggi alivello di ogni singolo Centro di Formazione Professionale, sia che questo operi aSelargius, a Sesto S. Giovanni o a Lecce. Non perché a questo livello ciò non sipossa fare, ma risulterebbe condizionato dall’ambito ristretto e locale.Un più valido confronto si deve fare a livello del mondo del lavoro, che è unarealtà molto complessa, organizzata e, purtroppo, troppo politicizzata e con unacultura monopolizzata da ideologie che sono spesso anticulturali.Non per questo dobbiamo abbandonare il campo e lasciare questo mondo cul-turale: ma dobbiamo far valere la nostra presenza non isolatamente, come formicheche arrivano per caso, ma come un corpo organico.Inoltre, voi avete la fortuna di ricorrere all’appoggio di un cervello pensantesalesiano, la nostra Università dell’UPS, che vi può sostenere su specifiche proble-matiche e riflessioni che riguardano le strutture educative, la scuola, ecc...Anche questo concorre a sviluppare una statura CNOS-FAP che, dalle conver-sazioni che io ho avuto con qualcuno di voi, è già affermata a livello nazionale epersino a livello europeo. Si, perché bisogna pensare anche a questo livello di con-fronto culturale, prima nell’ambito salesiano, e poi, attraverso la collaborazione deiconfratelli che operano negli altri paesi del MEC, anche a livello Europeo, perché sicammina verso una convergenza europea di tutte le iniziative di promozione umana.È, dunque, un discorso serio, un discorso impegnativo, un discorso che ri-chiede proprio una conversione di mentalità in ciascuno di voi, se non siete ancoraconvertiti, ma anche negli Ispettori e in tutti i salesiani. Ormai, o parliamo a questolivello o noi siamo dei muratori in educazione; e questo proprio in un momento sto-rico in cui le strutture educative vengono delineate e riformate da organismi mini-steriali e legislativi. Ora, noi abbiamo una statura di storia educativa da poter reg-gere al confronto con questi dicasteri e legislatori e non dobbiamo rassegnarci alruolo di facchinaggio educativo.Dobbiamo riconoscere che spesso ci siamo comportati in tale maniera. Ciò loconstato non tanto in Italia, ma in altri paesi: lavoriamo tutti con sacrificio, ma nonincontriamo nei punti chiave dove si apre e si chiude il futuro. E questo, perché?Forse non abbiamo sempre avuto magnanimità; mentre D. Bosco era un uomodalle vedute larghe e sapeva essere all’altezza di trattare con i Ministri del Regno econ il Papa sui problemi che riguardavano la Chiesa e le relazioni tra Chiesa e Stato.
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Questo tipo di politica, Don Bosco l’ha fatta: una politica a lettere maiuscole,una politica che riconosce alla cultura una grande importanza nel processo dicrescita di un paese e di una nazione, sotto il profilo civile che noi sappiamo illu-minato ed irrobustito dal Vangelo, anche se ciò non potrà essere sempre manife-stato apertamente, perché il Vangelo c’illumina su certi valori che sono fonda-mentali.Noi siamo impegnati nell’evangelizzazione mentre altri, come il governo cheha onorato quel nostro confratello nella Terra del Fuoco, sanno riconoscere sola-mente la nostra dimensione di promozione umana, sfuggendo a loro le connota-zioni precise, di evangelizzazione che anima ogni nostro intervento.La conclusione di questa seconda riflessione è dunque: CAPACITÀ DI SO-STENERE IL CONFRONTO CULTURALE, sommando e facendo convergere tuttele forze disponibili su qualificanti progetti e programmi che impegnano la nostrapresenza nel conseguimento di questo obiettivo.c. Formare il personaleUna terza riflessione, anche questa importante.Mi sono informato un po’ per conoscere quanti sono i salesiani che sono impe-gnati in queste attività di formazione professionale in Italia: circa 500 confratelli,che rappresentano circa il 45 per cento di tutto il personale che opera a vari livellinelle strutture dei Centri di Formazione Professionale CNOS-FAP.L’indice percentuale dei salesiani, rispetto a quello dei collaboratori esterni,non mi spaventa. Provengo dal Cile, e ho visto paesi dell’America dove la percen-tuale dei salesiani impegnati in iniziative di promozione umana scende anche ad unrapporto del 10 per cento, o al di sotto... e si è pure contenti.Non è che io abbia paura del livello di guardia a cui siete arrivati, sia esso il50 per cento o il 20 per cento o, volesse il cielo, il 70 per cento attraverso la cre-scita di queste vocazioni.Ma il problema, che tocca i salesiani e i non salesiani, riguarda invece, la for-mazione di questo personale.Bisogna ribadire queste idee: non si tratta solo di amministrare una scuola pro-fessionale o di far funzionare officine e laboratori: si tratta di elaborare una culturamoderna, dove la problematica del mondo del lavoro costituisca l’asse fondamen-tale, anche in adempimento alla Costituzione Italiana che vuole questa Repubblicafondata sul lavoro.Ora, il mondo del lavoro ha una funzione di tipo culturale straordinaria. Forseavete letto articoli e studi del Padre Chenu sulla teologia del lavoro e dell’influssodell’organizzazione del lavoro, specie quello di tipo industriale. Basta un esempio;egli dice: prendete un paese che vive di cultura rurale... tutti in chiesa tutti attornoal parroco.Una simpatica cultura, che abbiamo quasi tutti vissuto negli anni della nostrafanciullezza!
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Bene, costruite in questo paese una fabbrica di tremila operai e, a distanzadi dieci anni, osserverete che quasi più nessuno va in chiesa e quasi tutti si procla-mano atei.Perché questo?Perché il tipo di organizzazione industriale del lavoro porta con sé un cambiodi rapporti umani, un cambio di pensiero del modo di concepire le cose e anchedi una maniera di esprimere la religione che ci si figura fondamentalmente di-versa.Per noi, essere presenti non significa tanto dedicarsi con competenza nei varisettori di attività professionale, ma essere presenti nel mondo del lavoro con unafunzione cristiana, senza stare a far prediche, ma costruendo un mondo del lavoroaperto al Vangelo e alla presenza di Gesù Cristo. Questo non è cosa facile: è unodegli impegni più difficili che la Chiesa deve assolvere.Si è tanto parlato di “apostasia delle masse”, ecc...: tutte affermazioni che biso-gnerebbe ripensare e controllare fino a che punto sono vere. Perché, io provengo dauna famiglia di operai, da un ambiente di operai e so che questi sono cristiani, pro-prio in senso sostanziale. Quello che manca è proprio l’approfondimento di certidiscorsi.Anche questa realtà ci convince dell’importanza di avere una formazione e didare una formazione specifica ai nostri collaboratori, sopratutto al nostro personalesalesiano, a ciascuno di noi, ai confratelli di ogni casa, ai Coadiutori Salesiani chelavorano in questo campo e costituiscono, per me, il fondamento e l’espressionestoricamente massima e più intelligente della figura del Salesiano Coadiutore chedobbiamo recuperare e far fiorire.E poi formare i nostri collaboratori che scelgono di lavorare con noi, perchéentrino in questa mentalità. Anche qui non bisogna avere paura che questi siano inproporzione maggiore dei salesiani; anzi, io credo che dovremmo rallegrarci, pro-prio ispirandoci a Don Bosco.In quale fase storica della sua vita Don Bosco ha operato disponendo di mag-gior numero di salesiani rispetto ai collaboratori non salesiani?In quale fase? Nel periodo di massima intensità di diffusione del suo sistemapreventivo, egli non disponeva di salesiani... e ha fatto santo Domenico Savio.Questa è storia!Dunque, la terza riflessione ci richiama proprio alla formazione del personale,senza spaventarci dei numeri, ma badando alla qualità e riconducendoci a questamentalità, tanto importante.d. La partecipazioneUn’ultima considerazione, che ci ricollega ad un discorso comune a tutta lascuola: la sintetizzerei nel termine PARTECIPAZIONE. Non si può più concepireun Centro di Formazione Professionale, o altra istituzione scolastica, che sia gestitadai soli religiosi, come padroni.
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La comunità educativa è una realtà che è presente in altri paesi e porta fruttipositivi. Credo che anche in Italia, pur non conoscendo io a fondo tale realtà, que-st’esperienza sia già in un processo avanzato di crescita. Una comunità educativache ricerca al massimo di partecipazione di tutti coloro che intervengono in questoprogetto di crescita umana: genitori, docenti salesiani ed esterni, giovani, amici ecollaboratori che sono interessati al mondo dell’educazione. “Partecipazione”, hodetto, e non cogestione.La cogestione, infatti, ha riferimento a progetti concreti e può funzionare incerti contesti e non funzionare in altri.Ricordo, a questo proposito, che nell’Ispettoria del Cile, dove io ho lavorato, nonsi è potuto fare cogestione. Mentre in un collegio di Santiago, denominato Patrociniodi S. Giuseppe al quale accedevano allievi di classe medio-borghese, era possibilefare tutto con i genitori, con la collaborazione di due o tre salesiani soltanto, in altrazona, invece, a Puerto Natales nella Patagonia Cilena, era impossibile far cogestione,perché i genitori erano tutti minatori che andavano a lavorare in Argentina e... beve-vano e non si preoccupavano affatto dei figli: non avevano capacità alcuna di coge-stione. Dunque, nello stesso paese, nello stesso periodo, di fronte allo stesso concettodi comunità educativa bisognava elaborare progetti concreti e diversificati che sicommisurassero alle circostanze locali. Ecco perché io parlo di partecipazione.E qui bisogna operare un’altra conversione che ci richiama alla responsabilitàdelle scelte salesiane, senza lasciarci sfuggire dalle mani i punti veramente nevral-gici della guida di una comunità educativa. È lì che i salesiani si qualificano.Perché se per partecipazione si intende solamente dare importanza agli altri e, con-seguentemente, si assume personale indiscriminato, potremmo, voi me lo inse-gnate, trovarci in casa nostra di fronte a penosi condizionamenti ideologici non au-gurabili a nessuno. Nell’affermare questo, mi rifaccio anche all’esperienza perso-nale. Sarebbe veramente ridicolo che nel nostro impegno per costruire e far cre-scere il pluralismo culturale offrissimo, invece, opportunità all’affermarsi, in casanostra, dell’egemonia culturale.Inoltre, vi dico questo in relazione ad una risposta che Padre Voillaume ha datoad una domanda posta da un superiore di religiosi, proprio su questi argomenti. Eb-bene, questo Padre, superiore della nuova Congregazione di Charles de Foucould eche è noto per il suo sostegno al carisma piuttosto che alle strutture, ha risposto so-stanzialmente così.
“Sono passato attraverso un periodo della mia vita in cui pensavo che la scuola catto-lica fosse una struttura ormai obsoleta, anacronistica, ... e che fosse più utile che i reli-giosi e i cattolici, che volessero impegnarsi nella cultura, si inserissero nella scuola sta-tale.E, infatti, molti hanno fatto questa scelta, in Francia.Qual è il risultato di questa esperienza?Io sono convintissimo – ha continuato il Padre – che in queste strutture già organizzatesu altre ideologie non c’è spazio di azione e la presenza di questi cattolici è una presenzafacilmente emarginabile che ha scarsa incidenza sull’elaborazione della cultura.
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Mi sono convertito – ha concluso il Padre – della necessità delle scuole cattoliche, nondi una gestione totale e di padronanza economica, ma nel senso di possedere punti stra-tegici di elaborazione di una cultura aperta al vangelo e da proporre ai credenti”.
Da tutte queste osservazioni si rileva, dunque, la necessità ed utilità di avereconcrete possibilità di organizzare la comunità educativa in dimensione partecipa-tiva, coinvolgendo tutti i collaboratori, con specifiche competenze e responsabilità,per garantire qualificati interventi di ispirazione cristiana nella crescita del mododel lavoro.Ciò costituisce un impegno importante.Ecco, queste sono alcune riflessioni serie che io ho voluto manifestare a rico-noscimento del vostro lavoro e che ho sperimentato nella mia vita.Vi auguro che possiate continuare a far crescere e qualificare questo vostroimpegno non solo a dimensione tricolore, ma...europea, avvalendovi anche dellacollaborazione del Superiore Regionale Don Paolo Natali, perché egli possa irrobu-stire queste idee e riconfemarle nella prossima riunione della CISI, nella qualeanche l’Ispettore qui presente, Don Carlo Melis, avrà modo di portare tutti i vostridesideri e il vostro proposito.Vi saluto...Buon lavoro.
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Missione salesiana e mondo del lavoro Egidio VIGANÒ
Nel 1983, il Rettor Maggiore don Egidio Viganò, ha scritto lalettera dal titolo “Missione salesiana e mondo del lavoro” (Attidel Consiglio Superiore n. 307 del 1983).Nella parte introduttiva scrive:“... ho constatato che la nostra Vocazione salesiana è umil-mente ma concretamente impegnata in questo urgente e vastocompito. Lo è tra i popoli economicamente più bisognosi, i cuifigli promuovono una crescente coscienza e professionalità nelmondo del lavoro. Lo è tra i popoli industrializzati dove aprel’educazione dei giovani a un processo critico e propulsivo ca-pace di evangelizzare coraggiosamente, con acuto senso delmessaggio di Cristo, la “cultura del lavoro”.Siamo chiamati a collaborare, nella Chiesa, alla formazionedelle coscienze per aiutare a rimettere il lavoro nell’orbita diuna morale orientata e vivificata dall’amore e sorretta dallapotenza dello Spirito Santo.Quante richieste mi sono state fatte di centri professionali;quanta necessità di Salesiani Coadiutori numerosi e compe-tenti; quale urgenza di saper coinvolgere la Famiglia Salesianae il Laicato cattolico in un impegno così straordinariamente at-tuale!” (p. 6).Sotto la guida di don Juan Vecchi, Consigliere generale per lapastorale giovanile, la Sede Nazionale ha fatto una selezionedei brani più significativi, offerta a tutti coloro che sentono l’e-sigenza di una migliore formazione, per fare dei giovani chevengono nei CFP del CNOS-FAP, non solo degli ottimi tecnicima anche e soprattutto degli annunciatori del Vangelo nelmondo del lavoro.
1. DI FRONTE AL PROCESSO TECNICO
1.1. Mentalità circa il lavoroLa tecnica è un prodotto dell’intelligenza umana, è progresso, è promozione,è possibilità di crescita in dignità ed efficacia di convivenza sociale. Sarebbe unerrore identificarla con usurpazioni ideologiche di tipo capitalista o marxista. Pur-troppo questo grande apporto dell’intelligenza, che è la tecnica, risulta, di fatto, piùal servizio dell’egoismo (di gruppo o di Stato) che della fraternità. Non lo è perpropria natura, bensì per l’indebita appropriazione che ne hanno fatto i potenti. Ecosì, fin dal secolo scorso, si è venuta creando e sviluppando una dilagante menta-lità circa il lavoro animata più dall’interesse che dalla morale, più dal potere didominio che dalla giustizia sociale.
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1.2. Liberare il progresso tecnicoPenso allora che uno dei più urgenti compiti da affrontare nell’opera di evan-gelizzazione è quello di liberare eticamente il progresso tecnico e l’organizzazionedel lavoro dagli artigli dell’egoismo per metterli veramente al servizio di tuttal’umanità, sforzandosi di riconsegnare questa importante attività umana alla sferadell’etica e della carità.
1.3. Evangelizzazione del lavoroLa nostra vocazione salesiana è umilmente ma concretamente impegnata inquesto urgente e vasto compito. Lo è tra i popoli economicamente più bisognosi, i cuifigli promuove ad una crescente coscienza e professionalità nel mondo del lavoro.Lo è tra i popoli industrializzati dove apre l’educazione dei giovani ad un pro-cesso critico e propulsivo capace di evangelizzare coraggiosamente, con acutosenso del messaggio di Cristo, la “cultura del lavoro”.Siamo chiamati a collaborare, nella Chiesa, alla formazione delle coscienzeper aiutare e rimettere il lavoro nell’orbita di una morale orientata e vivificata dal-l’amore e sorretta dalla potenza dello Spirito Santo.Mi è parso opportuno, perciò, invitarvi a riflettere insieme su un aspetto con-creto della nostra missione tra i giovani, quello dell’“evange1izzazione del lavoro”:tema che interessa tutti a pieno titolo.
1.4. Tema importante e attualeIl tema è d’importanza tale e di tale attualità da investire a fondo. A prima vistapotrebbe anche intimidirci per la sua vastità, per la sua complessità e per la co-stante sua evoluzione. Ma noi non pretendiamo in assoluto di farne uno studio;ci proponiamo semplicemente di risvegliare la nostra sensibilità. Sono convintodi star lanciando un vero grido d’allarme di fronte ad un segno dei tempi, come sefosse un pressante invito dello Spirito del Signore che va preso molto sul serio.
2. MONDO E CULTURA DEL LAVORO
Sappiamo che il lavoro in tutte le sue forme costituisce un’esperienza fonda-mentale dell’esistenza umana. Ha concorso a modellare la persona e la società nonsoltanto esternamente, ma nel nucleo esistenziale con cui l’uomo elabora se stessoe la civiltà. Si parla appunto di un “mondo” e di una “cultura” del lavoro, ad indi-care che il suo influsso travalica la sola produzione di beni economici. Attorno allavoro si aggregano forze diverse, sorgono valori e disvalori, si elaborano norme erapporti, si matura una visione dell’uomo e del suo destino. È comprensibile cosìche il lavoro abbia attirato l’attenzione non solo di coloro che cercano di strutturaremeglio la società, ma anche degli annunciatori del messaggio cristiano.
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2.1. Far crescere una “spiritualità del lavoro”Il Magistero della Chiesa è intervenuto frequentemente, in questo secolo rivol-gendosi ora ai lavoratori, ora ai protagonisti dell’evoluzione sociale, ora agli opera-tori di pastorale con documenti ricchi di saggezza e di prospettive. Recentemente ilPapa Giovanni Paolo II ci ha offerto una ricca visione magisteriale con un’impor-tante lettera enciclica1. Essa s’impegna a sviscerare il senso umano del lavoro, afondare un’etica rinnovata che sostituisca quella ormai erosa dalle ideologie tempo-raliste, e ad indicare ai cristiani la missione urgente di far crescere una “spiritualitàdel lavoro” mentre partecipano, per gli altri aspetti, agli sforzi di tutti nel consegui-mento delle giuste mete che il movimento dei lavoratori si propone.Così il lavoro, insieme al tema della famiglia, della vita e della libertà civile,entra a far parte del tessuto di quel discorso pastorale sull’uomo che l’attuale Papaha inaugurato con la “Redemptor hominis”.La Congregazione Salesiana non è mai rimasta insensibile a tali urgenze e oggisi sforza per rispondere a questi appelli. Negli ultimi mesi (fin dal 1980) si è svi-luppata in alcune aree una crescente riflessione sulla presenza salesiana nel mondodel lavoro; si sono raccolte statistiche, si sono organizzati incontri, si sono elaboratidei progetti educativi specifici. Alle dense giornate della Spagna (settembre 1981) edell’Italia (febbraio 1982) ha fatto seguito un Convegno europeo sulla nostra mis-sione tra i giovani lavoratori d’Europa (maggio 1982), e poi l’incontro della zonadel Plata (agosto 1982) avutosi a Buenos Aires.Si tratta di un tema particolarmente vincolato con il nostro tipo d’azione evan-gelizzatrice, con i destinatari preferenziali della nostra missione e con la richiestaangosciosa soprattutto delle nostre presenze tra i giovani più bisognosi.
3. LEGAMI DI DON BOSCO CON IL MONDO DEL LAVORO
3.1. Vale la pena far memoria di ieri per orientare il futuroDon Bosco ci ha lanciato in orbita. Vediamo che una stretta affinità ha legato ilnostro Padre al mondo del lavoro: dal contesto rurale agli inizi dell’epoca preindu-striale e industriale.I problemi d’impiego e di occupazione per sopravvivere erano ordinari nellafamiglia Bosco in cerca d’impiego, affitto di terra e prestazione di lavori. Giovan-nino nasce e cresce familiarizzandosi con i temi e le esperienze di lavoro ruralepercepite dal punto di vista di chi deve subirne le conseguenze in una situazionesfavorevole, anche se vissuta ed accettata come situazione normale di vita.La sua fanciullezza è dominata da queste realtà e i fatti ricordati nella sua auto-biografia (morte del padre, primi studi) sono fortemente vincolati con il lavoro,
1 Luborem exercens, 14 settembre 1981.
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come lo era tutta l’esistenza. I dieci anni di vita trascorsi a Chieri come studente lovedono guadagnarsi il pane con varie prestazioni. Vengono poi gli anni del semi-nario che rappresentano una quasi esclusiva dedizione allo “studio”, senza dimi-nuire però il suo interesse, nei periodi estivi, per il lavoro manuale, del quale perce-piva la dignità e in cui esprimeva la sua creativa praticità.I primi anni di sacerdozio e la sua scelta di essere “missionario della gioventù”lo collocano a contatto con turbe di giovani stagionali che venivano a cercare lavoronella città di Torino che si andava dilatando, affrontando così i fenomeni di un’eragià preindustriale: l’emigrazione, il lavoro giovanile, lo sfruttamento, l’ignoranza.II desiderio di affrontare i problemi di vita dei giovani lo spinge ad avviare ini-ziative destinate a risolvere i problemi più urgenti del presente, mentre matura in-terventi più sostanziali per la loro promozione umana, culturale, spirituale, contri-buendo umilmente ma concretamente alla trasformazione della società.
3.2. Il primo “Oratorio” iniziativa per i giovani lavoratoriIl primo oratorio aperto a tutti fu, infatti, soprattutto, un’iniziativa per i giovanilavoratori. Il ragazzo sul quale si cominciò a edificare l’opera morale e religiosadell’oratorio presenta questa carta d’identità: Bartolomeo Garelli, orfano, analfa-beta, emigrante, manovale. “In generale – scriveva Don Bosco – l’Oratorio era for-mato di scalpellini, muratori, stuccatori, selciatori, quadratori e di altri che veni-vano da lontani paesi”2.La popolazione oratoriana era così caratterizzata che l’anno 1842 si celebròsolennemente nell’oratorio la festa del muratore3.A favore dei piccoli lavoratori Don Bosco intraprenderà, con altri sacerdoti,la scuola serale ed iniziative di educazione sociale, i contratti di lavoro serale e levisite sui posti di occupazione.
3.3. I primi laboratoriMa l’attenzione ai giovani “artigianelli”, come si diceva allora, fece maturareuna seconda fase. Consistette nell’offrire loro una residenza. I giovani avviati allavoro vivevano con Don Bosco e andavano in città per imparare un mestiere, allostesso modo che gli studenti andavano a prendere lezioni da appositi maestri. Quiinteressa richiamare l’iter seguito da Don Bosco a vantaggio dei suoi “artigiani”.Alla loro uscita in città seguì l’insediamento dei laboratori nella propria casa, un’u-mile e coraggiosa epopea su piccola scala. Ha inizio nel 1853, anno in cui sorgeuna calzoleria con alcuni metri quadrati di disponibilità, gli strumenti più semplicie a buon mercato, con tanti allievi e Don Bosco come capo d’arte. “Col soccorsodei benefattori, comprati alcuni deschetti e gli attrezzi necessari collocò il labora-
2 S. G. BOSCO, “Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales”, Roma, pag. 129.3 Ivi, pag. l30.
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torio calzolai in un piccolo corridoio di casa Pinardi presso il campanile dellachiesa. Allorché gli studenti erano a scuola in città Don Bosco andava a sedersi aldeschetto per insegnare il maneggio della lesina e dello spago impeciato per rattop-pare le scarpe”4.Questo coraggioso periodo di ricerca si conclude nel 1862, anno in cui il “mo-dello” delle prime scuole salesiane assume una fisionomia propria. Il tutto seminatodi aneddoti, iniziative e peripezie che i limiti di questo scritto non permettono dievocare. Fa sorridere pensare che la prima sartoria nacque negli ambienti rimasti li-beri dopo il trasloco della vecchia cucina, e che ebbe come prima maestra MammaMargherita! Così pure fa sorridere la precaria istallazione della tipografia sullaquale Don Bosco fondava i suoi sogni di editore e di pubblicista.Si trattava di laboratori incipienti il cui primo e totale responsabile era DonBosco. Erano nati dalle molteplici e convergenti domande sorte in quella comunitàgiovanile e in quella casa ormai culla di una Congregazione proiettata a raggiomondiale: provvedere all’inserimento cristiano dei ragazzi nel mondo del lavoro,ridurre i costi di quell’alveare giovanile, appoggiare i piani apostolici e provvedereall’allargamento delle strutture di una Congregazione in espansione. Ciascun labo-ratorio segna una tappa non soltanto dell’evoluzione educativa in Don Bosco, maanche dell’assunzione di una concreta capacità tecnica al servizio della società.
3.4. La Scuola di arti e mestieriLa fase finale è quella della scuola di arti e mestieri con personale, fisionomia,progetto educativo propri. La figura del Salesiano Coadiutore aveva ormai un pro-filo e la Congregazione, dopo un’esperienza di quasi trenta anni, raccoglieva neldocumento “Indirizzo da darsi alla parte operaia nelle case salesiane e mezzi di svi-luppare la vocazione dei giovani artigiani”, l’insieme di orientamenti e programmi:maturavano quei germi organizzativi che erano nati col primo regolamento dei la-boratori (anno 1853)5.
3.5. L’“Oratorio” e la “Scuola Professionale”Alla morte del Fondatore la Società di San Francesco di Sales si presentavacon svariati tipi di attività educativa. Ma due la caratterizzavano fino ad esserestrettamente collegati con la sua immagine: “l’Oratorio” e la “Scuola Professionale”.
4 Memorie Biografiche ZV, pagg. 659 - 660.5 Del 1853 è il REGOLAMENTO per i Maestri d’arte (MB IV, 661). Dello stesso tempo, peròcon data non definita perché fatto da diverse aggiunte nel tempo, è “IL PRIMO PIANO DI REGOLA-MENTO PER LA CASAANNESSAALL’ORATORIO DI SAN FRANCESCO DI SALES”. Esso hagià indicazione per:- L’Assistente di Laboratorio, Cap. V, art. 9;- Responsabile di Laboratorio, Cap. VII, art 1;- Maestri di laboratorio, Cap. IX.Tra il 1853 e il 1861 si perfeziona la regolamentazione (MB, IV, pagg. 735-755).
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Don Bosco aveva portato a termine la sua risposta ad un’urgenza e lasciavasolidi orientamenti per un efficace intervento apostolico dei Salesiani tra i giovaniapprendisti: un modello di scuola (Valdocco); un progetto educativo (in un docu-mento del Capitolo Generale N); alcuni principi di organizzazione (Regolamentodei laboratori); un incarico a livello di direzione generale (Consigliere professio-nale); una figura di membro della comunità salesiana pensata particolarmente infunzione di queste presenze, sebbene aperta a molteplici altre possibilità (il Sale-siano Coadiutore); uno spirito peculiare e adeguato che comprende, in particolare,la professionalità, il lavoro, lo spirito di sacrificio, il senso sociale.Sarebbe interessante percorrere l’evoluzione avvenuta in Congregazione dopola morte di Don Bosco e nella prima metà del nostro secolo, storia in molte parti dipionierismo e di attenzione al progresso tecnico e pedagogico.
3.6. Opera preferenzialmente richiestaColpisce una coincidenza: in una gran parte dei nuovi Paesi che desideravanola presenza salesiana, l’opera preferenzialmente richiesta era la scuola professio-nale.La sensibilità di Don Bosco per il mondo del lavoro include anche il suo vivointeresse riguardo a certi fenomeni collegati ad esso, come l’emigrazione verso altricontinenti, le vicende degli incipienti problemi sociali e le molteplici iniziative ditipo culturale e di evangelizzazione dei ceti popolari.
4. VICINANZA CONGENITA CON IL FENOMENO UMANO DEL LAVORO
Alla luce delle circostanze odierne scopriamo nella nostra vocazione, tra glialtri valori, un’affinità carismatica e una vicinanza congenita col fenomeno umanodel lavoro e con i bisogni dei giovani che ad esso si avviano.Percepiamo, al di dentro di una fondamentale predilezione per la gioventù so-prattutto più bisognosa (e senza disattendere altre caratteristiche della nostra mis-sione), un’indicazione vocazionalmente connaturale verso quel complesso mondodel lavoro in cui urge far brillare il Vangelo e che oggi s’impone come una priori-taria esigenza dei tempi.Lo riconosciamo sia nella considerazione della nostra specifica missione, sianel peculiare “spirito” che ci anima, sia nella “forma” stessa della Congregazione,sia nell’attuale richiesta d’urgenti “opzioni pastorali” in tale settore. Vediamonebrevemente il come.
4.1. La missione salesianaInnanzitutto possiamo percepire questa inclinazione congenita nell’approfon-dire la nostra specifica missione. Sin dal manoscritto costituzionale del 1859 i gio-
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vani “avviati a qualche arte o mestiere” e le presenze ad essi destinate vengonomenzionati subito al secondo posto tra i destinatari e le opere della Congregazione,immediatamente dopo gli Oratori. Questa collocazione è conservata successiva-mente in tutte le riformulazioni. Le attuali Costituzioni, dopo essersi riferite informa generale agli adolescenti e ai giovani come destinatari della nostra missione,stagliano la figura speciale del giovane avviato al mondo del lavoro: “I giovani delceto popolare che si avviano al lavoro, anche se non vivono in condizioni di mi-seria, trovano spesso difficile inserirsi nella società e nella Chiesa. Imitando la sol-lecitudine di Don Bosco per gli apprendisti li guidiamo a prendere il loro postonella vita sociale, culturale e religiosa del loro ambiente”6.All’interno della varietà e della creatività con cui la Congregazione si è impe-gnata in vari Paesi, ci sono “tipi” di presenze tra i giovani specialmente vincolatecol mondo del lavoro; esse hanno attraversato tempi e frontiere e costituiscono unavera “caratteristica salesiana”.
4.2. L’Originalità dello spirito salesianoPercepiamo questa inclinazione analizzando l’originalità del nostro spirito. Ècentrato sull’operosità in una forma tanto concreta che ci avvicina, quasi direi pernatura, alla praticità del lavoro per trovare in esso un’appropriata incarnazione apo-stolica.È vero che, nell’ambito del nostro spirito, con il termine “lavoro” Don Boscointende significare ogni forma apostolica e di servizio nell’occupazione del tempo:lavoro è certo anche predicare, scrivere, studiare, amministrare i sacramenti, ecc.Ma è altrettanto vero che il nostro Fondatore ha portato sugli altari il vissuto e i va-lori del popolo lavoratore del suo tempo, secolarmente cristiano con una cultura giàin lento declino ma permeata di Vangelo (alacrità, sacrificio, servizio, praticità,competenza, solidarietà, religiosità, ecc.), perché noi divenissimo “profezia” vi-vente di determinate virtù da far permanere e da adattare all’irrequieto e crescentenuovo mondo del lavoro. Egli ha sperimentato, di fatto, l’originalità del suo spiritoanche in un continuo contatto apostolico con i giovani apprendisti più bisognosi.Così, nello spirito di Don Bosco, l’insistenza sui valori umani e cristiani del lavorosi carica di risonanze pratiche, di significato manuale e tecnico, che spingerà poivitalmente la Congregazione ad interessarsi generosamente dell’evangelizzazionedi una nascente epoca marcata da un dilatarsi appunto del lavoro umano.Questo peculiare spirito, che ammira e assimila i valori del lavoro in generale,ci dà e sorregge in noi una speciale sensibilità apostolica verso le urgenze giovanilinello specifico mondo del lavoro. Ha sospinto a curare una concreta pedagogiad’avviamento al lavoro: “Ricordatevi, cari giovani – diceva innanzitutto – chel’uomo è nato per lavorare!”. E proponeva loro il lavoro non come castigo, macome valore intrinseco allo sviluppo integrale della propria capacità di amare.
6 Costituzioni, 11.
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La Congregazione è cresciuta in questo clima. A ragione il Capitolo Generale21, parlando della specificità della presenza salesiana nella scuola, enumera, tra lecostanti che la devono caratterizzare la seguente: “Scuola di lavoro perché insegnaa vivere la caratteristica spiritualità del lavoro, mantiene un abituale e cordiale col-legamento col mondo del lavoro; ma soprattutto perché in molti posti realizza corsidi alfabetizzazione e corsi serali per lavoratori; prepara con la formazione profes-sionale d’avviamento al lavoro i giovani apprendisti ad entrare nel mondo del la-voro con una loro qualifica”7.
4.3. La forma della Congregazione SalesianaMa c’è di più: per capire questa propensione innata dobbiamo considerareanche la forma stessa della Congregazione. Essa è costituita da “ecclesiastici elaici”, comporta la presenza sostanziale di “capi d’arte”, di “tecnici” e di “arti-giani”, che le imprimono una fisionomia di vita e di azione tutta propria.La componente laicale permea la forma stessa della Congregazione e, di con-seguenza, dà un suo tocco concreto alla vita e missione di noi tutti. Non si trattasemplicemente di una collaborazione “laterale” da parte di un gruppo, ma di unorientamento “intrinseco” al nostro tipo di comunità apostolica, con una sua fun-zione pastorale che include una specifica “coscienza di apertura secolare”8 che cispinge vocazionalmente (e, perciò, comunitariamente!) ad interessarci seriamentedei gravi problemi giovanili nel mondo del lavoro.
4.4. Scelta di determinate linee pastoraliE, infine possiamo considerare tale inclinazione nella scelta di determinatelinee pastorali in tale settore.Il Capitolo Generale Speciale insiste su “un’attenzione per la realtà sociale estorica del mondo operaio; lo sforzo di scoprire i suoi valori educativi, umani edevangelici; la preoccupazione di collaborare con i movimenti dediti all’evangeliz-zazione di questo ambiente”9.Ci ricorda inoltre che “l’azione pastorale e di testimonianza tra i lavoratori èuno degli impegni che caratterizzano la nostra vocazione di servizio delle classi piùbisognose. I Salesiani chiamati a questa missione dovranno prima di tutto appro-fondire l’ascolto e la conoscenza delle masse operaie, dei loro problemi, ansie easpirazioni, delle cause dell’atteggiamento nei confronti della Chiesa e dellafede”10.E il Capitolo Generale 21 ci esorta ad essere specialisti della condizione giova-nile e a dare in seno alle Chiese locali l’apporto di un’azione concreta, prendendo
7 Atti del Capitolo Generale 21, n. 131, 2.3.6.8 Atti del Consiglio Superiore n. 298, ottobre-dicembre 1980, pagg. 31ss.9 Atti del Capitolo generale Speciale, n. 74.10 Id. n. 413.
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in attenta considerazione “l’appartenenza al mondo dello studio o della fabbrica, almondo dei campi o dell’impiego. Una cura specialissima si avrà per quei ragazzi egiovani che vivono in contesto di sottosviluppo economico e di emarginazione”11.C’è nella nostra vocazione una vera inclinazione congenita che ci spinge a col-tivare una peculiare attenzione alla gioventù più bisognosa del mondo del lavoro. Ec’è da domandarsi se il Signore non chiami, oggi, la Congregazione a privilegiare,per la sua immensa attualità, questo campo d’impiego apostolico.Uno sguardo alle attuali nostre opere rivela una gamma interessante e varia dipresenze fisiche in tale settore: scuole professionali e agricole, pensionati per gio-vani operai, centri giovanili, parrocchie, animazione di movimenti specializzati,centri promozionali ed altre molteplici attività affidate a persone singole che ope-rano con l’appoggio delle rispettive comunità. I programmi sono diversi. La finalitàè unica: portare il messaggio di Cristo a liberare e a perfezionare il lavoro umano.
5. IL “VANGELO DEL LAVORO”
5.1. Saper proclamare il “Vangelo del Lavoro”12Purtroppo sembra che da anni il Vangelo si sia fermato sulla soglia dei nume-rosi e vasti ambienti del lavoro, sebbene raggiunga ancora non pochi lavoratorinelle loro famiglie e in altri settori privati e individuali. A ragione, dunque, la “La-borem exercens” propone come compito importante dei fedeli il saper proclamareil “Vangelo del lavoro” per cercare un modo nuovo di pensare, di valutare e di agiree dare al lavoro il valore che ha agli occhi di Dio. Ma cosa chiede il saper annun-ciare questo “Vangelo”?
5.2. Riconoscere la consistenza del mondo del lavoroIn primo luogo, richiede di riconoscere la consistenza propria e obiettiva delmondo del lavoro, sia come fattore di umanizzazione personale e sociale e di pro-gresso, sia nelle sue ambivalenze e pericoli, sia nelle predominanti egemonie ideo-logiche che lo deturpano. Esso è la manifestazione storica della vocazione del-l’uomo nell’universo. Non è una materia amorfa, ordinaria e facile, senza emer-genza riguardo alle altre; il compito di un suo adeguamento all’etica e alle esigenzedella carità è assai difficile.Ha le sue leggi, i suoi rapporti, i suoi vantaggi e la sua razionalità intrinsecache è sfociata in quel fenomeno tutt’altro che secondario che chiamiamo “tecnica”.“Se le parole bibliche, ‘soggiogate la terra’, rivolte all’uomo fin dall’inizio,vengono intese nel contesto dell’intera epoca moderna, industriale e postindu-
11 Atti del Capitolo Generale 21, n. 29.12 Cfr. Laborem exercens, 7.26.
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striale, allora indubbiamente esse racchiudono in sé un rapporto con la tecnica...che è il futuro del lavoro dell’intelletto umano e la conferma storica del dominiodell’uomo sulla natura”13.Il Vangelo del lavoro più che una tematica particolare comporta la “pastoraledella società industriale” a cui bisogna riconoscere sinceramente un luogo nellastoria della crescita dell’uomo, in cui rapporti e costumi tipici delle società ruralisono mutati e non necessariamente contro l’uomo. Il Vangelo del lavoro è anchemessaggio profetico-critico del progresso umano e delle tecnologie. Fino a quandonon si è capaci di entrare in questo vasto e dinamico mondo non si sarà capacinemmeno di evangelizzarlo, così come non fu possibile evangelizzare il mondorurale fino a quando la Chiesa non si è inserita nei suoi dinamismi e nella sua men-talità.
5.3. Posto centrale dell’uomoAll’interno della complessità e dei problemi del “mondo del lavoro” va rile-vato il posto centrale dell’uomo come soggetto, origine e finalità del tutto. “Ciòvuol dire che il primo fondamento del valore del lavoro è l’uomo stesso... Si arrivadunque a riconoscere la preminenza del significato soggettivo del lavoro su quellooggettivo”14.Questo è rilevabile a livello di riflessione umana e la parola di Dio lo illuminain modo determinante facendo diventare le “conclusioni dell’intelletto” una “con-vinzione di fede”15.Gesù Cristo venne ad incarnarsi in una storia umana reale, e non in un con-sorzio umano ideale e astratto. In Lui si rivela il disegno di Dio e il progetto storicoed eterno dell’Uomo vero e completo. “Essendo Dio è divenuto simile a noi intutto, dedicò la maggior parte degli anni della sua vita sulla terra al lavoro manuale,presso un banco di falegname. Questa circostanza costituisce da sola il più elo-quente ‘Vangelo del lavoro”16.Il suo non è soltanto un esempio morale, ma la prima rivelazione del genuinopiano di Dio sull’uomo e la sua presenza salvifica nei nostri sforzi di dominio e ditrasformazione del creato.Per questo il lavoro incorporato all’esistenza di Cristo ieri e oggi acquistaun’altra densità. Il mistero della sua morte e risurrezione danno al lavoro un sensodefinitivo, in altre parole non è solo strumentale alla produzione dei beni, ma coo-perazione alla salvezza dell’uomo in senso temporale ed eterno17.
13 Id. 5.14 Id. 6.15 Id. 4.16 Id. 6.17 Cfr. Id. 27.
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5.4. Spiritualità del lavoroInfine dal “Vangelo del lavoro” emerge l’esigenza di una spiritualità che nonva intesa come uno strato più o meno sottile di atti o parole religiose da applicaread una realtà estranea, come se si trattasse di dorare una statua di bronzo; va intesainvece, come capacità di lettura e di partecipazione del disegno di Dio nella storia,competenza e impegno in essa, decisa presa di posizione dalla parte dell’uomo, tra-sfigurazione del mondo e sua offerta al Padre, unione con l’amore redentore diCristo. “Bisogna che specialmente nell’epoca odierna la spiritualità del lavoro di-mostri quella maturità che esigono le tensioni e le inquietudini dei cuori. I cristianisono persuasi che le vittorie dell’umanità sono segni della grandezza di Dio e fruttodel suo ineffabile disegno”18.Appare evidente la necessità d’illuminare con un adeguato messaggio evange-lico il lavoro umano e il progresso tecnico per risolvere certi problemi di sperequa-zione.
5.5. Illuminare con il messaggio evangelico il lavoro umanoC’è un Vangelo e c’è una Spiritualità del lavoro che devono crescere conurgenza nelle coscienze. Il progresso tecnico, frutto dell’intelligenza umana, non è,di per sé, il nemico dei poveri; ha bisogno, però, del messaggio evangelico per di-venire il loro amico!Don Bosco (è più che mai il Vangelo di cui egli è portatore) è lanciato nelmondo del lavoro nel senso più aperto, nelle prospettive più progressiste e avveni-riste, quindi è sintonizzato anche con l’era postindustriale caratterizzata dai compu-ters, dalla telematica, dalle tecnologie più sofisticate e avanzate che sembranoquasi sostituirsi alla mano dell’uomo per impegnare invece la sua intelligenza nellacreatività e funzionamento delle stesse tecniche.
5.6. Preparare la liberazione dell’uomoNon si tratta di legare l’evangelizzazione e l’educazione del mondo del lavoroné all’artigianato primitivo né all’ultimo sviluppo tecnologico; ma di proporre laliberazione di Cristo e la promozione dell’uomo in qualsiasi situazione, a tutti ilivelli e stadi del fenomeno “lavoro”.Così il Salesiano, come è disponibile al lavoro “primitivo” (agrario, preindu-striale e artigianale, neo-industriale...) è pure disponibile al lavoro nelle più avan-zate situazioni di sviluppo in cui sono chiamati e inseriti i giovani.Con una particolare attenzione il Salesiano sa che soprattutto ai poveri va an-nunziata la buona novella. Essa consiste nel liberare sempre più, e nel realizzare, ildiritto degli emarginati a conquistare a loro volta l’uso dei beni e delle tecnologieche non sono affatto retaggio delle sole società più industrializzate della terra. La
18 Id. 25.
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“buona novella” da annunciare è la promozione dell’uomo, la sua abilitazione allavoro, la coscientizzazione del diritto alla tecnica, la destinazione dei beni econo-mici per tutti, la predicazione dell’eguaglianza dei figli di Dio, insieme a quanto èpiù essenziale per il Vangelo: la salvezza integrale della persona e dell’umanità.
6. SFIDA APPASSIONANTE E INEVITABILE
6.1. I giovani avviati al mondo del lavoro richiedono un’educazione integraleIl mondo del lavoro è aperto a tanti giovani, sia nelle società sottosviluppatesia in quelle più progredite. La loro condizione c’interpella. I giovani avviati almondo del lavoro richiedono l’aiuto di un’educazione integrale per inserirsisenza traumi nelle difficili e problematiche situazione reali e per capire e vivereil messaggio autentico di Cristo in un contesto che a prima vista si presenta loroquasi come incompatibile. C’è tutto un insieme di fattori e di condizionamentioggettivi (perfezionamento progressivo di mezzi e di sistemi di lavoro, variabilitàe novità nelle professioni) che esige, specialmente nei paesi a più alto sviluppo,sempre migliori livelli di preparazione professionale e richiede flessibilità e capa-cità di acquisire nuove conoscenze e tecniche rinnovate. A questo si aggiunge unavera erosione dell’etica tradizionale del lavoro, a cui è andata subentrando unavisione utilitaristica dell’individuo, dei gruppi e dello Stato, perciò il lavoro èsolo strumento di benessere a vari livelli e causa di duri conflitti. Le sperequa-zioni, gli abusi, gli scontri, gli odi, le violenze hanno portato, di fatto, ad unadura e continua conflittualità terribilmente bisognosa di giustizia, di verità e difraternità.
6.2. Esigenze di ridefinire il lavoro umanoLa pesante mole di questi problemi e situazioni è andata svegliando la co-scienza dei lavoratori. Si va esigendo una ridefinizione del lavoro umano, conside-randolo non solo come intervento materiale nella produzione dei beni, ma anchecome vera partecipazione attiva e cosciente allo stesso processo produttivo e alconseguente progresso socioculturale. Ciò significa poter intervenire nella determi-nazione delle finalità e della giusta destinazione dei prodotti e dell’inserimentodella propria prestazione in una compagine sociale di fraternità. Perciò l’educa-zione al lavoro necessita oggi anche di un’ampia formazione sociale alla coscienzapolitica e alla partecipazione civile.
6.3. Formazione alla coscienza politica e alla partecipazioneEsser lavoratore, infatti, comporta oggi più che mai avere un senso socialedella giustizia e saper prendere parte attiva nella costruzione della società, cono-scendo il significato umano e l’utilità del proprio contributo.
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Se non si prende in considerazione questo ampio, nuovo, delicato e non facileaspetto dell’educazione si produrrà uno scollamento o uno strappo tra la prepara-zione dei giovani e la condizione sociale che si evolve continuamente.Insomma: entrando nel mondo del lavoro i giovani si trovano tanto nelle so-cietà sottosviluppate come in quelle progredite, anche se in modo differente, confenomeni che mettono a dura prova la loro qualità umana e sociale e la loro fedecristiana, e che ingigantiscono la difficoltà di ridurre a sintesi esistenziale i bisognipersonali, le istanze sociali e le esigenze del Vangelo.Questo semplice e assai incompleto abbozzo di quadro ambientale lancia unasfida appassionante al nostro compito educativo e di catechesi, suppone che l’inter-vento formativo salesiano non sia semplicemente un’area di parcheggio in cui igiovani sostano prima della loro vita reale.
6.4. Un progetto educativo pensato, maturato e continuamente aggiornatoÈ inevitabile per noi accettare, in solidarietà comunitaria, la sfida, per ardua edesigente che appaia. Dobbiamo approfondire e far progredire quella riflessione edu-cativo-pastorale che in questi anni ci si è sforzati di promuovere, cioè: un progettoeducativo pensato, maturato e continuamente aggiornato. Dobbiamo sentirci chiamatiad essere frequentatori e collaboratori all’elaborazione di una nuova e vera “culturadel lavoro”. Questo significa sforzo permanente d’informazione, di discernimento edi confronto critico riguardo a tutto ciò che nasce e si esprime nel mondo del lavoro,superando una certa ignoranza sistematica e il giudizio abitudinario e leggero.
6.5. Cultura del lavoro tradotta in metodologia pedagogicaMa una cultura del lavoro, elaborata da educatori, non può ridursi a belle pa-role, deve venir tradotta in una metodologia pedagogica che ripensa l’organizza-zione dell’istituzione educativa (il funzionamento di un’appropriata “comunità edu-cativa”!) e ricerca praticamente un orientamento formativo unificante tra la prepa-razione tecnica, la visione umanistica dell’esistenza e il progetto cristiano di vita.
6.6. Riattualizzare il sistema preventivoRiattualizziamo con costante impegno il Sistema Preventivo, come metodo-logia pedagogica che cerca una sintesi vitale tra fede e lavoro, un dialogo costantetra Vangelo e tecnica, per formare robustamente nei giovani apprendisti un’ade-guata mentalità cristiana.
7. PROIEZIONI PRATICHE DELLA DIMENSIONE LAICALE
La sfida è veramente vasta e appassionante. Tutti ci sentiamo interpellati, ma ilproblema è immenso. La chiesa intera cerca di affrontarlo tra innumerevoli difficoltà.
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Noi salesiani siamo certamente chiamati a collaborare. Incominciamo a curaremeglio la “dimensione laicale” della nostra vocazione!A tal fine vorrei concentrare l’attenzione su tre proiezioni pratiche che da essaderivano.
7.1. Salesiani coadiutoriInnanzitutto riguardo ai “salesiani coadiutori”. Abbiamo ricordato l’impor-tanza della componente laicale nella forma stessa della nostra Congregazione. El’abbiamo fatto per confermare la nostra propensione innata d’impegnarci apostoli-camente nel mondo del lavoro. “La Congregazione di S. Francesco di Sales – ci halasciato detto Don Bosco – è una radunanza di preti, chierici, laici, specialmente ar-tigiani, i quali desiderano di unirsi insieme, cercando così di farsi del bene tra loroe anche di fare del bene agli altri”19.Un’esigenza concreta nel riflettere sul ruolo che tocca a noi salesiani nelmondo del lavoro è che tutta la Congregazione prenda sul serio la necessità di rive-dere, di rinnovare e cambiare profondamente la mentalità circa la componente lai-cale della comunità salesiana.
7.2. Importanza dei collaboratori laiciDobbiamo considerare l’importanza e il ruolo dei numerosi laici sia nella “Fami-glia salesiana” che nel vasto ambito di simpatia e di collaborazione che la circonda.La Congregazione insiste da anni e in maniera coerente sul loro ruolo ecclesiale esulle loro multiformi capacità di partecipazione e collaborazione. La validità dellaloro presenza, il fondamento del loro inserimento, il bisogno di formazione continua,i rapporti fra essi e le nostre Comunità sono stati temi ribaditi in indirizzi e progetti.Recentemente un nuovo documento della Santa Sede20 “Il laico cattolico, testi-mone della fede nella scuola”, ci aiuta a sintetizzare quanto si veniva raccoman-dando. Da esso ci viene un rafforzamento autorevole di quello che in questi anni siè ripetuto, cioè che la presenza dei laici, sebbene originata dal bisogno di personalequalificato, dati i livelli e la quantità degli impegni educativi, ha superato oggiquesto motivo iniziale e trova fondamenti in considerazioni teologiche: una visionedi Chiesa come comunione operativa di diverse vocazioni, una nuova compren-sione dell’agire pastorale, e una nuova considerazione del laico all’interno di en-trambe. “Il motivo fondamentale dell’importanza del laicato cattolico consideratopositivo ed arricchente dalla Chiesa, è teologico”, ci dice il “Documento”21; la pre-senza è necessaria22; si tratta di un importante “segno dei tempi”23: “la presenza si-
19 Memorie Biografiche, XZZ, 15 1.20 S. Congregazione per l’Educazione Cattolica, Roma, 15 ottobre 1982.21 Ivi, 2.22 Ivi, 3.23 Ivi, 4.
