Per una nuova Formazione Professionale dei saleasiani d'Italia. Indagine tra gli allievi dei Centri di Formazione Professionale

Autore: 
Vito orlando
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2014
Numero pagine: 
150
Codice: 
978-88-95640-61-7
Vito OrlAndO PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE DEI SALESIANI D’ITALIA Indagine tra gli allievi dei Centri di Formazione Professionale Anno 2014 Coordinamento scientifico: dario nicoli (Università Cattolica di Brescia) Hanno collaborato: Matteo d’AndrEA: Segretario nazionale settore Automotive. dalila drAzzA: Sede nazionale CnOS-FAP – Ufficio Metodologico-Tecnico-didattico. FIAT GrOUP Automobiles. Comunità professionale AUTOMOTIVE: Angelo AlIqUò, Gianni BUFFA, roberto CAVAGlIà, Egidio CIrIGlIAnO, luciano ClInCO, domenico FErrAndO, Paolo GrOPPEllI, nicola MErlI, roberto PArTATA, lorenzo PIrOTTA, Antonio POrzIO, roberto SArTOrEllO, Fabio SAVInO, Giampaolo SInTOnI, dario rUBErI. ©2014 By Sede nazionale del CnOS-FAP (Centro nazionale Opere Salesiane - Formazione Aggiornamento Professionale) Via Appia Antica, 78 – 00179 roma Tel.: 06 5137884 – Fax 06 5137028 E-mail: cnosfap.nazionale@cnos-fap.it – http: www.cnos-fap.it SOMMARIO Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 Capitolo primo Dati personali ed esperienza formativa degli allievi dei CFP salesiani d’Italia . . 17 Capitolo secondo L’attuale realtà familiare degli allievi dei CFP salesiani d’Italia . . . . . . . . . . . . . . 43 Capitolo terzo Esperienze di vita degli allievi dei CFP salesiani d’Italia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81 Conclusioni La collaborazione educativa/formativa CFP e famiglie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131 Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139 Indice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141 3 5 Presentazione la Federazione CnOS-FAP, seguendo la spirito della vocazione salesiana di formare “buoni cristiani e onesti cittadini”, è da oltre trent’anni impegnata nella crescita educativa, professionale e spirituale dei giovani, attraverso i corsi di Istruzione e Formazione Professionale. Tale missione non può non tener conto, però, della continua evoluzione (nuovi modelli di famiglia, realtà virtuali in cui, spesso, gli allievi trovano rifugio, società sempre più multiculturali) della realtà giovanile che causa molteplici e diversificate reazioni in essi. In questo contesto si rivela indispensabile conoscere l’attuale realtà in cui vivono i giovani che frequentano i CFP e collaborare, in maniera più efficace e solidale, con le loro famiglie al fine di “capire – come spiega l’autore – quali strade stanno percorrendo gli allievi” e “farsi loro compagni di viaggio”. la Federazione considera quindi molto utili i risultati ottenuti dalla ricerca presentata dal Prof. Vito Orlando in questo volume e realizzata a livello nazionale, grazie anche alla disponibilità delle associazioni CnOS-FAP regionali e dei singoli CFP appartenenti alla Federazione. lo studio è stato effettuato sottoponendo un questionario e ha cercato di analizzare, in maniera peculiare, tutte le varie sfaccettature del singolo ragazzo, tenendo presente non solo la sfera personale ma anche quella familiare. Si è voluto anche comprendere quali siano state le motivazioni che hanno spinto i giovani a scegliere un percorso formativo all’interno dei CFP salesiani e quali sono le loro aspettative future. la ricerca ha ritenuto necessario “indagare”, inoltre, sulle abitudini e le passioni degli allievi al di fuori dei CFP e sul loro rapporto non solo con i genitori ma anche con i formatori, i compagni (sempre più spesso appartenenti ad altre culture) e con la fede. Il riuscire ad avere una visione globale della persona ha portato a delineare dei punti di collaborazione tra CFP e famiglia che si propongono come suggerimento per i vari Centri di Formazione Professionale salesiani. l’augurio è che la presente pubblicazione si riveli di stimolo e di incoraggiamento a tutti gli operatori (Salesiani e laici) che collaborano nei CFP della Federazione. La Sede Nazionale CNOS-FAP 7 Introduzione l’esigenza irrinunciabile della collaborazione solidale tra le famiglie e i Centri di Formazione Professionale (CFP) per l’educazione degli allievi ha fatto nascere il bisogno di conoscere più da vicino gli allievi dei CFP. l’efficacia dell’azione educativa, infatti, soprattutto oggi, ha bisogno sia di collaborazioni educative, sia di ascolto attento degli adolescenti e giovani per comprendere i bisogni della loro crescita. Tale collaborazione, peraltro, diventa irrinunciabile, poiché è ormai diffusa e condivisa la consapevolezza della difficoltà, da parte degli adulti, di adempiere il compito educativo, insieme alla convinzione che nessuno può educare da solo, essendo i ragazzi esposti ad una molteplicità di stimoli formativi, spesso anche in aperto conflitto fra di loro o segnati da una discontinuità che crea zone grigie in cui si verifica l’assenza di qualsiasi tensione educativa nelle esperienze vissute ordinariamente. Se non si cede alla duplice tentazione di abbandonare il campo e di rifugiarsi nella delega o di rinunciare del tutto a porsi il problema dell’educazione, bisogna sperimentare forme efficaci di collaborazione, di “patto educativo”, di reti educative territoriali efficaci. I Salesiani, consapevoli delle difficoltà che incontrano oggi nella realizzazione della loro missione educativa, hanno fatto la scelta di riflettere per trovare modi efficaci di collaborazione con le famiglie. Pertanto hanno programmato un Convegno per i coordinatori dei vari livelli di Scuola e dei CFP con l’obiettivo di tracciare una strada efficace di dialogo con le famiglie per l’educazione dei figli. Occorre perciò cercare di capire quali strade stanno percorrendo gli allievi per farsi loro compagni di viaggio. la ricerca realizzata a livello nazionale (in verità si tratta di quattro ricerche con elementi comuni trasversali alle esperienze di vita degli allievi dei vari cicli scolastici e dei CFP) ha consentito la conoscenza di aspetti molto importanti della vita degli allievi e può essere una vera opportunità per un avvio efficace di collaborazione educativa Salesiani-famiglie. 1. LA RICERCA: MOTIVAZIONI, REALIZZAZIONE, RISULTATI Come abbiamo già indicato, l’indagine, nelle sue diverse espressioni e concretizzazioni, ha avuto come obiettivo fondamentale la ricerca di prospettive nuove per la collaborazione educativa con le famiglie, aprendo nuove strade di dialogo di solidarietà educativa. 8 Un’attenta riflessione sulla realtà attuale degli allievi dei CFP, il confronto con gli operatori e la valutazione di ricerche precedenti, ha portato alla costruzione di uno strumento di rilevazione (il questionario) molto elaborato e strutturato in quattro parti fondamentali. la prima parte è volta ad identificare la realtà personale e familiare degli allievi dei CFP: chi sono? qual è stato il loro percorso di studi? da quali famiglie provengono? l’identificazione di coloro che frequentano i CFP, la loro provenienza familiare, la scelta del CFP salesiano e le sue motivazioni, la situazione attuale e i possibili miglioramenti, la corrispondenza tra le attese e quello che viene offerto nei CFP, la qualità delle relazioni con i formatori e la specificità salesiana del clima delle relazioni, sono gli elementi essenziali che vogliamo presentare alla riflessione comune. la seconda e la terza parte del questionario mirano ad approfondire la conoscenza dell’attuale realtà ed esperienza di vita in famiglia degli allievi dei CFP. Si tratta di un’attenzione di conoscenza di grande rilevanza in vista di una collaborazione educativa più efficace, di un patto educativo che si intende attivare per accompagnare la maturazione e le scelte di vita degli allievi dei vari CFP. la nostra attenzione è andata anzitutto al vissuto relazionale nelle sue diverse espressioni e concretizzazioni: rapporti, dialogo, fiducia e confidenza, informazioni sulla vita e le scelte concrete della quotidianità. non possiamo trascurare, inoltre, le funzioni e i ruoli educativi della famiglia: valori trasmessi, guida nei comportamenti e regole di vita, attese e conflitti. Poiché la finalità di questa attenzione conoscitiva è quella di verificare prospettive possibili di collaborazione educativa Centri-famiglia, la terza parte del questionario ha inteso valutare ciò che si sta già facendo per vedere come potrebbe essere incrementato e valorizzato ulteriormente o se, viceversa, sono necessarie delle conversioni di rotta. l’ultima parte del questionario focalizza l’attenzione conoscitiva sulla realtà attuale dell’esperienza concreta della vita degli allievi dei CFP, cercando anzitutto di cogliere valutazioni, desideri, preoccupazioni, insieme all’apertura a orizzonti di trascendenza e a vissuti particolarmente significativi per la crescita personale. l’attenzione alle esperienze di vita cerca inoltre di verificare comportamenti e vissuti, nonché cogliere i riferimenti importanti per la vita in situazioni di difficoltà. q uesti due aspetti fondamentali del vissuto esperienziale consentono di conoscere gli elementi costitutivi della vita, dei suoi orientamenti, fondamenti e rischi. Vi sono attualmente altre situazioni che consentono di approfondire la vita concreta nei suoi condizionamenti e anche nelle sue aperture, disponibilità e senso etico complessivo. Tutto questo regola le scelte e le valutazioni di comportamenti particolari; attraversa non solo l’immaginazione, ma può diventare “azione” di particolare rilevanza. 9 la vastità delle tematiche oggetto di analisi della ricerca fa intravedere chiaramente la pluralità di attenzioni che ha guidato tutto il lavoro. Insieme alla preparazione del questionario si è cercato di ottenere una precisa conoscenza della consistenza della presenza dei CFP nelle diverse regioni d’Italia, per poter estrarre un campione rappresentativo di allievi, di cui precisiamo la provenienza e le caratteristiche. Sono stati selezionati 738 allievi dei CFP da 11 regioni diverse. Più dei due terzi (68.2%) provengono da regioni del nord (di cui il 42.9% dal Piemonte, il 25.6% dal Veneto e solo il 9.5% dalla lombardia); il 16.8% da regioni del Centro (più della metà di questi sono nel lazio) e il restante 15% dalle due regioni meridionali in cui sono attivi dei CFP salesiani (poco meno di tre su quattro di questi ultimi sono allievi di Centri siciliani). l’81.3% degli allievi che ha compilato il questionario è costituito da maschi che frequentano, nella stragrande maggioranza, corsi relativi al settore secondario; le ragazze rappresentano il 18.4% del campione e frequentano soprattutto corsi del settore terziario. Sette allievi su dieci hanno un’età compresa tra i 15 e i 17 anni, con un gruppo quasi uguale di allievi di 14 e di 18 anni. Sono molto pochi (24 in tutto) coloro che hanno 19-20 anni. la fondamentale disponibilità dei responsabili e dei CFP regionali ha consentito di realizzare una ricerca che può essere ritenuta sostanzialmente rappresentativa e significativa a livello nazionale, anche se la rappresentatività della lombardia è piuttosto ridotta. Tutto questo significa che i risultati della ricerca e le analisi che presentiamo nei capitoli successivi possono essere di valido riferimento per le scelte che a livello di collaborazione educativa si cercherà di attuare. 2. CONTRIBUTO DELLA RICERCA PER L’ATTUAZIONE DELLA “NUOVA FILOSOFIA EDUCATIVA” DELLA IEFP la ricerca, con la conoscenza che ha consentito dell’identità e dell’esperienza di vita degli allievi dei CFP, potrà dare un valido aiuto per poter concretizzare il salto di qualità che la nuova IeFP è chiamata a realizzare “in una prospettiva formativa capace di risvegliare l’umanità dei nostri giovani: rendere esplicito il proprio profilo educativo, per formare lavoratori competenti, cittadini attivi e consapevoli, persone capaci di vivere in modo autentico la propria libertà”1. la conoscenza della realtà degli allievi potrà anche facilitare la “progettazione formativa” e la realizzazione di “ambienti di apprendimento” poiché, attin- 1 nICOlI d., Rubriche delle competenze per i Diplomi professionali IeFP. Con Linee guida per la progettazione formativa, CnOS-FAP, 2012, 9. 10 gendo dalla realtà di vita e di percorso formativo degli allievi, gli operatori possano puntare su una “formazione e problemi” presenti e assunti dalla situazione reale. “In questo modo, gli allievi sono stimolati a scoprire la cultura facendone esperienza concreta, diventando corresponsabili del proprio percorso educativo e formativo”2. questa concretizzazione, come vera mediazione della nuova filosofia educativa incarnata nella situazione concreta degli allievi, è la via più efficace del rinnovamento dei CFP ed è anche la fattiva espressione della “passione educativa” degli operatori dei CFP che con il loro “carisma ed entusiasmo” hanno sempre saputo trasmettere “un personale e genuino interesse verso le sorti dei ragazzi, hanno fatto comprendere loro come ci fosse qualcuno che ne aveva davvero a cuore le sorti e che era disposto ad aiutarli concretamente. Ciò generava un’empatia nel rapporto docente-discente che è stato in molti casi il motore della rinascita psicologica e motivazionale dei ragazzi più sfiduciati”3. Tutto questo ha trovato la sua immediata espressione nelle “metodologie formative partecipative” che sono servite in questi anni a rimotivare i ragazzi, a farli emergere da problematiche situazioni personali e familiari, a “mobilitare un interesse che la scuola non era riuscita ad attivare” e a “restituire al ragazzo fiducia nei suoi mezzi e nelle sue possibilità”4. queste sono le ragioni del successo dei percorsi formativi della IeFP secondo i due operatori dell’Isfol Emmanuele Crispolti e Anna d’Arcangelo. la qualità del percorso formativo potrà esprimersi in una reale prospettiva educativa attenta all’apprendimento personale e alla padronanza del sapere, se incrementato e attuato anche mediante una significativa interazione con gli altri. questo è il modo efficace di mettere in atto una vera esperienza di vita che aiuta il giovane ad acquisire consapevolezza delle proprie capacità e anche a saper essere riconoscente per quanto viene fatto per lui da un formatore amico che cerca anzitutto il bene dell’allievo. la conoscenza della realtà dell’allievo (promossa dai risultati della ricerca e mediata con attenzione agli allievi dei CFP in cui si opera) e la possibilità di trovare le mediazioni più significative per renderlo protagonista nel suo processo formativo, possono anche consentire un rilancio efficace della “didattica delle competenze” 5. nel percorso formativo di preparazione al mondo del lavoro, la didattica delle competenze si concretizza come “imparare lavorando” (stando situati in una situazione concreta dove si mobilitano le risorse dei singoli per assolvere a compiti reali e risolvere i problemi che possono presentarsi) e “imparare a lavorare”, cioè vi- 2 Ibidem. 3 Il Centro di Formazione Professionale si “rinnova”, in rassegna CnOS, 1 gennaio-aprile 2013, 177. 4 Ibidem. 5 Cfr. nICOlI d., Rubriche delle competenze, 6. 11 vendo un’esperienza di studio non rinchiusi in uno spazio ristretto, ma con riferimento all’intera realtà e alle sue componenti, per comprendere i processi e saper cogliere la cultura che ne deriva. la cultura, in questo modo di procedere, viene intesa, proposta e vissuta non come nozioni, ma come scoperta di un sapere di cui si coglie la corrispondenza “con i tratti del proprio mondo personale”6. 2.1. La conoscenza degli allievi e l’accompagnamento per formarli alla cultura del lavoro la valenza educativa professionale della IeFP deve aiutare a scoprire e leggere la realtà in cui ci si deve inserire con consapevolezza e responsabilità per il bene comune. l’esperienza attivata nel CFP deve aiutare a comprendere la valenza culturale del lavoro, ma questo non potrà verificarsi senza collocarsi nella realtà in cui i significati del vivere si mettono in gioco e si esprimono. questo richiede una concreta incarnazione del CFP nel territorio, la sua apertura e interazione in una efficace alternanza o quanto meno esperienza significativa con una concreta realtà lavorativa. la scoperta del mondo del lavoro e del modo di agire in esso saranno facilitate confrontandosi con le sfide che l’insieme della nuova filosofia educativa pone: • una Formazione Professionale con una chiara impronta culturale che renda gli allievi soggetti consapevoli ed elaboratori di cultura, piuttosto che meri esecutori di compiti e applicatori statici di regole e procedure produttive; • la valorizzazione della “didattica delle competenze”, grazie alla quale diventa possibile “superare la tendenza ad insegnare per abilità e procedure, dove si pone l’enfasi esclusivamente sulla diligenza e stimolare, invece, i giovani a fronteggiare compiti e problemi che contemplino anche l’imprevisto, nella prospettiva dell’autonomia e della responsabilità”7, da cui possono essere generate anche nuove e creative forme di lavoro. nell’attuale composizione e funzionamento del mondo del lavoro e di fronte alle problematiche insite nello stesso mercato del lavoro, non bastano più l’acquisizione di abilità e la consapevolezza di procedure quasi meccaniche. nella situazione della complessità attuale è indispensabile, invece, una certa flessibilità nella comprensione del piano di azione e la pluralizzazione e il dinamismo della capacità di attuazione e di verifica nel processo di realizzazione per le opportune/necessarie correzioni che consentano di giungere a un valido risultato secondo le aspettative di quanti (interni ed esterni) valutano il percorso formativo. Alla luce di queste due prime esigenze o sfide, appare del tutto sconsiderata ogni tendenza a ridurre i livelli di qualità professionale, cedendo alle difficoltà che gli allievi dei CFP possono esprimere. Proprio perché si possa essere nella condi- 6 Ibidem, 17. 7 nICOlI d., Rubriche delle competenze, 6. 12 zione di adeguare il percorso senza mortificarne le esigenze di professionalità, la conoscenza della realtà degli allievi può essere di notevole aiuto. Si tratta di verificare le reali condizioni e le disponibilità degli allievi che entrano nei percorsi di IeFP, per valutare i migliori adeguamenti delle offerte formative, ma anche i più efficaci stimoli per un loro effettivo impegno di corresponsabilità nella formazione. Tutto ciò comporta non poche difficoltà, ma in questo bisogna investire tutta la visione positiva sulle capacità degli allievi e insieme la più efficace strategia formativa didattica a partire dalle situazioni concrete degli allievi stessi. la ricerca dice chiaramente che ci possono essere problemi di varia natura e resistenze nel processo formativo e queste dipendono da vari fattori e situazioni pregresse o ancora attuali. Si tratta di esserne consapevoli e di riuscire a farsi carico di un percorso di formazione integrale che aiuti a recuperare e superare fattori che possono appesantirne il cammino. 2.2. La conoscenza degli allievi e lo specifico salesiano della “nuova filosofia educativa nei CFP” quanto abbiamo detto precedentemente è già profondamente collegato alla finalità educativa salesiana. Vogliamo, tuttavia, richiamare ancora qualche attenzione specifica, collegandola a quanto la ricerca potrà offrirci. l’indagine ci aiuterà a capire le sfide del nostro tempo circa le prospettive e le mete proposte ai giovani nel cammino della loro vita. Bisogna cercare di cogliere e comprendere bene che cosa incide sulla visione della vita e quali condizionamenti incontrano nella costruzione della loro identità. È importante, inoltre, riuscire anche a riconoscere le immagini che essi riescono a maturare del lavoro e del mondo del lavoro. la ricerca consentirà di entrare nel mondo dei giovani e cogliere i rischi di estraneazione dalla realtà, i pericoli che essi corrono irretiti dalla ideologia consumistica e la difficoltà di cogliere in modo concreto il rapporto con il contesto sociale circostante. Si tratta di trovare le vie, le condizioni e di creare contesti giusti perché gli allievi siano messi in grado di riconoscere la realtà e di comprendere come possano mettere in gioco la loro vita attraverso la via della Formazione Professionale e ritrovare il senso pieno della loro realtà umana e la conquista di un modo concreto per vivere pienamente la vita in tutte le sue capacità e potenzialità. la fiducia in ogni allievo deve guidare i Salesiani e tutti i formatori dei CFP salesiani a far nascere in loro fiducia, riuscendo a “illuminare la mente per rendere buono il cuore”8 e aiutandolo a esprimere il suo “tesoro di umanità”. “Il nostro compito consiste nell’agire con dedizione, cultura e metodo, al fine 8 BOSCO G., Scritti pedagogici e spirituali, lAS, roma, 1987, 32. 13 di risvegliare l’umanità di ogni giovane che ci viene affidato, conquistandolo con l’amorevolezza ed ottenendone così la fiducia”9. Creare un ambiente educativo capace di risvegliare il desiderio di conoscere e di sperimentare con fiducia in un percorso di vita di cui si riesce già a gustare la possibile riuscita, è l’obiettivo irrinunciabile di ogni CFP salesiano per ogni giovane che lo frequenta. Per una maggiore efficacia e capacità di affrontare le sfide del nostro tempo e accompagnare i giovani verso traguardi gioiosi della loro crescita personale, bisogna saper valorizzare la strategia formativa della progettualità che riesca a ridare vigore ed efficacia a modalità operative e pedagogiche che hanno bisogno di essere ripensate. la progettazione educativa consente di superare dispersioni, improvvisazioni e rischio di perdere il riferimento antropologico. “Un progetto formativo bene impostato, organico, centrato su principi pedagogici solidi”10 è una “operazione unificante della mentalità e degli interventi e allo stesso tempo come atteggiamento innovativo, capace di seguire il ritmo della realtà e di dare risposte adeguate alle domande e proporzionate alle possibilità”11. Perché lo specifico salesiano sia colto nel suo significato più vero e profondo non possiamo non richiamare il riferimento e fondamento ultimo del discorso precedente. Il progetto di intervento del salesiano e di quanti operano nei CFP salesiani è un progetto “educativo-pastorale”. I Salesiani si dedicano all’educazione come loro carisma specifico (CG 21, 15) e “la dimensione educativa è così interna alla missione e allo stile pastorale salesiano che viene inserita in tutti i programmi e caratterizza tutte le strutture e tutti gli ambienti”12. la visione educativa li guida a inserire i giovani nella società (non soltanto nel processo di produzione), aiutandoli a “costruire una personalità unificata. Il buon cittadino e il buon cristiano si fondono nel lavoratore competente e critico, con volontà e capacità di partecipare alla cultura”13. Accompagnare gli allievi perché giungano a piena consapevolezza del significato e della cultura del lavoro, aiutarli a capire che questo è l’ambito in cui si attrezzano per essere protagonisti della costruzione delle sorti dell’umanità, comporta necessariamente l’importanza di guidare gli allievi a saper aprirsi ad una visione del lavoro, alla luce del progetto di dio e prepararli a una lettura di tutto il mondo del lavoro non aliena dal Vangelo e dall’opera di Cristo per la redenzione del mondo14. 9 nICOlI d., Rubriche delle competenze, 22. 10 Ibidem, 23. 11 VECChI J., Preparazione dei Salesiani per il mondo del lavoro, 1982, in Cultura Associativa e Federazione CNOS-FAP. Storia e Attualità, a cura del CnOS-FAP, 2012, 146. 12 VECChI J., Preparazione dei Salesiani, 143. 13 Ibidem. 14 Cfr., Ibidem, 138. 14 Gli educatori-formatori si impegnano pertanto a collocare (incarnare) il messaggio evangelico nella cultura e ambito concreto in cui gli allievi si giocano il senso della vita. Proprio per questo si richiede una significativa qualificazione educativa- pastorale di quanti, operando in ambiente salesiano, vogliono far vivere un’esperienza formativa che accompagni a scoprire il valore della vita, il significato della professione e l’apertura a orizzonti di salvezza. Tutto questo viene indicato dal rettor Maggiore don Chavez come impegno per “offrire un processo di evangelizzazione realmente inserito nella dinamica educativa e lavorativa”15. Una “evangelizzazione veramente integrata nel mondo dei giovani lavoratori” e che per essere significativa ed efficace deve “curare in modo particolare i seguenti aspetti: – offrire agli allievi una visione umanista ed evangelica della realtà sociale, economica e del mondo del lavoro, attraverso la lezione di religione o di formazione morale e lo studio della dottrina Sociale della Chiesa; – proporre esperienze spirituali e di apertura a dio, sia nella vita ordinaria sia in momenti significativi di essa, con un processo graduale di iniziazione alla preghiera e alla celebrazione; – offrire anche esperienze di servizio gratuito e solidale verso i più poveri, cominciando da quelli del proprio ambiente; – proporre momenti espliciti di evangelizzazione e di educazione alla fede attraverso gruppi adeguati alla loro sensibilità e ai loro bisogni; – collegarsi con le iniziative pastorali della Chiesa nel mondo del lavoro e facilitare ai giovani la loro partecipazione”16. Alla luce di quanto abbiamo velocemente indicato come specifico dell’offerta salesiana per gli allievi dei CFP, nascono non poche domande: come poter fare tutto questo con i nostri allievi oggi, tenuto conto della loro diversità culturale, sociale, religiosa? Come possiamo presentarci con queste idee guida ai genitori e coinvolgerli nell’opera educativa perché sia efficace? diventa indispensabile conoscere i risultati della ricerca per poter far tesoro di quanto emerge e che ci consente di conoscere in modo adeguato la loro realtà, disponibilità, esperienza familiare e sociale. Proprio per questo offriamo l’analisi dei risultati della ricerca indicando gli aspetti fondamentali dei suoi contenuti, molto ricchi e di ampio spettro. l’analisi dei dati che presentiamo segue la struttura e le parti del questionario, con una distribuzione delle analisi in tre capitoli. l’ultimo paragrafo di ogni capitolo è un approfondimento di analisi dei dati. Abbiamo fatto delle analisi fattoriali per cercare di giungere alla migliore interpre- 15 ChAVEz P., la Formazione Professionale e l’educazione per il lavoro nel progetto educativo pastorale salesiano, 2009, in Cultura Associativa e Federazione CNOS-FAP. Storia e Attualità, a cura del CnOS-FAP, 2012, 217. 16 Ibidem, 117-118. 15 tazione possibile dei dati esaminati e ricavare, in modo più corretto, prospettive operative significative con riferimento ai contenuti specifici dei singoli capitoli. queste conclusioni operative dei capitoli sono offerte perché ciascun CFP, alla luce delle situazioni specifiche o anche del progetto educativo che sta cercando di portare avanti, sia meglio sostenuto nell’individuazione degli obiettivi del progetto e anche nei percorsi operativi. le conclusioni generali che presentiamo alla fine del lavoro sono più specificamente orientate a individuare situazioni e prospettive operative che rendano possibile ed efficace la collaborazione educativa fra famiglie e CFP. Proprio per questo obiettivo abbiamo approfondito ulteriormente le analisi dei dati con una cluster analysis per riuscire a raggruppare le famiglie in tipologie concrete e valutare le reali possibilità di mettere in atto collaborazioni educative significative con esse. I risultati della cluster possono aiutare a migliorare l’attuale situazione delle famiglie e la loro collaborazione dei CFP. Per dare contenuto e sostanza a queste collaborazioni, abbiamo anche cercato di individuare le prospettive più efficaci della collaborazione educativa formativa fra CFP e famiglie. 17 Capitolo primo Dati personali ed esperienza formativa degli allievi dei CFP salesiani d’Italia la prima attenzione della nostra analisi è volta a identificare la realtà personale e familiare degli allievi dei CFP: chi sono? quale è stato il loro percorso di studi? da quali famiglie provengono? la risposta a queste domande servirà a chiarire alcune precomprensioni che accompagnano l’immaginazione comune circa l’identificazione di coloro che frequentano i CFP, che sono visti come una scelta di ripiego da parte di allievi non in grado di reggere i ritmi, gli obiettivi e i contenuti di una Scuola Secondaria superiore, per mancanza di capacità personali e/o di opportunità domestiche. È anche importante precisare la provenienza familiare di questi ragazzi, perché anche su questa appartenenza non mancano letture usuali piuttosto problematiche e preconcette. In questo primo capitolo di analisi dei dati della ricerca ci occuperemo di questi aspetti e anche della scelta del CFP salesiano e delle sue motivazioni, della situazione attuale e dei possibili miglioramenti. non meno importanti sono anche le analisi circa la corrispondenza tra le attese e quello che viene offerto nei CFP, la qualità delle relazioni con i formatori e la specificità salesiana del clima relazionale. 1. REALTÀ PERSONALE E FAMILIARE DEGLI ALLIEVI DEI CFP SALESIANI IN ITALIA Un primo elemento utile da sottolineare nella precisazione della realtà degli allievi del nostro campione si riferisce alla consistenza del campione e all’appartenenza geografica degli allievi selezionati. questi aspetti li abbiamo già presentati nell’introduzione. Adesso ci soffermeremo sulle altre caratteristiche dei soggetti che sono entrati a far parte del campione della ricerca. 1.1. La realtà personale degli allievi dei CFP salesiani d’Italia l’81.3% degli allievi che ha compilato il questionario è costituito da maschi che frequentano, nella stragrande maggioranza, corsi relativi al settore secondario; le ragazze rappresentano il 18.4% del campione e frequentano soprattutto corsi del settore terziario. Volendo precisare ulteriormente il settore professionale scelto per 18 il proprio percorso formativo, complessivamente, il 71.3% frequenta un corso di qualifica nel settore secondario (di questi il 2.4% sono ragazze) e il 24.7% nel settore terziario (di cui il 34.1% maschi). Sette allievi su dieci hanno un’età compresa tra i 15 e i 17 anni, con un gruppo quasi uguale di allievi di 14 e di 18 anni. Sono molto pochi (24 in tutto) coloro che hanno 19-20 anni. nelle analisi dei dati della ricerca sono stati distinti due gruppi in base all’età: 14-16 anni (57.3%) e 17-20 anni (38.9%). Con questa distinzione si è voluto portare l’attenzione alla prima fase dell’adolescenza e a quella successiva, per poterne cogliere evoluzioni e novità importanti per il cammino formativo. dalla distinzione per fasce di età, secondo cui sono stati raggruppati gli allievi, non si ottiene la precisazione dei corsi di qualifica a cui si è iscritti, poiché il 91.3% dei più piccoli sta frequentando un corso triennale e allo stesso tipo di percorso formativo sono iscritti anche il 73.9% di quelli che hanno 17-20 anni. Complessivamente, l’84.6% sta frequentando un corso di qualifica triennale, mentre l’11.7% segue un corso biennale e il 3.5% uno quadriennale. In questi due ultimi tipi di qualifica, prevalgono tuttavia allievi di età più avanzata. Un aspetto molto significativo in questa precisazione della realtà degli allievi dei CFP intervistati è certamente il loro percorso formativo scolastico. normalmente si ritiene la frequenza di un CFP come un ripiego, per un impatto o una permanenza problematica negli Istituti Secondari superiori. Per quanto non si possono non riconoscere delle situazioni di disagio nell’apprendimento, la realtà, nel suo complesso, appare molto meno accidentata di quanto si pensi e sostanzialmente simile a quella di tanti altri ragazzi, come si può leggere nella Tabella seguente, con la differenza che questi hanno cercato e costruito un’alternativa di studio più confacente alle loro esigenze e possibilità (segno questo di una certa maturità autovalutativa e di un sano realismo dei genitori che comunque si coinvolgono nelle difficoltà scolastiche dei figli), mentre quelli spesso sono in “galleggiamento” all’interno di scuole che non hanno interesse ad espellere i soggetti più deboli, limitandosi a offrire loro impegni meno esigenti ed obiettivi essenzializzati, Tabella n. 1 - Corsi di qualifica a cui si è iscritti secondo la zona geografica, il sesso e l’età (*) le percentuali della riga finale corrispondono alla consistenza delle singole variabili. (**) Il totale della prima colonna corrisponde alla totalità del campione. 19 pur di non disperdere la quantità di utenza necessaria alla propria persistenza istituzionale. È però importante valutare con attenzione quando si sono verificati degli incidenti di percorso, per comprendere come ha preso forma l’esigenza e la decisione di un cambiamento. Come si può osservare nella Tabella riportata, a partire dalla scuola media due ragazzi su dieci hanno registrato e talvolta confermato le difficoltà nel loro lavoro scolastico. Il numero diventa ancor più consistente al livello scolastico successivo: due su dieci sono stati bocciati almeno una volta e il 10.4% anche più volte, segno di evidenti errori nell’orientamento scolastico e di una perdita di continuità di apprendimento nel passaggio da un ordine all’altro di scuola. Purtroppo è impossibile inferire se l’aver sbagliato scelta ricade esclusivamente nelle responsabilità del ragazzo e della sua famiglia o è frutto anche di carenze istituzionali più ampie. È significativo però che l’insuccesso scolastico avvenga perlopiù nella fascia dell’Istruzione Secondaria, mentre sia molto ridotto quando l’alunno si colloca nell’ambito della Formazione Professionale, dove probabilmente incontra forme si accompagnamento più efficienti. Tornando ai valori presentati nella Tabella e per essere più precisi nella valutazione dei dati, bisogna tener conto anche di un fatto rilevante: il numero delle non risposte alla domanda riferita agli anni persi nel percorso formativo per bocciature o altri motivi. Mentre a livello di Scuola Professionale le percentuali mancanti possono essere rappresentate da coloro che si sono iscritti per la prima volta, non così è per gli altri livelli scolastici. 152 intervistati non hanno risposto circa le eventuali bocciature nella Scuola Elementare (20.5% sul totale); le risposte mancanti a livello di Scuola Media sono 85 (11.5% sul totale); a livello di Scuola Superiore le non risposte ammontano a 115 (15.6% del totale). queste percentuali, aggiunte a quelle che si riscontrano in Tabella, ci danno il quadro più preciso della situazione e confermano quanto abbiamo precedentemente affermato a livello analitico-interpretativo. dall’insieme, comunque, si deve certamente riconoscere, per una notevole percentuale degli iscritti ai corsi di Formazione Professionale, la presenza di qualche difficoltà a livello di percorso formativo pregresso, che non può certamente essere trascurata da parte dei formatori, perché potrebbe costituire un condizionamento oggettivo nell’apprendimento o influenzare la stessa motivazione allo studio. Si può ulteriormente precisare la situazione con riferimento alle zone geografi- Tabella n. 2 - Esperienze di bocciatura durante il percorso scolastico 20 che. Gli allievi dei CFP delle regioni del Centro Italia sono coloro che hanno avuto maggiori intoppi nel percorso scolastico e questo si è manifestato a tutti i livelli: sommando una e più volte, a livello di Scuola Media sono il 24.2% e per le Scuole Superiori raggiungono il 45%, senza contare coloro che non hanno risposto. È utile anticipare che nei CFP del Centro vi è una significativa percentuale di figli di immigrati che potrebbero essere arrivati da poco, con le relative difficoltà linguistiche, culturali e relazionali nell’inserimento nel percorso formativo scolastico italiano. le difficoltà per gli allievi dei CFP del nord iniziano in modo rilevante già nella Scuola Media e raggiungono il 26.4% nella Scuola Superiore; mentre nei CFP del Sud le difficoltà si riscontrano soprattutto ai livelli di Scuola Secondaria superiore, quando le bocciature superano il 30%, sommando chi è stato bocciato una e più volte. 1.2. La realtà familiare degli allievi dei CFP salesiani d’Italia Per cogliere meglio la realtà degli allievi che hanno compilato il questionario è importante precisare la loro appartenenza familiare. l’attenzione alla famiglia di appartenenza presenta alcune caratteristiche che devono essere ben comprese, soprattutto per valutarne l’incidenza nella vita concreta (anche nel percorso formativo) degli adolescenti di cui ci stiamo occupando. Otto allievi su dieci sono figli di genitori italiani, mentre il 13.7% è figlio di genitori entrambi immigrati e il 3.1% ha genitori di diversa cultura (un genitore italiano e l’altro/a proveniente da una nazione diversa). A costoro bisogna aggiungere il 2.7%, che non ha risposto e che potrebbe avere una situazione ulteriormente diversa. dall’insieme dei dati possiamo ricavare che due ragazzi su dieci che frequentano i CFP salesiani in Italia hanno situazioni familiari che rispecchiano l’attuale realtà di immigrazione e di incrocio di culture che si sperimenta nelle stesse realtà familiari1. questa condizione è presente soprattutto tra gli allievi dei CFP del Centro Italia (31.5% entrambi immigrati e il 4% uno italiano e l’altro/a no); è abbastanza significativa anche tra gli allievi dei CFP delle regioni del nord (12.3% entrambi immigrati e il 3.6% uno italiano e l’altro/a no). nessuna di queste situazioni viene evidenziata nei CFP delle regioni del Sud, ma il 13.5% degli allievi del Sud non ha risposto alla domanda e così ci sarebbe da chiedersi se, nel Meridione d’Italia, i figli degli immigrati vivono un pieno inserimento nei diversi ordini di scuole o se, al contrario, sono confinati in una marginalità e in una esclusione che impedisce loro di accedere a forme diverse di istruzione, forse meno condizionanti nel dialogo fra le diverse identità culturali, etniche, territoriali. 1 Per un’attenzione alla problematica derivante da situazioni di immigrazione, rimandiamo alla ricerca OrlAndO V., Attenzione ai migranti e Missione salesiana nelle società multiculturali d’Europa, roma, lAS, 2012. Ci occuperemo di questi aspetti nel prosieguo della ricerca e avremo un’attenzione specifica alla presenza di allievi di cultura diversa nei CFP salesiani per valutarne le conseguenze e le prospettive di intervento a livello educativo. 21 Insieme a questa diversità culturale, non possiamo trascurare l’attenzione anche ad altri aspetti della situazione della famiglia che possono incidere nella vita degli adolescenti. Il 78.5% vive con entrambi i genitori e questa situazione non ha variazioni di percentuali nelle diverse regioni italiane; un discreto gruppo (11.1%) vive con un solo genitore e questa situazione è presente soprattutto tra gli allievi delle regioni del Centro e tra quelli delle regioni del nord (per il Sud la percentuale è del 6.3%); il 5.6% vive con un genitore e il/la suo/a compagna/o; anche questa condizione è presente sia tra gli allievi dei CFP del Centro che del nord Italia. A costoro bisogna aggiungere il 2.6% che non ha risposto e il 2.3% che ha indicato una situazione diversa (tra gli allievi dei CFP del Sud vi è sempre il 13.5% che non ha risposto alla domanda). Se la situazione precedente evidenziava una realtà familiare con una diversità culturale al suo interno, l’ultima realtà esaminata illumina una particolare configurazione affettiva e relazionale, forse anche più problematica della precedente, nell’attuale vissuto e crescita degli adolescenti, perché situa eventuali difficoltà di integrazione non sul confine fra famiglia e società, ma all’interno del nucleo domestico, con esiti probabilmente più difficili da sopportare ed eventualmente modificare o rimuovere. Tabella n. 3 - La realtà familiare secondo la zona geografica, il sesso e l’età (*) le percentuali della riga finale corrispondono alla consistenza delle singole variabili. (**) Il totale della prima colonna corrisponde alla totalità del campione. Tabella n. 4 - Attualmente vivi con… secondo la zona geografica, il sesso e l’età (*) le percentuali della riga finale corrispondono alla consistenza delle singole variabili. (**) Il totale della prima colonna corrisponde alla totalità del campione. 22 dunque anche questa particolare realtà relazionale va presa in seria considerazione, anche per riuscire a trovare una significativa responsabilizzazione e collaborazione educativa con entrambi i genitori degli allievi dei CFP. Insieme alla realtà culturale e relazionale delle famiglie, si è voluto verificare il livello di studio dei genitori per poter avere un riferimento significativo nella valutazione del percorso scolastico formativo degli adolescenti. Per avere un quadro preciso anche del titolo di studio dei genitori riportiamo nella Tabella seguente la situazione, secondo le risposte date dagli allievi intervistati. I livelli scolastici dei genitori degli allievi dei CFP si collocano significativamente dalla Scuola Media in poi, con una percentuale non trascurabile, soprattutto tra le mamme, di un livello alto, che riguarda circa una su cinque di loro. questa situazione, tuttavia, è notevolmente diversa in riferimento alle situazioni territoriali. la percentuale dei papà degli allievi delle regioni del nord che ha raggiunto al massimo la licenza elementare è molto bassa (5.4%) e solo qualcuno non ha nessun titolo. Tra i papà degli allievi delle regioni del Centro Italia che hanno solo la licenza elementare la percentuale sale al 14.5% e il 4% non ha nessun titolo. le percentuali cambiano notevolmente per i papà degli allievi del Sud: il 20% ha solo la licenza elementare, il 3.6% nessun titolo e ben il 18% non ha indicato il titolo di studio. In riferimento alle mamme la situazione nelle regioni del nord non cambia; migliora al Centro e ancor più al Sud. Bisogna ancora precisare che tra gli allievi del Sud la percentuale di entrambi i genitori con un diploma di scuole superiori è molto bassa e non vi è nessuno che ha la laurea. Il quadro della realtà familiare che emerge dalle analisi fin qui proposte deve essere tenuto ben presente dai formatori e da tutta la comunità educativa dei CFP. Il livello scolastico e la diversità culturale delle famiglie di provenienza degli allievi in base al titolo di studio e all’immigrazione e, per certi aspetti, ancor più la situazione della famiglia e la sua costituzione attuale, hanno certamente conseguenze non irrilevanti per l’esperienza di vita e il percorso formativo degli allievi. E occorre tener subito presente che nel Sud i fattori problematici presentano una maggiore concentrazione e tendono a sommarsi fra di loro. Tabella n. 5 - Titolo di studio dei genitori degli allievi intervistati 23 2. LA SCELTA DEL CFP SALESIANO E LA SITUAZIONE ATTUALE DEL PERCORSO FORMATIVO Abbiamo già indicato il corso di qualifica e il settore lavorativo in cui si sta svolgendo attualmente il percorso formativo degli adolescenti che hanno compilato il questionario. Ora vogliamo precisare come sono giunti a fare la scelta di un CFP salesiano, le motivazioni che li hanno spinti a questa decisione e come stanno vivendo attualmente l’esperienza di studio e di formazione: se hanno difficoltà, se la trovano corrispondente alle proprie attese e se hanno suggerimenti per miglioramenti possibili del CFP che stanno frequentando. Per una verifica del percorso formativo che si sta vivendo, valuteremo anche le opinioni degli allievi circa le attività messe in atto per orientare a trovare lavoro. 2.1. La scelta e le sue motivazioni Per l’obiettivo formativo/educativo della ricerca e per la stessa visione della Formazione dei CFP salesiani, una lettura chiara della scelta effettuata, soprattutto se libera o imposta e delle motivazioni che ne sono all’origine sono molto importanti per cogliere le ragioni di eventuale resistenza e anche le attese e disponibilità. Per quanto riguarda la scelta, due sono le situazioni evidenziate nelle risposte. la stragrande maggioranza (61.9%, con una variazione tra gli allievi delle regioni del Centro che sono il 55.6%), ha affermato che la decisione è stata presa da adolescenti e genitori insieme. Un terzo circa (ben il 42.7% al Centro Italia) ha invece detto di aver scelto da solo di frequentare un CFP salesiano. le altre situazioni o motivi di scelta (i genitori hanno scelto senza chiedere il parere dei figli o in disaccordo con i figli) sono veramente rari in tutti i contesti territoriali. Molto variegato è invece il panorama delle motivazioni della scelta del CFP salesiano. Conviene subito evidenziare che un buon numero di adolescenti ha Tabella n. 6 - Scelta di iscriversi al CFP salesiano secondo la zona geografica, il sesso e l’età (*) le percentuali della riga finale corrispondono alla consistenza delle singole variabili. (**) Il totale della prima colonna corrisponde alla totalità del campione. 24 scelto il CFP salesiano perché non si è trovato bene nella scuola che stava frequentando (18.7%). Tale ragione è stata evidenziata soprattutto dagli allievi delle regioni del Centro Italia (30.6%). questa prima motivazione può anche evidenziare che si tratta di una situazione di ripiego, che va rimotivata e accompagnata perché possa essere valorizzata come una vera opportunità formativa per la loro vita. Tra le indicazioni offerte per esprimere le motivazioni possibili, la scelta degli allievi si è orientata prioritariamente su ciò che evidenzia, in modo particolare, la preparazione per la professione futura (30.9%) e il fatto che può consentire di trovare più facilmente lavoro (24.5%). Altre risposte sottolineano la qualità delle strutture e attrezzature (20.7%) e il tipo di insegnamento offerto, che è più pratico che teorico (20.1%) e dunque sembrerebbe corrispondere meglio ad un tipo specifico di intelligenza che invece non ha trovato opportune occasioni di investimento nel circuito della Scuola Secondaria superiore. Insieme alle strutture e al tipo di insegnamento, in questa area motivazionale possiamo far rientrare anche coloro che mettono in evidenza la preparazione dei formatori (7.9%), l’innovazione e sperimentazione che viene attivata nei Centri (4.6%) e la preparazione migliore che si può ottenere per proseguire gli studi (7.7%). Tra le indicazioni date, emerge anche la conoscenza dell’ambiente da parte della famiglia e la fiducia in esso (10.6%) e anche il fatto che il CFP salesiano risponde meglio alle esigenze della famiglia (5.8%). Alla famiglia si riferiscono anche altre due motivazioni che non sono state messe in significativo rilievo da parte dei rispondenti: solo il 2.6% ha sottolineato la scelta a motivo del fatto che la famiglia viene coinvolta nelle attività del CFP e per le iniziative interessanti che vengono proposte ai genitori (2.3%). questi due ultimi aspetti vanno considerati attentamente in vista di una collaborazione più stretta che si vorrà attivare con i genitori per la formazione degli adolescenti. Il fatto, tuttavia, che vi sia fiducia e corrispondenza alle esigenze della famiglia possono essere elementi positivi da valorizzare per attivare una collaborazione più significativa. queste risposte suggeriscono anche che sussiste, sia pure attraverso canali informali, una sorta di passaparola fra le famiglie, che esprime un riconoscimento positivo dell’azione formativa del CFP sia in riferimento ai ragazzi, sia nella qualità del coinvolgimento attivo dei genitori. Si può giungere al CFP salesiano anche per suggerimento di precedenti insegnanti (7.7%) o perché viene indicato da un Centro di Orientamento (3.8%). Anche queste motivazioni non sono da trascurare e suggeriscono certamente la necessità del collegamento del Centro con il sistema formativo del territorio, per potersi integrare nel sistema territoriale di formazione e per collaborare più fattivamente alle esigenze formative dei giovani. Un’ultima area motivazionale che vogliamo considerare si riferisce più esplicitamente all’aspetto educativo, etico e religioso. Ciò che viene maggiormente sottolineato di questi aspetti è il fatto che il CFP salesiano si presenta anche con le sue esigenze di ordine e disciplina (13.7%), che viene ritenuta positiva dagli stessi ado25 lescenti. non è irrilevante anche il richiamo alla affidabilità del Centro sul piano morale ed educativo (8.7%), che si precisa anche come proposta di un chiaro progetto educativo (5%) e come CFP che educa anche ai valori religiosi (3.1%). questo orientamento può essere considerato un dato di continuità rispetto allo stile educativo delle famiglie, ma anche una sorta di bilanciamento dall’esterno di carenze in atto nel nucleo domestico, che i ragazzi e i loro genitori riconoscono come utile per restituire pienezza alla formazione umana dell’alunno. Considerando queste tre ultime motivazioni e ritenendole integrabili, anche se precisano aspetti specifici, poco meno di due ragazzi su dieci presentano disponibilità e attese di un percorso formativo/educativo aperto a una integrazione etico-religiosa in un progetto che tende a una visione integrale della Formazione. Si tratta di una disponibilità da valutare per cercare la sua migliore realizzazione. 2.2. L’esperienza formativa attuale Ogni percorso formativo ha certamente delle difficoltà nell’avvio e, con il tempo, può apparire più o meno corrispondente alle attese personali. Sono due aspetti importanti per una valutazione complessiva della esperienza che stanno vivendo gli allievi dei CFP salesiani d’Italia. Insieme a queste valutazioni, anche per rendere gli stessi allievi protagonisti del loro percorso di vita, potrà essere molto utile ascoltare le loro proposte per miglioramenti praticabili nelle singole strutture. Il quadro complessivo delle difficoltà incontrate nel corso di formazione che si sta frequentando è rappresentato nella Tabella seguente. Come appare chiaramente dai dati riportati, i problemi che gli allievi stanno incontrando nella frequenza del corso sono esigui o solo parziali. l’avvio risulta un po’ più difficile al Sud, mentre nei Centri del nord bisogna confrontarsi con minori o più lievi difficoltà. dagli altri incroci ricaviamo che le forme parziali di difficoltà sono legate più all’età che alla regolarità del percorso formativo precedente e sono un po’ più consistenti per coloro che stanno seguendo dei corsi nel settore secondario. le motivazioni indicate dagli adolescenti aiutano a precisare meglio le difficoltà sperimentate e appare chiaramente che non per tutti si tratta di problematiche legate ai corsi o al percorso formativo. Tabella n. 7 - Difficoltà incontrate nel corso secondo le appartenenze territoriali 26 Un buon numero di difficoltà, infatti, è dovuto a problemi personali (19.8%), familiari (8.6%), alla condizione sociale ed economica (3.9%) e alla distanza da superare ogni giorno per recarsi al CFP (13.4%). quest’ultimo motivo viene evidenziato soprattutto da coloro che frequentano CFP delle regioni del Centro Italia. Per le altre motivazioni personali e familiari non vi sono situazioni particolarmente evidenti in riferimento a caratteristiche o collocazioni individuali. Altre ragioni di difficoltà sono legate alla dimensione relazionale: emerge la differenza di mentalità e interessi rispetto ai genitori (3.9%), ai compagni di corso (9.9%) e ai formatori (12.1%). Alcune corrispondenze con le altre variabili dei soggetti intervistati possono aiutarci a interpretare queste motivazioni. le divergenze di idee e mentalità con i genitori si evidenziano un po’ di più nel caso in cui essi hanno un elevato titolo di studio: forse non erano del tutto d’accordo con la scelta del figlio o magari la vivono come una sorta di fallimento da parte della famiglia nell’assicurare una formale continuità educativa nel passaggio da una generazione all’altra. Merita anche considerazione il dato relativo ad una certa distanza dal modo di fare dei formatori: è questa la difficoltà relazionale maggiormente diffusa, ma soprattutto va tenuto presente che si concentra maggiormente nelle regioni del Centro e riguarda particolarmente i maschi e quanti sono un po’ più avanti negli anni, come se l’esperienza della crescita, piuttosto che creare maggiore confidenza e convergenza di intenti, mettesse in campo una certa resistenza nel condividere i metodi educativi proposti e praticati. Accanto a queste, vi sono anche difficoltà dovute alle materie (28%), ai metodi Tabella n. 8 - Che cosa crea maggiore difficoltà nel corso secondo la zona geografica, il sesso e l’età (*) le percentuali della prima colonna hanno un valore maggiore di 100 perché si riferiscono a test a risposta multipla. 27 di studio (22.8%) e di insegnamento (15.1%). queste sono più consistenti e meritano particolare attenzione. Intanto, è interessante rilevare che questo tipo di problemi è scarsamente presente, rispetto agli altri contesti territoriali, tra coloro che frequentano i CFP delle regioni centrali. le materie del corso sono motivo di difficoltà un po’ di più tra gli allievi delle regioni del Sud; i metodi di insegnamento risultano un po’ problematici per le ragazze e coloro che seguono corsi del terziario; le difficoltà relative ai metodi di studio sono leggermente più sottolineate da allievi dei CFP del nord e da quelli che hanno avuto traversie anche notevoli, nel loro percorso scolastico. Tutte e tre le tipologie delle cause di difficoltà meritano attenzione per vedere come superarle o attutirle. la sollecitudine verso la realtà dei singoli allievi potrà certamente essere di grande aiuto a quanti si trovano in situazioni personali e familiari problematiche; migliorando la relazione e il dialogo sia con i formatori che con i compagni, si potrà creare un clima di accettazione delle differenze di idee e mentalità e rendere così più accogliente l’ambiente del CFP per tutti. Per quanto si riferisce agli aspetti legati alle materie, all’insegnamento e ai metodi di studio, una buona verifica delle condizioni iniziali degli iscritti potrà guidare a scelte didattiche e a forme di sostegno all’apprendimento per migliorare le condizioni di avvio e anche di prosieguo del percorso formativo. Si tratta di verificare l’applicazione concreta, nei singoli CFP, dell’individualizzazione dei percorsi formativi, richiamando anche il protagonismo e la responsabilità del singolo allievo. quest’ultimo aspetto può rientrare tra gli obiettivi di collaborazione con le famiglie. 2.3. La corrispondenza del corso che si frequenta con le attese personali la motivazione e l’impegno nel percorso formativo che si sta frequentando sono certamente collegate alla sensazione che si ha circa la corrispondenza tra le attese e l’effettiva esperienza che si sta facendo. nelle valutazioni degli intervistati possiamo dire che viene sottolineata una notevole coerenza tra questi due aspetti: pur con significative variazioni, la somma di molto e abbastanza va dal 73% fino al 90%, mentre la somma di poco e per nulla va dal 2.3% al massimo del 18.2%. la congruità tra aspettative e corso che si frequenta è massima per quanto si riferisce alla formazione tecnico-pratica dei formatori (90.4% somma di molto e abbastanza), al rapporto formatori allievi (87%), alla metodologia dell’insegnamento (85.5%) e alle attrezzature dei laboratori (84.3%). Vi sono altri sei elementi, tra i tredici indicati, che superano l’80% nella verifica della corrispondenza con le attese: l’adeguatezza dei programmi per trovare lavoro (81.3%), l’organizzazione degli stage (81.5%), la disponibilità di strumenti informatici (80.5%), il rapporto con le aziende e il mercato del lavoro (80.1%). Anche la valutazione della durata del corso e la preparazione culturale di base raggiungono entrambi l’80.3%. 28 leggermente inferiori alle precedenti valutazioni sono quelle relative alla partecipazione alla vita del CFP (78.4%), la possibilità di proseguire gli studi (73.5%) e la formazione religiosa e morale (73.2%). Come abbiamo già indicato precedentemente, le percentuali che abbiamo riportato sono sempre la somma di due livelli: molto e abbastanza, il dettaglio della differenza dei due livelli per ciascuna indicazione proposta si potrà osservare in dettaglio nella tabella seguente. Se escludiamo la poca corrispondenza alle attese per la non possibilità di proseguire gli studi, sorprende certamente che tra le aspettative più deluse vi sia la discontinuità riscontrata con la formazione religiosa e morale (il 13.1% sottolinea la poca corrispondenza e il 5.1% la totale disillusione su questo aspetto) e anche la partecipazione alla vita del CFP (11,1% poco e l’1.9% per nulla). Sono due elementi che vanno approfonditi per valutare l’offerta di formazione religiosa e morale e le possibilità offerte per il protagonismo dei giovani nei CFP. la verifica non può trascurare anche il fatto che attualmente non vi è grande attesa su tutti questi aspetti. questa distanza e/o indifferenza richiederà comunque una puntuale attenzione e verifica, per valutare il da farsi, perché nel percorso formativo si riesca a interessare gli allievi anche a questi aspetti, come costitutivi di una formazione integrale. le analisi di questi dati riferiti al territorio in cui i CFP sono collocati ci mostrano che nelle regioni del nord la corrispondenza delle attese con i corsi che si frequentano rientra prevalentemente nella media generale. Per le altre zone del territorio nazionale, si riscontra una maggiore positività tra attese e frequenza di corsi nelle regioni del Centro, ove tuttavia le valutazioni riferite alle attrezzature dei laboratori, agli strumenti informatici, alla durata e alla preparazione culturale di base risultano meno soddisfacenti. Per quanto riguarda le valutazioni espresse nei CFP del Sud si riscontra una costante riduzione, rispetto agli altri, del livello “molto”. nell’insieme, tuttavia, sono un po’ più positive in riferimento all’organizzazione degli stages, al rapporto con le aziende e alla possibilità di partecipazione alla vita del CFP. l’analisi del grado di soddisfazione delle attese presenta qualche aspetto significativo anche rispetto al sesso: le ragazze lamentano la poca corrispondenza tra attese e percorso formativo, soprattutto in riferimento al rapporto con i formatori, alla metodologia di insegnamento e alle attrezzature dei laboratori. Tra le stesse ragazze, tuttavia, viene accentuata la corrispondenza tra le attese e l’organizzazione di stage, la preparazione culturale di base e la formazione religiosa e morale. Un ultimo aspetto, non irrilevante in queste analisi, viene evidenziato da coloro che hanno detto di incontrare qualche difficoltà nell’attuale percorso formativo: le attese risultano meno soddisfacenti in riferimento al rapporto con i formatori e alla metodologia di insegnamento. questi elementi erano già emersi come motivi delle difficoltà ed è evidente che sono gli aspetti più difficili da superare per dare maggiore efficacia al percorso formativo che si sta vivendo. 29 Per quanto riguarda queste ultime valutazioni non si deve pensare che dipendano necessariamente da incapacità dei formatori o dal fatto che sono scorbutici nei rapporti. le difficoltà possono essere anche legate alla diversa mentalità e disponibilità/ capacità di apprendimento degli allievi. Coloro che sono realmente dei “nativi digitali” possono avanzare perplessità e resistenze a saper valorizzare rapporti e metodi didattici più tradizionali. 2.3.1. Iniziative del CFP per il lavoro degli allievi la scelta di un percorso di Formazione per conseguire una qualifica professionale ha un’esigenza non rinviabile di collocazione nel mondo del lavoro. Proprio nelle attuali situazioni di difficoltà di orientamento e di ingresso nel mercato del lavoro, un aiuto importante potrebbe venire dagli stessi Centri di Formazione nella misura in cui possono fare da tramite perché sia valorizzata la competenza che aiutano a conseguire. Che cosa fanno i CFP salesiani d’Italia per l’orientamento e la collocazione nel mondo del lavoro dei loro allievi? Che cosa dicono gli stessi allievi al riguardo? Su questo aspetto può essere molto utile osservare il dettaglio secondo le caratteristiche degli allievi e la collocazione territoriale dei CFP che frequentano. le principali attenzioni sottolineate dagli intervistati si riferiscono alla raccolta di informazioni sulle imprese presenti nel territorio (46.6%) e a una sorta di im- Tabella n. 9 - Corrispondenza tra attese e corso che si frequenta rispetto a i seguenti aspetti 30 pegno diretto dei Centri per trovare lavoro agli allievi che hanno ottenuto la qualifica (47.6%). Sono attenti a reperire informazioni sulle imprese del territorio i CFP delle regioni del nord, con una differenza molto rilevante nei confronti delle regioni del Sud (49.7% al nord, 31.5% al Sud). nei CFP delle regioni del Centro e anche al Sud, anche se con differenza rilevante (57.3% al Centro e 50.5% al Sud), si è attivi anche per aiutare a trovare lavoro a coloro che hanno già ottenuto la qualifica. di tutto sembrano beneficiare in modo particolare le ragazze e coloro che hanno conseguito una qualifica nel terziario. I contatti con il mondo esterno, in vista di una collocazione lavorativa, si concretizzano anche con visite guidate ad aziende e fiere campionarie (39.6%) e anche con visite ad altri Centri o Scuole per uno scambio di esperienze (17.2%). non vi sono particolari differenze territoriali per quanto riguarda l’attivazione di questi contatti con l’esterno, anche se non sembrano molto attivati nelle regioni del Centro. Oltre al reperimento di informazioni e ai contatti con l’esterno, i CFP aprono anche le loro porte al personale aziendale specializzato, che può essere coinvolto direttamente nei corsi (22.4%). Gli inviti sono rivolti anche a imprenditori e sindacalisti per parlare sui problemi dell’occupazione (9.1%). questi ultimi contatti sono piuttosto rari soprattutto nelle regioni del Centro. È utile sottolineare che soltanto il 4.3% ha detto che nel CFP frequentato non si verifica nessuna di queste attenzioni e iniziative per orientare a trovare lavoro e questo viene sottolineato in modo più accentuato dalle ragazze (6.6%). l’insieme delle risposte esaminate mette in evidenza una notevole attenzione e intraprendenza dei CFP in vista del collocamento al lavoro dei loro allievi. Si tratta di verificare le possibilità reali di incrementare queste iniziative, soprattutto oggi, Tabella n. 10 - Attività del CFP per orientare a trovare lavoro secondo la zona geografica, il sesso e l’età (*) le percentuali della riga finale corrispondono alla consistenza delle singole variabili. (**) Il totale della prima colonna corrisponde alla totalità del campione. 31 migliorando le relazioni e la collocazione dei CFP nel territorio e soprattutto nel mondo del lavoro locale. 2.3.2. Indicazioni degli allievi per possibili miglioramenti nei CFP È stato anche chiesto agli allievi di indicare i miglioramenti ritenuti più utili e necessari nel CFP che stanno frequentando. Per raccogliere le loro opinioni è stato sottoposto un lungo elenco di indicatori e si è chiesto loro di esprimere una valutazione di necessità valorizzando una scala da 1 a 5. Tenendo conto soprattutto di ciò che viene indicato come maggiormente significativo (le percentuali relative al valore 5 che esprimeva la massima importanza) e raggruppando i vari indicatori su alcuni aspetti, presentiamo le indicazioni espresse dagli allievi. a. Miglioramento del percorso formativo: gli allievi hanno detto che il Centro dovrebbe offrire corsi di recupero per coloro che hanno più difficoltà nella riuscita scolastica (20.2%) e un numero non irrilevante vorrebbe anche che il Centro riuscisse a offrire informazioni e orientamenti per valutare l’opportunità di proseguire gli studi (11.4%). Sempre in riferimento al percorso formativo, alcuni (9.9%) vorrebbero valutazioni più oggettive, una maggiore preparazione e una migliore competenza negli stessi formatori (6.9%). Come abbiamo già indicato, le percentuali riportate rappresentano il livello di maggiore importanza riconosciuto a questi aspetti, che sono anche corroborati da significative percentuali intermedie espresse dagli allievi intervistati. Sull’importanza di queste indicazioni per un miglioramento del CFP si esprimono soprattutto le ragazze che stanno seguendo corsi del settore terziario. b. Nuovi strumenti didattici e attenzioni formative: strettamente collegato alla didattica e al percorso formativo, il dato relativo ad un numero rilevante di allievi (38.2%), che rappresenta la percentuale più elevata delle indicazioni riferite a ciò che viene ritenuto molto importante, ha richiamato l’utilità di introdurre nuovi strumenti didattici (tablet, iPad, lIM, ecc.), di aumentare il tempo per i programmi di informatica (13.3%) e anche per l’apprendimento delle lingue (11.8%). nuovi strumenti didattici e maggior tempo per i programmi di informatica sono indicati come fattori di miglioramento del proprio CFP soprattutto dagli allievi del Sud; mentre l’attenzione all’apprendimento delle lingue viene evidenziato da coloro che sono più avanti negli anni e hanno forse maturato la consapevolezza dell’importanza dell’apprendimento delle lingue. c. Preparazione al lavoro e alla futura professione: il 24% sostiene che bisogna utilizzare maggiormente i laboratori esistenti e migliorare anche l’organizzazione degli stages (12.3%). Entrambi questi suggerimenti sono maggiormente presenti tra le indicazioni degli allievi dei CFP del Sud. non sono pochi coloro che vorrebbero un insegnamento più rispondente alla preparazione ad una professione (17.8%) e anche più rispondente alla vita 32 reale (14.4%). Su questi aspetti insistono maggiormente le ragazze impegnate a seguire corsi di formazione nel settore terziario. Per poter aiutare gli allievi a collocarsi più facilmente nel mondo del lavoro, molti indicano anche la necessità che nei CFP vi siano maggiori informazioni e orientamenti al lavoro (28.3%), che si moltiplichi anche l’invito di esperti del mondo del lavoro (26.8%). Anche questi suggerimenti vengono soprattutto dalle ragazze, da quelli più avanti negli anni e dagli allievi dei CFP del Sud. d. Migliorare l’aspetto collaborativo, formativo e anche sportivo. Per questi aspetti le indicazioni date dagli allievi sono state le seguenti: avere più strutture per le attività sportive e ricreative (30.2%), soprattutto al Sud e al Centro; migliorare il percorso formativo incrementando i lavori di gruppo (14.8%), soprattutto nell’ambito del terziario. Può essere invece abbastanza sorprendente il fatto che non sono molti coloro che ritengono molto importante sia un maggiore coinvolgimento delle famiglie nella vita del CFP (4.5%), che l’incremento delle occasioni per una più accurata formazione religiosa (7.3%). Per quest’ultimo aspetto, vorrebbero un miglioramento coloro che frequentano i CFP del Sud e le ragazze. Volendo richiamare i fattori più importanti che possono migliorare l’attuale realtà dei CFP, sottolineiamo quanto è emerso come significativo dalle indicazioni degli allievi coinvolti nella ricerca: il percorso formativo, perché sia per tutti maggiormente efficace, necessita di corsi di recupero per coloro che possono riscontrare delle difficoltà nel seguire i corsi; potrebbe essere anche molto utile l’introduzione di nuovi strumenti didattici che renderebbero più coinvolti e partecipi gli allievi. la qualità relazionale e il protagonismo degli allievi nei CFP potrebbe essere certamente accresciuto con l’incremento di lavori di gruppo e anche le attività sportive e ricreative. Il miglioramento delle prospettive professionali e di inserimento nel lavoro potrebbero invece essere garantiti da un uso più efficace dei laboratori già presenti, dalla presenza di esperti del mondo del lavoro e un più efficace orientamento per la ricerca di lavoro, una volta terminato il percorso formativo. Per quanto riguarda il coinvolgimento delle famiglie, se consideriamo le percentuali delle valutazioni da tre a cinque raggiungiamo il 36%; anche per la formazione religiosa, considerando le stesse valutazioni, si giunge al 34.5%. questi dati indicano che per entrambi vi è un riconoscimento di importanza nel percorso formativo. Si tratta di capire meglio, in ciascuna realtà territoriale, ciò che è possibile e meglio attivare. Va segnalato, nell’analisi di questi dati, la peculiare situazione del Sud, dove le Scuole di Formazione Professionale evidenziano maggiore affanno, quasi subendo condizioni di maggiore staticità e arretratezza del mercato del lavoro locale. Sebbene comprensibile, vale però la pena suggerire che proprio un maggiore investi33 mento in innovazione nelle strutture meridionali potrebbe innescare meccanismi virtuosi a livello ambientale ed accrescere così l’efficacia dell’offerta formativa. Si tratta di scommettere su una presenza che sia incentivante e trainante sia per i ragazzi, che per il contesto ambientale, come forma di servizio profetico nei confronti delle povertà e della precarietà del territorio meridionale. Certamente non vi possono essere su questo piano soluzioni miracolistiche, ma un investimento maggiore di attenzione ed energie è sicuramente un valore aggiunto per la credibilità di tutta quanta la famiglia salesiana. 3. ASPETTI RELAZIONALI DEL PERCORSO FORMATIVO Un aspetto importante dell’esperienza formativa attuale degli allievi dei CFP salesiani d’Italia è certamente la qualità delle relazioni che si vivono all’interno dei Centri, in modo particolare quelle che precisano le disponibilità e gli atteggiamenti dei formatori, le conoscenze che essi hanno circa le situazioni familiari per meglio collaborare nel percorso formativo e la qualità specifica dei rapporti dei salesiani con i formatori, con gli allievi e anche con i genitori. le opinioni degli allievi dei CFP su questi vari aspetti relazionali possono aiutare a comprendere meglio la qualità educativa dell’esperienza formativa che stanno vivendo, la particolarità salesiana di questa relazione e anche le prospettive più feconde da attivare per una collaborazione con le famiglie, per rendere più efficace il percorso formativo nei vari CFP. 3.1. Le relazioni degli allievi con i formatori È quasi sorprendente ciò che emerge dalle opinioni espresse dagli allievi dei CFP d’Italia. Sommando insieme le valutazioni “molto” e “abbastanza” ai vari aspetti delle relazioni proposte nel questionario, troviamo che più di nove allievi su dieci affermano decisamente che i formatori stanno amichevolmente in mezzo agli allievi; questo comportamento non è qualcosa di formale perché dimostrano simpatia e volontà di stare con loro. Insieme, quindi, con amicizia e simpatia. Più del 90% sottolinea anche che i formatori lavorano con competenza pedagogica, didattica e professionale. Simpatia e amicizia, quindi, ma senza sottovalutare la professionalità. Una professionalità che cerca di andare incontro alle reali esigenze degli allievi (82.1%) e che si esprime anche nell’attivazione e animazione di iniziative diverse nel CFP (84.5%). Un elemento che si sta rilevando ricorrente nei dati che stiamo esaminando è la valutazione riferita all’accompagnamento che ricevono gli allievi nella maturazione religiosa: la somma di molto e abbastanza per questa valutazione raggiunge il 76.6%, che è la più bassa rispetto a tutte le altre. di conseguenza, cresce notevolmente la percentuale di coloro che ritengono che questo aspetto sia poco o per nulla curato (21.7%). 34 nella Tabella seguente riportiamo queste valutazioni nella loro specificità e consistenza. Approfondendo un po’ i protagonisti delle varie valutazioni, appare chiaramente che le maggiori criticità si riscontrano tra coloro che stanno incontrando qualche difficoltà nel loro percorso formativo: costoro, più degli altri, non riconoscono ai formatori la volontà di stare con gli allievi, di andare incontro alle loro esigenze e di lavorare con competenza pedagogica. Avendo indicato precedentemente che, comunque, le valutazioni di questi aspetti sono molto positive, le posizioni critiche che evidenziamo sono sempre relative nella loro consistenza, anche se le riscontriamo soprattutto nei soggetti indicati. I rapporti amichevoli, la simpatia e l’animazione delle iniziative sono messi in atto soprattutto dai formatori che operano nelle regioni del Centro, mentre la competenza pedagogica e l’animazione di iniziative da parte dei formatori si riscontrano di meno nei CFP del Sud. Anche nei CFP del nord appare un po’ critica la valutazione della presenza amichevole dei formatori in mezzo agli allievi. le ragazze non sono molto positive nella valutazione della presenza amichevole dei formatori tra gli allievi, ma più degli altri apprezzano il fatto che essi vanno incontro alle reali esigenze di ciascuno e che sono più impegnati per l’accompagnamento religioso. 3.2. Conoscenza della realtà familiare da parte dei formatori l’efficacia formativa dell’impegno dei formatori e della qualità relazionale che essi realizzano con gli allievi sarebbe di grande rilevanza se riuscisse a coniugarsi con un’attenzione di conoscenza della qualità educativa e della condizione più complessiva delle famiglie degli allievi. Per gli obiettivi della ricerca la verifica delle valutazioni degli allievi dei CFP su questi aspetti è particolarmente importante perché consente di farsi un’idea più precisa su alcuni aspetti, la cui conoscenza diventa irrinunciabile per una vera collaborazione educativa tra formatori e genitori. Tabella n. 11: Rapporto formatori allievi nei CFP 35 nelle valutazioni espresse in questo ambito, si affaccia qualche carenza che dovrebbe essere recuperata, per riuscire a realizzare una migliore collaborazione e convergenza educativa. Secondo gli allievi intervistati i formatori conoscono relativamente lo stile educativo presente nelle loro famiglie, anche se la somma di “molto” e “abbastanza” raggiunge il 54.9%, ma ben il 36.9% di costoro sottolinea il livello di “abbastanza”; uno su quattro, inoltre, ritiene che questa conoscenza sia “poca”. Insieme allo stile educativo più generale, l’azione educativa dei genitori si esprime nelle regole di vita che si cerca di far seguire, i valori che si trasmettono e l’insieme dei rapporti che i figli riescono a mettere in atto con i loro genitori. Su tutti questi aspetti, secondo gli allievi, le conoscenze che hanno i loro formatori sono piuttosto relative e sono molto più consistenti le percentuali che mettono in evidenza la poca o la totale non conoscenza da parte dei formatori. Sull’aspetto specifico delle regole imposte dai genitori, il 71% degli allievi ritiene che i formatori le conoscano poco o per nulla; questa percentuale scende al 61% in riferimento alla trasmissione dei valori morali e religiosi e al 56.4% circa l’insieme dei rapporti degli allievi con i genitori. Prima di offrire il quadro dettagliato di queste valutazioni, richiamiamo quanto è emerso anche per altri aspetti della realtà familiare e genitoriale che erano stati offerti alla valutazione degli allievi. nelle risposte troviamo anche che, secondo gli allievi, i formatori conoscono poco o per nulla eventuali problemi presenti in famiglia (70.6%); la stessa cosa affermano circa la conoscenza della condizione economica (67.2%) e della qualità dei rapporti tra i genitori (57.4%). riportiamo in dettaglio le valutazioni esaminate nella tabella seguente. Come si può meglio osservare nella Tabella riportata, la prevalenza delle opinioni sottolinea la poca o totale non conoscenza della realtà familiare, sia a livello educativo che per altri aspetti che possono attraversare il vissuto familiare. Tabella n. 12 - Conoscenza da parte dei formatori di aspetti della vita familiare degli allievi nei CFP 36 Sapendo quanto può pesare nell’esperienza quotidiana e nel percorso formativo degli adolescenti il vissuto familiare, dai dati della Tabella si può facilmente arguire la difficoltà che può sorgere per l’efficacia dell’azione educativa e formativa dei formatori. Ovviamente, il problema non tocca solo i formatori ma tutti gli operatori dei CFP e, tra questi, gli stessi salesiani. Il riferimento al territorio in cui si trovano i CFP frequentati da coloro che hanno risposto al questionario consente di precisare alcune situazioni riferite alla conoscenza o meno delle situazioni familiari da parte dei formatori. Gli allievi dei CFP del Centro Italia, soprattutto per quanto riguarda le regole imposte dai genitori, il rapporto tra i genitori e lo stile educativo presente in famiglia, ritengono che i formatori conoscano poco o nulla. Un po’ diversa è la situazione in riferimento alle valutazioni degli allievi residenti al Sud. Secondo costoro, i formatori conoscono molto ciò che si riferisce ai loro rapporti con i genitori, i valori morali e religiosi trasmessi dai genitori, lo stile educativo presente in famiglia e anche il rapporto tra gli stessi genitori. Conoscono invece quasi per nulla la condizione economica della famiglia e gli eventuali problemi che la famiglia sta attraversando. È come se si cercasse, nelle realtà meridionali, di recuperare il senso della propria presenza educativa puntando sul rapporto con le famiglie, piuttosto che su quello accidentato e poco efficace con il mondo del lavoro, privilegiando però l’intesa culturale ed etica su quella sociale, dove le situazioni problematiche potrebbero risultare più vischiose e comunque non gestibili dall’interno di una struttura formativa. le opinioni espresse dalle ragazze intervistate circa la conoscenza di aspetti particolari della propria famiglia da parte dei formatori sono le più singolari: solo in riferimento allo stile educativo familiare esse ritengono che i formatori siano abbastanza informati, per tutto il resto la loro valutazione evidenzia più dei loro colleghi, la non conoscenza della situazione familiare. Un altro elemento a cui fare attenzione nella valutazione della conoscenza della condizione familiare da parte dei formatori è il seguente: coloro che ritengono che i formatori conoscano molto e/o abbastanza lo stile educativo presente in famiglia non esprimono coerenza di valutazione circa la conoscenza degli altri aspetti della situazione familiare. Bisogna anzi dire che vi è più coerenza nelle diverse valutazioni tra coloro che hanno detto che i formatori conoscono poco o per nulla lo stile educativo della famiglia. Si può tuttavia sottolineare che la distanza di coerenza tra le valutazioni si attenua in riferimento a ciò che è più direttamente collegato con aspetti riferiti all’educazione, quali, per esempio, i rapporti allievi-genitori, gli stessi rapporti tra i genitori e le regole imposte dai genitori, anche se la coerenza di questo aspetto raggiunge soltanto il 54.1%. Trattandosi di aspetti che toccano la privacy familiare è molto importante agire d’intesa e con molta discrezione. Si può certamente immaginare che una maggiore intesa circa il Progetto Educativo che il CFP propone agli allievi potrebbe sostenere un processo di crescita oggi non semplice da realizzare. 37 3.3. La qualità salesiana dei rapporti all’interno dei CFP Abbiamo insistito sulle relazioni formatori-allievi; abbiamo bisogno anche di verificare il contributo specifico dei Salesiani per la qualità complessiva delle relazioni nei CFP. Anche questo indicatore è stato sottoposto alla valutazione degli allievi, in quanto osservatori e protagonisti dell’insieme della realtà dei CFP. Si è chiesto loro di indicare la qualità dei rapporti dei salesiani con i formatori, con gli allievi e gli stessi genitori. Fermandoci a evidenziare le percentuali più elevate della Tabella, non è indifferente che i rapporti dei Salesiani con i formatori siano prevalentemente di collaborazione, con gli allievi amichevoli e con i genitori di rispetto e anche di collaborazione. È anche importante sottolineare che, agli occhi degli allievi, sono veramente molto ridotti gli aspetti problematici delle relazioni vissute dai Salesiani nei vari Centri: la conflittualità e la freddezza sono quasi assenti; con alcuni genitori e formatori possono essersi riscontrati rapporti piuttosto distaccati, ma questo riguarda solo la visione di qualche allievo. Il quadro, nel suo insieme, è veramente molto positivo e potrà essere precisato ulteriormente con le analisi di altre domande del questionario. Volendo sottolineare qualche particolarità di relazioni e/o di situazioni, possiamo anche evidenziare che il rapporto con i formatori è sottolineato maggiormente come collaborativo e amichevole dagli allievi dei CFP del Centro, mentre le ragazze lo vedono soprattutto improntato a rispetto reciproco. Il rapporto dei Salesiani con gli allievi viene riconosciuto come amichevole soprattutto nei CFP del Centro e collaborativo tra quelli del Sud; mentre lo individuano come rispettoso coloro che stanno incontrando qualche difficoltà nel loro percorso formativo. Proprio quest’ultima valutazione potrebbe essere molto significativa, essendo stata espressa soprattutto da quelli che si sentono un po’ a disagio nel CFP. Avvertire un rapporto di rispetto potrà anche incoraggiarli ad affrontare con più decisione le difficoltà del loro percorso. nel rapporto dei Salesiani con i genitori si evidenzia maggiormente una qualità di collaborazione nel nord e nel Sud piuttosto un rapporto amichevole; mentre gli allievi delle regioni del Centro Italia affermano che vi è rispetto ma anche un po’ di distacco. Tabella n. 13: La qualità dei rapporti dei Salesiani con… 38 4. L’ESPERIENZA FORMATIVA: UNA OPPORTUNITÀ DA VALORIZZARE Utilizzando quanto è già emerso nell’analisi dei dati e facendo qualche approfondimento con delle analisi fattoriali circa gli orientamenti di risposta su alcune tematiche specifiche, al termine di questa prima parte dell’analisi possiamo ricavare orientamenti e attenzioni importanti per l’azione formativa nei CFP. Prima di entrare nello specifico di queste conclusioni operative, dobbiamo precisare che le analisi fattoriali, che tendono a cogliere elementi convergenti tra i soggetti in base alle loro risposte (come se si trattasse di “fattori” esplicativi perché sottostanti al modo di pensare che fa convergere gli orientamenti delle risposte), si sono potute realizzare soltanto in riferimento a domande particolari e agli item che le costituiscono, più che a insiemi di domande, per cogliere fattori trasversali di convergenza delle opinioni espresse. Tutto questo è collegato con il tipo di questionario e con l’impostazione della ricerca, fondamentalmente di carattere analitico descrittivo. Facendo riferimento, tuttavia, ad alcune domande fondamentali di questa prima parte della ricerca, potremo ricavare utili informazioni circa l’attenzione ad aspetti da valorizzare nell’intervento formativo. 4.1. La scelta del CFP salesiano e le sue motivazioni Gli allievi dei CFP salesiani d’Italia, prevalentemente adolescenti di 15-17 anni, stanno vivendo una fase della loro vita che richiede un notevole aiuto e accompagnamento nelle scelte che sono chiamati a fare. Sono adolescenti che possono aver sperimentato difficoltà anche rilevanti nel loro percorso formativo e che bisogna motivare e accompagnare nell’attuale percorso di formazione professionalizzante, valorizzando soprattutto le buone disponibilità e motivazioni che li hanno orientati a scegliere un CFP salesiano. l’analisi fattoriale riferita ai motivi della scelta del CFP salesiano non fa emergere fattori particolarmente significativi in grado di raggruppare motivazioni comuni. dall’analisi sono emersi ben sette fattori, ma le percentuali di varianza spiegata da ciascun fattore emerso non è particolarmente rilevante. l’insieme dei sette fattori, infatti, riesce a dar ragione soltanto del 50% delle motivazioni. Per dare un’idea di come potrebbero essere individuati e denominati questi fattori possiamo fare accenno ad alcuni di essi: il primo fattore lega le motivazioni di scelta a un’idea comune che potrebbe essere identificata con “l’affidabilità” del Centro (10% della varianza); un secondo fattore (8.7% della varianza) potrebbe essere identificato con la “concretezza” a motivo delle buone strutture, della praticità dell’insegnamento, dell’apertura al mondo del lavoro; un terzo fattore che è emerso, ma fa convergere soltanto il 6.9% della varianza, evidenzia la preparazione efficace e la qualità dei formatori. Più che l’entità dei fattori emersi, sembra interessante evidenziare il tipo di raggruppamento di soggetti che fanno intravedere. Gli allievi del nord, per esempio, sono tra quelli che più degli altri sono motivati dalla “affidabilità” dei 39 CFP: aspetto disciplinare, educativo, buona preparazione professionale. I maschi, invece, evidenziano maggiormente i motivi di “concretezza” e anche di qualità della Formazione che il CFP offre. le motivazioni delle ragazze e dei più giovani convergono un po’ più sul fatto che nei CFP sono coinvolti i genitori e si trovano amici che glieli hanno consigliati. Come abbiamo già sottolineato, l’incidenza di questi fattori non è particolarmente rilevante e bisogna riconoscere una pluralità e diversità di motivazioni, che evidenziano una molteplicità di aspetti per lo più positivi. Una conclusione immediata che possiamo ricavare da questi dati è la necessità di un’attenzione alla specifica realtà di ciascun allievo e alle sue personali motivazioni. Il fatto di sapere che queste sono per lo più positive vuol dire che vi è una disponibilità da valorizzare su cui si può contare per far crescere la responsabilità personale nell’accompagnamento del percorso formativo. l’attenzione e l’individualizzazione del percorso formativo appaiono particolarmente rilevanti perché l’esperienza di vita che i ragazzi stanno vivendo attualmente è attraversata spesso da problemi personali e si possono incontrare difficoltà anche per la mancanza di metodi di apprendimento e a motivo delle modalità di insegnamento. 4.2. La corrispondenza tra il corso che si frequenta e le attese personali l’utilità e l’efficacia di questa attenzione e accompagnamento potranno essere anche molto fruttuosi perché dalle risposte degli allievi si evidenzia un’altissima corrispondenza tra le attese e quanto si sta sperimentando nella frequenza dei corsi, rapportata anche al fatto che essi avvertono attenzione e iniziative significative anche per il futuro collocamento lavorativo. Poco meno della metà della varianza riferita alla valutazione della corrispondenza del corso che si frequenta con le proprie attese trova una sua comprensione in riferimento a tre fattori che richiamano alcune convergenze particolari. Per far avere un’idea più diretta di questi risultati, riportiamo la Tabella seguente che riporta i risultati dell’analisi fattoriale. Come si può osservare nella Tabella, un fattore rilevante della corrispondenza tra il corso che si frequenta e le attese personali si riferisce alla valutazione attuale del tipo di Formazione che si sta vivendo: il 20% converge sulla positività della Formazione, nei suoi vari aspetti, che stanno realizzando. È interessante evidenziare anche la corrispondenza con le caratteristiche dei soggetti che esprimono questa convergenza, che viene presentata nella prima colonna: si tratta degli allievi che non hanno vissuto particolari difficoltà scolastiche e che non escludono dio dalla loro vita, anche se lo ritengono “abbastanza importante”. Il secondo fattore, che riesce a interpretare poco meno del 15% della varianza, fa riferimento al “mondo del lavoro”: questi motivi di corrispondenza tra corso che si frequenta e attese personali vedono maggiormente presenti gli allievi delle regioni del Centro Italia. Costoro apprezzano il collegamento con il mondo del lavoro e le possibilità concrete di trovare lavoro. 40 Il terzo fattore, che interpreta poco meno del 12% della varianza e che vede come protagonisti soprattutto allievi maschi del nord, motiva la corrispondenza tra corso e attese a partire dalla strumentazione e le attrezzature che il CFP mette a disposizione. 4.3. L’orientamento al lavoro messo in atto dal CFP Il percorso formativo dei CFP è necessariamente aperto al lavoro, a offrire e facilitare la possibilità di orientare per trovare lavoro. Come viene valutata immediatamente questa attenzione da parte dei CFP che si frequentano? l’analisi fattoriale ha fatto emergere tre fattori che riescono a dare ragione del 58% della varianza. Offriamo anche la Tabella di questi risultati per farne cogliere la specificità. I primi due fattori, per quanto distinti, possiamo ritenerli complementari, ma è certamente importante che siano emersi entrambi, per far comprendere la irrinunciabilità di ciascuno. Uscire dal Centro e far visita ad aziende e ad altre strutture formative è un fattore ritenuto rilevante e fa convergere nella sua valutazione il 21.5%; non basta uscire, bisogna anche aprire le porte del Centro e accogliere quanti sono impegnati, a livelli diversi, nel mondo del lavoro. Poco meno di due allievi su dieci convergono in questa valutazione. Il terzo fattore è complementare ai precedenti. non basta uscire e aprire le porte, è anche necessario essere ben informati sulle offerte lavorative del territorio e attivare i contatti perché gli allievi con qualifica possano trovare spazi lavorativi. Tabella n. 14 - Analisi fattoriale “corso che si frequenta e attese” 41 l’insieme di questi fattori giunge a dare ragione del 57.9% della varianza. nella valutazione degli allievi, pertanto, questi aspetti sono considerati di grande importanza per un efficace orientamento al lavoro. 4.4. Altre attenzioni utili per rendere efficace l’esperienza formativa degli allievi dei CFP l’orientamento al lavoro potrebbe essere anche più efficace nella misura in cui i CFP coltivassero ancor meglio i rapporti con il mondo del lavoro, utilizzassero in modo più efficace strumenti didattici innovativi e insistessero su competenze informatiche e linguistiche. Anche l’esperienza formativa potrebbe ulteriormente migliorare accrescendo la qualità collaborativa e l’offerta di spazi espressivi (sport e aggregazione); incrementando l’attenzione specifica alla formazione religiosa, al coinvolgimento dei genitori e anche migliorando le competenze dei formatori. Un elemento non trascurabile che è sotteso a queste indicazioni è il seguente: coloro che fanno un chiaro riferimento ad una migliore attenzione al percorso formativo in genere e specificamente all’aspetto religioso, affermano che “dio è molto importante nella vita”. nelle analisi fattoriali che abbiamo fatto su alcune tematiche della prima parte della ricerca è emersa una costante da non trascurare: l’apertura all’orizzonte religioso della vita è sempre coniugato con stimoli rilevanti per un miglioramento di tutto ciò che può dare al percorso formativo una migliore integrazione di tutti gli aspetti che possono promuoverlo. l’insieme delle attenzioni evidenziate per valorizzare l’opportunità formativa dell’esperienza che gli allievi stanno vivendo nei CFP salesiani d’Italia, può contare sulla qualità delle relazioni tra allievi e formatori e sull’apprezzamento espresso anche per le relazioni che vivono i Salesiani con i formatori, gli allievi e gli stessi genitori. la qualità di queste relazioni è anche una grande risorsa per cer- Tabella n. 15 - Analisi fattoriale: attività del CFP per l’orientamento al lavoro 42 care di andare incontro a quanti avvertono difficoltà nel percorso formativo perché hanno difficoltà a liberarsi dal peso delle esperienze vissute, oltre ad incontrare resistenze ad accrescere interessi per l’apprendimento e a dotarsi di un adeguato metodo di studio. nell’attenzione alla realtà personale degli allievi, non si può, inoltre, trascurare la loro esperienza familiare che segna il percorso attuale della vita. la stragrande maggioranza degli allievi dei CFP è inserita in una realtà familiare che possiamo dire “normale”. Un gruppo non irrilevante, tuttavia, vive situazioni che rischiano di privarlo di riferimenti continui e integrati, oppure, per la provenienza e/o composizione familiare, può trovare difficoltà nelle relazioni e inclusione sociale; ma l’insieme dell’esperienza familiare sarà approfondita nel capitolo seguente. 43 Capitolo secondo L’attuale realtà familiare degli allievi dei CFP salesiani d’Italia Una seconda consistente parte del questionario applicato agli allievi dei CFP salesiani d’Italia aveva come obiettivo quello di conoscere l’attuale realtà ed esperienza di vita in famiglia. Si tratta di un’attenzione di conoscenza di grande rilevanza in vista di una collaborazione educativa più efficace, di un patto educativo che si intende attivare per accompagnare la maturazione e le scelte di vita degli allievi dei vari CFP. la prima parte di questa analisi è orientata a verificare il vissuto relazionale nelle sue diverse espressioni e concretizzazioni: rapporti, dialogo, fiducia e confidenza, informazioni sulla vita e le scelte concrete della quotidianità. la seconda parte tende ad analizzare maggiormente le funzioni e i ruoli educativi della famiglia: valori trasmessi, guida nei comportamenti e regole di vita, attese e bisticci. Entrambi questi aspetti del vissuto familiare vanno inseriti nella situazione attuale della realtà famiglia, che può essere attraversata, soprattutto oggi, da non poche difficoltà e problemi. Proprio per questo, vogliamo avviare la nostra analisi sulla famiglia ascoltando innanzitutto la valutazione espressa dagli allievi circa la presenza di difficoltà e problemi all’interno della loro famiglia. 1. DIFFICOLTÀ E PROBLEMI PRESENTI IN FAMIGLIA la situazione attuale a livello economico, socio-educativo e culturale può essere fonte di notevoli difficoltà o di reali problemi nelle famiglie. l’insicurezza del lavoro può causare situazioni non facili di vita o addirittura di sopravvivenza; le differenze culturali possono accrescere i conflitti relazionali, sia nella coppia che con i figli; eventuali problemi di salute di uno dei membri della famiglia possono essere anche fonte di incertezze e di isolamento, anche per la precarietà attuale del welfare. Al di là di queste possibilità, che certamente non sono assenti nelle famiglie degli allievi dei CFP, come vedremo, è anzitutto importante sottolineare che la percentuale più elevata delle risposte (che comunque riguarda una minoranza di soggetti rispetto alla totalità degli intervistati) evidenzia anzitutto la non presenza di questi tipi di problemi: il 37%. Ovviamente vi può essere un riscontro oggettivo a questa dichiarazione, ma non si può escludere che si scelga di non rispondere in modo veritiero riguardo a tale questione per pudore. 44 Proporzionalmente questa posizione è messa in luce maggiormente dagli allievi che frequentano i CFP del Sud (42.3%) e ha la stessa percentuale nelle altre zone d’Italia (36%). la percentuale delle ragazze che non evidenzia problemi famigliari è notevolmente inferiore rispetto ai coetanei, ma questo potrebbe dipendere da una maggiore presenza di difficoltà relazionali che esse hanno con i genitori o anche da una maggiore propensione del mondo femminile a raccontare il proprio vissuto con sincerità. Un elemento significativo da sottolineare, in riferimento alla situazione familiare, è anche il fatto che solo uno su quattro degli allievi che ha detto di avere qualche difficoltà nel frequentare i corsi, afferma di vivere una situazione familiare priva di problemi. da queste prime analisi possiamo evidenziare che le ragazze possono incontrare maggiori difficoltà in famiglia e le situazioni difficili possono essere motivo di ulteriore disorientamento per gli allievi nel loro percorso formativo. l’incertezza economica tocca il 26% delle famiglie ed è maggiormente presente fra gli allievi dei CFP delle regioni del Centro Italia (37.9%) e meno nelle famiglie del nord (22.7%). questa precarietà economica è evidenziata maggiormente dalle ragazze, dagli allievi più avanti negli anni e da quelli che hanno anche sperimentato qualche bocciatura nel loro percorso formativo. Considerando anche il fatto che questa situazione è maggiormente presente nelle famiglie nelle quali i genitori hanno anche un minor livello di titolo di studio, potrebbe trattarsi di una precarietà economica che accompagna ordinariamente e stabilmente la situazione di queste famiglie e che forse non è legata alla contingenza attuale, anche se nel presente potrebbe essere maggiormente sottolineata. Il numero degli allievi che ha evidenziato difficoltà e/o problemi familiari legati a motivi di salute è l’11.8% del totale degli intervistati. Anche tra costoro, vi sono quelli che stanno vivendo qualche difficoltà nel loro percorso formativo. Tra gli allievi dei CFP salesiani vi sono vissuti famigliari che hanno difficoltà e problemi dovuti al disaccordo tra i genitori (14.4%) o anche all’assenza di uno dei genitori nel compito di educare i figli (8%). l’identificazione dei soggetti che hanno espresso questo tipo di problemi familiari aiuta a precisare alcune situazioni: le problematiche relazionali ed educative sono più presenti nelle famiglie delle regioni del nord e meno in quelle del Sud, oltre che nelle famiglie nelle quali la coppia genitoriale ha un livello scolastico più elevato. le ragazze, più dei loro coetanei, sottolineano questi problemi presenti in famiglia. Un elemento rilevante nella prospettiva della collaborazione con le famiglie per l’accompagnamento educativo è anche il fatto che questa situazione è motivo di difficoltà nel percorso formativo degli allievi, i quali hanno affermato che i formatori non conoscono questa realtà familiare e lo stile educativo presente in famiglia. nelle valutazioni degli allievi sono anche molto presenti le difficoltà che essi stessi stanno vivendo con i genitori per disaccordi e litigi che possono verificarsi (19.9%), per difficoltà di dialogo e di comunicazione (17.9%), che oggi sono piuttosto diffusi nelle relazioni intergenerazionali, e anche per la disobbedienza e il non rispetto esplicito delle regole da parte dei figli (11.7%). 45 Sono tre aspetti del rapporto genitori-figli che aiutano a cogliere le prospettive e le ragioni delle problematiche familiari: disaccordo dovuto a visioni e mentalità diverse, carenza di dialogo e di comunicazione dovuta anche a linguaggi non facilmente condivisi e a netta contrapposizione espressa con la non osservanza di regole imposte dai genitori. Essi evidenziano chiaramente le significative difficoltà che incontrano i genitori nel loro compito educativo e gli stessi adolescenti nel loro percorso di maturazione e di scelte di vita. questo tipo di situazioni è più presente tra gli allievi dei CFP del nord ed è indicato molto di più dalle ragazze e dagli allievi più giovani; è inoltre correlato con le valutazioni di coloro che attualmente stanno incontrando qualche difficoltà nel seguire i corsi nei CFP. Variabili geografiche, di genere e di età concorrono tutte a evidenziare difficoltà relazionali all’interno della famiglia attuale. questo sottolinea maggiormente il fatto che i rapporti intergenerazionali sono segnati soprattutto da differenze culturali e dalle difficoltà di reciproca comprensione tra adulti e nuove generazioni. Sono aspetti che devono essere tenuti presenti a livello formativo, per riuscire a trovare strategie efficaci di interazione tra genitori e formatori per l’accompagnamento degli allievi dei CFP nel loro percorso di crescita e formativo professionale. 2. I RAPPORTI DEGLI ALLIEVI DEI CFP CON I GENITORI Alla luce di quanto è già emerso circa le difficoltà relazionali e intergenerazionali all’interno delle famiglie, risulta utile e stimolante una più attenta verifica e approfondimento del vissuto relazionale nelle sue diverse espressioni e concretizzazioni. Tabella n. 16 - Problemi presenti in famiglia secondo la zona geografica, il sesso e l’età (*) le percentuali della riga finale corrispondono alla consistenza delle singole variabili. (**) Il totale della prima colonna corrisponde alla totalità del campione. 46 2.1. Qualità dei rapporti e contenuti del dialogo con i genitori Appare chiaramente che i rapporti generazionali sono piuttosto differenziati in riferimento ai genitori: con la mamma, normalmente, sono più positivi e costruttivi e si può giungere più facilmente a condividere le preoccupazioni della vita, anche se non sono assenti situazioni in cui i rapporti, anche con la mamma, e forse ancor più con la mamma che con il padre, sono improntati a sopportazione e possono essere segnati da ribellione, incomprensione e perfino aperto conflitto. I rapporti con il padre sono più improntati a rispetto e non manca la fiducia e anche la disponibilità di condivisione dei problemi, ma sono anche sottolineate relazioni in cui la comunicazione e la comprensione risultano piuttosto problematiche o quanto meno scarse. Può essere utile soffermarsi a osservare in dettaglio, nella tabella seguente, il rapporto con i genitori, così come è stato espresso dagli allievi che hanno risposto al questionario. Abbiamo già sottolineato alcune differenze e alla luce dei dati della tabella precedente non mancano le sorprese. Mentre potrebbe anche non meravigliare la differenza di percentuali che sottolineano le differenze in riferimento agli aspetti più positivi, potrebbe sembrare sorprendente l’avvicinamento delle percentuali in riferimento agli aspetti più problematici: il fatto che ci si ribelli di più alla madre e che con lei siano anche più numerosi conflitti e rapporti di sopportazione può anche dipendere dalla maggiore presenza della mamma nella quotidianità della vita e dalla necessità di dover trovare con lei un modo di gestire la quotidianità. questa prospettiva di lettura della valutazione dei rapporti può anche essere convalidata dal fatto che, ordinariamente, i rapporti positivi con entrambi i genitori sono più presenti al Sud; gli aspetti più problematici, sia con il padre che con la madre, sono espressi soprattutto dalle ragazze, mentre i più avanti negli anni hanno maggiori difficoltà a vivere buoni rapporti con la madre; le difficoltà relazionali Tabella n. 17 - I rapporti allievi genitori, differenziati rispetto al papà e alla mamma 47 sono anche più comuni, con entrambi i genitori, tra coloro che hanno qualche difficoltà nell’attuale percorso formativo. la qualità dei rapporti con entrambi i genitori può essere ulteriormente precisata alla luce della frequenza del dialogo e dei suoi contenuti. Anche di questi aspetti può essere molto utile osservarne in dettaglio le indicazioni. le differenze più generali, che immediatamente emergono dalla tabella, si riferiscono alla diversità notevole di percentuali riferite a “spesso” e a “mai”: almeno il 10% in più (eccetto riferito a Internet) parla più frequentemente con la madre che con il padre; questa diversità appare ancor meglio nella sua portata tenendo conto del fatto che coloro che non parlano mai con il padre degli aspetti indicati sono circa il 50% rispetto alla madre. la frequenza del dialogo con i genitori, pur tenendo conto di quanto è stato detto prima, è più alta in riferimento al CFP e a quanto avviene nel Centro, e ad alcuni altri aspetti più generali: le scelte, gli amici; due sono gli argomenti di cui si parla di meno con entrambi i genitori: l’uso di Internet e i problemi affettivi personali. Si potrebbe forse dire che al tabù di sempre, i problemi affettivi personali, si congiunge oggi l’uso che si fa di Internet, anche se quest’ultimo argomento non lo si deve riferire necessariamente ad aspetti problematici dal punto di vista etico, ma può riferirsi probabilmente alla distanza che gli adulti hanno tuttora rispetto a questo strumento tecnologico, specie nelle famiglie meno istruite. dall’analisi della specificità del dialogo in riferimento alle variabili geografiche e personali, emergono alcuni aspetti che meritano attenzione: con il padre può essere più frequente il dialogo degli allievi di alcune regioni del Sud e del Centro, mentre sono le ragazze e i più grandi che accentuano la mancanza di dialogo con il padre. Un altro aspetto che merita attenzione è anche il fatto che la comunicazione circa i problemi affettivi è maggiormente assente con i papà che hanno un titolo di studio medio alto. questo può anche significare che nelle famiglie con un più elevato livello culturale e forse anche sociale, è più accentuata la dimensione individuale e intimistica delle problematiche relazionali affettive. Tabella n. 18 - Frequenza e contenuti del dialogo con i genitori 48 Il dialogo con la madre è molto più frequente da parte delle ragazze, anche sui problemi affettivi personali, mentre, soprattutto su quest’ultimo aspetto, ma anche in riferimento agli altri argomenti, questa esperienza è meno frequente soprattutto da parte dei maschi e di quelli più avanti negli anni. 2.2. Confidenza e importanza dell’informazione ai genitori di scelte e comportamenti di vita A completamento di quanto abbiamo già detto circa i rapporti e il dialogo con i genitori, cerchiamo anche di precisare l’orientamento degli allievi dei CFP a livello di rapporto confidenziale circa le preoccupazioni dell’esistenza e la valutazione circa l’importanza che si attribuisce all’informarli su scelte, comportamenti e altri aspetti della vita quotidiana. Per valutare la disponibilità di affidamento per ciò che può essere una reale preoccupazione, oltre ai genitori, è stato anche proposto nel questionario il riferimento al migliore amico. Gli orientamenti delle risposte si possono osservare nella Tabella seguente. dall’insieme delle risposte che la Tabella ci offre, trattandosi prevalentemente di adolescenti, possiamo dire che non ci sono reali sorprese: più della metà ha comunque una certa facilità a confidarsi con il papà e tra questi sono un po’ più numerosi gli allievi dei CFP delle regioni del Centro Italia. Tre su quattro affermano che per loro è abbastanza facile confidarsi con la mamma e tra costoro vi sono le ragazze e quelli che vivono nelle regioni del Centro e del Sud. la stragrande maggioranza ha come confidente soprattutto l’amico del cuore, con il quale risulta essere anche “molto facile” raccontare le preoccupazioni della vita. Con il papà incontrano maggiori difficoltà a confidarsi le ragazze e coloro che vivono al nord, mentre con la mamma è più difficoltoso farlo da parte dei più grandi e, un po’ di più, sempre nelle regioni del nord. Con gli amici, anche se nella misura molto ridotta che le percentuali indicano, qualche difficoltà la si incontra soprattutto al Sud. Un quadro più dettagliato circa la comunicazione sulla vita quotidiana e lo stile complessivo delle relazioni, delle informazioni che sono ritenute importanti da comunicare e sul controllo che in qualche modo i genitori hanno sulla vita dei figli emerge in modo più puntuale dall’analisi delle 25 richieste proposte nel questionario. di tutto questo cercheremo di dare ragione nelle analisi che ora svilupperemo. Tabella n. 19 - Con chi è più facile parlare di ciò che maggiormente preoccupa nella vita? 49 Gli allievi sono stati interpellati circa la frequenza e l’importanza che può avere il fatto che i genitori sappiano quello che avviene nei diversi aspetti della vita quotidiana: esperienza scolastica, tempo libero, uscite serali e di fine settimana, l’uso dei soldi. Per quanto si riferisce al percorso formativo scolastico e a tutto ciò che riguarda la vita scolastica, le opinioni e valutazioni espresse dagli allievi dei CFP si presentano nel modo seguente. ➣ la prima cosa che emerge come molto comune è l’informazione circa il profitto nelle singole materie: il 50.8% ha detto che su questo aspetto i genitori ci tengono molto ed è molto importante che conoscano come vanno le cose. Bisogna anche dire che sono veramente pochi quelli che esprimono un’opinione contraria e vi è un progressivo aumento delle percentuali verso il molto. Sottolineano l’importanza di questa informazione soprattutto le ragazze e gli allievi delle regioni del Centro. ➣ Oltre al profitto nelle singole materie, uno su quattro (26.3%) dice che i genitori sanno anche quando vi è un compito o un test in classe. queste informazioni sono indicate dalle ragazze e dai più piccoli, mentre i più grandi non tengono al corrente i genitori su queste cose. ➣ Bisogna anche sottolineare che è abbastanza diffuso tra gli allievi il desiderio di poter raccontare ai genitori il rendimento nelle varie discipline e il loro rapporto con i formatori: soltanto meno del 30% afferma che non ha voglia di farlo, mentre tutti gli altri sono piuttosto disponibili o molto desiderosi di farlo. Anche per questo aspetto spicca la disponibilità delle ragazze. ➣ Sempre in riferimento al percorso formativo, è stato chiesto agli allievi se informano i genitori circa i compiti che hanno per casa: anche per questo aspetto soltanto poco più di un terzo (37%) non dice mai nulla o lo fa molto raramente; tutti gli altri non hanno difficoltà a tenere informati i genitori sui compiti assegnati e che devono fare a casa: gli allievi del Sud e le ragazze sono tra costoro più degli altri. ➣ I genitori ci tengono inoltre a sapere dove si va e che cosa si fa uscendo dal CFP: il 43.3% lo vuole sapere sempre e sono meno del 15% coloro che dicono che i genitori non lo sanno mai o quasi mai. queste informazioni sono condivise soprattutto dagli allievi del Sud e del Centro, oltre che dalle ragazze. ➣ In tutti gli aspetti finora analizzati le informazioni dipendono dalla correttezza e buona disponibilità degli allievi, ma è stato anche chiesto se gli stessi genitori chiedono qualche volta di raccontare che cosa succede in un normale giorno di scuola. le indicazioni fornite dagli studenti, anche su questo aspetto, potrebbero apparire sorprendenti: in effetti solo il 23.7% dice che i genitori non si interessano quasi per niente alla loro giornata scolastica, tutti gli altri dicono che questo è abbastanza e anche molto frequente. questa attenzione e richiesta di informazione sulla vita scolastica è maggiormente presente nelle famiglie ove i genitori hanno un titolo di studio medio alto. 50 I dati emersi dicono chiaramente l’interesse dei genitori e il desiderio di informazione circa aspetti importanti del percorso formativo scolastico dei figli. questa partecipazione può essere certamente una base valida per una migliore intesa CFPfamiglia per rendere il più fruttuoso possibile il percorso formativo. naturalmente il tutto nella logica dell’accompagnamento e del sostegno, per la maturazione di scelte responsabili e autonome, da far maturare nella crescita degli adolescenti. non possiamo, tuttavia, trascurare il fatto che un numero non irrilevante (intorno a un terzo degli allievi intervistati) non ama questa condivisione e informazione ai genitori del proprio vissuto scolastico. Bisogna, pertanto, cercare di capirne il motivo e valutare le modalità più opportune perché possa verificarsi. Un altro ambito di vita di cui si è cercato di comprendere la comunicazione che gli allievi dei CFP hanno con i genitori è il tempo libero. nella vita di un adolescente l’uso del tempo libero è certamente un aspetto importante e, dal punto di vista educativo, non è irrilevante, da parte dei genitori, avere l’opportunità di confrontarsi su come viene valorizzato il tempo che può essere usato senza impegni preordinati. ✓ Sono veramente pochi (15%) coloro che dicono che i genitori non sanno mai o quasi mai come trascorrono il loro tempo libero. Tutti gli altri esprimono una situazione diversa e ben il 30.6% afferma che i genitori sanno sempre quello che fanno. Sono soprattutto le ragazze e gli allievi del Sud che informano i genitori su questo momento della loro vita. ✓ l’eccessiva intromissione dei genitori sulle scelte del tempo libero, porta a voler nascondere loro quello che si fa; ma anche costoro non sono molti: soltanto il 23.3% lo fa sempre o quasi sempre, mentre il 31% non lo fa mai e gli altri piuttosto raramente. normalmente sono le ragazze che informano sempre, ma bisogna anche dire che sono le stesse ragazze che cercano di non far sapere le proprie occupazioni. ✓ Un altro aspetto importante controllato dai genitori in riferimento al tempo libero sono gli amici che si frequentano: soltanto il 12% dice che i genitori non sanno mai o quasi mai l’identità delle loro compagnie; il 42.7% afferma che lo sanno sempre e il 28.3% quasi sempre. Anche queste informazioni sono condivise molto più dalle ragazze e dagli allievi del Sud. ✓ nella verifica sul tempo libero sono state anche inserite indicazioni miranti a evidenziare le conversazioni tra genitori e figli sul tempo libero. Appare abbastanza chiaramente che vi sono genitori che non hanno mai tempo per sedersi e ascoltare i figli su ciò che succede nel tempo libero: il 38% ha detto che non succede mai o quasi e solo il 14% ha affermato il contrario; per tutti gli altri avviene almeno qualche volta o anche abbastanza spesso. Se si riferisce questa possibilità di parlare del tempo libero al mese appena passato, aumenta il numero di coloro che affermano che una simile conversazione non è stata avviata mai o quasi (45.9%); soltanto il 13.5% ha detto che lo ha fatto spesso o quasi e il 28.9% almeno qualche volta. 51 Ascoltare e confrontarsi su ciò che si fa, chi si frequenta nel tempo libero ha certamente un valore educativo rilevante, quando non appare come rigido controllo. Evitare questo comportamento intrusivo e salvaguardare l’autonomia delle scelte e delle relazioni può facilitare l’apertura, la fiducia e anche il desiderio di confrontarsi. le relazioni degli adolescenti con i genitori hanno un campo di confronto che spesso presenta non poche difficoltà: quello degli amici e delle uscite serali e di fine settimana. Abbiamo voluto verificare anche questi aspetti e il loro influsso sulle relazioni genitori figli. ■ dall’insieme delle indicazioni raccolte, sembra che gli amici non siano sconosciuti ai genitori e che questi siano anche disponibili ad accoglierli in casa e a comunicare con loro. Soltanto poco più del 30% ha detto che non parla degli amici con i genitori spontaneamente e che i genitori non si intrattengono con loro quando vengono a casa. Uno su cinque ha invece sottolineato che il suo parlare degli amici e il conversare dei genitori con loro avviene sempre. Per tutti gli altri sia la comunicazione con i genitori sia quella dei genitori con gli amici non è esclusa e può verificarsi anche di frequente. Sono le ragazze che, da una parte, parlano degli amici con i genitori, ma, d’altra parte, spesso scelgono di non farlo. Un altro aspetto importante nelle relazioni genitori figli è l’informazione sui luoghi che si frequentano con gli amici quando si esce la sera. Per molti (37%) si tratta di una informazione irrinunciabile e solo uno su cinque non lo fa normalmente o solo raramente. ■ le uscite serali, i luoghi, le persone che si frequentano e quello che si fa è un altro aspetto non facile da gestire nelle relazioni genitori figli. Circa le autorizzazioni all’uscita serale un terzo degli intervistati vive situazioni opposte. Cambia un po’ la situazione circa le informazioni sui luoghi, le persone e quello che si fa. Su questi aspetti le richieste dei genitori sono un po’ più esigenti, ma vi è sempre un numero abbastanza rilevante (31.5%) che si sottrae del tutto o quasi a queste informazioni. le sorprese in questo campo specifico non mancano: il 30.4% ha detto che nell’ultimo mese è capitato che i genitori non fossero adeguatamente informati su dove fosse stato la sera, ma per la stragrande maggioranza questo non si è mai verificato. Come per gli altri aspetti esaminati, le ragazze possono trovarsi in situazioni anche contraddittorie, mentre i più grandi sono un po’ più liberi nelle loro scelte. ■ Al di là di quello che si fa e delle autorizzazioni necessarie, si è chiesto anche se piace parlare con i genitori di quello che si fa e dove si va la sera. la maggior parte ha detto chiaramente che non ama farlo mai o quasi (41.5%) e solo il 32.2% lo fa sempre o quasi; aggiungendo a questi ultimi il 23.8% che esprime una opinione intermedia, troviamo che anche questo aspetto rientra tra i motivi e i contenuti di conversazione figli genitori e questo si verifica un po’ più al Sud e da parte delle ragazze. 52 ■ le uscite serali hanno una particolare connotazione se riferite al fine settimana. Poco meno della metà si muove liberamente o quasi nelle scelte del fine settimana; gli altri devono chiedere autorizzazioni prima di organizzarsi e questo comporta anche far conoscere dove si va e con chi si va, soprattutto per le ragazze e i più piccoli. Forse proprio per questo, alcuni sono costretti a nasconderlo (21.6%). la stragrande maggioranza (56.5%), tuttavia, non gioca al sotterfugio nei suoi movimenti del sabato sera. ■ le uscite comportano anche orari, che non sempre vengono rispettati. Anche per questo aspetto l’andamento delle risposte è conforme alle precedenti: uno su quattro non ha bisogno di dare spiegazioni, tutti gli altri, con modalità e frequenza diversa, ma un terzo lo fa sempre, danno le ragioni della non osservanza dell’orario. Tra questi ultimi si annoverano in modo particolare le ragazze e i più piccoli di età. l’ultimo elemento sottoposto a verifica nelle comunicazioni genitori-figli si riferisce all’uso dei soldi: in questi momenti di emergenza economica e di difficoltà di regolazione delle spese, anche questo aspetto è importante e può servire a maturare un uso migliore delle disponibilità economiche. le domande di verifica su questo erano soltanto due, l’una a rafforzamento e conferma dell’altra: ❍ soltanto uno su cinque ha detto che i genitori non sono informati o quasi su come vengono spesi i soldi e il 27.6% ha anche detto che normalmente non vogliono neanche saperlo. queste opinioni sono espresse dagli allievi più avanti negli anni; ❍ la stragrande maggioranza dei genitori, pertanto, sa sempre (34.1%) o quasi come vengono spesi i soldi e questo si verifica soprattutto al Sud. Per un buon numero di costoro (43.8%) questa informazione è richiesta da parte dei genitori, e questo avviene soprattutto al nord e ad essa sono tenuti soprattutto coloro che hanno meno di 17 anni. la qualità della vita degli adolescenti e la presenza dei genitori nel loro cammino di crescita si esprimono nel vissuto ordinario con diversi aspetti e ambiti. È qui che si gioca la capacità educativa degli adulti e la responsabilità nella crescita dei ragazzi. Come aiutare entrambi a fare delle esperienze di vita il luogo specifico della crescita? Si tratta di armonizzare informazione e dialogo, scelte e responsabilità, autonomia e riferimento sereno per acquistare maggiore fiducia e sicurezza nel cammino della vita. 3. ATTESE E RUOLI EDUCATIVI DELLA FAMIGLIA Un aspetto importante dell’esperienza familiare attuale degli allievi dei CFP è ciò che si riferisce alle attese personali dei figli e ai ruoli educativi della famiglia. Vogliamo iniziare queste analisi evidenziando anzitutto le attese, ciò che si vorrebbe dai genitori da parte degli adolescenti e giovani che stanno frequentando i 53 CFP salesiani d’Italia. la precisazione delle attese ci consentirà anche di verificare e valutare meglio i ruoli educativi svolti dalla famiglia e la loro capacità e possibilità di soddisfare i desideri dei figli. 3.1. Le attese degli allievi dei CFP riferite ai genitori Portare l’attenzione alle attese è importante perché può aiutare a cogliere i desideri e gli orientamenti nella vita attuale degli allievi. la verifica dei desideri e della loro concreta soddisfazione può anche aiutare a illuminare le motivazioni e la costruzione del senso che si vorrebbe dare al proprio percorso di vita e come si vorrebbe finalizzare quanto si sta facendo attualmente. Che cosa richiedono maggiormente gli allievi dei CFP ai propri genitori? Che cosa si attendono da loro? l’attesa più rilevante, anche per la percentuale che la esprime (43.6%), è una maggiore fiducia che può anche concretizzarsi in più libertà (39.4%). Fiducia e libertà sono le condizioni di base perché gli adolescenti possano essere anche più disponibili ad essere guidati per potersela cavare da soli nella vita (34.3%) e non siano altri, anche gli stessi genitori, a risolvere i loro problemi (21.4%). Il desiderio di maggiore fiducia e libertà è più presente tra gli allievi del nord e tra le ragazze. Anche coloro che stanno incontrando qualche difficoltà nel seguire i corsi richiedono maggiore fiducia ai propri genitori. l’autonomia per la soluzione personale delle difficoltà della vita e anche un accompagnamento per imparare a cavarsela in situazioni un po’ difficili, sono richiesti da quelli più avanti negli anni e che frequentano i CFP del Centro. Gli allievi si attendono anche dai genitori che riescano ad essere esempi di vita (27.6%) e che trasmettano valori e regole importanti (16%), che riescano a dare fondamento e orientamenti alla vita che bisogna costruire e orientare. questa trasmissione richiede, necessariamente, anche la disponibilità al dialogo e all’ascolto (21.4%), che sono le condizioni sia per capire meglio il modo di vivere che i valori che possono orientarlo. l’esemplarità, insieme anche al dialogo e all’ascolto, è desiderata dalle ragazze e da quelli di età più giovane; mentre la trasmissione di regole e valori è un’esigenza diffusa, anche se non molto elevata. Gli allievi dei CFP hanno espresso anche altre attese che evidenziano il desiderio di una migliore presenza dei genitori nel percorso ordinario della loro vita: che abbiano tempo da dedicare, fosse anche per giocare insieme (11.2%), che si occupino dei loro figli (8.3%) e non siamo troppo permissivi (9.2%). Vi è anche qualcuno che vorrebbe i genitori più presenti nelle attività del CFP (3%) e che siano maggiormente in contatto con i formatori (3.8%). le percentuali che esprimono queste attese non sono rilevanti ma è importante che questi aspetti siano emersi: stare insieme, essere attenti e anche un po’ esigenti è la condizione necessaria perché nel cammino di crescita un adolescente non si senta solo e sia consapevole che può contare sui propri genitori. 54 dalle analisi precedenti appare chiaro che le attese sono piuttosto diversificate e questo evidenzia la diversità di situazioni personali che non possono essere trascurate; ma è anche abbastanza evidente che si tratta, pur nella loro diversificazione, di attese orientate alla costruzione di solidi fondamenti e orientamenti nella vita attuale. Tra le indicazioni offerte per valutare le attese, ve ne era una legata alla mentalità del mercato e all’acquisto di cose che possono dare l’illusione di avere tutto quello che serve nella vita. Il 14.5% ha concretizzato le proprie attese esplicitando il desiderio che i genitori siano pronti ad acquistare tutto quello che si vuole: tra questi sono più presenti gli allievi del Sud, i più giovani e un certo numero di coloro che stanno incontrando qualche difficoltà nella frequenza del corso di qualifica professionale. non avendo nessuna precisazione di ciò che si vorrebbe acquistare, non è opportuno insistere sulla criticità di questa richiesta, perché potrebbe anche trattarsi di cose non necessariamente superflue e inutili. 3.2. I valori trasmessi dalle famiglie la verifica del ruolo e dell’impegno educativo della famiglia può trovare un riferimento e una valutazione rilevante esaminando i valori che essa cerca di trasmettere ai figli. da questa analisi possono essere precisate la concezione della vita, il Tabella n. 20 - Che cosa si vorrebbe dai genitori secondo la zona geografica, il sesso e l’età (*) le percentuali della riga finale corrispondono alla consistenza delle singole variabili. (**) Il totale della prima colonna corrisponde alla totalità del campione. 55 senso della famiglia, il senso di responsabilità personale e altri riferimenti importanti per la costruzione del percorso di vita e dei fondamenti della maturazione personale. risulta molto rilevante la trasmissione di valori che possono aiutare i giovanissimi ad assumere comportamenti e atteggiamenti adeguati: comportarsi in modo educato (84.7%), imparare ad essere autonomo e indipendente (50.5%), avere il senso dell’ordine (44.2%) e essere obbedienti (44%). Si tratta di valori che possono aiutare ad acquistare comportamenti e atteggiamenti importanti nella vita e a maturare delle disponibilità che potranno essere risorse importanti nei vari momenti. Il valore del modo corretto di comportarsi è una trasmissione più presente nelle indicazioni delle ragazze, degli allievi del Sud e di coloro che non hanno particolari difficoltà nel loro attuale percorso formativo. l’incentivo ad essere autonomo e indipendente viene maggiormente sollecitato al nord, dai maschi, da coloro che sono più avanti negli anni e in modo particolare nelle famiglie in cui genitori hanno un titolo scolastico medio alto. Anche l’impegno ad acquisire il senso dell’ordine è più indicato dai più grandi e nelle famiglie i cui genitori hanno un titolo di studio più elevato. Sempre in questo tipo di famiglie, che vivono soprattutto al nord, e con riferimento soprattutto ai più giovani, si cerca di trasmettere anche l’importanza dell’obbedienza come valore che può segnare la crescita delle nuove generazioni. Tabella n. 21 - Valori trasmessi dalla famiglia secondo la zona geografica, il sesso e l’età (*) le percentuali della riga finale corrispondono alla consistenza delle singole variabili. (**) Il totale della prima colonna corrisponde alla totalità del campione. 56 dall’insieme delle specificità evidenziate, appare alquanto chiaramente che l’attenzione al comportamento e agli atteggiamenti importanti nella vita è maggiormente collegata a famiglie che, a partire dal livello culturale conseguito, impostano in un certo modo il percorso formativo dei figli. Si tratta di un aspetto non esclusivo ma piuttosto specifico. nella trasmissione valoriale della famiglia appare molto significativo anche il rispetto degli altri (69.4%); un rispetto, tuttavia, che non si traduce in altruismo e servizio agli altri se non per un numero molto ridotto rispetto al precedente (19.9%), come a voler suggerire comunque una certa distanza dal valore della prossimità e da una piena appartenenza ad una comunità. Il rispetto verso gli altri viene trasmesso in modo più insistente al nord, nelle famiglie con un livello culturale piuttosto elevato e ad esso fanno attenzione soprattutto le ragazze. due aspetti forse inattesi emergono in riferimento al valore dell’altruismo: di esso non si parla molto tra i ragazzi del Sud e viene evidenziato in modo particolare dai più grandi. Attenzione a sé e rispetto per gli altri si arricchiscono nella trasmissione valoriale di altri elementi che possono aiutare a strutturare la crescita e la maturazione personale. due terzi dei ragazzi intervistati hanno detto che in famiglia viene trasmesso il senso di responsabilità e il 60.7% viene spinto a motivare la voglia di lavorare e di impegnarsi, imparando a portare a termine le cose che si fanno (47.3%). Sono tutti elementi che possono contribuire efficacemente alla formazione di una personalità responsabile e impegnata, che però tende ad essere autocentrata e a privilegiare la propria individualità rispetto ai compiti propri delle relazioni interpersonali. Anche questi elementi sono maggiormente trasmessi nelle famiglie con un livello culturale medio alto e sono soprattutto sottolineati dai più grandi, anche se con qualche variazione in riferimento alle collocazioni geografiche. Tra gli elementi costitutivi del patrimonio culturale trasmesso dai genitori vi è anche una notevole attenzione al valore della famiglia, specificato come volersi bene in famiglia (59.9%) e essere una famiglia unita (43.2%). Tenuto conto delle vicende attuali che attraversano la famiglia, questi due dati sono molto significativi e dicono quanto i giovani tengano a che sia salvaguardata la realtà familiare come luogo di amore e di forte reciprocità. Ma anche questo conferma una tendenziale privatizzazione degli affetti. l’attenzione alla famiglia è un po’ più presente nel Sud, nelle valutazioni delle ragazze e in contesti familiari con un livello culturale non molto elevato, quasi a costituire un legame forte con la tradizione per arginare derive di solitudine e di marginalità sociale. Vi sono due altri elementi valoriali che sono stati evidenziati nelle risposte al questionario: il senso del risparmio (46.7%) e l’andare a Messa la domenica (14.2%). Il primo aspetto appare particolarmente rilevante in questo nostro tempo per imparare a vivere secondo le reali possibilità che si hanno e non sotto l’influsso del mercato e delle sue leggi. l’andare a Messa, come espressione di una fede e di 57 un’appartenenza religiosa, è il valore meno evidenziato dagli intervistati e questo può essere un segno di quanto sia diventato marginale o assolutamente individuale il riferimento e ogni tipo di comportamento religioso. Il senso del risparmio viene trasmesso di più agli allievi del Centro, soprattutto i più grandi e quelli che nel percorso scolastico hanno vissuto traversie e bocciature. l’andare a Messa, invece, è richiamato un po’ di più dagli allievi più giovani, rispetto ai quali, forse, i genitori sentono ancora il dovere di incentivare la pratica religiosa. 3.3. Il tipo e la funzione delle regole nel vissuto familiare degli allievi dei CFP le attese e i valori aiutano a ricostruire e a rappresentarci i vissuti personali e i riferimenti valoriali utili per la costruzione della realtà personale. Ma si tratta di desideri e di riferimenti ideali che non è detto che siano attivi nel vissuto e che vengano concretamente trasformati in cammino di vita e mete da raggiungere. Per la realizzazione dei desideri e l’attuazione dei riferimenti valoriali sono necessarie delle regole che consentano un percorso operativo e costruttivo della propria persona che sia efficace. Come vengono pensate, attuate e controllate le regole di vita nelle famiglie degli allievi dei CFP dei Salesiani d’Italia? Per la stragrande maggioranza degli allievi è vero (52%), o lo è almeno in parte (36.2%), che le regole nella propria famiglia sono chiare e precise ed è anche vero (49.7%), o lo è almeno in parte (37.5%), che esse sono stabili. Si è tuttavia anche sottolineato che le regole tengono conto dei bisogni dei giovani (vero 44.9% e vero in parte 42.4%) e che cambiano quando vi sono esigenze particolari (41.1% vero e 38.8% vero in parte). Un altro aspetto molto significativo in questa situazione normativa dei comportamenti familiari è il fatto che le regole non sono soltanto per i figli, ma vengono rispettate anche dai genitori. questo è indicato come vero dal 58.1% e per il 31% è vero almeno in parte. Precisione, condivisione, stabilità e anche flessibilità: queste sembrano essere le caratteristiche delle regole nella stragrande maggioranza delle famiglie degli allievi dei CFP salesiani d’Italia. Alla luce di queste connotazioni della regolamentazione della vita familiare e dei suoi singoli componenti, possiamo anche parlare di modelli familiari che sostengono e orientano la vita di tutti. la chiarezza, la stabilità e la condivisione delle regole familiari sono evidenziate soprattutto dagli allievi del Sud, ma le ragazze non condividono sempre la stessa valutazione e non vedono neanche possibilità di flessibilità, che è invece riconosciuta dagli allievi del Centro Italia e dai più grandi. A questa valutazione positiva ed anche efficace delle regole vigenti in famiglia si contrappongono altre valutazioni che evidenziano notevole problematicità. Può essere vero (21.5%) o almeno in parte (35.2%) che in famiglia ognuno si organizza come meglio crede; vi possono essere anche situazioni familiari nelle 58 quali le regole cambiano continuamente (vero 10% e vero in parte 21.8%) e anche questa situazione viene evidenziata di più dalle ragazze. Poco più della metà degli allievi deve cercare di arrangiarsi per dare alla propria vita una certa regolarità e poco meno di un terzo deve fare i conti con incertezze e cambiamenti continui. Sono due elementi di incertezza che, soprattutto in età adolescenziale, possono avere conseguenze problematiche nelle fasi della crescita e dell’orientamento della vita. Oltre alle situazioni abbastanza contraddittorie già analizzate, vi è anche un’altra situazione che presenta modi di fare veramente opposti: una stragrande maggioranza di allievi riconosce che le regole in famiglia vengono concordate e questo può essere sempre vero (33.3%) o vero almeno in parte (49.9%); non sono pochi, tuttavia, coloro che dicono chiaramente che è vero del tutto (12.1%) o in parte (29.8%) che le regole vengono imposte, senza preoccuparsi di ascoltare i figli. non sempre, inoltre, le regole imposte ai figli vengono rispettate dai genitori: questo è indicato come vero dal 19% e per il 27.2% degli intervistati è vero almeno in parte. In riferimento alle regole della vita nell’ambito familiare, pertanto, ci si può trovare in situazioni nelle quali vi è un’intesa e un confronto tra genitori e figli per individuare le migliori possibili. questo viene evidenziato al Sud e, nella parzialità del suo verificarsi, dalle ragazze e anche da coloro che stanno vivendo qualche difficoltà nell’attuale percorso formativo. Ma sono queste stesse ultime categorie di Tabella n. 22 - Indica se per te le seguenti affermazioni sono vere, vere solo in parte o false 59 soggetti che mettono in evidenza la non conformità da parte dei genitori alle leggi imposte ai figli. non manca una visione puramente funzionale delle regole famigliari. Molti infatti sono dell’opinione che le regole in famiglia servono solo a tranquillizzare i genitori: questo è vero per il 30.1% e lo è almeno in parte per il 37.1%. Più di due allievi su tre, quindi, al di là delle altre opinioni espresse, anche quelle più di valutazione veramente positiva delle regole in famiglia, alla fin fine le ritengono uno strumento utile per dare maggiore tranquillità dai genitori nel loro compito genitoriale. non sorprende che coloro che condividono maggiormente questa valutazione siano le ragazze che abbiamo visto sempre un po’ recalcitranti a una valutazione positiva delle regole che vigono in famiglia, forse anche perché sono più controllate e richiamate alla loro osservanza. nella valutazione dell’importanza e della funzione delle regole di vita familiare, si è anche cercato di verificarne le conseguenze in caso di violazione. Anche su questo aspetto la realtà si presenta con non poche variazioni. Vi sono alcuni (8.1%) che hanno detto che la violazione delle regole comporta punizioni durissime; un numero più consistente ha anche detto che questo è in parte vero (27.2%). Sono tuttavia molto più numerose le situazioni in cui la trasgressione delle regole familiari non comporta punizioni di nessun genere: il 22.9% dice che questo è vero e il 31.8% che lo è almeno in parte. Più della metà, quindi, non ha come motivo obbligante della sua osservanza il rischio della punizione. È chiaro tuttavia che non è solo questa l’interpretazione delle conseguenze di comportamenti non osservanti. Il rischio è che la mancanza di rispetto delle regole sia riconosciuta come un fatto normale e questo, ovviamente, fa perdere qualunque valore alla regolamentazione della vita familiare. A evidenziare questa situazione contraddittoria delle conseguenze delle regole in famiglia sono maggiormente le ragazze e gli allievi che provengono da famiglie nelle quali i genitori hanno un titolo scolastico piuttosto basso. In riferimento alla non osservanza delle regole, vi sono ancora altri due possibili comportamenti da parte dei genitori: un numero rilevante di allievi afferma che a volte i genitori puniscono la trasgressione e altre volte non lo fanno. questo è vero per il 27.2% e lo è almeno in parte per il 43.8%. non si scostano molto da quelle indicate le percentuali di coloro che invece affermano che i genitori, in caso di trasgressione della regola familiare, si impietosiscono e perdonano. Anche questi due ultimi atteggiamenti genitoriali sono sottolineati dalle ragazze e dagli allievi più giovani. Il quadro complessivo non è privo di aspetti un po’ equivoci o problematici, se non proprio contraddittori. Stabilità e uniformità da parte di tutti sono scelte importanti. Flessibilità e attenzione a momenti e bisogni specifici sono scelte che aiutano a superare il formalismo assoluto. resta il fatto del fissare le regole di comune intesa e di motivarle per dare anche senso alle conseguenze in caso di non osservanza. 60 3.4. Modalità di soluzione dei bisticci familiari nell’analisi che stiamo facendo circa la realtà familiare degli allievi dei CFP salesiani rientrano necessariamente anche le reazioni e soluzione degli inevitabili bisticci che possono avvenire con mamma e papà. la domanda non comprendeva la frequenza dei bisticci, ma la modalità delle loro soluzione. le indicazioni che gli intervistati hanno offerto sono senza dubbio interessanti, anche se non hanno nulla di particolare, rispetto a ciò che avviene normalmente in queste situazioni. la tabella seguente offre una visione d’insieme delle risposte degli allievi dei CFP. Bisogna subito precisare che la reazione più condivisa è orientata a uno sforzo di comprensione e di chiarimento: il 29.3% afferma che il genitore cerca di capire quel che è accaduto e ne parla apertamente. È chiaro che il riferimento è a qualche comportamento o reazione dei genitori a qualcosa che ha fatto il figlio. questa disponibilità comunicativa e di pacificazione è meno presente tra le ragazze e cresce gradualmente con riferimento alle zone geografiche dal nord verso il Sud, riscontrandosi questa disponibilità soprattutto tra gli allievi dei Centri del Sud: 27.3% al nord, 32.3% al Centro, 34.2% al Sud. Sono i più grandi e coloro che non stanno incontrando particolari difficoltà nel seguire i corsi quelli che sono più disponibili al chiarimento e comprensione. Più di uno su quattro (26%), in situazioni in cui non riesce a capire alcune posizioni familiari, reagisce male immediatamente, ma poi cerca di realizzare quanto gli è stato indicato dai genitori: questa forma di reazione è leggermente più comune tra gli allievi dei CFP del Centro e tra coloro che hanno meno di 17 anni. le altre reazioni, in caso di bisticci, sono piuttosto problematiche e non prevedono soluzioni positive nell’immediato. Un buon numero (16.7%) non reagisce e si Tabella n. 23 - Reazioni ai bisticci con i genitori secondo la zona geografica, il sesso e l’età (*) le percentuali della riga finale corrispondono alla consistenza delle singole variabili. (**) Il totale della prima colonna corrisponde alla totalità del campione. 61 ritira in camera; una percentuale leggermente inferiore (15.2%) fa finta di niente e fa le cose come gli pare. Vi è anche un piccolo gruppo che si ribella e reagisce con capricci al bisticcio avvenuto (4.9%). nella individuazione dei soggetti che si ribellano non emergono specificità particolarmente evidenti, anche se, tendenzialmente, reazioni del genere potrebbero vedere maggiormente protagonisti gli allievi delle regioni del nord, le ragazze, i più giovani e alcuni tra coloro che vivono in famiglie nelle quali i genitori hanno un titolo di studio medio alto. non danno rilevanza al bisticcio e continuano a fare come meglio credono coloro che sanno che alle infrazioni non seguono castighi, quelli che nel loro percorso di vita hanno sperimentato delle bocciature e che adesso incontrano anche qualche difficoltà a seguire i corsi di qualifica professionale. reagiscono al bisticcio con il silenzio e con il ritirarsi in camera soprattutto le ragazze e la loro percentuale è piuttosto rilevante: 30.9%, rispetto alla media generale che è 16.7%. 4. I REFERENTI E I MAESTRI DEL COMPORTAMENTO In riferimento alla famiglia, ma anche con attenzione alle altre relazioni ed esperienze di vita, si è anche voluto verificare l’incidenza, sia di famigliari che di altre persone o esperienze di vita, nella maturazione di comportamenti che si mettono in atto nella vita concreta. In assoluto, maestra di comportamento è la madre: 70.2% e, con quasi uguale incidenza, seguono le esperienze che si fanno nella vita (59.8%) e il padre (58%). queste percentuali riportano il livello più elevato di valutazione riferito a “molto”. Aggiungendo anche il livello “abbastanza” l’importanza delle mamme raggiunge il 96% e per le esperienze e il papà l’87%. Poco meno del 10%, quindi, ritiene poca o nulla l’incidenza di questi due ultimi riferimenti come maestri del proprio comportamento. Oltre alla mamma e al papà, si è voluto anche valutare l’incidenza di altre figure familiari sul comportamento: il riferimento ai nonni è riconosciuto come molto (30.5%) e abbastanza (41.3%) importante dagli allievi dei CFP; altre persone della famiglia (fratelli, parenti) possono avere un’incidenza nel comportamento, che può risultare molto importante per il 21.5% e abbastanza importante per il 44.3%. l’importanza dei genitori per il proprio comportamento è riconosciuta in modo particolare dagli allievi delle regioni del Sud, mentre le ragazze esaltano soprattutto l’incidenza della madre. le ragazze accentuano, più dei loro coetanei, la scarsa incidenza del papà e del nonno nella scelta dei loro comportamenti quotidiani. la figura del nonno è invece riconosciuta molto importante da coloro i cui genitori hanno un livello di studio medio alto e che forse, per ragioni di lavoro, delegano agli anziani una presenza educativa abituale. Sia le ragazze che gli allievi dei CFP del Centro sottolineano anche l’importanza di altri familiari. 