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multanea di sacerdoti, religiosi, religiose e laici costituisce per l’alunno un riflessovivo di questa ricchezza che gli facilita una maggiore assimilazione delle realtàdella Chiesa”24. La vocazione educatrice coinvolge il laico nel “compito di formareuomini che attuino la civiltà dell’amore”25, attraverso la comunicazione della cul-tura in prospettiva di fede26.Da questa rapida indicazione si vedono già quali saranno i contributi dei laicinelle nostre comunità educative: esperienza di vita, professionalità, testimonianzacristiana. Si vedono anche quali sono i punti delicati su cui portare l’attenzione:scelta accurata in funzione del progetto educativo particolare, formazione continua,coinvolgimento attivo.
7.3. Ruolo animatore della comunità salesianaIn rapporto all’inserimento dei “laici” si prospetta un terzo elemento concretoda promuovere: il ruolo animatore della comunità salesiana.Nell’attuale struttura educativa, dai compiti complessi, dai molteplici influssi,dal pluralismo vitale, dalle aperture indispensabili, è diventata necessaria e preziosala funzione di orientamento qualificato, di animazione delle persone e di sapientecoordinamento del tutto. L’educazione di fatto è costantemente minacciata, oltreche da certe ideologie egemoni nell’opinione pubblica e in certe organizzazioni so-ciali, anche dai pericoli di frammentazione, d’eclettismo, di funzionalismo, e pur-troppo a volte d’incompetenza nel campo specifico.Una visione chiara e costantemente riveduta dei valori che si propongono, unaconvergenza metodologica e soprattutto un rafforzamento della qualità delle per-sone sono compiti educativi non addizionali, ma principali.I salesiani, sebbene non esclusivamente loro, debbono svolgere con bontà e co-stanza il ministero di animatori: è un compito di competenza e di contenuti e nonsoltanto di fervore, o di semplice organizzazione. Questo impegno esige un livellopiù alto di qualificazione professionale, una maggior chiarezza riguardo all’origina-lità della propria missione, un’avvertita coscienza comunitaria di base che facciadiventare connaturale la partecipazione.
8. ALCUNI SUGGERIMENTI DI STRATEGIA PER IL FUTURO
Da quanto siamo venuti dicendo emergono non pochi suggerimenti per le pre-senze dedicate a questo tipo di destinatari. A me, per il momento, sembra interes-sante sottolineare e raccomandare pochi ma grandi orientamenti che sono alla ra-dice di tanti altri.
24 Ivi, 43.25 Ivi, 19.26 Ivi, 20.
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8.1. Preparazione specifica del personale salesianoIl primo fronte di una rinnovata strategia è la preparazione specifica di più per-sonale salesiano per il mondo del lavoro. È stata prerogativa di lunghi periodi dellanostra storia preparare, in numero notevole, dei confratelli appositamente per talesettore. Recentemente le insistenze si sono spostate alquanto verso altri settori,mentre questo, che sembrava ormai acquisito, è rimasto un po’ in seconda linea.Così si sono venute allargando altre qualifiche e presenze, mentre è rimasta piùo meno allo “status quo” la qualificazione del personale in vista dell’impegno nelmondo del lavoro, forse anche per la difficoltà di adeguamento che essa rappresenta.Si potrebbe pensare, a modo d’ipotesi stimolante per provocare reazioni, che mentrela nostra capacità di risposta regge davanti a sfide più semplici, il salire del livellodelle competenze richieste ci trova non sempre pronti a rispondere adeguatamente.La preparazione specifica dei Salesiani in questo campo comprende oggi variaspetti: la coscienza e il senso pastorale, la sensibilità per i segni dei tempi e per ivalori della cultura del lavoro, la qualificazione professionale, la capacità di coin-volgimento del laicato, la perizia nell’animazione soprattutto di comunità educa-tive, il dialogo di quartiere, la comunione di Chiesa locale, ecc.Da anni si parla di queste nuove esigenze e non c’è dubbio che si cammini.Oggi si possono vedere esempi e modelli di comunità che funzionano con effi-ciente qualificazione dei salesiani, con buona integrazione e animazione dei colla-boratori laici, con orientamento, corresponsabilità e dialogo.
8.2. Il controllo delle opereUn secondo fronte strategico, altrettanto importate, è il controllo delle opere, laloro visione d’insieme con un loro equilibrato sviluppo organico nelle Ispettorie, inconsonanza con l’identità e l’originalità salesiana. Mi riferisco alla quantità di pre-senze tra i lavoratori che ciascuna Ispettoria ha oggi e prospetta per il futuro, parti-colarmente di carattere educativo. Si sa che in alcune Ispettorie, per effetto di unosviluppo portato avanti più in base a sole offerte e scelte occasionali che a criterisalesiani, il nostro impegno nel mondo del lavoro si è rimpicciolito progressiva-mente. È imperioso pensarci!
8.3. Pastorale vocazionaleE, infine, un altro fronte vitale è quello di una rinnovata pastorale vocazionalein favore del già più volte ricordato salesiano coadiutore. Il futuro delle nostre pre-senze educative nel mondo del lavoro è legato fortemente alla vocazione del sale-siano coadiutore. La sua figura è nata e si è espressa in queste presenze, pur senzalimitarsi ad esse. I periodi più floridi delle scuole professionali ed agricole coinci-dono anche con una presenza quantitativa e qualitativa di coadiutori e con il fioriredi ambienti particolarmente dedicati alla loro preparazione: corsi professionali, in-contri e confronti, permanenza nel settore, ecc.
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È dunque pressante al riguardo, la necessità di pensare coraggiosamente e concreatività ad iniziative di pastorale vocazionale veramente rinnovate. Attraversomodelli di esperienze e proposte, esse debbono mettere davanti ai giovani, in tuttala sua ricchezza e senza bisogno di condizionamenti particolari, questa manieramoderna e geniale di essere salesiani.Ogni Ispettoria deve far sì che i giovani, chiamati dal Signore a questo tipo diimpegno, trovino i punti di riferimento, l’orientamento, l’animazione e l’assistenzaper un’opzione libera, attraente, chiara e gioiosa.
9. AFFIDAMENTO A MARIA
9.1. Il lavoro umano, chiave della questione socialeIl progresso tecnico è un bene in sé, ma è ingabbiato in strutture e ideologienon oggettivamente etiche, né tanto meno cristiane che lo mettono a servizio diegoismi di gruppi e di Stati.Il Papa ci ha ricordato il fatto che “il lavoro umano è una chiave, e probabil-mente la chiave essenziale di tutta la questione sociale, se cerchiamo di vederlochiaramente dal punto di vista del bene dell’uomo. E se la soluzione o, piuttosto, lagrande soluzione della questione sociale, che continuamente si ripresenta e si fa piùcomplessa, deve essere cercata nella direzione di ‘rendere la vita umana piùumana’, allora appunto la chiave, che è il lavoro umano, acquista un’importanzafondamentale e decisiva”27.Urge dunque, nella missione della Chiesa, evangelizzare con opportuna attua-lità la cultura del lavoro. Pur adeguandosi alla situazione esistenziale del povero,occorre consegnare anche ai poveri (ai giovani bisognosi) le chiavi di aperturaverso un giusto progresso a cui ogni uomo e ogni popolo ha diritto, per la proprialiberazione sociale e spirituale.Non puntiamo semplicemente sulle nostre energie, tanto limitate, ma confi-diamo con cuore illuminato in Colui che ha voluto la nostra vocazione e che ci dàla forza per viverla e farla crescere.E questa fiducia nel Cristo esprimiamola filialmente attraverso la nostra speci-fica devozione mariana: a Cristo per Maria! L’Ausiliatrice interceda, ci guidi e cisorregga in un impegno tanto arduo e incalzante.
9.2. Maria modello del nostro tempoNoi La veneriamo appunto come “Ausiliatrice” perché sottolineiamo in Lei sial’operosa condizione dei poveri (sposa di un falegname e casalinga), sia la solleci-tudine di servizio e di collaborazione, sia, soprattutto, la solerte laboriosità materna
27 Laborem exercens, 3.
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così aperta all’universalità da costituire, più in là del Calvario, il suo modo d’esserecome risorta nell’assunzione ai cieli: vive con Cristo Signore quale Aiuto dell’uma-nità e quale Madre della Chiesa.
9.3. La Madonna del lavoroEssa è, dunque, totalmente attiva, dedita agli uomini ancora viandanti, cosìpreoccupata dei poveri e dei bisognosi che potremmo anche chiamarla “La Ma-donna del lavoro”, quasi a sottolineare un aspetto del suo atteggiamento di Ausilia-trice.Ebbene: considerando il bisogno impellente che abbiamo di saper reinserircivalidamente oggi nel mondo del lavoro, affidiamo fiduciosamente a Lei, nostraMadre e Maestra, il rilancio di un aspetto tanto essenziale della nostra missionenella Chiesa.Esprimiamo in questo atto di affidamento a Maria Ausiliatrice il nostro propo-sito sincero di essere portatori ai giovani del “Vangelo del lavoro” approfondito eproclamato alla luce del mistero di Cristo presentato come messaggio di risposta al-l’appello dei segni dei tempi e dell’attuale condizione soprattutto dei più bisognosi.
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L’impegno della Congregazione Salesianaper il mondo del lavoro Egidio VIGANÒ
Il Rettor Maggiore don Egidio Viganò ha onorato l’AssembleaCNOS-FAP del maggio 1985 con un intervento inteso a preci-sare, con l’autorevolezza del Superiore, l’impegno della Con-gregazione salesiana per il mondo del lavoro.La Sede nazionale ha ritrascritto dalla registrazione la conver-sazione per offrirla a tutti i Salesiani d’Italia, sia impegnatinella formazione professionale, sia impegnati in altre dimen-sioni ed ambienti pastorali.Il documento viene proposto nella forma discorsiva con cui èstato pronunciato, per conservargli lo stile e la freschezza di unaconversazione ricca di contenuti e di significato.Il Rettor Maggiore, cui va il ringraziamento della FederazioneCNOS-FAP per la sua disponibilità, ha riletto e approvato iltesto che viene qui riprodotto.
Il vostro Presidente D. Mario Bassi mi ha invitato a fare una conversazione fa-miliare sul pensiero della Congregazione, attraverso le Costituzioni e i Regola-menti rinnovati, circa l’impegno per la formazione dei giovani al mondo del lavoro,ossia sull’aspetto tanto caratteristico della vocazione salesiana di impegnarsi per gliapprendisti, per la gioventù dei ceti popolari e degli operai.Io ho preso le Costituzioni e i Regolamenti, ho riletto alcuni articoli che vi pre-sento, ne deduco alcune conclusioni; voi poi farete delle domande e tutti insiemecompleteremo queste idee.Non sono in ordine diretto ai problemi pratici che avete voi, ma nell’ordinefondante della vocazione salesiana; quindi presentati in forma universale valgonoper tutta la Congregazione, per tutti i salesiani. Poi, in ogni paese e in ogni Regionesi fa quel che si può. Queste Costituzioni infatti valgono, per esempio, anche per isalesiani polacchi; ma non possono fare queste cose nel loro paese; però è bene sa-pere che dove si può fare, anche lottando, bisogna fare!Credo che gli Articoli che possono suggerire elementi di riflessione su questoimpegno della Congregazione riguardo al mondo del lavoro possono essere quelliche vi presenterò con una presentazione sostanziale, non con uno studio esaustivo.
1. LE COSTITUZIONI E IL MONDO DEL LAVORO
Il 1° articolo che mi sembra importante è l’Art. 7 delle CC. nel quale si stabi-lisce qual è la figura e il posto della nostra Società nel mondo contemporaneo.
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Vi si dice che noi dobbiamo essere “aperti alle culture dei diversi paesi dovelavoriamo”. Noi sappiamo che il mondo del lavoro è una sottocultura o una cul-tura, e l’articolo specifica che dobbiamo essere “aperti” a questa cultura; che lavo-riamo in ambienti “popolari”, dove per ‘popolo’ si implicano evidentemente leclassi dei lavoratori, degli operai, dei contadini e questo con una “azione pastoraleper l’avvento di un mondo più giusto e più fraterno in Cristo”.Evidentemente è la visione integrale della pastorale della Chiesa; però, l’arti-colo sottolinea dal punto di vista dell’impegno salesiano, la ricerca dell’avvento diun mondo più giusto. E quindi ci introduce in una maniera di fare pastorale che èentrare nell’ambito delle culture, per costruire una società nuova. È un’idea tantocara a Don Bosco già dal proemio delle prime Costituzioni del 1858.Nella seconda parte delle Costituzioni troviamo l’Art. 27: questa seconda parteparla della nostra missione e nel primo capitolo dei destinatari. L’Art. 26, infatti, cipresenta come nostri destinatari “i giovani, specialmente i più poveri” e bisognosi,e l’Art. 27 specifica che la Congregazione attraverso il Capitolo Generale ha volutoraccogliere in un distinto articolo un elemento che caratterizza la vocazione sale-siana:“I giovani degli ambienti popolari..., che si avviano al lavoro e i giovani lavo-ratori spesso incontrano difficoltà e sono facilmente esposti ad ingiustizie. Imi-tando la sollecitudine di Don Bosco, ci rivolgiamo ad essi..”.Quindi diciamo di aver qui un elemento per determinare nei giovani che si av-viano al mondo del lavoro e nei giovani lavoratori un ambito preferenziale dell’at-tività della Congregazione salesiana. Quando in paesi delle società dei consumi cidomandiamo chi siano i giovani poveri, se non ve ne sono, almeno dobbiamo stareattenti a questo aspetto: coloro che si avviano al mondo del lavoro devono esserepreferiti dalla nostra scelta pastorale.L’Art. 29 sottolinea di nuovo la nostra preferenza e presenza negli ambientipopolari: “i ceti popolari” come una evangelizzazione che implica promozioneumana. Difatti dice: “Riconosciamo i valori evangelici di cui sono portatori (questiceti popolari) e il bisogno che hanno di essere accompagnati nello sforzo di promo-zione umana e di crescita nella fede”.È bello tutte le volte che si parla di questi temi vedere come le nostre Costitu-zioni mettono in questo binomio come due poli inseparabili della nostra maniera diconcepire la pastorale.L’Art. 31 parla del nostro servizio educativo-pastorale. Approfondisce questoconcetto che dicevamo prima. La nostra missione partecipa evidentemente a quelladella Chiesa, però è un progetto di promozione integrale: l’articolo si chiude con lafamosa frase di Don Bosco: “onesti cittadini e buoni cristiani”. Quindi l’impor-tanza di portare il messaggio del Vangelo intimamente unito, dice l’articolo, allosviluppo dell’ordine temporale. Forse la nostra formazione clericale di un certo pe-riodo di formazione sacerdotale ci ha allontanato un po’ da questo realismo sale-siano e ci ha fatto diventare umanisti nel senso intellettuale e non nel senso reale
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della soluzione dei problemi umani, che sempre comportano questa competenza di-retta nella crescita della promozione umana.L’art. 33 di nuovo sviluppa quest’aspetto: “Promozione umana e collettiva” –“Lavoriamo in ambienti popolari e per i giovani poveri. Li educhiamo alle respon-sabilità morali, professionali e sociali, collaborando con loro, e contribuiamo allosviluppo di gruppo e dell’ambiente”. Questo articolo è importante per noi, per ciòche dirà poi; perché il mondo del lavoro ci obbliga ad avere competenze sociali, sianella formazione di questa gioventù, sia nelle problematiche con cui noi pensiamoe progettiamo la pastorale. Dobbiamo avere maggior considerazione, competenza econoscenza per l’ambito sociale.Ora nella nostra tradizione vi è un principio fondamentale che è molto bello eancora valido, di “non metterci in politica”. Abbiamo la politica del “Padre nostro”.Ma il mondo ha camminato dai tempi di Don Bosco fino ad oggi. Ai tempi di DonBosco, infatti, il concetto di politica era vincolato anche con tutte le vicende del Ri-sorgimento e quindi con un concetto di vita cristiana e di preoccupazione dellaChiesa, vincolato con il problema del potere temporale. Non hanno permesso aDon Bosco di inserire nelle Costituzioni, e lo ha tentato per ben tre volte, l’articoloche diceva di non mettersi in politica, perché gli si obiettava. “No, vi sono dei prin-cipi che bisogna difendere...”.Don Bosco ci ha detto “niente politica”, ma intendeva: la politica del suotempo...Però il mondo ha camminato, è cresciuto. I segni dei tempi hanno svilup-pato il senso sociale. Ora il termine “politica” si usa anche per indicare il “sensosociale”. Quindi c’è un termine “politica” che si riferisce al bene comune, ai grandifini della vita della società e c’è invece un’accezione al termine di politica che si-gnifica la politica partitica, cioè ricerca, possesso ed esercizio di potere, per far fun-zionare la società. In questo secondo senso rimaniamo con lo spirito e la tradizionedi Don Bosco.L’Art. 33 è nel primo senso, ma non usa il termine “politica”, perché nei Capi-toli la parola “politica” è sempre stata antipatica, sopratutto se vi sono Confratellidi zone nelle quali la parola “politica” significa quello che è il governo e fai ilgoverno: per esempio i capitolari polacchi hanno fatto sempre osservare questo.Però la realtà è un’altra. Difatti oggi si chiama politica tutto ciò che è preoccupa-zione del bene comune. In questo senso dobbiamo saper lottare. Non la chiamiamo“politica”, però dobbiamo saper usare questa parola, perché fuori del nostro am-biente se andiamo a dire: “Noi non ci mettiamo in politica” forse saremo mal inter-pretati.Come infatti possiamo lavorare per i giovani del mondo del lavoro senza avereun’idea politica? Ma politica nel senso della “P” maiuscola, del bene comune, delbene sociale, dello sviluppo economico, dello sviluppo del lavoro, ecc. Come edu-care al lavoro se non conosciamo quali sono le molle interiori del mondo del la-voro, che è politica? Allora quest’articolo è molto importante. È l’unico articoloche ha ricevuto lodi da parte dei consultori della Sacra Congregazione dei Reli-
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giosi, che ha approvato queste Costituzioni, perché ci hanno detto e scritto che nonhanno mai trovato questo tipo di problemi descritti con tanta chiarezza e precisionereligiosa. Difatti, dice poi: “Partecipiamo in qualità di religiosi (quindi con una vo-cazione specifica che non è quella del politico) alla testimonianza e all’impegnodella Chiesa per la giustizia e la pace”.Noi partecipiamo: nel mondo del lavoro vi è un bisogno enorme di giustizia edi pace. Come affrontare le conflittualità del mondo del lavoro con un concetto dipace che non è non lottare, ma lottare con dei metodi che sono degni della pace?“Rimanendo indipendenti da ogni ideologia e politica di partito (ecco il punto) ri-fiutiamo tutto ciò che favorisce la miseria, l’ingiustizia, la violenza, e cooperiamocon quanti costruiscono una società più degna del1’uomo”.Ecco di nuovo il pensiero di D. Bosco: costruire la società. E l’articolo con-tinua: “La promozione a cui ci dedichiamo in spirito evangelico, realizza l’amoreliberatore di Cristo e costituisce un segno della presenza del Regno di Dio”. Par-liamo anche di liberazione, nel senso del Liberatore, che è Cristo. Questo articolo èmolto importante per costruire l’interesse, la mentalità e l’impegno di noi salesiani,sopratutto in questo aspetto del mondo del lavoro; anche negli altri, ma qui si rife-risce in modo molto intenso al gruppo di salesiani impegnati in questo settore.L’Art. 40 che conoscete tutti a memoria, suppongo, descrive il criterio pasto-rale che deve guidare tutte le nostre presenze: il criterio “oratoriano”, cioè “l’ora-torio” come criterio di fondo. Però non l’oratorio come struttura, l’oratorio di Val-docco; ma “l’oratorio” come molla che spinge il pastore a costruire un progetto dievangelizzazione; stimolo, metro per giudicare. Questo è un punto che tocca ancheil nostro impegno nel mondo del lavoro, che a volte si identifica con la scuola pro-fessionale: questo è uno sbaglio!La scuola professionale è una struttura che esiste, che ha un peso storico, cheha bisogno di riforme, di difesa, di promozione; però non esaurisce il concetto pa-storale della presenza salesiana nel mondo del lavoro.Da dove ha incominciato D. Bosco a giudicare come faceva pastorale per gliapprendisti? Non è partito da una struttura, è partito dai giovani che erano sullestrade o nelle carceri o impiegati in forma ingiusta nel lavoro della città di Torinodell’epoca.Per giudicare anche le attuali presenze che abbiamo, per difenderle, per svilup-parle dobbiamo partire dai bisogni reali che ha la gioventù dal punto di vista pro-mozionale e cristiano. È bello questo! È una rivoluzione... Poi faremo quello chepotremo; però abbiamo un criterio, un metro per misurare le cose.Gli Artt. 41 e 42 sottolineano la sensibilità ai segni dei tempi: dobbiamo essere“sensibili ai segni dei tempi”. Quindi non siamo difensori di una struttura tradizio-nale; camminiamo con le cose che camminano e raggiungiamo i giovani “nel loroambiente”.L’Art. 42 nomina in forma particolare “i centri professionali, la scuola, i con-vitti, le case per giovani in difficoltà”.
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È interessante notare come le Costituzioni nuove non hanno più l’elenco delleopere: qui sono stati messi i criteri pastorali, e invece le opere, quelle che ci sono eche ci possono essere, sono indicate nei Regolamenti. Questo sottolinea, diciamocosì, anche l’aspetto di possibile transitorietà, di cambio che ci può essere nelleopere. Ossia noi non siamo catalogati tra i carismi della Chiesa, perché abbiamo undeterminato tipo di opere: non siamo i Fratelli delle Scuole Cristiane per le scuoleprofessionali, ma siamo gli educatori di questa gioventù, e questa gioventù deve es-sere accudita con i mezzi che il tempo e la zona rendono possibili, per la sua pro-mozione umana e per la sua evangelizzazione.L’Art. 47 delle Costituzioni coinvolge i laici associati al nostro lavoro. Si rife-risce a tutti. Però credo che è molto importante nell’ambito in cui lavorate voi,perché innanzitutto, oggi, in tutte le opere si suppone il coinvolgimento dei laici.Ma penso che, in forma specialissima, nei nostri Centri professionali c’è un gruppodi laici più numeroso che negli altri Centri. E con un bisogno di particolare cura.Questo coinvolgimento, evidentemente, significa un coinvolgimento educativo, pa-storale dove è possibile, non semplicemente tecnico e di docenza.Questi sono gli Articoli delle Costituzioni che penso sia utile tener presenti.
2. I REGOLAMENTI E IL MONDO DEL LAVORO
L’Art. 2 sviluppa e specifica “l’impegno educativo verso giovani lavoratori” eil mondo del lavoro. Dice tra l’altro: “Curare i Centri di formazione professionale”.Gli Artt. 4, 5 e 6 parlano del progetto educativo-pastorale.È questo un tema importante. Il nostro tipo di promozione umana, quando ab-biamo delle strutture scolastiche, implica una certa creatività e originalità. Noi nonabbiamo come ideale di essere i realizzatori di un programma fatto dallo Stato.Qualche volta dovremo fare così: quando siamo forzati lo faremo, ma abbiamo unastoria e una capacità per fare dei progetti migliori.Purtroppo nonostante tanta democrazia in Italia, lo Stato segue ancora, perquanto capisco io, le ideologie di Stato docente, che vengono da un periodo liberaleed è appoggiato e condizionato da idee socializzanti. Noi vediamo in Francia, inSpagna adesso, come il socialismo, anche più democratico, porta ad una interpreta-zione di questo tipo, e purtroppo nelle mie esperienze, girando il mondo, non homai trovato un partito cristiano e neppure una gerarchia locale che capisse a fondoquesti problemi. Purtroppo! Allora ci si sente sguarniti in questo campo. Però io vidico: fin dove è possibile lottare e difendere; bisogna farlo. Perché è un bene per igiovani. Non è per difendere chissà quale specialità salesiana, ma perché nellaChiesa noi abbiamo detto una parola su questo. Se ce la tolgono, staremo zitti!Siamo richiesti dai governi, in altri paesi. Le scuole professionali sono ri-chieste dai governi; anche ultimamente il Papa ci manda nella Guinea Konakry, ri-chiesti dal Presidente di quella Repubblica per aprire là delle scuole professionali.
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Vuol dire che abbiamo la possibilità di dire una parola di esperienza vissuta realiz-zata in questo campo.Quindi questi artt. 4, 5 e 6 che parlano del Progetto educativo pastorale si rife-riscono a tutte le nostre scuole, però in modo particolare a quelle professionali, chepiù ci hanno caratterizzato.Poi l’Art. 8 parla dei gruppi e delle associazioni che bisogna promuovere. Ab-biamo delle associazioni, dei gruppi di giovani apprendisti, di lavoratori? Ce nesono di tipo sportivo, di tipo culturale, di tipo religioso. Ve ne sono anche di carat-tere professionale. È cosa da pensare! La JOC qui in Italia non funziona tanto, main Belgio, Francia, Cile e in tante altre parti funziona, e vi sono salesiani vi lavo-rano. Su questo punto noi potremo portare contributo di idee e fare delle espe-rienze. Si potrà incominciare con piccoli gruppi; e sopratutto da questi gruppi sipuò favorire la maturazione di vocazioni. Noi abbiamo bisogno di molte vocazioniper il mondo del lavoro. Vocazioni specifiche, sopratutto per salesiani laici o coa-diutori. E allora questo articolo è importante.Anche l’Art. 9 che parla di questo orientamento vocazionale, può farci pensareal Coadiutore.L’Art. 13 parla delle Scuole e dei Centri professionali ricordando la loro im-portanza e soprattutto che in questa Scuola o Centro professionale noi rielaboriamocriticamente la cultura. Diventano così centri creativi di cultura, la cultura propriadel mondo del lavoro. Quindi una maniera di far scuola che è veramente pastorale,con una verifica periodica. Il Dicastero di D. Vecchi ha elaborato e offerto dei sus-sidi nel sessennio scorso e spero che continuerà anche in questo sessennio.E per ultimo nell’Art. 14 dove si parla che la Congregazione salesiana, quindiil Centro professionale, deve essere anche un centro di cultura popolare a serviziodella zona, con corsi che possono essere offerti agli adulti della zona; in tante partidel mondo si tratta solo di qualificazione professionale di base e persino di alfabe-tizzazione; un servizio del quale possano approfittare coloro del popolo e dei cetipopolari, che ci vivono attorno.Questi sono i principali articoli dei Regolamenti che ci richiamano al vostroproblema.
3. IL SALESIANO COADIUTORE
Voglio però aggiungerne alcuni altri tolti sia dalle Costituzioni sia dai Regola-menti, che non si riferiscono direttamente al mondo del lavoro o ai Centri profes-sionali, ma al Salesiano Coadiutore.Perché non ne ho parlato prima? Perché questi ultimi articoli si riferiscono atutti i Salesiani, alle Ispettorie e alle Comunità. Tutti siamo impegnati in questo.Vale qui la pena sottolineare la figura del salesiano laico, perché rappresentauna nostra speciale capacità di inserirci pastoralmente nel mondo del lavoro. E
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perché, purtroppo, è un aspetto della vita della nostra Congregazione particolar-mente in crisi. Allora è importante ricordare l’Art. 45 delle Costituzioni in riferi-mento ai nostri Confratelli coadiutori: è un articolo che parla della corresponsabi-lità nella nostra missione, e si riferisce tanto al salesiano prete quanto al salesianolaico.L’articolo dice: “Il salesiano coadiutore porta in tutti i campi educativi e pa-storali il valore proprio della sua laicità (che enormemente interessa il mondo dellavoro), che lo rende in modo specifico testimone del Regno di Dio nel mondo, vi-cino ai giovani e alle realtà del lavoro”.Ma questo io lo leggo perché non è solo la caratteristica specifica del nostroConfratello coadiutore o laico, ma una dimensione di ogni Comunità salesiana. IIsalesiano prete, il salesiano diacono devono sentire come elemento costitutivo dellaloro capacità pastorale questa dimensione laicale, questa tendenza a essere presentee operante nel mondo del lavoro. Evidentemente in collaborazione e complementa-rietà.Ci sono poi altri articoli. L’Art. 4 delle Costituzioni fa vedere l’unità della co-munità. Ci hanno fatto aggiungere “clericale”, però questo si riferisce ad una moda-lità di servizio; ma ciò che è sostanziale è che la nostra comunità è composta dichierici e di laici, che vivono la medesima vocazione in fraterna complementarietà.Questo bisogna sottolinearlo; e questo è stato sottolineato anche negli Artt. 106e 116 per l’impegno paritario della formazione: evidentemente il coadiutore se-condo la specificità sua propria.Questi sono i principali articoli riferiti al nostro argomento.
4. IDEE SINTESI
Io direi adesso alcune idee come sintesi di questa carrellata attraverso gli arti-coli che ci interessano e che ci ricordano l’importanza della nostra vocazione inquesto settore.La prima idea che mi sembra risulti evidente da questa rapida considerazionedel nostro testo fondante è la chiara coscienza della Congregazione circa l’impegnosalesiano nel mondo del lavoro, come aspetto caratteristico della nostra missione.Direi che la rielaborazione del testo lo ha messo ancora più in evidenza, e lo ha sot-tolineato come un impegno caratterizzante. Quindi: quanto più diminuisce questoimpegno, tanto più si fa generica la figura e il volto del salesiano.La seconda idea. La rielaborazione del testo ha portato alla revisione e all’ap-profondimento dei principi direttivi di questo impegno. In che cosa consiste questarevisione e approfondimento?Nel dimostrare come la nostra maniera di evangelizzare consiste precisamentenella capacità di far crescere il giovane povero, il giovane bisognoso nella sua qua-lità di cittadino: non che, nel fare questa promozione umana, si dimentichi il Van-
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gelo di G.C., ma perché il Vangelo di G. C. è proprio un fermento, che farà crescerel’uomo in quanto tale, nella sua condizione di uomo.Lo slogan lanciato dal Capitolo Generale XXII° è chiarissimo: “Educare evan-gelizzando, evangelizzare educando”. Promuovere l’uomo, fare cultura non signi-fica fare erudizione, far sapere molte cose. Qui si dice “fare cultura” nel senso dievangelizzare una cultura, quindi significa essere capaci di innestare nei centri diinteresse umano i principi evangelici. Quindi fare cultura nel mondo del lavoro, oaiutare a crescere in una cultura specifica nel mondo del lavoro secondo una educa-zione salesiana, significa avere come obiettivo questo: saper fare una catechesi che,dal di dentro, muova la competenza, la professionalità, la responsabilità del gio-vane che cresce per il mondo del lavoro.Questa è cosa abbastanza complessa. È un fatto che non si può fare catechesicon dei giovani lavoratori allo stesso modo che si fa catechesi con dei giovani stu-denti: vi sono dei valori differenti. E purtroppo noi siamo soliti fare molti testi dicatechesi per le scuole umanistiche, ma non tanti e con altrettanta competenza per iCentri professionali. C’è tutta l’evangelizzazione del lavoro e la bella Enciclica delPapa “Laboremexercens”.La terza idea non la trovate nelle Costituzioni, ma nel Capitolo Generale 22. Echi ha partecipato al Capitolo o ha letto la Relazione sullo “stato della Congrega-zione” ricorda quello che è stato chiamato “grido d’allarme”, in relazione con la fi-gura dell’educatore e la modalità di lavoro della Congregazione tra i giovani po-veri, che porta proprio ai giovani apprendisti; ed è la diminuzione della presenzadel salesiano laico. Il grido d’allarme è questo. Non sarà che uno degli elementi cheinfluiscono (perché devono essere tanti) sulla contrazione del numero di vocazionidi coadiutori sia che la Congregazione salesiana è meno chiara, meno presente,meno entusiasta per il mondo del lavoro? Ossia, perché non c’è un elemento di at-trattiva per i giovani ad essere impegnati specificamente nel mondo del lavoro?Non dico che il mondo del lavoro sia un patrimonio esclusivo, diciamo così, dicategoria, del coadiutore. È di tutta la comunità: però la maniera di lavorare inquesto campo offre una presenza specifica, bella e piena di responsabilità, di apo-stolato al salesiano laico; il ragazzo si sentirà attirato da questo carattere specifico.Un’altra idea è quella della problematica formativa per il mondo del lavoro.Mi riferisco al famoso Art. 40 delle Costituzioni. Non si deve partire soltanto dacriteri tecnici, che non si possono ignorare, evidentemente; ma partire dai giovaniapprendisti e ricordare che si può lavorare con loro non solo in una scuola profes-sionale, ma in oratorio, in un gruppo, in una associazione; ossia fare che l’impegnosalesiano per il mondo del lavoro ecceda, vada più in là degli stessi Centri profes-sionali. Questo è un discorso, diciamo così, di “cuore salesiano “più ampio”.Un’altra idea ancora che io deduco è l’importanza dei Centri professionali inCongregazione: la Scuola professionale come dicevo è elemento caratterizzante delnostro impegno. Va difesa, promossa con tutti i mezzi, secondo le situazioni deipaesi. Purtroppo ci sono delle situazioni che imprigionano: però prima di stare zitti
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e rimanere imprigionati ci muoviamo fin che possiamo. Quindi difesa e promo-zione dei Centri professionali.Un’ultima idea: bisogna avere una maggior coscienza ecclesiale in questocampo. Che significa? Innanzitutto che noi siamo inviati dalla Chiesa a fare questo.È pastorale pura, è pastorale salesiana, questa! La nostra pastorale salesiana è par-tecipazione alla missione della Chiesa. Sentirsi inviati dalla Chiesa proprio per farequesto, anche se a volte, magari il mio o il tuo Vescovo, di questo non ne capiscetanto, perché la Chiesa è universale e chi muove la Chiesa dal di dentro e suscita icarismi è lo Spirito Santo. Ma speriamo che anche i pastori capiscano di più. Poi,oltre questa coscienza ecclesiale, una competenza o una sconoscenza in profonditàdell’insegnamento sociale del Magistero ecclesiale. Questo è l’elemento che facatechesi nel mondo del lavoro. Come si può fare catechesi oggi nel mondo del la-voro senza conoscere le grandi Encicliche o i grandi discorsi del Papa e dei Vescovisu questo punto? Questo è un campo di studio, di formazione, di impegno.Infine, come espressione ecclesiale, un atteggiamento interiore di fiducia nellapotenza dello Spirito Santo. Questo non è un “Deus ex machina” per concludere. Èun pensiero importante. La nostra superficialità spirituale a volte ci fa program-mare, nutrire speranza o essere scoraggiati solo in forza dei nostri programmi.Ossia, siamo un po’ pelagiani. Contiamo sulle nostre forze. Ma noi sappiamo perfede che c’è nella storia e nelle vicissitudini umane la presenza attiva dello SpiritoSanto, che la Liturgia chiama “la potenza dello Spirito Santo”, che trasforma lecose. Quando crediamo che una cosa è impossibile, è ancora possibile!Il mondo del lavoro è forse il settore umano più scristianizzato che ci sia. Èpossibile evangelizzarlo? Sì, è possibile evangelizzarlo, perché c’è la potenza delloSpirito Santo che ci aiuta a farlo! Allora confidiamo in questa potenza e cerchiamodi studiare i modi nella nostra maniera di prepararci, di sacrificarci e confidarefamiliarmente nel suo aiuto: ma lavoriamo!Già Pio XI parlava di “apostasia delle masse”. Paolo VI ha parlato di “divorziotra cultura e Vangelo”. Ma se c’è un luogo dove bisogna avvertirlo, è quello del la-voro. Gli studiosi hanno detto che un paese cristiano in cui sorge una fabbrica e cheda 5.000 abitanti passi ad averne 15.000 perché si è riempito di operai, in 10 anniquesto paese è diventato ateo, materialista, perché nel mondo del lavoro non cisono più evangelizzatori... L’unica ideologia che finora ha trionfato è una ideologiaatea, che ha spiegato il mondo del lavoro in questa forma.Noi siamo stati chiamati con le nostre piccole forze a collaborare con tuttele forze della Chiesa a fare un passo più in là: a rendere presente e dinamico il Van-gelo in questo mondo del lavoro. Alle nostre forze piccole, magari incapaci, sot-tostà la potenza dello Spirito Santo.Sono spunti di conversazione che vi possono dimostrare, anche se un po’ infretta, ciò che le Costituzioni e i Regolamenti e la nostra tradizione salesiana cidicono sui principi sottostanti all’impegno che abbiamo in questi Centri Profes-sionali.
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5. DIBATTITO E CHIARIMENTI
All’intervento del Rettor Maggiore Don Egidio VIGANÒ sono seguite le ri-chieste di chiarimenti da parte dei presenti.Dalle risposte del Rettor Maggiore ricaviamo alcune affermazioni.
5.1. Il CNOS-FAP“Il fatto che esista questo servizio nazionale del CNOS-FAP a me sembra chesia un fatto positivo, che dà maggior personalità alla nostra presenza, maggiorcapacità di difesa, di promozione ai singoli Centri nelle rispettive Regioni. Mi parepure che se si riunissero tutte le forze salesiane che in Italia si interessano delmondo del lavoro, attraverso un’organizzazione come la CISI, si potrebbe arrivarea influire ed a fare di più”.
5.2. Pastorale e Formazione ProfessionaleNella relazione sullo “stato della Congregazione” presentata all’inizio delCapitolo Generale 22 il Rettor Maggiore ha fatto presente un certo pericolo che c’èin Congregazione e che fa riferimento a un “concetto di pastorale” in vigore inCongregazione, e che è desunto da un uso diocesano di fare pastorale, (che per leDiocesi è un uso legittimo), che fa consistere la pastorale nella catechesi, nellaliturgia, nella predicazione, in azioni cioè che sono solo di evangelizzazione, iden-tificando la pastorale con l’evangelizzazione pura.Certo, bisogna evangelizzare; però la vocazione salesiana non è cosi. Mai unsalesiano è stato un semplice catechista. E ciò dal primo catechismo fatto daD. Bosco. Ha fatto contratti di lavoro, è andato alla ricerca dei giovani, ha inven-tato i centri professionali, ha fatto lui stesso il falegname, il meccanico, il ciabat-tino: insomma tutto.Nella relazione dicevo che questa crescita di un concetto di pastorale genericoporta il pericolo di far consistere la pastoralizzazione, in una diminuzione del set-tore educativo.Difatti, se controlliamo in che ramo si sono specializzati i salesiani in questi ul-timi dieci anni, si trova che si sono frequentati tutti i rami ecclesiastici, tutti i ramidell’evangelizzazione. È bene che questo si faccia: ma, e la competenza del ramopedagogico, nella professionalità? Guardiamo anche la nostra Università. La “fa-coltà salesiana” per eccellenza, la Facoltà di Scienze dell’educazione: è quella chedall’inizio sino ad ora ha avuto un minor numero di allievi salesiani. Perché? Forseperché, si dice, noi salesiani abbiamo la pedagogia nel sangue: campa cavallo...!Tutto il progresso delle scienze antropologiche esige uno studio di competenze.C’è molto bisogno di tutta la professionalità e della competenza dei problemidel mondo del lavoro! A mio parere qui c’è uno dei difetti rimarcati nella Congre-gazione e una linea di tendenza da correggere.
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Se si vuole avere una cultura critica del mondo del lavoro così scristianizzato,bisogna avere degli anni di formazione attraverso strutture opportune.
5.3. Evangelizzare il mondo del lavoroConsacrazione e Missione: è un tema difficile che esige profondità. Dovremoarrivare a far conoscere che Consacrazione e missione vivono insieme nella graziadell’unità. Noi dobbiamo far brillare la missione dell’evangelizzazione del mondodel lavoro, con un tipo di radicalità evangelica, che è la nostra consacrazione apo-stolica. Quando un salesiano coadiutore è entusiasta di questo, è lui stesso cheattira vocazioni di laici alla Congregazione. È quello che succede in nazioni dove laCongregazione vive in clandestinità. “Mi piacerebbe essere come sei tu” si è sen-tito dire un confratello di quelle nazioni da un giovane che neppure era a cono-scenza della sua identità di sacerdote. Quel salesiano è un ingegnere contento dellasua vita di lavoratore e di salesiano clandestino: fa del bene agli altri e si fa amiciun po’ dovunque... Poi vengono a conoscere che quell’amico è un salesiano. E inquel paese le vocazioni aumentano, ed ogni anno vi sono nuovi salesiani. Chi attiravocazioni alla Congregazione è la testimonianza del salesiano... piuttosto che leriflessioni su “consacrazione e missione”...!
5.4. Cultura del lavoroIl “lavoro” di cui parla l’Art. 18 delle Costituzioni è diverso da quello di cui siparla in questa assemblea.L’Art. 18 parla di un genere di spiritualità, che implica una maniera di amareDio, e che si traduce in fatti, in azioni, in servizio. Per l’Art. 18 infatti il lavoro e latemperanza sono la nostra maniera di testimoniare il Vangelo. Qui si parla di lavoroin senso soggettivo, spirituale l’altro lavoro ha il senso di realtà oggettiva nellasocietà.È bene però averlo ricordato perché ciò sottolinea che la caratteristica del no-stro carisma è di fare cultura, non nel senso in cui normalmente si parla di cultura.Si è detto che è tempo di superare una certa cultura superficiale, evanescente...come quella che faceva Don Bosco. È un’affermazione questa... proprio... superfi-ciale!In tal caso bisogna ricorrere al “concetto di cultura” nel senso antropologico,che è stato indicato nella “Gaudium et Spes”, e che adesso è usuale nel mondodella Chiesa, quando si discute di cultura.In questo senso si è parlato a Puebla...Per altri, cultura è erudizione, conoscenza intellettuale dei problemi del mondodel lavoro. Per cultura invece, noi vogliamo intendere “coltivare l’uomo per farlocrescere” mentre cioè la natura ci dà l’uomo, la cultura lo aiuta a sviluppare capa-cità, l’uso della sua libertà, la professionalità. Quindi, fare cultura in definitiva vuoldire “EDUCARE L’UOMO”.
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Quando io dico che il Centro professionale deve fare cultura, lo intendo inquesto senso: nel senso, cioè, di far crescere i giovani con una competenza civile,professionale, e ciò “con cuore salesiano”. Quindi fare cultura in senso salesianovuol dire “EDUCARE I GIOVANI”. Ed è quello che ha sempre fatto Don Bosco.Don Bosco esprime le cose in una forma che sembra “superficiale”: “Io sono an-dato avanti come il Signore mi suggeriva...”.Ma Don Bosco non ha mai separato la teoria dalla pratica: non ha mai fattoteoria prima della pratica; non ha mai fatto pratica senza pensarci su. Teoria e pra-tica per lui sono inseparabili: come evangelizzazione e educazione.Fare, ma pensare quello che si sta facendo Don Bosco ha cominciato ad interes-sarsi del mondo del lavoro come poteva, ma poi è arrivato alla scuola professionale.È arrivato a realizzare tante strutture che prima non avevano. Perché nell’esperienzache faceva, pensava quale fosse il punto più alto da raggiungere, come poter sempremigliorare...Io penso che questa è proprio la caratteristica del carisma salesiano: un’espe-rienza in cui fare cultura, significa: “Far progredire i giovani nella loro possibilitàdi essere buoni cristiani e onesti cittadini”.
5.5. Formazione del salesianoIn questi momenti si sta rivedendo la “Ratio Studiorum” per un aggiornamentosia al Codice di Diritto Canonico, sia alle nuove Costituzioni e Regolamenti. Bi-sogna inviare alla Commissione le vostre osservazioni, perché è evidente che se laformazione dei nostri salesiani è di tipo umanistico, e non vi sono degli approfondi-menti in merito agli aspetti concreti del mondo del lavoro, il lavoro della Commis-sione sarebbe monco. E in seguito bisognerà improvvisare. Le vostre osservazionisuperano il quadro di riferimento a cui si è guardato per raccogliere gli emenda-menti per l’aggiornamento della Ratio.
5.6. RatioLe osservazioni provenienti dal vostro settore porteranno certamente dei mi-glioramenti.
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Preparazione dei salesianiper il mondo del lavoro, 1982 Juan VECCHI
L’intervento di don Juan Vecchi, allora Consigliere della Pasto-rale giovanile, è stato tenuto all’interno del Convegno “Salesianinel mondo del lavoro”, promosso dal Dicastero Pastorale Giova-nile con la collaborazione del CNOS nei giorni 9-15 maggio1982.
1. ALCUNE COSTATAZIONI
Questa relazione è stata collocata alla conclusione delle nostre giornate distudio, proprio come momento di sintesi. Dovrebbe raccogliere alcune linee diforza del Convegno e indirizzarle sul tema della qualificazione pastorale del sale-siano impegnato nel mondo del lavoro.Premettiamo alcune costatazioni. La letteratura sulla pastorale del mondo dellavoro è abbondante. Un giudizio più cauto merita la sua concretezza e la sua unitàdi indirizzo. Appare con una prevalenza di enunciazioni di principi con cui nonsembrano collegate azioni comunitarie unificate ed efficaci. Queste sono affidate alcoordinamento operativo a diversi livelli, il quale a sua volta cerca nella letteraturai punti di coagulo dell’azione, e dalla letteratura è rimandato nuovamente ai prin-cipi. Soprattutto quando dalla descrizione della pastorale si passa al pastore, all’a-nima e alla prassi che lo caratterizzano ci si deve appellare alle esperienze dei sin-goli. Non sembra esserci un itinerario di preparazione sperimentato, né un insiemedi contenuti vagliati. Azione e formazione di operatori sono in deficit riguardo allariflessione sulle generalità della pastorale del lavoro.Tra di noi l’ultima volta che si è parlato in maniera piuttosto pressante e siste-matica su una preparazione specifica dei salesiani per operare nel mondo del lavoroè stato in occasione del Capitolo Generale XIX (anno 1965). Questo Capitolo de-dicò un documento veramente generoso (17 pagine) all’azione dei salesiani tra igiovani lavoratori, riproponendo criteri, contenuti e ruoli e analizzando in quest’ot-tica l’Oratorio, il Pensionato e le presenze scolastiche. Una delle sezioni del docu-mento porta come titolo: «Preparazione dei confratelli ecclesiastici e laici» edesprime questi propositi: «Nella formazione generale di tutti i salesiani, siano essiecclesiastici o laici si cerchi di orientarli verso entrambi i tipi di scuole, quelle perstudenti e quelle per giovani lavoratori... Venga perseguita tempestivamente ancheper i chierici e i giovani sacerdoti una specifica preparazione nei compiti da svol-gere nelle scuole professionali, selezionando gli idonei e mettendoli in grado di ac-quisire le abilità e i titoli di studio occorrenti per le varie mansioni. La preparazione
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culturale e professionale di tutto il personale addetto alle scuole professionali siasvolta almeno al livello richiesto nelle corrispondenti scuole della nazione in cui siopera» (Atti CG XIX, pag. 121).Questi obiettivi di qualifica sarebbero stati assicurati da corrispondenti strut-ture e ruoli. Difatti si propone a livello ispettoriale «una commissione per l’educa-zione dei giovani lavoratori con compiti di studio, di documentazione e di consu-lenza» Si aggiunge un «Delegato ispettoriale per l’educazione dei giovani lavora-tori... al quale si affida di mantenere rapporti con le case per quanto concerne taleeducazione». E ancora si auspica «una commissione centrale per l’educazione deigiovani lavoratori sotto la presidenza del Consigliere della Pastorale Giovanile, laquale provveda allo studio e alla documentazione» (Atti CG XIX, pag. 125).Sono interessanti anche gli accenni alla preparazione specifica dei confratelliche svolgono ruoli nelle scuole professionali: Consigliere professionale, Preside,Capo laboratori. C’è ancora d’aggiungere che nel documento sugli ApostolatiSociali, il capo V è dedicato «all’Apostolato tra i lavoratori»: «Si dia vita a tutte leforme possibili... Parrocchie e Oratori dovrebbero in opportuna collaborazione conle opere diocesane e nazionali, religiose e sindacali...». «Anche per questo lavorooccorrono evidentemente degli specialisti ai quali si potrà provvedere mediante gliorganismi e le iniziative pastorali di cui si è parlato sopra, avviando per tempochierici e coadiutori, cooperatori ed ex-allievi a tale tipo di apostolato» (Atti, CGXIX, pag. 152).L’apertura della Congregazione a campi pastorali notevolmente diversificatidal punto di vista dei contenuti, dei fenomeni caratterizzanti e delle tecniche daadoperarsi, tali come i mezzi di comunicazione sociale, le parrocchie, gli ambientiscolastici, ha moltiplicato le richieste di formazione specifica almeno per alcunisettori. In proposito si possono leggere le direttive del CGS riguardanti la prepara-zione del personale che lavorerà nelle parrocchie con gli accenni ai tre tempi: laformazione iniziale, la preparazione immediata, la formazione permanente (cfr.n. 440), direttive ribadite dal CG XXI: «I confratelli destinati alla parrocchia rice-vano una formazione specifica che sottolinei e sviluppi anche i valori dello stilesalesiano nella vita e nell’azione» (cfr. n. 142 d). Simili raccomandazioni sonoespresse e ripetute nei due capitoli riguardo agli operatori nel settore della comu-nicazione sociale (cfr. CGS nn. 454-455 e CG XXI n. 152) e riguardo a coloro chesi preparano per inserire il carisma salesiano nelle Chiese nuove (cfr. CGS 473,479).La pastorale scolastica è emersa anche come un campo specializzato che ri-chiedeva una qualifica particolare. Il CG XXI si esprime: «Preparare persone cheoperino nell’area scolastica. Si tratta di un lavoro specializzato con compiti e possi-bilità che richiedono lunga formazione culturale e conoscenze pastorali specifiche»(n. 133).Coloro che operano a tempo pieno nell’area del lavoro attraverso programmi,non hanno avuto ultimamente una considerazione simile.