62 I comportamenti si apprendono dall’esperienza che si vive, soprattutto per coloro che vivono nelle regioni del nord e per coloro che hanno già superato i 17 anni di età. dalla rilevanza dei dati che si possono osservare nella Tabella seguente, potrebbe sorprendere il fatto che l’incidenza degli amici, dei compagni di corso e del gruppo di riferimento per incontri e uscite non appare molto rilevante, anche se le percentuali di “abbastanza” sono piuttosto elevate. Poco più del 50%, ma concentrandosi come scelta soprattutto sull’abbastanza (42.3%), riconosce che le indicazioni sul modo di comportarsi vengono dal migliore amico/a; è anche intorno al 50% l’incidenza del gruppo di riferimento, senza molte distinzioni per l’intensità dell’incidenza. Sono invece intorno a un terzo (6.1% molto e 28.2% abbastanza) gli allievi che riconoscono anche i compagni di corso come referenti per i comportamenti che si cerca di mettere in atto nella propria vita. È evidente che all’amicizia si attribuiscono altri significati (compagnia, complicità, confronto), poiché è oggettivamente difficile pensare che un coetaneo possa esprimere una certa autorevolezza nel guidare i comportamenti giovanili. Pur con le differenze sottolineate, non si può non riconoscere una certa incidenza di amici e colleghi nella vita, soprattutto in riferimento ai comportamenti da mettere in campo nella propria quotidianità. Soltanto per le ragazze, tuttavia, amici e compagni di gruppo possono risultare molto importanti per il comportamento; lo sono abbastanza per gli allievi delle regioni del Centro e possono avere una tale funzione i compagni di corso per coloro che hanno meno di 17 anni. Per i più grandi e per quelli del Centro i compagni di corso non sono per nulla importanti e una valutazione simile è espressa dagli allievi del Sud in riferimento agli amici e ai compagni di gruppo. Tabella n. 24 - In che misura ti insegnano come devi comportarti 63 Vi sono altre figure di educatori che possono essere importanti per apprendere e modellare comportamenti di vita. Gli allievi intervistati hanno riconosciuto una notevole incidenza dei formatori e educatori sui loro comportamenti: 40.7% molto e 44.3% abbastanza. Si riduce notevolmente, invece, l’importanza di sacerdoti/religiosi (24.8% molto e 32.5% abbastanza), e ancor più il riferimento esplicito a catechisti e animatori (19% molto e 27.2% abbastanza), senza dimenticare che gli allievi dei CFP non sono più in età di catechismo e sono pochi coloro che fanno parte di gruppi organizzati a carattere religioso. Tenuto conto di quanto abbiamo riscontrato nelle analisi precedenti, possiamo dire che i riferimenti educativi e comportamentali sono quelli familiari e scolastici, mentre diminuisce sensibilmente l’incidenza dell’ambito religioso e ha ancora un certo significato quello relazionale amicale. Il riferimento religioso è ancora piuttosto significativo per gli allievi del Sud e quelli più giovani, e lo è ancora abbastanza per le ragazze. Gli educatori e formatori sono stati indicati come rilevanti per l’apprendimento dei comportamenti di vita, quanto più questi stessi sono ben informati dello stile educativo della famiglia e dunque sono i grado di esprimere condivisione piena e solidarietà con eventuali difficoltà e problemi. Avendo già parlato dell’incidenza delle esperienze di vita sulla formazione di comportamenti, resta soltanto da verificare l’importanza attribuita a ciò che si legge, si vede alla TV o a Internet. Anche i dati riferiti a questa fonte di comportamento potrebbero apparire piuttosto inferiori alle attese. resta comunque un po’ difficile precisare l’incidenza effettiva dei fattori inclusi nella stessa domanda, perché si tratta di riferimenti diversi: lettura, televisione, Internet. Peraltro, è sempre difficile riconoscere se si tratta di un contenuto obiettivamente contenuto o carente o se, piuttosto, i giovani assorbono in modo inconsapevole e quali passivo le suggestione dei media. Complessivamente, sono pochi coloro che danno grande importanza all’uso di strumenti di comunicazione, più o meno moderni, come fonte dei propri comportamenti. Un aspetto che appare piuttosto chiaro è il fatto che queste fonti per dare forma al proprio comportamento sono più incidenti nella vita degli allievi del Sud e si stanno riducendo soprattutto nella vita di coloro che hanno superato i 17 anni di età. resta tuttavia un riferimento aperto e che merita attenzione più dettagliata per valutare in modo più puntuale l’effettiva portata dei fattori indicati nella vita attuale di adolescenti e giovani. 5. CONTROLLO DELL’USO DI INTERNET DA PARTE DEI GENITORI Un ultimo aspetto dell’esperienza familiare degli allievi dei CFP riguarda l’uso di Internet in casa e il controllo da parte dei genitori. data l’importanza che acquista sempre più nell’esperienza personale la presenza e l’uso di Internet, questo aspetto diventa veramente irrinunciabile e può aiu64 tare a comprendere l’importanza che comincia ad avere anche negli adolescenti e giovani che seguono attualmente il loro percorso formativo di qualifica professionale. riportiamo innanzitutto nella Tabella seguente il quadro completo della verifica effettuata. Appare abbastanza chiaro che i genitori non stanno addosso ai figli e il loro controllo non è asfissiante: solo un gruppetto (6.5%) ritiene che il controllo sia eccessivo, la stragrande maggioranza si sente del tutto indipendente da questo controllo in quanto il 59.2% opera liberamente. nell’insieme, un numero rilevante afferma che il controllo avviene ogni tanto e comunque è plausibile ritenere che eventuali intromissioni dei famigliari vengono opportunamente aggirati o schermati ricorrendo a Internet in tempi e momenti in cui è più difficile per gli adulti intervenire. dalla lettura di alcuni incroci appare anche chiaramente che il controllo dell’uso di Internet è un po’ più frequente per i ragazzi del Sud, per le ragazze e i più giovani; i più grandi si sentono molto liberi e, più degli altri, dicono che i genitori non intervengono mai nel loro uso di Internet. diventa motivo di tensione con i genitori il troppo tempo passato a navigare in Internet: anche se resta abbastanza ridotto il numero delle situazioni assillanti (8.5%), cresce un po’ di più il numero di coloro che dicono che questi litigi avvengono ogni tanto (39%). di conseguenza diminuisce il numero di coloro che possono passare in Internet tutto il tempo che vogliono senza che qualcuno intervenga (49.9%). Anche per quanto riguarda i litigi non cambia il volto dei protagonisti già precedentemente indicati: gli allievi del Sud, le ragazze e i più piccoli. Ai più grandi, che già non venivano disturbati per l’assiduità del controllo, si aggiungono o si precisano gli allievi delle regioni del Centro e i figli di genitori con un livello di studio più elevato. l’ultimo aspetto che si è voluto precisare nell’uso di Internet riguarda il tempo in cui lo si usa: di sera e/o nella notte fonda. In questa ulteriore precisazione i dati appaiono ancora più precisi e forse veritieri: il 21.1% dice che la sera e la notte sono tempi abbastanza frequenti del suo uso di Internet e questi tempi sono valorizzati anche con una frequenza meno assidua da parte del 42.4% degli allievi dei Tabella n. 25 - Quando navighi in Internet 65 CFP. Solo un terzo dei ragazzi intervistati ha detto che non sono questi i tempi del suo navigare in rete. navigano spesso di notte i più grandi e gli allievi dei CFP delle regioni del Centro, ad essi si uniscono anche le ragazze, pur riducendo la frequenza di uso dei tempi notturni. dall’insieme dei dati esaminati, presentati nella Tabella, si può anche argomentare che forse gli ultimi dati sono anche i più veri per un quadro più realistico del navigare in Internet, anche se questo non sempre comporta controllo o motivo di litigio con i genitori. Come abbiamo già indicato precedentemente si può parlare anche frequentemente con i genitori di ciò che si fa usando Internet. le ragazze lo fanno di più con la madre ma anche con il padre, anche se vi sono alcune che non ne parlano mai con il padre. I più grandi ne parlano con il padre e meno con la madre. Sono invece gli allievi delle regioni del Centro che, più degli altri, non parlano mai del loro uso di Internet con i genitori. 6. LA COLLABORAZIONE EDUCATIVA TRA I CFP E LE FAMIGLIE DEGLI ALLIEVI da tempo ormai si sta sperimentando che non si può educare da soli e non possono ritenersi efficaci le azioni educative che non riescano a trovare collaborazione e coinvolgimento da parte di soggetti e istituzioni educative diverse. Concretamente, si può dire che i genitori e la famiglia da sola non bastano, le scuole e gli insegnanti e/o formatori da soli non possono essere sufficienti. Per questi motivi si cerca di motivare e rendere effettive delle collaborazioni e di stabilire patti educativi che richiedono la condivisione di obiettivi e di motivazioni che possano renderli veramente efficaci. Su questi vari aspetti si è cercato di fare chiarezza nella nostra ricerca, per verificare la situazione, la reale collaborazione tra CFP e famiglia e anche i motivi che possono facilitarla o ostacolarla. 6.1. L’offerta dei CFP per le famiglie la famiglia oggi ha bisogno di essere aiutata per poter svolgere al meglio i suoi non facili compiti educativi. I genitori potrebbero aver bisogno di associarsi, di avere opportunità di formarsi; di avere, cioè, a disposizione offerte da poter valorizzare, per prepararsi meglio al compito educativo. Esiste qualcosa nei CFP per le famiglie degli allievi? dalle risposte degli intervistati emerge quanto segue. Un gruppetto di allievi (11.5%) ha detto che nel proprio CFP è presente un’associazione per i genitori. Il 37% è sicuro che non esiste questa opportunità e il 46.7% non sa se c’è un’associazione per genitori. 66 Ovviamente se non si sa, non si può neanche essere informatori di questa possibilità presso i genitori, pertanto dobbiamo riconoscere che l’esistenza si concretizza nella cifra indicata e questa possibilità è presente quasi esclusivamente al nord.Appare più significativa la partecipazione dei genitori a Corsi di Formazione attivati nei CFP proprio per i genitori: vi è un gruppetto di allievi (13.4%) che ha detto che i propri genitori ci vanno sempre e un altro gruppo, più consistente (26.8%), che ci va almeno qualche volta. dalla consistenza complessiva di genitori partecipanti ad offerte formative organizzate per loro, possiamo dire che una certa attenzione per i bisogni di formazione genitoriale è messa in atto nei vari CFP. la partecipazione dei genitori ad offerte formative organizzate nei diversi CFP si verifica in modo più significativo al Sud, mentre è piuttosto rara al Centro. 6.2. Il coinvolgimento dei genitori nell’offerta educativa e nella vita dei CFP Per poter verificare e valutare il coinvolgimento dei genitori all’offerta formativa/ educativa e alla vita dei CFP, abbiamo chiesto agli allievi di indicarcene la frequenza e, se questo non avviene, di darcene le ragioni. Il quadro complessivo delle risposte, rappresentate nella Tabella seguente, può consentire una significativa conoscenza al riguardo. Oltre ai Corsi di Formazione, i CFP cercano di coinvolgere i genitori nella definizione del Progetto Educativo, negli organi collegiali e anche nelle decisioni circa problematiche educative e disciplinari. I primi due aspetti possono concretizzarsi nelle modalità partecipative istituzionalizzate, mentre la terza potrebbe essere suscitata da situazioni particolari da affrontare insieme e da risolvere. Il coinvolgimento ai momenti istituzionali vede presenti con assiduità un numero non irrilevante ma piuttosto ridotto: intorno al 15%; in forma meno sistematica, cresce molto il numero dei genitori che si rendono presenti (intorno al 40%) per entrambe le iniziative. quando bisogna affrontare situazioni disciplinari o educative problematiche il coinvolgimento dei genitori è ancor più consistente: 29.5% sempre e 39.2% qualche volta. Bisogna tuttavia precisare che il rapporto dei genitori con i formatori non è soltanto dettato da situazioni problematiche. Vi sono anche forme di incontro periodico che sono molto partecipate: 48.4% sempre e 35.1% qualche volta. Più di otto genitori su dieci cercano pertanto di valorizzare gli incontri periodici con i formatori per una collaborazione più fattiva nel percorso di formazione dei figli, anche se è ipotizzabile che la partecipazione tende ad essere consistente soprattutto negli appuntamenti in cui si possono ricevere indicazioni sull’andamento scolastico del proprio figlio o al massimo sul modo in cui l’intera classe vive la propria esperienza di studio. In questi casi, però, non è scontato che l’atteggiamento dei genitori sia fondamentalmente di tipo ricettivo, piuttosto che di protagonismo nel costituirsi e rappresentarsi come risorsa utile ad orientare e sostenere il percorso formativo dei ragazzi. 67 Infatti, l’aspetto più interessante che emerge dall’approfondimento di analisi di queste forme di coinvolgimento dei genitori è il seguente: la partecipazione esprime una particolare attenzione e cura educativa dei figli. Alla progettazione, agli organi collegiali, agli incontri con i formatori e anche ad incontri per risolvere qualche problema, si partecipa quanto più si cerca di condividere e di far conoscere ai formatori lo stile educativo familiare, quanto più si cerca di seguire i figli anche nell’uso di Internet e quanto si è disponibili a frequentare Corsi di Formazione. Su queste motivazioni e sensibilità si può certamente contare per la realizzazione di una collaborazione e/o di un patto educativo tra CFP e famiglia. Ai genitori degli allievi dei CFP viene anche offerta la possibilità di partecipare a incontri di programmazione di attività interne, di feste religiose e di manifestazioni sportive e culturali. la partecipazione al primo tipo di proposte è più assidua e anche più consistente: il 24.5% interviene spesso e il 36.2% lo fa almeno qualche volta. È un po’ meno assidua e consistente la partecipazione dei genitori a feste religiose (16% spesso e 36.3% qualche volta) e a manifestazioni sportive o culturali interne alla struttura (12.5% spesso e 30.6% qualche volta). queste due ultime forme di partecipazione sono più presenti nei CFP del Sud. Al di là, tuttavia, di questa rilevanza geografica, anche il coinvolgimento alla programmazione e ai vari momenti della vita della struttura sembra essere collegata alla cura educativa dei figli. Ciò che emerge abbastanza chiaramente è che la partecipazione si collega positivamente con modalità diverse di attenzione e cura per la formazione dei figli. Abbiamo chiesto agli allievi che hanno indicato la totale assenza dei genitori dalle proposte collaborative e dai momenti di vita dei CFP di dare le motivazioni della non partecipazione dei genitori. Alla domanda soltanto il 26.7% non ha risposto. Siccome si chiedeva di motivare la non partecipazione, la percentuale indicata può rappresentare i genitori che sono i più solleciti a coinvolgersi nelle attività, che partecipano ordinariamente a quanto viene offerto per loro dai CFP. la maggior parte ha indicato come motivazione il fatto di non avere il tempo (51.1%). Vi sono, tuttavia, anche altre motivazioni che meritano una certa attenzione. Una quota non irrilevante ha detto chiaramente che i genitori non sono inte- Tabella n. 26 - I tuoi genitori partecipano… 68 ressati a quanto viene proposto dal CFP (17.2%), mentre un gruppetto rimane lontano perché pensa di non aver nulla da offrire e questo diventa un motivo per non coinvolgersi (8.1%). rimane un gruppo di genitori (11.1%) che, a dire dei figli, non si sente coinvolto in quanto si fa nel CFP e le motivazioni di costoro possono essere le più diverse. Sono elementi su cui riflettere e lo si deve fare sul dato in sé poiché non emergono particolarità che collegano queste motivazioni a caratteristiche o a collocazioni geografiche specifiche. I CFP devono operare per invogliare, motivare, far sentire coinvolti, far vivere delle opportunità e tutto questo come offerta, stile e modalità concreta di attuazione della proposta formativa di un CFP salesiano. 6.3. Rapporti e collaborazione tra genitori e formatori dei CFP la collaborazione educativa con la famiglia si concretizza fondamentalmente nella qualità dei rapporti genitori-formatori e nella loro reciproca collaborazione, che a volte può anche vivere motivi di tensione. Su questi aspetti si concentra la nostra attenzione di analisi. la stragrande maggioranza degli allievi ha sottolineato la qualità dei rapporti dei propri genitori con i formatori, indicandoli come collaborativi (43.5%), sereni e accoglienti (47.3%), di reciproco rispetto (56.1%). la collaborazione si riscontra sia nei CFP del nord che di quelli del Sud e si mette in atto quanto più è condivisa la cura e lo stile educativo, sia in riferimento alle ragazze che ai più piccoli. È sempre lo stile educativo condiviso che rende gli stessi rapporti sereni e accoglienti, soprattutto quando i destinatari della cura educativa sono le ragazze e gli allievi al di sotto dei 17 anni. l’attenzione a questi stessi destinatari dell’azione educativa mette in atto anche rapporti improntati a reciproco rispetto. nelle risposte degli allievi vengono anche evidenziati rapporti che esprimono Tabella n. 27 - Motivazioni della non partecipazione dei genitori secondo la zona geografica, il sesso e l’età (*) le percentuali della riga finale corrispondono alla consistenza delle singole variabili. (**) Il totale della prima colonna corrisponde alla totalità del campione. 69 un po’ di distanza (11.5%), di freddezza (2%), di conflittualità (1.1%) o del tutto inesistenti (2.4%). queste forme di rapporti piuttosto problematiche non sono reperibili in situazioni e in riferimento a soggetti specifici. Sono disperse nelle varie situazioni e bisogna saperle interpretare in ciascuna di esse. I rapporti di cui ci stiamo occupando vedono come protagonisti figure educative investite di responsabilità nei confronti di persone che stanno vivendo un percorso formativo. le motivazioni e gli obiettivi della collaborazione sono tutti orientati alla finalità educativa, nei suoi vari aspetti. Gli allievi mettono in evidenza, come obiettivo della collaborazione genitoriformatori, soprattutto il far osservare le regole (43.4%) e migliorare i comportamenti (28.9%). Sono due aspetti che potrebbero fare riferimento più al modo di presentarsi e di essere in grado di gestire la vita in questa fase particolare: sono attenzioni e motivazioni di collaborazione al Sud come al nord, sia per i più piccoli che per le ragazze; si collegano ai bisogni che si possono avere per facilitare la valorizzazione del percorso formativo e anche allo stile educativo della famiglia quanto più è conosciuto anche dai formatori. Un altro obiettivo della collaborazione è orientato all’accompagnamento e sostegno per la soluzione di problemi che si possono presentare (35.4%), per migliorare il rendimento nei corsi formativi (33.7%) e anche per aiutare a saper scegliere gli amici nel percorso formativo (9.8%). I problemi possono attraversare l’esperienza di vita dei più piccoli; il rendimento nei corsi può toccare coloro che stanno incontrando qualche difficoltà nel percorso formativo, difficoltà che può essere anche accresciuta dalla scelta dei compagni di viaggio. le motivazioni di alcune attenzioni nella collaborazione genitori-formatori vengono anche esplicitate con questi riferimenti, ma non Tabella n. 28 - Rapporti tra genitori e formatori secondo la zona geografica, il sesso e l’età (*) le percentuali della riga finale corrispondono alla consistenza delle singole variabili. (**) Il totale della prima colonna corrisponde alla totalità del campione. 70 viene meno l’intesa da cercare per sostenere insieme il percorso formativo degli allievi. Vi sono anche altre due motivazioni che sono indicate in questa collaborazione: la trasmissione dei valori (19.6%) e l’accompagnamento e il sostegno per lo sviluppo delle doti personali degli allievi (22.8%). Soprattutto queste motivazioni si collegano all’impegno di condividere lo stile educativo, per stimolare anche i più grandi a saper valorizzare le doti personali. Tutto questo viene sollecitato dai genitori che hanno un livello di studio medio alto. I rapporti genitori-formatori, come abbiamo visto, sono improntati a collaborazione e orientati a facilitare la crescita e il rendimento degli allievi dei CFP. questo non significa, tuttavia, che non vi possano essere occasioni e motivi di disaccordo e anche di tensione. Il disaccordo può toccare in modo particolare la valutazione del percorso formativo (voti e rendimento complessivo nel corso) e l’esperienza didattica scolastica (gestione della classe e compiti); ma possono anche riguardare il comportamento e lo stile di vita, la disciplina e il rapporto con i compagni e anche eventuali note e punizioni. Per quanto riguarda il percorso formativo professionale, il disaccordo appare abbastanza rilevante in riferimento ai voti (11%) e alla valutazione complessiva del rendimento (9.8%): entrambi questi motivi di disaccordo sono più presenti tra gli allievi dei Centri del Sud; lamentati dai più piccoli e dai genitori di coloro che stanno incontrando qualche difficoltà nel seguire i corsi. Proprio per questi motivi e in riferimento a queste situazioni, qualcuno si lamenta anche della gestione della classe (8.5%) e della quantità dei compiti assegnati per casa. Gli aspetti, invece, che sono alla base di possibili conflitti si riferiscono al Tabella n. 29 - Motivazioni della collaborazione genitori-formatori secondo la zona geografica, il sesso e l’età (*) le percentuali della riga finale corrispondono alla consistenza delle singole variabili. (**) Il totale della prima colonna corrisponde alla totalità del campione. 71 comportamento (8.7%) in genere e, in modo specifico, al comportamento disciplinare (9.3%); possono, tuttavia, riguardare anche i rapporti con i compagni di classe (4.9%) o lo stile di vita complessivo di un certo numero di allievi (7.2%). Mentre il comportamento in genere e anche a livello disciplinare è motivo di tensione tra gli allievi dei CFP del Sud, gli stili di vita vedono più coinvolte le ragazze. la valutazione da parte dei formatori può anche arrivare alle note e alle punizioni (6.9%) e questo viene accolto con resistenza soprattutto dai genitori che devono far fronte alle difficoltà che il figlio sta incontrando per seguire il Corso di Formazione a cui, forse, essi stessi lo hanno voluto iscrivere. 7. L’ESPERIENZA FAMILIARE DEGLI ALLIEVI DEI CFP dopo il vasto percorso di analisi di questo secondo capitolo non è del tutto agevole ritornare su alcuni aspetti significativi del vissuto familiare degli allievi dei CFP per valutare con più attenzione la qualità formativa-educativa della famiglia, con cui si dovrà trovare una collaborazione educativa efficace. Alla luce dei dati analizzati e delle particolarità emerse nell’analisi dell’esperienza familiare degli allievi dei CFP, appare evidente l’importanza dell’attenzione alla realtà della famiglia per comprendere meglio i ragazzi stessi, insieme ai bisogni e alle possibilità di collaborazione con la famiglia nell’educazione degli adolescenti. Se soltanto il 37% dei ragazzi intervistati ha detto di non avere problemi particolari in famiglia, vuol dire che la maggior parte si trova a vivere difficoltà di vario genere. Se togliamo la rilevante presenza di difficoltà dovute al lavoro e alla conseguente precarietà economica (26.6%) della famiglia, le difficoltà si riferiscono soprattutto all’aspetto relazionale e ai rapporti con i genitori, alla possibilità di accordo tra i genitori, alla stessa possibilità di dialogo e di accordo genitori-figli. 7.1. Problemi in famiglia, rapporti con i genitori e attese nei loro confronti queste difficoltà e problemi possono rendere incerti, ma non annullano i rapporti e una sufficiente possibilità di dialogo, pur con delle diversificazioni, in riferimento al padre e alla madre. dall’analisi fattoriale è emerso che sono due i fattori che raggruppano i problemi che attraversano la famiglia. nella loro valutazione gli allievi dei CFP convergono soprattutto sulle difficoltà relazionali, sia quelle tra i genitori che tra genitori e figli. questo fattore rende ragione del 22.5% della varianza ed evidenzia un aspetto abbastanza diffusa nella realtà familiare attuale. l’altro fattore che è emerso raggruppa altre fonti di disagio, legate alla situazione economica, ad eventuali problemi di salute o all’assenza di un genitore nel compito educativo e dà ragione del 18.8% della varianza. 72 Tenuto conto che nell’analisi dei dati abbiamo detto che il 37% non vive attualmente problemi in famiglia e che i due fattori emersi dall’analisi fattoriale danno ragione del 41.3% delle opinioni, abbiamo un quadro abbastanza chiaro delle esperienze di vita in famiglia. questo quadro potrà essere meglio precisato alla luce dei risultati delle analisi fattoriali riferite ai rapporti e alla frequenza della comunicazione attivata dai giovani. l’analisi fattoriale fatta sui dati riferiti ai rapporti degli allievi con i genitori ha evidenziato due elementi significativi sia in riferimento al rapporto con il padre che con la madre. Un fattore raggruppa aspetti che sono piuttosto negativi (incomprensione, conflitto, ribellione, sopportazione, ecc.), che riesce a dare ragione del 36.8% della varianza delle opinioni riferite al padre e il 35%, circa, in riferimento alla madre. l’altro fattore raggruppa gli elementi più positivi del rapporto (rispetto, collaborazione, fiducia, ecc.) e, sia in riferimento al padre che alla madre, raggruppa poco più del 21% delle opinioni espresse. Al di là dei dati quantitativi, l’aspetto che più può consentire di rendersi conto della situazione familiare degli allievi è il fatto che la problematicità dei rapporti con i genitori, per quanto riguarda il fattore negativo, sia collegata a situazioni personali che evidenziano sensazioni ed esperienze difficili degli adolescenti: spesso sono attraversati dalla sensazione di farla finita e da frequenti incontri con amici che si drogano. A conferma di quanto indicato si può anche sottolineare il fatto che l’analisi fattoriale della frequenza del parlare con i genitori di problemi e scelte, di Internet, degli amici, ecc., è collegato positivamente a situazioni di vita personali piuttosto sicure e ben ancorate. Oltre ai problemi riferiti alla realtà familiare attuale e ai rapporti con i genitori, abbiamo voluto anche verificare le attese, che cosa cioè si vorrebbe in modo particolare dai genitori. l’analisi fattoriale sulle attese ha fatto emergere elementi diversi che possono rispecchiare vissuti e desiderata particolari degli allievi. Una convergenza significativa viene evidenziata dal primo fattore che renda ragione del 12.5% della varianza e sottolinea l’attesa di genitori come esempi di vita e capaci di trasmettere valori. nella fase adolescenziale degli allievi che hanno dato queste indicazioni, si tratta di attese che fanno riferimento al bisogno di maggiore sicurezza e soddisfazione nella vita. Un secondo fattore con una convergenza lievemente inferiore al precedente (11.5%) presenta come attese significative dai genitori il bisogno di compagnia, di attenzione, di dialogo, ecc. Il fattore relazionale può essere espresso a partire da sensazioni di solitudine e di vita piuttosto piatta e che si vorrebbe cambiare. Un terzo fattore con un peso pari al 10.4% raggruppa attese di libertà, di autonomia, di fiducia. questa particolare aspettativa si collega a situazioni piuttosto problematiche della vita e alla distanza da ogni riferimento religioso. 73 dall’analisi fattoriale sono emersi altri due elementi che, per quanto di scarso peso, possono richiamare attenzioni importanti. Un gruppo di allievi, poco meno del 10%, si trova d’accordo sull’utilità che i genitori siano più a contatto con i formatori e siano più presenti nei CFP. Un gruppetto di poco inferiore (8.6%) vorrebbe genitori meno permissivi, più esigenti e rigidi, ma pronti a comprare tutto ciò che si desidera. le attese nei confronti dei genitori aprono orizzonti nuovi sull’esperienza familiare e aiutano a comprendere più chiaramente i bisogni degli adolescenti nel loro percorso formativo. I bisogni di testimonianza, di attenzione, di fiducia, di coinvolgimento e di rigorosità da parte dei genitori esprimono chiaramente il tipo di accompagnamento che potrebbe avere maggiore efficacia nella crescita degli adolescenti. 7.2. I genitori guide e riferimento del comportamento degli allievi dei CFP I genitori ci tengono a essere informati sulla vita che conducono i loro figli sia a scuola, sia nel tempo libero, sia nelle uscite serali e di fine settimana e circa altri comportamenti che esprimono l’assunzione di responsabilità nella loro vita. Su questi diversi aspetti, infatti, si gioca la capacità educativa dei genitori e la crescita responsabile dei figli. È pertanto del tutto normale coltivare autonomia e ricerca di libertà, e, di conseguenza, il voler tenere un po’ fuori i genitori dalle scelte di vita personali. Anche per questo ai genitori si chiede fiducia, libertà, capacità di guida all’autonomia, presenza, ascolto e testimonianza di vita. Per valutare il riconoscimento del ruolo dei genitori circa l’apprendimento comportamentale, abbiamo fatto l’analisi fattoriale su questa tematiche e abbiamo trovato tre fattori che possono aiutarci a precisare un po’ l’incidenza di diversi fattori nel comportamento di vita. nelle diverse opinioni espresse, è emerso che il 20% della varianza viene spiegata dalla convergenza nell’indicazione di compagni di gruppo, di amici, compagni di corso e anche i mezzi di comunicazione sociale come riferimento più importante dei comportamenti messi in atto. Poco meno del 18% converge nell’identificazione dei maestri del comportamento nelle figure religiose e formatori-educatori. Il riferimento strettamente familiare riesce a spiegare solo il 16% circa della varianza delle indicazioni sul comportamento nella vita concreta. Come si può riscontrare nella Tabella seguente, sono soprattutto le ragazze che hanno come maestri di comportamento gli amici e i media; le figura religiose contano soprattutto per coloro che valutano dio molto importante nella propria vita; le figure famigliari sono riferimento positivo per quanto stano vivendo senza particolari difficoltà i loro percorso formativo: da questi ultimi, come dai precedenti, sono soprattutto distanti eventuali consumatori di droga. Sono cioè lontani da un mondo che potrebbe rendere problematico il loro percorso di vita e le loro scelte comportamentali. 74 Il comportamento nella vita quotidiana viene anche orientato dalle regole di vita che, oggi soprattutto, non sono scontate e non chiaramente insegnate e riconosciute. Anche su questo aspetto abbiamo voluto fare un’analisi fattoriale che ha aiutato a fare luce su non pochi atteggiamenti e situazioni. Su questo aspetto la situazione è piuttosto diversificata, anche se siamo riusciti a evidenziare quattro fattori che si presentano con le seguenti caratteristiche. Il 16%, circa, delle opinioni espresse si raggruppano in un fattore che evidenzia nella propria famiglia la presenza di regole chiare, stabili e condivise: in questa visione convergono allievi prevalentemente del Sud, con un sicuro riferimento religioso e con notevole fiducia nella vita, lontani da sensazioni autodistruttive. Costoro, inoltre, non hanno familiarità con ambienti rischiosi e amici che si drogano. Il 13.5% costituisce un altro gruppo di allievi che designa la situazione opposta alla precedente: sottolinea soprattutto la severità e l’imposizione delle regole, che non sono neanche condivise. Il peso di una simile situazione viene avvertito dai più piccoli, dalle ragazze, da coloro che non hanno molta fiducia nella vita e spesso avrebbero voglia di farla finita; costoro si trovano anche nella situazione di incontrare amici che fanno uso di droga. Gli altri due fattori emersi dall’analisi sono meno consistenti ed evidenziano situazioni più problematiche: le regole, anche se ci sono, non prevedono o comunque non danno luogo a punizioni se non sono osservate (9.6%) o sono del tutto variabili (8%). riportiamo la Tabella seguente in cui si possono osservare in dettaglio i dati che stiamo presentando. Tabella n. 30 - Analisi fattoriale circa l’insegnamento per il comportamento 75 I risultati dell’analisi fattoriale ci rendono necessariamente più prudenti circa quanto è emerso nelle analisi precedenti sui maestri di comportamento. I genitori, e soprattutto la mamma, sono apparsi come i referenti prioritari per le scelte comportamentali; accanto a loro abbiamo sottolineato il valore delle esperienze di vita e anche dei formatori-educatori che li stanno accompagnando nel processo formativo, mentre era apparso di minore importanza per il comportamento concreto il riferimento al migliore amico/a e anche a educatori e a possibili figure religiose di riferimento. l’analisi fattoriale ci fa cogliere alcune convergenze, ma la relativa consistenza dei fattori emersi ci chiede di fare attenzione alla diversità delle situazioni dei singoli e cogliere meglio la portata di guida che i genitori e altri possono avere nel comportamento quotidiano. 7.3. Valori trasmessi dalla famiglia Il patrimonio di valori che la famiglia cerca di trasmettere ai figli è certamente ricco. le percentuali esaminate al riguardo sottolineano la consistenza del riconoscimento da parte degli allievi dei CFP. Il fatto, tuttavia, che risulta piuttosto incerta la funzione della regola che dovrebbe orientare l’esperienza e rendere possibile l’assimilazione dei valori proposti, fa nascere non poche perplessità sull’accoglienza e condivisione dei valori trasmessi. l’analisi fattoriale fatta su questo aspetto ha dato i risultati presenti nella Tabella seguente. Sono tre i fattori che emergono in riferimento alle indicazioni dei valori trasmessi in famiglia, con una portata esplicativa complessiva del 48.86% della varianza. Tabella n. 31 - Analisi fattoriale circa valori che vengono trasmessi in famiglia 76 Il fattore più rilevante raggruppa il 20% e indica soprattutto valori riferiti all’autonomia, alla responsabilità e all’impegno, con una estensione significativa anche al rispetto per gli altri e altri aspetti che evidenziano una relazione positiva con gli altri. Un secondo fattore abbastanza significativo raggruppa il 16.5% dei rispondenti e mette in evidenza soprattutto l’amore, l’unità, il rispetto reciproco come elemento essenziale per la famiglia stessa. Anche se il terzo fattore emerso riesce a spiegare soltanto il 12.4% della varianza, appare particolarmente significativo perché esprime insieme attenzione religiosa, amore del prossimo e disponibilità di obbedienza. Se il primo fattore sembra collegato più a esperienze di vita che tendono a recuperare le difficoltà e a sottolineare l’importanza che possono avere l’autonomia e l’impegno personale, gli altri due fattori si sintonizzano piuttosto con situazioni esistenziali che esprimono un chiaro riferimento religioso e una condizione di vita ben realizzata. la diversità, pertanto, dei fattori è chiara ed è anche ben comprensibile la specificità evidenziata. Sembra emergere una differenziazione significativa che si potrebbe esprimere nel modo seguente: più si interpreta la trasmissione dei valori come orientata a promuovere indipendenza, autonomia, senso di responsabilità, più queste appaiono come una sorta di accentuazione dell’individualismo, lontano da un’apertura al trascendente; più invece viene evidenziato il volersi bene, il rispetto degli altri, l’altruismo e il servizio, più si evidenziano orizzonti diverse di realizzazione di vita in cui vi è posto per dio, per l’altruismo, per l’amore del prossimo. 7.4. Prospettive di collaborazione efficace famiglia-CFP Gli elementi che stiamo richiamando in questo paragrafo conclusivo del capitolo devono accrescere la speranza circa la possibilità, l’opportunità e l’efficacia della collaborazione CFP e famiglia. Per poter valutare le disponibilità e le possibilità reali di attivare collaborazioni efficaci, abbiamo approfondito un po’ le analisi e cercato di far emergere elementi significativi e convincenti. le elaborazioni fattoriali che abbiamo fatto ci hanno aiutato a precisare tutto questo. Abbiamo anzitutto voluto verificare come si presenta l’attuale partecipazione dei genitori alla realtà dei CFP. dall’analisi sono emersi due fattori che hanno evidenziato i raggruppamenti espressi nella Tabella seguente. Il primo fattore ha evidenziato una partecipazione più collegata a finalità educative e collaborative (incontri con i formatori, programmazione di attività, decisioni su problematiche educative, definizione del progetto educativo, ecc.) e ha visto la convergenza del 30.7% su questi aspetti. Il secondo fattore, che raggruppa il 26%, sottolinea come motivi di partecipazione le feste, le manifestazioni, le celebrazioni e anche Corsi di Formazione. questo è quanto è stato affermato dai figli e possono essere anche interpretazioni non del tutto corrispondenti al vero, ma appaiono chiari i fattori che possono 77 in prospettiva essere incrementati e curati per dare maggiore coinvolgimento nella vita del CFP da parte dei genitori. Per poter attivare una efficace collaborazione è certamente importante la disponibilità dei genitori a partecipare alle iniziative e alla vita del CFP, ma è certamente ancor più determinante la qualità dei rapporti genitori-formatori e la loro reciproca disponibilità di collaborazione, superando eventuali motivi di conflitto. Portando più direttamente l’attenzione ai rapporti genitori-formatori, riscontriamo dalle analisi modalità non irrilevanti di leggere questo rapporto. Coloro che convergono su una valutazione negativa perché ritengono i rapporti piuttosto freddi, inesistenti e/o conflittuali raggruppano il 20%; vi sono tuttavia altri fattori che evidenziano aspetti positivi: il 17.4% raggruppa quanti ritengono i rapporti collaborativi e di reciproca accoglienza, mentre un gruppo inferiore (15%) converge nella valutazione del reciproco rispetto tra genitori e formatori. la collaborazione viene ancor meglio precisata riconoscendo come fattori significativi la convergenza sul comportamento e le regole e anche sul futuro e i valori. la Tabella seguente aiuta a coglierne il dettaglio, evidenziando due fattori significativi: il primo che ha un peso rilevante nella comprensione degli orientamenti perché raggruppa poco meno del 25% della opinioni e il secondo, che riesce comunque a spiegare più del 20% della varianza. Il primo fattore evidenzia in modo particolare una collaborazione centrata sul comportamento e rispetto delle regole, ma anche sull’accompagnamento, le scelte e il miglioramento del percorso formativo. Il secondo fattore raggruppa forme di collaborazione orientate allo sviluppo di doti personali e alla trasmissione di valori. Tabella n. 32 - Analisi fattoriale: la partecipazione dei genitori alla vita del CFP 78 l’insieme dei due fattori riesce a dare ragione soltanto del 45% della varietà delle opinioni, ma è già rilevante per poter trovare convergenze su proposte formative rilevanti. Come si può osservare nella Tabella, sul primo fattore convergono in modo particolare gli allievi delle regioni del Sud. l’ultimo aspetto che vogliamo richiamare si riferisce alla reali possibilità che possano nascere tensioni e conflitti tra i formatori e i genitori. Si tratta di capire come sono visti questi conflitti, intorno a che cosa possono scatenarsi, quali convergenze alimentano per poter fare attenzione e cercare di evitarli. Anche di questo aspetto vogliamo riportare la tabella con i risultati dell’analisi fattoriale. Come indica la Tabella, i fattori che specificano il tipo di conflitto che potrebbe sorgere tra genitori e formatori sono fondamentalmente tre: il primo si riferisce ai possibili interventi dei formatori per comportamenti e stili di vita che comportano eventuali interventi disciplinari. Si sa che, soprattutto oggi, non è detto che i genitori apprezzino gli interventi che altri si permettono nei confronti dei loro figli. Il secondo fattore si struttura su valutazione e voti del rendimento formativo; mentre il terzo fattore raggruppa elementi relativi alla classe, ai compiti e ai rapporti con i compagni. Come si riscontra nella Tabella la portata di questi tre fattori non è molto diversa e si aggira intorno al 15%, con un valore complessiva del 45%. È importante sottolineare e richiamare l’attenzione a coloro che appaiono come i protagonisti di queste valutazioni: i conflitti possono derivare da reali situazioni di difficoltà esistenziale degli allievi, oltre che da particolari problematiche legate al percorso formativo e scolastico. Si tratta di capire come non settorializzare il confronto e la collaborazione con i genitori, perché cercare le vie più efficaci per il miglioramento della vita degli adolescenti, operando insieme. questi dati richiamati nella conclusione della seconda parte dell’analisi della Tabella n. 33: Analisi fattoriale: collaborazione formatori genitori 79 ricerca possono aiutare a capire la rilevanza della collaborazione tra i CFP e la famiglia. Perché questo possa avvenire, i CFP devono sostenere con offerte significative la Formazione dei genitori e coinvolgerli responsabilmente nella vita dei CFP. Pur tenendo presente le difficoltà che questo comporta, si potrebbe contare sulla qualità e disponibilità di rapporti tra genitori e formatori, ispirati fondamentalmente a collaborazione, accoglienza e reciproco rispetto. Tabella n. 34 - Analisi fattoriale: motivi del conflitto genitori formatori 81 Capitolo terzo Esperienze di vita degli allievi dei CFP salesiani d’Italia l’analisi di questa parte della ricerca è particolarmente importante nell’attuale impegno di rinnovamento della FP. non è possibile puntare a una nuova FP senza un’attenzione specifica alla realtà della vita di quanti scelgono di fare il loro percorso formativo nella FP. la “personalizzazione dei percorsi formativi”, nella nuova FP, diventa una condizione irrinunciabile per l’offerta e l’efficacia dell’IeFP. Come dice in modo preciso dario nicoli: “la Formazione Professionale è chiamata ad un salto di qualità, in una prospettiva formativa capace di risvegliare l’umanità dei nostri giovani: rendere esplicito il proprio profilo educativo, per formare lavoratori competenti, cittadini attivi e consapevoli, persone capaci di vivere in modo autentico la propria libertà”1. Tutto questo sarà possibile soltanto attingendo alla vita reale e aiutando gli allievi ad essere capaci di elaborare una cultura esistenziale e diventare protagonisti “corresponsabili del proprio percorso educativo e formativo”2. l’attenzione conoscitiva alla realtà attuale dell’esperienza concreta della vita degli allievi dei CFP cerca anzitutto di cogliere valutazioni, desideri, preoccupazioni, insieme all’apertura a orizzonti di trascendenza e a vissuti particolarmente significativi per la crescita personale. l’attenzione alle esperienze di vita cerca, inoltre, di verificare comportamenti e vissuti esperienziali e di cogliere i riferimenti importanti per l’esistenza in situazioni di difficoltà. questi due aspetti fondamentali della quotidianità consentono di conoscere gli elementi costitutivi della vita, dei suoi orientamenti, fondamenti e rischi. Vi sono attualmente altre situazioni che consentono di approfondire la vita concreta nei suoi condizionamenti e anche nelle sue aperture, disponibilità e senso etico complessivo. Tutto questo regola le scelte e le valutazioni di comportamenti particolari; attraversa non solo l’immaginazione, ma può diventare “azione” di particolare rilevanza. 1 nICOlI d., Rubriche delle competenze per i Diplomi professionali IeFP. Con Linea guida per la progettazione formativa, CnOS-FAP Sede nazionale, roma 2012, 9. 2 Ibidem. 82 Come appare chiaramente da quanto abbiamo richiamato, l’attenzione di conoscenza alle esperienze di vita degli allievi risulta di assoluta necessità, per poter riflettere seriamente sulle loro condizioni di vita e poter scegliere tutto ciò che è necessario per aiutarli a vivere il loro percorso educativo e formativo in modo veramente utile ed efficace. 1. LA VITA ATTUALE DEGLI ALLIEVI DEI CFP: VALUTAZIONI, DESIDERI, PREOCCUPAZIONI, ORIENTAMENTI E APPARTENENZE SIGNIFICATIVE nella situazione attuale, gli allievi dei CFP salesiani d’Italia come valutano la loro vita? Si sentono realizzati e soddisfatti o avvertono sensazioni di tipo diverso? questa è la prima domanda che abbiamo posto in riferimento all’esperienza di vita corrente. le risposte non sono particolarmente sorprendenti, ma meritano comunque attenzione. Più della metà (52.7%) ha detto che sente la vita che sta vivendo abbastanza soddisfacente; mentre poco meno di uno su quattro (24.3%) afferma di valutare la sua vita attuale “né insoddisfacente ma neppure troppo soddisfacente”. Complessivamente, pertanto, almeno tre su quattro hanno la sensazione di vivere un’esperienza di vita non del tutto entusiasmante, ma neanche mortificante. le alternanze di situazioni e momenti possono esprimere più o meno soddisfazione, ma non sono neanche carichi sempre di tensione e/o insoddisfazione. Un numero non irrilevante ritiene la sua vita attuale pienamente realizzata (12.6%) e, all’opposto, sono il 5.1% coloro che la ritengono particolarmente insoddisfacente. Tra questi ultimi sono un po’ più presenti le ragazze e, soprattutto, coloro che hanno detto che vivono relazioni amicali con qualcuno che fa uso di droga. Mentre le ragazze sono veramente poche a dirsi pienamente realizzate e tutte, se pure in mi- Tabella n. 35 - Valutazione della vita secondo alcune caratteristiche degli intervistati (*) le percentuali della riga finale corrispondono alla consistenza delle singole variabili. (**) Il totale della prima colonna corrisponde alla totalità del campione. 83 sura diversa, si dicono abbastanza soddisfatte. la frequenza di un amico che fa uso di droga è sempre collegata ad atteggiamenti e valutazioni della vita più problematiche. Un altro indicatore importante di questa valutazione complessiva è anche l’importanza riconosciuta a dio nella propria vita: una vita aperta al trascendente e che ritiene significativa la presenza del sacro può anche vivere una piena realizzazione; mentre una valutazione che attribuisce a dio una relativa importanza nella propria vita è collegata spesso ad una relativa soddisfazione per la situazione attuale. qualche altro aspetto differenziante nelle valutazioni si precisa nel modo seguente: in riferimento al territorio di vita, i ragazzi del Sud sono tra i più realizzati, mentre quelli del nord lo sono abbastanza. la stessa valutazione esprimono coloro che hanno meno di 17 anni. Tra gli allievi del Centro troviamo una significativa percentuale (15%) che non si pronuncia e non risponde alla domanda. Gli orientamenti espressi ci fanno pensare a due diverse possibilità: da un lato, un’esistenza giovanile caratterizzata da spinte e investimenti molto diversificati, che si bilanciano a vicenda e dunque consentono un livello di accettazione della vita sufficientemente sereno; dall’altro, al rischio di una zona d’ombra, di una condizione di indifferenza, che rende tutte le esperienze vissute accettabili, ma non davvero qualificanti sul piano del senso e del significato. 1.1. Motivi e fattori di preoccupazione nella vita degli allievi dei CFP la valutazione dell’attuale soddisfazione della vita è certamente collegata a ciò che attualmente può apparire o essere esplicitamente riconosciuto, come motivo di maggiore preoccupazione. diventa pertanto di grande utilità, in una prospettiva educativa, capire quali possono essere le cause che rendono incerta o rischiosa l’esperienza attuale delle vita e le sue stesse prospettive di futuro. diciamo subito che le risposte aprono un vasto fronte che impedisce orizzonti sereni e forse anche capacità di scelte, per confrontarsi con le stesse cause della preoccupazione del vivere attuale. Possiamo raggruppare le opinioni espresse dagli allievi nel modo seguente: a. Fattori economici, politici e socio ambientali: partendo da ciò che viene maggiormente sottolineato e condiviso, le preoccupazioni maggiori sono collegate con l’attuale situazione economica e politica: il 45.5% guarda alla crisi economica attuale e la riconosce come grande motivo di preoccupazione. A questo fattore si congiunge anche l’apprensione che suscita la situazione politica italiana (40.7%). È abbastanza naturale che queste valutazioni siano espresse da coloro che sono più avanti negli anni, che stanno cercando di guardare alla loro vita con un certo impegno. Si può ancora sottolineare che sono più critici della situazione politica italiana coloro che vivono al nord che, nell’insieme, non lasciano troppo spazio a un orizzonte di trascendenza. Crisi economica mondiale, quindi, e situazione politica nazionale, nel loro orizzonte terreno, sono i motivi di maggiore preoccupazione. A questi due fattori se ne possono collegare altri che hanno un risvolto sociale 84 e trovano notevole diffusione tra gli intervistati. Più di un terzo (35.1%) ha anche detto di essere preoccupato oggi per la disonestà della gente e per la violenza e delinquenza presente nella società (20.5%). Oltre a questi due fattori che rendono particolarmente incerta la convivenza sociale, vi sono anche altri aspetti indicati che possono essere visti come costitutivi del contesto sociale e ambientale di convivenza: l’inquinamento ambientale (18.2%) e la diffusione della droga (17.5%). non sono, inoltre, pochi coloro che tra le preoccupazioni a livello sociale inseriscono anche la convivenza con gli immigrati (15.2%). Può essere significativo sottolineare che coloro che evidenziano rischi ambientali e disonestà hanno un riferimento trascendente significativo; non così, invece, quanti ritengono motivo di preoccupazione la convivenza con gli immigrati. la vita sociale nel nostro tempo, pertanto, viene avvertita come incerta e la convivenza non priva di preoccupazioni. disonestà, violenza, diffusione di droga, presenza di stranieri sono fonte di incertezza soprattutto nelle relazioni. Vi è, inoltre, un fattore ecologico di preoccupazione che rischia di minare alle radici le possibilità di una vita sana negli ambienti in cui si svolge la nostra vita di tutti i giorni. È evidente, in questi orientamenti, una certa permeabilità degli adolescenti al clima culturale nel quale sono immersi e la ricezione piuttosto immediata delle percezioni e dei pregiudizi presenti nella comunità ambientale e probabilmente nelle stesse figure adulte di riferimento; è però importante registrare questo recupero di attenzione alla dimensione della socialità Tabella n. 36 - Maggiori preoccupazioni attuali secondo alcune caratteristiche degli intervistati (*) le percentuali della riga finale corrispondono alla consistenza delle singole variabili. (**) Il totale della prima colonna corrisponde alla totalità del campione. 85 laddove, invece, soprattutto da parte della famiglia, abbiamo registrato come comportamento diffuso una certa chiusura nella sfera dell’individuale e del privato. Il peso di queste preoccupazioni riflette, nella sua ampiezza, anche una sotterranea convinzione: le problematiche sociali si scaricano sulla vita delle nuove generazioni senza che esse possano fare molto per modificare la situazione e dunque sono enfatizzate perché subite. b. Fattori affettivi, amicali e famigliari: l’insieme di questi elementi di preoccupazione, collegati maggiormente alla vita personale, evidenzia problematiche relazionali a vari livelli. Più di uno su quattro (26.6%) ha sottolineato la mancanza di amici veri, mentre il 17.9% è preoccupato soprattutto da problemi affettivi e il 15.6% da situazioni problematiche familiari. Sono aspetti diversi, ma tra loro collegati da difficoltà relazionali e comunicative che possono avere notevole incidenza nella vita degli adolescenti, che sono alla ricerca di riferimenti gratificanti per questi bisogni fondamentali della loro vita. È però vero che tali problemi sono meno amplificati rispetto al gruppo precedente, come se la dimensione della realtà ordinaria risultasse agli intervistati in qualche modo meglio gestibile e pertanto anche più gratificante. Bisogna anche sottolineare che protagoniste di queste situazioni relazionali affettive problematiche sono, in modo particolare, le ragazze e coloro che, nella loro quotidianità, hanno contatti con amici che fanno uso di droga. c. Incertezza del futuro e della sua preparazione: l’incertezza del futuro, che viene indicata come motivo molto comune della crisi dei giovani di oggi, non è assente tra le indicazioni dei motivi di preoccupazione degli allievi dei CFP: sono poco meno di tre su dieci (28.6%) coloro che sono incerti, non sanno cosa fare in futuro. In riferimento a ciò che può segnare il futuro, che è la possibilità di lavorare, vi sono non pochi che sembrano essere consapevoli che non hanno una preparazione sufficiente per poter trovare un lavoro (11.2%); tutto questo può anche essere direttamente collegato alle attuali difficoltà che si incontrano nello studio (15%). È curioso rilevare come questo aspetto della riflessione e del vissuto adolescenziale non venga troppo drammatizzato, come invece spesso si riscontra in altre indagini simili; forse i nostri intervistati sono più ottimisti o al contrario tendono a non porre ancora troppa attenzione a tutti i condizionamenti che incombono sull’esperienza del lavoro e pertanto potrebbero risultare meno attrezzati al momento di dover far fronte ad effettive difficoltà? le preoccupazioni per l’incertezza del futuro sono un po’ più presenti tra gli allievi del Sud e sono le ragazze che avvertono di non avere una preparazione adeguata per cercare con sicurezza un futuro lavoro. l’insieme di queste apprensioni viene evidenziato maggiormente da coloro che attualmente stanno incontrando difficoltà nel loro percorso formativo. d. Povertà di orizzonti di senso: un aspetto che merita attenzione è la scarsa sottolineatura della carenza di orizzonti valoriali per cercare con fiducia risposte e 86 aprire prospettive ideali alla propria vita, come se fossero ampiamente carenti le capacità dei ragazzi di autoriflessione su un tema così impegnativo e per tanti versi sfuggente. In verità, parlando di alcuni motivi di preoccupazione per la vita attuale e per il futuro, vi sono state indicazioni che hanno una rilevanza etica: disonestà, violenza, inquinamento, ecc. Facendo maggiormente attenzione alla vita personale, sono pochi coloro che sottolineano preoccupazioni attuali derivanti dalla mancanza di ideali per cui vale la pena vivere (6.2%) e dal problema religioso (3.3%). È invece abbastanza presente, come preoccupazione, il problema della morte (19%), di cui si avverte la paura. Solo per quest’ultimo aspetto troviamo una prevalenza delle ragazze ad aver paura; non vi sono, invece, protagonisti facilmente identificabili tra coloro che indicano gli altri due aspetti tra i fattori di preoccupazione per la vita. Possiamo solo sottolineare che, tra i pochi che richiamano il problema religioso, sono maggiormente presenti coloro per i quali, attualmente, dio è poco importante. Come si può vedere dall’analisi delle risposte, il quadro dei fattori di preoccupazione per la vita attuale è piuttosto vasto e diversificato, ma anche per certi versi “superficiale”. Si estende a molti aspetti che rendono incerta la vita concreta nella sua quotidianità e nelle sue prospettive di futuro, ma non sembra essere oggetto di una rielaborazione autonoma. È importante non trascurare il fatto che, a livello educativo e formativo, il peso delle incertezze e delle paure mortifica e rischia di atrofizzare l’intraprendenza, il protagonismo, l’entusiasmo nell’investimento delle proprie capacità per il raggiungimento delle competenze che possono dare maggiori garanzie per il futuro. Ovviamente, tutto questo non si riferisce solo alla preparazione professionale, ma alla capacità di assumere le responsabilità della vita nel suo complesso e di realizzare un cammino responsabile di ricerca e di costruzione di senso. 1.2. Desideri e prospettive di cambiamento nella vita attuale di fronte alla valutazione circa la soddisfazione attuale della propria vita è importante verificare i problemi da superare per cercare di migliorarla, ma diventa ancor più importante cercare di cogliere i desideri e tutto ciò che si vorrebbe cambiare per una sua migliore realizzazione e conseguente soddisfazione. Appare molto interessante il prospetto, pur variegato, che emerge dalle risposte date a questa domanda e che sono state riportate nella Tabella. Cerchiamo di elencare le prospettive e di coglierne i protagonisti: • Sto bene così: è anzitutto importante sottolineare che un buon gruppo di allievi (16.9%) valuta positivamente l’attuale esperienza di vita e non desidera apportarvi cambiamenti. dall’insieme delle relazioni positive che la valutazione offre, non sembra una presunzione, ma piuttosto una realtà costruita e una sorta di meta raggiunta. Si ritengono soddisfatti dell’attuale condizione di vita i maschi, quelli più avanti negli anni, coloro che stanno vivendo con buoni ri87 sultati l’attuale percorso formativo e che non vivono situazioni relazionali rischiose. Inoltre, questi allievi hanno anche un’apertura alla trascendenza che riconosce come abbastanza importante dio nella loro vita. nell’insieme, si potrebbe dire che si tratta veramente di una condizione di vita costruita su solide basi, vissuta con una certa attenzione e che ha raggiunto una situazione di equilibrio e di positività rilevanti. • Condizione economico gestionale: per le caratteristiche e la collocazione sociale prevalente degli allievi dei CFP, non è certamente insignificante che ciò che emerge immediatamente è il desiderio di cambiare la propria situazione economica (35.8%) e anche il modo secondo cui si spendono i soldi (13.1%). Protagonisti di questo desiderio o bisogno di cambiamento anche immediato sono gli allievi più avanti negli anni e, tra questi, le ragazze. Per alcune altre precisazioni di rapporto positivo con alcuni selettori, emerge chiaramente che si tratta di situazioni economiche precarie e necessità di saper valutare le priorità di spesa. È anche probabile però che questi adolescenti si muovano prevalentemente entro un orizzonte valoriale di tipo materialistico, che accentua le aspettative materialistiche rispetto ad altre esigenze di ordine culturale, etico, esistenziale. Tabella n. 37 - Ciò che si vorrebbe cambiare nella vita secondo alcune caratteristiche degli intervistati (*) le percentuali della riga finale corrispondono alla consistenza delle singole variabili. (**) Il totale della prima colonna corrisponde alla totalità del campione. 88 • Aspetto fisico e salute: sono anche piuttosto numerosi, almeno uno su tre, gli allievi che hanno qualche difficoltà ad accettarsi fisicamente e questo fa esprimere un desiderio di cambiamento corrispondente. Vi è anche un certo numero che collega questo desiderio a una condizione di salute che vorrebbe migliorare (6.8%). Anche in questi desideri di cambiamento prevalgono le ragazze, insieme ai più giovani di età, senza particolare rilevanza del riferimento geografico, della propria appartenenza e ambiente di vita. Se è vero che l’adolescenza segna inevitabilmente una fase di difficoltà nel percepire e costruire la propria immagine corporea, bisogna anche fare i conti con il rischio che questi ragazzi siano fortemente suggestionati dalla cultura dell’immagine esteriore, che può divenire una preoccupazione esclusiva o prevalente nella costruzione del rapporto con se stessi. • Situazioni personali e di vita concreta: non è assente, a livello di desideri di cambiamento, qualcosa che si riferisce piuttosto ad aspetti personali, comportamentali e dimensioni particolari della vita. non sono pochi coloro che vivono un po’ di disagio con il loro modo di essere e di fare e vorrebbero cambiare il proprio carattere (23.2%) o qualche cattiva abitudine che riconoscono essere presente nel modo di vivere (19%). Potremmo indicare questi due aspetti come desiderio di cambiare se stessi. I soggetti che maggiormente esprimono questi desideri di cambiamento si differenziano tra di loro: nelle regioni del nord è più presente il voler cambiare il proprio carattere; tra questi sono ancora presenti le ragazze e comincia anche ad apparire influente tra gli orientamenti di vita il far parte di una associazione. Il desiderio di superare abitudini problematiche della vita è maggiormente presente tra coloro che hanno avuto un percorso formativo piuttosto problematico, segnato da bocciature, e che incontrano ancora qualche difficoltà nel seguire i corsi. Si potrebbe rilevare una sorta di assunzione di responsabilità che porta questi allievi a un desiderio di cambiamento significativo nella propria vita. A maggior ragione dovrebbero trovare attenzione, sostegno e incoraggiamento per questo cammino nuovo da intraprendere. Vi sono altri due questioni che possiamo far rientrare in questa prospettiva e si riferiscono al fatto che si ritiene utile cambiare l’orientamento della propria vita (5.7%) o il modo di vivere l’esperienza religiosa (4.3%). Anche se i soggetti coinvolti in queste prospettive di cambiamento non sono numerosi, ciò che esprimono come desiderio non è irrilevante, anche per le correlazioni con alcuni aspetti della situazione della vita dei protagonisti: per entrambi gli aspetti si riscontra una maggiore presenza di quanti attualmente stanno vivendo il percorso formativo con qualche difficoltà e ritengono molto importante dio nella loro vita. • Dimensione relazionale: sappiamo quanto risulta importante per gli adolescenti di oggi la dimensione relazionale, ma ne conosciamo anche la problematicità. Gli allievi dei CFP aiutano a cogliere alcuni aspetti significativi di 89 questa difficoltà e, di conseguenza, il desiderio di cambiare qualcosa. Uno su cinque vorrebbe cambiare anzitutto il rapporto con i genitori (19.6%): in questo gruppo si ritrovano le ragazze, ma lo stesso desiderio è espresso anche da quanti nelle loro relazioni amicali possono annoverare soggetti che forse non sono graditi ai genitori: per esempio essere amico di qualcuno che fa uso di droga. Un altro elemento di cambiamento che appare abbastanza consistente si riferisce all’ambiente e al modo di trascorrere il tempo libero (14.6%). Facciamo rientrare questo aspetto nell’ambito relazionale perché ambienti e modalità di uso del tempo libero sono certamente segnati soprattutto da coloro con i quali lo si condivide. dalla corrispondenza più significativa con le caratteristiche di coloro che esprimono questo desiderio, bocciati e ancora in difficoltà per l’attuale percorso formativo, si potrebbe anche pensare all’incidenza che l’esperienza del tempo libero ha nel comportamento e nell’impegno concreto di vita. Forse proprio il desiderio di una modalità diversa di impegnare la propria vita porta a desiderare di liberarsi da ciò che può maggiormente condizionare queste scelte. Altri due aspetti molto significativi nella vita relazionale degli adolescenti e che attualmente non sono molto soddisfacenti si riferiscono al rapporto con il ragazzo/a (8%) e con gli amici (7.6%). Coloro che non sono molto contenti del rapporto che stanno vivendo con il ragazzo/a sono quelli più avanti negli anni e che hanno vissuto un percorso formativo con qualche difficoltà. Il rapporto con gli amici, invece, vorrebbero cambiarlo soprattutto le ragazze e coloro che annoverano tra gli amici qualcuno che ha fatto uso di droga. Tra gli aspetti della vita da verificare per valutare la necessità di un cambiamento, sono stati inseriti anche riferimenti al CFP e al corso che si frequenta. Bisogna sottolineare che entrambe le cose hanno avuto poche adesioni: il 3% vorrebbe cambiare il CFP e soltanto l’1.9% il corso che sta frequentando. Entrambe le situazioni si riscontrano maggiormente al nord, tra i maschi e tra coloro che hanno incontrato qualche difficoltà nel percorso formativo. Bisognerebbe vedere quanto si potrebbe migliorare ciò che stanno vivendo con una particolare attenzione alla situazione di difficoltà che forse li accompagna. l’insieme di queste indicazioni di desideri di vita diversa può essere visto come una conferma della necessità di guardare al percorso formativo/educativo dei CFP nella prospettiva di una educazione integrale. l’acquisizione di una qualifica professionale non può essere separata dall’insieme dei bisogni/desideri di una vita più rispondente a una realizzazione e valorizzazione complessiva della proprie capacità. le diverse situazioni, lette anche a partire dalla Tabella riportata, potranno aiutare nelle scelte da fare per una progettazione educativo/formativa adeguata, che punti un po’ di più ad una certa autonomia e capacità critica nell’approccio alla realtà circostante, insieme ad una certa tensione ad affrontare con maggiore intraprendenza le situazioni sgradevoli. 90 1.3. Sensazioni che attraversano la vita attuale la domanda posta nel questionario relativa alle sensazioni avvertite nella vita e di cui si è chiesto di indicare la frequenza, merita un’attenta riflessione e precisazione perché potrebbe essere fonte di non pochi malintesi che non aiuterebbero a comprendere bene quanto espresso dagli allievi. Più che sensazioni, perché non appaiono stimolate dai sensi, si potrebbe parlare di pensieri che passano per la mente, di percezioni riferite a stati d’animo, di pensieri scatenati da emozioni, incertezze, paure, ecc. nell’analisi delle risposte utilizzeremo il termine “sensazioni”, cercando di valutarle nel modo più corretto possibile. Intanto, può essere immediatamente utile avere il quadro complessivo delle indicazioni proposte nella domanda e anche le risposte date a ciascuna di esse. la rappresentazione complessiva delle risposte offre l’opportunità di uno sguardo d’insieme e anche di farsi un’idea della frequenza di alcune sensazioni nella “psiche” degli allievi. raggruppiamo le sei sensazioni proposte intorno a tre aspetti fondamentali: sfiducia in se stessi, solitudine, resa e/o reazioni violente. Partendo da questa classificazione delle sensazioni possiamo fare alcune considerazioni circa i pensieri, lo stato d’animo, le sensazioni che accompagnano la vita e che hanno certamente bisogno di qualche attenzione a livello educativo per aiutare i ragazzi a superarle positivamente. Tra “gli sfiduciati” inseriamo coloro che non pensano positivamente di se stessi e quelli che non individuano prospettive di realizzazione nella propria vita. Coloro che si sentono “buoni a nulla” sono più numerosi degli altri a doversi confrontare spesso o qualche volta con una simile sensazione: sommando le due frequenze riscontriamo che costoro raggiungono più del 50%; mentre coloro che non individuano prospettive di realizzazione nella propria vita sono circa il 10% in meno, come appare chiaramente dal confronto con le percentuali che indicano l’assenza di simili sensazioni tra gli allievi intervistati. Tabella n. 38 - Ti capita di provare alcune delle seguenti sensazioni 91 Prendendo in considerazione la frequenza più problematica (spesso) e l’assenza di questa sensazione possiamo individuare che “gli sfiduciati” si riscontrano soprattutto tra le ragazze e tra coloro che stanno incontrando difficoltà a seguire i corsi. I più grandi, più degli altri, hanno la sensazione di sentirsi dei buoni a nulla, mentre tra gli allievi del Sud e tra coloro che hanno genitori con un livello basso di istruzione prevale la sensazione di non intravedere possibilità di realizzazione nella vita. Sono un po’ più numerosi coloro che “si sentono soli” e quelli che non nutrono fiducia nei confronti degli altri. Con pochissima differenza tra le due sensazioni, che in qualche modo si supera quasi totalmente sommando le frequenze problematiche di queste sensazioni, raggiungono il 51% coloro che spesso e/o almeno qualche volta si sentono soli o non avvertono fiducia nei confronti degli altri. la solitudine è vissuta maggiormente dalle ragazze, tra le quali una su cinque spesso non ha fiducia negli altri, e da coloro che hanno incontrato difficoltà nel loro percorso scolastico. È interessante sottolineare che la fiducia negli altri è più presente tra i più giovani, tra coloro che fanno parte di qualche associazione e che sono aperti agli altri, compresi gli immigrati. questi ultimi riferimenti potrebbero anche far pensare che la fiducia negli altri si conquista sperimentando relazioni e condivisione di appartenenze e di collaborazione. non mancano “sensazioni distruttive”, sia riferite a se stessi che a tutto il resto. la sensazione riferita a se stessi è indicata in un linguaggio molto forte, anche se normalmente utilizzato: “avere la voglia di farla finita una volta per tutte”. la “voglia di spaccare tutto” esprime, invece, la reazione più violenta a situazioni e problemi che possono causare esplosioni di violenza. Tra le due reazioni, la differenza è notevolissima, come si può osservare nella Tabella riportata. non è infrequente, almeno in un piccolo gruppo, la sensazione di “farla finita”, che riguarda tre allievi su dieci sommando le frequenze problematiche che sono state espresse. Anche questa voglia autodistruttiva è più presente tra le ragazze e un po’ anche tra gli allievi del Centro Italia. Come si accennava, è molto più diffusa la “voglia di spaccare tutto”: 30.5% spesso e 42.3% qualche volta. Poco meno di tre su quattro, nelle diverse situazioni della loro vita, devono fare i conti con reazioni violente che non sono sempre facili da superare. È veramente molto elevato il numero delle ragazze che avvertono spesso queste reazioni a situazioni problematiche della propria vita: 44.9% spesso e soltanto meno di una su cinque non vive sensazioni violente nelle diverse situazioni di vita. la componente femminile del campione, dunque, evidenzia complessivamente una maggiore emozionalità, ma probabilmente anche una sana capacità di reagire agli eventi e ai problemi, usando i sentimenti come punto di forza per costruire atteggiamenti e comportamenti attivi. risulta molto interessante, infine, l’individuazione di quanti affermano che non hanno mai simili sensazioni: una visione più pacifica e positiva della propria vita personale si riscontra tra i maschi e tra coloro che hanno un andamento nor92 male nella loro vita formativa e familiare e hanno anche un orizzonte religioso più significativo nel loro percorso di vita. Come aiutare ad accrescere il “pensare positivo” e a superare “sensazioni” che possono nuocere alla vita? la prospettiva più efficace è far vivere esperienze, relazioni, forme significative di protagonismo che aiutino a sperimentare che ce la si può fare. Un clima ambientale di accoglienza, sostegno, incoraggiamento, può essere anche molto efficace per un progressivo maturare di responsabilità, di fiducia, di relazioni positive e di collaborazioni. In tutti i casi, aiutare i ragazzi a guardarsi dentro e decodificare le proprie emozioni e sentimenti contribuisce a sviluppare competenze esistenziali importanti. 1.4. Apertura religiosa Tra gli aspetti rilevanti dell’esperienza di vita attuale si è voluto anche verificare l’importanza riconosciuta all’apertura religiosa. la domanda specifica era la seguente: Quanto è importante Dio nella tua vita? l’attenta analisi delle risposte ci aiuterà a verificare l’apertura alla trascendenza e anche l’incidenza del riferimento religioso nella vita concreta. l’aspetto religioso e, in modo specifico, il riferimento della vita a dio, presenta non poche sorprese nel vissuto dei giovani di oggi. I cambiamenti, anche rispetto a un recente passato, sono notevoli e il percorso verso una scelta e adesione religiosa appare sempre più un cammino personale con caratteristiche individuali3. Prima dell’analisi dettagliata dei dati riferiti all’importanza attribuita a dio nella propria vita dagli allievi dei CFP, riportiamo una tabella che presenta una visione complessiva delle opinioni espresse, tenendo conto anche di alcune variabili che aiutano a cogliere le diverse posizioni in riferimento alle caratteristiche di identità e di collocazioni geografiche degli allievi. Come possiamo ricavare dalla Tabella riportata, gli allievi dei CFP salesiani d’Italia che riconoscono molto importante dio nella propria vita sono il 23.7%. Tendenzialmente, l’importanza di dio nella propria vita è riconosciuta dalle ragazze, rispetto ai coetanei, in misura molto più consistente; dai ragazzi del Sud (50.5%) rispetto a coloro che vivono nelle altre regioni; da coloro che hanno genitori con un titolo di studio piuttosto basso; e, significativamente, anche da coloro che stanno vivendo un’esperienza associativa. Poco più di un terzo (34.1%) ritiene dio abbastanza importante nella sua vita: la collocazione degli intervistati, con le loro specificità di identità e di appartenenza, non si differenziano significativamente su questo livello di valutazione. Poco meno di uno su cinque (19.6%) afferma che dio nella sua vita è poco importante e una percentuale molto inferiore (6%) non riconosce a dio alcuna impor- 3 Per un approfondimento di questi aspetti rinviamo ad una recente pubblicazione molto interessante e stimolante per un confronto con le posizioni e le scelte religiose dei giovani: CASTEGnArO A. (a cura di), Fuori dal recinto. Giovani, fede, Chiesa: uno sguardo diverso, Ancora, Milano, 2013. 93 tanza. Mentre tra i primi riscontriamo una maggiore presenza di allievi delle regioni del nord e anche di ragazzi più giovani (14-16 anni), tra i secondi non si riscontrano soggetti particolari, in quanto non si registrano relazioni molto diverse dalla media che ne accentuino la valutazione. Bisogna, tuttavia, sottolineare il fatto che solo il 2.7% degli allievi del Sud ritengono che dio non sia per nulla importante nella loro vita. Un aspetto, tuttavia, accomuna la situazione degli allievi che hanno espresso le opinioni indicate: i genitori sono non molto presenti nelle scelte educative e nelle attività dei CFP. Potremmo forse dire che la posizione espressa evidenzia una posizione anche familiare in riferimento all’aspetto religioso. Vi è anche un’altra opinione che va tenuta ben presente e letta con attenzione: il 12.1% degli allievi intervistati non riconosce l’esistenza di dio. Una percentuale abbastanza consistente, ma inferiore a quella che viene indicata a livello nazionale, che è intorno al 15-20%4. Volendo precisare i protagonisti di questa posizione dobbiamo sottolineare che tra costoro vi è soltanto un allievo del Sud e sono poche anche le ragazze (5.9%). Sono, invece, più numerosi quelli più avanti negli anni; gli allievi i cui genitori hanno un livello di studio più elevato, ma che personalmente non hanno avuto un percorso formativo particolarmente riuscito. di fronte a questi dati potrebbe nascere l’interrogativo: come si può rendere il percorso formativo in un CFP salesiano una vera opportunità per aprire adolescenti e giovani ad una considerazione diversa della concezione/accettazione di dio nella vita? Come rendere l’ambiente del CFP capace di far vivere un’esperienza di Formazione che possa essere una vera educazione/evangelizzazione? 4 Su queste tematiche specifiche e sulla loro interpretazione rinviamo a CASTEGnArO A. (a cura di), Fuori del Recinto, op. cit., cap. 6, Sul crinale del credere, 98-120. Tabella n. 39 - Quanto è importante Dio nella vita, secondo alcune caratteristiche degli intervistati (*) le percentuali della riga finale corrispondono alla consistenza delle singole variabili. (**) Il totale della prima colonna corrisponde alla totalità del campione. 94 Si tratta di trovare le prospettive di rispetto, ma anche di proposta di senso capace di integrare la visione religiosa nel progetto di vita che si cerca di portare avanti. 1.5. Esperienza e appartenenza associativa degli allievi dei CFP Un altro aspetto importante per una conoscenza adeguata dell’esperienza di vita degli allievi dei CFP è la loro partecipazione ad associazioni o gruppi di interesse. l’attenzione a questa esperienza di vita è utile per valutare l’apertura a interessi e percorsi formativi che possono risultare utili nella crescita e per verificare in che misura gli stessi CFP sono in grado di promuovere questa esperienza, offrendo la possibilità di valorizzarla. Poco più di tre su dieci (31.2%) degli intervistati hanno detto di far parte di qualche gruppo o associazione. questa esperienza di vita è molto più comune tra gli allievi del Sud (41.4%) e molto meno tra quelli delle regioni del Centro (21%). dall’analisi dei dati non emergono significative differenze rispetto alla realtà personale, scolastica e familiare. Possiamo dire che si tratta di un’esperienza, per quanto ridotta, diffusa tra i ragazzi e le ragazze, un po’ a tutte le età e appartenenze sociali e famigliari. Un gruppetto di allievi (15.2%) vive l’esperienza associativa direttamente nei CFP e questo si verifica quasi in ugual misura nei vari contesti e senza particolari differenziazioni per le caratteristiche di quelli che ne fanno parte. Sono ben più consistenti (37.8%) coloro che fanno parte di associazioni attive nelle parrocchie o negli oratori e questo si verifica maggiormente nel Sud. Un altro gruppo abbastanza consistente (30.4%) vive l’esperienza associativa al di fuori sia dei CFP che di parrocchie e oratori. questa esperienza è più presente nelle regioni del Centro. Abbiamo voluto precisare meglio l’appartenenza associativa chiedendo agli allievi di indicarci il tipo di associazione che si frequenta. le risposte hanno offerto un significativo panorama di interessi e di attività che caratterizzano le stesse associazioni. ne offriamo il prospetto completo nella Tabella seguente. Il numero più consistente di allievi appartiene ad associazioni di tipo religioso (36.1%), facendo parte di gruppi giovanili parrocchiali o in oratorio. questa esperienza è vissuta soprattutto dalle ragazze ed è un po’ più presente nelle regioni del Sud. Poco meno di un terzo (32.2%) degli allievi inseriti in associazioni coltiva interessi soprattutto educativi, tipo lo scoutismo, e questo vede protagonisti i ragazzi più grandi che vivono nelle regioni del Centro. Un’altra realtà associativa preferita dagli allievi dei CFP è quella che fa promozione sportiva o attività ricreative: 26.1%. Tra questi sono più presenti quelli che hanno 14-16 anni, con genitori con un titolo di studio più elevato e che non hanno avuto difficoltà nel loro percorso formativo. questo tipo di associazioni è più presente nelle regioni del Centro e in quelle del nord. Un altro gruppo abbastanza rilevante di allievi (13.9%) preferisce associazioni 95 che coltivano interessi musicali, artistici, culturali. le ragazze presenti in questo tipo di associazioni sono più numerose dei coetanei e la loro presenza è piuttosto rara al Sud. Oltre le forme associative di cui abbiamo detto, gli allievi ne hanno indicate numerose altre, piuttosto significative e attente a problemi diversi e di attualità, ma con una partecipazione piuttosto ridotta, che conferma ulteriormente una certa difficoltà dei giovanissimi di vivere attivamente la propria partecipazione alla vita sociale e alle questioni più rilevanti del presente. Il 6.1% si interessa dei diritti umani e della pace: tra costoro sono numerose le ragazze e coloro che vivono nelle regioni del Centro. Una percentuale lievemente inferiore (5.7%), soprattutto tra quelli più avanti negli anni e sempre nelle regioni del Centro, fa parte di strutture associative attente ai problemi emergenti della povertà, del razzismo, della disoccupazione, ecc. Alcuni, sempre di quelli più grandi e nelle regioni del Centro, sono impegnati in associazioni che si occupano dello sviluppo del Terzo mondo (3.5%). non mancano alcuni, tra i più grandi, che sono impegnati in associazioni ambientaliste e per la protezione civile (4.3%). Sono, invece, veramente pochi quelli che esprimono un interesse politico (2.6%) o sindacale (1.7%). questo dato conferma il distacco sempre più chiaro e diffuso da organizzazioni di partito e anche di sindacato. 5 questi totali si riferiscono soltanto a coloro che fanno parte di Associazioni, che sono il 31.2% del totale e sono distribuiti in modo difforme nei diversi contesti territoriali o anche in base alla caratteristiche personali degli allievi. Per questi motivi le percentuali sono diverse dalle altre tabelle che hanno la stessa impostazione. Tabella n. 40 - Tipo di associazione di cui si fa parte secondo alcune caratteristiche degli intervistati 96 È certamente interessante il panorama degli interessi e della tipologia di associazioni che vedono il protagonismo degli allievi dei CFP salesiani d’Italia. Ad inizio anno si potrebbe verificare questo dato e vedere come valorizzarlo e/o incrementarlo. Si dovrebbe valutare la possibilità di valorizzare chi se la sente di promuovere scelte da parte di allievi, e anche di proporre e promuovere forme associative diverse come esperienze e percorsi formativi/educativi efficaci. 2. COMPORTAMENTI, VISSUTI ESPERIENZIALI E PERSONE DI RIFERIMENTO IN SITUAZIONI PROBLEMATICHE l’attenzione alle esperienze di vita degli allievi dei CFP, in atteggiamenti e comportamenti rilevanti per lo stile e la qualità della vita nel periodo della crescita, serve anche a conoscere le debolezze, i rischi, i problemi con cui essi si confrontano e che devono imparare ad affrontare. Avvicinarsi direttamente ai vissuti esperienziali aiuta a verificare gli accadimenti e le scelte di fronte alle vicende che possono verificarsi nelle più diverse situazioni della vita. Sappiamo che gli adolescenti e i giovani si trovano spesso in situazioni che richiedono scelte e assunzioni di responsabilità. la difficoltà di personalizzare le scelte comportamentali può far vivere dipendenze e/o causare rischi per sé e per gli altri. la verifica delle situazioni problematiche e delle scelte aiuta a cogliere anche gli orientamenti di vita e a focalizzare meglio gli aspetti della vita che bisogna imparare ad affrontare nella crescita. Prima di avviare l’analisi dei dati, è necessario precisare che le situazioni proposte nella domanda del questionario sono esclusivamente riferite a problemi, con una certa attenzione anche a quanto si riferisce alla frequenza dell’impatto con il “problema droga”. Oltre alla verifica dei comportamenti in situazioni problematiche, si è voluto verificare anche la presenza di persone di riferimento, per vedere a chi si ricorre maggiormente quando si deve affrontare qualche difficoltà. Anche questo aspetto è importante per valutare la disponibilità a farsi aiutare e nello stesso tempo la presenza di riferimenti in situazioni in cui si rischia di soccombere. Insieme, pertanto, ai comportamenti-problemi, bisogna fare attenzione alle risorse disponibili che possono aiutare ad affrontarli e risolverli. 2.1. Situazioni problematiche in cui si possono venire a trovare gli allievi dei CFP le azioni e situazioni proposte nella verifica delle situazioni di vita avevano due prospettive comportamentali: quelle messe in atto direttamente dagli allievi e quelle subite. l’articolatissima domanda (ben 33 indicatori comportamentali) posta per verificare la portata di queste esperienze ci consente di offrire un quadro molto diversificato di quanto può attraversare la vita di adolescenti e giovani nella loro 97 fase evolutiva e nel loro approccio a tutto ciò che può presentarsi come una sorta di sperimentazione della vita. Colpisce subito, in questa rassegna, l’ampiezza delle situazioni negative a cui si è dato spazio o in cui si è stati coinvolti, come se convivere con elementi di confusione etica e di minaccia e/o perdita dell’integrità personale rappresenti ormai una cifra distintiva della convivenza sociale e delle relazioni con i coetanei; tutto questo dice che i rischi di devianza sono molto meno remoti di quanto solitamente gli adulti pensano, che non sempre sono legati a scelte personali consapevoli e che, comunque, persiste un livello di “sopportazione” che alla fine perpetua situazioni di degrado e di offesa alla dignità personale. le situazioni problematiche messe in atto si possono distinguere e raggruppare intorno ad alcuni aspetti principali: a. Comportamenti non onesti e non rispettosi delle Leggi: poco meno della metà degli allievi intervistati (47.6%) ha ammesso di aver fatto uso dei mezzi pubblici senza aver pagato il biglietto e il 20.3% di aver preso qualcosa in negozi/ supermercati senza pagare. Sono anche molti coloro che hanno riconosciuto di aver avuto comportamenti non conformi alla legge (27.8%) e una percentuale di poco inferiore (26.7%) ha detto di aver infranto il codice della strada. qualcuno (7.9%) ha anche accettato proposte illecite o illegali, forse non per una dichiarata volontà di sfidare le leggi, ma per un debole senso della legalità e dei suoi corollari che si respira nella cultura ambientale o semplicemente per non dover andare controcorrente rispetto a comportamenti ordinariamente praticati da parte di molti ragazzi. I dati dicono chiaramente che questi comportamenti sono anche presenti tra gli allievi dei CFP salesiani d’Italia. nell’individuazione dei protagonisti dei comportamenti sopra indicati vi sono alcune costanti che appaiono molto significative: le infrazioni generiche delle leggi o del codice della strada vedono più presenti gli allievi delle regioni del nord, in tutti gli altri casi quelli delle regioni del Centro. Se si eccettua, inoltre, il fatto di viaggiare senza biglietto che vede coinvolte anche molte ragazze, normalmente i comportamenti non onesti e non conformi alle leggi sono praticati maggiormente dai maschi, da quelli che hanno 17-20 anni, e da coloro che hanno un percorso formativo non sempre positivo e che non hanno un riferimento religioso significativo. Inoltre, si tratta di soggetti i cui genitori non sono molto presenti nelle offerte fatte dai CFP e dunque probabilmente manca a queste tipologie giovanili un contatto diretto e abituale con i protagonisti e i presidi della legalità sociale. Senza trascurare il fatto che l’educazione alla legalità e onestà deve essere necessariamente rivolta a tutti, si tratta di verificare le modalità più significative di collaborazione con i genitori e di motivazione da far maturare in chi può aver assunto atteggiamenti che non sono facili da trasformare, offrendo anche riferimenti significativi a livello valoriale. 98 b. Comportamenti rischiosi per la vita propria e altrui: anche agli allievi dei CFP dei Salesiani è capitato di aver messo in pericolo la vita (19.1%) con attività rischiose o praticando sport estremi, di aver fatto gare di velocità su strada (21.3%) o gare a chi beve di più (28%). Vi è anche chi riconosce di aver corso pericolo mortale (15.7%) e di aver provocato incidenti stradali (3.4%). l’insieme di questi comportamenti è collegato con l’atteggiamento tipico di adolescenti e giovani che si mettono alla prova per valutare le capacità e sperimentare la resistenza o l’ebbrezza di sfiorare il limite delle possibilità concrete dell’essere umano; non manca anche chi cerca una propria autoaffermazione per divenire leader nel gruppo dei pari o semplicemente chi esprime il bisogno di superare uno stato di noia e di apatia derivante dalla routine quotidiana. Tutto questo fa parte delle sperimentazioni della vita, praticate soprattutto quando mancano dei criteri e dei riferimenti comportamentali che motivano la non ammissibilità del rischio della vita propria e altrui. I soggetti che si espongono a comportamenti rischiosi che possono esporli al pericolo mortale non si differenziano, sostanzialmente, da quelli prima indicati: allievi in particolare delle regioni del nord, maschi di età dai 17 anni in su, con traversie nel percorso formativo, senza un riferimento religioso significativo e con situazioni familiari che non vedono molto coinvolti i genitori nelle proposte fatte dai CFP. c. Comportamenti violenti e atti di bullismo: anche l’esercizio della violenza, di cui si sente spesso parlare tra i giovani, non vede esenti gli allievi dei CFP dei Salesiani. Il 20.5% dice esplicitamente che gli è capitato di aver picchiato compagni di classe e il 14% di aver partecipato a risse collettive tra bande di strada di “ultras”. Una percentuale non del tutto irrilevante (8.5%) ha anche detto di essere andato in giro armato di coltello o altro. non mancano anche atti di bullismo orientati, piuttosto, alla presa in giro di compagni e insegnanti (9.9%) e vi è perfino qualcuno che arriva a molestare ragazzi più piccoli (1.2%). Guardando l’entità delle percentuali, si può constatare una diffusione più ridotta di comportamenti violenti, ma questo non riduce la loro pericolosità e problematicità nella vita di chi arriva a metterli in atto. Gli atti di violenza possono capitare ad allievi di tutte le regioni. restano, tuttavia, predominanti le caratteristiche identificanti già evidenziate precedentemente, anche se con meno evidenza e differenza circa l’estensione di tali atti. Si conferma, tuttavia, la presenza di comportamenti violenti soprattutto nella vita di coloro che meno degli altri hanno un riferimento ideale nella loro vita e che hanno vissuto percorsi problematici nell’itinerario formativo. d. Uso di alcool, droga e rischio di dipendenza: l’altro ambito che mette alla prova la capacità di scelta e di controllo dei giovani è quello riferito alla sperimentazione di bevande inebrianti e di psicofarmaci. non sono pochi gli allievi che fanno uso frequente di soft/energy drinks (20.7%). Un numero ridotto 99 (7.2%) ha anche mischiato alcool, droga e/o psicofarmaci e una percentuale equivalente (7%) ha avuto problemi di anoressia, bulimia e simili. non mancano, anche se si tratta di casi molto limitati, coloro che hanno assunto sostanze dopanti nelle attività sportive (1.4%) o che hanno fatto uso di psicofarmaci non prescritti dal medico (1.6%). non è, invece, irrilevante il numero di coloro (8.3%) a cui è capitato di guidare sotto l’effetto di stupefacenti, senza badare ai rischi che questo poteva comportare per sé e per gli altri. I protagonisti dei comportamenti sopra indicati variano un poco rispetto a quanto riferito precedentemente: sono i ragazzi più giovani delle regioni del nord che sperimentano bevande inebrianti, mentre sono i più grandi delle regioni del Centro che giungono a mischiare alcol e droga. I problemi di alimentazione riguardano le ragazze, mentre la guida sotto l’effetto degli stupefacenti ricalca le caratteristiche dei soggetti che risultano maggiormente esposti a rischi: i più grandi, con traversie nel percorso personale di formazione e senza un riferimento religioso significativo. Gli allievi dei CFP sono stati anche fatti oggetto di atti di violenza, di minacce e di molestie. la loro esperienza di vita è stata attraversata da situazioni, sia in famiglia che fuori, in cui hanno sperimentato sulla propria pelle la violenza delle percosse, sono stati oggetto di atti di bullismo o destinatari di proposte indecenti. ➣ Hanno subito violenza fisica: la violenza subita dagli allievi si è concretizzata in percosse che sono state perpetrate dai genitori (13%), dai compagni di classe (6.2%) o per strada (3.9%). non sono pochi coloro che dicono di essere stati picchiati, anche duramente, dai genitori o da altri familiari. l’aspetto più sorprendente di tutto ciò è il fatto che ben il 21.3% delle ragazze ha accusato un simile trattamento all’interno della famiglia. Un altro elemento che emerge è il fatto che sono soprattutto gli allievi delle regioni del Centro che hanno evidenziato simili esperienze. ➣ Sono stati minacciati e derubati: altre esperienze sgradevoli che hanno attraversato la vita degli allievi si sono concretizzate in minacce anche gravi (8.7%), in furti subiti (16.8%) e in atti di bullismo di cui si è stati fatti oggetto (9.2%). Vittime delle minacce sono state soprattutto le ragazze; hanno subito furti gli allievi delle regioni del nord e quelli di età inferiore ai 17 anni; mentre gli atti di bullismo sono più presenti al nord e al Centro e molto meno al Sud. ➣ Sono stati fatti oggetto di proposte indecenti e di molestie: non sono pochi gli allievi che sono stati destinatari di proposte indecenti (15.7%). Simili proposte hanno avuto come destinatari soprattutto le ragazze (21.3%), quelli più avanti negli anni e, in modo più significativo coloro che vivono al nord. non mancano molestie sessuali, anche in famiglia e perfino da parte di insegnanti/educatori, anche se tutto questo è stato riferito solo da pochissimi allievi dei CFP. 100 Sono veramente molte le avventure e/o disavventure in cui adolescenti e giovani possono venire a trovarsi nella vita. Finché non si porta specifica attenzione a chi sta facendo insieme a noi un percorso di vita, si potrebbe avere la sensazione che queste cose riguardano soltanto gli altri… quando si constata che il tutto si riferisce anche a chi sta camminando con noi verso una realizzazione personale e professionale, non possiamo restare indifferenti e dobbiamo trovare le vie più efficaci perché risultino capaci di sapere verificare e orientare la propria vita o anche essere capaci di difendersi da tutto ciò che può renderli vittime e accrescere le paure del quotidiano. 2.2. Vissuti esperienziali riferiti alla droga Tra le esperienze che possono capitare nella vita degli allievi dei CFP oggi non possono mancare quelle riferite al fenomeno droga. Sappiamo quanto i giovani siano fatti oggetto di manipolazione perché sentano nella loro vita il fascino di ciò che può consentire loro esperienze e sensazioni particolari. riportiamo nella Tabella seguente il quadro complessivo di quanto gli stessi allievi hanno detto. Come mostra la tabella la verifica di come il fenomeno droga possa entrare in contatto con la vita dei giovani ha tenuto conto di aspetti diversi. raggruppando le indicazioni e le risposte intorno ad alcuni nuclei possiamo evidenziare quanto segue: ❖ Conoscenza e relazioni con persone che fanno uso di droga: oggi diventa veramente difficile per i giovani non imbattersi mai, anche semplicemente per conoscenza acquisita, con coetanei che fanno uso di droga. Come si può leggere nella tabella, uno su quattro degli allievi dei CFP (24.8%) conosce abbastanza abitualmente persone che fanno uso di droga; la stessa cosa capita, anche se piuttosto raramente al 39.4%. Tutto sommato, pertanto, solo un terzo degli allievi non ha mai conosciuto persone che consumano droga. Tabella n. 41 - Quali di queste esperienze ti è capitato di fare 101 la conoscenza può anche avvenire per semplice informazione e non comporta necessariamente un incontro con queste persone. Ma a uno su cinque degli allievi dei CFP (21.7%) capita spesso di parlare con qualcuno che ha fatto uso di droga. la stessa cosa, anche se soltanto qualche volta, capita a un numero molto più rilevante di allievi (39.4%). Appare anche abbastanza chiaramente che l’impatto con i consumatori di droga non è solo di conoscenza più o meno occasionale. Uno su cinque degli allievi ha come amico abituale un consumatore di droga (20.6%) e ad altri tre su dieci questa esperienza o situazione di vita è capitata almeno qualche volta (29.9%). Metà degli allievi dei CFP, pertanto, ha contatti più o meno continui e con coinvolgimento emotivo intenso con il mondo della droga. ❖ Forme di contatto diretto con la droga: nel contesto attuale dei vissuti giovanili non mancano le situazioni in cui si può vedere qualcuno che sta facendo uso di droga. In questa situazione si può trovare spesso (20.9%) o almeno qualche volta (32.4%) più della metà degli allievi. In queste situazioni concrete le reazioni sono imponderabili e non si può avere la garanzia che siano soprattutto di rifiuto. la condizione per il consumo della droga è che vi sia la possibilità di acquistarla e per questo ci vuole qualcuno che ne faciliti l’acquisto. Vedere spacciatori non risulta un fenomeno impossibile e, in effetti, il 14.4% ha detto che questo gli capita abitualmente e il 29.1% almeno qualche volta. Anche questa situazione non è priva di conseguenze problematiche e non solo per la sua illegalità. Sapere chi e dove avviene lo spaccio di droga può facilitare l’avvio del consumo o la curiosità di rendersi conto di che cosa si tratta. Prendere in mano la droga è capitato spesso al 12.5% degli allievi e il 21.3% ha fatto questo almeno qualche volta. Si è trattato soltanto di curiosità appagata o la realizzazione di un desiderio di contatto diretto che non si sa a che cosa può portare? nutrire curiosità, giungere al contatto diretto con qualcosa che può incuriosire o far nascere il desiderio di provare per fare nuove esperienze di vita sono atteggiamenti non alieni nella vita dei giovani. Vedere usare, vedere spacciare, avere in mano… e dopo? Un interrogativo che un educatore non può dissimulare. ❖ Offerta e desiderio di provare la droga: sentirsi offrire un qualche tipo di droga con rassicuranti parole circa la sua innocuità costituisce sovente la modalità iniziale dell’avvio del consumo. non sono pochi gli allievi dei CFP che vengono a trovarsi in simili situazioni. Il 13.1% ha detto che spesso vi è qualcuno che gli offre della droga e questo si verifica, almeno qualche volta, anche per il 26.2% degli allievi. Al di là di tutte le situazioni e occasioni presentate, in che misura si affaccia il desiderio di provare la droga e vedere di che si tratta? Il desiderio si affaccia sovente nella mente del 7.2% e qualche volta in quella del 15.3%. Sentire il desiderio non significa diventare consumatori. Ma tra tutte le domande, que102 st’ultima (cioè se si è o si è stati consumatori) non è stata posta. dovremo fermarci a quest’insieme di situazioni senza poter andare oltre perché qualunque affermazione non avrebbe fondamento reale riconoscendo, comunque, come a proposito dell’illegalità, che i ragazzi hanno una esposizione a determinati fenomeni alquanto ampia, che in qualche modo spinge a derubricare la gravità delle azioni di trasgressione e devianza. Allo stesso tempo, la familiarità con il mondo della droga potrebbe nascondere forme di disagio più o meno latenti, che facilmente si trasformino in comportamento corrente, soprattutto in mancanza di sensori sociali che creino protezione e riorientamento delle sensazioni negative che un adolescente più sperimentare negli anni della crescita. Abbiamo presentato un quadro complessivo delle esperienze vissute e della loro entità, ma non abbiamo mai fatto riferimento ai protagonisti delle risposte esaminate. dobbiamo dire che abbiamo riscontrato un andamento, sia in riferimento all’assiduità delle esperienze che alla loro totale assenza, che è molto significativo e va attentamente valutato. Coloro che appaiono più vicini al fenomeno della droga sono soprattutto gli allievi delle regioni del Centro, quelli più avanti negli anni (da 17 in poi), soprattutto coloro che hanno vissuto un percorso scolastico con bocciature e quelli per i quali dio non conta nella vita. queste caratteristiche personali sono prevalenti, ma non esclusive. Ma è importante sottolineare che, pur con qualche variazione di percentuale, queste sono le caratteristiche che emergono in tutte le esperienze esaminate. Anche la fisionomia degli allievi che non si sono mai trovati nelle situazioni esperienziali verificate e esaminate è ricorrente e ancor più uniforme delle precedenti: non hanno mai vissuto esperienze di vita che avessero a che fare con il fenomeno della droga soprattutto gli allievi delle regioni del Sud, le ragazze in genere molto più dei coetanei, e per tutti costoro dio è molto importante nella loro vita. Alle caratteristiche precedenti si potrebbe anche aggiungerne un’altra: tra costoro prevalgono quelli che hanno meno di 17 anni, ma la differenza di età non è sempre veramente rilevante, mentre le altre caratteristiche lo sono in modo veramente significativo. 2.3. Persone di riferimento in situazioni problematiche nelle situazioni problematiche della vita, in cui non sempre si è in condizione di farcela da soli, è importante che vi siano persone a cui poter fare riferimento per confrontarsi ed essere aiutati. Sappiamo quanto oggi risulta non facile la relazione e, spesso, il rapporto intergenerazionale. Verificare le persone di riferimento significa anche rendersi conto se gli adolescenti e i giovani crescono guardandosi nello specchio, confrontandosi cioè con gli amici, o hanno adulti che possono sostenerli e aiutarli a fare le scelte migliori possibili. 103 riportiamo la Tabella in cui si possono osservare in dettaglio le risposte e valutare le persone di riferimento nella vita degli allievi dei CFP. Per avere un quadro più completo delle risposte a questa domanda abbiamo inserito anche la colonna delle non risposte che hanno una loro rilevanza come percentuali. Come si può ricavare dalla lettura di ogni riga le risposte non sono esclusive, altrimenti vi sarebbero molte contraddizioni. Si potrebbe dire che, a seconda delle situazioni, gli allievi hanno persone di riferimento sia nell’ambito familiare che esterne ad esso, ma molte volte cercano di cavarsela da soli. Come si può osservare nella Tabella, i riferimenti più costanti e assidui sono la mamma e l’amico: più dell’80% si rivolge spesso o almeno qualche volta alla mamma e/o all’amico per essere aiutato nella soluzione di qualche problema. queste sono le figure di riferimento maggiormente preferite dalle ragazze, anche se con qualche variazione per le altre caratteristiche: alla mamma ci si riferisce da parte degli allievi del Sud e quanto più si riconosce l’importanza di dio nella propria vita, mentre all’amico si ricorre quanto più il riferimento trascendente è piuttosto rarefatto. Coloro che non si rivolgono mai alla madre sono ancora le ragazze e quanti non hanno un riferimento religioso significativo; mentre sono i più giovani che non ricorrono all’amico e hanno un significativo riferimento alla trascendenza. Tra le altre figure familiari non si differenzia molto il ricorso assiduo al padre (22.4%) e/o a un fratello/sorella (21.1%): sono, tuttavia, poco meno della metà (47.6%) coloro che almeno qualche volta interpellano il padre, mentre con la stessa frequenza solo un terzo fa ricorso a un fratello/sorella. È anche rilevante la differenza di quanti non ricorrono mai al padre (22.6%) o mai a un fratello/sorella (39%). Gli allievi che chiedono aiuto al padre o a un fratello/sorella quando hanno un problema da risolvere sono soprattutto quelli del Sud e quelli che hanno un buon riferimento religioso nella loro vita; mentre coloro che non ricorrono mai al padre o a un fratello/sorella vivono soprattutto nelle regioni del nord e nella loro vita non Tabella n. 42 - Solitamente quando hai un problema a chi ti rivolgi per essere aiutato 104 conta molto il riferimento religioso. le ragazze sono tra coloro che più degli altri non si fanno aiutare mai dal padre. Come appare chiaramente nella Tabella, gli educatori e soprattutto le persone che hanno fatto una scelta religiosa sono poco interpellate dai giovani quando hanno bisogno di aiuto. I pochi che fanno riferimento a queste figure educative sono quelli che incontrano qualche difficoltà nel loro percorso formativo e in entrambi i riferimenti sono più presenti coloro che hanno una visione più positiva dell’orizzonte religioso. due sono, invece, le caratteristiche di quanti affermano che nella loro vita non si verifica mai il ricorso ad una figura educativa e ancor meno religiosa: si tratta soprattutto di ragazze e di quelli che si sentono lontani da dio. l’ultima indicazione offerta dagli intervistati pone non pochi interrogativi. Il fatto che il 22.9% preferisce risolvere da solo i problemi che attraversano la vita e che il 38.3% almeno qualche volta si comporta allo stesso modo, da una parte può significare la ricerca di autonomia e di assunzione di responsabilità ma, dall’altra può essere anche segno di solitudine affettiva, di distanza, di chiusura, di eccesso di individualismo e/o di problematiche relazionali. Entrambe queste prospettive di comprensione si rendono plausibili considerando i protagonisti di queste opinioni: preferiscono risolvere da soli gli eventuali problemi della vita i più grandi, i maschi, quelli che vivono nelle regioni del nord e che relativizzano il riferimento religioso. Tutto ciò che abbiamo analizzato in questo paragrafo può essere preso in seria considerazione e attenzione nel patto educativo CFP-famiglia. le diverse situazioni problematiche e la messa in atto di comportamenti che giungono a far correre il rischio di vita propria e altrui, i diversi contesti di vita e la vicinanza della droga, ecc. sono tutte situazioni che difficilmente la famiglia può affrontare da sola. Il CFP, nella logica della comunità educativa e del coinvolgimento delle stesse famiglie in essa, può attrezzarsi e offrire percorsi formativi condivisi per trovare strategie efficaci di sostegno a ragazzi e giovani che possono trovarsi nella necessità di orientarsi e trovare comprensioni e motivazioni adeguate per impegnarsi per una qualità di vita diversa. 3. VIDEOGIOCHI E DISTRIBUZIONE DEL TEMPO NELLA VITA DI ADOLESCENTI E GIOVANI Certamente la vita degli adolescenti e giovani di oggi è affascinata e insieme condizionata dai videogiochi. l’offerta e la varietà è tale che è difficile rimanere indifferenti, non essere provocati, stimolati e indotti a cimentarsi nell’uso. d’altra parte le condizioni di vita e la diffusione delle nuove tecnologie sono tali da invadere e condizionare i tempi della vita di piccoli e grandi. le nuove generazioni, dai primissimi anni di vita, avviano la loro familiarità 105 con i nuovi media e il mercato ha fatto buon viso a cattivo gioco per proporsi in forme veramente provocanti da ogni punto di vista. I tempi della quotidianità rischiano di essere veramente condizionati dal fascino e dal legame che spesso diventa dipendenza. Proprio per questa presenza continua e questi rischi, la vita delle nuove generazioni può essere molto compromessa. d’altra parte gli adulti sono stati presi in contropiede e non sempre sono in grado di regolarne l’uso, guidando i figli nella migliore valorizzazione possibile di questi nuovi media. Per tutti questi motivi, nella ricerca si è dato spazio significativo a questa tematica e dall’analisi dei risultati potremo farci un’idea più precisa della portata e delle conseguenze dell’uso dei videogiochi nella vita degli allievi dei CFP. Anche questa conoscenza potrà aiutare a comprendere meglio l’esperienza di vita dei ragazzi per poter rendere la proposta formativa più capace di incontrare i bisogni, le disponibilità, i desideri e aiutare a una verifica più seria delle situazioni e condizioni di vita attuale. 3.1. Frequenza dell’uso dei videogiochi Vogliamo anzitutto dare una visione d’insieme dell’uso dei videogiochi nell’esperienza di vita degli allievi dei CFP. Per questo riportiamo la Tabella seguente che consente di cogliere anche le situazioni concrete riferite alla zona geografica, al sesso e all’età. Un certo numero (30.4%) può essere considerato un ordinario utilizzatore dei videogiochi e la metà li usa qualche volta. Per quanto non si può trascurare il fatto che almeno otto su dieci degli allievi ha una certa familiarità con i videogiochi, questi dati generali offrono un quadro certamente non allarmante della situazione. dall’insieme dei dati appare anche chiaramente che non vi sono situazioni particolarmente contaminate dall’uso dei videogiochi, in quanto né a livello geografico, né in riferimento all’età appaiono sostanziali differenze. l’unico aspetto che è abbastanza chiaro è che le ragazze sono il doppio dei loro coetanei a non farne uso. Tabella n. 43 - Frequenza di uso dei videogiochi (*) le percentuali della riga finale corrispondono alla consistenza delle singole variabili. (**) Il totale della prima colonna corrisponde alla totalità del campione. 106 3.2. Modalità di uso e conseguenze possibili Alla luce di questa situazione complessiva dell’uso dei videogiochi, vogliamo fare una veloce verifica del tempo che viene dedicato ad essi, degli effetti che possono provocare, del loro uso condiviso con gli amici e anche dei rischi che possono far correre. Per una visione più complessiva e dettagliata di queste situazioni e problemi, che si possono verificare con l’uso dei videogiochi, riportiamo la Tabella seguente. a. Tempo dedicato e conseguenze possibili: la frequenza di uso dei videogiochi può portare a relazioni problematiche con i genitori, soprattutto se non vi è un’intesa e una regolazione. Poco più di un terzo degli allievi li usa certamente ogni giorno e qualcuno di questi anche più volte al giorno. Sono, tuttavia, almeno sei allievi su dieci che non usano ogni giorno i videogiochi. la maggior parte di coloro che usano i videogiochi ogni giorno possono anche vivere conflitti e litigi con i genitori che cercano di impedirne l’accanimento. Almeno due su tre, tuttavia, non vive tensioni con i genitori a motivo dei videogiochi. È anche abbastanza chiaro che alcuni sono costretti a dire bugie quando i genitori chiedono conto sul tempo passato ai videogiochi: il 9.6% lo fa spesso e il 25.8% almeno qualche volta. l’abitudine all’uso dei videogiochi ha anche fatto arrivare alcuni a un maggior spreco di soldi, oltre che di tempo: il 3.2% vive spesso questa situazione e il 14.5% almeno a volte. Alle ragazze può capitare di litigare con i genitori perché, forse, sono più con- Tabella n. 44 - Indica se e quanto frequentemente ti capitano queste situazioni quando usi i videogiochi 107 trollate. Esse, tuttavia, più dei loro coetanei sono molto distanti dall’assiduità e problematicità possibile dell’uso dei videogiochi. Anche ai più piccoli può capitare di dire bugie sulla durata del tempo impiegato, ma non sembrano catturati dal fascino dei videogiochi. E non lo sono soprattutto i più grandi, che appaiono abbastanza distaccati, poiché la loro risposta più significativa tende quasi sempre al “mai”. Pur tenendo conto che il 16% (come appare in Tabella) degli allievi dei CFP e delle regioni del Centro non ha risposto alla domanda, possiamo dire che in queste situazioni territoriali si sta correndo un po’ il rischio che possano incrementarsi lo spreco del tempo e dei soldi. b. Conseguenze provocate dall’uso frequente dei videogiochi: la prima conseguenza che sembra verificarsi con l’uso dei videogiochi, anche se ci si impegna a farne un uso moderato, è che diventa difficile allontanarli dalla mente. non è detto, tuttavia, che sia facile smettere una volta che si è cominciato a giocare: il 10.6% dice che questo gli capita spesso e ben il 30.8% almeno qualche volta. la difficoltà a smettere può venire anche dal fatto che la concentrazione sul videogioco è tale che si può arrivare a perdere la cognizione del tempo. non sono pochi quelli che avvertono questa sensazione o vivono questa concreta realtà: il 20.4% dice che gli capita spesso e il 37.4% almeno qualche volta. È come se il videogioco immergesse in un “altro mondo” che fa perdere i contatti con il mondo reale. la difficoltà di smettere e la perdita della cognizione del tempo per alcuni giunge perfino al salto dei pasti e alla perdita di ore di sonno per continuare a giocare: 6.7% spesso e il 17.5% qualche volta. l’insieme di queste conseguenze vede protagonisti soprattutto gli allievi che hanno meno di 17 anni e questo può verificarsi anche per il fatto di essere “nativi digitali”, con la difficoltà di distinguere “reale” e “virtuale”. I soggetti, inoltre, protagonisti delle situazioni indicate sono tra quelli che incontrano qualche difficoltà nel percorso formativo attuale. questo fa pensare a motivi diversi che possono accrescere queste difficoltà: potrebbe essere la stanchezza e il sonno accumulato, ma può anche darsi che l’immersione nel mondo virtuale e tecnologico porti a un modo diverso di valorizzare le capacità mentali e di apprendimento, con conseguenze specifiche sulla capacità di seguire didattiche e modalità di apprendimento piuttosto tradizionali. c. Uso condiviso dei videogiochi con compagni e amici: nella misura in cui i videogiochi costituiscono un modo abituale di occupare il proprio tempo è normale che divengano oggetto e motivo di conversazione con i compagni. In verità, dalle risposte date dagli intervistati, sembra che questo avvenga piuttosto raramente. Capita, invece, più sovente che si organizzino con gli amici vere partite con videogiochi: il 12.5% lo fa spesso e il 40.6% almeno qualche volta. Almeno una 108 metà degli allievi, quindi, usa i videogiochi per competere o almeno per divertirsi con gli amici. Ai più grandi può capitare più spesso di parlare di videogiochi con gli amici, mentre sono quelli più giovani, soprattutto maschi, che organizzano competizioni e divertimenti utilizzando i videogiochi. d. Benefici e rischi che possono derivare dall’uso dei videogiochi: il maggior beneficio che viene sottolineato come conseguenza dell’uso dei videogiochi è il fatto che essi sono capaci di allontanare ogni problema e preoccupazione. la vita entra in un altro mondo e il resto svanisce. questo si verifica spesso per il 18.5% e almeno qualche volta per il 39.1%. questi benefici sono avvertiti maggiormente dai più giovani e da quelli che vivono nelle regioni del Centro; di idea contraria sono soprattutto i più grandi e le ragazze. Vi sono anche conseguenze problematiche che possono essere collegate e, in qualche modo, dipendere dall’uso dei videogiochi: quando si ha a che fare con i videogiochi e forse non si riesce a gestirli in modo vincente si può accumulare tensione e rabbia che porta facilmente a parole e gesti non dei migliori e che in altre situazioni e momenti non si utilizzerebbero. queste reazioni sono abbastanza presenti, anche se non sembrano abituali: il 16.3% dice che tali forme di comportamento capitano spesso, ma per il 44.1% questo avviene soltanto qualche volta. queste reazioni si verificano di più tra gli allievi delle regioni del Centro e meno tra le ragazze. non mancano gli allievi che fanno risalire all’avvio dell’uso dei videogiochi il peggioramento del rendimento scolastico: sono il 3.7% quelli che collegano più direttamente il rendimento all’uso dei videogiochi; un numero più consistente (21.4%) ha anche detto che questo si è verificato qualche volta. le ragazze e gli allievi delle regioni del Sud sono tra coloro che meno degli altri collegano il peggioramento del rendimento scolastico all’uso dei videogiochi. 3.3. Uso dei nuovi media e tempi della vita quotidiana la vita quotidiana di adolescenti e giovani è scandita dall’uso dei nuovi media e uno dei problemi che non è facile risolvere è valutare la durata dell’uso e la loro finalità. Vogliamo precisare questi due aspetti per verificare le caratteristiche del vissuto quotidiano degli allievi dei CFP. Abbiamo già visto la frequenza di uso dei videogiochi. l’andamento che è emerso nelle analisi precedenti viene in qualche modo confermato anche dalle risposte a queste nuove domande. la maggior parte degli allievi dei CFP utilizza consolle per videogiochi e consolle multiplayer al massimo per un’ora al giorno. Sono pochi gli accaniti che passano due/tre ore e anche più a giorno davanti a strumenti per videogiochi. dall’insieme dei dati possiamo dire che le ragazze usano meno questi strumenti, mentre i maschi e un po’ più quelli che hanno fino a 16 anni, sono più abituati a passare molto tempo della loro giornata davanti a strumenti per videogiochi. 109 Anche se con qualche variazione di durata, i media che sono più utilizzati durante la giornata sono i lettori Mp3, iPod e cellulare. In verità il 56.7% usa il lettore Mp3 al massimo per un’ora, mentre con la stessa durata usa il cellulare solo il 30.4% degli intervistati. Appare pertanto una sorta di corrispondenza al rovescio tra tempo dedicato all’Mp3 e al cellulare. Per l’Mp3 il 30% circa lo usa per due ore e anche più; mentre il cellulare è nelle mani del 60.6% di adolescenti e giovani per due ore e più al giorno: il 15.2% lo usa per due/tre ore e il 45.4% per più di tre ore. Per quanto riguarda i tempi di uso di questi due ultimi media possiamo evidenziare una tendenza più contenuta tra i maschi; tra i più piccoli, inoltre, è più ridotto l’uso dell’Mp3 che è molto più presente tra i più grandi. l’Mp3, e soprattutto il cellulare, è molto più usato dalle ragazze, il 74.4% delle quali utilizza il cellulare per oltre tre ore al giorno. Anche quelli che hanno fino a 16 anni sono collegati per molto tempo tramite il cellulare. Se escludiamo il cellulare, per quanto si riferisce ai tempi di uso degli altri media emerge una tendenza che merita attenzione: più aumentano le ore di fruizione più si riscontra una corrispondenza positiva con le difficoltà che si incontrano per seguire i corsi di formazione. Abbiamo già detto, tuttavia, che questa difficoltà non può essere letta soltanto come mancanza di tempo, sonno o stanchezza. l’uso di questi strumenti cambia il modo di utilizzare la razionalità e le capacità mentali, e questo potrebbe rendere più difficile seguire didattiche tradizionali che non facilitano il loro apprendimento. non appare sempre chiara la distinzione nei tempi di uso di questi mezzi in riferimento al contesto geografico di vita anche perché, soprattutto tra gli allievi delle regioni del Centro, molti non hanno risposto a queste domande e questo può anche aver prodotto correlazioni meno precise circa la variazione dei tempi di uso. Per poter avere un panorama completo delle risposte degli allievi riportiamo la tabella seguente, inserendo in essa anche la colonna delle non risposte per farne cogliere la portata. I contenuti della domanda fanno riferimento soltanto ad alcuni media; si tratta di un panorama ristretto di mezzi di comunicazione. Mancano precisi riscontri circa l’uso di altri mezzi, senza escludere il classico televisore che con la ricchezza di offerta attuale risulta spesso ancora protagonista prioritario nella vita di ragazzi e adolescenti. Tabella n. 45 - Quanto tempo utilizzi mediamente al giorno 110 nella ricerca si è voluto verificare con più attenzione anche l’uso di Internet per diverse attività e finalità. Offriamo anche il quadro complessivo del tempo che si passa in Internet nella Tabella seguente. Come si può riscontrare dall’analisi dei dati della Tabella, non è certamente irrilevante il fatto che l’84% degli allievi usa Internet per la sua formazione, anche se serve soprattutto per fare compiti ed eventuali ricerche. Anche se il tempo per questa finalità è piuttosto ridotto, è già importante che l’accesso a Internet sia visto in una prospettiva che può diventare sempre più significativa e valorizzabile. le ragazze, più dei coetanei, dedicano almeno un’ora all’uso di Internet per una finalità formativa. Un uso veloce per questa finalità viene fatto dai più grandi e da quelli per i quali il percorso formativo non è stato facile. Abbiamo già parlato abbastanza dell’uso di strumenti vari per videogiochi e possiamo dire che i dati corrispondono abbastanza a quanto abbiamo già esaminato; viene confermato, pertanto, un uso non eccessivo per finalità di solo divertimento. le ragazze e gli allievi dei CFP del Sud utilizzano Internet, anche per più ore al giorno, per chattare e collegarsi con compagni e amici: questo è ormai un uso molto diffuso della rete che facilita contatti, comunicazioni, scambi in diretta, anche con più gruppi in contemporanea. I dati della tabella ci fanno capire che si ha un uso diversificato di Internet e che la durata dei diversi collegamenti è quasi equivalente: il 45.3% si collega fino al massimo di un’ora e il 48.6% lo fa anche per più di due/tre ore. l’ultimo aspetto non irrilevante che è stato verificato nell’uso di Internet è riferito ad una finalità informativa su vari aspetti di interesse per adolescenti e giovani. Ben il 70% usa Internet per la durata di mezz’ora o un’ora per cercare informazioni su sport, musica, moda, ecc.; un certo numero (15.2%) lo fa anche per due o tre ore e un gruppetto (7%) vi dedica anche più tempo per questo stesso motivo. le ragazze sono protagoniste significative di tutte le diverse durate di uso di Internet per fini informativi, e quelli che hanno dai 17 anni in su lo fanno per un’ora e anche più. Il quadro complessivo dell’uso dei videogiochi, per il tempo che viene dedi- Tabella n. 46 - Suddividi il tempo che passi in Internet per fare le seguenti attività 111 cato e per le possibili conseguenze, come abbiamo più volte già detto, non è tale da far pensare a forme di dipendenza. neanche l’uso dei vari media sembra portare a considerazioni preoccupanti. Appare anche abbastanza chiaramente la diversità di finalità di uso dei nuovi media. non si può, tuttavia, non riconoscere l’incidenza che possono avere nella vita attuale di adolescenti e giovani, a vari livelli. questo richiede necessariamente attenzione nel percorso formativo/educativo perché se ne possa cogliere l’utilità e imparare a valorizzarli con attenzione ai possibili rischi. 4. L’IMMIGRAZIONE NELL’ESPERIENZA DI VITA DEGLI ALLIEVI DEI CFP Un aspetto che oggi non si può trascurare, per valutare nel suo complesso l’esperienza di vita di adolescenti e giovani, è la nuova realtà dell’immigrazione, che costituisce una caratteristica rilevante dei contesti sociali attuali. Abbiamo già sottolineato come questa realtà tocchi direttamente le strutture dei CFP, in quanto un numero non irrilevante di allievi è costituito proprio da figli di immigrati. questo significa che i CFP possono essere considerati un luogo significativo di convivenza tra diversi e anche un ambiente educativo in cui la stessa diversità può essere riconosciuta e valorizzata. questo, tuttavia, non avviene in modo automatico. È necessario verificare valutazioni, atteggiamenti, qualità delle relazioni e sperimentare prospettive di attenzione, conoscenza, relazione, collaborazione che aiutino a conoscere ed apprezzare la diversità e a riconoscere e rispettare la dignità di ciascuno. 4.1. La presenza di immigrati nei CFP dei Salesiani riteniamo utile precisare anzitutto l’entità della presenza di giovani immigrati tra gli allievi dei CFP e verificare anche la loro distribuzione territoriale, per sesso, età e anche settore lavorativo in cui stanno realizzando il percorso formativo. la Tabella seguente cerca di offrire un quadro completo di questa realtà, come si presenta attualmente. Tabella n. 47 - Gli allievi dei CFP secondo la realtà familiare e la distribuzione per sesso ed età (*) le percentuali della riga finale corrispondono alla consistenza delle singole variabili. (**) Il totale della prima colonna corrisponde alla totalità del campione. 112 nessuno dei dati che appaiono nella Tabella può essere trascurato, neanche la rilevante percentuale delle non risposte tra gli allievi delle regioni del Sud. Appare, comunque, come dato rilevante, una numerosa presenza di figli di immigrati nei CFP delle regioni del Centro e che questi allievi sono più numerosi tra coloro che hanno dai 17 anni in su. Possiamo anche dire, alla luce dei dati messi in risalto dagli altri incroci, che i figli di immigrati sono più numerosi tra gli allievi che stanno vivendo un percorso formativo nel settore secondario; più della metà, inoltre, ha genitori con un titolo scolastico medio alto, non ha avuto problemi nel percorso formativo e non incontra difficoltà nel seguire attualmente i corsi nel CFP. la diversità fondamentale da non trascurare, quindi, è proprio la diversità di provenienza, di appartenenza e di cultura. queste caratteristiche possono costituire risorse importanti da tenere presenti e da valorizzare nella progettazione formativa dei CFP. 4.2. Valutazioni del fenomeno “migrazione” la prima verifica che la ricerca ha inteso precisare, nell’esperienza di vita degli allievi dei CFP in riferimento al fenomeno “migrazione”, è stata la valutazione complessiva del fenomeno da parte degli stessi allievi: che cosa pensano, come la valutano, quali resistenze si possono cogliere nelle stesse valutazioni? questi sono i principali aspetti che vogliamo subito precisare analizzando le risposte degli allievi. Anche di questa valutazione vogliamo offrire un quadro preciso e completo con la Tabella seguente. Gli aggettivi che esprimono sinteticamente le valutazioni, nella domanda del questionario, erano precisati nella loro motivazione e il tutto apparirà più chiaro nell’analisi che ora proponiamo. Il quadro complessivo che la Tabella offre esprime chiaramente una notevole varietà di valutazioni, alcune delle quali problematiche. Circa uno su cinque considera inaccettabili le migrazioni perché, come diceva la motivazione esplicativa, “ciascuno dovrebbe stare nel proprio Paese”. Tabella n. 48 - Valutazione delle migrazioni (*) le percentuali della riga finale corrispondono alla consistenza delle singole variabili. (**) Il totale della prima colonna corrisponde alla totalità del campione. 113 Una percentuale equivalente pensa che siano inevitabili, perché “i popoli più poveri hanno bisogno di migliori condizioni di vita”. riconoscere inevitabili le migrazioni non significa automaticamente che ci sia apertura, disponibilità, accettazione e accoglienza. nella ricerca di migliori condizioni di vita, i migranti potrebbero essere visti come concorrenti, antagonisti nella ricerca del lavoro e persone che occupano uno spazio sociale che si vorrebbe disponibile per le proprie aspirazioni. Un terzo circa degli allievi intervistati ritiene le migrazioni come un fatto normale perché “tutta la storia umana è fatta di migrazioni”. Solo il 13.3% considera positiva la migrazione, perché “tra popoli di razze e culture diverse ci si arricchiste reciprocamente”. normale e positivo, come espressioni di valutazione del fenomeno migrazione, non significano necessariamente totale disponibilità e positività nell’accoglienza e nelle relazioni, perché queste sono scelte di vita non spontanee; vanno illuminate, motivate, sperimentate e continuamente verificate per renderle sempre più capaci di superare resistenze e di incentivare disponibilità e concrete collaborazioni. dalla lettura dei dati della Tabella precedente possiamo evidenziare una visione più problematica nei CFP del Sud ed una valutazione un po’ più aperta e positiva tra le ragazze e tra quelli che sono un po’ più grandi. 4.3. Condivisione di affermazioni correnti circa gli immigrati le valutazioni espresse dagli allievi dei CFP possono apparire ancora più precise analizzando la condivisione di affermazioni più o meno correnti e che esprimono la mentalità abbastanza diffusa tra la gente. nella Tabella seguente si può verificare l’accordo degli allievi dei CFP salesiani con alcune affermazioni che esprimono atteggiamenti alquanto diffusi tra la gente. Tabella n. 49 - Indica il tuo grado di accordo o meno con le seguenti affermazioni 114 Come appare dalla Tabella, l’aspetto più positivo è riferito a quello culturale. Mentre, tuttavia, supera il 60% la percentuale di coloro che si dicono completamente (24.7%) o abbastanza d’accordo (36.2%) circa l’opinione che ritiene che si può imparare molto dalle culture di altri popoli (e si può intendere che protagonisti di questo apprendimento sono gli italiani); sono soltanto il 34.5% gli allievi che vedono in questo arricchimento il protagonismo degli stessi migranti: il 7.3% è completamente d’accordo e il 27.2% lo è abbastanza, con chi ritiene che gli immigrati contribuiscono ad un arricchimento culturale dell’Italia. Senza esasperare queste differenti affermazioni, possiamo solo sottolineare che questa differenza non riconosce il fatto che si impara dalle culture degli altri vivendo l’uno accanto all’altro. queste affermazioni di carattere più positivo sono condivise soprattutto dalle ragazze e dagli allievi dai 17 anni in su. ritengono, inoltre, che si possa imparare molto dalle culture di altri popoli quelli che riconoscono l’importanza di dio nella propria vita e sono inseriti in associazioni. non sono invece d’accordo su queste valutazioni quelli che hanno al massimo 16 anni e, in modo più accentuato, coloro che non riconoscono importanza a dio nella propria vita. la convinzione che gli immigrati aggravino la situazione criminale del nostro Paese trova completamente d’accordo il 26.7% e lo è abbastanza il 40.2%: complessivamente, pertanto, due su tre si riconoscono in questa visione e valutazione degli immigrati. È anche elevata la percentuale degli allievi che condividono completamente (20.1%) o almeno parzialmente (39.8%) l’affermazione che gli immigrati portano via il lavoro agli Italiani. questi dati dicono chiaramente la diffusione tra gli allievi dei CFP di queste visioni molto problematiche della presenza degli immigrati. Soprattutto in riferimento al collegamento criminalità, immigrati non sono d’accordo le ragazze, i più grandi di età e coloro per i quali dio è molto importante nella loro vita. non è meno problematica la concezione che emerge nella visione dei nostri allievi circa il riconoscimento della cittadinanza e la prospettiva di integrazione degli immigrati nella realtà italiana. Più della metà non sarebbe d’accordo circa il diritto di cittadinanza a chi non ha un genitore o radici etniche italiane; mentre il 40% pensa che solo la rinuncia a usanze e tradizioni da parte degli immigrati consentirebbe una convivenza pacifica in Italia. l’insieme dei dati fa comprendere che vi è un lungo cammino da fare per accettare una pacifica convivenza che faccia accettare la diversità come una risorsa. 4.4. Relazioni tra gli allievi italiani e quelli di origine migratoria nei CFP Il panorama delle opinioni condivise palesa abbastanza chiaramente la problematicità degli atteggiamenti. questa problematicità si esprime anche nella qualità delle relazioni che si vi115 vono all’interno dei CFP tra gli allievi italiani e quelli di origine migratoria. la precisazione di queste relazioni può aiutarci ancor più a comprendere questo aspetto importante dell’attuale esperienza di vita di adolescenti e giovani. riportiamo in dettaglio, nella Tabella seguente, le opinioni espresse perché possa apparire ancor meglio il quadro complessivo della situazione. Ciascun allievo ha dato una sola risposta alla domanda proposta. Possiamo dire, pertanto, che il quadro che emerge dalla Tabella esprime la distribuzione reale della qualità delle relazioni, così come ciascuno le avverte e forse le vive. Considerando insieme le prime quattro tipologie o definizioni di relazioni, quelle che appaiono chiaramente più problematiche, possiamo dire che un terzo degli allievi dei CFP interpreta in modo piuttosto problematico la compresenza di allievi di diversa nazionalità nei corsi che sta frequentando o all’interno del CFP in cui si trova. l’insieme delle altre definizioni delle relazioni esprime chiaramente una visione positiva che giunge a ritenerle amicali e collaborative: nell’insieme queste valutazioni positive sono poco meno del 60% e raggiungono il 28.7% quelle riconosciute come amicali e collaborative. Estendendo anche i riferimenti familiari, di percorso formativo e di altre caratteristiche della realtà individuale degli allievi, cerchiamo ora di precisare i protagonisti delle diverse letture delle relazioni tra gli allievi italiani e quelli di origine migratoria. la Tabella che abbiamo riportato esprime soltanto un dato che si diversifica dalle altre posizioni: è la valutazione delle ragazze che accentuano il riconoscimento di amicizia e collaborazione e un po’ anche l’accoglienza. Esse raggiungono i due terzi nella valutazione positiva delle relazioni tra italiani e immigrati. le posizioni degli altri allievi che esprimono una lieve differenza nella definizione positiva Tabella n. 50 - Definizione delle relazioni tra allievi italiani e quelli di origine migratoria nei CFP (*) le percentuali della riga finale corrispondono alla consistenza delle singole variabili. (**) Il totale della prima colonna corrisponde alla totalità del campione. 116 delle relazioni, si riscontrano tra coloro che attualmente non hanno alcuna difficoltà nel seguire il percorso formativo e tra quanti riconoscono molto o almeno abbastanza importante dio nella loro vita. l’insieme delle definizioni più problematiche delle relazioni sono lievemente più elevate tra gli allievi del nord e quelli che stanno incontrando qualche difficoltà nel seguire i corsi; tra gli allievi che non esprimono un’apertura al trascendente e, con qualche sorpresa, anche tra quelli che fanno parte di qualche tipo di associazione. 4.5. Valutazioni e opinioni nel loro rapporto con le relazioni vissute Per approfondire meglio la comprensione e la portata concreta del fenomeno migrazioni nell’esperienza di vita degli allievi dei CFP vogliamo precisare il rapporto tra le valutazioni espresse e la condivisione di opinioni correnti con le relazioni effettivamente vissute nel contesto formativo. Il motivo di questo approfondimento possiamo giustificarlo nel modo seguente: vogliamo capire innanzitutto se le relazioni sono condizionanti delle valutazioni e opinioni, perché in questo caso basta migliorare le relazioni perché cambino anche valutazioni e opinioni. Se, invece, le relazioni dipendono da altri fattori, bisogna cercare di capire come intervenire sugli stessi per migliorare le relazioni. questo serve per capire meglio su che cosa orientare l’intervento formativo/ educativo degli allievi dei CFP per aiutarli a vivere con atteggiamenti e disponibilità positive la convivenza con coetanei di cultura diversa nell’attuale realtà sociale. a. Qualità delle relazioni e appartenenze familiari: un primo riferimento importante che vogliamo verificare è la variazione della qualità delle relazioni allievi italiani- allievi di origine migratoria a partire dall’appartenenza familiare degli stessi allievi. le valutazioni delle relazioni espresse dai figli di genitori entrambi italiani sono più positive di quelle espresse dai figli di immigrati o è il contrario? riportiamo la Tabella dettagliata delle relazioni per averne una visione più precisa. Come si può osservare nella Tabella tra i figli di genitori entrambi italiani vi è una lieve percentuale più elevata di coloro che considerano fredde le attuali relazioni tra allievi italiani e quelli di origine migratoria, mentre per gli altri la Tabella n. 51 - Valutazione delle relazioni secondo l’appartenenza familiare 117 valutazione delle relazioni è un po’ più positiva. le differenze, tuttavia, non sono rilevanti. Possiamo pertanto dire che l’attuale realtà relazionale tra gli allievi dei CFP è un po’ problematica per tutti. non si può, pertanto, pensare di intervenire sugli allievi italiani o quelli di origine immigrata. Bisogna piuttosto pensare a fare qualcosa che coinvolga tutti e aiuti a sperimentare una qualità diversa delle relazioni. b. Valutazione dell’emigrazione e qualità delle relazioni nei CFP: un altro aspetto importante che vogliamo precisare è il rapporto tra la valutazione dell’emigrazione e la definizione delle relazioni nei CFP. Anche questo rapporto lo offriamo in dettaglio nella Tabella seguente. diciamo subito, tuttavia, che non vi è piena corrispondenza tra valutazione positiva e relazioni aperte, anche se quelli che valutano più positivamente l’emigrazione sono più presenti tra coloro che vivono relazioni aperte con i loro colleghi immigrati. Come appare chiaramente nella Tabella, più si ritiene inaccettabile il fenomeno delle migrazioni e più le relazioni sono definite fredde, più cresce una valutazione positiva delle migrazioni e più le relazioni esprimono apertura e positività. In particolare, si può osservare che coloro che ritengono inaccettabile l’emigrazione sono molto più numerosi a qualificare come fredde le relazioni tra gli allievi dei CFP, al contrario, la stragrande maggioranza di coloro che ritengono l’emigrazione un fenomeno positivo definiscono aperte anche le relazioni. c. Livelli di accordo fra opinioni sugli immigrati e definizione delle valutazioni all’interno dei CFP: anche il rapporto tra la condivisione o meno di opinioni e la definizione delle relazioni all’interno dei CFP merita attenzione per cogliere alcune particolarità significative. normalmente la condivisione di opinioni piuttosto negative, soprattutto quando si è completamente d’accordo, corrisponde ad una visione delle relazioni fredde e, viceversa, più si è poco o per nulla d’accordo su questo tipo di opinioni e più le relazioni sono identificate come aperte e collaborative. Coloro che sono d’accordo che gli immigrati portano via il lavoro agli italiani, o che sono d’accordo che per vivere pacificamente devono abbandonare le loro Tabella n. 52 - Valutazione delle migrazioni e tipo di relazioni vissute nei CFP 118 usanze e tradizioni, sono anche molto numerosi a definire fredde le relazioni tra gli allievi nei CFP. quando si esprime accordo con opinioni che ricalcano la positività delle opinioni circa le migrazioni quali, per esempio, quelle riferite al fatto che gli immigrati contribuiscono all’arricchimento culturale, o all’altra che sostiene che si può imparare molto dalla cultura di altri popoli, si riscontra anche una definizione più positiva delle relazioni. Bisogna, tuttavia, precisare che questa corrispondenza è molto più elevata per il secondo aspetto, che può avere un riferimento che va oltre la stessa immigrazione. È un po’ diversa la corrispondenza circa l’affermazione che sottolinea il fatto che gli immigrati aggravano la criminalità: mentre è piuttosto netta con coloro che si dicono totalmente d’accordo, e questi valutano fredde le relazioni, poco meno della metà di coloro che definiscono aperte le relazioni è abbastanza d’accordo con questa opinione; agli altri livelli di accordo (poco o per nulla) le differenze si riducono notevolmente. Ci soffermiamo un po’ sull’opinione che indica le condizioni di attribuzione della cittadinanza italiana agli immigrati. Più del 60% di coloro che definiscono fredde le relazioni sono completamente o abbastanza d’accordo che può avere la cittadinanza italiana solo chi ha un genitore italiano o radici etniche italiane. Poco più del 50%, invece, di coloro che definiscono aperte le relazioni tra gli allievi è poco o per nulla d’accordo con queste condizioni per il diritto alla cittadinanza. Per poter osservare in dettaglio questa relazione, riportiamo la Tabella seguente. Alla luce di quanto abbiamo rilevato anche nel rapporto tra condivisione di opinioni e relazioni vissute nei CFP, dobbiamo riconoscere che le opinioni non sempre incidono sulle relazioni, così come avevamo anche riscontrato la non piena corrispondenza tra valutazioni e relazioni definite e vissute. le relazioni, pertanto, potranno migliorare aiutando a verificare e approfondire sia le valutazioni che le opinioni correnti circa il fenomeno dell’emigrazione e gli stessi immigrati. Si tratta di mettere in atto interventi formativi (educativi e culturali) che aiutino realmente a verificare le mentalità, approfondire i fenomeni e migliorare il vis- Tabella n. 53 - Opinione sul diritto di cittadinanza e relazioni nei CFP 119 suto concreto, sperimentando forme di convivenza che aiutino a verificare la valorizzazione delle risorse e a creare vere convivialità delle differenze6. 5. VALUTAZIONE DI COMPORTAMENTI RIFERITI A ESPERIENZE DI VITA IN CLASSE In questa lunga analisi delle esperienze di vita degli allievi dei CFP vogliamo soffermarci ancora su un aspetto che oggi potrebbe avere una certa presenza e segnare la vita di adolescenti e giovani. Una migliore conoscenza consente di valutare gli interventi possibili nel processo formativo per una migliore qualità etica della loro esperienza di vita. nelle analisi precedenti ci siamo già occupati di esperienze di vita riferite alla famiglia e alle sue regole, ai valori trasmessi, ai desideri e alle preoccupazioni riferite a questi ambiti specifici. Abbiamo anche esaminato le situazioni problematiche in cui ci si è venuti a trovare e alle scelte di vita e rischi. In tutto questo è apparsa chiaramente una fragilità e carenza di criteri etici e di esperimenti per l’orientamento della vita. richiamiamo alcuni dati importanti direttamente collegati e collegabili con quanto stiamo per analizzare: il 16% ha esplicitamene detto che dai genitori vorrebbe una più precisa e decisa trasmissione di valori e di regole di vita; qualcuno (6.2%) si è detto preoccupato per il fatto che sente di non avere ideali per i quali vale la pena di vivere. Abbiamo anche esaminato le sensazioni che possono farsi largo nella vita e far giungere anche alla voglia di farla finita. desideri, preoccupazioni, sensazioni, aspirazioni segnano la vita concreta degli allievi dei CFP e richiedono attenzione da parte di genitori e formatori, singolarmente e insieme, per poter sostenere la crescita e offrire orientamenti di vita. In questo modo si può aiutare a superare ambiguità di comportamenti e di valutazioni e a formarsi una coscienza etica che consenta di comprendere e realizzare la dignità umana della loro vita. non possiamo, tuttavia, trascurare in questa introduzione all’analisi di alcuni comportamenti il fatto che tra i valori trasmessi dalla famiglia il 69.4% ha sottolineato il rispetto verso gli altri e il 66.7% il senso di responsabilità. Sono due riferimenti che possono essere valorizzati per un cammino di scoperta e conquista di prospettive valoriali ed etiche nella vita7. Alla luce di questi elementi identificanti la realtà e i bisogni degli allievi dei 6 Circa le condizioni e le strategie possibili di interventi efficaci in strutture educative che vedono la presenza di soggetti di provenienza e cultura diversa, rinviamo a OrlAndO V., Attenzione ai migranti e missione salesiana nelle società multiculturali d’Europa, roma, lAS, 2012, 290-301. 7 Una riflessione significativa e molto coinvolgente su questi aspetti della dimensione valoriale ed etica di una possibile cultura giovanile si può trovare nel testo già citato di CASTEGnArO A., Fuori del Recinto, op cit., nel terzo a quarto capitolo. 120 CFP, cerchiamo adesso di verificare quali valutazioni esprimono in merito ad alcuni casi che sono stati loro sottoposti. a. Valutazioni di una possibile violazione di privacy. Il caso da valutare era formulato nel modo seguente: “Nella tua classe un ragazzo riesce a rubare ad un compagno la password del suo profilo e in questo modo può chattare a nome del compagno”. Si chiedeva di esprimere la valutazione personale di un simile comportamento. Per avere la possibilità di verificare in dettaglio le opinioni, con riferimento all’identità e appartenenza territoriale degli allievi, riportiamo le risposte nella Tabella seguente. Più di tre su quattro degli allievi ritengono un simile comportamento da non fare mai (47.7%) o lo considerano un reato da punire (27.9%). Sono molto decise sulla condanna le ragazze, che raggiungono ben il 94%, complessivamente, nella valutazione negativa (57.4%) e nel considerarlo un vero reato (36.8%). Anche i più giovani sono più presenti tra coloro che esprimono un giudizio negativo e di condanna, mentre i più grandi e i maschi hanno una percentuale lievemente inferiore di condanna. In riferimento alla variabile territoriale resta da interpretare il fatto che il 16.1% degli allievi delle regioni del Centro non hanno risposto e che, più degli altri, ritengono un simile comportamento un semplice scherzo (23.4%). negli altri contesti territoriali le condanne sono superiori alla media. Un elemento significativo per la comprensione delle valutazioni esaminate è il seguente: quanto più nella vita personale si ritiene molto importante dio e si è implicati in esperienze e appartenenze associative, tanto più è decisa la valutazione di questi comportamenti: poco meno del 90% ritiene che un simile comportamento non deve essere fatto (49.1%) o è da punire (39.4%). l’84.4% di coloro che fanno parte di associazioni esprime la stessa valutazione: il 52.2% lo ritiene da non fare e il 32.2% da punire. Tabella n. 54 - Valutazione di comportamento possibile contro la privacy nella propria classe (*) le percentuali della riga finale corrispondono alla consistenza delle singole variabili. (**) Il totale della prima colonna corrisponde alla totalità del campione. 121 Sembra pertanto abbastanza evidente che chi ha riferimenti trascendenti o esperienze di vita che lo aiutano a riflettere e a fare scelte significative sui comportamenti valuta con più rigore ciò che appare chiaramente una violazione del rispetto degli altri. b. Valutazione di comportamenti di bullismo in classe: “Nella tua classe alcuni ragazzi prendono in giro, fanno dei dispetti e arrivano anche a picchiare un loro compagno, al tempo stesso filmano col cellulare le sue reazioni e le mandano via Youtube agli altri compagni di classe per far vedere che cosa sono capaci di fare”. questo era il secondo caso sottoposto al parere degli allievi dei CFP perché ne dessero una personale valutazione. Si tratta di comportamenti di bullismo e cyber bullismo che non sono infrequenti attualmente nelle classi. È utile, pertanto, cercare di capire gli atteggiamenti degli allievi dei CFP circa questi comportamenti. Anche di questa valutazione offriamo il dettaglio delle risposte nella Tabella seguente. la valutazione di comportamenti da bulli da parte dei compagni è più severa della precedente e sono solo il 6.1% coloro che ritengono normale questo modo di fare. Sono in particolare le ragazze (60.3%) che ritengono questo comportamento un reato che deve essere punito; di questo stesso avviso sono, in modo più accentuato, gli allievi delle regioni del nord, mentre meno di un terzo degli allievi del Sud sono dello stesso parere. Anche in queste valutazioni vi è la notevole percentuale delle non risposte da parte degli allievi delle regioni del Centro. nella valutazione di questi atti di bullismo non sembrano avere particolare incidenza il riconoscimento dell’importanza di dio nella propria vita e ancor meno l’essere iscritto o meno ad una associazione. In verità, sia quelli che ritengono molto importante dio nella propria vita, sia coloro che appartengono Tabella n. 55 - Valutazione di comportamenti da bulli contro compagni di classe (*) le percentuali della riga finale corrispondono alla consistenza delle singole variabili. (**) Il totale della prima colonna corrisponde alla totalità del campione. 122 ad una associazione sono più inclini a ritenere questo comportamento un reato da punire. c. Il terzo caso sottoposto alla valutazione degli allievi era il seguente: “Quando tutta la famiglia dorme un tuo compagno si appropria del computer del padre per scaricare film e musica, li copia su CD/DVD e il giorno dopo li porta in classe per offrirli ai compagni e farsi dare qualcos’altro in cambio”. Si tratta di un comportamento che ha due risvolti problematici: mancanza di rispetto per il padre e uso della classe come spazio di mercato, compiendo almeno due azioni illegali: scaricare materiali e venderli ai compagni per ricavare qualcosa. Come mostra la Tabella seguente, la percentuale che ritiene normale tutto questo darsi da fare per ricavare qualcosa non è del tutto insignificante: 17.3%. Tra questi, vi è un buon gruppo (23.4%) di allievi delle regioni del Centro; di questo parere sono in modo più consistente i maschi, i più grandi e il 26.3% di quelli che escludono dio dalla loro vita. Più della metà degli allievi (57.3%) ritiene che si tratta di un comportamento da non fare mai. di questo parere sono soprattutto le ragazze (67.6%) e anche coloro che ritengono dio nella loro vita molto o abbastanza importante. non è, invece, molto elevata la percentuale di coloro che ritengono questo comportamento un reato da punire (18.6%). Anche se con percentuali diverse, sono di questo avviso uno su quattro degli allievi delle Province del Sud e più di una su cinque delle ragazze e degli allievi più piccoli. Anche queste valutazioni sono positivamente collegate con un’apertura della vita alla trascendenza e con la partecipazione ad associazioni. la Tabella seguente aiuta a verificare in modo puntuale la diversità delle posizioni degli allievi dei CFP. I pareri espressi dagli allievi sui vari casi sottoposti a valutazione hanno fatto emergere maggiore incertezza e mancanza di criteri etici in riferimento a quanto può essere praticato con i nuovi media, mentre sembrano più precisi quando si tratta di valutare azioni che esprimono chiaramente il non rispetto dei coetanei. Tabella n. 56 - Valutazione di comportamenti non corretti in famiglia e a scuola 123 Certamente, nel percorso formativo degli allievi dei CFP, non bisogna trascurare la formazione della capacità di discernimento e di orientamento al bene. Solo così si potrà contribuire significativamente alla formazione della coscienza morale, capace di distinguere valori e mezzi, e riconoscere il primato e la dignità della persona. Una formazione culturale capace di perseguire una significativa qualità della vita umana che, liberandosi da ambiguità morali, riesca a maturare criteri etici per evitare che nella vita prevalgano desideri e bisogni ispirati all’utile, al potere e al piacere. Faciliterà e/o contribuirà efficacemente allo sviluppo di una mentalità eticamente ispirata, la possibilità di illuminare la cultura e la coscienza con apertura alla trascendenza e l’appartenenza a gruppi e associazioni che facilitino un percorso formativo arricchente e capace di illuminare e motivare scelte di vita umanamente qualificanti. 6. ESPERIENZE DI VITA E OPPORTUNITÀ FORMATIVE l’analisi di questa ultima parte dei dati della ricerca ha messo chiaramente in evidenza la situazione attuale degli allievi dei CFP a livello esistenziale nelle sue diverse componenti. Sono dati che provocano certamente la riflessione dei formatori/educatori e non possono non divenire motivo e oggetto di riflessione, confronto e di progettazione educativa. Vogliamo richiamare alcuni elementi significativi per facilitare l’attenzione ad alcuni aspetti più rilevanti. le analisi fattoriali che abbiamo eseguito su alcuni aspetti di questa parte della ricerca non hanno prodotto risultati particolari. ne utilizzeremo i risultati con precauzione e solo quando possono veramente aiutarci ad approfondire la comprensione dei risultati delle analisi già presentate. Anche per questo motivo le riflessioni che presentiamo in quest’ultimo paragrafo del capitolo riprendono i dati delle analisi fatte e richiamano l’attenzione di quanti sono impegnati nei CFP sulle opportunità formative che possono essere valorizzate. 6.1. Desideri di cambiamento e motivi di preoccupazione Tenendo presente quanto è emerso circa la soddisfazione per la vita vissuta finora, i motivi di preoccupazione e i desideri espressi dagli allievi dei CFP, possiamo sottolineare innanzitutto che quelli pienamente soddisfatti non sono molti; bisogna, tuttavia, anche sottolineare che sono ancor meno quelli piuttosto delusi. In questa situazione si deve trovare una strategia discreta di presenza, di stimolazione e di proposta in grado di orientare, sostenere, incoraggiare il cammino della vita. questa strategia potrebbe valorizzare qualche desiderio di cambiamento condiviso da piccoli gruppi di allievi. Ciò che viene maggiormente sottolineato in questi desideri si riferisce alle relazioni (ragazzo/a e genitori), alle capacità di scelte coerenti e responsabili, ad aspetti personali (carattere, orientamento, aspetto fisico) per 124 una migliore accettazione di sé. l’analisi fattoriale fa capire che si tratta di aggregazioni di elementi differenziati e poco rilevanti per stabilire quello che potrebbe essere veramente condiviso dai più. questo richiede attenzione ai singoli e serietà di indicazioni e motivazioni nelle suggestioni di cambiamento che vengono indicate. Considerando, inoltre, i motivi di preoccupazione maggiormente evidenziati, non si possono trascurare l’attenzione alla precarietà complessiva in questo periodo di crisi, insieme all’incertezza del futuro, che fa riflettere anche sulla validità e sulla portata dell’attuale preparazione professionale. Il presente è comunque attraversato anche da preoccupazioni legate alla realtà familiare e amicale. È tutto l’ambito delle relazioni che resta problematico sia in riferimento alla situazione familiare, sia per la qualità delle relazioni amicali, che non sono sempre entusiasmanti. Tutto questo viene confermato dai risultati dell’analisi fattoriale che ci aiuta a precisare un po’ anche la consistenza della aggregazioni intorno a questi elementi significativi di preoccupazione. le preoccupazioni legate ad elementi di rischio che inquinano la convivenza attuale (disonestà, violenza, droga, ecc.) raggruppano il 12.5% degli allievi, mentre un gruppo lievemente inferiore (circa il 10%) è preoccupato soprattutto per la crisi economica e politica. queste situazioni di incertezza, precarietà e rischio hanno certamente conseguenze su altre preoccupazioni legate al futuro, al lavoro e alla necessità di una preparazione adeguata per non restare ai margini della società attuale. Anche se le aggregazioni sono meno consistenti, non devono essere trascurate le preoccupazioni legate alla situazione affettiva, amicale, familiare e anche a ideali e aspetto religioso che possono dare ragioni di vita e capacità di affrontarne le difficoltà. Alla luce delle preoccupazioni emerse si pongono alcune domande: quali orizzonti di speranza per gli allievi dei CFP salesiani d’Italia? quali desideri e/o prospettive di cambiamento? I desideri si focalizzano sul superamento della precarietà economica ma aprono anche altre strade che bisogna attentamente considerare. non è irrilevante la presenza di un desiderio di miglioramento dell’immagine di sé e di alcuni aspetti del carattere e conseguenze comportamentali che si avvertono come problematici. questa attenzione ai bisogni personali esprime chiaramente una consapevolezza autoformativa che si confronta con qualche difficoltà. È invece naturale, perché tipico dell’età adolescenziale, il desiderio di migliorare i rapporti con i genitori e con gli amici e anche riuscire a rendere più interessante l’uso del tempo libero. dobbiamo, tuttavia, dire che l’insieme di questi fattori non aiutano a interpretare la totalità delle situazioni degli allievi dei CFP. Occorre, pertanto, essere molto attenti ai vissuti quotidiani degli allievi per non causare esclusioni e/o reazioni di insofferenza alle proposte formative che vengono loro presentate. 125 6.2. Percorsi esperienziali e persone di riferimento Un’altra area di analisi che merita un’attenzione particolare è quella dei comportamenti e delle esperienze che si mettono in atto. Comportamenti ed esperienze praticate e anche subite che non si può far finta che non esistano. In essi si esprime la fragilità ma anche il suo rifiuto, il mettersi alla prova per ottenere consenso e successo, vivere comportamenti a rischio che possono aver attraversato già la vita. È vero che in certe situazioni problematiche, la voglia di provare sia più legata alla vulnerabilità e/o all’essersi trovati invischiati in tante cose perché sono vicine a noi, presenti negli spazi in cui si vive e si sperimenta la vita, e non è facile non restare coinvolti. Per tutte queste situazioni in cui la vita può venire a trovarsi, diventano necessarie proposte e percorsi che motivano a vivere diversamente e vi è bisogno anche di persone di riferimento che aiutino a risolvere le situazioni problematiche. Proprio per riuscire a offrire agli allievi sostegno e guida e prepararli a sapere valorizzare la presenza di chi può dare loro un valido aiuto, bisogna incitarli e sostenerli nel superare problematiche autosufficienze, comprendere che non si può crescere guardandosi solo allo specchio (come esclusivo riferimento agli amici) e riuscire ad accreditare altre figure educative che forse hanno perso credibilità o sono troppo distanti dai luoghi in cui la loro vita si svolge. Su questi aspetti abbiamo voluto approfondire un po’ le nostre analisi per poter precisare meglio i punti di riferimento e le persone a cui ci si rivolge per trovare un aiuto. riportiamo nella Tabella seguente i risultati dell’analisi fattoriale i cui risultati ci sembrano molto significativi. Come emerge chiaramente dalla Tabella i punti di riferimento più significativi sono all’interno della famiglia: la mamma, il papà e anche fratelli e sorelle. questi riferimenti sono prioritari per più del 25%. Come si può evincere chiaramente, si chiede aiuto all’interno della famiglia da parte di quanti stanno vivendo un’espe- Tabella n. 57 - Analisi fattoriale: a chi ti rivolgi per essere aiutato? 126 rienza di vita senza preoccupazioni, con un chiaro orizzonte religioso e lontani da situazioni amicali problematiche. Sorprende anche il fatto che cresce la credibilità e quindi il ricorso a figure religiose o che hanno un compito educativo e formativo: sono poco meno del 25% coloro che riconoscono come proprio e prioritario questo riferimento nella loro vita. Si tratta di allievi che hanno un chiaro riferimento religioso nella loro vita, ma che possono essere attraversati da sensazioni di estrema fragilità nell’affrontare le difficoltà quotidiane. rispetto ai due fattori precedenti, risulta piuttosto ridimensionato il ricorso agli amici, che può essere affiancato da fratelli e sorelle che riescono a svolgere un ruolo amicale: sono meno del 20% gli allievi che si rifugiano negli amici in caso di bisogno di aiuto. Tra costoro sono più numerose le ragazze e coloro che possono trovarsi in situazioni relazionali problematiche. 6.3. Possibilità del recupero del riferimento religioso Abbiamo visto, con una certa sorpresa, un recupero significativo delle figure educative religiose in situazioni di particolare necessità. resta tuttavia aperto il problema: come riconciliare gli allievi dei CFP salesiani con l’aspetto religioso e con coloro che possono aiutarli a inserire questa attenzione nel loro cammino di crescita? Il riferimento alla religione e il riconoscimento dell’importanza di dio nella vita riguarda, significativamente, solo uno su tre degli allievi intervistati. Bisogna, tuttavia, sottolineare che dall’incrocio del riferimento religioso con gli aspetti più diversi della vita, anche quelli che risultano problematici, emerge chiaramente l’incidenza di questo riferimento nella qualità delle scelte e dei comportamenti. Si tratta, allora, di verificare attentamente come riuscire ad aiutare gli allievi a riscoprire e a integrare nella vita il senso e il valore esistenziale della visione e del riferimento religioso. Perché questo possa realizzarsi senza reazioni di totale rifiuto, bisognerebbe escogitare modalità motivanti e convincenti che ne facciano apprezzare il significato nella vita concreta. l’ambiente e l’esperienza quotidiana di vita nei CFP dovrebbe essere l’opportunità più feconda da valorizzare. Bisognerebbe riuscire, come abbiamo detto nell’introduzione riportando alcune indicazioni del rettor Maggiore don Pascual Chavez, ad “offrire un processo di evangelizzazione realmente inserito nella dinamica educativa e lavorativa”, una evangelizzazione “veramente integrata nel loro mondo”8. 6.4. Videogiochi e nuovi media nella vita degli allievi dei CFP nelle analisi precedenti abbiamo sottolineato il fatto che non appare eccessivamente problematica e preoccupante, a livello di scelte di vita e di esperienze con- 8 ChAVEz P., La Formazione Professionale e l’educazione per il lavoro nel progetto educativo pastorale salesiano, 2009, in Cultura Associativa e Federazione CNOS-FAP. Storia e Attualità, a cura del CnOS-FAP, 2012, 217. 127 crete, l’uso dei videogiochi, dei nuovi media, di Internet, ecc. I dati che abbiamo analizzato precedentemente, ci hanno portati ad affermare che non vi sono elementi tali per poter dire che ci si trova davanti ad eccessi, accanimenti, dipendenze. qualche condizionamento, tuttavia, emerge perché appare chiaro che non è facile staccarsi e non averli sempre nella testa. quelli che sembrano veramente accaniti sono pochi e gli eccessi d’uso non appaiono preoccupanti. Bisogna anche tenere presente che il cellulare e l’uso di Internet sono diventati ormai strumenti che accompagnano la vita che trova, in riferimento ad essi, un suo modo di relazionarsi ed esprimersi. Gli allievi dei CFP possono rientrare tra i “nativi digitali” che hanno una struttura mentale e modalità di esprimersi che hanno bisogno di questi nuovi strumenti, la loro vita si relaziona con il virtuale non per alienarsi, ma per trovare modi diversi di esprimersi e far parte di un mondo a cui la loro vita non è estranea. Abbiamo voluto, tuttavia, approfondire questi aspetti anche per comprendere meglio il rapporto effettivo che gli allievi dei CFP hanno con questi mezzi e i condizionamenti che ne possono derivare. le analisi fattoriali hanno consentito di migliorare la comprensione di questo particolare aspetto dell’esperienza di vita degli allievi dei CFP. Come si può vedere nella Tabella seguente, vi è un primo fattore che raggruppa un rilevante numero di allievi e consente di interpretare più del 20% della varianza. questo fattore può essere identificato come “alienazione” per una serie di comportamenti che ne conseguono: litigio con i genitori, peggioramento del rendimento scolastico, voglia di non smettere mai, salto di pasti e sonno, ecc. Il rischio, quindi, per uno su quattro degli allievi dei CFP è quello di alienarsi davanti a un videogioco e perdere i contatti con la realtà concreta. Un altro fattore, poco meno coinvolgente rispetto al precedente (17.6%), che aiuta a comprendere il ruolo dei videogiochi può essere precisato come “pervasività”, perché stanno sempre in testa, se ne parla continuamente, si organizzano partite e non si sa stare un giorno senza. Una pervasività che per alcuni può anche significare perdita di sonno e anche salto di pasti. Un altro fattore, che raggruppa soltanto il 16.2% dei soggetti del campione, può far intravedere i videogiochi come occasione e mezzi di “distrazione” ma che, in effetti, non si allontana molto anche dalle caratteristiche della “pervasività” e dell’“alienazione”. l’uso dei videogiochi può allontanare problemi e preoccupazioni, ma con il rischio che si perda la cognizione del tempo e non si riesca controllarsi nelle parole e nei gesti. l’insieme dei fattori riesce a dare conto del 54% della varianza del campione ed evidenzia una realtà piuttosto problematica per più della metà degli allievi dei CFP. questi risultati consentono di guardare diversamente le analisi fatte precedentemente e richiedono notevole attenzione nelle proposte formative dei CFP. questa attenzione è anche stimolata dal fatto che rischiano di alienarsi nell’uso dei videogiochi allievi che non hanno una visione serena e positiva della vita e non poche volte avvertono sensazioni autodistruttive. Coloro, inoltre, che rientrano nelle caratteristiche del terzo fattore sono spesso in contatto con 128 amici che fanno uso di droga e corrono il rischio di esaltazione o di alienazione. Bisogna, inoltre. sottolineare anche il fatto che a fare uso dei videogiochi sono soprattutto i maschi che sono la stragrande maggioranza degli allievi dei CFP salesiani. riportiamo la Tabella dell’analisi fattoriale circa i condizionamenti e i comportamenti conseguenti all’uso dei videogiochi perché si possa osservare nel dettaglio quanto abbiamo sottolineato precedentemente. l’analisi fattoriale ha anche aiutato a precisare meglio l’uso di Internet e dei nuovi media. Anche per questi aspetti sono emersi tre fattori che hanno una notevole portata, in quanto consentono di interpretare il 62% della varianza del campione. Il primo fattore raggruppa circa il 26% dei soggetti del campione che fanno uso dei vari tipi di consolle, di Playstation e di videogiochi soprattutto per divertimento. Tra costoro prevalgono di gran lunga i maschi. I nuovi media e Internet servono anche molto per attivare relazioni con gli amici, per musica ed informazioni di vario genere. Protagoniste di questi diversi usi, che raggruppano il 23% del campione, sono le ragazze che possono trovarsi anche in situazioni personali e relazionali non del tutto rassicuranti. Tabella n. 58 - Analisi fattoriale: uso dei videogiochi e conseguenze concrete 129 Vi sono anche alcuni allievi dei CFP (13% circa) che usano Internet per fare ricerche legate ai compiti scolastici. Tra costoro sono presenti soprattutto quelli che vivono i loro doveri e le loro relazioni senza rischi e con una vita ordinaria aperta all’orizzonte religioso. Anche dell’uso dei nuovi media e di Internet riportiamo la Tabella per consentire uno sguardo più preciso sui diversi dati. 6.5. Accoglienza dell’altro e responsabilità etica della vita Vi sono altri due aspetti delle esperienze di vita di cui la ricerca si interessa e che meritano attenta considerazione. Il primo si riferisce alla visione e valutazione del fenomeno dell’immigrazione. Si tratta di una realtà che tocca direttamente gli allievi dei CFP e che bisogna prendere in seria considerazione. Gli allievi che sono essi stessi figli di immigrati costituiscono una percentuale non irrilevante e in alcuni contesti territoriali la loro presenza nei CFP raggiunge percentuali che possono richiedere particolari attenzioni e considerazioni. la realtà che emerge dai dati della ricerca pone di fronte a una situazione che richiede consapevolezza e capacità di intervento. Valutazioni incerte, se non del tutto problematiche del fenomeno migratorio, la condivisione di affermazioni che registrano visioni conflittuali, relazioni resistenti e piuttosto fredde, rivelano una visione e situazione complessiva che richiede azioni educative illuminate. Poiché si tratta di una condizione nuova della realtà dei Centri e di una presenza quotidiana di allievi di origini e radici culturali diverse, non è possibile affrontare il problema con qualche attività o intervento straordinario. Bisogna pensare a rendere diverso il vissuto relazionale e istituzionale riconoscendo e valorizzando la stessa diversità. Tabella n. 59 - Analisi fattoriale: uso dei nuovi media e attività in Internet 130 Poiché non si possono improvvisare le modalità e strategie che rendano diversa la quotidianità, bisogna pensare e progettare cambiamenti di rotta significativi ed efficaci; bisogna trovare la modalità più efficace per la conoscenza, la convivenza, la collaborazione reciproca tra i diversi. Con pazienza e intelligenza bisogna operare per un cambio di mentalità su cui fondare la nuova convivenza per poter giungere a una vera “convivialità delle differenze”. le vie operative (informative, dialogiche, laboratoriali) potranno anche diversificarsi a seconda delle situazioni dei vari CFP, ma sarebbe interessante confrontare le varie prassi messe in atto per poter giungere a “buone pratiche” efficaci che siano di riferimento per tutti. l’ultimo aspetto dell’esperienza di vita degli allievi dei CFP che vogliamo richiamare riguarda l’atteggiamento e la valutazione di alcuni comportamenti che possono verificarsi in classe. Prendendo la classe come il luogo in cui si vive l’esperienza relazionale più lunga della giornata e della vita adolescenziale, in ciò che avviene in classe si possono valutare la qualità etica (di responsabilità e di rispetto) dei comportamenti e del fondamento etico-valoriale degli stessi comportamenti. Si tratta, in fondo, di vedere i livelli di maturazione di una coscienza etica e dei suoi fondamenti. Trattandosi di adolescenti non si può certo pretendere che abbiano tutti raggiunto convinzioni e motivazioni etiche ben definite e indubitabili; né si può presumere che siano già in grado di valutare qualsiasi tipo di comportamento. Proprio per questo è necessario che nella “nuova filosofia dell’educazione”, che guida l’intervento educativo nei CFP dei Salesiani, si faccia attenzione alla cura della formazione etica e si accompagni una vera maturazione del senso etico della vita umana. questo ha bisogno certamente di conoscenze etiche da curare ma anche di prassi da attivare e verificare. Il tutto visto e fatto comprendere come una visione integrata delle diverse dimensioni della vita umana che possono consentire una diversa formazione di realizzazione e di identità personale. 131 Conclusioni La collaborazione educativa/formativa CFP e famiglie l’analisi piuttosto dettagliata dei dati della ricerca che abbiamo presentato, con le conclusioni dei singoli capitoli in cui si è cercato di aprire prospettive efficaci a livello di intervento educativo, consente di individuare prospettive e strategie di varia natura e di rilevante urgenza per un accompagnamento efficace del percorso di crescita degli allievi dei CFP. Tenendo presente l’obiettivo specifico che ha portato a realizzare le ricerche e il convegno del novembre 2013, in queste conclusioni vogliamo focalizzare l’attenzione sulla collaborazione educativa famiglia e CFP. Per valutare la possibilità e le strategie possibili ed efficaci di questa collaborazione, abbiamo ritenuto necessario un approfondimento di analisi statistiche dei dati ed un’accurata riflessione sulle priorità e irrinunciabilità di attenzioni da condividere nella collaborazione. 1. LA CLUSTER ANALYSIS E LE TIPOLOGIE DEL RAPPORTO FAMIGLIE-CFP Per cercare di comprendere nel miglior modo possibile l’attuale collaborazione delle famiglie degli allievi con i Salesiani, i formatori e le offerte dei CFP, abbiamo realizzato una cluster analysis dei dati della ricerca per vedere come si raggruppano le famiglie a partire dalla qualità dei rapporti dei genitori con i protagonisti, l’offerta formativa e la stessa struttura dei CFP. la cluster analysis consente di costruire degli insiemi, una sorta di tipologie che raggruppano realtà familiari a seconda degli elementi che emergono dalle risposte del campione circa i rapporti dei genitori con la realtà dell’istituzione formativa che essi frequentano. Ci interessava cogliere, a partire dalle risposte a numerose domande del questionario, sia la realtà familiare in cui vivono attualmente gli allievi dei CFP, sia i rapporti dei figli con i genitori e le eventuali conseguenze sulla problematicità della vita degli allievi e sia la disponibilità di collaborazione e la partecipazione delle famiglie alle iniziative e proposte dei CFP. dall’insieme delle analisi sono emersi tre insiemi o tipi di famiglie che presentano le seguenti caratteristiche: 132 a. Il primo cluster raggruppa famiglie che potremmo definire “sane, normali” con elementi conflittuali e/o problematici del rapporto genitori/figli piuttosto ridotti e che possono arrivare a realizzare un buon rapporto collaborativo con i formatori e l’insieme delle offerte dei CFP. In questo primo cluster rientrano 354 soggetti intervistati, pari al 47.97% del campione. questi allievi vivono attualmente con entrambi i genitori, con i quali il dialogo è piuttosto agevole e sono disposti a ricorrere al loro aiuto in caso di bisogno. le regole in famiglia sono piuttosto chiare, stabili e condivise e prevalgono il rispetto insieme ad amore, obbedienza e una certa apertura all’autonomia e all’impegno. Per l’insieme di questi motivi, non ci si sorprende se gli adolescenti dicono che apprendono i comportamenti di vita soprattutto dai famigliari. Gli allievi che vivono questa situazione familiare non incontrano particolari difficoltà scolastiche, vivono una vita piuttosto soddisfacente e si sentono realizzati. la vita di questi giovani non è aliena da un orizzonte religioso e la maggior parte riconosce come molto importante dio nella propria vita. nello specifico del rapporto dei genitori con i formatori e con il CFP la situazione descritta dagli allievi è la seguente: non vi sono segni di conflittualità tra genitori e formatori sia per il comportamento che per la valutazione dell’apprendimento; si cerca di instaurare una buona collaborazione, anche in riferimento alla trasmissione dei valori e all’apertura fiduciosa al futuro. Oltre a tutto questo, i genitori sono piuttosto disponibili a partecipare alla vita del Centro (incontri e manifestazioni) e gli stessi formatori conoscono abbastanza la realtà della famiglia. Come emerge chiaramente, si tratta di un raggruppamento o profilo di famiglie che ai vari livelli vive una realtà positiva che rende agevole il percorso formativo dei figli e questo si riesce a realizzarlo anche con una attenta collaborazione educativa con l’istituzione educativa dei CFP. b. Il secondo cluster raggruppa famiglie con elementi di problematicità: possono essere costituite da un solo genitore o da un genitore e il/la suo/a compagno/a, nelle quali non sono assenti situazioni conflittuali tra genitori/figli. questo secondo cluster raggruppa 241 soggetti intervistati pari al 32.66% del campione. le specificità di questo secondo cluster possono essere precisate nel modo seguente: - il rapporto genitori figli è piuttosto conflittuale, è scarso il dialogo, le regole sono piuttosto variabili e i rapporti alquanto problematici. non si parla molto dei problemi della vita, né dei comportamenti e valori, che sono piuttosto orientati all’autonomia e all’impegno come atteggiamenti personali importanti; - questi intervistati, in genere, hanno attraversato difficoltà a livello scolastico 133 e la vita è segnata da qualche insoddisfazione. Per quanto non sono del tutto alieni a rivolgersi a sacerdoti e formatori per qualche consiglio, la loro relazione complessiva con i formatori può essere anche abbastanza conflittuale. nella loro vita, inoltre, dio non è ritenuto molto importante e, per non pochi di costoro, non lo è per nulla o non esiste del tutto; - i genitori, che hanno già con i figli rapporti non sempre costruttivi e pacifici, non partecipano molto agli incontri, manifestazioni e celebrazioni nel CFP. non vengono segnalati, tuttavia, conflitti rilevanti con i formatori a livello di comportamento e stile di vita dei figli e non si è neanche troppo in tensione per voti e valutazione dell’apprendimento. dall’insieme dei dati possiamo affermare che il rispetto per la struttura e i formatori è alto, ma è piuttosto bassa la fiducia e la collaborazione. Anche la conoscenza della famiglia da parte dei formatori è piuttosto scarsa. Un elemento significativo che possiamo aggiungere alle caratteristiche di questo cluster è il suo riferimento territoriale: queste situazioni familiari sono più presenti nelle regioni del nord. le caratteristiche di questo secondo profilo di famiglia degli allievi dei CFP possono apparire piuttosto problematiche per un’efficace collaborazione educativa. la situazione familiare è piuttosto problematica per rendere il cammino formativo dei figli aperto a buoni risultati operativi e alla realizzazione personale. Perché la collaborazione possa risultare veramente efficace bisogna cercare di farsi carico dei bisogni educativi dei genitori e trovare il modo più efficace per realizzare collaborazioni propositive. c. Il terzo cluster raggruppa famiglie che possono essere riconosciute come “normali” per la loro costituzione, ma non sono prive di difficoltà per l’educazione dei figli e per una efficace collaborazione con i CFP. questo terzo cluster raggruppa 143 soggetti intervistati che corrispondono al 19.38% del campione e presenta caratteristiche alquanto diverse dai due cluster precedenti. la maggioranza di questi adolescenti non ha difficoltà a parlare con la mamma, ma i rapporti complessivi genitori/figli non sono eccellenti, e possono nascere problemi sia nei rapporti con il padre che con la madre. le regole sono piuttosto severe e imposte, ma non comportano sempre punizioni in caso di non osservanza. I valori e i comportamenti trasmessi non puntano molto su autonomia e impegno personale. Il rapporto dei genitori con i formatori non è molto collaborativo circa comportamenti e stili di vita, anzi è piuttosto conflittuale; possono invece trovare più intesa e collaborazione circa le regole e i comportamenti conseguenti. le tensioni non sono particolarmente significative per quanto si riferisce alla valutazione dell’apprendimento e ai voti. la partecipazione dei genitori agli incontri che organizza il CFP è piuttosto scarsa, ma sono presenti a qualche manifestazione e/o celebrazione. 134 Gli allievi che appartengono a questo tipo di famiglie stabiliscono buoni rapporti amicali ed è molto facile scambiarsi confidenze tra amici, dai quali si attendono insegnamenti per regolare i propri comportamenti, ma non sono alieni dal chiedere aiuto a sacerdoti e formatori. queste situazioni familiari si riscontrano maggiormente nelle regioni del Sud. le caratteristiche emerse da questo terzo cluster sono piuttosto particolari e possono essere ricondotte al contesto socioculturale in cui maggiormente si esprimono: le concezioni educative delle famiglie del Sud possono coniugare severità, rigore, dipendenza, senza una particolare attenzione a promuovere autonomia e responsabilità. le relazioni educative genitori-figli sono molto improntate a sentimenti e i confronti non mirano alla crescita e alla maturazione di criteri di scelta. la docilità e l’ubbidienza, secondo la visione culturale-educativa prevalente negli ambienti popolari nel Sud, non trovano sempre disponibilità di accettazione da parte degli adolescenti e giovani. qualunque richiesta di collaborazione formativa nel Sud dovrà tener conto di questi elementi e trovare strategie collaborative accettabili. dall’insieme dei risultati della Cluster analysis possiamo migliorare la nostra comprensione della realtà delle famiglie degli allievi dei CFP e valutare la disponibilità e la possibilità di attivare percorsi formativi congiunti. Appare chiaro che, in non poche situazioni, si richiedono iniziative che vadano incontro ai bisogni educativi degli stessi genitori che non sarà facile motivare e coinvolgere. Un’attenzione di conoscenza delle situazioni delle famiglie potrà facilitare l’individuazione delle iniziative più opportune e la stessa possibilità di riuscita. le scelte potranno maturare in riferimento a ciascuna situazione e ai suoi bisogni. lasciando a ciascuno la possibilità di fare le scelte più opportune ed efficaci, adesso vogliamo indicare alcune attenzioni che riteniamo particolarmente utili, anche se adattabili. 2. LE PROSPETTIVE DI COLLABORAZIONE EDUCATIVA/FORMATIVA CFP E FAMIGLIE Senza alcuna pretesa di sostituirci alle scelte che ciascun CFP potrà e vorrà fare a partire dal contesto in cui opera e dalla realtà delle famiglie degli allievi del CFP, tentiamo di aprire qualche prospettiva tematica e strategica di collaborazione educativa/formativa, invitando tutti a verificarle e valutarle in base alle situazioni concrete e all’esperienza che si sta vivendo. a. È anzitutto indispensabile una visione globale (integrale) della persona del ragazzo e trovare il modo più efficace per interconnettere, armonizzare, integrare i vari aspetti (dimensioni) che saranno oggetto, motivo e finalità del progetto, degli interventi e dell’intera esperienza educativa come CnOS-FAP e come singolo CFP, che deve fare attenzione alla situazione specifica del contesto in cui si trova. 135 Si tratta di rendere operativa, assumendola come riferimento e stimolo fondamentale, la “nuova filosofia educativa” per formare la “persona e il cittadino”, risvegliando “l’umanità dei giovani”, secondo lo spirito della missione salesiana, insistendo particolarmente sulla centralità della dimensione sociale ed etica nella costruzione di una personalità matura1. È necessario che si facciano conoscere a tutti i collaboratori, ai genitori e agli stessi allievi le linee guida per la Progettazione Formativa perché posano essere assunte come riferimento dalla Comunità Formativa del CFP salesiano ovunque si trovi. dovendo realizzare questa proposta insieme con le famiglie e cercare di rendere protagonisti del percorso formativo gli stessi allievi dei CFP, potrebbe essere molto utile far riferimento a queste linee guida in tutti i momenti formativi, sia nell’esperienza quotidiana che nelle occasioni particolari. Mentre le linee guida sono l’orizzonte e le convinzioni di fondo da trasmettere, i risultati della ricerca possono aiutare a definire gli obiettivi e i contenuti del percorso formativo, per poter dare qualità di vita diversa al vissuto quotidiano nelle condizioni e contesti concreti della vita. Facendo riferimento a quanto è emerso nell’analisi dell’attuale esperienza formativa, gli allievi hanno bisogno di essere accompagnati nelle scelte di vita che sono chiamati a fare, da un lato trovando adeguato sostegno alle loro problematiche di crescita, dall’altro stabilendo un rapporto cordiale e meno pregiudiziale con la realtà circostante, in modo da poter impostare in modo autonomo, critico e responsabile la ricerca di un “posto” che non attiene solo la sfera professionale, ma riguarda globalmente il senso della cittadinanza. l’efficacia di questo accompagnamento e sostegno si può ottenere valorizzando motivazioni e buone disponibilità apparse nella scelta del CFP salesiano; può essere garantita dalla personalizzazione del percorso formativo professionalizzante, aiutando a trovare un metodo di apprendimento e aiutandoli a superare i problemi personali che attraversano l’attuale cammino della vita. Tutto questo potrà valorizzare la qualità delle relazioni allievi/formatori e salesiani con formatori, allievi e famiglia, e accrescendo la capacità collaborativa si potranno anche avviare innovazioni didattiche e una maggiore offerta di spazi espressivi. Ma quel che conta soprattutto è la creazione di un clima, di un ambiente formativo in cui determinati valori e orientamenti possano essere respirati e vissuti come propedeutici ad un certo tipo di impegno da assumere nel proprio futuro. Se mentre si cerca di attivare tutto questo si riesce ad avere contatti più diretti con le famiglie e a condividere la situazione e i problemi, si può sia avviare qualche offerta formativa per la famiglia, sia intraprendere esperienze di collaborazione educativa per i figli. In questo impegno, va cercato un dialogo intenso e fecondo con quei nuclei sfuggenti o segnati da una esplicita povertà 1 Cfr. nICOlI d., Rubriche delle Competenze, op. cit. Parte prima, 11-27. 136 educativa, perché solo misurando il passo sulle possibilità degli ultimi diviene possibile sostenere il cammino di tutti gli allievi. b. Valorizzando quanto la ricerca ha consentito di conoscere, circa l’attuale esperienza familiare degli allievi dei Centri, l’offerta formativa da condividere con la famiglia non può non tener conto del fatto che non è irrilevante la precarietà del lavoro e l’incertezza economica: come aiutare gli allievi a una responsabile condivisione della preoccupazione dei genitori? Innanzitutto, occorre cercare un diverso equilibrio fra il sostegno dato alle dinamiche intrafamiliari (relazionali ed educative) e le risorse che la comunità salesiana può orientare sull’animazione del territorio locale, dove le famiglie possono divenire partner e in qualche caso anche mediatori efficaci di un nuovo modo di intendere il rapporto con il sociale, di vivere le problematiche del lavoro, di intessere le relazioni di aiuto e di prossimità. Tutto questo non deve far trascurare le difficoltà che i ragazzi vivono con i genitori, riferite all’aspetto relazionale, al dialogo, al renderli partecipi della propria vita…, ma può creare una cornice di riferimento significativa sul piano del discernimento e dell’animazione. Sulla pluralità delle tensioni che si possono creare tra la ricerca di libertà e autonomia da parte degli allievi e la difficoltà da parte dei genitori di promuovere e accompagnare la crescita responsabile dei figli, si possono trovare strategie congiunte per accrescere la fiducia e assicurare forme di autonomia responsabile. Tutto ciò può facilitare protagonismo, partecipazione, corresponsabilità; far sperimentare l’autonomia, esercitare la responsabilità e questo può concretizzarsi a scuola, nel CFP, in famiglia e dovunque gli allievi vivono la loro vita. non si deve trascurare il patrimonio di valori che, secondo le affermazioni degli allievi, la famiglia cerca di trasmettere ai figli; dall’insieme delle risposte alle varie domande, tuttavia, non si può certo dire che la vita degli allievi rispecchia i valori trasmessi dalla famiglia. Il CFP può aiutare gli allievi a saper valorizzare fondamenti di vita e riferimenti di senso mediandoli nella vita concreta. questa attuazione si può verificare in casa e nel CFP, e si possono anche trovare strategie condivise per queste sperimentazioni. questo aspetto può avvenire sulla base del riconoscimento da parte degli allievi sia dei genitori che dei formatori come referenti e maestri di comportamento. l’esercizio di questo compito, sia per i genitori che per i formatori, deve trovare buone intese; bisogna essere capaci di testimoniare quanto chiedono ai figli, aprire orizzonti di senso che includano la trascendenza e l’altruismo. Per tutti questi aspetti e per altri ancora che possono costituire seri motivi di accompagnamento dei figli, i genitori (ma forse anche educatori e formatori) hanno bisogno di qualcosa che, senza mortificazione (qualunque sia il motivo), li aiuti ad attrezzarsi al meglio per questa corresponsabilità educativa. Bisogna inventare modalità e strategie di formazione per genitori perché possano, con più consapevolezza e capacità, collaborare per il bene dei figli. non 137 si tratta di mettere in atto interventi ed eventi speciali, ma di avviare strategie che richiedano disponibilità per elaborare e valorizzare buone proposte formative con una certa continuità e organicità. Se il tutto riuscisse a entrare nella progettazione educativa del CFP, in cui si ingloba anche la proposta formativa per i genitori e la strategie di collaborazione per l’azione educativa per gli allievi, si potrebbe più facilmente assicurare continuità a tutta l’opera formativa del CFP. c. l’intervento formativo deve soprattutto riuscire a calarsi nell’attuale esperienza che stanno vivendo gli allievi per poterla aprire alla speranza, aiutando a maturare scelte, modi di vivere e senso critico. Tenendo conto di quello che gli allievi hanno espresso nelle risposte, dobbiamo tenere presente che uno degli aspetti più presenti tra le preoccupazioni e i desideri si riferisce all’attuale situazione di precarietà, che bisogna imparare a gestire mentre ci si prepara a un futuro nuovo. nell’attenzione al futuro, bisogna aiutare a saper gestire il presente, curando le relazioni (familiari e amicali), lavorando sull’immagine di sé per superare qualche abitudine problematica, per poter aprire orizzonti diversi alle sensazioni che attraversano la vita e che rischiano di essere autodistruttive, esprimendosi in comportamenti pericolosi. Bisogna essere in grado di offrire proposte, percorsi ed esperienze che facciano toccare con mano che si può vivere diversamente, insistendo sui valori della flessibilità e della resilienza come ispirazione vincente per i comportamenti e le relazioni quotidiane. A tutto questo potranno andare incontro le relazioni, il clima, l’ambiente di famiglia del CFP. Alla luce di queste condizioni ambientali positive, si possono attivare spazi e proposte associative, espressive, ricreative, aiutando anche a riscoprire il valore esistenziale dell’orizzonte religioso e dell’apertura della propria vita a dio, che chiede oggi di essere proposto e interpretato non come semplice adesione ad una cultura tradizionale, ma come potente fattore generativo del futuro e forza energetica nella costruzione della personalità giovanile e dell’integrazione delle energie di crescita. A partire da queste attenzioni ai bisogni esistenziali e all’apertura e costruzione di senso per la vita, si potrà aiutare a ricomprendere il senso e il tempo da dare a videogiochi, nuovi media e Internet. È necessario, tuttavia, che questa ricomprensione non sia presentata come loro negazione o visione solo negativa o problematica. Bisogna rivalutare tutto questo come un nuovo strumento, modo di vivere, nella nuova prospettiva che si cerca di attivare per la qualità della loro vita. I “nativi digitali” non possono essere sradicati dal terreno della loro crescita e da significative esperienze di vita, anche se virtuali. Si tratta di aiutare a capire che vi può essere una buona pratica di uso di tutti questi strumenti collocandoli in un modo di vivere e gestire le esperienze della vita in cui si cerca di scoprire e di costruire il senso umano del proprio vivere. È a questa visione e prospettiva di realizzazione della vita che si può aggan138 ciare la responsabilità etica e aiutare a darsi criteri di valutazione circa comportamenti poco onesti e rispettosi degli altri. Si tratta, insomma, di vedere come rendere operativa e far assumere gradualmente la “nuova filosofia educativa”, con attenzione specifica alla condizione ed esperienza attuale di vita degli allievi dei CFP salesiani d’Italia. d. Un’attenzione particolare occorre riservare, inoltre, alla nuova realtà multiculturale dei CFP del nostro tempo. Bisogna essere anzitutto convinti che è una realtà che non si può far finta che non esista. C’è e ci interpella per riuscire a realizzare una convivenza e un percorso formativo che deve riuscire ad apprezzare la diversità come risorsa arricchente. I dati della ricerca hanno mostrato che sono notevolmente presenti tra gli allievi dei CFP atteggiamenti refrattari all’accoglienza e piuttosto resistenti alle relazioni, condizionate o condizionanti comprensioni e valutazioni. Bisogna, pertanto cercare di operare a due livelli, tra loro strettamente congiunti. È necessario aiutare gli allievi e tutto l’ambiente del CFP a maturare nuove comprensioni del diverso promuovendo la conoscenza del valore cultura e della fecondità dell’educazione interculturale nell’attuale situazione degli ambienti concreti di vita che si stanno sempre più caratterizzando come ambienti multiculturali. l’impegno di conoscenza del diverso potrebbe cominciare con l’attenzione alla provenienza degli allievi e con la valorizzazione di qualche aspetto particolare della loro cultura. Se si riesce a generare occasioni di incontro e dialogo e a trovare un modo significativo di presentazione del valore umano e umanizzante della diversità culturale, si potranno fare notevoli passi avanti nell’attenzione e nel rispetto dell’altro che dovranno concretizzarsi in nuove relazioni vissute quotidianamente, che possibilmente coinvolgano anche le famiglie in esperienze di prossimità. Bisogna anche promuovere relazioni e condivisioni nella vita concreta del CFP. Sulla base dell’attenzione di conoscenza, le relazioni, le collaborazioni e condivisioni di spazi, di iniziative, di lavori e manifestazioni, la partecipazione allargata sempre a persone di provenienza e di cultura diversa, potranno giovare molto al clima di tutto l’ambiente e all’esperienza formativa vissuta nei CFP. Con attenzione e discrezione, ma richiedendo sempre rispetto e disponibilità di collaborazione, bisogna attivare esperienze laboratoriali che facilitino conoscenza reciproca e relazioni collaborative, che aiutino a scoprire e riconoscere la diversità come fonte di ricchezza umana e culturale per tutti. non si tratta di fare cose eccezionali e al limite dell’impossibile, ma mettere in cantiere le cose veramente possibili, facili da attivare e che catturino l’interesse dei giovani2. 2 Sulle strategie possibili per attivare laboratori interculturali nelle strutture dei CFP, rinvio a quanto è stato proposto in OrlAndO V., Attenzione ai migranti e Missione salesiana nelle società multiculturali d’Europa, roma, lAS, 2012, 290-301. 139 Bibliografia Indichiamo soltanto alcuni testi a cui si è fatto riferimento direttamente nelle analisi e riflessioni presentate. CASTEGnArO A. (a cura), Fuori dal recinto. Giovani, fede, chiesa: uno sguardo diverso, Milano, Ancora, 2013. ChAVEz VIllAnUEVA P., Dare di più a chi ha avuto di meno, un ripensamento educativo per un cambio culturale, Atti del Seminario di Frascati 27-30 dicembre 2004, in CISI/Federazione SCS/CnOS, roma 2005. ChAVEz VIllAnUEVA P., La pastorale giovanile salesiana, 2010, in CnOS-FAP (a cura di), Cultura Associativa e Federazione CNOS-FAP. Storia e attualità, roma, 2012. CnOS-FAP (a cura di), Cultura Associativa e Federazione CNOS-FAP. Storia e attualità, roma, 2012. COrdEllA G. e MASI S.E. (a cura di), Condizione giovanile e nuovi rischi sociali. Quali prospettive? roma, Carocci, 2012. CUrOTTI A.G., Il ruolo della Formazione Professionale Salesiana da don Bosco alle sfide attuali, CnOS-FAP Sede nazionale, roma 2013. dAl FIUME G., Educare alla differenza. La dimensione interculturale nell’educazione degli adulti, Bologna, EMI 2000. nICOlI d., Rubriche delle competenze per i Diplomi professionali IeFP. Con la Linea guida per la progettazione formativa, CnOS-FAP Sede nazionale, roma 2012. OrlAndO V., Un servizio educativo territoriale aperto alla diversità culturale e religiosa: L’oratorio salesiano che accoglie giovani immigrati, in dE VITA r. - BErTI F. (a cura di), Dialogo senza paure. Scuola e Servizi Sociali in una società multiculturale e multireligiosa, Milano, FrancoAngeli, 2002. OrlAndO V. (a cura di), Educare nella multicultura, roma, lAS, 2003. OrlAndO V. - PACUCCI M., La scommessa delle reti educative. Il territorio come comunità educante, lAS, roma, 2005. OrlAndO V., La via dei diritti umani e la missione educativa pastorale salesiana oggi, roma, lAS 2008. OrlAndO V., Attenzione ai migranti e Missione salesiane nelle società multiculturali d’Europa, roma, lAS, 2012. OrlAndO V., Intercultura: prospettiva pedagogico sociale, in AnThOny F.V. & CIMOSAM. (a cura di), Pastorale giovanile interculturale. 1. Prospettive fondanti, roma lAS, 2012. PACE E., Conflitti di valore e riconoscimento delle differenze in un sistema educativo multiculturale, in dE VITA r. - BErTI F. (a cura di), Dialogo senza paure. Scuola e Servizi Sociali in una società multiculturale e multireligiosa, Milano, Franco Angeli, 2002. VAn lOOy l. e MAlIzIA G. (a cura di), Formazione professionale salesiana. Proposte in una prospettiva multidisciplinare, roma, lAS, 1998. VECChI J., Preparazione dei salesiani per il mondo del lavoro, 1982, in CnOS-FAP (a cura di), Cultura Associativa e Federazione CNOS-FAP. Storia e attualità, roma, 2012. VIGAnò E., Missione salesiana e mondo del lavoro, in CnOS-FAP (a cura di), Cultura Associativa e Federazione CNOS-FAP. Storia e attualità, roma, 2012. 141 Indice Sommario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 1. la ricerca: motivazioni, realizzazione, risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 2. Contributo della ricerca per l’attuazione della “nuova filosofia educativa” della IeFP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 2.1. La conoscenza degli allievi e l’accompagnamento per formarli alla cultura del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 2.2. La conoscenza degli allievi e lo specifico salesiano della “nuova filosofia educativa nei CFP” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12 Capitolo primo DATI PERSONALI ED ESPERIENZA FORMATIVA DEGLI ALLIEVI DEI CFP SALESIANI D’ITALIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 1. realtà personale e familiare degli allievi dei CFP salesiani in Italia . . . . . . . 17 1.1. La realtà personale degli allievi dei CFP salesiani d’Italia . . . . . . . . . . 17 1.2. La realtà familiare degli allievi dei CFP salesiani d’Italia . . . . . . . . . . . 20 2. la scelta del CFP salesiano e la situazione attuale del percorso formativo . . 23 2.1. La scelta e le sue motivazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23 2.2. L’esperienza formativa attuale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25 2.3. La corrispondenza del corso che si frequenta con le attese personali . . 27 2.3.1. Iniziative del CFP per il lavoro degli allievi . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 2.3.2. Indicazioni degli allievi per possibili miglioramenti nei CFP . . . 31 3. Aspetti relazionali del percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 3.1. Le relazioni degli allievi con i formatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 3.2. Conoscenza della realtà familiare da parte dei formatori . . . . . . . . . . . . 34 3.3. La qualità salesiana dei rapporti all’interno dei CFP . . . . . . . . . . . . . . 37 4. l’esperienza formativa: una opportunità da valorizzare . . . . . . . . . . . . . . . . . 38 4.1. La scelta del CFP salesiano e le sue motivazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38 4.2. La corrispondenza tra il corso che si frequenta e le attese personali . . . 39 4.3. L’orientamento al lavoro messo in atto dal CFP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 4.4. Altre attenzioni utili per rendere efficace l’esperienza formativa degli allievi dei CFP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 Capitolo secondo L’ATTUALE REALTÀ FAMILIARE DEGLI ALLIEVI DEI CFP SALESIANI D’ITALIA . . . . . . . 43 1. difficoltà e problemi presenti in famiglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 2. I rapporti degli allievi dei CFP con i genitori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45 2.1. Qualità dei rapporti e contenuti del dialogo con i genitori . . . . . . . . . . 46 142 2.2. Confidenza e importanza dell’informazione ai genitori di scelte e comportamenti di vita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48 3. Attese e ruoli educativi della famiglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52 3.1. Le attese degli allievi dei CFP riferite ai genitori . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53 3.2. I valori trasmessi dalle famiglie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54 3.3. Il tipo e la funzione delle regole nel vissuto familiare degli allievi dei CFP 57 3.4. Modalità di soluzione dei bisticci familiari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60 4. I referenti e i maestri del comportamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61 5. Controllo dell’uso di Internet da parte dei genitori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63 6. la collaborazione educativa tra i CFP e le famiglie degli allievi . . . . . . . . . . 65 6.1. L’offerta dei CFP per le famiglie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65 6.2. Il coinvolgimento dei genitori nell’offerta educativa e nella vita dei CFP 66 6.3. Rapporti e collaborazione tra genitori e formatori dei CFP . . . . . . . . . 68 7. l’esperienza familiare degli allievi dei CFP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71 7.1. Problemi in famiglia, rapporti con i genitori e attese nei loro confronti 71 7.2. I genitori guide e riferimento del comportamento degli allievi dei CFP 73 7.3. Valori trasmessi dalla famiglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75 7.4. Prospettive di collaborazione efficace famiglia-CFP . . . . . . . . . . . . . . . 76 Capitolo terzo ESPERIENZE DI VITA DEGLI ALLIEVI DEI CFP sALESIANI D’ITALIA . . . . . . . . . . . . . . . 81 1. la vita attuale degli allievi dei CFP: valutazioni, desideri, preoccupazioni, orientamenti e appartenenze significative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82 1.1. Motivi e fattori di preoccupazione nella vita degli allievi dei CFP . . . . 83 1.2. Desideri e prospettive di cambiamento nella vita attuale . . . . . . . . . . . . 86 1.3. Sensazioni che attraversano la vita attuale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90 1.4. Apertura religiosa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92 1.5. Esperienza e appartenenza associativa degli allievi dei CFP . . . . . . . . . 94 2. Comportamenti, vissuti esperienziali e persone di riferimento in situazioni problematiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96 2.1. Situazioni problematiche in cui si possono venire a trovare gli allievi dei CFP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96 2.2. Vissuti esperienziali riferiti alla droga . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 100 2.3. Persone di riferimento in situazioni problematiche . . . . . . . . . . . . . . . . . 102 3. Videogiochi e distribuzione del tempo nella vita di adolescenti e giovani . . . 104 3.1. Frequenza dell’uso dei videogiochi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105 3.2. Modalità di uso e conseguenze possibili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106 3.3. Uso dei nuovi media e tempi della vita quotidiana . . . . . . . . . . . . . . . . . 108 4. l’immigrazione nell’esperienza di vita degli allievi dei CFP . . . . . . . . . . . . . 111 4.1. La presenza di immigrati nei CFP dei Salesiani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111 4.2. Valutazioni del fenomeno “migrazione” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112 4.3. Condivisione di affermazioni correnti circa gli immigrati . . . . . . . . . . . 113 4.4. Relazioni tra gli allievi italiani e quelli di origine migratoria nei CFP . 114 4.5. Valutazioni e opinioni nel loro rapporto con le relazioni vissute . . . . . . 116 5. Valutazione di comportamenti riferiti a esperienze di vita in classe . . . . . . . . 119 6. Esperienze di vita e opportunità formative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 123 6.1. Desideri di cambiamento e motivi di preoccupazione . . . . . . . . . . . . . . . 123 6.2. Percorsi esperienziali e persone di riferimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125 143 6.3. Possibilità del recupero del riferimento religioso . . . . . . . . . . . . . . . . . . 126 6.4. Videogiochi e nuovi media nella vita degli allievi dei CFP . . . . . . . . . . 126 6.5. Accoglienza dell’altro e responsabilità etica della vita . . . . . . . . . . . . . . 129 Conclusioni LA COLLABORAZIONE EDUCATIVA/FORMATIVA CFP E FAMIGLIE . . . . . . . . . . . . . . . . . 131 1. la cluster analysis e le tipologie del rapporto famiglie-CFP . . . . . . . . . . . . . 131 2. le prospettive di collaborazione educativa/formativa CFP e famiglie . . . . . . 134 Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139 145 Pubblicazioni nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE” ISSN 1972-3032 Sezione “Studi” 2002 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto finale, 2002 2003 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XIV seminario di formazione europea. La formazione professionale per lo sviluppo del territorio. Castel Brando (Treviso), 9-11 settembre 2002, 2003 CIOFS/FP SICILIA (a cura di), Vademecum. Strumento di lavoro per l’erogazione dei servizi orientativi, 2003 MALIZIA G. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto sul follow-up, 2003 2004 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XV seminario di formazione europea. Il sistema dell’istruzione e formazione professionale nel contesto della riforma. Significato e percorsi, 2004 CIOFS/FP SICILIA (a cura di), Opportunità occupazionali e sviluppo turistico dei territori di Catania, Noto, Modica, 2004 CNOS-FAP (a cura di), Gli editoriali di “Rassegna CNOS” 1996-2004. Il servizio di don Stefano Colombo in un periodo di riforme, 2004 MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. (a cura di), Le parole chiave della formazione professionale, 2004 RUTA G., Etica della persona e del lavoro, 2004 2005 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XVI seminario di formazione europea. La formazione professionale fino alla formazione superiore. Per uno sviluppo in verticale di pari dignità, 2005 D’AGOSTINO S. - MASCIO G. - NICOLI D., Monitoraggio delle politiche regionali in tema di istruzione e formazione professionale, 2005 PIERONI V. - MALIZIA G. (a cura di), Percorsi/progetti formativi “destrutturati”. Linee guida per l’inclusione socio-lavorativa di giovani svantaggiati, 2005 2006 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XVII seminario di formazione europea. Il territorio e il sistema di istruzione e formazione professionale. L’interazione istituzionale per la preparazione delle giovani generazioni all’inserimento lavorativo in rapporto agli obiettivi di Lisbona, 2006 NICOLI D. - MALIZIA G. - PIERONI V., Monitoraggio delle sperimentazioni dei nuovi percorsi di istruzione e formazione professionale nell’anno formativo 2004-2005, 2006 2007 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XVIII seminario di formazione europea. Standard formativi nell’istruzione e nella formazione professionale. Roma, 7-9 settembre 2006, 2007 COLASANTO M. - LODIGIANI R. (a cura di), Il ruolo della formazione in un sistema di welfare attivo, 2007 DONATI C. - BELLESI L., Giovani e percorsi professionalizzanti: un gap da colmare? Rapporto finale, 2007 MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. (a cura di), Le parole chiave della formazione professionale. II edizione, 2007 MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP della Sicilia. Rapporto di ricerca, 2007 146 MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP del Lazio. Rapporto di ricerca, 2007 MALIZIA G. et alii, Diritto-dovere all’istruzione e alla formazione e anagrafe formativa. Problemi e prospettive, 2007 MALIZIA G. et alii, Stili di vita di allievi/e dei percorsi formativi del diritto-dovere, 2007 NICOLI D. - FRANCHINI R., L’educazione degli adolescenti e dei giovani. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2007 NICOLI D., La rete formativa nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP, 2007 PELLEREY M., Processi formativi e dimensione spirituale e morale della persona. Dare senso e prospettiva al proprio impegno nell’apprendere lungo tutto l’arco della vita, 2007 RUTA G., Etica della persona e del lavoro, Ristampa 2007 2008 CIOFS/FP, Atti del XIX seminario di formazione europea. Competenze del cittadino europeo a confronto, 2008 COLASANTO M. (a cura di), Il punto sulla formazione professionale in Italia in rapporto agli obiettivi di Lisbona, 2008 DONATI C. - BELLESI L., Ma davvero la formazione professionale non serve più? Indagine conoscitiva sul mondo imprenditoriale, 2008 MALIZIA G., Politiche educative di istruzione e di formazione. La dimensione internazionale, 2008 MALIZIA G. - PIERONI V., Follow-up della transizione al lavoro degli allievi/e dei percorsi triennali sperimentali di IeFP, 2008 PELLEREY M., Studio sull’intera filiera formativa professionalizzante alla luce delle strategie di Lisbona a partire dalla formazione superiore non accademica. Rapporto finale, 2008 2009 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1977, vol. 1, 2009 2010 dOnATI C. - l. BEllESI, Verso una prospettiva di lungo periodo per il sistema della formazione professionale. Il ruolo della rete formativa. Rapporto finale, 2010 nICOlI d., I sistemi di istruzione e formazione professionale (VET) in Europa, 2010 PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., La valigia del “migrante”. Per viaggiare a Cosmopolis, 2010 PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Salesiane. Momenti della loro storia (1853-1953), 2010 rOSSI G. (a cura di), Don Bosco, i Salesiani, l’Italia in 150 anni di storia, 2010 2011 ROSSI G. (a cura di), “Fare gli italiani” con l’educazione. L’apporto di don Bosco e dei Salesiani, in 150 anni di storia, 2011 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1997, vol. 2 2012 MALIZIA G., Sociologia dell’istruzione e della formazione. Una introduzione, 2012 NICOLI D., Rubriche delle competenze per i Diplomi professionali IeFP. Con linea guida per la progettazione formativa, 2012 MAlIzIA G. - PIErOnI V., L’inserimento dei giovani qualificati nella FPI a.f. 2009-10, 2012 CnOS-FAP (a cura di), Cultura associativa e Federazione CNOS-FAP. Storia e attualità, 2012 2013 CUROTTI A.G., Il ruolo della Formazione Professionale Salesiana da don Bosco alle sfide attuali, 2013 PEllErEy M. - GrządzIEl d. - MArGOTTInI M. - EPIFAnI F. - OTTOnE E., Imparare a dirigere se stessi. Progettazione e realizzazione di una guida e di uno strumento informatico per favorire l’autovalutazione e lo sviluppo delle proprie competenze strategiche nello studio e nel lavoro, 2013 dOnATI C. - BEllESI l., Osservatorio sugli ITS e sulla costituzione di Poli tecnico-professionali. Alcuni casi di studio delle aree Meccanica, Mobilità e Logistica, Grafica e Multimedialità, 2013 147 Sezione “Progetti” 2003 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La promozione delle capacità personali. Teoria e prassi, 2003 CIOFS/FP (a cura di), Un modello per la gestione dei servizi di orientamento, 2003 CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), L’accoglienza nei percorsi formativo-orientativi. Un approccio metodologico e proposte di strumenti, 2003 CIOFS/FP PIEMOnTE (a cura di), Le competenze orientative. Un approccio metodologico e proposte di strumenti, 2003 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione delle unità didattiche, 2003 COMOGLIO M. (a cura di), Prova di valutazione per la qualifica: addetto ai servizi di impresa. Prototipo realizzato dal gruppo di lavoro CIOFS/FP, 2003 FONTANA S. - TACCONI G. - VISENTIN M., Etica e deontologia dell’operatore della FP, 2003 GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo, 2003 MARSILII E., Guida per l’accompagnamento al lavoro dipendente, 2003 TACCONI G. (a cura di), Insieme per un nuovo progetto di formazione, 2003 VALENTE L. - ANTONIETTI D., Quale professione? Strumento di lavoro sulle professioni e sui percorsi formativi, 2003 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale alimentazione, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale commerciale e delle vendite, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale estetica, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale sociale e sanitaria, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale tessile e moda, 2004 CIOFS/FP BASILICATA, L’orientamento nello zaino. Percorso nella scuola media inferiore. Diffusione di una buona pratica, 2004 CIOFS/FP CAMPANIA (a cura di), ORION tra orientamento e network, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale elettrica e elettronica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale grafica e multimediale, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale meccanica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale turistica e alberghiera, 2004 NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema del - l’istruzione e della formazione professionale, 2004 NICOLI D. (a cura di), Sintesi delle linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, 2004 2005 CIOFS-FP SICILIA (a cura di), Operatore Servizi Turistici in rete. Rivisitando il progetto: le buone prassi. Progettazione, Ricerca, Orientamento, Nuova Imprenditorialità, Inserimento Lavorativo, 2005 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale legno e arredamento, 2005 CNOS-FAP (a cura di), Proposta di esame per il conseguimento della qualifica professionale. Percorsi triennali di Istruzione formazione Professionale, 2005 148 NICOLI D. (a cura di), Il diploma di istruzione e formazione professionale. Una proposta per il percorso quadriennale, 2005 POLÀČEK K., Guida e strumenti di orientamento. Metodi, norme ed applicazioni, 2005 VALENTE L. (a cura di), Sperimentazione di percorsi orientativi personalizzati, 2005 2006 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La corresponsabilità CFP-famiglia: i genitori nei CFP. Esperienza triennale nei CFP CNOS-FAP (2004-2006), 2006 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione dei sussidi, II edizione, 2006 2007 D’AGOSTINO S., Apprendistato nei percorsi di diritto-dovere, 2007 GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo. Una proposta di percorsi per la creazione di impresa. II edizione, 2007 MARSILII E., Dalla ricerca al rapporto di lavoro. Opportunità, regole e strategie, 2007 NICOLI D. - TACCONI G., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello sta to dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. I volume, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere in... 1. L’identità. Percorso di cultura etica e religiosa, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere... Linee guida per i formatori di cultura etica e religiosa nei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale, 2007 2008 BALDI C. - LOCAPUTO M., L’esperienza di formazioni formatori nel progetto integrazione 2003. La riflessività dell’operatore come via per la prevenzione e la cura educativa degli allievi della FPI, 2008 CIOFS/FP (a cura di), Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2008 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., Individuazione e raccolta di buone prassi mirate all’accoglienza, formazione e integrazione degli immigrati, 2008 NICOLI D., Linee guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2008 NICOLI D., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello stato dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. II volume, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere con... 2. La relazione. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere per... 3. Il progetto. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 2009 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale meccanica, 2009 MALIZIA G. - PIERONI V., Accompagnamento al lavoro degli allievi qualificati nei percorsi triennali del diritto-dovere, 2009 2010 BAY M. - GRZĄDZIEL D. - PELLEREY M. (a cura di), Promuovere la crescita nelle competenze strategiche che hanno le loro radici spirituali nelle dimensioni morali e spirituali della persona. Rapporto di ricerca, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale grafica e multimediale, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale elettrica ed elettronica, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale automotive, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per l’orientamento nella Federazione CNOS-FAP, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale turistico-alberghiera, 2010 2011 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A. (a cura di), “Cittadini si diventa”. Il contributo dei Salesiani (SDB) e delle Suore Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) nell’educare studenti/ allievi delle loro Scuole/CFP in Italia a essere “onesti cittadini”, 2011 149 TACCONI G., In pratica. 1. La didattica dei docenti di area matematica e scientifico-tecnologica nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 TACCONI G., In pratica. 2. La didattica dei docenti di area linguistica e storico sociale nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 MANTEGAZZA R., Educare alla costituzione, 2011 NICOLI D., La valutazione formativa nella prospettiva dell’educazione. Una comparazione tra casi internazionali e nazionali, 2011 BECCIU M. - COLASANTI A.R., Il fenomeno del bullismo. Linee guida ispirate al sistema preventivo di Don Bosco per la prevenzione e il trattamento del bullismo, 2011 2012 PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., In cammino per Cosmopolis. Unità di Laboratorio per l’educazione alla cittadinanza, 2012 FrISAnCO M., Da qualificati, a diplomati, a specializzati. Il cammino lungo una filiera ricca di opportunità e competenze. Riferimenti, dispositivi e strumenti per conoscere e comprendere i nuovi sistemi di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) e di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS), 2012 Sezione “Esperienze” 2003 CIOFS/FP PUGLIA (a cura di), ORION. Operare per l’orientamento. Un approccio metodologico condiviso e proposte di strumenti, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 1. Guida per l’accoglienza, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 2. Guida per l’accompagnamento in itinere, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 3. Guida per l’accompagnamento finale, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 4. Guida per la gestione dello stage, 2003 2005 CIOFS/FP SICILIA, Operatore servizi turistici in rete. Rivisitando il progetto: le buone prassi. Progettazione, ricerca, orientamento, nuova imprenditorialità, inserimento lavorativo, 2005 TONIOLO S., La cura della personalità dell’allievo. Una proposta di intervento per il coordinatore delle attività educative del CFP, 2005 2006 ALFANO A., Un progetto alternativo al carcere per i minori a rischio. I sussidi utilizzati nel Centro polifunzionale diurno di Roma, 2006 CIOFS-FP LIGURIA (a cura di), Linee guida per l’orientamento nei corsi polisettoriali (fascia 16-17 anni). L’esperienza realizzata in Liguria dal 2004 al 2006, 2006 COMOGLIO M. (a cura di), Il portfolio nella formazione professionale. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2006 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V., Una formazione di successo. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali triennali di istruzione e formazione professionale in Piemonte 2002-2006. Rapporto finale, 2006 2007 NICOLI D. - COMOGLIO M., Una formazione efficace. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali di Istruzione e Formazione professionale in Piemonte 2002-2006, 2007 2008 CNOS-FAP (a cura di), Educazione della persona nei CFP. Una bussola per orientarsi tra buone pratiche e modelli di vita, 2008 2010 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2010, 2010 150 2011 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2011, 2011 2012 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2012, 2012 nICOlI d. (a cura di), Sperimentazione di nuovi modelli nel sistema di Istruzione e Formazione Professionale Diploma professionale di tecnico Principi generali, aspetti metodologici, monitoraggio, 2012 2013 SAlATInO S. (a cura di), Borgo Ragazzi don Bosco Area Educativa “Rimettere le ali”, 2013 CnOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2013, 2013 Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@donbosco.it Aprile 2014

Osservatorio sugli ITS e sulla costituzione di Poli tecnico-professionali. Alcuni casi di studio delle aree meccanica, Mobilità e Logistica, Grafica e Multimedialità

Autore: 
C. Donati - L. Bellesi
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2013
Numero pagine: 
88
Codice: 
978-88-95640-60-0
C. DonAti L. BeLLesi OSSERVATORIO SUGLI ITS E SULLA COSTITUZIONE DI POLI TECNICO-PROFESSIONALI Alcuni casi di studio delle aree Meccanica, Mobilità e Logistica, Grafica e Multimedialità Anno 2013 Coordinamento scientifico: Dario nicoli (Università Cattolica di Brescia) Hanno collaborato: Matteo D’AnDReA: segretario nazionale settore Automotive. Dalila DRAzzA: sede nazionale Cnos-FAP – Ufficio Metodologico-tecnico-Didattico. FiAt GRoUP Automobiles. Comunità professionale AUTOMOTIVE: Angelo ALiqUò, Gianni BUFFA, Roberto CAVAGLià, egidio CiRiGLiAno, Luciano CLinCo, Domenico FeRRAnDo, Paolo GRoPPeLLi, nicola MeRLi, Roberto PARtAtA, Lorenzo PiRottA, Antonio PoRzio, Roberto sARtoReLLo, Fabio sAVino, Giampaolo sintoni, Dario RUBeRi. ©2013 By sede nazionale del Cnos-FAP (Centro nazionale opere salesiane - Formazione Aggiornamento Professionale) Via Appia Antica, 78 – 00179 Roma tel.: 06 5137884 – Fax 06 5137028 e-mail: cnosfap.nazionale@cnos-fap.it – http: www.cnos-fap.it SOMMARIO 1. L’osservatorio CNOS-FAP/CENSIS sui percorsi ITS: alcune riflessioni . . . . 5 2. I primi dati del monitoraggio Miur-Indire . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 3. I casi di studio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 A) GLi its DeLL’AReA teCnoLoGiCA nUoVe teCnoLoGie PeR iL MADe in itALy (sisteMA MeCCAniCA) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 1. La Fondazione its per le nuove tecnologie per il made in italy - sistema meccanica “Malignani” - Udine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 2. La Fondazione its per le nuove tecnologie per il Made in italy - sistema meccanica di Lanciano (CH) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 B) GLi its DeLL’AReA teCnoLoGiCA MoBiLità sosteniBiLe . . . . . . . . . . . . . . . . . 36 1. La Fondazione its per la mobilità sostenibile “Giovanni Caboto” - GAetA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36 2. La Fondazione its per la mobilità sostenibile “Giovanni Giorgi” - VeRonA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44 C) GLi its DeLL’AReA DeLLe teCnoLoGie DeLLA inFoRMAzione e DeLLA CoMUni- CAzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50 1. La Fondazione its per le tecnologie dell’informazione e della Comunicazione e le industrie Culturali “FitstiC” - CesenA . . . . . . . . . . . . . . 50 2. La Fondazione its per le tecnologie dell’informazione e della Comunicazione “Angelo Rizzoli” - MiLAno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 Allegato 1 normativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63 Allegato 2 Cosa sono gli its . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71 Allegato 3 Gli its sul territorio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75 3 Gruppo di lavoro: • Claudia Donati (Censis) • Luigi Bellesi (Censis) • Giulia Carfagnini (Cnos-FAP) 5 1 Condivise in sede di Conferenza Unificata stato, Regioni e Province Autonome il 26 settembre 2012, adottate con il decreto interministeriale 7 febbraio 2013. 2 Art. 14 (istituti tecnici superiori) 1. All’articolo 52, comma 2, lettera a), del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, sono soppresse le parole da “con la costituzione” fino alla fine del periodo. 2. Dal presente articolo non possono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica inerenti alla costituzione o al funzionamento degli istituti tecnici superiori (D.L. 12 settembre 2013 n.104, convertito in legge 8 novembre 2013, n. 128). 1. L’osservatorio CNOS-FAP/CENSIS sui percorsi ITS: alcune riflessioni il segmento dell’istruzione tecnica superiore è ancora in fase di consolidamento ed ulteriore definizione, in un precario equilibrio tra esigenza di sistema “nazionale” ed articolazioni e specificità territoriali. È ancora presto per poter effettuare una valutazione complessiva dell’efficacia e del gradimento di questa nuova proposta formativa, sia perché sono da poco terminati i primi corsi, ed in alcuni casi non sono stati ancora effettuati gli esami finali, sia perché il primo biennio può essere considerato una prova d’orchestra generale, durante il quale questa nuova realtà si è confrontata con il territorio e si è focalizzata sul “fine tuning” della propria offerta formativa e degli assetti organizzativo- gestionali, sulla base delle prospettive e delle strategie via via elaborate a livello nazionale e regionale. occorre infatti ricordare che, alla data del 31 dicembre 2012, si è conclusa la fase transitoria di prima applicazione del DPCM 25 gennaio 2008 e che in base a quanto stabilito dalle Linee Guida in materia di semplificazione e promozione dell’istruzione tecnica e professionale febbraio 20131, il mantenimento delle autorizzazioni al riconoscimento del titolo e di accesso al finanziamento del Fondo nazionale sarà valutato in base ad indicatori di realizzazione e di risultato. Le stesse Linee Guida prevedevano che: – entro il dicembre 2015 le Regioni dovevano garantire che in ciascuna di esse vi sia un solo its per ciascun ambito in cui si articolano le aree tecnologiche; – nella programmazione 2013-2015 siano considerati prioritari i programmi di intervento multiregionali. in realtà, allo stato attuale è in corso un ripensamento complessivo di tale impostazione “restrittiva”, puntando nei fatti ad un ampliamento dell’offerta formativa e ad una programmazione basata sostanzialmente sulle strategie regionali di sviluppo. il recente “Decreto scuola”, ad esempio, introduce la possibilità di istituire nuovi its, senza oneri aggiuntivi per lo stato2. 6 se dunque lo scenario è ancora fluido, in attesa di conoscere i dati di monitoraggio raccolti dall’indire e di poter effettuare le prime valutazioni di “sistema”, appare utile focalizzare l’attenzione sulle attività e sulle scelte operate dalle singole Fondazioni. nell’ambito dell’osservatorio sulla Costituzione degli its e dei Poli tecnicoprofessionali, attivato dal Cnos-FAP con la collaborazione del Censis, oltre a continuare nel monitoraggio di alcune variabili quanti-qualitative, tramite somministrazione di un questionario strutturato a tutte le Fondazioni its attive, sono in corso di realizzazione alcuni studi di caso specifici, finalizzati a descrivere quanto finora realizzato e a mettere in luce quelli che sono ritenuti, da parte dei soggetti intervistati, i punti di forza della propria offerta formativa, quali le criticità risolte ed ancora da risolvere e, infine, quali obiettivi e prospettive ciascuna Fondazione si è posta nel medio periodo. Dal punto di vista quantitativo, un primo elemento di riflessione emerso dall’indagine è quello relativo al tasso di abbandono dei percorsi its (tab. 1). il monitoraggio ha permesso di rilevare i dati di 47 percorsi attivati nel 2011-2012 e quindi conclusi o in via di conclusione al momento della rilevazione. nel complesso, essi registrano un tasso di abbandono pari al 19,2%, se si considerano anche gli uditori, valore che scende di poco (16,1%) se invece si escludono questi ultimi. si tratta di un punto di debolezza dell’offerta, anche se sostanzialmente in linea con i tassi di abbandono che si registrano nei percorsi universitari al primo anno. Da quanto emerso dai casi di studio, molteplici sono le motivazioni che possono essere sottese a tale fenomeno, non necessariamente correlate ad una debolezza dell’offerta didattica. infatti, alcuni intervistati hanno rilevato come criticità la disomogeneità delle caratteristiche degli iscritti, in termini di età, provenienza tab. 1 - Tasso di abbandono nei percorsi ITS monitorati - primo biennio 2011-2013 - dati al 15 aprile 2013 (v.a. e %) Fonte: indagine Censis, 2013 7 geografica e di esperienza lavorativa3; altri hanno invece evidenziato come alcuni abbandoni si siano verificati perché gli studenti hanno trovato lavoro, spesso nelle stesse aziende partner delle Fondazioni. A tutti questi fattori critici si è cercato di dare soluzione migliorando l’informazione, l’orientamento e la fase di selezione degli studenti e con un maggiore coordinamento con le aziende di riferimento. Per quanto riguarda il secondo biennio di attività, 2012-2014, due sono gli aspetti da rimarcare. il monitoraggio, che ha coinvolto il 69% delle Fondazioni its, mostra un tasso d’assorbimento delle domande pari al 39,1%, valore che sale al 41,2% se si includono anche gli uditori (tab. 2). il numero medio di domande ricevute da ogni corso è pari a 61,3, valore superiore a quello registrato nel primo biennio, che si attestava intorno alle 55 domande tra gli its intervistati4. L’offerta its dunque nel passaggio dalla fase sperimentale a quella di assestamento sembra aver mantenuto ed anzi accresciuto la sua appetibilità presso l’utenza potenziale. il secondo aspetto è relativo al grado di continuità tra l’offerta formativa del primo biennio e quella del biennio successivo. Come evidenziato nella tabella 3, per il 60,9% dei nuovi percorsi si tratta di una mera riedizione del corso precedente, che è stato dunque ritenuto valido e ben strutturato. nel 28,3% dei casi, invece, il nuovo corso proposto, pur facendo riferimento al medesimo profilo del precedente, è stato sottoposto ad una revisione critica, al fine di apportare dei miglioramenti in merito all’articolazione didattica e alle competenze da raggiungere. solo nel 10,9% dei casi, la Fondazione its ha deciso di proporre una nuova figura professionale. tali cambiamenti derivano spesso da suggerimenti e valutazioni espresse dal Comitato tecnico scientifico. Le modifiche della struttura del corso, inoltre, possono essere ricondotte, da un lato, ad un approfondimento delle esigenze delle aziende del settore di riferimento, tramite studi ed analisi sui fabbisogni formativi e professionali e, dall’altro, ad una più puntuale valutazione dei livelli d’ingresso degli iscritti. L’attivazione di nuovi percorsi, invece, sembrerebbe essere soprattutto conseguenza di una richiesta esplicita da parte del mondo imprenditoriale, con l’obiettivo di anticipare i fabbisogni e le innovazioni settoriali e, insieme, di non saturare il mercato di riferimento. 3 il problema della disomogeneità degli allievi in entrata è stato evidenziato anche nel recente documento del CneL “Promozione dell’istruzione e della Formazione tecnica superiore (ex art. 1, comma 631, Legge 296/2006 e art. 13, comma 2, legge 40/2207) osservazioni e proposte”, nell’Assemblea del 22 maggio 2013 in cui si osserva che “ciò impedisce di poter tralasciare le parti introduttive delle diverse tematiche del percorso formativo. il recupero e la omogeneizzazione dei saperi richiede tempi che vengono sottratti agli approfondimenti e alle specializzazioni degli argomenti più tecnici. Bisognerebbe fare forza sul sistema di formazione degli istituti tecnici del settore tecnologico i cui allievi dovrebbero vedere nei percorsi its la logica conclusione del proprio percorso formativo, anche preferendolo ad un percorso universitario”. 4 secondo i dati del monitoraggio indire diffusi dal Miur, si sono effettivamente presentati alle selezioni 45,4 persone in media. tab. 2 - Istituti Tecnici Superiori intervistati, per numero di corsi ed allievi attivi nel 2012-2013 (v.a.) Fonte: indagine Censis, 2013 8 tab. 3 - Continuità con l’offerta formativa del primo biennio di attivazione dei percorsi ITS (val. %) Fonte: indagine Censis, 2013 9 2. I primi dati del monitoraggio MIUR-Indire Al 31 ottobre 2013, i primi dati di monitoraggio diffusi da indire e MiUR sottolineano come siano attivi 64 its, con un totale di 247 percorsi attivati che coinvolgono più di 5.000 corsisti. Come evidenziato nella tabella 4, il numero di coloro che hanno concluso i percorsi its conseguendo il diploma è pari a 825 studenti, concentrati soprattutto nelle proposte formative afferenti alle aree tecnologiche della mobilità sostenibile e delle nuove tecnologie per il Made in italy - sistema meccanica. Di questi, 491, corrispondenti al 59,5% del totale, hanno già trovato un’occupazione. si tratta di un risultato confortante, anche se una valutazione più precisa potrà essere effettuata solo quando saranno disponibili i dati relativi a tutti i percorsi attivati nel primo anno di avvio degli its. inoltre, occorrerà verificare la tenuta nel lungo periodo di tale offerta, non potendo escludere che i livelli occupazionali finora registrati siano stati assicurati quasi esclusivamente dalle imprese direttamente coinvolte nelle attività delle Fondazioni. Al momento è possibile evidenziare che i risultati migliori in termini occupazionali sono stati conseguiti dagli its dell’area tecnologica “mobilità sostenibile” (79,3%) seguiti da quelli dell’area “efficienza energetica”, con il 69,6% di occupati (ma in questo caso si tratta di un solo corso, con 16 occupati su 23 diplomati) e da quelli dell’area “nuove tecnologie per il Made in italy - sistema meccanica” (65,2%). 11 tab. 4 - Diplomati ed occupati ITS, per area tecnologica al 31 ottobre 2013 (v.a. e %) Fonte: elaborazioni Censis su dati Miur-indire 12 3. I casi di studio L’approfondimento qualitativo mediante la realizzazione di studi di caso ha coinvolto 6 Fondazioni its, operanti nelle aree tecnologiche delle nuove tecnologie per il Made in italy - sistema meccanica; nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione - grafica; mobilità sostenibile - logistica e mobilità di persone e merci. in particolare sono state selezionate due Fondazioni per ciascuna area tecnologica, con proposte formative che, fatte salve le peculiarità e le curvature territoriali, afferivano non solo alla stessa area tecnologica, ma anche ad ambiti analoghi: – per la meccanica: la Fondazione “Malignani” di Udine e la Fondazione its “nuove tecnologie per il Made in italy sistema Meccanica” di Lanciano (CH); – per la mobilità e la logistica: la Fondazione its “Last” di Verona e la Fondazione “Caboto” di Gaeta; – per le tic nel settore della grafica e della multimedialità: la Fondazione iis “Rizzoli” di Milano e la Fondazione its “FistiC” di Cesena (FC). nelle interviste realizzate si è cercato di mettere a fuoco alcuni punti dirimenti, che potessero fornire un quadro delle strategie e degli assetti di ciascuna Fondazione, a partire dall’analisi della genesi della Fondazione stessa e degli assetti organizzativi, fino ad una valutazione dei risultati ottenuti e delle strategie da mettere in atto per il miglioramento dell’offerta formativa. elemento comune a tutte le realtà coinvolte è la forte attenzione riservata nella fase sperimentale alla ricerca di una propria identità, che pur preservando gli asset fondamentali di un sistema di respiro nazionale, garantisca: – l’innervatura nel tessuto e nelle dinamiche produttive territoriali e settoriali; – la distinzione netta dell’offerta its da quella scolastica ed universitaria, a volte puntando su sedi autonome rispetto a quelle degli istituti scolastici partner. in molti casi, inoltre, si avverte il valore aggiunto di una presenza imprenditoriale “forte” e profondamente coinvolta, che ha agito da “collante” tra le diverse realtà e istituzioni, ma soprattutto ha fatto da “traino” per il coinvolgimento delle imprese del settore. non estranea a tale dinamica è la capacità dimostrata da alcune Fondazioni di reperire finanziamenti anche importanti sul versante imprenditoriale, fenomeno che ha permesso non solo di ampliare il numero di corsi proposti, ma anche di inserire nella proposta formativa elementi integrativi e qualificanti, quali il conseguimento di certificazioni e patentini, la realizzazione di stage ed esperienze formative all’estero, l’inserimento di ulteriori moduli formativi qualificanti. Un filo rosso collega le 6 Fondazioni anche in relazione alle difficoltà e criti- 13 cità finora incontrate, a partire dai tempi ristretti disponibili per la creazione e l’avvio delle attività, che ha avuto delle ripercussioni sulla efficacia della comunicazione e pubblicizzazione dell’iniziativa e sulle modalità di selezione dei primi partecipanti. A questo proposito, oltre alla disomogeneità degli utenti, già richiamata, viene sottolineata spesso l’esigenza di un più incisivo supporto proprio nell’ambito della comunicazione e della pubblicizzazione dei percorsi its, da parte dei livelli istituzionali regionali e nazionali. tracciati divergenti sembrano invece essere esplorati in merito alla pianificazione e delineazione di ciascuna offerta formativa, alla identificazione del proprio bacino d’utenza, ai punti di forza su cui fare leva per migliorare la qualità della proposta e renderla appetibile per studenti ed imprese. È questo, ad esempio, il caso delle due Fondazioni its operanti nell’ambito della meccanica coinvolte nell’indagine Cnos-FAP/Censis, entrambe con un rapporto “privilegiato” e fattivo con il tessuto imprenditoriale locale, ma proprio per questo attente e pronte a rispondere alle sue sollecitazioni con flessibilità e soluzioni originali. A) GLI ITS DELL’AREA TECNOLOGICA NUOVE TECNOLOGIE PER IL MADE IN ITALY (SISTEMA MECCANICA) 1. La Fondazione ITS per le nuove tecnologie per il Made in Italy - sistema meccanica “Malignani” - Udine 1.1. Genesi dell’ITS La Fondazione “Malignani”, di cui l’i.s.i.s “Malignani” è stato il principale promotore e presso cui ha sede l’its, è nata facendo leva sulle pregresse esperienze di collaborazione, anche strutturate e formalizzate in rete, della scuola con soggetti del mondo imprenditoriale e formativo, che poi sono entrati nella Fondazione come soci fondatori. in particolare, già nel 1994 fu stipulato un accordo di collaborazione con la Danieli & C. officine Meccaniche spA, una multinazionale tra i leader mondiali nella costruzione di impianti siderurgici, per la realizzazione di esperienze in alternanza scuola-lavoro, la coprogettazione di attività formative, la realizzazione di attività di ricerca e sviluppo prototipi, ecc. nel 2004, la scuola ha poi stipulato un altro accordo, sempre per la realizzazione di iniziative di alternanza scuola-lavoro con la Ferriere nord spA, che ha al suo interno la scuola aziendale “officina Pittini per la formazione”. Gli intervistati sottolineano come la stretta relazione della scuola con il mondo imprenditoriale locale nasca dal ruolo che il Malignani stesso ha avuto nella creazione di una cultura industriale in un territorio che, negli Anni ’60, era ancora sostanzialmente agricolo. Molti dei vertici delle industrie meccaniche regionali sono ex allievi dell’istituto, con i quali si sono mantenuti rapporti di confronto e collaborazione. 14 in relazione al sistema della Formazione Professionale, il Malignani collabora dal 1999 con il Consorzio Friuli Formazione, di cui è anche socio insieme ad altri soggetti che poi sono entrati nella Fondazione its (Provincia di Udine, iAL FVG, enAiP, iRes, Associazione piccole e medie industrie di Udine), per la realizzazione di percorsi iFts, esperienza che dal 2006 al 2013 ha dato vita al Polo iFts “industria meccanica ed aeronautica”. La Fondazione si è costituita il 15 settembre 2011 e ha ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica l’8 agosto 2012. i soggetti che hanno aderito alla Fondazione hanno apportato denaro, beni immateriali o materiali, software, professionalità o servizi (stages). in buona sostanza, la creazione della Fondazione è stata agevolata dalla preesistenza di una rete già sperimentata, anche se, sottolineano gli intervistati, non sono mancate le difficoltà, imputabili alla complessità dell’iter amministrativo per l’ottenimento della personalità giuridica, alla “conflittualità tra Regione e MiUR in merito alla competenza di vigilanza/controllo della Fondazione, alla tempistica ristretta per la costituzione degli its, che non ha consentito ad alcuni soggetti, come l’Università di Udine, di aderire fin dall’inizio. 1.2. Modalità di collaborazione del network ed aspetti organizzativi 1.2.1. Il contributo dei partner i soci fondatori della Fondazione Malignani sono complessivamente 15, tra cui è compreso anche una figura particolare, l’ingegner Malacrea, “vice preside” dell’istituto Malignani da 25 anni e vicepresidente della Fondazione. nello schema alla pagina seguente sono illustrate la tipologia, l’apporto fornito alla Fondazione e la presenza negli organi di governo dell’its di ciascun socio fondatore. Recentemente sono entrati nella compagine (riunione della Giunta del 17 maggio 2013) in qualità di soci partecipanti: – icop spA. – elifriulia srl. – Umana spA. – Università di Udine. Ci sono, inoltre, contatti per l’ingresso di: – Micra srl. – Fincantieri. in linea generale, l’incremento del numero dei soci è stato dettato da una pluralità di motivazioni, tra cui occorre sottolineare l’interesse e la richiesta esplicita di partecipazione da parte delle imprese, ma anche la necessità della Fondazione di creare sistema tra i diversi attori formativi e di diversificare le professionalità presenti, anche ai fini di un potenziamento delle possibilità occupazionali dei propri diplomati. 15 Caratteristiche e tipologia dei soci fondatori e loro apporto all’ITS in particolare, l’inserimento di un’Agenzia per il lavoro privata, Umana spa, ha permesso di garantire all’its un supporto qualificato per le attività di selezione, orientamento ed assistenza al placement degli studenti. si ritiene inoltre che l’adesione dell’Università di Udine permetterà un ampliamento della capacità di ricerca della Fondazione ed anche una maggiore caratterizzazione e complementarietà tra i percorsi its ed i percorsi universitari. L’interesse di Fincantieri, con la sua sede di Monfalcone, è legato all’esigenza di tale impresa di avviare un percorso formativo, nel settore meccanico, curvato sulla “cantieristica”. si tratta di una proposta di sicuro interesse per la Fondazione, sia per l’importanza che la cantieristica riveste nell’economia regionale, sia perché permetterebbe di dare un respiro pienamente regionale alla propria attività, che risulta ora focalizzata sul territorio dell’area “friulana”. Un aspetto qualificante della fase di start up è rappresentata dall’investimento finanziario che molti soggetti del territorio, non solo i soci fondatori, hanno voluto fare sulla Fondazione, anche grazie ad una efficace azione di ricerca fondi attivata dalla Presidenza della Fondazione stessa. sia alcuni soci, sia altri soggetti come la Camera di Commercio, la Fondazione bancaria CRUP, la Banca Popolare di Vicenza, ecc., hanno contribuito con somme pari anche a 35-40.000 euro, che hanno permesso di attivare fin dall’inizio ben due corsi, invece dell’unico che si sarebbe potuto avviare con i soli fondi MiUR e di utilizzare parte del budget in maniera 16 flessibile, senza i vincoli ministeriali (ad esempio, per rimborsi spese, borse di studio, acquisto materiali, ecc.). 1.2.2. L’avvio delle attività e le criticità riscontrate in relazione agli aspetti organizzativi e relazionali, non è stata rilevata alcuna criticità particolare in merito alla definizione della mission e degli obiettivi formativi della Fondazione, anche in virtù della diffusa esperienza pregressa dei diversi soci nel campo dei percorsi iFts. Alcune problematiche sono nate, ed in parte sono ancora presenti, a causa della complessità della gestione amministrativa e contabile, conseguenza della natura “ibrida” della Fondazione e della contestuale presenza di regolamenti nazionali e regionali, a volte non coerenti tra di loro. Un altro aspetto che si sta cercando di migliorare è quello relativo alla non di - sponibilità di una sede “autonoma” e dedicata alla Fondazione. secondo gli intervistati, al momento il fatto che i percorsi its siano realizzati presso l’istituto scolastico ha degli aspetti positivi, in quanto la scuola dispone di adeguati laboratori e la possibilità di utilizzo del personale interno è facilitata, ma vi è il timore che gli studenti si sentano “ancora a scuola”. Per conciliare questi due aspetti, l’istituto scolastico ha partecipato ad un bando MiUR del “Patto per la scuola 2.0” per la realizzazione di un nuovo edificio, con caratteristiche del tutto innovative, in uno spazio attiguo ma distinto dall’edificio scolastico attuale. il progetto, che dal punto di vista finanziario contempla il reperimento di un mix di fondi pubblici e privati, è basato su una concezione moderna delle strutture con finalità educative, con spazi aperti e flessibili, funzionali all’apprendimento cooperativo, strumentazioni e laboratori avanzati. inoltre, prevede la realizzazione di un centro per simulazione e prototipazione a soggetti esterni. Un ultimo fattore critico è individuato nella mancanza di politiche efficaci di informazione e comunicazione a livello nazionale e regionale che supportino l’azione della Fondazione per far conoscere ai giovani, alle famiglie e alle imprese questa nuova realtà. quest’ultima si è concretizzata in un cospicuo investimento pubblicitario, tramite inserzioni e interviste sui giornali, distribuzione di brochure e locandine e in un’azione di informazione ed orientamento presso le scuole, anche nelle secondarie di primo grado, al fine di cominciare a far conoscere i nuovi percorsi anche ai futuri studenti di scuola superiore. si sottolinea che, a differenza di altre Regioni come il Veneto, dove l’amministrazione regionale ha predisposto un’incisiva campagna di informazione e comunicazione, o la Lombardia, dove – anche con il contributo di Finmeccanica che è presente in numerose Fondazioni ed è fortemente convinta della validità di questa proposta – è stato ad esempio organizzato di recente un convegno con efficaci implicazioni “pubblicitarie”, nel Friuli Venezia Giulia vi è difficoltà ad interessare e coinvolgere i media. 1.2.3. Il modello di governance e le figure professionali attivate per la gestione delle attività formative il modello di governance della Fondazione Malignani è ovviamente coerente con quello stabilito dalla norma nazionale, che prevede l’istituzione di un Comitato 17 d’indirizzo e di una Giunta esecutiva, oltre che un organo tecnico d’ausilio quale il Comitato tecnico scientifico. L’apporto dei componenti di tali organi al funzionamento dell’its è ritenuto equilibrato e fattivo e non si limita ai soli momenti formali. i Comitati tecnico-scientifici hanno ad esempio delle sub-articolazioni che si riuniscono frequentemente in maniera informale. La figura del Presidente è stata individuata nella persona dell’ing. Benedetti, Presidente ed Amministratore Delegato della Danieli ed ex allievo dell’istituto tecnico. Come accennato in precedenza, è stata istituita, con qualche difficoltà, in quanto non prevista dallo statuto, la figura del Vice Presidente, fortemente voluta dal Presidente stesso, che per ragioni lavorative non avrebbe potuto svolgere la sua funzione a tempo pieno, per garantire la piena operatività della Fondazione e la presenza costante di una figura decisionale competente. Per la gestione delle attività formative, il modello organizzativo prevede le seguenti figure: Direttore del corso – Controlla lo svolgimento del corso attraverso meccanismi interni connessi a indicatori di risultato, avvalendosi del coordinatore e del tutor. – Coordina la predisposizione della documentazione contabile e amministrativa, avvalendosi della segreteria. – Provvede a stilare le relazioni intermedie e finale. Coordinatore di sistema e didattica – Cura i rapporti con l’ente formativo incaricato della progettazione dei corsi. – supervisiona l’implementazione del processo modulare del progetto formativo. – supporta i coordinatori dei singoli corsi nel garantire una qualità coerente con gli obiettivi della formazione superiore. – Coordina le diverse fasi dei processi di verifica e valutazione intermedia e finale. – si raccorda con la segreteria nella proposta degli acquisti. Coordinatore del corso – Coordina l’équipe dei formatori del corso, garantendo il collegamento anche con il tutor. – Cura il monitoraggio dello sviluppo degli obiettivi e contenuti formativi del corso. – Collabora con il Coordinatore di sistema e didattica avanzando proposte in relazione al profilo professionale dei docenti richiesti (in coerenza con le indicazioni del Cts). – Cura il monitoraggio della necessità di sussidi didattici da parte degli studenti. – Collabora con l’incaricato della gestione della piattaforma Moodle. – Verifica i documenti/registri, certificandoli con la propria firma, i resoconti e i verbali attestanti l’attività. 18 Tutor – È responsabile del buon andamento del corso; si occupa di tutti gli aspetti organizzativi e logistici, mettendo in atto le indicazioni della progettazione esecutiva. – svolge un ruolo di “cerniera” tra le esigenze dei partecipanti e i docenti; è la figura che garantisce la continuità di un percorso formativo. Per il corso tecnico superiore Automazione e sistemi meccatronici - Aeronautica è prevista anche la figura del Training Manager, il quale: – tiene i rapporti con enAC; – è responsabile delle procedure di applicazione del Manuale di sintesi, cui collabora il coordinatore del corso; – è responsabile della coerenza tra materiali didattici e Manuale di sintesi; – è responsabile dell’aggiornamento del Manuale di sintesi. La Fondazione “Malignani” è, infatti, l’unica accreditata da enAC per rilasciare crediti di formazione per il conseguimento della licenza di manutentore. 1.3. L’offerta formativa 1.3.1. I percorsi attivati nel primo anno di avvio dell’attività, l’its Malignani ha avviato, nel novembre 2011, due percorsi: – tecnico superiore per l’automazione e i sistemi meccatronici – industria meccanica (meccanica ed automazione). – tecnico superiore per l’automazione e i sistemi meccatronici – industria aeronautica (manutenzione aeromobili). La scelta del profilo del Meccatronico, distinto poi ulteriormente in industria meccanica ed industria aeronautica, è stata abbastanza naturale, in quanto si tratta del profilo più richiesto dalle aziende meccaniche friulane, che hanno molti controlli automatici, attività e comparti integrati con competenze elettroniche. La Fondazione ha potuto d’altro canto fare tesoro della pregressa esperienza con il Polo iFts della meccanica, nell’ambito della quale l’iRes aveva di recente realizzato una serie di indagini sui fabbisogni formativi e professionali dell’industria friulana e delle relazioni con il tessuto imprenditoriale locale. Gli assunti da cui si è partiti sono stati, da un lato, quello di fornire agli studenti un titolo di valenza europea, dall’altro quello di curvare la figura formativa sulle effettive esigenze delle imprese. La figura del settore aeronautico, come accennato in precedenza, aveva anche dei vincoli dettati dalla normativa europea. La progettazione dell’offerta formativa è stata realizzata da un gruppo ristretto, composto da docenti ed esperti della scuola, della Formazione Professionale e dell’industria. entrambi i percorsi sono stati progettati mettendo a frutto le esperienze metodologiche pregresse dei diversi soggetti. Ad esempio, per la progettazione è 19 1 quadro metodologico europeo, finalizzato alla facilitazione dell’accumulo e trasferimento di crediti da un sistema all’altro. stata utilizzata la matrice delle competenze eCVet1, ampiamente conosciuta in ambito scolastico, in quanto il Malignani aveva lavorato a lungo nel gruppo di lavoro eCVet del settore meccatronico, sul tema del mutuo riconoscimento dei crediti in ambito europeo. Gli enti di formazione hanno portato la loro esperienza di progettazione e la terminologia propria del Fondo sociale europeo. nello schema riportato di seguito sono illustrate le principali caratteristiche dei due corsi. L’anno successivo sono partiti altri due corsi, entrambi afferenti all’ambito dell’industria meccanica: – tecnico superiore per l’automazione e i sistemi meccatronici - A. – tecnico superiore per l’automazione e i sistemi meccatronici - B. non è stato invece attivato il corso per manutentore aeronautico, anche se è in corso di progettazione avanzata la nuova edizione che partirà ad ottobre 2013, e di cui sono stati già pubblicati i bandi per la selezione degli allievi. La scelta di rafforzare l’offerta rivolta alle industrie meccaniche a scapito di quelle aeronautiche si basa su due ordini di ragioni: – da un lato, il risultato di una indagine di Confindustria Udine presso le proprie associate sul fabbisogno di professionalità tecniche. su circa 800 imprese hanno risposto in 240, segnalando una richiesta annua complessiva di 250 diplomati tecnici di scuola secondaria superiore e di 70 tecnici superiori its. si tratta di numeri importanti, superiori a quello che è effettivamente l’output annuo della scuola e quello dell’its nel suo primo anno di operatività. tale richiesta, che potrebbe anche stupire, essendo stata rilevata in un momento di crisi generalizzata, è dovuta al fatto che l’industria meccanica friuliana, oltre ad avere una dimensione internazionale, che ha permesso di attutirne gli effetti, secondo gli intervistati mette in atto anche politiche “responsabili”, che nonostante ed al di là della crisi interna la porta ad investire molto sia in formazione interna sia in formazione esterna, come quella dell’its; – dall’altro, la necessità di non saturare il mercato “di nicchia” dell’industria aeronautica, prevedendo un anno di pausa, per poi riproporre il corso a fine 2013. inoltre, il bacino di riferimento del corso aeronautico è necessariamente più ampio dei confini regionali, anche solo per il fatto che le aziende coinvolte nella realizzazione degli stage sono dislocate anche fuori Regione, laddove esistono delle realtà aeroportuali pubbliche e private (fino alla Lombardia e all’emilia Romagna), e molto più difficili sono il loro coinvolgimento e la gestione degli stessi stage. Per quanto riguarda i due corsi meccanici avviati nel 2012, l’impianto è rimasto sostanzialmente lo stesso, con alcune “ritarature”, dettate dall’esperienza dell’anno precedente. 20 21 22 in primo luogo, formalmente le ore complessive di corso sono diminuite, passando da 2.000 a 1.800 ore, con riduzione delle ore di laboratorio e di stage. occorre però precisare che nelle 1.800 ore non sono comprese, come nel caso dei corsi precedenti, 200 ore che vengono definite di “equalizzazione”, ovvero di messa a livello delle competenze dei corsisti, il cui finanziamento era a carico della Regione tramite i fondi europei ed a cui l’its non ha potuto accedere per una modifica del regolamento sull’accreditamento e per la necessità di effettuare dei lavori di adeguamento strutturale. Le 200 ore sono state in realtà comunque erogate, utilizzando fondi propri della Fondazione. in secondo luogo, è stato riequilibrato il peso di alcuni moduli, in particolare diminuendo le ore di CAD in favore di quelle dell’area elettrica. in realtà, la modifica sulla struttura e durata dei moduli è stata realizzata e sperimentata in corso d’opera nel primo anno di attività. in questo caso, però, non potendo variare la struttura progettuale a causa delle rigidità della normativa regionale, sono stati utilizzati anche fondi aggiuntivi per fare delle compensazioni ad hoc, aggiuntive rispetto a quelle proposte nella fase di “equalizzazione”. i corsi per meccatronico attivati nel primo anno di attività erano stati pensati, infatti, per un’utenza che si riteneva provenisse da istituti tecnici industriali, e quindi già in possesso di alcune competenze di base: nei fatti, il gruppo classe è stato formato anche con giovani con diploma liceale o di altre tipologie di istituti tecnici. Un’ulteriore innovazione nella strutturazione del corso ad indirizzo industrie meccaniche ha riguardato la collocazione temporale dello stage: mentre nel corso del primo biennio sono stati realizzati due stage di 350 ore, rispettivamente alla fine del primo e del secondo anno di corso, nel primo anno dei due corsi del secondo biennio, lo stage è stato collocato più o meno a metà percorso. Gli studenti, infatti, sono poi tornati in aula per completare 200 ore di teoria, ma hanno potuto capitalizzare e mettere a frutto quanto appreso “sul campo”. Per quanto riguarda l’indirizzo aeronautico, il corso in avvio ad ottobre 2013, facendo tesoro dell’esperienza pregressa, pone maggiore attenzione alle competenze in lingua inglese, essendo un settore in cui l’inglese è la lingua veicolare per eccellenza. nel corso appena concluso, infatti, si è dovuto ricorrere ad un’offerta oraria aggiuntiva, per portare il gruppo classe ad un livello omogeneo. Altre “ritarature” dei contenuti formativi hanno riguardato una maggiore attenzione alla robotica nelle competenze elettroniche ed una ridefinizione del profilo aeronautico, maggiormente orientato all’elettronica. Per il biennio 2013-2015, i percorsi its proposti sono 3, di cui due per meccatronici ed uno per manutentori aeronautici. 1.3.2. Caratteristiche della docenza Pur avendo indetto degli avvisi pubblici per la selezione del personale docente, la Fondazione its ha attribuito priorità ad esperti provenienti dalle imprese facenti parte della Fondazione e docenti con esperienza nei percorsi curricolari o iFts dell’istituto Malignani. 23 Come sintetizzato nella tabella seguente, la presenza di docenti esterni provenienti dal mondo delle imprese2, nel primo biennio è stata del 67,7% per il corso per meccatronici e del 50% per quello aeronautico. nel secondo biennio, in cui come già sottolineato, sono stati avviati solo i corsi del settore meccanico, la percentuale di docenza esterna è pari al 52,2%. Due sono le peculiarità del corpo docente utilizzato: – le prestazioni a titolo gratuito fornite dagli esperti aziendali, che hanno permesso di avere fondi sufficienti per l’attivazione di più percorsi; – la significativa incidenza di docenti provenienti dall’istituto Malignani. si è voluto in particolare mettere a frutto l’esperienza maturata dai docenti della scuola nelle attività di alternanza scuola-lavoro, nella realizzazione dei percorsi iFts e nei progetti europei, che hanno permesso di sviluppare un’approfondita conoscenza dei processi produttivi delle aziende e di assicurare la rispondenza dell’offerta formativa al quadro europeo delle competenze. Attualmente, l’obiettivo condiviso all’interno del Comitato tecnico scientifico e del Consiglio d’indirizzo, è quello di coinvolgere maggiormente i docenti delle altre scuole della compagine fondazionale, con l’obiettivo di allargare maggiormente il bacino dell’utenza potenziale ma anche di assicurare una ricaduta positiva in termini di competenze e professionalità agli istituti scolastici coinvolti. si prevede anche di diminuire il peso complessivo nel biennio delle docenze “interne” all’istituto Malignani, in quanto l’attivazione contemporanea di due corsi di secondo anno e di altri due di primo anno, ha sollevato dei problemi di compatibilità di tempo rispetto agli impegni scolastici dei docenti stessi. 2 Dati del monitoraggio indire al 31-12-2012. Fonte: monitoraggio indire Per evitare il pericolo di una parcellizzazione degli interventi e favorire il raccordo tra docenti della scuola e docenti esterni, costruendo un rapporto di relazione personale e didattica, oltre all’azione del coordinatore e dei tutor si è rivelato molto utile riconoscere economicamente ai docenti la produzione di materiali didattici originali. 1.3.3. Modalità e risultati di monitoraggio e valutazione il sistema di monitoraggio e valutazione adottato dalla Fondazione Malignani fa riferimento al sistema qualità certificato posseduto da uno dei soci Fondatori, il Consorzio Friuli Formazione. nello specifico vengono monitorati e valutati, ex ante, in itinere ed ex post, i seguenti aspetti: – competenze degli allievi in entrata, al termine dei moduli, al termine dello stage, ed in uscita dal percorso formativo; – gradimento del corso; – efficacia formativa dell’attività corsuale. inoltre, sono effettuate delle valutazioni periodiche dei coordinatori dei singoli corsi ed una specifica valutazione di stage da parte dei tutor aziendali e dei coordinatori. si prevede la realizzazione di una verifica degli inserimenti occupazionali a 6 mesi dalla conclusione del corso. in relazione alla valutazione delle competenze, la Regione Friuli Venezia Giulia ha finanziato un’azione di sistema per definire delle modalità di valutazione delle competenze condivise. il sistema è ancora in via di definizione ma sostanzialmente la Fondazione punta a definire prove tecnico-pratiche di fine modulo interdisciplinari, finalizzate a verificare il raggiungimento di determinate competenze. ogni singolo docente potrà comunque elaborare prove disciplinari. Un altro aspetto che sarà oggetto di migliore definizione è quello della valutazione dei docenti, non basata solamente su un questionario di gradimento. 1.4. L’utenza L’attrattività dei percorsi è ritenuta potenzialmente alta grazie all’organizzazione di stage molto lunghi e alla presenza nella compagine its di imprese con necessità di assunzione. Ciononostante, per i corsi del primo biennio, a causa della novità e dell’insufficiente conoscenza da parte dei giovani e delle famiglie dei nuovi percorsi, il numero di domande ricevute è stato sostanzialmente uguale a quello dei posti disponibili. infatti, pur avendo ricevuto formalmente 41 domande di iscrizione per ciascuno dei due corsi attivati, gli interessati nell’incertezza hanno presentato domande, e sostenuto le relative selezioni, per entrambi i corsi. nel secondo biennio, le domande sono significativamente aumentate, ma non vi sono stati problemi di sovrapposizione in quanto, come già detto, non è stato attivato l’indirizzo aeronautico. 24 Caratteristiche dell’utenza dei corsi della Fondazione ITS “Malignani” (*) (*) dati al 31 dicembre 2012 Fonte: monitoraggio indire infine, per i corsi in avvio ad ottobre 2013, di cui sono già stati pubblicati i bandi, essendo gli aspiranti maggiormente orientati e motivati, le sovrapposizioni si sono ridotte drasticamente. occorre sottolineare che, per questi corsi in partenza, è stato sottoscritto un accordo con la Regione, che permetterà ai corsisti di poter accedere ai servizi del Diritto allo studio universitario (vitto, alloggio, trasporti). La selezione si basa su una prova scritta, tramite somministrazione di quesiti a risposta multipla (inglese, applicativi informatici eCDL, fisica) ed un colloquio motivazionale. Viene valutato anche il tipo di diploma conseguito, con un punteggio superiore attribuito ai diplomi tecnici o professionali ad indirizzo coerente con quello dell’its (Costruzioni Aeronautiche, Meccanica, termotecnica, informatica, elettrotecnica, elettronica e telecomunicazioni) ed il punteggio di diploma. sono, infine, previsti dei crediti coerenti con l’area disciplinare, quali la frequenza di corsi iFts ed altre esperienze formative, il possesso di certificazioni LMA, CAD, ecc. nella tabella seguente sono sintetizzate alcune caratteristiche degli studenti iscritti ai corsi del primo e del secondo biennio. nel complesso, si tratta di un’utenza prevalentemente maschile (una sola frequentante donna, nel corso di meccatronica del secondo biennio) con titoli di studio tecnico-professionali. 25 Per quanto riguarda la classe d’età, sembrano essere presenti non solo neodiplomati, ma anche giovani che presumibilmente hanno finito gli studi scolastici da qualche anno e si stanno orientando nel mondo del lavoro. in particolare, i primi corsi attivati, si sono caratterizzati per la presenza di disoccupati ed occupati. Un aspetto ritenuto qualificante, è la dimensione non solo regionale ma anche nazionale ed, in prospettiva, internazionale, dell’offerta corsuale proposta dalla Fondazione. infatti, per quanto riguarda l’indirizzo industrie meccaniche, a seguito dell’iscrizione, nel primo biennio, di un ragazzo residente in sicilia, a Piazza Armerina, si è formata, nel secondo biennio una piccola “enclave” siciliana, composta da 4-5 corsisti. il primo corso per le industrie aeronautiche vedeva la presenza di alcuni studenti provenienti anche dal Centro italia (Lazio, Marche). oltre a testimoniare l’interesse per l’offerta formativa della Fondazione, tale fenomeno permette di supplire al fatto che il bacino potenziale d’utenza della Regione è abbastanza limitato, sia per ragioni demografiche, sia perché l’offerta its risente, da un lato, della concorrenza dell’università e, dall’altro, dalle ancora relativamente forti capacità di assorbimento occupazionale dei diplomati da parte delle industrie locali. La dimensione internazionale, a cui si è appena accennato, è invece una richiesta che proviene dalle imprese che gravitano intorno alla Fondazione, le quali come si è detto operano anche sui mercati esteri. Al momento, anche in virtù dell’esperienza dell’istituto tecnico nell’insegnamento di materie curriculari in lingua inglese, anche nei percorsi its, è stato sperimentato l’insegnamento di alcune discipline in lingua inglese, soprattutto nel percorso aeronautico. il modello a cui la Fondazione vorrebbe ispirarsi è quello degli istituti tecnici superiori di paesi quali la Germania, l’inghilterra, la Francia, che hanno avviato da tempo un processo di fidelizzazione della propria utenza straniera, come una sorta di operazione di marketing territoriale. il diplomato straniero, anche se torna nel proprio paese rimane in relazione con il paese in cui ha studiato, ne conosce le potenzialità e può agire da trait d’union tra le due economie, sviluppando relazioni commerciali e d’affari. 1.5. Altre attività della Fondazione L’offerta formativa e non della Fondazione è al momento focalizzata sui solo percorsi its, che hanno richiesto un significativo sforzo organizzativo e di definizione degli obiettivi e dei contenuti, ma essa è attenta alle sollecitazioni del territorio e non esclude la possibilità di soddisfare fabbisogni di diversa natura (dai corsi serali, agli iFts, alla formazione continua, ecc.) nonché di ampliare l’offerta di formazione tecnica superiore ad ambiti “limitrofi”, come la meccanica per la cantieristica oppure il nucleare (in Provincia di Udine è dislocata un’importante azienda che opera in questo settore). La dimensione internazionale è perseguita anche tramite un accordo di partnership (transnational Partnership Agreement) con il Consorzio Regionale dell’oltenia (Romania) finalizzato allo scambio di informazioni e buone prassi. 26 1.6. Prospettive 1.6.1. Le Reti con altri ITS della Regione e del settore sono già stati stabiliti accordi con la Fondazione its iCt dell’istituto Kennedy di Pordenone e con la Fondazione its di Vicenza, che però hanno riguardato soprattutto la fase di implementazione delle Fondazioni, avendo avuto concretamente come oggetto: – con l’its di Pordenone, lo scambio di informazioni ed il confronto sul piano amministrativo, sul modello di Fondazione che si voleva sviluppare; – con l’its di Vicenza, approfondimenti e confronti sulle modalità ed i criteri di progettazione degli interventi formativi. Al momento sono in corso dei contatti per una collaborazione con un its area meccanica dell’emilia Romagna. 1.6.2. Eventuali difficoltà economiche e proposte per un miglioramento amministrativo ed organizzativo Pur non avendo sperimentato particolari difficoltà economiche, grazie al contributo dei soci Fondatori e delle altre realtà economico-produttive del territorio, gli intervistati rimarcano il fatto che l’assegnazione dei fondi in proporzione al numero di residenti non tiene in considerazione il potenziale numero di inserimenti in azienda che potrebbe interessare allievi provenienti da altre Regioni. sarebbe anche auspicabile una programmazione pluriennale dei finanziamenti ed una generale semplificazione amministrativa. Per quanto riguarda l’utilizzo del personale scolastico, nella prospettiva di un ampliamento dell’offerta, si propone di introdurre la possibilità di un’esenzione parziale dalla docenza scolastica. infine, si ribadisce la strategicità di un’efficace attività di comunicazione a livello regionale e nazionale. 1.7. I punti forza e di debolezza i punti di forza della Fondazione “Malignani” individuati dagli intervistati sono molteplici e di diversa natura. in primo luogo si sottolinea la sinergia tra scuola, aziende ed enti di Formazione, ed il supporto fornito dalle aziende anche alle attività di orientamento. Peculiare e fondamentale è anche ritenuto, da un lato il rapporto con le istituzioni economico-produttive del territorio, oltre ai soci fondatori, che credono nella Fondazione e l’hanno supportata con finanziamenti per borse di studio ed acquisti di materiale didattico, e dall’altro il supporto economico e la relazione collaborativa con l’amministrazione regionale. Altro aspetto qualificante è l’attenzione ad agevolare la frequenza e ridurre il rischio di abbandono, per problemi economici e/o logistici, non solo con borse di 27 studio, ma anche con l’aggancio al circuito del diritto allo studio regionale. in questo caso, la Fondazione pagherà per ogni studente 120 euro per avere la carta dello studente, che dà diritto ad agevolazioni per i trasporti, all’ingresso alla mensa universitaria e alla possibilità di ottenere, se in possesso dei requisiti, un alloggio “universitario”. Molto perseguita è, inoltre, la dimensione internazionale, non solo per gli ambiti già citati (l’azione di sistema per un modello di valutazione delle competenze, la lingua inglese, ecc.) ma anche per l’integrazione con alcuni progetti europei, cui partecipano docenti della scuola impegnati anche nelle attività della Fondazione. sul versante dell’industria aeronautica, infine, un punto di forza è rappresentato sicuramente dal rapporto tra its ed enAC per quanto riguarda il rilascio delle certificazioni di settore. i punti di debolezza individuati fanno tutti riferimento a fattori e contesti “oggettivi”, esterni alle dinamiche della Fondazione. È il caso, ad esempio, della realtà demografica regionale, che fa sì che la Fondazione possa far riferimento ad un bacino ristretto d’utenza potenziale. Fattore critico ulteriore aggravato dall’insufficiente supporto in termini di informazione e comunicazione a livello regionale e nazionale. Un secondo gruppo di criticità è rappresentato dalla complessità amministrativa e dall’incertezza sulle disponibilità finanziarie e sui tempi di erogazione, che rendono più ardua la programmazione delle attività. infine, trattandosi di un titolo di studio nuovo, si riscontra una difficoltà nella valutazione del titolo di studio in fase di assunzione a livello di inquadramento contrattuale (inquadramento al 3°, come per i diplomati o 4°, come i laureati, livello del CCnLL, ecc.). 2. La Fondazione ITS per le nuove tecnologie per il Made in Italy - sistema meccanica di Lanciano (CH) 2.1. Genesi dell’ITS La spinta decisiva a intraprendere l’“avventura” della Fondazione its di Lanciano è scaturita dall’interessamento personale del Presidente della Honda italia, venuto a conoscenza dell’iniziativa tramite un rappresentante della Adecco, che ha attivato la propria rete di contatti in ambito formativo. il gruppo di soci Fondatori è stato individuato a partire da precedenti esperienze di lavoro comune, sia in progetti europei, sia nell’ambito delle azioni del Patto territoriale, sia, infine, nella realizzazione di iFts, che hanno visto il coinvolgimento della Honda stessa oltre alle agenzie formative Cnos-FAP ed enFAP. La creazione della Fondazione ha avuto tempi ristretti ma, proprio per la sussistenza di relazioni pregresse e per il forte interessamento e coinvolgimento diretto del tessuto imprenditoriale afferente al settore dell’automobile, non ha incontrato 28 grandi difficoltà. in particolare, il ruolo attivo del Presidente della Honda ha dato da subito un’impronta molto direttiva ed operativa. La compagine fondazionale, che finora non ha subito mutamenti o integrazioni, è composta da: – gli istituti di istruzione secondaria superiore, itis “L. da Vinci” Lanciano (capofila), itis “e. Mattei” Vasto, iPsiA “U. Pomilio” Chieti; – la Provincia di Chieti ed il Comune di Lanciano; – il Cnos-FAP e l’enFAP, che sono due strutture formative accreditate per l’alta formazione; – la soc. Cons. innovazione Automotive e Metalmeccanica a r.l. (Consorzio iAM), che raggruppa 79 imprese del settore automobilistico, tra cui Honda, Fiat e Denso; – l’Università dell’Aquila - Facoltà di ingegneria DiMeG - Dipartimento di ingegneria Meccanica, energetica e Gestionale; – ed infine, CCiAA di Chieti, soc. Cons. sangro-Aventino (patto territoriale), Consorzio Universitario Lanciano ed Adecco italia spA. eccetto gli istituti scolastici, ogni socio Fondatore ha versato un contributo economico (minimo 5.000 euro) e si è impegnato a fornire prestazioni (docenze, selezione dei corsisti, ecc.) a titolo gratuito o, nel caso delle università, con “onorari bassissimi”. La scuola di Lanciano ed il Cnos-FAPmettono a disposizione i loro laboratori. Ciò ha permesso di potere attivare finora due corsi, supplendo all’insufficienza dei finanziamenti pubblici. La sede della Fondazione è stata offerta, come quota di partecipazione in qualità di socio Fondatore, dal Comune di Lanciano ed è dislocata presso un ex liceo classico, oggi trasformato in “Palazzo degli studi”. stabilmente sono presenti in questa sede, oltre alla Fondazione, l’università per anziani e l’ufficio informagiovani, mentre alcuni spazi vengono utilizzati per manifestazioni e convegni. il Comune si occupa anche delle pulizie e fornisce un servizio di segreteria. La caratteristica peculiare e strategica dell’its di Lanciano è di essere strettamente collegata al Polo d’innovazione per l’automotive, gestito dal Consorzio iAM. i Poli di innovazione sono raggruppamenti di imprese indipendenti (PMi, grandi imprese e organismi di ricerca, start up innovatrici) attivi in un particolare settore. La loro mission è quella di incoraggiare l’interazione tra le imprese costituenti il Polo, l’uso in comune di installazioni e lo scambio di conoscenze ed esperienze, nonché di contribuire al trasferimento di tecnologie, alla messa in rete e alla diffusione delle informazioni tra le stesse imprese. È inoltre in via di completamento il Campus automotive, un’infrastruttura legata al Polo di innovazione e quindi, di interesse per le attività formative della Fondazione its, con laboratori per lo sviluppo e l’innovazione di prodotto e di processo, basata sull’impiego di nuovi materiali e tecnologie innovative di assemblaggio ed un’area test (circuito) da utilizzare al servizio sia dei laboratori che di altre attività (corsi di guida sicura, corsi per il conseguimento della patente di guida ed eventi speciali, ecc.). 29 2.2. L’offerta formativa 2.2.1. I percorsi attivati La Fondazione ha iniziato l’attività concentrandosi sulla definizione dei profili professionali da formare; attraverso l’attività di un gruppo di lavoro, costituito da esperti di Risorse Umane delle imprese, rappresentanti delle scuole, dell’università e di Adecco, basandosi sulle indicazioni del Polo di innovazione e mirando ad anticipare gli scenari di medio-lungo termine del mondo del lavoro, sono stati progettati ed avviati due corsi professionali distinti corrispondenti alle figure nazionali di riferimento. Al momento della realizzazione dello studio di caso, nessun corso era giunto a conclusione. il primo corso, per tecnico superiore per l’innovazione dei processi e dei prodotti meccanici, orientato agli aspetti gestionali, è partito a marzo 2012. si concluderà con un esame programmato nel giorni 21-25 ottobre 2013 e gli allievi saranno poi accompagnati in un percorso di placement, a cura di Adecco. il secondo corso, per tecnico superiore per l’automazione ed i sistemi meccatronici, orientato alla manutenzione, ha avuto avvio ad aprile 2013 e la sua conclusione è prevista nel dicembre 2014. entrambi i percorsi hanno una durata di 1.800 ore. oltre alle 1.800 ore, la Fondazione eroga 50 ore di attività integrative di riallineamento delle competenze in inglese livello B1, informatica eCDL avanzato e in ambito scientifico-tecnologico ed offre ai propri studenti un corso base di 30 ore sul project management e, solo ai più meritevoli, un corso intensivo di inglese in Gran Bretagna. il tirocinio in azienda, di 800 ore, su richiesta delle aziende stesse, è strutturato come project work. Le prime 400 ore sono collocate alla fine di un primo ciclo di aula di 400 ore; le restanti 400 ore sono svolte in alternanza: lo studente prosegue la sua formazione svolgendo due settimane in aula e due settimane in azienda. tale organizzazione è stata fortemente voluta dalle aziende che hanno accolto – ed accoglieranno – i ragazzi in stage, in quanto permette effettivamente di far seguire allo stagista l’intero progetto, in maniera compatibile con le esigenze e la tempistica aziendale. A conclusione delle ore di stage, rimangono circa 200 ore di formazione in aula. i project work sono stati concordati con le aziende disponibili e poi sono stati fatti scegliere ai corsisti, senza l’indicazione dell’azienda in cui l’avrebbero svolto, in modo da valorizzare le inclinazioni dei ragazzi senza l’influenza della “appetibilità” dell’impresa proponente. tale scelta è stata ovviamente guidata e supportata dal team di coordinamento e tutoraggio ed è stata convalidata dopo un colloquio tra il corsista e il responsabile aziendale. È in corso di attivazione (avvio previsto gennaio 2014), con finanziamento regionale tramite Fse, un ulteriore percorso di tecnico superiore dei processi e dei 30 prodotti meccanici, orientato alla gestione dell’attività di approvvigionamento funzionale e alle esigenze produttive dell’azienda (supply Chain) e dell’intero flusso logistico. Anch’esso prevede una durata di 1.800 ore, di cui 800 di stage, più 50 ore di riallineamento. inoltre, oltre a riproporre i corsi aggiuntivi di project management e di lingua inglese all’estero, sono introdotte 12 ore di corsi specifici finalizzati al conseguimento di patentini. infine, è prevista l’attivazione, entro febbraio 2014, di un quarto corso per “tecnico superiore per l’automazione ed i sistemi meccatronici”, orientato alle iCt, finanziato con fondi MiUR ed avanzi di gestione della Fondazione. La principale caratteristica dei percorsi proposti dalla Fondazione its di Lanciano risulta essere, dunque, quella di una differenziazione significativa dell’offerta formativa, che a partire da un unico profilo, viene curvata di volta in volta su specifiche esigenze espresse dalle imprese. Le strategie ed i modelli produttivi delle imprese abruzzesi operanti nel settore automobilistico sono, infatti, attualmente in trasformazione, orientandosi verso una decisa innovazione di processi e di prodotti e si ritiene necessario accompagnare queste trasformazioni con la formazione di tecnici superiori che sappiamo operare in ambiti chiave, quali la gestione dei processi o la logistica. occorre anche considerare che tra l’individuazione della figura, la sua declinazione in una proposta formativa e la realizzazione del corso passano alcuni anni, mentre l’esigenza delle imprese è quella di riuscire ad anticipare le esigenze di mercato. Al di là delle ore curricolari, la Fondazione its di Lanciano riserva una significativa attenzione alle attività di orientamento e tutoraggio, che ritiene fondamentali per assicurare il successo formativo e il successivo inserimento occupazionale dei corsisti. È stato costituito un team di tutoraggio, composto di professionalità diverse e complementari, con competenze sociologiche, meccaniche, di lingua straniera e di informatica, che riesce a supportare i corsisti anche sul piano degli apprendimenti. Alcuni componenti del team si sono occupati della fase di accoglienza dei corsisti che ha previsto anche la realizzazione di un bilancio di competenze orientativo. nello specifico, ad ogni corsista è dedicato un incontro di circa tre ore, con l’obiettivo sia di fornire informazioni più dettagliate su obiettivi, contenuti, organizzazione e programma del corso, sia e soprattutto di acquisire una conoscenza più approfondita delle caratteristiche e delle competenze in ingresso. Ciò ha permesso di fornire ai docenti una fotografia del gruppo classe e di “tarare le lezioni” sulla base del livello di competenze emerso. Come già accennato, in virtù della presenza tra i soci fondatori dell’agenzia del lavoro privata Adecco, a conclusione del percorso i diplomati possono usufruire di un’azione di supporto al placement. infine, si segnala l’attenzione continua alle opportunità provenienti dal mondo 31 32 del lavoro e della ricerca che possono essere d’interesse per i corsisti. nello specifico, gli studenti del primo corso attivato hanno risposto ad un bando di Unioncamere per la predisposizione di progetti innovativi per l’impresa e, con l’aiuto dei tutor aziendali, stanno sviluppando due-tre progetti. 2.2.2. Caratteristiche della docenza il 57,9% delle docenze è affidato a rappresentanti delle aziende partner o a professionisti, comunque gravitanti nella loro orbita. tutte le docenze erogate dalle imprese sono a titolo gratuito. Per il resto, il 15,8% proviene dall’università ed il 26,3% dalla scuola. A seguito di avvisi pubblici è stata effettuata la valutazione dei curricola, sulla base dell’esperienza pregressa, dell’eventuale insegnamento in percorsi iFts, delle pubblicazioni, ecc. ed è stato predisposto un albo formatori aggiornato periodicamente. La selezione è stata effettuata sulla base di avvisi pubblici, basati sull’esperienza, ed è stato predisposto un albo formatori. 2.2.3. Modalità e risultati di monitoraggio e valutazione Per il monitoraggio e la valutazione delle proprie attività, la Fondazione its ha predisposto un proprio modello, strumenti e procedure, mutuate dai sistemi di qualità degli enti di formazione partner. nello specifico, al temine di ciascun modulo, viene somministrata agli studenti una scheda strutturata, finalizzata a rilevare il gradimento di alcuni aspetti, quali la docenza, l’organizzazione, la logistica, ecc. Vengono inoltre effettuate delle valutazioni degli apprendimenti, affidate ai singoli docenti che in autonomia predispongono le prove, che sono di natura diversa: si va dai tradizionali test, a prove scritte, alla realizzazione di project work e presentazioni in power point. Le valutazioni degli apprendimenti vengono tutte espresse in trentesimi su richiesta dell’Università, per agevolare l’eventuale riconoscimento dei crediti (per il quale al momento non vi è comunque un accordo formale). L’unica problematica finora riscontrata riguarda alcune critiche espresse dagli studenti nei confronti di alcuni docenti provenienti dal mondo della scuola e dell’università, per il loro approccio “troppo scolastico”. in questo caso, alcuni docenti sono stati sostituiti, altri hanno cercato di introdurre metodologie più innovative ed “esperienziali”. Alle attività standard di monitoraggio e valutazione si sono affiancate, ovviamente, la quotidiana osservazione dell’andamento delle attività e il monitoraggio degli stage. Ciò ha permesso di far emergere le eventuali criticità e di apportare i necessari correttivi. in particolare, qualche azienda che ha accolto i ragazzi in stage è stata in corso d’opera sostituita, sia a seguito di alcune lamentale “circostanziate” dello stagista sia in quanto il project work concordato non era sviluppato con modalità adeguate. 33 nel complesso, comunque, i problemi emersi nel primo corso hanno riguardato soprattutto aspetti comportamentali. Ad esempio, si è osservato che aver dotato gli studenti di un proprio computer portatile da utilizzare in aula è stato soprattutto un fattore di distrazione, piuttosto che un supporto all’apprendimento, tanto che tale benefit non è stato riproposto nel secondo corso. Altre criticità di natura analoga si sono riscontrate nelle modalità di approccio di alcuni corsisti all’esperienza di stage in quanto, provenendo da un ambiente “protetto” qual è quello formativo, si sono all’inizio trovati disorientati di fronte alle regole che governano un ambiente di lavoro. non essendo stato concluso alcun corso al momento della realizzazione del caso di studio, non sono disponibili i dati relativi all’inserimento occupazionale dei corsisti. Gli intervistati sottolineano che almeno 9 dei 16 ragazzi che stanno concludendo il primo corso saranno quasi sicuramente assunti dalle imprese in cui hanno svolto lo stage, ma sono ottimisti anche in relazione ai rimanenti 7. infatti, nel primo caso, fanno riferimento ad una dichiarazione pubblica fatta da alcune imprese invitate a partecipare ad una trasmissione televisiva. 2.3. L’utenza Come sintetizzato nella tabella seguente, l’offerta formativa proposta dalla Fondazione its di Lanciano ha suscitato un significativo interesse presso l’utenza potenziale, come dimostra il numero di domande di iscrizione, soprattutto per il primo corso attivato, ma anche il numero di coloro che hanno effettivamente sostenuto le selezioni (49 candidati per il primo corso e 44 per il secondo). occorre sottolineare che, per quanto riguarda il primo corso attivato, ad orientamento gestionale, molte domande sono pervenute da fuori Regione, e ciò spiega gran parte del decremento al momento delle selezioni. Per il secondo corso, invece, l’origine dei candidati è risultata molto più omogenea e sostanzialmente concentrata sul territorio regionale. A seguito delle selezioni, in entrambi i casi, ma soprattutto nel secondo corso, il numero di idonei è risultato superiore ai posti disponibili e quindi è stato possibile inserire, come previsto, oltre ai 20 corsisti, anche 5 uditori, con una netta prevalenza di corsisti di sesso maschile. nello specifico, il corso gestionale vede la presenza di 5 ragazze, mentre quello orientato alla manutenzione è composto unicamente da ragazzi. il primo corso attivato, ormai giunto alla sua conclusione, ha perso nel tempo, per ritiri ed abbandoni, 9 corsisti, ma le cause, secondo gli intervistati, sono imputabili soprattutto a due ordini di ragioni: – da un lato, alcuni abbandoni riguardano studenti che provenivano da fuori Regione e che avevano dunque oggettivamente dei problemi logistici ed economici; – dall’altro, al successivo inserimento nel mondo del lavoro. in un caso, si è trattato di una scelta autonoma, dettata dall’esigenza personale di disporre di entrate proprie; in un altro, una delle aziende partner, dopo due/tre mesi di frequenza, ha proposto l’assunzione e, nonostante la disponibilità dell’azienda a concedere permessi ed altro, il corsista ha preferito abbandonare. infine, un corsista, occupato in cassa integrazione e residente fuori Regione, non è riuscito a garantire la frequenza minima ed ha dovuto abbandonare, nonostante avesse una forte motivazione. La Fondazione lo ha agevolato, consentendogli comunque di frequentare alcune lezioni di suo particolare interesse ed egli stesso ha pagato e frequentato il corso extracurricolare di project management. Per quanto riguarda invece il corso iniziato ad aprile 2013, dopo circa quattro mesi non registra alcun abbandono. La maggior parte degli iscritti ai corsi finora attivati è in possesso di un diploma tecnico (88,9% nel primo corso e 88,0% nel secondo). si registrano, invece, alcune differenziazioni tra i due percorsi in merito ai titoli posseduti dai restanti corsisti. in particolare, nel corso ad orientamento gestionale la restante quota di studenti (11,1%) è in possesso del diploma liceale, mentre il corso orientato alla manutenzione registra un 8,0% di diplomati negli istituti professionali ed un 4,0% di liceali. Per quanto riguarda l’età dei corsisti (cfr. tabella seguente), i due corsi finora attivati si differenziano per una maggiore presenza, nel secondo, di soggetti giovani, da poco diplomati. 