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Qualche vuoto è stato salvato dalla riflessione sulla figura del salesiano coa-diutore. Questa figura difatti è stata determinante nello sviluppo delle nostre pre-senze educative per il mondo del lavoro. Però è evidente che l’asse della riflessionevaria notevolmente se la si imposta sulla identità e possibilità di una figura di sale-siano, oppure sulle esigenze globali che emergono dalla pastorale del lavoro; esi-genze che includono azioni e programmi che impegnano la comunità con tutte lesue vocazioni e richiedono scelte di campo a diversi livelli.Davanti a siffatta costatazione è legittima la domanda: sarà stata avvertita la ri-levanza che il lavoro e i fenomeni personali, culturali, sociali e politici ad esso col-legati hanno sulla prassi educativa e pastorale?Una manciata di stimoli alla preparazione per affrontare con più attrezzaturaculturale e più addestramento pratico il mondo del lavoro ci vengono dai Regola-menti, dalla Ratio e dai Capitoli. Stimoli che hanno bisogno di sviluppo e attua-zione pratica.I Regolamenti Salesiani stabiliscono un principio di specializzazione pastoralequando dicono all’articolo 82: «assicurata la formazione generale, ogni confratellostudierà con i superiori il campo di qualificazione più confacente alle sue capacitàpersonali e alle necessità dell’Ispettoria».Il CGS, sebbene non propose come tema di studio la pastorale salesiana nelmondo del lavoro attraverso opere, presenze e attività totalmente dedicate ad essa,tuttavia rilevò questa componente nell’azione di insieme di alcune presenze. Rife-rendosi al lavoro nelle parrocchie dice: «L’azione pastorale e di testimonianza tra ilavoratori è uno degli impegni che caratterizzano la nostra vocazione di serviziodelle classi bisognose. Sacerdoti e coadiutori, chiamati a questa missione, dovrannoprima di tutto approfondire l’ascolto e la conoscenza delle masse operaie, dei loroproblemi, ansie e aspirazioni, delle cause del loro atteggiamento nei confronti dellaChiesa e della fede» (n. 413).La Ratio della Formazione Salesiana indica come speciale manifestazionedella capacità pastorale del salesiano «una vigile sensibilità verso il mondo del la-voro, particolarmente verso le masse operaie e la gioventù bisognosa in un tempoin cui l’accentuazione tecnica ha portato questo mondo, la sua organizzazione e ilsuo sviluppo a prescindere praticamente dai valori religiosi» (n. 133).E anche come conclusione di questi rilievi sorgono delle domande. C’è bi-sogno oggi di una preparazione differenziata per affrontare il complesso mondo dellavoro? Basta la formazione generale sacerdotale e religiosa e un movimento per-sonale di «carità pastorale»? Deve concepirsi questa preparazione soltanto comequalifica tecnica o, come asseriva il CG XXI, anche come qualifica pastorale?A supporto della legittimità di tutte le domande precedenti mi si consenta unrilievo di attualità e una meditazione storica. All’uscita del catechismo italiano deigiovani, non pochi rilevarono che il suo linguaggio e la sua impostazione esisten-ziale rispondeva ad una ipotetica problematica della numerosa gioventù di scuolamedia superiore. Lo si trovava piuttosto lontano dal mondo, dalle preoccupazioni,
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dal linguaggio e dalla forma in cui i giovani lavoratori si pongono i problemi. Sullascorta di simile osservazione negli ambienti di lavoro alcuni catechisti hanno per-cepito la necessità di collegare il messaggio evangelico alle esperienze significativee connaturali dei giovani che si avviano al lavoro e ne vivono già le caratteristichee le tensioni, e di produrre testi differenti a cui hanno dovuto dedicare anni distudio e di applicazione in équipe.Questo ci indica che non si tratta di differenze superficiali. Il contenuto dell’e-vangelizzazione non è una sintesi concettuale, ma la vita di persone in situazione,salvate da Dio. Non si trattava, dunque, di un «adattamento», ma di una vera tradu-zione e incarnazione. E hanno avvertito che non sarebbe stata possibile tale incar-nazione senza piantare la propria tenda e la propria riflessione tra i giovani operai.Forse il fenomeno che ci insidia per essere evangelizzatori efficaci nel mondodel lavoro è l’allontanamento di sensibilità e di cultura riguardo al sistema di rap-porti, agli interessi, ai problemi e modelli di vita di coloro che vivono in questomondo.E qui si inserisce la «meditazione storica». Per molto tempo i laboratori e lesusseguenti scuole professionali salesiane cercarono di rappresentare in piccolol’ambiente e la struttura di lavoro in cui il ragazzo si sarebbe inserito. I salesianiper origine appartenevano ed erano vissuti nello stesso ambiente contadino-artigia-nale dei giovani lavoratori. Le grandi convinzioni trasmesse con parole e immaginirivelano identità di humus umano, sociale e religioso, oggi diremmo culturale. Ren-dersi simili ai giovani era possibile perché gli educatori erano nati nello stesso am-biente, avevano avuto una giovinezza per tanti aspetti simile, convivevano quoti-dianamente, parlavano lo stesso linguaggio di immagini e di terminologia addirit-tura dialettale.La definizione della missione e dello stile pastorale conserva ancora nei nostritesti la chiarezza delle intuizioni e degli slanci degli inizi. «I giovani di ceti popo-lari che si avviano al lavoro trovano spesso difficile inserirsi nella società e nellaChiesa». I salesiani intendono guidarli «a prendere il loro posto nella vita sociale,culturale e religiosa del loro ambiente» (Costituzioni Salesiane 11), guidati da unatteggiamento di fondo, «la simpatia, la volontà di contatto, la conoscenza delmondo giovanile e popolare, la solidarietà in tutti gli aspetti legittimi del loro dina-mismo» (Costituzioni Salesiane 16).Dove gli ambienti pur difficili sono meno dissimili rispetto alle esperienzedegli inizi, si trovano realizzazioni e sviluppi impressionanti. Comunità e confra-telli offrono, come vuole l’articolo 18 delle Costituzioni Salesiane, «il pane delcorpo, la competenza in una professione, la cultura intellettuale». In situazioni dif-ferenziate, sempre con qualche somiglianza con il primo Valdocco, prepararsi perintervenire nel mondo del lavoro vuol dire portare un’esperienza e un messaggioreligioso, arricchirsi di tecniche e conoscenze da trasmettere, munirsi di capacità dicomunicazione, affinarsi in sensibilità e umanità per cogliere fenomeni umani an-cora non interpretati né curati da altre forze.
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Ma proprio questi risultati ci interpellano per contrasto sulla nostra prepara-zione, dove il contesto socio-economico-culturale impone una diversa presenza ec-clesiale ed educativa. Si impone una preparazione diversa, difficile anche da ipotiz-zare perché non fondata su una esperienza precedente, in quanto questa realtà sto-rica in cui ci si inserisce è nuova. L’evoluzione tecnologica, la trasformazione deltipo di operaio, il crescere della categoria dei tecnici e dei quadri intermedi, l’indu-strializzazione delle campagne, il lavoro femminile, sono problemi che investonoanzitutto società politiche e atteggiamenti personali. Ma interpellano anche una pa-storale che voglia essere realistica.Nessun salesiano, o almeno non tanti quanti a Valdocco condividevano le ra-dici e la cultura nativa dei loro ragazzi, può oggi sentire come sue di istinto la men-talità e le problematiche di questo mondo che fino a poco tempo fa non esisteva eche neppure oggi esiste in nessun ambiente esattamente con le caratteristiche che sistudiano.Parliamo, dunque, di preparazione nel senso di una sensibilità di acquisire, diuna capacità di interpretazione e intervento che vanno recuperate, perché pur es-sendo radicate nella tradizione e nel carisma, come è stato chiarito nella prima rela-zione, potrebbero risultare inoperanti data la distanza che sembra essersi creata trale diverse componenti della cultura attuale.Non si tratta solo del coadiutore, sebbene questa figura è sempre in primopiano quando si parla di scuole professionali. Ma sono laici e sacerdoti che si pre-parano assieme ad offrire ciascuno con le proprie competenze una testimonianza eun servizio comune di fede e di umanità.Quando si parla di preparazione ci si può riferire a iniziative, programmi estrutture che assicurino una qualifica.Io offrirò alcuni spunti per sottolineare quattro linee di crescita.
2. COSCIENZA E SENSO «PASTORALE»
Il lavoro costituisce un’esperienza fondamentale della esistenza umana (cfr.LE 4). Ha prodotto vantaggi e scarti e soprattutto ha modellato la persona, la so-cietà non soltanto esternamente ma nel nucleo più intimo, dove l’uomo elabora ilsenso dell’esistenza. Si parla appunto di un «mondo», per indicare che la scelta e ilsignificato travalicano i beni che si producono e le attività che si vedono e affon-dano le radici nelle persone e nel patrimonio comunitario, sui quali si riversanoanche le conseguenze. Attorno al lavoro si aggregano forze diverse con propositidiversificati, che concorrono, nei migliori dei casi, a una visione piena e a uno svi-luppo totale delle sue possibilità.Il primo nucleo di crescita importante per un pastore, per un religioso è avereuna coscienza chiara e permanentemente approfondita del significato che lui portain questo insieme. Il servizio pastorale è legato alla realtà della Chiesa, alla fede in
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Gesù Cristo, alla speranza della salvezza e all’amore che ci fa intravedere la reden-zione e partecipare ad essa.La Chiesa condivide le aspirazioni e il travaglio del mondo del lavoro, dandoun suo contributo originale: una lettura in Gesù Cristo delle speranze che emergonoe dei conflitti che si sviluppano, e l’annuncio della salvezza dell’uomo da parte diDio. La Chiesa – ci dirà ancora la LE – «vede un suo dovere particolare nell’elabo-razione di una spiritualità del lavoro, tale da aiutare tutti gli uomini ad avvicinarsiper il suo tramite a Dio» (LE 24).Questo costituisce la pastorale e l’apporto tipicamente cristiano. Se i cristiani,attraverso le loro svariate e complementari vocazioni, non riuscissero a dare questoapporto, priverebbero il mondo del lavoro di un contributo che non può venire daaltri. Si tratta, in ultima analisi, di evangelizzare secondo l’ampio significato deltermine, che viene presentato nella Evangelii Nuntiandi, cioè trasformare dal didentro mediante la parola che esprime la verità e chiama a conversione.«Occorre lo sforzo interiore dello spirito umano, guidato dalla fede, dalla spe-ranza e dalla carità, per dare al lavoro dell’uomo concreto quel significato che essoha agli occhi di Dio, e mediante il quale esso entra nell’opera della salvezza al paridelle sue trame e componenti ordinarie» (LE 24).La storia cristiana è una storia spirituale, cioè di lotta per il senso della vita. Ecosì è anche la pastorale. È chiaro che parliamo di spiritualità non come di un aspettostaccato o di un’esperienza interiore avulsa dalla situazione storica dei credenti, macome la sua sorgente più profonda. Da essa attingiamo le ragioni del nostro viverequotidiano e i motivi che danno forza, senso e indirizzo a piani e programmi.Quello che ci fa vivere in Dio lo svolgimento del nostro impegno, ci fa dive-nire ricchi di fede, di speranza e di iniziative, ci fa accettare di buon grado, nellafiducia del seme, le lentezze, la scarsità di forze, le tenebre dell’esistenza, e vederenei segni il futuro dell’uomo.La spiritualità è propria di ogni uomo aperto al mistero, che vive più in là delleapparenze. Nel cristiano è frutto della presenza dello Spirito. Esso lo spinge a fareun’opzione storica fondamentale, secondo la visuale di Dio manifestatasi in Cristoa favore dell’uomo, ad approfondirla e a mantenerla nel flusso della vita e deglieventi. In questo senso, spiritualità significa identità: mantenere chiaro l’orizzontesignificativo, vivere nella storia l’esperienza della presenza di Dio, scoprire la suaazione negli eventi salvifici, arrivare ad una profonda conoscenza dell’uomo e im-pegnarsi a fondo per il destino del mondo.Da questa spiritualità, più che dall’analisi stessa culturale, verrebbe la capacitàdi vivificare la cultura dall’interno, di dinamizzarla obbligandola costantemente auscire dai suoi limiti e insediamenti in nome della speranza. Spiritualità è, quindi,cogliere e inverare la fede nel vissuto, una particolare maniera di sintetizzare vital-mente i valori cristiani secondo diversità di punti prospettici.Non può essere supposta o data per scontata, in un discorso anche specificosulla nostra presenza nel mondo del lavoro. Difatti ad essa è legato il senso pasto-
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rale, i cui interrogativi non sono risolti una volta per sempre, ma richiedono rimedi-tazioni e approfondimenti, assimilazione di dati nuovi e recupero di motivi. Sitratta di essere non soltanto attivi, ma soprattutto consci dei significati di esistenzadi cui siamo portatori.La pastorale del lavoro – si asserisce – è una modalità necessaria nella pasto-rale normale e generale. Lo esprime con chiarezza il Documento della Commis-sione CEI per i problemi sociali1: la pastorale del mondo del lavoro è la pastoraledella società industriale (cfr. Introduzione e n. 22).Piuttosto che un settore staccato è una prospettiva che ogni Chiesa localeassume ed esprime attraverso atteggiamenti di ascolto, di comprensione, dialogo eimpegno in una società trasformata e segnata dal lavoro. Si sviluppa attraverso lepresenze di Chiesa che diventano centro di comunicazione e partecipazione di per-sone di diversa estrazione e mentalità. Si manifesta nella sensibilizzazione generalee nello spazio di dialogo che ai problemi del lavoro si dia nella comunità.Le sue linee di azione sono quelle tipiche di ogni pastorale: l’annunzio profe-tico della salvezza, la celebrazione con linguaggio, segni e gesti comprensibili, e ilservizio che, superando la sola informazione, programma in linea con la storia in-terventi che testimoniano l’Assoluto, propongono, anche se a livello quantitativa-mente modesto, una qualità di vita e denunciano criticamente situazioni inumane,cioè il prezzo umano con cui si sta pagando il benessere (emarginazione, disoccu-pazione).Ma allo stesso tempo la pastorale del lavoro è un’azione specializzata, portataavanti da alcuni membri della Chiesa, muniti di una visione ricca della sua realtàsalvifica, addestrati ad un intervento in condizioni particolari, preparati per una let-tura evangelica dei fenomeni che sono sorti in questo mondo.Da questo doppio movimento pastorale della Chiesa all’interno della storia delmondo provengono le prime indicazioni per una crescita della coscienza pastorale.Essa richiederà nel salesiano lo sviluppo di un profondo senso di appartenenzaalla Chiesa come comunione di tutte le forze che collaborano alla salvezza e la cuimanifestazione sono i seguenti atteggiamenti: la coscienza della missione comune,il riconoscimento del pluralismo degli apporti e dei carismi che operano in comu-nione e complementarietà, l’apertura dunque alle diverse manifestazioni della fra-ternità cristiana e della collaborazione operativa.Li renderà sensibili alle esigenze che comporta il dialogo della Chiesa colmondo d’oggi, tali come il riconoscimento di quanto di buono si elabora più in làdelle file cristiane, la conoscenza del fenomeno dell’ateismo e della areligiosità,delle sue radici e delle risposte vitali che richiedono dal credente. Soprattutto esi-gerà un ancoraggio rinnovato ogni giorno alla parola di Dio per illuminare ognievento, azione, interrogativo o conflitto. È questo ancoraggio che ci dà l’intuito
1 COMMISSIONE PER I PROBLEMI SOCIALI, Documento pastorale. La Chiesa e il mondodel lavoro, coll. Documenti CEI n. 9, LDC, Leumann 1977.
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profondo proprio del popolo di Dio che legge i segni, discerne i valori e giudica lastoria.Ma i Salesiani si inseriscono nell’azione della comunità cristiana con un contri-buto carismatico particolare. L’esperienza di vita del Fondatore, la collocazione popo-lare, lo sviluppo delle iniziative educative fecero del lavoro uno degli elementi-cardininella maturazione della mentalità e della spiritualità dei Salesiani. Il lavoro sarà,secondo Don Bosco, il loro distintivo sociale, che li renderà simpatici e accettabili allasocietà in via di secolarizzazione, più attratta dal senso da dare alla vita umana che dasimboli religiosi istituzionali. Il lavoro darà il tono al loro stile di povertà, influirà suirapporti comunitari e costituirà una caratteristica della loro pastorale. Più profonda-mente e più alla radice, il lavoro sarà sentito come partecipazione all’opera di Cristoper la redenzione del mondo ed esercizio di carità verso gli uomini.A partire da questa esperienza spirituale i Salesiani diventeranno educatori deigiovani al lavoro, rivelatori del suo senso umano e soprannaturale. «Necessità edu-cative e sociali intuite in perfetta relazione con i nuovi tempi – scrive l’Orestano –fecero scoprire a Don Bosco la grande legge di educare col lavoro e al lavoro. Dellavoro come strumento educativo Don Bosco senti la straordinaria potenza edifi-cante della personalità umana in tutti i sensi e i momenti».Il lavoro farà parte, dunque, dei contenuti educativi di tutte le iniziative sale-siane oltre a ispirare ambienti particolarmente centrati in esso. Sarà proposto ai gio-vani non come castigo e nemmeno soltanto come dura necessità, ma come unagrazia e come gioiosa esperienza educativa.Il Capitolo Generale XXI ha raccolto questo tratto quando riferendosi allascuola salesiana dice: «Insegna a vivere la caratteristica spiritualità del lavoro,mantiene un abituale e cordiale collegamento col mondo del lavoro» (n. 131).Coscienza e senso pastorale vuol dire consapevolezza che nel mondo del la-voro siamo annunciatori del Vangelo assieme a tutta la Chiesa; consapevolezzadella testimonianza religiosa segnata dal primato di Dio e dalla radicalità nel ser-vizio; consapevolezza infine della singolare destinazione dei Salesiani al mondodel lavoro attraverso l’iniziazione della gioventù ad esso.
3. INCARNAZIONE CULTURALE
Che l’evangelizzazione e il vissuto della fede siano collegati con la cultura èun’affermazione che non ha bisogno di un lungo commento. Si può in proposito,come unico e autorevole appoggio, citare il testo della Evangelii Nuntiandi: «IlRegno, che il Vangelo annunzia, è vissuto da uomini profondamente legati a unacultura». Occorre evangelizzare – non in maniera decorativa, a somiglianza di ver-nice superficiale, ma in modo vitale, in profondità e fino alle radici – la cultura e leculture dell’uomo, nel senso ricco ed esteso..., partendo sempre dalla persona e tor-nando sempre ai rapporti tra le persone tra loro e con Dio» (n. 20). E affinché
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questi rilievi non venissero limitati entro considerazioni soltanto geografiche, sog-giunge: «Per la Chiesa non si tratta soltanto di predicare il Vangelo in fasce geogra-fiche sempre più vaste o a popolazioni sempre più estese, ma anche di raggiungeree quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori de-terminanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli divita della umanità» (n. 19).Ora un dato emerso fortemente da questo incontro è che il lavoro è passato dafenomeno individuale e funzionale al proprio sostentamento, alla categoria di cul-tura. E questo non soltanto perché i lavoratori hanno sviluppato una coscienza col-lettiva che si è espressa in movimenti, azioni e fatti tendenti a creare una società di-versa nella quale emergesse di più la solidarietà, l’umanizzazione del lavoro, il pro-tagonismo del popolo inteso senza discriminazioni come insieme di persone for-manti la comunità politica. Ma soprattutto perché il lavoro ha fatto nascere nuovimodelli culturali: conoscenze innovatrici, aree di sviluppo personale, atteggiamentidavanti alla vita e comportamenti sociali, elaborazioni di ideali comuni, prassi poli-tica. Il tutto ha originato una forma di convivenza dove la creazione e l’attività pro-duttiva crea energia sociale, è base di solidarietà universale più in là delle frontierenazionali, è fattore di umanizzazione e punto di aggregazione.Nel mondo del lavoro sorgono fenomeni, si stabiliscono mete e scadenzestoriche, si provocano lotte e opposizioni, si preparano professioni e ruoli sociali, sicreano istituzioni con stile e finalità proprie. Il lavoro oltrepassa, dunque, la sem-plice attività: è una cultura. Vuol dire che per penetrarlo e capirlo non basta laconoscenza esterna e aneddotica, l’avvicinamento individuale, o la semplice buonavolontà. Ha una struttura, ha rapporti, ha dinamismi interni, ha leggi di azione ereazione. Da questo mondo viene e a questo mondo si indirizza il giovane che noiincontriamo. Nella sua atmosfera respira e del suo humus si nutre.Ora si può domandare: che impressione si ha quando si guarda alla prepara-zione generale, salvo casi di vocazioni individuali, che sacerdoti e religiosi hannoacquistato nella loro prima formazione e nella susseguente maturazione per affron-tare questo mondo?Mi affiderò ad alcuni documenti di gruppi autorevoli che hanno studiatoquesto interrogativo e che considero in possesso di dati più precisi di quelli di cuiposso disporre io per conoscenza diretta. E li offro non come affermazioni indiscu-tibili, ma come stimoli per riflettere.Quasi non c’è documento che non deplori un vuoto. Dobbiamo riconoscere– dice il Vescovo di Brescia in un lucido intervento2 – che da parte della Chiesasono abbondantissimi i documenti... (cfr. n. 21). Sono però di fatto ignorati. «Introppe parrocchie il problema dei nostri lavoratori non è neppure preso in conside-razione» (n. 166).
2 MORSTABILINI L., Pastorale del mondo del lavoro, coll. Maestri della Fede, n. 115, LDC,Leumann 1977.
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Non pochi operatori rilevano che raggiungiamo l’uomo che lavora nella suaesperienza familiare, nei suoi figli, nei suoi gesti religiosi e nel suo patrimonio mo-rale che costituisce quasi il suo ambito privato, mentre tutta la realtà del lavoro ri-mane come un tema inesplorato, non evangelizzato e tagliato da qualunque altraconsiderazione di fede che superi un’etica fondamentale e quasi sempre genericapsicologicamente.Appare poi come primo proposito di futuro il non rimanere fuori della realtàlavoro-produzione, società e di cercar di capirla nei suoi dinamismi. A confermapossono essere citati innumerevoli raccomandazioni, da quelle che si riferiscono informa generale allo studio della dottrina sociale della Chiesa, fino ad altre più pre-cise come l’indicazione del Sinodo tedesco del 1976 sul tema «Chiesa e mondo dellavoro»3. «Negli anni della formazione e della qualificazione tutti i collaboratoriimpegnati a tempo pieno nella pastorale dovrebbero far proprie quelle conoscenzeteoriche e pratiche che permettano loro di occuparsi dei problemi della societàindustriale» (n. 3.5.).È evidente anche un certo sforzo di superare il «dottrinarismo» cioè il proce-dere soltanto attraverso informazioni verbali. «Per tutto il periodo della forma-zione, i candidati al sacerdozio... conoscano effettivamente per esperienza diretta lasituazione esistenziale dei lavoratori» (ibidem). A questo indirizzo si aggiunge laraccomandazione 4: «Allo studio della dottrina sociale cristiana, prescritto comemateria obbligatoria nelle facoltà teologiche..., va unito un periodo di pratica nelleindustrie preparato e guidato da specialisti». Il Sinodo riconosce il bisogno di «in-formazione, educazione», ma anche di «contatti» per chi non è lavoratore, per com-prendere le condizioni di vita all’interno del mondo del lavoro (cfr. numero 2.2.).Assieme a questa volontà tesa verso un futuro di maggior avvicinamento, sirilevano alcune remore che potrebbero essere quasi connaturali all’ambiente dellaformazione ecclesiastica: una preferenza inconscia verso le forme e i valori dellacultura rurale che predispone negativamente al fenomeno tecnico-urbano, un’in-comprensione ai fatti connaturali allo sviluppo della cultura del lavoro più collet-tiva, più politica, più mobile, più conflittuale, e un rifugio sereno in sintesi culturaliche non assimilano la nuova realtà del lavoro.Il documento sui problemi sociali del lavoro dell’Ufficio pastorale CEI, par-lando dei sacerdoti anche direttamente impegnati con gruppi di lavoro in apostolatispecifici, dice: «in genere nel clero è prevalente una mentalità di ceto medio cheimpedisce l’incontro e il dialogo con i lavoratori...» (2.1.).Tra le cause del triste distacco Chiesa-mondo del lavoro, si annovera anche un«certo atteggiamento di favore, parzialmente ancora in atto, verso una realtà conta-dina pre-industriale con qualche avversione verso la tecnica e i suoi sviluppi»(Vescovo di Brescia, Pastorale e mondo del lavoro, n. 23).
3 SINODO NAZIONALE DELLA GERMANIA FEDERALE, Chiesa e mondo del lavoro, coll.Maestri della Fede, n. 113, LDC, Leumann, 1977.
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Sulla incomprensione da parte dell’elemento ecclesiastico di alcuni fenomeniambivalenti, ma integranti il mondo del lavoro, potrebbe essere significativo racco-gliere l’accenno di questi punti che rileva il Sinodo tedesco: «Molti sacerdoti e laicitendono a una visione unilaterale armonistica: secondo loro i conflitti sono soltantoun male; si nega semplicemente la contrapposizione effettiva di interessi, e quindidei conflitti che ne derivano» (1.4.3.). «Riconoscere ai lavoratori il diritto di riven-dicare... mediante la lotta operaia risultò talora difficile a molti sacerdoti e laicinella Chiesa» (1.4.2.).E sui limiti più generali che impedirono alla sintesi religioso-culturale di spo-stare alquanto l’asse contenutistico e metodologico verso il mondo del lavoro,senza rinunciare per niente alla centralità della riflessione di fede e ad un’antropo-logia fondata, si enunciano questi elementi di influsso:– restrizione dello sguardo ai problemi intraecclesiali;– il peso di una scienza teologica che è «rimasta invischiata nell’idea del mondocontadino o artigianale, in cui l’attività produttiva è legata alla gestione fami-liare e il rapporto di lavoro è inserito completamente nella realtà domestica efamiliare» (Sinodo tedesco, n. 1.2.);– preferenza ideologica per l’intervento assistenziale che non è in grado di risol-vere problemi strutturali;– l’atteggiamento indifferente o cauto davanti a qualsiasi provvedimento in fa-vore dell’esercizio dei propri diritti;– un insufficiente confronto con le correnti di pensiero e di prassi innegabil-mente presenti e influenti nel mondo del lavoro, o un confronto in termini sor-passati senza prendere atto dei significati nuovi che ci sono sotto termini an-tichi. «Con grave danno della nostra credibilità, la discussione nei nostri am-bienti corre ancora oggi sui vecchi binari, mentre in ambito... internazionale edecumenico si usano con naturalezza le categorie dell’analisi sociale» (Sinodotedesco, n. 1.5);– l’integralismo di pensiero che non ammette collaborazioni e in generale lapoca rilevanza data al fenomeno operaio come fenomeno di futuro.È ancora il citato documento dell’Ufficio Pastorale CEI che asserisce che nonsentendosi attrezzati culturalmente «si è portati a vedere pericolo di turbamentonella comunità, di conflitti, di contestazioni» quando si inseriscono con le loro pro-blematiche persone provenienti dall’esperienza del lavoro. La distanza dalla culturadel lavoro considerata come un tutto dinamico di valenze e rapporti, di mete e aspi-razioni, di modelli di comportamenti e criteri, ha come effetto l’incomprensibilitàdel linguaggio, la difficoltà di percepire significati anche in gesti, dichiarazioni eatteggiamenti ineccepibili, ma fuori epoca. Il gruppo di lavoro della CEI trova che«il linguaggio non è comprensibile... non chiama in causa chi ascolta» (Doc. CEI-9, n. 15.4). L’atteggiamento a volte autoritario e paternalistico dei sacerdoti rendedifficile il dialogo, l’amicizia e una fraternità vera..., come pure l’incomprensionedella necessaria presenza dei laici nella evangelizzazione dei lavoratori.
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Forse la realtà dell’incontro del mondo interno in cui si decantano e si elabo-rano i nostri messaggi e quell’altro mondo del lavoro si percepisce simbolicamentenell’incontro dei Papi con le fabbriche. Paolo VI (Taranto-Pomezia), GiovanniPaolo II (Terni, Rosignano-Solvay) in visita a luoghi dove il lavoro umano mo-derno ha le sue espressioni dure e tipiche, a giudizio comune di presenti, si trovanodi fronte a un primo momento di stupore e difficoltà.Il Papa era atteso e l’incontro lungamente preparato. La persona, i valori istitu-zionali e personali che rappresentava hanno sgelato l’atmosfera e sono stati vissutinon solo bellissimi momenti di dialogo, ma interessanti esperienze da approfondirein una riflessione pastorale. Ma non è mancato un certo dramma dell’impatto, unquasi silenzio e smarrimento. L’aveva espresso già Paolo VI, quando, rivolgendosiagli operai, aveva riconosciuto che non sapeva che parole scegliere. Ne furono te-stimoni quesiti e dialoghi a Rosignano. Ne è testimone quanto fu scritto dopo l’in-contro collegiale del Consiglio di Fabbrica di Rosignano. La meraviglia che cifosse disponibilità di incontro autentico, di ascolto attento, di vero desiderio dichiedere e capire, e non la presunzione collegata a una certa immagine della Chiesacome di chi non ha che da insegnare, o crede di aver a portata di mano la soluzionealmeno teorica d’ogni questione in base a principi eternamente validi, anche diquelle questioni vissute da altri in prima persona.Cioè è apparso un varco ancora non superato tra il riconoscimento della testi-monianza personale e l’immagine di una istituzione che, più in là di certi momentifelici e certi rappresentanti ispirati, è sempre legata a radici culturali almeno di-stanti da quelle in cui si fonda il mondo operaio-industriale.E questa è la costatazione più scioccante: non c’è preclusione di principio almessaggio religioso; anzi il gruppo CEI riconosce la permanenza e la forza di sen-timenti religiosi e di abitudini cristiane, manifestati in gesti e fatti. C’è invece unostacco culturale e di prassi sociale.Pur ammettendo che queste convinzioni non hanno un fondamento totalmenteobiettivo, il fatto che siano cresciute silenziosamente, accusa allontanamento dimentalità più che cause morali o azione di cattiva volontà da parte di persone inte-ressate.Preparazione al mondo del lavoro non significa, dunque, soltanto acquisizionedi un certo sapere settoriale, ma capacità di percepire, di valutare, di sintetizzarecultura non con una selettiva mentalità da ceto medio, ma con sensibilità ben piùaperta e disponibilità.Un movimento favorevole a questo è già peraltro in corso nella Chiesa e ciòcostituisce l’aspetto positivo dell’analisi, movimento che si manifesta sia nellasfida di una riflessione aggiornata, lanciata dalla Laborem exercem, sia dalla nuovavolontà di presenza emersa in molte Chiese locali.Il nostro ministero di pastori-educatori non soltanto ci richiama al messaggioevangelico, ma ci colloca nella cultura dove si giuocano i significati. Non po-tremmo prepararci a svolgere un ministero nel mondo del lavoro a meno che non ci
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immergiamo in questo mondo, cogliendo le sue forze sane e preparandoci a conte-stare i suoi idoli.Dalla fusione tra coscienza pastorale e immersione culturale dovrebbero origi-narsi una sintesi vitale attuata nella persona stessa e nella comunità, e il conse-guente sviluppo degli atteggiamenti auspicati da tutti i piani pastorali preparati invista del mondo del lavoro: è l’ascolto, che significa studio, esperienza di penetra-zione, immedesimazione; la comunione, condivisione nel mistero pasquale dellepreoccupazioni del mondo del lavoro, dei criteri e delle azioni della Chiesa in esso;il servizio, cioè di animare la crescita, scoprirne e difenderne la dignità.
4. LA QUALIFICAZIONE EDUCATIVA
La dimensione educativa è così interna alla missione e allo stile pastorale sale-siano che viene inserita in tutti i programmi e caratterizza tutte le strutture e tutti gliambienti, siano essi formalmente ed esplicitamente educativi, o si considerino diattendimento pastorale più generale. Il salesiano, secondo la definizione raccoltanelle Costituzioni e commentata in autorevoli testi, è un pastore-educatore e il suoprogetto d’intervento è educativo-pastorale.Forse l’esempio più chiaro di come si vogliono congiungere e fondere questidue aspetti si intravede in quanto il Capitolo Generale XXI dice sulle parrocchie:«La parrocchia salesiana evangelizza secondo lo stile e lo spirito del progetto edu-cativo-pastorale salesiano (n. 140)». O in forma più generale, ma anche più fonda-mentale: «come persone e come comunità... abbiamo un carisma specifico per cuici dedichiamo all’educazione» (n. 15).Questa accentuazione richiede di acquisire competenza specifica nell’accom-pagnare la crescita armonica e integrale dei giovani che vengono dal mondo dellavoro o vanno verso di esso. Si tratta d’introdurre i giovani, attraverso cono-scenze ed esperienze progressive e adeguate, non tanto in un processo di produ-zione, quanto in una società in cui i rapporti originati dal lavoro sono determi-nanti e conflittuali, e aiutarli a costruire una personalità unificata. Il buon citta-dino e il buon cristiano si fondono nel lavoratore competente e critico, con vo-lontà e capacità di partecipare alla cultura. È un compito più specifico che l’an-nuncio generale della parola evangelica. Nella Chiesa ci colloca in un’area spe-cializzata della pastorale, mentre nella società civile ci identifica professional-mente. E questo risponde anche al desiderio di Don Bosco che i suoi religiosifossero cittadini come gli altri, che assumessero, se pur con piena e chiara ispira-zione pastorale, un lavoro stimabile in termini di professionalità e di rendimentosociale.La professionalità educativa si basa sulla conoscenza sufficiente delle scienzedell’educazione applicate all’area del lavoro. Si manifesta particolarmente in tremomenti e operazioni.
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Il primo è la capacità di analisi della condizione dei giovani nell’area del la-voro. A questo riguardo ci avverte il CG XXI: «L’evangelizzazione passa semprepiù obbligatoriamente attraverso l’analisi delle situazioni di vita che incidono sullapersonalità giovanile. I modelli che l’ambiente presenta, le aspirazioni, le tensioni ele rivendicazioni che induce, trovano spesso accoglienza e solidarietà nell’animodei giovani» (n. 20). «Si tengano in conto le loro esigenze specifiche e la loro ap-partenenza al mondo dello studio o della fabbrica, al mondo dei campi o dell’im-piego» (n. 29). Questa conoscenza è, dopo il Vangelo, il criterio fondamentale perconcretizzare le nostre scelte e impostare i nostri programmi.Si insiste che debba essere sufficientemente seria, non basandosi semplice-mente su impressioni o su approssimazioni generiche. Per noi il punto risolutivo èsoprattutto scoprire quelle attitudini e aspirazioni che sembrano avere riferimentoal Vangelo. C’è sempre una segreta solidarietà e richiamo tra quello che emerge daisegni e la Parola di Cristo ed è necessario esplicitarla, chiarirla e procedere oltre,poiché i segni dei tempi non esauriscono le possibilità della parola.La persona è al centro della nostra missione. Non dobbiamo però concepirla informa astratta. Nel caso del giovane lavoratore non dobbiamo fermarci ai problemie alle aspirazioni connesse soltanto con il fatto della sua giovinezza, ma assumere ifenomeni tipici del mondo del lavoro e risolvere positivamente la loro incidenza suigiovani.Alcuni di questi fenomeni sono comuni alle diverse aree europee e hanno atti-nenza col compito educativo.È diffusa una mentalità che sottovaluta il lavoro tecnico, anche quando si rea-lizza a buon livello, e concede status alla preparazione intellettuale che porta piùfacilmente a funzioni direttive e a ruoli di comando. In qualche parte si è indicata lascuola professionale come scuola di seconda classe. Viene considerata come unaforma di promozione o di recupero sociale, riservata a giovani provenienti da fami-glie di minori possibilità. La scelta della scuola professionale non potrebbe esseredeterminata che da un limitato livello di aspirazione (carenza di motivazione per li-velli più alti, scarsità di risultato scolastico), o a causa della condizione socio-cultu-rale della famiglia (difficoltà economiche, mancanza di stimoli, limiti sociali).La precarietà di occupazione e la difficoltà di impiego colpiscono egualmenteintellettuali e operai. Questi sanno che affrontano un tempo in cui la meccanizza-zione crescente e la automazione modificano costantemente compiti e professioni.Dai mestieri che si esauriscono e ricompongono nasce il fenomeno dell’attivitàspersonalizzata e puramente funzionale come mezzo di sussistenza, più che comeattività creatrice e come espressione della persona. C’è dissociazione tra efficienzae spontaneità rispetto ai risultati e alle modalità delle prestazioni. Così la culturaindustriale, malgrado gli sforzi, cammina verso un’immensa massa di subordinati ela non partecipazione risulta inevitabile.La persona si scinde a poco a poco e cerca le gratificazioni fondamentali inaltri settori della propria esistenza, eliminando il lavoro dai fattori di perfeziona-
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mento, di donazione e di progresso. Lavora in un settore per fare fronte alla propriasussistenza; però realizza la propria umanità in altri settori (famiglia, circoli diamici e lotta politica).La tendenza all’automazione trasforma poco a poco la civiltà del lavoro inciviltà del consumo. La società industriale si fonda su alcuni principi assunti comevalori indiscussi: il massimo vantaggio, il principio di produzione, la concentra-zione del potere economico. L’etica del lavoro si cambia in morale del guadagno edel consumo. Il centro di gravitazione di tutta la vita slitta insensibilmente verso iltempo libero, verso il non lavoro, ove la persona costruisce liberamente la propriaidentità e arricchisce il suo patrimonio culturale.In questa rifondazione della vita si fanno presenti le ideologie come tentativod’interpretazione del processo storico, come sforzo di trasformazione delle strut-ture, di umanizzazione dei rapporti di lavoro, di produzione, di proprietà, di parte-cipazione nel politico e come «utopia» per l’edificazione di un futuro.Questo insieme di stimoli, aspirazioni storiche e sforzi di costruzione socialenon è esente da tentazioni e pericoli. Ciò che il giovane lavoratore incontra e incon-trerà frequentemente sono la visione materialista e chiusa della vita umana, la ten-tazione della violenza, l’egoismo di classe, con i sentimenti corrispondenti di osti-lità per chi non condivide con lui gruppo e tendenze.Incertezza economica, mancanza di sbocchi professionali, incontro con leideologie, senso d’inferiorità, divisioni interne, sono i problemi educativi che deveaffrontare chi si propone, come i Salesiani, di costruire persone e inserirle nella so-cietà.Come si potrebbe operare una fusione tra fede e vita se questi fenomeni e altrisimili non fossero umanizzati ed evangelizzati? E come potrebbero esserlo se lacomunità di educatori, e non già qualcuno isolatamente, non si dedicasse a capirlidall’interno, nelle loro cause e nei loro dinamismi?Il Capitolo Generale XXI esorta i Salesiani a essere specialisti della realtà gio-vanile e a offrire nell’ambito delle Chiese locali la conoscenza acquisita attraversogli studi e i contatti reali.Il mondo del lavoro si evolve con rapidità. In esso i giovani non trovano facil-mente una loro collocazione, né riescono facilmente a integrare fede e vita in uncontesto in cui molti elementi non erano prevedibili.La missione salesiana ci chiederà nell’immediato futuro di approfittare dell’in-sieme delle nostre presenze, per poter pervenire a una maggior profondità di com-prensione della situazione dei giovani che provengono e si dirigono al mondo dellavoro. E questo è un primo aspetto della professionalità educativa che la nostracollocazione tra la gioventù può renderci capaci di offrire alla Chiesa.La professionalità ci spingerà ad accrescere la capacità di progettazione edu-cativa. Non è concepibile in educazione procedere individualmente per entusiasmospontaneo, o ripetendosi anno dopo anno, mentre attorno a noi le domande cam-biano.
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Viene opportuno richiamare qui un’osservazione del CG XXI: «Un lavoroeducativo per essere concreto e offrire un servizio utile non può limitarsi a principigenerali e a orientamenti generici. Deve indicare con precisione i contenuti e i me-todi, perché siano dati ai giovani in fase educativa quell’attenzione e quel rispettoche ci insegna la pedagogia di Dio» (n. 20).Il compito educativo soffre l’impatto oltreché del ritmo evolutivo della società,della pluralità delle scelte possibili in termini di programma, obiettivi intermedi econtenuti su cui giocare le forze disponibili, e delle innovazioni didattiche.Nella dispersione degli interventi giornalieri non collegati si può perdere anchequel quadro di riferimento antropologico ed evangelico che dà senso alle singoleproposte.Nessuno sopravvive nella cultura odierna senza sottomettersi a delle riformula-zioni periodiche delle proprie sintesi, e senza essere cosciente del risultato finale etotale a cui si indirizzeranno i propri contributi. Questa è forse la ragione profondaper cui negli ultimi tempi si è insistito sul progetto come operazione unificantedella mentalità e degli interventi e allo stesso tempo come atteggiamento innova-tivo, capace di seguire il ritmo della realtà e di dare risposte adeguate alle domandee proporzionate alle possibilità.Finalmente la professionalità dovrebbe aiutare a sviluppare gli abiti, i metodi egli atteggiamenti di verifica.Un aspetto particolare della nostra qualifica educativa è la pedagogia religiosa,cioè la capacità di formare i giovani nella fede attraverso itinerari specifici che as-sumano le loro esperienze e si adeguino al loro linguaggio.
5. PRASSI DI ANIMAZIONE COMUNITARIA
La nostra azione si svolge attraverso comunità. «La formazione di vere comu-nità educativo-pastorali basate sulla corresponsabilità e collaborazione è uno degliobiettivi principali del nostro rinnovamento» (CG21 62).Non rientra nello spazio di questa relazione approfondire i fondamenti diquesta linea di azione, valida per tutte le presenze salesiane. Il farlo, però, daràagli operatori il senso della sua urgenza e della sua attinenza con la evangelizza-zione, eliminerebbe resistenze e aiuterebbe a capire i nuovi ruoli della comunitàreligiosa.Tre sono i nodi della comunità educativa: l’identità cristiana e salesiana, il di-namismo interno di partecipazione costruttiva, il collegamento con altre forze edu-cative e soprattutto col territorio.Una felice soluzione di questi problemi mette sul tappeto la questione della ca-pacità animatrice dei salesiani.C’è una parola chiave molto usata in questi ultimi anni: animare che non con-viene ridurre all’organizzare o dirigere. «L’animazione nel suo significato originale
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fa pensare anzitutto all’attività interiore dell’anima come energia di vita, di crescitaarmonica, di coesione articolata delle parti: attività che dall’interno fa crescere lapartecipazione di tutti i membri nella vita del corpo» (CG21 46).Conviene mettere in chiaro alcuni punti strategici, che sono pregiudiziali per ilrisultato. Eccoli.– Che la comunità religiosa (la comunità tutta, non uno o due di essa) riconoscail suo ruolo all’interno della comunità educativa e pastorale, con le conse-guenti modifiche di orari e attività che questo comporta. Si dice a questo pro-posito: «formare la comunità educativa con la partecipazione dei salesianicome animatori»; e sembra che su questo fulcro riposino le speranze di arri-varci. Ai Salesiani toccherà guidare il processo, affinché la comunità sia evan-gelizzata ed evangelizzatrice (Cfr. CG21 132).– Che avendo riconosciuto e accettato «in solidum» questo ruolo, lo concretizziin iniziative e programmi. L’animazione difatti non consiste in parole di inco-raggiamento, ma in chiarezza di finalità, unione di membri, coscienza dellamissione ed entusiasmo nell’opera che si svolge.– Che questo coinvolgimento non si esprima soltanto nei momenti «istituziona-lizzati» ma si allarghi alle attività libere. «Ogni comunità – dice ancora il CGXXI – programmi annualmente attività e incontri che aiutino a superare il li-vello burocratico dei rapporti e a instaurare un ambiente comunitario permeatodallo Spirito evangelico di libertà e di carità» (n. 133).La vita di una comunità educativa e le sue possibilità di camminare cosciente eunita in un progetto dipende dal fatto che i Salesiani prendano su di loro questoruolo di animare nella linea educativa, pastorale e salesiana. Ma i Salesiani nonprendono questo ruolo quando non hanno maturato in determinati criteri di azione,non hanno acquistato le relative conoscenze e non si sono inseriti progressivamentein una prassi di animazione.
6. CONCLUSIONE
Coscienza e senso pastorale, sensibilità culturale, livello professionale, capa-cità animatrice: sono i quattro nuclei attorno ai quali organizzare la preparazionedei Salesiani per il mondo del lavoro.Le iniziative e le opportunità, alcune indicazioni per un cammino futuro è ilcompito di riflessione affidata ai gruppi.
CONTRIBUTI DEI GRUPPI E SCAMBIO IN ASSEMBLEA DOPO LA RELAZIONE
I gruppi di lavoro si dimostrano d’accordo sull’importanza dei punti presentatinella relazione. Scorgono nella «coscienza e senso pastorale» il nucleo fondante, e
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negli altri punti – incarnazione culturale, competenza professionale e prassi di ani-mazione comunitaria – la necessaria traduzione metodologica.1. Si rileva lo squilibrio tra lo sforzo didattico-professionale e quello della prepa-razione pastorale attraverso le seguenti costatazioni.1.1. Riguardo alla formazione didattico-professionale:– si sono fatti periodicamente corsi di aggiornamento sugli aspetti legali,sull’insegnamento delle singole discipline, su programmazioni metodo-logico didattiche, accompagnando le proposte con relativi sussidi peruna traduzione pratica;– Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice seguono la sperimentazione dinuove tecnologie d’insegnamento;– in qualche Ispettoria sono stati elaborati i progetti educativi anche a li-vello locale, a cui però non sempre conseguono traduzioni operative;difatti alle volte mancano nei progetti stessi l’aderenza alla cultura dellavoro e l’assunzione delle sue istanze.1.2. Riguardo alla qualificazione educativo-pastorale:– nonostante che i documenti della Chiesa e della Congregazione stimo-lino ad aperture sociali e pastorali verso il mondo del lavoro, si ha l’im-pressione che nel nostro curriculum formativo non esista una specificapreparazione neppure a livello di sensibilità riguardo al mondo del la-voro;– anche in chi opera in Centri di Formazione Professionale si rileva allevolte una mentalità estranea al mondo per il quale si vogliono prepararegli allievi. La stessa cultura che si comunica appare troppo astratta eavulsa dalla problematica del lavoro e dei lavoratori;– si hanno informazioni su problemi sociali, ma non forme di coinvolgi-mento e di apertura attiva al mondo del lavoro. Quando ci si avvicina,dunque, ai lavoratori ci si accorge di possedere criteri, linguaggio evalutazioni distanti dalle loro esperienze;– tentativi d’inserimento di singoli confratelli non sono diventati sceltedella comunità. E peraltro quando si tenta un discorso sulla necessità dipreparare persone per questo specifico settore la carenza di personaleblocca ogni iniziativa.2. In base a queste costatazioni si enunciano voti, proposte e suggerimenti– È necessario impostare la preparazione per inserirsi nel mondo del lavorofin dalle prime fasi della Formazione Iniziale e prepararsi per una società in-dustriale e post-industriale; dare quindi possibilità di tempi di esperienza di-retta negli ambienti di lavoro, affinché si impari facendo (tirocinio nellescuole professionali, pratiche pastorali in zone di lavoro, ecc.). Nei pianiformativi non manchino contenuti relativi ai quattro nuclei enunciati dal Re-latore, in modo che anche i chierici possano essere preparati per gli ambientitecnico-professionali.
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– Si auspica che si possa dare ai confratelli una più ampia informazione socio-politica e sindacale e una migliore conoscenza dei dinamismi del mondo dellavoro, favorendo un atteggiamento di seria valutazione e simpatia. NellaFormazione Permanente si garantisca, in forma sistematica, l’informazionee la capacità di giudizio sulle situazioni del mondo del lavoro; detta Forma-zione Permanente va favorita con una vigilanza critica, a livello di comunitàlocale, di quanto accade nel mondo del lavoro.– Si richiede conoscenza di ciò che la Chiesa attraverso il suo magistero hadetto su una pastorale per il mondo del lavoro e su una lettura positiva deisuoi fenomeni.– Si vede la necessità che in una programmazione ispettoriale si scelgano pertempo persone da formare, che poi vengano mantenute nei rispettivi settori,dato che si costata troppa mobilità. Per i confratelli e in maniera analoga peri collaboratori laici che lavorano nelle scuole professionali vanno garantititempi di riciclaggio.– Si propone uno sforzo per coinvolgere di più gli ex-allievi e i genitori deinostri allievi impegnati nelle fabbriche o in altri ruoli di lavoro per consulta-zioni, confronti e valutazioni sul nostro modo di essere e di operare.– Nel caso di aperture di nuove opere, optare per il mondo operaio; non ri-durre, in ogni caso, l’educazione al lavoro e l’informazione su di esso ai soliCentri di Formazione Professionale, ma estenderle anche alle altre scuole.– Si vede conveniente un salto di mentalità per aprirci alla collazione dei laici,delle forze sociali ed ecclesiali e alle richieste del territorio, scoprendo ilruolo animatore della comunità religiosa e puntando su una maggiore prepa-razione pastorale ed educativa dei collaboratori.– Si vede anche la necessità di raccomandare alcuni atteggiamenti che sem-brano indispensabili quando si tratta di esperienze concrete e più audacinel mondo del lavoro: coscienza di essere mandato dalla comunità e dal-la Chiesa; consapevolezza di essere la voce dei giovani lavoratori perla Chiesa e la voce della Chiesa per loro; atteggiamento corrispondente diappoggio e assunzione delle conseguenze da parte della comunità man-dante.3. Riguardo a iniziative, responsabilità e strutture, si è proposto quanto segue.– Riprodurre nelle diverse Ispettorie e aree geografiche l’esperienza del pre-sente convegno, per una conoscenza più esatta del mondo del lavoro, per unconfronto con i confratelli e con i collaboratori laici. Commissioni nazionalidi Pastorale Giovanile e organismi analoghi propongano incontri e inter-scambi su tematiche simili, con la presenza di insieme di Salesiani, Figlie diMaria Ausiliatrice e collaboratori.– Il Consiglio ispettoriale, come primo responsabile dell’animazione pastoraledei confratelli, vagli le caratteristiche del mondo del lavoro in cui opera,faciliti il nostro intervento e spinga la mentalizzazione dell’Ispettoria.
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– Ogni scuola professionale programmi contatti con le aziende della zona, pervedere la situazione obiettiva, da cui dedurre indicazioni per un insegna-mento più attualizzato del futuro lavoratore.– Si auspica vivamente a livello nazionale, dove non ci sia già, la costituzionedi un Centro coordinatore salesiano che animi la nostra vocazione verso ilmondo del lavoro. Possono essere suoi compiti: stimolare il perfeziona-mento degli educatori nelle aree tecnologiche, pedagogiche e pastorali, pro-grammare attività, elaborare sussidi, rappresentare la Congregazione davantiagli enti sociali e politici operanti nel mondo del lavoro.
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La Formazione Professionale el’educazione per il lavoronel progetto educativo pastorale salesiano, 2009Pascual CHÁVEZ VILLANUEVA
Si riporta l’intervento del Rettor Maggiore che ha tenuto inoccasione della Prima Consulta Mondiale dei Salesiani cheoperano nelle scuole e nei centri tecnici – professionali (SCTP),svoltasi a Roma nei giorni 5, 6 e 7 giugno 2009.Così scrive don Fabio Attard, Consigliere per la pastorale Gio-vanile:“Perché una consulta mondiale dei Salesiani che operano nelleSCTP (Scuole Centri Tecnici Professionali)?I motivi sono molteplici. Ne richiamo solo alcuni.È una risposta ad una domanda avvertita da più parti, quella dicoordinarsi in un ambito che per i Salesiani è “carismatico”.È il segno di una attenzione da parte della Congregazione aduna particolare tipologia di giovani da considerare come“nuova frontiera”.Attraverso la Consulta, i Salesiani che operano nelle SCTP, po-tranno conoscersi, confrontarsi, scambiarsi le migliori pratiche,approfondire le motivazioni per questa scelta... per offrire aquesti giovani un servizio di qualità.Attraverso la Consulta i Salesiani che operano nelle SCTP po-tranno, inoltre, elaborare delle strategie e dei traguardi comunia partire dai vari contesti territoriali ma anche in quadro piùampio, a livello di Regione e di Congregazione.
L’educazione al lavoro dei giovani e l’educazione attraverso il lavoro è un ele-mento fondamentale della proposta educativo-pastorale salesiana.
1. CAMMINO REALIZZATO
Nel programma di animazione e governo del RM e del suo Consiglio per ilsessennio 2002-2008, il Dicastero si proponeva dare “un’attenzione speciale e prio-ritaria alle situazioni di disagio giovanile” tra le quali veniva segnalata la prepara-zione e l’inserimento nel lavoro1.Già nel sessennio precedente, tra le iniziative per sviluppare la qualità educa-tiva delle nostre scuole e Centri di Formazione Professionale, si era tentato di pro-muovere una maggiore coscienza dell’importanza e urgenza dell’educazione al la-
1 Cfr. Progetto di animazione e governo del Rettor Maggiore e del suo Consiglio, ACG 380 pag. 39.
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voro. Segno di questo sforzo fu un intervento del Consigliere per la Pastorale Gio-vanile negli Atti del Consiglio Generale 368 (Luglio-Settembre 1999) “La pastoralegiovanile salesiana e il mondo del lavoro”.Nell’anno 1997 era stata pubblicata l’indagine condotta dal Dicastero per laPG, sotto la guida di D. Luc Van Looy, e dell’Istituto di sociologia dell’UPS, sullaFormazione Professionale Salesiana. In essa si offriva una visione d’insieme dellarealtà della FP nella Congregazione, delle sue realtà, problematiche e prospettive difuturo. Un libro ancora non sufficientemente valorizzato.Nel frattempo nasceva, quasi dappertutto, in modo speciale nei paesi in via disviluppo, un insieme di servizi e di proposte per la preparazione al lavoro dei gio-vani in situazione di rischio: centri e programmi più o meno formali o anche infor-mali di formazione professionale, alcune esperienze molto interessanti di creazionedi lavoro, ecc. Queste iniziative, nate dallo zelo pastorale di alcuni confratelli, sisviluppavano in modo speciale nell’ambito delle parrocchie o degli Oratori, oanche delle scuole professionali in orari serali, ma erano poco considerate e coordi-nate dai programmi e dall’animazione pastorale delle Ispettorie.Le Procure Internazionali Salesiane, insieme con alcune ONG per lo svi-luppo, hanno sostenuto e accompagnato molte di queste iniziative, così come lanascita e lo sviluppo di Centri di Formazione professionale in molte ispettorie del-l’Africa, Asia e America Latina. Approfitto per ringraziare questo vostro impegnonel sostenere e difendere questi programmi davanti ai grandi organismi interna-zionali di aiuto allo sviluppo; se molti di questi servizi formativi per i giovani arischio si sono sviluppati e moltiplicati in molte ispettorie è, in grande misura, me-rito vostro.Durante questi anni io stesso ho ricevuto ed offerto diversi stimoli che incorag-giavano la Congregazione a riprendere questo settore caratteristico della missionesalesiana, a promuovere nelle ispettorie un’attenzione e un coordinamento mag-giore a queste opere e servizi, a curare la loro crescita in qualità educativa e a faci-litare loro una ricerca più efficace di risorse di futuro.In questo senso il Dicastero della PG ha promosso negli ultimi anni una rifles-sione sulla Formazione Professionale e l’educazione al lavoro nelle Commissionicontinentali della scuola salesiana (Europa a Krakow, marzo 2004; America a San-tiago di Cili, gennaio 2004); si è realizzato un seminario di riflessione con alcunisalesiani esperti in queste iniziative per conoscere la realtà e preparare un cam-mino di riflessione e di studio nelle ispettorie della regione Interamerica (Quito,marzo 2004). La Conferenza degli ispettori di Africa e Madagascar ha realizzatouna prima riflessione e ha chiesto al Dicastero di convocare un incontro con i rap-presentanti delle ispettorie interessate per approfondire il tema. È avviato, dunque,un ampio cammino di riflessione, di condivisione e di coordinamento che oggi siriprende per aiutare le ispettorie a rinnovare la qualità e l’efficacia del loro im-pegno per l’educazione e l’accompagnamento dei giovani che si avviano al mondodel lavoro.
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2. ALCUNI CRITERI FONDAMENTALI PER L’IMPEGNO SALESIANO NELL’EDUCAZIONEE FORMAZIONE PROFESSIONALE DEI GIOVANI
Ricordo brevemente alcuni criteri che devono guidarci in questo sforzo di rin-novamento della presenza salesiana nel mondo della formazione per il lavoro.
2.1. I giovani che s’avviano al lavoro, i giovani lavoratori e i giovani disoccu-pati destinatari specifici della nostra missione.Don Bosco, nella sua opzione educativa pastorale per i giovani bisognosi, ebbeuna grande preoccupazione per il mondo del lavoro. Cominciò la sua opera a Val-docco accogliendo giovani alla ricerca di lavoro e immigrati disoccupati, li radunò,cercò lavoro per loro, tentò di offrire loro laboratori dove potessero imparare un la-voro e ricevere una formazione religiosa e morale adeguata.Sin dall’inizio, l’impegno per i giovani operai è un aspetto essenziale dellamissione salesiana e si esprime, in modo particolare, nell’abbondante numero discuole professionali e iniziative simili che divengono una delle caratteristiche piùnote dei Salesiani in molti paesi, soprattutto quelli in via di sviluppo.Quest’orientamento costante della Congregazione sin dalle origini è raccoltodall’articolo 27 delle Costituzioni: “I giovani degli ambienti popolari che si av-viano al lavoro e i giovani lavoratori spesso incontrano difficoltà e sono facilmenteesposti ad ingiustizie. Imitando la sollecitudine di Don Bosco, ci rivolgiamo ad essiper renderli idonei ad occupare con dignità il loro posto nella società e nella Chiesae a prendere coscienza del loro ruolo in vista della trasformazione cristiana dellavita sociale”.Inoltre le Scuole Professionali, molti Oratori-Centri Giovanili, Parrocchie, ecc.possono offrire una attenzione speciale ai giovani lavoratori o disoccupati, facili-tando la loro accoglienza e protagonismo, una metodologia che faciliti la loro inte-grazione nell’ambiente, iniziative che rispondano ai bisogni più sentiti da loro. Tal-volta troviamo difficoltà a raggiungere questi giovani perché molte delle nostre at-tività sono più adeguate per i giovani studenti o universitari di una certa cultura ecapacità intellettuale. In parecchi luoghi sono nate iniziative di formazione al la-voro, di aiuto all’auto-occupazione, borse di lavoro, o iniziative simili, segni del-l’interesse e preoccupazione di molti confratelli e collaboratori.
2.2. Un’educazione integraleLa finalità del nostro intervento educativo non è soltanto preparare i giovaniper il lavoro, ma renderli idonei a svolgere con dignità la loro vocazione e collabo-rare così alla trasformazione cristiana della società. Questa finalità ci obbliga ad as-sicurare nei programmi educativi dei Centri di Formazione Professionale alcunelinee prioritarie come la centralità della persona rispetto all’economia, l’attenzionepreferenziale ai più deboli nella ricerca del bene della comunità, la salvaguardia
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della dimensione della gratuità contro lo strapotere del profitto, la professionalitàvissuta nella prospettiva delle competenze personali e professionali, la promozionedi modelli di sviluppi più equi, che impediscano di allargare ulteriormente la for-bice delle disuguaglianze presenti nel sistema.Questa preoccupazione per offrire ai giovani che si avviano al lavoro un’edu-cazione integrale deve impegnare tutte le comunità e tutte le opere salesiane, nonsoltanto le scuole professionali. Si dice nell’articolo 2 dei Regolamenti: “Le ispet-torie favoriscano l’impegno educativo verso i giovani lavoratori. Cerchino di cono-scere il mondo del lavoro e la situazione dei giovani lavoratori. Curino i Centri diFormazione Professionale dal punto di vista pastorale, pedagogico e tecnico e pre-dispongano programmi adeguati per educare i giovani ad un’autentica spiritualitàdel lavoro”.Sono impegni importanti e urgenti che esigono da tutti una seria verifica, so-prattutto perché il mondo del lavoro si sta trasformando rapidamente, cambiano ledomande delle imprese e le possibilità d’impiego; i giovani sono quelli che più spe-rimentano questi cambiamenti.
2.3. La pedagogia del lavoro come un elemento importante in una formazioneintegrale salesianaMolti giovani sono esposti o già vivono qualche esperienza di insuccesso sco-lastico e/o con problemi di integrazione personale, familiare e sociale. Per loro unaesperienza lavorativa positiva, programmata e seguita con criteri educativi, può co-stituire un’ottima possibilità di recupero personale; il giovane può riacquistare lastima di sé, riscoprire le proprie abilità e capacità, apprezzare il lavoro ben fatto edessere motivato alla propria formazione.Questo richiede che nella proposta educativa offriamo un ampio spazio ad al-cune esperienze di lavoro, servizi alla comunità, lavoro all’interno di organizza-zioni “non-profit”, valutando in esse soprattutto la realizzazione personale e il ser-vizio al bene comune della comunità. Richiede anche di promuovere contatti quali-ficati e significativi con persone, istituzioni e ambienti del mondo del lavoro, favo-rendo un dialogo, confronto e mutua conoscenza e collaborazione formativa. Perquesto le opere e servizi di Formazione Professionale hanno bisogno di lavorare inrete con scuole, imprese, amministrazione pubblica e molte altre opere e servizi so-ciali ed educativi.
2.4. Un orientamento evangelico che apre e dispone all’evangelizzazione“Come Don Bosco siamo chiamati tutti e in ogni occasione a essere educatorialla fede” dicono le nostre Costituzioni (art. 34). Per questo ogni nostra azione eopera a favore dei giovani lavoratori deve offrire loro una visione umanista ed evan-gelica della realtà sociale, economica e del mondo del lavoro, attraverso la lezionedi religione o di formazione morale e lo studio della Dottrina Sociale della Chiesa;
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deve sviluppare una pedagogia dei valori, deve proporre esperienze spirituali e diapertura a Dio come una graduale iniziazione alla preghiera e alla celebrazione; of-frire anche esperienze di servizio gratuito e di solidarietà verso i più poveri, comin-ciando da quelli del proprio ambiente; ecc. In questo modo la nostra presenza eazione educativa sarà segno del Vangelo e cammino che apre all’evangelizzazione.
3. ALCUNE PREOCCUPAZIONI IMPORTANTI
Dai contatti ed esperienze realizzate ci sembra di percepire alcune preoccupa-zioni che meritano un’attenzione particolare e di fronte alle quali il Dicastero vuoleaiutare le ispettorie a trovare vie di risposta.
3.1. Bisogno di un appoggio particolare alla Formazione ProfessionaleNei paesi in via di sviluppo la formazione professionale è sempre più impor-tante; la maggioranza dei giovani, soprattutto i più poveri, restano al margine dellascuola, almeno dopo l’istruzione elementare; per loro la Formazione Professionaleo una rapida preparazione per il lavoro è l’unica strada aperta per poter inserirsi po-sitivamente nel mondo del lavoro e nella società.Per questo oltre ai numerosi Centri di Formazione Professionale formale sisono sviluppate molte iniziative e servizi per la preparazione immediata al lavorodei giovani. Tutte queste opere e servizi richiedono investimenti importanti, unmantenimento costoso, un aggiornamento continuo e molta creatività, cose che nonsempre le comunità o le ispettorie possono assicurare.Un altro aspetto di questo appoggio è la formazione tecnica, pedagogica e sale-siana degli insegnanti, istruttori e formatori; molti di loro sono gente di buona vo-lontà, disponibili a condividere quello che sanno, ma non sempre molto qualificati;con scarsa sensibilità pedagogica e anche poca conoscenza dello stile e dello spiritosalesiano; sono loro stessi poveri e bisognosi di progredire e di guadagnare di più.
3.2. Assicurare un’educazione integraleUn’altra preoccupazione importante dei salesiani che animano e dirigonoquesti centri e servizi è l’offrire ai giovani una formazione e una educazione inte-grale; si tratta di formare non soltanto un lavoratore, ma una persona, capace di as-sumere con responsabilità la sua missione nella vita e nel mondo del lavoro, conuna visione solidale della vita e della società, con un orientamento aperto alla di-mensione religiosa. A volte gli stessi giovani, cercando il guadagno facile e rapido,sono preoccupati soltanto di imparare alcune tecniche per andare subito a lavoraree avere denaro.In molti di questi servizi i giovani frequentano il centro per breve tempo, percui l’influenza educativa che si può avere con loro è scarsa e molto precaria.
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Inoltre i salesiani si vedono sovente obbligati a spendere molte delle proprieenergie nella ricerca di risorse per il funzionamento e lo sviluppo del centro, tro-vando difficoltà per lo sviluppo della loro missione più specifica, l’animazioneeducativa e salesiana della comunità educativa.
3.3. L’inserimento nel mondo del lavoro dei giovani che finiscono la formazioneUn indicatore importante della efficacia di una formazione professionale è lasua capacità di condurre i giovani a trovare un lavoro e ad inserirsi positivamentein esso; soltanto in questo modo si garantirà il frutto della formazione ricevuta e sieviterà l’emigrazione o la caduta nell’emarginazione.Ma questo, in molte situazioni di precarietà e di povertà, è difficile: il lavoro èscarso, poco sicuro e offre poche possibilità di progresso professionale; i diritti deigiovani in esso sono poco rispettati; in molti ancora è troppo comune la mentalitàdel guadagno facile e rapido, anche a scapito del futuro.Gli stessi giovani che, finendo la formazione, trovano un lavoro, hanno bisognodi essere accompagnati e sostenuti ad inserirsi in esso, a continuare la propria for-mazione. Tutte queste preoccupazioni esigono un progetto globale che non pensisoltanto ai corsi, ma guardi anche ad assicurare nel cammino formativo stage praticinelle imprese, a garantire un’occupazione ai giovani che finiscono, a promuovere traloro esperienze di auto-occupazione, a suscitare la collaborazione delle imprese nel-l’accompagnamento formativo dei giovani che s’inseriscono in esse, ecc. Un taleprogetto supera normalmente le possibilità di una sola comunità educativa.
3.4. L’integrazione di queste opere e servizi nel Progetto educativo-pastoraledell’IspettoriaA volte alcune di queste opere e servizi sono nate dall’iniziativa di un confra-tello o comunità, ma il suo pieno sviluppo esige che sia l’Ispettoria come tale cheassuma il progetto e ne garantisca la continuità, l’efficacia e la qualità salesiana.L’attenzione educativa per i giovani lavoratori non deve essere soltanto preoc-cupazione di alcuni confratelli o di alcune opere nell’ispettoria, ma deve coinvol-gere tutti in un lavoro in rete secondo un progetto globale al quale ogni opera ap-porta il proprio contributo specifico. Ciò richiede che questa attenzione sia presentenel PEPS ispettoriale e coinvolga le diverse équipe di animazione, in modo spe-ciale quella della scuola e quella dell’emarginazione e dei servizi sociali. In questosenso ancora si deve percorrere un lungo cammino.
3.5. L’auto-sostenibilità dei Centri di Formazione Professionale e dei pro-grammi di avviamento al lavoro.La continuità finanziaria dei Centri di Formazione Professionale, con le lorocrescenti spese di manutenzione e di investimenti, è una grande preoccupazione inmolte ispettorie. Le procure e ONG hanno appoggiato i primi passi di molti di
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questi centri, presentando i loro progetti agli organismi internazionali; ma questoaiuto non basta a lunga scadenza; si devono cercare altre fonti di finanziamento, so-prattutto tenendo conto che molti di questi centri non possono appoggiarsi sul con-tributo degli allievi e delle loro famiglie e neanche sulle sovvenzioni dello Stato. Sideve pensare a progetti di produzione, capaci di assicurare questo finanziamento.Impostare questi progetti richiede contare su persone preparate per gestire im-prese produttive, persone che conoscano le tecniche di economia aziendale, ilmondo del marketing e della ricerca di mercati, ecc., cose poco comuni tra di noi eanche tra i laici nostri collaboratori.Inoltre, questa iniziativa produttiva deve sempre rispettare il carattere formativoed educativo del Centro, senza sottoporre le esigenze di produzione alle esigenzedei programmi formativi.
4. ALCUNE ESIGENZE FONDAMENTALI DA CURARE
Ne appunto soltanto due importanti, sperando che nella nostra conversazionevoi stessi ne suggeriate altre.Nel rispondere a queste preoccupazioni è necessario innanzitutto promuoveretra i SDB e le comunità educative una mentalità più sensibile al mondo del lavoroin modo che l’attenzione a questi giovani che si avviano al lavoro sia un indirizzocondiviso da tutte le opere salesiane. Questo richiede:• Una conoscenza maggiore del mondo del lavoro e delle sue principali tendenzee fenomeni da parte dei Salesiani e comunità, attraverso uno sforzo perma-nente d’informazione, di discernimento e di confronto critico riguardo a tuttociò che nasce e si esprime nel mondo del lavoro.• Una formazione sociale sistematica e approfondita che assicuri in noi e neigiovani delle nostre opere una mentalità più solidale e una maggiore capacitàdi impegnarsi con efficacia per la giustizia. Questo suppone una conoscenzapiù completa e sistematica dell’insegnamento sociale della Chiesa, e la colla-borazione in progetti concreti di solidarietà.• Una attenzione speciale ai giovani lavoratori o disoccupati nelle nostre opere,soprattutto negli Oratori-Centri Giovanili, Parrocchie, Convitti, gruppi ecc., fa-cilitando in esse la loro accoglienza e protagonismo, una metodologia che faci-liti la loro integrazione nell’ambiente, iniziative che rispondano ai bisogni piùsentiti da loro.• Il rinnovamento della pedagogia del lavoro nella proposta educativa-pastoralesalesiana, superando una pedagogia troppo intellettuale e molte volte tropposelettiva.Insieme a questo rinnovamento della mentalità è anche necessario promuovereuna nuova metodologia di lavoro educativo e pastorale attraverso progetti e pro-cessi, realizzati in collaborazione e in rete.
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Il nostro modo di lavorare è molte volte troppo settoriale: ogni opera o settoresi preoccupa soltanto dei loro campi specifici, senza percepire che oggi un lavoroveramente efficace richiede di agire allo stesso tempo sui diversi aspetti che influi-scono sulla realtà che si vuole trasformare. Per esempio: se vogliamo educare i gio-vani perché possano inserirsi responsabilmente nel mondo del lavoro, non bastapreoccuparsi della loro preparazione tecnica o professionale, ma allo stesso tempodobbiamo inserirli nel complesso mondo del lavoro per promuovere in esso nuoveesperienze e possibilità di collaborazione dei giovani; dobbiamo anche preoccu-parci della trasformazione del territorio perché possa permettere nuove iniziative dilavoro e di sviluppo in modo che i giovani professionalmente preparati non deb-bano andare altrove a cercare lavoro, ma siano aiutati nel proprio luogo a creare esviluppare le loro capacità al servizio di tutti.Formazione, creazione di lavoro, accompagnamento e appoggio umano e lavo-rativo, promozione del territorio, ecc. sono elementi di un progetto globale che, sesettorializzati, perdono molto delle loro possibilità.Evidentemente un progetto simile non può essere realizzato normalmente dauna sola istituzione, c’è bisogno di un lavoro insieme di molte altre che da diversipunti di vista e con differenti competenze convergono e collaborano a un obiettivocomune.Questa forma di lavorare attraverso progetti globali e in rete è ancora poco svi-luppata tra noi ma risulta fondamentale soprattutto in questo campo della promo-zione ed educazione dei giovani che si avviano al lavoro; per questo diviene ancheuna preoccupazione importante del Dicastero.Ecco gli elementi che ritengo importanti per impostare bene l’animazione dellaFormazione professionale salesiana.Sono sicuro che la vostra esperienza nel promuovere e sostenere durante questianni tanti centri e iniziative di formazione professionale in diverse parti del mondosalesiano potrà arricchire e completare la visione presentata.Tutti insieme, condividendo uno stesso quadro di riferimento: criteri, obiettivi,priorità, riusciremo a rinnovare e dare piena significatività a questo campo così ca-ratteristico della nostra missione: l’educazione dei giovani che si avviano al lavoro.
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Il servizio dei Salesiani d’Italia a favore dei giovaninella Scuola e nella Formazione Professionale, 2010Pascual CHÁVEZ VILLANUEVA
Il 20 aprile 2012 la Federazione CNOS-FAP e l’AssociazioneCNOS/Scuola hanno organizzato un Convegno dal titolo “Gio-vani e Sistema educativo di Istruzione e Formazione in Italia”.Il Convegno si colloca all’interno di una riflessione che i Sale-siani stanno compiendo sulla loro presenza in Europa.Ne sintetizza gli aspetti salienti il documento “Progetto Europa”predisposto dal Rettor Maggiore dei Salesiani, un documento cheindica la natura, gli obiettivi e le strategie per impegnare tuttala Congregazione nel rafforzamento del carisma salesiano inEuropa attraverso la scelta prioritaria della presenza salesiananella Scuola e nella Formazione Professionale”.
PREMESSA
Un convegno dedicato a “Giovani e Sistema Educativo di Istruzione e Formazio-ne in Italia” testimonia la grande speranza ed il profondo entusiasmo che il sognoapostolico di don Bosco sa suscitare nel nostro tempo. Alla speranza e all’entusiasmosi aggiunge però anche la consapevolezza di una responsabilità per la fecondità delcarisma salesiano affidato oggi alla nostra testimonianza e al nostro servizio pastorale.Proprio questa coscienza carismatica decide la prospettiva nella quale è neces-sario siano svolti confronto e riflessione: la prospettiva del discernimento. «Discer-nere», scrivevo nella presentazione dei documenti capitolari del CG 26, «è distin-guere ciò che è fondamentale da ciò che è secondario in un determinato momento,ed operare di conseguenza delle scelte»1.E un discernimento evangelico deve fondarsi sulla chiamata di Dio, che ri-suona nella Chiesa e si fa appello carismatico particolare, per la Famiglia di donBosco, quando lo Spirito, come nel CG 26, effonde «l’abbondanza dei suoi doni[...] con una rinnovata Pentecoste»2.Alla luce di questa chiamata è possibile una lettura sapiente delle sfide dell’at-tuale condizione giovanile, perché siano raccolte con il cuore di Don Bosco, e allasua passione apostolica, «che si esprime [...] nella capacità di cogliere le urgenzedell’evangelizzazione e di operare perché a tutti sia fatto dono di Gesù Cristo e delsuo vangelo»3, ispirino le scelte operative.
1 CHÁVEZ VILLANUEVA P., Presentazione, in Da mihi anima cetera tolle, ACG 401 (2008), 11.2 CHÁVEZ VILLANUEVA P., Presentazione, in Da mihi anima cetera tolle, ACG 401 (2008), 14.3 CHÁVEZ VILLANUEVA P., Presentazione, in Da mihi anima cetera tolle, ACG 401 (2008), 10.
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Il CG 26 ci ricorda che «fin dal primo momento, l’educazione deve prendereispirazione dal Vangelo e l’evangelizzazione deve adattarsi alla condizione evolu-tiva del giovane. Solo così egli potrà scoprire in Cristo la propria vera identità ecrescere verso la piena maturità; solo così il Vangelo potrà toccare in profondità ilsuo cuore, sanarlo dal male e aprirlo ad una fede libera e personale»4.Il carisma di don Bosco, dono dello Spirito alla Chiesa, è principio ispiratoredi ogni sollecitudine salesiana per i giovani; per questo anche il suo prodursi comeservizio scolastico o impegno nella Formazione Professionale, non può non caratte-rizzarsi per la qualità educativa decisa dall’intenzionalità evangelizzatrice, fuoridalla quale non sarebbe riconoscibile la fedeltà a don Bosco.
1. CHIAMATI DA DIO PER UNA MISSIONE NELLA SCUOLA E FP
1.1. Una missione ecclesialeAlla riflessione sui compiti e sulle possibilità di un servizio salesiano a favoredei giovani nella scuola e nella formazione professionale risulta necessaria unachiara coscienza della sfide culturali e sociali più cospicue indicate dal Magisteroecclesiale.In questa prospettiva riteniamo si possano ricavare alcune indicazioni fonda-mentali da quattro encicliche passibili di una chiara lettura educativa e particolar-mente rilevanti per una progettualità coerente con forme e contenuti della nuovaevangelizzazione.1.1.1. Fides et Ratio: l’amore per la verità vocazione dell’intelligenzaUn documento di singolare attualità che fornisce orientamenti essenziali per lariflessione sulla qualità educativa ed evangelica del servizio all’intelligenza deigiovani è certamente Fides et ratio.Qui Giovanni Paolo II concentra la sua riflessione sul tema stesso della veritàe sul suo fondamento in rapporto alla fede. Non si può negare, infatti, che questoperiodo di rapidi e complessi cambiamenti esponga soprattutto le giovani genera-zioni, a cui appartiene e da cui dipende il futuro, alla sensazione di essere privedi autentici punti di riferimento. L’esigenza di un fondamento su cui costruire l’e-sistenza personale e sociale si fa sentire in maniera pressante soprattutto quandosi è costretti a costatare la frammentarietà di proposte che elevano l’effimero alrango di valore, illudendo sulla possibilità di raggiungere il vero senso dell’esi-stenza. Accade così che molti trascinano la loro vita fin quasi sull’orlo del ba-ratro, senza sapere a che cosa vanno incontro. Ciò dipende anche dal fatto che tal-volta chi era chiamato per vocazione a esprimere in forme culturali il frutto dellapropria speculazione, ha distolto lo sguardo dalla verità, preferendo il successo
4 Da mihi anima cetera tolle, ACG 401 (2008), n. 25.
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nell’immediato alla fatica di una indagine paziente su ciò che merita di esserevissuto5.Il testo è chiaro: una cultura indifferente alla verità tradisce l’uomo ed in parti-colare i giovani. Ma il progetto dell’enciclica, epistempologicamente ambizioso, haun risvolto fondamentale che provoca la missione salesiana, là dove, attraverso ilbinomio ragione-fede, fornisce una declinazione cognitiva del binomio educazione-evangelizzazione.Che la portata di entrambi questi binomi sia decisiva per la missione dellascuola salesiana è dato evidente; meno scontata è l’effettività di una loro pertinenteadozione a guida della prassi pastorale.Giova pertanto accennare – almeno brevemente – agli spunti offerti in partico-lare dai capitoli di questo documento nei quali si illumina la circolarità virtuosanecessaria al reciproco rinforzo dei due movimenti cognitivi resi dalle note espres-sioni latine “credo ut intellegam” e “intellego ut credam”. Qui si possono rinve-nire le linee essenziali di un’autentica pedagogia teologica dell’intelligenza.Sotto il titolo “credo ut intellegam”, l’enciclica riflette su quella forma disapere che ha come termine la verità e come condizione di possibilità la fede. Talesapere è attestato nella letteratura sapienziale biblica6, che confessa il timore delSignore come principio di accesso alla verità ultima dell’esistenza umana e delmistero del mondo.La Bibbia dichiara irrinunciabile per il vivere dell’uomo – altrimenti ignaro disé e del proprio destino – il possesso di questa sapienza, che si presenta, insieme,come dono gratuito di Dio e come frutto di un’esistenza condotta nell’obbedienzaalla Legge: fuori dal favore di Dio e da un’esistenza fedele ai comandamenti non sidà biblicamente vera sapienza.Soffermandosi poi sulle lettere paoline, il cui messaggio è posto in continuitàcon lo spirito della letteratura sapienziale, la Fides et Ratio si misura con la de-nuncia neotestamentaria dell’insidia del peccato nel cammino di conoscenza dellaverità7. La rivelazione pasquale, il logos tou staurou, in un mondo ottenebrato dal
5 GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Fides et Ratio circa i rapporti tra fede e ragione, 14 set-tembre 1998, n. 6.6 «La peculiarità che distingue il testo biblico consiste nella convinzione che esista una profondae inscindibile unità tra la conoscenza della ragione e quella della fede. Il mondo e ciò che accade inesso, come pure la storia e le diverse vicende del popolo, sono realtà che vengono guardate, analizzatee giudicate con i mezzi propri della ragione, ma senza che la fede resti estranea a questo processo.Essa non interviene per umiliare l’autonomia della ragione o per ridurne lo spazio di azione, ma soloper far comprendere all’uomo che in questi eventi si rende visibile e agisce il Dio di Israele. Cono-scere a fondo il mondo e gli avvenimenti della storia non è, pertanto, possibile senza confessare alcontempo la fede in Dio che in essi opera. La fede affina lo sguardo interiore aprendo la mente a sco-prire, nel fluire degli eventi, la presenza operante della Provvidenza» (Fides et Ratio, n. 16).7 «Il Libro della Genesi descrive in maniera plastica questa condizione dell’uomo, quando narrache Dio lo pose nel giardino dell’Eden, al cui centro era situato “l’albero della conoscenza del bene edel male” (2,17). Il simbolo è chiaro: l’uomo non era in grado di discernere e decidere da sé ciò cheera bene e ciò che era male, ma doveva richiamarsi a un principio superiore. La cecità dell’orgoglio)
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peccato, diventa scandalo per i giudei e stoltezza per i sapienti. La consapevolezzaveterotestamentaria, che vede nella vera sapienza un dono di Dio, diventa co-scienza neotestamentaria dell’estraneità della sapienza di questo mondo alla sa-pienza di Dio. Nel Nuovo Testamento, soprattutto nelle Lettere di san Paolo, undato emerge con grande chiarezza: la contrapposizione tra “la sapienza di questomondo” e quella di Dio rivelata in Gesù Cristo. La profondità della sapienza rive-lata spezza il cerchio dei nostri abituali schemi di riflessione, che non sono affattoin grado di esprimerla in maniera adeguata. L’inizio della prima Lettera ai Corinzipone con radicalità questo dilemma. Il Figlio di Dio crocifisso è l’evento storicocontro cui s’infrange ogni tentativo della mente di costruire su argomentazioni sol-tanto umane una giustificazione sufficiente del senso dell’esistenza. Il vero puntonodale, che sfida ogni filosofia, è la morte in croce di Gesù Cristo. Qui, infatti, ognitentativo di ridurre il piano salvifico del Padre a pura logica umana è destinato alfallimento. “Dov’è il sapiente? Dov’è il dotto? Dove mai il sottile ragionatore diquesto mondo? Non ha forse Dio dimostrato stolta la sapienza di questo mondo?”(1Cor 1,20), si domanda con enfasi l’Apostolo. Per ciò che Dio vuole realizzarenon è più possibile la sola sapienza dell’uomo saggio, ma è richiesto un passaggiodecisivo verso l’accoglienza di una novità radicale: “Dio ha scelto ciò che nelmondo è stolto per confondere i sapienti [...]; Dio ha scelto ciò che nel mondo èignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono” (1Cor1,27-28). La sapienza dell’uomo rifiuta di vedere nella propria debolezza il presup-posto della sua forza; ma san Paolo non esita ad affermare: “Quando sono debole, èallora che sono forte” (2 Cor 12,10). L’uomo non riesce a comprendere come lamorte possa essere fonte di vita e di amore, ma Dio ha scelto per rivelare il misterodel suo disegno di salvezza proprio ciò che la ragione considera “follia” e “scan-dalo”. Parlando il linguaggio dei filosofi suoi contemporanei, Paolo raggiunge ilculmine del suo insegnamento e del paradosso che vuole esprimere: “Dio ha sceltociò che nel mondo [...] è nulla per ridurre a nulla le cose che sono” (1Cor 1,28)8.Le argomentazioni proposte a commento del principio “credo ut intellegam”,marcando con la letteratura sapienziale la necessità della fede per l’autenticità delsapere ed insistendo sul potere, sviluppato dal peccato, di ottenebrare l’intelligenza,sembrerebbero gettare discredito sull’esercizio dell’intelligenza umana. La Fides etratio, indugiando successivamente sull’espressione intellego ut credam, illumina
illuse i nostri progenitori di essere sovrani e autonomi, e di poter prescindere dalla conoscenza deri-vante da Dio. Nella loro originaria disobbedienza essi coinvolsero ogni uomo e ogni donna, procurandoalla ragione ferite che da allora in poi ne avrebbero ostacolato il cammino verso la piena verità. Ormaila capacità umana di conoscere la verità era offuscata dall’avversione verso Colui che della verità èfonte e origine. È ancora l’Apostolo a rivelare quanto i pensieri degli uomini, a causa del peccato, fos-sero diventati “vani” e i ragionamenti distorti e orientati al falso (cfr Rm 1,21-22). Gli occhi dellamente non erano ormai più capaci di vedere con chiarezza: progressivamente la ragione è rimasta pri-gioniera di se stessa. La venuta di Cristo è stata l’evento di salvezza che ha redento la ragione dalla suadebolezza, liberandola dai ceppi in cui essa stessa s’era imprigionata» (Fides et Ratio, n. 22).8 Fides et Ratio, n. 23.
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invece la vocazione più propria e più alta dell’intelligenza umana, chiamata a rico-noscere l’intenzionalità manifestativa di Dio nell’opera della creazione e della re-denzione.Per illustrare tale responsabilità dell’intelligenza l’enciclica muove dall’ap-pello di Paolo al pensiero degli ateniesi, quale premessa favorevole all’annunciodel Vangelo. L’opzione di Paolo giustifica in questo caso la considerazione positivadell’umana ricerca di verità, ricerca strutturalmente orientata alla conoscenza diDio, principio e fine di tutte le cose9.La Fides et ratio non si limita però ad una riproposizione della dottrina deipreambula fidei, tipica dell’apologetica classica; piuttosto elabora una sorta di fe-nomenologia della coscienza sottolineando come la relazione con il Fondamentosia virtualmente costitutiva di ogni determinazione dell’uomo per la verità, ed ag-giungendo pure che tale determinazione si produce nei termini di accoglienza e af-fidamento alla manifestazione della verità, attraverso la mediazione della relazioneinterpersonale.L’uomo, per natura, ricerca la verità. Questa ricerca non è destinata solo allaconquista di verità parziali, fattuali o scientifiche; egli non cerca soltanto il verobene per ognuna delle sue decisioni. La sua ricerca tende verso una verità ulterioreche sia in grado di spiegare il senso della vita; è perciò una ricerca che non può tro-vare esito se non nell’assoluto. Grazie alle capacità insite nel pensiero, l’uomo è ingrado di incontrare e riconoscere una simile verità. In quanto vitale ed essenzialeper la sua esistenza, tale verità viene raggiunta non solo per via razionale, ma anchemediante l’abbandono fiducioso ad altre persone, che possono garantire la certezzae l’autenticità della verità stessa. La capacità e la scelta di affidare se stessi e la pro-pria vita a un’altra persona costituiscono certamente uno degli atti antropologica-mente più significativi ed espressivi. Non si dimentichi che anche la ragione ha bi-sogno di essere sostenuta nella sua ricerca da un dialogo fiducioso e da un’amiciziasincera. Il clima di sospetto e di diffidenza, che a volte circonda la ricerca specula-tiva, dimentica l’insegnamento dei filosofi antichi, i quali ponevano l’amiciziacome uno dei contesti più adeguati per il retto filosofare. Da quanto ho fin quidetto, risulta che l’uomo si trova in un cammino di ricerca, umanamente intermina-bile: ricerca di verità e ricerca di una persona a cui affidarsi10.Emerge, in questi passaggi della Fides et ratio, una lettura del rapporto del-l’uomo alla verità inconsueta per una cultura tentata da debolismo, scetticismo e re-lativismo, ma innovativa per una pedagogia dell’intelligenza che voglia qualificarsicome schiettamente evangelica.La circolarità di intelligenza e fede, proposta attraverso il mutuo riferimentodei dinamismi “credo ut intellegam” e “intellego ut credam”, suggerisce la parzia-lità del modello che vorrebbe l’esercizio della ragione propedeutico all’esperienza
9 CONCILIO VATICANO I, Costituzione dogmatica Dei Filius sulla fede cattolica, 24.04.1870,DS 3004.10 Fides et Ratio, n. 33.
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di fede e l’adesione credente come ulteriorità opzionale rispetto alla maturità del-l’intelligenza.Ma, rilevato che tanto la denuncia del peccato, quale minaccia sempre offen-siva contro il retto esercizio dell’intelligenza, quanto il riconoscimento delle condi-zioni essenziali al suo consolidamento – nelle dinamiche dell’affidamento, dellamediazione interpersonale, della gratuità del dono e della testimonianza – impon-gono il ripensamento della relazione tra fede e sapere.Ogni istituzione culturale e formativa, che voglia esprimere una sollecitudineecclesiale per la crescita nella verità soprattutto dei giovani, trova nelle indicazionidel Magistero provocazioni di notevole importanza per qualificare la propria mis-sione, che non può conoscere tentennamenti, come servizio alla verità e annunciodi Cristo.La Chiesa promuove insieme sia la difesa della dignità dell’uomo sia l’annunciodel messaggio evangelico. Per tali compiti non vi è oggi, infatti, preparazione piùurgente di questa: portare gli uomini alla scoperta della loro capacità di conoscere ilvero (124) e del loro anelito verso un senso ultimo e definitivo dell’esistenza.Nella prospettiva di queste esigenze profonde, iscritte da Dio nella naturaumana, appare anche più chiaro il significato umano e umanizzante della parola diDio. Grazie alla mediazione di una filosofia divenuta anche vera saggezza, l’uomocontemporaneo giungerà così a riconoscere che egli sarà tanto più uomo quantopiù, affidandosi al Vangelo, aprirà se stesso a Cristo11.1.1.2. Deus caritas est: la verità dell’amore nel sacrificio di DioLa prima enciclica di Benedetto XVI volge lo sguardo al contenuto centraledel Vangelo, lieta notizia dell’Amore incarnato di Dio che riscatta l’uomo dal pec-cato. Il documento, passibile di differenti letture, proprio per la profondità di rifles-sione che vi si produce a proposito dell’amore, può essere letto in continuità conFides et ratio, come contributo essenziale per un robusto e rinnovato pensiero sullarelazione dell’uomo alla verità, coerente con la rivelazione di Dio in Cristo.Articolando una riflessione sulla verità di Dio-Amore, la Deus caritas est iden-tifica il referente veritativo – inteso, ma non formalmente circostanziato, da Fideset ratio – della costitutiva relazione della coscienza e della conoscenza umana conil Fondamento.Nella sua morte in croce si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nelquale Egli si dona per rialzare l’uomo e salvarlo-amore, questo, nella sua forma piùradicale. Lo sguardo rivolto al fianco squarciato di Cristo, di cui parla Giovanni(cfr 19,37), comprende ciò che è stato il punto di partenza di questa Lettera enci-clica: «Dio è amore» (1Gv 4,8). È lì che questa verità può essere contemplata. Epartendo da lì deve ora definirsi che cosa sia l’amore. A partire da questo sguardo ilcristiano trova la strada del suo vivere e del suo amare12.
11 Fides et Ratio, n. 102.12 BENEDETTO XVI, Lettera enciclica Deus caritas est sull’amore cristiano, 25.12.2005, n. 12.
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La rivelazione in pienezza della Verità come Amore è insieme rivelazione dellaverità dell’amore umano e compimento della sua speranza. Tale compimento sor-prende la disposizione all’amore per la verità costitutiva dell’intelligenza, prece-dendola in modo inaudito.La concezione di verità e la pedagogia dell’intelligenza raccomandate dalla ri-velazione dell’Amore come verità di Dio non sono consuete nella storia del pen-siero, ma sembrano addirittura avversate nella cultura postilluminista.La persuasività personale tipica dell’amore, la forma della sua credibilità, ilsuo carattere elettivo, la sua intenzionalità totalizzante scompaginano i modelli co-gnitivi che ancora plasmano – pur tra crescenti contraddizioni – la cultura contem-poranea, e soprattutto sollecitano l’elaborazione di un’antropologia rinnovata, chesolleciti e insieme promuova un radicale ripensamento del rapporto tra fede, saperee vita.La verità dell’amore, riconoscibile dopo la pienezza della sua manifestazionein Cristo, non attiene a qualche segmento dell’esistere, e neppure riguarda la per-sona nella mera accidentalità di qualche suo interesse o possibilità; piuttosto, dallaverità dell’amore l’esistenza umana viene completamente ridefinita nel suo dina-mismo e nel suo orientamento.L’amore non è soltanto un sentimento. I sentimenti vanno e vengono. Il senti-mento può essere una meravigliosa scintilla iniziale, ma non è la totalità dell’a-more. Abbiamo all’inizio parlato del processo delle purificazioni e delle matura-zioni, attraverso le quali l’eros diventa pienamente se stesso, diventa amore nelpieno significato della parola. È proprio della maturità dell’amore coinvolgere tuttele potenzialità dell’uomo ed includere, per così dire, l’uomo nella sua interezza.L’incontro con le manifestazioni visibili dell’amore di Dio può suscitare in noi ilsentimento della gioia, che nasce dall’esperienza dell’essere amati. Ma tale in-contro chiama in causa anche la nostra volontà e il nostro intelletto. Il riconosci-mento del Dio vivente è una via verso l’amore, e il sì della nostra volontà alla suaunisce intelletto, volontà e sentimento nell’atto totalizzante dell’amore.Questo però è un processo che rimane continuamente in cammino: l’amore nonè mai “concluso” e completato; si trasforma nel corso della vita, matura e proprioper questo rimane fedele a se stesso. Idem velle atque idem nolle – volere la stessacosa e rifiutare la stessa cosa, è quanto gli antichi hanno riconosciuto come auten-tico contenuto dell’amore: il diventare l’uno simile all’altro, che conduce alla comu-nanza del volere e del pensare. La storia d’amore tra Dio e l’uomo consiste appuntonel fatto che questa comunione di volontà cresce in comunione di pensiero e di sen-timento e, così, il nostro volere e la volontà di Dio coincidono sempre di più: la vo-lontà di Dio non è più per me una volontà estranea, che i comandamenti mi impon-gono dall’esterno, ma è la mia stessa volontà, in base all’esperienza che, di fatto,Dio è più intimo a me di quanto lo sia io stesso. Allora cresce l’abbandono in Dio eDio diventa la nostra gioia (cfr Sal 73 [72],23-28). Si rivela così possibile l’amoredel prossimo nel senso enunciato dalla Bibbia, da Gesù. Esso consiste appunto nel
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fatto che io amo, in Dio e con Dio, anche la persona che non gradisco o neancheconosco. Questo può realizzarsi solo a partire dall’intimo incontro con Dio, un in-contro che è diventato comunione di volontà arrivando fino a toccare il sentimento.Allora imparo a guardare quest’altra persona non più soltanto con i miei occhi e coni miei sentimenti, ma secondo la prospettiva di Gesù Cristo. Il suo amico è mioamico. Al di là dell’apparenza esteriore dell’altro scorgo la sua interiore attesa di ungesto di amore, di attenzione, che io non faccio arrivare a lui soltanto attraverso leorganizzazioni a ciò deputate, accettandolo magari come necessità politica. Io vedocon gli occhi di Cristo e posso dare all’altro ben più che le cose esternamente neces-sarie: posso donargli lo sguardo di amore di cui egli ha bisogno. Qui si mostra l’in-terazione necessaria tra amore di Dio e amore del prossimo, di cui la Prima Letteradi Giovanni parla con tanta insistenza. Se il contatto con Dio manca del tutto nellamia vita, posso vedere nell’altro sempre soltanto l’altro e non riesco a riconoscere inlui l’immagine divina. Se però nella mia vita tralascio completamente l’attenzioneper l’altro, volendo essere solamente “pio” e compiere i miei “doveri religiosi”,allora s’inaridisce anche il rapporto con Dio. Allora questo rapporto è soltanto “cor-retto”, ma senza amore. Solo la mia disponibilità ad andare incontro al prossimo,a mostrargli amore, mi rende sensibile anche di fronte a Dio. Solo il servizio al pros-simo apre i miei occhi su quello che Dio fa per me e su come Egli mi ama13.1.1.3. Spe salvi: destino escatologico e verità della storiaAnche l’enciclica Spe Salvi fornisce indicazioni fondamentali per un’azioneeducativa ed evangelizzatrice che voglia promuovere un incontro autenticamentecristiano con la verità.In virtù della riflessione escatologica, il documento risulta particolarmenteprovocatorio per contesti culturali – è certo il caso dell’Occidente secolarizzato –sempre più pericolosamente rinchiusi sul presente ed incapaci di elaborare il sensodel vincolo, essenziale alla storia, con la trascendenza ultrastorica.Se Fides et ratio richiama l’uomo al compito di riconoscere la forma credenteche riferisce al Fondamento la propria sete di conoscenza e Deus caritas est meditasull’amore come verità del Fondamento, Spe salvi ripropone la dimensione escato-logica della manifestazione pasquale dell’amore di Dio come Fondamento e finedella storia e, in rapporto ad essa, presenta la forma cristiana della speranza.Il n. 7 dell’enciclica, in un notevole passaggio teorico, denuncia il pericolodi una estenuazione della speranza cristiana in forma soggettivistica di adesioneall’invisibile, forma coerente con una concezione di fede ridotta a convincimentopersonale. Le puntualizzazioni di Benedetto XVI, che insistono sulla portata ogget-tiva dei termini hypostasis ed elenchos – maturati nella tradizione filosofica greca eriferibili all’oggettività rispettivamente metafisica della sostanza e razionale del-l’argomentazione – costringono a ripensare la fede e la speranza come adesionestorica alla verità escatologica dell’esistere.