34 Ciò è stato determinato soprattutto da due fattori: – un maggiore attivismo delle scuole partner nella pubblicizzazione dell’iniziativa; – una maggiore attenzione, in sede di selezione dei partecipanti, alla costruzione di una classe il più possibile omogena. si è, infatti, sperimentato come sia difficile conciliare le esigenze di soggetti che provengono da esperienze formative e lavorative diverse. nel secondo corso, gli studenti di età più elevata, pur presenti, hanno tutti espresso una forte motivazione. nel caso dell’unico ultratrentenne si tratta di un lavoratore occupato in una delle aziende socie, fortemente interessata ad una sua ulteriore specializzazione. 2.4. Le altre attività della fondazione La Fondazione di Lanciano è in una fase di definizione di un suo assetto stabile e si è dunque concentrata soprattutto sulla progettazione ed erogazione dei percorsi its, che sono di grande interesse per le aziende di riferimento. in parallelo, vorrebbe comunque rivitalizzare il Polo formativo iFts, al fine di ampliare il ventaglio d’offerta, ma tale eventualità dipende dalle scelte e dai finanziamenti regionali. in prospettiva prevede, inoltre, di avere un ruolo strategico nell’ambito del costituendo “Campus Automotive”, non solo in relazione alla formazione ma anche al trasferimento tecnologico. D’altro canto, nell’idea dei suoi fondatori, l’its di Lanciano dovrebbe essere il “braccio operativo” del Campus. 2.5. Punti di forza e di debolezza dell’ITS tra i punti di forza della Fondazione di Lanciano, gli intervistati segnalano innanzitutto, la coesione tra i diversi attori, determinata da una pregressa e fattiva collaborazione. in secondo luogo, la partecipazione fattiva di tutti i partner, che non si limitano ad una adesione formale ma sono tutti coinvolti nelle decisioni e, a seconda delle competenze, nella realizzazione delle attività formative e non. Altra caratteristica strategicamente vincente è ritenuta l’introduzione della metodologia del project work nella fase di tirocinio, nonché l’offerta formativa aggiuntiva relativa al corso di project management e al corso di lingua all’estero. Un punto di debolezza è individuato nell’approccio ancora troppo teorico di alcuni momenti della fase d’aula, che ha determinato la convinzione di dover avvalersi in maniera più cospicua dei laboratori, messi a disposizione dalle strutture formative. 35 B) GLI ITS DELL’AREA TECNOLOGICA MOBILITÀ SOSTENIBILE 1. La Fondazione ITS per la mobilità sostenibile “Giovanni Caboto” - GAETA 1.1. Genesi dell’ITS La Fondazione “istituto tecnico superiore per la mobilità sostenibile – Giovanni Caboto, si è costituita nel luglio 2010 ed ha visto l’adesione in qualità di soci fondatori di: – istituti scolastico superiore “G. Caboto” di Gaeta; – Provincia di Latina; – Camera di Commercio di Latina; – D’Amico, società di navigazione spA; – Pa.L.Mer - Parco tecologico del Lazio Meridionale; – Consorzio industriale sud Pontino; – Consorzio Consormare del Golfo; – oesCMi - osservatorio economico per lo sviluppo della Cultura Manageriale d’impresa - Gaeta (ente di formazione). L’istituto scolastico Caboto è stato il motore propulsivo che ha portato alla costituzione della Fondazione, coinvolgendo in primo luogo la rete di soggetti territoriali con cui già si erano instaurate delle relazioni consolidate, soprattutto l’“osservatorio economico” e la società di navigazione D’Amico. in particolare, con l’ente di formazione e la società di navigazione sono stati realizzati alcuni iFts e poi è stato costituito il Polo formativo della nautica. L’istituto scolastico e l’ente di formazione hanno anche realizzato alcuni progetti di ricerca finanziati dai Fondi strutturali, relativi alla filiera della pesca. nonostante queste premesse, la nascita della Fondazione Caboto è stata in un primo momento ostacolata dal fatto che la Regione aveva respinto la candidatura dell’iiss “Caboto”, assegnando il settore nautico ad un istituto tecnico Commerciale di terracina. La compagine dei soci fondatori non è stata modificata per una precisa scelta, mentre si è optato per instaurare con altri soggetti delle convenzioni, orientate soprattutto alla realizzazione degli stage, che per i corsi per aspiranti allievi ufficiali consistono di veri e propri imbarchi della durata di 12 mesi. Ciò comporta la necessità di individuare a monte del percorso formativo le compagnie disposte ad ospitare gli allievi e anche le modalità d’imbarco. Mentre i primi corsisti sono stati tutti ospitati dalla D’Amico, negli anni successivi sono subentrate altre compagnie (Cargo Flotta, Finnaval, Fratelli D’Amico, Amoretti, italia Marittima), oltre che l’Assonat, associazione nazionale nell’ambito della portualità turistica, in relazione al corso per la gestione dei porti e dei servizi turistici. 36 3 La c.d. tonnage tax (artt.155-161 del tuir) consiste in un regime opzionale di determinazione forfetaria del reddito imponibile delle imprese marittime. 4 Più precisamente, l’obbligo di formazione può essere assolto mediante la “formazione diretta” consistente nell’imbarco di allievi ufficiali o mediante la “formazione indiretta”, consistente nel versamento, al Fondo nazionale marittimi ovvero ai Poli formativi autorizzati dell’importo di € 62,00 giornalieri “per cadetto” oltre istat, per gli anni successivi al 2008, ovvero ancora attraverso un mix delle soluzioni precedenti. in alcuni casi, le stesse compagnie di navigazione hanno dimostrato/stanno dimostrando interesse a collaborare con la Fondazione. Attualmente è in corso una riflessione sull’assetto della Fondazione e sulla opportunità di modificare e/o integrare la compagine dei soci e dei partner. in particolare vi è l’intenzione di rafforzare la presenza dell’ente di ricerca, in quanto il PA.L.MeR è poco attivo e probabilmente sarà chiuso e ci si sta orientando verso l’inseAn, un istituto di Ricerca nel settore dell’ingegneria navale e marittima nell’ambito del Consiglio nazionale delle Ricerche - Dipartimento energia e trasporti, conosciuto come ”Vasca navale”. quasi tutti i soci contribuiscono finanziariamente al funzionamento della Fondazione, con una quota sociale stabilita in 5.000 euro l’anno. in alternativa, i soci contribuiscono con la dotazione di laboratori, come nel caso dell’istituto scolastico, o con la fornitura di materiali ed attrezzature, come nel caso del Consorzio industriale. oltre a questi contributi, alcuni soci hanno elargito finanziamenti aggiuntivi, sotto forma di liberalità, oppure beni in natura. La D’Amico, ad esempio, ha fornito tutti gli allievi dei primi corsi di ipad e, in alcuni casi, ha anticipato delle somme, in caso di ritardi nei finanziamenti regionali. Anche la Camera di Commercio di Latina è molto interessata allo sviluppo della Fondazione, fornendo un significativo contributo non solo finanziario, nell’ambito di un suo più ampio impegno finalizzato a valorizzare il settore nautico. infine, occorre sottolineare che la Fondazione usufruisce dei finanziamenti del Fondo nazionale Marittimi, composto dalle sanzioni che le navi battenti bandiera italiana che usufruiscono della “tonnage tax”3 sono tenute a corrispondere se non adempiono alla formazione dei cadetti4. 1.2. Il modello di governance Gli organi gestionali-amministrativi della Fondazione sono, in coerenza con quanto stabilito dalla normativa, il Consiglio d’indirizzo, l’Assemblea di partecipazione, il Comitato tecnico scientifico e la Giunta esecutiva. La Presidenza è stata assegnata a Cesare D’Amico, amministratore della D’Amico navigazione. si tratta di una carica non onorifica, in quanto Cesare D’amico è una persona molto attiva nella Fondazione, nonostante il suo lavoro lo porti spesso fuori italia. La fattiva collaborazione e la forte sensibilità verso la formazione del Presiden- 37 te e della società che rappresenta hanno un effetto trainante su tutti i partner. A supporto del ruolo di presidenza, la D’Amico ha attivato uno staff specifico. Consiglio d’indirizzo e Giunta esecutiva gestiscono la parte amministrativa ed operativa della Fondazione, mentre l’assemblea di partecipazione, composta da tutti i soci, formula pareri consultivi e proposte su attività, programmi, bilanci ed obiettivi della Fondazione. sostanzialmente, nei tre organi sono complessivamente presenti gli stessi soggetti. il Comitato tecnico scientifico è composto da rappresentanti della compagnia di navigazione, il dirigente dell’istituto scolastico, ex dirigenti scolastici in pensione, un rappresentante del Ministero dei trasporti, un rappresentante delle capitanerie di porto. A livello operativo, è prevista la figura del Coordinatore generale, ruolo affidato al prof. Coccoluto, docente e vicepreside dell’iiss Caboto, oltre che quelle dei responsabili della programmazione didattica e varie figure di tipo tecnico-amministrativo. 1.3. L’offerta formativa 1.3.1. I percorsi attivati Fin dall’inizio dell’attività, la Fondazione Caboto ha proposto tre percorsi: – tecnico superiore per la mobilità delle persone e delle merci - Conduzione del mezzo navale - Ufficiale di navigazione; – tecnico superiore per la mobilità delle persone e delle merci - Apparati ed impianti di bordo - Ufficiale di macchine; – tecnico superiore per l’infomobilità e le infrastrutture logistiche - Gestione del porto ed i servizi turistici. si sta riflettendo sulla opportunità di attivare altri percorsi riguardanti, da un lato, la figura del commissario di bordo e, dall’altro, quella di addetto alla cantieristica e di altre figure legate all’indotto della portualità turistica. Per quanto riguarda l’ambito della mobilità delle persone e delle merci, suddiviso nei due indirizzi di conduzione del mezzo navale e degli apparati ed impianti di bordo, la scelta è stata dettata dalla profonda conoscenza del settore e da numerose evidenze che sottolineano come la domanda di tali figure sia superiore all’offerta. Le compagnie infatti hanno difficoltà a reperire personale marittimo ed inoltre, per le suddette figure, non richiedono più personale senza formazione specialistica, che non sia in grado di proseguire in un percorso di carriera personale, non necessariamente correlato alla navigazione. Formalmente anche un diplomato del tecnico nautico potrebbe ottenere un imbarco e, dopo 12 mesi, conseguire il relativo patentino sostenendo l’esame presso una capitaneria di porto, ma tale eventualità per i motivi suddetti è sempre più rara. tra l’altro, l’Ue ha avviato delle procedure di infrazione per la mancanza di formazione nei vari step di crescita e di carriera del personale marittimo. 38 il corso per la gestione del porto ed i servizi turistici è stato progettato nel 2011, in un contesto normativo molto diverso da quello attuale, in base ad un’analisi di settore effettuata con la compartecipazione dei soggetti competenti, prima fra tutti la Assonat, che ha collaborato alla delineazione del progetto formativo. si tratta di una figura non direttamente inseribile a livelli di responsabilità, che oltre alla formazione tecnica ha bisogno di cominciare dai livelli più bassi, quali quello dell’ormeggiatore. È una figura più complessa di quello che si potrebbe pensare perché l’ormeggiatore non è solo quello che fa i “i nodi alla cima”, ma si occupa dell’accoglienza del diportista, dell’acquisizione delle schede e di tutta la documentazione indispensabile per poter attraccare e deve conoscere le lingue straniere. negli ultimi anni, però, l’assunzione dei profili medio-bassi nei porti si è bloccata. nel primo anno di attività della Fondazione, sono stati avviati tutti e tre i corsi, che sono formalmente partiti tra fine 2011 ed inizio 2012. A ottobre 2012 è stato pubblicato un unico bando per il diploma di tecnico superiore per la mobilità delle persone e delle merci, relativo ad entrambi gli indirizzi, che riservava 17 posti per il percorso di conduzione del mezzo navale e 13 posti per il percorso di gestione degli apparati e impianti di bordo. in questo caso, il programma didattico ha previsto la realizzazione di moduli comuni ai due percorsi. Ad ottobre 2013 sono partire le selezioni per ulteriori due corsi, sempre nell’ambito della conduzione di mezzi navali e della gestione degli apparati ed impianti di bordo. non è stato invece ancora replicato il corso relativo ai porti turistici, in quanto si attende di verificare gli esiti occupazionali del primo corso, non ancora concluso. in effetti nessun corso è ancora terminato; per il corso sui porti turistici gli esami finali sono programmati per gennaio 2014 mentre per gli altri due corsi sono previsti per marzo-aprile 2014. se per quanto riguarda il corso di gestione dei porti turistici i ritardi si possono considerare fisiologici, per quanto riguarda gli altri due percorsi si è in presenza di ritardi strutturali, perché l’intero percorso dura più di 4.500 ore, comprensive dello stage (imbarco) ed i mesi di imbarco sono almeno 4, suddivisi in tre tranches che non avvengono contemporaneamente, ma in base alle esigenze della compagnia di navigazione. La tempistica è diversa dagli altri percorsi its, tant’è che come previsto anche dal DCPM del 2008 sono stati organizzati 6 semestri. Per gli allievi che hanno già effettuato qualche imbarco è previsto ovviamente un riconoscimento di crediti. È dunque necessaria una forte elasticità d’aula, in quanto le lezioni devono tenere conto degli imbarchi; se possibile si aspetta il rientro di tutti gli allievi, ma a volte è capitato che alcuni imbarchi/sbarchi si sono verificati in tempi non compatibili ed in questo caso sono state realizzate azioni di recupero specifiche, utilizzando dei docenti tutor. oltre alle materie tecniche proprie di ogni corso, la Fondazione ha investito 39 moltissimo sulla formazione linguistica, in tutti i percorsi attivati. infatti, le competenze linguistiche sono fondamentali non solo in relazione ai porti turistici, ma anche per coloro che andranno a far parte di equipaggi navali. Le comunicazioni a bordo avvengono ormai in inglese, perché anche su imbarcazioni con bandiera italiana, l’equipaggio è composto soprattutto da personale non italiano. La formazione linguistica scolastica è purtroppo del tutto insufficiente. Preliminarmente ai moduli previsti dal percorso didattico per allievi ufficiali o macchinisti, gli allievi che non provengono dall’istituto nautico devono frequentare un modulo di allineamento di 500 ore, il cui superamento è precondizione per poter accedere al corso. nelle diverse edizioni, i due corsi suddetti non hanno subito modifiche sostanziali ma piccoli aggiustamenti, sulla base dell’esperienza effettuata. in particolare si è lavorato e si sta lavorando ancora su una maggiore consequenzialità dei moduli. L’impostazione complessiva di questi percorsi è quella di un approfondimento di quanto magari già appreso nel percorso scolastico, ma con un’impostazione più operativa, fornendo agli studenti gli strumenti e le capacita per continuare ad apprendere. Pur non essendo prevista una modalità di e-learning in senso stretto, il portale permette questa eventualità, che potrebbe essere ad esempio utilizzata in caso di imbarchi prolungati o asincroni rispetto alla tempistica d’aula. Purtroppo però le condizioni di bordo rendono difficile utilizzare l’e-learning, perché in pieno oceano o non c’è il collegamento satellitare oppure risulta troppo oneroso per le Compagnie. sulla piattaforma viene comunque caricato tutto il materiale didattico elaborato dai docenti, oltre ad alcuni testi per i quali si è ottenuta l’autorizzazione alla pubblicazione on-line. i percorsi per il personale navigante non prevedono specifiche attività di accompagnamento al lavoro, ma sono previsti moduli “metodologici” finalizzati a mettere in luce le caratteristiche necessarie per un proficuo ingresso nel mondo del lavoro. nel caso del corso di gestione dei porti turistici, alla luce delle previste maggiori difficoltà di inserimento dei diplomati, sarà realizzata una specifica azione di accompagnamento. il Presidente della Fondazione, Cesare D’Amico, è particolarmente sensibile su questo punto e si è posto l’obiettivo di arrivare ad una significativa percentuale di collocamento anche per questi allievi. È necessario però in primo luogo avviare una attività di sensibilizzazione e di informazione rispetto a questa figura, del tutto nuova nel panorama portuale. Far conoscere anche le possibilità aperte dall’accordo quadro sull’apprendistato nel settore turistico, che prevede per l’apprendistato professionalizzante la possibilità di tenere conto della stagionalità del lavoro portuale. Vi è inoltre l’idea di organizzare una convention di presentazione degli allievi a tutta la portualità turistica italiana, anche se un ostacolo è rappresentato dal fatto 40 che, per consuetudine, i porti per le figure medio basse (da cui come si è detto anche i diplomati its devono necessariamente partire), tendono a preferire personale locale, quasi come risarcimento al territorio della sottrazione di parte della linea costiera. Per quanto riguarda i laboratori, essi sono messi a disposizione tramite apposita convenzione, dall’iiss “Caboto”. 1.3.2. Caratteristiche della docenza il corpo docente è composto da due tipologie di figure: il docente ed il tutor didattico. questi ultimi non svolgono il lavoro classico del tutor d’aula, figura non prevista, ma operano in affiancamento al docente, fungendo da assistenti di laboratorio, oppure sono responsabili dei gruppi di studio e del recupero individuale. Circa l’80% della docenza proviene dal mondo del lavoro, mentre la restante parte dall’istituto scolastico. i docenti della scuola si occupano delle discipline di base e di alcune discipline tecniche. È stato istituito un albo docenti, tramite bando aperto, in modo da disporre di una rosa ampia di formatori. infatti, in relazione a quelli che provengono dal mondo del lavoro, soprattutto nei primi corsi è stato difficile conciliare i loro tempi di imbarco con la tempistica d’aula. Man mano però si è riusciti a formare un gruppo di docenti abbastanza stabile, con cui si fanno riunioni di coordinamento e si organizzano i moduli didattici. Le principali problematiche riguardano, da un lato, il fatto che i docenti provenienti dal mondo del lavoro non sempre posseggono abilità didattiche, anche se suppliscono con l’esperienza lavorativa, mentre per i docenti del mondo della scuola è stato necessario far capire loro che anche le discipline di base, tipo matematica e fisica, devono essere fortemente contestualizzate rispetto al lavoro nautico. il sistema di monitoraggio e valutazione prevede che, in itinere, vengano effettuate delle verifiche di fine modulo, attraverso la somministrazione di test a risposta multipla, composti da 15 domande. i risultati vengono trascritti nel “libretto dello studente” e, se un allievo consegue un punteggio inferiore a 21, si prevedono azioni di recupero con studio individuale e di gruppo, con l’assistenza dei tutor didattici. Periodicamente vengono anche somministrati agli allievi dei questionari di gradimento su docenti, struttura formativa e stage. quest’ultima valutazione, per i ragazzi dei corsi per conduzione di navi e gestione degli apparati, viene effettuata alla fine di ogni imbarco. 1.4. L’utenza Per quanto riguarda i corsi finora partiti o per i quali sono state avviate le procedure di selezione, lo schema seguente sintetizza la situazione in merito a domande pervenute, candidati presenti alla selezione ed allievi ammessi. 41 Come già accennato, per il secondo bando sono stati messi a disposizione 30 posti, di cui 13 per macchinisti e 17 per conduzione di mezzo navale, numeri derivanti dalle effettive disponibilità di imbarco che si potevano mettere a disposizione. il numero di domande ricevuto è però cresciuto per entrambi i corsi e per la attuale selezione si è addirittura arrivate alle 250 candidature. tutto ciò senza avere fatto un’effettiva campagna pubblicitaria, a parte qualche articolo sui giornali e la pubblicazione del bando. Vi è stato un progressivo passaparola e la diffusa consapevolezza che si tratta di percorsi che portano ad una concreta occupazione. i percorsi della Fondazione hanno attratto studenti da tutta italia, prevalentemente dal sud. nella fase iniziale sono state reperite, per gli studenti fuori sede, delle case in affitto, che durante la bassa stagione non costano molto ma poi vi sono state delle difficoltà a giugno-luglio, quando i corsi erano ancora attivi. si è dunque cercata un’altra soluzione ed attualmente gli studenti sono ospitati a mezza pensione in una struttura alberghiera. La Fondazione contribuisce fino al 50% dei costi, utilizzando i finanziamenti del Fondo nazionale marittimi. (*) compresi eventuali uditori (**) è stato aperto un unico corso che dopo una fase iniziale comune si è diviso nei due corsi tradizionali (17 allievi ufficiali e 13 allievi macchinisti) Per il corso di apparati ed impianti di bordo, in relazione ai candidati non provenienti da studi nautici l’ammissione era subordinata al superamento del modulo di allineamento. 42 tale contribuito è subordinato alla regolare frequenza delle lezioni ed al merito. La sua entità dipende dal reddito isee. Gli allievi dei corsi per naviganti sono tenuti alla corresponsione di una tassa di iscrizione che per i primi due anni è stata pari a 1.000 euro complessivi e per i corsi in partenza è stata elevata a 1.800 euro. si consideri, tuttavia, che per il periodo di imbarco gli allievi prendono 1.800 euro al mese. L’its di Genova, invece, non prevede tasse di iscrizione ma decurta 300 euro al mese dallo stipendio di imbarco. Anche per gli allievi del corso di gestione dei porti è stato previsto un contributo pari a 1.000 euro, ma essi usufruiscono di una borsa lavoro di 800 euro mensili durante lo stage che nei due anni dura 8 mesi, finanziata con i fondi versati dai soci. La maggior parte dell’utenza è composta da maschi neodiplomati, anche se nella seconda annualità è aumentata l’età media a causa della presenza di adulti disoccupati alla ricerca di nuova occupazione. Gli abbandoni sono stati del tutto fisiologici e, per quanto riguarda i percorsi per “naviganti”, legati essenzialmente all’impatto negativo con il primo imbarco. La vita di bordo è molto dura e si sta per 4 mesi continuativi sulla nave, in un gruppo multirazziale, con diverse abitudini alimentari e orari di lavoro pesanti. 1.5. Altre attività della Fondazione Attualmente le attività della Fondazione Caboto sono concentrate sull’erogazione dei percorsi its, anche perché si tratta di consolidare ed ottimizzare la proposta formativa. si stanno nel frattempo sondando altri canali, quali quello della formazione continua. Vi sono dei contatti con la nuova tirrenia e si sta definendo un protocollo d’intesa con l’eni per la formazione, iniziale e continua, di marittimi. 1.6. Prospettive Come accennato in precedenza, a parte la realtà concreta dei due percorsi per personale navigante che costituiscono il punto di forza della Fondazione, si sta attualmente valutando l’opportunità di riproporre il corso per i porti turistici e/o di ampliare l’offerta formativa ad altri aspetti del settore nautico. Per rafforzare la capacità di attrazione dell’its, inoltre, in collaborazione con l’analogo its di Genova, si sta definendo un accordo con i Ministeri dell’istruzione e dei trasporti per permettere il conseguimento del patentino congiuntamente all’esame finale. Allo stato attuale, infatti, l’allievo dopo i 12 mesi d’imbarco può sostenere l’esame per il patentino in una qualunque capitaneria di porto; ciò comporta non solo il disagio di dover nei fatti ripetere due volte un esame per molti aspetti analogo, ma anche il rischio che una volta conseguito il patentino, nel caso in cui il corso non sia terminato, l’allievo interrompa la frequenza senza conseguire il diploma. 43 1.7. Punti di forza e di debolezza dell’ITS in sintesi, un punto di forza della Fondazione Caboto può essere individuato nella flessibilità gestionale e nella capacità di risolvere prontamente eventuali problematiche. Un altro aspetto qualificante è la presenza di una compagnia di navigazione effettivamente partecipe dell’attività della Fondazione e che funge da traino per le altre realtà del settore. Anche la composizione e qualificazione del gruppo di lavoro costituisce una nota positiva. È anche vero che la Fondazione opera in un settore che non ha risentito della crisi, e che, da un lato, la domanda di formazione da parte dell’utenza, in riferimento ai percorsi per personale navigante, è molto chiara e motivata; dall’altro, le compagnie marittime sono molte attente ai concetti di fidelizzazione e formazione del personale. Un punto di debolezza è costituito dalla sede attuale della Fondazione, troppo piccola, decentrata e di proprietà privata, circostanza che comporta il pagamento di un affitto mensile. tutto ciò in un contesto di risorse comunque insufficienti rispetto a quanto si vorrebbe e potrebbe fare, nonostante l’apporto dei soci fondatori, soprattutto a causa di ritardi con cui viene corrisposta la quota regionale. 2. La Fondazione ITS per la mobilità sostenibile “Giovanni Giorgi” - VERONA 2.1. Genesi dell’ITS La Fondazione its per la Logistica e sistemi e servizi per la mobilità di persone e merci di Verona nasce essenzialmente su iniziativa dell’itis Marconi, che ha riscontrato sul territorio veronese la mancanza di un livello formativo intermedio in questo settore, strategico per la città considerata la presenza dell’interporto, ed ha suscitato l’interesse di alcune imprese del settore. in particolare, la società quadrante servizi, come ha sottolineato il suo Presidente, ha inteso cogliere al volo questa opportunità, in quanto: – molto attiva nella formazione dei propri dipendenti e già coinvolta nella realizzazione di un master in logistica dell’Università di Verona “Logimaster”, che ha sede presso la struttura della società, “quadrante europa”, come d’altronde lo stesso its; – consapevole, in base alle proprie relazioni con le imprese del settore, della carenza di figure professionali intermedie. quadrante servizi si è quindi rivolta a Confindustria, già intenzionata a far parte dell’its, ed ha offerto la propria candidatura. nel giro di poco tempo, sono stati individuati i soci fondatori, che sono: – l’istituto Professionale “Giorgi”, in qualità di capofila in quanto in possesso di 44 accreditamento regionale e con alle spalle esperienza nella relazione di percorsi iFts; – l’itis Marconi; – il Liceo classico Brocchi-Bassano di Bassano del Grappa; – l’Università di Verona, con i dipartimenti di economia, che ha attivato un indirizzo in logistica, e diritto, non essendo presente nell’Ateneo la Facoltà di ingegneria; – la Provincia di Verona; – il Centro di Formazione Professionale Cnos-FAP “san zeno”; – il CFLi - Consorzio di formazione logistica intermodale, ente di formazione dell’Autorità Portuale di Venezia; – la società “quadrante servizi” che offre servizi di varia natura agli utenti dell’interporto quadrante europa; – il Consorzio zAi, che ha creato l’interporto quadrante europa; – la Confindustria di Verona. A questi, si è recentemente aggiunta la Camera di Commercio di Verona. si tratta di una rete di soggetti che non avevano avuto precedenti esperienze comuni in materia di erogazione di percorsi formativi, anche perché in precedenza non vi erano state sul territorio veronese attività formative post diploma nel settore della logistica. 2.2. Modalità di collaborazione del network ed aspetti organizzativi Undici sono i soci fondatori che hanno contribuito alla nascita dell’its versando anche un contributo economico, stabilito in 5.000 euro una tantum. quadrante servizi ha inoltre messo a disposizione le aule, mentre il Consorzio zAi gli uffici. sono presenti attualmente anche 6 soci partecipanti, a cui è chiesto di versare ogni anno 2.000 euro, fornendo anche alcuni servizi. si tratta di: – Agsm Verona, azienda multiservizi nel campo dell’energia elettrica, del gas e del riscaldamento; – Amia Verona, che gestisce i servizi di igiene pubblica nel territorio veronese; – Atv Verona, l’azienda di trasporto pubblico veronese; – Mainconsulting Rovigo, azienda di consulenza operante nel settore della logistica; – Umana, agenzia privata del lavoro; – Verona mercato, centro agroalimentare veronese. in precedenza aveva aderito anche l’aeroporto di Verona, che è uscito dal novero dei partecipanti per ragioni di bilancio. il ruolo dei soci fondatori o partecipanti è alquanto variegato: alcuni, come il CFP san zeno ed il Liceo classico Brocchi-Bassano non hanno funzioni operative, ma fanno parte del Comitato d’indirizzo; Confindustria esprime il Presidente del- 45 l’its, molto attivo nell’ambito delle relazioni con le aziende, gli istituti scolastici forniscono alcuni docenti e partecipano alle selezioni, ed in particolare l’itis Marconi fornisce le aule di informatica; il Giorgi, inoltre, in qualità di capofila gestisce i rapporti con l’Ufficio scolastico Regionale e si occupa della rendicontazione; il Presidente di quadrante servizi, silvano stellini, ha partecipato alle selezioni ed è Commissario agli esami finali. La società di selezione del personale, Umana, ha collaborato alle selezioni, ha svolto le ore di lezione sul contratto di lavoro e sulla predisposizione del curriculum ed ha aiutato l’its nella segnalazione delle esigenze di professionalità delle aziende operanti nel campo della logistica. Anche alcune aziende, formalmente non associate, partecipano alle attività dell’its, come ad esempio la Volskwagen, il cui responsabile della logistica è nel Cts ed ogni anno realizza 20 ore di formazione e la nagel, il cui rappresentante è anch’esso presente nel Cts, che mette a disposizione ore per la formazione e le visite guidate. Le relazioni tra i diversi componenti dell’its sono considerate positivamente dagli intervistati, anche se si sottolinea che il rapporto tra soggetti pubblici e soggetti privati è molto complesso ed è necessario saper coniugare questi due aspetti. in particolare si accenna al fatto che le istituzioni scolastiche, e in particolare la scuola capofila, si caratterizzano per una maggiore attenzione alla normativa ed in generale agli aspetti formali, mentre sul lato imprenditoriale si vorrebbero raggiungere gli obiettivi prefissati in tempi brevi. si sottolinea come le aziende membri dell’its siano molto disponibili ed attive. in particolare tramite finanziamenti aggiuntivi, resi disponibili da alcune di esse, unitamente ad un contributo di un parlamentare europeo di origini veronese è stato possibile realizzare una visita di studio al porto di Amburgo e alle strutture dell’Unione europea di Bruxelles. 2.3. L’offerta formativa L’its di Verona ha attivato finora due percorsi biennali, relativi a una medesima figura professionale, quella di tecnico superiore dei trasporti e dell’intermodalità. La figura professionale da formare è stata individuata in maniera congiunta dai vari soggetti partecipanti, delegando al Cts il compito di raccogliere le istanze delle diverse aziende del settore. si è scelto di proporre una figura trasversale, occupabile in vari ambiti della logistica e dell’intermodalità. La progettazione didattica del percorso è stata affidata al CFLi, in quanto ente con esperienza pregressa nella formazione nel settore della logistica. operativamente, si è proceduto individuando un esperto di riferimento per ciascuna delle tre macro aree di contenuto, in cui si è inteso articolare il percorso didattico: area generale logistica d’impresa, area magazzino e area trasporti e intermodalità. nel complesso, il percorso formativo propone nel biennio 1.891 ore di formazione di cui 900 di stage, suddivise equamente tra il primo e il secondo anno di 46 corso. non sono previste ore di laboratorio, se non per l’informatica, ma sono usate metodologie attive, quali il lavoro di gruppo e l’elaborazione di project work per la logistica di magazzino. non è previsto uno specifico modulo di orientamento per gli iscritti, né di accompagnamento al lavoro, anche se tali attività vengono svolte in maniera informale. sono state, invece, effettuate delle giornate informative sull’offerta its sia presso le scuole, sia presso la sede della Fondazione. non sono stati realizzati moduli di riallineamento, anche se ne è stata rilevata la necessità in relazione alle lingue straniere. invece, per quanto riguarda gli argomenti tecnici, al momento, non c’è stato bisogno in quanto: – i primi diplomati del nuovo percorso trasporti e logistica dell’istituto tecnico “Marconi” usciranno solo tra due anni e, quindi, finora tutti i neodiplomati non possedevano competenze/conoscenze pregresse sugli argomenti trattati; – la presenza di persone occupate, o che nel passato avevano svolto un’occupazione nel settore della logistica, è stata del tutto marginale. infine, pur non essendo previsto un dispositivo di riconoscimento dei crediti in entrata, nel caso di uno studente già occupato, in itinere, a seguito di verifica delle competenze, gli sono stati riconosciuti dei crediti che hanno permesso una riduzione del monte ore individuale. Riguardo alle caratteristiche del personale docente, sussiste un’equa ripartizione tra professionisti provenienti dal mondo dell’impresa e docenti provenienti dal mondo della scuola e dell’università, con conseguenti positive contaminazioni tra le due diverse componenti dello stesso corpo docente. La valutazione degli allievi del primo anno è avvenuta attraverso due test a risposta multipla che comprendevano tutte le materie svolte sino al momento delle verifiche intermedie, alla cui elaborazione tutti i docenti hanno contribuito, formulando tre domande per ogni 4 ore di docenza. Per alcune materie, su iniziativa personale del singolo docente, agli allievi era già stato somministrato un test di fine modulo al solo scopo di verificare i rispettivi livelli di apprendimento, senza alcuna finalità valutativa. Come prove finali, infine, gli allievi hanno dovuto sviluppare un elaborato interdisciplinare, che verteva sul programma di studi del primo semestre e presentare una tesina sull’esperienza di stage redatta secondo criteri definiti dalla direzione del corso. Periodicamente, (ogni due o tre mesi) i docenti e la stessa organizzazione del corso sono oggetto di valutazione da parte degli allievi. 2.4. L’utenza Gli allievi del corso sono stati selezionati da una commissione composta da un rappresentante della scuola, da uno dell’impresa e da uno dell’università e da un esperto in selezione delle risorse umane. 47 Caratteristiche dell’utenza dei corsi della Fondazione ITS “G. Giorgi” (*) (*) dati al 31 dicembre 2012 Fonte: monitoraggio indire Le prove da sostenere sono consistite in un test di lingua inglese, un test di informatica e cultura tecnologica e da un colloquio motivazionale, come previsto dalla normativa. i contenuti dei test sono stati revisionati e resi di anno in anno più strutturati. Ad esempio, in occasione della prima selezione le domande sulla logistica erano aperte e generiche, nella seconda tratte dal dizionario sulla logistica, mentre quest’anno sono state desunte da un testo di logistica. Analogamente anche per l’inglese e l’informatica sono stati fissati dei requisiti di base quali ad esempio una conoscenza della lingua equivalente al livello B1 del quadro di Riferimento europeo delle Lingue o il possesso dell’eCDL. i percorsi di studio da cui provengono i corsisti sono alquanto differenziati, ma ciò non influisce sui livelli di preparazione e di profitto, in quanto nessuno di loro proviene da un corso specifico sulla logistica (di recente istituzione a livello di scuola secondaria di ii grado). si tratta di un’utenza prevalentemente maschile e nel complesso motivata e partecipe. il numero ridotto di abbandoni che si è verificato (4 allievi della prima edizione, al momento dell’intervista) è imputabile sempre a impedimenti oggettivi, che esulano dalla scarsa motivazione o dalla mancanza di interesse per l’ambito disciplinare. nello schema seguente sono sintetizzate le principali caratteristiche degli iscritti ai due corsi finora attivati. 48 2.5. Altre attività della Fondazione Gli sforzi della Fondazione al momento sono centrati sulle attività formative che conducono al diploma its. non sono state pertanto avviate azioni di altro tipo rivolte al complesso degli attori del territorio, quali ad esempio collaborazioni con università o altre scuole, collegamenti tra ricerca scientifica, formazione e mondo delle imprese, riqualificazione del personale, ecc. 2.6. Prospettive La Fondazione intende adoperarsi nel prossimo futuro per accreditarsi nel panorama dell’offerta tecnica superiore nazionale come “il” polo della logistica, forte della vocazione del territorio e del retroterra produttivo e professionale su cui l’offerta formativa può innestarsi sinergicamente, acquisendo risorse ed expertise e formando profili professionali in grado di assecondare nel tempo esigenze e aspettative imprenditoriali. il posizionamento della Fondazione è altresì condizionato dalla costituzione di un Polo tecnico professionale tra l’istituto Professionale Giorgi, capofila della Fondazione stessa, e l’istituto tecnico Marconi che vi partecipa in qualità di socio fondatore (la cui creazione dipenderà dal superamento di vincoli amministrativi). L’amministrazione regionale intende far convergere questi due istituti, essendo nell’ambito veronese quelli che hanno maggiori continuità a livello di percorsi di studio erogati, in un Polo tecnico professionale, integrato, efficiente e performante rispetto alle aspettative del tessuto produttivo locale. Con particolare riferimento alla logistica avendo l’istituto Marconi attivato un indirizzo di istruzione secondaria di ii grado in tale ambito e avendo richiesto l’istituto Giorgi l’attivazione di un percorso per operatore della logistica l’intera filiera formativa di settore, compreso il segmento della formazione superiore, verrebbe costruita sulla base di direttive condivise. 2.7. Punti di forza e di debolezza dell’ITS il sistema di relazioni instaurato nell’ambito del partenariato che ha costituito la Fondazione è positivo. tuttavia, sussistono ancora dei margini di miglioramento da conseguire nella divisione dei ruoli e nella messa a comune delle risorse, al fine di garantire una piena partecipazione di tutta la compagine. Ciò comporterebbe una riflessione interna per rivedere alcune decisioni iniziali, dettate dalla necessità di trovare una soluzione ai problemi legati all’avvio dei corsi, o, addirittura, una ricollocazione di alcuni degli enti, poiché una loro maggiore continuità territoriale ottimizzerebbe l’utilizzo comune di risorse, attrezzature e laboratori. 49 C) GLI ITS DELL’AREA DELLE TECNOLOGIE DELLA INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE 1. La Fondazione ITS per le tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione e le Industrie Culturali “FITSTIC” - CESENA 1.1. Genesi dell’ITS La Fondazione FITSTIC - ITS per le Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione e le Industrie Culturali intende venire incontro alle istanze formative e occupazionali espresse dal territorio dell’Emilia Romagna, sia dando attuazione al disegno ministeriale di riordino del sistema di istruzione terziaria non universitaria, sia come nodo della Rete Politecnica Regionale. Pertanto al pari delle altre la Fondazione ha una collocazione provinciale, ma opera secondo una logica regionale, poiché ciascun its deve saper rispondere alle esigenze delle persone e ai fabbisogni formativi di tutte le imprese del territorio regionale e deve collaborare con tutte le Fondazioni della rete, mettendo a disposizione eccellenze, esperienze e competenze. Viene fondata nel 2010 su iniziativa di un nucleo forte di operatori – scuole, enti di Formazione e aziende del settore della grafica – legati tra di loro da relazioni consolidate e con esperienza oramai decennale sul segmento dell’offerta di istruzione e Formazione tecnica superiore. La collocazione della Fondazione a Cesena è diretta conseguenza delle direttive regionali che con l’obiettivo di razionalizzare l’offerta di istruzione tecnica superiore hanno attribuito a ciascuna Provincia una competenza settoriale. Alla Provincia di Forlì - Cesena è stata attribuita competenza settoriale nell’ambito dell’information technology e della Comunicazione. Date queste premesse l’istituto capofila doveva necessariamente essere individuato sul territorio. Al momento dell’adesione i soci fondatori hanno costituito un fondo di dotazione del complessivo valore di €85.000,00, versando quote differenziate, ad esempio: AeCA €40.000,00, le aziende dai €3.000,00 ai €4.000,00, altri enti hanno offerto contributi in natura. nel corso del 2013 è stato approvato il regolamento della Fondazione, che stabilisce in modo definitivo le caratteristiche proprie dei soci fondatori e le rispettive quote di partecipazione. Al momento è previsto solo lo status di soci fondatori e non anche quello di membri associati. nel breve periodo il partenariato della Fondazione è destinato ad ampliarsi con l’ingresso di nuovi soci, in conseguenza anche delle indicazioni regionali di allargare il proprio spettro di azione non limitandosi al solo settore dell’information technology, ma comprendendo anche quello delle industrie creative. Per questa ragione, già a partire dal corrente anno scolastico 2013-2014, è stato attivato a Faenza il corso di tecnico superiore per la progettazione e prototipazione di manufatti ceramici. 50 La Rete politecnica dell’Emilia Romagna La Regione emilia-Romagna ha istituito con la delibera di GR n. 775 del 9 giugno 2011 la Rete politecnica regionale, che raccorda, rafforza e amplia l’offerta regionale di formazione superiore. obiettivo della Rete è offrire una pluralità di proposte formative fondate sulla valorizzazione della cultura professionale, tecnica, tecnologica e scientifica. Caratteristica dei percorsi che la costituiscono è l’integrazione tra i diversi soggetti formativi – istituzioni scolastiche, enti di Formazione Professionale accreditati dalla Regione, università, centri di ricerca – e le imprese, impegnati a collaborare sulla base delle proprie esperienze e competenze alla progettazione e alla realizzazione delle attività. L’offerta della Rete politecnica – programmata dalla Regione emilia-Romagna attraverso risorse comunitarie del Fondo sociale europeo, nazionali e regionali – è costituita da tre tipologie di percorsi: – percorsi realizzati da istituti tecnici superiori (its); – percorsi di istruzione e Formazione tecnica superiore (iFts); – percorsi di Formazione superiore. La Rete Politecnica costituisce uno dei segmenti di eR educazione e Ricerca emilia-Romagna, il nuovo sistema regionale – costituito da 4 rami principali, ieFP, Rete politecnica, Alta formazione, Ricerca e Mobilità internazionale, Lavoro e Competenze – che offre alle persone (dai ragazzi impegnati nell’assolvimento del diritto-dovere all’istruzione e formazione ai dottori di ricerca, dai giovani in ingresso nel mercato del lavoro, agli occupati) opportunità per acquisire competenze professionali ampie e innovative, esprimere potenzialità, intelligenza, creatività e talento e crescere in una dimensione europea, nel confronto e nel dialogo con esperienze maturate altrove. 1.2. Modalità di collaborazione del network ed aspetti organizzativi La compagine dei soci della Fondazione è costituita da istituzioni scolastiche, enti di Formazione e di ricerca, imprese e istituzioni. – istituto tecnico tecnologico statale “Blaise Pascal”, Cesena; – AeCA Associazione emiliano-Romagnola di Centri Autonomi di Formazione Professionale, Bologna; – Provincia di Forlì-Cesena; – Compositori industrie Grafiche, Bologna; – Chialab, Bologna; – Associazione Poligrafici Modenesi; – isiA istituto superiore per le industrie Artistiche, Faenza; – isRe istituto superiore internazionale salesiano di Ricerca educativa, Mestre (Ve); – nuova saltemi, Bertinoro (FC). 51 L’organigramma della Fondazione è articolato su figure e organi previsti dallo statuto. il presidente è espresso dalla Provincia di Forlì-Cesena; sono organi di indirizzo e gestione il Consiglio di indirizzo, la Giunta esecutiva e, infine, il Comitato tecnico scientifico, i cui componenti sono espressi dai soci fondatori. L’organizzazione e gestione dei corsi è affidata a tre figure fondamentali quali, un responsabile didattico con compiti di coordinamento, detto coordinatore didattico, il tutor d’aula e il tutor d’impresa. il primo ruolo è svolto da un docente della scuola di Cesena, il secondo da una risorsa proveniente dal mondo imprenditoriale, al momento dell’intervista, individuabile in un’imprenditrice coinvolta, sia nelle docenze, sia nell’organizzazione degli stage. 1.3. L’offerta formativa 1.3.1. I Percorsi attivati Le proposte operative della Fondazione FitstiC consistono nell’erogazione di due corsi di tecnico superiore, rispettivamente per l’organizzazione e la fruizione dell’informazione e della conoscenza, con sede a Cesena e per la progettazione e prototipazione di manufatti ceramici, con sede a Faenza. il primo profilo, che costituisce l’oggetto di analisi del presente studio di caso, definisce e gestisce le diverse fasi della produzione grafica e multimediale. È in grado di intervenire nella progettazione, gestione e coordinamento del processo produttivo; nel dimensionamento e allocazione delle risorse; nella scelta delle tecnologie e degli strumenti adatti a veicolare i contenuti informativi e comunicativi rispondenti alle esigenze del cliente. La declinazione di tale profilo nasce da un’analisi congiunta, sia dei fabbisogni delle imprese di settore, sia dell’offerta tecnica superiore esistente. il settore produttivo in questione è, infatti, molto vasto, comprendendo i comparti della grafica, della comunicazione e dell’informazione. A sua volta, il comparto grafico è suddivisibile in grafica tradizionale (prodotti cartacei e stampati) e non tradizionale (web e applicazioni web). L’analisi ha evidenziato come sul campo esistessero tecnici esperti su alcuni ambiti, ma fossero assenti figure in grado di avere consapevolezza del complessivo processo di lavoro, di dialogare con il cliente, di presiedere allo sviluppo dell’intera commessa e di avere una visione congiunta, sia degli aspetti grafico/creativi, sia di quelli informatici. il percorso formativo intende pertanto fornire oltre alle competenze tecniche anche quelle trasversali e di processo. in aggiunta ai moduli tecnici, che sono la parte preponderante del programma formativo, sono erogati anche moduli su tematiche più trasversali quali, l’ambito giuridico e organizzativo, il marketing, il project management e il team building. La figura che viene formata è dunque versatile e impiegabile anche in imprese diverse da quelle grafiche, ma che necessitano di competenze negli ambiti della comunicazione e del marketing. 52 Presso la scuola è attivo un laboratorio di grafica finanziato dalla Provincia, dove sulle macchine sono stati installati specifici software grafici. Al momento dell’intervista vi era la probabilità che un secondo laboratorio potesse essere allestito per il nuovo anno scolastico, sempre presso la scuola ma con hardware Mac, più adatto per gli applicativi di grafica. il monte ore complessivo di formazione è pari a 1800 ore di cui il 30% da svolgere in stage presso aziende del settore. i candidati per essere ammessi devono superare tre prove di selezione, consistenti in un test di inglese e di informatica, in una prova tecnica e tecnologica e in un colloquio orale. È previsto, inoltre, un orario flessibile al fine di permettere la frequenza del corso da parte di allievi residenti nelle Province della Regione più lontane dalla sede di erogazione del corso. Coloro per i quali si registrano percentuali di frequenza inferiori all’80% non sono ammessi all’esame finale. Con particolare riferimento allo stage, la sua durata è pari a 630 ore, articolate in due blocchi di 315 per ciascuna delle due annualità. Le relazioni con le aziende che ospitano stagisti nel complesso sono positive e il tasso di insuccesso degli stage resta entro valori fisiologici, conseguenza sia di comportamenti scorretti delle aziende sia di atteggiamenti o incompatibilità manifestati dagli stessi stagisti. il collocamento in azienda non è risultato fino ad ora un processo di difficile attuazione, grazie all’interesse manifestato sul fronte aziendale e, in particolare, dalle imprese che fanno parte della compagine fondazionale. talvolta sono gli stessi allievi, quelli più intraprendenti, che si attivano contattando una serie di aziende, che vengono comunque passate al vaglio della direzione del corso prima di essere scelte come futura sede di stage. quest’ultimo è diversamente modulato: al primo anno assume una connotazione più esplorativa, al fine di permettere agli allievi di acquisire consapevolezza di cosa sia un luogo di lavoro, a cui la maggior parte accede per la prima volta. Al tutor viene dunque affidato il compito di incrociare le caratteristiche dell’azienda con le attitudini e propensioni personali dell’allievo, così da costruire insieme un progetto di stage, che di solito è sviluppato nel secondo anno e non necessariamente nella stessa azienda. 1.3.2. Il sistema di monitoraggio e valutazione È l’articolazione del Piano didattico che informa il sistema di valutazione. il piano si compone, infatti, di Unità Formative e per ciascuna di esse sono definiti competenze e indicatori per valutazione e modalità di valutazione. È a discrezione del docente sottoporre gli allievi durante il percorso formativo a delle verifiche, che possono essere individuali o di gruppo nella forma di project work. L’esito delle verifiche intermedie determina l’ammissione o meno all’esame finale, con la possibilità di recuperare per coloro che sono temporaneamente giudicati inidonei. L’erogazione delle Unità Formative non avviene per blocchi omogenei, ma in forma integrata. si ritiene, infatti, che l’approccio interdisciplinare sia più conforme 53 all’impostazione professionale e non scolastica che si è inteso dare al corso. i ritmi, al pari di un ambiente di lavoro, sono incalzanti, con l’intento di rammentare continuamente agli allievi che stanno vivendo un momento fondamentale di formazione e crescita professionale, per il quale essi stessi si sono volontariamente candidati al pari di altri che, invece, sono rimasti fuori senza poter usufruire di una simile opportunità. 1.3.3. Caratteristiche della docenza il corpo docente è costituito per il 67% da esperti/professionisti provenienti dal mondo del lavoro, mentre la rimanente parte dei docenti si distribuisce equamente tra scuola, università e formazione. Rispetto ai requisiti minimi ministeriali, che prevedono che il 50% del corpo docente provenga dal mondo della scuola/formazione e l’altro 50% dal mondo del lavoro, il corso si caratterizza per una preponderanza di formatori provenienti/appartenenti a questo secondo gruppo, nella convinzione che tale surplus costituisca un “valore aggiunto” a garanzia della qualità dello stesso corso. infatti, secondo gli intervistati, i docenti provenienti dalla scuola tendono a riprodurre un approccio trasmissivo docente-allievo, giudicato meno stimolante dagli stessi allievi, se confrontato con l’approccio più “empirico” degli esperti provenienti dal mondo del lavoro. nonostante ciò, tutti i membri del corpo docente sono stati sempre all’altezza del ruolo loro affidato. Gli avvicendamenti avvenuti nel corso del tempo sono sempre imputabili a ragioni organizzative o personali, ma mai a problematiche legate alla didattica o all’interazione con gli allievi. 1.4. L’utenza Gli iscritti al corso sono in prevalenza (60,0% del totale) di sesso maschile, l’età media oscilla tra i 22 (nel primo biennio) e i 23 anni (nel secondo biennio). nel primo biennio gli allievi selezionati avevano una formazione più omogenea rispetto a quelli del secondo, in quanto provenivano prevalentemente da istituti tecnici a indirizzo grafico o informatico. Mediamente si presenta alle selezioni un numero di candidati superiore a trenta e ne sono ammessi fino a 25 (il numero minimo per l’attivazione del corso è pari a 20 iscritti). Le modalità di selezione sono le stesse delle altre fondazioni dell’emilia Romagna. oltre alle prove illustrate precedentemente, vengono valutati i curricula dei candidati e le relative esperienze, a cui è attribuito un punteggio. il corso è gratuito, ma già in fase di orientamento agli allievi è spiegato che la gratuità deve essere considerata solo come un’opportunità e non come sinonimo di disimpegno o di scarsa qualità della formazione. infatti, il costo pro capite, sostenuto dalla collettività per ogni allievo, oscilla tra i 7.000,00 e gli 8.000,00 euro, equivalente cioè alla spesa che gli stessi allievi avrebbero sostenuto per l’iscrizione a un master. Al primo anno i docenti lavorano per favorire un livellamento delle competenze tra gli allievi, al fine di creare un gruppo classe omogeneo. Le competenze linguistiche costituiscono una criticità. i risultati delle prove di lingua somministrate per le 54 selezioni, seppure tarate sul livello B1 e non B2 (che dovrebbe essere il livello di uscita dalle scuole superiori) del Quadro Europeo di Riferimento per la Conoscenza delle Lingue indicano una preparazione linguistica tendenzialmente deficitaria. Al primo anno del primo biennio si sono verificati 5 ritiri (su 25 partecipanti) per ragioni di lavoro o personali. All’avvio del secondo corso, invece, i ritiri che hanno avuto luogo subito dopo l’avvio, sono stati reintegrati con dei subentri da parte di candidati ritenuti idonei, ma non inseriti in prima battuta. Con riferimento agli esiti finali del corso del primo biennio, tutti gli allievi hanno superato l’esame finale, avendo espletato con successo tutte e tre le prove previste: teorico-pratica, inVALsi e colloquio orale. La votazione media è stata pari a 85/100. Al riguardo si lamenta la rigidità e talvolta la contraddittorietà del Decreto Ministeriale che disciplina lo svolgimento dell’esame finale. in particolare, il vincolo che tutte le prove debbano essere superate positivamente, pena la bocciatura, senza contemplare la possibilità di una media dei voti e l’assenza di meccanismi di premialità, senza i quali è pressoché impossibile conseguire la massima votazione. 1.5. Altre attività della Fondazione e prospettive future La Fondazione è parte della Rete Politecnica dell’emilia Romagna che riunisce tutte le Fondazioni della Regione e attraverso la quale sono stati formalizzati canali di collaborazione e messe a regime pratiche di lavoro comuni. Collabora con altre Fondazioni (Milano, torino e Piacenza); non è coinvolta nello sviluppo di un Polo tecnico Professionale. sul piano delle intenzioni aspira ad esplorare l’ambito della ricerca, facendo rete con imprese e enti di ricerca e sfruttando le opportunità offerte dai fondi comunitari. Ciò, al fine di far crescere sul territorio locale, composto da piccole e medie imprese, una cultura della ricerca scientifica e dell’innovazione. L’esperienza dell’its sino ad ora è giudicata sostanzialmente positiva. Punto di forza di tale esperienza è senz’altro la contiguità con il mondo del lavoro, resa possibile dalla rete aziendale, di cui la Fondazione è parte, e dal coinvolgimento nelle attività di docenza di operatori ed esperti del settore. Punti di debolezza sono individuati nell’impossibilità di erogare un sostegno economico agli allievi in difficolta e di organizzare, come completamento del percorso formativo, un periodo di studio e lavoro all’estero. 2. La Fondazione ITS per le Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione “Angelo Rizzoli” - MILANO 2.1. Genesi dell’ITS La costituzione della Fondazione istituto tecnico superiore Angelo Rizzoli per le tecnologie dell’informazione e della Comunicazione rappresenta la formalizzazione di un sistema di relazioni e di un percorso di integrazione che nel lungo pe- 55 riodo ha accomunato tutti gli enti fondatori. infatti, essa nasce dall’esperienza dell’ex Polo Formativo Grafico, un network di scuole di formazione, aziende, associazioni di rappresentanza, enti di ricerca, Università e agenzie del lavoro del settore grafico o afferenti ad esso, che ha promosso, negli ultimi anni, corsi di specializzazione post-diploma. L’origine del Polo Formativo grafico risale al 2006. nel 2007 furono erogati i primi (due) corsi di istruzione e Formazione tecnica superiore, al fine di offrire agli studenti in uscita del ciclo secondario di ii grado una formazione alternativa a quella universitaria e quindi più breve, tecnica e specialistica. esso scaturisce dalla stretta collaborazione tra le diverse scuole di grafica del territorio (istituto tecnico industriale Pavoniano Artigianelli, istituto tecnico industriale “Don Bosco”, Fondazione Rizzoli, Associazione Padre Monti, Cnos-FAP, A.F.G.P. Piamarta), tutte realtà comprese tra gli undici soci fondatori della stessa Fondazione. Ad essa hanno aderito altri sette organismi, con cui le scuole nel loro insieme o singolarmente avevano costruito una rete di relazioni: un’impresa del settore grafico, un ente locale, un Comitato territoriale per l’istruzione Professionale grafica, un’Associazione di imprese del settore grafico e un’Università, come risulta dall’elenco sottostante: – istituto tecnico industriale Pavoniano Artigianelli indirizzo Grafica e Comunicazione (istituto di istruzione secondaria superiore, paritario); – Fondazione istituto Rizzoli per l’insegnamento delle Arti grafiche (struttura formativa accreditata presso la Regione Lombardia); – Fontegrafica sRL (impresa del settore Grafico); – Università Carlo Cattaneo - LiUC (Dipartimento universitario); – Comune di saronno (ente locale); – GCt - Unione industriali Grafici Cartotecnici trasformatori Carta e Affini della Provincia di Milano (Associazione di imprese Grafiche); – Comitato Provinciale per L’istruzione Professionale Grafica - Milano (Comitato territoriale dell’ente nazionale istruzione Professionale Grafica); – istituto tecnico industriale “Don Bosco” indirizzo Grafica e Comunicazione (istituto di istruzione secondaria superiore, paritario); – Associazione Cnos-FAP Regione Lombardia (struttura formativa accreditata presso la Regione Lombardia); – Associazione Padre Monti Centro Polifunzionale servizi educativi e Formativi - saronno (struttura formativa accreditata presso la Regione Lombardia); – A.F.G.P. Associazione Formazione Giovanni Piamarta (struttura formativa accreditata presso la Regione Lombardia). 2.2. Modalità di collaborazione del network e aspetti organizzativi La governance della Fondazione, oltre all’organo di Presidenza (espresso dall’istituto tecnico industriale Pavoniano Artigianelli), assistito nelle sue funzioni da un Coordinatore Generale e da un Responsabile amministrativo, è assicurata da al- 56 cuni organismi collegiali, quali la Giunta esecutiva, il Consiglio di indirizzo e il Comitato tecnico scientifico. essa è il risultato di un percorso più complesso rispetto a quello del Polo che raggruppava soggetti tra di loro omogenei e con analoghe finalità (le scuole di grafica). La presenza di una compagine composita ha reso più difficile una distribuzione dei compiti e incarichi che fosse bilanciata e funzionale all’avvio e alla gestione delle attività della Fondazione. All’interno del Comitato tecnico scientifico, infine, è stato costituito un gruppo operativo ristretto con funzioni propositive. Le istanze presentate di fronte al Comitato riunito in plenaria vengono da quest’ultimo esaminate e approvate o meno. Attualmente, agli undici soci fondatori se ne sono aggiunti atri due, Assolombarda e Politecnico di Milano, che di loro iniziativa hanno chiesto di aderire. L’allargamento del partenariato fondazionale ha portato con sé un ampliamento della relativa offerta formativa per l’annualità 2013-2014, a seguito dell’attivazione di due corsi affini a quello già erogato e promossi dai due nuovi soci. La gestione delle attività di istruzione e Formazione della Fondazione è assicurata, infine, dall’azione di 3 organi, che sono rispettivamente: – il Coordinamento delle attività di Formazione Continua e servizi per le imprese; – il Direttore del corso its; – il Coordinamento didattico e tutoring del corso its. i soci fondatori hanno contribuito in misura diversa alla costituzione della Fondazione. Ad esempio, le scuole, il Comune di saronno e l’Università Carlo Cattaneo - LiUC hanno erogato un finanziamento di €3.000,00, mentre la Fondazione Rizzoli ha stanziato €120.000,00. Agli altri soci che partecipano non è stato richiesto alcun tipo di contributo, al di fuori della loro partecipazione al Cts e dell’impegno, nel caso delle aziende, di ospitare in stage gli allievi. il contributo dei nuovi soci sarà proporzionato a quello offerto dai soci fondatori, comprendendo anche l’offerta di beni in natura, quali ad esempio docenze o dotazioni strumentali. 2.3. L’offerta formativa obiettivi e contenuti del corso erano già definiti in partenza. La sua attivazione è stata, infatti, l’evoluzione del percorso d’istruzione e Formazione tecnica superiore precedentemente erogato dalla scuole di grafica nell’ambito del succitato Polo. L’articolato sistema di relazioni di quest’ultime con le aziende del settore, molte delle quali hanno ospitato e ospitano gli allievi nei loro periodi di stage, ha invece garantito agli enti formativi una posizione di osservatorio rispetto al mercato e alle sue dinamiche. Ciononostante, in fase di progettazione formativa, è stata realizzata un’indagine presso le aziende attraverso la somministrazione di un questionario finalizzato a raccoglierne i relativi fabbisogni formativi. il percorso biennale sviluppa un monte complessivo di 2.000 ore, ovvero 1.000 ore per ogni annualità, di cui 620 in aula e 380 in stage. È stato allestito un labora- 57 torio di informatica, mentre sono stati resi accessibili agli allievi del corso quelli per la stampa e la rilegatoria già in dotazione alle scuole di grafica. Con riferimento alla formazione in aula, la distinzione tra ore di formazione frontale e ore di laboratorio risulta alquanto sfumata, giacché gli allievi sono individualmente dotati di computer portatile al primo anno e di computer Mac e ipad al secondo, strumenti che sono loro essenziali per svolgere le attività d’aula, o sviluppare i progetti che (soprattutto al secondo anno) sono loro affidati, quali ad esempio, la realizzazione di un sito web, oppure di una “App”. Per gli studenti del primo anno lo stage è avvenuto al termine della formazione in aula. Diversamente per quelli del secondo anno è avvenuto in alternanza, secondo la formula “3 giorni in azienda e 2 a scuola”. tale scelta, adottata per garantire un costante supporto agli allievi nella preparazione di progetto e test di fine corso, si è rivelata alquanto complessa da gestire. infatti, essa richiede un’assidua presenza dei tutor, chiamati a garantire un corretto funzionamento dell’alternanza tra scuola e aziende, mentre queste ultime hanno lamentato la necessità di una maggiore continuità presso di esse degli allievi, a cui affidano lo sviluppo di alcuni progetti. Pertanto, per l’anno 2013-2014 gli stage avverranno sia al primo anno, sia al secondo in continuità. Prima saranno collocati in stage gli allievi del primo anno e poi, al termine del primo semestre, quelli del secondo, accrescendo in questo modo la loro complessiva presenza nelle stesse aziende. La collocazione aziendale degli allievi è avvenuta a seguito di un attento esame dei livelli di compatibilità tra le attese delle singole aziende e i profili degli allievi, al fine di garantire una loro positiva integrazione per tutto il biennio. i risultati conseguiti, secondo gli intervistati, hanno ripagato questo sforzo iniziale e sono la prova di quanto sia importante il ruolo di accompagnamento dei tutor, non solo per l’inserimento degli allievi in azienda ma anche per la messa a punto del loro progetto di stage, da condividersi necessariamente con la parte aziendale. il corpo docente del corso è composto da formatori esperti provenienti dal mondo delle scuole grafiche, dell’Università e delle aziende del settore, in grado di garantire un mix bilanciato sotto il profilo dei contenuti pedagogici, tecnici e applicativi. La componente proveniente dal mondo del lavoro è comunque maggioritaria ed è stata progressivamente ampliata, come del resto quella accademica. nelle precedenti annualità sono stati previsti moduli di riallineamento, con sostenimento di esame in itinere, nelle competenze di lingua inglese e grafiche per i candidati ammessi con debiti formativi. È stato attivato inoltre un corso propedeutico per il conseguimento dell’eCDL. Per l’anno 2013-2014 è stato adottato un diverso approccio per il riallineamento delle competenze. infatti, il corso propedeutico che gli allievi dovranno seguire verterà sulle competenze grafiche, più difficili da acquisire per coloro che non provengono da percorsi di studio con indirizzo grafico, mentre i moduli di riallineamento (con sostenimento di esami in itinere da parte degli allievi con debiti formativi) riguarderanno ancora la lingua inglese e, per la prima volta, l’informatica (eCDL). 58 Da un’annualità all’altra il programma dei corsi è sottoposto a una continua riprogettazione, a causa del marcato dinamismo del settore e della continua evoluzione delle tecnologie impiegate. non per caso, ma per scelta, per la prima edizione del corso è stato deciso di progettare nel dettaglio solo la prima annualità e di tracciare a grandi linee il programma del secondo. Per l’avvio dell’anno formativo 2013-2014, invece, è in atto un complessivo ripensamento dello stesso corso, nella convinzione che sia necessario potenziare ancora di più la formazione in ambito web. il mercato della stampa tradizionale è in forte contrazione e le aziende sono in difficoltà. Per questa ragione si è ritenuto opportuno operare una variazione nel sistema di relazioni della Fondazione, andando oltre i contatti con quelle che operano nella grafica tradizionale, in favore di agenzie di progettazione, delle cosiddette web agency, ovvero di quei soggetti verso i quali si sta spostando la comunicazione. Da qui è sorta la necessità di declinare nuovamente il programma formativo, di bilanciare la composizione delle competenze in funzione dell’importanza dei diversi canali informativi (stampa tradizionale, web, mobile), ridefinendo il profilo di una figura professionale innovativa, in origine non del tutto compresa dalle stesse aziende per le quali è stata pensata. La valutazione degli apprendimenti ricalca le procedure impiegate in ambito universitario. il percorso di studi è articolato in unità formative cui corrispondono degli esami scritti o orali e delle valutazioni finali espresse in trentesimi. se le materie hanno contenuto eminentemente applicativo, l’esame consiste nella presentazione e discussione di un progetto (soprattutto al secondo anno, essendo gli insegnamenti del primo in gran parte teorici). Diversamente dal primo biennio, in cui le unità formative erano scomposte in sotto unità, la cui valutazione spettava ai docenti di riferimento, per il secondo è stato attuato un processo di semplificazione, che prevede che il docente responsabile della complessiva unità formativa sia altresì responsabile della valutazione finale dei singoli agli allievi. se un allievo non supera l’esame relativo a un’unità formativa, non avrà indicate le competenze che afferiscono a tale unità nel suo attestato al termine dell’annualità. in sede di scrutinio di ammissione all’esame finale saranno i docenti a deciderne l’ammissione, in base alle valutazioni riportate, all’esame di fine anno. infine, in sede di scrutinio biennale viene analizzato l’intero percorso di ciascun allievo e, in funzione dei debiti conseguiti, viene decisa la sua ammissione o meno all’esame di fine corso. Anche i docenti sono sottoposti alla valutazione dei loro allievi ogni sei mesi. tale pratica al momento ha determinato la sostituzione di un paio di docenti, completamente disallineati rispetto agli obiettivi didattici oppure il riposizionamento di altri nei confronti dell’utenza, in massima parte composta da neo-diplomati, in quanto abituati a interagire con studenti universitari. i tutor hanno svolto un ruolo di mediazione importante per il raggiungimento di una sintonia nel rapporto docente-discente, dovendo loro, proprio per questa ragione, presenziare alle prime lezioni dei nuovi. 59 Caratteristiche dell’utenza dei corsi della Fondazione ITS “Rizzoli” (*) (*) dati al 15 Aprile 2013 Fonte: rilevazione Censis 2.4. L’utenza Due terzi dell’utenza è costituita da allievi, in prevalenza di sesso maschile, provenienti dalle scuole di grafica, che hanno dato origine alla Fondazione, ovvero da quella stessa tipologia di utenza per la quale, attraverso la costituzione della Fondazione, si intendeva ampliare le opportunità di Formazione superiore. Ciò ha garantito competenze in ingresso mediamente alte ed elevati livelli di motivazione tra i candidati selezionati. La loro selezione ha avuto luogo attraverso un test di valutazione delle competenze tecnologiche in campo grafico e informatico, seguito da un colloquio motivazionale. L’utenza è molto giovane e l’età media è intorno ai venti anni. sino ad ora le candidature di soggetti anagraficamente più anziani hanno rappresentato episodi eccezionali. Gli abbandoni che si sono verificati al primo anno della prima edizione del corso (4 su 21 iscritti) sono avvenuti per ragioni perlopiù attinenti alla sfera emotivo- motivazionale. nel corso della seconda edizione del corso viene, invece, segnalata la presenza solo di allievi a rischio di abbandono, per i quali sono in previsione delle azioni di sostegno, ancora una volta, mirate a innalzare livelli di motivazione e autostima. il bacino di utenza per quanto qualificato si è però rivelato limitato sotto il profilo quantitativo. Ciò ha determinato la necessità di accrescere la visibilità del corso e di ampliare il numero delle candidature con azioni di pubblicizzazione, attraverso momenti di comunicazione o attraverso la partecipazione a eventi nazionali di orientamento, quali ad esempio il “Job orienta” di Verona. 60 Ad una risorsa specifica è stato, inoltre, affidato l’orientamento propedeutico per i futuri nuovi candidati. È stata attivata una rete di contatti con le scuole secondarie di ii grado, nelle quali sono state realizzate alcune presentazioni, che hanno previsto l’intervento degli stessi allievi dei corsi, nella convinzione che il confronto tra pari sia più efficace nel raggiungimento dei destinatari della comunicazione. Al momento dell’intervista, per circa metà degli allievi che avrebbero sostenuto l’esame finale a settembre 2013, gli intervistati stimano sia possibile una loro collocazione lavorativa o presso le aziende, dove sono stati svolti gli stage o direttamente sul mercato, avendo alcuni di loro manifestato la volontà a mettersi in proprio. Per costoro sono previste azioni di accompagnamento all’auto-imprenditorialità. 2.5. Altre attività della Fondazione oltre alle attività connesse all’erogazione dell’istruzione tecnica superiore, la Fondazione è sede di corsi di Formazione Continua finanziati attraverso i bandi emanati dai Fondi interprofessionali (in particolare Fondimpresa) e quindi finanziati con risorse gestite dalle parti sociali e derivanti dal versamento dello 0,30% dei lavoratori dipendenti. i rapporti con il mondo universitario non sono strutturati, ma fondati sulle relazioni individuali tra la Fondazione e gli accademici direttamente coinvolti nelle attività di istruzione tecnica superiore. Al momento le relazioni con altre Fondazioni sono pressoché inesistenti. sussistono, perché preesistenti, relazioni stabili con il sistema dell’alta formazione trentina. 2.6. Prospettive Prossimi passi della Fondazione saranno, da un lato, lo sviluppo di progetti per le aziende con cui è in rete, tecnicamente classificabili come delle vere e proprie commesse e, dall’altro, l’ingresso nel Polo tecnico professionale che sarà in futuro costituito nell’ambito della Regione Lombardia. Facendo un bilancio dell’esperienza sin qui fatta, la vocazione precipuamente settoriale della compagine fondazionale, la preesistenza di rapporti consolidati tra le strutture formative, un’analisi strutturata e dinamica dei fabbisogni formativi delle aziende di settore costituiscono senza ombra di dubbio punti di forza della Fondazione. Viceversa, dal lato dei punti di debolezza, non si ravvisano delle reali criticità, piuttosto margini di miglioramento sotto il profilo organizzativo, didattico e soprattutto della visibilità e della conoscenza presso la potenziale utenza. 61 Allegato 1 Normativa IL DECRETO Il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali Decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, adottato ai sensi della legge 17 maggio 1999, n.144, articolo 69, comma l, recante norme generali concernenti i diplomi degli Istituti Tecnici Superiori (ITS) e relative figure nazionali di riferimento, la verifica e la certificazione delle competenze di cui agli articoli 4, comma 3, e 8, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 25 gennaio 2008. Il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali Visti gli articoli 87 e 117 della Costituzione; VistA la legge 17 maggio 1999, n. 144, articolo 69, che ha istituito il sistema dell’istruzione e Formazione tecnica superiore (iFts); VistA la legge 27 dicembre 2006, n. 296, articolo 1, comma 631, che ha previsto la riorganizzazione del predetto sistema dell’iFts; Visto il decreto legge 31 gennaio 2007, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 2007, n. 40, articolo 13, comma 2, che ha previsto gli istituti tecnici superiori (its) nell’ambito della predetta riorganizzazione; VistA la legge 23 luglio 2009, n. 99, recante “Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia” e, in particolare, l’articolo 46; VistA la legge 30 dicembre 2010, n. 240, recante norme in materia di organizzazione delle Università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario e, in particolare, l’articolo 3, comma 2 e l’articolo 14, comma 3; 63 Visto il decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazione e integrazioni, in particolare l’art. 50; Visto il decreto legislativo 14 gennaio 2008, n. 21, relativo alle norme per la definizione dei percorsi di orientamento all’istruzione universitaria e all’alta formazione artistica, musicale e coreutica; Visto il decreto legislativo 14 gennaio 2008, n. 22, relativo alla definizione dei percorsi di orientamento finalizzati alla professione e al lavoro; Visto il decreto interministeriale 31 ottobre 2000, n. 436, con il quale è stato emanato il regolamento recante norme di attuazione del citato articolo 69 della legge 17 maggio 1999, n. 144; Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 25 gennaio 2008 recante linee guida per la riorganizzazione del sistema di istruzione e Formazione tecnica superiore e la costituzione degli istituti tecnici superiori e, in particolare, l’articolo 4, comma 3, e l’articolo 8, comma 2, che rimandano ad un decreto adottato di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali la determinazione dei diplomi di tecnico superiore e dei certificati di specializzazione tecnica superiore con l’indicazione delle figure di riferimento a livello nazionale, dei relativi standard delle competenze, delle modalità di verifica finale delle competenze acquisite e della relativa certificazione; Visto il d. P. R. 15 marzo 2010, n. 87, regolamento recante norme concernenti il riordino degli istituti professionali ai sensi dell’articolo 64, comma 4, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 e, in particolare, l’articolo 2, comma 4; Visto il d. P. R. 15 marzo 2010, n. 88, regolamento recante norme concernenti il riordino degli istituti tecnici ai sensi dell’articolo 64, comma 4, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito in legge 6 agosto 2008, n. 133, e in particolare, l’articolo 2, comma 4; Visto il d. P. R. 15 marzo 2010, n. 89, regolamento recante norme concernenti il riordino dei licei ai sensi dell’articolo 64, comma 4, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito in legge 6 agosto 2008, n 133; VistA la Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio 23 aprile 2008, relativa alla costituzione del quadro europeo delle qualifiche dell’apprendimento permanente; VistA la Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio - 18 giugno 2009 sull’istituzione di un quadro europeo di riferimento per la garanzia della qualità dell’istruzione e della formazione professionale - eqARF; VistA la Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio - 18 giugno 2009 sull’istituzione di un sistema europeo di crediti per l’istruzione e la formazione professionale - eCVet; 64 RitenUtA l’opportunità di procedere all’attuazione delle linee di orientamento di cui al richiamato decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri mediante l’adozione di due distinti decreti, concernenti, rispettivamente, i percorsi realizzati degli istituti tecnici superiori (its) di cui al Capo ii e i percorsi di istruzione e Formazione tecnica superiore (iFts) di cui al Capo iii del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri medesimo; sentito il Ministero dello sviluppo economico in data 14 luglio 2011 riguardo alle figure nazionali di riferimento e ai relativi standard di competenze nell’ambito delle aree tecnologiche di cui all’art.7 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 25 gennaio 2008; ACqUisito il parere della Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 espresso nella seduta del 27 luglio 2011. ADottAno di concerto il seguente decreto Articolo 1 Oggetto 1. il presente decreto è adottato, ai sensi della legge 17 maggio 1999, n. 144, articolo 69, comma 1, in attuazione delle previsioni degli articoli 4, comma 3, e 8, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 25 gennaio 2008, con riguardo ai percorsi formativi realizzati dagli istituti tecnici superiori ai sensi del Capo ii del predetto decreto, e concerne: a) la determinazione dei diplomi di tecnico superiore con riferimento alle figure definite a livello nazionale allo scopo di corrispondere organicamente alla richiesta di tecnici superiori, proveniente dal mondo del lavoro pubblico e privato, con particolare riferimento alle piccole e medie imprese e ai settori interessati da innovazioni tecnologiche e dalla internazionalizzazione dei mercati, nonché la determinazione dei relativi standard delle competenze di cui all’art. 4, comma 2, lettera c, del citato decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 25 gennaio 2008; b) la definizione delle modalità per la verifica finale delle competenze acquisite e della relativa certificazione. 2. È possibile conseguire il diploma di tecnico superiore anche nell’esercizio dell’apprendistato ai sensi della vigente normativa. 65 Articolo 2 Figure nazionali di riferimento 1. Le figure nazionali di riferimento dei diplomi di tecnico superiore sono indicate negli allegati A, B, C, D, e, F al presente decreto, del quale costituiscono parte integrante, in relazione ai percorsi della durata di quattro semestri correlati a ciascuna delle aree tecnologiche previste all’articolo 7 del d.P.C.M. 25 gennaio 2008, articolate negli ambiti appresso indicati: 1) Area Efficienza energetica: 1.1. Ambito Approvvigionamento e generazione di energia 1.2. Ambito Processi e impianti ad elevata efficienza e a risparmio energetico 2) Area Mobilità sostenibile: 2.1. Ambito Mobilità delle persone e delle merci 2.2. Ambito Produzione e manutenzione di mezzi di trasporto e/o relative infrastrutture 2.3. Gestione infomobilità e infrastrutture logistiche 3) Area Nuove tecnologie della vita: 3.1. Ambito Biotecnologie industriali e ambientali 3.2. Ambito Produzione di apparecchi, dispositivi diagnostici e biomedicali 4) Area Nuove tecnologie per il Made in Italy: 4.1. Ambito sistema agroalimentare 4.2. Ambito sistema casa 4.3. Ambito sistema meccanica 4.4. Ambito sistema moda 4.5. Ambito servizi alle imprese 5) Area Tecnologie innovative per i beni e le attività culturali - Turismo: 5.1. Ambito Fruizione e valorizzazione del patrimonio culturale 5.2. Ambito Conservazione, riqualificazione e messa in sicurezza di edifici e luoghi di interesse culturale 6) Area Tecnologie della informazione e della comunicazione: 6.1. Ambito Metodi e tecnologie per lo sviluppo di sistemi software 6.2. Ambito organizzazione e fruizione dell’informazione e della conoscenza 6.3. Ambito Architetture e infrastrutture per i sistemi di comunicazione 2. Ai fini del raggiungimento di omogenei livelli qualitativi e della spendibilità in ambito nazionale e dell’Unione europea delle competenze acquisite e dei titoli conseguiti, le figure nazionali di riferimento di cui al comma 1 sono connotate dal profilo culturale e professionale comune definito nell’allegato 1) e dalle competenze comuni di cui all’articolo 4, comma 3. 3. Al fine di facilitare il riconoscimento da parte del mondo del lavoro delle competenze acquisite in ambito nazionale e comunitario, nell’allegato G sono contenuti 66 i riferimenti, per ciascuna figura nazionale di cui agli allegati A, B, C, D, e, F, ai sistemi di classificazione statistica delle attività economiche e delle professioni, nonché alle aree professionali che saranno oggetto di definizione in sede di attuazione del Capo iii del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 25 gennaio 2008. 4. Le figure sono declinate, a livello territoriale, dalle Fondazioni its in relazione alle specifiche competenze ed applicazioni tecnologiche richieste dal mondo del lavoro e delle professioni, in relazione alle specifiche esigenze di situazioni e contesti differenziati. 5. tale declinazione può prevedere, in attuazione dell’art. 7, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 25 gennaio 2008, una durata del percorso superiore a quattro semestri, nel limite massimo di sei semestri. Articolo 3 Requisiti d’accesso ai percorsi formativi 1. Le competenze per l’accesso ai percorsi formativi delle Fondazioni its relativi a ciascuna area tecnologica sono costituite dai risultati di apprendimento attesi a conclusione del quinquennio contenuti nei regolamenti emanati con decreti del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 87 e n. 88, concernenti, rispettivamente, il riordino degli istituti professionali e degli istituti tecnici, ai sensi dell’articolo 64, comma 4, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, ferma restando la possibilità per giovani e anche adulti occupati di accedere ai percorsi degli its con qualsiasi diploma di istruzione secondaria superiore. 2. La verifica del possesso delle competenze di base tecniche, tecnologiche e di lingua inglese, necessarie per una proficua partecipazione alle attività formative dei percorsi, viene effettuata dalle Fondazioni its con riferimento al precedente comma 1 e al successivo comma 3. 3. Le Fondazioni its predispongono, su proposta del comitato tecnico scientifico, le prove di accertamento del possesso delle competenze di base tecniche, tecnologiche e di lingua inglese necessarie per l’accesso ai percorsi. È assegnato inoltre uno specifico punteggio alla votazione del diploma di istruzione secondaria superiore. L’eventuale possesso del titolo accademico non concorre alla determinazione del punteggio per l’accesso ai percorsi formativi delle Fondazioni its. 4. i moduli propedeutici per l’accesso ai percorsi vengono definiti da ciascuna Fondazione its secondo i criteri indicati dal rispettivo comitato tecnico scientifico. 67 Articolo 4 Competenze in esito ai percorsi formativi 1. Le competenze in esito ai percorsi formativi relativi a ciascuna area tecnologica di cui al precedente art. 2 sono riferite alle figure nazionali di cui agli allegati A, B, C, D, e, F. Dette competenze sono declinate dalle Fondazioni its in termini verificabili e certificabili per essere riconosciute come crediti formativi. 2. Al fine di favorire il diritto di ogni persona alla spendibilità delle certificazioni acquisite, alla reversibilità delle scelte, al riconoscimento e valorizzazione dei crediti e alla personalizzazione dei percorsi, è previsto il riconoscimento dei crediti formativi, ai sensi dell’articolo 5 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 25 gennaio 2008, nonché la registrazione delle competenze certificate sul libretto formativo del cittadino di cui all’art. 2, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. 3. Le competenze in esito ai percorsi delle Fondazioni its della durata di quattro semestri, rispondenti alle indicazioni di cui agli articoli 4 e 7 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 25 gennaio 2008, e riferibili al quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente (eqF), comprendono: a) le competenze linguistiche, comunicative e relazionali, scientifiche e tecnologiche, giuridiche ed economiche, organizzative e gestionali, indicate nell’allegato 1, comuni a tutte le figure nazionali di riferimento dei diplomi di tecnico superiore; b) le competenze tecnico-professionali riguardanti ciascuna figura nazionale di tecnico superiore, indicata negli allegati A, B, C, D, e, F. 4. Le Fondazioni its dello stesso ambito possono costituirsi in rete al fine di promuovere iniziative di coordinamento per assicurare il più ampio livello di omogeneità nell’acquisizione delle competenze in esito ai percorsi formativi. 5. nel caso di percorsi della durata di sei semestri, le competenze finali sono riferibili a un livello del quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente (e.q.F.) superiore al livello al quale sono riferibili le competenze finali relative ai percorsi della durata di quattro semestri. Articolo 5 Diplomi di tecnico superiore 1. i diplomi di tecnico superiore si riferiscono alle figure nazionali indicate negli allegati A, B, C, D, e, F e sono rilasciati, previa verifica finale ai sensi dei seguenti articoli, dagli istituti tecnici e professionali enti di riferimento delle Fondazioni its, sulla base del modello di cui all’allegato n. 2. 68 2. i diplomi di tecnico superiore costituiscono titolo per l’accesso ai pubblici concorsi ai sensi dell’articolo 5, comma 7, del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 25 gennaio 2008. 3. Per favorirne la circolazione in ambito nazionale e comunitario, il diploma è corredato da un supplemento predisposto secondo il modello eURoPAss diploma supplement (allegato n. 3). il supplemento è rilasciato dal dirigente dell’istituzione scolastica ente di riferimento della Fondazione its. Articolo 6 Verifica delle competenze acquisite 1. Le prove di verifica delle competenze acquisite comprendono: a) una prova teorico-pratica concernente la trattazione e soluzione di un problema tecnico-scientifico inerente all’area tecnologica e all’ambito di riferimento del percorso della Fondazione its, predisposta dal comitato tecnico scientifico; b) una prova scritta tesa a valutare conoscenze e abilità nell’applicazione di principi e metodi scientifici nello specifico contesto tecnologico cui si riferiscono le competenze tecnico-professionali nazionali del percorso dell’its predisposta dall’invalsi in collaborazione con la Conferenza dei Rettori delle Università italiane; c) una prova orale concernente la discussione di un progetto di lavoro (project work) sviluppato nel corso del tirocinio e predisposto dall’impresa del settore produttivo presso la quale è stato svolto il tirocinio stesso. 2. Alle prove di verifica di cui al comma 1 sono ammessi gli studenti dei percorsi delle Fondazioni its che li abbiano frequentati per almeno l’80% della loro durata complessiva e che siano stati valutati positivamente dai docenti dei percorsi medesimi, anche sulla base della valutazione operata dal tutor aziendale, a conclusione delle attività formative, ivi compresi i tirocini. 3. Per ciascuna delle prove di cui al comma 1 è assegnato un punteggio così articolato: – massimo 40 punti per la prima prova, con minimo di 24; – massimo 30 punti per la seconda prova, con minimo di 18; – massimo 30 punti per la prova orale, con minimo di 18. 4. La verifica delle competenze si intende positivamente superata quando lo studente abbia ottenuto almeno il punteggio minimo in ognuna delle tre prove ed abbia conseguito un punteggio complessivo comunque non inferiore a 70 punti sui cento disponibili. 69 Articolo 7 Certificazione e riconoscimento dei crediti formativi 1. È assicurata una certificazione delle competenze acquisite anche in caso di mancato completamento del percorso formativo. 2. Per quanto concerne la certificazione e il riconoscimento dei crediti formativi universitari (CFU) si rinvia al decreto attuativo di cui all’articolo 14, comma 3, della legge 30 dicembre 2010, n. 240. Articolo 8 Province Autonome 1. i diplomi di tecnico superiore rilasciati nelle Province Autonome di trento e di Bolzano a conclusione dei percorsi di alta formazione professionale, nel rispetto degli standard minimi definiti per le figure nazionali di riferimento di cui al presente decreto, hanno la stessa validità nazionale e gli stessi effetti di quelli rilasciati ai sensi dell’articolo 5 del presente decreto. Articolo 9 Disposizioni transitorie 1. A partire dall’anno formativo 2011-2012, prende avvio, in regime sperimentale, il primo ciclo delle attività formative degli istituti tecnici superiori. 2. A conclusione del primo triennio, la fase sperimentale di cui al comma 1 sarà oggetto di un rapporto di monitoraggio e valutazione ai fini della definitiva messa a regime dei percorsi formativi realizzati dagli istituti tecnici superiori. 3. Fino alla data di emanazione del presente decreto si applicano per la validità dei diplomi rilasciati dalle Province Autonome di trento e Bolzano di cui al precedente articolo 8 gli Accordi in essere con i competenti Ministeri dell’istruzione università e ricerca e del lavoro e politiche sociali e i rispettivi ordinamenti provinciali in materia di alta formazione professionale. Il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca On.le Mariastella Gelmini Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali On.le Maurizio Sacconi Roma, 3 agosto 2011 70 Allegato 2 Cosa sono gli ITS? (Miur) Cosa sono gli ITS? Gli istituti tecnici superiori sono strutture speciali di alta tecnologia costituite con l’intento di riorganizzare il canale della formazione superiore non universitaria. La loro istituzione consente di allineare, finalmente, il nostro Paese all’europa. Gli its, che a settembre-ottobre 2011 avvieranno le attività didattiche e formative, sono stati introdotti nell’ordinamento nazionale dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 25 gennaio 2008, emanato in attuazione della legge finanziaria 2007. Cosa offre l’ITS? La possibilità di conseguire il Diploma di tecnico superiore, con conseguente accesso al mondo del lavoro nell’ambito del settore di specializzazione. Ma anche la possibilità di proseguire gli studi all’Università per il conseguimento del titolo di laurea con appositi CFU riconosciuti al termine del percorso biennale degli its (come previsto dalla legge 240/2010 di riforma universitaria). Chi può iscriversi all’ITS? i diplomati che intendono conseguire il Diploma di tecnico superiore, per poi inserirsi velocemente nel mondo del lavoro e procedere anche negli studi. All’its si accede per selezione allo scopo di accertare un alto potenziale di competenze di base tecniche e tecnologiche, una adeguata conoscenza linguistica in lingua inglese di alto livello e una competenza informatica avanzata. Gli obiettivi Gli its puntano, sulla base di piani biennali o triennali, negli ambiti e secondo le priorità indicate dalla programmazione regionale, al perseguimento dei seguenti obiettivi: • assicurare l’offerta di tecnici superiori formati a livello post secondario in relazione a figure che rispondano alla domanda proveniente dal mondo del lavoro, pubblico e privato, in relazione alle aree strategiche per lo sviluppo economico del Paese; 71 • sostenere l’integrazione tra i sistemi di istruzione, formazione e lavoro; • valorizzare misure per l’innovazione e il trasferimento tecnologico alle piccole e medie imprese; • diffondere la cultura tecnica, tecnologica e scientifica nel Paese; • promuovere l’orientamento dei giovani e delle loro famiglie verso le professioni tecniche recependo il valore educativo e culturale del lavoro; • stabilire organici rapporti con i fondi interprofessionali per la formazione continua dei lavoratori, nel rispetto delle competenze delle parti sociali in materia. Lo standard organizzativo (art. 6 del D.P.C.M. 25.1.2008) Gli its sono Fondazioni di partecipazione di natura privata con personalità giuridica di diritto pubblico. Possono essere costituiti solo se previsti dai Piani territoriali di offerta formativa delle Regioni. Lo standard dei percorsi (art. 7) i percorsi its hanno una durata di quattro semestri (con 1800/2000 ore di attività). Ma possono durare anche sei semestri nell’ambito di apposite convenzioni con le Università, per specifiche esigenze locali e per particolari figure. Gli ambiti su cui i percorsi possono strutturarsi riguardano: 1) Area Efficienza energetica: 1.1. Ambito Approvvigionamento e generazione di energia 1.2. Ambito Processi e impianti ad elevata efficienza e a risparmio energetico 2) Area Mobilità sostenibile: 2.1. Ambito Mobilità delle persone e delle merci 2.2. Ambito Produzione e manutenzione di mezzi di trasporto e/o relative infrastrutture 2.3. Gestione infomobilità e infrastrutture logistiche 3) Area Nuove tecnologie della vita: 3.1. Ambito Biotecnologie industriali e ambientali 3.2. Ambito Produzione di apparecchi, dispositivi diagnostici e biomedicali 4) Area Nuove tecnologie per il Made in Italy: 4.1. Ambito sistema agroalimentare 4.2. Ambito sistema casa 4.3. Ambito sistema meccanica 4.4. Ambito sistema moda 4.5. Ambito servizi alle imprese 5) Area Tecnologie innovative per i beni e le attività culturali - Turismo: 5.1. Ambito Fruizione e valorizzazione del patrimonio culturale 5.2. Ambito Conservazione, riqualificazione e messa in sicurezza di edifici e luoghi di interesse culturale 72 6) Area Tecnologie della informazione e della comunicazione: 6.1. Ambito Metodi e tecnologie per lo sviluppo di sistemi software 6.2. Ambito organizzazione e fruizione dell’informazione e della conoscenza 6.3. Ambito Architetture e infrastrutture per i sistemi di comunicazione Titolo finale (art. 7) Diploma di tecnico superiore, con l’indicazione dell’area tecnologica e della figura nazionale di riferimento di V° livello eqF per i percorsi di quattro semestri, che consente l’accesso ai pubblici concorsi e alle Università con il riconoscimento di CFU. Ordinamento dell’ITS (art. 4) i percorsi degli its hanno le caratteristiche organizzative previste all’art. 4 (tirocini obbligatori, anche all’estero, per almeno il 30% del monte orario complessivo; 50% dei docenti provenienti dal mondo del lavoro con esperienza specifica di almeno 5 anni; struttura modulare, didattica laboratoriale, etc.). Le figure nazionali di riferimento, gli standard delle relative competenze, le modalità di costituzione delle commissioni di esame, le indicazioni generali per la verifica delle competenze acquisite e la certificazione sono definiti con Decreto, ora in corso di registrazione, emanato di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, previo parere della Conferenza unificata (art. 4, comma 3 e art. 8, comma 2). Modalità di accesso ai percorsi (art. 7) i giovani e gli adulti accedono ai percorsi its con il Diploma di istruzione secondaria superiore. Come? • in relazione al numero di posti messi a disposizione da ciascun its, con riferimento al numero dei percorsi finanziati e alla effettiva disponibilità di posti di tirocinio con la durata minima obbligatoria di almeno il 30% dell’orario. Ulteriori criteri possono essere determinati dal Consiglio di indirizzo di ciascun its, sulla base delle proposte formulate dal rispettivo Comitato tecnico-scientifico, anche per riconoscere eventuali crediti acquisiti in precedenti percorsi di studio e di lavoro. • Con la presentazione del proprio curriculum (che darà diritto a punteggio) e previo superamento di prove selettive per l’accertamento delle competenze necessarie e della motivazione ad una proficua frequenza dei percorsi. ogni its predispone le prove sulla base delle indicazioni del proprio Comitato tecnico-scientifico. si potrà prescindere dall’accertamento delle competenze in lingua inglese e di informatica avanzata solo se già attestate da Università o enti certificati. 73 Esame finale Ai fini del rilascio del Diploma di tecnico superiore, il percorso formativo si conclude con le seguenti prove di verifica: a. una prova teorico/pratica concernente la soluzione di un problema tecnico scientifico inerente all’area tecnologica e l’ambito di riferimento del percorso dell’its, predisposta dal rispettivo Comitato tecnico scientifico; b. una prova scritta tesa a valutare conoscenze e abilità nell’applicazione di principi e metodi scientifici nello specifico contesto tecnologico cui si riferiscono le competenze tecnico-professionali del percorso dell’its predisposta dall’invalsi con l’assistenza tecnica della Conferenza dei Rettori delle Università italiane; c. una prova orale concernente la discussione di un progetto di lavoro (project work) sviluppato nel corso del tirocinio e predisposto dall’impresa del settore produttivo presso la quale è stato svolto il tirocinio stesso. Il diploma i Diplomi di tecnico superiore sono rilasciati, sulla base di un modello nazionale, previa verifica finale delle competenze acquisite dagli studenti che hanno frequentato i percorsi degli its per almeno l’80% della loro durata complessiva. La verifica è effettuata da commissioni costituite dagli istituti tecnici o professionali enti di riferimento degli istituti tecnici superiori. Il riconoscimento dei crediti Ai fini del riconoscimento dei crediti acquisiti in esito ai percorsi its, per l’accesso alle Professioni di Agrotecnico, Geometra, Perito agrario e Perito industriale, si fa riferimento a quanto previsto dal D.P. R. n. 328/2000, art. 55, comma 3. Ai fini del riconoscimento dei crediti acquisiti in esito ai percorsi its per il conseguimento del titolo di laurea, si fa riferimento all’art. 14 della legge n. 240 del 30.12.2010 (Riforma universitaria del Ministro on.le Mariastella Gelmini). La citata legge n. 240/2010 contiene anche apposite disposizioni riguardanti la possibilità di costituire “federazioni” tra its e Università. 74 Allegato 3 Gli ITS sul territorio (Dal sito indire - ottobre 2013) il numero totale di its costituiti nelle Regioni è 65. Abruzzo (n° 4 ITS): – nuove tecnologie per il Made in italy - sistema meccanica - itis “Leonardo da Vinci” - Lanciano (CH) – efficienza energetica - iti “D’Aosta” - L’Aquila – nuove tecnologie per il Made in italy - sistema alimentare - iis “Alessandrini - Marino” - teramo – nuove tecnologie per il Made in italy - sistema Moda - Pescara Calabria (n° 4 ITS): – Mobilità sostenibile - itis “M. Milano” - Polistena (RC) – efficienza energetica - itis “A. Monaco” - Cosenza (Cs) – efficienza energetica - itis “Panella” - Reggio Calabria – nuove tecnologie della Vita - Fuscaldo (Cs) 75 76 Campania (n° 3 ITS): – Mobilità sostenibile - trasporto marittimo - itis “G. Marconi” - torre Annunziata (nA) – Mobilità sostenibile - trasporti ferroviari - it aeronautico Paritario Fondazione Villaggio dei Ragazzi “Don salvatore D’Angelo” - Maddaloni (Ce) – tecnologie innovative per i beni e le attività culturali/turismo - iPssCt “G. Fortunato” - napoli Emilia Romagna (n° 8 ITS): – Mobilità sostenibile - iis “G. Marconi” - Piacenza – nuove tecnologie per il Made in italy - sistema meccanica e materiali - itis “Fermo Corni” - Modena – nuove tecnologie per il Made in italy - sistema meccanica - meccatronica - itis “Leopoldo nobili” - Reggio emilia – nuove tecnologie per il Made in italy - sistema meccanica - automazione industriale - iis “Aldini Valeriani sirani” - Bologna – nuove tecnologie per il Made in italy - sistema agroalimentare - isiss “Galilei - Bocchialini - solari” - san secondo Parmense (PR) – tecnologie della informazione e della comunicazione - its “Blaise Pascal” - Cesena (FC) – tecnologie innovative per i beni e le attività culturali/turismo - iis “G.B. Aleotti” - Ferrara – tecnologie innovative per i beni culturali/turismo - Rimini Friuli Venezia Giulia (n° 2 ITS): – nuove tecnologie per il Made in italy - sistema meccanica/aeronautica - iis “Malignani” - Udine – tecnologie della informazione e della comunicazione - iti “Kennedy” - Pordenone Lazio (n° 7 ITS): – tecnologie della informazione e della comunicazione - iis “Via della Vasca navale” - Roma – Mobilità sostenibile - Mobilità delle persone e delle merci - iis “Caboto” - Gaeta – tecnologie innovative per i beni e le attività culturali/turismo - iis “Via Domizia Lucilla” - Roma – nuove tecnologie per il Made in italy - sistema alimentare - itis “Pietro Canonica” - Vetralla (Vt) – nuove tecnologie della vita - iis “Largo Brodolini snc.” - Pomezia (RM) nuove tecnologie per il Made in italy - sistema alimentare - iPsAA “san Benedetto” - Borgo Piave (Lt) – nuove tecnologie per il Made in italy - servizi alle imprese - itAs Paritario “Rousseau” - Viterbo 77 Liguria (n° 4 ITS): – Mobilità sostenibile - trasporti marittimi - Pesca - Accademia della Marina Mercantile - itn “san Giorgio” - Genova – tecnologie della informazione e della comunicazione - iPsiA “odero” - Genova – nuove tecnologie per il Made in italy - navalmeccanico - iis “G. Capellini/ n. sauro” - La spezia – efficienza energetica - iis “Ferraris/Pancaldo” - savona Lombardia (n° 7 ITS): – tecnologie della informazione e della comunicazione - istituto Paritario Pavoniano “Artigianelli” - Milano – Mobilità sostenibile - mobilità delle persone e delle merci - iis “Andrea Ponti” - Gallarate (VA) – nuove tecnologie per il Made in italy - sistema moda - iP Paritario “Maddalena di Canossa” - Brescia – nuove tecnologie della vita - itis “G. natta” - Bergamo – nuove tecnologie per il Made in italy - sistema casa - itis “Cardano” - Pavia – nuove tecnologie per il Made in italy - servizi alle imprese - itCG paritario “einaudi” - Grumello del Monte (BG) – nuove tecnologie per il Made in italy - sistema agroalimentare - iPAA “G. dell’Amore” - Vertemate con Minoprio (Co) Marche (n° 3 ITS): – efficienza energetica - Meccanica, meccatronica ed energia - itis “A. Merloni” - Fabriano (An) – nuove tecnologie per il Made in italy - sistema meccanica/servizi alle imprese - iti “Mattei” - Recanati (MC) – nuove tecnologie per il Made in italy - sistema moda/calzature - iti “Montani” - Fermo Molise (n° 1 ITS): – nuove tecnologie per il Made in italy - sistema alimentare - iis “Pertini” - Campobasso Piemonte (n° 3 ITS): – Mobilità sostenibile - innovazione aerospazio - itis “Grassi” - torino – tecnologie della informazione e della comunicazione - “itis Pininfarina” - torino – nuove tecnologie per il Made in italy - sistema moda - itis “sella” - Biella Puglia (n° 3 ITS): – nuove tecnologie per il Made in italy - sistema meccanica/meccatronica - itis “G. Marconi” - Bari – Mobilità sostenibile - Aerospazio - itis “e. Fermi” - Francavilla Fontana (BR) – nuove tecnologie per il Made in italy - sistema alimentare, iis “B. Caramia - F. Gigante” - Locorotondo (BA) Sardegna (n 1 ITS): – efficienza energetica - iPiA “e. Amaldi” - Macomer (nU) Sicilia (n° 5 ITS): – efficienza energetica - iis “e. Majorana” - Piazza Armerina (en) – tecnologie innovative per i beni culturali/turismo - iis “F. Juvara” - siracusa – nuove tecnologie per il Made in italy - sistema alimentare - iis “Antonello” - Messina – tecnologie innovative per i beni culturali/turismo - iti “euclide” - Caltagirone (Ct) – Mobilità sostenibile - Catania Toscana (n° 3 ITS): – efficienza energetica - itis “t. sarrocchi” - siena – nuove tecnologie per il Made in italy - sistema moda - iis “B. Russel/i. newton” - scandicci (Fi) – nuove tecnologie per il Made in italy - sistema meccanica - iis “e. Mattei - e. solvay” - Rosignano Marittimo (Li) Umbria (n° 1 ITS): – nuove tecnologie per il Made in italy - sistema meccanica meccatronica - iti “Volta” - Piscille (PG) Veneto (n° 6 ITS): – nuove tecnologie per il Made in italy - sistema moda/calzature - iis “Ruzza Pendola” - Padova – nuove tecnologie per il Made in italy - sistema meccanica - itis “A. Rossi” - Vicenza – nuove tecnologie per il Made in italy - sistema alimentare e vitivinicolo - itAs “Cerletti” - Conegliano (tV) – nuove tecnologie per i beni culturali/turismo - iPssARCt “e. Cornaro” - Jesolo (Ve) – efficienza energetica - risparmio energetico - bioedilizia - itG “Belzoni Boaga” - Padova – Mobilità sostenibile - logistica, sistemi e mobilità delle persone e delle merci - iPsiA “Giorgi” - Verona 78 Bibliografia Annali della pubblica istruzione, Gli istituti tecnici superiori: perché? come?, 1ª Conferenza dei servizi 30 marzo 2011, n. 1/2011. CARLini D. (a cura di), Formare tecnici superiori nella prospettiva europea. L’esperienza dell’alta formazione professionale nella provincia di Trento, F. Angeli, 2009. Censis, Verso una filiera tecnico-professionale integrata, 46° Rapporto sulla situazione sociale del paese, 2012. DonAti C., Gli Istituti Tecnici Superiori: una scommessa ancora da vincere, Rassegna Cnos, n. 1, 2013. DonAti C., Piccoli ITS crescono, Rassegna Cnos, n. 3, 2013. MiUR, ITS & poli tecnico professionali. Ora il futuro prende forma, 2012. PeLLeRey M. (a cura di), Studio sull’intera filiera formativa professionalizzante alla luce delle strategie di Lisbona a partire dalla formazione superiore non accademica, Cnos-FAP, CioFs-FP collana “studi, progetti, esperienze, per una nuova Formazione Professionale”, 2008. toRCHiA B., La riconfigurazione del sistema di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore: nuovi Poli Tecnico Professionali, Istituti Tecnici Superiori e IFTS, Rassegna Cnos, n. 3, 2012. toRCHiA B., Istruzione e Formazione Tecnica Superiore: una sfida ancora attuale, Rassegna Cnos, n. 3, 2008. Normativa di riferimento Legge 27 dicembre 2006, n. 296 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello stato (legge finanziaria 2007)”, articolo 1, comma 631 e 875. Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri recante “linee guida per la riorganizzazione del sistema di istruzione e formazione tecnica superiore e la costituzione degli istituti tecnici superiori, 25 gennaio 2008. Decreto di concerto MiUR - MLPs del 7/9/2011 concerne la determinazione dei diplomi di tecnico superiore con riferimento alle figure definite a livello nazionale e alla definizione delle modalità per la verifica finale delle competenze acquisite e della relativa certificazione (Decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, adottato ai sensi della legge 17 maggio 1999, n. 144, art. 69, comma 1, recante norme generali concernenti i diplomi degli Istituti Tecnici Superiori [I.T.S.] e relative figure nazionali di riferimento, la verifica e la certificazione delle competenze di cui agli articoli 4, comma 3, e 8, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 25 gennaio 2008). Decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, coordinato con la legge di conversione 4 aprile 2012, n. 35 recante: «Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo» Art. 52 Misure di semplificazione e promozione dell’istruzione tecnico-professionale e degli istituti tecnici superiori - its. Conferenza Unificata, intesA ai sensi dell’articolo 52 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, sullo schema di decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con il Ministro dello sviluppo economico e con il Ministro dell’economia e delle finanze, riguardante l’adozione di linee guida per realizzare misure di semplificazione e promozione dell’istruzione tecnico professionale, 25 settembre 2012, adottate con Decreto interministeriale del 7 febbraio 2013. Decreto del 7 febbraio 2013 del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, concernente la revisione degli ambiti di articolazione dell’area “tecnologie innovative per i beni e le attività culturali - turismo” degli istituti tecnici superiori, delle relative figure nazionali di riferimento e dei connessi standard delle competenze tecnico-professionali. Legge 8 novembre 2013, n. 128; conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104, recante misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca. 79 Indice Sommario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 1. L’osservatorio CNOS-FAP/CENSIS sui percorsi ITS: alcune riflessioni . . . . 5 2. I primi dati del monitoraggio MIUR-Indire . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 3. I casi di studio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 A) GLi its DeLL’AReA teCnoLoGiCA nUoVe teCnoLoGie PeR iL MADe in itALy (sisteMA MeCCAniCA) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 1. La Fondazione its per le nuove tecnologie per il Made in italy - sistema meccanica “Malignani” - Udine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 1.1. Genesi dell’ITS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 1.2. Modalità di collaborazione del network ed aspetti organizzativi . . . . . . 15 1.2.1. il contributo dei partner . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 1.2.2. L’avvio delle attività e le criticità riscontrate . . . . . . . . . . . . . . . . 17 1.2.3. il modello di governance e le figure professionali attivate per la gestione delle attività formative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 1.3. L’offerta formativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 1.3.1. i percorsi attivati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 1.3.2. Caratteristiche della docenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22 1.3.3. Modalità e risultati di monitoraggio e valutazione . . . . . . . . . . . . 24 1.4. L’utenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24 1.5. Altre attività della Fondazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26 1.6. Prospettive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 1.6.1. Le Reti con altri its della Regione e del settore . . . . . . . . . . . . . 27 1.6.2. eventuali difficoltà economiche e proposte per un miglioramento amministrativo ed organizzativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 1.7. I punti forza e di debolezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 2. La Fondazione its per le nuove tecnologie per il Made in italy - sistema meccanica di Lanciano (CH) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 2.1. Genesi dell’ITS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 2.2. L’offerta formativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30 2.2.1. i percorsi attivati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30 2.2.2. Caratteristiche della docenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 2.2.3. Modalità e risultati di monitoraggio e valutazione . . . . . . . . . . . . 32 2.3. L’utenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 2.4. Le altre attività della fondazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35 2.5. Punti di forza e di debolezza dell’ITS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35 81 B) GLi its DeLL’AReA teCnoLoGiCA MoBiLità sosteniBiLe . . . . . . . . . . . . . . . . . 36 1. La Fondazione its per la mobilità sostenibile “Giovanni Caboto” - GAetA 36 1.1. Genesi dell’ITS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36 1.2. Il modello di governance . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37 1.3. L’offerta formativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38 1.3.1. i percorsi attivati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38 1.3.2. Caratteristiche della docenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 1.4. L’utenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 1.5. Altre attività della Fondazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 1.6. Prospettive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 1.7. Punti di forza e di debolezza dell’ITS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44 2. La Fondazione its per la mobilità sostenibile “Giovanni Giorgi” - VeRonA 44 2.1. Genesi dell’ITS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44 2.2. Modalità di collaborazione del network ed aspetti organizzativi . . . . . . 45 2.3. L’offerta formativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46 2.4. L’utenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47 2.5. Altre attività della Fondazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 2.6. Prospettive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 2.7. Punti di forza e di debolezza dell’ITS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 C) GLi its DeLL’AReA DeLLe teCnoLoGie DeLLA inFoRMAzione e DeLLA CoMUni- CAzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50 1. La Fondazione its per le tecnologie dell’informazione e della Comunicazione e le industrie Culturali “FitstiC” - CesenA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50 1.1. Genesi dell’ITS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50 1.2. Modalità di collaborazione del network ed aspetti organizzativi . . . . . . 51 1.3. L’offerta formativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52 1.3.1. i Percorsi attivati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52 1.3.2. il sistema di monitoraggio e valutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53 1.3.3. Caratteristiche della docenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54 1.4. L’utenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54 1.5. Altre attività della Fondazione e prospettive future . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 2. La Fondazione its per le tecnologie dell’informazione e della Comunicazione “Angelo Rizzoli” - MiLAno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 2.1. Genesi dell’ITS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 2.2. Modalità di collaborazione del network e aspetti organizzativi . . . . . . . 56 2.3. L’offerta formativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57 2.4. L’utenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60 2.5. Altre attività della Fondazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61 2.6. Prospettive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61 Allegato 1 - normativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63 Allegato 2 - Cosa sono gli its . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71 Allegato 3 - Gli its sul territorio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75 Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79 82 Pubblicazioni nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE” ISSN 1972-3032 Sezione “Studi” 2002 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto finale, 2002 2003 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XIV seminario di formazione europea. La formazione professionale per lo sviluppo del territorio. Castel Brando (Treviso), 9-11 settembre 2002, 2003 CIOFS/FP SICILIA (a cura di), Vademecum. Strumento di lavoro per l’erogazione dei servizi orientativi, 2003 MALIZIA G. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto sul follow-up, 2003 2004 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XV seminario di formazione europea. Il sistema dell’istruzione e formazione professionale nel contesto della riforma. Significato e percorsi, 2004 CIOFS/FP SICILIA (a cura di), Opportunità occupazionali e sviluppo turistico dei territori di Catania, Noto, Modica, 2004 CNOS-FAP (a cura di), Gli editoriali di “Rassegna CNOS” 1996-2004. Il servizio di don Stefano Colombo in un periodo di riforme, 2004 MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. (a cura di), Le parole chiave della formazione professionale, 2004 RUTA G., Etica della persona e del lavoro, 2004 2005 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XVI seminario di formazione europea. La formazione professionale fino alla formazione superiore. Per uno sviluppo in verticale di pari dignità, 2005 D’AGOSTINO S. - MASCIO G. - NICOLI D., Monitoraggio delle politiche regionali in tema di istruzione e formazione professionale, 2005 PIERONI V. - MALIZIA G. (a cura di), Percorsi/progetti formativi “destrutturati”. Linee guida per l’inclusione socio-lavorativa di giovani svantaggiati, 2005 2006 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XVII seminario di formazione europea. Il territorio e il sistema di istruzione e formazione professionale. L’interazione istituzionale per la preparazione delle giovani generazioni all’inserimento lavorativo in rapporto agli obiettivi di Lisbona, 2006 NICOLI D. - MALIZIA G. - PIERONI V., Monitoraggio delle sperimentazioni dei nuovi percorsi di istruzione e formazione professionale nell’anno formativo 2004-2005, 2006 2007 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XVIII seminario di formazione europea. Standard formativi nell’istruzione e nella formazione professionale. Roma, 7-9 settembre 2006, 2007 COLASANTO M. - LODIGIANI R. (a cura di), Il ruolo della formazione in un sistema di welfare attivo, 2007 DONATI C. - BELLESI L., Giovani e percorsi professionalizzanti: un gap da colmare? Rapporto finale, 2007 MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. (a cura di), Le parole chiave della formazione professionale. II edizione, 2007 MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP della Sicilia. Rapporto di ricerca, 2007 83 MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP del Lazio. Rapporto di ricerca, 2007 MALIZIA G. et alii, Diritto-dovere all’istruzione e alla formazione e anagrafe formativa. Problemi e prospettive, 2007 MALIZIA G. et alii, Stili di vita di allievi/e dei percorsi formativi del diritto-dovere, 2007 NICOLI D. - FRANCHINI R., L’educazione degli adolescenti e dei giovani. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2007 NICOLI D., La rete formativa nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP, 2007 PELLEREY M., Processi formativi e dimensione spirituale e morale della persona. Dare senso e prospettiva al proprio impegno nell’apprendere lungo tutto l’arco della vita, 2007 RUTA G., Etica della persona e del lavoro, Ristampa 2007 2008 CIOFS/FP, Atti del XIX seminario di formazione europea. Competenze del cittadino europeo a confronto, 2008 COLASANTO M. (a cura di), Il punto sulla formazione professionale in Italia in rapporto agli obiettivi di Lisbona, 2008 DONATI C. - BELLESI L., Ma davvero la formazione professionale non serve più? Indagine conoscitiva sul mondo imprenditoriale, 2008 MALIZIA G., Politiche educative di istruzione e di formazione. La dimensione internazionale, 2008 MALIZIA G. - PIERONI V., Follow-up della transizione al lavoro degli allievi/e dei percorsi triennali sperimentali di IeFP, 2008 PELLEREY M., Studio sull’intera filiera formativa professionalizzante alla luce delle strategie di Lisbona a partire dalla formazione superiore non accademica. Rapporto finale, 2008 2009 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1977, vol. 1, 2009 2010 DonAti C. - L. BeLLesi, Verso una prospettiva di lungo periodo per il sistema della formazione professionale. Il ruolo della rete formativa. Rapporto finale, 2010 niCoLi D., I sistemi di istruzione e formazione professionale (VET) in Europa, 2010 PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., La valigia del “migrante”. Per viaggiare a Cosmopolis, 2010 PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Salesiane. Momenti della loro storia (1853-1953), 2010 Rossi G. (a cura di), Don Bosco, i Salesiani, l’Italia in 150 anni di storia, 2010 2011 ROSSI G. (a cura di), “Fare gli italiani” con l’educazione. L’apporto di don Bosco e dei Salesiani, in 150 anni di storia, 2011 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1997, vol. 2 2012 MALIZIA G., Sociologia dell’istruzione e della formazione. Una introduzione, 2012 NICOLI D., Rubriche delle competenze per i Diplomi professionali IeFP. Con linea guida per la progettazione formativa, 2012 MALiziA G. - PieRoni V., L’inserimento dei giovani qualificati nella FPI a.f. 2009-10, 2012 2013 2013 CUROTTI A.G., Il ruolo della Formazione Professionale Salesiana da don Bosco alle sfide attuali, 2013 PeLLeRey M. - GRząDzieL D. - MARGottini M. - ePiFAni F. - ottone e., Imparare a dirigere se stessi. Progettazione e realizzazione di una guida e di uno strumento informatico per favorire l’autovalutazione e lo sviluppo delle proprie competenze strategiche nello studio e nel lavoro, 2013 84 Sezione “Progetti” 2003 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La promozione delle capacità personali. Teoria e prassi, 2003 CIOFS/FP (a cura di), Un modello per la gestione dei servizi di orientamento, 2003 CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), L’accoglienza nei percorsi formativo-orientativi. Un approccio metodologico e proposte di strumenti, 2003 CioFs/FP PieMonte (a cura di), Le competenze orientative. Un approccio metodologico e proposte di strumenti, 2003 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione delle unità didattiche, 2003 COMOGLIO M. (a cura di), Prova di valutazione per la qualifica: addetto ai servizi di impresa. Prototipo realizzato dal gruppo di lavoro CIOFS/FP, 2003 FONTANA S. - TACCONI G. - VISENTIN M., Etica e deontologia dell’operatore della FP, 2003 GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo, 2003 MARSILII E., Guida per l’accompagnamento al lavoro dipendente, 2003 TACCONI G. (a cura di), Insieme per un nuovo progetto di formazione, 2003 VALENTE L. - ANTONIETTI D., Quale professione? Strumento di lavoro sulle professioni e sui percorsi formativi, 2003 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale alimentazione, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale commerciale e delle vendite, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale estetica, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale sociale e sanitaria, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale tessile e moda, 2004 CIOFS/FP BASILICATA, L’orientamento nello zaino. Percorso nella scuola media inferiore. Diffusione di una buona pratica, 2004 CIOFS/FP CAMPANIA (a cura di), ORION tra orientamento e network, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale elettrica e elettronica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale grafica e multimediale, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale meccanica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale turistica e alberghiera, 2004 NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema del - l’istruzione e della formazione professionale, 2004 NICOLI D. (a cura di), Sintesi delle linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, 2004 2005 CIOFS-FP SICILIA (a cura di), Operatore Servizi Turistici in rete. Rivisitando il progetto: le buone prassi. Progettazione, Ricerca, Orientamento, Nuova Imprenditorialità, Inserimento Lavorativo, 2005 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale legno e arredamento, 2005 CNOS-FAP (a cura di), Proposta di esame per il conseguimento della qualifica professionale. Percorsi triennali di Istruzione formazione Professionale, 2005 85 NICOLI D. (a cura di), Il diploma di istruzione e formazione professionale. Una proposta per il percorso quadriennale, 2005 POLÀČEK K., Guida e strumenti di orientamento. Metodi, norme ed applicazioni, 2005 VALENTE L. (a cura di), Sperimentazione di percorsi orientativi personalizzati, 2005 2006 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La corresponsabilità CFP-famiglia: i genitori nei CFP. Esperienza triennale nei CFP CNOS-FAP (2004-2006), 2006 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione dei sussidi, II edizione, 2006 2007 D’AGOSTINO S., Apprendistato nei percorsi di diritto-dovere, 2007 GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo. Una proposta di percorsi per la creazione di impresa. II edizione, 2007 MARSILII E., Dalla ricerca al rapporto di lavoro. Opportunità, regole e strategie, 2007 NICOLI D. - TACCONI G., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello sta to dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. I volume, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere in... 1. L’identità. Percorso di cultura etica e religiosa, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere... Linee guida per i formatori di cultura etica e religiosa nei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale, 2007 2008 BALDI C. - LOCAPUTO M., L’esperienza di formazioni formatori nel progetto integrazione 2003. La riflessività dell’operatore come via per la prevenzione e la cura educativa degli allievi della FPI, 2008 CIOFS/FP (a cura di), Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2008 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., Individuazione e raccolta di buone prassi mirate all’accoglienza, formazione e integrazione degli immigrati, 2008 NICOLI D., Linee guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2008 NICOLI D., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello stato dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. II volume, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere con... 2. La relazione. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere per... 3. Il progetto. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 2009 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale meccanica, 2009 MALIZIA G. - PIERONI V., Accompagnamento al lavoro degli allievi qualificati nei percorsi triennali del diritto-dovere, 2009 2010 BAY M. - GRZĄDZIEL D. - PELLEREY M. (a cura di), Promuovere la crescita nelle competenze strategiche che hanno le loro radici spirituali nelle dimensioni morali e spirituali della persona. Rapporto di ricerca, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale grafica e multimediale, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale elettrica ed elettronica, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale automotive, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per l’orientamento nella Federazione CNOS-FAP, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale turistico-alberghiera, 2010 2011 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A. (a cura di), “Cittadini si diventa”. Il contributo dei Salesiani (SDB) e delle Suore Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) nell’educare studenti/ allievi delle loro Scuole/CFP in Italia a essere “onesti cittadini”, 2011 86 TACCONI G., In pratica. 1. La didattica dei docenti di area matematica e scientifico-tecnologica nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 TACCONI G., In pratica. 2. La didattica dei docenti di area linguistica e storico sociale nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 MANTEGAZZA R., Educare alla costituzione, 2011 NICOLI D., La valutazione formativa nella prospettiva dell’educazione. Una comparazione tra casi internazionali e nazionali, 2011 BECCIU M. - COLASANTI A.R., Il fenomeno del bullismo. Linee guida ispirate al sistema preventivo di Don Bosco per la prevenzione e il trattamento del bullismo, 2011 2012 PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., In cammino per Cosmopolis. Unità di Laboratorio per l’educazione alla cittadinanza, 2012 FRisAnCo M., Da qualificati, a diplomati, a specializzati. Il cammino lungo una filiera ricca di opportunità e competenze. Riferimenti, dispositivi e strumenti per conoscere e comprendere i nuovi sistemi di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) e di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS), 2012 Sezione “Esperienze” 2003 CIOFS/FP PUGLIA (a cura di), ORION. Operare per l’orientamento. Un approccio metodologico condiviso e proposte di strumenti, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 1. Guida per l’accoglienza, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 2. Guida per l’accompagnamento in itinere, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 3. Guida per l’accompagnamento finale, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 4. Guida per la gestione dello stage, 2003 2005 CIOFS/FP SICILIA, Operatore servizi turistici in rete. Rivisitando il progetto: le buone prassi. Progettazione, ricerca, orientamento, nuova imprenditorialità, inserimento lavorativo, 2005 TONIOLO S., La cura della personalità dell’allievo. Una proposta di intervento per il coordinatore delle attività educative del CFP, 2005 2006 ALFANO A., Un progetto alternativo al carcere per i minori a rischio. I sussidi utilizzati nel Centro polifunzionale diurno di Roma, 2006 CIOFS-FP LIGURIA (a cura di), Linee guida per l’orientamento nei corsi polisettoriali (fascia 16-17 anni). L’esperienza realizzata in Liguria dal 2004 al 2006, 2006 COMOGLIO M. (a cura di), Il portfolio nella formazione professionale. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2006 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V., Una formazione di successo. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali triennali di istruzione e formazione professionale in Piemonte 2002-2006. Rapporto finale, 2006 2007 NICOLI D. - COMOGLIO M., Una formazione efficace. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali di Istruzione e Formazione professionale in Piemonte 2002-2006, 2007 2008 CNOS-FAP (a cura di), Educazione della persona nei CFP. Una bussola per orientarsi tra buone pratiche e modelli di vita, 2008 2010 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2010, 2010 87 88 Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@donbosco.it Dicembre 2013 2011 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2011, 2011 2012 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edizione 2012, 2012 niCoLi D. (a cura di), Sperimentazione di nuovi modelli nel sistema di Istruzione e Formazione Professionale Diploma professionale di tecnico Principi generali, aspetti metodologici, monitoraggio, 2012 2013 sALAtino s. (a cura di), Borgo Ragazzi don Bosco Area Educativa “Rimettere le ali”, 2013 Cnos-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali. Edizione 2013, 2013

Il ruolo della Formazione Professionale Salesiana da don Bosco alle sfide attuali

Autore: 
Alessandro Giuseppe Curotti
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2013
Numero pagine: 
209
Codice: 
978-88-95640-54-9
A.G. CUROTTI IL RUOLO DELLAFORMAZIONE PROFESSIONALE SALESIANADA DON BOSCOALLE SFIDE ATTUALI Anno 2013 Coordinamento scientifico:Dario Nicoli (Università Cattolica di Brescia) Hanno collaborato:Matteo D’ANDREA: Segretario Nazionale settore Automotive.Dalila DRAZZA: Sede Nazionale CNOS-FAP – Ufficio Metodologico-Tecnico-Didattico.FIAT GROUP Automobiles.Comunità professionale AUTOMOTIVE: Angelo ALIQUÒ, Gianni BUFFA, Roberto CAVAGLIÀ, Egidio CIRIGLIANO, Luciano CLINCO, Domenico FERRANDO, Paolo GROPPELLI, Nicola MERLI, Roberto PARTATA, Lorenzo PIROTTA, Antonio PORZIO, Roberto SARTORELLO, Fabio SAVINO, Giampaolo SINTONI, Dario RUBERI. ©2013 By Sede Nazionale del CNOS-FAP(Centro Nazionale Opere Salesiane - Formazione Aggiornamento Professionale)Via Appia Antica, 78 – 00179 RomaTel.: 06 5137884 – Fax 06 5137028E-mail: cnosfap.nazionale@cnos-fap.it – http: www.cnos-fap.it SOMMARIO Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 SEZIONE STORICACapitolo PrimoDon Bosco imprenditore civile (dal 1815) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11Capitolo SecondoDall’intuizione di don Bosco all’Istituzione guidata da don Bosco (1841-1888) . 41Capitolo TerzoIl cammino delle Scuole Professionali Salesiane (1888-1969) . . . . . . . . . . . . . . . 65Capitolo QuartoFino ai CFP attuali (1970-2011) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95 SEZIONE ANALITICACapitolo QuintoAnalisi del successo formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 129Capitolo SestoOriginalità dall’origine a domani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 149 Allegati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 163 Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 195 Ringraziamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 199 Indice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 201 3 Prefazione È ormai ben noto fra gli studiosi, ma non così presente all’opinione pubblica, cheil salto industriale di un territorio è sempre accompagnato da una diffusione dellescuole tecnico-professionali, che addestrano i giovani alle mansioni necessarie al fun-zionamento delle fabbriche e dei laboratori artigianali e danno gli strumenti ai più in-traprendenti per creare nuove imprese e dare lavoro ad una comunità. A fondare nuo-ve scuole sono spesso gli imprenditori stessi, consci dell’importante ruolo da questesvolto. Altre volte sono i comuni che, interpretando le richieste degli operatori econo-mici del luogo, avviano scuole che diano supporto alle specializzazioni locali. Ma cheun sacerdote della religione cattolica si potesse interessare di scuole tecniche è davve-ro un fatto così eccezionale da meritare attenta considerazione.Per questo motivo, quando l’autore di questo libro venne ad espormi la sua ideadi ricerca sulle scuole tecniche salesiane, ne fui entusiasta. Il mio suggerimento fu ditracciarne un’evoluzione sul lungo periodo e di accertarne per gli anni più recenti la“distintività” rispetto alle altre scuole professionali. Alessandro ha compiuto il lavoroal meglio, iniziando dal fondatore, Giovanni Bosco, che viene da lui inscritto con feli-ce intuizione nel filone dell’imprenditoria “civile”, ossia di quel modo di fare econo-mia che non tende alla massimizzazione dell’utilità individuale, ma al contrario vuoleraggiungere il bene comune. Don Bosco partecipa a pieno titolo a quella schiera di re-ligiosi iniziata con i benedettini e proseguita con i francescani e molti altri secondo iquali il lavoro è centrale per la vita delle persone, sia per auto mantenersi, sia per tro-vare il proprio dignitoso posto nella società, ma anche per partecipare alla grande av-ventura della creazione iniziata da Dio e poi da lui affidata agli uomini. Ed ecco che a metà Ottocento Don Bosco capì che non erano più i campi, comeper i benedettini, o la mercatura, come al tempo dei francescani, gli ambiti predomi-nanti del lavoro, ma era l’artigianato e l’industria, a cui occorreva addestrare i ragazzisbandati che popolavano la sua città di Torino per reinserirli nella società. Fu ben pre-sto chiaro che per aprire e far funzionare dei laboratori occorreva maneggiare monetae rapportarsi al mercato. Se dunque non si potevano demonizzare gli strumenti utili allavoro, non si doveva però nemmeno esserne dominati. Inizia qui quella strada stretta,sempre in bilico tra necessità di reperire finanziamenti, abilità di mettersi sul mercato,volontà di rapportarsi alle istituzioni e valori cristiani che ha contraddistinto il movi-mento che da Don Bosco è scaturito. Fu una sfida alle povere certezze di una mentali-tà laicista secondo cui non si può mischiare “sacro e profano”. Se la capacità di un santo di agire “fuori dalle righe” è data per scontata, più dif-ficile è che egli generi un movimento che gli sopravviva e sia in grado di adattarsi al- 5 le mutevoli congiunture della storia, ma questo è proprio quello che è successo a DonBosco. Le sue intuizioni e prime realizzazioni erano così solide e ben impostate che sitrovarono molti, sacerdoti e laici, pronti a dedicarsi alla continuazione della sua ope-ra. Il libro illustra il passaggio del testimone dal Fondatore ai suoi successori, un pas-saggio fatto con fedeltà all’ispirazione originale, ma grande creatività nelle applica-zioni pratiche, anche in paesi diversi dall’Italia. Fra i molti sviluppi che vengono ri-chiamati, le “esposizioni” dei lavori degli allievi sono di particolare interesse, perchéesse intercettano una delle caratteristiche delle economie contemporanee, quella dicomunicare, pubblicizzare all’esterno i risultati perché siano di esempio e invito adaltri. Il lavoro di Alessandro si concentra poi sull’evoluzione dell’esperienza salesiananegli anni successivi alla II guerra mondiale, quando la repubblica italiana si propose dirammodernare il sistema nazionale di istruzione, con particolare riferimento all’istru-zione tecnico-professionale. È in questo contesto che nacque nel 1967 il CNOS (CentroNazionale Opere Salesiane), con compiti di coordinamento delle numerose opere sale-siane per la gioventù, in particolare la Formazione Professionale (CNOS-FAP). Si trattadi un tema vastissimo, che il volume non può esaurire, anche per la complessa evolu-zione legislativa subita dal settore, soprattutto a seguito dell’istituzione delle Regioni,con specifica competenza proprio sull’istruzione tecnico-professionale. Oltre all’anali-si dell’evoluzione del CNOS-FAP, due sono stati gli ambiti specifici in cui la parte fi-nale della presente ricerca si è voluta concentrare: le diversità regionali di interpretazio-ne del ruolo dell’istruzione tecnico-professionale, con un confronto tra Lombardia eEmilia-Romagna; e lo specifico dell’approccio salesiano. In particolare, il capitolo 5 conduce un’analisi del “plus” salesiano rispetto ad al-tri centri di erogazione di formazione tecnico-professionale, concludendo che la diffe-renza sta nel diverso modo di porsi dell’insegnante, nella considerazione dell’allievocome persona e nell’attenzione a trasmettere valori oltre che nozioni, a far amare lavita oltre che a preparare professionalmente. È una modalità educativa che dovrebbedavvero arrivare fuori da ristrette cerchie, per rivolgersi ai molti giovani che oggi tra-scinano malamente la loro vita non per strada in una povertà materiale, ma nelle di-scoteche e nei pub in una povertà spirituale che rende la vita forse ancora peggiore diquella di una volta. È questo il compito difficile di chi è salesiano oggi. Il libro di Alessandro puòaiutare a collocare questo compito in una prospettiva di lungo periodo, che testimoniadei molti cambiamenti necessari per far trionfare il bene e suggerisce che è questa lalegge della vita: essere in continua trasformazione, così da permettere a ciascuno didare il proprio contributo per aiutare tante persone a giungere a quella GerusalemmeCeleste, la cui perfezione non necessiterà più di trasformazioni. Vera ZamagniUniversità di Bologna 6 Introduzione La scelta di questa tesi nasce dall’incontro tra un vissuto biografico e lo studioaccademico dell’economia civile. La personale esperienza è quella di un salesianodi don Bosco consacrato per i giovani, specialmente i più poveri, che ha incontratoa Bologna la Formazione Professionale di un CFP del CNOS-FAP e lo studio acca-demico dell’economia civile, dei suoi presupposti filosofico-antropologici e del suoruolo nella storia dell’economia.Questi due elementi sono subito suonati in accordo e sintonia. La dedizione in-condizionata ai giovani vista nel centro di formazione e la riconoscenza incontratanegli ex-allievi non era razionalmente ben comprendibile dai presupposti dell’eco-nomia classica o neoliberale. L’incontro è stato, quanto meno a livello personale,molto proficuo.Questo lavoro, in piena coerenza con l’insegnamento accademico a cui fa rife-rimento, vive di un’unità di oggetto (la formazione professionale salesiana) nellacompresenza di due sguardi: il primo storico-genetico e il secondo istituzionale-analitico (le due sezioni). Questa impostazione ci sembra la più coerente a livelloepistemologico, in quanto un carisma nasce alla modalità dell’evento storico e intal modo continua a svilupparsi; ma un carisma, così come l’idea di un filosofo, hauna vita propria e autonoma dal fondatore/ideatore. Non si può capire un carismasenza questo duplice sguardo, così come non si può capire una idea filosoficaescludendo l’esperienza biografica del filosofo e le conseguenze/applicazioni dellasua idea/modello. Nel primo capitolo abbiamo presentato l’esperienza personale di GiovanniBosco, tracciato le origini dell’economia civile ricavandone i relativi principi e lospecifico lessico e siamo giunti ad affermare che don Bosco ha vissuto come auten-tico imprenditore civile e carismatico.Nel secondo capitolo abbiamo mostrato come l’intuizione del Santo presen-tasse uno stile intrinsecamente normativo. Proprio questo stile e l’utilizzo dei Re-golamenti, del Mutuo Soccorso e di altri strumenti giuridici (come l’Apprendistato)ed imprenditoriali (come l’Editoria), ha permesso di incarnare l’intuizione delSanto in un’istituzione da lui fondata.Nel capitolo terzo abbiamo evidenziato come i primi successori del Santo allaguida dell’istituzione salesiana siano riusciti a rimanere fedeli all’intuizione cari-smatica del fondatore, ma allo stesso tempo attenti ai segni dei tempi. Il principioguida, nella grande espansione dell’opera salesiana, è stato sintetizzato nell’espres-sione “con don Bosco e con i tempi”; la sua gestione è passata tra le mani dei con- 7 8 siglieri professionali generali fino alla costituzione in Italia di un ente specifico: ilCNOS. Nel capitolo quarto abbiamo gettato uno sguardo sulla regionalizzazione dellaformazione professionale e sull’azione della Federazione CNOS-FAP a livello na-zionale e locale. Abbiamo concluso illustrando brevemente i documenti che lancia-vano prospettive di futuro, selezionandoli tra quelli della Unione Europea, dellaChiesa Cattolica e della Congregazione salesiana.La sezione analitica inizia con il capitolo quinto che introduce alle particolaritàdel settore della cura della persona e degli indicatori utilizzati per le misurazioni ele analisi nel settore della formazione. Abbiamo attuato un confronto tra i principalistudi esistenti relativi al successo formativo nell’ambito della Formazione Profes-sionale a livello nazionale e a livello di Opere salesiane. Abbiamo poi proposto unnostro studio comparativo sulla base dei dati dell’accreditamento della regioneEmilia-Romagna e concluso riportando alcune interviste che hanno confermato ilcarattere originale della Formazione Professionale Salesiana la quale è caratteriz-zata da un metodo educativo proprio (nato da un carisma specifico) che ha conti-nuato ad amplificare il suo successo nella storia principalmente grazie alla capacitàeducativo-integrale focalizzata sulla cura della persona del giovane curandone emi-nentemente l’orientamento/vocazione.Nel sesto e ultimo capitolo, riportiamo le effettive conclusioni tracciando unacarta d’identità della Formazione Professionale Salesiana, compendiamo i risultatidelle due sezioni e riaffermiamo l’amplificatore del successo nel metodo educa-tivo capace di una educazione integrale con un ambiente che accoglie e una rela-zione di famiglia capace di orientare in ottica vocazionale.Con una certa libertà (seppur nel rispetto della prospettiva esegetica) propongola narrazione di Giuseppe d’Egitto (libro della Genesi, cap. 37 e ss.) come cifra sin-tetica per ogni carisma economico civile e la sua realizzazione nell’azione di donBosco e dei suoi salesiani. SEZIONE STORICA 9 11 Capitolo primoDon Bosco imprenditore civile (dal 1815) Io per voi vivo, per voi studio,per voi lavoro, per voi sono anche disposto a dare la vita(don Bosco) La nostra ricerca vede subito necessaria un’opera di sintonizzazione su fre-quenze non ordinarie in ambito economico. La prima “frequenza” è relativa alla teoria economica: per comprendere il lavoro è indispensabile entrare nell’alveo del-l’economia civile e in particolare nello sguardo antropologico posto sulla figuradell’imprenditore. La seconda “frequenza” è la figura personale di don GiovanniBosco e l’istituzione che scaturisce dalla sua esperienza, la Pia Società di San Fran-cesco di Sales (Salesiani). Cercheremo quindi di mettere in accordo le due frequen-ze per farle suonare insieme. L’obiettivo è scoprire come il pensiero economico ci-vile è stato un fiume carsico dal punto di vista della riflessione teoretica (econo-mics), ma vivace dal punto di vista della prassi (economy) vissuta da don Bosco nel-la sua esperienza con la gioventù abbandonata della Torino dei suoi tempi. Procede-remo con quattro passi: narrando l’esperienza personale di don Bosco (§1), traccian-do le origini dell’economia civile (§2), enucleandone i principi e il lessico (§3) e af-fermando che don Bosco ha vissuto come autentico imprenditore civile (§4).Non è certamente di oggi l’apprezzamento e il riconoscimento del ruolo im-portante che i carismi hanno svolto e svolgono all’interno della vita ecclesiale e,più in generale, della società civile. Occorre tuttavia ammettere che parlare di prin-cipio carismatico entro l’economia di mercato è qualcosa di originale e di straordi-nariamente sorprendente. L’ora et labora di Benedetto non è solamente una via perla santità individuale, ma il fondamento di un’etica del lavoro basata sul principiodella nobiltà del lavoro stesso. Sappiamo che nel mondo greco-romano il lavoronon era un elemento della vita buona; quest’ultima era piuttosto vita politica e nellapolitica non vi era posto per chi lavorava. Esperienza diversa quella del monache-simo, che raccoglie la riflessione dei Padri della Chiesa e l’uscita dall’imbarazzodella ricchezza portata dai francescani grazie a peculiari sguardi sul senso del la-voro e della proprietà dei beni1. 1 ZAMAGNI S., Introduzione a BRUNI L. - SMERILLI A., Benedetta economia, Roma, Città Nuova,2008. 2 BRUNI L. - SMERILLI A., Benedetta economia, Roma, Città Nuova, 2008, p. 104.3 Per valutare l’esperienza di don Bosco come imprenditore civile è indispensabile una minimaconoscenza biografica. Per un primo “incontro” tre sono i riferimenti di assoluta autorevolezza:BOSCO T., Don Bosco una biografia nuova, Torino, LDC, 1979; BOSCO G., Memorie dell’Oratorio diSan Francesco di Sales - dal 1815 al 1855, edizione critica a cura di A. Ferreira da Silva, Roma, LAS,1991 (indicate con la sigla MO); LEMOYNE G.B. - AMADEI A. - CERIA E., Memorie Biografiche didon… del Beato… di San Giovanni Bosco 19 vol., San Benigno Canavese - Torino 1898-1939 (indi-cate con la sigla MB CAP., pag.). L’economia attuale è quanto di meno ideale e carismatico possa apparire, fattada tornaconti individuali e passioni tristi, tutto (dalla giovinezza alla salute, dall’a-more all’amicizia) sembra essere oggetto delle trattative del mercato. Bruni e Sme-rilli, in Benedetta Economia si chiedono che posto hanno in questo contesto le mo-tivazioni intrinseche, la gratuità, la vocation, in una sola parola i carismi. Benedettoe Francesco, con i loro carismi hanno tracciato una storia di economy ed anche dieconomics. Occorre sapere vedere, riconoscere, scoprire i carismi, anche nella loroportata teorica; esattamente come hanno fatto gli studiosi medievali vicini ai grandicarismi del loro tempo. Semplificando: Francesco ha avuto un carisma peculiareche ha generato delle prassi (economy) che ha illuminato una riflessione (econo-mics) guidata da Alessandro di Hales, Guerrino di Ignye, Pietro Giovanni degliOlivi e Bonaventura. L’ambizioso progetto è quello di scavare nell’esperienza carismatica di donBosco, con particolare riferimento alla sua cura per la Formazione Professionale,partendo dall’imprenditore civile dell’Ottocento e seguendo un’organizzazione chesi istituzionalizza rimanendo fedele al movente carismatico nelle dinamiche ri-chieste dai segni dei tempi. Questa tesi si propone di gettare le solide basi di uncontributo al recentissimo filone di ricerca inaugurato sotto “l’urgenza, intellettualee civile, di raccogliere, scrivere e far conoscere al mondo la storia carismatica del-l’economia”2. 1.1. Esperienza Personale Giovanni Bosco3 nasce il 16 agosto 1815 in una cascina presso la piccola fra-zione de “I Becchi” di Castelnuovo d’Asti, oggi Castelnuovo Don Bosco, figlio diFrancesco Bosco e Margherita Occhiena. Il padre era rimasto vedovo con due figlia carico. Quando Giovanni aveva ancora due anni, il padre contrae una grave pol-monite che lo conduce alla morte nel maggio del 1817, lasciando così la moglieMargherita vedova con tre figli da accudire, oltre alla madre del marito, anziana edinferma. A nove anni il piccolo Giovanni Bosco ha un sogno che egli stesso defi-nisce “profetico”.A quell’età ho fatto un sogno, che mi rimase profondamente impresso nella mente pertutta la vita. Nel sonno mi parve di essere vicino a casa in un cortile assai spazioso, dovestava raccolta una moltitudine di fanciulli, che si trastullavano. Alcuni ridevano, altri 12 giuocavano, non pochi bestemmiavano. All’udire quelle bestemmie mi sono subito lan-ciato in mezzo di loro adoperando pugni e parole per farli tacere. In quel momento ap-parve un uomo venerando in virile età nobilmente vestito. Un manto bianco gli coprivatutta la persona; ma la sua faccia era così luminosa, che io non poteva rimirarlo. Eglimi chiamò per nome e mi ordinò di pormi alla testa di que’ fanciulli aggiugnendo questeparole: - Non colle percosse ma colla mansuetudine e colla carità dovrai guadagnarequesti tuoi amici. Mettiti adunque immediatamente a fare loro un’istruzione sulla brut-tezza del peccato e sulla preziosità della virtù. Confuso e spaventato soggiunsi che io eraun povero ed ignorante fanciullo incapace di parlare di religione a que’ giovanetti. Inquel momento que’ ragazzi cessando dalle risse, dagli schiamazzi e dalle bestemmie, siraccolsero tutti intorno a colui che parlava.Quasi senza sapere che mi dicessi, - Chi siete voi, soggiunsi, che mi comandate cosa im-possibile? Appunto perché tali cose ti sembrano impossibili, devi renderle possibili col-l’ubbidienza e coll’acquisto della scienza. - Dove, con quali mezzi potrò acquistare lascienza? - Io ti darò la maestra sotto alla cui disciplina puoi diventare sapiente, e senzacui ogni sapienza diviene stoltezza.- Ma chi siete voi, che parlate in questo modo?- Io sono il figlio di colei, che tua madre ti ammaestrò di salutar tre volte al giorno.- Mia madre mi dice di non associarmi con quelli che non conosco, senza suo permesso;perciò ditemi il vostro nome.- Il mio nome dimandalo a Mia Madre. In quel momento vidi accanto di lui una donna dimaestoso aspetto, vestita di un manto, che risplendeva da tutte parti, come se ogni puntodi quello fosse una fulgidissima stella. Scorgendomi ognor più confuso nelle mie di-mande e risposte, mi accenno di avvicinarmi a Lei, che presomi con bontà per mano, eguarda, mi disse. Guardando mi accorsi che quei fanciulli erano tutti fuggiti, ed in lorovece vidi una moltitudine di capretti, di cani, di gatti, orsi e di parecchi altri animali. -Ecco il tuo campo, ecco dove devi lavorare. Renditi umile, forte, robusto; e ciò che inquesto momento vedi succedere di questi animali, tu dovrai farlo pei figli miei.Volsi allora lo sguardo ed ecco invece di animali feroci apparvero altrettanti mansuetiagnelli, che tutti saltellando correvano attorno belando come per fare festa a quell’uomoe a quella signora.A quel punto, sempre nel sonno, mi misi a piangere, e pregai quello a voler parlare inmodo da capire, perciocché io non sapeva quale cosa si volesse significare.Allora Ella mi pose la mano sul capo dicendomi: A suo tempo tutto comprenderai.Ciò detto un rumore mi svegliò.Io rimasi sbalordito. Sembravami di avere le mani che facessero male pei pugni cheaveva dato, che la faccia mi duolesse per gli schiaffi ricevuti; di poi quel personaggio,quella donna, le cose dette e le cose udite mi occuparono talmente la mente, che perquella notte non mi fu possibile prendere sonno.Al mattino ho tosto con premura raccontato quel sogno prima a’ miei fratelli, che si mi-sero a ridere, poi a mia madre ed alla nonna. Ognuno dava al medesimo la sua interpre-tazione. Il fratello Giuseppe diceva: Tu diventerai guardiano di capre, di pecore o dialtri animali. Mia madre: Chi sa che non abbi a diventar prete. Antonio con secco ac-cento: Forse sarai capo di briganti. Ma la nonna, che sapeva assai di teologia, era deltutto inalfabeta, diede sentenza definitiva dicendo: Non bisogna badare ai sogni. Io era del parere di mia nonna, tuttavia non mi fu mai possibile di togliermi quel sognodalla mente. Le cose che esporrò in appresso daranno a ciò qualche significato. Io hosempre taciuto ogni cosa; i miei parenti non ne fecero caso. Ma quando, nel 1858, andaia Roma per trattar col Papa della congregazione salesiana, egli si fece minutamenteraccontare tutte le cose che avessero anche solo apparenza di soprannaturali. Raccontai 13 14 allora per la prima volta il sogno fatto in età di nove in dieci anni. Il Papa mi comandòdi scriverlo nel suo senso letterale, minuto e lasciarlo per incoraggiamento ai figli dellacongregazione, che formava lo scopo di quella gita a Roma. (MO, 36-39)Lo storico Pietro Stella ipotizza che il sogno del giovane Bosco venne influen-zato da una predica riguardante il mandato di Gesù a San Pietro e la celebre frase:“Pasci le mie pecorelle”. Secondo gli studi dello storico infatti Giovanni fece quelsogno proprio la notte successiva alla festa di San Pietro.In seguito a quel sogno, il giovane Bosco decide di seguire la strada del sacer-dozio. La sua vita è fatta delle fatiche per ottenere i mezzi per studiare, dell’aiuto allavoro nei campi e dei giochi con i compagni. Per avvicinarli alla preghiera, Gio-vannino Bosco li intrattiene con giochi di prestigio e acrobazie da saltimbanco,chiede come biglietto di pregare insieme il Rosario, di ascoltare una lettura trattadal Vangelo e spesso ripete a memoria la predica sentita dal parroco. Il fratellastroAntonio guarda di cattivo occhio il fatto che Giovannino frequenti la scuola e passiil tempo pregando e compiendo giochi di prestigio piuttosto che lavorare e contri-buire così al sostegno della famiglia. Le liti in casa portano Margherita a mandarevia il figlio dai Becchi per farlo vivere come garzone presso la cascina dei coniugiMoglia, dove rimane dal febbraio 1827 al novembre 1829. Nel settembre 1829 ar-riva a Morialdo don Giovanni Calosso; stupito dalla memoria e dalla tenacia del ra-gazzo, decide di accoglierlo nella propria casa per insegnargli il latino e prepararloa frequentare il seminario. Il 21 marzo 1831 il fratellastro Antonio sposa AnnaRosso, Giovanni torna a casa e riprende da settembre gli studi a Castelnuovo con lapossibilità di una semi-pensione presso Giovanni Roberto, sarto e musicista delpaese che gli insegnò il proprio mestiere e la propria arte. Grazie all’aiuto del mae-stro, Don Emanuele Virano, recupera gli anni di ritardo, ma quando il professoreviene nominato parroco di Mondonio e abbandona la scuola, il suo anziano sosti-tuto, non riuscendo a tenere la disciplina, fa perdere al giovane Bosco tempo pre-zioso che “spreca” imparando diversi mestieri: sarto, grazie all’aiuto di GiovanniRoberto e fabbro nella fucina di Evasio Savio. A Chieri si stabilisce a pensionepresso la casa di Lucia Matta. Per mantenersi gli studi lavora come garzone, came-riere, addetto alla stalla, etc. Qui fonda la Società dell’Allegria, riprendendo a radu-nare ragazzi come nell’infanzia e in una sfida batte addirittura un saltimbanco pro-fessionista, acquistando così il rispetto e la considerazione della comunità studen-tesca. Il 3 novembre 1837 Giovanni inizia la teologia. Diventato prete, riceve al-cune proposte lavorative economicamente interessanti: come istitutore a Genova ocome cappellano. Egli però si rifiuta di accettare tali incarichi anche per la peren-toria affermazione della madre Margherita: “Se per sventura diventerai ricco, nonmetterò mai più piede a casa tua”. Su invito di don Cafasso, decide di entrare, nel1841, nel Convitto Ecclesiastico di Torino. In questo edificio il teologo Luigi Gualae Cafasso preparano una cinquantina di giovani sacerdoti a diventare preti deltempo e della società in cui dovranno vivere. Questa sorta di corso di perfeziona-mento incentrato sulla teologia morale e su esperienze pratiche presso carceri, 15 ospedali e scuole aveva la durata di tre anni. Don Bosco inorridisce di fronte al de-grado carcerario nel quale vivevano giovani dai 12 ai 18 anni, rosicchiati dagli in-setti e desiderosi di mangiare anche un misero tozzo di pane. Decide così di radu-nare intorno a sé tutti i ragazzi degradati della zona, dai piccoli spazzacamini agliex detenuti. I giovani immigrati dalle valli piemontesi e lombarde (anche in diffi-coltà linguistiche) costituivano la sua banda che ogni fine settimana si radunava perla messa, il catechismo, un po’ di alfabetizzazione, la merenda e tanto gioco. Il 12aprile 1846, giorno di Pasqua, finalmente don Bosco trova un posto per i suoi ra-gazzi, una tettoia con un pezzo di prato: la tettoia Pinardi a Valdocco. La stabilitàgli permettere di far crescere la sua attività che si riassume nel criterio Oratorianofatto di cortile per incontrarsi tra amici, scuola che avvia alla vita, chiesa che evan-gelizza e casa che accoglie. Nel 1847 (dopo aver dato rifugio di fortuna a un allievoinseguito nella notte dal padre ubriaco) inizia ad accogliere in casa i ragazzi orfanio i più lontani da casa. L’episodio allarga la ferita nel cuore di don Bosco, consape-vole che alcuni suoi ragazzi per la notte si arrangiano come possono. Il primo ten-tativo è un fiasco condito da fuga notturna dei ragazzi e furto delle coperte. Poi dueonesti orfani e una grande espansione4. Nel 1850 diede vita all’associazione chiamata “Società di mutuo soccorso” confini aggregativi e di solidarietà, arginando gli effetti delle difficoltà delle tradiziona-li corporazioni. Nel 1853 inizia la costituzione dei laboratori interni alla casa, “fudon Bosco il primo maestro: si sedette sul deschetto e martellò una suola davanti aquattro ragazzini. Poi insegnò a maneggiare la lesina e lo spago impeciato. Pochigiorni dopo cedette il posto di maestro a Domenico Goffi, il portinaio dell’orato-rio”5. Così con Mamma Margherita iniziarono i sarti e, l’anno successivo, facendosiaiutare a impaginare un foglietto inizia la rilegatoria. Il laboratorio tipografico6, natocon qualche difficoltà in più, sostiene l’espansione della sua attività di scrittore e Fonte: P. STELLA, Don Bosco nella storia economica e sociale. 4 STELLA P., Don Bosco nella storia economica e sociale (1815-1870), Roma, LAS, 1980, p. 175.5 BOSCO T., op. cit., p. 225.6 MB VII, cap. 7. Tabella 1: ospiti della casa annessa all’Oratorio 7 SANDIONIGI M., Lo stile imprenditoriale di san Giovanni Bosco: anticipatore del managementdel terzo millennio?, Tesi di laurea in economia - Università di Bergamo, a.a. 2009/2010. (di prossimapubblicazione). pubblicista. Opera instancabile che lo vede spaziare da opere scolastiche ad ameniscritti teatrali, da biografie storiche a libretti di meditazione e preghiera, da agiogra-fie a presentazioni dell’opera dell’Oratorio e della Congregazione. Il 18 dicembre1859 fonda ufficialmente la Società Salesiana, facendo la proposta a 19 giovani e alsacerdote Vittorio Alasonatti che lo aiutava da tempo. Alcuni nel segreto avevanogià promesso di aiutare don Bosco nella sua missione da alcuni anni. La presenza dialcuni salesiani non orientati a diventare preti segna una rivoluzione nella gestionedei laboratori. La prima formula gestionale è caratterizzata da dipendenti con sti-pendio fisso poco motivati, poi si passa a porre i maestri come imprenditori, con ilproblema che spesso prediligevano il profitto dei lavori che insegnare effettivamen-te l’arte. La definitiva formula gestionale affida i laboratori ai salesiani coadiutori,totalmente sposati alla causa della gioventù. Tra i primi vi sono Giuseppe Rossi eGiuseppe Buzzetti, che professano i voti di castità, povertà e obbedienza in vita co-munitaria al servizio dei giovani con il nome di salesiani coadiutori. Nel 1872, conSanta Maria Domenica Mazzarello, fonda l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatri-ce, con lo scopo di educare, con il medesimo spirito, la gioventù femminile. Nel1875 parte la prima spedizione missionaria per l’Argentina, terra della grande emi-grazione italiana dell’Ottocento e fonda l’Associazione dei Cooperatori, laici impe-gnati considerati da Don Bosco come i “Salesiani Esterni”. Don Bosco muore all’al-ba del 31 gennaio 1888.Già da questa breve nota biografica, non possono esservi dubbi sulle sue per-sonali qualità imprenditoriali, tanto da poter affermare che “la spiccata arte diimprovvisazione e la creatività dimostrata nella gestione, permettono di scorgere indon Bosco un manager della migliore stoffa, soprattutto con riferimento ai mezzifinanziari movimentati”7. Lungi da noi l’intenzione di ridurre il tuttotondo di unagrande personalità a solo un rivoluzionario, a solo il primo sindacalista, a solo unprete imprenditore, etc. 1.2. Principi di Economia Civile Le fonti di questo fiume carsico risalgono ai filosofi delle polis greche e ai giu-risti della civitas romana. Fonte particolare è l’influsso del cristianesimo sulle sud-dette società che ha prodotto una visione dell’uomo che partono da Aristotele Plato-ne e si compiono in Agostino e Tommaso. Nella cultura antica dell’Uno, la societàcivile caratterizzata dalla molteplicità fatica ad essere compresa dalla riflessione. Ilcristianesimo innesta una rivoluzione culturale con un Assoluto che si rivela comecomunità, Uno-e-Trino, comunione, permette una riflessione sulla società pensata 16 8 TODESCHINI G., Ricchezza francescana. Dalla povertà volontaria alla società di mercato, Bologna, Il Mulino, 2004.9 BRUNI L. - SMERILLI A., Benedetta economia …, 2008. come relazionale. Queste fucine culturali sono visibili nelle esperienze vitali delmedioevo. Un contributo autorevole è quello di Todeschini8, che ci permette di ve-dere la vita del mercato in maggior continuità rispetto alla ben nota opera di MaxWebber. I presupposti sono, tuttavia, da far risalire ad un nuovo atteggiamento neiconfronti del lavoro e della sua divisione e organizzazione. Punto di svolta è l’espe-rienza della vita religiosa in Occidente. Il capostipite è Benedetto, nato a Norcia at-torno al 480, che nei suoi studi a Roma resta disgustato dalle frivolezze e matura lascelta della vita monastica. La regola da lui scritta sarà regola personale del futuropapa Gregorio Magno, che la sosterrà e propagherà molto una volta giunto al sogliopontificio. L’ora et labora non mira a fondere due attività distinte o separate, ma so-no viste come un unum, un punto di equilibrio tra attività e contemplazione profon-damente compenetrate. Con il termine lavoro si intendeva infatti un vasto ed etero-geneo campo di azione tutto svolto in modo contemplativo, ovvero denso di atteg-giamento orante. Le attività spaziavano dall’Opus Dei ovvero la preghiera corale, allabor ovvero il lavoro manuale per soddisfare le necessità materiali; dall’artes nellecreazioni artistiche e artigianali all’opus nello studio intellettuale; dal bonum delleopere buone come l’istruzione per i poveri alla lectio divina per approfondire la Pa-rola di Dio. Questa visione ed etica del lavoro è quanto ha sostenuto i famosissimifrutti dell’azione monastica: terreni bonificati, innovazioni tecniche (vinificazione,champagne, metallurgia, arte del vetro…) copiatura e conservazione di testi antichi,istruzione popolare, la riflessione con una razionalità strumentale sull’economia esulla governance “democratica” e la creazione dei relativi lessici specifici (p.e. inte-ressi, aver voce in capitolo…)9. 1.2.1. Origini StoricheL’Occidente europeo conosce tra il 1000 e il 1200 un periodo di straordinariacrescita. Tale sviluppo ha sostenuto il crescere di una mentalità quantitativa e l’ha-bitus a ragionare in termini numerari è sostenuto dal diffondersi della moneta o pe-cunia. Il contesto culturale è fortemente cristiano e la mentalità dei talenti da traffi-care e non tesaurizzare è di origine evangelica. Altrettanto si deve dire per l’imma-gine usata per spiegare il valore del Paradiso, paragonato a una perla preziosa perla quale un mercante è disposto giustamente a vendere tutto. Sant’Agostino, invece,parla del sangue di Cristo come del prezzo del riscatto pagato dal “mercante cele-stiale” per ottenere la salvezza dell’umanità. Le attività di commercio, scambio e prestito erano quindi viste con un giudiziopositivo, quasi la prova della santità di un vescovo o di un abate risiedevano nellacapacità amministrativa. Il sospetto nasce con il proliferare dei pauperes che moltiplicano progressiva- 17 10 TODESCHINI G., op. cit., p. 23.11 Ibidem. mente le loro attività commerciali curando anziché interessi sacri in senso religiosoo sociale (vescovi abati o regnanti) gli interessi personali o famigliari. Nella bio-grafia di santa Fede, badessa del santuario di Conques, la santa è lodata per la ca-pacità di curare il patrimonio del convento senza lasciarsi imbrogliare, in quantocapace di riconoscere perfettamente il valore dei preziosi. Grazie all’intervento di-vino avrebbe smascherato un commerciante di cere (bene molto prezioso nellezone di grandi pellegrinaggi) incendiando un cero che si era nascosto addosso, ob-bligandolo a confessare il suo piano monopolistico atto a determinare il prezzo adanno del monastero e dei pellegrini. Non mancano mercanti illuminati comeOmobono di Cremona, proclamato santo nel 1199 da Innocenzo III per la virtùeroica nell’aiuto ai poveri. Si ritirò in preghiera dopo una vita di commerci e dicura della sua grande prole.Il problema più grosso è quello dell’usura, tanto che il concilio Laterano II nel1179 dichiara gli usurai stranieri al cristianesimo e nega loro il diritto alla sepolturareligiosa.“L’usuraio era dunque un nemico pubblico, veniva normalmente paragonato alladro e all’omicida, soprattutto perché la sua avidità […] gli oscurava la compren-sione della regola fondamentale ormai preposta alla legittimazione dell’arricchi-mento: l’obbligo per denaro e ricchezza di essere riconosciuti come vantaggiosi perla comunità dei fedeli”10. La linea discriminante tra il giusto mercante e l’ingiustousuraio è tracciato da Simone da Bisignano, canonista del XII sec.I mercanti che comprano a poco con l’intenzione di vendere a molto debbono esserechiamati usurai?si deve concludere per il no, dal momento che il loro mestiere è di ren-dere migliori le cose commerciate o comunque di occuparsene dandosi da fare con im-pegno e fatica, sì che è loro consentito di commerciare11.È condanna invece senza appello l’atteggiamento dell’usuraio che pretende ditesaurizzare e avere indietro più di quanto ha prestato. L’ira suscitata dall’usura ènei predicatori incommensurabile. Come spiegare tale foga accusatoria? Perchéproprio nella predicazione era necessario ritornare senza posa all’usuraio? È dubbioche la questione si riducesse alle sole ragioni dottrinali. Si deve piuttosto supporreche l’argomentazione critica dei teologi che istruivano sulla peccaminosità dell’u-sura fosse derivata, una sorta di giustificazione scientifica dell’odio che l’uditoriodei predicatori nutriva nei confronti degli usurai. È poco probabile che si possa af-fermare che tutte le storie sugli usurai di cui abbondano le prediche, appartenganoagli autori degli exempla. Non avevano esse, sia pur parzialmente, origine nell’opi-nione pubblica? In alcuni exempla traspare l’ostilità degli abitanti delle città versocolui che presta a interesse. Un prete, volendo dimostrare che l’usura è un mestieretanto vergognoso che nessuno osa riconoscervisi pubblicamente, disse durante unapredica: «Voglio darvi l’assoluzione dai peccati secondo la professione e l’occupa- 18 12 GUREVIC A.J., Il mercante, in LE GOFF J., L’uomo medievale, Bari, Laterza, 1993, p. 281.13 TODESCHINI G., op. cit., p. 32. zione di ciascuno. Si alzino i fabbri». I fabbri si levarono dai banchi e ricevetterol’assoluzione. Dopo di loro l’assoluzione fu elargita anche agli altri artigiani. Infineil predicatore proclamò: «Si alzino gli usurai e riceveranno l’assoluzione». Sebbenece ne fossero di più che nelle altre professioni, nessuno si alzò, ma tutti si nasco-sero e si appiattarono. Tra le risate generali gli usurai si allontanarono vergognosi.Il peso della maledizione gravante sull’anima dell’usuraio è tale che ai funerali diuno di loro i vicini non ebbero la forza di sollevarne il corpo12.La vita di Romualdo di Ravenna, opera scritta da Pier Damiani intorno al1050, è emblematico per la presenza degli elementi chiave. Una famiglia agiata, unpadre avaro, un figlio ribelle che trova pace nel rigore della vita monastica, vita diperfezione percorsa fino alla brillante santità fatta di rigorosa povertà, instancabileoperosità, affabilità disinvolta nelle relazioni con ogni ceto sociale. I santi eremitiunivano il miracolo della povertà volontaria all’instancabile attivismo simile allamobilità imperiale, lontano ricordo in un tempo di castelli e roccheforti chiusi madensi del sapore evangelico della missione.Dalle sante vite di monaci come Romualdo di Ravenna o di Norberto diXanten nascono nuove famiglie monastiche come i Camaldolesi in Italia e i monacidi Prémontré in Francia; “in ognuno di questi casi, la povertà individuale degli ere-miti conduce dalla proprietà di un patrimonio famigliare all’amministrazione disin-teressata di un patrimonio collettivo, comunitario, sociale”13.In un contesto di radicale Sequela Christi emergeva sempre più sconvolgentelo stridente contrasto tra la splendente santità e l’abbruttita marginalità dei misericostretti da disoccupazione, malattie, carestie, guerre.Anche per questo tra i miracoli attribuiti a Bernardo di Clairvaux della fami-glia monastica di Citeaux vi è la prodigiosa distribuzione di viveri ai poveri assie-pati alle porte del monastero; tale miracolo è l’altra faccia della sua predicazionecontro i benestanti della Borgogna in piena crisi nel 1142, quando tuona contro gliecclesiastici occupati ad accumulare ricchezze mentre la popolazione è alla fame.Dopo il Mille si inasprisce la polemica tra gli eremiti santi e produttivi controgli ereditieri padroni che detengono i poteri politici. Si sviluppa la distinzione traproprietà privata personale e amministrazione del territorio con criteri di pubblicautilità, tra ricchezza necessaria al bene comune e sfarzo di lusso tesaurizzato, tralusso cercato dai signori laici ma anche da ecclesiastici ed efficienti monasteri. Ber-nardo tuona contro la politica del monastero di Cluny che usa il denaro per pro-durre altro denaro attraverso la spettacolarizzazione dello sfarzo, dove le offertesono più di spettatori affascinati da un’esibizione insensata che di convinti fedeli.Queste affermazioni si fanno forza della crescente notorietà del dissesto finanziariodi Cluny e del prosperare dei Cistercensi.Cresceva progressivamente la consapevolezza di valutare il valore in base alla 19 14 Ibidem, p. 45.15 Ibidem, p. 49. capacità produttiva, additando al pubblico disprezzo le scelte che inchiodavanoterre, oggetti o persone al piacere privato. I pagamenti o le esenzioni individualivenivano progressivamente delegittimati a vantaggio dei privilegi riservati aChiese, monasteri, ospedali per la riconosciuta utilità sociale. Nell’humus culturaledelle città si sviluppa il concetto di bene comune, l’utilità pubblica segnata dallade-individualizzazione. Lo dimostra la considerazione giuridica delle città comeenti sopra le parti (universitates) e l’autodefinirsi communitas da parte delle“elites” dirigenti dei comuni italiani con terminologie religiose con forti riferimentialla perfezione evangelica14.Il santo patrono, le reliquie, gli edifici religiosi, l’origine sacrosanta, l’indipen-denza dall’imperatore, il riferimento alla legislazione papale dimostrano un atteg-giamento chiamato religione civica.Il disprezzo per la tesaurizzazione avida in contrasto con il prosperare datodalle abilità amministrative è un clima culturale dell’Europa occidentale che è giàvisibile negli scritti di Liutprando, vescovo di Cremona, che nel 960 esecra glisfarzi e gli ori dei vescovi bizantini incontrati nel suo viaggio a Costantinopoli.Tra XII e XIII secolo lo sviluppo della riflessione è guidato dai giuristi e daipenitenzieri, volge a distinguere tra il lusso personale e il lecito utilizzo dei beni (li-mite alle doti, ai beni di lusso, tassazione per ridistribuire al privato verso il pub-blico).L’abilitazione sociale dei mercanti è crescente nell’argomentazione della loroutilità sociale del mantenere la presenza di beni fondamentali durante carestie edepidemie attraverso la loro attività di scambio e viaggio.Papa Callisto II nel 1123 sancisce come dovere degli ecclesiastici il difendere imercanti di passaggio e Graziano nel 1140 rafforza la normativa nel Decretum.Se qualcuno oserà catturare o privare dei loro averi i pellegrini che si recano a Roma avisitare la Sede apostolica o i pellegrini che si recano a visitare altri santuari, oppureoserà tormentare i mercanti esigendo da loro tasse o dazi inusitati, sia allontanato dallacomunità dei cristiani fino a che non abbia indennizzato coloro che ha danneggiato15.L’esperienza spirituale di Francesco d’Assisi è immersa nelle tensioni poli-tiche tra gli schieramenti vicini all’imperatore tedesco Federico Barbarossa e quellifedeli al papa Innocenzo III e l’interazione con Perugia, dove gli scontri delle fa-zioni sono principalmente lotte per interessi locali e famigliari.Francesco, tra la sua nascita nel 1182 e la sua uscita dal mondo nel 1206, è tra-volto dalla situazione di conflitto bellico e dall’attività familiare di mercanti distoffe.Le idee portanti, oltre alla leggenda e all’agiografia, si evincono dalla regoladella fraternità francescana e dal suo testamento: assoluto rifiuto del contatto con il 20 denaro, accoglienza dell’elemosina e del lavoro manuale come attività di sussi-stenza, ricerca di tutte le forme di vita marginalizzata (lebbrosi, vagabondi, ladri,animali selvatici).La scelta di seguire Francesco nella fraternità (base dalla quale nascerà l’Or-dine) è segnato da alcuni precisi gesti di povertà: abbandono della casa paterna, ve-stiario cencioso, lavoro come sguattero o muratore, mendicità senza vergogna.Queste scelte portano a eventi in discontinuità con il contesto: la prima pre-senza dei francescani a Bologna è in una casa che resta di proprietà del cardinaleUgolino d’Ostia. Il capitolo del 1221 detto “delle stuoie”, svoltosi a Santa Mariadegli Angeli, ingenera una gara di sostegno tra i paesani stupiti della evangelicanoncuranza nei confronti del vitto beato “si reputava chi più cose potesse portare, opiù sollecitamente servire”.La discontinuità concettuale è forte e indubbiamente provocatoria per le città ele corti del Duecento. Francesco nega che il denaro possa rappresentare credibil-mente la realtà del mondo naturale e sociale. Qual è il valore del lupo di Gubbio?Quale quello della scodella condivisa con i lebbrosi? Degli uccelli inviati ad annun-ciare il Vangelo da Bevagna?Le monete non possono quantificare la cortesia, la relazione che si prende curain modo effettivo e affettivo, ovvero del soddisfacimento del bisogno di Dio che sisoddisfa attraverso la protezione, il nutrimento, l’ospitalità. Il rifiuto dell’equiva-lenza tra denaro e valore capace di soddisfare i bisogni viene negata e studiata conun vocabolario concettuale che è in grado di distinguere tra uso, utilizzo, proprietà,possesso.La prima generazione di francescani dopo la morte del fondatore il 2 feb-braio 1227 è costellato da filosofi, dottori in legge e teologia come Giovanni Pa-renti giudice, Adamo di Oxford maestro, Guglielmo da York baccelliere, Giovannida Reading abate.Sorge un fecondo incontro tra il modello di vita francescano e la cultura giuri-dica e teologica con centro nelle grandi università come Bologna e Oxford e neipiccoli studi presenti in ogni convento. Questo fu l’alveo di incontro tra il pensierodotto della Scolastica e i temi pauperistici sorti nell’esperienza eremitica e mona-stica nel secolo precedente. Dal 1230 i frati si distinguono specialmente in Italiaper il loro impegno nel comporre i conflitti interni alle città entrando nella scenapolitica di Bologna, Arezzo e Perugia.Nell’aneddoto narrato da Tommaso da Celano nel 1246 e ripreso da Bonaven-tura da Bagnoreggio nella Leggenda del 1260 abbiamo la cifra sintetica dell’atteg-giamento carismatico di fronte alla povertà.Il vicario del santo, frate Pietro Cattani, aveva osservato che a Santa Maria della Por-ziuncola arrivava un gran numero di frati forestieri e che le elemosine non erano cosìabbondanti da bastare alle necessità. Si rivolse allora a Francesco e gli disse: “Non so,fratello, cosa debba fare, perché non posso provvedere a sufficienza ai molti frati chegiungono qui a frotte da ogni parte. Permetti, ti prego, che si conservi parte dei beni deinovizi che vengono all’Ordine, per farvi ricorso e spenderli al momento opportuno”. 21 16 Ibidem, p. 76. “Fratello carissimo - rispose il santo - Dio ci liberi da una pietà che, per un uomo,chiunque esso sia, ci induca a comportamenti empi verso la Regola”. E quello: “Allora,cosa dobbiamo fare?” Spoglia – rispose – l’altare della Vergine e portane via i vari ar-redi se non potrai soddisfare altrimenti le esigenze di chi ha bisogno. Credimi, le saràpiù caro che sia osservato il Vangelo del Figlio suo, e che sia nudo il suo altare, piut-tosto che vedere l’altare ornato e disprezzato il Figlio. Il Signore manderà poi chi possarestituire alla Madre quanto ci ha dato in prestito” 16.È evidente la posizione francescana circa il rapporto tra ricchezze immobiliz-zate (altare della Madonna) e ricchezza utilizzata e distribuita. L’atteggiamentoebbe una costituzione giuridica precisa nel 1230 con la bolla pontificia Quo Elon-gati che normava la vita povera dei frati.La povertà appare fin dal 1230 come una via di utilizzo dei beni che permetteil soddisfacimento dei bisogni solo attraverso la socialità amichevole e l’apparte-nenza a un ambiente civico sociale.Nel 1241 viene scritta una esposizione della Regola grazie ai contributi diAlessandro di Hales, Jean de la Rochelle, Eude Rigaud e Robert de la Bassée, cheapre la riflessione sull’efficienza economica della gestione pauperistica con a baseil criterio che i poveri volontari non possono danneggiare i poveri per necessità. Ilminore utilizzo di beni calmiera i prezzi che rende più dignitosa la vita degli indi-genti che possono anche ricevere una quantità maggiore di elemosine. Così nelcomponimento “Dialogo fra un difensore e un nemico della povertà”, Ugo di Dignegiunge ad affermare che coloro che scelgono, con grande merito morale, la povertàsprecano meno ricchezze collettive, ossia usano meglio e più a lungo le cose.Questa riflessione interna per custodire il tesoro della povertà si propaga nellaazione pastorale di tanti francescani impegnati come confessori, direttori di co-scienze, giuristi, etc.Lo sguardo dei poveri al seguito di Cristo affina lo sguardo sulla realtà dell’u-tilità relativa alle possibilità d’uso dei beni economici, in particolare tra il 1270 e il1290, nei conflitti ecclesiastici e accademici riguardanti la definizione dell’identitàdella povertà francescana. I membri dell’Ordine diventano ormai parte significati-vamente integrante della Chiesa nel ruolo di vescovi, confessori, inquisitori e con-siglieri di regnanti.Fino al XIV secolo la riflessione giuridico penitenziale sul funzionamento dellaricchezza tra i laici era di carattere astratto (Tommaso di Chobham, Guglielmo diAuxerre, Enrico di Susa, Sinibaldo dei Fieschi e anche Tommaso d’Aquino nellapoderosa Summa). Le trattazioni francescane nascono in conseguenza della loropresenza conflittuale sui territori per il loro specifico modo di vivere in povertà.Tra i primi a riflettere in questo contesto si rileva Pietro di Giovanni Olivi, fe-dele al pauperismo rigorista di Francesco e immerso nel movimentato contestocommerciale della Linguadoca. 22 17 OLIVI P.G., De usu paupere, in TODESCHINI G., op. cit., p. 92. È talmente fervente nel difendere il rigore della povertà da collaborare allapromulgazione della bolla pontificia “Exiit” del 1279 e da doversi scagionare dalleaccuse di estremismo pauperistico a un processo durato ben quattro anni.La sensibilità al mondo mercantile nasce in una terra di agiati artigiani e mer-canti del settore tessile, dalla originale complessità culturale per la forte presenzadei movimenti valdese, cataro e albigese, di una ricca e viva comunità ebraica, e diattivi ordini religiosi.Nelle questioni sulla perfezione evangelica, il non ancora trentenne teologoOlivi affronta con precisione il tema del valore relativo dei beni mobili e immobilisoffermandosi sulla differenza fra oggetti necessari e superflui in base alla capacitàdi soddisfare le necessità umane. Affronterà temi connessi all’economia mercantile,fino a giungere a un’esposizione sistematica delle sue concezioni economiche conil trattato sul commercio e l’usura scritto a Norbonne nel 1294.La valutazione della necessità effettiva è pertanto il risultato di un ragiona-mento su quanto serve e su quando serve. Non prevedere quanto potrà servire in fu-turo è solo apparenza di morigeratezza: in realtà è incapacità di calcolare la traiet-toria dell’utilità di una cosa.Bisogna osservare che una cosa necessaria subito e una cosa necessaria adesso nonsono affatto lo stesso. Può infatti essere necessario subito qualcosa che servirà soltantoin futuro, così come per esempio è necessario all’epoca della semina seminare pensandoall’epoca del raccolto; o come avviene quando qualcuno si provvede al vestiario e allacasa. Se infatti gli uomini non provvedessero subito a procurarsi il vestiario pensando altempo di possibile durata del vestiario stesso, ma al contrario cambiassero vestito ognigiorno, verrebbero a trovarsi in una situazione ridicola, di ostacolo piuttosto che favore-vole alla perfezione17.La visione rigorosa di povertà indica il principio sociale della valutazione dellecose scegliendo il metodo dell’assegnazione di un prezzo. La relatività sociale diquesto apprezzamento dei beni di prima necessità, delle merci utili o dei beni volut-tuari rimanda continuamente alla concretezza di una società alle prese con i propribisogni e la rarità dei beni. Il pregio delle cose dipende dal bisogno che se ne ha,ma questo bisogno è dinamico e soggettivo. Questo principio valutativo soggettivopone il problema della oggettività del denaro con la sua capacità di misurare il va-lore di qualunque bene. Per Olivi la pecunia se non viene tesaurizzata, ma vistacome il valore convenzionale di un bene utile, diventa un’entità che fluttua a livellointerpersonale senza appartenere definitivamente a nessuno. Il denaro per i france-scani ha una certa utilità solo se viene a mancare una socialità amichevole, quandonon riescono a ottenere attraverso la rete degli amici spirituali e devono ricorrere acontratti di compravendita. In questa visione i mercanti appaiono alla fine del Due-cento come i possibili esperti delle ricchezze presenti nelle città e nei paesi. Il 23 18 BRUNI L., La ferita dell’altro. Economia e relazioni umane, Trento, Il Margine, 2007, p. 176.19 Nasce dalle considerazioni di 4 autori: la filosofa Martha Nussbaum (1986), il sociologo Pier-paolo Donati (1986), e gli economisti Benedetto Gui (1987) e Carole Uhlaner (1989). Per una defini-zione vedi BRUNI L. - ZAMAGNI S., Dizionario di Economia civile, Roma, Città Nuova, 2009.20 OLIVI P., in TODESCHINI G., op. cit., p. 118. senso sociale del denaro sarà sempre più legato all’abilità mercantile di circola-zione distante dall’immobilizzazione, ovvero a considerarlo come unità di misura enon come oggetto prezioso.Il carisma di Francesco unito alla cultura dotta dei suoi primi successoriplasma il “dono di occhi diversi capace di vedere cose che altri non vedono”18, nonvedevano i piagati dalla povertà che è meglio chiamare miseria, ma hanno visto gliinnamorati della beatitudine evangelica. Inoltre si considera il valore del mondonon in ottica di scambio e prezzo ma di relazione. Ecco un fondamento della rifles-sione sui beni relazionali19.Il valore e il costo del lavoro, il prezzo delle merci, il profitto per le attivitàsono determinate dal significato pubblico, civico e istituzionale:Dal momento che il prezzo delle cose e dei servizi deve essere valutato in rapporto albene collettivo, di conseguenza in quest’ambito è di fondamentale importanza conside-rare la definizione dei prezzi che abitualmente avviene e il criterio di valutazione stabi-lito normalmente dalle comunità civiche20.Per il mondo laicale il metro dell’effettivo bisogno è sostituito dal prezzo de-terminato della communitas civilis che partecipa alle contrattazioni del mercato. Ilvalore è fissato dall’utilità collettivamente riconosciuta, dalla scarsità e dalle prefe-renze personali. Un bene come il pane ha una utilità riconosciuta da tutti, lo zaffe-rano ha valore per la sua rarità, le opere d’arte hanno valore per la preferenza per-sonale di chi pagherebbe qualunque somma per averle.L’opera di studio di Olivi ha numerosi continuatori nel Trecento. Scoto a Ox-ford, Alessandro Lombardo a Genova, Guiral Ot a Tolosa.Dalla metà del Duecento al Quattrocento alcune famiglie mercantili guadagna-vano molto potere in città condizionando il potere pubblico o addirittura gestendolodirettamente come i Pepoli a Bologna. La parola mercante viene ad assumere unampio ventagli di significati, da drappiere a banchiere, da amatore a cambiavalute,da costruttore a tesoriere delle imposte. Il progressivo fondersi del potere politico epotere economico pose il problema dell’equivalenza tra il valore delle attività com-merciali con la ricchezza di terreni o immobili. Non era una faccenda meramenteaccademica ma un’accesa contesa quando si trattava di stabilire la quantità di tasse,ovvero l’imponibile. La ricchezza privata non era vista in opposizione alla felicitàpubblica: la crisi imprenditoriale del trecento italiano aveva anzi definitivamenteindebolito e marginalizzato Verona, Piacenza, Perugia e Siena mentre il felice ma-trimonio tra pubblico e privato aveva mantenuto lo sviluppo di Milano, Bologna,Firenze e Genova. 24 21 PINI A.I., Classe politica e progettualità urbana a Bologna nel XII e XIII secolo, in TODE-SCHINI G., op. cit., p. 138.22 DA EMPOLI F., Questio de Materia Montis, in G. TODESCHINI, op. cit., p. 145.23 Sulle radici medioevali dell’Umanesimo e della modernità vedi anche LE GOFF J., Un lungomedioevo, Bari, Dedalo, 2004. Proprio a Bologna, dove i mercanti e i cambiatori assieme alle corporazioni artigianali ri-uscirono a conquistare l’intero esecutivo (cosa che accadde in pochissime città italiane),le decisioni e i programmi di natura economica furono sempre il derivato di decisioniprese a livello politico e quindi, almeno di nome, ma spesso anche di fatto, nell’interessenon di singole categorie professionali di singoli ceti, ma dell’intera collettività urbana21.Questo portò a vivaci dibattiti in Italia centrosettentrionale e in Catalogna circai prestiti pubblici in particolare sull’interesse e sulle cessione delle rendite da im-poste. Si trattava di usura legalizzata? Di abuso dei privati? O di un lecito rapportotra singoli e stato?Per i Francescani la situazione era definita come famiglie agiate che presta-vano denari allo stato ricavandone una rendita periodica ottenuta per la cessione deidiritti propri dello Stato. Nasceva un commercio di valori immateriali e intangibilicome i futuri proventi fiscali. Un valore possibile, eventuale e ipotetico.Il Monte Comune o Banco Pubblico, che gestiva il pubblico prestito, occasiona-va una rete di relazioni economiche. Il credito fra pubblico e privati è visto nelle con-siderazioni francescane come una tipologia contrattuale inscindibile dalle sue conse-guenze sociali a livello di relazioni economiche interpersonali. Francesco da Empolied Eiximenis tra il 1350 e il 1380 confermano la legittimità del prestito pubblico e ilsuo significato socio economico. La fruttuosità di un investimento dipendeva in defi-nitiva dall’appartenenza riconosciuta al mercato capace di individuare la pubblicautilità dei contratti profittevoli attivati. Rendono riconoscibile la partecipazione pri-vata al prestito pubblico l’identità professionale esperta nel tutelare il proprio dirittoal capitale e all’interesse (tam ius ad capitale quam ad interesse)22.La comunità civile è confermata dall’utilità pubblica dei prestiti del mercanteperché abitualmente si dedica a transizioni di altra natura e preferisce far circolare isuoi capitali piuttosto che immobilizzarli. I francescani cominciarono a fissare allesoglie del Quattrocento i pilastri di una società di poveri volontari, fluidità dei com-merci, perizia dei professionisti del mercato e della finanza capaci di affrontare i ri-schi calcolabili e produttivi della rinuncia alla fruizione immediata della ricchezza.La riflessione economica francescana è quindi punto di riferimento terminolo-gico e categoriale per tutto il pensiero economico seguente. Lo scambio imperso-nale avviene dentro un alveo relazionale fiduciale della comunità cristiana. 1.2.2. Umanesimo e tramonto del civileSe quanto messo in luce per il Medioevo regge, è inevitabile superare la con-trapposizione tra umanesimo civile e buio medioevo incivile23. Una peculiare no- 25 24 BRUNI L. - ZAMAGNI S., Economia civile. Efficienza, equità e pubblica felicità, Bologna, IlMulino, 2004, p. 50.25 Ibidem. vità nell’umanesimo è l’insoddisfazione per le categorie conoscitive medievali e unnetto ritorno a Roma e alla Grecia. “Secondo la lettura di Garin e Baron, gli inven-tori dell’umanesimo civile, l’età dell’oro dell’umanesimo civile sono in Italia fraTrecento e Quattrocento, e i suoi maggiori esponenti sono Coluccio Salutati,Poggio Bracciolini, Leonardo Brui, Leon Battista Alberti, Matteo Palmieri con unosfondo di fioritura artistica fatta da nomi come Brunelleschi, Masaccio, Donatello,Botticelli”24. Queste tesi sono in contrapposizione alla lettura di Jacob Burckhardt,che vedeva l’umanesimo italiano come l’origine dell’individualismo moderno.L’umanesimo civile riporta lo sguardo della riflessione su temi relazionali esociali. Poggio Bracciolini loda quello che la tradizione considera vizio nel suotrattato De Avaritia (1429) come uno spirito di iniziativa che favorisce lo sviluppodei commerci:scomparirebbe dalla città ogni spendore, ogni bellezza, ogni ornamento, non più templi,non monumenti, non arti…; l’intera vita nostra e dello stato sarebbe sovvertita se cia-scuno si procurasse solo il necessario… Allo stato il danaro e nerbo necessario, e gliavari ne devono esser considerati base e fondamento25. Il lavoro non è più visto come inferiore alla contemplazione, ma come parteci-pazione alla azione creatrice di Dio, la vita veramente umana è la vita activa densadelle virtù messe a disposizione di tutti. Bruni ricorda che “si chiamano studia hu-manitatis perché formano l’uomo completo”. Lo stesso affermava il nesso virtù, ci-vitas e felicità dicendo: la virtù, se è seria virtù è sociale perché “se è ottima cosadare la felicità ad uno solo sarà più bello conquistarla a tutto uno stato?” In questocontesto culturale i mercanti diventano geniali innovatori in ambito istituzionale eorganizzativo, nascono la commenda veneziana (l’embrione della Società perAzioni), l’assicurazione, la partita doppia (sistematizzata dal francescano Luca Pa-cioli nel 1494), la banca e la borsa valori, etc.Dalla fine del Cinquecento inizia il declino delle città italiane, tagliate fuoridalla corsa al Nuovo Mondo e dall’avanguardia tecnologica. L’esperienza della li-bertà e della repubblica cede il passo a signorie, principati e assolutismi. Le artimeccaniche, le attività civili ed economiche tornano ad essere viste come inferiorie non adatte al cittadino che ha da vivere con le entrate date dai diritti nobiliarisulle proprietà terriere, in una sorta di processo di rifeudalizzazione che riporta ilcentro gravitazionale dei poteri verso la terra. L’antropologia traghetta verso la mo-dernità con alcuni contributi rivoluzionari che portano la socialità ad attributoestrinseco, transitorio e accidentale. L’uomo moderno è pauroso, incivile e scaltro.La vita in comune è un aspetto fenomenico, ma non più connaturale, è letto comevincolo e peso. L’individuo egoista e autointeressato non ha nulla a che vedere conla reciprocità, ma con obblighi sociali e urto con interessi contrapposti. 26 26 Ibidem, p. 63.27 Ibidem, p. 69.28 BRUNI L., L’impresa Civile, Milano, Egea, 2009, p. 76.29 Ibidem. La letteratura utopica spinge dalla visione di communitas verso l’immunitas.Questo cambiamento passa attraverso il pessimismo di Macchiavelli, nella vi-sione contrattualistica di Hobbes e nella etica di Mandville.Macchiavelli vede il Principe come colui che con la virtù politica (e non civile)libera i sudditi dai conflitti tra animali incivili. Hobbes nega l’assioma dello zòonpolitikòn e mostra la ricerca della compagnia come causata dalla ricerca del prorpiointeresse per paura. Lo stato-Leviatano di Hobbes, che sulla scia di Macchiavelli“rinunciò al civile per salvare il politico”26, potremmo dire sulla scia di Bruni ri-nunciò alla benedizione della comunitas per fuggire al rischio della sua ferita rifu-giandosi nell’immunitas. Mandville nella celebre Favole delle Api del 1714 cantò ivizi privati come causa dei pubblici benefici.L’economia moderna nasce in un terreno di complesse e irriducibili antropo-logie consapevoli della natura ambivalente (socievole-insocievole) eppur compati-bile con il bene comune. La ricerca della Pubblica Felicità fa la sua comparsa in untesto del 1749 di Ludovico Antonio Muratori, sale alla fama con l’Illuminismofrancese e si cristallizza nel testo di Costituzione degli Stati Uniti d’America del1776 come pursuit of happiness. L’aggettivo pubblico non ha l’accezione attualeche lo riduce ad “azione del governo, dello stato”, ma indicava il riconoscimentoche la ricchezza può essere anche individuale, ma la felicità è un bene che si puògodere almeno in due. La felicità è pubblica e relazionale in indissolubile rapportocon le virtù civili. Infatti “l’economista italiano Achille Loria sul finire del 1800 poteva scrivereche tutti i nostri economisti si occupano non tanto, come Adamo Smith, della ric-chezza delle nazioni, quanto della felicità pubblica”27.Il cuore della riflessione teoretica è nell’Illuminismo Italiano tra Napoli e Mila-no. Qui l’economia civile ha la sua sistematizzazione teorica, ma già con l’Ottocen-to scompare dallo scenario della riflessione e ne restano solo le tracce in pratichevirtuose che risultano difficilmente spiegabili dal pensiero economico neoclassico.L’indiscutibile protagonista è il salernitano Antonio Genovesi (1713-1739) che conil primo incarico accademico come professore di metafisica, nel 1754 è il primo cat-tedratico di economia della storia; con l’insegnamento di “Commercio e Meccani-ca” pubblica le Lezioni di Economia Civile. “L’idea base dell’economia civile diGenovesi è la visione del mercato come forma di amicizia. La vita economica è vitacivile, e la vita civile è intesa come reciprocità e amicizia”28. L’idea di uomo sotto-stante è più esigente dell’animale socievole aristotelico, l’umano è caratterizzato dalreciproco diritto al soccorso. La socialità è umana se caratterizzata dalla reciprocità.Basti pensare che negli stessi anni ne “La ricchezza delle nazioni” Smith considerala cifra tipica della relazionalità umana “la propensione a scambiare e barattare”29. 27 30 BRUNI L. - ZAMAGNI S., Economia civile..., pp. 73-89. 1.3. Dizionario civile minimo Partiamo da una visione della attività economica come naturalmente civile eabitata dalle virtù sociali delle relazioni pienamente umane, tutt’altro dal pensierodominante che considera l’economico come un luogo eticamente neutro fatto difunzioni di massimizzazione del profitto con le regole e la morale come vincoli.Costruiamo ora un dizionario minimo per parlare il lessico dell’economia civile30. 1.3.1. CommerciareIl Commerciare è considerato come strettamente legato al benessere sociale ealla pace. Uno stato non si può dire ricco e felice che in un solo caso, allorché ognicittadino con un lavoro discreto di alcune ore può comodamente supplire ai suoibisogni ed a quelli della sua famiglia. Un lavoro assiduo, una vita conservata astento, non è mai vita felice. Questa era la misera condizione dell’infelice Sisifo:niun istante era per lui, perché li doveva tutti al lavoro. 1.3.2. InteressiIn economia i moventi auto interessati per eterogenesi dei fini portano a benefi-ci sociali per la nota “mano invisibile” di Smith, già considerata da Galiani nel 1803(“La Suprema mano”). La visione e la prassi civile sono tutt’altro dalle pubblichevirtù e dal vizio privato alla Mandeville. Don Bosco nelle sue opere agiva convintoe coraggioso fino al temerario con una piena fiducia nella Provvidenza. Provvidenzache negli illuministi del Settecento e in Vico era il meccanismo immanente alla sto-ria che trasformava, grazie alla vita civile e alle sue istituzioni, vizi in virtù, interes-si privati in bene comune, diventa la barca squassata dei Malavoglia di Verga:Solo l’osservatore, travolto anch’esso dalla fiumana, guardandosi attorno, ha il diritto,di interessarsi ai deboli che restano per via, ai fiacchi che si lasciano sorpassare dal-l’onda per finire più presto, ai vinti che levano le braccia disperate, e piegano il caposotto il piede brutale dei sopravvegnenti, i vincitori d’oggi, affrettati anch’essi, avidi an-ch’essi di arrivare, e che saranno sorpassati domani. Lo sguardo dell’economia civile supera il riduzionismo antropologico dell’e-conomia neoclassica che prende in considerazione un solo movente per le scelte in-dividuali: quello relegato alle motivazioni estrinseche che coincidono con la massi-mizzazione del salario e del profitto e la riduzione dell’impegno profuso nel lavoro(effort). L’antropologia civile allarga gli orizzonti e prende in considerazione lemotivazioni intrinseche e quelle trascendenti. Questa visione permette di spiegaremeglio comportamenti quali il volontariato e numerosi atteggiamenti cooperativiche risultano irrazionali alla luce della teoria dei giochi sotto l’ipotesi di individuiself lover privi di altre motivazioni. 28 31 Ibidem, p. 79.32 BRUNI L. - ZAMAGNI S., Ibidem, p. 83. 1.3.3. FiduciaÈ un concetto simile a quanto i moderni teorici sociali chiamano social capital,ovvero il tessuto di fiducia e di virtù civili che fa sí che lo sviluppo socioecono-mico sia sostenibile a lungo termine. È altro dal capitale reputazionale che è privatoe circolante sul mercato ed è più della loro somma. È in sintonia con quanto la Dot-trina Sociale della Chiesa chiama “principio di sussidiarietà”, principio oggi inse-rito negli ordinamenti civili e giuridici. Genovesi considera la carenza della fiduciapubblica la prima causa dell’arretratezza del suo Regno di Napoli, ricco di fiduciaprivata ed onore, di relazioni strette legate al sangue, ma povero di confidenza nelgoverno, confidenza nei magistrati, confidenza negli altri cittadini31. 1.3.4. IncivilimentoCaratteristico degli umanisti civili è la convinzione che la cultura non si debbalimitare alla ricerca del solo fine, ma deve indicare i mezzi. Sono le curiose derivecontrapposte del mondo accademico che da aureolata ricerca dei fini ultimi, quasiestraneo al mondo quotidiano, giunge all’attuale tecnicismo che si occupa deimezzi lasciando ad altri (chi?) la decisione sui fini. 1.3.5. Reciprocità e FelicitàDiversi autori indicano economia civile e pubblica felicità come sinonimi perindicare la scuola italiana classica; siamo giunti al binomio fondamentale, autenticachiave di volta per comprendere le peculiarità dalla visione economica dominante.La felicità ha una natura eminentemente relazionale nel senso della reciprocità. PerGenovesi i rapporti con gli altri non sono principalmente mezzi per ottenere van-taggi personali. Lo stesso mercato è visto come un luogo caratterizzato dal reci-proco aiuto. La reciprocità è da intendersi quindi ben più della mera socialità.“Anche gli animali sono socievoli, ci ricorda [Genovesi] in linea con il pen-siero classico, da Platone a Cicerone ed Agostino. L’umano inizia con la recipro-cità: L’uomo è un animale socievole: è un dettato comune. Ma non ogni uomo crederà chenon vi sia in terra niun animale che non sia socievole… In che dunque diremo chel’uomo essere più socievole che non sono gli altri… [è il] reciproco dritto di essere soc-corsi, e conseguentemente una reciproca obbligagione di soccorerci nei nostri bisogni(Genovesi 1824, I, cap. 1, § XVII, 14)L’amor proprio e l’amore per gli altri sono due dimensioni entrambe presentinella persona, […]. Queste due forze dunque sono in noi ambedue primitive,benchè legate insieme”32. 29 33 Ibidem. L’uomo è fatto di sua propria natura di relazioni e non è piegato al relazionarsiattraverso un contratto per la sua paura e incompletezza come individui a-socialicome propongono Macchiavelli e Hobbes. Con questa antropologia la felicità (enon solo il diritto individuale alla sua ricerca come sanciscono le costituzioni ame-ricane) è una faccenda che risiede negli altri.Fatigate per il vostro interesse; niun uomo potrebbe operare altrimenti, che per la suafelicità; sarebbe un uomo meno uomo: ma non vogliate fare l’altrui miseria, e se potete,e quanto potete, studioatevi di fare gli altri felici. Quanto più si opera per interesse.Tanto più, purchè non si sia pazzi, si debb’essere virtuosi. È legge dell’universo che nonsi può far la nostra felicità senza far quella degli altri (Genovesi 1963,449) “Gli fa eco Adam Ferguson: chi desidera il bene altrui scopre che la felicitàdegli altri è la fonte più generosa per la propria felicità. […] Ma proprio perquesto sulla felicità non abbiamo un controllo pieno: l’essere umano per realizzarsiha bisogno di reciprocità, e tuttavia per conseguirla deve fare il salto della gratuità.La quale può portare o meno alla risposta reciprocante ma senza la quale la reci-procità genuina non si sviluppa, e la vita in comune non fiorisce”33. Questi paradossi della felicità, che nella versione neoclassica sono ridotti aidentità con il reddito, stanno emergendo nelle moderne ricerche di economia spe-rimentale. I capostipiti della economics of happiness sono Easterlin, famoso per ilparadosso del reddito dove dimostra che la felicità in funzione del reddito non ècrescente ma ha un massimo, e Layard, che recentemente l’ha stimato attorno ai20.000 $. Negli anni più recenti sono centrali i contributi di Robert Franck, ilquale sostiene che se noi usiamo un aumento del nostro reddito semplicemente percomprare case più grandi e auto più costose, non ci ritroviamo dopo questi acquistipiù felici di prima. Ma se ricollochiamo il reddito su beni non vistosi (uncospi-scius goods) riusciamo a perdere meno tempo nel traffico, a stare più tempo in fa-miglia, a dedicarci a viaggi e attività interessanti, insomma a una vita più sana efelice. Le analisi di Tibor Scitovscky sono ancora più illuminanti. Ne L’economiasenza gioia (1976 trad.it. 2007) traccia la distinzione tra beni di confort e beni dicreatività. I beni di confort (maxi TV piatto, auto lussuosa) producono un picco sa-liente di sensazione piacevoli, fortemente decrescenti nel tempo fino a diventarerifiuti fastidiosi da togliersi dai piedi (il bellissimo lettore di musicassette è oggiun ingombro da museo). Diversamente i beni di creatività hanno una utilità margi-nale crescente, ma caratterizzati da un costo di avvio notevole (musica, letture,teatro che chiedono di affinare il gusto per apprezzarli crescentemente). Oggi sipresentano sempre più sul mercato beni di confort che simulano i beni di creatività(social network e reality show in modo insuperabile). “Non stupisce quindi cheuna ricerca sui dati della World Values Survey risulta che in tutti i paesi del mondoil numero di ore passate davanti alla TV è inversamente correlato all’indice di feli- 30 34 BRUNI L., L’impresa civile…, p. 97.35 Intendiamo con progetto quello imprenditoriale attuato da Luigi Einaudi e Giacomo Becattini.Cfr. § successivo. cità; come non meraviglia che nei paesi OCSE le ore davanti alla TV crescono as-sieme alle ore di lavoro”34. Questi brillanti contributi sono comunque ben lontanidalla profondità delle considerazioni dell’economia civile per due riduzioni: laprima è la base individuale dell’happines, la seconda è catturata dallo stesso ter-mine anglosassone che deriva dal verbo to happen, accadere; ma la felicità nellavisione civile è altro da un edonistico succedere, ma un profondo essere al modoeudamonico. 1.3.6. ImpresaL’economia politica smithiana è basata sulla separazione tra mercato e società:nel mercato si operano scambi basati sul self-interest e sulla immunitas e nell’im-presa si segue il principio gerarchico della societas. Per l’economia civile, invece,il principio della reciprocità è fondante sia a livello sociale che di mercato e si tra-duce in cooperazione e cum-petere. Il frutto della visione capitalistica anglosassoneè l’atteggiamento filantropico dell’imprenditore: si pensi a Bill Gates, che massi-mizza i profitti aziendali nell’ambito del mercato ed elargisce generose donazioninell’ambito sociale. I frutti della tradizione civile-cooperativa sono la redistribu-zione attraverso il welfare state a livello sociale e il sindacato a livello di impresa.Il recente movimento denominato Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI)nasce come tentativo di “moralizzazione” dell’impresa capitalistica for profit. Lafunzione obiettivo di tale impresa è la massimizzazione del profitto dei principalistakeholders, gli azionisti. Il principale vincolo è il raggiungimento di standardetico sociali minimi (tasse, leggi ambientali, sindacati,…). La RSI e strumenticome il bilancio etico svolgono la funzione di segnalare il rispetto di questi stan-dard specialmente negli ambiti dove l’enforcement governativo è più debole. L’im-presa civile è, invece, intrinsecamente responsabile; non sviluppa procedure di ag-giustamento, ma si comporta secondo la Responsabilità Civile d’Impresa (RCI). Ilsuo obiettivo è creare e sviluppare un progetto35. Il principale vincolo è l’economi-cità/efficienza. La presenza di un profitto è indicatore del buon funzionamento delprogetto anche dal punto di vista etico: in un contesto con risorse scarse, infatti, laloro efficiente collocazione scevra di sprechi avrà necessariamente anche un ri-svolto morale.È interessante notare che il Codice Civile Italiano non definisce l’impresa, masolamente la persona dell’imprenditore come chi “esercita professionalmente un’at-tività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o diservizi” (art. 2082) ed esclusivamente in sua relazione definisce l’azienda come “in-sieme degli strumenti utilizzati per svolgere l’attività imprenditoriale” (art 2555). 31 36 EINAUDI L. (1964), Lezioni di politica sociale, in BRUNI L., Impresa Civile..., p. 136.37 EINAUDI L. (1964), in Ibid., p. 137.38 BECATTINI G. (2002), “Benessere umano e imprese progetto. Intervista al Prof. Giacomo Becattini”, in Ibid., pp. 137-138. 1.3.7. ImprenditoreLa persona che mette al culmine dei propri obiettivi il profitto non è un im-prenditore, ma un’altra figura che popola il mondo economico e in particolarequello finanziario: lo speculatore. Il vero imprenditore insegue un progetto, unsogno, e per realizzarlo mette in gioco tutte le sue capacità (tecniche, organizzative,finanziarie,…). Vi sono uomini che “hanno l’istinto della costruzione. Forse in nes-suna epoca storica l’istinto della costruzione fu così evidente come nel Medio Evo,quando si costruiva per l’eternità”36. Proprio Einaudi descrive l’imprenditore cometaciturno e poco coltivato, taciturno e irriso dagli intellettuali, “ma fate che essi dis-corrano dell’impresa che hanno creato e diventano eloquenti e ispirati al pari delsacerdote e del poeta. Chi li ascolta si avvede di trovarseli innanzi a uomini speri-mentati e sapienti, i quali hanno creato qualcosa che senza la loro opera non sa-rebbe esistito”37. Giacomo Becattini traccia la distinzione tra le “imprese nucleolo”(alla ricerca del massimo profitto e indifferenti alla loro attività) e “imprese pro-getto” (fortemente focalizzate su una attività core). Immerse in uno sciame di im-prese nucleolo “sta una popolazione di imprese tese primariamente a realizzare unprogetto di vita, qualcosa che si può vedere come una sorta di prolungamento especificazione della personalità dell’investitore-imprenditore”38.Sempre Becattini mette in evidenza come il comportamento dell’imprenditore,spinto da una multiformità di motivazioni, tende a rimanere sul mercato anchequando l’operatore razionale della teoria neoclassica opterebbe per una smobilita-zione totale. La storia di numerosi casi aziendali ha mostrato quanto tale irrazionaleattaccamento all’attività si sia dimostrato vincente: si pensi a Steve Jobs, primaleader fondatore estromesso della Apple, poi reintegrato alla guida nella fase dimaggiore crescita. 1.4. Don Bosco imprenditore carismatico Nell’ultimo paragrafo di questo capitolo procediamo all’intreccio della tramabiografica con l’ordito costituito dai principi dell’economia civile. Questo ci per-metterà di affermare che quella di don Bosco è stata un’azione autenticamente ci-vile, ripercorrendo i termini del “dizionario minimo”. 1.4.1. Imprenditore civileAggiungeremo una specificazione del suo carattere carismatico in senso più stretto. Consolidato questo punto, i capitoli successivi esploreranno l’evolu- 32 39 SANDIONIGI M., op. cit., p. 33.40 STELLA P., Don Bosco nella storia economica…, p. 371. zione storica della prassi civile del fondatore nell’istituzione che ne continueràl’opera.CommerciareL’azione educativa di don Bosco è caratterizzata dal cercare un avviamento allavoro fatto di competenze e gradualità, tutelate con contratti di apprendistato eorari ridotti rispetto alle usanze del tempo. Inoltre gli orari programmati lasciavanoai giovani sempre spazio per altro dal lavoro: momenti ludici, di ricreazione, mo-menti religiosi e di formazione personale. Una sua espressione sintetica era “onesticittadini e buoni cristiani”. Prima di essere nelle condizioni di organizzarsi con la-boratori propri curò alcuni contratti di apprendistato, all’avanguardia anche se nonil primo (L’Opera di Mendicità istruita fondata nel 1774 li stipulava da tempo).Le capacità sono da imprenditore di razza. “La conservazione e l’incrementodel proprio vantaggio competitivo sono sempre più determinanti dalla rapidità di ri-sposta alle tendenze emergenti del mercato dalla flessibilità nel reimpiego delle ri-sorse, anticipando i cambiamenti e investendo in nuove risorse e capacità. […] L’a-nalisi ambientale non consiste, però, necessariamente nel tradizionale accumulo digrandi quantità di dati economici e nella ricerca di mercato; quanto, piuttosto, nellatendenza a privilegiare la comunicazione diretta con i clienti, attuando uno sguardointuitivo che sappia cogliere e sfruttare i segni di novità che la storia porta consé”39. Lo sguardo don Bosco verso i suoi “clienti” (i giovani) fu proprio guidato dalconsiglio iniziale della sua guida don Cafasso: “vai per le strade della città e guar-dati intorno”.Anche nell’amministrazione finanziaria don Bosco si muoveva nell’ambito della culturain cui si iscriveva l’Oratorio, tra vita urbana e rurale, tra mondo scientifico e mondoanalfabeta […]. fatto di conteggio orale e di apprezzamento essenziale di situazionianche complesse, ma i cui orizzonti erano percepibili in base alla propria esperienzaquotidiana40.Infatti non esiste alcun documento completo di contabilità annuale di donBosco. Dalle indagini di Serafino Biffi del 1867, che operava in base alla legge 753del 3 agosto 1862 sulle Opere pie e altri istituti benefici, risulta che l’economo di-chiarò un costo medio giornaliero di 80 centesimi a fanciullo. Il raffronto dimostrache tale dichiarazione si basava sulla media degli altri istituti Torinesi che essendoufficialmente riconosciuti cone Opere Pie erano tenuti a tale rendicontazione. Lasua valutazione è di un istituto che non ha sufficiente stabilità economica e quindidestinato alla chiusura. Cita gli Artigianelli che nel 1868 ospitavano 150 giovani edoberata da 250.000 lire di debito e la società di patronato pei giovani dal carcerefondata da Ilarione Petitt di Roreto nel 1842 giunta a fallimento dopo aver gestitol’opera secondo le prime modalità tentate da don Bosco (maestri dipendenti e mae- 33 Fonte: cfr. tab. 1. Tabella 2: Gestione della Generala 41 MB V, p. 36.42 STELLA P., Don Bosco nella storia economica…, pp. 243-249. stri imprenditori). Differente giudizio hanno le opere legate alla Marchesa Baroloin virtù del solido capitale fondiario sottostante. Possiamo oggi affermare che la va-lutazione di Biffi sull’opera di don Bosco era errata.InteressiTotalmente diverso dall’osservatore che filantropicamente aiuta, o dal buonuomo che fa l’elemosina a poveri immigrati della Torino dell’Ottocento, don Boscocerca il lavoro per il ragazzo concreto che ha davanti, ma è minoranza profetica chesi interessa in modo sistematico di insegnare un lavoro, di tutelare i diritti elemen-tari con contratti precisi, che si interfaccia con le istituzioni governative in qualcosache oggi chiameremmo rete. Dalle richieste di fondi e autorizzazioni a confronti esemplice informazione con uno stile che si potrebbe etichettare come pubblicitàistituzionale (spesso nelle richieste ai benefattori allegava una ampia storia dell’O-ratorio, le attività presenti, i numeri dei ragazzi e quanti era accolti in modo total-mente gratuito). Dopo la legge Casati, non si avventurò nell’apertura di corsi tec-nici legalmente riconosciuti ma aprì dei laboratori spinto dal desiderio di sottrarre isuoi ragazzi alle botteghe dove sovente si udivano bestemmie, discorsi anticlericalie immorali. Sul giornale “L’Armonia” nel 1854 chiedeva lavoro per i suoi legatoriindicando due valide motivazioni: la speciale agevolezza dei prezzi e la carità versoi giovani abbandonati41. L’attività di stampo preindustriale formata da capi d’arte eapprendisti presso locali era problematica dal punto di vista della sostenibilità eco-nomica. A Torino l’Albergo della gioventù era stato costretto a ridurre notevol-mente il numero dei giovani ospitati e il carcere minorile della Generala subiva cre-scenti passivi a carico dello Stato. Don Bosco, senza mai diventare Pio Istituto le-galmente riconosciuto, ma sempre agendo come casa privata, era libero imprendi-tore presente sul mercato sul piano economico, era proprietario di laboratori sulpiano legale, era dinamico prete in dialogo con il liberalismo sul piano dei moventiideali sul piano educativo42. 34 43 Di pochi anni ha preceduto don Bosco con esperienze analoghe ma che sono naufragate nelnulla per il suo stile militaresco che ha trascinato i suoi ragazzi nelle tumultuose vicende politiche ar-rivando a perdere l’appoggio dell’arcivescovo di Torino e dei cattolici perché troppo vicino agli anti-clericali e mai sostenuto dalle autorità governative perché troppo vicino al Papa in quanto prete.44 BOSCO T., op. cit., p. 252. FiduciaDa questo punto di vista don Bosco è quanto mai esemplare. Anzitutto bisognaspecificare che ha vissuto una doppia fedeltà istituzionale. Negli anni dell’unifica-zione i rapporti con lo Stato Piemontese (poi Regno d’Italia) erano tutt’altro che se-reni; basti pensare alla questione Romana. Eppure don Bosco non si è esposto a di-ventare prete politicizzato come don Cocchi43. Fedele alle indicazioni del Papa, av-vicinava con il dialogo anche i più avversi dimostrando a seconda dell’interlocu-tore i benefici morali, economici o relativi alla sicurezza pubblica. Da Rattazzi erastimato perché lavorava per il bene della gente e raccogliendo i ragazzi poveri dallastrada toglieva un sacco di fastidi al Governo, tanto da convincerlo a far uscire tuttii ragazzi nel carcere minorile de “La Generala” a fare una gita senza scorta nel185544. Dal punto di vista istituzionale è significativa la creazione della “Società dimutuo soccorso”. Nel 1847 esistevano ancora in Torino i resti delle antiche Univer-sità medioevali, ossia corporazioni di arti, di mestieri e di commercio, unite alleloro confraternite e aventi un sacerdote per moderatore. Le confraternite provvede-vano alla cura spirituale dei soci, rendendo loro facile l’adempimento di tutti i do-veri religiosi; le corporazioni, invece, erano attente all’istruzione degli apprendisti,procuravano il lavoro, gestivano casse di risparmio, curavano gli infermi; davanoassistenza agli anziani, alle vedove, agli orfani; prestavano denaro ai giovani checompravano casa. Lo spirito liberale e anticattolico che si stava diffondendo nontardò a metterle in difficoltà. L’Associazione, chiamata “Società di mutuo soc-corso”, fu inaugurata il primo luglio del 1850 e riuscì nello scopo che si era prefis-sata. In essa si può riconoscere che il primo seme di quelle innumerevoli Società oUnioni di Operai cattolici, che nacquero e si diffusero in molte città d’Italia, fu get-tato dallo stesso Don Bosco tra i giovani oratoriani.IncivilimentoDon Bosco nella sua azione di divulgazione a stampa presenta il lavoro comeun’esigenza della natura umana: «l’uomo è nato pel lavoro» (p. 19 de “Il GiovaneProvveduto”). Possiamo definire l’atteggiamento che ha don Bosco nei confrontidell’impegno all’interno della società attraverso il lavoro come fronetico, adottandoquesto termine nella sua accezione contemporanea, piuttosto che quella classicaaristotelica. L’educazione proposta da don Bosco è infatti orientata principalmenteall’azione e alla maturazione nei giovani di una saggezza pratica: riferendosi allapropria esperienza e al contingente i giovani, come reali phronimos contemporanei,sanno ben deliberare e agire con attenta cura nei confronti del metodo da loro adot- 35 45 SILVA L., Il cittadino e la phronesis: le prospettive di Dewey e Maritain come fondamento diun’educazione fronetica. Tesi di laurea in Pedagogia, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna- a.a. 2008/2009.46 Regolamento per le case della Società di San Francesco di Sales, Torino, Tip. Salesiana, 1877,p. 11. tato, ma anche della persona; la loro azione non sarà individuale, ma aperta al con-testo sociale e attenta all’orizzonte di riferimento, la verità pratica. L’educazione didon Bosco permette quindi loro di sviluppare attraverso il lavoro un senso critico,creativo e curativo finalizzato ad un miglior impegno sociale e ad una piena parte-cipazione come cittadini attivi nel contesto in cui vivono45. Come diceva don Boscodei suoi artigiani: “l’intelligenza dei miei ragazzi è nelle loro mani!”Reciprocità e felicitàReciprocità e felicità in don Bosco sono qui riprese con una citazione, poichétutto quanto fin qui detto e quanto vedremo nella storia della Formazione Profes-sionale salesiana sarà a conferma dall’allineamento profondo tra la prassi di donBosco e i valori della pubblica felicità degli umanisti civili.Miei cari, io vi amo tutti di cuore, e basta che siate giovani, perché io vi ami assai, e viposso accertare che troverete libri propostivi da persone di gran lunga più virtuose e piùdotte di me, ma difficilmente potrete trovare chi più di me vi ami in Gesù Cristo, e chepiù desideri la vostra vera felicità nel tempo e per l’eternità. (introduzione a “Il Giovaneprovveduto”cfr. Opere Edite in appendice).Il sistema educativo di don Bosco è fortemente basato sull’allegria. Ai salesianiraccomandava serietà, preparazione e frequenti verifiche in aula. Al contempo di es-sere amici dei ragazzi stando con loro in cortile (secondo quella che è detta assisten-za salesiana secondo il sistema preventivo) amando ciò che amano i giovani (giochie divertimenti) in modo che i giovani amino quanto ama il loro educatore (la mate-ria scolastica e la religione). Questo sistema evita la repressione, i castighi e anche imodi bruschi ed è invece basato tutto sulla persuasione con la ragione, la grazia del-la religione e su relazioni caratterizzate dall’amorevolezza. “I ragazzi siano sempreassistiti, gli si dia ampia libertà di saltare, correre, schiamazzare a piacimento. Laginnastica, la musica, la esclamazione, il teatrino, le passeggiate sono mezzi effica-cissimi per ottenere la disciplina, giovarne alla moralità e alla sanità”46. Una dellepratiche tipiche è il pensiero detto di Buonanotte ove in pochi minuti si corregge eincoraggia traendo dai fatti della giornata le opportune massime. Il cuore della ricer-ca della felicità risiedeva per don Bosco nella giusta scelta della stato di vita (o vo-cazione), che oggi chiameremmo orientamento. I primi collaboratori incondizionatidi don Bosco sono allievi che maturano “scelta dello stesso carisma” e diventano sa-lesiani. Un grandissimo numero si formò invece una propria famiglia o diventò pre-te diocesi di origine, altri entrarono in ordini o istituti. Solo a titolo esemplificativo:il Beato Giuseppe Allamano fonda i Missionari della Consolata, San Luigi Orionefonda un Congregazione di aiuto ai ragazzi con gravi problemi di salute e il cavalier 36 47 Costituzioni della Pia Società di San Francesco di Sales, art. 28, p. 37.48 SANDIONIGI M., op. cit., p. 41.49 STELLA P., Don Bosco nella storia economica e sociale…, p. 391. Oreglia entra nella Compagnia di Gesù. Questo mostra ampliamente la cura per lapersonale, unica e irripetibile realizzazione; attività di accompagnamento che èesemplare alle radici del carisma e anche oggi come ricordano le costituzioni47.Talepersonalizzazione ha mutato nome (vocazione, orientamento...), ma è il costante eimmutato segno che nella pedagogia salesiana vi è sempre stata il fattivo primatodel ragazzo concreto che si ha dinnanzi.ImpresaDon Bosco vive la sua azione come un progetto dotato di una coerenza e unitàsorprendenti. Tutto è in funzione dei ragazzi. Obiettivo chiaro che si dispiega neltempo secondo quanto suggeriscono gli eventi e il buon senso. Inizia a fare cate-chismo a qualche ragazzo di strada, insegna un lavoro prima con l’apprendistato,poi con laboratori propri e salesiani totalmente dediti a tale opera. I bisogni dei ra-gazzi lo portano a organizzarsi con un ospizio per accogliere a casa sua sempre piùgiovani. Sempre si pone come amico e prima di ogni cosa invita a giocare e incon-trarsi da amici in cortile. Il progetto è fatto rispettando i vincoli di economicità, po-nendosi sul mercato, ma con logiche diverse. Un progetto chiaro fatto di mission e vision:Mission del Fondatore: l’educazione della gioventù povera e abbandonata, lagloria di Dio e la salvezza delle anime. Obiettivi di don Bosco prima e successiva-mente abbracciati da chi sceglieva di rimanere con lui.Vision del Fondatore: prevalentemente basata sulla convinzione della bontàdell’uomo, creato da Dio, e dell’esistenza in ciascun individuo di un “punto acces-sibile al bene” su cui far leva per sviluppare tutte le migliori potenzialità presenti inesso. In questo modo nessun giovane appare non educabile48.Una sostenibilità economica effettiva alla prova del tempo: basti pensare chenel 1841 don Bosco aveva una dote ecclesiastica di circa 400 lire e che al suo de-cesso nel 1888 il blocco dei beni in sua proprietà (principalmente il complesso diValdocco a Torino) è stato valutato per la denuncia ereditaria in un attivo di768.630,87 lire49.ImprenditoreLe parole di Becattini sono quanto mai appropriate e profetiche nel tracciarequanto brilla nella vita di don Bosco. La sua impresa è totalmente un progetto divita tutta donata ai giovani, fino all’ultimo respiro. L’istituzione che ne scaturisce èautentico prolungamento della sua persona. I primi salesiani che partivano per lenuove case dicevano “vado a fare don Bosco a…” in un costante riferimento perso-nale fatto di “don bosco diceva...”, “don Bosco voleva...” che si è tramandato ed èvivo tutt’oggi. 37 50 BRUNI L. - SMERILLI A., Benedetta economia…, p. 42.51 Costituzioni della Pia Società di San Francesco di Sales, art. 21. 1.4.2. Imprenditore secondo un carisma proprioLe economie che si sviluppano da un carisma originale sono accomunate da al-cune peculiarità.Movente idealeNascono non per obbiettivi finanziari o di arricchimento, ma da motivazioni ditipo “ideale” o se preferiamo intrinseche e trascendenti. Il primato è dato da unprincipio di gratuità che è riconoscimento del valore insuperabile della dignità per-sonale in relazione.Don Bosco non ha certo iniziato ad accogliere centinaia di ragazzi per avviareuna tipografia, non ha radunato azionisti e calcolato tassi di rendimento interni. Ilmovente è stato raccogliere i ragazzi di strada e istruirli “nelle cose di religione”.Facendo questo si è gradualmente accorto delle necessità integrali dei suoi ragazzie ha loro dato momenti di allegria in cortile, una istruzione attraverso la scuola, unacasa per mangiare e dormire.Risposta ai bisogni di persone concreteIl sorgere di un carisma non si presenta per implementazione di progetti, perteorizzazione di dotti o per volontà istituzionali. Nascono per la presenza di per-sone con occhi nuovi, che vedono l’esigenza di persone concrete: “i carismi par-tono dalla gente, dal basso, dalla vita, dai problemi, per vocazione”50. Sono, quindi,fortemente intrisi di sussidiarietà pratica. Don Bosco ha incontrato i carcerati, gliorfani e gli immigrati della sua Torino con lo sguardo di chi è stato orfano e mi-grante per lavoro e si è fatto per loro padre, maestro ed amico. Realtà con identità e appartenenza fortiIl carisma ha un forte legame con la persona fisica del fondatore. Con un rife-rimento fortissimo a uno spirito e a uno stile che si passa per osmosi vitale e nonpuò minimamente essere imbrigliato in un mansionario, in un know-how fatto diprocedure. Quel “di più” che fa la differenza nelle attività di cura alla persona nonè generico, ma fortemente caratterizzato. Un salesiano pratica il sistema preventivodi don Bosco, pur conoscendo e apprezzando altri metodi educativi come quelli chesi riferiscono ad altri grandi santi della Chiesa (si pensi a un La Salle o a un San Fi-lippo Neri). “La persona di don Bosco, la sua storia, pedagogia e spiritualità sono iltesoro più prezioso che abbiamo come salesiani. Le regole ci chiedono di amare,studiare e imitare don Bosco”51.ReciprocitàNon è da confondere con l’altruismo o la filantropia. I soggetti coinvolti inquesto tipo di esperienze donano ma anche ricevono. Donano incondizionatamente, 38 52 Basti citare ad esempio l’opera di Hans Urs von Balthasar.53 BRUNI L., La ferita dell’altro…, p. 176.54 BROCARDO P., Don Bosco. Profondamente uomo profondamente santo, Roma, LAS, 2001. ma non sono indifferenti al reciprocare delle persone aiutate. Nel caso salesianoquesto aspetto ha una valenza unica nella storia della chiesa. La fondazione dellaCongregazione ha come cofondatori gli stessi ragazzi aiutati da don Bosco. Tutte lealtre fondazioni nella storia della vita religiosa nascono da un nucleo formato e mo-tivato attorno a una persona trascinante, affascinati dalla sua esperienza. I primipreti che hanno collaborato con don Bosco si sono presto estraniati dalla sua opera,diversi giudicandolo ammattito. Il primo nucleo di venti consacrati è formato dagiovinetti di tenera età tra i 15 e i 23 anni, fatta l’eccezione di don Alasonatti (cheebbe vita breve per il lavoro e le fatiche).BellezzaLa teologia scolastica ha sempre esaltato tra i trascendentali dell’essere ilphulcrum assieme ai più noti unum, verum e bonum. Anche percorsi teologici re-centi partono dalla bellezza con una estetica teologica52. Ci basti qui sottolinearequanto questo atteggiamento cristiano che ha guidato e sostenuto interi movimentiartistici, nel mondo della cura, è segno del rispetto per il valore della persona in sé(e non in quanto cliente pagante) e ha una efficacia terapeutica ampliamente stu-diata e dimostrata. I carismi ricordano che si muore anche di bruttezza, la bellezzapassa dal modo di trattare le persone, dalla cura degli ambienti, dalla pulizia che èpiù dell’igiene.Allo stesso modo si è approcciato alle cure educative don Bosco. Dalle piccolecose come i porticati mai spogli e sciatti ma coperti dalla Sacra Scrittura, dalle insi-stenti richieste di ordine relativi ai materiali ludici e più evidente per gli ingenti ca-pitali “sprecati” nella costruzione delle Chiese: San Francesco di Sales, il Santuariodi Maria Ausiliatrice poi ampliato da don Rua e il Sacro Cuore di Roma, segno in-delebile di fedeltà al papa. 1.5. Conclusioni I carismi hanno un significato economico e civile. Un carisma è la capacità diincontrare la ferita dell’altro e prendersene cura, è anzitutto il dono di occhi nuovicapaci di vedere le cose che gli altri non vedono, come un artista vede nella profon-dità e oltre l’apparire quotidiano delle cose alla ricerca del senso53. Nella storiagrandi personaggi hanno avuto il dono di tale sguardo che ha segnato la loro vita eha generato un movimento di uomini di buona volontà e di istituzioni dedite albene. Gandhi verso la pace e la libertà, Madre Teresa di Calcutta verso i più miserie abbandonati, don Bosco verso la gioventù abbandonata e pericolante. Lo sguardodi don Bosco, colmo di personali virtù, ricco dei valori della sua terra54, è sicura- 39 mente segnato dalla sua personale esperienza biografica che egli stesso raccontònelle Memorie dell’Oratorio.Abbiamo visto una intensa esperienza biografica di un orfano che sperimentala lontananza da casa presso la cascina Moglia, che diventa padre degli immigratitorinesi, di un ragazzo che per abilità e necessità impara numerosi mestieri e alcontempo gioca come un saltimbanco di professione, che diventa un generale deigiochi e delle ricreazioni, un fondatore di scuole e laboratori, un custode dei dirittidei giovani lavoratori sotto associazioni di mutuo soccorso e con contratti di ap-prendistato in collaborazione con le imprese locali, che si circonda di personalecolmo di una dedizione totalizzante tra gli allievi che più reciprocano il bene rice-vuto abbracciando la stessa identità carismatica. Abbiamo esplorato una tradizione di economia che è restata nascosta e misco-nosciuta come teoria ma viva nella prassi eminentissima del più grande tra i santisociali dell’Ottocento piemontese. Pieno delle virtù civili, cercava autenticamenteil bene comune e riusciva a farlo in modo economicamente sostenibile. Da vero im-prenditore civile realizzava il suo progetto di salvezza per la concreta gioventù cheincontra attraverso attività specifiche ed intenzionali come la formazione professio-nale, rispettando i vincoli di efficienza a differenza di altre iniziative coeve. Mentreil carcere statale de “La Generala” accumulava debiti, don Bosco faceva la stessaopera sociale e generava profitti per espandersi e margini sufficienti per investireanche nella bellezza che è oltre la mera utilità strumentale.L’obiettivo che si apre è seguire l’evoluzione di questa esperienza che si istitu-zionalizza in modo crescente nella seconda generazione gestionale. Terminata lastoria del primo balzo seguiremo le grandi tappe fino a spingere lo sguardo sul fu-turo. 40 1 CERIA E., Annali della Società Salesiana, 4 vol., Torino, SEI, 1943-1951, p. 649. Capitolo secondoDall’intuizione di don Boscoall’Istituzione guidata da don Bosco (1841-1888) Con senso di umile gratitudine crediamo che la Società di san Francesco di Sales è nata non da solo progetto umano, ma per iniziativa di Dio.Per contribuire alla salvezza della gioventù, […]lo Spirito Santo suscitò don Bosco. Formò in lui un cuore di padre e di maestro,capace di una dedizione totale:“Ho promesso a Dio che fin l’ultimo mio respirosarebbe stato per i miei giovani”.Per prolungare nel tempo la sua missionelo guidò nel dar vita a varie forze apostoliche,prima fra tutte la nostra Società.(Costituzioni Salesiane, art. 1) Chi ha gettato un ampio e autorevole sguardo sulle opere salesiane ha affer-mato che “per misurare tutta la portata delle scuole professionali di don Bosco bi-sognerà aspettare di vederne il meraviglioso sviluppo nell’antico e nel nuovo conti-nente sotto il successore del Santo”1, riconoscendo, tuttavia, la radice colma di anti-cipazioni.Nel primo capitolo abbiamo visto l’intuizione carismatica: il carcere, lastrada, le botteghe e i cantieri colmi di ragazzi; hanno colpito “occhi che sanno ve-dere”. Gli occhi hanno commosso un cuore che ha guidato la mano in un’azionehic et nunc, trainata dall’emergenza educativa, concreta e tangibile. L’azione di donBosco, tuttavia sempre pronta e immediata per rispondere alle esigenze dei suoi ra-gazzi ha, già dal principio, la straordinaria peculiarità di essere strutturata perl’Oltre: oltre il primo contatto personale, oltre lo spazio e il tempo. Grazie all’i-stinto (intuizione? Illuminazione?) d’istituzionalizzare e di fissare precisi regola-menti, ma con la flessibilità di applicazioni graduali e progressive per quanto la si-tuazione concreta permette, l’opera di don Bosco si è dilatata fortemente nello 41 42 spazio (alla morte di don Bosco erano già 40 le sole case italiane, più svariate mis-sioni in Francia, Spagna e Sud America) e nel tempo (al 31 dicembre 2009 esistono181 case in Italia e un totale di 1.854 case in 132 paesi in tutti i continenti).Ora metteremo in evidenza quanto l’intuizione aveva uno stile normativo in-trinseco (§1) che ha sfruttato alcuni strumenti giuridici e tecnici per compattarsi ediffondersi come istituzione (§2). Proprio lo strumento tecnico della tipografia si èdimostrato un amplificatore del successo che ha richiesto di cercare il modello or-ganizzativo migliore. Le ultime decisioni del fondatore (§3) permettono di trac-ciare il bilancio di quanto vedesse in avanti e di quanto i suoi tempi hanno condi-zionato le sue scelte. 2.1. Intuizione e stile normativo La propensione a scrivere regolamenti, ad esporli e a darne regolari letture inpubblico è tipico di tutte le attività di don Bosco, dalle più ludiche e informalicome il cortile dell’oratorio, a quelle più educativo formalizzate come le scuola. Inparticolare, circa i Maestri d’arte, sono stati redatti i seguenti regolamenti2.Regolamenti interni1. I maestri d’arte sono quelli che ammaestrano i giovani occupati in qualche profes-sione nei laboratori della Casa. Il loro primario dovere è la puntualità nel trovarsi atempo debito nei laboratori (e di non mai allontanarsene senza il permesso dell’assi-stente. Si adoperino per impedire guasti e risse).2. Si mostrino premurosi per tutto ciò che riguarda il bene della Casa; e si ricordino cheè loro essenziale dovere istruire i loro apprendisti e fare sì che loro noti manchi lavoro.Osservino per quanto è possibile il silenzio durante il lavoro, nè alcuno si metta a (par-lare, ridere, scherzare o) cantare fuori del tempo di ricreazione. Non permetteranno maiai giovani di (uscire, neppure per) andare a far commissioni. Essendone il caso, se nedomanderà al Prefetto l’opportuno permesso.3. Non devono mai fare contratti coi giovani della Casa, nè assumersi per loro contoparticolare alcun lavoro di lor professione; tengano esatto registro di ogni sorta di la-voro che si compie nel proprio laboratorio. Ogni settimana daranno all’economo minutoconto delle spese e delle entrate del lavoro di ciascun laboratorio.(mutato in: Prima di cominciar nel laboratorio qualche lavoro lo consegnino all’assi-stente affinchè noti le intelligenze, prezzo convenuto, nome, cognome, dimora di colui pelquale si deve intraprendere).4. Sono strettamente obbligati d’impedire l’ozio ed ogni sorta di cattivi discorsi, e cono-sciuto qualcuno dato a tali vizi, dovranno immediatamente darne avviso al Superiore.5. Ogni Maestro, ogni allievo stia nel proprio laboratorio, nè mai alcuno si rechi inquello degli altri senza un assoluto bisogno. 2 Ne esistono innumerevoli versioni, a stampa, manoscritte, allografe con correzioni, in un con-tinuo divenire. Qui ci basiamo su una delle più antiche (1851) in MB, IV, 744-745 aggiungendo tra pa-rentesi le variazioni significative dal manoscritto allografo in PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Sa-lesiane. Momenti della loro storia (1853-1953), Roma, CNOS-FAP, 2010, pp. 98-99. 43 6. È proibito (fumare tabacco, giocare) il far merenda, il bere vino nei laboratori, doven-dosi in questi lavorare e non divertirsi.7. Il lavoro incomincierà coll’Actiones e coll’Ave Maria, e terminerà coll’Agimus e col-l’Ave Maria. A mezzo giorno ed alla sera si dirà l’Angelus prima di uscire dal labora-torio.8. Gli apprendisti poi debbono essere docili e sottomessi ai loro maestri ed ai loro assi-stenti, come loro superiori, mostrando grande diligenza per compiacerli, e somma atten-zione per imparare quelle cose che loro sono insegnate.9. Si leggeranno questi articoli dal Capo o da chi per lui ogni 15 giorni a chiara voce, esi terrà sempre copia esposta nel laboratorio.Le aggiunte denotano lo stratificarsi di esperienze che definiscono meglio l’a-spetto disciplinare specificando meglio i comportamenti da evitarsi e il procedereverso un modello gestionale diverso. Per esempio la moralità e la registrazione pas-sano in mano all’assistente, ruolo svolto da un salesiano, normalmente da un gio-vane chierico; appunto secondo un passaggio gestionale che tende a sostarsi dallemani dei maestri d’arte esterni alle mani dei salesiani3.Assistenti41. L’assistente de’ laboratori è da’ superiori incaricato di vegliar sulla moralità, sul la-voro, e su tutto quello che può tornar vantaggioso allo stabilimento.2. Si troverà per tempo nel laboratorio, noterà chi ritardo ad intervenire; e mancandovi al-cuno ne darà avviso al prefetto o a qualche altro superiore per saperne il motivo e provve-dere se ciò avvenisse per causa di malattia. Ma per quanto può non uscirà dal laboratorio.3. Dovendosi allontanare dal laboratorio per motivo di lavoro, provviste od altro nedarà avviso al capo d’arte. Qualora poi dovesse far provviste di oggetti di cui nonavesse sufficiente cognizione condurrà seco il capo d’arte od altro individuo pratico deiprezzi e dei materiali che occorrono.4. In fine di ogni settimana darà il suo parere su tutti gli individui dell’Oratorio ed avràspeciale riguardo alla diligenza nei lavori e al contegno nella moralità.5. Metterà a registro ogni lavoro fatto nell’Oratorio, noterà se è pagato o non pagato;ma non farà cassa particolare. Consegnerà il denaro al prefetto, cui pure si indirizzeràqualora ne abbia bisogno.6. Non si possono fare nei laboratori lavori di sorta senza il consenso del prefetto.7. Questo regolamento sarà letto dall’assistente o dal Capo o da chi per lui ogni 15giorni a chiara voce, e si terrà sempre copia esposta nel laboratorio.È curioso come il testo normativo contenga indicazioni minuziose, pratiche eprecise; di chi ha ben presente la situazione e tenti di risolvere il concreto quoti-diano. Allo stesso tempo contiene scelte di governo di ampio respiro. Senza faretroppo clamore, coinvolge persone a livello di motivazioni intrinseche e trascen-denti. Quasi puntiglioso nella definizione di procedure con standard qualitativi mi-nimi e quasi sognatore nel coinvolgere personale con una dedizione totale. 3 Cfr. §2.3 sulle mutazioni di modello gestionale.4 Manoscritto di don Bosco (ASC D483) con aggiunte allografe, con correzioni ancora dellamano di don Bosco in PRELLEZO J.M., Scuole Professionali …, pp. 98-99. Sezione aggiunta in totosugli assistenti. 44 2.2. Istituzionalizzazione Abbiamo già accennato all’uso fatto da don Bosco di due strumenti giuridici: ilmutuo soccorso e l’apprendistato. È notevole come, pur affidandosi a persone dicomprovata competenza e fiducia, egli scrisse tali documenti di proprio pugnocome per i regolamenti.Mutuo SoccorsoNegli stati dell’Italia preunitaria non esiste una politica sociale operata dalloStato per contrastare lo sfruttamento delle classi popolari negli opifici e nelle mani-fatture, che era di fatto lasciato al monopolio ecclesiastico per la legge 753 del 30agosto 1862, la quale a sua volta recuperava la normativa dello stato piemontese. Ilmovimento mutualistico nasce dalle organizzazioni professionali, già nel Sette-cento Torinese, grazie allo spirito di corpo sono attive la Pia unione dei lavoratoricappellai e l’Unione Pia tipografica. La richiesta di istruzione degli operai e il nonintervento pubblico di fronte alla problematica fecero in modo che le società ope-raie di mutuo soccorso potessero prendere molte iniziative di istruzione, asso-ciando alla Formazione Professionale un’educazione popolare in senso lato.Tale attività era sostenuta da alcuni imprenditori illuminati tesi al miglioramentodella preparazione tecnica degli operai e della loro vita in generale5. Con la sop-pressione delle corporazioni del 1844 le Società di Mutuo Soccorso divennero unasorta di confraternita laica pur mantenendo una forte ispirazione religiosa cristiana.Con la promulgazione dello Statuto Albertino del 1848 si abrogava il divieto di as-sociazione e si riconosceva con l’art. 32 “il diritto ad adunarsi pacificamente e sen-z’armi, uniformandosi alle leggi che possono regolarne l’esercizio nell’interessedella cosa pubblica”6.Lo scopo della Società era quello di prestare soccorso a quei compagni che fossero cadu-ti infermi o che avessero involontariamente perduto il lavoro. I soci, ogni domenica, do-vevano pagare un “soldo”, da mettersi in una cassa comune e da utilizzare in caso di bi-sogno di uno o di alcuni degli associati che, però, potevano godere dei vantaggi della So-cietà solo sei mesi dopo l’accettazione nella stessa. Se per molto tempo il giovane iscrittonon versava quanto dovuto settimanalmente, lo stesso, in caso di bisogno, non avrebbepotuto beneficiare di nessun aiuto, fino al momento in cui avesse sanato la propria posi-zione debitoria. Si aveva diritto immediatamente al soccorso della Società soltanto nelcaso in cui, all’ingresso nella stessa, versavano la quota di L. 1,50, purché non si fossegià malati o disoccupati. Il Regolamento stabiliva in L. 0,50 giornaliere il valore del soc-corso percepito dal socio in caso di malattia; importo che non veniva però riconosciutonel caso in cui l’ammalato fosse ricoverato presso un’Opera Pia. In caso di perdita di la-voro, gli associati cominciavano a percepire il soccorso solo otto giorni dopo la loro dis-occupazione. Se questa durava più di venti giorni il “Consiglio della Società” si riserva- 5 SANTONI RUGIU A., Scenari dell’educazione nell’Europa moderna, Scandicci, La Nuova Italia,1994.6 TESTA L., Il senso della mutualità. Storia della CAMPA, Bologna, Pendragon, 2008. 45 va il diritto di prendere a tale riguardo le opportune decisioni per l’aumento o per la di-minuzione del sussidio. Una volta all’anno si stabilivano speciali raccolte fondi7.Già si nota l’impostazione fatta di reciprocità e di mutuo soccorso con quote ediritti precisi, lontano da una mentalità di aiuto paternalistico.Il “Consiglio di Società” era composto da un direttore, da un vicedirettore, un segre-tario, un vicesegretario, quattro consiglieri, un visitatore e un tesoriere. Il direttore dellaSocietà era il Superiore dell’Oratorio (San Giovanni Bosco), che controllava l’esattocompimento di ciascuna funzione e la corretta soddisfazione dei bisogni degli associati.Il segretario aveva il compito di raccogliere le quote nelle domeniche e di inviare al te-soriere le note recanti il cognome e la residenza dell’infermo, per poter effettuare i paga-menti. Inoltre doveva tenere i verbali di tutte le decisioni prese dal Consiglio. Il visita-tore della Società era il Direttore spirituale della Compagnia di San Luigi. Aveva il com-pito di recarsi a casa dell’ammalato per verificarne il bisogno e farne relazione al segre-tario, dal quale riceveva il biglietto da consegnare al tesoriere per poter portare succes-sivamente il denaro all’ammalato. Il tesoriere amministrava i fondi della Società e nedava conto ogni tre mesi al Consiglio. Gli era vietato dar denaro a qualunque socio nerichiedesse senza il biglietto sottoscritto dal direttore, in cui doveva dichiararsi la realtàdel bisogno. Ogni membro durava in carica un anno e poteva essere rieletto8.La gerarchia è ben definita con il centro nella persona di don Bosco, si recu-pera la tradizionale relazione presente tra corporazione e confraternita attraversola relazione tra la società di mutuo soccorso e l’associazionismo cattolico a fine re-ligioso e formativo della compagnia di San Luigi9.Ad ogni socio, dopo la compilazione del modulo d’iscrizione, veniva assegnato come tes-sera un libretto, intitolato “Società di Mutuo Soccorso di alcuni individui della Compa-gnia di S. Luigi eretta nell’Oratorio di S. Francesco di Sales”, stampato a Torino dallaTipografia Speirani e Ferrero nel 1850. Sembra abbastanza evidente come don Bosco,con questa sua geniale intuizione mossa principalmente dall’amore che nutriva per isuoi ragazzi, anticipò la nascita degli Istituti Nazionali di Previdenza, creando un’orga-nizzazione molto più modesta e familiare, ma simile in quanto agli scopi perseguiti10. È notevole l’aspetto della mutualità e reciprocità tipica di uno sguardo civile11e tutt’altro che filantropico paternalista che favorì il passaggio dalla cultura dellabeneficienza a quello della previdenza, fecondo di successivi frutti politici e sinda-calistici. Il primo in senso cronologico è la Legge 3818 del 15 aprile 1886 sulla co- 7 MB IV, p. 74.8 Ibidem.9 Anche su questo fronte don Bosco è super prolifico. Senza invadere il settore di una ricerca distampo pedagogico educativo ci permettiamo di elencare: la compagnia del Santissimo Sacramento,la compagnia del piccolo clero, il gruppo della banda musicale, la filodrammatica… Secondo il prin-cipio educativo, applicato ai ragazzi e poi ai collaboratori, di “fare del bene alle anime per la maggiorgloria di Dio, non da soli ma in santa allegria e in vivace compagnia”.10 Ibidem.11 Cfr. il concetto di mutualità come utilità ottenibile solo attraverso azione comunitaria, che per-mette una sostenibilità di lungo periodo e il rapporto con il Welfare State in ZAMAGNI V., Mutualism,in BRUNI L. - ZAMAGNI S., Handbook on the Economics of Philantropy, Reciprocity and Social Enter-prise. 46 stituzione legale delle Società di Mutuo Soccorso. Già da notare che la tessera diappartenenza era un libretto, segno della linea di comunicazione sociale intrapresadal Santo con i mirabolanti effetti che approfondiremo nei prossimi paragrafi.ApprendistatoÈ notevole il fatto che S. Zamagni inserisca l’apprendistato e il capolavorocome profondamente legati allo sviluppo (uno dei tre pilastri che identificano e sor-reggono l’economia di mercato insieme alla divisione del lavoro alla libertà di im-presa). “Nasce così l’organizzazione del lavoro manifatturiero e la messa in praticadi una sistematica formazione delle nuove leve attraverso l’apprendistato e l’incen-tivo al miglioramento della qualità dei prodotti con la richiesta del capolavoro”12.Ai giovani immigrati e disoccupati, don Bosco cerca un lavoro nella bottega diqualche “onesto padrone”. Se si considera il momento storico, è da mettere in par-ticolare risalto un fatto: don Bosco stipula regolari contratti di apprendistato per isuoi ragazzi, come dimostra a mo’ d’esempio il seguente contratto:In virtù della presente privata scrittura da potersi insinuare a semplice richiesta di unadelle parti, fatta nella Casa dell’Oratorio di S. Francesco di Sales tra il Sig. Carlo Ai-mino ed il giovane Giuseppe Bordone allievo di detto Oratorio, assistito dal suo cauzio-nario Sig. Ritner Vittorio, si è convenuto quanto segue:1°. Il Sig. Carlo Aimino riceve come apprendizzo nell’arte sua di vetraio il giovane Giu-seppe Bordone nativo di Biella, promette e si obbliga di insegnargli la medesima nellospazio di tre anni […] con correggerlo, nel caso di qualche mancamento, con parole enon altrimenti; e si obbliga pure di occuparlo continuamente in lavori relativi all’artesua e non estranei ad essa, con avere cura che non eccedano le sue forze.2°. Lo stesso mastro dovrà lasciare per intiero liberi tutti i giorni festivi […] Qualoral’apprendizzo per causa di malattia (o di altro legittimo motivo) si assentasse dal suo do-vere, il mastro avrà diritto a buonificazione per tutto quello spazio di tempo che ecce-derà li quindici giorni nel corso dell’anno. Tale indennità verrà fatta dall’apprendizzocon altrettanti giorni di lavoro quando sarà finito l’apprendizzaggio.3° Lo stesso mastro si obbliga di corrispondere giornalmente all’apprendizzo negli annisuddetti, cioè il primo lire una, il secondo lire una e cinquanta, il terzo lire due, in ciascu-na settimana (secondo la consuetudine gli si concedono ciaschedun anno 15 giorni di va-canza).4° Lo stesso signor padrone si obbliga in fine di ciascun mese di segnare schiettamente lacondotta del suo apprendizzo sopra di un foglio che a tale oggetto gli verrà presentato.5° Il giovine Giuseppe Bordone promette e si obbliga di prestare durante tutto il tempodell’apprendizzaggio il suo servizio al mastro suo padrone con prontezza, assiduità edattenzione; di essere docile, rispettoso ed obbediente al medesimo e comportarsi verso diesso come il dovere di buon apprendizzo richiede, e per cautela e garanzia di questa suaobbligazione presta in sua sicurtà il qui presente ed accettante Sig. Ritner Vittorio Ore-fice, il quale si obbliga al ristoro di ogni danno verso il padrone mastro, qualora questodanno avvenga per colpa dell’apprendizzo […] 12 ZAMAGNI S., intervento Lavoro come opera ed economia civile, nel convegno Il lavoro checambia nella relazione de “Il periscopio” (22 Settembre 2005) http://www.csdl.sm/detail.asp?c=1&p=0&id=1050. 47 7° Il Direttore dell’Oratorio promette di prestare la sua assistenza pel buon esito dellacondotta dell’apprendizzo13.Il contratto successivo è datato 8 febbraio 1852, si tratta della “convenzione”tra il maestro Giuseppe Bertolino e il giovane Giuseppe Odasso, nativo di Mon-dovì, “con l’intervento del Rev.do Sacerdote Giovanni Bosco, e coll’assistenza efedejussione del padre di detto giovane”. Bertolino riceve Odasso “nella qualità diapprendista nell’arte di falegname” e si obbliga “di insegnargli l’arte suddetta, perlo spazio di anni due”14. Questa forma di Formazione Professionale sul campo ha lesue radici nelle tradizionali pratiche delle botteghe medievali. Don Bosco la applicagià con una plurievocità di enti. Il Giovane, il maestro d’arte, un cauzionario bene-fattore dell’Oratorio, una sorte di procuratore (per i primi contratti, il Teologo Vola,già molto noto in Torino, firma a garanzia del giovane “pretino” di campagnaBosco) e quella del direttore dell’oratorio. A livello concettuale esiste già una sortadi cooperazione tra più enti in rete come funzionano attualmente gli accordi di coo-perazione tra mondo del lavoro e della formazione.Scelta originale nel panorama scolasticoIl sistema scolastico piemontese tra la legge Boncompagni (4 Ottobre 1848) ela legge Casati (13 Novembre 1895) rifletteva di fatto il principio di autonomia ci-vile con il libero insegnamento e il controllo centralizzato statale. Per quanto ri-guarda l’istruzione secondaria, erano previsti gli studi classici propedeutici aglistudi universitari frequentabili presso enti comunali, morali oppure presso profes-sori abilitati16. Le scuole tecniche erano normate dal Titolo IV15 e quelle specialinon erano ben stimate. In questo quadro di realtà e di idealità si comprende comedon Bosco non abbia trovato nelle “scuole tecniche” del tempo una proposta soddi-sfacente. Anzi, secondo la testimonianza di alcuni dei suoi più stretti collaboratori,egli “era avverso” a queste scuole. Stabilite dalla legge Casati del 1859, non senzaincertezze e ambiguità, all’interno dell’insegnamento “secondario”, le cosiddette“scuole tecniche” avevano come fine di “dare ai giovani che intendono dedicarsi adeterminate carriere del pubblico servizio, alle industrie, ai commerci ed alla con-dotta delle cose agrarie, la conveniente cultura generale e speciale” (art. 272). Esse erano in pratica, destinate “per la piccola borghesia degli affari, degli im-pieghi e dei commerci”17. Ancora negli ultimi anni dell’Ottocento non si era asso-pita la polemica sulla mancanza di capacità di quel tipo di istituzioni a dare un me- 13 MB IV, 295-296. Con le Firme di: Carlo Aimino, Giuseppe Bordone, Teol. Giovanni BatistaVola, Ritner Vittorio come cauzionario e don Bosco Giovanni.14 PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Salesiane …, p. 12.15 MORCALDI M., Le scuole industriali (1880-1930) Formazione e capitale umano, Milano,Franco Angeli, 2004, p. 49.16 STELLA P., Don Bosco nella storia economica e sociale..., p. 231.17 TONELLI A., L’istruzione tecnica e professionale di Stato nelle strutture e nei programmi daCasati ai nostri giorni, Milano, Giuffrè, 1964, p. 13, in PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Sale-siane…, p. 12. 48 stiere agli allievi; si diceva che, dopo averle frequentate, si poteva accedere a benmodeste mansioni. L’opera iniziata a Valdocco per i giovani disoccupati, alcuni deiquali usciti dal carcere ed in gran parte analfabeti, si inseriva dunque senza forza-ture tra le iniziative “private”, nate in un clima di nuova attenzione per l’istruzionedei ceti popolari. Il canonico bresciano Ludovico Pavoni aveva fondato già nel1821 l’Istituto di San Barnaba, nel quale giovani poveri erano avviati all’apprendi-mento di un’arte (tipografo, legatore dei libri, fabbro ferraio, falegname, tornitore,calzolaio ed altre). Don Bosco, d’altra parte, poté avere pure tra le mani la rivista“L’Educatore Primario”, pubblicazione attenta al problema della educazione degliartigiani. Poté leggere, nel 1849, un avviso a stampa in cui don Luigi Cocchi an-nunciava l’istituzione di una società di sacerdoti e “giovani laici” che si sarebberointeressati dell’educazione di “tanti ragazzi orfani, principalmente abbandonati chebrulicavano per Torino… onde avviarli a qualche professione, a qualche mestiere”.Forse anche per le scelte politicamente esposte di don Cocchi, relegò il suo esperi-mento nei vicoli della storia18. L’assestamento a Valdocco della sezione artigiani venne a inquadrarsi nelle vicende delceto operaio in Piemonte e delle istituzioni scolastiche non classiche. Attorno al 1840-1950 l’istruzione appariva come il valico attraverso il quale le classi inferiori si sareb-bero potute riversare su quelle superiori. La scalata sociale si sarebbe verificata fatal-mente in forme non previste o non gradite. Persisteva nelle classi dominanti una visioneconservatrice19.Nei primi anni della sua attività, non si mosse tenendo presente i modelli sco-lastici pubblici; don Bosco apre nella “casa annessa” all’Oratorio di San Francescodi Sales ben sei laboratori: calzolai (1853), sarti (1853), legatori (1854), falegnami(1856), tipografi (1861), fabbri (1862)20. In questo settore di avviamento all’ap-prendistato non sono seguiti i modelli scolastici statali: “Tra l’antico modo di stabi-lire rapporti di lavoro tra capo d’arte padrone di bottega con gli apprendisti e ilnuovo modello della scuola tecnica prevista dalla legge organica sull’istruzione,don Bosco preferì percorrere la sua terza via: quella cioè dei grandi laboratori disua proprietà, il cui ciclo di produzione, di livello popolare e scolastico, era ancheun utile tirocinio per i giovani apprendisti”21. “Il fenomeno più appariscente, all’interno e all’esterno, è il dilatarsi della col-legializzazione. Non subìta da don Bosco, ma esplicitamente voluta e promossa,essa allargava e qualificava ulteriormente, approfondiva la missione educativa per igiovani specialmente i più poveri. Le fondazioni furono Alassio (1870), Varazze 18 STELLA P., Don Bosco nella storia della religiosità cattolica, vol. I: Vita e opere, Roma, LAS,1979, p. 110. 19 Ibidem, p. 244.20 PRELLEZO J.M., Valdocco nell’Ottocento tra reale e ideale (1866-1889). Documenti e testimo-nianze, Roma, LAS, 1992, p. 175; cfr. P. STELLA, Don Bosco nella storia economica e sociale…, pp. 244-245.21 STELLA P., Don Bosco nella storia economica e sociale…, p. 248. 49 (1871), Valsalice (1872) cui seguirono Nizza e Marsiglia. La fondazione si avviavacon gli studenti ed era ordinariamente affiancata a breve dagli artigiani (per il mag-gior tempo necessario a implementare laboratori rispetto a comuni aule scola-stiche).TipografiaIn coerenza con l’originalità della sua impostazione, nel 1861 don Bosconon si diresse al Regio Provveditore degli studi per chiedere l’autorizzazione difondare una scuola speciale o tecnica che prevedesse l’insegnamento dell’arte tipo-grafica, ma si rivolse al governatore della provincia di Torino, conte Pasolini, solle-citando l’apertura a Valdocco di una tipografia. Ill.mo Signore, Il sac. Bosco Giovanni Direttore dell’Oratorio di S. Francesco di Sales espone rispetto-samente a V. S. come il numero accresciuto de’ giovani ricoverati in questa casa, impor-terebbe di avere qualche altra professione oltre quelle che già ivi si esercitano di fale-gname, sarto, calzolaio e legatore da libri. Sembra che tornerebbe di vistosa utilità l’ini-ziare una piccola tipografia.A tale oggetto ricorre a V. S. Ill.ma per essere autorizzato22.Il Governatore così gli faceva rispondere:A nome della legge 13 novembre 1859 non possono accordarsi permessi per stabilimentidi tipografie, litografie etc. che a quelle persone le quali, oltre le altre condizioni pre-scritte dagli articoli 128 e 129 della suddetta legge, abbiano fatto un tirocinio di tre annipresso un qualche tipografo, litografo etc. approvato dal Governo, ed abbiano da questiottenuto un certificato di idoneità nell’arte, e che le tipografie, litografie etc. siano stabi-lite in luogo esposto al pubblico23.D. Bosco rispondeva al Governatore, chiedendo di poter essere egli stesso il ti-tolare legale della tipografia. Nel Superiore egli tendeva sempre a concentrare ognisupremazia.Il Conte Pasolini Giuseppe senatore del regno, Prefetto della Provincia, poichéil titolo di Governatore era stato mutato in quello di Prefetto, rispondeva a D.Bosco, dandogli norme per compiere l’affare in vertenza; e D. Bosco gli scriveva:Ill.mo Signore, Dopo l’ultima lettera di V. S. Ill.ma riguardante alla piccola tipografia, credo che ognicosa sia secondo il prudente e legale di Lei parere nel modo seguente: I°) L’adito è ri-volto al pubblico. 2°) Avrà il titolo: Tipografia dell’Oratorio di S. Francesco di Sales.3°) Sarà aperta sotto la direzione del Signor Andrea Giardino, di cui si uniscono i neces-sarii documenti, ma proprietà del Sac. Bosco Giovanni direttore dell’Oratorio suddetto.Sono pieno di fiducia nella nota di Lei bontà, e spero di presto effettuare quanto sopraper così porgere pane e lavoro ad una parte de’ poveri giovanetti ricoverati in questacasa24. 22 MB VII, pp. 31-37.23 Ibidem.24 Ibidem. 50 La licenza di aprire una tipografia era finalmente accordata con la firma di duesignori, che avevano preso parte alle perquisizioni nell’Oratorio l’anno 186025.Le gioie dei numerosi successi sono quelle di un prete che si dichiara tale da-vanti al Vescovo, davanti al Prefetto e anche davanti al mondo del lavoro. Il 26 aprile 1884 Torino era in festa. I Sovrani d’Italia con intervento di tutta la famigliareale, del corpo diplomatico e dei dignitari dello Stato v’inauguravano solennementeuna Esposizione nazionale dell’industria, della scienza e dell’arte. […] Al Comitato ese-cutivo il deputato Tommaso Villa. […] Don Bosco aveva divisato di farvi comparire sol-tanto la tipografia salesiana, esponendone la già ricca produzione. Avanzatane domandanel maggio 1883, il 16 luglio successivo ottenne lettera d’ammissione, che gli assegnavaun posto conveniente nella galleria (così dicevasi allora più comunemente invece di pa-diglione) per la didattica e la libraria, dove figuravano i prodotti delle arti grafiche. Ividunque fece trasportare mille volumi d’ogni sesto e qualità: scientifici, letterari, storici,didattici, religiosi; edizioni illustrate; il Bollettino Salesiano in tre lingue: italiana, fran-cese, spagnuola; inoltre saggi di disegno e di quanto si riferisse a scuole, elementari,tecniche, ginnasiali. Il tutto venne disposto in scansie di elegante struttura, dove spicca-vano assai bene svariate e preziose legature. Questo era già in ordine, quando si celebròl’inaugurazione26.Lo stile è delle cose ben curate, cercando di mostrare il meglio realizzato nel-l’evento sociale più significativo.Ma in appresso il disegno primitivo aveva assunto più vaste proporzioni. L’onorevoleVilla trovandosi in Svizzera l’autunno precedente per visitare l’Esposizione di Zurigo,erasi recato a vedere uno dei più riputati opifici della città e gli aveva fatto impressioneuna superba macchina che si stava costruendo per la fabbricazione della carta. Chiestoper chi la sì costruisse e udito che per il signor Bosco d’Italia: - Dite pure per donBosco, soggiunse egli, perchè questo uomo è noto a tutti27. - E realmente don Boscoaveva ordinato quella nuova macchina per la sua cartiera di Mathi torinese. Il Villa, tor-nato a Torino, fece istanza, affinchè la stupenda macchina adornasse le gallerie dell’E-sposizione. Don Bosco senza esitare un momento acconsentì, solo ponendo la condizioneche gli si assegnasse una galleria intera, nella quale avrebbe collocato e messo in azioneanche le macchine necessarie alla produzione del libro. Se parve sulle prime soverchiala sua esigenza, non fu più così, quand’ebbe spiegato bene tutto il suo grandioso di-segno; anzi il Comitato deliberò di costruire una galleria apposita in un cortile fian-cheggiato dall’immensa galleria del lavoro. Detta nuova galleria misurava 55 metri dilunghezza per 20 di larghezza28. Quanto don Bosco fosse realmente all’avanguardia lo mostra bene questo epi-sodio. Il macchinario che acquista per una sua casa è tanto moderno da destare lostupore di un onorevole e modificare programmi e struttura di una Esposizione Na-zionale. 25 Ibidem.26 Ibidem.27 Basti questa citazione quando sosterremo la notorietà di don Bosco negli ambienti politici.28 Ibidem. 51 Aveva detto bene il Villa, che don Bosco era conosciuto; tuttavia per quei tempi un preteespositore29 in una Esposizione nazionale e nella sezione del lavoro sembrava un veroanacronismo. Onde non pochi, passando di là e leggendo quella scritta, sorridevano, im-maginandosi di dovervi trovare oggetti di sacrestia, che non li interessassero punto. Seinvece, superate le prevenzioni, si decidevano a entrare, rimanevano subito colpiti dadue novità: dal lavoro e dai lavoratori. Questi, tutti giovani di varia età, si attiravano lesimpatie dei riguardanti a motivo dell’applicazione, compostezza e serenità con cui at-tendevano ognuno a far bene la parte sua. Il lavoro poi incatenava dal principio alla finela generale attenzione. Cosicché quel reparto costituì per il pubblico uno dei richiamipiù interessanti nella grande mostra.Intendimento di don Bosco era stato di dare una dimostrazione pratica del molteplice la-voro richiesto dalla produzione materiale del libro30. 2.2.1. Imprese editoriali come amplificatoreSe don Bosco non fosse stato scrittore ed editore, la sua opera educativa sisarebbe evoluta ben diversamente: senza le fatiche di studio per creare libri adattiai suoi ragazzi (scolastici come la Storia Sacra e la Storia d’Italia o di preghieracome Il Giovane Provveduto) non avrebbe cercato tanti collaboratori per l’operadegli oratori, senza la notorietà ottenuta dalle Letture Cattoliche non si sarebbe po-tuto presentare al Papa nel 1858 come direttore di una collana sostenuta dai vescovidel regno sabaudo31. Si tenga presente che la situazione era ancora arretrata nel1871: la popolazione Italiana era di poco superiore ai 28 milioni di abitanti, con unanalfabetismo del 69% (seppur molto asimmetrica verso il Sud) e una mortalità in-fantile del 19,2% (morti nel primo anno di vita su 100 nati vivi)32.Leggere era sostanzialmente un lusso con prezzi alti e volumi ridotti. L’abbo-namento annuale a un quotidiano costava tra le 35 e le 40 lire. Una singola uscita siaggirava nel ‘40 attorno ai 40 centesimi, tra il 30% e il 50% dello stipendio giorna-liero di un contadino o di un artigiano. I libri scolastici si passavano tra parenti e ilibri di preghiera e spiritualità rientravano tra le azioni di carità del clero durantefeste e missioni popolari. L’urbanizzazione dopo la carestia del 1846/47, il fer-mento politico e la crescente scolarizzazione portarono a una piccola rivoluzione.La Gazzetta del popolo uscì nell’estate 1848 a 5 centesimi e nel 1852 arrivò adavere 10.000 abbonati.Prima di diventare un editore autonomo con la propria tipografia, don Bosco siappoggiò a Paravia, Speirani, DeAgostini, Marietti, Ferrero, Ferrando e Marti-nengo, evitando le tipografia liberali e anticlericali. La carriera di scrittore inizia 29 Un prete imprenditore, è linea di interessanti ulteriori ricerche. Solo a titolo esemplificativo:don Verzè del San Raffaele, Don Gnocchi con i mutilatini. E nel nostro caso si tratta di un fondatoredi alcune congregazioni religiose e di diversi gruppi di impegno laicale! Dei tempi più recenti mi per-metto di segnalare Suor Rosalina della comunità Shalom in provincia di Brescia che supera ogni stati-stica e prassi delle comunità di recupero.30 MB XVII, pp. 443-446.31 STELLA P., Don Bosco nella storia economica …, p. 327.32 Fonte: ISTAT. Dati disponibili sul sito ufficiale www.istat.it 52 con i Cenni storici sulla vita del chierico Luigi Comollo (nel 1844 e venduto a 0,30lire). Nel 1845 la Storia Ecclesiastica (398pp, 90x125mm) è in vendita a 1,20 lire,mentre nel 1847 della Storia Sacra (212pp, 108x160mm) il prezzo non è perve-nuto; ma edita presso l’Oratorio nel 1866 nella quarta edizione aggiornata e accre-sciuta venduta in brossura a 1,00 lire, nel 1849 il Sistema metrico decimale ridottoa semplicità (80pp, 195x165mm) buon successo editoriale in vista dell’entrata invigore di tale sistema dal 1° Gennaio 1850.Le Letture Cattoliche nella stretta fedeltà al Papa e alla Chiesa si posero comeestranee ad ogni vicenda politica e questo sostenne il loro buon successo. Il 7 Gen-naio 1860 il breve pontificio di lode (ampiamente pubblicizzato a stampa sui fasci-coletti e con manifesti murari) è occasione di una ottima propaganda. Il prezzo è di1,80 lire per i 25 numeri annuali, ma l’alto costo di spedizione ne smorzò l’espan-sione geografica, che restò relativamente limitata al Piemonte con una tiratura dioltre 15.000 copie negli anni successivi33.Particolarmente significative a livello di azione educativa con i ragazzi sono letre vite.Le tre Vite34Le Vite di Domenico Savio, Michele Magone, Francesco Besucco35: sono bio-grafie edificanti, indirizzate ai giovani e al popolo, nelle quali – attraverso il rac-conto aneddotico di un vissuto quotidiano e comune, in cui vengono interpolati fre-quenti incisi didascalici di ordine pedagogico e spirituale – si offrono modelli gio-vanili di virtù.Questi scritti presentano problemi e sfide: don Bosco, quando era necessario,sapeva usare un linguaggio particolare “tra esattezza di termini, adombramenti al-lusivi e iperbole” e talvolta faceva un uso “maggiorato delle cifre nell’intento evi-dente di suscitare attenzione, meraviglia, simpatie e sostegni di ogni genere”36. Chesenso dare a certe espressioni che forse sono solo dei traslati, delle metafore o delleapprossimazioni? Fin dove si spinge don Bosco nella ricostruzione di certi aned-doti? Don Bosco aveva di mira due scopi: presentare modelli di giovani e illu- 33 STELLA P., Don Bosco nella storia economica, pp. 327-368.34 Le considerazioni su “le tre vite” sono frutto di un corso di salesianità tenuto da R. DAL MOLINpresso lo studentato filosofico di Nave (BR). La dispensa a uso interno parla in modo generico di unarielaborazione di considerazioni di Giraudo A. e di Motto S.35 G. BOSCO, Vita del giovanetto Savio Domenico allievo dell’Oratorio di san Francesco diSales, Torino, Tip. G.B. Paravia e Comp., 1859 (18602, 18613); ID., Cenno biografico del giovanettoMagone Michele allievo dell’Oratorio di S. Francesco di Sales, Torino, Tip. G.B. Paravia e Comp.,1861 (18662); ID., Il pastorello delle Alpi ovvero vita del giovane Besucco Francesco d’Argentera, To-rino, Tip. dell’Oratorio di S. Franc. di Sales, 1864 (18782, 18813, 18864). Sono tutte facilmente trova-bili in BOSCO G. (a cura del Centro Studi Don Bosco), Opere edite; 37 (!) vol., Roma, LAS, 1977-1978. Ristampe anastatiche. (da ora OE, vol., pagg.). In appendice è riportato il piano completo del-l’opera.36 STELLA P., Don Bosco, Bologna, il Mulino, 2001, pp. 109-110. 53 strare la bontà dei metodi educativi praticati nei suoi istituti. Soprattutto allaVita di Domenico Savio intese affidare i suoi due messaggi in forma narrativa.Don Bosco riproponeva il tema tradizionale delle false idee di santità radicate nellamentalità popolare ed esplicitava il modello di santità giovanile che intendeva pro-porre37. Don Bosco stesso con onestà evidenzia lo scopo “edificante” per il quale pub-blica le Vite e il senso che ad esse vuol dare. Nell’introduzione alla vita di Dome-nico Savio dichiara di scrivere sia per rendere nota la vicenda di un giovane dal“tenor di vita notoriamente meraviglioso”, sia per offrire ai lettori un modello daimitare38.Egli presenta un modello vivo, reale e vicino, col quale i giovani avrebbero po-tuto facilmente identificarsi e che, per la consonanza di situazioni quotidiane, diambiente e di sensibilità, esercitava un fascino e costituiva uno stimolo verso laperfezione e la virtù. In tal prospettiva erano prodotte e propagate le biografie edi-ficanti da parte di educatori e pastori, convinti della loro funzione stimolante e for-mativa, come rivela la testimonianza del parroco di Argentera, usata da don Bosco:Se gli cadeva tra le mani la vita di qualche pio giovanetto, oh! allora questo era il suocaro libro, che diventava il soggetto de’ suoi discorsi e della sua imitazione. [...] Dueanni fa, dice il parroco, lesse la vita di s. Luigi Gonzaga, e da quel tempo ne divenneimitatore [...] Ma alcuni mesi dopo, essendogli stata regalata la vita dei giovanetti SavioDomenico e Michele Magone, specialmente leggendo la vita di quest’ultimo diceva congioia: ho trovato il vero ritratto delle mie divagazioni [...] E qui gli nacque, continua ilparroco, curiosità straordinaria di farsi spiegare il modo, con cui doveva imitare quelgiovanetto [...] È questo il frutto principale che il nostro Francesco ricavò dalla letturadei libri buoni. Dio volesse che tutti i miei fanciulli parrocchiani attendessero a questebuone letture. Sarebbero al certo di grande consolazione ai loro genitori39.Una buona sintesi delle finalità “edificanti” e formative delle sue pubblicazioniè presentata da don Bosco nella lettera dedicatoria ai giovani, premessa alla Vita diFrancesco Besucco:Vogliate qui ravvisare in me un padre che parla di un figlio teneramente amato; un padreche dà campo ai paterni affetti, che parla a’ suoi amati figli; loro apre tutto il suo cuoreper appagarli, ed anche instruirli nella pratica delle virtù, di cui il Besucco si rese mo-dello. Leggete dunque, o giovani carissimi, e se nel leggere vi sentirete mossi a fuggirequalche vizio, o a praticare qualche virtù rendetene gloria a Dio. Solo datore di veribeni40.Riguardo i meccanismi compositivi che, più o meno consciamente, don Boscometteva in atto per raggiungere i suoi scopi edificanti, Pietro Stella parla di un la-voro di “selezione” “nell’intento di mettere in evidenza del ragazzo un certo tipo di 37 Ibidem, pp. 82-83.38 BOSCO G., Vita del giovanetto Savio Domenico, pp. 9-10. Cfr. Appendice 5.39 Ibid., pp. 29-31.40 Ibid., pp. 5-6. 54 operato che più gli interessava; lasciando nell’ombra forme di religiosità che nonerano meramente incentrate sui sacramenti, sul culto mariano e sui doveri di stu-dente”. Rispetto a S. Luigi Gonzaga, il Domenico Savio di don Bosco offriva le ca-ratteristiche di un ragazzo di ambiente studentesco, proprio mentre in Italia e al-trove aumentava la domanda d’istruzione umanistica e il movimento cattolico inclima liberale sosteneva l’organizzazione di scuole di netta impronta confessio-nale. Quanto viene affermato a proposito della Vita di Domenico Savio può esseredetto anche dei libretti su Michele Magone e Francesco Besucco. non si tratta dibiografie in senso cronachistico positivo, ma di narrazioni esemplari forgiate perragazzi che si trovano alle soglie dell’adolescenza. La dimensione interiore delmodello proposto e la dottrina spirituale da lui promossa sono l’habitat dove laquestione vocazionale della scelta dello stato di vita è presentata come la più im-portante in assoluto in reazione alla realizzazione piena che è la salvezza dell’a-nima.AmplificatoreGli effetti moltiplicativi dell’inserimento dell’azione di don Bosco nell’attivitàdi scrittore ed editore sono ben superiori a quanto possa apparire a uno sguardo su-perficiale e anche a quanto già riportato degli studi di Stella. Lo sguardo superfi-ciale è in grado di vedere solo l’effetto sul bene totale41: l’azione educativa incontraun bacino d’utenza maggiore e con un effetto simile al moltiplicatore keynesianoovvero acquisendo, indotto per la tipografia con una sorta di economia di scala, einvadendo settori a monte e a valle. Ma uno sguardo profondo e capace di cogliere oltre; riesce a vedere i plurimieffetti a cascata in un ottica di Bene Comune42. Tempo sottratto all’azione direttagenera un domanda di collaboratori, la quale genera domanda di loro formazioneattraverso regolamenti, scritti spirituali e giuridici. La domanda di stampa permettedi avere più lavoro per la tipografia e di conseguenza la possibilità di ospitare piùragazzi. La notorietà ricevuta dallo scrittore permette di raccogliere bravi ragazzimandati dai parroci e dai cooperatori. Aumenta la probabilità che qualcuno di lorosia affascinato dall’azione di don Bosco (sia per il maggior numero di ospitati siaper chi legge a distanza) e contribuisca con donazioni, sconti (don Bosco beneficiòdi diversi sconti postali e ferroviari) e sopra di tutto con scelte di vita: “io resto condon Bosco”. Gli permette di aver una notorietà che apre numerose porte: si pensi aisuoi incontri personali con Urbano Rattazzi, con Pio IX, e con diversi cardinali efamiglie nobiliari a Torino e poi a Roma. Frequentazioni che gli permettono di ele-varsi culturalmente e socialmente. Da ragazzo di campagna a prete in città, da fon- 41 Paragonabile alla sommatoria dei beni individuali; cfr. ZAMAGNI S. - ZAMAGNI V., La coopera-zione. Tra mercato e democrazia economica, Bologna, Il Mulino, 2008, p. 21. 42 Paragonabile ad una produttoria; cfr. Ibidem. 55 datore di eco nazionale a Rettor Maggiore di una congregazione internazionale cheanima le Figlie di Maria Ausiliatrice, i Cooperatori e lo stuolo di devoti di MariaAusiliatrice e di Ex-Allievi43. L’agglomerarsi di sempre più persone che condivi-dono il movente ideale, la pedagogia e anche il carisma rende sempre più efficacel’azione educativa matura a sufficenza per essere viva dinamica ed efficiente. A talpunto che i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice partono per aprire nuove casein Italia e, ben presto, per le missioni estere. Una scelta di campo, quella della co-municazione attraverso la stampa formativa, che ha avuto effetti ben più che molti-plicativi. Ma un effetto che da qui chiameremo amplificatore. Tecnicamente unamplificatore è un dispositivo che modifica l’ampiezza, di un fattore moltiplicativo,del segnale che lo attraversa. Viene caratterizzato dal guadagno A, a volte espressoin dB (non si tratta della più comune sigla per indicare la persona di don Bosco, madella misura fisica detta decibel). Evoca inoltre l’immagine di un messaggio, quasidi una musica che si propaga.Di fatti l’ambito della comunicazione sociale resta tra i principali ambiti dellamissione salesiana, insieme ai giovani nel modo del lavoro, le vocazioni ecclesiali,la prima evangelizzazione e gli ambienti popolari. In tempi recenti è viva la rifles-sione sulla capacità di convocare alle scelte di vita44. 2.2.2. Modello gestionale e fondazione della CongregazioneDon Bosco prese contatto con istituti torinesi in cui erano attivati laboratoriper ragazzi, come la Generala e il Regio Albergo delle Virtù di Torino restandone,tuttavia, assai deluso. Infatti, i “laboratori (della Generala) non erano concepiticome vere e proprie scuole di apprendimento per le quali l’investimento finanziarioera motivato da ragioni sociali, ma piuttosto erano pensati come aziende artigianalicapaci di sfornare prodotti finiti e redditizi”45.Nella scelta operata da don Bosco era presente l’esigenza di dare una rispostaai bisogni concreti dell’istituzione assistenziale-educativa da lui fondata, ormai inrapida crescita. Nel 1885, accennando all’origine dell’opera, il fondatore dicevacosì ai membri del Capitolo Superiore (oggi Consiglio Generale) della Congrega-zione Salesiana: “All’Oratorio, gli interni primi furono gli studenti e poi gli arti-giani in soccorso degli studenti. Quindi prima calzolai poi sarti. Ci fu bisogno dilibri, quindi legatori. Primo legatore Redino soprannominato Governo; venneroquindi le fabbriche ed ecco falegnami e fabbri ferrai. Il lavoro agli artigiani lodanno gli studenti”46. 43 Attorno al nucleo di consacrati don Bosco radunò un vasto movimento di persone di buona volontà vicine alla sua azione nei diversi stati di vita e con specificità proprie.44 ATTI DEL CONVEGNO, Necessità di convocare nei contesti della Scuola e della FP salesiana peruna cultura vocazionale, CNOS-FAP, 2012.45 Ibidem, p. 378.46 PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Salesiane …, p. 13. 56 Diamo uno sguardo al divenire dell’opera attraverso laboriose esperienze. Don Boscostesso ne ricapitolò le fasi nel 1885. Gliene porse il destro l’oggetto di una discussioneapertasi nel Capitolo Superiore; rifece allora la storia de’ suoi artigiani nell’Oratoriodal punto in cui, cessato di sparpagliare i giovani per le officine della città, aveva stabi-lito laboratori in casa. Primo esperimento: capi esterni, esercitanti autorità da padroni di bottega, corrispon-dendo un piccolo salario ai giovani. Non andava, perché gli alunni erano trattati da ser-vitori e sottratti all’autorità del Superiore; resa impossibile la sorveglianza; non rispet-tato l’orario, ma fatto dipendere dall’urgenza dei lavori. Intanto nei contratti i capi tira-vano l’acqua al loro mulino con danno della casa. La motivazione principale è quella estrinseca e la ricerca della massimizza-zione dei profitti è fatta a scapito della formazione dei ragazzi che sono un vincolo.Secondo esperimento: obbligare i capi a portarsi i ferri del mestiere, provvedendo aigiovani l’Oratorio. Allora i capi per risparmiare i propri strumenti adoperavano quellidei ragazzi. Don Bosco pattuì che parte dei ferri sarebbe messa da lui a disposizione deicapi e l’avrebbero portata essi; ma non si stava ai patti. Incaricò poi di provvedere aconto suo i ferri per loro e per i giovani; ma nascevano questioni per i ferri rotti o scom-parsi o usati fuori del tempo di lavoro. Inoltre scoppiavano sempre dissensi sulle moda-lità dei lavori, lamenti per negligenze nell’insegnare, diverbi sui guadagni. Questi dipendenti non sono motivati sul vero core businness (l’educazione) epertanto tendono a limitare l’effort come prevede la teoria classica.Terzo esperimento: assumersi Don Bosco tutta la responsabilità morale e amministra-tiva, lasciando ai capi unicamente l’incarico d’insegnare. Ma i capi, scorgendo giovanipiù svelti e capaci, li trascuravano a bello studio, anzi li tenevano apposta indietro, pertema che tosto o tardi dessero loro lo sgambetto. Da tante disdette Don Bosco inferì checon capi esterni si sarebbe tornato sempre al sicut erat. Oltre alle difficoltà del sistema precedente si accumula il fatto che formatori eformandi sono sullo stesso mercato e i primi sono favoriti nell’abusare la loro posi-zione dominante ostacolando l’apprendimento dei giovani. Si rafforza il trade offtra il proprio profitto e la superflua esternalità positiva dell’insegnamento che au-menta il livello della concorrenza.Quarto esperimento: emanciparsi totalmente dagli elementi estranei e, come si dice, farfuoco con proprie legna.[…] Finché non fu possibile fare a meno di capi venuti da fuori,Don Bosco si ridusse a esonerarli da ogni ingerenza disciplinare ed economica, affi-dando queste mansioni a Coadiutori47 salesiani, i primi dei quali furono Giuseppe Rossi, 47 Il Salesiano Laico o Coadiutore, come il sacerdote, emette i tre voti di Povertà, Castità e Ob-bedienza. Vive la vita di Comunità con gli altri Confratelli Salesiani, e vive la stessa missione a ser-vizio dei giovani. Il suo specifico consiste nel fatto che il suo lavoro si svolge soprattutto in attività dinatura secolare. Ecco alcuni campi in cui il Salesiano Coadiutore sviluppa maggiormente la sua voca-zione: Educatore, Medico, Professore, Perito Agrario, Direttore di progetti per lo Sviluppo, Ammini-stratore, Ragioniere, Catechista, Guida Scout, Pubblicista, Bibliotecario, Architetto, Tecnico Informa-tico, Allenatore sportivo, Musico ecc. Attualmente i Salesiani Coadiutori nel mondo sono 2221. Cfr.MARACCANI F., Il Salesiano Coadiutore e la Formazione Professionale, “Rassegna CNOS-FAP”4bis/1988, pp. 87-98. 57 Giuseppe Buzzetti48 e per la tipografia e legatoria il Cav. Oreglia di S. Stefano49. Macome cacciarsi maestri d’arte suoi? [...Tra gli allievi artigiani, molti] finivano con deci-dersi a stare sempre con Don Bosco50, della quale espressione noi conosciamo già il va-lore che le si dava nell’Oratorio. Orbene, una volta che costoro fossero accolti a farparte Società in qualità di Coadiutori, essi rientravano maestri in laboratori dov’eranostati allievi; andavano inoltre come maestri, d’arte in novelle fondazioni italiane edestere. Così a poco, eccettuato per alcun tempo qualche caso sporadico, tutti i laboratorisalesiani obbedivano solamente a capi salesiani51.Il quarto modello è quello vincente perché raccoglie personale motivato a li-vello intrinseco e trascendente. Non vogliamo qui suggerire che i coadiutori sononati esclusivamente per occuparsi di laboratori. La faccenda è molto più complessa,come dimostra la loro presenza come catechisti soprattutto in terra di missione eoccupazioni come quella di infermiere. Nodo determinante è la dedizione incondi-zionata alla missione in vita comune con motivazione trascendente.Dopo aver esposto i tre esperimenti e la via percorsa da don Bosco, risulta ne-cessario comprendere più da vicino la peculiare vicenda della fondazione dellaCongregazione. Mentre don Bosco appare sempre intento a raccimolare collabora-tori, a formarli secondo la sua pedagogia, la sua azione prende il respiro di unampio progetto, di un grande sogno in un contesto che sembra rendere la via intra-presa impossibile. In particolare questo avviene per la legge del 13 novembre 1853di Gabrio Casati. “Il ruolo sempre più incisivo della scuola nella formazione delcittadino italiano porta ad avocare alla diretta gestione dello stato il sistema scola-stico di ogni ordine e grado”52. La difesa dell’autonomia della scuola di don Boscosi appella al diritto della scuola paterna, in quanto il direttore “ospita i giovani for-nendo tutto ciò che un padre di famiglia dà normalmente ai figli: alloggio, vitto, ve-stito e istruzione”53. Il tutto condito da una fortissima tensione tra Stato e Chiesache culminerà, a livello legislativo, con la legge del 7 luglio 1866 di “soppressionedegli Ordini, corporazioni e congregazioni religiose regolari e secolari, conserva-tori e ritiri, che comportavano vita comune e carattere ecclesiastico”54.In un colloquio privato con Urbano Rattazzi nel maggio del 1857, don Boscoha chiara la necessità di essere liberi cittadini di fronte allo stato e sacerdoti ed 48 Fu il braccio destro di don Bosco nelle iniziative più delicate come la grande lotteria allestitaper raccogliere i fondi per la Chiesa di Maria Ausiliatrice. Fu animatore e responsabile della Banda enegli anni dove don Bosco subì diversi attentati quasi sua personale guardia del corpo insieme aquella fornita dalla provvidenza, il cane grigio. Cfr. MO.49 Uomo di grande cultura, dopo alcuni anni prese la decisione, soffertissima, di allontanarsi dal-l’Oratorio per rispondere a quella che sentiva la sua personale vocazione e divenne Gesuita.50 Era l’espressione semplice e amichevole di chi decideva di consacrarsi come salesiano. È danotare che, quella Salesiana, è l’unica Congregazione nella storia della chiesa che nasce tra i giovanidestinatari dell’azione educativa e non da adulti già formati e motivati. 