13 Deus caritas est, nn. 17-18.
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Dobbiamo ancora una volta tornare al Nuovo Testamento. Nell’undicesimocapitolo della Lettera agli Ebrei (v. 1) si trova una sorta di definizione della fedeche intreccia strettamente questa virtù con la speranza. Intorno alla parola centraledi questa frase si è creata fin dalla Riforma una disputa tra gli esegeti, nella qualesembra riaprirsi oggi la via per una interpretazione comune. Per il momento lascioquesta parola centrale non tradotta. La frase dunque suona così: “La fede è hypo-stasis delle cose che si sperano; prova delle cose che non si vedono”. Per i Padri eper i teologi del Medioevo era chiaro che la parola greca hypostasis era da tradurrein latino con il termine substantia. La traduzione latina del testo, nata nella Chiesaantica, dice quindi: «Est autem fides sperandarum substantia rerum, argumentumnon apparentium» – la fede è la “sostanza” delle cose che si sperano; la prova dellecose che non si vedono. Tommaso d’Aquino, utilizzando la terminologia della tra-dizione filosofica nella quale si trova, spiega questo così: la fede è un “habitus”,cioè una costante disposizione dell’animo, grazie a cui la vita eterna prende inizioin noi e la ragione è portata a consentire a ciò che essa non vede. Il concetto di “so-stanza” è quindi modificato nel senso che per la fede, in modo iniziale, potremmodire “in germe” – quindi secondo la “sostanza” – sono già presenti in noi le coseche si sperano: il tutto, la vita vera. E proprio perché la cosa stessa è già presente,questa presenza di ciò che verrà crea anche certezza: questa «cosa» che deve venirenon è ancora visibile nel mondo esterno (non “appare”), ma a causa del fatto che,come realtà iniziale e dinamica, la portiamo dentro di noi, nasce già ora unaqualche percezione di essa. A Lutero, al quale la Lettera agli Ebrei non era in sestessa molto simpatica, il concetto di “sostanza”, nel contesto della sua visionedella fede, non diceva niente. Per questo intese il termine ipostasi/sostanza non nelsenso oggettivo (di realtà presente in noi), ma in quello soggettivo, come espres-sione di un atteggiamento interiore e, di conseguenza, dovette naturalmente com-prendere anche il termine argumentum come una disposizione del soggetto. Questainterpretazione nel XX secolo si è affermata – almeno in Germania – anche nel-l’esegesi cattolica, cosicché la traduzione ecumenica in lingua tedesca del NuovoTestamento, approvata dai Vescovi, dice: “Glaube aber ist: Feststehen in dem, wasman erhofft, Überzeugtsein von dem, was man nicht sieht” (fede è: stare saldi inciò che si spera, essere convinti di ciò che non si vede). Questo in se stesso non èerroneo; non è però il senso del testo, perché il termine greco usato (elenchos) nonha il valore soggettivo di “convinzione”, ma quello oggettivo di “prova”. Giusta-mente pertanto la recente esegesi protestante ha raggiunto una convinzione diversa:“Ora però non può più essere messo in dubbio che questa interpretazione prote-stante, divenuta classica, è insostenibile”. La fede non è soltanto un personale pro-tendersi verso le cose che devono venire ma sono ancora totalmente assenti; essa cidà qualcosa.Ci dà già ora qualcosa della realtà attesa, e questa realtà presente costituisceper noi una “prova” delle cose che ancora non si vedono. Essa attira dentro il pre-sente il futuro, così che quest’ultimo non è più il puro “non-ancora”. Il fatto che
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questo futuro esista, cambia il presente; il presente viene toccato dalla realtà futura,e così le cose future si riversano in quelle presenti e le presenti in quelle future14.Non si tratta – come forse potrebbe in prima battuta apparire – di mere puntualizza-zioni di scuola; certamente per il nostro interesse, ma forse non solo in ordine adesso, il numero 7 di Spe Salvi è di assoluto rilievo teorico. Vi si presenta infatti unafigura di fede cristiana estremamente audace quanto alle referenze oggettive dellapropria evidenza e alle possibilità meta-individuali della propria destinazione.Fuori dall’angustia dell’epistemologia moderna, che vorrebbe negare ogni forza dilegittimazione pubblica all’impegno della coscienza e della libertà per verità di or-dine meta-empirico e meta-fattuale, il Magistero ribadisce la vocazione dell’intelli-genza ad argomentare le ragioni della propria fede ed il compito della fede a testi-moniare la credibilità delle proprie ragioni. La chiara affermazione magisterialecirca l’urgenza di riconoscere l’insediamento della coscienza nella necessità, possi-bilità e responsabilità d’esibire pubblicamente la qualità del proprio affidamentocredente non può lasciare indifferenti. Un simile pronunciamento sollecita ogniforza ecclesiale a rivedere il profilo del proprio apostolato in ogni sua espressione ein particolare nel suo rapporto con i processi culturali del postilluminismo, pervica-cemente orientati alla marginalizzazione ideologica della fede, intimistica dellamorale e settaria della testimonianza.Anche il nostro servizio pastorale deve lasciarsi condurre ad un’esigente veri-fica dei percorsi formativi che offre ai giovani; questo servizio e questi percorsidebbono infatti cercare la piena fedeltà ai capisaldi di un’antropologia autentica-mente cristiana.Per quanto riguarda i due grandi temi “ragione” e “libertà”, qui possono esseresolo accennate quelle domande che sono con essi collegate. Sì, la ragione è ilgrande dono di Dio all’uomo, e la vittoria della ragione sull’irrazionalità è ancheuno scopo della fede cristiana. Ma quand’è che la ragione domina veramente?Quando si è staccata da Dio? Quando è diventata cieca per Dio? La ragione delpotere e del fare è già la ragione intera? Se il progresso per essere progresso ha bi-sogno della crescita morale dell’umanità, allora la ragione del potere e del faredeve altrettanto urgentemente essere integrata mediante l’apertura della ragione alleforze salvifiche della fede, al discernimento tra bene e male. Solo così diventa unaragione veramente umana. Diventa umana solo se è in grado di indicare la stradaalla volontà, e di questo è capace solo se guarda oltre se stessa. In caso contrario lasituazione dell’uomo, nello squilibrio tra capacità materiale e mancanza di giudiziodel cuore, diventa una minaccia per lui e per il creato. Così in tema di libertà bi-sogna ricordare che la libertà umana richiede sempre un concorso di varie libertà.Questo concorso, tuttavia non può riuscire, se non è determinato da un comune in-trinseco criterio di misura, che è fondamento e meta della nostra libertà. Diciamoloora in modo molto semplice: l’uomo ha bisogno di Dio, altrimenti resta privo di
14 BENEDETTO XVI, Lettera enciclica Spe salvi sulla speranza cristiana, 30.11.2007, n. 7.
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speranza. Visti gli sviluppi dell’età moderna, l’affermazione di san Paolo citata al-l’inizio (cfr. Ef 2,12) si rivela molto realistica e semplicemente vera. Non vi èdubbio, pertanto, che un “regno di Dio” realizzato senza Dio – un regno quindi del-l’uomo solo – si risolve inevitabilmente nella “fine perversa” di tutte le cose de-scritta da Kant: l’abbiamo visto e lo vediamo sempre di nuovo. Ma non vi è nep-pure dubbio che Dio entra veramente nelle cose umane solo se non è soltanto danoi pensato, ma se Egli stesso ci viene incontro e ci parla. Per questo la ragione habisogno della fede per arrivare ad essere totalmente se stessa: ragione e fede hannobisogno l’una dell’altra per realizzare la loro vera natura e la loro missione15.L’antropologia posta al cuore del messaggio evangelico è permeata di spiritoescatologico, che solo può ispirare un’autentica speranza. Non è la scienza che re-dime l’uomo. L’uomo viene redento mediante l’amore. Ciò vale già nell’ambito pu-ramente intramondano. Quando uno nella sua vita fa l’esperienza di un grandeamore, quello è un momento di “redenzione” che dà un senso nuovo alla sua vita.Ma ben presto egli si renderà anche conto che l’amore a lui donato non risolve, dasolo, il problema della sua vita. È un amore che resta fragile. Può essere distruttodalla morte. L’essere umano ha bisogno dell’amore incondizionato. Ha bisogno diquella certezza che gli fa dire: “né morte né vita, né angeli né principati, né pre-sente né avvenire, né potenze, né altezze né profondità, né alcun altra creatura potràmai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8,38-39). Se esiste questo amore assoluto con la sua certezza assoluta, allora – soltantoallora – l’uomo è “redento”, qualunque cosa gli accada nel caso particolare. Èquesto che si intende, quando diciamo: Gesù Cristo ci ha “redenti”. Per mezzo diLui siamo diventati certi di Dio – di un Dio che non costituisce una lontana “causaprima” del mondo, perché il suo Figlio unigenito si è fato uomo e di Lui ciascunopuò dire: “Vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso perme” (Gal 2,20). In questo senso è pur vero che chi non conosce Dio, pur potendoavere molteplici speranze, in fondo è senza speranza, senza la grande speranza chesorregge tutta la vita (cfr Ef 2,12).Le parole del Magistero, di nuovo, non potrebbero essere più chiare, e la lorovalenza educativa è immediatamente apprezzabile: se non vi può essere spazio perun’autentica speranza fuori dalla salvezza pasquale, un’educazione che si limitassea creare le condizioni remote per una consapevolezza soteriologica ed escatologica,lascerebbe i propri destinatari privi di speranza.1.1.4. Caritas in veritate: nel dono la verità della libertàNella Caritas in veritate le tematiche dei documenti magisteriali cui abbiamosin qui alluso, non solo vengono riprese – a consolidamento di un progetto antropo-logico ed epistemologico che si propone, nella sua originalità evangelica, alterna-tivo alla cultura sovente rassegnata del nostro tempo –, ma trovano ulteriore appro-fondimento in una trattazione suggestiva nella prospettiva del dono.
15 Spe salvi, n. 23
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Tale prospettiva, chiarita nella sua condizione teologica di istituzione, presiedepoi ad una rilettura delle relazioni sociali, specie nelle contraddizioni che ancoraaffliggono la comunità umana del terzo millennio.La luce del vangelo, storia del dono salvifico che il Figlio fa di sé per la sal-vezza dell’uomo, illumina la forma del dono come coestensiva della stessa esi-stenza, fuori dagli equivoci dell’egoismo e oltre l’illusione di una libertà tentata diaffermare autarchicamente la propria solitudine.Di nuovo, il Magistero si avvale di questo dato teologico come principio di di-scernimento dell’istanza epistemologica moderna, indicando nel dono la forma diesercizio della stessa intelligenza, di quell’intelligenza che il razionalismo vorrebbeprincipio dell’edificazione di sé e di una criticità legata all’esclusività del propriopunto di vista.Un’istituzione formativa ecclesiale non può non lasciarsi provocare – e con-durre ad una seria verifica della qualità del proprio impegno formativo – da un in-segnamento decisamente inconsueto per la sensibilità culturale del nostro tempo,segnato da un diffuso relativismo e da uno scientismo duro a morire.L’assolutismo della tecnica tende a produrre un’incapacità di percepire ciò chenon si spiega con la semplice materia. Eppure tutti gli uomini sperimentano i tantiaspetti immateriali e spirituali della loro vita. Conoscere non è un atto solo mate-riale, perché il conosciuto nasconde sempre qualcosa che va al di là del dato empi-rico. Ogni nostra conoscenza, anche la più semplice, è sempre un piccolo prodigio,perché non si spiega mai completamente con gli strumenti materiali che adope-riamo. In ogni verità c’è più di quanto noi stessi ci saremmo aspettati, nell’amoreche riceviamo c’è sempre qualcosa che ci sorprende. Non dovremmo mai cessare distupirci davanti a questi prodigi. In ogni conoscenza e in ogni atto d’amore l’animadell’uomo sperimenta un «di più» che assomiglia molto a un dono ricevuto, adun’altezza a cui ci sentiamo elevati. Anche lo sviluppo dell’uomo e dei popoli si col-loca a una simile altezza, se consideriamo la dimensione spirituale che deve conno-tare necessariamente tale sviluppo perché possa essere autentico. Esso richiedeocchi nuovi e un cuore nuovo, in grado di superare la visione materialistica degliavvenimenti umani e di intravedere nello sviluppo un “oltre” che la tecnica non puòdare. Su questa via sarà possibile perseguire quello sviluppo umano integrale che hail suo criterio orientatore nella forza propulsiva della carità nella verità16.Le notazioni sintetiche di questo numero della Caritas in veritate offrono unapreziosa chiave di lettura per un pensiero della libertà coerente con la figura deldono e veramente alternativo ai modelli di pensiero e di esistenza più diffusi e ci-vilmente promozionati. Tale pensiero contrasta radicalmente con il disegno mo-derno di una libertà individuale, irretita dal miraggio dell’autofondazione, e ag-grappata alla propria autonomia fino all’isolamento dell’autoreferenzialità. Ad unalibertà individuale vittima di tali equivoci si deve un progetto sociale sospettoso nei
16 Caritas in veritate, n. 77.
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confronti di qualsiasi incondizionato etico e governato da norme meramente proce-durali fondate per via socio-contrattuale.Se l’obiettivo politico di questo progetto si definisce nei termini di un pro-gresso illimitato intrastorico, il suo esito etico/antropologico non eviterà la derivadell’individualismo consumistico. La figura di libertà che emerge invece dalla Ca-ritas in veritate è riferita all’esperienza del dono chiaramente indicato come suaorigine, destino e condizione di esercizio. Resa consapevole dell’ordine del dono –in virtù del quale essa è affidata a se stessa – la libertà riconosce esistenzialmente ilproprio doversi ad una generosità che la pone come destinataria sorpresa e grata diun’iniziativa cui è impossibile corrispondere secondo una logica mercantile.La confessione di questa origine dell’esistere non rende meno seria l’espe-rienza della libertà, che piuttosto si abilita a riconoscere proprio nella responsoria-lità dell’affidamento la forma dell’esistere. In questa responsorialità la libertà ècondotta oltre se stessa dall’accadere della vita che si offre sempre come possibilitàsorprendente. Di qui una fondamentale conclusione formativa: accompagnare lacrescita di un figlio d’uomo significa sostenere l’esercizio della sua intelligenzaperché riconosca il gesto gratuito, singolare e trascendente cui deve la propria li-bertà, ma anche promuovere l’audacia della sua corrispondenza all’Origine dellasua vita, perché questa assuma la forma del dono. Di nuovo, fuori dalla consapevo-lezza della propria provenienza e del proprio destino – e dalla fedeltà che annoda lalibertà ad esse lungo l’esistenza – non si può dare un esistere pienamente umano.Senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chiegli sia. Di fronte agli enormi problemi dello sviluppo dei popoli che quasi ci spin-gono allo sconforto e alla resa, ci viene in aiuto la parola del Signore Gesù Cristoche ci fa consapevoli: “Senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5) e c’incoraggia:“Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Di fronte allavastità del lavoro da compiere, siamo sostenuti dalla fede nella presenza di Dio ac-canto a coloro che si uniscono nel suo nome e lavorano per la giustizia. Paolo VI ciha ricordato nella Populorum progressio che l’uomo non è in grado di gestire dasolo il proprio progresso, perché non può fondare da sé un vero umanesimo. Solose pensiamo di essere chiamati in quanto singoli e in quanto comunità a far partedella famiglia di Dio come suoi figli, saremo anche capaci di produrre un nuovopensiero e di esprimere nuove energie a servizio di un vero umanesimo integrale.La maggiore forza a servizio dello sviluppo è quindi un umanesimo cristiano, cheravvivi la carità e si faccia guidare dalla verità, accogliendo l’una e l’altra comedono permanente di Dio. La disponibilità verso Dio apre alla disponibilità verso ifratelli e verso una vita intesa come compito solidale e gioioso. Al contrario, lachiusura ideologica a Dio e l’ateismo dell’indifferenza, che dimenticano il Creatoree rischiano di dimenticare anche i valori umani, si presentano oggi tra i maggioriostacoli allo sviluppo. L’umanesimo che esclude Dio è un umanesimo disumano17.
17 Caritas in veritate, n. 78.
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1.2. ...Secondo il carisma salesianoLe indicazioni del Magistero sulle quali ci siamo soffermati forniscono ad unconfronto sulla missione educativa della scuola e della Formazione Professionaleimportanti premesse; trattandosi però qui di introdurre un confronto sintonizzato conil cammino della Chiesa e con le attese dei giovani secondo il cuore di don Bosco,fondamentale è pure l’ascolto della chiamata di Dio nel nostro patrimonio carisma-tico, seme divenuto albero ed albero divenuto bosco per la forza dello Spirito.1.2.1. Il criterio oratorianoRaccogliere con fedeltà carismatica l’invito della Chiesa a rispondere credibil-mente all’emergenza educativa attraverso la Nuova Evangelizzazione significa an-zitutto ritornare con docilità alla nostra Regola di vita, che anche oggi fa risuonareper noi l’appello di Dio.L’articolo 40 delle nostre Costituzioni illumina la ricchezza del carisma di donBosco a partire dalla singolare esperienza di vita che egli offrì ai destinatari dellesue sollecitudini. Don Bosco visse una tipica esperienza pastorale nel primo ora-torio, che fu per i suoi giovani casa che accoglie, parrocchia che evangelizza,scuola che avvia alla vita e cortile per incontrarsi da amici e vivere in allegria. Nelcompiere oggi la nostra missione, l’esperienza di Valdocco rimane criterio perma-nente di discernimento e rinnovamento di ogni attività ed opera18.L’articolo 40 provoca la missione salesiana – in ogni sua espressione – ad undiscernimento permanente, sulla base di un criterio che vede la mutua inerenza diquattro dimensioni fondamentali: lo spirito di famiglia, la passione evangelizza-trice, la sollecitudine formativa, una particolare prossimità educativa.La molteplicità delle dimensioni fa del criterio oratoriano un esigente banco diprova della qualità salesiana di ogni nostra iniziativa e missione.La semplicità e l’immediatezza della pratica apostolica di don Bosco – l’arti-colo 40 ben ce lo ricorda – non possono essere confuse con superficialità e speri-mentalismo. Le intuizioni del suo cuore appassionato per i giovani lo conducono ariconoscere essenziale alla prossimità educativa un genuino spirito di famiglia, ca-pace di creare le condizioni perché il giovane si apra alla sollecitudine dell’educa-tore, riconoscendovi un dono per la sua felicità nel tempo e nell’eternità. Ma dob-biamo pure constatare come sia il cuore sacerdotale di don Bosco a cogliere la ne-cessità di un’evangelizzazione coerente con il gesto del Signore, che annuncia l’av-vento del Regno nella sua dedizione misericordiosa per ogni povertà umana e perradunare nella famiglia di Dio i suoi figli dispersi.E ancora potremmo dire che il sogno di don Bosco nasce da una paternità vi-rile e delicata che si compie come risposta audace e generosa ai bisogni dei gio-vani, riconosciuti nella dignità e bellezza della loro stagione di vita ma pure predi-letti come promesse per un futuro di bene.
18 Costituzioni della Società di San Francesco di Sales, Roma 2003, art. 40.
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Da ultimo: è la concretezza di un’intelligenza che sa cogliere il bisogno di unrinnovamento cristiano della comunità degli uomini a spingere don Bosco a vederenei giovani la porzione più eletta dei figli di Dio, ma anche la più bisognosa di cureche sappiano raggiungere i loro cuori fino a portarvi il Vangelo del Signore. La pre-ziosità del criterio oratoriano sta allora in questa multidimensionalità che lo attra-versa fuori da giustapposizioni, consequenzialità o contiguità problematiche. Il cri-terio oratoriano ci ricorda in modo efficace che la grandezza di don Bosco nonviene semplicemente dalla capacità di dedicarsi a forme di apostolato in ambientitra loro differenti, per le ricchezze di una personalità poliedrica.La grandezza di don Bosco viene anzitutto dalla forza di un’esperienza spiri-tuale profondamente coerente ed armonica, pur nella molteplicità di dimensioni chela caratterizzano; dimensioni che riflettono la sapienza antropologica di don Boscofondata nel Vangelo e nella docilità allo Spirito. Il cuore di don Bosco è tutto di Dio,ed è il cuore di un prete, di un padre, di un maestro, di un amico dei giovani, capacedi straordinaria empatia; il criterio oratoriano viene dalla grazia di unità che fa dellavita di don Bosco uno straordinario capolavoro, e insieme vuole condurre la nostravita a questa stessa grazia. Il criterio oratoriano è il cuore della missione salesianaperché è il cuore apostolico di don Bosco, la cui santità ci ricorda la verità del Van-gelo, dell’amore definitivo per Dio, che rende possibile un amore fino all’ultimo re-spiro per i giovani. Anche la missione dei figli di don Bosco, pur nella caratterizza-zione immediata dovuta all’ambiente nel quale si realizza, deve comunque risultareidentificabile in virtù del criterio oratoriano; solo questa fedeltà la libera dal qualun-quismo e dalla superficialità, ed evita che la sua coerenza con standards estranei oincompatibili con il carisma ne pregiudichi l’identità salesiana19.
19 La riflessione della Congregazione sulla Scuola e la Formazione Professionale salesiana è con-fluita in testi autorevoli che possono sostenere il nostro impegno nell’assicurare ad ogni fronte dellanostra missione identità carismatica e fedeltà dinamica alla nostra tradizione: «La scuola salesiananasce nell’Oratorio di Valdocco per rispondere alle necessità concrete dei giovani e s’inserisce in unprogetto globale di educazione e di evangelizzazione dei giovani, soprattutto i più bisognosi. Il settorescuola si è sviluppato molto nella Congregazione in risposta alle esigenze degli stessi giovani, dellasocietà e della Chiesa, fino a diventare un movimento di educatori saldamente attestati sul fronte sco-lastico. I salesiani considerano la scuola come una mediazione culturale privilegiata di educazione incui si può dare una risposta sistematica ai bisogni dell’età evolutiva, come una istituzione determi-nante nella formazione della personalità, perché trasmette una concezione del mondo, dell’uomo edella storia e come una delle forme più importanti di promozione umana e di prevenzione dell’emar-ginazione. È riconosciuto il valore fondamentale della scuola come ambito dove il Vangelo illumina lacultura e si dà una efficace integrazione tra il processo educativo e il processo di evangelizzazione.Questa integrazione costituisce un’alternativa educativa importante nell’attuale pluralismo della so-cietà. I salesiani si inseriscono nel movimento che educa ed evangelizza attraverso la scuola, appor-tando il patrimonio pedagogico ereditato da S. Giovanni Bosco e accresciuto dalla tradizione susse-guente. In questo impegno, l’attuale realtà socio-politica e culturale, i nuovi orientamenti di rinnova-mento scolastico nei diversi Stati e la stessa realtà interna delle scuole, l’attuale presenza comune diragazzi e ragazze, con un intreccio di molti, e talvolta divergenti, elementi legali, finanziari, lavora-tivi, didattici, ecc. presentano nuove e complesse difficoltà e sfide alle quali, nei diversi luoghi in cuici troviamo, stiamo cercando di rispondere con una maggiore qualità educativa, con professionalità esignificatività, fedeli alla nostra identità carismatica. [...] Come la scuola, i CFP nascono nell’oratoriodi Valdocco: Don Bosco, nella sua opzione educativa pastorale per i giovani bisognosi, ha una grande
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1.2.2. Il CG 23 e CG 26: la Spiritualità salesiana e la Nuova EvangelizzazioneI Capitoli Generali 23 e 26 forniscono indicazioni molto chiare circa la rile-vanza del criterio oratoriano. Il CG 23 lo presenta come una spiritualità, dunque uncammino di santità per tutti i protagonisti della missione, e il CG 26 lo riprende, apartire dall’emergenza educativa e dall’urgenza della Nuova Evangelizzazione. Inquesta riflessione potremmo recuperare le sollecitazioni di entrambi i Capitoli rico-noscendo nella spiritualità e nell’evangelizzazione – rispettivamente – il dina-mismo sistolico e diastolico dell’esperienza di Dio, dinamismo cui deve ispirarsi ladedizione di un educatore con il cuore di don Bosco e dinamismo cui vanno for-mati i giovani perché accedano alla maturità della fede. Riconoscere nel solido rife-rimento alla spiritualità salesiana il dinamismo sistolico della nostra esperienza diDio continua ad essere un’urgenza; una spiritualità è anzitutto una forma oggettivadi esistenza secondo il Vangelo, forma che lo Spirito consegna alla Chiesa perché isuoi figli possano percorrere vie sicure di santità.Se una missione non deve la sua forma ad una ben precisa spiritualità, essa lamutua indebitamente da altre fonti, che potrebbero essere lontane, estranee, addirit-tura contrastanti il Vangelo. Senza una solida spiritualità un cammino di fedemanca di nutrimento carismatico, di criteri di discernimento circa la propria qualitàevangelica, di certezze circa la propria fedeltà ecclesiale: è la deriva soggettivisticao eccentrica della vocazione, che la cultura individualistica del postilluminismopropaganda con pericolosa insistenza. Maturare la consapevolezza dell’urgenza diannunciare il Vangelo significa garantire il movimento diastolico essenziale all’e-sperienza di Dio; nella sollecitudine per l’annuncio del Vangelo la spiritualità testi-monia la sua fecondità. L’intiepidirsi della passione evangelizzatrice non è mero in-dice di una debolezza d’identità spirituale, ma diventa inesorabilmente sua con-causa.
preoccupazione per il mondo del lavoro e i suoi problemi più urgenti (immigrazione dei giovani nellacittà, impreparazione per il lavoro industriale, sfruttamento, abbandono, ecc.). Molto presto organizzanell’Oratorio piccoli laboratori che poi diventeranno le Scuole di “arti e mestieri” e, con Don Rua, na-scono le Scuole Professionali. Allo stesso tempo aiuta i giovani nella ricerca del lavoro procurandoloro contratti di lavoro, per evitare che siano sfruttati. Con la vocazione e la presenza del SalesianoCoadiutore, questo servizio e preparazione sarà arricchito. La Formazione Professionale diventa patri-monio della Congregazione Salesiana e una delle richieste più sentite nella società. Nel tempo si èsviluppata una grande varietà di Scuole e di Centri di Formazione Professionale formali e non for-mali. Come Don Bosco, i Salesiani sono convinti che con questo tipo di opera aiutano i giovani degliambienti popolari non solo a prepararsi ed inserirsi creativamente nel mondo del lavoro, ma anchenella loro crescita integrale. In questo modo favoriscono una visione umana ed evangelica dello stessomondo del lavoro. La nostra società tecnologica in continuo progresso e la realtà interna di questicentri ci presentano alcune difficoltà e sfide di indole tecnica, finanziaria, legale e pedagogica, allequali i salesiani devono rispondere coraggiosamente con una maggiore qualità educativa, fedeli allapropria identità carismatica. [...] Le Scuole e i CFP dei salesiani sono due strutture di formazione si-stematica con caratteristiche proprie, ma sempre in profondo rapporto: non c’è vera scuola salesianache non avvia al lavoro, né c’è vero CFP salesiano che non tenga conto dell’assimilazione sistema-tica della cultura» (DICASTERO PER LA PASTORALE GIOVANILE SALESIANA, La pastorale giovanile sale-siana. Quadro di riferimento fondamentale, Roma 20002, 74-75).
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Don Bosco ce lo insegna: il suo dedicarsi ai giovani per comunicare loro ilVangelo ha avuto i caratteri di una reciproca generazione; don Bosco ha generato igiovani alla maturità della fede, ma si è pure lasciato generare alla paternità spiri-tuale dai suoi ragazzi20.Il segreto di questa reciprocità – che non pregiudica l’asimmetria tipica delrapporto educativo – è la spiritualità, il progetto di santità, che rimanda la relazioneeducativa oltre se stessa, verso il compimento vocazionale dell’educatore e dell’e-ducando.Ma il segreto di questa reciprocità è, in pari tempo, l’evangelizzazione, chelibera il rapporto educativo dal sequestro reciproco e sigilla, in Dio, una nuovaalleanza tra l’educatore e l’educando; per questo i giovani educati da don Boscodiventeranno come lui e con lui educatori ed evangelizzatori di giovani. Tutti ifronti della missione debbono lasciarsi provocare dalle sollecitazioni del CG 23 edel CG 26. Dobbiamo chiederci quanto matura sia la consapevolezza che il cri-terio oratoriano è la traduzione, funzionale ad una verifica della qualità carisma-tica della nostra azione, di una spiritualità. Dobbiamo domandarci se la spiritualitàsalesiana nutre la nostra vita interiore, guida la nostra maturazione nella fede,plasma credibilmente la nostra identità di discepoli del Signore, fa di ogni espres-sione della nostra missione una scuola di vita secondo il Vangelo, una scuola disantità.Don Viganò, presentando gli Atti del CG 23, non usa mezzi termini: solo unasolida spiritualità può salvare la nostra vita di fede ed il nostro apostolato da«quel sottile genericismo che è stato individuato come un pericolo [...] e che co-stituisce un aspetto della nostra superficialità spirituale»21. Non dovrebbe lasciarciindifferenti la constatazione del credito e del seguito che nella Chiesa suscitanoproposte carismatiche immediatamente identificabili per una solida spiritualità;come non dovrebbe lasciarci indifferenti lo sconcerto di chi, pur ammirando l’au-dacia operativa delle nostre presenze, cerca nutrimento per il proprio cammino di
20 Le parole che il biografo attribuisce a don Bosco quando, convalescente dopo la grave malattiache ha messo in pericolo la sua vita, si rivolge ai ragazzi fanno riflettere: «Io vi ringrazio delle provedi amore che mi avete dato durante la malattia; vi ringrazio delle preghiere fatte per la mia guarigione.Io sono persuaso che Dio concesse la mia vita alle vostre preghiere; e perciò la gratitudine vuole cheio la spenda tutta a vostro vantaggio, spirituale e temporale. Così prometto di fare finché il Signore milascerà su questa terra, e voi dal canto vostro aiutatemi» (G.B. LEMOYNE, Memorie biografiche diDon Giovanni Bosco, Scuola tipografica e libraria salesiana, San Benigno Canavese 1939, vol. II,cap. LII). Una riduzione psico-affettiva di questo fatto non ne rispetterebbe il significato chiaramenteinteso da don Bosco e intensamente vissuto dai ragazzi: l’evento educativo che coinvolge il Santo deigiovani e i suoi ragazzi, è totalmente regolato dal Vangelo; per questo la relazione che in esso vive hail valore stesso della vita. I ragazzi non giungono per ingenuità o mancanza d’equilibrio a ritenere lavita di don Bosco di valore pari alla propria; maturano questa consapevolezza riconoscendo nell’in-contro con lui il momento della loro nascita ad una vera vita. Ma, per lo stesso don Bosco, sono ifrutti dell’azione evangelizzatrice – resi evidenti dalla trasformazione della vita dei suoi ragazzi – adattestare il solo ed esclusivo senso e valore della sua stessa vita, che non conosce dedicazione alterna-tiva o complementare rispetto all’annuncio del Vangelo.21 Educare i giovani alla fede, ACG 333 (1990), n. 15.
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fede in altre tradizioni spirituali. Quella salesiana non è una spiritualità? Non haforse prodotto dei Santi? Dall’esperienza di Dio e dall’annuncio del Vangelo chediedero forma alla vita di don Bosco non viene forse una forma che può dare unprofilo inconfondibile alla vita di fede nostra e dei nostri destinatari? Il CG 26 ciricorda proprio l’imprescindibilità di una competenza spirituale non generica –una competenza generica non sarebbe altro che superficialità spirituale – ma cari-smatica, e per farlo indica schiettamente quali sarebbero i tratti di una missionenon chiaramente e consapevolmente sorretta dalla spiritualità. Le nostre iniziativenon sono sempre chiaramente orientate all’educazione alla fede. I processi di ca-techesi sono deboli e in molti casi non suscitano nei giovani una vita sacramen-tale convinta e regolare, una vera appartenenza ecclesiale ed un coraggioso im-pegno apostolico. La mancanza di organicità e continuità, frutto anche di insuffi-ciente riflessione e studio, ha portato talora ad attuare più una pastorale delle ini-ziative e degli eventi che dei processi. In altri casi le proposte non sono state suf-ficientemente inserite nei cammini delle Chiese locali22. Il CG 23 ricorda, invece,che un’azione pastorale ispirata alla spiritualità salesiana sa essere «dedicazione aun crescita progressiva della fede fino alla maturazione, e non soltanto una se-mina, una proposta occasionale, o qualche gesto o rito tradizionale»; e l’assun-zione di una responsabilità vocazionale imprescindibile – anche per il diritto chene hanno i destinatari di tutte le forme della nostra missione – «richiede non soloimpegno di seminare, ma anche costanza e perizia nel coltivare, e preoccupazionedi condurre a compimento: richiede, cioè una pedagogia della santità veramenteoriginale».23In una cultura sovente prigioniera dell’incoerenza tra il pensiero e la vita, ten-tata dalla marginalizzazione razionale o affettiva della fede, dalla declinazione fol-cloristica o psicosociale della pratica religiosa, la competenza spirituale è un do-vere imprescindibile di chi, per vocazione, assume nella Chiesa una missione pub-blica a servizio della fede dei fratelli.Senza competenza spirituale il sapere della fede non diventa esperienza di vita,la pratica credente non conosce sviluppo e crescita, la testimonianza fatica a guada-gnare identità e credibilità. La spiritualità è l’orizzonte nel quale l’Evento salvificotrova la sua destinazione antropologica e la sua mediazione pedagogica.Questo ci permette di cogliere immediatamente come la tradizione salesiana– che ha come missione il rapporto pedagogico e la sollecitudine educativa – do-vrebbe trovare assolutamente congeniale con la propria identità di fare un eventocarismatico – l’esperienza di Vangelo vissuta da don Bosco – una spiritualità. Do-vrebbe di nuovo interrogarci un fatto: la sapienza pedagogica ha accreditato in tuttoil mondo la competenza salesiana straordinariamente efficace nel mediare ai gio-vani tanto contenuti culturali, scientifici, tecnici, quanto esperienze artigianali, pro-
22 Da mihi anima cetera tolle, ACG 401 (2008), n. 28.23 VIGANÒ E, Presentazione, in Educare i giovani alla fede, ACG 333 (1990), 13.
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fessionali, artistiche; non dovrebbe, la stessa sapienza pedagogica, costituire unpunto di forza per la mediazione del Vangelo?Se ogni spiritualità nella Chiesa si caratterizza per qualità pedagogica – trattan-dosi appunto di regola storica donata alla libertà credente che ispirandosi ad essapuò nutrire il proprio cammino di fede aprendolo alla maturità dell’incontro con ilSignore e della testimonianza ecclesiale – la spiritualità salesiana non dovrebbecontraddistinguersi per una persuasività tutta particolare?Don Viganò, in proposito scrive:
La nostra spiritualità si caratterizza come una spiritualità pedagogica. La qualità pastoraledella comunità è misurata dall’evangelizzare “educando”. Si tratta di saper coltivare paziente-mente il seme gettato nel cuore dei giovani, anche da altri seminatori. La comunità è chiamatatutta a seguire con attenzione i giovani in un dialogo di fede, più in là del semplice adempi-mento di obblighi istituzionali; in questo non esistono “clichés” che si possano ripetere, maoccorre intensificare la capacità di animare, di coinvolgere, di corresponsabilizzare, ossia dieducare24.
E il fondamento che ogni spiritualità esige, prima ancora di esprimerlo, motival’approfondimento della relazione con il Vangelo vissuto e annunciato.Un’esistenza nella fede non configurata secondo una precisa spiritualità allentaprogressivamente il suo rapporto con il Vangelo, inclinando allo spontaneismo, alsoggettivismo, alla superficialità; al contrario, la spiritualità sostiene – attraversouna tradizione carismatica – un rapporto vitale con il Vangelo e ne motiva l’an-nuncio, scongiurando il pericolo delle derive ideologiche della missione.Vivere il Vangelo dentro una tradizione carismatica assunta come forma dellapropria fede, dunque come spiritualità, è condizione necessaria di un annuncio cherispetti l’integrità, della Buona Novella, fuori dalla sudditanza a indebite prescri-zioni culturali o mode teologiche.L’invito pressante del CG 26 perché il Vangelo sia principio e fine dell’agireeducativo potrà pertanto trovare ascolto attraverso una crescita della nostra consa-pevolezza spirituale, e – insieme – la nostra consapevolezza spirituale si consoli-derà grazie alla fedeltà evangelica e carismatica della nostra missione. Per questo,fin dal primo momento, l’educazione deve prendere ispirazione dal Vangelo e l’e-vangelizzazione deve adattarsi alla condizione evolutiva del giovane. Solo così eglipotrà scoprire in Cristo la propria vera identità e crescere verso la piena maturità;solo così il Vangelo potrà toccare in profondità il suo cuore, sanarlo dal male eaprirlo ad una fede libera e personale. Consapevoli che siamo chiamati a educareed evangelizzare anche mentalità, linguaggi, costumi ed istituzioni, ci impegniamoa promuovere il dialogo tra fede, cultura e religioni; ciò aiuterà a illuminare con ilVangelo le grandi sfide poste alla persona umana e alla società dai cambiamentiepocali e a trasformare il mondo con il lievito del Regno25.
24 VIGANÒ E., Presentazione, in Educare i giovani alla fede, ACG 333 (1990), 14.25 Da mihi anima cetera tolle, ACG 401 (2008), n. 25.
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1.2.3. CG 24 e CG 25: il carisma di don Bosco nella comunità salesiana e nella CEPOggi più che ieri e domani più di oggi, c’è il grave rischio di spezzare i legamivivi che ci tengono uniti a don Bosco. Siamo ad oltre un secolo dalla sua morte.Sono ormai decedute le generazioni di salesiani che erano venute a contatto con luie lo avevano conosciuto da vicino. Aumenta il distacco cronologico, geografico eculturale dal fondatore. Viene a mancare quel clima spirituale e quella vicinanzapsicologica, che consentivano uno spontaneo riferimento a don Bosco e al suo spi-rito, anche alla semplice vista del suo ritratto. Ciò che ci è stato tramandato puòandare smarrito. Allontanati dal fondatore, sbiadita l’identità carismatica, indebolitii legami al suo Spirito, se non ravviviamo le nostre radici corriamo il pericolo dinon avere futuro né diritto di cittadinanza26.Così scrivevo nella lettera di indizione del CG 26, un evento che sin dalla suaprogettazione ha inteso rispondere alla sfida di un approfondimento dell’identitàcarismatica, urgente per ogni salesiano e per l’intera Congregazione.È motivo di grande gioia per ogni salesiano avvertire il fascino che la figuradi don Bosco esercita oggi nel mondo; è più faticoso assicurare fascino alla nostratestimonianza carismatica.Questo perché, allentato il legame tra il dono dello Spirito posto al principiodella nostra vocazione e la persona di don Bosco, quel dono rischia di non esserepercepito da noi nella sua vitalità, nel suo realismo storico, nella sua efficacia ca-pace di unificare ed appassionare un’esistenza.Ma anche la persona di don Bosco, separata dal carisma che lo rende vocazio-nalmente intimo a noi stessi, non è più riconosciuta nella luce di una paternità viva,feconda e rassicurante, ma può sbiadire in una lontananza storica che ne decreta lamarginalità nel nostro vivere.Lo Spirito ci dona una vocazione ecclesiale fissando i tratti più intimi dellanostra identità attraverso un processo di autentica generazione carismatica, che cilega indissolubilmente a don Bosco; e noi testimoniamo oggi la vitalità fecondadella sua esperienza di Dio.La nostra missione, se vuole conservare una chiara identità, deve esprimere lavitalità di questo vincolo carismatico che ci riferisce a don Bosco per scolpire, nellanostra originalità, la sua fisionomia. Ma il carisma, compreso a partire da una rela-zione vocazionale autentica con don Bosco, è soprattutto l’unico principio legit-timo della forma comunitaria della nostra azione pastorale, e la garanzia della qua-lità salesiana della nostra relazione con i laici. Don Vecchi, a conclusione del CG24 ce lo ha ricordato. Il punto focale della nostra riflessione è stato il carisma sale-siano, missione e spirito, come possibilità, ancora da scoprire, di comunione e cor-responsabilità a servizio dei giovani. Ciò non va dimenticato, perché da questo
26 CHÁVEZ VILLANUEVA P., “Da mihi animas, cetera tolle”. Identità carismatica e passione apo-stolica. Ripartire da Don Bosco per risvegliare il cuore di ogni salesiano!, in ACG 394 (2006) 3-46,qui 9.
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dono dello Spirito provengono le ricchezze e le forme originali di sinergie che au-spichiamo. I soggetti chiamati in causa simultaneamente sono i salesiani e i laici,ma la novità della prospettiva proviene dall’irruzione di questi ultimi nell’orizzontesalesiano e dall’inserimento della loro esperienza ricompresa nel cuore del ca-risma27. La consapevolezza carismatica permette ad ogni salesiano di fornire un ap-porto significativo alla fisionomia della comunità; tale consapevolezza gli consenteinfatti di far sì che i giovani e i laici corresponsabili si identifichino non tanto conlui quanto con la vocazione che vive come membro della comunità, la quale è por-tatrice del carisma e della spiritualità salesiana e nucleo della CEP28. Oggi, nelleopere attestate su fronti apostolici che esigono contributi e competenze diversifi-cate, quali le scuole e i Centri di Formazione Professionale, la vitalità del carisma èun’esigenza imprescindibile. In questo la comunità salesiana ha un compito fonda-mentale.Essa visibilizza il mistero di comunione che costituisce la natura intima dellaChiesa e diventa fermento del Regno. Per questo suo valore di segno e di strumentola comunità dei consacrati svolge una preziosa funzione nei confronti della CEP;l’aiuta a diventare, essa stessa, una autentica esperienza di Chiesa nella comunionefraterna e nel servizio ai giovani29.Non dovremmo dimenticare che dopo un capitolo sulla relazione tra salesiani elaici nel servizio alla fede dei giovani, la Congregazione ha avvertito l’urgenzadi riflettere sulla comunità salesiana con il CG 25. L’irrobustimento delle CEP at-traverso un crescente coinvolgimento dei laici e la valorizzazione sempre più signi-ficativa delle loro competenze, diventa appello alla consistenza carismatica dellacomunità salesiana. Il rapporto tra CEP e comunità salesiana non deve essere com-preso superficialmente; la relazione nel carisma presiede alle determinazioni fun-zionali dei rapporti di collaborazione organizzativa a servizio della missione.Ma non vi può essere relazione nel carisma, tra salesiani e laici, se la comunitàsalesiana non matura una chiara consapevolezza di essere, per il dono della voca-zione salesiana, luogo di discernimento delle esigenze della missione alla luce delcarisma e del valore del carisma alla luce della chiamata di Dio nella missione. IlCG 25, su questo, prendendo atto del cammino della Congregazione, non ha esitatoad illuminare alcuni compiti attuali.La comunità salesiana, più convinta di avere un compito carismatico nel nu-cleo animatore, ha dato vita a nuove forme di coinvolgimento dei laici, soprattuttoattraverso la formazione e l’animazione della CEP, la condivisione con i volontari,l’elaborazione del PEPS. È anche migliorata la sensibilità per la Famiglia Sale-
27 VECCHI J.E., Discorso del Rettor Maggiore a conclusione del CG24, in Salesiani e laici: co-munione e condivisione nello spirito e nella missione di don Bosco, ACG 356 (1996), n. 231.28 Salesiani e laici: comunione e condivisione nello spirito e nella missione di don Bosco, ACG356 (1996), n. 151.29 Salesiani e laici: comunione e condivisione nello spirito e nella missione di don Bosco, ACG356 (1996), n. 153.
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siana, ma si avverte l’esigenza di crescere verso una maggiore corresponsabilità peruna più efficace condivisione della missione30.La complessa organizzazione di forze sempre più necessaria alla missione,come la diminuzione del numero di confratelli attivi nelle CEP devono ricordarcil’urgenza di una più forte consapevolezza carismatica e metterci in guardia dallatentazione di ritenere surrogabile, in virtù di qualche criterio di efficienza, la comu-nità salesiana e la sua testimonianza dentro le nostre opere.L’invisibilità della comunità salesiana determina inesorabilmente la deriva fun-zionalistica della CEP e la marginalizzazione del carisma nell’approccio alla mis-sione. Solo passando attraverso il cuore di una comunità salesiana, nella differenteconsistenza delle sue forze e nelle forme variegate della sua testimonianza, la mis-sione può invece essere accolta con fedeltà carismatica e convocare evangelicamen-te, come espressione di sinergia apostolica ecclesiale, la CEP. Per questo il CG 25 hascommesso sul cuore della comunità salesiana, luogo di un dono che non teme lasfida anagrafica, delle condizioni di salute e delle energie fisiche, un dono che,sempre assume il profilo di un compito esigente, ma reso possibile dalla Grazia.Il modello di comunità che emerge dal CG 25 è quello che fa riferimento allanostra consacrazione apostolica, così come è espresso nell’articolo 3 delle Costitu-zioni. Si tratta di una comunità chiamata a realizzare, attraverso la grazia di unità,la sintesi vitale tra la vita fraterna, la sequela radicale di Cristo, la dedizione allamissione giovanile31.1.2.4. Il coordinamento nazionale e il progetto EuropaLa missione salesiana nella scuola e nella Formazione Professionale in Italiadeve misurarsi anche con alcune scelte molto precise di carattere programmatico chestanno segnando profondamente il cammino della Congregazione: la scelta del coor-dinamento, del lavoro in rete, a tutti i livelli, come condizione per far fruttificare almeglio i doni di Dio, rigenerare le risorse, assicurare incisività ed efficacia alla no-stra azione; e la scelta dell’Europa, che ha conosciuto una presenza massiccia deifigli di don Bosco, su avamposti dell’educazione e dell’evangelizzazione, ed oggi sitrova sfidata da un crescente assottigliamento di forze, e da un contesto sociale poli-tico e culturale sempre più bisognoso di rinnovamento evangelico.Quanto al coordinamento nazionale della nostra azione vorrei riferirmi ad un il-luminante intervento di don Viganò che oltre trent’anni fa affermava la «necessità disuperare il settorialismo ispettoriale per entrare in una dimensione di livello nazio-nale»32. Don Viganò esprimeva la sua soddisfazione per la costituzione, allora recen-tissima, di «una Federazione che, appunto perché in dialogo e confronto continuocon l’elaborazione di leggi o progetti di leggi regionali e nazionali, deve aggregarele strutture e le iniziative periferiche in linee unitarie coordinate e promosse da un
30 La comunità salesiana oggi, ACG 378 (2002), n. 39.31 CHÁVEZ VILLANUEVA P., Presentazione, in La comunità salesiana oggi, ACG 378 (2002), 15.32 VIGANÒ E., Discorso ai lavori dell’Assemblea della Federazione CNOS-FAP, 16 maggio 1978.
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organismo vivo che opera a livello nazionale»33. Continua ad essere attuale la primaragione che conduceva il Settimo Successore di don Bosco a raccomandare unasinergia delle forze salesiane che operano in Italia sul fronte della scuola e della For-mazione Professionale. Non mi sembra un’esagerazione l’affermare che non c’è fu-turo, letto alla luce dell’attuale situazione socio-politica, se non seguendo quellastrategia salesiana che ci permette di inserirci in questa dimensione strutturale cheva crescendo in questo paese. [...] In fin dei conti... son da far crescere le struttureche ci sono e ripensare alla loro strutturazione. Se c’è stato un Santo e un Fondatoreche non si è legato alle strutture, questo è don Bosco. Sarebbe ridicolo che faces-simo dipendere il nostro futuro da strutture anacronistiche. E per inventare strutturebisogna sudare, soffrire: noi lo facciamo, voi lo state facendo.Ecco, in sintesi, il contenuto di questa prima riflessione: questo tipo di Asso-ciazionismo deve operare a livello superiore delle Ispettorie, non perché queste nonservano, ma perché la configurazione dell’attuale società italiana ha, oggi, questaesigenza34.Più importante ancora diviene però la seconda ragione cui don Viganò ispiravala sua promozione di questo sforzo di coordinamento nazionale.Il ruolo e l’importanza di questa Federazione è non tanto di natura socio-giu-ridica, [...] ma di natura socio-culturale. È impossibile un dialogo, un confrontoculturale nel mondo del lavoro, oggi a livello di ogni singolo Centro di FormazioneProfessionale [...]. Non perché a questo livello ciò non si possa fare, ma risulte-rebbe condizionato dall’ambito ristretto e locale. Un più valido confronto si devefare a livello del mondo del lavoro, che è una realtà molto complessa, organizzatae, purtroppo, troppo politicizzata e con una cultura monopolizzata da ideologie chesono spesso anticulturali. Non per questo dobbiamo abbandonare il campo e la-sciare questo mondo culturale: ma dobbiamo far valere la nostra presenza non iso-latamente, come formiche che arrivano per caso, ma come un corpo organico35.Gli equivoci che oggi attraversano la riflessione e l’azione nel mondo dellascuola e della Formazione Professionale non sono gli stessi di trent’anni fa. La ca-duta delle ideologie non ha cancellato il loro retaggio culturale, ma certamente hapermesso al dibattito sul rapporto tra sapere e lavoro di articolarsi in forme nuove.Nondimeno, tanto la digitalizzazione e mediatizzazione della cultura, quanto laprofonda trasformazione subita dal mondo del lavoro e dell’economia accendononuove sfide. Va pertanto rimarcata con forza l’urgenza di un coordinamento che di-venti sinergia di pensiero a servizio del Vangelo; il Vangelo, non altro, deve presie-dere all’identificazione delle sfide che ci provengono dal mondo della cultura, dalmondo del lavoro e dai loro reciproci vincoli, la percezione dei quali è fondamen-tale nei processi educativi.
33 VIGANÒ E., Discorso ai lavori dell’Assemblea della Federazione CNOS-FAP, 16 maggio 1978.34 VIGANÒ E., Discorso ai lavori dell’Assemblea della Federazione CNOS-FAP, 16 maggio 1978.35 VIGANÒ E., Discorso ai lavori dell’Assemblea della Federazione CNOS-FAP, 16 maggio 1978.