51 CERIA E., op. cit., I pp. 649-652.52 Ibidem, I, p. 53.53 Ibidem, II, p. 392.54 BRAIDO P., Don Bosco prete dei giovani nel secolo delle libertà, 2 voll. Roma, LAS, 2003, p. 51. 58 eventualmente religiosi di fronte alla Chiesa. Nel viaggio a Roma dell’anno succes-sivo, gli incontri con il papa Pio IX e con il cardinale Antonelli illuminano la viadel “legare” i collaboratori attraverso i voti religiosi. L’evoluzione dei rapporti conl’Arcivescovo porteranno a prendere la strada dello stilare un testo costituzionaleda sottoporre direttamente al Papa anziché al Vescovo diocesano di Torino.Il primo passo è datato il 9 dicembre 1859: don Bosco raduna 19 giovani e glipropone di fondare una Congregazione religiosa come i segni dei tempi tratteggiatida Rattazzi e la volontà di Dio illuminata da Pio IX suggerivano. Dopo la settimanamessa a disposizione per riflettere, il 18 dicembre 1859 in 18 (incluso don Bosco)danno inizio alla Società o Congregazione Salesiana. Il 14 maggio 1862 si emette-vano i primi voti: quattro sacerdoti, due coadiutori e diciassette chierici. Il processodi approvazione delle costituzioni è lungo e tortuoso, specialmente per il fatto cheil periodo di noviziato e quello degli studi teologici, normalmente fatti in totale se-parazione dalle mondanità e da attività apostoliche, erano svolti presso la casa del-l’Oratorio, facendo assistenza e catechismo, spesso insegnando materie letterarie aipiù piccoli o agli artigiani. Tale prassi era fortemente osteggiata dalle autorità ec-clesiali competenti, ma don Bosco le ammetteva per le necessità impellenti di per-sonale per le sue attività ed ottenendo per eterogenesi (consapevole) dei fini sale-siani abituati a ritmi di lavoro intenso (sveglia all’alba, scuola ai ragazzi, lezioni diteologia e filosofia in seminario, gioco in mezzo ai ragazzi e studio nottetempo).Don Bosco inoltre lottò a lungo presso l’autorità competente a Roma per vederaccolta la formula mutuata da Rosmini: “Ognuno nell’entrare in congregazione nonperde i diritti civili, anche dopo fatti i voti, quindi conserva la proprietà delle cosesue”55.Dopo il tempo di prova delle costituzioni ad experimentum, il 1° marzo 1869giunge il decreto di approvazione della Società di S. Francesco di Sales. Anche suquesto fronte l’azione scritta del fondatore ha effetti di amplificatore nel diffondereuno spirito, un carisma, una pedagogia. Specialmente grazie alla Memorie dell’O-ratorio e ad altri scritti destinati ai soci salesiani.Le “Memorie dell’Oratorio”56Le Memorie dell’Oratorio, uno degli scritti più personali e vivi di don Bosco,hanno avuto una grande importanza nella storia salesiana. Non solo perché alcunifatti in esse contenuti, come il sogno dei nove anni e la descrizione dell’incontrocon Bartolomeo Garelli, sono divenuti eventi simbolo della vita del Santo e dellamissione salesiana, oggetto di riflessioni spirituali e pedagogiche, ma anche perchéquesto documento ha sostanziato il nostro immaginario sul ruolo determinante di 55 MB VII, 876. Per approfondire l’evoluzione delle costituzioni salesiane: BOSCO G., Costitu-zioni della società di S. Francesco di Sales [1858] - 1875. Testi critici a cura di MOTTO F., Roma,LAS 1981.56 Le considerazioni su le “Memorie dell’Oratorio” sono frutto di un corso di salesianità tenutoda DAL MOLIN R. presso lo studentato filosofico di Nave (BR). 59 mamma Margherita e di don Calosso, sulla figura del teologo Borel, della marchesaBarolo e del vicario di Città Michele Cavour, condendo il tutto con un tocco d’av-ventura nel vissuto di don Bosco col racconto della gara col saltimbanco, l’evoca-zione di attentati anticlericali e la presenza del misterioso cane “Grigio”. Soprattutto le MO hanno contribuito in modo determinante a costruire ed affer-mare l’immagine di don Bosco che continua a circolare. Le stilizzazioni diffusenell’ultimo ventennio dell’Ottocento e nella prima parte del Novecento (fondatoredi istituti benefici e di società cattoliche, padre degli orfani, grande educatore delsecolo XIX, taumaturgo e visionario, geniale organizzatore di iniziative pastorali eeducative secondo i bisogni dei tempi...)57 oggi hanno perso in parte il loro fascino.Permane invece la rappresentazione simpatica del saltimbanco, del vivace anima-tore di contadinelli e studenti, del sognatore, dell’amico vicino agli aneliti giova-nili, del padre affettuoso che dischiude ai giovani orizzonti significativi e apre cam-mini di formazione valorizzando le istanze a loro più congeniali. Questi, appunto,sono i tratti dominanti della sua identità, che emergono nel racconto suggestivodelle MO, e che più tenacemente si sono radicati nell’immaginario collettivo,dentro e fuori gli ambiti della famiglia salesiana. Una rappresentazione elaborata epromossa da don Bosco stesso, prima nell’ambito ristretto della comunità di Val-docco, attraverso narrazioni e rievocazioni pittoresche, poi nella cerchia più vastadegli amici e dei cooperatori. Le ricerche successive animate dall’intenzione dellaricerca storico critica corrono il rischio di perdere il tuttotondo per ricercare edesaltare solo un profilo a scapito della totalità58.Il testo delle Memorie è stato composto da don Bosco tra il 1873 e il 1875. Ri-copiato in bella forma dal segretario Gioachino Berto, venne rivisto, corretto e inte-grato dall’Autore a più riprese, fino al 187959. Inizialmente riservato ai suoi “caris-simi figli salesiani con proibizione di dare pubblicità a queste cose sia prima siadopo la mia morte”, il documento fu parzialmente divulgato, per decisione delSanto stesso, in una Storia dell’Oratorio di S. Francesco di Sales, compilata daGiovanni Bonetti, pubblicata a puntate sul “Bollettino Salesiano” tra 1879 e 188660. La prima edizione integrale delle Memorie dell’Oratorio apparve nel 194661. Ladecisione di rendere di pubblico dominio il documento nella sua interezza, nonostantel’esplicito divieto dell’autore, era stata presa in considerazione della dimensione uni- 57 STELLA P., Don Bosco nella storia della religiosità cattolica, vol. III: La canonizzazione(1888-1934), Roma, LAS 1988, pp. 13-59.58 Come ben argomenta SICCARDI C., Don Bosco Mistico - Una vita tra cielo e terra, La Fontanadi Siloe, 2012.59 Sulla data di composizione del manoscritto originale, della copia di G. Berto e degli interventicorrettivi di don Bosco, cfr. l’introduzione dell’edizione critica delle MO a cura di Antonio da SilvaFerreira, Roma, LAS, 1991, pp. 18-19.60 La Storia dell’Oratorio di Giovanni Bonetti, rivista e completata, venne successivamente pub-blicata in un volume destinato al pubblico dal titolo Cinque lustri di storia dell’Oratorio Salesianofondato dal Sac. D. Giovanni Bosco. Torino, Tipografia Salesiana 1892.61 Fu curata da Eugenio Ceria: (SAN) BOSCO G., Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Salesdal 1815 al 1855, Torino, SEI, 1946. 60 versale assunta dalla figura del santo. Pietro Ricaldone, Rettor Maggiore tra 1932 e1951, già negli anni immediatamente precedenti allo scoppio del conflitto mondiale,aveva colto l’importanza di tale recupero come strumento per rigenerare l’identità sa-lesiana. Esauritasi la generazione formata da don Bosco, in un contesto culturale pro-fondamente mutato, si percepiva l’urgenza di focalizzare il nocciolo della missionereligiosa e educativa dell’Oratorio festivo, la sua caratteristica identità e la tipicità deisuoi elementi metodologici. Ne era scaturita una serie di iniziative finalizzate a coin-volgere l’intera compagine salesiana e mirate soprattutto ad avviare uno sforzo di ri-flessione e di organizzazione nell’ambito della catechesi, della pastorale e della peda-gogia. Nel frattempo promuoveva istituzioni, incoraggiava studi e pubblicazioni. Le prime osservazioni critiche sulla natura delle MO e la loro vera importanza,furono espresse da Pietro Braido nel 1965: “Esse vogliono essere anzitutto e so-prattutto una storia edificante lasciata da un fondatore ai membri della Società diapostoli e di educatori, che dovevano perpetuarne l’opera e lo stile, seguendone ledirettive, gli orientamenti e le lezioni”62. Le pagine di don Bosco sono prevalentemente “Memorie” del futuro: espres-sione paradossale, coniata da P. Braido per esprimere la sostanza della sua tesi. Difatto, questo appare “il punto di vista adottato in forma assolutamente preminenteda don Bosco, intenzionato a trasmettere tale esperienza vissuta come programmadi vita e di azione ai continuatori. Con questa operazione egli anticiperebbe inmodo più flessibile e variopinto, vivacemente “narrativo”, le scarne formulazionidelle pagine del Sistema preventivo nella educazione della gioventù del 1877”.Dunque, nelle MO, la parabola e il messaggio vengono prima e al di sopra dellastoria, per illustrare l’azione di Dio nella vicende umane, e così, rallegrando e ri-creando, confortare e confermare i discepoli. Nello stesso tempo si presentanocome un efficace preludio narrativo al sistema preventivo: un manuale di peda-gogia e di spiritualità raccontata, in chiara prospettiva oratoriana. A partire dal 1863, ai fini dell’approvazione della Società Salesiana e delle sueCostituzioni, e più tardi per ottenere i privilegi necessari alla piena indipendenzagiuridica, don Bosco si impegnava a produrre documenti informativi sulla storia el’identità della sua istituzione. Il più denso e significativo è un Cenno istorico63, re-datto nell’agosto 1873 e stampato nel febbraio 1874, nel quale si vede chiara l’in-tenzione di mettere in risalto il vincolo indissolubile esistente tra l’opera degli ora-tori e la Società Salesiana64. Don Bosco, dunque, trascina il destinatario, gli “amati figli”, nell’avventura di 62 BOSCO G., Scritti sul sistema preventivo nell’educazione della gioventù. Introduzione. Presen-tazione e indici alfabetico e sistematico (a cura di P. BRAIDO), Brescia, La Scuola 1965, pp. 3-4.63 Cenno istorico sulla Congregazione di S. Francesco di Sales e relativi schiarimenti, Roma, Tipografia Poliglotta 1874 - OE XXV pp. 231-250. 64 BRAIDO P., L’idea della Società Salesiana nel “Cenno istorico” di don Bosco del 1873/74. Intro-duzione e testo critico, in “Ricerche Storiche Salesiane” 6/1987, pp. 245-331. P. Braido ci offre anchel’elenco completo dei documenti informativi prodotti da don Bosco tra 1863 e 1874 (ibid, pp. 255-256). 61 queste Memorie e li fa diventare parte attiva, in quanto discepoli interessati e com-plici, che condividono la prospettiva di valori e di realtà in cui si colloca l’opera-zione narrativa di conquista di un’identità, e insieme interlocutori ai quali chiede diaccettare la propria visione dei fatti, che è insieme storica e personale, di entrare inun mondo nello stesso tempo reale e poetico. La presenza dei lettori condiziona lastrategia narrativa di don Bosco. Emerge talvolta in modo diretto come una sorta didialogo: “Voi mi avete più volte dimandato a quale età abbia cominciato ad occu-parmi dei fanciulli [...]. Ascoltate”65; “Da quello che si faceva un giorno festivocomprenderete quanto io faceva negli altri”66; “In quel momento voi avreste veduto,come vi dissi, l’oratore divenire un ciarlatano di professione”67. A che dunque potrà servire questo lavoro? Servirà di norma a superare le difficoltà fu-ture, prendendo lezione dal passato; servirà a far conoscere come Dio abbia egli stessoguidato ogni cosa in ogni tempo; servirà ai miei figli di ameno trattenimento, quandopotranno leggere le cose cui prese parte il loro padre e le leggeranno assai più volentieriquando, chiamato da Dio a rendere conto delle mie azioni, non sarò più tra di loro68. Scritti ai soci salesianiLe considerazioni sono molte e ampliamente studiate e documentate in nume-rose fonti critiche e studi relativi69. Accenniamo solo alla famosissima “Lettera daRoma” del 1884, dove don Bosco denunciava i difetti della gestione collegiale cheaveva portato alcuni salesiani ad essere distaccati nei confronti dei ragazzi. Di-stanza fisica si trasforma in distanza affettiva ed effettiva che blocca la confi-denza che è chiave per educare. I “Ricordi confidenziali ai direttori” dove racco-glieva i buoni consigli per chi partiva da Valdocco per andare a “fare don Bosco”altrove. Il “Sistema Preventivo” in un “decalogo” per educatori, il suo tentativo didare una sistematizzazione al metodo educativo che come ha più volte ripetuto, sipuò imparare solo per osmosi e imitazione vedendo altri “animali da cortile” (comeamano farsi chiamare i salesiani) educare i ragazzi giocando con loro, insegnandoin classe o in laboratorio. Per passare ai meno noti: “Ai soci salesiani”, “Due sognisulle missioni della Patagonia e dell’America Latina”, “Tre lettere ai salesiani inAmerica”, “Dei castighi da infliggersi nelle case salesiane” oltre al testo giuridico efondante ovvero le “Costituzioni della Società di San Francesco di Sales”. 2.3. Ultime decisioni del Fondatore Gli artigiani che imparavano un mestiere era spesso reduci da esperienze pro-blematiche e spesso alcuni erano portati all’Oratorio dalla autorità di pubblica sicu- 65 MO p. 38.66 MO p. 40.67 MO p. 41.68 MO, p. 30.69 Per semplicità rimandiamo a http://iss.sdb.org/rssfonti.aspx. 62 rezza. Detto questo si capisce la colorita espressione di don Bosco nel 1871 fatta difronte ai responsabili della Congregazione: “Sono anche contento del gran miglio-ramento introdottosi negli artigiani, che gli altri anni erano un vero flagello per lacasa. Non è che tutti siano ora farina da far ostie, ma un miglioramento c’è”70. Ilcontesto di sviluppo commerciale e industriale non passò senza effetti pratici bennotati dai salesiani, che parlano di un continuo aumento dei ragazzi che arrivano aValdocco per imparare un lavoro, tanto che nel 1880 gli artigiani sono quasi in nu-mero pari agli studenti. Il tema delle scuole per i giovani apprendisti nelle case salesiane non fu og-getto di studio e di discussione approfondita nel Secondo Capitolo Generale del1880. Ma parlando, ad esempio, dello scopo della Società di educatori fondata dadon Bosco, si nominano in primo luogo i collegi od ospizi di artigianelli e poi gliOratori e le scuole… “pel popolo e per poveri giovani abbandonati”. Le richiestevertirono su locali e maestri per le scuole di francese, disegno e sull’aumento delleore di lezione teorica. Nel frattempo la formazione professionale era regolata dallalegge del 30 maggio 1878, affidata al Ministero dell’agricoltura, industria e com-mercio e avviata dalle circolari ministeriali di Cairoli per l’istituzione di scuole se-rali e domenicali d’arti e mestieri71.Le “sezioni artigiani” di Valdocco e delle altre case salesiane non dovevanoormai più dipendere, come fino a quel momento, dal Consigliere scolastico gene-rale. A livello di Consiglio Generale, la carica di “consigliere professionale” fustabilita nel 1883: la sua funzione veniva sintetizzata nella cura di quanto spettava“all’insegnamento delle arti e mestieri”. Nella riunione, tenuta il 4 settembre del1884, don Rua propose di nominare don Giuseppe Lazzero. 70 Conferenze generali (30.04.1871) in PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Salesiane …, p. 15.71 PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Salesiane …, pp. 18-19. Fonte: J.M. PRELLEZO, Scuole Professionali Salesiane… Tabella 1: Artigiani per laboratorio 63 Si dava così un nuovo passo significativo verso una loro organizzazione dimaggior autonomia, che rispondesse meglio alle esigenze specifiche del settore inun nuovo contesto culturale. Alle critiche su situazioni inadeguate da superare si aggiungono, d’altro canto,con non minor forza, le proposte d’avanzamento e di sviluppo. Dopo aver denun-ciato qualche episodio di trascuratezza o di poca attenzione educativa nei confrontidei giovani lavoratori, si ribadisce senza esitazione che, a questo proposito, “nondovrebbe esistere alcuna differenza fra artigiani e studenti”. L’attenzione alla “parte operaia” è manifestata esplicitamente nella redazionedefinitiva del documento capitolare del 1886, il cui titolo – Indirizzo da darsi allaparte operaia delle case salesiane e mezzi da svilupparne le vocazioni – coincideletteralmente con quello del tema V, proposto come argomento di studio nel Se-condo e Terzo Capitolo Generale72. Non vi si parla semplicemente dei “laboratori”; ma neppure si accenna ancoraalle “scuole professionali”. Gli estensori del documento capitolare continuano atener presente il modello della casa annessa all’Oratorio di San Francesco de Salesdi Valdocco: un’istituzione complessa, in cui, oltre agli oratoriani dei giorni festivi,convivono durate la settimana circa di 400 ragazzi che frequentano gli studi classicie circa 400 giovani che imparano un mestiere. Si potrebbe, tuttavia, affermare che il discorso culturale ed educativo cominciaa collocarsi sempre più nella prospettiva ideale delle case di artigiani o scuole di ar-ti e mestieri (o istituti di arti e mestieri). Norme e orientamenti riguardanti la “parteoperaia”, di fatto, si aprono con una dichiarazione impegnativa sullo scopo che sipropone la Società Salesiana nell’accogliere ed educare questi giovanetti: quello“d’allevarli in modo che, uscendo dalle nostre case compiuto il loro tirocinio, abbia-no un mestiere onde guadagnarsi onoratamente il pane della vita, siano bene istruitinella religione ed abbiano le cognizioni scientifiche opportune al loro stato”. Da tale premessa deriva una prima conclusione: “triplice deve essere l’indi-rizzo da darsi alla loro educazione: religioso-morale, intellettuale e professionale”. 2.4. Conclusioni Il secondo capitolo ci ha permesso di raccogliere alcuni tratti che don Boscofortemente e intenzionalmente ha impresso nella costituzione della Società sale-siana, in particolare relativamente alla missione nei confronti dei giovani e delmondo del lavoro attraverso la Formazione Professionale. Don Bosco e la sua opera non cessano di stupire. A cento anni dalla morte del Santoeducatore restiamo meravigliati non solo per la vastità delle realizzazioni avviate per ladiffusione che esse hanno avuta in tutti i continenti, ma anche e soprattutto per 72 Capitolo generale II 1880, in Ibidem. 64 l’originalità delle intuizioni, che troviamo ancora attuali e feconde. Una di queste intui-zioni è certamente la figura del salesiano laico, da lui chiamato «salesiano coadiutore»,e del suo ruolo all’interno della missione educativa, particolarmente nel settore dellaformazione professionale, che Don Bosco promosse con una visione acuta delle neces-sità della gioventù dei tempi nuovi. Oggi, nella luce del Concilio Vaticano II […], avver-tiamo l’urgenza di una presenza più viva nel mondo del lavoro, specialmente per un in-serimento adeguato delle giovani generazioni. Il salesiano coadiutore ha una parola dadire ed una testimonianza da dare in questi campi d’azione73.La capacità di essere presente sul campo personalmente con relazioni signifi-cative nei confronti dei ragazzi, ma al tempo stesso di aver uno sguardo oltre, ca-pace di percorrere le vie giuridiche in modo deciso come le società di mutuo soc-corso e l’apprendistato. La scelta dei collegi ha accelerato il processo di istituziona-lizzazione il cui successo è amplificato dalle imprese editoriali e dalla scelta vin-cente di un modello gestionale capace di radunare persone fortemente vicine allasua scelta di vita e al suo metodo. L’atteggiamento è sempre quello di un prete e altempo stesso comprendeva e superava quello di un imprenditore come dimostra lapartecipazione alla Esposizione di Torino. Tale capacità di convocarle ha usato lacapacità e le tecniche di comunicazione attraverso le Memorie dell’Oratorio e altriscritti. La personalizzazione (orientamento e cura vocazionale) superavano i con-fini delle relazioni dirette, ma si estendevano con gli scritti e con i direttori che “fa-cevano don Bosco” nelle realtà ove erano inviati. Sul piano dell’azione di governodella Formazione Professionale, le ultime decisione hanno in germe la coscienza dimutate condizioni e iniziano a cogliere i segni dei tempi di piena industrializza-zione e verso vere e proprie scuole professionali con personale specificatamentededicato e con una animazione (a livello di Consiglio Generale) specifica e distintadalle scuole di tipo liceale. Nel prossimo capitolo seguiremo la storia della formazione professionale sale-siana specialmente attraverso la storia dei suoi consiglieri generali e delle decisionidei Capitoli della Congregazione. In filigrana terremo d’occhio l’effettiva fedeltàdinamica al carisma in particolare alle scelte vincenti che mantengono vivo l’ef-fetto di amplificatore dell’opera educativo-formativa. 73 MARACCANI F., op. cit., p. 87. 65 Capitolo terzoIl cammino delle Scuole Professionali Salesiane (1888-1969) Ha fatto dell’esempio del santo un scuola,della sua opera personale un’istituzioneestesa su tutta la terra,della sua vita un storia,della sua regola uno spirito,della sua santità un modello;ha fatto della sorgente una corrente, un fiume(Paolo VI)1 Ripartiamo dalla situazione del 1888, anno della morte di don Bosco. Questadata cardine della storia salesiana era stata preceduta dallo sviluppo impetuosodelle attività dell’Opera Salesiana, testimoniato dalla fondazione di nuove case,(oratori, collegi e laboratori professionali) anche al di fuori del Piemonte, in altreregioni dell’Italia, in altri Paesi europei e in terra di missione. In aggiunta, oltre chedalla società di San Francesco di Sales, la continuità delle iniziative di don Boscoera garantita in campo femminile dalle Figlie di Maria Ausiliatrice (fondate nel1872) e in ambito laicale dalla Pia Unione dei Cooperatori Salesiani (1876). Alla morte del Santo si può già parlare di una vera famiglia religiosa che ras-somiglia ormai a un albero in sviluppo dove sono cresciuti vari rami. La società sa-lesiana contava 768 professi perpetui di cui 301 erano sacerdoti, 95 professi tempo-ranei e 276 novizi, distribuiti tra 56 case e 6 ispettorie2. Per la rapidità di tale svi-luppo e l’età media molto bassa, sorsero delle perplessità a Roma circa la stabilitàdella giovane Congregazione, tanto da meditare se accorparla ad un’altra comequella dei Padri Somaschi. L’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice che, inte-grato per volontà di don Bosco alla società di San Francesco di Sales, era chiamatoa svolgere per le ragazze una missione analoga a quella dei salesiani per i giovani, 1 PAOLO VI, Discorso per la beatificazione di don Rua, in MOTTO F. (a cura di), Don MicheleRua. Un “altro” don Bosco. Un percorso per immagini del primo successore di don Bosco, Roma,2009.2 L’ispettoria salesiana corrisponde a ciò che negli Ordini e Congregazione religiose si definiscecome “Provincia”, vale a dire una circoscrizione giuridica comprendente un certo numero di conventi,o “case”, per usare il linguaggio salesiano caratterizzato da termini di matrice laicale per evitare leespropriazioni e le persecuzioni anticlericali in corso negli anni della fondazione. 66 comprendeva già 390 suore professe e 100 novizie suddivise tra 49 case, per lo piùin Italia. Da ultimo la Pia Unione dei Cooperatori, una sorta di terz’ordine sale-siano, la cui finalità principale era la santificazione personale dei membri attraversosoprattutto l’esercizio della carità verso i giovani, poteva contare su migliaia diiscritti in Italia e in Francia, tra cui membri del clero e laici di tutte le categorie3.Organizzeremo il percorso in tre grandi tappe: la prima scruterà l’azione delprimo successore don Rua (una sorta di seconda generazione in ottica aziendale)preoccupata di distinguere cosa era peculiare del fondatore e cosa transitorio e le-gato ai tempi (§1). In ogni organizzazione umana il cambio del nucleo dirigenzialeè un passaggio importante, specialmente se il movente è ideale. Sarà determinanteper la vita del carisma il mantenere quel nucleo di persone profondamente moti-vate e fedeli al fondatore. Fedeltà dinamica, ovvero capace di cogliere l’essenzialee mutare quanto transitorio e relativo ai tempi. La seconda tappa seguirà la conti-nuità sostanziale delle successive generazioni in contesti mutevoli, occupate a man-tenere viva la presenza di don Bosco non più conosciuto personalmente (§2). Infineil maturare della fondazione di un ente giuridico ad hoc, il CNOS-FAP (§3). 3.1. La seconda generazione “dirigenziale”, Rua e Bertello Dal punto di vista del contesto storico, il nuovo Regno Italiano, nonostante ilpeso enorme dei problemi che lo affliggevano e per i quali ci si aspettava di vederlodissolversi e scomparire, riusciva a consolidare le caratteristiche che lo contraddi-stinguevano dall’inizio: monarchico, centralizzato, borghese, socialmente conser-vatore e anticlericale. Per effetto della presa di Roma peggioravano le relazioni giàdifficili tra lo Stato e la Chiesa; essa non riconobbe la legge delle guarentigie(1871), con la quale il Governo Italiano aveva cercato di legittimare l’occupazionedella capitale e regolare le relazioni con la Santa Sede, e proibì ai cattolici di votareper l’elezione di un Parlamento di uno Stato considerato come “usurpatore”. Le ini-ziative del cattolicesimo sociale, anche se spesso pervase di uno spirito di rivincitacontro liberali e socialisti, continuavano a espandersi contribuendo efficacementesia alla realizzazione della missione evangelizzatrice della Chiesa, sia alla promo-zione della situazione di vita dei ceti popolari4.Gli obiettivi della politica scolastica erano la lotta all’analfabetismo e al mi-glioramento delle condizioni di arretratezza e di miseria delle classi popolari. Si os-serva l’affermarsi dell’istruzione tecnica in generale, mentre si dibatteva ancoracirca l’effettiva importanza di una forte preparazione scientifica nelle discipline in- 3 DESRAMAUT F., Vita di Don Michele Rua. Primo successore di don Bosco (1837-1910), Roma,LAS 2010, pp. 158-161.4 BRAIDO P., Prevenire non reprimere. Il sistema educativo di don Bosco, Roma, LAS, 2006, pp. 15-19. 67 dustriali. Sul piano normativo sono da segnalare il regolamento per il riordino e l’i-stituzione delle scuole industriali e commerciali del Regio Decreto n. 187 del 22marzo 19085. Alla morte di don Bosco, la Società di San Francesco di Sales non era crollataa breve termine, come qualcuno aveva previsto a Roma, ma aveva ripreso conslancio la sua crescita in personale e in opere; aveva invece saputo conservare eanzi aumentare il grande apprezzamento che il fondatore aveva saputo conquistarepresso l’opinione pubblica per la sua personalità e per le sue realizzazioni sotto ilrettorato di don Michele Rua (1888-1910), ultimo dei nove figli di Giovanni Bat-tista Rua, rimasto orfano di padre il 2 agosto 1845. Vive con la madre nell’alloggiodella azienda dove lavora. Partecipa subito all’oratorio e diventa un entusiastaamico del futuro santo. Quando nel 1859 nasce la Congregazione Salesiana, ne ènominato direttore spirituale e diventa di fatto il “braccio destro” del Santo. Ungiorno ebbe a dire: “traevo maggior profitto nell’osservare don Bosco, anche nellesue azioni più umili, che a leggere e meditare un trattato di ascetismo”6. La sceltastrategica di Rua alla guida della Società Salesiana fu di rafforzare e promuovere leopere avviate, applicare con impegno le strategie adottate e seguire con fedeltà ilmodello del fondatore. I risultati dell’ardore di don Rua non erano mancati, lo svi-luppo era stato imponente e per quanto riguardava il nostro Paese questo era statototalmente coperto da una fitta rete di fondazioni grazie anche al fatto che tra l’ul-timo decennio del ‘800 e il primo del ‘900 aveva avuto luogo un mutamento rile-vante nel clima politico, sociale, economico e culturale dei vari Paesi dell’Europa ein particolare del nostro. Il periodo era caratterizzato da un notevole progresso ma-teriale, attestato dall’aumento del PIL e dalla solidità della finanza pubblica, dalmiglioramento dell’agricoltura dovuto a una serie di interventi ad opera del go-verno e dell’iniziativa privata, dallo sviluppo delle industrie metallurgiche, automo-bilistiche, chimiche, tessili e dell’elettricità, nonostante la mancanza o quasi di ma-terie prime come carbone e ferro e dall’incremento del commercio interno edestero; sul lato negativo, la questione meridionale manteneva tutta la sua incidenzasfavorevole e finiva per accrescere il fenomeno dell’emigrazione. A livello politicoi partiti borghesi tradizionali (liberali, repubblicani e radicali) perdevano terreno,mentre nascevano nuovi partiti (socialista e nazionalista). La figura che dominavala scena era quella di Giovanni Giolitti, più volte presidente del Consiglio, cheuniva nella sua azione aspetti conservatori e progressisti: egli iniziava un processoprofondo di riforma dello Stato che gli permetteva di recuperare alcune forze vivedel Paese rimaste ai margini della costruzione dell’unità d’Italia, come gli operai, isocialisti e i cattolici. Riguardo a questi ultimi, si registrava una graduale evolu-zione dall’intransigentismo all’accettazione dell’unità monarchica della patria; ilpassaggio era favorito dal miglioramento dei rapporti tra Stato e Chiesa che si 5 MORCALDI M., op. cit., pp. 101-104.6 DESRAMAUT F., op. cit., pp. 158-161. 68 erano lentamente appianati dopo la breccia di Porta Pia e anzi si era creata un’at-mosfera di distensione da quando era venuto meno il pericolo di rivendicazionitemporalistiche da parte del papato7. 3.1.1. La figura del Consigliere Professionale GeneraleSin dal 1880 il Capitolo Generale Secondo si era posto il problema di costi-tuire un punto di riferimento al vertice della Congregazione per le Scuole di arti emestieri ed aveva affidato tale incarico all’Economo Generale. Il Capitolo GeneraleTerzo (1883) suggerì di affidare ad un Consigliere Generale del Capitolo Superioretale compito e vi fu promosso Don Giuseppe Lazzero, che assunse tale carica dal1887. Solo con il 1889 tale carica divenne definitiva e fu regolamentata. I suoicompiti erano:• tenersi informato sul personale addetto a qualche arte ed ai lavori domestici esull’avanzamento delle Case professionali;• aver cura di quanto spetta all’insegnamento delle arti e mestieri e dei lavori do-mestici;• seguire i noviziati degli artigiani; assicurare ad ogni laboratorio un capomembro della nostra Pia Società o in difetto anche un estraneo di sicura mora-lità, fedeltà e singolare abilità nella professione, vice capi e assistenti in pro-porzione al numero degli artigiani; vigilare sulla immissione nei laboratori dioperai, idonei e sicuri moralmente;• mettersi a disposizione degli Ispettori per dar avviamento ai laboratori; • dare le disposizioni per le esposizioni annuali e dirigere le esposizioni generalitriennali8.Nelle Deliberazioni capitolari, pubblicate nel 1887, fu codificata la decisione,unanimemente condivisa, di approntare un programma scolastico da eseguirsi intutte le case salesiane di artigiani, nel quale dovevano essere indicati pure i libri daleggere e spiegare nella scuola. Inoltre fu deciso di organizzare, ogni tre anni, unamostra o “esposizione generale delle scuole professionali e agricole salesiane”9.Queste ultime decisioni del supremo organismo salesiano per il momento nonfurono attuate. Qualcosa, tuttavia, stava muovendosi: i successi del settore tipo-grafico persuasero i Superiori maggiori a raccogliere, nel 25-26 agosto 1896, i capitipografi e capi librai salesiani a Valsalice. I partecipanti a quelle giornate di rifles- 7 MOTTO F. (a cura di), Salesiani di don Bosco in Italia. 150 anni di educazione, Roma, LAS,2011, pp. 25-26.8 VALSECCHI T., Il Consigliere Professionale Generale Don Giuseppe Bertello (1898/1910) e le Esposizioni Generali Salesiane del 1901, 1904 e 1910, “Rassegna CNOS-FAP” 4bis/1988, pp. 99-126.9 Deliberazioni del terzo e quarto Capitolo Generale della Pia Società Salesiana: tenuti in Val-salice nel settembre 1883-1886, S. Benigno Canavese, Tip. Salesiana, 1887 in PRELLEZO J.M., ScuoleProfessionali Salesiane... pp. 30-31. 69 sione e di scambio di esperienze, riconoscendo la necessità di dare una convenienteistruzione letteraria agli allievi compositori, condivisero, tra l’altro, l’idea di com-pilare un Manuale del tipografo ad uso delle scuole salesiane di arti e mestieri, chefu stampato nel 1899.Il nuovo Consigliere professionale generale don Giuseppe Bertello, già diretto-re di Borgo San Martino e già ispettore della Sicilia, fu eletto a larghissima maggio-ranza, come lasciava già presagire la grande stima della quale godeva all’internodella Congregazione. Don Bosco, secondo la testimonianza del suo segretario per-sonale, l’aveva definito “una massa d’oro coperta con un poco di scoria”, ma la se-rietà dell’aspetto, l’austerità della condotta, l’espressione misurata e talvolta rudeerano le scorie che ricoprivano l’oro della rettitudine, della coerenza, della genero-sità, dell’equilibrio, della tenerezza10. Egli cercò subito di raggiungere l’obiettivoposto dai confratelli del Capitolo che l’aveva eletto. I membri del Capitolo Genera-le del 1898 decisero di dar esecuzione a quanto era stato stabilito precedentemente,“pubblicare cioè programmi, orari, suggerimenti ed indicare libri di testo da usarsinelle varie Case di artigiani ed agricoltori, distinti per scuole ed anni di corso”11.Consapevole della complessità del settore e della necessità di conoscere leconcrete esperienze in atto, per riuscire a elaborare un aggiornato programma sco-lastico don Bertello sollecitava nell’aprile 1899 i direttori delle case di artigiani amandargli una breve relazione con il programma particolareggiato delle materie in-segnate in ciascuna classe. In successive circolari don Bertello informerà poi sulleiniziative che, pur faticosamente, stavano prendendo piede nei diversi contesti sale-siani: organizzazione della prima esposizione generale di arti e mestieri e agricolenel 1901; orientamenti perché i “capi-laboratorio si provvedano di libri e periodiciadatti ad estendere la loro cultura professionale e tenerli informati dei progressidelle arti loro”12; proposta di “un metodo per apprezzare il lavoro” in vista della as-segnazione ad ogni giovane apprendista della mancia o peculio settimanale13.L’agognato Programma scolastico per le scuole di artigiani della Pia SocietàSalesiana vide la luce nel 190314. Ne riportiamo qui l’idea generale:Il tirocinio professionale dura cinque anni, e così cinque sono gli anni della scuola. Ilquinquennio è diviso in due periodi, il primo dì due anni e l’altro di tre.Nel primo periodo si insegnano le seguenti materie: religione, lingua nazionale, geo-grafia, regole di buona creanza, igiene. 10 Bertello, 2/16 in VALSECCHI T., op. cit., p. 100.11 Atti e deliberazioni dell’VIII CG, 80 in Ibidem. 12 Consiglio Generale Circolari (29.11.1901) in Ibidem.13 Consiglio Generale Circolari (31.01.1901); cfr. G. BERTELLO, Proposta di un metodo per ap-prezzare il lavoro dei giovani artigiani e determinarne la mancia settimanale. Torino, Tip. Salesiana,1901. La mancia era, secondo Bertello, “un mezzi di incoraggiare gli allievi e procurar loro un van-taggio materiale per il tempo che dovranno uscire” in Ibidem.14 BERTELLO G., Programma scolastico per le scuole di artigiani della Pia Società di S. Fran-cesco di Sales, Torino, Tipografia Salesiana 1903. in PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Salesiane...,pp. 105-118. 70 Nel secondo: religione, disegno, storia naturale. fisica, chimica e meccanica, storia,lingua francese, computisteria, sociologia. La lingua francese è limitata ai due primianni del secondo periodo e la computisteria al terzo.L’anno scolastico dura nove mesi e la scuola si fa tutti i giorni non impediti, compresi ifestivi.La scuola, nei giorni feriali, dura non meno di un’ora, alla quale si fa sempre precedereo seguire mezz’ora di studio.Don Bertello, animato dal desiderio non solo di attuare, ma anche di renderenote le intenzioni di don Bosco nel creare le scuole professionali, compilò pro-grammi che furono ammirati dagli specialisti e presi in considerazione dall’Uf-ficio del Lavoro di Roma. Il cardine di questo processo fu, ad ogni modo, l’indi-rizzo conforme alle esigenze moderne, ma sempre nello spirito del Fondatore, chetali programmi impressero alle scuole professionali salesiane15. I primi cenni di accoglienza e disponibilità da parte di alcuni direttori e maestrivolonterosi si ricevettero con soddisfazione a Valdocco; ma presto si dovettero con-statare le resistenze e difficoltà manifestate da non pochi altri. Don Bertello se nelamenta in una lettera datata 12 luglio 1906. Le sue considerazioni sono sostanzialimete confermate dalle relazioni fatte nelle visite straordinarie nel 1908/09. I labora-tori erano 62 su un totale di 314 opere salesiane. “Spesso si tratta di scuole profes-sionali solo di nome, ove non è applicato il metodo e il programma di don Bertello,dove si lavora alla buona”16.I primi significativi successi fuori Torino comparvero nel settore agrario. Nel1900, don Baratta aveva iniziato, sempre a Parma, l’esperienza di un “corso com-plementare di agraria”, il cui progetto risaliva all’ultima decade dell’Ottocento. Nelcorso trovavano applicazione gli studi e approfondimenti delle teorie neofisiocra-tiche di Solari, delle quali don Baratta era assertore e attivo divulgatore mediantediverse pubblicazioni. Nel 1902, per iniziativa sempre di Baratta, la casa di Parmadecise di farsi carico della “Rivista di Agricoltura”. La diresse per un ventennio(1902-1921) il coadiutore salesiano Accatino, autore di apprezzati saggi comeI primi elementi di agricoltura (1907), Gli scioperi agrari: cause e rimedi (1908)17.Intanto, altre esigenze e altri fatti avvenuti “fuori” le mura degli istituti sale-siani finirono per contribuire, per contraccolpo, a dare un forte impulso alle case diarti e mestieri salesiane sulla via delle “vere scuole professionali”. Diversi inter-venti legislativi dello Stato italiano introdussero cambiamenti non trascurabili neicontenuti culturali e nell’ordinamento dell’istruzione professionale. Nel 1902 fuapprovata la legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli negli opifici e laboratori in- 15 VALSECCHI T., op. cit., p. 102. sono sue le parole del 1904: Alcune ragioni per le quali si credeche l’Istituto d’arti e mestieri annesso all’Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino - Via Cotto-lengo N. 32, abbia la qualità e meriti il nome di Scuola Professionale e non di opificio industriale.1.Articolo fondamentale del nostro Regolamento è il seguente: i nostri laboratori non abbiano scopo dilucro; ma siano vere scuole d’arti e mestieri.16 PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Salesiane..., p. 34.17 MOTTO F. (a cura di), Parma e don Carlo Maria Baratta, Salesiano, Roma, LAS, 2000. 71 dustriali. Il “punto capitale” dell’ordinamento era che la scuola per i ragazzi conmeno di quindici anni doveva contemplare, nell’orario giornaliero, “almeno unaparte uguale a quella del lavoro” nel laboratorio18. In un primo momento, i membridel Consiglio Generale salesiano ritennero che quella normativa legale non dovesseinteressare le proprie case di arti e mestieri, dato che in esse l’apprendistato praticodel mestiere occupava tradizionalmente uno spazio preponderante – pur senza pro-porsi scopi commerciali o di lucro – con la precisa finalità di preparare i giovanidei ceti popolari a guadagnarsi il pane. In seguito a un’ispezione all’istituzione diValdocco, il Ministero del Commercio e dell’Agricoltura, con decreto 28 marzo1907, intimava ai Salesiani di applicare “la legge del lavoro delle donne e dei fan-ciulli ai laboratori dell’Oratorio”19. La terza edizione del programma è del 1910 (l’ultima curata da don Bertello) eoffre speciale interesse e aspetti innovativi, a cominciare dai dati tipografici ripor-tati nel frontespizio del fascicolo edito dalla Scuola Tipografica Salesiana di To-rino: “Pia Società Salesiana di d. Bosco, Le scuole professionali. Programmi didat-tici e professionali”20. Ne riportiamo qui le idee principali.Coi tempi e con don Bosco. In queste parole è racchiuso gran parte di ciò cheforma la caratteristica dello spirito salesiano. Non c’è dubbio che se noi Salesianivogliamo lavorare proficuamente a vantaggio dei figli del popolo, dobbiamo muo-verci e camminare col secolo, appropriandoci di quello che in esso vi è di buono,anzi precedendolo, se ci è possibile, sulla strada dei veraci progressi, per potere,autorevolmente ed efficacemente, compiere la nostra missione.Tali furono le massime e tali gli esempi di don Bosco, il quale dopo di aver gettato nel1841 le basi dell’Opera sua – cui dava stabile sede nel 1846 nei prati di Valdocco, ovefe’ sorgere dal nulla uno dei più grandiosi istituti di carità dell’Italia e del mondo – findal 1853, a meglio provvedere alla formazione dei giovani operai, cominciò ad aprire al-cune scuole professionali nell’interno del suo Ospizio. Egli aveva intuito l’indirizzo mi-naccioso e le proporzioni che avrebbe assunto la questione operaia[…]. Tale fu lo scopodi don Bosco nell’istituire le sue Scuole professionali, che debbono essere palestre di co-scienza e di carattere, e scuole fornite di quanto le moderne invenzioni hanno di meglionegli utensili e nei meccanismi, perchè ai giovani alunni nulla manchi di quella coltura,di cui vantasi giustamente la moderna industria.Fedeli allo spirito del loro Istitutore, i Salesiani furono forse i primi in Italia ad organiz-zare con appositi programmi e con insegnamento metodico le loro Scuole professionali,e ciò quando ancor nessuno si occupava di questo ramo dell’educazione popolare, enemmeno il governo aveva dato norme in proposito.Le nostre scuole infatti seguono due programmi ben distinti: - l’uno di coltura generale,l’altro teorico-pratico delle arti21. 18 Regolamento del 29.01.1903; in PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Salesiane..., p. 34. 19 Ibidem.20 PIA SOCIETÀ SALESIANA DI D. BOSCO, Le scuole professionali. Programmi didattici e professio-nali, Torino, Scuola Tipografica Salesiana, 1910. Cfr. Appendice doc. 5.21 Ibidem. 72 3.1.2. Le Esposizioni GeneraliDon Bertello in data 27 novembre 1900 sottoponeva al giudizio del CapitoloSuperiore la proposta di realizzare dell’Esposizione che deliberava: “Il Capitolo,dietro proposta del Consigliere Professionale, delibera che l’anno venturo si faccial’esposizione triennale delle produzioni dei nostri laboratori”22.Il vero movente non era l’esibizionismo, ma il desiderio di confrontare, di imparare, diprendere il buono dovunque si trovasse quasi ad una mondiale scuola di mutuo e fra-terno insegnamento23.Infatti, il programma24 dell’esposizione triennale del 1901 inizia dichiarandonegli scopi:Scopo di questa Esposizione si è di presentare ai Salesiani ed ai loro Cooperatori unquadro di quello che si va facendo nei molteplici istituti dell’uno e dell’altro Continente,a beneficio della gioventù operaia, e trarne, col concorso di tutti, consigli ed ammae-stramenti a far meglio. Una Giuria di persone competenti avrà per ufficio di studiare levarie sezioni, apprezzarne il mento, rilevarne i difetti e proporre i miglioramenti da in-trodurvi. Accoglierà con riconoscenza le osservazioni e proposte, che le verranno fattedalle persone amiche e vedrà se sia il caso di convocare particolari adunanze per l’e-same e la discussione delle medesime.Nello stesso anno 1901 don Giuseppe Bertello dava piena attuazione ad un de-siderio espresso da don Bosco circa la “prontezza nell’esecuzione” attraverso l’usodel lavoro a cottimo e l’assegnazione della mancia settimanale, come egli stessosintetizza nell’opuscolo di presentazione della III Esposizione25.È usanza antica, introdotta dal nostro buon padre don Bosco, di dare ai giovani artigianiuna compartecipazione ai frutti del loro lavoro sotto forma di mancia settimanale. Stabi-lita la proporzione di questa mancia col guadagno totale, il modo più esatto di determi-narne l’entità sarebbe quello di fissare il prezzo di tutti i lavori, che ciascun allievo vienecompiendo nel corso della settimana. Ma l’esperienza ha dimostrato che un tale com-puto riesce nei nostri laboratori pressoché impossibile, avuto riguardo al numero deglialunni, alla complicazione dei lavori, ed allo scarso personale dirigente. Sembra che lacosa sarebbe di molto agevolata, se si potesse ottenere un computo abbastanza esattocon un giudizio morale sopra la maggiore o minore abilità di ciascun allievo. A questoscopo mira il metodo che si propone. È evidente che il guadagno di un operaio risulta datre elementi - il prezzo dei lavori, che egli eseguisce - l’abilità e destrezza, che egli hanell’eseguire un tal genere di lavoro - e l’applicazione o diligenza che egli mette a fare illavoro, poco giovando la preziosità del lavoro e l’abilità dell’operaio, se egli non sia as-siduo e diligente all’opera26. 22 VALSECCHI T., op. cit., p. 105.23 CERIA E., op. cit., III p. 454.24 BERTELLO G., Scritti e documenti sull’educazione e sulle scuole professionali, in T. VALSECCHI,op. cit., p. 107.25 VALSECCHI T., op. cit., p. 109.26 BERTELLO G., Scritti e documenti sull’educazione e sulle scuole professionali. Introduzione,premesse, testi critici e note a cura di PRELLEZO J.M., Roma, LAS, 2010, pp. 183-186. 73 La seconda esposizione, svoltasi a Valdocco nel 1904, ebbe un grande eco sulBollettino Salesiano e venne suggellata dalla presenza del Salesiano Cardinal Ca-gliero, del sindaco di Torino, Frola Comm. Avv. Secondo, dal deputato e presidentedel consiglio provinciale Bosselli Prof. Avv. Paolo, dal senatore Balbo Bertone diSambuy Conte Ernesto, dal presidente della Camera di Commercio ed Arti di To-rino On. Rebaudengo Conte Avv. Eugenio e dalla S.A.I. e R. la Principessa MariaLaetitia di Savoia Napoleno Duchessa d’Aosta27. Nella lettera circolare del 24 ottobre 1907 leggiamo de Alcuni avvertimenti dipedagogia per uso dei Maestri d’Arte28. “Il maestro d’arte si faccia un giusto con-cetto della nobiltà ed importanza del suo ufficio”. Il maestro deve conoscere l’arte“in ogni sua parte” e insegnarla con numerosi esempi. “Siccome un sistema disci-plinare, perché sia veramente educativo, deve addestrare il giovane a sapersi gover-nare da sé ed a compiere spontaneamente i suoi doveri, la ragione e la religionesono i mezzi che l’educatore deve giocare continuamente secondo l’opportunità”Riguardo la disciplina siano pazienti con le leggerezze degli allievi applicandosempre il sistema preventivo che “consiste innanzitutto nel far conoscere le prescri-zioni e i regolamenti e poi sorvegliare in guisa che gli allievi abbiano sempre sopradi loro l’occhio vigile dei superiori, che come padri amorosi parlino, servano diguida in ogni caso, diano consigli ed amorevolmente correggano”29. 27 VALSECCHI T., Ibid., pp. 110-112.28 BERTELLO G., Ibid., pp. 190-195.29 Ibidem. Fonte: J.M. PRELLEZO, op. cit. Tabella 1: Numero di “case espositrici” nella 2a e 3a esposizione generale 74 Anche la terza edizione del 1910 è un successo annunciato tanto che già nelfebbraio del 1909 si pubblicava il Programma per la terza esposizione generaledelle Scuole Professionali e Colonie Agricole della Pia Società di San Francescodi Sales da tenersi a Torino nel 1910, inviandone copie nelle case e pubblicandolosul Bollettino Salesiano, assieme alle norme e procedure per la giuria30.Il 6 aprile 1910, a 73 anni, muore il Rettor Maggiore e primo successore di donBosco don Michele Rua; il 20 novembre 1910 si spegne all’età di 62 anni don Giu-seppe Bertello e a sostituirlo è prima don Pietro Ricaldone poi don Giuseppe Vespi-gnani. 3.1.3. Con don Bosco e con i tempiI primi passi della fedeltà dinamica al Fondatore sono guidati dal tandem Rua-Bertello.Ci lasciano l’attenzione alla formazione culturale come richiesto fortementedai segni dei tempi e alla condivisione con programmi che partono da quanto è pre-sente e operativo. Nonostante le resistenze, la scelta fu di seguire i canali nazionali,seguendo effettivamente le leggi statali, le quali iniziavano a prendersi realmente acuore la situazione operaia. Essi operarono quindi con crescente attenzione per l’ef-ficienza attraverso il metodo delle mance e il dono di un costante orientamento pe-dagogico con il manualetto per il maestro d’arte. Ultimo e probabilmente nuovo ca-nale dell’amplificatore sono state le esposizioni generali, eventi che ebbero ampioeco nazionale. Il tutto è ben sintetizzato dall’espressione di don Bertello: “Con donBosco e con i tempi”. Proseguendo nella storia ci renderemo conto che il vero am-plificatore a tutelare il successo è esterno alle dinamiche proprie della FormazioneProfessionale, ma più direttamente legato alle prassi educative delle case salesiane. 3.2. La grande ascesa (1911-1970) Negli anni tra il 1911 e il 1970 la Congregazione conosce un lungo periodod’ascesa, dove le sue dimensioni diventano davvero molto consistenti. Il RettorMaggiore non si occuperà più direttamente del settore, fatta eccezione di don Ri-caldone. Entriamo quindi in una lunga storia, dove i protagonisti sono i ConsiglieriGenerali per la Formazione Professionale. La prima guerra mondiale, segnal’annullamento della Quarta Esposizione Generale e il coinvolgimento nel conflittodi tutte le forze giovanili nazionali. Tra le due Guerre è da notare la riforma Gentiledel 1923, ove la scuola era chiamata ad educare la coscienza etico-politica dei gio-vani ispirandosi ai valori nazionali: l’asse culturale fu focalizzato sulla tradizioneumanistica, nella prospettiva letteraria, storica e filosofica dove l’ideale di uomo da 30 VALSECCHI T., Ibid., p. 121. 75 formare era identificato nella persona colta. Per gli alunni degli strati popolari, lareligione cattolica doveva svolgere il ruolo d’insegnamento del significato dell’esi-stenza e le norme morali. La concezione sociale elitaria che ispirava la riforma simanifestò soprattutto nella istituzione di meccanismi per la difesa dell’istruzionesecondaria e superiore dall’affollamento, il regime sostituì alle scuole complemen-tari le scuole di avviamento al lavoro che prevedevano qualche possibilità di pas-saggio agli istituti tecnici e magistrali. Circa la scuola non statale, all’epoca la politica dell’educazione ha oscillatotra due linee contrastanti: l’esaltazione dello Stato etico e la liberalizzazione del si-stema formativo. Con la legge n. 86/42, veniva sancita la normativa sul riconosci-mento legale dei titoli di studio conformate all’ordinamento delle statali (istitutodella parificazione). Il mondo cattolico riuscì ad approfittare di questa situazione,ampliando la presenza dei propri istituti d’istruzione31.Più in generale, tra le Guerre si affermano i totalitarismi in gran parte d’Europache con la crisi del 1929, si spostano, da politiche liberiste, a forme di controllo sta-tale e autarchia. In Italia il fascismo ebbe un forte atteggiamento monopolizzantenei confronti delle istituzioni educative (soppressione degli scout, ostacoli all’A-zione Cattolica). I salesiani erano tuttavia stimati, tanto che pervenne una richiestadi delucidazione all’allora Rettor Maggiore don Ricaldone. Il resoconto32, stilato dadon Alberto Caviglia, si concludeva così:il Governo Fascista ha voluto conoscere ciò che hanno fatto e fanno i figli di don Bosco,con la persuasione, che altamente ci onora, di trarne forse elementi di collaborazione,inspirate alle massime del Santo Fondatore.All’atteggiamento di ostilità reale (cfr. le organizzazioni di resistenza di donDella Torre e di Attilio Giordani a Milano), l’atteggiamento di rispetto formale la-sciò un certo margine educativo che altre realtà cattoliche persero. Alcune righeprima, nella bozza in nostro possesso, il Caviglia si premura di sottolineare il ri-spettto delle indicazioni fasciste, nonostante lo stile educativo salesiano sia incom-patibile con il piglio militaresco del regime.E si noti che tutto ciò33 non contraddice né contrasta alle forme di regimentazione ri-chieste dagl’inquadramenti del regime: diciamo dei Balilla, Avanguardisti, Piccole eGiovani Italiane, e così via. Negl’Istituti Salesiani, [...] tali ordinamenti sono entrati ap-pieno, senza forzare lo spirito educativo tradizionale: che anzi, […] le centurie salesia-nesiane si distinguono per ordine e disciplina, e per il buon contegno34. 31 MOTTO F. (a cura di), Salesiani di don Bosco in Italia..., pp. 28-29.32 CAVIGLIA A., L’orientamento professionale nella tradizione e nell’opera di don Bosco, Copiadattilografata con correzioni olografe del 1940 di proprietà del cav. C. Marra, poi modificato e pubbli-cato in “Salesianum” a. IX (1957), n. 4, pp. 553-576.33 Caviglia aveva appena parlato del salesiano che assiste con amorevolezza materna per preve-nire i disordini. 34 I due paragrafi riportati spariscono nella versione del 1957 e le espressioni “contegno” e “di-sciplina” non compaiono in tutto il testo. 76 Poi tradisce leggermente la mera sopportazione dei gruppi fascisti e il verostile salesiano:Perché appunto riconoscono in quello un dovere, e sono avvezzi e temprati ad obbedireper coscienza35. Tantoché, se invece del graduato di comando, sottentra temporanea-mente un Salesiano, eseguono gli ordini con eguale precisione ed impegno; salvo sal-targli intorno con festosa libertà, quando son sciolte le righe.Dopo la distruzione della Guerra, la ricostruzione diventa miracolo economicoguidato dal ridotto costo del lavoro, che spinge per tutti gli anni ’60 verso l’immi-grazione interna e l’abbandono delle campagne. Negli anni ’70 arriviamo ad ungiro di boa, in anni densi di fenomeni sociali di ampio respiro. A livello ecclesialesi sentono gli effetti della messa in atto del Concilio Vaticano II e gli effetti dellegrandi contestazioni del ’68 invadono anche gli studentati dei religiosi. A livello diCongregazione, il 1970 rappresenta il picco statistico a livello di numero di confra-telli, con oltre 22.000 professi. Con il 1977 la Formazione Professionale salesiana,all’interno di ampi ripensamenti strutturali, iniziati dieci anni prima, diventa ambitodi un’apposita interfaccia istituzionale, il CNOS-FAP.È facile notare la costante crescita degli allievi nel settore grafico, lo scompa-rire lento di alcuni settori artigianali come i calzolai e fonditori e il comparire di la-boratori legati al mondo dell’elettrotecnica e dell’elettronica. Il trend generale è dichiara espansione. 35 Solo un dovere, mentre ogni “dovere” salesiano è ottenuto non per obbedienza, ma con ragione che persuade e amorevolezza che conquista. Fonte: Archivio Salesiani di don Bosco Tabella 2: Allievi per laboratorio 77 3.2.1. Don Pietro Ricaldone (1911-1922) e don Giuseppe Vespignani (1922-1932)Uomo dalle spiccate doti di governo, diede avvio alle sue attività constatandodai resoconti della Terza Esposizione Generale la presenza di diffuse fatiche riguar-danti la Cultura Generale, da imputare principalmente alla carenza di personalequalificato e dall’insufficienza di locali e materiale didattico idoneo. Nel 1913 di-chiara in alcune lettere la sua soddisfazione per gli effettivi sforzi di migliora-mento, che poi diventa colma di consapevolezza della grande benemerenza socialedurante gli anni della Grande Guerra36. Nel 1917 il Bollettino Salesiano pubblical’encomio del Sottosegretario di Stato per l’Industria, Commercio e Lavoro: “Mi èpervenuta la pregevole Relazione della S.V. sulle Scuole professionali ed agricoledi codesta Pia Società Salesiana, e mi affretto ad inviarle vive parole di compiaci-mento per l’opera che esse svolgono da lunghi anni a vantaggio del Popolo”37. Tra isuccessi più visibili ricordiamo l’Esposizione Generale del 1920 e l’azione cultu-rale. La Biblioteca Agraria Salesiana che promosse il Sistema Solari con oltre 40volumi di grande successo, i programmi didattici completi per ogni settore (abbi-gliamento, grafica, arti del legno e del ferro, agraria), oltre che specifiche direttivecirca i registri, il disegno e la cultura generale, che ricopriva il programma fino allasesta elementare per arrivare a sostenere l’esame di licenza. L’orario è definito con4 ore di refezione e ricreazione, 5 ore di scuola, 6 ore di laboratorio, 1 ora per i“doveri religiosi” e 8 ore di riposo notturno. Gli esami sono fissati semestralmentee valutati in decimi, quello finale di tirocinio in trentesimi. La tradizionale manciae il premio per il tirocinio è da consegnare parzialmente alla disponibilità dell’al-lievo e parte da accumulare su un conto corrente. Gli allievi del IV e V corso ave-vano qualche favore sul vitto e un refettorio separato. Da notare anche la defini-zione dell’organico formato da personale operaio con i maestri d’arte, dal personaletecnico formato da alcuni capi tecnici ingegneri o periti coadiuvati da 2-3 disegna-tori e l’amministrativo alle dipendenze dell’economo della casa38.Don Vespignani governò in profonda continuità di intenti e con grande ap-poggio del predecessore divenuto prefetto generale. Di questa stagione di governosono le fondazioni dell’Istituto Semeria a Castelnuovo don Bosco per il settoregrafico nel 1927, l’Istituto di Bivio di Cumiana (TO) per il settore agricolo nel1928 e l’Istituto Conti Rebaudengo a Torino per gli altri settori nel 1930. 3.2.2. Don Antonio Candela (1932-1958)Nel Capitolo Generale della Congregazione del 1929 si analizza profonda-mente lo stato delle scuole professionali (ben 138), incoraggiando il continuo mi- 36 PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Salesiane..., pp. 53-57.37 “Bollettino Salesiano” 41 (1917) n. 4.38 PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Salesiane..., pp. 53-57; VALSECCHI T., op. cit., pp. 129-134. 78 glioramento e perfezionamento e riconsiderando la necessità dell’adeguamentoalle normative in particolare per il passaggio della Formazione Professionale sottola competenza del Ministero per l’Istruzione nel 1928. Il nuovo impulso è dato dalfrancese don Candela, già esperto Direttore e Ispettore in Francia e Spagna. La suaopera è profondamente segnata dalle distruzioni della Seconda Guerra Mondiale edalle requisizioni dei Paesi entrati nell’orbita sovietica marxista39.I primi grandi eventi ad impegnarlo sono la mostra Artigiana Salesiana e unagara artigiana tra le Scuole Professionali Salesiane d’Italia celebrate tra il Maggio eil Giugno del 1933 con la lode della stampa nazionale come “L’avvenire d’Italia”40.A Roma nel 1936 lo scenario di successo è il “VI congresso Internazionale dell’I-struzione Tecnica”, dove don Candela ha occasione di riaffermare che le scuole sa-lesiane sono nate dal progetto di don Bosco con l’intento benefico di aiutare i gio-vani in difficoltà, ma questo non ha mai ridotto la serietà formativa di quelle chesono a tutti gli effetti autentiche scuole tecnico-professionali. Queste tenevano ilpasso delle moderne esigenze dei tempi, con l’intenzione di non formare degliinetti al lavoro effettivamente richiesto; le legatorie e i calzolai cedettero infattispazi a giovani esperti nel ferro. Sul piano legislativo il cambio di Ministero portò isuoi effetti sulla normativa, con la Legge 889 del 15 Giugno 1931 sul riordina-mento della formazione tecnica, la Legge 82 del 21 gennaio 1936 sulla ristruttura-zione dei Consorzi provinciali dell’istruzione tecnica dipendenti dal Ministero e ilRegio Decreto 762 del 7 maggio 1936 relativo ai nuovi programmi per le scuole diavviamento professionale e per la suola tecnica industriale. L’adeguamento dellaFP salesiana iniziò nel 1938:L’insegnamento artigiano nelle Scuole Professionali Salesiane è impartito mediante 3corsi: inferiore, medio, superiore. II corso inferiore comprende 3 classi; accoglie l’alunno, dopo la licenza di 5 ° elemen-tare, e, – seguendo un programma di cultura generale affiancato ad un altro di cultura edi pratica professionale – lo porta sino al grado di “mezzo artigiano”. In Italia un corsosimile è denominato, nell’ordinamento statale, “Scuola di Avviamento Professionale”. Il corso medio - è il completamento del corso inferiore e comprende 2 classi. In modoanalogo al corso inferiore, svolge, affiancati uno all’altro, due programmi, uno di cul-tura generale ed uno di esercitazioni pratiche. Forma, secondo i mestieri, l’artigiano, iltecnico, o l’operaio qualificato. In Italia un corso simile, esistente per alcune specializ-zazioni nell’ordinamento statale, è denominato “Scuola Tecnica Industriale”. Il corso superiore – presentemente frequentato quasi solo da salesiani – prepara per l’a-bilitazione tecnica o artistica e forma “maestri d’arte”. Accetta di regola alunni licen-ziati del corso medio, comprende 3 classi e svolge programmi d’insegnala mento cultu-rale, tecnico, artistico, pedagogìco-salesiano, amministrativo e pratico di laboratorio. InItalia un corso simile, esistente soltanto per alcune determinate specializzazioni (mecca-nici, tessitori, edili ecc.) è denominato, nell’ordinamento statale, “Istituto Tecnico Indu-striale” e conferisce il diploma di “perito industriale”41. 39 VALSECCHI T., op. cit., p. 135.40 PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Salesiane..., p. 58.41 VALSECCHI T., op. cit., p. 136. 79 Rimanendo Istituti privati, la maggioranza erano sedi parificate che permette-vano lo svolgimento dell’esame governativo e la consegna dei titoli statali. Rima-neva il tradizionale metodo Bertello con l’esame finale di tirocinio con la consegnadi un attestato salesiano e con il ritiro di quanto accumulato con le mance deposi-tate sul conto corrente. In generale, a livello pedagogico e di visione d’insieme, laFP salesiana restava sui propri binari e si piegava alle normative governative solostrumentalmente per i titoli. La congiuntura socio economica positiva si interrompe con la seconda GuerraMondiale. I danni alle strutture sono incalcolabili, ancor peggio per quelli al perso-nale, morto sul campo, disperso, scomparso, uscito dopo le indicibili atrocità. Note-vole fu il contributo alla liberazione e alla salvezza di profughi ed ebrei42.La ricostruzione è il tempo del famoso miracolo economico italiano. I Supe-riori maggiori sono inondati di richieste di fondazioni per far fronte alla massa digiovani orfani, mutilati, invalidi. Il Sedicesimo Capitolo Generale del 1947 trattòdirettamente il tema dei coadiutori e della FP. Tra le delibere si nota la creazione diuna rivista di collegamento e di informazione.Sul fronte normativo il Titolo IV della legge 264 del 29 Aprile 1949 è il punto diriferimento assoluto fino alla regionalizzazione del 1972. Propone tre tipologie dicorsi. La prima è rappresentata dai corsi di riqualificazione per occupati in ottica diformazione continua. Le imprese industriali non a carattere stagionale, che occupa- 42 GIRAUDO A., L’apporto dei salesiani nell’Italia lacerata dalla guerra (1940-1945); MOTTO F.,Roma e Milano 1943-1945 cronache di vita, morte resurrezione, in F. MOTTO (a cura di), Salesiani didon Bosco in Italia. 150 anni di educazione, Roma, LAS, 2011. Fonte: F. MOTTO (a cura di), Salesiani di don Bosco in Italia… Tabella 3: Situazione italiana al termine della guerra 80 no almeno 1.000 dipendenti e che reputano di avere una minore funzionalità per ef-fetto di una maestranza in parte non rispondente alle esigenze aziendali, possono rea-lizzare corsi di riqualificazione per persone di età non superiore ai 45 anni, qualoraalmeno i 2/3 dei lavoratori interessati desiderino frequentarli. I corsi durano da 3 a 8mesi; gli allievi che conseguono la qualificazione sono assorbiti dalle aziende “nei li-miti delle loro possibilità”, gli altri licenziati (art. 55). Mentre alle aziende promotri-ci rimangono invece gli oneri delle spese per l’istituzione, l’attrezzatura e il funzio-namento dei corsi; gli operai interessati beneficiano oltre che dell’integrazione sala-riale, a carico della Cassa Integrazione Guadagni, anche di un assegno giornaliero, acarico del Fondo per l’Addestramento Professionale dei Lavoratori- FAPL (art. 56).La seconda tipologia è dei cantieri-scuola per i soggetti a rischio di esclusione; reste-rà una esperienza marginale e dal carattere discontinuo e compensativo di situazionistraordinarie. La terza, infine, sono i corsi per disoccupati finalizzati “all’addestra-mento, alla qualificazione, al perfezionamento o alla rieducazione professionale”. Ladisciplina di tali corsi ne imprime un carattere eminentemente pratico, sono diurni econ orario corrispondente a quello normale di lavoro, durano di regola da due a ottomesi. La loro istituzione è autorizzata e finanziata dal Ministero del Lavoro agli entio associazioni che li erogano. I corsisti godono di un modesto trattamento economicoper ogni giorno di frequenza e quanti abbiano superato la prova finale conseguono,oltre ad un premio in denaro, un attestato che, a parità di condizioni, dà loro dirittopreferenziale all’avviamento al lavoro o nella emigrazione.Nel 1948 il profetico don Molfino, segretario generale delle Scuole Professio-nali, proponeva di richiedere a Roma l’equipollenza totale dei nostri corsi. La pra-tica era nelle mani di don Vincenzo Sinistrero, che cercava di sfruttare l’art.137della novella Costituzione Italiana e la legge 456/1951 in materia di Istruzione eFormazione Professionale. Don Candela riassumeva e comunicava alle case:Art. I: la denominazione del titolo IV della legge 29 aprile 1949, n. 264 è sostituita dallaseguente: «Addestramento Professionale». Art. II: l’art. 45 della medesima legge (29 aprile ‘49) è sostituito dal seguente: “Il Mini-stro per il Lavoro e la Previdenza Sociale, nei casi e con le modalità stabilite nel pre-sente titolo, promuove direttamente o autorizza l’istituzione di Corsi di AddestramentoProfessionale”. Art. III: l’art. 63 della legge suddetta è sostituito dal seguente: Sul fondo di cui all’art,precedente il Ministro per il Lavoro e la Previdenza Sociale, di concerto col Ministro delTesoro, provvede: a) al finanziamento o alla sovvenzione dei corsi di cui alla presente legge; b)...; e)...; d) all’erogazione di contributi a favore di enti e di istituti aventi per scopo l’addestra-mento professionale dei lavoratori. I fondi stanziati in virtù della nuova legge n. 456 ammontano alla cospicua cifra di ventimiliardi, utilizzabili anche per i lavoratori non disoccupati e per coloro che istituisconocorsi professionali. Forse è questa una via per ottenere dei sussidi per le nostre ScuoleProfessionali, sussidi che qualche Istituto nostro dell’Italia Meridionale è già riuscito aottenere. Nell’eventuale domanda di sussidi, in virtù di detta legge, si può mettere in ri-lievo l’apporto grande delle nostre Scuole Professionali all’istruzione e formazione deinostri artigiani e ciò non solo in Italia ma anche all’estero. 81 Naturalmente l’esito favorevole sarà reso più facile se si riesce a fare appoggiare la do-manda dì sussidi da qualche persona autorevole, corredandola di fotografie e di alcunidati statistici. Comunque l’iniziativa resta completamente a ogni singola casa. Il Consigliere Professionale Generale sarà lieto di conoscere i risultati delle domandefatte43.Il focus sul primo addestramento fu molto forte e di successo, tracciando la ti-pologia di Formazione Professionale principale tra quelle finanziate con fondi pub-blici. Anche se l’apprendistato disciplinato dalla legge 25 del 195544 proponeva difavorire l’inserimento lavorativo45, tuttavia presentava gravi insuccessi per quantoriguardava il sostegno alle dinamiche formative di istruzione di base.L’iniziativa delle procedure di riconoscimento aveva un successo limitato inSicilia, a Napoli e a Roma; sono due le personali soddisfazioni degli ultimi anni dellungo mandato di don Candela: la gioia di vedere don Bosco proclamato “patronodegli apprendisti” con decreto di Papa Pio XII in data 17 gennaio 1958 su propostadell’On. Luigi Gui, Ministro del Governo Italiano per il Lavoro e la Previdenza So-ciale, appoggiata dall’Azione Cattolica Italiana, e quella parziale della Grande Mo-stra Internazionale per il centenario nel 1954. Il lutto per la morte del Rettor Mag-giore ridusse l’evento a livello di ciascuna nazione per il triennio preparatorio(1951-1953), con eco notevolissimo in Siria ad Aleppo46, a Il Cairo in Egitto47, aBetlemme, in Giappone, a Madrid, a Parigi e persino ad Hong-Kong48. 43 VALSECCHI T., op. cit., pp. 140-141.44 E dalle successive modifiche L.706/56 e L.424/68 e dai chiarimenti applicativi del DPR1688/56.45 Nel 1979 l’incidenza sul totale delle forze giovanili occupate è l’80%.46 Definita la migliore dello stato dall’ispettore del governo ovviamente musulmano.47 Lodata per il notevole contributo allo sviluppo economico nazionale fornendo tecnici di com-provata serietà e competenza.48 PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Salesiane..., p. 82 e p. 87. Fonte: F. GHERGO, Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1977, vol. 1, Roma, CNOS-FAP, 2009 Tabella 4: Studenti dal 1956 al 1961 82 3.2.3. Don Ernesto Giovannini (1958-1967)Forte di un’esperienza in ambito professionale negli Stati Uniti, inizia un cam-mino di consolidamento della struttura organizzativa per far fronte alle dimen-sioni e alle differenze internazionali.L’organizzazione era costituita da un ufficio tecnico centrale assistito dallaCOCIPS (Commissione Centrale di Istruzione Professionale Salesiana), una con-sulta di esperti in ambito tecnico e pedagogico. Le linee dell’organo centrale dove-vano essere trasmesse alle realtà locali grazie ai DISP (Delegati Ispettoriali Istru-zione Professionale), con anche funzione di feedback dalla base49.Nel Maggio 1962 a Torino si svolge il primo Convegno Nazionale dei Direttoridelle Scuole Professionali. Furono prese sei risoluzioni:1. conferma dell’organigramma che abbiamo appena descritto;2. catalizzazione dei confratelli verso una formazione superiore, in sinergia con ilPontificio Ateneo Salesiano, in particolare sull’aspetto pedagogico-didattico;3. aggiornamento dei corsi alle esigenze dei tempi. Tale considerazione porta abreve ad abbandonare corsi come quelli per fabbri, falegnami, scultori dellegno, sarti, calzolai, agricoltori. Sono potenziati e aggiornati i corsi in elettro-meccanica e introdotti i corsi in elettronica;4. conferma del carattere pratico delle scuole rivolte alla fascia 11-14 anni (risolu-zione che poi si scontrerà con il carattere della riforma della scuola mediaunica);5. valutazione delle formule migliori di conciliazione dei programmi tradizionalicon il riconoscimento statale come corsi di avviamento professionale, di scuolatecnica o di istituto tecnico;6. preparazione del personale sul lato culturale per far fronte alla riforma dellescuole per la fascia 11-14 anni.Al Convegno dei Consiglieri e dei Presidi delle Scuole professionali Salesianesvoltosi a novembre del 1963 si approfondiscono i temi della formazione del perso-nale, specialmente dei coadiutori e delle prospettive di cambiamento che la riformaviene ad imporre50.Quanto discusso confluisce nelle considerazioni del XIX Capitolo generale diRoma del 1965 e nelle deliberazioni, frutto della commissione per i coadiutori e laFormazione Professionale, presieduta da don Giovannini e coadiuvato da esperticome don Sinistrero, don Gianola, il Sig. Berra e il Sig. Crivellaro51. Il lavoro èsvolto in tre aree.La prima area riguarda la cura dei giovani lavoratori nell’azione di san Gio-vanni Bosco, nelle direttive della Chiesa e nelle esigenze della Società Odierna. La 49 VALSECCHI T., op. cit., pp. 141-151.50 Ibidem.51 Atti del Capitolo Generale XIX della Società Salesiana, Roma, 1965, p. 364. 83 completezza e la molteplicità di forme di intervento di don Bosco sono lette comeil progetto della formazione di tutti i giovani e di tutto il giovane, affermando ilprincipio che le iniziative devono adattarsi ai tempi e ai popoli, come emanazionedella Carità pastorale. Ci si rallegra dei documenti internazionali dell’UNESCO,dell’Organizzazione internazionale del Lavoro e della CEE, per la spinta alla pro-mozione integrale culturale, professionale e umana dei giovani lavoratori52.La seconda area concerne la formazione del giovane lavoratore nella SocietàSalesiana oggi. Si rivela un aumento del 132% degli allievi, della scomparsa di al-cuni corsi tradizionali in Europa che invece sono ancora fortissimi in America la-tina. Vengono approvate le risoluzioni del Convegno del 1962.Tra le proposte di deliberazione, infine, è confermato l’organigramma generalee le figure dei laboratori, si aggiunge la figura di un coordinatore di tutti i capi la-boratorio.Seppur tra le righe, il passaggio è epocale. A livello centralizzato vengono for-nite solo più direttive e consulenze ad ampio raggio e le concrete politiche vengonodelegate alle singole Ispettorie e ai coordinamenti nazionali delle stesse. Questo av-viene nel complesso clima di stravolgimento generale: a livello sociale con le con-testazioni del ‘68, a livello ecclesiale con la complessa recezione del Concilio Vati-cano II e a livello di Congregazione con un grave sconvolgimento che ha portatoall’uscita di diversi confratelli. Senza analizzare i nessi di causalità, è da notare cheinizia un processo di chiusura degli internati che porta le realtà educative a cam-biare volto. Non ci sono più giovani che condividono tutto il giorno la vita per sva-riati mesi l’anno, ma ragazzi che si presentano al mattino e tornano nelle loro fami-glie al più tardi per cena. I fattori sono molteplici: il diffondersi capillare di istitutistatali, la miglioria dei sistemi di trasporto pubblico, la predilezione per i percorsiscolarizzanti, etc. In questo complesso clima nasce il CNOS. 3.3. Nascita del CNOS Forti erano i dubbi circa le collaborazioni strette con i ministeri. Quanto sareb-bero durate queste iniziative di finanziamento del Ministero del Lavoro, in pienacontrotendenza con la precedente politica dello Stato italiano? Quali sarebbero statii riconoscimenti legali rilasciati alle qualifiche concesse dai nostri Centri? Quali iprogrammi e i contenuti delle qualifiche? Come avrebbero recepito le famiglie ilcambio delle nostre Scuole Professionali, conosciute e stimate in Centri di Adde-stramento Professionale (C.A.P.)? Nel dicembre 1955 lo scenario è così presentatodal consigliere Professionale Generale: 52 Ibid., pp. 112-116. 84 A) SCUOLE E CORSI PER ALUNNI DAI 12 AI 14 ANNI1. Scuola di Avviamento Professionale (Ministero P.I.): è una scuola comunementeadottata, cura la cultura generale, dà un titolo valevole a tutti gli effetti, compie l’ob-bligo scolastico. Ha le note difficoltà (troppa cultura, poco lavoro).2. Corsi di Istruzione Professionale (Ministero della P.I.): Vogliono essere corsi accele-rati, annuali o biennali, da noi quasi completamente ignorati. 3. La Scuola post-elementare (Ministero P.I.) è di recente istituzione, con programmielastici e di facile attuazione, specie per la libertà in fatto di lavoro. Potrebbe essereuna soluzione di ricambio dell’Avviamento, ove questo offrisse gravi difficoltà. 4. Corsi per Alunni dai 12 ai 14 anni (Ministero del Lavoro) per quelle migliaia di gio-vanetti che dopo le elementari non frequentano più nessuna scuola per limitazione dimezzi o di capacità. Tali corsi sono tuttavia sottovalutati per titolo, e per certe condi-zioni poste dal Ministero che però finanzia tali Corsi dando un congruo aiuto econo-mico all’Ente organizzatore53. La prima e la quarta soluzione ebbero vita significativa, l’ultima più per i fi-nanziamenti che per altre motivazioni. La riforma della scuola media unica toglieràpoi questo ambito tanto vicino allo stile salesiano di Formare ed Educare i giovaniavviati al lavoro.B) SCUOLE E CORSI PROFESSIONALI PER ALUNNI OLTRE I 14 ANNI1. La Scuola Tecnica (Min. P.I.): scuola comunemente adottata che rilascia un titolo va-levole e dà possibilità di passaggi agli Istituti Tecnici, ma assai gravosa per sovrac-carico di cultura, per le esigenze di Docenti e per le limitate possibilità di sviluppareil programma pratico-professionale. Anche lo Stato la sta abbandonando per sosti-tuirla con gli Istituti Professionali. Ove già esiste, si consiglia di conservarla in at-tesa di prossimi mutamenti: in caso di nuova istituzione, sarà meglio pensare a solu-zioni qui sotto indicate. 2. Istituti Professionali di Stato (Min. P.I.): sono già un buon numero in funzione speri-mentale e pare siano destinati a sostituire le Scuole Tecniche. Adottano una formula si-mile alla nostra (cultura limitata e pieno sviluppo della professione teorico-pratica) econ notevoli libertà di impostazione didattica. Esistono sempre le varie noie che com-porta la parificazione e non sono in alcun modo finanziati. Tendono secondo il nostroscopo a formare l’autentico lavoratore e per noi costituirebbero la forma ideale. 3. Centri di Addestramento Professionale (Min. del Lavoro): sorti per dare occupazioneai disoccupati, sono ora estesi a tutti i giovani. Vengono finanziati, come detto sopra(N° 4). Può essere adottata la identica struttura degli Istituti Professionali cioè conprogrammi culturali strettamente necessari e con largo impegno invece per la parteteorico-pratica. Non vi sono necessità di Docenti titolati, né di altre esigenze burocra-tiche della parificazione. Il Ministero favorisce presso di noi questi Corsi perché litrova corrispondenti alle esigenze reali del mercato di lavoro. È una soluzione buona. 4. Corsi Professionali per Apprendisti (Min. del Lavoro). Sono istituiti dalla legge sul-l’Apprendistato (9/1/1955) presso le Aziende o Botteghe artigiane. Per noi possonointeressare per la possibilità di impartire agli Apprendisti la «Cultura Complemen-tare» prescritta dalla legge (specie nei nostri Oratori Festivi). È previsto per tale in-segnamento un congruo contributo54. 53 Ibid., pp. 154-155.54 Ibid., pp. 156-157. 85 I netti vantaggi competitivi fanno fiorire la scelta dei CAP. La conseguente ne-cessità di coordinamento di fronte al Ministero del Lavoro viene assolta dal COCIPS e dall’ufficio di Assistenza Giovanile fino alla costituzione il 22 aprile1967 dell’Associazione “Centro Nazionale Opere Salesiane” (CNOS), con lo scopodi promuovere, potenziare e gestire le attività formative ed assistenziali della gio-ventù nei settori dei Circoli e oratori, del turismo, dello sport, dei cinecircoli, etc.Per superare alcune problematiche burocratiche, tutti i Centri di FormazioneProfessionale venivano raccolti sotto il nuovo ente FEDERAZIONE CNOS-FAP,ente con personalità giuridica civilmente riconosciuta con D.P.R. 20/09/1967n.1016 e D.P.R. 02/05/1969 n. 294.La Federazione Nazionale CNOS/FAP non ha finalità di lucro. Essa ha come finalitàistituzionale la promozione umana, civile e cristiana dei giovani lavoratori e dei ceti po-polari, e opera particolarmente nel settore della Formazione Professionale. Essa fa pro-prio il sistema educativo, le metodologie e lo stile di San Giovanni Bosco55. 3.3.1. Contesto del CNOS-FAPCome ha fatto notare Vera Negri Zamagni, “la storia delle scuole professionaliè una storia strettamente intrecciata con le tradizioni locali e per questo non ha an-cora ricevuto tutta l’attenzione che merita […], mentre nella grande maggioranzadei casi le loro vicende sono sepolte in pubblicazioni prive di circolazione, che ri-chiederebbero una grossa ricerca di sintesi ancora inesistente”56. Pur non avendo inquesta circostanza la possibilità e la volontà di dedicare un ampio spazio alla que-stione, uno sguardo alla Formazione Professionale si presenta necessario. A partire dalla fine degli anni ’50, si innesca in Italia una fase di rapida trasfor-mazione delle strutture economiche e sociali nota come miracolo economico. Tra il1959 ed il 1962 i tassi di incremento del reddito raggiungono valori record: il 6,4%,il 5,8%, il 6,8% e il 6,1%. Il settore industriale nel solo triennio 1957-1960 registraun incremento medio della produzione del 31,4% e l’aumento nei settori in cui pre-valevano i grandi gruppi è sorprendente: autovetture 89%; meccanica di precisione83%; fibre tessili artificiali 66,8%.Il risultato di questo processo è l’imponente moto migratorio, principalmentedi provenienza agricola e meridionale. I motivi strutturali che indussero la popola-zione rurale del Sud ad abbandonare il loro luogo d’origine furono l’assetto fon-diario del Meridione, la scarsa fertilità delle terre e l’attrattiva per la vita urbana. Èstato calcolato che nel periodo tra il 1955 e il 1971 quasi 9.150.000 persone sonocoinvolte in migrazioni interregionali. Nel quadriennio 1960-1963 l’esodo dal Sudraggiunge il totale di 800.000 persone all’anno. La Formazione Professionale è increscita sia per quanto riguarda le proposte del Ministero della Pubblica Istruzione 55 Art. 2 dello Statuto CNOS-FAP.56 ZAMAGNI V. in MORCALDI M., Le scuole industriali (1880-1930) Formazione e capitaleumano, Milano, Franco Angeli, 2004. 86 sia per quella del Ministero del Lavoro. Nel 1963-64 gli iscritti erano 85.668 (Min.P.I.) e 191.324 (Min. Lav.), tuttavia, nonostante la crescita della formazione daparte del Ministero della Pubblica Istruzione e del Ministero del Lavoro, lo svi-luppo dell’economia italiana è avvenuto senza il loro aiuto determinante. Il pas-saggio da un’economia agricola ad una industrializzata è infatti, avvenuto con ilcoinvolgimento di forza lavoro a bassissimo livello di istruzione57. Ridotto, ma anche nullo l’impatto dell’Istruzione e dell’addestramento professionale sul-l’economia; ridotta anche la loro incidenza nella fascia giovanile. Su una popolazione di14-19 anni che supera i quattro milioni e settecento cinquantamila giovani nel 1969 il50,9% non è in situazione formativa. Degli altri 49,1% gli Istituti professionali ne inter-cettano il 4,5% i CAP l’1,8% e l’apprendistato l’8,3%. Quindi quasi la metà della levacompresa tra la fine dell’obbligo scolastico e i 19 anni compiuti si affaccia sul mercatodel lavoro senza una preparazione professionale di base certificata58.Ogni anno il Ministero del Lavoro approva e finanzia attraverso l’ufficio pro-vinciale i corsi che ritiene più opportuni tra quelli proposti dagli enti che erogano laformazione. L’autonomia e la flessibilità nei contenuti e nella metodologia hamesso in crisi l’identità della Formazione Professionale ponendosi sempre più indiretta concorrenza con gli Istituti Professionali per i processi di allungamento deipercorsi fino anche a 4 anni, per l’elaborazione delle monografie dei profili profes-sionali, per la strutturazione in tempistiche continuative in 250 giorni analoghi aquelli scolastici, per l’assimilazione del personale attraverso la legge 426/68 delpersonale a quello dei docenti di scuole non statali e col riconoscimento delle speseannue del personale a tempo indeterminato con almeno 12 ore settimanali di inse-gnamento per 6 mesi. L’allievo tipico dei corsi del Ministero del Lavoro è mino-renne e proviene da un percorso scolastico debolissimo, sovente sprovvisto di titolio con il solo titolo elementare. I nominati profili professionali vedranno un contri-buto del CNOS di pregevole valore, come esporremo più avanti.Il quadro normativo e istituzionale genera quell’articolato sistema gestionaleche verrà definito pluralistico per designare sia la molteplicità degli enti che pro-muovono ed organizzano interventi formativi sia anche la diversa matrice culturaleche li connota.L’istruzione tecnico-professionale, che nasce al di fuori di ogni schema istitu-zionale e giuridico, sotto la spinta dell’industrializzazione ha come protagonisti59: 57 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1977, vol. 1, Roma, CONS-FAP, 2009, p. 121.58 Ibidem.59 PECORELLI C., Industria e scuole industriale, Roma, Faro, 1946; ID., Le scuole industriali illu-strate. I benemeriti dell’istruzione professionale, Roma, Ed. propria, 1926; ISFOL, “Osservatorio sulmercato del lavoro e sulle professioni”, ISFOL, n. 1/1982 (gennaio-febbraio) e n. 4/1982 (luglio-agosto); PANFILO L., Dalla scuola di arti e mestieri di don Bosco all’attività di formazione professio-nale (1860-1915), Milano, LES, 1976. 87 a) personaggi con profondi riferimenti religiosi: il ven. Lodovico Pavoni, di Bre-scia (1784-1849), che creò la prima scuola grafica d’Italia e fondò una congre-gazione detta degli Artigianelli; la B. Maddalena di Canossa di Verona (1774-1835); S. Giovanni Bosco e S. Maria Domenica Mazzarello (1837-1881) fon-datrice delle Salesiane; S. Leonardo Murialdo (1828-1900), fondatore dei Giu-seppini; il siciliano ven. Annibale di Francia (1851-1927), fondatore dei Roga-zionisti; b) rappresentanti del mecenatismo filantropico che cerca di soddisfare le esi-genze sociali emergenti: Carlo Cattaneo (Società d’Arti e Mestieri di Milano,1838), Moisè Loria (Società Umanitaria di Milano), Aldini e Valeriani a Bo-logna; c) l’associazionismo operaio ed artigiano, del mutuo soccorso, spesso sorrettodall’apporto dell’ente locale;d) l’iniziativa pubblica – promossa dai singoli Stati e poi dallo Stato Unitario,dalle Camere di Commercio e poi direttamente dai Comuni che sviluppa so-prattutto l’istruzione tecnica e le scuole d’arte e di disegno, talora “regifi-cando”, ossia pubblicizzando le iniziative private o di enti morali (è il caso dimolti istituti tecnici industriali e delle scuole tecniche).La possibilità di accedere a finanziamenti pubblici ha moltiplicato le iniziativedi quanti per motivazioni educativo-vocazionali o per la vicinanza al mondo del la-voro già si prodigavano nel campo della Formazione Professionale. Fra gli enti diispirazione cristiana troviamo il Centro Nazionale Opere Salesiane-FormazioneAggiornamento Professionale (CNOS-FAP); il Centro Italiano Opere FemminiliSalesiane/Formazione Professionale (CIOFS/FP); la Federazione Italiana CentriIstruzione Addestramento Professionale (FICIAP), che raggruppa numerosi enti acarattere locale; l’Ente Nazionale Addestramento Professionale (ENAP), derivantedalla POA-ONARMO; l’Ente Nazionale Giuseppini del Murialdo (ENGIM); l’Opera don Orione; l’Associazione Nazionale Opere don Calabria; l’AssociazioneCorsi Industriali Scientifici e Tecnici (ACIST); l’Opera Canossiane; i Somaschi diS. Girolamo Emiliani (ESIP); i Rogazionisti (CIFIR-VILFAN); l’AssociazioneProfessionale Italiana Collaboratori Familiari (APICOLF); l’ITCA (Istituti TerziariCappuccini dell’Addolorata); l’OSFIN (Opera San Filippo Neri); la Casa di CaritàArti e Mestieri di Torino. Vicino a tali posizioni, ma con matrice derivante dalleACLI e quindi con aspirazione ad interpretare i bisogni dei lavoratori, si collocal’Ente nazionale ACLI per l’Istruzione professionale (ENAIP), diffuso su tutto ilterritorio nazionale. L’Ente Formazione Addestramento Lavoratori (EFAL) è in-vece emanazione del Movimento Cristiano Lavoratori. Espressione del mondo assi-stenziale sono i corsi gestiti dall’ANFFAS (Associazione Nazionale Famiglie Fan-ciulli Subnormali), l’ANMIL (Associazione Nazionale Mutilati ed Invalidi del La-voro) ed altre ancora. Di matrice sindacale sono le tre organizzazione promosse ri-spettivamente dalla CGIL, l’Ente Confederale per l’Addestramento Professionale(ECAP), dalla CISL, l’Istituto per l’Addestramento del Lavoratori (IAL) e dalla 88 UIL, l’Ente Nazionale Formazione Addestramento Professionale (ENFAP). Anchegli industriali si sono dati organismi di gestione delle attività formative come, piùprecisamente, l’Ente Nazionale per la Formazione e l’Addestramento Professionalenell’Industria (ENFAPI), mentre l’Associazione Nazionale Centri IRI per la For-mazione e l’Addestramento Professionale (IFAP) si rivolge alle aziende dell’IRI. Ilmondo artigiano ha espresso il CNITE (Confartigianato) e il CNIPA, oltre a nume-rosi CFP a carattere locale. L’Ente Nazionale Istruzione Professionale Grafica(ENIPG) è di derivazione mista, imprenditoriale e sindacale. Il mondo agricolo haespresso l’Istituto Nazionale Istruzione Professionale Agricola (INIPA) e la federa-zione dei Club 3P della Coldiretti; il Centro Istruzione Professionale Agricola(CIPA) della Alleanza Contadini poi Confcoltivatori e l’Ente Nazionale per l’Adde-stramento e per il Perfezionamento Professionale in Agricoltura (ENAPRA) dellaConfagricoltura, il CENASCA della CISL, l’ENFAGA, ed altri. Per la coopera-zione operano in campo nazionale l’Istituto Nazionale Educazione Cooperativa(INECOOP) e l’INFORCOOP.Nel decennio del 1960-70 cresce d’importanza il Fondo Sociale Europeo, dovesono coinvolti circa 540.000 persone per una spesa di 17 miliardi e 300 milioni dilire. “A parte disfunzioni tecnico-procedurali del Regolamento è l’impostazione delFSE che non funziona e sollecita una riforma. Il FSE, infatti, è stato concepitocome uno strumento con cui tamponare gli scompensi creati dal Mercato comune.Gli scompensi con cui si misurano, ora, i Paesi della Comunità sono i crescentisquilibri tra domanda di manodopera e caratteristiche qualitative e quantitative del-l’offerta di lavoro”60.Questa attenzione emerge nelle note minute nel passaggio di competenza alnuovo delegato nazionale dei CAP:Contributi CAP, per l’Esercizio Finanziario 1967/68: lire 1.047.868.000. Tale somma èsuscettibile di ulteriori aumenti negli esercizi finanziari successivi, per la presenza dinuovi CAP e Reparti in via di riconoscimento (Vasto, Lecce, Selargius, Palermo, ecc.) eper le provvidenze, previste dal progetto di legge Bosco (convittualità, aumento stipendiistruttori, ecc.), che i Salesiani non dovrebbero lasciar cadere.Sussidio Straordinario C.U.A.F.: L. 127.000.000. Esso costituisce un confortante prece-dente, per le assegnazioni future. Commissione Studio ministeriale: potenziare la nostra presenza attraverso una organicaconsulta di esperti. Se la organizzazione salesiana è riuscita ad assicurarsi un grande prestigio presso il Mi-nistero del Lavoro, occorre vigilare affinché la gestione dei CAP venga svolta con se-rietà ed onestà, in rispondenza a piena legalità61.Nel 1967-68 il CNOS-FAP si presenta con 28 CFP, 284 corsi, 5.703 alunni e546 docenti. La sua fondazione coinciderà con numerosi spartiacque storici. I notieffetti sociali del turbolento ’68 ebbero notevoli effetti nella Congregazione. Per 60 Ibid., p. 125.61 VALSECCHI T., op. cit., p. 163. 89 l’ambito giovanile della sua missione, anche più degli altri ambienti ecclesiali, vifurono tensioni e l’uscita di moltissimi confratelli. Questo portò a uno squilibriocrescente tra il fronte della missione e la presenza di consacrati. Per eterogenesi deifini, la corsa ai ripari effettuata affidando incarichi ai laici ha permesso di costruire(lentamente e non ancora abbastanza) una grande consapevolezza della correspon-sabilità della missione e del carisma. Il passaggio dai grandi collegi, dove ogni atti-vità era gestita organizzata e realizzata dai consacrati, ad avere presenti i ragazzisolo durante la giornata con la quasi totalità dei docenti laici è stato repentino.Questo ha chiesto e richiede il ripensamento del modello organizzativo e dellacustodia del carisma e del sistema educativo. 3.4. Dinamiche peculiari Questo capitolo può apparire un lungo ponte che collega l’intuizione del fon-datore alla storia contemporanea della Formazione Professionale Salesiana. Dallediverse fonti salesiane utilizzate non emergeva la causa di questo successo: velata-mente si lasciava intendere la bravura di tanti salesiani che hanno lavorato assidua-mente, dove emergono alcune linee comuni anche nel variare del contesto sociale,governativo ed economico: l’inerzia nell’apertura delle relazioni istituzionali comelimite e la collegializzazione come punto di forza. Proprio quest’ultimo aspetto cisembra determinante nel tempo che abbiamo analizzato. 3.4.1. Relazioni istituzionaliL’intuizione di don Bosco ha trovato il suo centro catalizzatore in un’istitu-zione che ha avuto la capacità di esservi fedele, ma mai in modo statico e sterile.La scelta di restare esterna ai riconoscimenti statali era figlia del tempo e della si-tuazione dell’Ottocento, caratterizzata da atteggiamenti anticlericali e dalle tensioniche ruotavano attorno al rapporto tra Stato e Chiesa nella Questione Romana. Ilcontesto è mutato e, seppur con un certo attrito e lentezza, anche la capacità di in-terfacciarsi con gli enti pubblici; questo ha permesso di evolversi nella fedeltà alcarisma originale. Tale fedeltà ha valorizzato lo sviluppo di un’identità chiara(“con don Bosco”), mentre l’attenzione alle mutate condizioni ha concesso il co-raggio di cambiare i corsi, di mutare l’organizzazione, di localizzare certi poteri, diinterfacciarsi con lo Stato non solo in modo funzionale, ma in modo attivo e pro-positivo (“con i tempi”). Come già suggerisce l’impostazione di una divisione cro-nologica originale (a periodi non costanti), abbiamo mostrato la capacità della Con-gregazione di far fronte ai balzi generazionali, geografico-dimensionali e tecnolo-gici: l’aumento del numero di presenze e la loro dispersione è stata affrontata conuna riformulazione dell’organizzazione proposta dal Fondatore, centralizzando lefunzioni di governo e di orientamento carismatico, distribuendo quelle tecniche e discelta dei corsi più idonei al contesto locale, aggiungendo delegati ispettoriali coor- 90 dinati nelle varie nazioni per collegare il livello globale con quello locale, decli-nando le direttive al locale e raccogliendo i problemi locali per una riflessione uni-taria a livello dei Superiori Maggiori. La capacità di fare scelte con potere di ampli-ficatore dell’azione educativa è rimasta, solo in piccola misura, attraverso le Espo-sizioni Generali, l’adeguamento e il collegamento con gli Enti Pubblici progressi-vamente interessati alle politiche formative e occupazionali. È infatti evidente chesu tali dinamiche resta un retaggio dell’atteggiamento di distacco e quasi di autar-chia nei confronti delle istituzioni governative, caratteristico delle necessità deitempi di don Bosco. L’espressione “don Bosco diceva”, “don Bosco non voleva” èancora molto usata per sintetizzare alcune prassi educative, ma anche per fareironia su un certo atteggiamento diffuso tra i salesiani preconciliari a reiterare al-cune dinamiche in modo acritico. Come dire che per salvare il bambino si è tenuta,talvolta, anche l’acqua sporca. 3.4.2. Internato (o Collegio)Il punto di forza risiede nel modello globale della presenza salesiana di cuiValdocco resta l’insuperabile ideal-tipo. A livello di collocazione geografica, leaperture di nuove presenze hanno prediletto le periferie in grande sviluppo deigrandi centri, come ad esempio il quartiere Bolognina nella città di Bologna o lazona della stazione centrale a Milano, o altrimenti i centri medio piccoli con ungrande bacino privo di scuole. Per esempio il Colle radunava ampia parte dellaprovincia di Asti, Castel de’ Britti con le colline Bolognesi o Sondrio con le comu-nità montane. La genesi di presenza è normalmente caratterizzata dalla presenza dipochi salesiani che radunano ragazzi di strada per il gioco e il catechismo. Appenala casa è agibile si avviano le scuole con il modello del collegio. Già dai tempi didon Bosco i salesiani venivano richiesti per i loro collegi, ovvero per la capacità digestire una scuola dal carattere popolare (fatte alcune eccezioni di licei che so-vente erano un ibrido con gli studi degli aspiranti salesiani). La norma prevedeval’internato della totalità (le scuole medie di Chiari prevedevano l’obbligo del con-vitto anche per i residenti in paese fino ai primi anni ’70) o della maggior partedegli studenti, pratica che permetteva di raccogliere ragazzi da un ampio bacino;tale fenomeno era favorito dalla scarsità di scuole sul territorio e dalle condizionidi favore praticate nei confronti delle famiglie meno agiate. Gli interni, inoltre,erano la parte più curata e coinvolta in momenti extra-scolastici. Questi fenomenihanno creato uno “zoccolo duro” di allievi e poi ex allievi fortemente grati dell’e-ducazione ricevuta, tanto da poter affermare frasi come “è stata la mia famigliadove ho imparato a vivere” ed anche “ho avuto dei veri papà nei salesiani che mihanno accompagnato fino nel mondo del lavoro e ora do lavoro ad alcuni dei lororagazzi”62. 62 Interviste ad ex allievi cfr. §5.5. 91 3.5. L’amplificatore nascosto: l’educazione integrale orientante e vocazionale Ritrovando l’effetto amplificatore in dinamiche che andavano perdendosi conil tempo, come la capacità produttiva concorrenziale, le grandi esposizioni nazio-nali e gli internati per accogliere gli studenti, ci siamo chiesti cosa ha mantenuto“amplificata” l’azione salesiana al venir meno di queste dinamiche. Le monografieprofessionali strutturate dal CNOS-FAP e lodate dal Ministero ci hanno illuminatiper l’aspetto educativo, mentre il contributo di Alberto Caviglia circa il propriumsalesiano: l’educazione integrale capace di orientare scelte di vita. Il presuppostoè la continua stima per il lavoro manuale, che permette di applicare lo stile educa-tivo salesiano oltre agli ambienti ludici dell’oratorio e a quelli “intellettuali” dellascuola. 3.5.1. Stima per il lavoroIn un contesto che ha visto una relazione problematica con le dinamiche del la-voro (si pensi alla questione operaia e alla Rerum Novarum di Leone XIII, alla ri-voluzione Marxista e al blocco sovietico), i salesiani hanno così proposto e per-corso una via di salvezza per il lavoro e per il lavoro dei giovani. “Il lavoro è alcentro della società attuale; ne condiziona i progressi e gli squilibri e costituisceuna delle cause principali delle sue crisi. «Il lavoro – afferma l’enciclica LaboremExercens – è, in qualche modo, la chiave di tutta la questione sociale» (LE 3). Urgedunque l’impegno dì promozione di una vera civiltà del lavoro”63. Don Bosco è cer-tamente un sognatore profetico, ma non vuol dire copiarne le intuizioni quali ricettepronte all’uso per gli odierni gravi problemi del lavoro come fatto sociale ogget-tivo. Il significativo contributo che scaturisce dalla sua opera riguarda la «dimen-sione soggettiva» del lavoro; “in tale linea la possibilità di una «civiltà del lavoro»comporta il superamento del concetto di formazione artigiana e tecnica intesa comesemplice addestramento e richiede il passaggio a una integralità di visione umana:«l’uomo, infatti, è principio, soggetto e fine dell’attività lavorativa». L’originalitàdel rapporto di don Bosco con il mondo del lavoro è caratterizzata dall’intenziona-lità educativa che cura la totalità della persona nel giovane apprendista, dalla con-cezione promozionale umana che punta all’abilitazione e professionalità, alla di-mensione sociale etica (la formazione dell’«onesto cittadino») che non esiste solosu diritti da rivendicare, ma anche su doveri da compiere”64. Da questo punto divista il ruolo dell’impegno salesiano nella Formazione Professionale è ampiamentericonosciuto per l’apporto allo sviluppo economico determinato dall’impulso dellaclasse tecnica che ha formato negli anni. Ha formato negli anni una sorta di bor-ghesia dei lavoratori manuali, frequentemente in grado di diventare i piccoli im- 63 Relazione del Rettor Maggiore don Egidio Viganò a Milano (Teatro La Scala) il 18 aprile1988.64 Ibidem. 92 prenditori che rendono dinamica e vitale la manifattura italiana. Nel caso dei pas-saggi a studi superiori si trattava finanche al dopoguerra di una vera aristocraziache ha trascinato il miracolo economico italiano. Basti pensare che nel 1871 il 69%della popolazione italiana era analfabeta, il 27% nel 1921, nel 1951 il 30% era inpossesso della licenza elementare e solo il 5,9% aveva la licenza media. È facilecapire quanto il percorso professionale che, come abbiamo visto dai programmi eraequivalente alla cultura di base delle elementari, fosse in certo qual modo un per-corso elitario e fortemente qualificante. Questo ha permesso un inserimento nel pa-norama lavorativo di figure qualificate ed anche in grado di muoversi come im-prenditori dalle significative capacità tecniche65. 3.5.2. Attenzione educativa integraleLa realizzazione delle monografie professionali ha ricevuto grandi lodi daparte del Ministero, che ha ringraziato i salesiani con generose elargizioni come laprima macchina a controllo numerico della Olivetti alla casa Rebaudengo di Torinonel 197266. “Nel settore meccanico abbiamo raccolto il meglio da ogni paese, hoviaggiato in Francia, Germania, America, Spagna per raccogliere ogni buona ideadi esercitazione. Abbiamo messo il meglio equilibrando il tutto”, ma il valore ag-giunto non era dato solo dalla raccolta ampia e dalla selezione accurata, ma in pri-maria parte dalle note educative. Le esercitazioni d’officina67 permettono di educarel’intelletto come “esigenza di una società pluralistica, in cui è sempre più neces-sario che ognuno sia preparato a scegliere”68 attraverso la “visione d’insieme dellavoro da compiere (per esempio spiegando il disegno del gruppo oltre a quello deiparticolari e facendo notare la posizioni e la funzione di ciascun pezzo)”69. I ragazzipossono essere educati anche all’ordine e alla pulizia, alla volontà, alle relazionisociali e anche ai valori dello spirito, ovvero alla dimensione integrale e unitariadella persona, per evitare che un giovane possa dire: “mi sembrava di essere un og-getto che viene preparato con molta cura perché possa servire nel miglior modopossibile ad un certo lavoro. Ma nessuno si preoccupa di me, nessuno cerca didarmi la possibilità di capire perché lo faccio”70. Tale attenzione passa anche attra-verso la realizzazione di testi ad hoc. Attenzione che ha avuto don Bosco, hanno isalesiani del periodo che stiamo seguendo e continuano ad avere ai nostri giorni71. 65 Dati ISTAT, è possibile approfondire il tema dell’inserimento e della significatività in F. GHERGO, op. cit.66 Intervista diretta a MARRA Cav. Crescentino, Salesiano.67 FRANCI G. - MARRA C., Ricerca di un metodo per fare le esercitazioni di officina meccanica,Torino, SEI, 1976.68 Ibid., p. 10.69 Ibidem.70 Ibid., p. 16.71 MOZZATO L., Scienze integrate, Roma, SEI, 2012. L’a. è segretario dell’area scientifica delCNOS-FAP e formatore a Vigliano Biellese. 93 3.5.3. Attenzione all’orientamentoLa crescente popolazione scolastica “ha reso più urgente, e più delicato, por-tandolo al piano d’una questione sociale, il problema dell’orientamento professio-nale, che deve avviare ogni alunno verso il suo posto nella vita”72. Definisce questaattività una necessità sociale per evitare di formare degli “spostati” e pone comepremessa la sostanziale unità con il metodo educativo. Parte evidenziando come ilclima di famiglia assuma comportamenti spontanei e mai imposti e come la stessadisciplina sia gestita con l’amorevolezza e la diligenza del buon padre di famiglia.Gli educatori vivono in forte unità di intenti e sono costantemente presenti con laloro assistenza che “rende impossibili le mancanze e il male morale, e, per la carat-teristica forma che assume, di paterna e fraterna premura, fa possibile e moltiplicala comunicazione personale con ogni alunno e la comprensione delle sue attitudinie delle sue qualità”73. Questa confidenza viene conquistata nella vita del cortile du-rante “la ricreazione, il teatro, le accademie, le passeggiate e le gite e ovunque ilgiovane nella libertà dell’allegria associato, direi quasi compagnevolmente, coisuoi fratelli maggiori, pei quali in tali ore il nome di Superiore ci sta a disagio”74.Sapendo bene che ogni buon educatore è un buon osservatore, la conoscenza che ilgruppo dei formatori ha dei giovani in questo contesto è assai profonda, integrale,“totalitaria” dice il Caviglia.La capacità di orientare da parte dei formatori è definita come “una specie didialogo socratico, nel quale il giovane è condotto, nella sua piccola logica, a rico-noscere la ragionevolezza di quel che si vuole inculcargli” ed è attuata individual-mente nelle “passeggiate salesiane” e comunitariamente attraverso le “buona-notti”. Le prime sono colloqui fatti di brevi “paroline all’orecchio” durante la vitadel cortile o più ampi dialoghi, ma sempre lontani dalla formalità della cattedra odell’ufficio e le seconde sono gli interventi di pochi minuti che don Bosco e i suoifigli facevano quasi come un esame di coscienza che correggevano e incoraggia-vano verso il bene.Così, la conoscenza integrale permette di orientare l’adolescente che incontraun pater et magister. Il contributo specifica poi una metodologia determinata conuna parte generale (raccolta di informazioni dalla famiglia e dal parroco di prove-nienza, colloquio col ragazzo, visita medica) e specifica (prove attitudinali e visitaai laboratori per cogliere le propensioni), con elementi molto contingenti alle con-dizioni operative di quegli anni. La radice originale era presente e viva in quellacura per le vocazioni in senso ampio che abbiamo presentato nell’azione di donBosco come autentico imprenditore civile (§1.4.1.) nel suo aspetto legato alla reci-procità e alla felicità. 72 CAVIGLIA A., L’orientamento professionale nella tradizione e nell’opera di don Bosco, origi-nale, 1940, p. 2.73 Ibid., p. 14.74 Ibid., p. 18. 94 3.6. Conclusioni Pur nelle differenze di tempi con tendenze proprie (Grande Guerra, ventenniofascista e crisi del ’29, Seconda Guerra Mondiale, miracolo economico), possiamoleggere una linea di continuità dell’opera salesiana. Tale linea è caratterizzata dalcriterio “con don Bosco e con i tempi”, applicato talvolta con una certa cecità isti-tuzionale che reiterava le rigidità di don Bosco alle prese con un clima fortementeanticlericale, culminante nei provvedimenti di esproprio delle proprietà ecclesia-stiche. Ha il suo punto di forza nelle dinamiche del collegio o internato che per-metteva alla Formazione Professionale di forgiare la borghesia e l’aristocrazia tec-nica. Valica il mutare dei tempi l’attenzione educativa di stampo integrale capace diorientare alle scelte di vita attraverso relazioni significative secondo il sistemapreventivo salesiano.Il prossimo capitolo vedrà abbandonare quanto riguarda la Formazione Profes-sionale relativa ai canali degli istituti professionali (inizialmente di responsabilitàdel Min. della P.I.), che si mischiano in una storia tortuosa con tutto il mondo dellascuola, per concentrarci sulla storia dei C.A.P. e poi Centri di Formazione Profes-sionale (CFP), facenti capo al Ministero del Lavoro e coordinati dal CNOS-FAP.Avremo cura di contestualizzare la situazione nazionale, anche a livello di riformee regionalizzazione, per arrivare a tracciare un quadro completo dell’odierna situa-zione della Formazione Professionale Salesiana Nazionale, aggiungendo una brevepanoramica internazionale. 95 Capitolo quartoFino ai CFP attuali (1970-2011) Il senso morale di una societàsi misura su ciò che faper i suoi ragazzi.(D. Bonhoeffer) In questo quarto capitolo ci poniamo l’obiettivo di scavare nelle complesseprovocazioni normative dalla regionalizzazione alla riforma costituzionale e ditutti i cicli dell’istruzione nazionale (§1), per poi seguire le avventure di inversionedella Federazione CNOS-FAP dalle sue origini ad oggi, in particolare a livello diazione nazionale (§2). In questi paragrafi azioneremo una sorta di zoom verso unospecifico territorio, che corrisponde alle Regioni della Lombardia e dell’Emilia Ro-magna, alla provincia religiosa dell’Ispettoria salesiana Lombardo-Emiliana(ILE). Questa maggior conoscenza ci sarà di aiuto quando, nel capitolo 5, mette-remo in atto un’analisi istituzionale guidati dai presupposti teorici delle Organizza-zioni a Movente Ideale. Arriveremo anche a raccogliere i frutti sistematici di tuttala sezione storica, cogliendo i tratti essenziali e le sfide che chiedono ulteriore ri-flessione. Concludiamo con un rapido sguardo sulle fonti normative che lancianodirettrici per il futuro: i comunicati della Commisione Europea (in particolarequello di Bruges), i recenti documenti ecclesiali in materia di educazione e l’ultimoCapitolo Generale Salesiano (§3). 4.1. Le provocazioni di un contesto dinamico Il mondo della Formazione Professionale ha vissuto negli ultimi trenta/quaran-t’anni una rapida evoluzione e alcune forti inversioni di tendenza. La scansionetemporale considera un primo periodo, che abbiamo in parte già accennato nomi-nando la nascita del CNOS e poi del CNOS-FAP, segnato dal passaggio alle Re-gioni. Questo periodo è denso di provocazioni per un attento ripensamento sistema-tico. Gli anni ’80 e ’90 vedono un’inversione di tendenza che mette in crisi special-mente la Formazione Iniziale. Il terzo periodo è quello colmo di riforme tentate,abortite e compiute che ci portano alla situazione attuale di conversione, per l’in-tenzione di mettere al centro la persona dell’allievo. 96 4.1.1. Il passaggio di competenza alle Regioni (1972-1979) Il mondo della Formazione Professionale vive un passaggio epocale nel trasfe-rimento delle competenze dal Ministero del Lavoro alla competenza regionale. IlDPR n.10 del 15 gennaio 1972 in materia di “istruzione artigiana e professionale”prevede infatti il passaggio alle Regioni della gestione dei corsi di qualificazione eriqualificazione, dell’addestramento professionale degli artigiani, dell’addestra-mento degli apprendisti e specifiche forme di addestramento (istruzione artigiana eprofessionale negli istituti di prevenzione e pena, Formazione Professionale delpersonale sanitario ausiliario, qualificazione e riqualificazione degli invalidi civili edel lavoro), e delle strutture degli enti pubblici INAPLI, ENALC e INIASA.Quando questi ultimi vengono soppressi, strutture e personale (60 direzioni, 300CAP e 6000 operatori) vengono trasferiti alle Regioni. Tale provvedimento consi-dera l’istruzione artigiana e professionale dell’articolo 117 della Costituzione ita-liana come attività extra scolastica escludendo gli Istituti Professionali di Stato.Prevede inoltre, ai sensi dell’art. 17 ultimo comma, la costituzione dell’ISFOL,un’agenzia tecnica del Ministero del Lavoro per l’esercizio delle funzioni di co-mando delle politiche formative. Scopi istituzionali dell’ISFOL sono infatti la pro-mozione di ricerche e studi sul mercato del lavoro e sulla FP, l’assistenza tecnica alMinistero del Lavoro ed alle Regioni negli interventi di risposta agli squilibri delmercato (in particolare quando tali interventi richiedono l’aiuto del contributo co-munitario), la sperimentazione didattica, la documentazione sulle politiche attivedel lavoro e le metodologie di FP1.Il successivo DPR 616/77 opta per il distinguo formale: è istruzione professio-nale e artigiana quella che non rilascia titoli di studio. Prima della legge quadro del 1978 si fecero spazio due sperimentazioni: il pro-getto “Mezzogiorno” del Fondo Sociale Europeo (FSE), che ha realizzato strutturemodulari semestrali volte al recupero culturale, alla formazione tecnica, all’espe-rienza aziendale e al perfezionamento professionale e il progetto “Pilota”, per col-mare il gap tra formazione e lavoro. Coordinato dai ministeri dell’Istruzione dei 9paesi CEE radunati in Consiglio, vennero proposti 29 progetti. Dei 4 italiani for-mati da 18 sotto-progetti, due riguardanti lo “sviluppo motivazionale e il positivoinserimento socio professionale degli adolescenti” fanno capo a una sede CNOS2.Un punto fermo è la legge quadro in materia di Formazione Professionale L.845 del 21 dicembre 1978, che definisce la Formazione Professionale come stru-mento di politica attiva del lavoro e regola gli interventi programmati dalle Regionie gestiti in un pluralismo che valorizza la società civile e accresce la qualità del-l’offerta. Tale visione pluralista e civile è stata anche frutto della pressione cultu- 1 GHERGO F., La Formazione Professionale Regionale Iniziale: alla riscoperta di una identità,Allegato di “Rassegna CNOS” 2/2009.2 Ibidem. Nella versione in progress ampliata inviatami personalmente da M. Tonini. 97 rale sui legislatori della CONFAP3. La Formazione Iniziale continua ad essere ilramo di attività principale, il 75,51% dei 245.253 allievi dei 9.983 corsi nell’annoformativo 1981/82 sono minorenni. In un’indagine ISFOL del 19754 sono stati in-tervistati 126.166 allievi dei circa 165-170.000 giovani che hanno frequentato nel-l’anno 1974-75 un corso di Formazione Professionale. Ne emerge una sorta diidentikit:• oltre la metà degli allievi (53%) si colloca nella fascia 14-16 anni, un ulteriore27% ha 17 o 18 anni;• la stragrande maggioranza degli allievi proviene da famiglie operaie (48%),contadine (15%) e di piccoli lavoratori autonomi (13,6). Modesta (10,1%) è laquota di allievi provenienti dal ceto impiegatizio;• il 63% degli allievi sono in possesso del diploma di scuola media inferiore,13% dei maschi e il 12% delle donne sono approdati ai CFP dopo un’espe-rienza di uno o due anni nella scuola secondaria superiore e il 16% dei maschie l’8% delle donne non hanno completato la III media o, addirittura, il ciclodelle elementari;• il 44% degli allievi ha fatto un’esperienza lavorativa prima di iscriversi al CFPe il 39 % lavora contemporaneamente alla frequenza del CFP;• riguardo alle motivazioni: il 50% ha scelto la Formazione Professionale per ilbisogno o il desiderio di una prima qualificazione, il 30% per l’impossibilità dicontinuare gli studi o per una non riuscita (15%) o per motivi economici(15%); per l’8% rappresenta un ripiego in mancanza di occasioni di lavoro;• il 61% si dichiara soddisfatto del corso seguito, un 10% insoddisfatto del corsoscelto, il 20% esprime totale sfiducia nel sistema di Formazione Professionale.Questi dati smentiscono la critica molto ricorrente nella saggistica che vede laFormazione Professionale come strumento di “selezione e discriminazione sociale”che perpetua ruoli e mestieri, senza consentire alcun processo di mobilità verticale.L’alto numero di quanti hanno già lavorato (44%) prima dell’iscrizione al CFP con-ferma la considerazione positiva della Formazione Professionale come canale estrumento per l’accesso a migliori opportunità lavorative5. 4.1.2. Il processo di adultizzazione e la crisi della Formazione Iniziale (1980-1999)Questi venti anni vedono inversioni di tendenza con il ruolo e il significatodella Formazione che si modificano e piegano sotto le torsioni delle condizionicontestuali. Con gli inizi degli anni ’80, in uno scenario socio-economico in fase di 3 Comitato Permanente degli Enti cattolici per la Formazione Professionale. All’interno delquale i salesiani sono stati particolarmente attivi. Cfr. § 4.24 ISFOL, L’attività regionale di Formazione Professionale, in “Quaderno di formazione”,26/1976.5 ISFOL, La Formazione Professionale come interfaccia tra scuola e lavoro, in “Quaderno diformazione”, 1/1974, p. 8. 98 deindustrializzazione e di nascita dell’economia della conoscenza la FormazioneProfessionale è chiamata ad essere fenomeno strategico dello sviluppo economico.Alla fine degli anni ’80 la riscoperta di sacche consistenti di nuove povertà e l’areaparticolarmente critica della disoccupazione di lunga durata responsabilizzano laFormazione Professionale come strumento di pari opportunità e di inclusione so-ciale e occupazionale. A metà anni ’90, il sistema produttivo chiede alla formazionedi “adattare” gli occupati alle esigenze poste dai cambiamenti organizzativi-tecno-logici e dalla cultura della qualità, per competere sui mercati internazionali. Allafine degli anni ’90 è il singolo a chiedere alla formazione conoscenze e compe-tenze, lungo tutto l’arco della vita, finalizzate allo sviluppo di una cittadinanza at-tiva (partecipazione a tutte le sfere della vita sociale ed economica ) e dell’occupa-bilità6.Cresce e si sviluppa la formazione degli adulti e quella di secondo livello: dai671 dell’a.f. 1984/85 tali corsi passano ai 2.763 dell’a.f. 1988/89, giungendo al14% del totale dell’attività erogata dai centri. Nello stesso anno il rapporto di con-correnza tra CFP e IPS si attesta al livello di 61% IPS rispetto al 39% CFP. I princi-pali nodi problematici di quello che è ormai un arcipelago di sistemi formativisono:• il moltiplicarsi di qualifiche non coerenti (per denominazioni e per durate) inquella che CONFINDUSTRIA a Lerici ha definito una Babele7;• la scarsità di risorse che renderà determinanti nelle politiche perseguite lescelte del Fondo Sociale Europeo (FSE);• la mancanza di sistemi di monitoraggio e controllo se non a livello ammini-strativo.I tentativi di riforma seguono un percorso tortuoso: prima la proposta del mini-stro De Michelis del 17 gennaio 1987, poi il duplice tentativo dell’on. Formica, in-fine la proposta promossa dall’ISFOL e dai principali enti di formazione che di-venta legge nel 1992 grazie al ministro Nino Cristoforo. Tale proposta considera laFormazione Professionale non solo uno strumento di politica attiva, ma “parte inte-grante del sistema formativo nazionale, concorrendo in modo specifico alla valoriz-zazione delle risorse umane”. Vengono specificate le corrispondenze tra attestati diqualifica e i contenuti formativi minimi, stabiliti gli enti senza scopo di lucro comegli unici leciti affidatari dell’attività secondo un modello agenziale che eroga for-mazione, servizio di orientamento, consulenza formativo occupazionale, progetta-zione e sperimentazione didattica8.Il primo evento sul lato dei finanziamenti è determinato dalla Legge 492 del 12 6 COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE Bruxelles, 30.10.2000 SEC (2000) 1832 Documentodi lavoro dei servizi della commissione - memorandum sull’istruzione e la formazione permanente, 6.in GHERGO F., La Formazione Professionale Iniziale..., p. 30.7 GHERGO F., La Formazione Professionale Iniziale..., p. 39.8 Ibid., pp. 44-45. 99 novembre 1988, che finanzia programmi regionali di sperimentazione e ricercasulla formazione, permettendo di investire in innovazione didattica e di valuta-zione. La principale fonte per l’attività resta il FSE e le sue due grandi riforme, chehanno pesantemente influenzato le traiettorie del settore. La prima riforma del 1983pone le priorità nei confronti delle aree svantaggiate d’Europa (tra le quali il mez-zogiorno) e dei giovani under 25. Quella del 1988, invece, tenta di coordinare gliinterventi tra FSE, FEOGA (Fondo Europeo Agricolo di Orientamento e Garanzia)e FESR (Fondo Europeo Sviluppo Regionale), seguendo 4 principi9 come criterimetodologici per perseguire obiettivi differenziati: a dimensione territoriale di so-stegno occupazionale nelle zone più depresse e su tutto il territorio comunitario peri disoccupati over 25 o per giovani che hanno terminato l’obbligo scolastico. Come si nota dalla tabella, questa politica ha determinato un forte declino dellaFormazione Iniziale. Questo fenomeno è accentuato dal Regolamento CEn.2084/93 del Consiglio del 20 Luglio 1993, che conferma sostanzialmente gliobiettivi della riforma del 1988, ma aumenta la parte di cofinanziamento Europeodai 2/3 ai 9/10, determinando di fatto le scelte politiche regionali. 9 Principio del partenariato: “partnership” tra Commissione, Stato membro ed Autorità regionaleo locale; Principio della concentrazione: programmazione pluriennale ed afferente obiettivi plurimi ecomplessi, in sostituzione dei singoli progetti; Principio dell’addizionalità: preoccupata della possibi-lità che le risorse comunitarie venissero di fatto a sostituire, e non a integrare le spese nazionali, laComunità ha ritenuto opportuno introdurre la norma per cui l’incremento degli stanziamenti dei fondistrutturali deve comportare un “incremento almeno equivalente del volume totale degli interventi pub-blici o assimilabili a finalità strutturale nello Stato membro interessato”; Principio della programma-zione: la riforma ha previsto una programmazione pluriennale degli interventi, mediante una proce-dura articolata in tre fasi fondamentali: la predisposizione di piani e preventivi triennali, da parte degliStati membri, la definizione di un Quadro Comunitario di Sostegno (QCS), allo scopo di definire lastrategia dell’intervento comunitario e l’attuazione del QCS mediante i Programmi Operativi, chesono un insieme organico di azioni pluriennali per la cui esecuzione si può far ricorso ad uno o a piùfondi, ad uno o più strumenti finanziari esistenti ed alla BEI (Banca Europea degli Investimenti). Cfr.GHERGO F., La Formazione Professionale Regionale Iniziale..., p. 47. Fonte: ISFOL Tabella 1: Allievi per tipologia di corso negli anni ’90 100 L’allievo degli anni Novanta10 appartiene prevalentemente alla fascia 15-16anni (55%), con una crescente presenza di extra comunitari. Le famiglie sono sco-larizzate a livello di obbligo, il 30% dei padri e il 25% delle madri ha solo il titoloelementare o nessun titolo. Il 40,1% arriva dall’abbandono delle superiori e il 71%dei maschi e il 61% delle femmine arriva da rapporti problematici con i percorsiscolastici (drop out, bocciature). Il mondo del lavoro è inesplorato, come ci dice ilfatto che solo il 7% ha avuto un’occupazione fissa. 4.1.3 L’ultimo decennio denso di riforme (2000-2011)La legge n.196 del 24 giugno 1997 in materia di promozione dell’occupazione,meglio nota come “Legge Treu”, vuole valorizzare la Formazione Professionalequale strumento per migliorare l’offerta di lavoro, introdurre la certificazione dellecompetenze professionali, ristrutturare e semplificare il sistema degli enti introdu-cendo parametri standard nelle procedure. Questa legge non riforma la L. 845/78,ma “definisce principi e criteri generali per l’adozione di successive norme di na-tura regolamentare. […] Il merito della legge Treu è di aver dato nuova linfa al-l’apprendistato e nuove prospettive alla formazione continua, mentre tra i suoi de-meriti troviamo l’aver ignorato la formazione iniziale”11.Le grandi riforme del Sistema iniziano ad avere effetti operativi, dopo nume-rosi tentativi, con il ministro Berlinguer, il quale introduce l’obbligo di formazionefino a 18 anni d’età (Art. 68 L. 144/99), prolunga l’obbligo d’istruzione a 10 anni(L. 9/99) e regolamenta l’obbligo di formazione nella Formazione Professionale(Conferenza Unificata del 2 marzo 2000 e D.P.R 257/2000). La L. 9/99 “Disposi-zioni urgenti per l’elevamento dell’obbligo di istruzione” viene applicata tempora-neamente fino all’approvazione del riordino del sistema scolastico, elevando l’ob-bligo da 8 a 9, anziché 10 anni. In seguito la durata verrà fissata definitivamente a 9anni, dai 6 ai 15 anni di età, anche dalla Legge di riordino dei cicli L. 30 del 10 feb-braio del 2000. La dispersione scolastica era giunta al minimo storico (29,95%), glianni successivi al prolungamento dell’obbligo d’istruzione il dato peggiorò: “èormai chiaro come la gestione del prolungamento dell’istruzione nelle sedi scola-stiche fino al quindicesimo anno abbia penalizzato gli adolescenti coinvolti, soprat-tutto i più svantaggiati e in difficoltà”12.Con questi dati e questo commento confer-miamo un giudizio negativo sulla L. 9/99, vittima a nostro parere di un riduzio-nismo che considera cultura solo quella di origine scolastica, ignorando che i saperidichiarativi si affiancano a quelli operativi e che esistono forme d’intelligenza di-verse da quella cogitativo formale. 10 Ibid., p. 56.11 Ibid., pp. 64-65.12 FORMA, La Formazione Professionale nella proposta di nuova articolazione dei cicli, novembre 2001. 101 Il successivo passo è con il Ministero Moratti e la riforma del Titolo V dellaCostituzione del 18 ottobre 2001, formato da un ampio corpo normativo13 che va adelineare un obbligo di istruzione e formazione definito come diritto-dovere socialecon un doppio canale di pari dignità: i licei e la Formazione Professionale. Le Re-gioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, le Province, i Comuni e le Co-munità montane, con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca econ il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali hanno approvato nella sedutadi Conferenza Unificata del 19 giugno 2003 un modello unitario di offerta forma-tiva sperimentale d’Istruzione e Formazione Professionale, in attesa della promul-gazione dei Decreti Legislativi attuativi della legge 53/2003.Questi percorsi sperimentali, anche al fine di consentire allo studente […], dicontinuare il proprio percorso formativo attraverso modalità che agevolino i pas-saggi ed i rientri fra l’istruzione e la Formazione Professionale e viceversa “de-vono” essere rispondenti alle seguenti caratteristiche comuni:• avere durata almeno triennale;• contenere, con equivalente valenza formativa, discipline ed attività attinentisia alla formazione culturale generale sia alle aree professionali interessate;• consentire il conseguimento di una qualifica professionale riconosciuta a li-vello nazionale e corrispondente almeno al secondo livello europeo.L’Accordo pone il via a una lunga serie di accordi tra Stato, Regioni e UfficiScolastici Regionali, delineando quattro formule di sperimentazioni14:1) percorsi svolti nella Formazione Professionale: svolti interamente nei CFP, lapresenza dei docenti della scuola per l’insegnamento delle competenze di basenon è obbligatoria (e in ogni caso è inferiore al 15% del monte ore annuale);2) percorsi svolti a scuola con presenza unica dei docenti scolastici; l’insegna-mento è basato su una progettazione riferita ai medesimi standard dei percorsirealizzati nei Centri di Formazione; 13 L. n. 53 del 28 marzo 2003 di Delega al Governo per la definizione delle norme generali sul-l’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di Istruzione e Formazione Professio-nale; D. L.gs 19 novembre 2004, n. 286 Istituzione del Servizio Nazionale di Valutazione del sistemaeducativo di istruzione e formazione, nonché riordino dell’omonimo istituto, a norma della legge del28 marzo 2004, n. 53, artt. 1 e 3; D. Lgs. 15 aprile 2005, n. 76 Definizione delle norme generali suldiritto-dovere all’istruzione e alla formazione, a norma dell’articolo 2, comma 1, lettera c), dellalegge 28 marzo 2003, n. 53; D. Lgs. 15 aprile 2005, n. 77 “Definizione delle norme generali relativeall’alternanza scuola-lavoro, a norma dell’articolo 4 della legge 28 marzo 2003, n. 53; D. Lgs. 17 ot-tobre 2005, n. 226 Decreto legislativo concernente le norme generali ed i livelli essenziali delle pre-stazioni sul secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione ai sensi della legge 28marzo 2003, n. 53; D. Lgs 17 ottobre 2005, n. 227 Definizione delle norme generali in materia di for-mazione degli insegnanti ai fini dell’accesso all’insegnamento, ai sensi dell’art. 5 della legge 28marzo 2003, n. 53.14 PAVONCELLO D., La sperimentazione nazionale dei percorsi triennali d’istruzione e Forma-zione Professionale, in “Rassegna CNOS”, 3/2006. 102 3) percorsi integrati con prevalenza dei docenti della Formazione Professionale; icorsi, frutto di una comune progettazione tra scuola e Formazione Professio-nale, si svolgono nei CFP, con una più forte presenza dei formatori (oltre il50% del monte ore);4) percorsi integrati con prevalenza dei docenti della scuola: percorsi svoltipresso gli istituti scolastici con una partecipazione più consistente in termini diore di lezione impartite da parte dei docenti della scuola15.Le sperimentazioni effettuate hanno registrato esiti largamente positivi, comedai rapporti di monitoraggio dell’ISFOL: i corsi che ammontavano a 4.032 nel2004/05 sono divenuti nel 2007/08 6.838 e, in parallelo, gli allievi sono passati da72.034 a 130.431.Questo trend è molto positivo nonostante la mancanza di un serio servizio diorientamento16 e la scarsità di risorse finanziarie. Concorrono positivamente, in-vece, le difficoltà degli Istituti Professionali di Stato (caratterizzati dalla presenzadi numerosi ripetenti e da frequenti sospensioni del giudizio per i debiti forma-tivi).La riforma Fioroni introduce l’obbligo d’istruzione fino a 16 anni ed eleval’età per l’accesso al lavoro a 16 anni attraverso la finanziaria del 2007, Legge n.296 del 27 dicembre 2006, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale epluriennale dello Stato commi 622-624. Attraverso la legge omnibus (il cd. De-creto Bersani o sulle liberalizzazioni), Legge n. 40 del 2 aprile 2007 Conversionein legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, recante mi-sure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo svi-luppo di attività economiche e la nascita di nuove imprese (art.13), ristruttura il se-condo ciclo recuperando istituti tecnici e professionali.I percorsi sperimentali triennali avviati nel 2003 si trovano in un contesto nor-mativo positivo, “senz’altro non prevedibile qualche anno fa quando sembrava didover assistere ad una lenta agonia della Formazione Professionale iniziale”17.Restano alcune difficoltà a livello nazionale:• la “provvisorietà temporale” dei percorsi sperimentali: la Legge n. 13 del 6agosto 2008, conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, lasemplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e laperequazione tributaria, stabilisce che l’obbligo d’istruzione si assolve anche 15 Ibidem.16 ISFOL-IARD, La Formazione Professionale iniziale vista dai giovani, settembre 2007. Si ri-leva che i ragazzi di 3a media e le loro madri sembrano avere una conoscenza scarsa e superficialedella Formazione Professionale, imputata “essenzialmente alla mancanza di azioni di informazione eorientamento”. Si sottolinea che la maggioranza degli intervistati dichiara che nessuno a scuola hafornito informazioni in proposito (p. 6).17 GHERGO F., La Formazione Professionale Iniziale..., p. 90. 103 nei percorsi sperimentali sino alla completa messa a regime delle disposizionidel D.Lgs 226/2005 sul secondo ciclo18;• la mancata chiarificazione dei collegamenti con il sottosistema dell’istruzione;• le modalità dei finanziamenti: mentre quelli per le scuole sono tutelati dal do-vere di garantire l’obbligo d’istruzione, nel caso della Formazione Professio-nale sono limitati dai bilanci regionali, che possono anche non approvare corsialla presenza di ragazzi che formalizzano domande di iscrizione ai percorsitriennali.Altre preoccupazioni sorgono da peculiarità regionali: • la diseguale distribuzione territoriale dei percorsi sperimentali triennali19; • l’esclusiva utilizzazione del biennio per l’assolvimento dell’obbligo d’istru-zione20;• i rapporti penalizzanti l’identità della Formazione Professionale nei percorsiintegrati. Occorre questa situazione quando l’apporto delle strutture di Forma-zione Professionale è limitato solo alla “pratica”, disconoscendone di fatto ca-pacità di produrre cultura ed educazione21.Il contesto è quantomeno complesso: basti pensare che nella sola RegioneEmilia Romagna tra il 2003 e il 2007 sono stati approvati ben 18 atti amministrativitra Accordi, Protocolli, Intese, Linee Guida, Leggi Regionali e DGR. Nello stessoperiodo sono 13 in Liguria, 11 in Lombardia e 7 nel Lazio. Nel 2009 la riformadegli IPS è completa e può essergli affidata la FP regionale. Il 5 febbraio 2009 è si-glato l’Accordo tra MLSPS, MIUR e Regioni e Province Autonome di Trento eBolzano, in seguito recepito con D.I. del 29/05/2009, per la definizione delle condi-zioni e delle fasi relative alla messa a regime del sistema di Istruzione e Forma-zione Professionale, fissata a decorrere dall’anno scolastico e formativo 2010-2011(art. 37 legge 14/2009). Secondo tale Accordo, sono richiamate le 14 figure profes-sionali22 già esistenti ed introdotte altre 5. 18 Ibidem.19 Ibidem.20 La Regione Toscana prevede, dopo la terza media, l’iscrizione obbligatoria ad una scuola se-condaria di secondo grado, e una successiva iscrizione a un corso annuale professionalizzante perconseguire una qualifica di II livello europeo. 21 Il progetto “Scuola e Integrazione in Sardegna” (S.I.S.) prevede la realizzazione di percorsisperimentali integrati, in cui sono coinvolti vari soggetti, istituzioni scolastiche di I e di II grado,centri regionali di Formazione Professionale e agenzie formative del territorio alle quali è affidatasolo la parte pratica della qualifica. 22 Operatore alla promozione e accoglienza turistica, operatore della ristorazione-cuoco-came-riere, operatore del benessere, operatore amministrativo segretariale, operatore del punto vendita, ope-ratore di magazzino merci, operatore grafico, operatore edile, operatore del legno e dell’arredamento,operatore all’autoriparazione, installatore e manutentore impianti termo-idraulici, installatore-manu-tentore impianti elettrici, operatore meccanico di sistemi, montatore meccanico di sistemi, operatoredell’abbigliamento, operatore agroalimentare, operatore agricolo, operatore delle lavorazioni arti-stiche, operatore delle produzioni chimiche. 104 Il 16 marzo 2009 il MIUR e la Regione Lombardia firmano il primo accordodi modello organizzativo volto a innalzare la qualità del servizio di istruzione e adaccrescere efficienza ed efficacia della spesa al fine di incentivare l’integrazionetra i sistemi e i percorsi di secondo ciclo del sistema di Istruzione e FormazioneProfessionale, nell’ambito della programmazione regionale che possono essereerogati, oltre che dalle istituzioni formative accreditate dalla Regione, anche dagliistituti Tecnici e Professionali nel rispetto dell’autonomia scolastica.Nel 2010 la FP si ferma. Procede la riforma degli IPS. È approvato il Regola-mento recante norme sul riordino degli IPS. La Conferenza Unificata approva leLinee guida in base alle quali gli IPS possono svolgere, in regime di sussidiarietà,nel rispetto delle competenze esclusive delle Regioni in materia, un ruolo comple-mentare e integrativo al sistema di IeFP ai fini del conseguimento di qualifiche ediplomi. È ampliato il Repertorio delle qualifiche nazionali triennali e quadriennali,elevando il totale a 21 figure.Nel 2011 la FP nazionale entra in crisi. Tra gennaio e marzo 2011 sono sotto-scritti in Piemonte, Liguria, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Calabria, Puglia, Lazio,Toscana, Umbria, Sicilia, Emilia Romagna, Marche, Molise e Campania specificiAccordi con gli Uffici Scolastici Regionali per la realizzazione, nell’ambito dellaprogrammazione regionale, dei percorsi triennali. Il modello organizzativo adottatodalle Regioni e dagli UU.SS.RR. è quello “Integrato”23.“Arbitrio Regionale”D’altro canto se è vero che sussiste il diritto-dovere dei giovani di accedere alla IeFPiniziale di competenza regionale, esiste d’altro canto l’autonomia politica delle Regionidi disciplinare tale sottosistema con proprie leggi e di esercitare su tali basi le relativecompetenze amministrative. Tale autonomia, in assenza di vincoli giuridicamente cogentiposti dalla legislazione nazionale, ha fatto sì che le Regioni si siano trovate in una con-dizione di pressoché totale discrezionalità, se non addirittura di arbitrio. Talune, dandoeffettiva attuazione al principio di sussidiarietà orizzontale posto dall’art. 118, ultimocomma, della Costituzione, hanno consentito le attività in questione nel territorio regio-nale, riconoscendo così le istituzioni formative del privato sociale e consentendo loro dierogare i servizi della IeFP iniziale in regime di accreditamento. Altre hanno operato se-condo logiche assai diverse, o negando del tutto tale facoltà, o riconducendo la IeFP adun ruolo ancillare rispetto alle istituzioni scolastiche, ovvero ancora attribuendo sol-tanto compiti di carattere socio-assistenziale per lo più attinenti al recupero della dis-persione scolastica24.Questo complicato ed effervescente clima normativo porta a situazioni moltodifferenti. Attraverso i dati del IX Monitoraggio ISFOL del Diritto Dovere 2009possiamo svolgere un immediato confronto tra alcune Regioni. 23 CISL SCUOLA, La Formazione Professionale Iniziale, paper, 2011.24 SALERNO G., Dalla spesa storica ai costi standard della IeFP cd. Iniziale, “Rassegna CNOS-FAP”, 2/2010. 105 La Lombardia si presenta con un modello proprio che implementa il IV anno ela possibilità di titolarità sia dei CFP sia degli Istituti scolastici; il trend è in con-tinua crescita. Nell’a.f. sono iscritti 41.995 giovani, ben il 17% degli studenti inuscita in 1.573 classi presso dei CFP e 451 presso Istituti Scolastici. Il finanzia-mento ammonta a 123,5 mln, di cui 53 dal Ministero del Lavoro e della PrevidenzaSociale (Fonte Regione Lombardia 30 marzo 2010).Puglia e Piemonte hanno entrambi tra i 4 e i 4,5 milioni di abitanti e nell’a.f.2004/05 hanno lo stesso numero di iscritti, ma il divergere delle scelte politiche hareso l’IeFP pugliese come meno richiesto dagli utenti e meno competitivo nell’in-serimento nel mondo del lavoro con la morte del canale formativo. Analogo dis-corso per l’esperienza sarda.In Toscana, dove gli Istituti Scolastici coprono il 96,9% degli iscritti al sistemaIeFP, il modello è stato dichiarato parzialmente incostituzionale da parte della Con-sulta con sentenza n. 309 del 2010. Il POR Sardegna 2007-2013 mostra come l’ab-bandono scolastico resti tra i più alti d’Italia e la riduzione dei costi facenti capoalla Regione. Avendo, di fatto, eliminato la Formazione Professionale Regionale ri-orientando i ragazzi verso i percorsi scolastici, i costi sociali a medio lungo terminesaranno ben superiori al risparmio realizzato25. Tali scelte regionali sembrano esserevittime della miopia: per raggiungere pareggi di bilancio, le Regioni più poverescelgono soluzioni formative non efficaci, mentre quelle più ricche optano performe che si qualificano per la capacità occupazionale robusta e rapida.I dati del Monitoraggio ISFOL attestano che gli allievi dei percorsi triennalipresentano un trend di crescita costante dal 2003. Nel 2008-09 il totale dei percorsiammontava a 7.729 (a cui vanno aggiunti 144 percorsi di IV anno), per un totale diiscritti pari a 152.885 unità (alle quali vanno aggiunte le 2.506 dei IV anni). I nu-meri, tuttavia, celano soluzioni quanto mai differenziate a livello regionale e sinte-tizzate dall’ISFOL in 5 modelli.Riguardo alle ore complessive di Formazione Professionale, i percorsi si presen-tano da un minimo di 900 ore in Emilia-Romagna e in Toscana a un massimo di 3.600ore in Friuli e in Abruzzo. Le materie professionalizzanti possono variare dalle 885 25 CISL SCUOLA, La Formazione Professionale Iniziale, paper, 2011. Fonte: IX monitoraggio ISFOL del Diritto Dovere (*=integrato) Tabella 2: Allievi per Regione 106 ore concentrate in un anno in Piemonte, alla distribuzione triennale delle 2.250 oredella Calabria (70% sul totale). Le ore di stage vanno dalle 100 ore al terzo anno del-la P.A. di Trento alle 1000 distribuite nei tre anni dei percorsi di FP calabresi. 4.1.4. Lombardia ed Emilia RomagnaPer permettere di avere un quadro chiaro del contesto nel quale operano i centriCNOS che presenteremo in questo capitolo (§4.2.4) e che analizzeremo nel capitolo5, vengono ora approfondite le situazioni delle Regioni Lombardia ed Emilia Roma-gna. Lombardia26VisionL’istruzione professionale in Italia sconta un’anomalia storica: due sistemi che si so-vrappongono, quello statale e quello regionale. La vera sfida di oggi è dunque creareun’offerta unitaria che ricomprenda gli attuali percorsi. L’intesa che la Regione Lom-bardia ha siglato con il ministero dell’Istruzione apre inoltre alla sperimentazione di unnuovo modello organizzativo. Forti di una sperimentazione durata sette anni, che attual-mente intercetta 40.000 giovani, oltre il 10% della leva regionale del secondo ciclo27.MissionLa mission della Formazione Professionale in Lombardia è “lo sviluppo dellaprofessionalità del sistema di Istruzione e Formazione Professionale. Lo studenteche vi accede è portatore, insieme con la famiglia di appartenenza, dell’interessepreminente a sviluppare una professionalità che lo renda cittadino a pieno titolo epersona dotata di quella dignità che proviene dal riconoscimento sociale. La cre-scita educativa, l’educazione alla cittadinanza e l’elevazione culturale degli stu-denti sono in stretto rapporto con lo sviluppo della professionalità, che assume un 26 ZAGARDO G., Quadro aggiornato della Formazione Professionale iniziale nelle Regioni. IXMonitoraggio ISFOL del Diritto Dovere 2008-2009, Allegato a “Rassegna CNOS-FAP”, 3/2010 e sitoregione Lombardia: http://formalavoro.regione.lombardia.it/27 Sito Regione in data 10/09/2011. Tabella 3: Modalità gestionali Scuola-Ente. Nostra elaborazione da ISFOL 107 ruolo preminente, fin dal primo anno, nel sistema di Istruzione e Formazione Pro-fessionale”28. La centralità della professionalizzazione ha il suo perno in elementi dioperatività strumentale e su saperi procedurali per i quali i saperi dichiarativi fun-gono da strumenti proattivi, secondo quella che è definita l’operazionalizzazionedel sapere. L’operazionalizzazione del sapere implica che tutto il curricolo siorienti progressivamente verso l’acquisizione di competenze mai generiche, mastrettamente funzionali al settore.Emilia Romagna29Nella Regione Emiliana il modello seguito metteva al centro il biennio/trienniointegrato, che è presente in via di esaurimento. Dall’anno 2011/2012 il cambia-mento è abbastanza netto.Vision/MissionLa Regione Emilia-Romagna ha definito un nuovo sistema regionale di Istruzione e For-mazione Professionale (IeFP) che permette ai giovani, in un percorso triennale, di con-seguire una qualifica professionale. Il riordino dell’Istruzione Secondaria Superiore,messo in atto dalla normativa nazionale, prevede che gli Istituti Professionali, così comegli Istituti Tecnici e i Licei, possano rilasciare esclusivamente diplomi di istruzione se-condaria superiore al termine di un percorso di 5 anni. Il sistema di IeFP, fondato sul-l’integrazione tra istruzione e Formazione Professionale, è stato definito dopo un per-corso di confronto e condivisione con gli Enti Locali, il sistema scolastico e formativo, leassociazioni imprenditoriali e sindacali30. 