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Sempre don Viganò, con estrema chiarezza, profilava una duplice possibilità:quella dell’autorevolezza culturale che un robusto coordinamento nazionale puòsostenere, e quella dell’azione frammentaria e isolata che non può incidere se non alivello esecutivo sulle grandi trasformazioni del sistema scuola e Formazione Pro-fessionale in Italia:È, dunque, un discorso serio, un discorso impegnativo, un discorso che richiedeproprio una conversione di mentalità in ciascuno di voi, se non siete ancora conver-titi, ma anche negli Ispettori e in tutti i salesiani. Ormai, o parliamo a questo livelloo noi siamo dei... muratori in educazione; e questo proprio in un momento storico incui le strutture educative vengono delineate e riformate da organismi ministeriali elegislativi. Ora, noi abbiamo una statura di storia educativa da poter reggere al con-fronto con questi dicasteri e legislatori, e non dobbiamo rassegnarci al ruolo di fac-chinaggio educativo. Dobbiamo riconoscere che spesso ci siamo comportati in talemaniera. Ciò lo constato non tanto in Italia, ma in altri paesi: lavoriamo tutti con sa-crificio, ma non incontriamo nei punti chiave dove si apre e si chiude il futuro. Equesto, perché? Forse non abbiamo sempre avuto magnanimità; mentre don Boscoera un uomo dalle larghe vedute e sapere essere all’altezza di trattare con i Ministridel Regno e con il Papa sui problemi che riguardavano la Chiesa e le relazioni traChiesta e Stato. Questo tipo di politica, don Bosco l’ha fatta: una politica a letteremaiuscole, una politica che riconosce alla cultura una grande importanza nel pro-cesso di crescita di un paese e di una nazione, sotto il profilo civile che noi sap-piamo illuminato ed irrobustito dal Vangelo.36 Se la necessità di coordinamento a li-vello nazionale interpella profondamente la nostra missione nella scuola e nella For-mazione Professionale, perché abbia futuro e significatività in Italia, l’impegno dellaCongregazione per il Progetto Europa spalanca i nostri orizzonti, chiedendoci unalettura, con cuore salesiano, di alcune sfide ecclesiali del nostro tempo.Il dibattito attorno all’identità europea provoca la società civile, il confrontopolitico, le scelte economiche, le pratiche religiose. La posta in gioco del dibattito èdi assoluta importanza, e le parole di un grande pensatore del secolo scorso ci aiu-tano a focalizzarla.La crisi dell’esistenza europea ha solo due sbocchi: il tramonto dell’Europa,nell’estraniazione rispetto al senso razionale della propria vita, la caduta nell’osti-lità allo Spirito e nella barbarie, oppure la rinascita dell’Europa dallo Spirito dellafilosofia, attraverso un eroismo della ragione capace di superare definitivamente ilnaturalismo. Il maggior pericolo dell’Europa è la stanchezza.Combattiamo contro questo pericolo estremo, in quanto “buoni europei”, inquella vigorosa disposizione d’animo che non teme nemmeno una lotta destinata adurare in eterno; allora dall’incendio distruttore dell’incredulità, dal fuoco soffo-cato della disperazione per la missione dell’Occidente, dalla cenere della grandestanchezza, rinascerà la fenice di una nuova interiorità di vita e di una nuova spiri-
36 VIGANÒ E., Discorso ai lavori dell’Assemblea della Federazione CNOS-FAP, 16 maggio 1978.
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tualità, il primo annuncio di un grande e remoto futuro dell’umanità: perché sol-tanto lo spirito è immortale37.Se numerosi voci della cultura si sono levate per esprimersi sulle possibilità ele difficoltà del processo di unificazione europea, la Chiesa non ha mancato di farsentire la sua voce, indicando nel Vangelo l’unica fonte di un vero rinnovamentoche tocchi tutte le dimensioni della convivenza umana in Europa.L’Europa ha bisogno di un salto qualitativo nella presa di coscienza della suaeredità spirituale. Tale spinta non le può venire che da un rinnovato ascolto del Van-gelo di Cristo. Tocca a tutti i cristiani impegnarsi per soddisfare questa fame e setedi vita. [...] Ancora oggi ripeto a te, Europa che sei all’inizio del terzo millennio:“Ritorna te stessa. Sii te stessa. Riscopri le tue origini. Ravviva le tue radici”. Nelcorso dei secoli, hai ricevuto il tesoro della fede cristiana. Esso fonda la tua vita so-ciale sui principi tratti dal Vangelo e se ne scorgono le tracce dentro le arti, la lette-ratura, il pensiero e la cultura delle tue nazioni. Ma questa eredità non appartienesoltanto al passato; essa è un progetto per l’avvenire da trasmettere alle generazionifuture, poiché è la matrice della vita delle persone e dei popoli che hanno forgiatoinsieme il Continente europeo38.La Congregazione Salesiana ha accolto questa sollecitudine ecclesiale e, con-sapevole dell’ampiezza di fronti apostolici che caratterizzano l’impegno in Europadei figli di don Bosco, ha operato un attento discernimento confluito nel ProgettoEuropa39.Con grande chiarezza il Progetto Europa indica una priorità per la missione sa-lesiana in questo continente.La Commissione per il PE e il Dicastero di pastorale giovanile promuovonodecisamente la scelta prioritaria della presenza salesiana nella scuola e nella For-mazione Professionale40; e fornisce indicazioni precise per il consolidamento diforme di condivisione e progettazione in chiave europea del servizio educativo epastorale della scuola e della Formazione Professionale:Il Dicastero di pastorale giovanile favorisce, coinvolgendo i laici, la rifles-sione, lo scambio di esperienze, lo studio di proposte, il coordinamento dell’im-pegno salesiano in Europa nella scuola e nella Formazione Professionale, attra-verso la Consulta europea della scuola e la Consulta europea della Formazione Pro-fessionale, e ne condivide i risultati con la Commissione per il PE41.L’urgenza di aderire allo spirito del Progetto Europa non è semplicemente im-posta dalla necessità di rivedere i fronti dell’impegno apostolico in un continente
37 HUSSERL E., La filosofia nella crisi dell’umanità europea, Conferenza tenuta al Kulturbund diVienna il 7 e 10 maggio 1935, in ID., La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale(EST 90), Il Saggiatore, Milano 1997, 328-360, qui 358.38 GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica postsinodale Ecclesia in Europa, 28 giugno 2003,n. 120.39 Progetto Europa, Documento approvato dal Consiglio Generale il 27 gennaio 2009.40 Progetto Europa, 2.1.2.41 Progetto Europa, 2.1.3.
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segnato dalla forte diminuzione del personale; non è neppure soltanto raccoman-data dall’opportunità di ottimizzare gli investimenti educativi pastorali attraversocoordinamenti, collaborazioni e sinergie.Il Progetto Europa è un’espressione della nostra speranza cristiana, dell’a-scolto nello Spirito dei segni dei tempi, della nostra fedeltà ecclesiale, del nostroentusiasmo vocazionale, della nostra passione apostolica.Queste ragioni devono nutrire una nuova sensibilità europea nel nostro ap-proccio alle sfide che la missione ci presenta anche nell’ambito della scuola e dellaFormazione Professionale, sensibilità sintonizzata con le priorità riconosciute dallaCongregazione per questo nostro tempo:Ciascuna delle Regioni di Europa, attraverso le sue forme di animazione, cural’attuazione delle tre priorità del Progetto del sessennio, “Ritornare a Don Boscoper ripartire da lui”, “Mantenere viva l’urgenza di evangelizzare e la necessità diconvocare”, “Promuovere la semplicità di vita e l’impegno su nuove frontiere”, perrivitalizzare in forma endogena la presenza salesiana in Europa42.
2. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE
2.1. La “Stimmung” postilluminista“Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8). Latroverà su queste terre della nostra Europa di antica tradizione cristiana? È un inter-rogativo aperto che indica con lucidità la profondità e drammaticità di una dellesfide più serie che le nostre Chiese sono chiamate ad affrontare. Si può dire – comeè stato sottolineato nel Sinodo – che tale sfida consiste spesso non tanto nel battez-zare i nuovi convertiti, ma nel condurre i battezzati a convertirsi a Cristo e al suoVangelo: nelle nostre comunità occorre preoccuparsi seriamente di portare il Van-gelo della speranza a quanti sono lontani dalla fede o si sono allontanati dalla pra-tica cristiana43.L’esortazione apostolica Ecclesia in Europa, in questo passaggio accorato, ac-costa con il realismo tipico della speranza evangelica la situazione europea all’albadel Terzo millennio cristiano.Tutto il documento si interroga sulle ragioni cristiane di speranza per l’Europa,ma non si nasconde le sfide che più minacciano questa speranza; e tali sfide44 ri-mandano a compiti educativi che ci interpellano profondamente.
42 Progetto Europa, 1.2.1.43 GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica postsinodale Ecclesia in Europa, 28 giugno 2003,n. 47.44 Ricaviamo dalla Ecclesia in Europa quattro sfide, ricorrendo ad espressioni particolarmenteefficaci che il testo ci offre; la scelta di ricavare queste espressioni dall’Esortazione apostolica civiene dalla lettura del contributo di S. MAGISTER, L’Europa si è smarrita e Giovanni Paolo II le in-segna la strada, http: //chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/6958.
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2.1.1. Smarrimento della memoria
Il tempo che stiamo vivendo [...] appare come una stagione di smarrimento.[...] Vorrei ricordare lo smarrimento della memoria e dell’eredità cristiane, accom-pagnato da una sorta di agnosticismo pratico e di indifferentismo religioso, per cuimolti europei danno l’impressione di vivere senza retroterra spirituale e come deglieredi che hanno dilapidato il patrimonio loro consegnato dalla storia.Non meravigliano più di tanto, perciò, i tentativi di dare un volto all’Europaescludendone la eredità religiosa e, in particolare, la profonda anima cristiana, fon-dando i diritti dei popoli che la compongono senza innestarli nel tronco irroratodalla linfa vitale del cristianesimo45.Lo smarrimento cui allude l’Ecclesia in Europa è sotto gli occhi di tutti, cosìcome evidenti sono i segni di uno sradicamento e disorientamento esistenziale vis-suto talvolta come conquista e guadagno di libertà, più sovente come condizioneinsuperabile di un tempo segnato da inarrestabili e repentini cambiamenti sociali,da complesse rivoluzioni tecniche, da ingovernate promiscuità culturali.Un tempo come il nostro, se da un lato vede l’uomo con un bisogno spasmo-dico di conoscere le proprie radici e di aderirvi per identificarsi, dall’altro si trovatra mano i frutti di un pensiero che ha ridotto ad oscurantismo la tradizione, oppurel’ha culturalisticamente ridotta a sintomo dell’inesistenza di verità durature.L’esito di questo sradicamento potrebbe essere descritto con la metafora delnomadismo. L’uomo moderno è un nomade più che un sedentario. Segue diversepiste, percorre cammini, rimane aperto agli incontri della vita, senza mai poteraffermare di essersi stabilito da qualche parte. Non costruisce, più che altro siaccampa46. Le contraddizioni che animano il dibattito sull’importanza di conoscerele proprie radici continuano ad emergere in modo singolarmente evidente quando laposta in gioco del confronto è l’identità europea.Ad essere privo di radici in questi casi sembra essere proprio il dibattito cultu-rale sulle radici dell’Europa, incapace persino di convergere su qualche premessaevidente; così, codici espressivi equivoci argomentano senza comunicare dentroquadri culturali di riferimento incommensurabili, riduttivi e sovente autoreferenziali.Si moltiplicano prospettive di analisi del problema – economiche, sociali, poli-tiche, antropologiche, etiche, religiose – ma si allontanano guadagni condivisi e con-divisibili. E intanto l’Europa sta diventando la terra più scristianizzata dell’Occidentee se ne fa un vanto. Pensa che il cristianesimo che l’ha tenuta a battesimo le sia diostacolo. Ma poi si accorge che le occorre una identità. “C’è bisogno di un’anima”lamentano oggi alcuni europeisti della seconda generazione, ripetendo le stesse pa-role di quelli della prima. “I trattati politici non bastano”, “l’unificazione economicaè solo un passo”. Ma un altro passo, quello decisivo, i nuovi europeisti non sono riu-
45 Ecclesia in Europa, n. 7.46 LENOIR F., Le metamorfosi di Dio. La nuova spiritualità occidentale, Milano, Garzanti, 2005, 7.
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sciti a compierlo. Rifiutando la natura cristiana dell’anima europea, hanno rifiutatoanche la storia europea. Lo hanno fatto pensando che senza identità cristiana l’Eu-ropa è più aperta, inclusiva, tollerante, pacifica. È vero il contrario. Senza la consa-pevolezza dell’identità cristiana, l’Europa si distacca dall’America e divide l’Occi-dente, perde il senso dei propri confini e diventa un contenitore indistinto47.Estremamente puntuale in questa situazione ci pare il referto di Maria Zam-brano, che affronta con uno sguardo capace di profondità il problema dello sradica-mento culturale, indugiando sulla sua fattispecie europea, ma fornendone una de-scrizione antropologicamente persuasiva.È la saggezza meno europea, quella che l’Europa ha imparato di meno. Ancoraoggi in alcuni angoli della Spagna, vicini all’Africa e dal paesaggio identico, ilpeggiore insulto lanciato a un individuo è “senz’anima”, o “senza madre”, che vuoldire lo stesso. E l’uomo europeo, lontano dalla sua origine, con le viscere chiuse,opache e confuse, si è reso un disanimato. Oscurità del cuore che lo disorienta e lofa essere perduto, poiché non distingue più fra quello che vuole essere e quello dacui fugge. Perché il cuore confuso si dichiara in rivolta, ed è la fonte del rancore.Quando si rannuvola, il cuore si fa pesante, pesa come il peggiore dei carichi,mentre invece è vuoto. È difficile sostenere questo carico vuoto senza odiarsi, nontrovando consolazione dall’esser nati, perché il rancore altro non è48. Educatori au-tentici, in un simile contesto, dovrebbero essere avvertiti soprattutto del pericolorappresentato dalla capacità di risposta, a tale sradicamento, da parte di pedagogiebonarie e verificare il modo in cui le agenzie formative vi si rapportano.Accade di frequente, per un misto di rassegnazione e di miopia del discerni-mento, che siano promozionati approcci alla tradizione per nulla promettenti pro-prio nelle agenzie educative, ove un’appropriazione onesta e consapevole delleproprie radici dovrebbe invece costituire un criterio di qualità del servizio alla per-sona.Proprio questo misto di connivenza e incoscienza formativa può fornirequalche ragione ad analisi fin troppo cupe dell’attuale smarrimento di memoria,sulle quali giova comunque riflettere.Non ci sono più idee. Non ci sono più valori. Non se ne producono più. Lapassività e l’inerzia sembrano caratterizzare l’atmosfera del nostro tempo, dovel’impressione è che nessuno abbia una storia da scrivere né passata né futura, masolo energia da liberare in una sorta di spontaneità selvaggia, dove non circolaalcun senso, ma tutto si esaurisce nella fascinazione dello spettacolare. Viene allorada chiedersi come mai dopo tante rivoluzioni e un secolo o due di apprendistato po-litico, nonostante i giornali, i sindacati, i partiti, gli intellettuali e tutte le energiepreposte a sensibilizzare gli uomini alla loro storia, si trovano solo mille personeche reagiscono, e milioni di persone che rimangono passive e preferiscono, in per-
47 PERA M., Perché dobbiamo dirci cristiani. Il liberalismo, l’Europa, l’etica, Milano, Monda-dori, 2008, 6.48 ZAMBRANO M., L’agonia dell’Europa, Venezia, Marsilio, 2009, 70-71.
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fetta buona fede, con gioia e senza neppure chiedersi il motivo, un incontro dicalcio a un dramma umano o sociale. La risposta va forse cercata nel fatto che,bombardati come siamo da stimoli, messaggi, test e sondaggi, le nostre teste sonodiventate il luogo dove circolano idee e valori che noi non abbiamo prodotto, masemplicemente assorbito. Teste e cuori, che non si esprimono, ma si sondano, nonper conoscere le loro idee o i loro valori, ma per verificare il grado di efficacia deimedia nell’inculcare in loro un’idea o un presunto valore, e poi appurarne l’indicedi gradimento. Ridotte in questo modo a schermi di lettura, le nostre teste non sonopiù un luogo di ideazione e di invenzione, ma un luogo di assorbimento e di implo-sione, dove ogni senso propulsivo si inabissa e ogni significato acquisito si allineaa quell’ideale di uniformità che è l’inerzia del conformismo49.2.1.2. Apostasia silenziosaAlla radice dello smarrimento della speranza sta il tentativo di far prevalereun’antropologia senza Dio e senza Cristo. Questo tipo di pensiero ha portato a con-siderare l’uomo come il «centro assoluto della realtà, facendogli così artificiosa-mente occupare il posto di Dio e dimenticando che non è l’uomo che fa Dio maDio che fa l’uomo. L’aver dimenticato Dio ha portato ad abbandonare l’uomo», percui «non c’è da stupirsi se in questo contesto si è aperto un vastissimo spazio per illibero sviluppo del nichilismo in campo filosofico, del relativismo in campo gno-seologico e morale, del pragmatismo e finanche dell’edonismo cinico nella confi-gurazione della vita quotidiana». La cultura europea dà l’impressione di una “apo-stasia silenziosa” da parte dell’uomo sazio che vive come se Dio non esistesse50.L’Ecclesia in Europa identifica un secondo tratto problematico di questotempo e lo nomina con l’efficace espressione apostasia silenziosa.Si tratta di una forma di antropocentrismo che progressivamente ha perso ilsuo carattere culturalmente aggressivo, e – complice la promiscuità culturale – haassunto i toni di un indifferentismo che scredita l’autenticità della fede e la coe-renza della pratica credente.L’Europa sottoscriverebbe le tesi di Nietzsche circa l’origine dell’esperienzareligiosa51, fuori da schermaglie teoriche ma nella convinzione che i diritti del-l’uomo sono garantiti in un mondo che abbandona la religione, vincendo la tenta-zione superstiziosa che in passato ha fatto la fortuna di Dio. Il cristianesimoschiacciò e frantumò l’uomo completamente e lo sprofondò come in una fonda pa-lude: poi, nel sentimento di totale abiezione, fece brillare tutto a un tratto lo splen-
49 GALIMBERTI U., I miti del nostro tempo, Milano, Feltrinelli, 2009, 310-311.50 Ecclesia in Europa, n. 9.51 «Malati e moribondi erano costoro, che disprezzavano il corpo e la terra e inventarono le cosecelesti e le gocce di sangue della redenzione: ma persino questi veleni dolci e tenebrosi essi li ave-vano tratti dal corpo e dalla terra. Alla loro miseria volevano sfuggire, e le stelle erano per essi troppolontane. Allora sospiravano: “Oh, se vi fossero sentieri nel cielo per insinuarsi in un altro essere eun’altra felicità!” – così inventarono le loro vie misteriose e le loro bibite di sangue!» (F. NIETZSCHE,Così parlò Zarathustra [Piccola Biblioteca Adelphi 36], Adelphi, Milano 19795, 32).
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dore di una divina pietà, sicché l’uomo sorpreso, stordito dalla grazia, emise ungrido di rapimento e per un attimo credette di portare in sé il cielo intero. Su questomorboso eccesso di sentimento, sulla profonda corruzione della mente e del cuore aesso necessaria, agiscono tutti i sentimenti psicologici del Cristianesimo: essovuole annientare, spezzare, stordire, inebriare, solo una cosa esso non vuole: la mi-sura52. L’insidia di una cultura che oppone la fede in Dio alla pienezza di vita del-l’uomo raggiunge ogni ambiente educativo; senza una formazione alla verità delVangelo ed un ascolto sapiente della novità che attraversa le sue risposte alla condi-zione umana, gli ateismi corrosivi continuano ad esercitare il loro fascino. Semprela drammatica parabola del pensiero e dell’esistenza di Nietzsche attestano la vul-nerabilità della coscienza agli equivoci più pericolosi circa il rapporto tra Dio el’uomo.Nietzsche non ha “prove”, in senso stretto, contro l’esistenza di Dio, ma un“istinto” o, meglio, una molteplicità di impulsi contro l’idea di Dio, così come ècomunemente intesa nella tradizione filosofica e teologica occidentale. La credenzain Dio è per Nietzsche qualcosa di ripugnante. [...] “Se Dio ha creato il mondo, egliha creato l’uomo come scimmia di Dio, come continuo motivo di divertimentonelle sue troppo lunghe eternità. Quell’annoiato immortale solletica con il dolore ilsuo animale preferito, per gioire dei gesti tragici e orgogliosi, delle interpretazionidelle sue sofferenze”. [...] Meglio morire e sprofondare nel nulla, che gioire sadica-mente in paradiso di fronte alla vista dei dannati, come fanno Tertulliano, Tommasod’Aquino, Dante! E un Dio che non punisca e non premi, un Dio che non garan-tisca l’eternità personale a quell’essere borioso che si chiama uomo, non si diffe-renzia per nulla da quell’universo insondabile e senza scopo di cui parla Nietzschequasi con senso religioso53.2.1.3. Cultura di morteL’Ecclesia in Europa non usa mezzi termini: la cultura che vuole fare a menodi Dio, mentre promette pienezza di vita, in realtà corteggia la morte.In tale orizzonte, prendono corpo i tentativi, anche ultimamente ricorrenti, dipresentare la cultura europea a prescindere dall’apporto del cristianesimo che hasegnato il suo sviluppo storico e la sua diffusione universale. Siamo di fronte al-l’emergere di una nuova cultura, in larga parte influenzata dai mass media, dallecaratteristiche e dai contenuti spesso in contrasto con il Vangelo e con la dignitàdella persona umana. Di tale cultura fa parte anche un sempre più diffuso agnosti-cismo religioso, connesso con un più profondo relativismo morale e giuridico, cheaffonda le sue radici nello smarrimento della verità dell’uomo come fondamentodei diritti inalienabili di ciascuno. I segni del venir meno della speranza talvolta si
52 F. NIETZSCHE, Umano troppo umano (Piccola Biblioteca Adelphi 82), Milano, Adelphi, 19822,§ 114.53 ANDREONI C., L’ateismo di Nietzsche, in CORRADINI D. - MONTINARI M. - ALFIERI L. ET AL.,Nietzsche, Milano, Franco Angeli, 1979, 179-210, qui 180-181.
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manifestano attraverso forme preoccupanti di ciò che si può chiamare una “culturadi morte”54.Purtroppo non possono essere attribuite ad un eccesso di pessimismo questeosservazioni; il malessere dei giovani, che talvolta non riesce ad essere occultatodalle mimetizzazioni del costume ed esplode in forme drammatiche, è sotto gliocchi degli educatori. Raccogliere altre sfide e ignorare queste tentazioni giova-nili – le più drammatiche – di considerare la morte alla stregua della vita e la vitaalla stregua della morte rappresenterebbe un autentico tradimento educativo.I giovani, anche se non sempre ne sono consci, stanno male. E non per le solitecrisi esistenziali che costellano la giovinezza, ma perché un ospite inquietante, ilnichilismo, si aggira tra loro, penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri,cancella prospettive e orizzonti, fiacca la loro anima, intristisce le passioni renden-dole esangui. Le famiglie si allarmano, la scuola non sa più cosa fare, solo il mer-cato si interessa di loro per condurli sulle vie del divertimento e del consumo, doveciò che si consuma non sono tanto gli oggetti che di anno in anno diventano obso-leti, ma la loro stessa vita, che più non riesce a proiettarsi in un futuro capace di farintravedere una qualche promessa. Il presente diventa un assoluto da vivere con lamassima intensità, non perché questa intensità procuri gioia, ma perché promette diseppellire l’angoscia che fa la sua comparsa ogni volta che il paesaggio assume icontorni del deserto di senso55.Non mancano poi interpreti della condizione giovanile che denunciano unaconnivenza delle agenzie educative con il modello nichilista, con la cultura dimorte.Il capolinea è diventato metafora di un progetto di crescita sociale mai vera-mente compiuto. Guardando alle idee e pratiche educative di oggi, ho l’impres-sione di scorgere un elemento “autistico” in genitori e insegnanti, come se non fos-simo interessati a vedere crescere una generazione di giovani migliore della nostra.[...] A guardar bene tra le righe della nostra cultura dominante, si scorge un para-dossale impeto autodistruttivo: non vogliamo che i nostri ragazzi crescano forti, madeboli e ricattabili. S’intuisce un disegno depressivo, tipico di chi non crede nel fu-turo ma sa soltanto raschiare il barile di un privilegiato benessere presente. Unasorte di sindrome da fine dell’impero occidentale56.Ma si rivelano singolarmente istruttive soprattutto le riflessioni di chi fornisceuna lettura teologica, sebbene non formalmente cristiana, dei processi di autodistru-zione che tentano l’uomo.Poiché la storia non ha precedenti, la nostra civiltà è la prima che si crede im-mortale, mentre forse è semplicemente la prima alla quale manchi un consapevolesentimento di limitazione. Col passaggio dell’uomo dalla condizione animale a
54 Ecclesia in Europa, n. 9.55 GALIMBERTI U., L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Feltrinelli, Milano 20086, 11.56 CREPET P., Sfamiglia. Vademecum per un genitore che non si vuole rassegnare, Einaudi,Torino 2009, 35-36.
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quella storico-civile, le sue forme di vita non evolvono più per selezione naturale– con la scomparsa dei più deboli – bensì, con moto sempre più rapido, per sviluppoculturale e crescita tecnologica. Eppure, fagocitando ogni rispetto del limite assiemea quello per Dio e per la morte, la nostra civiltà sembra quasi aver seguito un cam-mino opposto e regressivo. La sua storia, che inizia con il capitolo altamente civiledell’autolimitazione (per quanto ripresa in qualche forma da meccanismi di autoini-bizione dell’istinto) ha poi ceduto alle regole della espansione competitiva, tornandoa una selezione darwiniana fra civiltà. Di fronte a questa carica onnipotente della so-cietà tecnologica, ogni altra cultura sta scomparendo. Se la civiltà si presenta comenuova, la psiche è, nei suoi strati profondi, quella di sempre: e non può ignorare chela presenza di Dio e della morte istituiva il limite nella vita e alla vita. Per parteci-pare alla modernità l’Oriente e il terzo mondo non hanno trasformato il loro credo,ma lo hanno solo rapidamente decolorato nelle ultime generazioni, sovrapponendovimolte regole razionali. La civiltà occidentale, invece, è l’unica ad avere diretta-mente, profondamente e gradualmente incorporato in sé tutte le forme di Dio e lesue qualità infinite. Il greco si è metabolizzato nei secoli in moderno, incorporandogli avversari: prima i persiani, poi gli dei. Con questo processo non ha lasciato qua-lità significative fuori di sé: per questo è impossibile distinguere se una statua grecarappresenta un dio o un uomo. Ben lontana dal tabù monoteista della rappresenta-zione divina, le sue forme sono già laiche. Per questo cammino, l’uomo ha spostatoal proprio interno il suo contrario e il suo limite. La sua laicizzazione non è statasolo adeguamento a nuove regole esterne, ma metamorfosi interiore e trasmutazionedell’anima in luogo così complesso da farsi sempre più difficilmente esprimibile.Se Dio è stato rimosso dai cieli e incorporato sotto forma di aspirazioni comelui infinite, anche la morte, allontanata dagli occhi, si riaffaccia all’interno dei sog-getti travestita da depressione non razionalmente motivabile. Il nucleo di tale ripie-gamento dello slancio vitale è una colpa assoluta, priva di motivi visibili, cui corri-sponde un vissuto di insufficiente giustificazione dell’esistere57.2.1.4. Speranze artificialiUn’ultima nota merita di essere ripresa da Ecclesia in Europa per illuminare lesfide più significative del nostro tempo per la Nuova Evangelizzazione; tale nota siconcentra sui surrogati più consueti e pericolosi della speranza cristiana che vannodiffondendosi nel nostro continente.“L’uomo non può vivere senza speranza: la sua vita sarebbe votata all’insigni-ficanza e diventerebbe insopportabile”. Spesso chi ha bisogno di speranza crededi poter trovar pace in realtà effimere e fragili. E così la speranza, ristretta in unambito intramondano chiuso alla trascendenza, viene identificata, ad esempio, nelparadiso promesso dalla scienza e dalla tecnica, o in forme varie di messianismo,nella felicità di natura edonistica procurata dal consumismo o quella immaginaria e
57 ZOJA L., Storia dell’arroganza. Psicologia e limiti dello sviluppo, Bergamo, Moretti & Vitali,20042, 209-210.
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artificiale prodotta dalle sostanze stupefacenti, in alcune forme di millenarismo, nelfascino delle filosofie orientali, nella ricerca di forme di spiritualità esoteriche,nelle diverse correnti del New Age58. Le giovani generazioni sono fortemente impli-cate in questi processi di surrogazione della speranza, che, avendo per protagonistigli adulti e la cultura di massa, lungi dal trovare alternative, vengono sovente rin-forzati dalle agenzie educative.È indispensabile ed urgente uno sforzo collettivo di riflessione sui processi dicostruzione di modelli negativi che assurgono allo status di idoli, insieme vittime,complici e responsabili di una mistificazione pericolosa per la solidità e la veritàdell’esistere.La società di oggi è laica. Alla fine dell’Ottocento, il grido sconvolgente diNietzsche si è sparso sulla Terra: “Dio è morto”. Anche chi non ama Nietzsche hadovuto riconoscerlo come profeta: durante il Novecento, nel mondo ebraico-cri-stiano le persone religiose sono diventate minoranza. E, anche per questa mino-ranza, la fede è diventata soprattutto un fatto privato, come la scelta di una filo-sofia, di una convinzione politica, addirittura di un amore. La società retta da duepilastri non ha avuto più equilibrio da quando uno è crollato. La morte di Dio hasvuotato il cielo. Ma niente ha resistito al risucchio del vuoto. Lo spazio celeste èstato riempito con l’assunzione dei miracoli della scienza e dell’economia fra le di-vinità, con l’elevazione alle stelle del desiderio personale. Troppo spesso si dimen-tica che desiderare significa proprio questo: smettere (de-) di affidarsi agli astri (si-dera), farne a meno, sostituirsi al cielo. Continuiamo ad aver bisogno di adorarequalcuno, ma il posto di Dio è preso dall’uomo e dalle sue opere. Insieme sono ele-vate a modello e scopo per gli altri uomini. L’uomo ideale è trasfigurato, diviniz-zato. Di conseguenza non è più un uomo vicino.Non è più una vista: è una visione. Ecco l’origine del culto delle persone fa-mose, delle celebrities. Naturalmente le persone vicine continuano a esistere, ma laloro banale imperfezione le rende più estranee di un tempo59.Ogni istituzione educativa deve considerare con grande serietà e senso di re-sponsabilità il pericolo di tradire le nuove generazioni, proprio attraverso la qualifi-cazione di un servizio di dubbia qualità formativa, che in fondo asseconda – e so-vente raccomanda – gli pseudo valori dell’arrivismo, del successo, della carriera,dell’apparenza, della ricchezza.Confermano purtroppo il pericolo delle nuove idolatrie alcuni dati sconcer-tanti, che giungono da paesi asiatici e illustrano possibili conseguenze di un mo-dello sociale non solo indifferente rispetto alla verità dell’uomo, ma tanto dispoticoda sequestrare per la propria affermazione le energie formative di una convivenzacivile. In tali contesti le simbolizzazioni del disagio giovanile, oltre a manifestareparticolare drammaticità, sembrano acquisire carattere endemico.
58 Ecclesia in Europa, n. 10.59 ZOIA L., La morte del prossimo, Torino, Einaudi, 2009, 5.
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In tutto il Giappone, ci sono più di un milione di uomini e ragazzi [...] chehanno scelto di ritirarsi completamente dalla società. Questi reclusi si nascondono incasa per mesi o anni interi, rifiutandosi di lasciare le mura protettive della propriacamera da letto. Sono impauriti come bambini abbandonati in una foresta buia. [...]Non riescono a salire sull’efficiente nastro trasportatore che porta i ragazzini dallascuola materna all’università, per poi depositarli direttamente sul posto di lavoro60.
2.2. I modelli antropologiciPer la formazione di una coscienza educativa è necessario non solo individuarele sfide più significative di una temperie culturale nella quale vivono i destinataridella missione, è urgente pure misurarsi con i modelli umani che presiedono aglistili di vita più diffusi e ne reclamano gli investimenti formativi.Il pericolo dell’educazione è quello di muoversi senza sufficiente discerni-mento tra modelli antropologici molto differenti tra loro; talvolta lontani dalla ve-rità dell’uomo, altre volte contrastanti la sua dignità, altre volte ancora promettentiin sé ma non accattivanti.Accade così che anche intenzionalità formative apprezzabili si trovino silen-ziate dal clamore di modelli alternativi seducenti ma pericolosi, o neutralizzatedalla loro stessa estraneità rispetto all’immaginario dei destinatari. E può avve-nire – al contrario – che intenzionalità formative equivoche impongano i loro pro-getti d’umanità privi di futuro, radicalizzando la sofferenza interiore dei giovani oacuendo contraddizioni e frammentarietà nelle loro scelte e nella loro condotta.Il nostro servizio educativo potrebbe lasciarsi interpellare da quattro modelliumani che riflettono la risignificazione contemporanea della spazialità, della tem-poralità e della relazione producendo le forme oggi forse più in voga di rapporto asé, agli altri, al mondo; si tratta di modelli problematici, ma avvertiti dai giovanicome fortunati e appetibili.Non dobbiamo illuderci: questi modelli non solo fanno talvolta della nostraproposta educativa un’offerta di nicchia per una porzione di destinatari numerica-mente marginale e civilmente invisibile; sovente inquinano la nostra proposta, inse-diandosi in essa con prescrizioni e consuetudini che ne pregiudicano la qualità. Lariflessione allora su questi modelli antropologici dominanti potrà sortire qualcheutilità per il nostro discernimento, chiamato a precisare il referente antropologicodella nostra azione educativo pastorale e a produrne una mediazione persuasiva peri giovani.Sarà proprio il discernimento ad evitare che tale mediazione, volta a destinareil nostro modello antropologico ai desideri dei giovani, giunga a patteggiare con lacultura dominante, diluizioni della verità e sudditanze a tratti di costume social-mente fortunati ed attuali ma evangelicamente inaccettabili.
60 ZIELENZIEGER M., Non voglio più vivere alla luce del sole. Il disgusto per il mondo esterno diuna nuova generazione perduta, Roma, Elliot, 2008, 29-30.
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2.2.1. “Self-made-man”: la libertà di PrometeoIl senso della libertà, la sua provenienza, la sua destinazione, la sua forma diesercizio, continua a rappresentare per il nostro mondo una questione nebulosa econtroversa; il vincolo tra criticità ed autonomia, rinsaldato dal pensiero della mo-dernità e considerato guadagno epocale irrinunciabile, miete le sue vittime e in-sieme prescrive ciò a cui sfugge.Tutto va soggetto a critica, fuorché la critica; e contro ogni prescrizione oc-corre salvaguardare la propria autonomia, salvo però inchinarsi alla prescrizioned’essere autonomi.Questo vincolo problematico tra criticità ed autonomia viene da una fonda-zione formale della morale che identifica l’uomo nella pura ragione e nella pura au-todeterminazione. Un uomo così identificato regola i conti con la propria verità econ l’edificazione di sé nel solitario rapporto tra la propria libertà e la propria ra-gione; qualsiasi mediazione s’introducesse in questo rapporto sarebbe lesiva – peril pensiero moderno – della dignità umana.Questo modello di ragione e libertà non è oggetto di una coraggiosa valuta-zione forse neppure nei nostri ambienti, e persino noi potremmo inconsapevol-mente continuare a determinarne il successo.Le conseguenze di tale modello sono però sotto gli occhi di tutti.Paradossalmente [...] la nostra società è riuscita a foggiare un ideale di libertàche assomiglia, come una goccia d’acqua, alla vita dello schiavo così come la defi-nisce Aristotele. San Paolo si riferisce alla libertà dicendo: sono incatenato alla mialibertà. Per questi saggi la libertà non si costruisce attraverso una specie di auto-nomia o di isolamento individuale, ma attraverso lo sviluppo di legami: sono questiche ci rendono liberi. [...] Si direbbe [...] che, nella nostra società, essere autonomisignifichi semplicemente essere forti. La forza rappresenta una tale ossessione chela nostra società ha prodotto una concezione della libertà fondata sul dominio: li-bero è colui che domina. Domina cosa esattamente? Il suo tempo, il suo ambiente,le sue relazioni, il suo corpo, gli altri. In questo consiste l’attuale ideale di auto-nomia. [...] I nostri contemporanei sognano un’autonomia-dominio, aspirano a con-quistare un potere sugli altri e sull’ambiente che consenta loro di perseguire ipropri scopi e soddisfare le proprie voglie, senza ostacoli e senza l’opposizione dichicchessia61.Autodeterminazione e autoedificazione divengono inesorabilmente idolatriadel potere, che intossica la convivenza civile e, in fondo, produce e riflette unaschiavitù interiore:Oggi il potere è diventato più subdolo, più mascherato, più nascosto, ma pro-prio per questo più pervasivo, fino a permeare il nostro inconscio, al punto da farciapparire ovvia quella che in realtà è una sua imposizione. Per rendercene contodobbiamo domandarci se a volte non abbiamo del potere un concetto troppo gros-
61 BENASAYAG M. - SCHMIT G., L’epoca delle passioni tristi, Milano, Feltrinelli, 20096, 101-103.
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solano al punto da non riconoscerlo proprio là dove ci assedia. Il potere non si pre-senta mai come tale, ma indossa sempre i panni del prestigio, dell’ambizione, del-l’ascendente, della reputazione, della persuasione, del carisma, della decisione, delveto, del controllo, e dietro queste maschere non è facile riconoscere le due leve sucui si fonda: il controllo assoluto delle nostre condizioni di vita e la massima effi-cienza delle prestazioni che ci sono richieste62.I riflessi soggettivi della tirannide dell’efficienza e del controllo si producononei termini di insoddisfazione esistenziale, di senso di inconciliabilità tra le esi-genze del mondo ed esigenze interiori, queste ultime a loro volta lacerate ed incom-prensibili per il contrasto tra l’ascolto di sé e l’intima necessità d’aderire alle pre-scrizioni culturali interiorizzate.Questa visione della libertà come competenza determina una sorta di schizo-frenia tra vita pubblica e vita privata, tra la funzione con cui si viene riconosciutisotto il profilo tecnico e le aspirazioni dell’individuo, che devono essere tacitate, ri-mosse o nascoste sotto le maschere di ruoli, l’ordine delle gerarchie, il rigore deimansionari, dove entrano in gioco solo le prestazioni e non le qualità soggettive63.E queste lacerazioni costituiscono un’innegabile con-causa di comportamentiautolesivi e devianti, che conoscono la curiosa e drammatica sorte di essere imple-mentati e regolati in una socialità che se ne avvale per confermare se stessa.Che cosa c’è di meglio della cocaina, allora, per istigare fantastici desideri di sé,per consumare persino se stessi nell’esaudimento dei desideri e, nello stesso tempo,per impedire ogni vero cambiamento? Cosa sembra più efficace della cocaina perilludere di soddisfare la bramosia di potenza e di realizzare i sogni d’autoafferma-zione? Per illudere che un cambiamento sia possibile e per sanare il dolore dell’evi-denza che nessun cambiamento è avvenuto e potrebbe mai avvenire con qualunquesostanza? La cocaina si giustifica proprio perché è messa al servizio della smania diesaltarsi, grazie al raggiungimento di vette prodigiose di potere, in cui splenderebbeil valore di un migliore se stesso. Essa è una macchina formidabile di consumo didesideri e di desideri che producono consumo, innanzitutto di se stessi64.Ma l’insofferenza nei confronti delle prescrizioni collettive, intrecciata ad in-competenza ed incomprensione quanto al senso buono dell’autonomia, diventanotravolgenti fino ad osare una costruzione di sé che non conosca alcun tratto identi-tario già dato.L’ultima frontiera di questo drammatico prometeismo che miete vittime tra igiovani è quello dell’identità di genere, rifiutata per una contraddittoria lotta di li-bertà, e bollata come retaggio di prescrizioni culturali e sociali mortificanti l’indi-viduo. Uno studio molto interessante sul tema riporta due testimonianze che – loromalgrado – denunciano una vera emergenza educativa.
62 GALIMBERTI U., I miti del nostro tempo, Milano, Feltrinelli, 2009, 11563 GALIMBERTI U., I miti del nostro tempo, 127.64 RIGLIANO P., Come pensare il consumo di cocaina, in RIGLIANO P. - BIGNAMINI E. (a cura di),Cocaina. Consumo, psicopatologia, trattamento, Milano, Raffaello Cortina, 2009, 1-63, qui 9.
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La maschilità non si può descrivere; che cosa è di per sé maschile? E cosafemminile? Mi ribello al biologismo e all’essenzialismo, la maggior parte di ciòche siamo è appreso attraverso la socializzazione. Ci dovrebbe essere semplice-mente più spazio individuale, e soprattutto più comprensione. Al contempo io [...]gioco molto volentieri con ciò che è inteso socialmente come mascolinità. [...] Il di-vertimento è smontare il concetto di maschilità dimostrando che figure così appa-rentemente maschili possono essere facilmente interpretate da una donna biologica.Attraverso queste performance si toglie unicità alla maschilità e la si decostruisce.Stesso processo di decostruzioni che le drag queen fanno con la femminilità [...].Maschilità e femminilità sono pretesti per la mia espressione massima, simultanea,libera e sono due concetti che rielaboro continuamente e che mi fanno sentire riccaperché mai l’uno è a discapito dell’altro ma si complementano [...]. Sono canoniche mi stanno ormai sempre più stretti: mi diverto nell’interpretarli, ma sempremeno tollero nella vita la coercizione a scegliere, che mi limita e mi pesa. Perquesto, insieme alle mie compagne, cerchiamo [...] attraverso l’ironia e/o la sedu-zione, di scardinare, e aprire il varco verso le possibilità che hanno i corpi di espri-mere e parlare “generi” diversi, anche simultaneamente65.2.2.2. “Cyber-man”: le navigazioni di UlisseQuasi vent’anni fa un noto antropologo affidava ad un volume sulla ridefini-zione postmoderna dello spazio osservazioni ancora molto attuali.I grandi magazzini, qui il cliente circola silenziosamente, consulta le etichette,pesa la verdura o la frutta su di una macchina che unitamente al peso gli indica ilprezzo, poi tende la sua carta di credito ad una ragazza anch’essa silenziosa, o pocoloquace, che sottopone ogni articolo alla registrazione di una macchina decodifica-trice prima di verificare la validità della carta di credito. Dialogo più diretto ma an-cora più silenzioso: quello che ogni titolare di carta di credito intrattiene con ilcash-dispenser in cui l’inserisce e sul cui schermo gli sono trasmesse istruzioni ge-neralmente incoraggianti ma che a volte costituiscono veri e propri richiami all’or-dine (“Carta mal introdotta”, “ritirate la vostra carta” [...]).Tutte le interpellanze provenienti dalle nostre vie di comunicazione, dai nostricentri commerciali o dalle avanguardie del sistema bancario [...] mirano simulta-neamente, indifferentemente, a ciascuno di noi; non importa chi di noi: esse fabbri-cano “l’uomo medio”, definito come utente del sistema stradale, commerciale obancario. [...] Se era l’identità degli uni e degli altri, attraverso le connivenze dellinguaggio, i punti di riferimento del paesaggio, le regole non formulate del sapervivere, che costituiva il “luogo antropologico”, è il non luogo a creare l’identitàcondivisa dei passeggeri, della clientela o dei guidatori della domenica. Indubbia-mente, il relativo anonimato derivante da questa identità provvisoria può anche es-sere avvertito come una liberazione da coloro che, per un po’ di tempo, non devono
65 MAGARAGGIA S., Let me be: Drag King de-generi, in CAPECCHI S. - RUSPINI E., Media, corpi,sessualità. Dai corpi esibiti al cybersex, Milano, Franco Angeli, 2009, 133-149, qui 142-143.
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più mantenere il proprio rango, il proprio ruolo o essere sempre presenti a se stessi.Duty-free: appena declinata l’identità personale (quella del passaporto o della cartadi identità), il passeggero in attesa del prossimo volo si avventa nello spazio “liberoda tasse”, egli stesso liberato dal peso dei bagagli e degli impegni della quotidia-nità, forse non tanto per comprare ad un prezzo più conveniente quanto per provarela realtà della sua disponibilità del momento, la sua irrecusabile qualità di passeg-gero in attesa di partenza. Solo, ma simile agli altri, l’utente del nonluogo si trovacon esso (o con le potenze che lo governano) in una relazione contrattuale66.L’intuizione a proposito del rapporto tra identità umana e significato deglispazi vitali è utile a comprendere il senso di spaesamento vissuto insieme come li-berante ed opprimente nella nostra società. In un contesto di grande mobilità lo sra-dicamento si accentua con il dilatarsi di spazi anonimi che accolgono identità diffe-renti; ma intanto questo spazio anonimo offre la sua ospitalità al prezzo di de-iden-tificare i soggetti quanto alle loro specificità e di rideterminarli a partire dall’utenzache esso fornisce.Se poi i non luoghi di cui parla Augé hanno conosciuto progressivi amplia-menti e affollamenti, la digitalizzazione della comunicazione e la creazione dellarete hanno delineato un nuovo vastissimo spazio dai caratteri originali.Lo sviluppo della rete e le possibilità da essa inaugurate stanno incidendo pro-gressivamente sulla forma di conoscenza e di esperienza soprattutto dei giovani.Posso sbagliarmi, ma io credo che la mutazione in atto, che tanto ci sconcerta, siariassumibile interamente in questo: è cambiato il modo di fare esperienze. C’eranodei modelli e delle tecniche e da secoli portavano al risultato di fare esperienza: main qualche modo, a un certo punto, hanno smesso di funzionare. [...] Cosa dovevafare, l’animale? Curarsi i polmoni? L’ha fatto a lungo. Poi, a un certo punto hamesso su le branchie. Modelli nuovi, tecniche inedite e ha ricominciato a fare espe-rienza. Ormai era un pesce, però. Il modello formale del movimento di quel pescel’abbiamo scoperto in Google: traiettorie di links, che corrono in superficie. Tra-duco: l’esperienza, per i barbari, è qualcosa che ha forma di stringa, di sequenza, ditraiettoria, implica un movimento che inanella punti diversi nello spazio del reale, èl’intensità di quel lampo. Non era così e non è stato così per secoli. L’esperienza,nel suo senso più alto e salvifico, era legata alla capacità di accostarsi alle cose, unaper una, e di maturare un’intimità con esse capace di dischiuderne le stanze più na-scoste. Spesso era un lavoro di pazienza e perfino di erudizione, di studio. [...] Eracomunque una faccenda quasi intima fra l’uomo e una scheggia del reale, era unduello circoscritto, e un viaggio in profondità67.La formazione diretta alla net-generation non può concedersi illusioni: le po-tenzialità dei nuovi media sono intrecciate a sfide di difficile elaborazione, che tro-vano talvolta gli educatori in posizione di inferiorità rispetto a giovani e ragazzi
66 AUGÈ M., Non luoghi. Introduzione ad una antropologia della surmodernità, Milano, Elèu-thera, 1993, 91-93.67 BARICCO A., I barbari. Saggio sulla mutazione, Roma, Fandango, 2006, 95-96.
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quanto a competenza tecnica68, o animati da entusiasmi poco consapevoli circa lanatura ed i pericoli dei mezzi all’uso dei quali vorrebbero educare69.Le possibilità della rete non stanno però disegnando meri orizzonti di cono-scenza o di comunicazione, piuttosto stanno costruendo nuove geografie, mondialternativi rispetto a quello reale, mondi in grado di ospitare esistenze, soggetti,comunità.È stato quasi naturale sostenere che per alcuni questi mondi possano esseresemplicemente un luogo migliore e che quindi la scelta di investire le proprie gior-nate al loro interno possa essere quantomeno coerente, coloro i quali si sentono iso-lati o discriminati “nel reale” possono sentirsi integrati e accettati “nel virtuale”. Iruoli sociali che non possiamo ricoprire nel reale, possono essere sperimentati nelvirtuale. Tutto ciò che non ci piace del nostro corpo, può essere eliminato nel pro-cesso di costruzione di un nuovo corpo. Chi soffre di limiti fisici, può diventare unapersona più forte. Chi si ritiene ignorante, può diventare un mago di grande sag-gezza, chi si sente frustrato dai limiti terreni, può compiere imprese eccezionali. Etutte queste esperienze possono realizzarsi in un contesto che non è puramente difantasia: centinaia di migliaia di altri individui vivono all’interno di quell’altromondo, legittimando i nostri sentimenti e le nostre azioni, perciò tutti coloro che si
68 «Da anni si parla del digital divide, cioè di una linea di confine fra chi sa e chi non sa. Fra chiè alfabetizzato al digitale e chi non lo è. All’inizio dell’era digitale il confine invisibile divideva inmodo orizzontale la società fra le generazioni adulte che dovevano apprendere, e i giovani che “natu-ralmente sapevano”. Oggi il confine si è spostato e divide quello che convenzionalmente si chiamaNord dal Sud del mondo. Con una nota rilevante: alcuni paesi sono usciti dalla situazione di Sud delmondo anche grazie al digitale. Gli effetti economici del digital divide sono evidenti, inutile spendereparole. Altri effetti, più subdoli e altrettanto pericolosi, sono lì a minare le basi delle nostre certezze. Ilprimo effetto del digital divide generazionale è quello di ribaltare i ruoli: il genitore dovrebbe natural-mente avere la funzione di insegnare ai figli come stare al mondo. Il digitale lo mette nella funzionedi colui che deve apprendere dal figlio, con conseguente perdita di autorevolezza. Chi nella scala so-ciale era Up diventa down, e viceversa. Questo non è un bene né per i genitori, né per i figli, come lopsicologo e il buon senso potranno meglio di me dimostrare» (BRANCATI D., Cortocircuito, in BRAN-CATI D.- AJELLO A.M. – RIVOLTELLA P.C., Guinzaglio elettronico. Il telefono cellulare tra genitori efigli, Roma, Donzelli, 2009, 3-41, qui 14-15).69 «La tecnologia corre velocissima e da molti anni è più avanti della società. Questa nel tenta-tivo di rincorrerla accelera ma resta indietro, impreparata ai mutamenti tanto rapidi e inadeguata, nonsufficientemente elastica. L’uso dei telefoni cellulari di nuova generazione ha cambiato la nostra vitadomestica e familiare, quella lavorativa, perfino il tempo libero. In verità giorno dopo giorno ha cam-biato il nostro modo di concepire la vita. Mai come in questo caso la funzione crea l’organo, o megliopiega l’organo alle proprie logiche. Essere perennemente connessi (la famosa net-generation cosìvive). È molto più che un’esigenza per i giovani: è un modo di rapportarsi con il resto del mondo,quindi un modo di essere. Gli adulti a volte fanno parte di questo mondo, altre volte no. In tal casobasta cancellarli dalla scena. Molti adulti di buona volontà sperano che sia possibile e risolutivo pie-gare i mezzi di comunicazione – vecchi e nuovi – a finalità educative. Diciamo la verità: è come chie-dere alla lavatrice di restituirti i panni lavati, asciutti e anche stirati. Forse è possibile ma non è ovvioe non è naturale e non rientra nelle funzioni per le quali la macchina è stata concepita. Analogamenteper i mass-media è giusto dire che possono anche essere educativi, ma non è la loro funzione princi-pale. Il vero problema è che sono diventati totalmente centrali nella vita della società, ma sono ancheil punto di massima irresponsabilità sociale delle imprese, dei manager e degli operatori che vi lavo-rano» (BRANCATI D., Cortocircuito, 18-19).