28 Ibidem.29 ZAGARDO G., op. cit., e aggiornamenti dal sito della Regione: http://www.scuolaer.it/30 Sito Regione del 10/08/2011. Figura 1: Albero percorsi formativi Fonte: sito Regione 108 La Regione usa la parola chiave “integrazione”. Presenta sul sito e nel recente“Report sul sistema educativo in Emilia Romagna”, i Quaderni di ER, 2011, iltutto dal punto di vista della scuola. 4.2. La Federazione CNOS-FAP: storia di un’inversione Il CNOS vede la sua nascita in anni tutt’altro che semplici. Come accenna-vamo nel capitolo precedente, vi sono profondi elementi di crisi culturale, eccle-siale e congregazionale: i salesiani diminuiscono da 19.690 nel 1972 a 17.000 nel1976, la riduzione dei novizi e l’uscita di diversi giovani confratelli innalzano rapi-damente l’età media. Questo fenomeno è più forte tra i coadiutori, che si riduconoanche in senso relativo (rispetto ai confratelli preti), dal 21% nel 1950 al 18% nel1974. Ma l’intuizione del XIX Capitolo Generale del 1965 che considera “la For-mazione Professionale come necessità inderogabile della Società e, per riflessodella Chiesa”31 e ne decentrano il governo a livello locale, unita all’istituzionalizza-zione italiana del CNOS, ha portato al rilancio della Formazione Professionale Sa-lesiana, la quale è stata in grado di conservare la vocazione giovanile e il sistemaeducativo carismatico all’interno di complesse provocazioni e inversioni. Possiamochiamarla “storia di un’inversione” in quanto segna una netta discontinuità conl’atteggiamento d’inerzia verso le relazioni istituzionali con gli organismi governa-tivi, prima viste come potenziale fonte di finanziamento ora si considerano e am-pliano collaborazioni, confronti e anche battaglie su dinamiche sostanziali come ilmodello educativo. 4.2.1. La nascita e il consolidamento del CNOS-FAP (anni’80)32La formula CNOS-FAP si è dimostrata subito positiva: in cinque anni (1977-78/1981-82) gli allievi crescono quasi del 5%, passando da 8.937 a 9.365; i forma-tori aumentano dell’8%, da 714 a 777 e i Centri di 4 unità, da 36 a 40. Il balzo inavanti, in realtà, è soprattutto qualitativo: i CFP s’inseriscono dinamicamente nelcontesto sociale, mettendo a disposizione della comunità locale, civile ed ecclesialeil loro patrimonio culturale, educativo e pastorale, corresponsabilizzando i laici econcorrendo mediante lo strumento dell’associazione del privato-sociale alla elabo-razione delle politiche formative a livello locale e nazionale. Particolarmente signi-ficativa è la presenza nel “Comitato permanente degli Enti cattolici per la Forma-zione Professionale”, cui aderirono l’ENAIP (117 Centri con 70.355 allievi),l’ENAP (41 Centri con 11.019 allievi) il Centro Nazionale Opere Salesiane (39Centri con 11.868 allievi), l’Opera Don Orione (14 Centri con 2.528 allievi), 31 Atti del Capitolo Generale XIX, p. 12.32 TONINI M., Trent’anni di storia ed esperienze della Federazione CNOS-FAP, paper 2011. 109 l’Opera Giuseppini di Murialdo, i Fratelli delle Scuole Cristiane, la Casa di CaritàArti e Mestieri di Torino, il CNIOP e il CIOFS. Fu eletta la Giunta (rappresentantidell’ENAIP, dell’ENAP, del CNIOP, degli Istituti religiosi). È predisposta unabozza del regolamento, l’atto costitutivo e lo Statuto della CONFAP, rogato dal no-taio dr. Francesco Salerno, il 19 novembre 1974, repertorio n. 40506 e registrato inRoma il 27 novembre 1974 al n. 23607, firmato da quindici tra Enti e Federazioniaderenti33.Il rapido consolidamento del CNOS-FAP si è compiuto negli anni ‘80. Nel1982 venivano istituiti i Settori professionali (meccanico, elettromeccanico, elettro-nico, grafico e le commissioni culturale e matematico-scientifica). Nel 1984 la ri-vista “Rassegna CNOS” iniziava le pubblicazioni con l’intento di offrire ai forma-tori e agli operatori della FP, ai centri di studi impegnati in questo ambito, agli am-ministratori e ai politici un “periodico saggio degli studi e delle ricerche degliesperti e l’esperienza degli operatori dei suoi 41 Centri, impegnati oggi particolar-mente nella innovazione e sperimentazione della didattica e delle tecnologie forma-tive” (Editoriale, 1984; cfr. anche Editoriale, 1993). S’irrobustivano così le possibi-lità di un confronto rigoroso con il mondo culturale e politico a livello nazionale edeuropeo sui problemi delle politiche del lavoro e della formazione. Da ultimo, nel1989 veniva elaborata la Proposta Formativa CNOS-FAP, la quale articolava l’atti-vità della Federazione intorno a quattro strategie fondamentali: 1. La costituzione della Comunità formativa: la Federazione propone la costitu-zione della Comunità formativa come soggetto e ambiente di formazione, nongià considerandola quasi un presupposto e condizione previa della partecipa-zione, ma come una “tensione”, un “processo”, un “traguardo” che si co-struisce giorno dopo giorno. La costruzione della comunità è la premessa indi-spensabile al lavorare insieme, caratteristico della nuova organizzazione del la-voro, nella piena valorizzazione delle “risorse umane”.2. La qualificazione educativa e professionalizzante del CFP: la Federazione ha acuore che i valori educativi di base (formazione della coscienza, sviluppo dellalibertà responsabile e creativa, capacità di relazione, esercizio della responsa-bilità sociale e politica, educazione alla convivenza civile) trovino nella di-mensione professionale una piena affermazione, in prospettiva di una forma-zione unitaria e integrale della personalità del lavoratore. A questo scopo, offreai giovani in formazione occasioni significative per assumere e maturare cono- 33 I firmatari erano: ITCA (p. Domenico Serini), ENAP (p. Leonardo Cossu), FSAFP (on. Gio-vanni M. Lai) - Sardegna, FEMOFAP (p. Giovanni Durante) - Molise, FORMARCHE (don LambertoPigini), OSFIN (Sig. Fulvio Ghergo), CIOFS (sr Anita Della Ricca), OPERA DON ORIONE (donClemente Perlo), AECA (don Mario Rocchi) - Emilia Romagna (Associazione Emilano Romagnoladei Centri Autonomi, fondata nel 1973 sotto l’impulso dei Salesiani di Bologna), CNOS (don DanteMagni), FICIAP (don Erasmo Pilla), FEDERCAP (dr. Antonio Lieto -dr. Bruno Bertolazzi) - Cam-pania, FLEGIP (dr. Marcello Pecorari) - Lazio, FELCFOP (on. Vittorino Colombo) – Lombardia, On.Sergio Pezzati. A titolo personale poi eletto presidente. 110 scenze, atteggiamenti, comportamenti e abilità operative coerenti con l’eser-cizio efficiente ed efficace della professione e propone esperienze per guidarliverso l’assunzione di un ruolo professionale adeguato. 4. La tensione verso una professionalità fondata su una valida e significativa cul-tura del lavoro e su un realistico progetto di vita. Il soggetto in formazione èsostenuto nello sforzo di acquisire un appropriato senso critico ed è aiutato adare sistematicità alle proprie esperienze ricercandone il significato globale inuna visione cristiana, secondo lo stile e il metodo di don Bosco. Per questo, laFederazione si propone di umanizzare la formazione al lavoro e alla scelta pro-fessionale, di integrare l’esperienza lavorativa nell’insieme della vita di rela-zione, di personalizzare la scelta e la pratica professionale e di inserire informa attiva e partecipativa i giovani nel mondo del lavoro e della società ci-vile ed ecclesiale nella prospettiva di una cultura della corresponsabilità e dellasolidarietà.L’offerta del servizio di orientamento professionale. Il servizio di orientamentointegra e supporta l’intervento globale delle istituzioni formative poiché offre uncontributo specifico sotto il profilo psicopedagogico, didattico e sociale. Orienta-mento e Formazione Professionale concorrono a promuovere nel giovane un pro-cesso che punta a sviluppare attitudini, preferenze, interessi e valori innestati nellaprofessionalità e nella progressiva “maturità professionale”. La consistenza della Federazione CNOS-FAP, le salde tradizioni maturate in centoqua-rantanni di storia e l’assistenza prestata dagli organismi federativi, specie quelli centralie regionali […] l’hanno resa partecipe di un forte dialogo con il Ministero e le Regioni,con gli Enti di FP, specie con quelli di ispirazione cristiana attraverso la CONFAP, e congli altri organismi e l’hanno resa capace di esprimere una propria cultura professionalee di fare scelte adeguate, conservando un certo prestigio ed autorevolezza per l’espe-rienza acquisita, per le ricerche di studio portate avanti con la collaborazione del labo-ratorio CNOS istituito presso la Facoltà di Scienze dell’Educazione dell’U.P.S., per lepubblicazioni (sussidi e Rivista specializzata) e per le iniziative assunte di sperimenta-zione, specie sotto il profilo didattico ed a favore di giovani in difficoltà e a rischio34.A conferma della qualità delle attività formative avviate, sottolineiamo il rico-noscimento della Federazione come ente nazionale di primo livello per poter fruiredei contributi finanziari previsti dalla legge n. 40/87, certamente anche per l’im-pegno a fare della Formazione Professionale un vero e proprio sistema a cui rico-noscere parità e autonomia nei confronti del sistema scuola. 4.2.2. Il CNOS-FAP e il CFP polifunzionale (anni ’90)Tra le linee fondamentali della politica della Federazione CNOS-FAP agliinizi degli anni ’90 primeggiano le iniziative perché l’elevamento dell’istruzione 34 RIZZINI F., Dai Consiglieri Professionali Generali alla Federazione Nazionale CNOS-FAP,“Rassegna CNOS-FAP” 2/1988, p. 174. 111 obbligatoria dai quattordici ai sedici anni possa essere soddisfatto in una pluralitàdi canali, compreso quello della Formazione Professionale, la qualificazione delpersonale anche attraverso il potenziamento e la valorizzazione della rivista «Ras-segna CNOS», degli studi-ricerche del Laboratorio CNOS e della sperimentazionedi nuovi testi e sussidi multimediali. L’aspetto più innovativo dell’attività delCNOS-FAP nei primi anni ‘90 va identificata nell’elaborazione di un nuovo mo-dello organizzativo del CFP per far fronte ai fenomeni d’involuzione burocraticadegli anni ’90. A tal fine, il Laboratorio “Studi e Ricerche” del CNOS/FAP realizzò nellaprima metà degli anni ’90 quattro ricerche, tre su finanziamento del Ministero delLavoro35 – rispettivamente sul coordinatore progettista, su quello di settore/pro-cesso e sul direttore e lo staff di direzione – e una dello stesso CNOS-FAP, cen-trata sul coordinatore delle attività di orientamento. Sulla base dei risultati di taliinvestigazioni è stato possibile elaborare un modello di organizzazione delleazioni di FP che si qualifica per essere al tempo stesso formativo, comunitario,progettuale, coordinato, aperto, flessibile e qualificato. In sostanza, si tratta delmodello del CFP polifunzionale che, mentre da una parte cerca con la pluralitàdelle sue offerte di adeguarsi alla complessità della società odierna, dall’altra nonrinuncia, ma mira a rafforzare il suo ruolo formativo al servizio di una gammamolto ampia di destinatari. Esso si contrappone alla formula dell’agenzia forma-tiva36 la quale però non sembra trovare il conforto dei dati delle ricerche sopramenzionate.I risultati di tale impegno associativo hanno costituito il quadro di riferimentoentro il quale si è collocato anche un articolo (n. 7) del CCNL della FormazioneProfessionale convenzionata (1994-1997). Il modello scaturito è caratterizzatodalla modalità della comunità educativa (e non dell’agenzia che eroga servizi), conuna forma organizzativa che cerca di superare l’individualismo attraverso la fun-zione/figura del coordinatore di progetto, focalizzato sulla promozione integraledella persona (primato del ragazzo in formazione e non sui lavoratori del centro),riassorbendo nella figura del coordinatore delle attività di orientamento tale attivitàche aveva subito una esternalizzazione e satellizzazione. Il fulcro è la figura del di-rettore, che raccoglie le principali funzioni di:• responsabile di gestione del CFP;• leader della comunità degli operatori, presidenza del collegio dei formatori;• responsabile del personale e del suo aggiornamento;• direzione e coordinamento delle attività;• coordinamento della progettazione e innovazione del Centro. 35 Svolti tra il 1991 e il 1996 da Malizia, Chistolini, Pieroni e Tanoni, Malizia, Borsato, Frisanco,Pellerey, Sarti e Pieroni.36 ISFOL, Il nuovo ruolo del CFP come agenzia di servizi, 1995. 112 Di particolare prestigio sono la redazione del Progetto Formativo dellaCONFAP da parte del salesiano prof. Carlo Nanni della Università Pontificia Sale-siana37 e la presenza animatrice di don Felice Rizzini (presidente CNOS-FAP) comesegretario e Vicepresidente della CONFAP per ben nove anni. 4.2.3. Verso un sistema maturo? (2000-2010)Come emerge dal Libro Bianco su istruzione e formazione elaborato dallaCommissione Europea, nella seconda metà degli anni ‘90 la società europea è en-trata in una fase di transizione verso una nuova forma di società, la società della co-noscenza. Le principali caratteristiche di tale realtà sono la flessibilità e la terziariz-zazione, la frammentarietà e la provvisorietà in perenne reversibilità, e il sotto-stante pensiero debole, maestro della società liquida. Questo contesto fa da sfondoal vivace susseguirsi di rivoluzioni normative.A fronte del ripensamento dell’architettura del sistema educativo d’Istruzione eFormazione, l’azione della Federazione è stata di rinnovamento profondo. È quantoavviato con coraggio e lungimiranza dalla Federazione in un progetto non ancoracompiuto, ma nel quale sono state poste solide fondamenta. Prima di parlare dellegrandi linee d’intervento del disegno complessivo, è opportuno ricordare l’impegnodel CNOS-FAP per una riforma del sistema educativo d’istruzione e di formazioneche mettesse al centro gli allievi, soprattutto quelli più marginali.La promozione della Formazione Professionale Iniziale38Una delle direttrici dell’azione del CNOS-FAP è stata quella di opporsi allalegge n. 9/99 sull’elevazione dell’obbligo scolastico nelle disposizioni che colloca-vano la FP in una condizione di marginalità e di subalternità rispetto alla scuola. Alcontrario, la Federazione sosteneva la posizione per la quale tale innalzamento do-veva essere realizzato in strutture distinte, ma equipollenti e interagenti dal puntodi vista formativo, quelle cioè della scuola e della FP accreditata. Bisognava, inaltre parole, prevedere un sistema di offerte plurime, dove l’elevazione andava at-tuata sulla base dei principi della diversificazione delle opzioni, della personalizza-zione dei percorsi e della flessibilità dei modelli. Alla fine di una lunga battaglia siè riusciti ad ottenere l’abrogazione della legge. 37 Il Progetto Formativo è la “Magna Charta” della Confederazione per “documentare e riaffer-mare la piena legittimità della propria presenza nel settore della Formazione Professionale, dell’O-rientamento e dell’Aggiornamento. In mano agli Enti di FP diventa “lo strumento operativo di verificae di approfondimento della propria Proposta – da cui il presente trae origine e a cui non intende so-vrapporsi – per l’aggiornamento dei propri Progetti Formativi”. Cfr. www.confap.it.38 Con l’espressione Formazione Professionale Iniziale (FPI) si indicano, generalmente, quelleattività di formazione che vengono proposte ai giovani in età compresa tra i 14 e i 18 anni. Tra queste,i percorsi formativi triennali e quadriennali di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) sono i piùimportanti. Vanno richiamate, inoltre, quelle attività formative che possono essere realizzate nell’ap-prendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione o in progetti per categoriespecifiche (giovani a rischio, portatori di handicap, ecc.). 113 Una presa di posizione analoga è stata assunta successivamente dalla Federa-zione CNOS-FAP nei confronti del Governo Prodi II (2006-2008), che aveva, tra isuoi punti programmatici, l’innalzamento dell’obbligo scolastico a 16 anni. Si ri-proponeva, ancora una volta, la tesi che solo la scuola era il luogo unico ed idoneoper l’istruzione obbligatoria: tale obbligo era da assolvere a scuola fino a 16 anni esolo dopo poteva essere proposta agli allievi la facoltà di scegliere la FormazioneProfessionale Iniziale. Le proposte elaborate dalla Federazione CNOS-FAP, in sin-tonia con gli Enti aderenti a CONFAP e a FORMA, hanno portato a una soluzionecondivisa. La sintesi normativa è stata, infatti, l’obbligo d’istruzione fino a 16 annie non l’obbligo scolastico, in quanto l’istruzione poteva essere assolta anche neipercorsi d’Istruzione e Formazione Professionale.Sull’esempio di altri paesi dell’UE, sostiene Mario Tonini, questa è la strada dapercorrere se si vuole veramente assicurare ai giovani quell’ampia formazione dibase idonea a promuovere la crescita personale, l’orientamento, la prosecuzionedegli studi, l’inserimento nell’attività lavorativa e la partecipazione responsabilealla vita democratica39.Il quadro legislativo, presentato nella prima parte di questo capitolo, recepiscemolte delle istanze espresse nei documenti prodotti e socializzati dalla FederazioneCNOS-FAP e condivisi anche in quelli di CONFAP e di FORMA. Questo quadroancora incompleto, presenta, a giudizio della Federazione CNOS-FAP, elementistrutturali positivi. Non è esagerato affermare che la Federazione CNOS-FAP ha potuto dare ilproprio apporto originale e qualificato soprattutto nell’organizzazione dell’offertaformativa. Ha dato infatti le “ali” al percorso formativo, qualificandolo sia dalpunto di vista pedagogico che metodologico e didattico. La Federazione CNOS-FAP, attiva all’interno di FORMA, da subito ha contribuito ad elaborare un Pro-getto “Pilota”, un idealtipo di percorso caratterizzato da specifici obiettivi da rag-giungere, da un preciso modello formativo, da standard professionali e formativi eda una peculiare metodologia formativa40. La sperimentazione, avviata in molte Re-gioni, è stata segnata da una notevole documentazione che attesta la vitalità dellaFederazione CNOS-FAP. A livello nazionale la Federazione CNOS-FAP, avvalendosi anche di consu-lenti, ha elaborato vari documenti dal carattere fondativo oltre che proseguire, annodopo anno, negli studi e nei monitoraggi attraverso la Rivista Rassegna CNOS41.Riportiamo in nota questi studi per la loro grande rilevanza sul panorama della For- 39 TONINI M., op.cit.40 FORMA, Progetto Pilota per il sistema di istruzione e formazione. Sintesi della Linea Guida,2002. Disponibile su: www.formafp.it41 Cfr. NICOLI D., Linee guida per i percorsi di istruzione e Formazione Professionale, 2008;CNOS-FAP e CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati eMALIZIA G. - ANTONIETTI D. - TONINI M., Le parole chiave della Formazione Professionale, 2° ed.2007. 114 mazione Professionale Salesiana e mostrano una attenzione alla riflessione sullaprassi che è unica tra gli enti gestori.Sull’identità del formatore e sulla sua formazione sono stati promossi varistudi42: i testi del prof. Ruta Giuseppe hanno concorso a sistematizzare la forma-zione all’insegnamento della religione nella Formazione Professionale43. Per soste-nere gli operatori della FP nella delicata azione di interazione con la famiglia,specie per gli immigrati, e il mondo del lavoro, la Sede Nazionale ha elaborato al-cune ricerche-azioni44. Di particolare interesse sono due guide operative per glioperatori relativi alla ricerca del lavoro e alla creazione di imprese45. Aspetti di ca-rattere di filiera a carattere europeo sono analizzati per la grande importanza e in-fluenza delle strategie di Lisbona46. Non potevano mancare studi sugli aspetti peda-gogici ed educativi degli allievi che frequentavano i percorsi formativi triennali.Ricerche e monitoraggi sono stati documentati in vari volumi che riportiamo innota47 per la loro grande rilevanza a livello nazionale.Avvalendosi della consulenza del CENSIS, la Federazione CNOS-FAP ha in-dagato con studi e ricerche mirate su specifiche questioni: la scelta dei giovani, lacarenza di proposte di formazione nelle Regioni del Sud e il rapporto tra Enti di FPe imprese48. Il monitoraggio delle sperimentazioni ha permesso alla Federazione eagli Enti di FP aderenti a CONFAP e a FORMA di essere protagonisti della speri- 42 Cfr. PELLEREY M., Processi formativi e dimensione spirituale e morale della persona. Daresenso e prospettiva al proprio impegno nell’apprendere lungo tutto l’arco della vita, 2007 e BAY M. -GRZADZIEL D. - PELLEREY M., Promuovere la crescita nelle competenze strategiche che hanno le lororadici nelle dimensioni morali e spirituali della persona, 2010.43 Cfr. RUTA G. (a cura di), Etica della persona e del lavoro, 2004; Vivere, Linee guida per i for-matori di Cultura etica e religiosa nei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale, 2007.44 Cfr. BECCIU M. - COLASANTI A.R., La corresponsabilità CFP - famiglia: i genitori nei CFP.Esperienza triennale nel CFP CNOS-FAP (2004-2006), 2006; MALIZIA G. - PIERONI V., Accompagna-mento al lavoro degli allievi qualificati nei percorsi triennali del diritto - dovere. Linee guida e rac-colta di buone pratiche per svolgere le attività, 2009; MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A.,Individuazione e raccolta di buone prassi mirate all’accoglienza, formazione e integrazione degli im-migrati, 2009.45 Cfr. GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo. Una proposta di percorsiper la creazione d’impresa, 2° ed. 2007 e MARSILII E., Dalla ricerca al rapporto di lavoro. Opportu-nità, regole e strategie, 2007.46 Cfr. PELLEREY M. (a cura di), Studio sull’intera filiera formativa professionalizzante alla lucedelle strategie di Lisbona a partire dalla formazione superiore non accademica, Roma 2008; COLA-SANTO M. (a cura di), Il punto sulla Formazione Professionale in Italia in rapporto agli obiettivi di Li-sbona, Roma 2008; MALIZIA G., Politiche educative di istruzione e formazione. La dimensione inter-nazionale, 2008; NICOLI D., I sistemi di Istruzione e Formazione Professionale (VET) in Europa,2009.47 Cfr. MALIZIA G. - BECCIU M. - COLASANTI A.R. - MION R. - PIERONI V., Stili di vita degli al-lievi/e dei percorsi formativi del diritto-dovere, 2007 e MALIZIA G. - PIERONI V., Follow-up dellatransizione al lavoro degli allievi/e dei percorsi triennali sperimentali di IeFP, 2008.48 Cfr. DONATI C. - BELLESI L., Giovani e percorsi professionalizzanti: un gap da colmare?,2007; BELLESI L. - DONATI C., Ma davvero la Formazione Professionale non serve? Indagine conosci-tiva sul mondo imprenditoriale, 2008; DONATI C. - BELLESI L., Verso una prospettiva di lungo periodoper il sistema della Formazione Professionale. Il ruolo della rete formativa, 2009. 115 mentazione e di documentarne gli esiti nelle seguenti regioni: Emilia Romagna49,Lombardia50, Lazio, Liguria, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia e Veneto.Lo studio più compiuto e organico è stato certamente la Linea Guida per i per-corsi di Istruzione e Formazione Professionale. Il testo, facendo riferimento anchead avanzate esperienze europee, quella francese in particolare, contiene oggi un pre-ciso modello di competenza e di cultura del lavoro, suggerisce percorsi scanditi da“situazioni di apprendimento”, consegna al formatore una definizione rigorosa ditraguardi formativi, elabora un preciso iter valutativo del percorso e dell’offerta,suggerisce una modalità di formazione dei formatori. La Linea guida51 rappresentail riferimento culturale, metodologico e procedurale per la progettazione e la gestio-ne dei percorsi d’Istruzione e Formazione Professionale in diritto-dovere, dai 14 fi-no ai 18 anni, come pure dei progetti integrati nelle iniziative del secondo ciclo de-gli studi, secondo un approccio rigoroso, coerente con le normative italiane e le dis-posizioni europee, così da delineare una IeFP di qualità. La proposta è elaborata inmodo da consentire una sua gestione aperta e flessibile, compreso l’apprendistatoper l’espletamento del diritto – dovere come pure forme di alternanza più impegna-tive rispetto ai soli stage. Essa è basata sul concetto di “formazione efficace” ed ècentrata sui principi del coinvolgimento degli allievi, della personalizzazione, delcompito reale, della comunità di apprendimento, del coinvolgimento della societàcivile. Si tratta di una metodologia che è in grado di mettere a frutto le “risorse vi-tali dell’educazione”. La prima è costituita dai giovani destinatari, che presentanospesso una motivazione legata alla figura professionale scelta, alla possibilità di“imparare facendo”, ma anche al riscatto di un’esperienza scolastica non raramenteproblematica; subito connessa a questa vi è il formatore, una figura decisiva per ilsuccesso delle attività di IeFP, con caratteristiche umane, deontologiche, metodolo-giche e tecniche che lo rendono un modello di riferimento per l’intero sistema edu-cativo; infine, è risorsa decisiva per il successo delle attività formative la presenzadi organismi formativi dotati di una propria vocazione e missione educativa e socia-le, riferita proprio ad adolescenti e giovani che si iscrivono alle azioni formativedella Istruzione e Formazione Professionale al fine di accrescere la propria cultura,apprendere un lavoro, diventare cittadini della società della conoscenza. La missio-ne dell’Istruzione e Formazione Professionale consiste nell’offerta di percorsi for-mativi a carattere professionalizzante, tendenzialmente polivalenti, coerenti con i ri-ferimenti europei (EQF e Ecvet), con una tappa triennale ed una quadriennale, rife-riti alle necessità del contesto economico locale, nell’ambito delle prerogative che 49 Cfr. LODINI E. - VANNINI I., Istruzione e formazione: il monitoraggio dell’integrazione, FrancoAngeli 2006; SACCHI G., Istruzione e formazione: l’integrazione possibile, Franco Angeli 2006. 50 REGIONE LOMBARDIA, Istruzione e Formazione Professionale. Progetto sperimentale triennale:linee guida dell’area professionale alimentare, commercio e vendite, edile e del territorio, elettrica,estetica, grafica e multimediale, meccanica, servizi impresa, 2003. 51 NICOLI D. (a cura di), Linee guida per i percorsi di Istruzione e Formazione Professionale,CNOS-FAP, 2008. 116 la Costituzione attribuisce alle Regioni ed alle Province Autonome. I percorsi diIeFP si distinguono per quattro caratteristiche peculiari: il riferimento ad opereespresse dalla realtà sociale, dotate di una tradizione tale da collocarle in modo sta-bile nel contesto locale oltre che nazionale; la presenza di un’ispirazione educativache ne connota l’azione attraverso lo stile della comunità educante, della valorizza-zione dei talenti e potenzialità dei destinatari e del coinvolgimento dei soggetti delterritorio; la valorizzazione della cultura del lavoro “vitale”, presente nel contestocome situazione di apprendimento entro cui svolgere percorsi di valore educativo,culturale e professionale; la metodologia attiva tesa a sollecitare il coinvolgimentodei destinatari attraverso compiti reali così da sollecitare l’apprendimento per solu-zione dei problemi e per scoperta. L’aggiornamento del CFP polifunzionaleAll’inizio del 1999, la Sede nazionale CNOS-FAP affida all’Istituto di Socio-logia FSE-UPS la realizzazione di un’indagine52 quali-quantitativa mirata alla rile-vazione della situazione dei Centri della Federazione in vista dell’individuazione diindicatori di qualità per un CFP polifunzionale. La Federazione avverte, infatti, l’e-sigenza di individuare nuove forme di aiuto e di supporto soprattutto al direttore ealle figure di staff presenti nei CFP o nella Sede Regionale (impegnate in attività diorientamento, coordinamento, analisi, progettazione e valutazione dei fabbisogni),essendo questi i ruoli più coinvolti nel processo di cambiamento/rinnovamento. Piùin particolare, avendo presente un modello organizzativo di CFP dinamico, orien-tato al sistema qualità e rispondente alla logica dell’accreditamento, s’intende ela-borare, con la collaborazione di un gruppo di esperti, un progetto di fattibilità in-teso a predisporre un processo permanente di monitoraggio e valutazione delle atti-vità della FP CNOS-FAP.Dall’indagine emerge che se molto è stato attuato in questi ultimi anni e l’o-biettivo della polifunzionalità si è rivelato una realtà per molti Centri, la fase dicompletamento di certi obiettivi richiede ancora ulteriori sforzi e nuove strategied’intervento. Pertanto, stando ai risultati ottenuti attraverso il rilevamento, vengonosuggeriti i seguenti passi:• il conseguimento della “certificazione” del “sistema qualità”, con tutti i requi-siti che tale obiettivo comporta;• l’introduzione di nuove figure: il responsabile dei servizi di sicurezza ed il re-sponsabile della qualità e in un immediato futuro anche quella del responsabiledelle reti informatiche e del coordinatore delle attività di integrazione (in vistadi una FP indirizzata a vantaggio delle fasce deboli, sempre più ampie ed at-tuali in una società in rapida trasformazione tecnologica), coerentemente anche 52 MALIZIA G. - PIERONI V., Rilevazione di elementi della situazione dei Centri della Federazionein riferimento ai requisiti richiesti dal regolamento attuativo della legge 196/97, art. 17, e in vistadella individuazione di indicatori di qualità per un CFP polifunzionale, Roma, CNOS-FAP, 1999. 117 all’esigenza (avvertita in oltre la metà dei Centri e sperimentata in una partedegli stessi) di potenziare l’orientamento e le azioni formative a favore diquesti soggetti;• la maggiore apertura del CFP al territorio così da assumere una piena posi-zione di collaborazione, concertazione, integrazione con le varie realtà di rife-rimento;• il rafforzamento dell’organizzazione di corsi di formazione per i formatori;• il monitoraggio sulla “qualità” della formazione erogata nei CFP della Federa-zione, sulla base di un modello aggiornato di CFP polifunzionale e di standardminimi di qualità e nel rispetto della giusta autonomia di ogni Centro;• la creazione di una rete informatizzata, in grado di collegare tutti i Centri, cosìda realizzare una informazione in tempo reale su problematiche emergenti esocializzare innovazioni e sperimentazioni in atto;• lo sforzo di ampliare e/o rendere accessibile a un maggior numero possibile diCentri la partecipazione a progetti/programmi multiregionali e transnazionali.Sulla base dei risultati di questa ricerca, la Federazione ha ritenuto opportunoorientare lo sforzo di rinnovamento soprattutto in tre direzioni: il potenziamento dellaformazione dei formatori, l’attuazione dell’obbligo formativo e del diritto – dovereall’istruzione e formazione e la realizzazione di un modello organizzativo di qualità. Ogni Centro di Formazione Professionale (CFP), da sempre, ha coltivato ilrapporto con il mondo produttivo del proprio territorio, mettendo progressivamentea regime delle modalità (lo stage in particolare) utili a raccordare l’offerta forma-tiva con le esigenze aziendali e a proporre agli allievi una formazione imperniatasempre più sulle competenze. In questi anni i Settori professionali della Federa-zione hanno attivato rapporti più continuativi con le imprese del settore dando vitaad accordi di vario tipo. Trattandosi di una prassi nuova rispetto al recente passato,la Federazione CNOS-FAP ritiene di avviare una fase sperimentale di questa moda-lità di collaborazione con il mondo del lavoro, riservandosi di valutare, dopo uncongruo tempo, l’efficacia di tale strategia.Accordi tra CNOS-FAP e aziendeGli accordi nel settore grafico sono spesso a carattere locale (Xerox, Canon,HP, AGFA, Epson) e di coordinamento circa le tecnologie (Macchingraf, TAGA eADOBE) e i materiali (Favini, Garda, Burgo, Sappi e Cordenons). Più interessantesegnalare quelli del settore meccanico con DMG, Domotecnica, FederMeccanica,Heidenhain, Paiggio, Sandvik Coromant, Scheneider Eletric e Siemens. In partico-lare quello firmato con un Protocollo di Intesa il 29 maggio 2008 relativo al pro-getto TechPro2 con FIAT GROUP AUTOMOBILES Spa (FGA) è significativo, ri-prende, infatti, quelle scuole aziendali degli anni trenta che tanto sostennero il set-tore meccanico. L’Accordo di collaborazione prevede l’azione congiunta per la for-mazione dei formatori, l’allestimento di laboratori specializzati da parte di FIAT ela collaborazione con le officine attrezzate su tutto il territorio nazionale per realiz- 118 zare stage e facilitare l’inserimento lavorativo. Il progetto prevede sviluppi negliambiti della carrozzeria (in Italia, in Brasile, in Argentina e in India) e della guidasicura. Con il progetto TechPro2, FIAT garantisce l’allestimento di numerosi labora-tori in vari CFP della Federazione CNOS-FAP e la formazione dei formatori. IlCNOS-FAP collabora con FIAT soprattutto attraverso l’organizzazione di stage eazioni formative volte a qualificare giovani e adulti nel comparto dell’auto. L’alloravicepresidente ed ex allievo Mauro Veglia gioiva per l’opportunità di colmare ilgap di domanda di autoriparatori qualificati e contemporaneamente generare unapromozione sociale con virtuosi effetti di integrazione.Attenzione socialeIl punto forte dell’attenzione sociale è indubbiamente l’attività ordinaria delsingolo centro. Fatto di percorsi di alfabetizzazione, progetti di socializzazione eantidispersione, stage in aziende mirate all’inserimento lavorativo, educazione eorientamento integrali e integrate. Sono tuttavia interessanti alcuni accordi diampio respiro. Nell’ambito del Bando FondER Avviso 1/09 è stato approvato ilProgetto: “Progettare in autonomia”. Il CNOS-FAP è l’ente attuatore mentre ilCNOS/Scuola ne è il partner. Si tratta di un piano formativo composto da dodiciprogetti organici ed articolati tra di loro, nato in risposta all’esigenza, manifestatadagli stessi enti beneficiari, di strutturare un percorso integrato di formazione ingrado di fornire ai docenti, ed in particolare ai docenti neoassunti, le competenzechiave e quelle trasversali necessarie da una parte a comprendere appieno le princi-pali innovazioni del sistema educativo di istruzione e formazione italiano e, dal-l’altra, ad acquisire una precisa conoscenza dell’identità, della strategia educativa edella pedagogia alla base del carisma salesiano di don Bosco. Con il Bando 2007, Fondazione per il Sud ha erogato un finanziamento negliambiti d’intervento “Educazione dei giovani” e “Sviluppo del capitale umano dieccellenza” per il sostegno di “Iniziative esemplari” nel Mezzogiorno, cioè progettiche “per contenuto innovativo, impatto e rilevanza territoriale possono diveniremodelli di riferimento per l’infrastrutturazione sociale”. In particolare la Fonda-zione ha inteso sostenere attività che favoriscono lo sviluppo di comunità locali at-tive, coese e solidali, di organizzazioni della società civile pluralistiche, capaci diesprimere bisogni e proposte condivisi. I progetti sono stati attuati nelle Regionidell’Italia meridionale. In quest’ottica è stato presentato il progetto “Occupiamocidi loro”, con l’obiettivo di sviluppare e sperimentare un modello multi-regionale diazioni integrate volte al contrasto della dispersione scolastica e a favorire la forma-zione, l’inclusione sociale e l’inserimento professionale di giovani e adolescenti delSud. Il progetto “Occupiamoci di Loro”, l’unico progetto dei Salesiani a esserestato approvato e finanziato, ha una durata di 18 mesi e terminato nel mese di Feb-braio 2010; è stato realizzato dalla Federazione SCS - Salesiani per il sociale, inpartenariato con il CNOS-FAP e il CIOFS/FP. Le Regioni interessate sono Cam-pania, Puglia, Calabria e Basilicata. 119 L’IPSIA-Monza ha presentato e realizzato, in qualità di istituto coordinatore, ilprogetto “ValeRIA: Assessing Learning and Teaching Relation”, nell’ambito delProgramma Leonardo da Vinci “Progetti multilaterali per il trasferimento di inno-vazione”. Il CNOS-FAP ha partecipato nel Comitato di Pilotaggio e nella dissemi-nazione delle “Linee guida per la valutazione della relazione insegnamento-appren-dimento e strumenti da utilizzare”, presso i propri Centri. Il progetto ValeRIA, hafornito alle Scuole secondarie di secondo grado e ai Centri di Formazione Profes-sionale coinvolti, metodologia e strumenti di lavoro per testare e valutare quale re-lazione intercorre tra insegnamento e apprendimento e come essa influenzi il suc-cesso formativo degli studenti. 4.2.4. Bilancio della sezione storicaGuardando alla globalità della sezione storica, possiamo ricavare alcuni pre-ziosi contributi che saranno poi analizzati e ripresi nella sezione analitica. La per-sonale intuizione di don Bosco e dei primi laboratori di Valdocco ha avuto uno sta-bile seguito nelle scuole professionali dell’istituzione salesiana. Emerge in modoforte che l’impegno per i giovani operai è essenziale alla missione salesiana e sicompenetra nella cura per le vocazioni attraverso la cura personale di un’educa-zione che avvia alle scelte di vita.I momenti difficili e anche contradditori, le fatiche dei balzi generazionali e di-mensionali hanno trovato personalità di grande carisma che avevano particolar-mente a cuore questo ambito, impedendo alla Congregazione di sbilanciare il pro-prio impegno in modo esclusivo verso oratori o scuole liceali. Tra i più importantiricordiamo Michele Rua e Giuseppe Bertello. La preoccupazione pratica è origi-naria per rispondere ai bisogni urgenti dei tempi e originante una peculiare moda-lità d’integrare le istanze di una maggior formazione teorico-culturale. Questa mo-dalità porta a valorizzare una modalità didattica caratterizzata dalla praticità e dalmetodo induttivo.La crisi degli anni ’60 e ’70 che si sovrappone all’aumentare dei fronti dellamissione salesiana con nuove parrocchie e centri specializzati in emarginazione,disagio e recupero ha frenato le spinte in alcuni Paesi Europei che pagavano la finedella figura del consigliere generale per la Formazione Professionale. Questo feno-meno è stato colmato in Italia per il coordinamento effettuato dal CNOS-FAP, cheha anche permesso di tenere viva una riflessione attenta alle peculiarità proprie edistintive rispetto al mondo scolastico.A livello di pensiero e di alto governo è chiara l’importanza di un ampio eserio coinvolgimento dei laici e della necessità di formarli per una vocation cari-smaticamente qualificata. Ci sono ancora passi da fare a livello realizzativo pertrovare i nuovi equilibri. Questo processo rilancia e rinnova la stima per la pro-mozione sociale dei più bisognosi, che ha da sempre attirato le simpatie degli am-bienti laici e anche laicisti, specialmente in momenti di depressione economica edi scarso interessamento delle pubbliche amministrazioni alle prese con vincoli di 120 bilancio. Questo è stato fonte di grossi impegni per sostenere il sistema paritario diFormazione Professionale nel rispetto della Sussidiarietà e di ritradurre il carismaeducativo. L’ottica della qualità concentra l’attenzione sull’orientamento alle com-petenze, sull’apprendimento laboratoriale, sulla valutazione dei processi di ap-prendimento, sullo sviluppo del modello organizzativo polifunzionale e sulla valo-rizzazione della peculiarità salesiana, che ha permesso alcune scelte di campo sulpiano metodologico. L’attenzione al valore educativo del lavoro è importante sia dal punto di vistadella motivazione dell’allievo sia da quella della preparazione professionale dadare. L’interesse per la persona del giovane si concretizza nell’accoglienza checonsidera non solo le carenze, ma anche le potenzialità di maturazione. Questo erachiamato cura vocazionale in passato, orientamento e personalizzazione in tempipiù recenti, ma attengono tutti allo stile di attenzione alla concreta e irripetibile per-sonalità del giovane che si ha davanti. Sembra banale ricordarlo solo ora, ma il “la-voro” di formare un giovane lavoratore è tutt’altra faccenda rispetto al lavoro di untornitore che ripete precise mansioni su un materiale sempre uniforme, standard.L’educazione è un’arte che crea capolavori umani, unici e irripetibili. Questa atten-zione si fonde nell’inserimento nel mondo del lavoro che non porta mai a trascu-rare un orizzonte più ampio di maturazione globale della persona. Questa attenzione e il metodo educativo, denominato sistema preventivo, conla sua capacità di orientare, per il suo concentrarsi sull’educazione (che è moltopiù che una mera istruzione o passaggio di informazione o tecniche) è l’autenticoamplificatore.Il criterio permanente resta “con i tempi e con don Bosco”. Oggi chiede di tute-lare il carisma con la presenza di laici che non hanno la fortuna di avere anni di for-mazione specificatamente dedicata come i religiosi, la ricerca delle migliori modalitàgestionali e contrattuali ed infine il rinnovamento del successo formativo rilancian-dosi in settori nuovi e con modalità didattiche e relazionali al passo coi tempi. 4.3. Centri dell’ Ispettoria Lombardo Emiliana Obiettivo di questo paragrafo è presentare le realtà di due Centri CNOS per evi-denziarne le peculiarità all’interno dell’opera salesiana e il loro operare concreto. 4.3.1. CFP presso Istituto Salesiano Beata Vergine di San Luca - Bologna53La casa salesiana sorge nel 1898 per forte desiderio del card. Svampa; da subitosi attivano i laboratori per calzolai, sarti, meccanici e falegnami secondo l’idea che“le nostre maggiori attenzioni sono rivolte soprattutto ai giovani delle scuole profes- 53 Volume del centenario, Catalogo CNOS. 121 sionali, opera così necessaria per la formazione di buoni e abili operai”(direttoreTommaso Kopa). Negli anni attorno al 1930 si costruisce la seconda ala dell’istitutoe crolla per un terremoto la cupola del Santuario del Sacro Cuore, mentre si avviava-no la scuola media e i laboratori di elettromeccanica. Con la ricostruzione, nel primodopoguerra, si modernizzano l’oratorio e i laboratori, conservando l’indole popolaree professionale della presenza salesiana. L’Avviamento Professionale viene trasfor-mato in CAP e, nel 1970, in CFP dell’associazione CNOS. Nel 1963 si apre l’IstitutoTecnico Meccanico, nel 1983 l’Istituto Professionale con lo stesso indirizzo, nel 1987l’ITI di Elettronica e Telecomunicazioni e nel 1996 l’IPS in grafica pubblicitaria.Attualmente, oltre alle attività parrocchiali e oratoriane sono attivi la scuolamedia, il liceo scientifico, l’ITI in elettronica e corsi di Istituto Professionale ingrafica e meccanica. L’ente accreditato CNOS ha 19 dipendenti e 264 allievi ederoga 10.050 ore di formazione in grafica stampa e operatore su macchina utensilenella FPI attraverso il biennio per costruttori su macchina utensile e grafici distampa. Il Centro è accreditato come sportello orientativo in collaborazione con ilCOSPES (Centro di Orientamento Scolastico Professionale e Sociale) ed è anchesportello convenzionato con la Provincia di Bologna. Sono significativi i corsiIFTS post diploma per grafici prestampa e per la comunicazione multimediale e laFormazione continua per immigrati e disoccupati nel settore meccanico. A livellodi Qualità è certificato secondo la norma UNI EN ISO 9001:2000. 4.3.2. CFP presso Opere Sociali Don Bosco - Sesto54Su invito del Card. I. Schuster, Arcivescovo di Milano, i Salesiani di donBosco iniziano la loro attività nel quartiere “Rondinella” – al confine tra Sesto S.Giovanni e Cinisello Balsamo – nel 1948. In seguito l’Opera Salesiana sarà ricono-sciuta giuridicamente come “Ente concordatario” denominato “OPERE SOCIALIDON BOSCO”, con Decreto del Presidente della Repubblica del 10 giugno 1950.Nel 1955 i Salesiani subentrano alle quattro maggiori Società industriali se-stesi di allora, Acciaierie e Ferriere Lombarde Falck, Finanziaria Breda, Ercole Ma-relli e C., Fabbrica Italiana Magneti Marelli nella gestione delle “Scuole IndustrialiSestesi” sorte a favore degli studenti lavoratori, le riorganizzano e le rilancianodando loro una nuova sede sull’attuale v.le Matteotti.L’inaugurazione ufficiale della nuova sede delle “Scuole Industriali”, vengonodenominate “Salesiane”, da parte di S. Ecc.za Mons. G.B. Montini, Arcivescovo diMilano. Nell’agosto dello stesso anno il Ministero del Lavoro e della PrevidenzaSociale autorizza il funzionamento del “Centro di Addestramento Professionale E.Falck”, che inizia subito la sua attività con corsi diurni e serali per aggiustatori mec-canici, operatori macchine utensili, saldatori, elettromeccanici, installatori elettrici.Nel 1962 iniziano i lavori per la costruzione della nuova ala per laboratori e 54 Volume del cinquantenario, Catalogo CNOS. 122 officine. Trovano così più ampio spazio i laboratori di elettromeccanica, elettronicaindustriale e cinque aule scolastiche. Nell’anno scolastico 1963-64 prende avvionell’ITI l’indirizzo di elettronica industriale. Le scuole professionali sono trasfor-mate in Scuola Media Unica.Il Centro di Addestramento Professionale, dipendente dal Ministero del La-voro, si trasforma in Centro di Formazione Professionale (CFP) convenzionato conla Regione Lombardia. Nel 1982 l’ITI introduce la specializzazione in informatica,nel 1985 iniziano i lavori per alzare di un piano il palazzo centrale delle aule, dal1990 il biennio dell’Istituto Tecnico Industriale passa a orario e a ordinamentodiurno, nel 1994 all’interno dell’ITI prende avvio la sperimentazione “Brocca” condue sezioni di “liceo” scientifico-tecnologico. In tale circostanza sia la scuolamedia inferiore che quella superiore iniziano ad accogliere anche le ragazze. IlCentro di Formazione Professionale attiva a sua volta corsi di 2° livello, sia di ag-giornamento professionale che post-diploma e corsi per lavoratori disoccupati o incassa integrazione. Nel 1997 inizia una nuova sperimentazione all’interno dell’ITI:il Biennio tecnologico professionale di orientamento “Valdocco”, per favorire, invista dell’innalzamento dell’obbligo scolastico, un percorso diversificato rivolto airagazzi che sono più portati alle dimensioni tecnico-operative; questo percorso notocome OTP è unico a livello nazionale. Nel 2003, per rispondere alle mutate ri-chieste del territorio, si inizia il Liceo Scientifico tradizionale e nel 2010 prendeavvio il liceo delle Scienze Umane.Attualmente il CFP, certificato UNI EN ISO 9001:2000, ha 33 dipendenti e 343allievi ed eroga 12.666 ore di formazione con percorsi in DDIF di installatore e ma-nutentore di impianti elettrici civili e industriali, operatore alle macchine utensili. Trale attività di formazione continua e tra i corsi non finanziati dall’ente pubblico spic-cano corsi di automazione PLC, controllo numerico CNC, disegno CAD e modella-zione solida. Il Centro è accreditato a livello regionale come sportello orientativo. Nel novembre 2009 ha ricevuto dal Presidente della Regione e dall’Assessoreall’Istruzione, Formazione e Lavoro il titolo di Centro d’eccellenza insieme ad altri44 Centri Lombardi (tra i quali l’Accademia del Teatro La Scala e la cooperativasociale Ikaros per l’aggionamento dei lavoratori nel polo del settore nautico)55. 4.4. Lo sguardo sul futuro La legislazione nazionale e la frammentarietà regionale hanno uno sguardo dibreve durata, spesso influenzato dalle vicende elettorali molto più che da sguardiprofetici o quantomeno tecnici di ampio respiro. Tuttavia i comunicati dell’UnioneEuropea sembrano avere uno sguardo sufficientemente ampio e lanciano linee pro- 55 “Lombardia Notizie” del Novembre 2009 disponibile sul sito http://passporto.emedea.it/files/rassegnaStampa.pdf 123 grammatiche per il prossimo decennio, stanziandovi fondi abbastanza significativi.Per questo motivo sono la prima fonte che presentiamo. Successivamente presente-remo le delibere del Capitolo Generale 26°, che si esprime direttamente circa lequestioni che abbiamo analizzato ponendo determinati obiettivi per il sessennio2008-2014, in un percorso che si interseca con i preparativi del bicentenario dellanascita di don Bosco nel 2015. 4.4.1. Documenti dell’Unione EuropeaIl presente della IeFP è stato fortemente influenzato dalle decisioni del ConsiglioEuropea a Lisbona nel marzo 2000. L’obiettivo dichiarato era quello di rendere l’U-nione la più competitiva e dinamica economia della conoscenza entro il 2010. I passipiù salienti sono la dichiarazione di Copenhagen che ha tracciato le linee per la coo-perazione in materia d’Istruzione e Formazione Professionale, la decisione n.2241/2004/CE che ha impostato l’Europass per la trasparenza delle qualifiche e dellecompetenze e nel 2006 il FSE, il FESR e Fondo di coesione che si sono riformati ecoordinati, operazione rinnovata con il regolamento n. 846 del 1 settembre 2009.I due Comunicati che gettano luce sul futuro sono quello di Bordeaux del 2008e quello di Bruges del dicembre 2010.Bordeaux valuta il raggiungimento di Lisbona 2010 e propone la realizza-zione di:• un quadro unico per la trasparenza di competenze e qualifiche, con l’inten-zione di riunire in un unico formato i vari strumenti di trasparenza (come ilCurriculum Vitae Europeo);• un sistema di trasferimento di crediti per l’Istruzione e la Formazione Profes-sionale, che s’ispira al successo del Sistema europeo di trasferimento di creditinell’istruzione superiore (noto come Processo di Bologna);• un nucleo di principi qualitativi comuni grazie all’operato del Forum europeosulla qualità;• una serie di principi comuni per la convalida dell’istruzione formale e infor-male, per garantire una maggiore compatibilità fra gli approcci dei vari Paesiai vari livelli;• l’orientamento professionale permanente, per consentire ai cittadini di fruire diun migliore accesso all’apprendimento lungo tutto l’arco della vita (LongLifeLearning Program - LLP).Con la riunione di Bordeaux viene introdotto un nuovo obiettivo: rafforzare ilegami tra la formazione e il mercato del lavoro che si inserisce nella cornice del-l’iniziativa “Nuove competenze per nuovi lavori” della Commissione.La Commissione Europea con il comunicato di Bruges56, a seguito del parziale 56 Comunicato della Commissione di Bruges sulla cooperazione europea nell’Istruzione e For-mazione Professionale 2011-2020. 124 raggiungimento degli obiettivi fissati dalla strategia di Lisbona per il 2010, ha pro-posto per il prossimo decennio di concentrare gli sforzi della futura cooperazioneeuropea in materia di Istruzione e Formazione su 4 assi strategici:• nuovo impulso all’istruzione e alla Formazione Professionale in Europa: perfare ciò abbiamo bisogno di sistemi educativi e formativi flessibili e di altaqualità, in grado di soddisfare i bisogni di oggi e di domani; • migliorare la qualità e l’efficacia dell’istruzione e della formazione: dobbiamonecessariamente migliorare le capacità dell’IeFP di rispondere alle richiestedi un mercato del lavoro in evoluzione …. In qualità di soggetti del mercatoeducativo globale, i sistemi nazionali di IeFP devono essere collegati con ilresto del mondo per restare aggiornati e competitivi … Entro il 2020, i sistemieuropei di IeFP dovranno essere più attraenti, orientati alla professione, inno-vativi, accessibili e flessibili rispetto al 2010 e dovranno contribuire ad au-mentare il livello di eccellenza e di uguaglianza nella formazione continua e inquella iniziale;• favorire l’equità e la cittadinanza attiva: promuovere la cittadinanza attiva, adesempio incoraggiando la collaborazione tra i fornitori di IeFP e le organizza-zioni della società civile;• promuovere l’innovazione e la creatività – compreso lo spirito di impresa – atutti i livelli dell’istruzione e della formazione: i Paesi partecipanti dovrebberosostenere le iniziative intese alla promozione dell’imprenditorialità. 4.4.2. Documenti EcclesialiIl Papa in persona ha scritto alla sua chiesa di Roma in margine alla “grandeemergenza educativa, confermata dagli insuccessi a cui troppo spesso vanno in-contro i nostri sforzi per formare persone solide, capaci di collaborare con gli altri edi dare un senso alla propria vita”57. Da quello scritto il termine “emergenza educa-tiva” è divenuto un must, con un moltiplicarsi di convegni e pubblicazioni sia sulfronte ecclesiale sia su quello più marcatamente laico. Questa attenzione ha portatola Conferenza Episcopale Italiana a portare l’attenzione programmatica degli“Orientamenti Pastorali per il Decennio 2010-2020” proprio sul tema dell’educa-zione. La sfida educativa chiede la promozione di un’ampia alleanza educativa tratutti soggetti e le realtà coinvolte. Solo una stretta collaborazione e sinergie ade-guate tra gli educatori rendono possibile una risposta e proposta adeguata alla cre-scita armonica delle nuove generazioni. Il documento è attento a dinamiche nonstrettamente parrocchiali o clericali e afferma che “i Centri di Formazione Profes-sionale d’ispirazione cristiana fanno parte a pieno titolo del sistema nazionale diistruzione e formazione. Nel rispetto delle norme comuni a tutte le scuole, essi 57 BENEDETTO XVI, Lettera alla Diocesi e alla città di Roma sul compito urgente dell’educa-zione, Roma, LEV, 2008. 125 hanno il compito di sviluppare una proposta pedagogica e culturale di qualità, radi-cata nei valori educativi ispirati al Vangelo”58. 4.4.3. Documenti SalesianiIl CG26 ha sviluppato 5 grandi obiettivi per il sessennio 2008-2014:• “ripartire da don Bosco”: attraverso la conoscenza della sua storia, pedagogia espiritualità, anche in preparazione al suo bicentenario, si vuole ravvivare il ca-risma nella fedeltà alle origini.• “Urgenza di evangelizzare”: pronti alle considerazioni ecclesiali che eviden-ziano la situazione di scristianizzazione del continente avvolto da una pro-fonda crisi identitario-culturale ci si propone un impegno nel nostro specificoecclesiale, anche attraverso il cosiddetto “Progetto Europa” che si pone l’ambi-zioso obiettivo di approcciare le attività in Europa con criteri di missione attra-verso, tra l’altro, l’invio di confratelli dagli altri continenti.• “Necessità di convocare”: disponibili ad accogliere confratelli in missione inEuropa, ci si interroga profondamente sulla crisi vocazionale e si ambisce aproporre scelte di vita impegnata soprattutto nella logica del “per sempre”.• “Povertà evangelica”: oltre alle dinamiche di coerenza della testimonianza dipovertà personale e comunitaria si lanciano le ipotesi per i possibili modelligestionali delle Opere.• “Nuove frontiere”: le priorità sono i giovani più poveri, la comunicazione so-ciale, le famiglie e l’Europa.Per quanto riguarda questo ultimo obiettivo, la declinazione scelta dalla pro-vincia religiosa ILE (che corrisponde al territorio delle Regioni Lombardia edEmilia Romagna) coinvolge primariamente i CFP. Mentre in altre realtà si sonopensati progetti di strada, presenze leggere nei quartieri difficili, oratori “volanti”,apertura di presenza in stati in particolare difficoltà (come attraverso il VIS-Volon-tariato Internazionale per lo Sviluppo in Albania); l’Ispettoria è giunta alla scelta divalorizzare e potenziare questi suoi Centri dove la missione di strada, i più poverigià ci vengono incontro. Questo ha permesso il rimodernamento di alcune realtà alivello strutturale e l’implementazione di presenze in rete dinamiche59. 4.5. Rilancio per una buona analisi Le conclusioni della sezione storica sono già state esposte nel paragrafo 4.3.Obiettivo di queste ultime righe è rilanciare lo sguardo, visti i tanti contributi che 58 CEI, Educare alla Vita Buona del Vangelo. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano peril decennio 2010-2020. disponibile su: http://www.chiesacattolica.it/cci_new_v3/allegati/15926/Orientamenti%20pastorali%202010.pdf 59 Esemplare è l’animazione del sito del Centro di Arese (www.salesianiarese.it) interfacciato suiprincipali social network. 126 vogliono guardare al futuro. Nostro desiderio è porre uno sguardo sistematico ana-litico per meglio progettare questo futuro. Per fare questo la sezione analitica get-terà uno sguardo sugli attuali risultati formativi della Formazione Professionale sa-lesiana. La capacità di inserimento nel mondo del lavoro e in altri circuiti formativiattraverso un raffronto di indici quantitativi e raffronti qualitativi attraverso inter-viste a ex allievi ora imprenditori, formatori, salesiani, etc. Per la ricerca di questespecificità educative e dei modi per tutelarle ci affideremo all’impianto teorico diBruni e Smerilli presentato in “La leggerezza del Ferro” cercando di dargli gambe ecuore salesiani. 127 SEZIONE ANALITICA 129 Capitolo quintoAnalisi del successo formativo Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi?Così ogni albero buono produce frutti buonie ogni albero cattivo produce frutti cattivi. […]Dai loro frutti dunque li potrete riconoscere.(Mt 7, 16b-17.20) Dopo aver esplorato la traiettoria storica della Formazione Professionale Sale-siana, in questo capitolo ci dedicheremo a un’analisi economico-istituzionale at-traverso uno studio comparativo. Dopo aver delineato le particolarità dell’ambitodella cura alla persona (§1) e gli indicatori che possono essere scelti per effettuaremisurazioni sul suo operare (§2), daremo la parola, in secondo luogo, ai più recentistudi del settore: con la ricerca ISFOL mostreremo la bontà del sistema nazionalenel suo complesso e con una ricerca promossa dal CNOS-FAP cercheremo i risulta-ti ottenuti dai centri salesiani (§3). Queste ricerche non ci forniranno dati effettiva-mente comparabili, principalmente a causa della non totale omogeneità dei campio-ni. Questo accresce il valore della nostra ricerca quantitativa sulla Regione Emilia-Romagna, ove proporremo un’analisi comparativa sulla base dei dati fornitici dal-l’apposito ufficio di accreditamento per gli enti erogatori di Formazione (§4).Concluderemo evidenziando le peculiarità dei risultati dei Centri CNOS-FAP attra-verso delle interviste che danno voce alle biografie di ex-allievi ora occupati in mo-do significativo in ambito imprenditoriale, lavorativo, ecclesiale e salesiano (§5). 5.1. Il mercato della cura richiede un “plus” I servizi della cura alla persona (per esempio: educazione e sanità) sono statitradizionalmente offerti dalla famiglia (in particolare dalle donne), dalle comunità edalla Chiesa, specialmente dai religiosi. Gli operatori in questi settori hanno dasempre assunto una stretta identificazione “vocazionale”. Anche oggi dove si puòparlare a tutti gli effetti del “mercato della cura”, per queste professioni “relazio-nalmente sensibili” ci si aspetta un plus motivazionale. Quando affidiamo un bam-bino a un asilo o un caro parente malato a una clinica ci si aspetta che gli addettifacciano di più rispetto allo svolgere diligentemente il mansionario per le ore stabi- 130 lite, come ci si aspetta ad esempio da qualunque operaio in catena di montaggio; cisi aspetta che il medico che sia pronto a parlarci e spiegarci nei dettagli le condi-zioni del malato, si pretende che lo faccia con gentilezza. Ci si aspetta che una maestra custodisca i bambini finché non arrivano i geni-tori a ritirarlo, si pretende che si relazionino nel miglior modo possibile1. “Do-mande circa la moralità e il tono affettivo e il non opportunismo degli agenti sonoparticolarmente rilevanti quando il mercato entra nel terreno della cura delle per-sone a noi care”2. È possibile affrontare queste faccende dal punto di vista econo-mico superando ogni dicotomia circa la reciprocità e la gratuità. Approfondiremopiù avanti l’importanza per i candidati agenti in questi ambiti della vocazione, ov-vero dell’interesse non esclusivo al salario e agli incentivi materiali. L’agente convocazione attribuisce un valore intrinseco all’attività che svolge, traendo una uti-lità, una soddisfazione. Lavorare non è solo un effort che deve essere controbilan-ciato da un wage, ma l’attività stessa fornisce intrinsecamente una utilità.Queste peculiarità sono già da tempo approfondite relativamente all’ambito dellacura sanitaria3 e in modo più embrionale circa l’ambito educativo. Crediamo, senzatroppe pretese di fare affermazioni assolute in un ambito che richiede ancora appro-fondimenti da parte delle scienze umane, che l’evidente plus richiesto nell’educazio-ne sia ancora più marcato nella formazione professionale. Sempre di più e sempre piùspesso si inseriscono in questo ambito persone con gravi difficoltà nel percorso scola-stico (Burn out), con problematiche e tensioni famigliari, con tutte le fatiche della pri-ma e spesso recentissima immigrazione nel nostro paese. Spesso il percorso profes-sionale svolge la funzione di permettere i rudimenti della cittadinanza attiva fornendogli strumenti linguistici elementari, specialmente per i gruppi etnici che tendono a vi-vere in modo autarchico e poco aperto e inserito con il resto della società. 5.2. Plus: cosa si intende per successo? Il termine “successo scolastico” è normalmente inteso come la conclusionedegli studi nei tempi previsti con una preparazione adeguata, mentre il “successoformativo” viene identificato con il pieno inserimento a tutti i livelli della vita so-ciale al termine del più ampio percorso educativo. Le diverse visioni concepisconoqueste dimensioni talvolta come dicotomiche (la prima riguarda la scuola e la se-conda la IeFP), talora come inclusive (la seconda ingloba la prima) oppure in modocomplementare. In realtà, la teoria e gli indicatori riguardano principalmente l’in-successo misurando gli abbandoni, le ripetenze, le bocciature, gli esiti scadenti, 1 BRUNI L. - SMERILLI A., La leggerezza del ferro. Un’introduzione alla teoria economica delleOrganizzazioni a Movente Ideale, Milano, Vita e Pensiero, 2011.2 Ibid., 30. Corsivo nostro.3 VIAFORA C. - ZANOTTI R. - FURLAN E., L’etica della cura. Tra sentimenti e ragioni, Milano,Franco Angeli, 2007. 131 l’inoccupazione, la disoccupazione, l’incoerenza formativa. Nella riflessione che èstata compiuta dal Centro Studi per la Scuola Cattolica della CEI4 si ampliano note-volmente gli orizzonti.Gli indicatori sono articolati in 4 settori: il contesto che rappresenta un insieme struttu-rato di relazioni e di appartenenze a livello ideale e concreto e fa da quadro situazionaledi riferimento entro il quale si svolge la vita delle scuole e dei CFP; le risorse che costi-tuiscono il punto di partenza del processo di insegnamento-apprendimento e ne assicu-rano le condizioni di alimentazione; i processi che specificano le modalità di organizza-zione del servizio formativo; gli esiti che si riferiscono ai risultati formativi a breve e alunga durata5.L’aspetto dei risultati, oggetto di questo capitolo, è affrontato su quattro ambiti: due riguardano direttamente le istituzioni formative e cioè l’immagine esterna (le rap-presentazioni del servizio scolastico e formativo da parte dei soggetti esterni) e la soddi-sfazione dei diversi soggetti (i livelli di soddisfazione delle attese da parte dei diversisoggetti, committenza, clienti, personale); due invece si riferiscono specificatamente aglistudenti e agli allievi e sono i risultati formativi (livelli di apprendimento e di matura-zione, conseguiti dall’azione educativo-formativa della scuola o del centro) e l’impattosocio-culturale (ricaduta dell’azione educativo-formativa della istituzione formativa sulpiano del successo scolastico e professionale, sociale e culturale). A nostro parere sonoquesti due ultimi indicatori a descrivere il successo scolastico (e il termine va riservatoal caso in cui si è iscritti al sottosistema dell’istruzione) e formativo (se invece si fre-quenta l’IeFP); tuttavia, ancora rimangono nelle definizioni richiamate delle commi-stioni con la qualità dell’istituzione formativa6.Usciamo da queste considerazioni per focalizzarci sulle analisi dei dati a dis-posizione relativi al panorama nazionale che ci porterà ad approfondire la crisi eco-nomica con sguardo europeo. L’incomparabilità dei dati non ci permetterà un com-pleto studio comparativo sui dati nazionali. Questo ci ha portato ad elaborare unanostra analisi su scala regionale attraverso i dati fornitici dalla Regione Emilia-Ro-magna relativi al sessennio 2003-2008. 5.3. Indagini esistenti Presentiamo anzitutto le due più recenti indagini svolte sull’intero territorionazionale italiano. La prima realizzata dall’ISFOL7 confermerà ampiamente labuona salute del sistema e le migliori performance rispetto agli istituti scolastici. 4 CSSC - CENTRO STUDI PER LA SCUOLA CATTOLICA, Per una cultura della qualità: Promozione everifica. Scuola cattolica in Italia. Terzo Rapporto, Brescia, La Scuola, 2001; MALIZIA G. - CICATELLI S.(a cura di), Dieci anni di ricerche (1998-2008). Scuola Cattolica in Italia, Brescia, La Scuola, 2008.5 MALIZIA G. - PIERONI V., L’inserimento nel lavoro degli allievi della IeFP salesiana. Il caso deiqualificati dei settori “Meccanica Auto” ed “Elettro-Elettronico” nell’anno 2009, in “RassegnaCNOS” 3/2010, p. 127.6 Ibid., p. 128.7 ISFOL, Gli esiti formativi dei percorsi triennali, Sintesi dell’indagine ISFOL, 2011. 132 Tale ricerca è particolarmente preziosa perché ci permette di studiare il fenomenocon l’orizzonte temporale dei tre anni. La seconda, svolta invece dal CNOS-FAPsui centri salesiani, ha un solo anno di orizzonte temporale e subisce maggiormentegli effetti della crisi. 5.3.1. Gli esiti formativi e occupazionali dei percorsi triennaliLa prima indagine nazionale sui risultati formativi e occupazionali dei qualifi-cati nei percorsi triennali di IeFP si è svolta tra il luglio 2010 e il febbraio 2011 suun campione di 3600 qualificati nell’a.s.f. 2006/2007. Questi allievi si erano iscrittinell’a.s.f. 2004/2005, dopo un solo anno dall’Accordo del 2003, in una fase di in-tensa ridefinizione del’offerta. La ricerca è stata condotta su un campione stratifi-cato sulle variabili di genere, cittadinanza, area geografica, status socioeconomicodella famiglia, corso a titolarità scolastica o d’agenzia ed indirizzo professionale.La modalità è l’intervista telefonica a più di tre anni dalla qualifica.Il campione è formato dal 59% di maschi, di cittadinanza italiana (94%),iscritti a corsi gestiti da agenzie per il 60%, provenienti da famiglie di operai per il55%, con genitori scolarizzati fino alla licenza media (61%). Il voto finale dellascuola media è “sufficiente” per il 42% e “buono” per il 55%.L’85% afferma che rifarebbe la stessa scelta formativa, mentre la soddisfazioneè valutata complessivamente con un voto medio di 8,3/10, le valutazioni più positiveriguardano i giudizi sulle relazioni coi compagni e quelle sugli insegnati. Di seguitoriportiamo i principali risultati formativi e occupazionali dei soggetti coinvolti.Esiti formativiDopo la qualifica, i percorsi generano un effetto positivo sulla motivazioneagli studi.La scelta di continuare a studiare mostra la preferenza netta per il canale del 4°anno rispetto al rientro nel circuito scolastico; questa possibilità è purtroppo pre-vista solo in Lombardia, Liguria, Tentino Alto Adige e in avviamento in Piemonte. Fonte: ISFOL Figura 1: Scelte formative subito dopo la qualifica 133 Le motivazioni di questa scelta sono eterogenee, ma presentano una netta mag-gioranza verso quelle intrinseche (messe in evidenza del grafico). Risultano moltomarginali quelle legate a imitazione o coercizione.Possiamo concludere che la Formazione Professionale, soprattutto quandosvolta dalle agenzie, sostiene la motivazione nei confronto dello studio e della ri-cerca di soddisfazioni nel lavoro.Esiti occupazionali - Primo impiegoGli indicatori presi in esame sono i tempi di primo inserimento, la stabilità la-vorativa e la coerenza occupazionale. I risultati più significativi sono l’inserimentoimmediato (entro tre mesi) per il 50% dei soggetti che sale al 59% a tre anni. Leperformance migliori sono quelli delle agenzie e degli indirizzi industriali, mentrefaticano maggiormente gli indirizzi dei servizi alle imprese. Dopo un anno lavora il70% degli ex allievi delle agenzie e il 50% degli ex allievi delle scuole. Fonte: ISFOL Figura 3: Posizione Occupazionale al primo impiego Fonte: ISFOL Figura 2: Motivazioni della prosecuzione degli studi 134 La maggioranza inizia la propria esperienza lavorativa in posizioni generichecon mansioni manuali e di routine, aspetto assai normale considerando la giovaneetà ed essendo quasi per tutti la prima esperienza lavorativa. Resta stabile il 57%del campione lavorante e il 64% in un lavoro coerente con il percorso formativo.Esiti occupazionali - lavoro attualeDopo tre anni la moda del campione è 59,1% relativo allo status di occupato,mentre il tasso dei disoccupati che avevano un lavoro è alto, segno evidente deglieffetti della crisi; per la maggior parte di essi si tratta infatti di contratti a tempo de-terminato non rinnovati. Sono particolarmente significative le differenze geografiche e di genere. Perun soggetto maschio in cerca di lavoro, il gap tra Nord-Ovest e Sud supera i 20punti. Fonte: ISFOL Figura 4: Condizione attuale degli intervistati Fonte: ISFOL Tabella 1: Condizione occupazionale per area geografica e genere (valori in percentuale) 135 La maggior parte dei lavoratori è soddisfatto della formazione ricevuta, valu-tandola come utile e coerente. Il disallineamento soddisfazione e utilità è più sensi-bile per tre classi:• area geografica: nella regione meridionale sono soddisfatti (39,1%), ma la re-putano inutile ed inefficace (36,5%);• indirizzo professionale: i qualificati nel servizio alle imprese sono poco soddi-sfatti (35,5%) rispetto agli elettronici (60,5%);• titolarità: i qualificati nelle agenzie sono soddisfatti (54,2%) della formazionecoerente (51%) più dei qualificati nelle scuole (soddisfazione 40,8% e coe-renza 37,5%).Valutazioni del sistemaLa Formazione Professionale ha buone capacità di rimotivazione allo studio edi inserimento nel mondo del lavoro. Tale inserimento è, diversamente dalle fre-quenti illazioni ideologiche, scevro da una precarietà più marcata dello scenario eco-nomico generale; infatti, tra i lavoratori dipendenti (87% del totale), il 36% è in ap-prendistato, ben il 33% è a tempo indeterminato e solo il 25% ha un contratto a tem-po determinato. Il positivo giudizio è, però, assai asimmetrico: le agenzie si dimo-strano migliori nel tempo di primo impiego, nell’occupabilità totale, nel successo to-tale, nelle valutazioni di utilità e coerenza e in quelle di soddisfazione. Molto positi-vo, nonostante il rallentamento dovuto alla quasi totale assenza di un servizio diorientamento in questa direzione nel terzo anno di secondaria di primo grado8.Ampiamente attese si sono mostrate le differenze geografiche e di settore:quelle geografiche sono principalmente sistematiche, mentre quelle di settore in-corporano una reattività alla crisi economica assai diversa. È facile intuire che ilmondo della grafica pubblicitaria è il primo a subire tagli ingenti per un’economiain crisi, mentre altri settori hanno una inerzia più marcata. Considerazioni sincroniche e diacronicheSul fronte della Formazione Professionale Salesiana le ultime ricerche pubblica-te9 sui percorsi triennali concludevano che la percentuale dei qualificati dell’anno for-mativo 2005-06 che all’uscita dal percorso aveva scelto e trovato lavoro entro l’annoera il 58,3%, ed il 26,3% aveva deciso di continuare gli studi. “In ogni caso risultavadifficile valutare con esattezza il significato della percentuale del 58,3% di occupati,perché mancano dati regionali e nazionali complessivi sulla IeFP e su gruppi di gio-vani in situazioni comparabili sia a livello quantitativo che qualitativo”10. Anche con 8 ISFOL, op. cit., p. 11.9 MALIZIA G. - PIERONI V., Follow-up della transizione al lavoro degli allievi/e dei percorsitriennali sperimentali di IeFP, Roma, CIOFS/FP e CNOS-FAP, 2008; MALIZIA G. - PIERONI V., Accompagnamento al lavoro degli allievi qualificati nei percorsi triennali del diritto-dovere, Roma,CIOFS/FP e CNOS-FAP, 2009.10 Ibid., 128. 136 i dati dello studio ISFOL la possibilità di un confronto è assai limitata essendo riferi-ta a due anni diversi anche se prossimi. Ci si può limitare a notare un livello di inse-rimento nel lavoro di poco superiore e un livello di prosecuzione degli studi di pocoinferiore. Tabella 2: NEET tra il 2008 e il 2010 in Europa (valori in %) Fonte: Eurostat 137 11 EUROSTAT, Young people aged 18-24 not in employment and not in any education andtraining, by sex and NUTS1 region (NEET rates) (from 2008 to 2010), file “edat_lfse_22” disponibilesu:http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/statistics/search_database Per meglio motivare l’incomparabilità dei dati mostreremo quanto sono si-gnificative le variazioni occupazionali nel tempo partendo da considerazioni eu-ropee e quanto la eterogeneità regionale è cotanto significativa da essere determi-nante per spostare indicatori sintetici come una media. Basterebbe semplicementecampionare più IeFP di alcune Regioni con una economia più florida per dimo-strare agevolmente una capacità di inserimento della Formazione Professionale Sa-lesiana particolarmente brillante, allo stesso modo sovrapesando le Regioni chepermettono il quarto e quinto anno di FP e che migliorerebbero le performance delproseguimento degli studi. Per meglio motivare l’incomparabilità dei dati ricor-diamo quanto è l’eterogeneità regionale (cfr. Tabella 1) e quella temporale ripor-tando qui di seguito una nostra elaborazione dei dati eurostat11. Riguarda il NEET(Not in Employment and not in any Education and Training) ovvero un indice chemisura, nei giovani tra i 18 e i 25 anni, il totale insuccesso formativo. Essi non la-vorano, non sono in nessun genere di scuola o addestramento lavorativo. I datisono abbastanza preoccupanti ed evidenziano gli effetti della crisi economica inter-nazionale e la reazione assai diversa dei vari “sistemi paese” in Europa.I valori in tabella sono ordinati per il valore crescente del 2008, nel grafico sot-tostante per il valore 2010. A livello di media Europea (la UE dei 27) il NEET si attesta al 16,5%, con unpeggioramento nel biennio in questione del 2,6%. L’Italia resta in fondo alla classi- Fonte: Eurostat Figura 2: Giovani disoccupati e non in formazione 138 fica davanti alle sole Bulgaria e Turchia. Il Nord-Est ha “pagato” molto la crisi conun 6% in negativo, perdendo un posizionamento molto competitivo, migliore diFrancia e Germania. Sono messe in evidenza le differenze dei soli 4 paesi che sonoin controtendenza e il loro NEET è diminuito nel biennio in questione, tra questil’unico grande paese è la Germania. 5.3.2. Ultimo studio complessivo delle realtà salesianePossiamo qui avvalerci di dati12 ancora in elaborazione relativi a giovani quali-ficati nell’a.f. 2009/2011. Hanno il grosso pregio di essere recenti e pagano ovvia-mente tutti i nefasti effetti occupazionali della crisi.In media nazionale, proseguono la formazione il 44,2%, trovano lavoro il34,9%, mentre non studia e non lavora il 21,3%. I dati mostrano l’intrecciarsi di effetti dovuti agli effetti del sistema regionalee alle peculiarità salesiane. Per esempio, i 14 punti percentuali di vantaggio sullaprosecuzione dello studio tra Lombardia ed Emilia-Romagna è dovuta principal-mente ai 4 anni attivati solo nella prima delle due regioni. Il NEET del Veneto è in-vece indubbiamente frutto dei centri salesiani che sono di oltre 3 punti percentualimigliori nella media zonale del 2010 (cfr. tabella 2). Per la già motivata incommen-surabilità dei dati non ci dilunghiamo a presentare i risultati di questa ricerca. 12 Ringrazio personalmente Mario Tonini e Francesco Gentile per i dati che mi hanno fornito at-traverso comunicazioni personali. Saranno oggetto di una pubblicazione su “Rassegna CNOS-FAP” esono stati presentati al Corso di aggiornamento del personale direttivo tenutosi a Verona nel No-vembre 2011. Fonte: nostra elaborazione su dati CNOS-FAP Tabella 3: Risultati IeFP Salesiana (dati 2011) 139 5.3.3. Conclusioni relative alle ricerche presentatePossiamo concludere che la variazione del NEET in soli due anni è moltogrande e fortemente differenziato geograficamente. Si intersecano la path depen-dance e i frutti di politiche recenti. Tra lo studio nazionale ISFOL e quello sale-siano vi sono oltre due anni di scarto (qualificati 2006/07 e qualificati 2009/10); sipuò facilmente sostenere che siano incorporati almeno i 3,5 punti percentuali di va-riazione del NEET nazionale italiano (cfr. Tabella 2). A rendere ulteriormente in-comparabili i dati dei due studi è la differenza geografica del sistema di Forma-zione Professionale nazionale. Tra il nord-est e le isole si presenta uno spread di21,6 punti nel 2008 che scendono a 17,3 nel 2010 (cfr. Tabella 2). Basti considerareil fatto che una delle Regioni dove sono concentrati molti CFP salesiani è la Sicilia,dove svolgono una buona azione, ma con risultati fortemente penalizzati dalla de-pressione economica strutturale del territorio. L’unica soluzione è uno studio com-parativo con dati omogenei a livello spazio temporale. 5.4. Studio comparativo sui dati dell’accreditamento Per evitare ogni disparità, abbiamo effettuato pertanto questo studio con i datidi accreditamento della Regione Emilia-Romagna dal 2003 al 2008 (i più recentidisponibili). In questo modo gli indicatori sono perfettamente compatibili es-sendo misurati con criteri uniformi e avvallati da un ente terzo che effettua controllidi primo e secondo livello per monitorare le attività che finanzia. I dati sono statiestratti nel Novembre 201113. Specificazione degli indicatori usatiDefiniamo ora come la Regione definisce gli indicatori che utilizza attraversoun suo stesso documento14. Teniamo a precisare che l’eventuale violazione delle so-glie minime ha ripercussioni sull’accreditamento dell’Ente, ma negli ultimi dueanni sono state derogate per la situazione di crisi economica tali sanzioni.• Il tasso di attuazione è calcolato effettuando il rapporto tra le ore-partecipantirendicontate e le ore-partecipanti approvate in progetto; il livello di soglia mi-nima non può essere inferiore all’80%. L’eventuale presenza di utenze difficiliall’interno dell’attività, documentata dall’ente, potrà essere oggetto di valuta-zione specifica e di deroga al raggiungimento del livello di soglia minimo pre-visto per il tasso stesso. 13 Ringrazio il dott. Belletti di AECA per il prezioso aiuto e le Dott.sse Zaniboni e Gubellinidella Regione Emilia-Romagna per il grande lavoro di estrazione e formattazione dei dati per permet-tere la nostra analisi. 14 REGIONE EMILIA-ROMAGNA, Allegato tecnico al modello regionale di accreditamento, 2011.Disponibile su: http://www.emiliaromagnasapere.it/istruzione-e-formazione-approfondimenti/menu_accreditamento/allegati_accreditamento/delibera_177_allegato3.pdf 140 • Il tasso di abbandono è la percentuale di partecipanti al termine o di allievipassati ad altri canali dell’obbligo, compresa la formazione professionale ri-spetto al numero di partecipanti all’avvio; il livello di soglia minima deve es-sere inferiore al 10%. • Il tasso di efficacia misura quanti allievi risultano occupati o studenti a seimesi dal termine del corso; il livello di soglia minima non deve essere inferioreal 70%.• Il tasso di efficienza è il rapporto tra il costo complessivo rendicontato e ilcosto complessivo approvato; il livello di soglia minima deve essere superioreall’80%.In allegato è possibile vedere quante volte un centro non ha svolto l’attività,non l’ha rendicontate oppure ogni spazio bianco è il segno che il centro non haavuto relazioni con la Regione in quell’anno. Esula dalla nostra ricerca valutare ildanno che la mole di burocrazia senza erogare servizi arreca alla collettività comevalutare il danno della non continuità formativa, ma ci permettiamo qui di sollevareil problema, lodando tutti i centri che con fedeltà e continuità erogano il loro ser-vizio.Precisazioni metodologicheLa Regione Emilia-Romagna ha fornito i dati dal 2003 al 2008. Per poter ef-fettuare le elaborazioni abbiamo operato alcune scelte; abbiamo anzitutto inseritoil valore medio quando nello stesso anno un centro presentava più valori per lostesso indicatore. Questo è possibile per una consegna ritardata o per la presenzadi corsi approvati e realizzati in modo indipendente dallo stesso ente. Fatto questoabbiamo misurato lo spread tra l’indice dei centri salesiani e della media regio-nale. Una seconda scelta è stata quella di proporre una media “scremata” da alcunicentri che presentano valori problematici. Su 77 centri ne abbiamo eliminati 6 permotivazioni differenti: un primo gruppo di tre15 era totalmente non significativo inquanto svolgeva attività per un solo anno e non aveva neppure comunicato tutti iquattro indicatori; in un caso vi era solo l’abbandono nel 2003, in un caso valoripari a 0 per il 2007 (presumibilmente attività non svolta) e il 2004 con 0% di effi-cienza. L’ultimo è analogo a questo. Il secondo gruppo16 era quantomeno partico-lare, specie per i suoi effetti di “muovere” pesantemente la media. Questi tre entinon avevano alcuna varianza diacronica, ovvero presentavano un tasso di abban-dono costantemente pari a 0 e valori di efficacia e attuazione sempre invariabilisuperiori al 96%. Ipotizziamo quindi un peculiare legame operativo alla realtà la-vorativa, ma risulta evidente che sono centri totalmente non comparabili con glialtri presi in esame. 15 In allegato sono numerati con i codici 131, 903 e 5105.16 In allegato sono numerati con i codici 999, 601 e 209. 141 5.4.1. Risultati quantitativiIn questo paragrafo mostriamo l’andamento nel sessennio di questi indicatoricomparando la media regionale con le performance dei centri salesiani del mede-simo territorio. Gli ultimi due ad essere presentati si dimostreranno particolarmenteutili a sostegno della nostra tesi.AttuazioneIl grafico qui sotto riportato (Figura 2) mostra l’andamento medio del tasso diattuazione. I dati si attestano abbondantemente sopra la soglia dell’80%, la ten-denza vede il sistema migliorare. I dati salesiani confermano la tendenza, nono-stante due dati peggiori nelle annate estreme del sessennio; tale aspetto è coerentecon la varianza dei dati (che non si coglie in media). L’aspetto più interessante diquesto indicatore è la presenza di dati superiori al 100%, causato dall’inserimentodi allievi durante l’anno (cfr. Appendice), che tuttavia resta poco rilevante ai finidella nostra ricerca. EfficienzaLa misurazione dell’efficienza è quanto mai problematica. Infatti si basa su uncriterio esogeno e arbitrario. Non si misura il rendimento con un rapporto tra ri-sorse utilizzate e risultati ottenuti ma un semplice correttezza formale di rendicon-tamento. Il dato anomalo salesiano si spiega in questo modo. Guardando le seriecomplete in allegato si capisce che grosse flessioni di quest’indice sono legati a unaspesa significativa non approvata. Anche questo indice, per la modalità con il qualeè costruito, non ci è di grande aiuto. Figura 2: Tassi di attuazione dei centri ER nel sessennio 2003-2008 142 EfficaciaQuesto indicatore è assai più interessante ai fini della nostra ricerca. Purtroppo idati sono collegati ai centri senza alcuna stratificazione relativa al settore nel quale ilcorso opera. Tra il 2003 e il 2006 le performance dei centri salesiani sono di oltre 10punti percentuali superiori alla media regionale. Questo spread si è annullato nel2007, per ripresentarsi limitato nel 2008. È ragionevole pensare che l’eccellenza delsistema salesiano abbia maggiormente subito gli effetti della crisi anche per i settorinei quali opera: grafico, meccanico, falegnameria e idraulica. Specialmente il primosubisce gli effetti della crisi in modo drammatico. Guardando i centri che formanonella filiera commerciale e agricola non subiscono tale flessione. Non ci è possibilefare un’analisi per settore in questi dati. Possiamo limitarci a dire che le performancesalesiane nel sessennio oggetto delle nostre ricerche sono sopra la media, di 10 puntipercentuali nei primi 4 anni e di oltre sette considerando tutto il sessennio. Figura 3: Tassi di efficienza dei centri ER nel sessennio 2003-2008 Figura 4: Tassi di efficacia dei centri ER nel sessennio 2003-2008 143 AbbandonoQuesto indicatore è il più interessante per fare una valutazione sulle capacità dicoinvolgere in un ambiente accogliente, con relazioni significative e un percorsoeffettivamente personalizzato e capace di orientare con la cura che è intrinsecanello stile educativo salesiano. Un orientamento “vocazionale” che perdura negliex allievi come simpatia, appartenenza o addirittura scelte totalizzanti. Lo spread medio nel sessennio è superiore al 7%. Proprio nella capacità di in-tessere relazioni significative in un ambiente capace di accogliere con un metodoeducativo in grado di orientare e rimotivare avevamo individuato lo specifico am-plificatore del successo salesiano. Questo indicatore raccoglie questa peculiarità. Figura 5: Tassi di abbandono dei centri ER nel sessennio 2003-2008 Figura 6: Tassi di abbandono dei centri ER (salesiani, AECA e altri) nel sessennio 2003-2008 144 Questo secondo grafico evidenzia quanto questo fenomeno non sia esclusivosalesiano ma presente anche per i centri cattolici facenti parte di AECA. Dalle per-formance sembra che le best practice siano perseguite nei centri salesiani e in se-conda battuta dai centri cattolici, gli altri centri sono mediamente più in difficoltà.Fenomeno che risulta attenuato nella misurazione perché in quel gruppo sono pre-senti ottime performance di alcuni centri che non hanno abbandono in modo quasicostante (cfr. Appendice). 5.5. Vite riuscite Diamo per assodato che l’autentico “prodotto” della Formazione Professionaleè una persona matura nella sua integralità, umana e professionale. Don Bosco di-rebbe “buon cristiano e onesto cittadino”, oggi si parlerebbe di pieno sviluppo. Noncadiamo, ovvero, nel riduttivismo professionalizzante, non è e non può essere suffi-ciente inserire il giovane nel lavoro, anche se è un aspetto importante portarlo al-l’indipendenza economica, ma non è tutto, come anche gli obiettivi delle politichesulla cittadinanza attiva ci ricordano. Dalla diretta voce narrante di alcuni ex-allievirisaliamo a quanto nella esperienza formativa in un CFP Salesiano è stato determi-nante per la scelta e la riuscita nella propria biografia. Tali ex-allievi si sono distintiin ambito lavorativo, sociale o salesiano. Quest’ultimo ambito catalizzerà le nostreattenzioni come specificheremo meglio più avanti. Nella memoria di ogni allievo si cristallizzano insegnamenti di un proprioMaestro. Nel recente romanzo di Alessandro D’Avenia17 si vede e intravede l’in-contro con un testimone di vita autentica e di dedizione all’insegnamento: Padre PinoPuglisi, sacerdote e martire della mafia, che “tanto ha influito sulla mia scelta di di-ventare insegnante”18. Interessante è vedere nel libro di Matthew Crawford19 un interocapitolo dedicato ad un suo insegnante di area tecnica che invia felici storie di ex-al-lievi ai novelli ex-allievi attraverso una newsletter. La diffusione di uomini soddi-sfatti, che si sentono utili al mondo manifesta un profondo e integrale umanesimoanche nell’arido insegnamento delle saldature meccaniche, colmo della gioia di aversaputo “non soltanto indicare ai suoi studenti un mezzo per guadagnarsi il pane, maanche fermare il loro sguardo su quel che è giusto e buono nella vita”20. 5.5.1. Premesse metodologicheDopo aver analizzato i dati relativi alle realtà salesiane, abbiamo potuto con-statare come diversi ex-allievi, successivamente agli studi nella Formazione Profes- 17 D’AVENIA A., Bianca come il latte, rossa come il sangue, Mondadori, Milano, 2010.18 D’AVENIA A, Incontro al Forum Movimento Giovanile Salesiano, Parma, 10 Aprile 2011.19 CRAWFORD M., The Case for Working with Your Hands: Or Why Office Work is Bad for Usand Fixing Things Feels Good, Penguin Adult, 2010.20 Ibid., p. 15. 145 sionale, avevano scelto di vivere la consacrazione nella Congregazione salesiana.Non essendo attualmente disponibile alcuno studio in merito, il presidente nazio-nale del CNOS FAP, Mario Tonini, mi ha gentilmente inoltrato le sbobinature di 20delle interviste che ha commissionato per una ricerca a tutto campo. Ad esse, sisono aggiunte dieci interviste realizzate a confratelli salesiani ex-allievi della For-mazione Professionale nell’Ispettoria Lombardo-Emiliana. Alcune linee comunesono state assolutamente sorprendenti e dotate di una evidenza inizialmente nep-pure sperata. In Appendice riporto lo schema delle domande. 5.5.2. Motivazioni di ingressoTra le motivazioni della scelta di questo percorso si presentano quelle che ci siaspetta per il buon senso e per gli studi che abbiamo presentato: la praticità delcorso, la poca voglia di studiare, i reiterati insuccessi formativi, la possibilità dilavorare presto.Altre sono risultate inaspettate e poco inquadrabili in un questionario a sceltamultipla.La prima è l’indecisione che apprezza la peculiare flessibilità di corsi: “da ra-gazzo ero indeciso sugli studi e non volevo impegnarmi per troppi anni”; “mi pia-ceva l’ambito tecnico e, andando dai salesiani, mi sentivo libero di scegliere annoper anno”, è apprezzata la possibilità di essere nel mondo del lavoro attraverso lastage già nel primo anno, di qualificarsi il successivo e di poter agevolmente pas-sare all’istituto professionale o al tecnico senza doverlo decidere subito dopo laterza media. “Tra lavorare subito o continuare fino a diventare ingegnere mecca-nico, stava una scelta spalmata nel tempo. Questo piaceva a me e ai miei genitori.Ormai sono iscritto ingegnere da 5 anni”!Il secondo è economico: “In casa la scelta di una scuola cattolica è stabile, maè stata fortemente condizionata dal fattore economico, anche perché siamo quattrofratelli. Scegliendo la Formazione Professionale ho potuto formarmi come graficoin un ambiente cristiano con un costo molto ridotto”. 5.5.3. Riconoscimento di uno stileGli ex allievi riconoscono uno “stile”, una modalità peculiare dell’ambientesalesiano che distingue l’esperienza al CFP (e in alcuni casi il proseguimento nel-l’Istituto Salesiano) dalle altre esperienze scolastiche e anche da quelle universi-tarie. “Fin dall’inizio della mattinata con il Buongiorno, il responsabile ci acco-glieva con una frase, con un pensiero, già quello era l’avvio di una giornata, comepotrebbe essere in famiglia, dove i genitori ti accolgono con la colazione pronta”.Il cortile è realmente ricordato come luogo per incontrarsi tra amici. “Si finivaa pranzo di mangiare e poi per mezz’ora si giocava la partita, eravamo tutti amici,poi quando si tornava a scuola lui (il formatore, ndr.) riprendeva a fare il profes- 146 sore”. Questo è riconosciuto in modo particolare nelle case dove alcuni allievi si in-serivano anche nelle attività dell’oratorio e vi restavano legati.Anche le modalità disciplinari hanno segnato in modo profondo e restanocome stile di famiglia per chi resta nel centro come formatore: “come mi ha inse-gnato don Bosco, a distanza di qualche giorno prendo il ragazzo a parte e chiac-chieriamo insieme, non lo umilio mai in pubblico, la parolina all’orecchio […] se-condo me è la cosa che salva di più i rapporti”.Queste relazioni significative erano rafforzate dalla continuità: “ogni giornoera lì in laboratorio con noi per ore, poi in cortile e così per tutti i giorni dell’anno”e dal viverle nel gruppo dei coetanei in un ambiente ricco di proposte “il pome-riggio si fermavano in molti a fare cose che piacevano, non c’era obbligo, ma lì cisi trovava bene. Chi faceva teatro, chi il giornalino…”Viene quindi riconosciuta una originale modalità educativa, specialmente nelpensiero dato al mattino detto “Buongiorno”, nella cura della ricreazione in cortilee nella disciplina ottenuta con relazioni paterne. Molte volte chiedendo agli ex-al-lievi intervistati riguardo il loro contatto con formatori, li definiscono dei “secondipapà”, che hanno accompagnato scelte importanti della vita come matrimoni, bat-tesimi di figli, scelte imprenditoriali coraggiose, etc. 5.5.4. Apprezzamento per competenze acquisiteL’orientamento al “fare” e alla praticità sono tra gli aspetti considerati più si-gnificativi ed utili dagli ex-allievi: “mi è rimasta anche oggi che sono dirigente emi permette di avere la stima degli operai e dei capi linea”. È considerata un valoreaggiunto più prezioso delle conoscenze che “si possono più facilmente recuperarecon internet, ma risolvere un problema non lo impari sui libri”. È considerato unvantaggio competitivo sul mondo del lavoro “ero ingegnere come loro che arriva-vano dal liceo, ma sapevo già programmare il plc, realizzare circuiti elettrici e sec’era un guasto o un errore di progettazione ero spesso il primo a trovarlo, perchéin quelle cose ci avevo già messo le mani”.Ma la competenza che viene maggiormente riconosciuta con gratitudine èquella relazionale: l’imparare a stare con tutti, a lavorare in gruppo, a mantenereun buon clima. Quanti hanno intrapreso una avventura imprenditoriale general-mente la definiscono come la cosa più utile imparata a scuola, anche oltre la prati-cità, il problem solving o l’aspetto tecnico in senso stretto: “Oggi assumo inge-gneri, qualcuno avrà anche fatto gli studi alti, ma deve ancora imparare ad allac-ciarsi le stringhe”. 5.5.5. Orientamento: una simpatia, una appartenenza, una vocazione totalizzanteLo stile educativo salesiano ha particolare attenzione all’orientamento dellescelte professionali e di vita dei suoi allievi. È considerato il cuore della personaliz-zazione dei cammini. “A quattordici anni uno non è ben sicuro di ciò che vuole, ma 147 quando ho finito questa esperienza, avevo le idee un po’ più chiare di quello chepoteva essere il mio percorso. Qui dai salesiani ho capito”. Anche la varietà dellescelte è segno di questa attenzione: ricercatori in multinazionali, collaboratori diONG per lo sviluppo (p.e. Volontariato Internazionale per lo Sviluppo), formatoriin CFP, imprenditori in ambiti coerenti con il settore della formazione e anche ri-conversioni, salesiani consacrati, etc.Esperienza particolarmente feconda su questo piano è l’essere coinvolti comeassistenti. In modo più diffuso, alcuni tra gli allievi che decidevano di continuaredentro la casa salesiana dopo la qualifica professionale affrontando l’ITI serale, ri-cevevano la proposta di aiutare in laboratorio, in particolare a livello di sostegnoindividuale i ragazzi delle classi prime del CFP. Questa proposta è presente anchein modalità differenziate, ha come linea comune il coinvolgimento dei giovaninella missione salesiana per i giovani e ha portato a molte scelte forti.Tra questi “giovani per i giovani” resta a tutti una simpatia per l’ambiente e ilmetodo educativo salesiano che portano in famiglia e nei loro ambiti di vita. Spessosono i “motori” delle associazioni di ex-allievi che si ritrovano periodicamente, chesostengono i compagni che hanno fatto scelte di impregno in terre di missione, etc.Un cerchio più ristretto fa una scelta di appartenenza esplicita: insegnando e ri-comprendo ruoli di responsabilità come quello del consigliere con una dedizionepeculiare e spesso esplicitando questa appartenenza facendo la promessa comeSalesiani CooperatoriUltimi che approfondiamo sono gli ex-allievi che hanno scelto di diventare sa-lesiani. Tale scelta totalizzante ci sembra come la punta dell’iceberg, dando per in-negabili le forti motivazioni intrinseche di questo tipo di scelta. Punta dell’icebergin particolare della ritrovata motivazione allo studio e all’impegno. Nel solo centrodi Sesto San Giovanni ne abbiamo contati dieci negli ultimi 15 anni, ma anche daBrescia e Milano ritroviamo questo particolare percorso vocazionale. Ultimo pro-veniente da Sesto è ex-allievo dell’OTP, salesiano coadiutore e brillante laureandoin ingegneria delle telecomunicazioni al Politecnico di Milano.“Dopo qualche mese che avevo iniziato l’ITI e aiutavo i ragazzi di prima, sen-tivo che stavo facendo il salesiano, imitando quanto avevo apprezzato nei miei for-matori”. “Con il tempo ho ritrovato la voglia di studiare e quando, diventato sale-siano, l’Ispettore mi ha chiesto di laurearmi in ingegneria ne ero contento”.Interessante come quel riconoscimento di uno stile educativo e relazionale hagenerato un senso di appartenenza così forte: “vedendo i salesiani stare bene in-sieme anche quando i ragazzi erano usciti da scuola, tagliare un salame e scherzarea cena, mi sentivo a casa e uno di loro”21.Particolare come alcune competenze siano state valorizzate in modo diversis-simo da quanto ci si possa attendere in un corso professionalizzante. Quelle rela- 21 Altro ex-allievo di Sesto San Giovanni attualmente prete salesiano e direttore di un centroCNOS-FAP. 148 zionali è facile immaginare quanto siano apprezzate in chi è diventato salesiano (eanche in tutti quelli che lavorano in ambito educativo). La praticità di un grafico èdiventata utile nell’odierno teologo: “forse ne saprò meno di altri, ma rendo alcento per cento: dalla cura nelle dispense all’organizzazione dei tempi. Non mi èmai capitato di dover tagliare il programma o di inserire divagazioni”.Le considerazioni relative alla prassi di don Bosco (cfr. §1.4.1 - Reciprocità eFelicità) e le spiegazioni di Caviglia relative a Orientamento e Vocazioni (cfr. §3.2)credo confermino che la capacità di orientare è visibile anche da questi frutti chelascia negli ex-allievi salesiani: simpatia, impegno-appartenenza e scelte vocazio-nali totalizzanti. 5.6. Conclusioni Nella sezione storica avevamo seguito l’evolversi dell’amplificatore del suc-cesso salesiano; esso trovava nella capacità di intessere relazioni significative, inun ambiente capace di accogliere, caratterizzato da un metodo educativo in gradodi personalizzare le proposte in modo da rilanciare le motivazioni e di orientare ascelte professionali, di impegno e di vita. Quanto affrontato nella parte teorica, haavuto una conferma quantitativa dagli studi presenti e uno ulteriore dallo studiocomparativo sui dati dell’accreditamento regionale in Emilia-Romagna. Questo no-stro studio comparativo vede una buona efficacia e un bassissimo tasso di abban-dono, a sostegno che i ragazzi si trovano bene, imparano e trovano lavoro. Ma ilbasso tasso di abbandono in un settore fortemente implicato nel recupero e nell’in-tegrazione sociale è davvero significativo. Sarebbe assai interessante ripetere lostudio comparativo in una Regione (come la Lombardia) dove i CFP formano i ra-gazzi per 4 o addirittura 5 anni, permettendo un benefico effetto delle relazionieducative in modo più profondo nella personalità dei giovani allievi. La secondaconferma è sul piano qualitativo, attraverso una presentazione sintetica del lavorosvolto attraverso le interviste, che mostrano il riconoscere uno specifico stile e me-todo educativo capace di trasmettere competenze tecniche e relazionali e soprat-tutto di orientare. Tale successo si manifesta nel permanere di una simpatia, inscelte di impegno e di appartenenza vocazionale, anche totalizzanti.Nel prossimo ed ultimo capitolo presenteremo una sintesi sintetica del carisma,una sorta di carta d’identità della Formazione Professionale Salesiana, in grado dimostrare come l’identità carismatica cresce in coerenza con la sua origine storica. 149 Capitolo sestoOriginalità dall’origine a domani Come educatori collaboriamo con i giovani per sviluppare le loro capacità e attitudini fino alla piena maturità. Nelle varie circostanze condividiamo con essi il pane, promuoviamo la loro competenza professionale ela formazione culturale. Sempre e in ogni caso li aiutiamo ad aprirsi alla verità e a costruirsi una libertà responsabile. […] Il clima di Famiglia, di accoglienza e di fede creato dalla testimonianza di una comunità che si dona con gioia,è l’ambiente più efficace per la scoperta e l’orientamento delle vocazioni.(Costituzioni Salesiane) In questo capitolo vogliamo fondere quanto è proprio della sezione analiticatracciando una carta d’identità della Formazione Professionale salesiana (§1) con levere e proprie conclusioni che raccolgono quanto abbiamo rilevato nei primi 4 ca-pitoli della sezione storica (§2) circa una identità carismatica che cresce in coe-renza con la sua origine. Questo per il forte nesso intrinseco che queste parti hannoa sostegno della tesi di fondo: la Formazione Professionale salesiana ha una genesi,una prassi, una identità e una profezia che sono proprie e originali. Tale peculia-rità è capace di generare successo formativo, affrontare le sfide ad intra ed esserefonte per riflessioni teoretiche ad extra (§3). 6.1. Identità Per la sua indole pragmatica (non certo nel senso di “praticone”) don Bosconon sapeva come chiamare il suo metodo di educazione, diceva: “Cerco di tiraresu i miei giovani come mia madre ha tirato su me e i miei fratelli, in una grandefamiglia”. Nell’ultima parte della sua vita si decise a chiamarlo “Sistema Preven-tivo”, perché la presenza amica dell’educatore “previene le difficoltà che il gio-vane incontra”, così che non ha difficoltà a comportarsi bene senza bisogno dipunizioni perché il suo sistema educativo è fondato specialmente su tre valori:Religione (l’apertura antropologica al Trascendente), Ragione (la dimensione in- 150 tellettuale) e Amorevolezza (stile relazionale affettivo), che si manifestano nel-l’allegria, nel lavoro, nello spirito di sacrificio e nel volersi bene come in una fa-miglia. 6.1.1. La MissioneLa Formazione Professionale nelle opere Salesiane viene attuata con il sistemaeducativo di Don Bosco, (Sistema Preventivo), al centro del quale non c’è né laproduzione né il guadagno, ma il bene della persona, di ogni persona coinvoltanella Formazione Professionale. Questo metodo può funzionare solo attraverso unadedicazione incondizionata come quella di don Bosco, che diceva: “Vicino o lon-tano io penso sempre a voi. Uno solo è il mio desiderio: quello di vedervi felici neltempo e nell’eternità”2.La nostra missione nel mondo del lavoro quindi è: in un ambiente educativo e formativo,offrire un’educazione globale, in particolare agli adolescenti e ai giovani, consideratinella loro singolarità e nella loro qualità di persone, di cittadini e di lavoratori. Noi cer-chiamo di essere coerenti a questa missione e di creare un clima familiare, di relazioniveramente amichevoli con chi viene al nostro centro di Formazione Professionale e allanostra casa3.La Formazione Professionale Salesiana non è quindi una formazione “collet-tiva”, ma fortemente “personalizzata”, dove tutti e ciascuno hanno lo spazio perrealizzare la propria vita sviluppando una personalità autonoma e un pensiero cri-tico e indipendente. Non si tratta neppure di mera istruzione nel senso di trasmis-sione di informazioni o di procedure tecniche. Non si insegna a “fare” e basta, masi educa. L’istruzione è ingrediente indispensabile, ma non sufficiente nella ricettadi don Bosco: nella trasmissione di competenze tecniche e manuali si ha a cuoreprincipalmente la totalità della persona e della sua dignità. Il core non è quellodi costruire un efficiente operaio, ma di permettere al ragazzo di diventare un uomocapace di relazionarsi e di vivere quale cittadino attivo nella società civile e poli-tica, in grado di guadagnarsi onestamente da vivere per sé e per la sua famiglia, congli occhi aperti a quanti hanno più bisogno e impegnandosi anche nel civile, nel so-ciale o nel mondo ecclesiale. Tutto questo in piena coerenza con gli obiettivi di in-clusione sociale prevista dai PAN (Piani di Azione Nazionale)4. Tale metodo checaratterizza profondamente il modo di affrontare la missione si sviluppa secondoun itinerario ancorato a precisi valori. 1 CNOS-FAP, La Carta dei valori Salesiani nella Formazione Professionale, ed. pro manu-scripto 2005. Da ora Carta, pp.2 BRAIDO P. (a cura), Don Bosco educatore. Scritti e testimonianze, Roma LAS,1997, p. 337.3 Carta, 4.4 La coesione sociale e le pari opportunità attraverso la protezione sociale, l’interazione con gliobiettivi di Lisbona e il rafforzamento della governante, della trasparenza e partecipazione alla sud-dette politiche. Cfr. MPLS, Piano d’azione nazionale contro la povertà e l’esclusione sociale 2003-2005, Roma, 2003. 151 6.1.2. ValoriValore fondante è proprio la ricerca del bene della persona in un’ottica di ma-turazione integrale, aiutando il giovane a “conoscersi, accettarsi, essere capace divalutare ed agire con coerenza, essere libero e responsabile”5 ovvero la dimensionetradizionalmente detta della ragione. Cura della dimensione della religione: inquanti vivono l’esperienza religiosa non cristiana, sostenere la spiritualità e l’aper-tura al trascendente; per i cristiani “sviluppare un itinerario di crescita progressivacon quanti vogliono conoscere ed imitare Gesù Cristo e vivere da cattolici impe-gnati nella Chiesa”6. Coltivare nei giovani la capacità relazionale, per favorire l’a-micizia, e per portare la propria partecipazione e collaborazione alla vita civile, ec-clesiale e di gruppo. Questi valori desiderano formare un onesto cittadino, attivonella società, attraverso “una buona base di cultura generale, per capire la storia edil tempo presente”7 e occupabile nel mondo del lavoro attraverso una “FormazioneProfessionale specifica nel settore di attività scelto, coltivando, con senso del do-vere e passione, l’aggiornamento continuo”8.A livello di metodo questi valori si manifestano nell’atmosfera di famigliafatto di ambiente e di relazioni che sanno “coinvolgere il giovane in attività com-plementari e integrative alla Formazione Professionale, quali le attività del tempolibero e di cortile, che ambiscono a trasformare il Centro di Formazione Professio-nale in scuola a tempo pieno”. Il momento peculiare e sintetico delle dinamiche diriflessione e autoformazione è «buongiorno», ma sono proposti anche “la parteci-pazione alla vita liturgica, lo spazio per incontri di gruppo ad attività culturali, ri-creative, artistiche, di servizio comunitario, di volontariato, di impegno cristiano”9.Tutto proposto con atteggiamenti amichevoli e non dettati dall’emotività, ma dallaragionevolezza e quindi idonei al dialogo che scioglie ogni tensione e che instauradei legami profondi che possano continuare, anche successivamente alla vita nelCentro con gli ex-allievi. “Quel poco di scienza, quel poco di esperienza che ho acquistato, quanto sonoe quanto posseggo, preghiere, fatiche, sanità, la mia vita stessa, tutto desidero im-piegare a vostro servizio. Per parte mia, per strenna vi do tutto me stesso”10.Nell’ottica della qualità totale e reale, oltre che alle relative e dovute certifica-zioni, si ricerca il coinvolgimento del giovane e della sua famiglia nella progetta-zione e monitorandone la soddisfazione, qualificando la presenza e le competenzedegli operatori, delle strutture e delle tecnologie del centro. Mantenendo vivo ilcontatto con il mondo delle imprese e, più in generale, con gli altri servizi del terri-torio (Scuole, Servizi per l’impiego, etc.). 5 Ibid., p. 5.6 Ibidem.7 Ibidem.8 Ibid., p. 6.9 Ibidem.10 MB VI, p. 362. 152 6.1.3. L’amplificatoreLa punta di diamante è la dimensione educativo-vocazionale dell’orientamentoovvero capace di accompagnare ogni giovane a “conoscere se stesso, le proprie atti-tudini e inclinazioni, il mondo del lavoro e delle professioni, permettendogli di sce-gliere il progetto per il proprio futuro e il modo migliore per realizzarlo”11. Un orientamento così inteso non si limita ad erogare un servizio occasionaleche interviene nei momenti delle decisioni con test sottoposti da tecnici e psicologi,ma si realizza in un “cammino educativo che accompagna il giovane nel suo svi-luppo, tenendo costantemente presente la sua crescita personale ed il suo inoltrarsiattraverso momenti delicati della sua vita e del suo lavoro”12.D’altra parte, come abbiamo visto nella sezione storica, il successo salesiano èamplificato da fattori transitori e contingenti (collegio, vantaggi economico com-petitivi), ma è sostenuto da un amplificatore nascosto e sussistente. Ci sembra diaver argomentato abbondantemente che tale amplificatore sia questa capacità in-trinseca al metodo educativo e custodita dall’ambiente accogliente e dalle relazioniin stile di famiglia di educare in modo orientante-vocazionale. Caratteristica che, lapluralità e pluriformità delle scelte dei primi giovani accanto a don Bosco, è atte-stata come originale e “genetica”13. Infatti permane nonostante il mutare delle con-dizioni contestuali e il venir meno di altri fattori amplificanti. 6.1.4. Strategie e risorseLa prima strategia è la qualificazione del personale e il suo constante coinvol-gimento per renderlo in grado di svolgere azioni di orientamento (come è stato giàpresentato), “di tutoring, di analisi dei fabbisogni, di progettazione, di gestione di-dattica, di valutazione e di iniziative di integrazione all’azione formativa”14 nellapiena corresponsabilità educativa con le famiglie.Tale qualificazione è particolarmente intensa circa la ricerca della qualità del-l’insegnamento. Gli alti obiettivi che i valori e la missione educativa salesiana chie-dono a ogni formatore di sapersi impegnare fedelmente nel rinnovamento metodo-logico:• favorendo il metodo induttivo (arrivare a definire una regola generale da alcuniesempi uniformi), che sviluppa negli allievi la capacità di cercare e scoprire; • realizzando percorsi formativi realmente personalizzati curando, fin dalle fasiiniziali dell’accoglienza e dell’orientamento, la centralità del giovane nel pro-getto formativo. Per questo “diversifica la proposta formativa secondo le ne-cessità dei destinatari: per coloro che presentano difficoltà, inserirà fasi di re- 11 Carta, 7.12 Ibidem.13 Cfr. §1.4.1. - Reciprocità e Felicità.14 Ibid., p. 8. 153 cupero; per coloro che possono superare gli obiettivi proposti, offrirà degli ap-profondimenti”15;• privilegiando il lavoro di gruppo, oltre al lavoro personale, anche attraversostage e tirocini;• valutando i risultati finali e lo sviluppo umano in atto, la capacità di imparare ela ricerca di una crescita culturale autonoma;• curando una proposta educativa che apre alla cultura universale e ai valori con-divisi dall’umanità, per assumere atteggiamenti coerenti con le regole dellaconvivenza civile.Il Centro di Formazione Professionale si fa promotore di una azione d’aiuto, affinché l’al-lievo entri a pieno titolo nel processo di apprendimento che dura per tutto l’arco della suavita e che è il risultato sinergico delle azioni congiunte delle sue iniziative, di quelle dellasua famiglia, delle imprese e dello Stato in tutte le sue articolazioni, impegnati, ciascunosecondo le proprie responsabilità e competenze, a realizzare il diritto alla formazione16. Tra i diritti dei destinatari della formazione sono sottolineati dal documento(cfr. appendice) il servizio di orientamento, la libertà di scelta, il riconoscimentodegli apprendimenti raggiunti, la continuità formativa, la consegna dei risultati, lariservatezza e la reversibilità delle scelte. Questo ultimo inteso come possibilità dimutare itinerario formativo senza ricominciare dall’inizio attraverso il sistema dellepasserelle e dei crediti formativi è particolarmente apprezzato, come abbiamo rile-vato nelle interviste (cfr. §5.5) e profondamente coerente con la personalizzazionee l’ottica della maturazione integrale. 6.1.5. PoliticheI salesiani favoriscono a tutti i livelli (locale, regionale, nazionale, europeo eglobale) politiche scolastico-formative che tutelino l’effettivo diritto delle fami-glie di scegliere tra più percorsi di Istruzione e Formazione Professionale, attra-verso la compresenza e pari dignità di percorsi scolastici e formativi. I percorsi diIstruzione e Formazione Professionale educano alla vita attiva in modo efficace inparticolare quei giovani più dotati di intelligenza pratico operativa.Non è possibile sviluppare un progetto educativo e formativo personalizzato e adeguatoalle nuove sfide, se gli enti formativi non sono realmente e pienamente responsabili. Nel-l’elaborare il progetto formativo, infatti, devono tenere conto sia dei destinatari che dellecaratteristiche del contesto locale. Per un’impresa che intende offrire servizi sociali, lachiave necessaria è l’autonomia progettuale. Questa, infatti, permette di elaborare unastrategia di formazione e di tracciare un itinerario nel quale il giovane si senta a suo agio.Il personale direttivo potrà così sviluppare una “managerialità educativa e sociale” e ilpersonale intermedio e i formatori potranno sviluppare una professionalità adeguata17. 15 Ibid., p. 9.16 Ibidem.17 Carta, p. 12. 154 Questi obiettivi richiedono un sistema di orientamento reale ed efficace, cheè tutt’altra cosa rispetto ad un test psicologico improvvisato che fornisce la scuolagiusta per il ragazzo che termina la terza media. Un autentico sistema di orienta-mento è fortemente collegato con il sistema scolastico e formativo, accompagnalungo tutte le fasi del passaggio dall’età scolare all’età adulta e autonoma. Stessodiscorso è da fare per i sistemi Qualità dell’educazione – formazione. Devono su-perare il riduzionismo burocratico, per diventare in grado di generare, sostenere esegnalare la qualità. 6.2. Identità originale dall’origine Nel primo capitolo abbiamo visto l’intensa esperienza biografica di un orfanoche sperimenta la lontananza da casa, che diventa Padre dei giovani immigrati tori-nesi, di un ragazzo che per abilità e necessità impara numerosi mestieri e al con-tempo gioca come un saltimbanco di professione, che diventa un generale deigiochi e delle ricreazioni, un fondatore di scuole e laboratori, un custode dei dirittidei giovani lavoratori sotto associazioni di mutuo soccorso e con contratti di ap-prendistato in collaborazione con le imprese locali che si circonda di personalecolmo di una dedizione totalizzante tra gli allievi che più reciprocano il bene rice-vuto abbracciando la stessa identità carismatica. Questi giovani e primissimi sale-siani che possiamo autenticamente chiamare co-fondatori di don Bosco imparanoalla scuola del loro maestro, ne sono doppiamente allievi. In primo luogo come ra-gazzi da educare, come lupi che si trasformano in agnelli, e in secondo luogo inquanto aspiranti educatori, come gli agnelli che si trasformano in pastori18. La capa-cità di essere presente sul campo personalmente con relazioni significative nei con-fronti dei ragazzi, ma al tempo stesso di aver uno sguardo oltre, attraverso la sceltadei collegi, ha accelerato il processo di istituzionalizzazione il cui successo è am-plificato dalle imprese editoriali e dalla scelta vincente di un modello gestionale ca-pace di radunare persone fortemente vicine alla sua scelta di vita e al suo metodo.L’atteggiamento è sempre quello di un prete che al tempo stesso superava quello diun imprenditore come dimostra la partecipazione alla Esposizione di Torino. Talecapacità di convocare ha usato le tecniche di comunicazione attraverso le Memoriedell’Oratorio e altri scritti. La personalizzazione (orientamento e cura vocazionale)superavano i confini delle relazioni dirette, ma si estendevano con gli scritti e con idirettori che “facevano don Bosco” nelle realtà ove erano inviati. Sul piano dell’a-zione di governo della Formazione Professionale, le ultime decisioni hanno ingerme la coscienza di mutate condizioni e iniziano a cogliere i segni dei tempi dipiena industrializzazione e verso vere e proprie scuole professionali con personale 18 Cfr. “Il sogno dei nove anni”, §1.1. 155 specificatamente dedicato e con una animazione (a livello di Consiglio Generale)specifica e distinta dalle scuole di tipo liceale. Questa identità originale e originante è maturata nella storia dei consiglieri ge-nerali e delle decisioni dei Capitoli della Congregazione in una effettiva fedeltà di-namica al carisma con scelte vincenti che mantengono vivo l’effetto di amplifica-tore dell’opera educativo-formativa (cfr. cap. 3).I momenti difficili e anche contradditori, le fatiche dei balzi generazionali e di-mensionali hanno trovato personalità di grande carisma che avevano particolar-mente a cuore questo ambito, impedendo alla Congregazione di sbilanciare il pro-prio impegno in modo esclusivo verso oratori o scuole liceali. Tra i più importantiricordiamo Michele Rua e Giuseppe Bertello. La preoccupazione pratica è origi-naria per rispondere ai bisogni urgenti dei tempi e originante una peculiare moda-lità d’integrare le istanze di una maggior formazione teorico-culturale. Questa mo-dalità porta a valorizzare una modalità didattica caratterizzata dalla praticità e dalmetodo induttivo.La crisi degli anni ’60 e ’70 che si sovrappone all’aumentare dei fronti dellamissione salesiana con nuove parrocchie e centri specializzati in emarginazione,disagio e recupero, ha frenato le spinte in alcuni Paesi Europei che pagavano la finedella figura del consigliere generale per la Formazione Professionale. Questo feno-meno è stato colmato in Italia per il coordinamento effettuato dal CNOS-FAP, cheha anche permesso di tenere viva una riflessione attenta alle peculiarità proprie edistintive rispetto al mondo scolastico.A livello di pensiero e di alto governo è chiara l’importanza di un ampio eserio coinvolgimento dei laici e della necessità di formarli per una vocation cari-smaticamente qualificata. Ci sono ancora passi da fare a livello realizzativo pertrovare i nuovi equilibri. Questo processo rilancia e rinnova la stima per la pro-mozione sociale dei più bisognosi, che ha da sempre attirato le simpatie degli am-bienti laici e anche laicisti, specialmente in momenti di depressione economica edi scarso interessamento delle pubbliche amministrazioni alle prese con vincoli dibilancio. Questo è stato fonte di grossi impegni per sostenere il sistema paritariodi Formazione Professionale nel rispetto della Sussidiarietà e di ritradurre il ca-risma educativo. L’attenzione al valore educativo del lavoro sia dal punto di vistadella motivazione dell’allievo sia da quella della preparazione professionale dadare. L’interesse per la persona del giovane si concretizza nell’accoglienza checonsidera non solo le carenze, ma anche le potenzialità di maturazione. Questoera chiamato cura vocazionale in passato, orientamento e personalizzazione intempi più recenti, ma attengono tutti allo stile di attenzione alla concreta e irripe-tibile personalità del giovane che si ha davanti. L’educazione è un’arte che creacapolavori umani, unici e irripetibili. Questa attenzione si fonde nell’inseri-mento nel mondo del lavoro che non porta mai a trascurare un orizzonte piùampio di maturazione globale della persona. Il criterio permanente resta “con itempi e con don Bosco”. 156 6.2.1. Quale amplificatore resta?Alcuni fattori amplificativi del successo sono scomparsi nel tempo, quelli piùautentici sono rimasti e sono maturati, restati fedeli all’origine e attuali ai segni deitempi. I fattori legati alla tipografia interna sono andati sparendo, come il van-taggio competitivo relativo al costo della produzione e gestione con un personalecomposto integralmente da consacrati. Così l’offrire una realtà collegiale con unbacino di potenziali utenti territorialmente ampio è scomparso con la diffusionedelle scuole anche in provincie più isolate.Cosa è davvero restato? Sicuramente il Sistema Preventivo con la capacitàeducativa d’ambiente e di relazioni significative ed orientanti. Sicuramente laconseguente capacità in ambito dell’orientamento-vocazioni. Ultimo che è parti-colarmente evoluto è la presenza nelle politiche. Negli anni della legge di sop-pressione dei conventi, don Bosco è riuscito a fondare una Congregazione, anchegrazie alla capacità di intessere positive relazioni con tutti (si pensi a Rattazzi chesuggerisce lui stesso il sotterfugio per aggirare la sua stessa legge a don Bosco).Successivamente, in tempi di anticlericalismi vecchi e nuovi, i salesiani hannospinto in modo significativo e competente il sistema di Formazione a godere dibuoni gradi di autonomia e pluralità (cosa non altrettanto vera per il sistema sco-lastico). 6.3. Sfide Questo nostro lavoro, ci sembra, aver aperto assai più interrogativi di quanti èriuscito a sciogliere. Penso anzitutto agli interrogativi teorici del nostro ambito di-sciplinare e delle discipline confinanti.Anzitutto credo sia utilissimo per la storia economica lo sviluppo di una storiadell’economia dei preti imprenditori e in modo ancora più particolare di una storiaeconomico imprenditoriale dei carismi e dei loro fondatori. Nell’ambito della curaalla persona credo possano custodire un tesoro di soluzioni ancora impensate.Tanto quanto un san Francesco che ha generato una prima generazione di france-scani tanto innamorati della pratica della povertà e tanto intelligente e dotta da su-perare l’impaccio della ricchezza in modo originale e originante per tutta la rifles-sione economica. Così come don Bosco ha rilanciato e unito le intuizioni di unavita laica alta e impegnata dal suo modello san Francesco di Sales e un rilancio distima e fiducia nelle attività lavorative anche manuali, come intuì la tradizione be-nedettina. Fusione quanto mai feconda negli anni della santità “sociale” dell’otto-cento piemontese, feconda di giovani strappati alla miseria, avviati al lavoro comeonesti cittadini e dediti agli altri come buoni cristiani e magari in modo totale comeconsacrati salesiani. “Il Santo è una medicina perché è un antidoto. Ecco perché il santo è soventeun martire: è scambiato col veleno, appunto perché è un antidoto: ridona la salute 157 al mondo, esaltando quello che il mondo trascura”19. Allora chi più di don Bosco èil Benedetto dei tempi odierni che può guarire l’emergenza educativa che è bom-bardata da proposte teoriche, ma che è povera di buone prassi? Chi più di donBosco può guarire dalla crisi economica e lavorativa rimettendo al centro il rap-porto sano tra lavoro e festa, tra senso del sacro e mondo profano? Chi più di donBosco può guarire l’ipertrofia autoreferenziale del sé psicologicamente determinatoe poieticamente normato con la dedizione agli altri, specialmente alla gioventù po-vera abbandonata e pericolante?Esperienze recentissime come le comunità di recupero di suor Rosalina(Shalom a Palazzolo in provincia di Brescia) e di suor Elvira (comunità Cenacoloin Piemonte) siano recenti frontiere già da vent’anni etichettate come successi diCristo-Terapia. Modalità di cura distinte, ma non separate dalla medicina tradizio-nale, fatta di preghiera e lavoro, zittiscono ogni illazione quando autorevoli studiparlano di percentuali di recupero superiori al 90% per la Shalom, contro unamedia nazionale che non arriva al 25%20. Arriveranno inaspettate risposte per la crisi finanziaria dall’Economia di Co-munione inventata da Chiara Lubich? E chi può negare tali prospettive. Per quantoè presente urge, però, una conoscenza non solo aneddotico apologetica, ma un ap-profondimento autentico del carisma, attraverso le discipline che le sono proprie euna rilettura di concetti economici che non permettono una lettura onesta di talunifenomeni, in particolare circa l’ambito delle motivazioni e delle scelte cosiddetterazionali. Le sfide gestionali di questo ambito sono molte, tra cui: la formazione di laiciautenticamente identificati e operativi secondo il carisma e soprattutto secondo ilmetodo educativo; e la gestione integrata di una presenza di salesiani consacratinon per forza in ruolo di pieno controllo (totale dirigenza del sistema con esecutorilaici) pur mantenendo la custodia del carisma. Ambito strategico per queste sfidesono la selezione e la formazione del personale.Vorrei qui sottolineare, in modo ancora più ampio, la generale caratura dei for-matori dei nostri CFP, che è secondo me davvero notevole, almeno a livello glo-bale. Nel panorama formativo nazionale i CFP, nonostante siano spesso non reietti,certo, ma quantomeno satellitarizzati, si trovano sovente i migliori educatori laici 19 CHESTERTON G.K., San Tommaso d’Aquino, Firenze, Agnelli, 1938, p. 17.20 Cfr. ricerca di LASCIOLI A., coordinatore del progetto di ricerca-sperimentazione finanziatodalla Regione Lombardia – Direzione Famiglia e Solidarietà Sociale – riconosciuto dal Dipartimentodi Scienze dell’Educazione dell’Università degli Studi di Verona, per l’analisi e la valutazione dellepratiche educative messe in atto dalla Comunità di recupero “Shalom” di Palazzolo sull’Oglio (BS).La ricerca si è conclusa con la compilazione di un ampio dossier utilizzato dalla Regione per l’inqua-dramento legislativo delle Comunità.Ancor più significativo è il pieno atteggiamento di sussidiarietà con il conseguente provvedi-mento normativo sorto dal riconoscimento di una peculiarità (D.g.r. del 10-10-2007 n. 5567 “Deter-minazioni in ordine alla Comunità Shalom di Palazzolo sull’Oglio”). 158 delle opere salesiane, a dispetto della grande fatica che questi devono sostenere inambienti così viziati a causa del generale clima culturale del nostro Paese.L’ipotesi è che ci sia alla base un meccanismo squisitamente darwiniano21. Laselezione naturale, si sa, è una delle principali (se non la più eminente) forze cheguidano l’evoluzione biologica ed è una conseguenza passiva ed inevitabile dellapresenza di forme autoreplicanti con piccoli errori, ossia gli esseri viventi come noili conosciamo (e definiamo). Essa è un processo per cui gli individui con la mi-gliore qualità di vita, che discende dalle loro caratteristiche fisiche in confronto aquelle dei loro competitori diretti od indiretti, sono favoriti nella riproduzione equindi nel passaggio alla progenie ed alle generazioni successive dei loro tratti cor-porei, che sono poi proprio quelli che hanno aumentato il loro successo. Avendo adisposizione un numero sufficiente di generazioni, ogni popolazione di viventi ten-derà ad adattarsi all’ambiente in cui si trova se emergono tratti sempre migliori, oda scomparire se l’ambiente cambia più repentinamente di quanto impieghino gli er-rori di replicazione a generare nuovi tipi. Questo è essenzialmente il motivo per cui in natura non vediamo animali nonadattati al loro ambiente: perché non ci sono pesci tra i fiori di primavera, né uc-celli nelle profondità oceaniche? Essi semplicemente non sopravvivono abbastanzaa lungo da riprodursi e insediarsi stabilmente in quegli ambienti. Ad un livellomeno iperbolico, perché animali con poca pelliccia, come gli elefanti, non si tro-vano alle latitudini più elevate? Quegli individui che vi si trovassero, probabil-mente avrebbero una qualità di vita molto bassa a causa del freddo, per cui avreb-bero pochissimi discendenti; se però cominciasse a comparire qualche individuodal pelo più folto e lanoso, potrebbe probabilmente essere favorito sugli altri e fon-dare una nuova popolazione (si pensi ai mammuth). In altre parole, la selezione naturale, lavorando sul materiale messo a disposi-zione di generazione in generazione, produce adattamento all’ambiente ed esisteuna cosiddetta “pressione selettiva” che opera su ogni vivente, tanto più se esso èpoco adattato alla vita nel luogo in cui si trova, fino, eventualmente, a schiacciarlo:basti pensare alla triste fine di tutte le greggi e gli armenti che i vichinghi portaronocon sé in Groenlandia per dedicarsi alla pastorizia, dimenticando l’abissale diffe-renza climatica del nuovo ambiente rispetto a quello più consueto, pur rigido, dacui provenivano. Nei CFP esiste una grossa pressione selettiva: se in altri ambiti educativi si puòoperare con anche minor forza di carattere, autorevolezza e, chissà, competenza,per lo stato di cose attuale, questo non è possibile nei CFP, che, per loro natura, se-lezionano necessariamente i formatori con le doti più adatte all’ambiente, i qualisaranno dunque quelli che resteranno a svolgere il loro incarico di anno in anno.Proprio come per il processo di selezione naturale noi vediamo in natura solo gli 21 Ringrazio sentitamente per il suggerimento e il confronto il dott. Plazzi (salesiano cooperatore,biologo ricercatore e formatore dell’area scientifica nel CNOS-FAP). 159 adatti o quantomeno i sopravviventi, così, per un processo che potrei chiamare di“selezione salesiana”, al CFP vedremo, a lungo termine, solo coloro effettivamentemotivati a lavorare con la gioventù più pericolante, con i ceti popolari, con i ra-gazzi più difficili; coloro che effettivamente in mezzo a loro si trovano bene e sonodisposti a spendersi ed a sudare; coloro che hanno le spalle grosse ed il cuore an-cora più grande. Così un seppur buon docente, non adatto a questo ambiente e stileeducativo, magari a disagio nelle relazioni più informali in cortile, affannato nelmantenere la disciplina durante la lezione e intollerante alla personalizzazione che“sminuisce” il programma che sognava trasmettere: non è adatto all’ambiente, tal-volta in modo evidentissimo: “questo i ragazzi l’hanno sbranato ancora prima chesia riuscito a dire il suo nome…”.Se volessimo misurare il tasso di stile salesiano (che chiameremo SVI ovveroSalesian Vocational Index) servirebbe prende in considerazione diversi parametri dispiritualità e mentalità salesiana. Presenza assidua in cortile, capacità di personaliz-zare i percorsi formativi, qualità delle lezioni (ne sono buon indicatori, la frequenzadelle verifiche e la rapida riconsegna corretta), la disponibilità a momenti extra cur-ricolari (uscite formative, cammini personalizzati, momenti conviviali della comu-nità formatrice). A livello complessivo il numero di formatori con una appartenezasalesiana totalizzante (salesiani consacrati, cooperatori) o con specifiche attivitànell’ambito caratterizzate da indubbia gratuità (volontariato in ambito ecclesiale,come educatori di gruppi) sono indicatori di uno SVI comunitario più elevato. Lapresenza ai «buongiorno» (sono non inseriti nel contratto ad eccezione dei forma-tori con una classe subito al termine dello stesso), ai momenti di formazione, allatotalità dei collegi dei formatori e le attività extra già esemplificate sono un sicuroaccrescimento le proprio livello di SVI. Indicatore di una mentalità che passa perosmosi, per imitazione diceva don Bosco. È estremamente stimolante, in conclu-sione, che proprio una difficoltà intrinseca legata alle condizioni in cui viviamoporti in realtà ad avere i migliori educatori in questa situazione: un’alta pressione diselezione salesiana produce così un sensibile aumento dello SVI in risposta. Effetti-vamente chi entra in questi circuiti lavorativi come ripiego al circuito scolastico osceglie la paritaria salesiana come ripiego allo Stato ha mediamente una vita forma-tiva più limitata, anche se i “colpi di fulmine” operano mutamenti motivazionaliinaspettati e inaspettabili.Sarebbe assai interessante a livello di economia sperimentale provare ad appli-care una correlazione tra questa misurazione e gli indicatori del successo forma-tivo. Ovviamente un nodo determinante sarebbe individuare il gruppo di controllo,che risulterebbe difficilissimo da considerarsi statico, viste le complicate e polie-driche influenze del contesto locale e delle dinamiche interne alla comunità forma-trice del centro. Resta innegabile l’interesse teoretico della correlazione delle moti-vazioni intrinseche e trascendentali su un ambito lavorativo particolare come lacura della persona e la formazione. Oltre le Conclusioni: il sogno Sapientiam dedit illi et prudentiam magnamet corona justitiae circumfulsit eum Dominus noster.(R. Uguccioni - L. Lasagna) Con una certa libertà (seppur nel rispetto della prospettiva esegetica) propongola narrazione di Giuseppe d’Egitto (libro della Genesi, capp. 37 e ss.) come cifrasintetica per ogni carisma economico civile e la sua realizzazione nell’azione didon Bosco e dei suoi salesiani.Il figlio prediletto di Giacobbe, Giuseppe, è venduto dai fratelli invidiosi. L’e-vento che fa scattare l’invidia è il racconto del suo sogno fatto a 17 anni che puòessere letto come la sintesi dell’evento centrale di tutta la sua vita.“Il mio covone si alzò e restò dritto e i vostri covoni vennero intorno e si pro-strarono davanti al mio” (Gen 37, 6-7). Venduto dai fratelli, Giuseppe giunge in Egitto al servizio di Potifar dove “ilSignore benedisse la casa dell’egiziano a causa di Giuseppe” (Gen 39, 5), ma perun ingiusto inganno della moglie di Potifar finisce in prigione. Qui interpreta isogni di due altri prigionieri: quello del giusto coppiere profetizzando la sua scarce-razione e quello del fornaio profetizzandone la condanna a morte. Il coppiere, tor-nato a servizio del faraone, farà scarcerare Giuseppe per consultarlo come inter-prete dei sogni dell’agitato faraone. Giuseppe interpreta il sogno del faraone comela premonizione di sette anni di abbondanza seguiti da sette anni di carestia di unatale intensità da mettere a rischio l’intero paese. Il faraone individua in Giuseppel’uomo “intelligente e saggio” (Gen 41, 33) per guidare il paese oltre la calamità.All’età di 30 anni (Gen 41, 46) Giuseppe raccoglie e conserva, girando per il paese,la sovrabbondanza di grano. Al giungere della carestia vende il grano al popolo.I fratelli, convinti che Giuseppe fosse morto da tempo, accorrono in Egitto cheaveva la fama di avere abbondanza di grano nonostante la grande carestia. Dopo al-cune peripezie nella compravendita, Giuseppe svela la sua vera identità ai fratelliche non lo avevano riconosciuto e questo permette la riconciliazione e il raduno ditutta la famiglia (Gen 44-45).È interessante leggere nella vicenda il movente ideale che avvia l’attività diGiuseppe che ha occhi per vedere in anticipo la risposta concreta alla carestia. Lasua appartenenza familiare gli permette di reinstaurare una relazione di reciprocitàcon i fratelli attraverso la travagliata vendita del grano. Questo atto è caratterizzato 161 da una autentica gratuità, anche se non nel senso di “monetariamente gratis”, ma inquanto evita ogni facile, ovvia e prevedibile risposta strategica di ripercussione evendetta come prevederebbe Nash e la teoria dei giochi.Altre note interessanti sono la sussidiarietà e la fiducia del faraone che rendeGiuseppe plenipotenziario, il quale non instaura un regime di controllo ma, re-stando nella dinamica del mercato, “vende” (Gen 41, 56) le scorte che ha “rac-colto” (Gen 41,49) con una azione pienamente civile di commercio che mantiene ilpaese nell’ordine civile (non si parla di assalti, rivolte o mercato nero), a tal puntoda allargare il cerchio del benessere ai fratelli di sangue e a quanti come loro sonoaccorsi da paesi lontani.Giuseppe come imprenditore civile e carismatico ha il suo incipit in sogno,ora il sogno è realtà ogni volta che un autentico carisma è vivo.Don Bosco inizia tutto da un sogno fatto a nove anni (dono ed epimanifesta-zione del Trascendente), è orfano, ma ha gli occhi per vedere (movente ideale)come suoi figli i poveri ragazzi di Torino e, come “Padre e Maestro”, resta nelleregole del mercato (costituisce una Pia Società che sfugge alla legge Rattazi). I suoiragazzi reciprocano oltre misura la sua dedizione incondizionata e sorgono i sale-siani che istruiscono secondo le migliori tecniche, ma soprattutto educano con unaazione che incivilisce e ha forti effetti di inclusione sociale, curando l’orientamentoe le vocazioni. Forse non sempre l’atteggiamento dei faraoni moderni e contempo-ranei è di autentica fiducia e sussidiarietà. Ma questo non può essere che un dannoper tutti. 162 163 ALLEGATI 165 1. Domande per l’intervista Domande di apertura/informative1. Nome, cognome2. Età3. Attuale occupazione4. percorso pre CFP (scuola media, superiori, bocciature?)5. Percorso formativo post-CFP (se hanno proseguito, distinguere percorso ci-vile e in congregazione per gli SdB)Domanda d’ingresso– Provi a descrivere il suo attuale, principale ambito d’impegno...– Che cosa ricorda dell’esperienza del CFP?Core Questions – Quali motivazioni l’hanno portata a scegliere il CFP?– Quale aspetto, esperienza, dell’esperienza formativa vissuta al CFP ritienesia stato/a particolarmente rilevante in ordine al suo attuale impegno?– C’è qualcosa di quello che ha vissuto al CFP che lei ritiene in qualchemodo abbia influito o determinato la sua scelta futura?– C’è qualche figura di insegnante che lei ricorda particolarmente? Comemai? C’è qualche episodio particolarmente significativo che le è rimastoimpresso, che lei ricorda, in relazione a questo insegnante? Potrebbe rac-contarlo...– Che cosa ritiene di avere imparato di utile al CFP?– Le scelte che vengono compiute da una persona nella vita possono dipen-dere da moltissimi fattori; in quale misura la formazione ricevuta nel CFPsalesiano ha contribuito, se secondo lei ha contribuito, al suo sviluppo per-sonale e professionale?– Che rapporto vede tra la sua storia di formazione (di cui fa parte anche l’e-sperienza vissuta al CFP) e ciò che lei è oggi? – Se ha scelto di continuare a formarsi presso i salesiani quali motivazioni l’-hanno portata a “restare con don Bosco”?SOLO per operatori in CFP– Indichi tre caratteristiche osservabili in un buon insegnante in ambiente sa-lesiano (presenza ai BG, presenza in cortile...)– Indichi le tre dinamiche principali per formare un insegnante motivato allospirito di don Bosco (aggiornamento in aule, partecipazione alle gite...) 167 2. Dalla Carta dei Valori della Formazione Professionale Salesiana DIRITTI E DOVERI DEI DESTINATARI “Da circa quarant’anni tratto con la gioventù, e non miricordo d’aver usato castighi di sorta. E coll’aiuto di Dioho sempre ottenuto non solo quanto era di dovere, maeziandio quello che semplicemente desiderava, e ciò daquegli stessi fanciulli, cui sembrava perduta la speranzauna buona riuscita”BRAIDO P. (ed), Don Bosco educatore. Scritti e testimonianze, Roma,LAS, 1977, 266 DIRITTIDiritto ad avere un vero servizio di orientamentoL’orientamento tenderà a rendere la persona protagonista del proprio progettodi vita, non ad incanalarla in un percorso predefinito. Questo si otterrà attraversoattività rivolte espressamente a sostenere la capacità di scelta, realizzate anche convisite, stage, esperienze, incontri di testimoni.Diritto alla scelta tra proposte alternative ed equivalentiPer gli adolescenti e i giovani in particolare, la possibilità di scegliere tra il per-corso scolastico e quello formativo deve essere effettiva. Ad essi devono quindi esse-re offerte diverse opportunità e i mezzi per beneficiarne. Il diritto di scelta deve es-serci anche per l’adulto che intende riprendere o approfondire la propria formazionedi base, oppure intende cambiare l’ambito delle sue competenze e dei suoi saperi.Diritto al riconoscimento dei propri apprendimentiOgni persona, in qualunque momento del proprio percorso, è portatrice di un ba-gaglio di apprendimenti (saperi, abilità, competenze, capacità). Esso deve essere ana-lizzato, riconosciuto e valorizzato. Nessuno è una ‘tabula rasa’, anche solo per il fat-to di aver compiuto esperienze. Esse, anche se non strutturate didatticamente, hannopotuto avere risultati formativi. Il riconoscimento di tale bagaglio deve far sì che lapersona non sia chiamata a ripetere percorsi già fatti. In base ad essi, si può giungerea ridisegnare l’intero percorso formativo, in forma più breve e meno diffusa. 168 Diritto a una formazione di qualitàLa formazione è di qualità se garantisce l’acquisto di un solido bagaglio cultu-rale di base, se permette l’acquisto di abilità e competenze presenti nella ‘culturaprofessionale’ specifica, se fornisce requisiti che aprono la porta all’occupazione.Una vera formazione di qualità deve inoltre stimolare la passione, il senso di sfida,il desiderio di imparare sempre di più, la crescita professionale.Diritto alla continuità formativaOgni cammino formativo deve essere aperto a sviluppi successivi, fino ai li-velli più elevati. Dopo il percorso di Formazione Professionale Iniziale, se una per-sona ha i requisiti richiesti, deve poter accedere alla formazione superiore e con-tinua. Diritto alla reversibilità delle scelteOgni persona che ha intrapreso un percorso (scuola, formazione, lavoro) ha ildiritto di interromperlo e di inserirsi in un altro percorso senza dover ricominciareda capo. Con il sistema delle ‘passerelle’ e dei ‘crediti formativi’ si possono preve-dere ‘ingressi intermedi’. Essi consentiranno di valorizzare gli apprendimenti pre-cedenti e di raggiungere i nuovi obiettivi.Diritto alla seconda opportunitàSe la prima opportunità ha portato a un insuccesso, la persona deve averne al-meno una seconda. Essa deve essere svolta in modo da rimuovere gli ostacoli chehanno portato a un esito negativo la prima opportunità. Chi viene da questa espe-rienza negativa, ha diritto ad un accompagnamento personalizzato e ad un sostegnonelle fasi critiche del percorso.Diritto alla consegna dei risultatiOgni attività formativa rivolta a una persona deve concludersi con la consegnadei risultati conseguiti. La persona così potrà maturare verso un’autonomia perso-nale e professionale sempre maggiore.Diritto alla riservatezzaOgni persona ha diritto alla riservatezza circa i propri dati personali. Il Centroevita di raccogliere dati non necessari allo svolgimento della propria attività. Ladiffusione di informazioni confidenziali è possibile solo con l’assenso preventivodella persona interessata. Nel caso di attività svolte presso strutture di committenti(imprese, centri di orientamento…) l’operatore deve preoccuparsi che sui dati a luipervenuti sia assicurata la privacy. 169 DOVERIImpegno di buon comportamentoGli allievi si impegnano a garantire la disciplina negli ambienti formativi, equesto sia con l’autocontrollo sia rispettando l’opera di responsabile vigilanza (“as-sistenza”) dei formatori, dei tutor e del Direttore stesso. In particolare, ognuno siimpegna ad avere un comportamento rispettoso, corretto, diligente. Gli allievi siimpegnano a seguire scrupolosamente le disposizioni in materia antinfortunisticaimpartite dai formatori. Si impegnano infine a rispettare gli ambienti, gli arredi, ilmateriale didattico, che appartengono alla comunità formativa del Centro.Impegno di schiettezzaOgni allievo si impegna ad esporre in forma aperta e schietta tutti i dati e lenotizie che consentono di svolgere meglio l’attività. Disporre di questi dati informa completa è assolutamente necessario per una formazione personalizzata ecoerente con il contesto in cui la persona vive e intende operare.Impegno alla sottoscrizione di un pattoAccanto alla proposta di un percorso formativo, al destinatario viene sotto-posto un “patto”. In esso gli viene chiesto di: – dichiarare esplicitamente la volontà di intraprendere quel percorso formativo; – prendere coscienza degli impegni previsti per la realizzazione del proprio pro-getto personale;– accettare e rispettare le regole di svolgimento del percorso formativo;– impegnarsi attivamente per la buona riuscita di quel percorso;La sottoscrizione del patto e il suo rispetto sono fattori che favoriscono la ma-turità personale e professionale. Impegno di compilazione di strumenti di valutazione In particolari momenti del percorso, il giovane verrà invitato a compilare al-cuni strumenti di valutazione sul servizio che sta ricevendo, in vista di un continuomiglioramento.Impegno di informazione sugli esiti della formazioneIl percorso formativo può essere stato rivolto a persone in cerca di prima occu-pazione, oppure a lavoratori in situazione di crisi o di riqualificazione professio-nale. In tutti i casi, è importante che il destinatario del servizio, entrato o rientratonel mondo del lavoro, fornisca al Centro informazioni sull’esito dell’esperienzaformativa ricevuta, rendendo così possibile una verifica accurata delle qualità delservizio e il suo costante miglioramento. 