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trovano lì lo tratteranno come un luogo autentico, non come una fantasia. Questeesperienze positive, concretizzabili solo nel mondo sintetico, potrebbero attirare ungran numero di persone. In quel caso, il fenomeno potrebbe non rimanere ai mar-gini della società, ma diventare qualcosa di normale.Così i mondi sintetici possono trovare il loro senso non nell’essere radical-mente diversi dal mondo della vita comune, quanto dall’essere così simili a esso darappresentare un’alternativa verosimile, in alcuni casi migliore della controparte.Acquisiscono significato non solo per gli eventi insoliti che si verificano al loro in-terno, ma anche per la possibilità che, nei prossimi decenni, molti milioni di indi-vidui possano desiderare una vita caratterizzata da eventi insoliti e possano dunquepreferire quest’ultima alla vita che conducono oggi. Se la tecnologia sarà in gradodi soddisfare tali desideri resta tuttavia un problema aperto70. Con la fondazionedelle comunità virtuali, la rete non si limita ad essere solcata da navigatori che in-troducono parentesi avventurose più o meno prolungate nella vita reale; piuttosto larete si propone come dimora primaria dell’esistere, producendo effetti de-realiz-zanti sulla realtà.L’immaginario era l’alibi del reale, in un mondo dominato dal principio direaltà. Oggi è il reale che è diventato l’alibi del modello, in un universo retto dalprincipio di simulazione. Ed è paradossalmente il reale che è diventato oggi la no-stra vera utopia – ma è un’utopia che non appartiene più all’ordine del possibile,perché non si può che sognare come un oggetto perduto71.La perdita di contatto con la realtà produce effetti particolarmente problematicisulla capacità relazionale delle persone. La cultura dei contatti certo esprime il bi-sogno di incontro, di condivisione, di comunità; risulta però molto difficile valutarela soddisfazione che la prossimità telematica e digitale assicura a questi bisogni.Bauman sul tema è assai severo: i legami, invece, diventano sempre più fragili evolatili, difficili da alimentare per periodi prolungati, bisognosi di una vigilanzacontinua, inaffidabili. I networks prendono il posto delle ‘strutture’ (di amicizia, af-finità, comunità); la ‘fedeltà/devozione’ viene sostituita dalle ‘connessioni’ (lalingua stessa ci mostra la differenza tra i due termini: l’idea della connessione -connection – procede parallela a quella di disconnessione - disconnection –, mentrela devozione - commitment – non ha un contrario linguistico diretto). Il veloce dete-rioramento di qualunque competenza, conoscenza, merito accumulato nel tempo(‘vali quanto il tuo ultimo successo’ è la frase tipo della saggezza spicciola dellasocietà liquida; ma, data la cultura liquido-moderna della dimenticanza, il ricordodel tuo ultimo successo è destinato a durare ben poco tempo) e la fragilità dei le-gami rende il ghiaccio su cui noi tutti pattiniamo sempre più sottile e pericolosocome mai in passato72.
70 CASTRONOVA E., Universi sintetici. Come le comunità online stanno cambiando la società el’economia, Milano, Mondadori, 2007, 92-93.71 BAUDRILLARD J., Cyberfilosofia, Milano, Mimesis, 2010, 10.72 BAUMAN Z., Una nuova condizione umana (Transizioni 13), Vita e Pensiero 2003, 67-68.
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2.2.3. “Fit-man”: il corpo di NarcisoL’immagine che il mondo adulto fornisce di sé ai giovani fa molto pensare;certamente non sono eccessive le diagnosi che riconoscono nel narcisismo un trattoculturale intergenerazionale dai cospicui risvolti psicologici, economici e sociali.Viviamo, si dice, nell’epoca del narcisismo. E il povero Narciso, si sa, era so-prattutto un terribile egoista. Ciò che lo appassionava era esclusivamente se stesso,anzi la propria immagine, che contemplava, innamorato, riflessa nell’acqua. Dietroquell’immagine cercava di afferrare il suo Ego, che per lui era tutto. [...] Sappiamocome finì, con un annegamento. Tuttavia, e molto imprudentemente, oggi all’Ego,così come al culto di sé, si intitolano libri, trasmissioni, giornali. Si moltiplicano iper sé, yourself e altri periodici patinati, più svariate trasmissioni televisive e tutticompongono un rumoroso coro che incita a occuparsi sempre dello stesso esplora-tissimo pianeta: il proprio Ego, la sua immagine, le sue paturnie, ansie, velleità.L’intenzione è quella tipica delle epoche di malessere: star bene. Siccome l’indi-viduo avverte di non sentirsi benissimo, gli si consiglia di occuparsi sempre più disé, dei suoi malesseri, del suo Io mal mostoso. E così il poveretto sta semprepeggio. Infatti la cultura del narcisismo confonde (tra l’altro) il nostro povero om-belico (non a caso sempre più esibito dalla moda), con la cornucopia, la miticacoppa dell’abbondanza. Non è così, possiamo guardarcelo e riguardarcelo, ma nonne uscirà mai nulla e tanto meno oro e magici profumi. È una feritina che fatal-mente tende alla sporcizia, inutile girarci intorno o scrutarla con speciali obiettivi,non mostrerà mai altro che la sua insignificanza73.Una cultura di questo genere diventa confondente soprattutto per adolescenti egiovani alle prese con l’ambivalenza evolutiva di spinte narcisistiche; i modelli so-ciali ispirati all’apparenza, alla seduzione, all’estetizzazione del corpo impedisconoai giovani di trovare soluzioni credibili alla relazione con se stessi e con la propriaimmagine che vadano oltre quelle adolescenziali.Fanno molto riflettere corsi e ricorsi dei processi evolutivi nella nostra societàe non è certo un dato confortante che compiti di sviluppo tipicamente adolescen-ziali vedano ancora impegnati giovani e adulti.Eppure descrizioni dell’adolescenza di particolare efficacia sembrano descri-vere in modo assai convincente tratti assai diffusi delle condotte adulte.Narciso instaura una relazione molto intensa con il proprio nuovo corpo post-puberale, sessuato e generativo, e spesso lo palesa attraverso manipolazioni vio-lente alle quali lo sottopone, per controllarlo, modificarlo, abbellirlo fino a ridurlo auno scheletro o a caricatura del bronzo di Riace. Lo intaglia, gli infila metalli e mo-nili, inserisce sottocute inchiostri di china e lo tatua ad eterna memoria di ciò chesente di essere in quel preciso momento. Lo dimagrisce, lo palestra, lo dopa, lodroga, lo espone a rischi terribili con volteggi pericolosi, troppo audaci per essere
73 RISÈ C., Felicità è donarsi, contro la cultura del narcisismo e per la scoperta dell’altro,Milson, Sperling Paperback, 2004, 13-14.
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evitati e troppo belli ed emozionanti per indurre ad una maggiore attenzione per lapropria incolumità, che evidentemente non coincide con quella del corpo. In molticasi ciò deriva dal fatto che Narciso non si sia mai identificato in quel corpo di pro-porzioni e apparenze assai modeste rispetto al suo intimo splendore, che appare tra-dito dalle sembianze del nuovo corpo74.La confusione che oggi circonda il rapporto con il corpo presenta i caratteri diuna grande sfida formativa: sfruttamento, svilimento, esibizione, mercificazione,manipolazione, idolatria sono forme di investimenti sulla corporeità che ne falsanoil significato fondamentale per l’esistere. Il corpo può essere presentato dagli adulticome una sorta di bene rifugio o di ridotta egoistica entro la quale combattere il tra-scorrere del tempo, la paura del futuro, del mondo e degli altri.Il paradosso di un’esistenza ossessivamente ripiegata sulle proprie sensazionicorporee in una sorta di sospensione delle relazioni con il mondo sembra divenutoun fatto di costume, ma le ossessioni cui conduce mostrano la precarietà del pro-getto. L’ideale della fitness cerca di cogliere le funzioni del corpo innanzitutto, esoprattutto, come ricevitore/trasmettitore di sensazioni. Si riferisce alla sua capacitàdi assorbimento; al modo in cui il corpo si sintonizza con le delizie che sono, o chepotrebbero essere offerte a piaceri noti, o anche ignoti, non ancora inventati, nem-meno immaginati, inimmaginabili allo stato attuale, ma destinati prima o poi aessere escogitati. Come tale la fitness non ha un limite massimo: essa è anzi defi-nita proprio dall’assenza di limite, o più precisamente dall’inammissibilità dellimite. Per quanto fit sia il tuo corpo, potresti renderlo ancor più ‘fit’. Per quanto fitpossa essere al momento, a tale condizione si mescola sempre, fastidiosamente, unaparziale assenza di fitness, che affiora o si intuisce ogni volta che confronti ciò chehai già sperimentato ai piaceri suggeriti dal sentire e dal vedere le gioie altrui chefinora non hai potuto provare e che puoi solo immaginare e sognare di vivere in testesso75.Le agenzie educative impegnate nella formazione dei giovani sono chiamate ariflettere sulla consistenza di un progetto uomo impregnato di narcisismo, e questoper indicare non solo l’impertinenza delle sue premesse, ma pure la minaccia deisuoi esiti. La monetizzazione di ogni esperienza ed espressione dell’umano nonrisparmia certo la dimensione corporea dell’esistere, con gli investimenti che la suaidolatria sembra ampiamente giustificare; se modelli educativi sapienti e persuasivinon sapranno tutelarle, le giovani generazioni rischieranno di essere abbandonate aquesta monetizzazione del narcisismo che favorisce la recrudescenza delle sueespressioni più problematiche.Il biocapitalismo è la forma più avanzata di evoluzione del modello economicocapitalistico. Una forma che si caratterizza per il suo crescente intreccio con le vitedegli esseri umani. In precedenza, il capitalismo faceva principalmente ricorso alle
74 PIETROPOLLI-CHARMET G., Fragile e spavaldo. Ritratto dell’adolescente di oggi, Roma-Bari,Laterza, 2008, 91.75 BAUMAN Z., Vita liquida, Roma-Bari, Laterza, 2008, 101.
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funzioni di trasformazione delle materie prime svolte dai macchinari e dai corpidei lavoratori. Il biocapitalismo invece produce valore estraendolo, oltre che dalcorpo operante come strumento materiale di lavoro, anche dal corpo inteso nellasua globalità. Dunque, agisce su tutte le componenti biologiche e sulle dimensionimentali, relazionali e affettive degli individui. Ne consegue che deve presentarsiagli esseri umani in modo nuovo rispetto al passato, evidenziando un voltoumano, accattivante. Si spiega così perché sempre più le imprese propongano pro-dotti e marche come se fossero vere e proprie persone e si rivolgano agli individuioffrendogli un riconoscimento della loro identità, piuttosto che un beneficio o unservizio76.2.2.4. “Excited-man”: l’esperienza di IcaroUn contributo recente di una ricercatrice italiana nell’ambito della comunica-zione si avvale della metafora dei delfini ammaestrati per indicare il degrado delcostume collettivo e della cultura diffusa, prodotto dalla pressione del mezzo tele-visivo, soprattutto nella sua versione commerciale. Le osservazioni sono molto pro-vocatorie proprio per la sollecitudine educativa dalla quale sono animate. Quest’e-state, su richiesta della più piccola, ho portato al delfinario le mie figlie e sono ri-masta colpita da alcune interessanti analogie. La vasca mi è apparsa improvvisa-mente come una illuminante metafora del ruolo dei media nella contemporaneità.Per l’addestramento dei simpatici mammiferi viene usato un bastone di legno conuna sfera schiacciata, rossa, sulla punta. Il bastone rappresenta un’estensione delbraccio dell’istruttore (e quindi un ‘medium’, secondo la definizione di McLuhan)e si chiama target. I delfini, con il rinforzo di una ricompensa in sardine fresche,imparano a seguire i movimenti del target e quindi a roteare, saltare, inabissarsi...Una volta appreso l’esercizio, il bastone diventa superfluo, basta la ricompensa.L’analogia mi è sorta spontanea: la televisione è una sorta di grande target che, coimodelli che ci ha proposto soprattutto negli ultimi trent’ anni, in particolare conl’avvento delle televisioni commerciali e con la ricompensa del riconoscimento edell’applauso sociale (senso di essere come gli altri e nello stesso tempo illusionedi esprimere la propria individualità) ci ha addestrati a seguire istruzioni spesso as-surde, provocandoci per di più la gratificante sensazione, confermata dal plauso so-ciale, di essere dei performer, dei protagonisti attivi anziché dei semplici spettatori.È vero che la ragazza della porta accanto che entra nel cast del Grande Fratelloraggiungerà velocemente una celebrità (altrettanto veloce nell’estinguersi) sempli-cemente ‘esprimendo se stessa’: ma se gli ascolti si abbassano, l’invito ad accen-dere un po’ l’atmosfera, con i soliti ingredienti (risse, lacrime, sesso e trasgressionivarie) certo non mancherà, secondo un copione non scritto ma non per questo menopotente, che i “rinchiusi” conoscono benissimo. Non so perché, ma i delfini am-maestrati di Rimini mi hanno richiamato immediatamente le performative au-
76 CODELUPPI V., Il biocapitalismo. Verso lo sfruttamento integrale di corpi, cervelli, emozioni,Torino, Bollati e Boringhieri, 2008, 7.
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diences di cui discettano tanti manuali contemporanei di studi sui media, i cui pre-supposti impliciti sono totalmente e aproblematicamente congruenti con le pre-messe implicite della cultura contemporanea77.È difficile dare torto alla severa lettura dell’autrice sui pericoli di impoveri-mento etico e culturale cui il nostro tempo espone i giovani attraverso la spettacola-rizzazione di eventi e celebrazioni di personaggi che nascondono dietro un’appa-rente audacia e spregiudicatezza l’obbedienza al copione del momento e al palin-sesto economicamente più promettente.La qualità dei sogni che la nostra civiltà catodica veicola è preoccupante; ilsogno di celebrità costruito attraverso la televisione ha ben poco di creativo, di ori-ginale, di audace, ma la sua triste monotonia contraffatta da qualche bagliore super-ficiale non lo rende meno seducente ed accarezzato.Dovrebbe far riflettere soprattutto gli educatori quel sodalizio pericoloso traaspirazioni, sogni, slanci di basso profilo – ma promozionati con clamore daimedia – e il culto dell’eccitazione più che dell’emozione sempre più diffuso e con-fuso ma pure accreditato come indice di qualità dell’esperienza; le due tendenze sirinforzano reciprocamente e offuscano la coscienza personale e collettiva che nonne percepisce l’insidia.Se si rinuncia a un mondo comune, se ciascuno persegue individualmente lapropria autorealizzazione in un mondo generalmente e genericamente definito “arischio”, la gratificazione non può arrivare dal futuro, ma va cercata adesso. “Lifeis now”, recita lo slogan di una nota compagnia di servizi telefonici (che peraltroaveva già espresso mirabilmente il nuovo ethos iperindividualista con lo sloganprecedente “tutto intorno a te”). Le retoriche mediatiche contemporanee sono infar-cite del termine “esperienza”, evocata nella sua accezione più banale e riduttiva diintensità sensoriale-emozionale. La rinuncia al mondo comune, in cui ciascunopone un limite alla propria volontà di affermazione di sé per potersi armonizzarecon gli altri, diventa anche abdicazione alla ragione intesa come ragionevolezza,capacità di esprimere valutazioni, distinzioni, di stabilire una distanza rispetto allecontingenze78.Il tipo umano generato dall’adesione a questi sogni di basso profilo, che scom-mettono su sensazioni elementari ma di forte intensità, è una sorta di nuovo Icaro,alla ricerca di un sole non troppo distante, ma affascinato dall’idea di ardere – finoa bruciarsi – per sentirsi vivo. Il consumo di emozioni istantanee nella ricerca difonti sempre nuove di eccitazione plasma quella che è stata efficacemente descrittacome personalità istantanea.La Personalità istantanea educata nel rapporto con il mondo degli audiovisivi enell’adesione immediata al godimento effimero e momentaneo, non riesce ad ela-borare i propri vissuti nelle forme della durata e stabilità del desiderio e della pas-
77 GIACCARDI C., Dal Paese catodico a egolandia. Una riflessione su media e crisi culturale, «LaRivista del Clero Italiano» 90 (2009/9) 583-595, qui 584-585.78 GIACCARDI C., Dal Paese catodico a egolandia..., 586.
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sione: vive in una sorta di universo gelato dove non può esserci lo spazio-mentaleper una coscienza critica e per un progetto di cambiamento79.Così, paradossalmente, ciò che più manca in tempi di iperstimolazione emo-tiva e di eccitazione dilagante è l’educazione di questo plesso dove molto si decidedell’equilibrio e dell’identità umana. Manca un’educazione emotiva: dapprima infamiglia, dove i giovanissimi trascorrono il loro tempo in quella tranquilla solitu-dine con le chiavi di casa in tasca e la televisione come baby-sitter e poi a scuolaquando, sotto gli occhi molto spesso appannati dei loro professori ascoltano paroleinincidenti, che fanno riferimento ad una cultura troppo lontana da ciò che la televi-sione ha loro offerto come base di reazione emozionale. E così la loro sensibilitàfragile introversa e indolente, che la scuola si guarda bene di educare, tracolla inquell’inerzia a cui li aveva allenati l’apprendimento passivo davanti al video e oggidavanti a internet, con frequenti fughe nel sogno o nel mito, nella ricerca neppuretroppo spasmodica di un’identità, di cui troppo spesso si dubita di poter reperire lafisionomia, per incapacità di rintracciare radici emotive proprie. Il tutto condito daun acritico consumismo, reso possibile da una società opulenta, dove le cose sono adisposizione prima ancora che sorga quell’emozione desiderante, che quindi non èsollecitata a conquistarle e perciò che consuma con disinteresse e snobismo inmodo individualistico, dove il pieno delle cose sta al posto del vuoto delle relazionimancate80.
3. IMPEGNATI IN UNA RINNOVATA AZIONE PERSONALE
Dopo l’ascolto della chiamata di Dio, attraverso la riflessione sul Magisterodella Chiesa e della Congregazione e dopo uno sguardo alle emergenze educativecon le quali si misura la nostra missione, è importante segnalare qualche prioritàper sostenere il discernimento della scuola e della Formazione Professionale dei sa-lesiani d’Italia, discernimento necessario a garantire la qualità ecclesiale, carisma-tica ed educativa della nostra proposta.Potrebbe aiutarci un brano provocatorio delle Confessioni di Agostino, capacedi illuminare questa ricerca di criteri concreti di orientamento per la nostra azione.Aspiravo al successo, ai soldi, al matrimonio, e tu te ne ridevi. Per queste miepassioni soffrivo tutto l’amaro delle contrarietà, ed era tuo favore questo, tanto piùgrande quanto era minore la dolcezza che mi lasciavi assaporare in cose diverse date. [...] Quanto ero infelice e cosa hai fatto tu per farmela sentire tutta, la mia infeli-cità. Come quel giorno in cui mi preparavo a un discorso in lode dell’imperatore:avrei detto un mucchio di bugie e sarei stato applaudito da gente che lo sapeva. Col
79 BARCELLONA P.- VENTORINO F., L’ineludibile questione di Dio, Genova-Milano, Marietti, 2009,131. 80 GALIMBERTI U., L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Milano, Feltrinelli, 20086, 11.
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cuore affannato e febbricitante di pensieri nefasti passavo per un certo vicolo diMilano, quando notai un pezzente che credo fosse già gonfio di vino, tanto era al-legro e in vena di scherzare. Trassi un profondo sospiro e agli amici che mi accom-pagnavano presi a dire dei molti dispiaceri che la nostra follia ci procurava: perchétutti i nostri sforzi – quelli che ora mi angustiavano ad esempio, mentre sotto lasferza delle mie ambizioni trascinavo il carico della mia infelicità e trascinandololo ingrossavo – non miravano ad altro che ad arrivare a quella spensierata conten-tezza dove quel pezzente ci aveva già preceduto, mentre forse noi non ci saremmoarrivati mai. Quello che lui s’era già guadagnato con pochi spiccioli avuti in elemo-sina, io lo inseguivo per vie scoscese e torte, a gran fatica: era questa, la soddisfa-zione di una felicità terrena. Non era vera gioia la sua, ma io con quelle mie ambi-zioni ne cercavo una assai più falsa. E lui comunque era contento, io pieno d’ansia;lui era spensierato, io tesissimo81.Agostino, con molta serietà, rilegge un’esperienza di vita nella quale è statocostretto a misurare la qualità della sua gioia rispetto alla qualità della gioia diquello che oggi chiameremmo un emarginato. Il grande retore, in ansia per il dis-corso da tenere all’Imperatore, ha l’impressione non solo di trovarsi sulla via di unafalsa felicità, ma di non saperla neppur percorrere, tanto che un miserabile – avva-lendosi di qualche espediente – riesce persino ad apparire più felice di lui.Proviamo a tradurre per noi la riflessione agostiniana.Il nostro servizio educativo vuole raggiungere destinatari sovente segnati da si-tuazioni di marginalità, oppure dà fondo con generosità all’impegno preventivo perscongiurare il pericolo di devianze e fallimenti esistenziali, o, ancora, lavora inmodo sacrificato per fornire opportunità ai giovani di oggi perché siano costruttoridel loro domani. Quello però su cui scommettiamo propositivamente – la cultura, illavoro, la socialità, gli interessi, il senso del tempo libero – si può offrire coerente-mente ai nostri destinatari come inscrivibile in un progetto di vita riuscito? Ago-stino ci mette in guardia proprio da un equivoco: la sua posizione sociale poteva es-sere ritenuta di assoluto successo, indicatore di una vita culturalmente e social-mente riuscita, ma non sarà neppure necessaria la fede per rilevarne l’inconsi-stenza; basterà l’incontro con un emarginato per privarla di quella patina superfi-ciale che sembra renderla convincente e appetibile.La nostra missione deve preoccuparsi di raggiungere i giovani per prevenire lemarginalità che la nostra società non sa e non può integrare, ma deve nel contempochiedersi se il modello sociale, culturale, antropologico che ispira e finalizza il suoservizio costituisca un’alternativa plausibile a quella marginalità o non sia inveceindesiderabile e inaffidabile per gli stessi giovani, o lontano dalla verità del loro es-sere in Cristo.Il CG 26 ha tracciato la via anche per il nostro impegno nella scuola e nellaFormazione Professionale. Avvertiamo l’evangelizzazione come l’urgenza princi-
81 AGOSTINO, Confessioni, Milano, Garzanti, 1990, VI. 6.9-10.
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pale della nostra missione, consapevoli che i giovani hanno diritto a sentirsi annun-ciare la persona di Gesù come fonte di vita e promessa di felicità nel tempo e nel-l’eternità82. Questa indicazione del Capitolo potrà trovare ascolto e divenire formariconoscibile della nostra missione solo se a decidere il profilo dell’azione educa-tiva saranno i caratteri dell’esperienza di fede. Li vorrei richiamare secondo unadeclinazione salesiana attenta alle urgenze attuali e ai contesti della Scuola e For-mazione Professionale della nostra missione.
3.1. Il Vangelo della famiglia: koinonia salesiana e prossimità educativaLa novità della fede cristiana ha nella comunione ecclesiale una sua dimen-sione costitutiva, prima che un suo segno distintivo. La comunione ecclesiale nascedall’annuncio del Vangelo e dalla celebrazione del mistero Pasquale. Se la nostramissione vuole qualificarsi come missione ecclesiale non può mancare di essereidentificabile per la qualità della comunione cristiana, fedele riflesso dei gesti chela generano. Ma se la nostra missione intende garantirsi per credibilità carismatica,non può non fornire una testimonianza della comunione secondo la forma dello spi-rito di famiglia.L’attenzione alla didattica, ai programmi, alla strategia formativa – che oppor-tunamente deve caratterizzare la nostra presenza nella scuola e nella FormazioneProfessionale – non può distrarre dalla verifica della koinonia cristiana e salesianache deve permettere di riconoscere i nostri ambienti come luoghi di fede permeatidallo spirito di don Bosco.Fuori da questa prospettiva la nostra missione mutuerebbe la forma della pro-pria organizzazione e – di riflesso – della relazione e collaborazione dei suoi prota-gonisti da modelli gestionali di altra matrice e l’educazione nella fede si ridurrebbea servizio specifico erogato dallo sportello di un’agenzia altrimenti determinata.La storia della missione cristiana – gli Atti degli Apostoli ce lo ricordano inmodo paradigmatico – conosce invece una decisiva determinazione della formadella missione ad opera del suo contenuto, contenuto che per la sua indole totaliz-zante non può essere posizionato come servizio accessorio o supererogatorio diqualche strategia socioculturale; la forma nella quale il Vangelo della carità è an-nunciato è la carità medesima, che plasma l’inaudito relazionale della koinonia ec-clesiale.Conseguentemente, se la nostra missione vuole ispirarsi alla koinonia sale-siana, lo spirito di famiglia deve trovarvi inequivoca testimonianza.E non c’è forse dono più prezioso che i giovani possano aspettarsi da noi inquesto tempo, ma non c’è forse sfida più impegnativa per la nostra attività aposto-lica.Lo spirito di famiglia tipico di una comunità educativo pastorale che ha comenucleo animatore dei consacrati secondo lo spirito di don Bosco deve distinguersi
82 Da mihi anima cetera tolle, ACG 401 (2008), n. 24.
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per la testimonianza escatologica della verità ultima della famiglia secondo il cuoredi Dio. E tale verità è urgente in un contesto culturale e di costume massimamenteconfuso a proposito del compito e dell’essenza della famiglia; compito ed essenzasovente sepolti dalla spettacolarizzazione di convivenze ispirate ad intemperanze,arbitri e sperimentazioni di una società egoista. Solo una comunità educativo pasto-rale nutrita dal Pane della Parola, del Perdono e del Corpo del Signore può renderetestimonianza di un autentico spirito di famiglia, che testimonia la verità filiale e ladignità fisica e spirituale di ogni esistenza, il carattere ministeriale della paternità,della maternità, della cura e dell’educazione, l’irrevocabilità e la gratuità della de-dizione a beneficio della crescita integrale di ogni figlio dell’uomo. Solo lo spiritodi famiglia, coltivato come esigenza intrinseca dell’esperienza di fede anzitutto daparte della comunità salesiana nucleo animatore della CEP, può sostenere una pros-simità ai giovani salesianamente preventiva; l’alternativa di nuovo sarebbe il qua-lunquismo educativo, il genericismo pastorale, la superficialità spirituale.Occorre un impegno deciso per l’elaborazione, l’approfondimento, la trasmis-sione di una cultura della famiglia, che potrebbe essere labile in noi a seguito dellepressioni culturali più disparate, e potrebbe essere controversa nell’esperienza deinostri collaboratori, prima che smentita nell’esistenza di molti nostri destinatari. Lanostra formazione qui si presenta come sfida impegnativa ed attualissima; saremmoingenui se pensassimo di non risentire di una cultura incapace di riconoscere la ve-rità della famiglia o se ritenessimo di averne profondamente interiorizzato la novitàcristiana coerente con la sua origine ed il suo destino nel cuore di Dio. Per questoil compito della riflessione si apre davanti a noi in tutto il suo fascino e la suaurgenza, per ispirare poi un vero annuncio ed una vera formazione al Vangelo dellafamiglia.Ma il Vangelo della famiglia attende, per essere credibile, di diventare pro-fezia, grazie alla nostra testimonianza vocazionale, fedele al cuore di don Bosco.Collaboratori e giovani si attendono questa testimonianza dalla comunità salesianae i nostri destinatari hanno diritto di chiedere questa testimonianza alle CEP che sipongono al loro servizio.In radice, sarà, però, la robustezza della nostra vita consacrata salesiana che,facendosi spiritualità contagiosa, per la forza dello Spirito, accrediterà questa cul-tura della famiglia indispensabile per il nostro tempo.
3.2. Il Vangelo della verità: educazione salesiana e “martyria” della fedeLa carità e la verità ci pongono davanti a un impegno inedito e creativo, certa-mente molto vasto e complesso. Si tratta di dilatare la ragione e di renderla capacedi conoscere e di orientare queste imponenti nuove dinamiche, animandole nellaprospettiva di quella «civiltà dell’amore» il cui seme Dio ha posto in ogni popolo,in ogni cultura83.
83 Caritas in veritate, n. 33.
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La nostra missione nella scuola, se vuole risultare autenticamente evangelica,deve essere capace del coraggio culturale cui ci richiama la Caritas in Veritate, co-raggio del quale abbiamo potuto cogliere i profili attraverso la lettura dei docu-menti del Magistero sui quali ci siamo soffermati.La fede cristiana, ce lo insegna la Scrittura, è costitutivamente conoscenza, co-noscenza nella Verità di Dio della Verità di Dio, dell’uomo e del mondo. La fede hai caratteri di una relazione, ma una relazione che plasma radicalmente la libertànella quale si produce l’intelligenza che in essa si esprime, gli affetti che ne confes-sano la consistenza. Per questo la fede non può che prodursi come verità della testi-monianza e testimonianza della verità. Ogni verità viene riconosciuta dentro l’esi-stenza umana secondo una consegna di sé; anche la più piccola delle verità del vi-vere si mostra tale quando fruttifica in una libertà che vi aderisce nell’obbedienza,e vi trova giustificazione nel suo agire. Producendosi nella storia di una libertà chele obbedisce, la verità si offre ad altre libertà, si fa visibile nel suo valore, diventatestimonianza.Nel caso della fede però la coscienza umana è, per la potenza di Dio – in Lui egrazie a Lui – in rapporto con Dio, dunque con la Verità. Consegnarsi a questa Ve-rità significa riconoscervi il senso ultimo dell’uomo, del mondo, di Dio. La fedenon viene da una ricerca dell’uomo alle prese con le contraddizioni del cosmo edella storia, viene da un annuncio, dal favore di Dio che mostra il suo Volto. E laVerità di Dio creduta diventa testimonianza, testimonianza della Verità. Dovremmocoraggiosamente chiederci se le figure di verità, di libertà, di fede offerte dalla no-stra cultura sappiano onorare questo dinamismo dell’esperienza cristiana. Il peri-colo cui si espone la nostra missione è quello di porsi in rapporto con la cultura do-minante talvolta con senso di inferiorità o di rassegnazione, talvolta con qualchesuperficialità e inconsapevolezza; forse non ce ne accorgiamo, ma con questi atteg-giamenti pregiudichiamo la testimonianza della fede. La Chiesa delle origini nonebbe dubbi, il Magistero continua a ricordarcelo: si servì dell’infrastruttura concet-tuale resa disponibile dalla filosofia greca, per disporre di una mediazione culturalenecessaria onde rendere ragione della propria speranza. Ma il principio ermeneu-tico fondamentale che ispirò il suo discernimento culturale fu la Storia del Signore,la celebrazione della Memoria vivente dei suoi gesti, l’ascolto fedele della novitàdelle sue parole: di qui la teologia nacque come autointelligenza della fede.Oggi anche le nostre istituzioni formative debbono vivere di quel coraggio cul-turale: la fede deve essere principio di discernimento delle mediazioni culturali chene vogliono possibilizzare la testimonianza, l’annuncio, la comprensione.L’alternativa è una consacrazione della cultura del momento ed una subordina-zione ad essa della verità della fede.I contenuti della nostra didattica, le sue forme, le Weltanschauungen entro lequali iscriviamo il senso e la possibilità delle diverse discipline devono lasciarsipurificare dal Vangelo, se non vogliono pregiudicarne l’annuncio. Ci potrebbe ac-cadere di formare inconsapevolmente l’intelligenza dei nostri destinatari a forme di
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pensiero ostili alla fede e, se questo accadesse, saremmo noi a marginalizzare edostacolare il nostro stesso annuncio del Vangelo, confinato ai momenti liturgici o diformazione religiosa programmati dalle nostre CEP.Sono urgenti sinergie culturali che sostengono la comune necessità di un pen-siero della fede; sinergie che ispirano un più convinto discernimento di progetti,strumenti e pratiche didattiche, educative e formative.Senza un investimento sulla formazione nostra e dei nostri collaboratori ad uncompetente servizio cristiano all’intelligenza, non potremo superare la marginalitàculturale del Vangelo; da una simile marginalità viene l’inconsistenza della praticacredente. Fare del Vangelo il principio della nostra offerta formativa significa nonrelegarlo a contenuto trasmesso nel contesto di qualche esperienza religiosa o stu-diato in qualche disciplina didattica; significa piuttosto verificare la coerenza evan-gelica dei modelli antropologici, cognitivi, etici, sociopolitici, promossi dal nostroservizio scolastico e formativo nel complesso e nella particolarità delle sue scelte edelle sue concretizzazioni.
3.3. Il Vangelo della speranza: “leitourgia” salesiana ed escatologia della vitaUna dimensione costitutiva della fede è quella liturgica: qui la fede confessal’implicazione di Dio nell’esercizio della libertà. La nostra missione, non può es-sere significativa per la crescita dei giovani nella fede fuori da una formazione alsenso cristiano della liturgia.Le sfide dell’eterogeneità dei cammini di fede dei giovani, della crescente dif-fusione di forme di analfabetismo religioso, l’apertura delle nostre opere a giovanidi religioni non cristiane può rendere imbarazzata e rapsodica la proposta di espe-rienze liturgiche, con l’esito di un crescente indebolimento dell’annuncio esplicitodel Vangelo.Proprio la complessità del contesto nel quale operiamo rende però urgentel’annuncio della novità sorprendente dello spirito liturgico cristiano, buona notiziaper il mondo e risposta alla solitudine disperata nella quale l’uomo si trova dopol’esercizio dei suoi forsennati prometeismi.La buona notizia della liturgia cristiana consente anzitutto di superare la com-prensione equivoca della separazione tra sacro e profano, separazione che la culturaed il costume continuano contraddittoriamente a sostenere. L’Incarnazione rivela ilgesto senza pentimento di Dio che, nella sua libertà, vuole il mondo, ed in essol’uomo, per un mistero di libertà e amore che cerca corrispondenza e comunionenella storia e per l’eternità.La familiarità con questo Dio ispira l’atto liturgico, che non si produce – comeinvece affermano le condotte magiche e fataliste proliferanti anche nel mondo po-stilluminista – all’insegna di un sequestro di spazi, tempi e gesti particolari, neiquali l’uomo soddisfa un Assoluto bramoso di dominio, ne blandisce le intempe-ranze, tenta di propiziarsene i favori, onde poter poi soggiornare nello spazio suoproprio – quello profano – senza temere le vendette del Sacro. Gesù vive la sua vita
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come culto a Dio, riconoscendo nella comunione ininterrotta con l’Abbà la veritàdi ogni istante ed evento della vita. I suoi gesti terreni, fondativi della liturgia cri-stiana, mostrano che questa è celebrazione della verità dell’esistere come luogo diincontro con l’amore misericordioso e fedele di Dio.La liturgia cristiana sa che l’atto celebrativo – con la sua disciplina, i suoispazi, tempi e gesti – non apre una parentesi sacra in un’esistenza profana, ma con-fessa la radice sacra cui ogni gesto profano deve la sua consistenza, la sua possibi-lità, il suo valore, la sua serietà storica ed escatologica.Formare alla liturgia significa formare alla verità della vita nel suo spessoresimbolico, chiaramente ricordato dall’insegnamento di Paolo ai Corinzi. Non deveingannare la corruttibilità della seminagione nel tempo: la potenza della Resurre-zione ne trarrà frutti d’eternità. Fuori da una forte coscienza liturgica tale veritàdell’esistere è dimenticata ed equivocata.L’unica alternativa gioiosa e liberante alle speranze artificiali ed alla cultura dimorte viene dalla celebrazione del Mistero del Signore, speranza per il mondo, e dauna consapevolezza del senso liturgico del vivere, che restituisce ai gesti dell’uomoriscatto, custodia e speranza.La missione salesiana, soprattutto nella Formazione Professionale, è singolar-mente sfidata: la cultura contemporanea fatica a comprendere l’esperienza del la-voro e le sue contraddizioni, poiché le ascrive a ragioni di carattere sociale, poli-tico, economico; così ignora la verità del lavoro, la sua finalità e il suo bisogno diriscatto. Non possiamo correre il rischio di preparare i giovani al futuro senza for-mare la loro coscienza alla verità evangelica del lavoro; è questa verità a smasche-rare la precarietà del sogno prometeico e narcisista degli uomini di oggi e a vincerele loro tentazioni di fuga in mondi sintetici o nella trasgressione. Solo l’alleanzacon Dio rende il lavoro degno dell’uomo e supera l’equivoco dell’antropocen-trismo, che vorrebbe rendere la libertà finita protagonista solitaria del corso mon-dano con progetti edonistici ed egoistici. Allora una Formazione autenticamenteProfessionale, come una scuola che voglia onestamente avviare alla vita, deve ca-ratterizzarsi per una evangelizzazione del lavoro, cui è essenziale il soccorso dellaliturgia cristiana che ne celebra il riscatto e la destinazione. Giova da ultimo preci-sare che proprio il rapporto, nell’esperienza di fede, tra leitourgia e martyria ri-flette, a partire dalla sua radice teologale, l’unità inscindibile dell’attitudine del-l’uomo a fare e a conoscere; questa antropologia integrale fornisce gli strumenti persuperare le contrapposizioni ideologiche tra cultura e lavoro che ancora caratteriz-zano non poche teorizzazioni pedagogiche e tradizioni normative.La grande intuizione di don Bosco di una scuola che forma al lavoro e di unaformazione al lavoro culturalmente solida non si spiegherebbe fuori da una conce-zione liturgica della laboriosità; non si spiegherebbe fuori da una visione della fedecome sapere del quale rendere ragione; non si spiegherebbe fuori dalla coscienzadella necessità per la fede di divenire vita laboriosa e dell’urgenza per la fatica quo-tidiana di nutrirsi di fede. Va pertanto affermato come alla testimonianza vocazio-
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nale di ogni confratello ed alla significatività escatologica della vita della comunitàsia anzitutto consegnata la responsabilità di annunciare il Vangelo della speranza edella laboriosità per il Regno.La prossimità educativa ai giovani, in una scuola che voglia formare alla vita,deve scommettere su questa testimonianza, capace di ispirare una cultura del lavoroche ne annuncia il profilo liturgico ed il senso escatologico. Saranno allora la no-stra formazione e la nostra testimonianza a condurre le CEP nelle quali operiamo adivenire luoghi originali di esperienza del valore teologale del lavoro, valore che ri-splende nella vita di don Bosco.
3.4. Il Vangelo della carità: “diakonia” salesiana e compimento della libertàL’ultima dimensione costitutiva dell’esperienza di fede attiene alla diakonia. Sitratta di una dimensione alquanto provocatoria tanto per la forma che per il conte-nuto della nostra missione: la carità è la forma del nostro servizio ai giovani, ma èanche il dono evangelico cui i giovani vanno formati perché la loro vita si orienti aun compimento autentico in Dio.Verificare la qualità formativa della nostra missione nella scuola e nella For-mazione Professionale significa interrogarci sulla qualità evangelica ed educativadella nostra carità. Di nuovo il Magistero e le riflessioni capitolari ci hanno istruiti:non ci può essere carità salesiana fuori dall’educazione alla verità e nella verità delVangelo. La verità dell’uomo è il dono di sé, regolato sul dono di Dio dispiegatosinella Creazione e nella Redenzione. La nostra missione deve distinguersi perquesta forma diventando buona notizia della dedizione in una cultura soffocata dal-l’utilitarismo.La verità di un amore che si irrobustisce nel sacrificio ha bisogno di raggiun-gere i giovani, oggi quanto mai confusi circa il senso delle loro emozioni e dei loroaffetti: sarà la testimonianza della nostra carità educativa a contagiarli e a far loroscoprire, nel dono di sé, il senso vero della vita.Solo il coraggio della nostra vita radicalmente donata autorizzerà e renderàcredibili proposte audaci di dedizione e servizio che debbono raggiungere i destina-tari della missione affinché facciano esperienza del senso autentico della loro li-bertà. L’egoismo ha trovato nel nostro mondo troppe legittimazioni culturali e haplasmato i fini del lavoro, del progresso, dell’economia. Non è nominale il pericolodi formare in una prospettiva egoistica e secondo un pensiero egoistico.La qualità della nostra testimonianza, la verifica della cultura che trasmet-tiamo, la profondità delle esperienze di servizio che assicuriamo faranno dei nostriambienti scuole di diakonia, scuole di vita cristiana. La Caritas in veritate può illu-minare il nostro compito con estrema chiarezza; rielaborando in forma radical-mente evangelica la nozione di sviluppo – che forse nella sua declinazione antropo-centrica continua ad avere eccessiva influenza nella definizione del nostro servizionella scuola e Formazione Professionale – ci ricorda le dimensioni fondamentali diuna vera educazione alla vita.
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Lo sviluppo implica attenzione alla vita spirituale, seria considerazione delleesperienze di fiducia in Dio, di fraternità spirituale in Cristo, di affidamento allaProvvidenza e alla Misericordia divine, di amore e di perdono, di rinuncia a sestessi, di accoglienza del prossimo, di giustizia e di pace. Tutto ciò è indispensabileper trasformare i “cuori di pietra” in “cuori di carne” (Ez 36,26), così da rendere“divina” e perciò più degna dell’uomo la vita sulla terra. Tutto questo è dell’uomo,perché l’uomo è soggetto della propria esistenza ed insieme è di Dio, perché Dioè al principio e alla fine di tutto ciò che vale e redime: “Il mondo, la vita, la morte,il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio” (1Cor3,22-23).Dio principio è al principio di tutto ciò che vale e redime: se non fosse diakoniadi questa verità, di straordinario impatto pratico ed affettivo, la nostra missione tra igiovani non sarebbe ecclesiale e non sarebbe salesiana; sortirebbe un tradimento for-mativo piuttosto che sostenere un autentico sviluppo della persona.Nella cultura dell’effimero, nella quale labilità e mutevolezza dei criteri di di-scernimento adottati nei diversi frangenti dell’esistere rendono difficili una coe-renza di vita, una progettualità decisamente orientata al compimento di sé nel-l’amore, una solidità affidabile, una speranza coraggiosa, solo una cultura ed unapratica delle virtù teologali può costituire una via di riscatto rispetto alle sirene delnichilismo, dell’illusione e della superficialità.Una formazione nella fede, nella speranza e nella carità, che permettono diamare la vita come dono di Dio può sostenere un cammino verso la pienezza deldono di sé; cultura e lavoro necessitano di questa evangelizzazione, per trovare cia-scuno il proprio riscatto e aprirsi alla reciprocità di una sinergia rispettosa dell’inte-grità dell’uomo, della sua intelligenza e della sua libertà fatta per amare. A questoriscatto e a questa apertura si deve dedicare con generosità la nostra missione. Se,come don Bosco, sapremo servire la Grazia, quella relazione di intimità con Dio,che la fede, la speranza e la carità radica nel cuore dei giovani, allora saremo auten-tici maestri di vita.La vita nel senso vero non la si ha in sé da soli e neppure solo da sé: essa è unarelazione. E la vita nella sua totalità è relazione con Colui che è la sorgente dellavita. Se siamo in relazione con Colui che non muore, che è la Vita stessa e lo stessoAmore, allora siamo nella vita. Allora “viviamo”84.
84 Spe salvi, n. 27.
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La pastorale giovanile salesiana, 2010Pascual CHÁVEZ VILLANUEVA
Il 25 aprile 2010 il Rettor Maggiore pubblica la lettera dal titolo“La pastorale giovanile salesiana”.Con questa lettera il Rettor Maggiore si propone di “offrire unavisione coerente e chiara dello stato attuale della PastoraleGiovanile Salesiana”, augurandosi anche che i contenuti dellalettera diventino oggetto di studio da parte degli Ispettori, Con-sigli ispettoriali, direttori e formandi.Dopo aver richiamato il cammino della Congregazione nellosviluppo della pastorale giovanile salesiana postconciliare (1punto) e tratteggiato le caratteristiche salienti della pastoralegiovanile salesiana attuale (2 punto), il Rettor Maggiore si sof-ferma sui diversi settori della pastorale giovanile salesiana.Qui si riportano le riflessioni connesse alla scuola e alla forma-zione professionale.
1. I DIVERSI SETTORI DELLA PASTORALE GIOVANILE SALESIANA
La pastorale giovanile salesiana si attua in un determinato territorio attraversouna “pluralità di forme, determinate in primo luogo dalle esigenze di coloro a cui cidedichiamo” (Cost. 41) e degli ambienti in cui i giovani vivono, soprattutto gli am-bienti di impoverimento economico, politico e culturale. Attraverso questa pluralitàdi opere e di servizi si manifesta la sua unità e allo stesso tempo la sua ricchezza.Ogni opera e struttura apporta la propria specificità all’insieme e contribuisce a rea-lizzare il criterio oratoriano dell’art. 40 delle Costituzioni. Per esprimere con chia-rezza questa unità della pastorale salesiana nel territorio e nella Chiesa locale le di-verse opere e servizi che costituiscono una presenza salesiana in un determinatoterritorio devono pensarsi in mutuo riferimento e complementarità.1
1.1. La Scuola e il mondo della educazione formaleLa presenza salesiana nel campo dell’educazione formale e in particolare nellascuola è una delle più consistenti, significative e diffuse.Nel 2007 la Congregazione era responsabile di 1208 Istituti scolastici di di-versi livelli, con un po’ più di un milione di allievi, soprattutto nella fascia deipreadolescenti, anche se in quest’ultimo sessennio sono notevolmente cresciuti gliallievi delle scuole superiori, e in particolare di quelle di livello universitario. ISalesiani che lavorano nel campo scolastico sono 2286 a tempo pieno e 1364 a
1 Cfr. DICASTERO PER LA PASTORALE GIOVANILE. La Pastorale Giovanile Salesiana. Quadro di ri-ferimento fondamentale. Seconda edizione, Roma 2000, pag. 63-64.
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tempo parziale, con la collaborazione di una schiera assai grande di laici, quasi60.000.La scuola salesiana è una presenza cristiana significativa nel mondo dell’edu-cazione e della cultura; aiuta i giovani a prepararsi dignitosamente per la vita e con-tribuisce a formare la mentalità ed a trasformare la società secondo i valori umani ecristiani; per questo è uno strumento fondamentale per l’evangelizzazione. In pa-recchie nazioni dell’Asia o dell’Africa la scuola è sovente l’unica forma di pre-senza di Chiesa consentita e in essa la comunità cristiana offre una testimonianza diservizio disinteressato ai settori più poveri della società, un ambiente umano per-meato dai valori evangelici, come testimonianza silenziosa di Gesù Cristo e anchecome una preziosa opportunità per le famiglie cristiane del posto di educare cristia-namente i propri figli.In questi anni la Congregazione ha fatto un notevole sforzo per rinnovare lasua presenza in questo campo, soprattutto nei seguenti aspetti principali:1° La qualità educativa e pastorale dell’ambiente in cui si vive, dei programmi edelle proposte che si offrono, della metodologia che si adopera, delle stessestrutture e risorse materiali, delle persone in essa impegnate, attraverso unPEPS operativo e condiviso da tutta la comunità educativa, in modo che di-venti capace di orientare e guidare la dinamica quotidiana della scuola.In questo senso è importante superare il pericolo di considerare la pastoralecome un settore accanto ad altri, piuttosto che la qualità di tutta la vita dellascuola, della cultura, della metodologia, dei rapporti, delle proposte, ecc. chein essa si presentano e si realizzano; sovente ciò è ben presentato nei docu-menti, ma rimane una sfida da riuscire a tradurre in pratica nella vita quoti-diana della comunità educativa.2° La comunità educativo-pastorale: impegnarsi a costruire la scuola come comu-nità umana al servizio dell’educazione e dell’evangelizzazione dei giovani enon soltanto come un’istituzione di servizi educativi. Una scuola è una comu-nità educativo-pastorale quando in essa il centro è costituito dalle persone, so-prattutto i giovani, con rapporti interpersonali, con la condivisione dei valoridella pedagogia e della spiritualità salesiana, con il coinvolgimento e il prota-gonismo di tutti nelle loro diverse funzioni.3° Una scuola piattaforma di efficace e normale evangelizzazione, in modo spe-ciale attraverso la promozione e trasmissione di una cultura e di una mentalitàispirata ai valori evangelici. La pastorale giovanile salesiana nel campo dell’e-ducazione deve promuovere nei giovani non soltanto una vita cristiana, maanche una cultura ispirata alla fede e ai valori evangelici, che sia un’alternativaalla cultura dell’ambiente sovente caratterizzata dal secolarismo, relativismo,soggettivismo, consumismo.I contenuti culturali che si offrono nella vita quotidiana di una scuola, nelle di-verse discipline, nella metodologia, nell’ambiente e nei rapporti, ecc. non sem-pre ricevono l’attenzione che necessiterebbero per garantire una coerenza tra
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i contenuti trasmessi o le metodologie adoperate e i valori della fede cristiana,in modo che questa informi efficacemente la vita personale, professionale e so-ciale delle persone e si stabilisca un fecondo rapporto tra fede e cultura.4° Una scuola attenta e aperta ai giovani più poveri; con una dinamica e una me-todologia che previene il fallimento scolastico e aiuta a superarlo con corsi direcupero, scuole serali per i giovani che si trovano fuori della struttura scola-stica, ecc.; che promuove, attraverso diverse materie e attività proposte, il con-tatto e l’inserimento nella realtà sociale, per scoprire le cause delle situazionidi emarginazione e di esclusione che in essa si vivono e per suscitare l’im-pegno per superarle; una scuola che promuove la cultura del dialogo, della col-laborazione, dell’accettazione del diverso, della solidarietà.Questi obiettivi sono stati promossi in questi anni attraverso uno sforzo siste-matico e continuo attuato in parecchie regioni della Congregazione. Esemplare è ilprocesso che si sta realizzando nell’America salesiana a partire dagli incontri conti-nentali di Cumbayá (1994 e 2001) e Brasilia (2008). Le conclusioni di questi in-contri sono approfondite nelle diverse équipes ispettoriali e zonali per tradurle inprogrammi operativi che guidano l’azione delle differenti comunità educative, aiu-tandole a verificare la loro prassi educativa e a trasformarla. Questo sforzo si rea-lizza insieme con i vari gruppi della Famiglia Salesiana che gestiscono scuole inAmerica.Qualcosa di simile si sta sviluppando anche in Europa (incontri di Roma del1994 e 2000, di Cracovia nel 2004 e di Siviglia nel 2010) e in Asia sud, attraverso icoordinamenti interispettoriali o nazionali.Nel Brasile con queste stesse finalità i Salesiani e le Figlie di Maria Ausilia-trice hanno costituito una rete delle scuole salesiane, mediante la quale si pro-muove la formazione dei professori e l’elaborazione di testi scolastici secondo lapedagogia salesiana.Questo cammino di rinnovamento esige certamente una più sistematica forma-zione permanente degli educatori. Oltre allo sforzo delle Ispettorie per garantireuna buona formazione educativa e salesiana con programmi sistematici, si sonosviluppati in alcune Ispettorie o zone, diversi centri e progetti di formazione educa-tiva e pastorale salesiana dei collaboratori laici, in modo speciale dei professoridelle nostre scuole.
1.2. La Formazione Professionale e la preparazione per il lavoroFin dai suoi inizi la Congregazione salesiana è stata conosciuta e apprezzataper i suoi centri di Formazione Professionale, attraverso i quali si offriva ai giovanipiù poveri, quelli che sovente fin da piccoli dovevano lavorare per aiutare la fami-glia o quelli che non riuscivano a seguire il percorso scolastico normale, una for-mazione umana e una preparazione per il lavoro di qualità, che permetteva loro diaffrontare con fiducia e responsabilità il loro futuro. Anche adesso parecchi paesiche non consentono una presenza esplicita di Chiesa ci affidano opere di Forma-
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zione Professionale e attraverso di esse possiamo essere una testimonianza silen-ziosa, ma chiara, del Vangelo di Gesù Cristo.Le opere di formazione professionale sono oggi molto varie, da Scuole tec-nico-professionali, attorno a 180, che offrono ai giovani una formazione secondariasistematica che permette di seguire uno sviluppo posteriore nell’Università, aScuole di Formazione Professionale (457) che offrono ai giovani che si avviano allavoro una preparazione di qualità, con un programma regolare riconosciuto. Traqueste scuole meritano una speciale attenzione le 46 scuole agricole.Nel campo della Formazione Professionale non formale, in questi anni si sonomoltiplicati più di 300 piccoli centri di preparazione al lavoro, che offrono ai gio-vani lavoratori o a quelli che si avviano al lavoro corsi brevi e molto pratici perrenderli capaci di una certa qualificazione lavorativa.Sovente questi centri di Formazione Professionale favoriscono e appoggianoiniziative concrete di aiuto per l’occupazione dei giovani lavoratori, cooperative dimutuo aiuto, centri di artigianato e altre iniziative per facilitare l’occupazione deigiovani più poveri.Nelle società moderne in rapida evoluzione il mondo tecnico e del lavoro è unsettore che sperimenta cambiamenti profondi e rapidi; per questo la formazioneprofessionale, se vuole realmente aiutare i giovani a inserirsi in questo mondonuovo, deve trasformarsi nei suoi programmi, metodi e anche nei suoi strumenti.Tutto questo la rende bisognosa di uno speciale appoggio e orientamento, inparticolare nei seguenti aspetti:1° Promuovere la formazione integrale dei giovani. La formazione umana, mo-rale e spirituale è importante quanto quella tecnica e professionale. Moltospesso un allievo di un Centro Professionale di Don Bosco viene preferito aglialtri soprattutto per le qualità della sua personalità, più ancora che per l’istru-zione o le qualificazioni ottenute. Questo, tuttavia, non vuol dire che l’istru-zione professionale debba essere considerata secondaria. La meta finale di uncentro di formazione professionale salesiano, infatti, è proprio quella di poterassicurare al giovane un impiego confacente con l’istruzione ricevuta. Il curri-culum formativo integrale è appunto orientato a questo obiettivo. Di conse-guenza, è essenziale che ogni centro abbia un Progetto Educativo Pastorale,che guidi efficacemente la sua azione quotidiana.2° Rafforzare, nel compito educativo delle scuole tecnico-professionali, i processidi personalizzazione. Oggi non è sufficiente una buona preparazione tecnica eprofessionale, ma si richiedono sempre di più persone capaci di pensare in ma-niera autonoma, intellettualmente interessate e dotate di senso critico; personein grado di stabilire relazioni positive, stabili ed efficaci, di promuovere la col-laborazione in progetti comuni; capaci di gestire e risolvere i conflitti, di af-frontare i cambiamenti con fantasia e creatività. Questa esigenza è molto sen-tita anche dagli stessi giovani, che vorrebbero una maggiore attenzione deglieducatori alla loro vita. Per questo è importante promuovere momenti e per-
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corsi di comunicazione e di relazione personale tra educatori e allievi, con lefamiglie, con l’ambiente sociale; curare un orientamento educativo rispettoso,ma nel contempo propositivo; programmare una formazione morale e un’edu-cazione ai valori realmente personale, comunitaria e solidale.3° Sviluppare nei diversi processi educativi una formazione sociale sistematica eapprofondita che assicuri una mentalità più solidale e una maggiore capacità diimpegnarsi efficacemente per la giustizia. Il CG23, di fronte all’enorme sfidadella povertà, segnalava la formazione alla dimensione sociale della caritàcome un compito fondamentale per dare concretezza e credibilità all’educa-zione alla fede.2Ecco alcuni elementi che non dovrebbero mancare in questa formazione:- una conoscenza adeguata della complessa realtà socio-politica, cominciandodai livelli più prossimi e immediati;- una presentazione completa e sistematica dell’insegnamento sociale dellaChiesa, come chiave di lettura di questa realtà e come indicazione delle meteideali a cui tendere nell’impegno quotidiano;- introdurre i giovani in situazioni che chiedono solidarietà e aiuto, soprattuttonel mondo del lavoro, per esempio di fronte al dramma della disoccupazionegiovanile, dello sfruttamento, dell’immigrazione o del razzismo, ecc.4° Sviluppare nella nostra proposta educativa la pedagogia del lavoro come unelemento importante in una formazione umana integrale, superando una peda-gogia troppo intellettuale e selettiva. Molti giovani sono esposti o già hannovissuto qualche esperienza di insuccesso scolastico e/o con problemi di inte-grazione personale, familiare e sociale. Per essi un’esperienza lavorativa posi-tiva, programmata e seguita con criteri educativi, può costituire un’ottima pos-sibilità di recupero personale; il giovane può riacquistare la stima di sé, risco-prire le proprie abilità e capacità ed essere motivato alla propria formazione.Questo richiede che nella proposta educativa offriamo un ampio spazio ad al-cune esperienze di lavoro, servizi alla comunità, lavoro all’interno di organiz-zazioni “non-profit”..., valutando in esse soprattutto la realizzazione perso-nale e il servizio al bene comune. Richiede anche di promuovere contatti qua-lificati e significativi con persone, istituzioni e ambienti del mondo del la-voro, favorendo un dialogo, confronto e mutua conoscenza e collaborazioneformativa.5° Offrire un processo di evangelizzazione realmente inserito nella dinamica edu-cativa e lavorativa. Tutta la nostra azione a favore dei giovani lavoratori hacome meta l’evangelizzazione, ma un’evangelizzazione veramente integratanel loro mondo.Un tale progetto di evangelizzazione deve curare in modo particolare i se-guenti aspetti:
2 Cf. CG23, n. 204.
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- offrire agli alunni una visione umanista ed evangelica della realtà sociale,economica e del mondo del lavoro, attraverso la lezione di religione o di for-mazione morale e lo studio della Dottrina Sociale della Chiesa;- proporre esperienze spirituali e di apertura a Dio, sia nella vita ordinaria siain momenti significativi di essa, con un processo graduale di iniziazione allapreghiera e alla celebrazione;- offrire anche esperienze di servizio gratuito e solidale verso i più poveri, co-minciando da quelli del proprio ambiente;- proporre momenti espliciti di evangelizzazione e di educazione alla fede at-traverso gruppi adeguati alla loro sensibilità e ai loro bisogni;- collegarsi con le iniziative pastorali della Chiesa nel mondo del lavoro e fa-cilitare ai giovani la loro partecipazione.6° Un indice significativo della qualità ed efficacia della formazione ricevuta saràla facilità con la quale trovano impiego e lavoro gli allievi che finiscono la for-mazione e come essi sono capaci di trasformare in meglio la società in cui sisono inseriti. Questo richiede di sviluppare una collaborazione stretta con ilmondo dell’industria e delle imprese, favorendo la loro cooperazione nei pro-grammi di esercitazioni pratiche offerte agli alunni e negli “stages” di aggior-namento per docenti, cercandone la consulenza nel processo di rinnovamento emodernizzazione, preparando insieme alle imprese e alle industrie programmidi formazione permanente, soprattutto per i giovani che già lavorano, pen-sando a delle iniziative per accompagnare i giovani nei primi passi del loro in-serimento nel mondo lavorativo.In questo aspetto possono avere una grande importanza ed essere di vero aiutogli ex-allievi: essi possono essere un ponte eccellente tra la scuola e il mondodel lavoro nel quale si trovano già inseriti; possono collaborare al compitoeducativo della scuola attraverso il lavoro professionale o con servizi volon-tari; molti, inoltre, possono aiutare i giovani che terminano gli studi, accompa-gnandoli nell’inserimento nel mondo del lavoro, facilitandoli in iniziative diauto-occupazione, creando borse di impiego, ecc.Esistono nella Congregazione magnifiche esperienze in questo campo dellaFormazione Professionale: scuole tecniche che sono all’avanguardia, che non sol-tanto offrono ai giovani una Formazione Professionale di alta qualità ma anchepromuovono diverse iniziative per aiutarli ad introdursi degnamente nel mondodel lavoro.Precisamente per l’importanza che ha la Formazione Professionale nella nostramissione educativa dei giovani più poveri e per le difficoltà e sfide che oggi deveaffrontare in una società in rapido sviluppo, è urgente appoggiarla promuovendo unmaggiore coordinamento tra i diversi centri tanto nell’Ispettoria come a livello na-zionale e regionale, favorendo uno scambio di esperienze, progetti, risorse e una in-tensa collaborazione tra i centri più sviluppati e gli altri più modesti, soprattuttonella formazione degli insegnanti, nella qualificazione dei programmi e metodo-
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logie... cercando insieme vie e iniziative per garantire il sostentamento e il rinnova-mento continuo dei centri.In questi ultimi anni il Dicastero per la Pastorale Giovanile ha promosso al-cune iniziative in questo senso, ma certamente si deve ancora fare molto di più.
Allegati
Don Pasquale Ransenigo
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Un breve profilo
«Questi è il Signore in cui abbiamo sperato», proclama il Profeta Isaia invi-tando tutti a credere nella salvezza.Noi amiamo immaginare che questa sia l’esperienza o la sensazione che provaun salesiano sacerdote quando giunge davanti a Dio, al termine della sua vita: eccoil Signore nel quale ho sperato; ecco Colui che mi ha donato la chiamata alla vitacristiana, salesiana e sacerdotale e alla quale ho cercato di rispondere; ecco Coluiche ho annunciato nella mia vita, Colui che ho celebrato nei sacramenti, la cui vitaho portato a tanti nella Riconciliazione e nell’Eucaristia.Noi amiamo immaginare che anche don Pasquale Ransenigo abbia fatto questaesperienza davanti a Dio quando il 2 marzo 2011 a Roma, presso la Comunità Assi-stita Salesiana “A. Zatti” dell’Istituto Salesiano Pio XI, si è spento dopo una ma-lattia protrattasi per quasi tre anni. In questi ultimi tempi la vita di don Pasquale èstata segnata, infatti, dalla malattia. Forse vi è stata anche una sofferenza più pro-fonda, dovuta alla sensazione di non essere in grado di sostenere il peso di unaprova così impegnativa. Ma la sofferenza, se vissuta in unione a Cristo, è un altaresul quale si celebra la sua passione e morte, ci fa partecipare all’infinito atto diamore di Gesù e ci si dispone ad accogliere il dono della vita nuova portata dal Ri-sorto. Don Pasquale è stato fedele e perseverante nel suo ministero, che aveva as-sunto una forma nuova, quella della sofferenza accettata nell’amore e nella sere-nità, ripetendo con Paolo: Do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, mancanella mia carne (Col 1,24).Solo qualche settimana prima della sua morte, presagendola ormai vicina, DonPasquale ha scritto un breve testo che rivela la sua fede robusta e il primato di Dionella sua vita.Il 13 febbraio del 2011 ha scritto:
La Provvidenza ha disposto che il grande dono della mia vocazione salesiana fosseorientato, per oltre 40 anni, alla crescita integrale dei giovani “poveri”, operando conentusiasmo nella Formazione Professionale sia a livello culturale e politico che in quellosindacale, sociale e religioso. GRAZIE Signore! GRAZIE don Bosco! GRAZIE ai mieiMAESTRI SALESIANI!
È l’atteggiamento di chi ha preso sul serio il suo impegno di battezzato, di sa-lesiano e di sacerdote, e si pone davanti al Signore con l’umile consapevolezzadella grandezza di Dio e della piccolezza del suo servo. Viene da dire: anche dopola morte don Pasquale svolge così il suo magistero e offre la sua testimonianza di
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autentico discepolo di Gesù e vero figlio di Don Bosco.
Abbiamo tutti un grande debito di gratitudine nei confronti di don Pasquale Ransenigo.Siamo tutti convinti che siamo di fronte alla morte di un grande per tutto quello che èstato, per quanto ha fatto, in umile silenzio, non sempre visibile, ma condotto con grandecompetenza, professionalità, rigore e tanta passione, così don Alberto Lorenzelli, Ispet-tore della Circoscrizione Speciale dell’Italia Centrale, nell’omelia.
Don Pasquale Ransenigo è nato a Berlingo (BS) il 20 novembre del 1932.Riceve una profonda educazione umana e cristiana dai genitori Carlo e Sile.A Chiari San Bernardino (BS) frequenta la quinta elementare, la scuola mediae il ginnasio.Nel 1950, Anno Santo del Signore, Don Pasquale matura la sua vocazione sale-siana, entra nel Noviziato di Montodine (CR) e nell’anno seguente, il 16 agosto del1951, emette la sua professione religiosa, consacrando la sua vita con i voti di Obbe-dienza, Castità e Povertà come salesiano per essere un altro Don Bosco con i giovani.Negli anni seguenti lo troviamo nello Studentato di Nave (BS) per gli studi li-ceali e filosofici.Il tirocinio pratico lo svolge a Milano, via Copernico, per tre anni assistente einsegnante degli artigiani e per uno nell’Istituto di Sesto san Giovanni (MI) comeassistente e insegnante nell’avviamento.Gli studi teologici a Monteortone (PD) lo fanno maturare sempre più nellaconvinzione che il Signore lo chiamava ad essere salesiano sacerdote. Corona ilsuo desiderio il 25 aprile del 1961 con l’Ordinazione sacerdotale a Rezzato (BS).Prese il titolo di Perito Tecnico Industriale con l’intento e il grande desiderio diimpegnare la sua vita per i giovani della Formazione Professionale. Approfondiscequesta preparazione conseguendo, nel 1974, presso l’Università degli Studi di Bo-logna, la Laurea in Scienze Politiche discutendo la significativa tesi “La questionedella Formazione Professionale in Italia dagli antecedenti storici al dibattito at-tuale”.Nel percorso pastorale, dopo l’ordinazione sacerdotale, lo troviamo a Paviacome Incaricato dell’Oratorio, a Sesto San Giovanni (MI) come catechista ed inse-gnante, a Brescia sempre come catechista ed insegnante, a Bologna come docente eDelegato regionale della Formazione Professionale.Nel 1977, a seguito delle sue competenze e delle esperienze accumulate, vienechiamato dai Superiori alla Sede Nazionale del CNOS-FAP come responsabile del-l’Ufficio socio-politico, incarico che ha conservato ininterrottamente fino alla morte.Grazie a lui, l’apporto socio-politico dei Salesiani è stato determinante nei mo-menti in cui la Formazione Professionale in Italia correva il rischio di perdere lasua identità, rilevanza e dignità.Ne sono esempio il suo ruolo svolto in tanti tavoli di trattative per l’elabora-zione della legge-quadro 845/78, per la stipula dei Contratti Collettivi Nazionali dilavoro per gli operatori della Formazione Professionale, per l’elaborazione del-
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l’identità culturale e pedagogica di questo particolare servizio e, infine, per il ruoloche ha svolto nel dibattito che è sfociato, agli inizi degli anni Duemila, nell’istitu-zione dell’obbligo formativo prima e del diritto-dovere all’istruzione e formazionepoi, un provvedimento che ha dato origine ad un percorso formativo ordinamentalespecifico e dotato di obiettivi equivalenti a quelli scolastici.Fu un vero lottatore, ma sempre signorile; mai parole fuori dalle righe, sempremotivazioni serie e ragioni convincenti.Il Comitato Scientifico di Rassegna CNOS, rivista della Federazione CNOS-FAP, del quale era membro, lo ricorda per il suo prezioso e originale contributo.L’attenzione ai giovani di fronte al lavoro e ai suoi significati, la lettura attentadella situazione politica, sociale, culturale e professionale in Italia inquadrata nelpiù ampio contesto europeo e mondiale, le riflessioni sul Contratto Collettivo Na-zionale di Lavoro per la Formazione Professionale, il monitoraggio costante dellalegislazione italiana ed europea in materia di Istruzione, Formazione e Lavoro sonosolo alcuni dei contributi più qualificati che don Pasquale ha affrontato nella Ri-vista e che ha socializzato all’interno e all’esterno della Federazione CNOS-FAP.Ogni contributo, fosse di natura politica, culturale, sociale, contrattuale, legis-lativa, spirituale, aveva sempre una conclusione obbligata: “Quale impegno per glieducatori?” perché l’educatore, nel suo pensiero, è sempre chiamato “ad un rinno-vato impegno professionale a favore dei giovani nella delicata e difficile fase di in-gresso nella vita attiva”.Anche dopo l’approvazione del provvedimento che avviava in Italia l’obbligoformativo, don Pasquale riportava una valutazione che riassumeva il senso di unabattaglia da lui combattuta spesso anche in prima persona, per almeno un trentennio:
“Il segmento della formazione professionale iniziale è stato, dagli anni Ottanta, sotto-posto ad una pesante critica ideologica il cui assunto era di sopprimere totalmentequesta attività, spostando la formazione professionale tutta sul post-diploma. Questa im-postazione non teneva conto dei limiti del sistema scolastico a rispondere alla domandadi formazione di base e di quanto di fatto continua a richiedere il mercato del lavoro, chesembra orientarsi ancora soprattutto su qualifiche e specializzazioni professionali,anche di primo inserimento lavorativo” (Rassegna CNOS, Anno 16, N. 2, 2000).
Se volessimo definire la sua poliedrica personalità, dovremmo coniugare tanteparole. Ma alcune di esse, forse, lo caratterizzano in modo particolare: umanità,professionalità, lavoro, tenacia, passione, educazione, entusiasmo. Queste caratte-ristiche le troviamo sottolineate nelle tante testimonianze che ci sono giunte allanotizia della sua morte.A ricordarlo così è la nipote suor Luciana che, dalla Mauritania, ha scritto unsaluto appassionato e commosso dopo aver appreso la notizia della sua scomparsa:
“Le nostre lacrime fecondano la terra che calpestiamo, ma in questo momento il nostroricordo per te, carissimo zio don Pasquale, è fatto di “serenità e pace”. Quelle che in-fondevi nel nostro cuore quando ritornavi fra di noi e soprattutto quando da lontano nondimenticavi “NESSUNO”.
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Uno speciale ricordo l’hai sempre avuto per chi nella nostra famiglia, amici e cono-scenti, ci hanno preceduti nel Regno dei Cieli.Grazie zio don Pasquale per la tua “GIOIA” tutta “salesiana”, per il tuo grande e infi-nito “ENTUSIAMO” sempre giovanile che ci lasci come “EREDITÀ”.
Sono aspetti che vengono sottolineati anche da salesiani e laici che l’hannoconosciuto:
“Lo ricordo con stima e affetto fraterno quando, durante gli anni di studentato filosofico(1982-1984) a San Tarcisio si intratteneva con noi studenti nel dopo pranzo. Emergeval’afflato salesiano verso i giovani per i quali lavorava presso il CNOS-FAP nazionale,la sua grande preparazione nella legislazione del lavoro che lasciava tutti noi, giovaniconfratelli, meravigliati, i suoi inviti nella comunità dove esprimeva tutta la sua giovia-lità salesiana” (Don Raimondo Giammusso, salesiano).“Ho un ricordo bellissimo degli anni Ottanta e Novanta quando seguivo il settore Istru-zione – Formazione.Quante battaglie per il cosiddetto “doppio-canale” dopo la terza media, insieme a lui eal caro don Felice Rizzini!” (Mario Dupuis, Padova).“La perdita di don Pasquale colpisce tutta la comunità dei tecnici, dei formatori, deglistudiosi e degli esperti della Formazione Professionale ed anche i giovani.La dedizione di tutta una vita ci sarà di esempio” (Anna D’Arcangelo, ISFOL).
A ricordarlo così è anche don Felice Rizzini, che è stato per 9 anni Presidentedella Federazione CNOS-FAP e che ha condiviso con don Pasquale numerose bat-taglie.Così scrive sul Giornale di Brescia:
“Don Pasquale Ransenigo, un bresciano autentico che alla schiettezza e cordialitàdei rapporti umani sapeva unire una rara competenza nella Formazione ProfessionaleIniziale.La Federazione CNOS-FAP, nata nel 1977 anche per il suo contributo, doveva esserericonosciuta civilmente: compito non piccolo.Riunioni si succedono a riunioni, partecipa a commissioni di studio, ad incontri coni politici e con i sindacati, con gli altri Enti di Formazione Professionale e con Centridi ricerca. Rende la sua vita una vita di studio personale e di consulenza in quei tempidi riforme e di evoluzioni del sistema formativo, specie nel passaggio dallo Stato alleRegioni.Don Ransenigo non ha lasciato molti scritti, ha preferito sempre il contatto personale sianegli incontri che nei corsi di aggiornamento del personale. Questi incontri li ha soventetrasformati in fonte di amicizia. Fedele a don Bosco, non mancava mai di sottolineare gliaspetti educativi dei problemi”.
Un debito di riconoscenza a don Pasquale lo ha anche il mondo associativo deiSalesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice, organizzato negli Enti CNOS (CentroNazionale Opere Salesiane) e CIOFS (Centro Italiano Opere Salesiane Femminili).Nell’editoriale della rivista Città CIOFS/FP del marzo 2011, suor LaurettaValente, Presidente del CIOFS/FP, ricorda questo particolare aspetto:
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“Il mondo associativo deve a don Pasquale Ransenigo tanta riflessione e studio sugliaspetti costitutivi e identitari della proposta associativa: il dialogo con la società civile,con la Chiesa, con l’Ente promotore e, soprattutto, con i giovani destinatari.L’impegno svolto dai fondatori di questa realtà associativa, nel cui ambito ha operatoanche don Pasquale Ransenigo, non si è esaurito nella sfera privata. Il lavoro svolto hadato un fondamento autorevole alle Associazioni perché ne legittimasse l’impegno pub-blico”.
Una dimensione particolarmente sottolineata da don Pasquale Ransenigo èstata quella dell’Orientamento, voluta sin dalle origini come parte integrante dellaproposta formativa del CNOS-FAP.Suor Pina del Core, attiva per molto tempo nell’Associazione e oggi Presidedell’Auxilium ha scritto:
“Ci dispiace tanto pensare di averlo perduto... dopo tanta sofferenza e dopo una vitaspesa interamente al servizio della vocazione educativa salesiana, in particolare nei con-fronti dei ragazzi poveri. La sua competenza ha contribuito ad arricchire l’assetto dellenostre Associazioni, dando consistenza giuridica e professionale alla vision e alla mis-sion ad esse sottese. E alla competenza don Pasquale sapeva unire tanta umanità e tantalungimiranza, spinto dall’amore alla Congregazione salesiana e alla sua missione nellastoria”.
L’Associazionismo non è stato in questi decenni solamente un impegno dei Sa-lesiani. L’esigenza di fare “rete” è stata condivisa da tutti gli Enti di FormazioneProfessionale di ispirazione cristiana aggregandosi in CONFAP nel 1974 e inFORMA nel 1999, per dare vita ad un efficace coordinamento di tutte le attività diformazione professionale.Sono stati organismi nei quali don Pasquale è stato sempre sostenitore e prota-gonista. CONFAP e FORMA, nelle persone che hanno avuto ruoli al loro interno,lo ricordano con commozione:
“Rivolgo a te un ringraziamento che non ho mai espresso direttamente a don Pasqualeper quanto ho potuto apprendere negli oltre 35 anni di collaborazione in CONFAP e so-prattutto nelle trattative per tutti i rinnovi del Contratto Collettivo Nazionale di Lavorodella Formazione Professionale che abbiamo condotto fianco a fianco.Don Pasquale mi ricordava sempre che per CONFAP il Contratto di lavoro è un mezzo,uno strumento importantissimo ma che altro è il nostro fine. Nelle trattative era capacedi esprimere autorevole fermezza sui temi che considerava irrinunciabili; ma ricordobene quante volte raccomandava attenzione e cautela, perché – ci ricordava – dietroogni clausola contrattuale c’è sempre una persona, un collaboratore, che amava definire“la nostra maggiore risorsa.A don Pasquale gli abbiamo voluto bene. Era un vero amico” (Emilio Gandini e FrancoBissaro).
Il 4 marzo 2011, al suo funerale erano presenti in tanti.La Provvidenza – forse... anche uno scherzo di don Pasquale – ha voluto che lasua partenza per il cielo coincidesse con l’avvio del Consiglio Direttivo della Fede-
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razione CNOS-FAP nel quale era stato sempre attivo protagonista. A salutarlo c’e-rano, dunque, tutti i membri del Consiglio Direttivo Nazionale, tutti i Salesiani, cioè,che hanno il compito di animare e governare, in Italia, il servizio della FormazioneProfessionale. Una felice coincidenza, perché tutti noi salesiani che operiamo inquesto campo ci sentiamo, in qualche modo, suoi allievi. Siamo in molti ad averloconosciuto, ad aver lavorato con lui, combattuto con lui la battaglia dell’educazionedei giovani attraverso lo strumento della Formazione Professionale, soprattutto perquei giovani che non possono pagarsi una retta, come era solito affermare.Ecco, in sintesi, il suo messaggio, un messaggio chiaro, semplice, diretto, pro-fondo, testimoniato dagli oltre 40 anni dedicati a questa causa, come lui stesso ciha ricordato al termine della sua vita. Perché oggi ricordare don Pasquale vuol direraccogliere la sua testimonianza. Don Alberto Lorenzelli, che ha presieduto la cele-brazione funebre, ha riassunto i sentimenti di tutti i presenti con parole che possonocostituire la “consegna” per tutti noi:
Caro Don Pasquale, siamo tristi oggi per la tua partenza, lasci un grande vuoto non fa-cilmente colmabile.Ti ringraziamo di cuore per tutto quello che sei stato, per quanto hai dato col tuo cuoresalesiano e sacerdotale, con le tue competenze e la tua squisita umanità.Ti ricorderemo a lungo, ti affidiamo al Padre perché ti dia il giusto premio che meriti.
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Bibliografia dei principali scritti
La questione della formazione professionale in Italia dagli antecedenti storici al dibattito attuale(Tesi di laurea – Anno 1973-74).Spazi istituzionali per la preparazione dei giovani al Mondo del LavoroIn “Salesiani nel mondo del lavoro. Atti del Convegno europeo sul tema “Salesiani e pastorale peril mondo del lavoro” (Roma 9-15 maggio 1982).Il nuovo CCNL 1983/86 per la F.P. convenzionata. Prima valutazione complessivaRassegna CNOS, Anno 1 nr. 0 - Ottobre 1984I giovani d’oggi di fronte al lavoro e ai suoi significati.Rassegna CNOS, Anno 1 nr. 1 - Febbraio 1985Informazioni sulla situazione polita, sociale, culturale e professionale in Italia.Rassegna CNOS, Anno 1 nr. 2 - Maggio 1985Tavola rotonda su “Giovani, formazione e lavoro” in Abruzzo.Rassegna CNOS, Anno 2 nr. 1 - Febbraio 1986Contributo per una rassegna critica delle pubblicazioni sulla transizione.Rassegna CNOS, Anno 2 nr. 2 - Maggio 1986Motivazioni per ricercare modalità efficaci per un effettivo prolungamento di istruzione.Rassegna CNOS, Anno 3 nr. 1 - Febbraio 1987Innovazione scientifico-tecnologica e proposta formativa.Rassegna CNOS, Anno 3 nr. 3 - Ottobre 1987Osservazioni circa la legge 40/87, il decreto e la circolare di applicazione.Rassegna CNOS, Anno 4 nr. 1 - Febbraio 1988Il CCNL 1986-89 per la Formazione Professionale convenzionata: un contratto di transizione?Rassegna CNOS, Anno 4 nr. 3 - Ottobre 1988Elementi di organizzazione del lavoro nei C.C.N.L. 1989-91 per la Formazione Professionale conven-zionata.Rassegna CNOS, Anno 7 nr. 2 - Maggio 1991Transizione Sistema Formativo – Vita professionaleRassegna CNOS, Anno 8 nr. 1 - Febbraio 1992Identità e funzione di un Centro di Formazione ProfessionaleRassegna CNOS, Anno 9 nr. 1 - Febbraio 1993Identità e ruolo della Formazione Professionale in riferimento alle iniziativa di riforma della ScuolaSecondaria Superiore.Rassegna CNOS, Anno 10 nr. 2 - Maggio 1994Alcune linee “innovative” emergenti dalle recenti leggi – D.d.L. regionali sull’Orientamento e laFormazione Professionale.Rassegna CNOS, Anno 11 nr. 2 - Maggio 1995CCNL 1994-97 per la formazione professionale convenzionata: un contratto di “svolta” o di “transi-zione”?Rassegna CNOS, Anno 12 nr. 2 - Maggio 1996
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Alcuni “potenziali” elementi innovativi del CCNL 1994-97 per la formazione professionale conven-zionata.Rassegna CNOS, Anno 12 nr. 3 - Settembre 1996Il sistema di formazione professionale regionale dagli Accordi tra Governo e Parti Sociali al docu-mento Berlinguer.Rassegna CNOS, Anno 13 nr. 2 - Maggio 1997“La questione del lavoro oggi” Riflessioni su alcuni temi del Convegno CEI del 7-10 maggio 1998.Rassegna CNOS, Anno 15 nr. 1 - Gennaio 1999Riforme e obbligo scolastico.Rassegna CNOS, Anno 15 nr. 2 - Maggio 1999Obbligo scolastico e formazione professionale nel Decreto del Ministro P.I. n. 323 del 9 agosto 1999.Rassegna CNOS, Anno 16 nr. 1 - Gennaio 2000L’obbligo formativo nell’art. 68 nell’articolo 68 della legge 144/99 e nelle normative di attuazione.Rassegna CNOS, Anno 16 nr. 2 - Maggio 2000La testimonianza di don Dante Magni, un figlio di don Bosco per i giovani e per la loro formazioneprofessionale.Rassegna CNOS, Anno 16 nr. 3 - Settembre 2000Obiettivi istituzionali e specifici dell’obbligo formativo.Rassegna CNOS, Anno 17 nr. 2 - Maggio 2001L’obbligo formativo nel contesto del sistema “educativo di istruzione e formazione”.Rassegna CNOS, Anno 18 nr. 1 - Gennaio 2002Obiettivi istituzionali dell’obbligo formativo e ruolo degli enti localiRassegna CNOS, Anno 18 nr. 2 - Maggio 2002Istruzione e formazione professionale verso un sistema-canale unitario.Rassegna CNOS, Anno 18 nr. 3 - Settembre 2002
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Indice
Sommario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3
Presentazione - Per ricordare don Pasquale Ransenigo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
PARTE ICULTURA ASSOCIATIVA E FEDERAZIONE CNOS-FAP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
Cultura associativa e scelte istituzionali civilistiche dei Salesiani in Italia neglianni 1966-2000 (Pasquale Ransenigo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91. La “Casa S. Lorenzo di Roma per Delegati Nazionali delle Ispettorie Italiane” . . . 102. Identità giuridica e durata della “Associazione C.N.O.S.” 1967 . . . . . . . . . . . . . . . 112.1. C.N.O.S. 1967 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 122.2. Elementi significativi dello Statuto della “Associazione C.N.O.S.” 1967 . . . 132.3. In Sintesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 143. Collocazione delle “Casa Salesiana S. Lorenzo in Roma” nel nuovo assetto asso-ciativo precisato con due DPR relativi alla sua personalità giuridica . . . . . . . . . . . 144. Procedure adottate per l’approvazione con DPR dello STATUTO CNOS . . . . . . . 154.1. Fasi di elaborazione e approvazione “canonica” dello Statuto dell’Ente CNOS 154.2. Come e perché ottenere anche l’approvazione dello Statuto dell’ENTE CNOScon DPR . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 165. Fini specifici nello Statuto del “Centro Nazionale Opere Salesiane – CNOS” . . . . 175.1. La distinzione fondamentale tra fini istituzionali e fini specifici del CNOS èdefinita nell’articolo 2 dello Statuto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 175.2. Le modalità e le strutture a cui il CNOS deve far riferimento per conseguire ifini specifici della propria missione sono sancite esplicitamente all’articolo 4dello Statuto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 185.3. I reciproci rapporti tra Ente CNOS e Associazioni/Federazioni promosse sonodefiniti nei contenuti dell’articolo 5 dello Statuto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 185.4. Le procedure per modificare lo Statuto sono indicate all’articolo 10 delloStatuto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 196. La Federazione Nazionale “Formazione Aggiornamento Professionale” (CNOS-FAP): interventi per la sua costituzione – un apprezzamento autorevole . . . . . . . . 206.1. Interventi per la costituzione della Federazione CNOS-FAP . . . . . . . . . . . . . 206.2. Apprezzamento autorevole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 227. Riflessioni e proposte conclusive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 237.1. A livello di Congregazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
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7.2. A livello del carisma salesiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 247.3. A livello di una presenza istituzionale originale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24
La Federazione CNOS-FAP in Italia: origini e sviluppo (Malizia Guglielmo) . . . 271. La nascita del CNOS-FAP e il primo decennio di attività . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 281.1. Tra due culture dello sviluppo formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 281.2. La nascita della Federazione Nazionale CNOS-FAP (fine anni ’70) e il suoconsolidamento (anni ’80) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 312. La Federazione CNOS-FAP durante gli anni ’90 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 352.1. Una società inquieta e in fase di attesa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 362.2. Il CNOS-FAP e il CFP polifunzionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 382.2.1. Un modello formativo e comunitario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 392.2.2. Un modello progettuale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 402.2.3. Un modello al servizio della persona . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 412.2.4. Un modello coordinato e integrato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 412.2.5. Un modello aperto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 422.2.6. Un modello flessibile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 432.2.7. Un modello qualificato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 433. Dopo l’anno 2002: verso un sistema maturo di FP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 433.1. L’avvento della società della conoscenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 443.1.1. I fattori strutturali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 443.1.2. Le dinamiche culturali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 463.2. Un decennio di riforme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 483.3. Il cammino della Federazione CNOS-FAP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 563.3.1. La promozione della Formazione Professionale Iniziale (FPI) nellariforma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 563.3.2. L’aggiornamento del CFP polifunzionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 643.3.3. Il potenziamento della formazione dei formatori . . . . . . . . . . . . . . . . . 663.3.4. La sperimentazione dell’obbligo formativo e del diritto-dovere . . . . . 683.3.5. Il modello organizzativo: l’accreditamento interno e la certificazione 704. Il reiteraggio di questo primo periodo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 744.1. Una crescita quantitativa tendenziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 744.2. L’impegno per un sistema paritario di FP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 764.3. I giovani e la formazione integrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 774.4. Il modello organizzativo del CFP polifunzionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 794.5. Il processo di insegnamento-apprendimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 814.6. Federazione CNOS-FAP e imprese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 824.7. La dimensione religiosa e pastorale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84
PARTE IIGIOVANI E LAVORO: ELEMENTI DI MAGISTERO SALESIANO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89
Intervento del Rettor Maggiore, don Egidio Viganò, ai lavori della prima Assem-blea della Federazione CNOS-FAP, 1978 (don Egidio Viganò) . . . . . . . . . . . . . . . . 911. Tre testimonianze di presenza salesiana nella Formazione Professionale . . . . . . . . 912. Ecco alcune idee che traggono origine anche da un po’ di riflessione . . . . . . . . . . 93
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a. Superare il settorialismo ispettoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93b. Una seconda importante riflessione: perché fare questo? . . . . . . . . . . . . . . . . . 95c. Formare il personale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96d. La partecipazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97
Missione salesiana e mondo del lavoro, 1983 (don Egidio Viganò) . . . . . . . . . . . . . 1011. Di fronte al processo tecnico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1011.1. Mentalità circa il lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1011.2. Liberare il progresso tecnico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1021.3. Evangelizzazione del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1021.4. Tema importante e attuale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1022. Mondo e cultura del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1022.1. Far crescere una “spiritualità del lavoro” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1033. Legami di don Bosco con il mondo del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1033.1. Vale la pena fra memoria di ieri per orientare il futuro . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1033.2. Il primo “Oratorio” iniziativa per i giovani lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1043.3. I primi laboratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1043.4. La Scuola di arti e mestieri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1053.5. L’“Oratorio” e la “Scuola Professionale” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1053.6. Opera preferenzialmente richiesta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1064. Vicinanza congenita con il fenomeno umano del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1064.1. La missione salesiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1064.2. L’Originalità dello Spirito Salesiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1074.3. La forma della Congregazione Salesiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1084.4. Scelta di determinate linee pastorali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1085. Il “Vangelo del Lavoro” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1095.1. Saper proclamare il “Vangelo del Lavoro” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1095.2. Riconoscere la consistenza del mondo del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1095.3. Posto centrale dell’uomo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1105.4. Spiritualità del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1115.5. Illuminare con il messaggio evangelico il lavoro umano . . . . . . . . . . . . . . . . 1115.6. Preparare la liberazione dell’uomo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1116. Sfida appassionante e inevitabile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1126.1. I giovani avviati al mondo del lavoro richiedono un’educazione integrale . . 1126.2. Esigenze di ridefinire il lavoro umano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1126.3. Formazione alla coscienza politica e alla partecipazione . . . . . . . . . . . . . . . . 1126.4. Un progetto educativo pensato, maturato e continuamente aggiornato . . . . . . 1136.5. Cultura del lavoro tradotta in metodologia pedagogica . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1136.6. Riattualizzare il sistema preventivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1137. Proiezioni pratiche della dimensione laicale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1137.1. Salesiani coadiutori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1147.2. Importanza dei collaboratori laici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1147.3. Ruolo animatore della comunità salesiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1158. Alcuni suggerimenti di strategia per il futuro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1158.1. Preparazione specifica del personale salesiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1168.2. Il controllo delle opere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1168.3. Pastorale vocazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1169. Affidamento a Maria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117
234
9.1. Il lavoro umano, chiave della questione sociale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1179.2. Maria modello del nostro tempo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1179.3. La Madonna del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 118
L’impegno della Congregazione Salesiana per il mondo del lavoro, 1985 (EgidioViganò) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1191. Le Costituzioni e il mondo del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1192. I Regolamenti e il mondo del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1233. Il Salesiano Coadiutore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1244. Idee e sintesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1255. Dibattito e chiarimenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1285.1. Il CNOS-FAP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1285.2. Pastorale e Formazione Professionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1285.3. Evangelizzare il mondo del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1295.4. Cultura del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1295.5. Formazione del salesiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1305.6. Ratio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 130
Preparazione dei Salesiani per il mondo del lavoro, 1982 (Juan Vecchi) . . . . . . . . 1311. Alcune constatazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1312. Coscienza e senso «pastorale» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1353. Incarnazione culturale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1384. La qualificazione educativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1435. Prassi di animazione comunitaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1466. Conclusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 147Contributi dei gruppi e scambio in Assemblea dopo la relazione . . . . . . . . . . . . . . . . 147
La Formazione Professionale e l’educazione per il lavoro nel progetto educativopastorale salesiano, 2009 (Pascual Chavez) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1511. Cammino realizzato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1512. Alcuni criteri fondamentali per l’impegno salesiano nell’educazione e FormazioneProfessionale dei giovani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1532.1. I giovani che s’avviano al lavoro, i giovani lavoratori e i giovani disoccupatidestinatari specifici della nostra missione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1532.2. Un’educazione integrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1532.3. La pedagogia del lavoro come un elemento importante in una formazioneintegrale salesiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1542.4. Un orientamento evangelico che apre e dispone all’evangelizzazione . . . . . . 1543. Alcune preoccupazioni importanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1553.1. Bisogno di un appoggio particolare alla Formazione Professionale . . . . . . . . 1553.2. Assicurare un’educazione integrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1553.3. L’inserimento nel mondo del lavoro dei giovani che finiscono la formazione 1563.4. L’integrazione di queste opere e servizi nel Progetto educativo-pastorale del-l’Ispettoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1563.5. L’auto-sostenibilità dei Centri di Formazione Professionale e dei programmidi avviamento al lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1564. Alcune esigenze fondamentali da curare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 157
235
Il servizio dei Salesiani d’Italia a favore dei giovani nella Scuola e nella Forma-zione Professionale, 2010 (Pascual Chávez Villanueva) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 159Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1591. Chiamati da Dio per una missione nella scuola e FP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1601.1. Una missione ecclesiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1601.1.1. Fides et Ratio: l’amore per la verità vocazione dell’intelligenza . . . . 1601.1.2. Deus caritas est: la verità dell’amore nel sacrificio di Dio . . . . . . . . . 1641.1.3. Spe Salvi: destino escatologico e verità della storia . . . . . . . . . . . . . . 1661.1.4. Caritas in veritate: nel dono la verità della libertà . . . . . . . . . . . . . . . 1691.2. ...Secondo il carisma salesiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1721.2.1. Il criterio oratoriano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1721.2.2. Il CG23 e CG26: la Spiritualità salesiana e la Nuova Evangelizzazione 1741.2.3. CG24 e CG25: il carisma di don Bosco nella comunità salesiana enella CEP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1781.2.4. Il coordinamento nazionale e il progetto Europa . . . . . . . . . . . . . . . . . 1802. Sfidati da una nuova situazione culturale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1842.1. La “Stimmung” postilluminista . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1842.1.1. Smarrimento della memoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1852.1.2. Apostasia silenziosa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1872.1.3. Cultura di morte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1882.1.4. Speranze artificiali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1902.2. I modelli antropologici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1922.2.1. “Self-made-man”: la libertà di Prometeo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1932.2.2. “Cyber-man”: le navigazioni di Ulisse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1952.2.3. “Fit-man”: il corpo di Narciso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1992.2.4. “Excited-man”: l’esperienza di Icaro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2013. Impegnati in una rinnovata azione personale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2033.1. Il Vangelo della famiglia: koinoniana salesiana e prossimità educativa . . . . . 2053.2. Il Vangelo della verità: educazione salesiana e “martyria” della fede . . . . . . . 2063.3. Il Vangelo della speranza: “leitourgia” salesiana ed escatologia della vita . . . 2083.4. Il Vangelo della carità: “diakonia” salesiana e compimento della libertà . . . . 210
La pastorale giovanile salesiana, 2010 (Pascual Chávez Villanueva) . . . . . . . . . . . 2131. I diversi settori della pastorale giovanile salesiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2131.1. La Scuola e il mondo dell’educazione formale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2131.2. La Formazione Professionale e la preparazione per il lavoro . . . . . . . . . . . . . 215
Allegati - Don Pasquale Ransenigo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 221
Un breve profilo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 223
Bibliografia dei principali scritti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 229
Indice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 231
237
Pubblicazioni nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP
“STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE”
ISSN 1972-3032
Sezione “Studi”
2002 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimenta-
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CIOFS/FP SICILIA (a cura di), Vademecum. Strumento di lavoro per l’erogazione dei servizi
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MALIZIA G. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della
FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto sul follow-up, 2003
2004 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XV seminario di formazione europea. Il sistema dell’istruzione
e formazione professionale nel contesto della riforma. Significato e percorsi, 2004
CIOFS/FP SICILIA (a cura di), Opportunità occupazionali e sviluppo turistico dei territori di
Catania, Noto, Modica, 2004
CNOS-FAP (a cura di), Gli editoriali di “Rassegna CNOS” 1996-2004. Il servizio di don
Stefano Colombo in un periodo di riforme, 2004
MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. (a cura di), Le parole chiave della forma-
zione professionale, 2004
RUTA G., Etica della persona e del lavoro, 2004
2005 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XVI seminario di formazione europea. La formazione professio-
nale fino alla formazione superiore. Per uno sviluppo in verticale di pari dignità, 2005
D’AGOSTINO S. - MASCIO G. - NICOLI D., Monitoraggio delle politiche regionali in tema di
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PIERONI V. - MALIZIA G. (a cura di), Percorsi/progetti formativi “destrutturati”. Linee guida
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zione professionale. II edizione, 2007
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di Lisbona a partire dalla formazione superiore non accademica. Rapporto finale, 2008
2009 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1977, vol. 1, 2009
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professionale. Il ruolo della rete formativa. Rapporto finale, 2009
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2011 ROSSI G. (a cura di), “Fare gli italiani” con l’educazione. L’apporto di don Bosco e dei Sale-
siani, in 150 anni di storia, 2011
GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1997, vol. 2
2012 MALIZIA G., Sociologia dell’istruzione e della formazione. Una introduzione, 2012
NICOLI D., Rubriche delle competenze per i Diplomi professionali IeFP. Con linea giuda per
la progettazione formativa, 2012
MALIZIA G. - PIERONI V., L’inserimento dei giovani qualificati nella FPI A.F. 2009-10, 2012
Sezione “Progetti”
2003 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La promozione delle capacità personali. Teoria e prassi, 2003
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proccio metodologico e proposte di strumenti, 2003
CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), Le competenze orientative. Un approccio metodologico e
proposte di strumenti, 2003
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guida alla compilazione delle unità didattiche, 2003
COMOGLIO M. (a cura di), Prova di valutazione per la qualifica: addetto ai servizi di impresa.
Prototipo realizzato dal gruppo di lavoro CIOFS/FP, 2003
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GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo, 2003
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MARSILII E., Guida per l’accompagnamento al lavoro dipendente, 2003
TACCONI G. (a cura di), Insieme per un nuovo progetto di formazione, 2003
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2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz-
zati. Comunità professionale alimentazione, 2004
CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz-
zati. Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2004
CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz-
zati. Comunità professionale commerciale e delle vendite, 2004
CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e
guida alla compilazione delle unità didattiche, 2004
CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz-
zati. Comunità professionale estetica, 2004
CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz-
zati. Comunità professionale sociale e sanitaria, 2004
CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz-
zati. Comunità professionale tessile e moda, 2004
CIOFS/FP BASILICATA, L’orientamento nello zaino. Percorso nella scuola media inferiore.
Diffusione di una buona pratica, 2004
CIOFS/FP CAMPANIA (a cura di), ORION tra orientamento e network, 2004
CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz-
zati. Comunità professionale elettrica e elettronica, 2004
CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz-
zati. Comunità professionale grafica e multimediale, 2004
CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz-
zati. Comunità professionale meccanica, 2004
CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz-
zati. Comunità professionale turistica e alberghiera, 2004
NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema del-
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2005 CIOFS-FP SICILIA (a cura di), Operatore Servizi Turistici in rete. Rivisitando il progetto:
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mento Lavorativo, 2005
CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz-
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NICOLI D., Linee guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2008
NICOLI D., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello stato dell’arte
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RUTA G. (a cura di), Vivere con... 2. La relazione. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008
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CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale.
Comunità professionale grafica e multimediale, 2010
CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale.
Comunità professionale elettrica ed elettronica, 2010
CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale.
Comunità professionale automotive, 2010
CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per l’orientamento nella Federazione CNOS-FAP, 2010
CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale.
Comunità professionale turistico-alberghiera, 2010
2011 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A. (a cura di), “Cittadini si diventa”. Il contributo
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Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma
Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@donbosco.it
Febbraio 2013