171 3. Istituto d’arti e mestieri annesso all’Oratorio di Valdocco1 (1904) Alcune ragioni per le quali si crede che l’Istituto d’arti e mestieri annesso al-l’Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino – Via Cottolengo N. 32, abbia la qua-lità e meriti il nome di Scuola Professionale e non di opificio industriale. 1. Articolo fondamentale del nostro Regolamento è il seguente: i nostri labora-tori non abbiano scopo di lucro, ma siano vere scuole d’arti e mestieri.2. Abbiamo due programmi: a) uno per l’istruzione da darsi a tutti gli allievioperai fuori di laboratorio; b) ed uno per guidare i giovani all’apprendimentodi ciascun’arte.Il primo comprende un corso di lingua nazionale, di geografia, di storia, diaritmetica, di geometria, di disegno, di fisica, chimica e storia naturale, di so-ciologia, di buona creanza, d’igiene, di computisteria, di lingua francese e direligione. Questo programma, come si vede, forma un corredo di cultura gene-rale da fornirsi a tutti gli allievi senza distinzione di arte o mestiere.Il secondo, vario secondo il numero delle arti e dei mestieri, è diviso in cinqueanni o corsi di tirocinio ed ogni corso in due periodi o semestri. In questo pro-gramma sono indicate progressivamente le cognizioni che ogni allievo deveapprendere ed i lavori a cui deve applicarsi per riuscire operaio perfetto.Il programma si svolge nel laboratorio ed è oggetto dell’insegnamento di cia-scun maestro d’arte e de’ suoi assistenti, il cui incarico, dice il Regolamento, èdi ammaestrare i giovani della casa nell’arte cui sono destinati dai superiori2.Esso abbraccia non solo l’esecuzione dei lavori, ma l’insegnamento orale escritto: a) delle norme pratiche, secondo le quali ogni lavoro deve essere eseguito;b) della conoscenza degli strumenti e del modo più conveniente di usarli, pre-pararli e conservarli;c) della materia usata nei lavori, delle sue varie specie, qualità e prezzi;d) della rappresentazione figurata dei vari lavori nell’insieme, nelle parti enelle sezioni; delle misure, degli ingrandimenti e riduzioni, delle varie ma- 1 ASC B513 Consiglio Generale Cons. Professionale Bertello ms. allog. con corr aut. 2 f.[1904]. Il titolo è tratto dalle prime righe dello scritto. 2 Regolamento per le case (capo VII, 1), p. 35. 172 niere di commettere le parti ecc., richiamando le cognizioni apprese nelcorso di coltura generale, ampliandole al bisogno e riducendole alla pratica;e) delle varie forme e stili antichi e moderni nei quali si è manifestata quel-l’arte;f) delle macchine, che possono essere di aiuto all’uomo nell’esercizio dellasua arte e del loro uso;g) del modo di fare il preventivo e stabilire il prezzo dei lavori;h) delle piazze, dove si acquistano i materiali e si smerciano i lavori e deimodi da usare coi fornitori e coi clienti;i) dei punti principali della legislazione e delle buone consuetudini commer-ciali.3. Il maestro d’arte (che presta l’opera sua gratuitamente, oppure è pagato cononorario fisso e non percepisce alcun lucro sui lavori de’ suoi allievi), ora dàl’insegnamento a tutti gli allievi insieme riuniti, ora a ciascun corso o sezione,ed ora a ciascun allievo in particolare.All’istruzione poi tien dietro la continua sorveglianza nell’esecuzione dei la-vori assegnati, la correzione dei medesimi, e la ripetizione degli insegnamentie delle prove, come suol farsi in tutte le scuole.Il maestro deve seguire passo passo i progressi de’ suoi allievi, concretarli inun voto settimanale, voto che avrà il suo controllo nell’esame che ogni allievodeve subire davanti ad un’apposita Commissione al fine di ogni semestre.4. Poste le quali cose, ognun vede che il tempo che i nostri allievi passano nei lo-cali dei laboratori (cioè le circa otto ore segnate nell’orario) non è di lavoro,ma tempo convenientemente distribuito tra l’insegnamento teorico e l’eser-cizio pratico dell’arte, e che perciò questo tempo non è un motivo, per cui sineghi alle nostre il titolo e la qualità di Scuole professionali, poiché non pareche debba essere il luogo quello che dà la qualità, ma l’esercizio e l’opera chein esso si compie.Se poi ci si domanda perché si diano in laboratorio e si alternino in esso l’in-segnamento teorico e l’esercizio pratico, diremo chiaramente che a noi parequesto il modo più adatto e più efficace per formare degli operai abili e labo-riosi e riteniamo che il dividere in modo assoluto due insegnamenti, sia quantoal tempo, sia quanto al luogo, mentre darà forse all’operaio un’idea esageratadel suo sapere, non gli darà né l’amore all’officina, né l’abitudine e la co-stanza necessaria per rimanervi tutta la giornata.5. Che poi nei nostri istituti si miri sul serio all’istruzione degli allievi e non allucro potrebbe agevolmente certificarsene chi volesse osservare che le nostreScuole professionali, nonostante il sacrifizio personale di quelli che vi sonoaddetti, nonostante la piccola quota, che pagano taluni dei parenti degli allievi,sono ogni anno finanziarmente passive e ci tocca ricorrere alla carità delle per-sone benefiche per colmarne il deficit. 173 6. Né si tolga motivo ad affermare il contrario dal fatto che noi diamo ai nostri al-lievi una mancia proporzionata al loro grado di abilità ed alla loro applicazioneperché, se si osserva il modo che da noi si tiene nel computare questa mancia,si vedrà che essa non corrisponde ad un lavoro fatto e ad un guadagno procu-rato alla casa: ma alla diligenza e al buon contegno tenuto nell’officina. Essa èperciò un mezzo di incoraggiare gli allievi e procurar loro un vantaggio mate-riale per il tempo che dovranno uscire; ma, quanto alla casa, viene a convertirsiin una vera passività da colmarsi anch’essa nel modo sopra detto. Il che appa-rirà più evidente se si considera che, posta l’applicazione nel compiere il pro-prio dovere, la mancia rimane la stessa, sia che abbondi il lavoro sia che scar-seggi, sia che si dia la prevalenza all’insegnamento teorico, sia che si lasci ilsuo posto all’esercizio pratico. [Giuseppe Bertello] 175 4. Le scuole professionali. Programmi didattici e professionali1 (1910) Idea generale sull’ordinamento delle scuole professionali salesiane Coi tempi e con don Bosco. In queste parole è racchiuso gran parte di ciò cheforma la caratteristica dello spirito salesiano. Non v’ha quindi dubbio che se noiSalesiani vogliamo lavorare proficuamente a vantaggio dei figli del popolo, dob-biamo anche noi muoverci e camminare col secolo, appropriandoci quello che inesso v’ha di buono, anzi precedendolo, se ci è possibile, sulla strada dei veraciprogressi, per potere, autorevolmente ed efficacemente, compiere la nostra mis-sione.Tali furono le massime e tali gli esempi di don Bosco, il quale dopo di avergettato nel 1841 le basi dell’Opera sua – cui dava stabile sede nel 1846 nei prati diValdocco, ove fe’ sorgere dal nulla uno dei più grandiosi istituti di carità dell’Italiae del mondo – fin dal 1853, a meglio provvedere alla formazione dei giovanioperai, cominciò ad aprire alcune scuole professionali nell’interno del suo Ospizio.Egli aveva intuito l’indirizzo minaccioso e le proporzioni che avrebbe assunto laquestione operaia e dalla carità e dalla fede, e che sol in2 ogni tempo diedero pace econforto all’umanità agitata e sofferente, attinse l’ispirazione e i mezzi di appor-tarvi rimedio.Tale fu lo scopo di don Bosco nell’istituire le sue Scuole professionali, chedebbono essere palestre di coscienza e di carattere, e scuole fornite di quanto lemoderne invenzioni hanno di meglio negli utensili e nei meccanismi, perché ai gio-vani alunni nulla manchi di quella coltura, di cui vantasi giustamente la modernaindustria.Fedeli allo spirito del loro Istitutore, i Salesiani furono forse i primi in Italia adorganizzare con appositi programmi e con insegnamento metodico le loro Scuoleprofessionali, e ciò quando ancor nessuno si occupava di questo ramo dell’educa-zione popolare, e nemmeno il governo aveva dato norme in proposito.Le nostre scuole infatti seguono due programmi ben distinti: l’uno di colturagenerale, l’altro teorico-pratico delle arti. 1 ASC E481 Bertello // ed. a stampa: 89 p.// PIA SOCIETÀ SALESIANA DI D. BOSCO, Le scuole pro-fessionali. Programmi didattici e professionali. Torino, Scuola Tipografica Salesiana 1910. 2 In originale: solin. I Programmi. Il Programma di coltura generale, partendo dal principio che igiovani a 12 anni abbiano compiuto il corso elementare inferiore, comprendecinque corsi, dei quali i primi due corrispondono, con qualche modificazione allaclasse quarta e quinta elementare e gli altri tre costituiscono un corso di perfeziona-mento. In questi ultimi il programma prescrive lezioni di francese, fisica, mecca-nica, elettrotecnica, computisteria, sociologia e disegno applicato alle varie profes-sioni; in tutti poi è anche prescritta un’ora settimanale d’igiene, di galateo e di reli-gione.II Programma teorico-pratico delle arti consta di tanti programmi quante sonole professioni insegnate e poiché si è comprovato esser necessario un quinquenniodi tirocinio per l’apprendimento di qualunque mestiere, ogni programma è suddi-viso in 10 periodi, corrispondenti ai 10 semestri di studio e di applicazione, neiquali è progressivamente indicato il corredo di cognizioni che l’allievo deve ap-prendere e la serie dei lavori cui egli deve applicarsi per riuscire a poco a poco ope-raio perfetto.In conformità di questo programma, viene da ogni maestro d’arte impartitol’insegnamento ad ore stabilite, ora a tutti gli alunni insieme riuniti, ora a ciascunocorso o sezione; poiché l’ammettere l’alunno all’apprendimento il dì stesso cheentra in laboratorio e l’alternargli l’insegnamento col lavoro, costituisce quel me-todo eminentemente teorico-pratico, che è il più atto ad abituare i giovani all’offi-cina; e scopo precipuo delle Scuole professionali dev’essere questo di formareoperai intelligenti, abili e laboriosi.A meglio raggiungere questo scopo, ogni maestro d’arte – il quale presta gra-tuitamente l’opera sua o è pagato con onorario fisso, ma non attende alcun utile dailavori degli allievi – all’insegnamento unisce la continua sorveglianza nell’esecu-zione dei lavori assegnati, la correzione dei medesimi e la ripetizione degli inse-gnamenti e delle prove, precisamente come suol farsi in qualunque scuola (*).Poiché – giova rilevarlo – nelle Scuole professionali di don Bosco, il maestrod’arte non cura semplicemente l’esecuzione dei lavori, ma – a tenore del Pro-gramma – ha pur l’incarico “dell’insegnamento orale e scritto delle norme pratiche,secondo le quali ogni lavoro deve essere eseguito - della conoscenza degli stru-menti e del modo più conveniente di usarli, prepararli e conservarli - della materiausata nei lavori, delle sue varie specie, qualità e prezzi - della rappresentazione fi-gurata dei lavori nell’insieme, nelle parti e nelle lezioni, nonché nelle misure, degliingrandimenti e riduzioni, delle varie maniere di connettere le parti ecc., richia- 176 (*) In aiuto al maestro, ove lo esiga il numero degli allievi e in proporzione del numero diquesti, vi sono in ogni scuola uno o più operai provetti, i quali col loro contegno e colla loro operositàsono di buon esempio e di stimolo salutare ai giovani e nello stesso tempo prestano l’opera loro indi-spensabile per assumere ordinazioni e poter eseguire lavori che servano di modello agli apprendisti ediano ai maestri il mezzo di assegnare ordinatamente agli allievi l’esecuzione di quei punti determi-nati dal Programma per il loro corso. 177 mando le cognizioni apprese nel corso di cultura generale, ampliandole al bisognoe riducendole alla pratica – delle varie forme e stili antichi e moderni nei quali si èmanifestata quell’arte – delle macchine, che possono essere di aiuto all’uomo nel-l’esercizio della sua arte e del loro uso – del modo di fare il preventivo e stabilire ilprezzo dei lavori – delle piazze, dove si acquistano i materiali e si smerciano i la-vori e dei modi da usare coi fornitori e clienti e finalmente dei punti principali dellalegislazione e delle buone consuetudini commerciali.In breve, il maestro svolge passo passo il progresso degli allievi, e lo concretain un voto settimanale di applicazione, che ha controllo nell’esame che l’allievo dàal fine d’ogni semestre innanzi ad apposita Commissione, della quale fan parteanche maestri esterni e Industriali tra i più competenti in materia3. Gli Esami hanno per oggetto: 1. l’esecuzione di un lavoro fra quelli compresi nel semestre o periodo del Pro-gramma che l’allievo ha percorso, tenendo conto del tempo impiegato e della per-fezione con cui fu eseguito;2. l’esposizione fatta a voce viva delle norme, secondo le quali doveva ese-guirsi il lavoro, delle qualità dei materiali usati e di quelle altre nozioni teoriche,che l’allievo deve aver appreso durante quel periodo. Ad ogni esame, se è promosso, l’allievo consegue un punto di abilità, cosicchéfinito il quinquennio, se egli ha dieci punti [cioè se fu sempre promosso) egli hacompiuto il suo tirocinio, e vien dichiarato operaio, e ne riceve un relativo diploma. Premi e incoraggiamenti. Alla intrinseca bontà del metodo, don Bosco volleassociati pur quei mezzi materiali e morali che son efficace stimolo ad un giovanenell’esatto adempimento di tutti i suoi doveri; ad esempio: le premiazioni annuali aipiù meritevoli, l’ammissione alle scuole gratuite di declamazione e di musica vo-cale ed istrumentale, e le mancie settimanali. La mancia settimanale é una regalia, che si fa settimanalmente agli allievi,proporzionata al loro grado di abilità ed alla loro applicazione; poiché nel compu-tarla non si bada ad un lavoro fatto o al reale guadagno procurato alla scuola; maalla diligenza ed al buon contegno nella medesima; per cui, posta l’applicazione nelcompiere il proprio dovere, la mancia rimane la stessa, sia che abbondi il lavoro siache scarseggi, sia che si dia la prevalenza all’insegnamento teorico, sia che si lasciil suo posto all’insegnamento pratico. Tuttavia, a stimolo maggiore, essa è compu-tata in base a quel qualsiasi guadagno, che si calcola dovrebbe l’alunno realizzare.Il guadagno infatti di un operaio è determinato: 3 Cfr. circolare del 29 gennaio 1899. 178 a) dal valore dei lavori eseguiti;b) dall’abilità e destrezza nell’eseguirli; c) dall’applicazione e diligenza usata. Quanto al valore dei lavori eseguiti, essendo quasi impossibile calcolare ilprezzo d’ogni singolo lavoro [dato il numero grande degli alunni), si sta al prezzodella giornata normale delle varie professioni. Quanto all’abilità, essendo gli alunni “operai in formazione” la loro giornatasta alla giornata normale, come la loro abilità sta a quella dell’operaio formato. Orasupponendo che l’operaio il quale possa guadagnarsi la giornata normale abbiadieci di abilità, ed essendo stabilito che il tirocinio d’ogni mestiere duri cinque annidivisi in dieci semestri, un giovane artigiano di ordinario ingegno e di ordinaria ap-plicazione, alla fine del primo semestre di tirocinio venendo ad acquistare un puntodi abilità varrà “un decimo di operaio”, e alla fine del secondo semestre succes-sivo, avendo acquistato un nuovo punto di abilità, varrà “due decimi di operaio” ecosì di seguito sino alla fine dell’ultimo semestre, in cui avrà dieci di abilità e gliverrà conferito il diploma di operaio.Quanto all’applicazione od alla diligenza, se l’alunno si trova in tempo al la-voro, e vi attende con impegno, avrà dieci di applicazione; in caso diverso avrànove, otto, sette, ecc. secondocché si discosterà dalla norma suddetta. Dal votod’applicazione, combinato col voto d’abilità, si ha il valore della giornata deglialunni che non è uguale per tutti, perchè vario secondo le tariffe delle diverse pro-fessioni, ma sul quale si dà a tutti una percentuale che è quella del 10%.Il quantitativo di questa rimunerazione è diviso tra massa e deposito. La parteche costituisce la massa, essendo diretta a formare un gruzzolo di denaro di cui l’a-lunno possa giovarsi nell’atto di lasciare le scuole, non può essere ne toccata du-rante il tirocinio, ne esatta prima del suo termine.L’alunno può valersi invece dell’altra parte, che chiamasi deposito, per spesericonosciute necessarie; come dal deposito vengono prelevati pochi soldi per setti-mana che egli spende a suo piacere.La mancia settimanale è dunque veramente un premio per incoraggiare gli al-lievi allo studio, al lavoro ed alla buona condotta. Esposizioni. Un altro mezzo assai potente per destare negli alunni l’emula-zione sono le esposizioni.“In ogni casa professionale – così si stabiliva nell’ultima Assemblea Generaledella Pia Società Salesiana, presieduta da don Bosco – si faccia annualmente unaEsposizione dei lavori compiuti dai nostri alunni, ed ogni tre anni si faccia un’e-sposizione generale, a cui prendano parte tutte le nostre case di artigiani”.Il voto non tardò a mettersi in pratica nelle singole case, e, superata ogni diffi-coltà, fu anche realizzato collettivamente. 179 La 1ª Esposizione generale si tenne dall’1 al 26 settembre 1901 nel Seminariodelle Missioni Estere a Torino-Valsalice. La 2ª Esposizione generale, assai più solenne della prima, si svolse dal 21agosto al 16 ottobre 1904 nell’Oratorio di Valdocco e fu onorata dalle visite di emi-nenti ed auguste persone, fra cui è vanto il ricordare Sua Maestà la Regina Marghe-rita di Savoia, S. A. L. e R. la Principessa Maria Laetitia, Duchessa d’Aosta, e S. A.R. il Principe Emanuele Filiberto, Duca di Aosta, che si degnò di presiedere la festadi chiusura. S. S. Papa Pio X, S. M. il Re, il Municipio e la Camera di Commerciodi Torino inviarono medaglie per i premiandi. La 3ª Esposizione generale, inaugurata il 3 luglio 1910 con intervento dei rap-presentanti di tutte le Autorità Cittadine e visitata fin dai primi giorni dalle LL. EE.l’on. Paolo Bosetti, 1° Segretario di S. M. il Re pel Grand’Ordine Mauriziano, ilsen. Teofilo Rossi Sindaco di Torino, e dal comm. Lacopo Vittorelli, Prefetto di To-rino, venne disposta nei tre piani del nuovo fabbricato delle Scuole Ginnasiali del-l’Oratorio Salesiano di via Cottolengo e in due gallerie provvisorie. L’ingresso èabbellito da un piccolo giardino (ove sorge una baracca eseguita dagli allievi fale-gnami dell’Istituto Salesiano di Catania, nella quale son raccolti alcuni saggi inviatidalle Scuole professionali di quell’Istituto); e nell’atrio, insieme con quello di S.M. il Re, spicca il ritratto del compianto don Rua, sotto cui il dì dell’inaugurazionevenne deposta una corona con queste parole: Mille figli del popolo di cento terre edi cento lingue diverse – vagheggiato avevano di dirgli commossi un grazie – qui ilgiorno della sua messa d’oro nell’idioma d’Italia – oggi più commossi ancora di-cono a tutti – quale serbino a Lui viva riconoscenza.In quest’esposizione figurano circa una cinquantina d’Istituti, appartenenti al-l’Italia, all’Europa, all’Africa, all’Asia ed alle Americhe. Le Scuole professionalipoi sommano a più centinaia, disposte in mirabile ordine.Per la premiazione hanno inviate medaglie d’oro, d’argento e di bronzo S. S.Pio X, il Ministro di agricoltura, industria e commercio, il Municipio di Torino, laCamera di Commercio ed il Comizio agrario della Provincia di Torino. Lo Scopo delle nostre esposizioni è pure quello di trarne lumi ed impulso, dalconfronto e dal molteplice e vario contributo di studi e di esperienze, dalla censurae dai consigli di persone sagge e competenti, non si vuole far pompa di operosità edi spirito d’intraprendenza, ma si brama sapere se le nostre scuole, se l’ordina-mento dei laboratori, se la coltura dei campi non lascino delle lacune a riempire.Vogliamo confrontare l’una casa coll’altra, l’una coll’altra nazione per pigliare do-vunque quello che è buono e fare cosi quasi una scuola internazionale di mutuo efraterno insegnamento.Vogliamo anche uscir al di fuori coi nostri pensieri e colle nostre indagini, ve-dere e confrontare quello che fanno altri istituti. 180 In ogni parte – sull’esempio di don Bosco che nel 1845 ne porse il primoesempio all’Italia4 – si aprono, e non sempre con spirito cristiano scuole festive eserali per operai e per contadini, e qua e là vanno già sorgendo le così dette Univer-sità popolari. Sentiamo quindi il bisogno di fare studi e confronti, nel fermo propo-sito di sempre meglio effettuare i disegni di don Bosco e dei suoi Successori, chesono di far sì che le arti, le scienze, le industrie e la beneficenza cooperino efficace-mente al conseguimento del benessere, sociale, a gloria della Religione ed a con-forto della Patria5. 4 Cfr. BOSCO G., Memorie dell’Oratorio, 141. Sulla “priorità lasalliana” nella fondazione dellescuole serali: VERRI C., I Fratelli delle Scuole Cristiane e la storia della scuola in Piemonte (1829-1859). Contributo alla storia della pedagogia nel Risorgimento, Erba (Como), Casa Editrice “Sus-sidi” [s.a.], pp. 120-121; SCAGLIONE S., Don Bosco e Fratelli delle Scuole Cristiane, in “Rivista La-salliana” 55 (1988), pp. 18-23.5 Sono introdotti in seguito (da p. 15 a p. 22): Alcuni avvertimenti di pedagogia, riportati sopra. 181 5. Opere Edite * D. Bosco “Opere e scritti editi ed inediti” a cura di A. Caviglia (+ 1943). Vol.6, i primi due in 2 parti.* G. Bosco Opere edite; Prima serie: Libri e opuscoli 37 (+!) vol. LAS-Roma1977-1978; a cura del Centro Studi D. Bosco [CSDON BOSCO]. Ristampaanastatica. Eccole in ordine alfabetico:1. Ai contadini: OE 1854-1855 (rist. anas.) VI 39-462. Angelina: OE 1860-1862 (rist. anas.) XIII 1-443. Angelina: OE 1868-1869 (rist. anas.) XXII 171-2404. Apparizione della Beata Vergine sulla montagna di La Salette: OE 1869-1871(rist. anas.) XXII 401-4925. Arpa cattolica o raccolta di Laudi Sacre sulla Passione: OE 1881-1882 (rist.anas.) XXXII 357-3636. Arpa cattolica o raccolta di Laudi S.re in onore dei Santi e delle Sante: OE1881-1882 (rist. anas.) XXXII 365-3687. Arpa cattolica o raccolta di Laudi S.re in on. di GC, di M. SS, dei SS: OE1881-1882 (rist. anas.) XXXII 371-3808. Arpa cattolica o racc. di Laudi Sacre in on. del S. C.di G., del SS. Sac. OE1881-1882 (rist. anas.) XXXII 383-3859. Associazione dei divoti di Maria Ausiliatrice: OE 1868-1869 (rist. anas.) XXI339-43410. Associazione di opere buone: OE 1872-1875 (rist. anas.) XXV 481-49411. Avvisi ai Cattolici: OE 1849-1853 (rist. anas.) IV 165-19312. Avvisi alle figlie cristiane del Venerabile Monsignor Strambi: OE 1856 (rist.anas.) VIII 487-50613. Biografia del GIovane Mazzarello Giuseppe: OE 1869-1871 (rist. anas.) XXII359-37714. Biografia del sacerdote Giuseppe Cafasso: OE 1859-1860 (rist. anas.) XII 351-49415. Biografie 1881: OE 1881-1882 (rist. anas.) XXXII 387-41716. Biografie dei salesiani defunti nel 1882: OE 1882-1883 (rist. anas.) XXXIII115-17817. Biografie dei Salesiani defunti negli anni 1883 e 1884: OE 1885-1887 (rist.anas.) XXXVI 5-13618. Biografie. Confratelli chiamati da Dio alla vita eterna nell’anno 1880: OE1881-1882 (rist. anas.) XXXII 5-35 182 19. Biographie du jeune Louis Fleury Antoine Colle: OE 1881-1882 (rist. anas.)XXXII 420-42520. Breve notizia sullo scopo della Pia Società Salesiana: OE 1881-1882 (rist.anas.) XXXII 1-321. Breve notizia sullo scopo della Pia Soc. Salesiana e dei suoi Cooperatori: OE1885-1887 (rist. anas.) XXXVI 1-322. Breve ragguaglio: OE 1849-1853 (rist. anas.) IV 93-11923. Brevi biografie dei confratelli salesiani: OE 1875-1876 (rist. anas.) XXVII167-20524. Capitolo generale della Congregazione Salesiana: OE 1876-1877 (rist. anas.)XXVIII 313-33625. La casa della fortuna: OE 1865 (rist. anas.) XVI 1-7226. Catalogo degli oggetti offerti per la Lotteria: OE 1849-1853 (rist. anas.) IV145-16227. Catalogo degli oggetti posti in lotteria: OE 1857 (rist. anas.) IX 1-1728. Catechismo Cattolico sulle rivoluzioni: OE 1853-1854 (rist. anas.) V 243-24629. Cenni istruttivi di perfezione: OE 1846-1847 (rist. anas.) II 1-6930. Cenni storici intorno alla vita della B. Caterina De-Mattei: OE 1862-1863 (rist.anas.) XIV 1-19231. Cenni storici sulla vita del chierico Luigi Comollo...: OE 1844-1845 (rist.anas.) I 1-8432. Cenni sulla vita del giovane Luigi Comollo: OE 1884-1885 (rist. anas.) XXXV1-12033. Cenno biografico sul giovanetto Magone Michele: OE 1860-1862 (rist. anas.)XIII 155-25034. Cenno istorico sulla Congregazione di S. Francesco di Sales: OE 1872-1875(rist. anas.) XXV 231-25035. Chi è D. Ambrogio?!: OE 1866-1867 (rist. anas.) XVII 245-26036. La chiave del Paradiso: OE 1856 (rist. anas.) VIII 1-19237. La Chiesa cattolica e la sua gerarchia: OE 1868-1869 (rist. anas.) XXI 185-33638. La Chiesa Cattolica-Apostolica-Romana: OE 1849-1853 (rist. anas.) IV 121-14339. Congregazione particolare dei Vescovi e Regolari: OE 1872-1875 (rist. anas.)XXV 135-38540. Conversazioni: OE 1854-1855 (rist. anas.) VI 145-27241. Conversione di una valdese: OE 1853-1854 (rist. anas.) V 249-36642. Cooperatori salesiani: OE 1876-1877 (rist. anas.) XXVIII 255-27143. Cooperatori Salesiani: OE 1876-1877 (rist. anas.) XXVIII 339-37844. Corona dei sette dolori di Maria: OE 1871 (rist. anas.) XXIII 1-4945. Da Torino alla Repubblica Argentina: OE 1876-1877 (rist. anas.) XXVIII 273-30046. Daniele e i suoi tre compagni in Babilonia: OE 1866-1867 (rist. anas.) XVII155-176 47. Deliberazione del Capitolo Generale: OE 1877-1878 (rist. anas.) XXIX 377-47248. Deliberazioni del secondo CG della Pia Società Salesiana: OE 1882-1883 (rist.anas.) XXXIII 1-9649. Deliberazioni del secondo CG delle Figlie di Maria SS. Ausiliatrice: OE 1885-1887 (rist. anas.) XXXVI 149-25050. Deliberazioni del terzo e quarto CG della Pia Società Salesiana: OE 1885-1887(rist. anas.) XXXVI 253-28051. Della vera scuola per ravviare la societ: OE 1872-1875 (rist. anas.) XXV 79-8252. Dialoghi intorno all’istituzione del Giubileo: OE 1865 (rist. anas.) XVI 75-17053. Dramma. Una disputa: OE 1853-1854 (rist. anas.) V 101-16854. Due conferenze intorno al purgatorio: OE 1857 (rist. anas.) IX 19-16455. Le due orfanelle: OE 1862-1863 (rist. anas.) XIV 289-30256. Eccellentissimo Consigliere di Stato: OE 1881-1882 (rist. anas.) XXXII 37-4757. Elenchus privilegiorum: OE 1887-1888 (rist. anas.) XXXVII 561-58058. Elenco degli oggetti graziosamente donati a benefizio degli oratorii: OE 1862-1863 (rist. anas.) XIV 195-22259. Elenco degli oggetti graziosamente donati a benefizio degli oratorii: OE 1866-1867 (rist. anas.) XVII 1-2360. Episodi ameni e contemporanei: OE 1864 (rist. anas.) XV 117-22761. Esempi edificanti: OE 1860-1862 (rist. anas.) XIII 47-5462. Esercizio di divozione alla misericordia di Dio: OE 1846-1847 (rist. anas.) II71-18163. Esposizione alla S. Sede: OE 1879-1880 (rist. anas.) XXXI 237-25464. Esposizione del Sac Giovanni Bosco agli Emss Card della SCongr del Con-cilio: OE 1881-1882 (rist. anas.) XXXII 49-12465. Fatti ameni della vita di Pio IX: OE 1871 (rist. anas.) XXIII 51-40266. Fatti contemporanei: OE 1853-1854 (rist. anas.) V 51-9867. Favori e grazie spirituali: OE 1881-1882 (rist. anas.) XXXII 127-25868. La Figlia Cristiana provveduta: OE 1882-1883 (rist. anas.) XXXIII 180-67369. Fondamenti della Cattolica Religione: OE 1871-1872 (rist. anas.) XXIV 503-54570. La forza della buona educazione: OE 1854-1855 (rist. anas.) VI 275-38671. Germano l’ebanista: OE 1862-1863 (rist. anas.) XIV 305-31072. I Concili Generali e la Chiesa Cattolica: OE 1868-1869 (rist. anas.) XXII 1-16873. I papi da San Pietro a Pio IX: OE 1867-1868 (rist. anas.) XVIII 327-42274. Il Cattolico istruito nella sua Religione: OE 1849-1853 (rist. anas.) IV 195-64675. Il Cattolico nel secolo: OE 1883 (rist. anas.) XXXIV 1-45476. Il cattolico provveduto per le pratiche di pietà: OE 1868 (rist. anas.) IXX 1-77377. Il centenario di S. Pietro apostolo: OE 1867-1868 (rist. anas.) XVIII 1-240 183 78. Il cercatore della fortuna: OE 1864 (rist. anas.) XV 229-24179. Il cercatore della fortuna: OE 1875-1876 (rist. anas.) XXVII 481-49280. Il cristiano guidato alla virt e alla civiltà: OE 1847-1848 (rist. anas.) III 215-50381. Il cristiano guidato alla virt e alla civiltà: OE 1876-1877 (rist. anas.) XXVIII1-25282. Il Divoto dell’Angelo Custode: OE 1844-1845 (rist. anas.) I 87-15883. Il Galantomo pel 1886: OE 1885-1887 (rist. anas.) XXXVI 139-14684. Il Galantuomo pel 1854: OE 1853-1854 (rist. anas.) V 231-23985. Il Galantuomo pel 1855: OE 1854-1855 (rist. anas.) VI 1-3686. Il Galantuomo pel 1856: OE 1854-1855 (rist. anas.) VI 487-50987. Il Galantuomo pel 1857: OE 1856 (rist. anas.) VIII 477-48488. Il Galantuomo pel 1858: OE 1857-1858 (rist. anas.) X 195-20289. Il Galantuomo pel 1859: OE 1858-1859 (rist. anas.) XI 139-14890. Il Galantuomo pel 1860: OE 1859-1860 (rist. anas.) XII 113-12091. Il Galantuomo pel 1861: OE 1859-1860 (rist. anas.) XII 497-50492. Il Galantuomo pel 1862: OE 1860-1862 (rist. anas.) XIII 319-33693. Il Galantuomo pel 1865: OE 1864 (rist. anas.) XV 437-46894. Il Galantuomo pel 1866: OE 1865 (rist. anas.) XVI 469-49495. Il Galantuomo pel 1868: OE 1867-1868 (rist. anas.) XVIII 311-32496. Il Galantuomo pel 1869: OE 1868-1869 (rist. anas.) XXI 177-18297. Il Galantuomo pel 1870: OE 1868-1871 (rist. anas.) XXII 243-25098. Il Galantuomo pel 1871: OE 1869-1871 (rist. anas.) XXII 379-39899. Il Galantuomo pel 1872: OE 1871-1872 (rist. anas.) XXIV 467-486100. Il Galantuomo pel 1873: OE 1872-1875 (rist. anas.) XXV 1-16101. Il Galantuomo pel 1874: OE 1872-1875 (rist. anas.) XXV 85-100102. Il Galantuomo pel 1875: OE 1872-1875 (rist. anas.) XXV 471-478103. Il Galantuomo pel 1876: OE 1875-1876 (rist. anas.) XXVII 145-154104. Il Galantuomo pel 1877: OE 1876-1877 (rist. anas.) XXVIII 303-310105. Il Galantuomo pel 1878: OE 1877-1878 (rist. anas.) XXIX 319-333106. Il Galantuomo pel 1879: OE 1878-1879 (rist. anas.) XXX 431-438107. Il Galantuomo pel 1880: OE 1879-1880 (rist. anas.) XXXI 61-88108. Il Galantuomo pel 1881: OE 1878-1880 (rist. anas.) XXXI 441-452109. Il Galantuomo pel 1883: OE 1882-1883 (rist. anas.) XXXIII 99-112110. Il Galantuomo pel 1884: OE 1883 (rist. anas.) XXXIV 457-470111. Il Galantuomo pel 1885: OE 1884-1885 (rist. anas.) XXXV 123-128112. Il giovane provveduto: OE 1846-1847 (rist. anas.) II 183-532113. Il giovane provveduto: OE 1862-1863 (rist. anas.) XIV 345-361114. Il giovane provveduto: OE 1875 (rist. anas.) XXVI 2-184115. Il giovane provveduto: OE 1884-1885 (rist. anas.) XXXV 130-648116. Il Giubileo: OE 1853-1854 (rist. anas.) V 479-542117. Il Giubileo del 1875: OE 1875 (rist. anas.) XXVI 187-301 184 118. Il mese di maggio consacrato a Maria SS. Immacolata: OE 1857-1858 (rist.anas.) X 295-486119. Il Papa: OE 1859-1860 (rist. anas.) XII 123-144120. Il pastorello delle Alpi: OE 1864 (rist. anas.) XV 242-435121. Il più bel fiore del Collegio Apostolico ossia la elezione di Leone XIII: OE1878-1879 (rist. anas.) XXX 1-288122. Il pontificato di S. Dionigi: OE 1860-1862 (rist. anas.) XIII 253-316123. Il pontificato di S. Felice primo e di S. Eutichiano papi e martiri: OE 1860-1862 (rist. anas.) XIII 339-434124. Il pontificato di S. Marcellino e S. Marcello papi e martiri: OE 1864 (rist.anas.) XV 1-115125. Il pontificato di San Sisto II e le glorie di San Lorenzo martire: OE 1859-1860 (rist. anas.) XII 269-348126. Il pontificato di San Caio martire: OE 1862-1863 (rist. anas.) XIV 363-482127. Il sistema metrico decimale: OE 1849-1853 (rist. anas.) IV 1-80128. Inaugurazione del Patronato di S. Pietro in Nizza a mare: OE 1876-1877 (rist.anas.) XXVIII 380-446129. Industrie spirituali: OE 1859-1860 (rist. anas.) XII 123-144130. L’Amico della Gioventù (Anno I - n. 1): OE 21 Ottobre 1848 (rist. anas.)XXXVIII 289-298131. L’Arca dell’Alleanza: OE 1879-1880 (rist. anas.) XXXI 91-234132. L’aritmetica e il sistema metrico: OE 1881-1882 (rist. anas.) XXXII 261-354133. L’Armonia: OE 1849-1863 (rist. anas.) XXXVIII 9-63134. L’Oratorio di S. Francesco di Sales ospizio di beneficenza: OE 1879-1880(rist. anas.) XXXI 257-300135. L’Unità Cattolica: OE 1864-1888 (rist. anas.) XXXVIII 65-286136. Lettera del sac. D. Giovanni Bosco al P. Alessandro Checcucci: OE 1867-1868 (rist. anas.) XVIII 303-307137. Letture amene ed edificanti: OE 1879-1880 (rist. anas.) XXXI 385-388138. Lotteria d’oggetti: OE 1865 (rist. anas.) XVI 247-253139. Lotteria di doni diversi a favore dei poveri giovanetti dell’Ospizio di S. Vin-cenzo de’ Paoli in S. Pier D’Arena: OE 1878-1879 (rist. anas.) XXX 441-446140. Maniera facile per imparare la Storia Sacra: OE 1854-1855 (rist. anas.) VI49-143141. Maraviglie della Madre di Dio: OE 1868 (rist. anas.) XX 192-376142. Le maraviglie della Madonna di Lourdes: OE 1872-1875 (rist. anas.) XXV75-76143. Maria Ausiliatrice col racconto di alcune grazie: OE 1875 (rist. anas.) XXVI304-624144. Massimino: OE 1872-1875 (rist. anas.) XXV 123-229145. Notitia brevis Societatis Sancti Francisci Salesii: OE 1867-1868 (rist. anas.)XVIII 571-586 185 146. Notizie storiche intorno al miracolo del SS. Sacramento: OE 1853-1854 (rist.anas.) V 1-48147. Notizie storiche intorno al Santuario di Nostra Signora della Pieve in vici-nanza di Ponzone: OE 1867-1868 (rist. anas.) XVIII 425-568148. Notizie storiche sul Convento e sul Sant di S Maria delle Grazie presso NizzaMonferrato: OE 1878-1879 (rist. anas.) XXX 405-426149. Nove giorni consacrati all’augusta Madre del Salvatore: OE 1869-1871 (rist.anas.) XXII 253-356150. Novella amena: OE 1862-1863 (rist. anas.) XIV 225-287151. Novelle e racconti: OE 1866-1867 (rist. anas.) XVII 393-456152. La nuvoletta del Carmelo: OE 1876-1877 (rist. anas.) XXVIII 449-565153. Opera di Maria Ausiliatrice per le vocazioni allo stato ecclesiastico: OE1875-1876 (rist. anas.) XXVII 1-8154. Opera di Maria Ausiliatrice per le vocazioni allo stato ecclesiastico: OE1877-1878 (rist. anas.) XXIX 1-28155. La pace della Chiesa: OE 1865 (rist. anas.) XVI 173-245156. La perla nascosta: OE 1866-1867 (rist. anas.) XVII 25-142157. La persecuzione di Decio e il pontificato di San Cornelio I papa: OE 1859-1860 (rist. anas.) XII 1-111158. Porta teco cristiano: OE 1858-1859 (rist. anas.) XI 1-71159. Pratiche divote per l’adorazione del SS. Sacramento: OE 1866-1867 (rist.anas.) XVII 263-278160. Raccolta di curiosi avvenimenti: OE 1853-1854 (rist. anas.) V 369-476161. Regolamento di San Francesco di Sales per gli esterni: OE 1877-1878 (rist.anas.) XXIX 31-94162. Regolamento per le case della Società di S. Francesco di Sales: OE 1877-1878 (rist. anas.) XXIX 97-196163. Regole o Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales: OE 1875-1876(rist. anas.) XXVII 10-99164. Regole o Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales: OE 1877-1878(rist. anas.) XXIX 199-288165. Regole o Costituzioni per l’Istituto delle Figlie di Maria SS. Ausil.: OE 1878-1879 (rist. anas.) XXX 291-354166. Regulae seu Constitutiones Societatis S. Francisci Salesii.: OE 1872-1875(rist. anas.) XXV 412-460167. Regulae Societatis S. Francisci Salesii (1873): OE 1872-1875 (rist. anas.)XXV 35-72168. Regulae Societatis S. Francisci Salesii [I]: OE 1872-1875 (rist. anas.) XXV253-292169. Regulae Societatis S. Francisci Salesii [II]: OE 1872-1875 (rist. anas.) XXV295-333170. La Repubblica Argentina e la Patagonia: OE 1877-1878 (rist. anas.) XXIX291-316 186 171. Rimembranza di una solennit in onore di Maria Ausiliatrice: OE 1868-1869(rist. anas.) XXI 1-174172. Sagra Congregazione de’ Vescovi e Regolari. Consultazione per una Congre-gazione particolare.: OE 1872-1875 (rist. anas.) XXV 387-400173. Sagra Congregazione de’ Vescovi e Regolari. Consultazione per la Congrega-zione speciale: OE 1875-1876 (rist.anas.)XXVII 101-143174. Sancti Hieronymi de viris illustribus: OE 1875-1876 (rist. anas.) XXVII 157-164175. Scelta di Laudi Sacre: OE 1879-1880 (rist. anas.) XXXI 303-382176. Le scuole di beneficenza dell’oratorio di S. Franc. di Sales in Torino: OE1878-1879 (rist. anas.) XXX 449-480177. Severino: OE 1868 (rist. anas.) XX 1-189178. Società di mutuo soccorso: OE 1849-1853 (rist. anas.) IV 83-90179. Società di S. Francasco di Sales. Anno 1872: OE 1871-1872 (rist. anas.)XXIV 489-500180. Società di S. Francesco di Sales. Anno 1874: OE 1872-1875 (rist. anas.)XXV 463-469181. Società di S. Francesco di Sales. Anno 1877: OE 1877-1878 (rist. anas.)XXIX 335-374182. Società di S. Francesco di Sales. Anno 1880: OE 1879-1880 (rist. anas.)XXXI 391-439183. Società di San Francesco di Sales. Anno 1878: OE 1878-1879 (rist. anas.)XXX 357-402184. Società di San Francesco di Sales. Anno 1879: OE 1879-1880 (rist. anas.)XXXI 1-59185. Societas Sancti Francisci Salesii: OE 1867-1868 (rist. anas.) XVIII 267-301186. Societatis S. Francisci Salesii (1873): OE 1872-1875 (rist. anas.) XXV 103-121187. Specchio della dottrina cristiana cattolica: OE 1862-1863 (rist. anas.) XIV313-343188. La storia d’Italia: OE 1855 (rist. anas.) VII 1-561189. La Storia d’Italia: OE 1887-1888 (rist. anas.) XXXVII 1-558190. Storia dell’Inquisizione: OE 1865 (rist. anas.) XVI 255-272191. Storia Ecclesiastica: OE 1844-1845 (rist. anas.) I 160-556192. Storia Ecclesiastica: OE 1871-1872 (rist. anas.) XXIV 1-464193. Storia Sacra: OE 1847-1848 (rist. anas.) III 2-212194. Storia Sacra: OE 1875-1876 (rist. anas.) XXVII 207-478195. Una famiglia di martiri: OE 1860-1862 (rist. anas.) XIII 57-152196. Una parola da amico all’esercito: OE 1866-1867 (rist. anas.) XVII 145-152197. Una preziosa parola ai figli e alle figlie: OE 1860-1862 (rist. anas.) XIII 437-459198. Unione Cristiana: OE 1872-1875 (rist. anas.) XXV 403-410 187 199. Valentino o la vocazione impedita: OE 1866-1867 (rist. anas.) XVII 179-242200. Vita de’ sommi pontefici S. Lino e S. Clemente: OE 1857 (rist. anas.) IX 337-443201. Vita de’ sommi pontefici S. Sisto, S. Teleforo, S. Igino, S. Pio I: OE 1857-1858 (rist. anas.) X 1-95202. Vita de’ S.mi Pontef.. S. Aniceto, Sotero, S. Eleutero, Vittore e Zeffirino: OE1857-1858 (rist. anas.) X 205-292203. Vita dei sommi pontefici S. Anacleto S. Evaristo S. Alessandro: OE 1857(rist. anas.) IX 445-524204. Vita dei sommi pontefici S. Ponziano, S. Antero e S. Fabiano: OE 1858-1859(rist. anas.) XI 409-508205. Vita del giovane Saccardi Ernesto: OE 1868 (rist. anas.) XX 445-464206. Vita del giovanetto Savio Domenico: OE 1858-1859 (rist. anas.) XI 150-292207. Vita del sommo pontefice S. Callisto I: OE 1858-1859 (rist. anas.) XI 73-136208. Vita del sommo pontefice San Urbano I: OE 1858-1859 (rist. anas.) XI 295-406209. Vita della beata Maria degli Angeli: OE 1865 (rist. anas.) XVI 274-466210. Vita di S. Giovanni Battista: OE 1868 (rist. anas.) XX 379-442211. Vita di S. Giuseppe: OE 1866-1867 (rist. anas.) XVII 281-390212. Vita di S. Pancrazio martire: OE 1872-1875 (rist. anas.) XXV 19-32213. Vita di S. Paolo Apostolo: OE 1857 (rist. anas.) IX 167-334214. Vita di S. Policarpo: OE 1857-1858 (rist. anas.) X 97-192215. Vita di San Martino Vescovo di Tours: OE 1854-1855 (rist. anas.) VI 389-484216. Vita di San Pancrazio martire: OE 1856 (rist. anas.) VIII 195-290217. Vita di San Pietro: OE 1856 (rist. anas.) VIII 293-474218. Vita di San Pietro: OE 1867-1868 (rist. anas.) XVIII 243-265219. Vita di Santa Zita: OE 1853-1854 (rist. anas.) V 171-179220. Vita e martirio de’ sommi pontefici San Lucio I e Santo Stefano I: OE 1859-1860 (rist. anas.) XII 147-266221. Vita infelice di un novello apostata: OE 1853-1854 (rist. anas.) V 181-228 La seconda serie: circolari, programmi, appelli è stata edita nel 1987 solo in parte [testi de L’Ar-monia 1849-1863), L’Unità Cattolica 1864-1888, L’Amico della gioventù 1848], in edi-zione non anastatica e costituisce il vol. XXXVIII. Sarebbe pure prevista una terza serie:articoli sul Bollettino Salesiano nella triplice edizione italiana, francese, spagnola.La ristampa anastatica (ossia in fac-simile ottenuta mediante procedimenti fotomeccanici) è statapreferita alla semplice ristampa e all’edizione critica delle Opere edite per due ordini dimotivi: * rapidità di esecuzione, a differenza dei tempi lunghissimi di un’edizione critica e dei tempipiuttosto lunghi di ricomposizione tipografica e ristampa; * l’esattezza della riproduzione: perfetto fac-simile dell’originale di don Bosco. Solitamente èstata ristampata anastaticamente la prima edizione. In caso di notevoli varianti, anche un’e-dizione successiva. 188 189 6. Esami di promozione dei giovani artigiani (1903) Norme da seguire negli esami di promozione dei giovani artigiani in confor-mità del nuovo programma professionale1. 1. Gli esami si daranno alla metà ed al fine dell’anno professionale. 2. Anche in altri tempi potranno i capi col consenso del direttore, ammetterequalche allievo all’esame. Ciò potrà avvenire:a) quando entri in un laboratorio un giovane, che abbia fatto altrove parte deltirocinio e sia necessario constatare l’abilità per classificarlo;b) quando, essendo fallito un allievo nell’esame ordinario, non si creda conve-niente fargli ritardare la prova per un intero semestre;c) nel caso che qualche allievo, fornito d’ingegno e di applicazione più che or-dinaria, meriti di essere ammesso avanti tempo ad un grado superiore e cosìabbreviare la durata del tirocinio. 3. Gli esami si daranno nella forma seguente:a) si assegnerà per compito all’allievo uno dei lavori compresi nel periodo delprogramma, che egli sta percorrendo, e, lasciandolo libero da ogni altro im-pegno, e sorvegliandolo perché non sia in alcuna maniera disturbato o coa-diuvato, si terrà conto esatto del tempo, che egli impiegherà a finirlo; b) consegnato il lavoro, il direttore, o chi per lui, penserà alla commissione,che lo deve giudicare. 4. Questa dovrà comporsi del capo-ufficio per la direzione dei la oratorii comepresidente, o del prefetto, dove non vi sia ancora il detto capo-ufficio, del capoe di due altri maestri della medesima arte. I maestri potranno chiamarsi dallecase salesiane più vicine, oppure anche scegliersi tra maestri d’arte esterni. 5. L’esame avrà per oggetto:a) la difficoltà del lavoro in sé;b) la perfezione e finitezza, con cui fu eseguito; 1 E481 Bertello. // ed. a stampa, 2 pp. [1903]. // Nella circolare mensile del 28 febbraio 1903,don Bertello scrive: “1. Manda le norme da seguire negli esami di promozione dei giovani artigiani inconformità del nuovo Programma professionale, e prega i direttori a volerne procurare l’attuazione”. c) il tempo impiegato ad eseguirlo;d) la esposizione fatta a voce dall’allievo delle norme secondo le quali dovevaeseguirsi il lavoro, delle qualità dei materiali usati e di quelle altre nozioniteoriche, che l’allievo deve aver appreso durante quel periodo di tirocinio. 6. Solo quando un lavoro della difficoltà richiesta sia stato dall’allievo eseguitocon sufficiente perfezione ed in un tempo normale potrà dar luogo alla promo-zione dall’uno all’altro periodo, oppure dall’uno all’altro corso del tirocinio. 7. I membri della commissione, dopo esaminato insieme il lavoro, udito l’allievo ediscusso circa il suo merito, daranno ciascuno il proprio voto espresso in decimi. 8. Per la promozione si dovrà ottenere una media non inferiore a sei. 9. I voti di promozione saranno conservati in un registro e scritti negli attestati daconsegnarsi agli allievi od ai loro parenti. 190 191 7. Da ti acc redita ment o Reg ione E milia Rom agna 192 193 195 Bibliografia BENEDETTO XVI, Lettera alla Diocesi e alla città di Roma sul compito urgente dell’educazione,Roma, LEV, 2008.BERTELLO G., Proposta di un metodo per apprezzare il lavoro dei giovani artigiani e determinarne lamancia settimanale, Torino, Tip.Salesiana, 1901.ID., Programma scolastico per le scuole di artigiani della Pia Società di S. Francesco di Sales, To-rino, Tipografia Salesiana, 1903.BOSCO G., Cenno biografico del giovanetto Magone Michele allievo dell’Oratorio di S. Francesco diSales, Torino, Tip. G.B. Paravia e Comp., 1861 (18662).ID., Costituzioni della società di S. Francesco di Sales [1858] - 1875. Testi critici a cura di MOTTO F.,Roma, LAS, 1981.ID., Il pastorello delle Alpi ovvero vita del giovane Besucco Francesco d’Argentera, Tip. Dell’Ora-torio di S. Franc. di Sales, Torino 1864 (18782, 18813, 18864). Sono tutte facilmente trovabili inBOSCO G. (a cura del Centro Studi Don Bosco), Opere edite; 37 voll., Roma, LAS, 1977-1978.Ristampe anastatiche (indicate con la sigla OE, vol., pagg.). In appendice è riportato il pianocompleto dell’operaID., Memorie dell’Oratorio di San Francesco di Sales - dal 1815 al 1855, edizione critica a cura diFERREIRA DA SILVAA., Roma, LAS, 1991 (indicate con la sigla MO).ID., Regolamento per le case della Società di San Francesco di Sales, Torino, Tip.Salesiana, 1877.ID., Scritti sul sistema preventivo nell’educazione della gioventù. Introduzione. Presentazione e indicialfabetico e sistematico (a cura di BRAIDO P.), Brescia, La Scuola, 1965. ID., Vita del giovanetto Savio Domenico allievo dell’Oratorio di san Francesco di Sales, Torino, Tip.G.B. 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Ringrazio la comunitàformativa del Centro CNOS-FAP di Bologna nella persona del direttore don Fa-brizio Bonalume quale motore primo della ricerca. Ringrazio i molti che hannoreso possibile lo studio Comparativo a livello regionale: Alessandro Franchini(CNOS-FAP) e la moglie Annalisa (AECA), Fabio Belletti (AECA), Lorena Gubel-lini (Regione ER) e Paola Zaniboni (Regione ER).Un ringraziamento speciale a don Mario Tonini che ha sostenuto le mie ri-cerche fornendo materiale e supporto con una prontezza e una disponibilità enco-miabili.Un ringraziamento doverosissimo alle azioni maieutico-evolutive di FedericoPlazzi, della moglie Liliana e della libera editrice Salesian LIFE.L’incontro con i salesiani cav. Crescentino Marra e don Giovanni Sala e condocenti Luigino Bruni e Alessandra Smerilli sono stati proficui di buone idee. Dedico qui il lavoro alla famiglia che mi ha donato la vita e alla Congrega-zione mia famiglia nel carisma di don Bosco. Alessandro Giuseppe CurottiSalesiano di don Bosco 201 Indice Sommario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 SEZIONE STORICA Capitolo PrimoDon Bosco imprenditore civile (dal 1815) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111.1. Esperienza Personale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 121.2. Principi di Economia Civile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161.2.1. Origini Storiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 171.2.2. Umanesimo e tramonto del civile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 251.3. Dizionario civile minimo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 281.3.1. Commerciare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 281.3.2. Interessi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 281.3.3. Fiducia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 291.3.4. Incivilimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 291.3.5. Reciprocità e felicità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 291.3.6. Impresa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 311.3.7. Imprenditore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 321.4. Don Bosco imprenditore carismatico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 321.4.1. Imprenditore civile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32Commerciare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33Interessi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34Fiducia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35Incivilimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35Reciprocità e felicità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36Impresa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37Imprenditore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 371.4.2. Imprenditore secondo un carisma proprio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38Movente ideale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38Risposta ai bisogni di persone concrete . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38Realtà con identità e appartenenza forti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38Reciprocità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38Bellezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 391.5. Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39 202 Capitolo SecondoDall’intuizione di don Bosco all’Istituzione guidata da don Bosco(1841-1888) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 412.1. Intuizione e stile normativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42Regolamenti interni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42Assistenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 432.2. Istituzionalizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44Mutuo Soccorso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44Apprendistato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46Scelta originale nel panorama scolastico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47Tipografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 492.2.1. Imprese editoriali come amplificatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51Le tre Vite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52Amplificatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 542.2.2. Modello gestionale e fondazione della Congregazione . . . . . . . . . . . . 55Le “Memorie dell’Oratorio” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58Scritti ai soci salesiani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 612.3. Ultime decisioni del Fondatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 612.4. Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63 Capitolo TerzoIl cammino delle Scuole Professionali Salesiane (1888-1969) . . . . . . . . . . . . . . . . . 653.1. La seconda generazione “dirigenziale”, Rua e Bertello . . . . . . . . . . . . . . . . . . 663.1.1. La figura del Consigliere Professionale Generale . . . . . . . . . . . . . . . . 683.1.2. Le Esposizioni Generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 723.1.3. Con don Bosco e con i tempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 743.2. La grande ascesa (1911-1970) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 743.2.1. Don Pietro Ricaldone (1911-1922) e don Giuseppe Vespignani (1922-1932) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 773.2.2. Don Antonio Candela (1932-1958) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 773.2.3. Don Ernesto Giovannini (1958-1967) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 823.3. Nascita del CNOS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 833.3.1. Contesto del CNOS-FAP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 853.4. Dinamiche peculiari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 893.4.1. Relazioni istituzionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 893.4.2. Internato (o Collegio) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 903.5. L’amplificatore nascosto: l’educazione integrale orientante e vocazionale . . . 913.5.1. Stima per il lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 913.5.2. Attenzione educativa integrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 923.5.3. Attenzione all’Orientamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 933.6. Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 94 Capitolo QuartoFino ai CFP attuali (1970-2020) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 954.1. Le provocazioni di un contesto dinamico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 954.1.1. Il passaggio di competenza alle Regioni (1972-1979) . . . . . . . . . . . . . 964.1.2. Il processo di adultizzazione e la crisi della Formazione Iniziale (1980-1999) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97 203 4.1.3. L’ultimo decennio denso di riforme (2000-2011) . . . . . . . . . . . . . . . . . 100“Arbitrio Regionale” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1044.1.4. Lombardia ed Emilia Romagna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106Lombardia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106Emilia Romagna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1074.2. La Federazione CNOS-FAP: storia di un’inversione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1084.2.1. La nascita e il consolidamento del CNOS-FAP (anni ’80) . . . . . . . . . . 1084.2.2. Il CNOS-FAP e il CFP polifunzionale (anni ’90) . . . . . . . . . . . . . . . . . 1104.2.3. Verso un sistema maturo? (2000-2010) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112La promozione della Formazione Professionale Iniziale . . . . . . . . . . 112L’aggiornamento del CFP polifunzionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 116Accordi tra CNOS-FAP e aziende . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117Attenzione sociale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1184.2.4. Bilancio della sezione storica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1194.3. Centri dell’Ispettoria Lombardo Emiliana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1204.3.1. CFP presso Istituto Salesiano Beata Vergine di San Luca - Bologna . . 1204.3.2. CFP presso Opere Sociali Don Bosco - Sesto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1214.4. Lo sguardo sul futuro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1224.4.1. Documenti dell’Unione Europea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1234.4.2. Documenti Ecclesiali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1244.4.3. Documenti Salesiani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1254.5. Rilancio per una buona analisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125 SEZIONE ANALITICA Capitolo QuintoAnalisi del successo formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1295.1. Il mercato della cura richiede un “plus” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1295.2. Plus: cosa si intende per successo? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1305.3. Indagini esistenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1315.3.1. Gli esiti formativi e occupazionali dei percorsi triennali . . . . . . . . . . . 132Esiti formativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 132Esiti occupazionali - Primo impiego . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133Esiti occupazionali - Lavoro attuale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 134Valutazioni del sistema . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135Considerazioni sincroniche e diacroniche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1355.3.2. Ultimo studio complessivo delle realtà salesiane . . . . . . . . . . . . . . . . . 138 5.3.3. Conclusioni relative alle ricerche presentate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1395.4. Studio comparativo sui dati dell’accreditamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139Specificazione degli indicatori usati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139Precisazioni metodologiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1405.4.1. Risultati quantitativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141Attuazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141Efficienza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141Efficacia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 142Abbandono . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 143 204 5.5. Vite riuscite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1445.5.1. Premesse metodologiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1445.5.2. Motivazioni di ingresso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1455.5.3. Riconoscimento di uno stile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1455.5.4. Apprezzamento per competenze acquisite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1465.5.5. Orientamento: una simpatia, una appartenenza, una vocazione totaliz-zante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1465.6. Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 148 Capitolo SestoOriginalità dall’origine a domani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1496.1. Identità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1496.1.1. La Missione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1506.1.2. Valori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1516.1.3. L’amplificatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1526.1.4. Strategie e risorse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1526.1.5. Politiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1536.2. Identità originale dall’origine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1546.2.1. Quale amplificatore resta? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1566.3. Sfide . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 156 Oltre le conclusioni: il sogno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161 Allegati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1631. Domande per l’intervista . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1652. Dalla Carta dei Valori della Formazione Professionale Salesiana . . . . . . . . . . 1673. Istituto d’arti e mestieri annesso all’Oratorio di Valdocco (1904) . . . . . . . . . . 1714. Le scuole professionali. Programmi didattici e professionali (1910) . . . . . . . 1755. Opere edite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1816. Esami di promozione dei giovani artigiani (1903) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1897. Dati accreditamento Regione Emilia Romagna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 191 Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 195 Ringraziamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 199 205 Pubblicazioni nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE” ISSN 1972-3032 Sezione “Studi” 2002 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimenta- zione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto finale, 2002 2003 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XIV seminario di formazione europea. La formazione professio- nale per lo sviluppo del territorio. Castel Brando (Treviso), 9-11 settembre 2002, 2003 CIOFS/FP SICILIA (a cura di), Vademecum. Strumento di lavoro per l’erogazione dei servizi orientativi, 2003 MALIZIA G. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto sul follow-up, 2003 2004 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XV seminario di formazione europea. Il sistema dell’istruzione e formazione professionale nel contesto della riforma. Significato e percorsi, 2004 CIOFS/FP SICILIA (a cura di), Opportunità occupazionali e sviluppo turistico dei territori di Catania, Noto, Modica, 2004 CNOS-FAP (a cura di), Gli editoriali di “Rassegna CNOS” 1996-2004. Il servizio di don Stefano Colombo in un periodo di riforme, 2004 MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. (a cura di), Le parole chiave della forma- zione professionale, 2004 RUTA G., Etica della persona e del lavoro, 2004 2005 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XVI seminario di formazione europea. La formazione professio- nale fino alla formazione superiore. Per uno sviluppo in verticale di pari dignità, 2005 D’AGOSTINO S. - MASCIO G. - NICOLI D., Monitoraggio delle politiche regionali in tema di istruzione e formazione professionale, 2005 PIERONI V. - MALIZIA G. (a cura di), Percorsi/progetti formativi “destrutturati”. Linee guida per l’inclusione socio-lavorativa di giovani svantaggiati, 2005 2006 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XVII seminario di formazione europea. Il territorio e il sistema di istruzione e formazione professionale. L’interazione istituzionale per la preparazione delle giovani generazioni all’inserimento lavorativo in rapporto agli obiettivi di Lisbona, 2006 NICOLI D. - MALIZIA G. - PIERONI V., Monitoraggio delle sperimentazioni dei nuovi percorsi di istruzione e formazione professionale nell’anno formativo 2004-2005, 2006 2007 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XVIII seminario di formazione europea. Standard formativi nell’istruzione e nella formazione professionale. Roma, 7-9 settembre 2006, 2007 COLASANTO M. - LODIGIANI R. (a cura di), Il ruolo della formazione in un sistema di welfare attivo, 2007 DONATI C. - BELLESI L., Giovani e percorsi professionalizzanti: un gap da colmare? Rapporto finale, 2007 MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. (a cura di), Le parole chiave della forma- zione professionale. II edizione, 2007 MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP della Sicilia. Rapporto di ricerca, 2007 MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP del Lazio. Rapporto di ricerca, 2007 MALIZIA G. et alii, Diritto-dovere all’istruzione e alla formazione e anagrafe formativa. Pro- blemi e prospettive, 2007 206 MALIZIA G. et alii, Stili di vita di allievi/e dei percorsi formativi del diritto-dovere, 2007 NICOLI D. - FRANCHINI R., L’educazione degli adolescenti e dei giovani. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2007 NICOLI D., La rete formativa nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP, 2007 PELLEREY M., Processi formativi e dimensione spirituale e morale della persona. Dare senso e prospettiva al proprio impegno nell’apprendere lungo tutto l’arco della vita, 2007 RUTA G., Etica della persona e del lavoro, Ristampa 2007 2008 CIOFS/FP, Atti del XIX seminario di formazione europea. Competenze del cittadino europeo a confronto, 2008 COLASANTO M. (a cura di), Il punto sulla formazione professionale in Italia in rapporto agli obiettivi di Lisbona, 2008 DONATI C. - BELLESI L., Ma davvero la formazione professionale non serve più? Indagine conoscitiva sul mondo imprenditoriale, 2008 MALIZIA G., Politiche educative di istruzione e di formazione. La dimensione internazionale, 2008 MALIZIA G. - PIERONI V., Follow-up della transizione al lavoro degli allievi/e dei percorsi triennali sperimentali di IeFP, 2008 PELLEREY M., Studio sull’intera filiera formativa professionalizzante alla luce delle strategie di Lisbona a partire dalla formazione superiore non accademica. Rapporto finale, 2008 2009 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1977, vol. 1, 2009 DONATI C. - BELLESI L., Verso una prospettiva di lungo periodo per il sistema della formazione professionale. Il ruolo della rete formativa. Rapporto finale, 2009 NICOLI D., I sistemi di istruzione e formazione professionale (VET) in Europa, 2009 2010 PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., La valigia del “migrante”. Per viaggiare a Cosmopolis, 2010 PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Salesiane. Momenti della loro storia (1853-1953), 2010 CNOS-FAP (a cura di), Don Bosco, i Salesiani, l’Italia in 150 anni di storia, 2010 2011 ROSSI G. (a cura di), “Fare gli italiani” con l’educazione. L’apporto di don Bosco e dei Sale- siani, in 150 anni di storia, 2011 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1997, vol. 2 2012 MALIZIA G., Sociologia dell’istruzione e della formazione. Una introduzione, 2012 NICOLI D., Rubriche delle competenze per i Diplomi professionali IeFP. Con linea giuda per la progettazione formativa, 2012 CNOS-FAP (a cura di), Cultura associativa e Federazione CNOS-FAP. Storia e attualità, 2012 Sezione “Progetti” 2003 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La promozione delle capacità personali. Teoria e prassi, 2003 CIOFS/FP (a cura di), Un modello per la gestione dei servizi di orientamento, 2003 CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), L’accoglienza nei percorsi formativo-orientativi. Un ap- proccio metodologico e proposte di strumenti, 2003 CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), Le competenze orientative. Un approccio metodologico e proposte di strumenti, 2003 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione delle unità didattiche, 2003 COMOGLIO M. (a cura di), Prova di valutazione per la qualifica: addetto ai servizi di impresa. Prototipo realizzato dal gruppo di lavoro CIOFS/FP, 2003 FONTANA S. - TACCONI G. - VISENTIN M., Etica e deontologia dell’operatore della FP, 2003 GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo, 2003 207 MARSILII E., Guida per l’accompagnamento al lavoro dipendente, 2003 TACCONI G. (a cura di), Insieme per un nuovo progetto di formazione, 2003 VALENTE L. - ANTONIETTI D., Quale professione? Strumento di lavoro sulle professioni e sui percorsi formativi, 2003 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale alimentazione, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale commerciale e delle vendite, 2004 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione delle unità didattiche, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale estetica, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale sociale e sanitaria, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale tessile e moda, 2004 CIOFS/FP BASILICATA, L’orientamento nello zaino. Percorso nella scuola media inferiore. Diffusione di una buona pratica, 2004 CIOFS/FP CAMPANIA (a cura di), ORION tra orientamento e network, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale elettrica e elettronica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale grafica e multimediale, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale meccanica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale turistica e alberghiera, 2004 NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema del - l’istruzione e della formazione professionale, 2004 NICOLI D. (a cura di), Sintesi delle linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, 2004 2005 CIOFS-FP SICILIA (a cura di), Operatore Servizi Turistici in rete. Rivisitando il progetto: le buone prassi. Progettazione, Ricerca, Orientamento, Nuova Imprenditorialità, Inseri- mento Lavorativo, 2005 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale legno e arredamento, 2005 CNOS-FAP (a cura di), Proposta di esame per il conseguimento della qualifica professionale. Percorsi triennali di Istruzione formazione Professionale, 2005 NICOLI D. (a cura di), Il diploma di istruzione e formazione professionale. Una proposta per il percorso quadriennale, 2005 POLÀČEK K., Guida e strumenti di orientamento. Metodi, norme ed applicazioni, 2005 VALENTE L. (a cura di), Sperimentazione di percorsi orientativi personalizzati, 2005 2006 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La corresponsabilità CFP-famiglia: i genitori nei CFP. Espe- rienza triennale nei CFP CNOS-FAP (2004-2006), 2006 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione dei sussidi, II edizione, 2006 2007 D’AGOSTINO S., Apprendistato nei percorsi di diritto-dovere, 2007 GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo. Una proposta di percorsi per la creazione di impresa. II edizione, 2007 208 MARSILII E., Dalla ricerca al rapporto di lavoro. Opportunità, regole e strategie, 2007 NICOLI D. - TACCONI G., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello sta to dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. I volume, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere in... 1. L’identità. Percorso di cultura etica e religiosa, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere... Linee guida per i formatori di cultura etica e religiosa nei per- corsi di Istruzione e Formazione Professionale, 2007 2008 BALDI C. - LOCAPUTO M., L’esperienza di formazioni formatori nel progetto integrazione 2003. La riflessività dell’operatore come via per la prevenzione e la cura educativa degli allievi della FPI, 2008 CIOFS/FP (a cura di), Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2008 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., Individuazione e raccolta di buone prassi mirate all’accoglienza, formazione e integrazione degli immigrati, 2008 NICOLI D., Linee guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2008 NICOLI D., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello stato dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. II volume, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere con... 2. La relazione. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere per... 3. Il progetto. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 2009 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale meccanica, 2009 MALIZIA G. - PIERONI V., Accompagnamento al lavoro degli allievi qualificati nei percorsi triennali del diritto-dovere, 2009 2010 BAY M. - GRĄDZIEL D. - PELLEREY M. (a cura di), Promuovere la crescita nelle competenze strategiche che hanno le loro radici spirituali nelle dimensioni morali e spirituali della persona. Rapporto di ricerca, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale grafica e multimediale, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale elettrica ed elettronica, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale automotive, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per l’orientamento nella Federazione CNOS-FAP, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale turistico-alberghiera, 2010 2011 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A. (a cura di), “Cittadini si diventa”. Il contributo dei Salesiani (SDB) e delle Suore Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) nell’educare stu- denti/allievi delle loro Scuole/CFP in Italia a essere “onesti cittadini”, 2011 TACCONI G., In pratica. 1. La didattica dei docenti di area matematica e scientifico-tecnolo- gica nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 TACCONI G., In pratica. 2. La didattica dei docenti di area linguistica e storico sociale nel- l’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 MANTEGAZZA R., Educare alla costituzione, 2011 NICOLI D., La valutazione formativa nella prospettiva dell’educazione. Una comparazione tra casi internazionali e nazionali, 2011 BECCIU M. - COLASANTI A.R., Il fenomeno del bullismo. Linee guida ispirate al sistema pre- ventivo di Don Bosco per la prevenzione e il trattamento del bullismo, 2011 2012 PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., In cammino per Cosmopolis. Unità di Laboratorio per l’e- ducazione alla cittadinanza, 2012 209 Sezione “Esperienze” 2003 CIOFS/FP PUGLIA (a cura di), ORION. Operare per l’orientamento. Un approccio metodolo- gico condiviso e proposte di strumenti, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 1. Guida per l’accoglienza, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 2. Guida per l’accompagnamento in itinere, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 3. Guida per l’accompagnamento finale, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 4. Guida per la gestione dello stage, 2003 2005 CIOFS/FP SICILIA, Operatore servizi turistici in rete. Rivisitando il progetto: le buone prassi. Progettazione, ricerca, orientamento, nuova imprenditorialità, inserimento lavorativo, 2005 TONIOLO S., La cura della personalità dell’allievo. Una proposta di intervento per il coordi- natore delle attività educative del CFP, 2005 2006 ALFANO A., Un progetto alternativo al carcere per i minori a rischio. I sussidi utilizzati nel Centro polifunzionale diurno di Roma, 2006 CIOFS-FP LIGURIA (a cura di), Linee guida per l’orientamento nei corsi polisettoriali (fascia 16-17 anni). L’esperienza realizzata in Liguria dal 2004 al 2006, 2006 COMOGLIO M. (a cura di), Il portfolio nella formazione professionale. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2006 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V., Una formazione di successo. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali triennali di istruzione e formazione professionale in Piemonte 2002-2006. Rapporto finale, 2006 2007 NICOLI D. - COMOGLIO M., Una formazione efficace. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali di Istruzione e Formazione professionale in Piemonte 2002-2006, 2007 2008 CNOS-FAP (a cura di), Educazione della persona nei CFP. Una bussola per orientarsi tra buone pratiche e modelli di vita, 2008 2010 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edi- zione 2010, 2010 2011 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edi- zione 2011, 2011 2012 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edi- zione 2012, 2012 Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@donbosco.it Luglio 2013

L'inserimento dei giovani qualificati nella FPI a.f. 2009-10

Autore: 
Guglielmo Malizia - Vittorio Pieroni
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2012
Numero pagine: 
307
Codice: 
978-88-95640-56-3
Guglielmo MALIZIA - Vittorio PIERONI L’INSERIMENTODEI GIOVANI QUALIFICATINELLA FPIa.f. 2009-10 Anno 2012 Coordinamento scientifico:Dario Nicoli (Università Cattolica di Brescia) Hanno collaborato:Matteo D’ANDREA: Segretario Nazionale settore Automotive.Dalila DRAZZA: Sede Nazionale CNOS-FAP – Ufficio Metodologico-Tecnico-Didattico.FIAT GROUPAutomobiles.Comunità professionale AUTOMOTIVE: Angelo ALIQUÒ, Gianni BUFFA, Roberto CAVAGLIÀ, EgidioCIRIGLIANO, Luciano CLINCO, Domenico FERRANDO, Paolo GROPPELLI, Nicola MERLI, RobertoPARTATA, Lorenzo PIROTTA, Antonio PORZIO, Roberto SARTORELLO, Fabio SAVINO, GiampaoloSINTONI, Dario RUBERI. ©2012 By Sede Nazionale del CNOS-FAP(Centro Nazionale Opere Salesiane - Formazione Aggiornamento Professionale)Via Appia Antica, 78 – 00179 RomaTel.: 06 5137884 – Fax 06 5137028E-mail: cnosfap.nazionale@cnos-fap.it – http: www.cnos-fap.it SOMMARIO Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 PARTE IIL QUADRO GENERALE DI RIFERIMENTO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 Capitolo 1La transizione dalla formazione al lavoro: lo scenario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111. Società della conoscenza, economia e sistemi educativi in una situazione di crisi 112. Istruzione, formazione ed economia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 153. L’inserimento occupazionale dei giovani in Italia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26 PARTE IIL’INDAGINE SUI 2609 QUALIFICATI NELL’A.F. 2009-10 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 Capitolo 2I dati del monitoraggio per Regioni e per singoli CFP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 511. Obiettivi del monitoraggio e descrizione della metodologia . . . . . . . . . . . . . . . . . 51ABRUZZO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54EMILIA ROMAGNA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63FRIULI VENEZIA GIULIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76LAZIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81LIGURIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98LOMBARDIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 114PIEMONTE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 138PUGLIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 180SICILIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 188UMBRIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 223VALLE D’AOSTA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 234VENETO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 238 PARTE IIICONCLUSIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 271 3 Capitolo 3Sintesi dei dati e osservazioni conclusive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2731. I 2609 qualificati distribuiti per Regioni e per settori di qualifica . . . . . . . . . . . . . 2732. Dati anagrafici dei 2609 qualificati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2763. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2774. La posizione dei 2609 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2785. La condizione occupazionale dei 901 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2816. Sintesi conclusiva, punti di forza e di criticità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 287 Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 289 Indice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 293 5 Introduzione Il volume presenta nei dettagli i risultati della seconda fase di un progetto di ri-cerca di ampio respiro che il CNOS-FAP ha realizzato con la collaborazione dell’I-stituto di Sociologia dell’Università Salesiana sul tema dell’inserimento nel lavorodei qualificati della propria IeFP. Lo studio si pone in linea di continuità con dueindagini condotte recentemente dal CNOS-FAP, una sulla transizione al lavorodegli allievi dei corsi triennali sperimentali di IeFP (Malizia e Pieroni, 2008) e unasul loro accompagnamento al lavoro (Malizia e Pieroni, 2009). Queste ricerchehanno evidenziato due problematiche che sembravano rendere opportuni ulterioriapprofondimenti: la percentuale dei qualificati dell’anno formativo 2005-06 che al-l’uscita dal percorso aveva scelto di lavorare e che a distanza di un anno aveva con-seguito un lavoro, era certamente consistente, 51.6%, ma non così elevata come sisarebbe potuto aspettare, tenendo conto del carattere immediatamente professiona-lizzante della IeFP; in ogni caso risultava difficile valutare con esattezza il signifi-cato della percentuale del 51.6% di occupati, perché mancavano dati regionali e na-zionali complessivi sulla IeFP e su gruppi di giovani in situazioni comparabili sia alivello quantitativo che qualitativo.Per queste ragioni si è pensato di avviare una indagine che cercasse di identifi-care con più precisione la situazione dei qualificati della IeFP al momento dell’in-serimento nel mondo del lavoro in una prospettiva comparativa. Per motivi ditempo e di risorse la prima fase della ricerca è stata focalizzata sui qualificati nel2008-09 dei settori automotive ed elettro/elettronico della IeFP salesiana (Malizia ePieroni, 2010); la seconda fase, di cui il presente volume ha illustrato gli esiti prin-cipali, ha riguardato gli allievi dei percorsi biennali, triennali e quadriennali speri-mentali di IeFP del CNOS-FAP, qualificati nell’anno formativo 2009-10, relativa-mente a 5 macrosettori (automotive, elettro/elettronico, grafico, meccanica indu-striale, turistico-alberghiero) più vari altri (edilizia, lavorazione artistica del legno,agricoltura, benessere1, amministrazione, punto vendita) che sono stati trattati in-sieme per la loro ridotta consistenza numerica.Al fine di valutare gli esiti della transizione al lavoro si è deciso di ricorrerealla seguente metodologia di ricerca: in un primo momento ci si è rivolti alle segre-terie dei 47 CFP del CNOS-FAP, per conoscere il numero dei qualificati a giugno-luglio 2010, suddivisi per settori di qualifica operativi in ciascun CFP e per otte-nere i dati anagrafici suddivisi per settori di qualifica; a seguito di queste prime in- 1 Estetiste e acconciatori. 6 formazioni è stato raggiunto, tramite intervista telefonica personalizzata, l’universodegli ex allievi (2609). Ad essi è stata applicata una breve scheda, articolata in unadecina di domande, sostanzialmente la stessa utilizzata nella prima fase della ri-cerca (Malizia e Pieroni, 2010).Il report si divide in tre parti, per complessivi tre capitoli:– nella prima parte viene ricostruito lo scenario della transizione dalla forma-zione al lavoro a partire dagli anni ’60 fino ai tempi nostri, per passare poi,dopo aver ripercorso i risultati delle precedenti indagini del CNOS-FAP sugliesiti occupazionali, all’attuale crisi occupazionale e alle politiche di welfare at-tivo proposte dal governo in carica;– nella seconda parte si entra direttamente nel vivo dei risultati conseguiti attra-verso il monitoraggio su 2609 ex allievi, a loro volta suddivisi tra i totali na-zionali e quelli per singole regioni e all’interno di ciascuna per singoli CFP;– la terza parte, conclusiva, riassume i principali concetti espressi nella primaparte (quadro teorico) e quindi i risultati conseguiti attraverso il monitoraggio,al fine di offrire una visione d’insieme dello status quo del rapporto forma-zione-occupazione, relativamente alla IeFP del CNOS-FAP.Da ultimo, possono essere così sintetizzate le conclusioni principali della ri-cerca.a) Per quanto riguarda i dati di scenario, le punte percentualmente emergenti, ri-guardano:- la concentrazione al Nord dei qualificati (70.3%);- la provenienza da due settori trainanti, all’interno del CNOS-FAP:l’elettro/elettronico e la meccanica industriale.b) Passando ai dati anagrafici si osserva in relazione al totale nazionale:- una netta presenza della componente maschile (85.2%);- una discreta presenza di qualificati di origine migratoria (14.1%), pari aldoppio rispetto ai loro coetanei iscritti nelle scuole secondarie di 2° grado.c) A un anno dalla qualifica la posizione in base alle scelte effettuate permette dievidenziare che:- il 21.3% si trova in una condizione di inattività; il 78.7% lavora, studia o faaltro;- sia coloro che hanno proseguito gli studi (32.8%) come quelli che sono en-trati nel mercato del lavoro (34.5%) presentano quote abbastanza vicine.d) Rispetto alla posizione dei lavoratori va evidenziato:- nel rapportare il numero dei qualificati a quello degli occupati nello stessosettore, le più alte percentuali si sono verificate nell’automotive (49.5%) etra i settori “altri” (91.1%);- il 58.5% ha trovato un lavoro subito o al massimo entro tre mesi dal conse-guimento della qualifica e che dei 360 allievi che hanno chiesto aiuto al pro-prio CFP per trovare lavoro, 316 l’hanno effettivamente ottenuto; 7 - quanto alle tipologie contrattuali, bisogna tener presente la consistenza deicontratti atipici (intorno a un quarto) e di quelli a tempo determinato (unaltro quarto circa), mentre la maggioranza relativa dei contratti di apprendi-stato sembra anticipare la riforma che si va delineando a livello nazionale neirapporti di lavoro, la cui validità dipenderà, però, dalla volontà politica didare loro un vero contenuto formativo.e) L’attuale ricerca del CNOS-FAP, anche se non è comparabile come tale aquella dell’Isfol per le evidenti diversità indicate nel presente volume, ha co-munque confermato i principali andamenti positivi di quella indagine: l’inci-denza rilevante della IeFP sull’inserimento lavorativo dei giovani nella fascia15-24, quella cioè che presenta maggiori problemi nella transizione occupazio-nale; l’impatto favorevole di tali percorsi sulla formazione dei qualificati; labrevità dei tempi di attesa per il reperimento di un lavoro; la coerenza di que-st’ultimo con la preparazione ricevuta nella IeFP. Mentre la percentuale diquanti continuano gli studi o la formazione rimane pressappoco la stessa, dimi-nuisce quella di chi riesce a trovare un lavoro e aumenta quella di coloro chehanno fatto registrare una posizione inattiva: su queste due differenze ha certa-mente influito la diversità della situazione del mondo produttivo che nel 2006-07, l’anno dei qualificati dell’Isfol, era in crescita mentre oggi risulta in gravecrisi, soprattutto riguardo ai giovani.f) Anche le tre indagini del CNOS-FAP non sono comparabili come tali perché laprima riguarda un campione di qualificati anche del CIOFS/FP, la secondaconsidera l’universo dei qualificati del CNOS-FAP ma limitatamente ai settoriautomotive ed elettro/elettronico e l’attuale investiga l’universo dei qualificatidella IeFP salesiana. È possibile, però, accostarle con un approccio globale egli andamenti sono in generale positivi, anche se poi i risultati vanno utilizzatisul piano propositivo con molta prudenza. Il primo dato favorevole è costituitodalla diminuzione nel tempo della percentuale dei qualificati che non studianoné lavorano: essa era pari al 24% tra gli ex allievi del 2005-06, era salita al30% quasi tra i meccanici d’auto (27.6%) e gli elettro/elettronici (29.5%) del2008-09, mentre diviene il 21.3% tra i qualificati del 2009-10 oggetto dellapresente ricerca. Tuttavia, nonostante il miglioramento constatato, ci si aspette-rebbe un’ulteriore riduzione in tempi brevi di tale percentuale. L’altro anda-mento positivo è che la percentuale complessiva di quanti lavorano, conti-nuano a studiare o fanno altro rimane pressoché invariata: 78.6% nel campioneCNOS-FAP - CIOFS/FP (qualificati nel 2005-06) e 78.7%2 nell’universo delCNOS-FAP (2009-10), dopo un abbassamento tra i meccanici d’auto (72.4%)e tra gli elettro/elettronici (62.2%, ma con una percentuale dell’8.3% di non ri-sposte) (2008-09). Indubbiamente, cresce l’entità di quanti studiano rispetto a 2 Se si uniscono a chi lavora e a chi studia altre scelte che si riferiscono a percorsi di formazionenon formali. quanti lavorano, ma il dato probabilmente è l’effetto sia della grave crisi occu-pazionale sia del cambiamento in atto dell’utenza della IeFP che è aumentata ecomprende non solo giovani che vogliono entrare subito nel mondo del lavoro,ma anche coloro che, valorizzando la cultura del fare, intendono perseguiremete formative più ambiziose della qualifica. Inoltre, vengono confermatealtre tendenze positive già evidenziate nel confronto con gli esiti dell’indagineIsfol: l’impatto favorevole di percorsi di IeFP sulla formazione dei qualificati;la brevità dei tempi di attesa per il reperimento di un lavoro; la coerenza diquest’ultimo con la preparazione ricevuta nella IeFP. 9 Parte I IL QUADRO GENERALEDI RIFERIMENTO 11 Capitolo 1La transizione dalla formazione al lavoro: lo scenario Il capitolo è articolato in tre sezioni principali. La prima tenta di delineare insintesi lo scenario di fondo, sociale, culturale ed economico, in cui si colloca l’evo-luzione attuale dei sistemi educativi, mentre la seconda richiama le teorie più signi-ficative che cercano di spiegare i rapporti tra istruzione, formazione ed economia; asua volta, la terza analizza la transizione dei giovani dal sistema educativo almondo del lavoro in Italia con particolare riferimento alla Istruzione e FormazioneProfessionale (IeFP), evidenziando problemi e prospettive. 1. SOCIETÀ DELLA CONOSCENZA, ECONOMIA E SISTEMI EDUCATIVIIN UNA SITUAZIONE DI CRISI Le tecnologie dell’informazione, informatiche e telematiche, hanno provocatonell’ultimo decennio uno scenario di radicale transizione sociale verso nuove formedi vita e di organizzazione che ha fatto parlare di “società della conoscenza”(Cresson e Flynn, 1995; Malizia, 2008; Malizia e Nanni, 2010). I micro-processoristanno inducendo sotto i nostri occhi una rivoluzione globale dagli esiti non ancorachiari e scontati, che si estendono non solo alla produzione e alla comunicazionesociale, ma anche ai modi di vita e dell’esistenza individuale, familiare, sociale,mondiale. Si sono accresciute enormemente le opportunità di accedere all’informa-zione e al sapere, ma d’altra parte si richiedono adattamenti e competenze nuoveche, se mancano, possono provocare emarginazione ed esclusione sociale.Sul lato strutturale, si può dire che si è compiuto il passaggio da un modelloindustriale di economia ad uno post-industriale (Gosetti, 2011 a e b; Minardi,1999; Malizia, 2008; Malizia e Nanni, 2010). Il primo pone l’accento su una conce-zione quantitativa della crescita (“trarre più dal più”), sul volume della produzione,su una impostazione lineare, atomistica, gerarchica, dualistica e manipolativa dellavoro e della sua organizzazione; il secondo sottolinea la qualità e l’intensità dellosviluppo (“ottenere più dal meno”), il valore della produzione, la natura simbolica,interattiva, contestuale, partecipativa, autonoma e intellettuale dell’attività occupa-zionale e della sua strutturazione. Il mondo delle aziende è dominato da impresepiccole, flessibili, dinamicizzate dalla risorsa “conoscenza”, capaci di produrre unavasta gamma di beni e servizi che sono molto spesso immateriali. 12 Sul lato negativo, le grandi imprese riducono le loro attività: le funzioni pro-duttive di base sono conservate, mentre i servizi di supporto vengono affidati aditte o a persone esterne; per questa via, la grande industria è riuscita a ridurre laforza lavoro in maniera anche molto drastica. Il passaggio al post-industriale si ac-compagna anche ad un aumento dei fenomeni di precarizzazione e di de-regola-zione del lavoro che mettono in crisi il sistema tradizionale di relazioni sociali. Nelcontempo la globalizzazione e l’informatizzazione contribuiscono ad aumentare ladisoccupazione o sotto-occupazione che, a differenza della prima e della secondarivoluzione industriale, non riesce più ad essere interamente assorbita dai settoriemergenti (il quaternario). Di conseguenza i nostri sistemi sociali non riescono adassicurare a tutti un accesso equo alla prosperità, a modalità decisionali democra-tiche e allo sviluppo socio-culturale personale.La sostituzione del lavoro con capitale – da cui i vari casi di disoccupazionetecnologica – è un fenomeno antico che si manifesta a partire almeno dalla rivolu-zione industriale. Ma oggi esso assume connotazioni diverse per due ragioni.Primo, tale processo investe anche le attività immateriali (cioè terziarie) dove lavo-rano i “colletti bianchi”, quelli cioè occupati negli uffici. Secondo, il capitale chesostituisce il lavoro non è rappresentato da macchine qualsiasi ma dalle tecnologiedell’informazione e della comunicazione.Il passaggio alla società della conoscenza trasforma il senso e il modo di lavo-rare, nascono nuove professioni, vecchi mestieri cambiano configurazione, altriscompaiono definitivamente. Si diversificano i mestieri, e prima ancora le tipologiee le forme giuridiche dei rapporti occupazionali. C’è un’indubbia “intellettualizza-zione” del lavoro. È richiesta la flessibilità e la mobilità occupazionale e la poliva-lenza della cultura professionale.L’avvento dell’industrializzazione ha profondamente mutato il ruolo e lostatus del lavoro (Rullani, 2011; Bagnara, 2010; Panara, 2010). Anzitutto, quest’ul-timo si è gradualmente trasformato in lavoro cognitivo man mano che i cosiddettilavori di “fatica” sono stati assunti dalle macchine, alimentate da energia artificiale.In secondo luogo è in atto un altro processo per cui il lavoro cognitivo di naturaesecutiva viene progressivamente assorbito dall’automazione delle macchine,mentre contemporaneamente si sta diffondendo un’altra modalità di lavoro, il la-voro intelligente, che risulta sempre più necessario se si vuole orientare e svilup-pare la complessità presente nella società della conoscenza. Di fatto, il lavoro ese-cutivo non è stato ancora superato, ma costituisce un nodo problematico serio neiPaesi ricchi dove, in seguito alla meccanizzazione e all’apertura dei mercati verso iPaesi “low cost” – che invece se ne servono come forza portante della loro crescita– esso tende a perdere valore in maniera inarrestabile. In questa situazione i lavora-tori del Nord del mondo dovranno impegnarsi ad elevare il livello della propria oc-cupazione da esecutivo a innovativo; si tratta però di un salto di qualità tutt’altroche facile e semplice perché richiede conoscenza di processi complessi, autonomiae coraggio di investire. Un’altra opportunità che sta emergendo di fronte al feno- 13 meno della fuga all’estero del lavoro esecutivo e della sua sostituzione con le mac-chine è offerta dalla crescita del lavoro adattivo che si differenzia dagli altri dueperché mira ad adeguare le prestazioni standard alle esigenze dei vari contesti odelle singole persone.Il lavoro cognitivo sta assumendo pertanto tre configurazioni tra loro profon-damente diverse. Anzitutto viene il lavoro creativo o intelligente che in modo inno-vativo adegua i processi meccanici ad un contesto complesso o riesce a dar vita anuovi ambienti. Esso caratterizza i cosiddetti lavoratori della conoscenza chestanno aumentando per numero e per importanza sospinti dalle dinamiche della so-cietà attuale che impongono di affrontare quotidianamente situazioni di comples-sità, diversità, incertezza e cambiamento accelerato. In secondo luogo va menzio-nato il lavoro esecutivo che diversamente dal precedente applica e replica cono-scenze riproducibili come le macchine e svolge mansioni soggette alle prescrizionicontenute in programmi. Gli operai delle imprese industriali e gli impiegati delleburocrazie pubbliche, pur continuando ad essere presenti nei Paesi sviluppati, tut-tavia vedono ridurre il proprio numero e indebolirsi la loro posizione sia perchésono facilmente sostituibili sia anche per il confronto competitivo con i lavori “lowcost” offerti nel Sud del mondo. Il lavoro adattivo abbraccia quelle attività tradizio-nali come la badante, l’idraulico, il cameriere, il riparatore, in cui è necessario ade-guare ai diversi ambienti macchine o procedure che non sono in grado di rispon-dere ai problemi in maniera soddisfacente. Ci troviamo di fronte a una categoria dioccupazioni che è destinata ad aumentare, in particolare nel campo dei servizi, ma irelativi stipendi si collocano a livelli bassi perché soffrono della concorrenza di so-stituti “low cost” locali quali immigrati e disoccupati. In tutti e tre i casi il successopuò essere assicurato dalla presenza delle tre caratteristiche a cui si è già accennatosopra; l’autonomia delle scelte, l’intelligenza della situazione e delle alternative,l’assunzione di una parte di rischio.La recente crisi del credito e la finanza “creativa” hanno comportato un’inter-ruzione nella crescita economica (Banca d’Italia, 2009 a e b; Fortis, 2009; Gover-nare l’economia globale, 2009; Guerrieri e Padoan, 2009; Malizia e Tonini, 2010).È soprattutto il sistema finanziario che si è trovato in grosse difficoltà: «Le banchehanno elargito prestiti in quantità elevate ai clienti poco solvibili […] Hanno allet-tato i mutuatari con politiche di marketing aggressive. Con l’aumento dei tassi e loscoppio della bolla immobiliare si è innescata la crisi» (Crisi globale identità lo-cale, 2009, p. 41; D’Apice e Ferreri, 2009). Gli effetti non si sono fatti attendere esono seguite anzitutto la bancarotta di varie grandi, medie e piccole imprese, tra cuibanche famose, la crescita della disoccupazione e una maggiore diffusione di situa-zioni di estrema povertà. Inoltre, i prezzi delle merci hanno incominciato a salire afronte di famiglie sempre più impoverite dalla riduzione del reddito complessivodei loro componenti. I governi si sono trovati nel pericolo di vedere diminuito ilgettito delle tasse e di essere obbligati a ridurre le spese, incominciando comesempre proprio da quelle sociali. 14 Per quando riguarda le caratteristiche specifiche del nostro Paese, il forte calodella domanda di manufatti dall’estero ha determinato una riduzione notevole dellaproduzione industriale (Banca d’Italia, 2009 a e b; Fortis, 2009; Interviste a…,2009; Malizia e Tonini, 2010). Le imprese, soprattutto quelle più esposte agli ordi-nativi dall’estero, hanno chiuso in via cautelativa, anche se provvisoriamente, interistabilimenti o linee produttive. Per fare fronte a tale situazione le aziende hanno at-tivato una serie di interventi quali: la riorganizzazione dei turni e il blocco del tur-nover; il ricorso alla cassa integrazione; il mancato rinnovo di contratti temporanei;i licenziamenti.Il recupero dalla crisi economica del biennio 2008-09 che si era delineatoanche se in modo debole nel 2010, ha subito un arresto e un’inversione di tendenzanel 2011 (Unioncamere, 2011). A livello internazionale sono riemersi segnalipreoccupanti di rischio sistemico che, per essere affrontati efficacemente, richie-dono l’adozione di strategie di azione concordate sul piano sovranazionale: infatti,le economie dei Paesi sviluppati trovano un ostacolo difficilmente sormontabilenell’aumento consistente dei debiti pubblici e le economie emergenti sono caratte-rizzate da tendenze al rallentamento nei ritmi di crescita a causa dell’adozione diinterventi restrittivi a livello monetario allo scopo di evitare fenomeni inflattivi eanche a motivo della diminuzione della domanda dall’estero. La situazione digrande incertezza circa le prospettive di futuro dell’economia non permette alle im-prese e ai consumatori di prendere decisioni di medio o lungo termine e comportache il clima degli affari e la fiducia degli operatori si collochino a un livello piut-tosto basso: ciò si riflette sul mercato, raffreddando le attese di sviluppo. In talecontesto la qualità delle risorse umane assume una importanza anche maggiore nel-l’assicurare sia l’adeguamento ai cicli economici del modello di crescita sia le op-portune innovazioni del sistema produttivo.Passando sul lato del sistema formativo, tra i punti di debolezza di quest’ul-timo va, in particolare, segnalata la discrepanza, in termini non solo di conoscenzee di competenze, ma spesso anche di attitudine e di approccio, che continua a per-manere (ed anzi tende ad aggravarsi) tra le richieste del mercato del lavoro e l’in-sieme delle capacità offerte in uscita dal sistema formativo. Il problema è che inItalia questo divario e questa mancanza di convergenza sono frutto della separa-zione culturale e di esperienza fra i due mondi e generano, di conseguenza, nonsolo crescenti difficoltà di inserimento dei giovani nel mondo produttivo ma ancheuna sempre minore possibilità, da parte del sapere tecnico e scientifico, di entrarenei processi produttivi e di incidere su di essi.Per rispondere al meglio alle nuove esigenze si dovrà pensare a una nuova fi-gura di lavoratore che non solo possieda i necessari requisiti tecnici, ma anchenuovi saperi di base (informatica-informazione, inglese, economia, organizza-zione), capacità personali (comunicazione e relazione, lavoro cooperativo, appren-dimento continuo) e anche vere e proprie virtù del lavoro (affrontare l’incertezza,risolvere problemi, sviluppare soluzioni creative). 15 In un contesto di piena globalizzazione, prevalgono un nuovo individualismo eun conseguente utilitarismo. Le coordinate del senso da dare alla vita personale ecollettiva vengono identificate prevalentemente in fattori materiali, tecnici, proce-durali. Si diffonde il convincimento che i problemi propri della convivenza vannoaffrontati e risolti facendo leva sulle istanze assolutizzate del mercato e sul poteredella maggioranza. Una grande porzione di giovani e di adulti cresce con una per-sonalità dissociata e con una coscienza frammentata nella percezione di sé e delmondo esperienziale in cui vive e si rapporta.La secolarizzazione religiosa (cioè una vita sociale senza religione), più checome “logica conseguenza” del trionfo della scienza e dello sviluppo tecnologico,si è attuata a livello pratico (in quanto le menti e i cuori della gente si sono rivoltipiù che altro al consumismo, al benessere e al divertimento), ma è stata controbi-lanciata da un ritorno di fiamma del sacro, della magia, dei riti, di nuove forme direligiosità e da quella diffusa tendenza ad una religiosità soggettivistica e cosmica,che ha avuto la sua classica espressione nei movimenti della New Age, della NextAge, nel ricorso a “guru”, a forme di pratiche tra il religioso e la cura di sé. Si èparlato di neopaganesimo e di politeismo post-cristiano, ma anche di mercato delsacro, di fiera dei misteri, di percorsi di religiosità e di mistica.Questi andamenti dei processi storici dell’Occidente vengono a combinarsi e ascontrarsi con gli spostamenti delle popolazioni per i motivi più svariati, da quellidi tipo economico a quelli di natura politica, culturale, turistica, dando luogo al fe-nomeno della multicultura. Essa viene a caratterizzare sempre più la vita internadelle nazioni e il quadro internazionale (seppure non senza forme di difesa naziona-listica o localistica o confessionale). A livello di cultura ciò viene ad esaltare il fe-nomeno del pluralismo a tutti i livelli. E inoltre può mettere in crisi i tradizionalimodelli di uomo, di cultura e di sviluppo. 2. ISTRUZIONE, FORMAZIONE ED ECONOMIA Nonostante l’attuale grave crisi economica e occupazionale, rimane come pun-to stabile di riferimento per tutti nel mare tempestoso dei mercati la convinzione chel’istruzione e la formazione rappresentano risorse fondamentali per lo sviluppo per-sonale e sociale, a livello nazionale e internazionale. Allo stesso tempo, va però pre-cisato che quando si cerca di approfondire il tema sul piano scientifico, ci si accor-ge che la relazione non è così evidente e che non mancano perplessità e dubbi, an-che fondati, sull’entità e sulla natura positiva di tale rapporto. 2.1. L’affermarsi della teoria del capitale umano negli anni ’60Il punto di partenza è costituito dalla teoria del capitale umano che è nata trala fine degli anni ’50 e l’inizio dei ’60 nel quadro sia della interpretazione funzio-nalistica, secondo la quale lo sviluppo dell’istruzione e della formazione dipendeva 16 dalla modernizzazione economica e dalla diversificazione istituzionale e socialeche ne deriva, sia della tesi della scuola economica neoclassica che affermava lacentralità antropologica del problema del lavoro per cui l’uomo sarebbe il suo la-voro. Inoltre, essa ha costituito una risposta agli interrogativi emersi da più particirca l’efficienza delle massicce spese effettuate in quel periodo per finanziare l’e-spansione enorme del sistema scolastico (Lodigiani, 1999 e 2007; Bertagna, 2002 e2006; Fischer, 1998, 2003 e 2007; Halsey et alii, 1998; Guerrieri e Padovan, 2009;Fortis, 2009).La tesi fondamentale che viene sostenuta è che l’istruzione non rappresentasoltanto un bene di consumo, ma va considerata anche come un investimento pro-duttivo sia per il singolo in quanto estende le sue opportunità professionali, sia perla società poiché prepara la forza lavoro necessaria per lo sviluppo economico. L’I-struzione e la Formazione Professionale sono considerate modalità differenti di ac-cumulazione del capitale, il “capitale umano” cioè, il più importante per la crescitaeconomica e sociale, e pertanto costituiscono risorse strumentali di natura fonda-mentale al servizio del sistema economico e della sua espansione. Pertanto, l’ana-lisi della domanda di lavoro espressa dal mercato costituisce la base della pianifica-zione di una offerta formativa che corrisponda alle istanze manifestate dalle im-prese. Per questa sua impostazione la teoria del capitale umano è stata definita unmodello “domandista” dei rapporti tra istruzione e formazione da una parte e svi-luppo socio-economico dall’altra (Bertagna, 2002 e 2006).Va aggiunto che tale interpretazione è stata largamente utilizzata nei paesi svi-luppati per giustificare la democratizzazione dei sistemi educativi. Infatti, l’allarga-mento dell’accesso all’istruzione e alla formazione, elevando il livello delle com-petenze dei lavoratori, doveva contribuire allo sviluppo del sistema produttivo e lariduzione della selezione poteva far argine a due dispersioni: dei talenti, in quantomolti giovani di origine sociale modesta, brillanti, ma privi del retroterra culturaletipico di una famiglia dei ceti medi, rimanevano bloccati da esami prematuri e se-veri ed erano impossibilitati a contribuire alla crescita del Paese; delle risorse,poiché le ripetenze facevano spendere il doppio per percorrere un anno di scuola econ gli abbandoni l’investimento era totalmente perso. Durante tutti gli anni ’60l’applicazione è stata ampia anche nei Paesi in via di sviluppo. Particolare successoha registrato la spiegazione del sottosviluppo: la rapida ripresa dei Paesi sviluppatidopo la seconda guerra mondiale, nonostante le gravi perdite di capitali fisici, sa-rebbe dovuta alla presenza di una forte riserva di capitale umano; di conseguenza,il sottosviluppo sarebbe da attribuirsi al fatto che le popolazioni del terzo mondo,pur disponendo di abbondanti materie prime, mancherebbero delle competenze ne-cessarie per utilizzare tecniche di produzione più avanzate.Alla fine degli anni ‘60 la crisi economica ha messo in discussione la relazionepositiva che la teoria del capitale umano ipotizzava tra istruzione ed economia: ilsistema educativo era cresciuto in maniera imponente, ma nel mondo produttivo siregistravano segni sempre più preoccupanti di disoccupazione intellettuale, di sta- 17 gnazione e di dequalificazione. Infatti, l’intensificazione nelle imprese dell’orga-nizzazione scientifica del lavoro aveva consentito un uso più razionale della forzalavoro già assunta, riducendo in maniera consistente il bisogno di assumere altramanodopera qualificata. Se era aumentato il terziario avanzato che richiedeva com-petenze molto elevate, era contemporaneamente cresciuto un terziario dequalificatoche rendeva controproducente una Istruzione e una Formazione Professionale di li-vello alto. Inoltre, l’affermarsi dell’organizzazione fordista e della grande fabbricacentralizzata e gerarchica aveva comportato la separazione tra concezione ed ese-cuzione e una parcellazione e dequalificazione del lavoro, che consisteva semprepiù nella ripetizione di azioni elementari.Nella società industriale, e a maggior ragione in quella post-industriale, la do-manda di istruzione e di formazione risultava tutt’altro che chiara e distinta; al con-trario essa si presentava complessa in quanto legata alla condizione di classe, allasituazione familiare, alle reti di relazioni sociali, alle tradizioni locali, ai tratti dipersonalità, al background educativo di ogni soggetto. Un discorso analogo va ripe-tuto per la domanda socio-economica di lavoro. I due fattori mettevano in discus-sione la validità di ogni politica formativa di piano che andasse oltre il breve ter-mine e l’indicazione di linee generali di sviluppo (Bertagna, 2002 e 2006). Nellostesso senso la rapidità dell’evoluzione socio-economica comportava il rischio chele terminalità scolastiche (titoli di studio) o professionali (qualifiche) risultasserogià superate nel momento stesso in cui veniva introdotto il curricolo che preparavaal loro conseguimento. Pertanto, le competenze finali dei percorsi di istruzione e diformazione risultavano sempre meno connesse agli aspetti tecnico-specialistici,mentre tendevano a relazionarsi maggiormente con le dimensioni educative e cultu-rali generali dei giovani.A tutto ciò si aggiungeva la contestazione del ‘68 che rifiutava ogni asservi-mento della scuola alle esigenze del capitalismo sia nel senso della subordinazionealla struttura professionale, sia nel senso della riproduzione della struttura socialeesistente. Da questo punto di vista una critica convincente si appunta sul fatto chela teoria del capitale umano trascura le ragioni strutturali della povertà siano esse lasituazione di classe o lo scambio diseguale, cioè l’attuale ingiusto ordine econo-mico nazionale e internazionale.Nonostante ciò, non si può certamente negare che esista un vantaggio indivi-duale e sociale a investire nell’istruzione e che il capitale umano costituisca la ri-sorsa più importante per la crescita economica. Al tempo stesso non è possibile af-fermare che siano sufficienti le dinamiche del mondo produttivo per assicurare losviluppo qualitativo e quantitativo del sistema educativo dell’istruzione e della for-mazione. 2.2. Le posizioni critiche degli anni ’70In seguito sono state elaborate altre teorie, ma nessuna ha ottenuto un consensogenerale (Lodigiani, 1999 e 2007; Bertagna, 2002 e 2006; Fischer, 1998, 2003 e 18 2007; Halsey et alii, 1998; Guerrieri e Padovan, 2009; Fortis, 2009). Per esempio leinterpretazioni conflittualiste sostengono che la scelta dei percorsi di istruzione e diformazione non è condizionata principalmente dalle esigenze della società indu-striale, ma dagli interessi delle élite, e il sistema educativo si limita puramente aconformarsi ai bisogni dell’economia capitalista, esercitando un ruolo di controllodelle masse e fornendo abiti comportamentali invece che abilità cognitive. In parti-colare, secondo Bowles e Gintis la scuola sarebbe apprezzata dal mondo produttivocapitalista non tanto per le conoscenze e le competenze che fornisce, quanto perchéforma i tratti della personalità che consentono un inserimento docile nelle gerar-chie industriali e nelle burocrazie. Infatti, le qualità del carattere che assicurano ilsuccesso nell’istruzione sarebbero le stesse che identificano il buon lavoratore; taliipotesi, però, hanno trovato nella ricerca empirica solo modesti riscontri (Bowles eGintis, 1978, 1979 e 1982; Fischer, 1998, 2003 e 2007).Alla teoria dei tratti della personalità, va avvicinata quella dell’istruzione comecultura di ceto di Collins secondo la quale il ruolo dell’istruzione e della forma-zione non consisterebbe nell’insegnare conoscenze e abilità tecniche, ma piuttostonel trasmettere il linguaggio, le buone maniere, gli stili di vita e i valori di un deter-minato gruppo (1978 a e b, 1980; Fischer, 1998, 2003 e 2007). Inoltre, viene negatao ridimensionata la valenza del sistema educativo in funzione della preparazioneprofessionale che invece si realizzerebbe esclusivamente o principalmente nelluogo stesso del lavoro. La preparazione richiesta per i differenti lavori non dipen-derebbe dalle esigenze del sistema produttivo, ma dai rapporti di forza tra i ceti inun determinato momento storico. Pertanto, il titolo di istruzione posseduto non valecome attestazione delle abilità tecniche acquisite quanto dei valori interiorizzati.Infatti, la dirigenza di una organizzazione sceglierebbe i dirigenti dal proprio ceto ei dipendenti dai ceti subordinati che, però, hanno interiorizzato una cultura di ri-spetto nei confronti del ceto dominante. Anche in questo caso si tratta di afferma-zioni che mancano di un sostegno univoco e convincente sul piano empirico;inoltre, lo stesso Collins ammette che la scolarizzazione elementare di massa sa-rebbe un prerequisito necessario per il decollo industriale di un paese; in aggiunta,l’esperienza di lavoro non pare sufficiente per far apprendere saperi e competenze aquel livello di sofisticazione che questi hanno ormai toccato.Altri studiosi hanno elaborato la teoria credenzialista (o dell’inflazione dei ti-toli di studio) secondo la quale tra istruzione/formazione ed economia non sussiste-rebbe alcun rapporto e i titoli di studio costituirebbero unicamente delle credenzialiper presentarsi sul mercato del lavoro (Passeron, 1982; Fischer, 1998, 2003 e2007). L’aumento del livello dei titoli richiesti per l’assunzione ai vari posti di la-voro non potrebbe essere attribuito al ritmo incalzante del progresso scientifico etecnologico, ma dipenderebbe da un eccesso di manodopera istruita per cui lostesso titolo di studio non assicurerebbe più l’accesso alla medesima occupazionedel passato ma a una di livello più basso, avendo perso di valore, essendosi cioè in-flazionato; in altre parole, l’elevazione delle qualificazioni per l’inserimento occu- 19 pazionale servirebbe come un meccanismo di filtro per regolare in maniera ordi-nata l’accesso al mondo del lavoro di una manodopera troppo istruita/formata. Incontrario sembra accertato che l’istruzione di base di massa precede lo sviluppo in-dustriale; inoltre, se la teoria credenzialista fosse esatta, non si capirebbe come maigli imprenditori continuino a corrispondere stipendi più alti ai lavoratori piùistruiti/formati e non si sia cercato di predisporre meccanismi di filtro meno costosidel sistema educativo.La tesi del parcheggio si situa all’estremo opposto rispetto alla teoria del capi-tale umano e parla di un rapporto negativo (Barbagli et alii, 1973; Fischer, 1998,2003 e 2007). Nei periodi di disoccupazione si registrerebbe una crescita degliiscritti al sistema formativo: per evitare gli effetti negativi della mancanza di lavorosi entrerebbe nella scuola come in un parcheggio in attesa di uscirne al momentopropizio. Al contrario nelle fasi di piena occupazione gli effetti del sistema educa-tivo rimarrebbero stabili o diminuirebbero. Di fatto però il rapporto negativo non èsempre vero: negli Stati Uniti l’espansione dell’istruzione superiore dopo la se-conda guerra mondiale è avvenuta in un periodo di piena occupazione.A loro volta, gli economisti istituzionalisti hanno sostenuto che il mercato dellavoro è segmentato (Doeringer e Piore, 1971; Fischer, 1998, 2003 e 2007). Esso siarticolerebbe in uno primario e in uno secondario: il primo sarebbe contraddistintoda alti stipendi, stabilità del lavoro, buone condizioni occupazionali e opportunitàdi promozione; invece, il mercato di lavoro secondario presenterebbe tratti oppostiquali remunerazioni modeste, precarietà, difficile situazione di lavoro e poche pos-sibilità di carriera. Il mercato di lavoro primario sarebbe formato dai mercati internidelle grandi aziende e delle burocrazie pubbliche che tendono a privilegiare la pro-mozione di propri dipendenti rispetto al ricorso al mercato del lavoro esternoquando si tratta di ricoprire posizioni che si sono rese libere. Pertanto, i lavoratoridei mercati interni non sono esposti alla competizione dal di fuori e i soggetti piùistruiti/formati continuano ad essere pagati meglio, a prescindere dalla loro produt-tività.Nel complesso, in base alle teorie critiche delle posizioni del capitale umano ilsistema educativo finisce con il perdere qualsiasi finalità esplicita di FormazioneProfessionale. Certamente esso assume con maggiore chiarezza il ruolo di serviziosociale nel senso che è chiamato a garantire a tutti i cittadini un bene, impegnan-dosi a combattere ogni disparità e ad assicurare l’eguaglianza delle opportunità in-dipendentemente dal sesso, dalla razza, dalla lingua, dalla religione e dalle condi-zioni personali e sociali. Al tempo stesso viene però teorizzata la deprofessionaliz-zazione dell’istruzione e della formazione, mentre si preferisce affidare alle im-prese o ad agenzie extrascolastiche la funzione di qualificazione iniziale e continuadella forza lavoro. Indubbiamente anche negli anni ’70 si ritiene che il sistema edu-cativo possa offrire un contributo significativo alla lotta alla disoccupazione, manon perché faciliti un uso efficace della forza lavoro, ma in quanto riduce la pres-sione dell’offerta potenziale di lavoro sul mercato, svolgendo, come si è ricordato 20 sopra, una funzione di parcheggio. Inoltre, l’espansione dell’istruzione e della for-mazione separata dalle necessità dell’economia porta a due gravi conseguenze: ladequalificazione della scuola secondaria superiore e l’aumento della disoccupa-zione intellettuale.Al termine di questa disamina delle due prime fasi della riflessione sui rapportitra sistema educativo e produttivo, sembra possibile avanzare la seguente conclu-sione sintetica in riferimento alle teorie sin qui analizzate. La tesi del capitaleumano sottolinea l’importanza dell’istruzione e della formazione, ma trascura lecarenze storiche del processo di accumulazione capitalista. A loro volta le teorie ra-dicali sono molto consapevoli di tali limiti, ma non danno adeguato conto dellafunzione economica del sistema educativo. 2.3. A partire dagli anni ’80 la nuova centralità dell’istruzione e della forma-zioneNegli anni ’80 e soprattutto ’90 ritorna la fiducia nell’istruzione e nella forma-zione su base, però, nuova nel senso che trova giustificazione in un contesto diffe-rente e in altri paradigmi interpretativi (Lodigiani, 1999 e 2007; Bertagna, 2002 e2006; Fischer, 1998, 2003 e 2007; Halsey et alii, 1998; Guerrieri e Padovan, 2009;Fortis, 2009). Diversamente da quanto si affermava nella decade ’70, la elevazionedel livello educativo della popolazione viene ritenuta uno strumento per combatterela disoccupazione. Si registrano anche il ripristino del profilo professionalizzantedell’istruzione e della formazione e la crescente valorizzazione della secondaperché si pensa possano contribuire in maniera significativa all’incontro tra la do-manda e l’offerta di lavoro.Su questo mutamento di prospettiva hanno influito i cambiamenti che si sonoverificati a livello economico, produttivo e occupazionale. In proposito si può ricor-dare il mutamento che è intervenuto nella composizione della forza lavoro: il com-parto industriale si è ridimensionato, mentre si è assistito a una espansione consi-stente di quello terziario. Tale andamento si spiega principalmente come conseguen-za dell’introduzione e della diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione: ciòha comportato tra l’altro una nuova centralità del sapere e un ampliamento dei con-tenuti professionali del lavoro che si sono riflettuti sui livelli di qualificazione perl’entrata nel mondo del lavoro, determinando un loro innalzamento. Al tempo stessosi affermano nuovi modelli organizzativi detti “postfordisti” che si contraddistin-guono per le caratteristiche della flessibilità e della qualità e questi paradigmi pro-duttivi tendono a mettere al centro le risorse umane. Se tutti sono d’accordo che talitrasformazioni a livello economico, produttivo e occupazionale esigono un lavoropiù qualificato, l’unanimità viene meno quando si tratta di precisare se tale processoinvesta tutte le categorie di lavoratori: non manca infatti chi sostiene la tesi della po-larizzazione secondo la quale la nuova domanda di lavoro discriminerebbe in ma-niera netta tra quanti possono contare sulle necessarie competenze e quanti invecenon le possiedono, determinando un aumento delle disuguaglianze e della forbice 21 delle professionalità tra una ristretta élite di “ingegneri della conoscenza” e unamassa di persone destinate a lavori dequalificati. Nonostante questa differenza dipareri, l’accordo ritorna nel sottolineare che l’istruzione e la formazione sono neces-sarie per acquisire le conoscenze, le abilità e le competenze richieste per lavorarenei processi trasformati dalle nuove tecnologie, pena l’esclusione dal mercato dellavoro o la collocazione nel livelli più bassi.Tra i fattori del mutamento nell’approccio all’istruzione e alla formazione chesi pongono sul lato del contesto piuttosto che della riflessione, vanno ricordate ledinamiche connesse con l’affermarsi della globalizzazione. L’espansione che ha ca-ratterizzato l’economia tra la fine della seconda guerra mondiale sino alla crisi pe-trolifera del 1973 ha ricevuto un contributo importante dalla chiusura nazionalisticadei Paesi nel senso che gran parte dell’attività produttiva si realizzava entro i con-fini dello Stato in uno spazio protetto da controlli sul movimento dei capitali, deibeni e dei servizi. Con l’avvento della globalizzazione il panorama cambia, la con-correnza si sposta sui mercati internazionali e l’affermarsi dei paesi di nuova indu-strializzazione, come per esempio la Corea del Sud, Singapore, la Thailandia,Taiwan e ultimamente la Cina dà vita a una competizione che pone seri problemialle nazioni a economia avanzata perché i primi possono contare su una produzionedi massa a basso costo. Pertanto, i secondi vengono a trovarsi di fronte a una alter-nativa non facile: una strategia consiste nel cercare di vincere il confronto, collo-candosi allo stesso livello, cioè procedendo a trasferire le attività economiche inPaesi dove il costo del lavoro sia basso; l’altra ipotesi tende a concentrare le attivitàeconomiche nei comparti caratterizzati da livelli elevati di conoscenza, ricerca e in-novazione in cui la competizione dei Paesi in via di sviluppo non è temibile. Sic-come i costi sociali della prima strategia sono troppo elevati, le nazioni ad eco-nomia avanzata adottano la seconda, puntando sulla fabbricazione di un ventagliodi beni e servizi la cui competitività si basi meno sul prezzo e più sulla qualità.Questa opzione richiede a monte la presenza nella forza lavoro di una professiona-lità sempre più elevata che rende di nuovo centrale l’investimento in istruzione eformazione.Sul ritorno della fiducia nell’istruzione e nella formazione ha anche influito ilprogresso che si è realizzato a livello teorico. Infatti, sono stati abbandonati i mo-delli che si fondavano su una visione unitaria, omogenea e atomistica del mercato,su una concezione lineare e irreversibile delle sue direzioni di sviluppo e sulla na-tura dominante e strutturante della domanda. Emerge invece un paradigma esplica-tivo pluricausale che cerca di collegare i cambiamenti che si sono verificati nelladomanda di lavoro per effetto dell’avvento delle nuove tecnologie dell’informa-zione e della ristrutturazione dei processi produttivi e dell’organizzazione indu-striale, con i mutamenti che sono intervenuti nell’offerta di lavoro che si presentasempre più scolarizzata e femminilizzata.In altre parole al modello “domandista” del capitale umano si sostituiscequello “interattivo”. Le relazioni tra istruzione e formazione da una parte e crescita 22 economica dall’altra non si possono basare solo sulla domanda di lavoro, ma bi-sogna parimenti prendere in attenta considerazione la qualità dell’offerta. L’im-pianto e la qualità delle attività imprenditoriali non possono prescindere dalla pre-senza in loco delle necessarie competenze per svolgerle. Assicurare più e miglioreistruzione e formazione a tutti e soprattutto a quanti sono disoccupati o sottoccu-pati, benché possa comportare nel breve termine spese consistenti, tuttavia è segnodi una visione strategica che nel lungo periodo offre dei ritorni ben superiori aglisvantaggi del momento. L’analisi della domanda di lavoro possiede una rilevanzacentrale per la definizione delle politiche educative; però, sarebbe errato da partedelle imprese perseguire una politica autoreferenziale, ma devono anch’esse met-tersi al servizio della istruzione e della formazione delle persone e tener conto deivalori che queste esprimono. Si richiede pertanto un monitoraggio costante delleistanze della domanda e dell’offerta per giungere ad elaborare strategie concertate,mentre ogni politica a senso unico da parte del sistema economico sarebbe necessa-riamente perdente. Gli interventi del governo sul lavoro non possono consistere inuna semplice presa d’atto dei dati economici, ma devono prendere in attenta consi-derazione le correlazioni tra le dinamiche dello sviluppo e i bisogni dei singoli edei gruppi. In questo contesto il modello “interazionista” non rifiuta il meglio diquello “domandista”, ma provvede a integrarlo.L’intervento pubblico non è più focalizzato come nel passato sul sostegno alladomanda aggregata da parte dello Stato secondo la tradizionale impostazione key-nesiana, ma mira a favorire in una prospettiva di natura promozionale l’incontro tradomanda e offerta e ad aiutare le persone che nel mercato del lavoro si trovano inuna condizione di debolezza come giovani, donne, cassintegrati, disoccupati dilungo periodo, extracomunitari. Tenuto conto anche della natura eterogenea, dis-continua e segmentata del mercato del lavoro, viene predisposto un ampio venta-glio di misure di politica attiva rivolte a rispondere in maniera flessibile alla com-plessità della domanda e dell’offerta: tra esse assume una posizione centrale la For-mazione Professionale. Infatti, la garanzia del lavoro non coincide più con il postofisso assicurato a vita, ma consiste in una gamma di dispostivi mirati ad elevare illivello di istruzione e di formazione del soggetto e l’efficienza del mercato del la-voro affinché il lavoratore possa beneficiare del massimo di possibilità nei percorsidi mobilità tra una impresa e l’altra e nell’alternanza tra formazione e lavoro.Le indicazioni che vengono dalla letteratura più recente circa l’incidenza del-l’istruzione e della formazione sullo sviluppo economico attestano un superamentodelle posizioni più negative del passato e il raggiungimento di una prima sintesi(Lodigiani, 1999 e 2007; Saha e Fägerlind, 1994). Tuttavia, la relazione è tutt’altroche semplice e diretta: in altre parole non esistono automatismi per cui si possa af-fermare che qualsiasi investimento nel sistema educativo conduca necessariamenteai risultati voluti e, pertanto, non sono da escludere casi di eccessiva fiducia nellestrategie dell’istruzione e della formazione o di una scelta di modalità sbagliate diintervento. Al tempo stesso va affermato che non è pensabile per un Paese realiz- 23 zare una politica per lo sviluppo senza il sostegno di una popolazione adeguata-mente formata, in particolare se si tiene conto dell’attuale fase di esplosione delleconoscenze e di espansione della tecnologia. Pertanto, si può dire che l’educazioneè il fattore principale dello sviluppo a condizione che la sua traduzione in un pro-getto concreto corrisponda alle esigenze proprie di ciascun Paese.L’attuale recupero della centralità del capitale umano e della relazione traistruzione e formazione da una parte e lavoro dall’altra non è più interpretabile insenso meccanicistico e automatico. Infatti, si è ormai pienamente consapevoli deglistretti rapporti che intercorrono tra sistemi educativo, produttivo ed occupazionale.L’interpenetrazione che si registra tra sfera sociale e sfera economica, il radica-mento dell’economia nella società portano a una prospettiva multidimensionaledello sviluppo che fonda la presenza di molteplici e differenziati itinerari di crescitail cui successo è condizionato dalle interazioni specifiche che si creano in un deter-minato contesto tra variabili di diversa natura. In questo quadro l’investimento inistruzione e formazione non viene più visto solo come una scelta individuale effet-tuata in nome di una razionalità esclusivamente strumentale, ma è interpretato inun’ottica più complessa che prende in considerazione vari altri fattori quali i mer-cati di lavoro particolari come quelli “interni”, la contrattazione tra organizzazionidatoriali e sindacali, la disparità nella distribuzione delle ricchezze, il quadro istitu-zionale in cui le scelte si collocano. La valenza dell’investimento in istruzione e informazione non viene più calcolata sulla base soltanto dell’aumento del reddito, maanche in termini di crescita di occupabilità del lavoratore e di adeguamento alle esi-genze delle imprese e alle innovazioni tecnologiche e organizzative.Questo non significa che non rimangano dei problemi importanti da affrontare.Anche oggi un livello alto di istruzione e di formazione facilita il reperimento diuna occupazione, ma non offre alcuna sicurezza che la si trovi veramente e soprat-tutto che corrisponda al titolo posseduto. Quest’ultimo è raggiunto da fenomeni disvalutazione e di inflazione che comportano una crescita continua verso l’alto delgrado di istruzione formale necessario per inserirsi nel mercato del lavoro, mentretendono a marginalizzare chi vi entra con credenziali educative deboli. A loro voltaqueste sono sempre più un segno formale del livello di qualifica raggiunto, mentresempre di meno riescono a svolgere una funzione di filtro delle persone più capacio a indicare le conoscenze e le competenze realmente possedute. È anche entrato incrisi il monopolio del sistema di istruzione come unico canale di trasmissione deisaperi e di formazione.Tuttavia il limite maggiore del modello “interattivo” risiede altrove (Bertagna,2002 e 2006). Pur presentando un insieme di vantaggi rispetto a quello “doman-dista” di cui supera l’autoreferenzialità del sistema economico, e valorizza invecele connessioni di quest’ultimo con il sistema educativo, il ruolo dell’Istruzione edella Formazione Professionale iniziale e ricorrente, l’attenzione alle attitudini deisingoli, la sensibilità sociale, l’imparare ad apprendere, la concertazione e la nego-ziazione, tuttavia non incide se non marginalmente sull’assunto principale del mo- 24 dello “domandista” secondo il quale il significato e il bene di ciascuno vengono acoincidere con l’utile e il produttivo. L’occupabilità del soggetto assurge a valorefondamentale e nessuno può discostarsi sostanzialmente dal modello di uomo o didonna che lo sviluppo economico di un certo periodo storico richiede.Diversa è la portata e l’incidenza di un modello “personalista” che pone alcentro la persona e non il sistema economico o le imprese o l’occupabilità. Inquesto caso è la persona che diviene il fine a cui vengono subordinati la crescita e iprocessi di istruzione/formazione. Pertanto, lo sviluppo non ha senso se dovesse le-dere anche un solo soggetto. L’istruzione e la formazione non hanno valore in sestesse, ma in quanto sono considerate da ciascuno uno strumento significativo perperfezionarsi e divenire migliore. Inoltre esse non si giustificano in quanto esigenzeoggettive del tempo, ma perché le persone vi riconoscono un’esperienza che le facrescere. Livelli anche molto elevati di crescita economica e una estrema diffusionedell’istruzione e della formazione non sono sufficienti se al tempo stesso non ren-dono più persona ogni persona. Non è accettabile che la realizzazione dell’uomo siriduca al suo lavoro: il percorso da porre in esser è invece quello opposto di ren-dere il lavoro, l’occupabilità e l’economia strumenti per sviluppare a pieno la per-sona. 2.4. Apprendimento continuo e politiche del lavoroIn sintesi, si può affermare che gli ultimi due decenni hanno assistito a un cam-biamento molto significativo sia nelle politiche sociali, in particolare educative, siain quelle relative al mondo del lavoro (Lodigiani, 2008; Colasanto, 2011; Colasantoe Lodigiani, 2007). In primo luogo si è passati da provvedimenti di carattere pas-sivo, fondati sul diritto di cittadinanza o sui versamenti corrisposti, a interventi dinatura attiva, cioè condizionati alla realizzazione da parte degli interessati dei com-portamenti richiesti. Una seconda modalità evolutiva ha riguardato la transizioneda misure standardizzate, relative a tipologie di rischio prestabilite, a programmiindividualizzati e da una focalizzazione su strategie economiche di carattere macroche privilegiavano la domanda di lavoro, a politiche mirate principalmente sull’of-ferta, sul livello micro e sull’attivazione dei beneficiari. Un ultimo trend è consi-stito in un’azione di decentramento che ha permesso ai soggetti locali di divenireprotagonisti e di non essere più solo semplici esecutori, che ha comportato una re-visione della distribuzione delle competenze a livello territoriale tra centro e peri-feria e che ha rivalutato il privato, in particolare sociale, rispetto al pubblico e le re-sponsabilità individuali in confronto con quelle collettive.In questo quadro si ridisegnano i ruoli del lavoro e della istruzione/forma-zione: il primo si presenta come lo strumento più rilevante di inclusione sociale e laseconda è chiamata a svolgere il compito di presiedere alla transizione nel mondodel lavoro e di offrire un contributo centrale al sistema di sicurezza in chiave atti-vante nella mobilità delle persone. Il pericolo insito in questo modello è che lascuola e la Formazione Professionale vengano ridotte a puro sostituto funzionale 25 del lavoro e del welfare. Certamente non si può negare che l’istruzione/formazionedeve proporsi mete di natura professionalizzante e che possa facilitare nel lungotermine l’incontro tra domanda e offerta di lavoro e contribuire al conseguimentodi una buona occupazione; al tempo stesso non si può limitare il suo ruolo a questefinalità e soprattutto non si può chiedere ad essa di creare da sola nuovo lavoro o diassicurare la stabilità del posto. Sarà necessario invece che sia collocata in un si-stema più vasto di protezioni comprensivo di un insieme integrato di strategie at-tive e passive.In altre parole bisogna superare gli effetti del cambiamento di prospettiva dal-l’occupabilità all’occupazione che si è verificato con le strategie di Lisbona e cheha inciso fortemente sui sistemi educativi, portando in primo piano la funzione pro-fessionalizzante in relazione stretta alle richieste del mondo del lavoro (Commis-sione Europea, 2009). L’approccio che ha prevalso è stato di natura economicisticae ha coinvolto i programmi di istruzione/formazione. Tale andamento contrastagrandemente con la concezione europea dell’apprendimento per tutta la vita che lovede come “empowerment” e gli attribuisce il ruolo di promuovere la cittadinanzaattiva.Nonostante i limiti appena accennati che si possono ricondurre nelle ragioniultime alla mancata adozione di un modello personalista, non si può non essered’accordo con l’orientamento di natura preventiva, abilitante e attivante che le po-litiche del lavoro e della educazione hanno recentemente assunto con l’intendi-mento di valorizzare la promozione del capitale umano come strumento per difen-dersi dai pericoli della disoccupazione, della espulsione precoce dal mercato del la-voro e dalla marginalizzazione. Il rapporto tra investimento formativo, occupabi-lità, produttività e attivazione è innegabile: infatti, il tasso di disoccupazione risultapiù elevato tra le persone con livelli bassi di istruzione e di formazione e i feno-meni di precarizzazione, marginalizzazione ed esclusione colpiscono in percentualipiù consistenti quanti possono contare solo su titoli e qualificazioni deboli. Altempo stesso, come si è ricordato nella sezione precedente, l’investimento forma-tivo elevato non offre una sicurezza assoluta contro la disoccupazione, né garan-tisce in maniera piena la corrispondenza tra l’occupazione conseguita e l’iter for-mativo seguito, la stabilità del posto o uno stipendio elevato.Pertanto, non è sufficiente elevare la soglia educativa della popolazione per ri-uscire a risolvere il nodo dell’occupazione proprio perché non esiste alcun determi-nismo nelle relazioni tra la istruzione/formazione e il lavoro. Più in particolare, vasottolineato che non è compito dell’educazione creare posti di lavoro, ma al mas-simo si può pensare a un suo contributo per favorire l’incontro tra la domanda el’offerta di lavoro; inoltre, essa non riesce a garantire sempre e ovunque il tipo dioccupazione voluti né a difendere dalla disoccupazione. I tempi della riforma edu-cativa sono lunghi e quindi è impossibile o quasi che essa possa adattarsi in temporeale alla domanda sociale; non bisogna neppure dimenticare che le attese forma-tive degli allievi possono non coincidere con le esigenze del sistema produttivo. 26 L’educazione non può nemmeno fornire una garanzia assoluta di eguaglianzaperché risulta condizionata dal background economico, culturale, sociale, familiaree dalle caratteristiche ascritte di ciascuno.«Non si vuole con questo sminuire il valore dell’apprendimento permanente.Per quanto fatichi a intercettare tutti i bisogni potenziali di formazione, laddove hasuccesso innesca una ricaduta positiva che non va trascurata, non solo sui direttibeneficiari, bensì anche nelle nuove generazioni, contribuendo a modificare la pre-disposizione dei genitori a investire nel capitale umano dei propri figli» (Lodigiani,2008, p. 170). 3. L’INSERIMENTO OCCUPAZIONALE DEI GIOVANI IN ITALIA Come ha evidenziato l’analisi precedente, la transizione dei giovani dal si-stema educativo al mondo del lavoro è questione complessa e articolata. Nel pro-sieguo essa verrà affrontata da varie prospettive: anzitutto, si approfondirà il signi-ficato del successo/insuccesso scolastico e formativo e si esamineranno i relatividati; in secondo luogo, si cercherà di illustrare in maniera sintetica la consistenza ei fattori dell’attuale crisi occupazionale; successivamente si richiameranno gli esitidei percorsi triennali della IeFP secondo le indagini Isfol e CNOS-FAP - CIOFS/FPche hanno anticipato quella di cui ci si occupa in questo rapporto; l’ultima sezionesarà dedicata a tratteggiare per sommi capi l’evoluzione delle politiche di welfarenel quadro dell’Unione Europea. 3.1. Successo/insuccesso scolastico e formativo: significato e datiIncominciamo con due definizioni tradizionali. Anzitutto, il successo scola-stico viene inteso «come la conclusione dell’iter di studi nei tempi previsti, con unapreparazione adeguata e con una apprezzabile valutazione finale» (Bramanti e Odi-freddi, 2006, p. 28; cfr. anche Benadusi, Giancola e Viteritti, 2008; Bottani e Bena-dusi, 2006; Caselli, 2008; Malizia e Pieroni, 2010). A sua volta il successo forma-tivo viene identificato con il pieno inserimento a tutti i livelli della vita sociale altermine del più ampio percorso educativo. Come vedremo, le due definizioni nonsono pienamente soddisfacenti una per difetto e l’altra per eccesso; ai fini tuttaviadi un approfondimento della questione, conviene in ogni caso continuare a presen-tare le ulteriori argomentazioni di queste posizioni tradizionali.In tale quadro i rapporti tra i due concetti ricordati sopra sono stati immaginatisulla base di tre diversi modelli. Un primo di carattere dicotomico prevede due ca-nali diversi, uno nell’istruzione e uno nella IeFP. Un altro modello immagina il suc-cesso scolastico come un sottoinsieme del successo formativo e ci sono degli stu-denti, quelli che rimangono per tutto il loro percorso all’interno del sistema di istru-zione, per i quali la coincidenza è completa. Una terza impostazione li ipotizzacome due insiemi diversi, ma anche complementari; in questo caso, si osserva un 27 ambito consistente in cui i due concetti si sovrappongono, una situazione che rinviaalla cooperazione di soggetti e di istituzioni di origine e natura diversa.Si è anche cercato di identificare le attività principali da porre in essere perraggiungere il successo. In primo luogo, vanno ricordate quelle di natura trasver-sale che sono finalizzate a educare i giovani nella dimensione della cittadinanza,promuovendo le competenze relazionali, gli atteggiamenti di responsabilità, la ca-pacità di adattarsi a situazioni sempre mutevoli, l’acquisizione dei valori democra-tici. Le attività culturali e professionali riguardano l’itinerario didattico e mirano adoffrire le conoscenze, le abilità e le competenze necessarie per affrontare le sceltedegli studi e del lavoro. Il terzo gruppo mira alla prevenzione e al recupero dalle si-tuazioni di disagio scolastico, formativo e sociale.Bisogna anche riconoscere che la riflessione si è svolta soprattutto sul lato del-l’insuccesso. Da questo punto di vista sono stati elaborati degli indicatori molto piùchiari. Li ricordiamo qui di seguito: gli abbandoni, le ripetenze e le bocciature, lafrequenza irregolare, i ritardi, i rallentamenti, la qualità scadente degli esiti, i per-corsi formativi accidentati, l’inoccupazione, la disoccupazione e la sotto-occupa-zione.Un ordine e una precisione maggiore si possono trovare nella riflessione che èstata compiuta dal Centro Studi per la Scuola Cattolica della Cei (Cssc, 2001; Ma-lizia e Cicatelli, 2008; Cicatelli e Malizia, 2012). Nel quadro dell’attenzione chel’educazione cattolica ha da sempre dedicato alla qualità e in continuità e collabo-razione con le federazioni/associazioni di scuola cattolica e della FP di ispirazionecristiana, esso si è impegnato dalla fine degli anni ’90 a promuovere una culturadella qualità. Per raggiungere questa meta ha elaborato una proposta di indicatori,ha predisposto criteri per un sistema di valutazione che fosse tavola di confronto trale scuole, ha proposto modelli per la certificazione e l’accreditamento e ha costi-tuito uno specifico osservatorio. Ai fini del nostro studio è utile richiamare qui lasua mappa della qualità che ha cercato di portare chiarezza in questo ambito anchein riferimento a ciò che ci interessa più da vicino e cioè la delimitazione dei con-cetti di successo scolastico e formativo.Tenendo conto delle più recenti acquisizioni in materia di indicatori, si èquindi pervenuti a delineare un elenco comune di settori ed ambiti di indagine. Lamappa della qualità non si limita a considerare i risultati, ma tiene conto di tutto ilpercorso formativo a partire dalle risorse umane e materiali impegnate in esso perpassare al processo di insegnamento-apprendimento; inoltre, la vita di una scuola odi un Centro di Formazione Professionale (CFP) non può essere concepita comeautoreferenziale, ma si svolge in un rapporto fecondo di interscambio con il con-testo che viene a costituire uno dei poli essenziali della mappa. Pertanto gli indica-tori sono articolati in 4 settori: il contesto che rappresenta un insieme strutturato direlazioni e di appartenenze a livello ideale e concreto e fa da quadro situazionale diriferimento entro il quale si svolge la vita delle scuole e dei CFP; le risorse che co-stituiscono il punto di partenza del processo di insegnamento-apprendimento e ne 28 assicurano le condizioni di alimentazione; i processi che specificano le modalità diorganizzazione del servizio formativo; gli esiti che si riferiscono ai risultati forma-tivi a breve e a lunga durata. Tale settore, che è quello che ci interessa più da vi-cino, comprende a sua volta 4 ambiti; due riguardano direttamente le istituzioniformative e cioè l’immagine esterna (le rappresentazioni del servizio scolastico eformativo da parte dei soggetti esterni) e la soddisfazione dei diversi soggetti (i li-velli di soddisfazione delle attese da parte dei diversi soggetti, committenza, clienti,personale); due invece si riferiscono specificatamente agli studenti e agli allievi esono i risultati formativi (livelli di apprendimento e di maturazione, conseguiti dal-l’azione educativo – formativa della scuola o del centro) e l’impatto socio-culturale(ricaduta dell’azione educativo – formativa della istituzione formativa sul piano delsuccesso scolastico e professionale, sociale e culturale).A nostro parere sono questi due ultimi indicatori a descrivere il successo scola-stico (e il termine va riservato al caso in cui si è iscritti al sottosistema dell’istruzio-ne) e formativo (se invece si frequenta l’IeFP); tuttavia, ancora rimangono nelle de-finizioni richiamate dalle commistioni con la qualità dell’istituzione formativa.Un’evoluzione all’interno della riflessione nel CSSC ha portato recentemente allaelaborazione di una proposta di monitoraggio dell’Istruzione e Formazione Profes-sionale di qualità in cui il concetto di successo formativo viene articolato in due de-finizioni, una che si riferisce al successo formativo in termini di apprendimento (ilsuccesso interno degli allievi della IeFP distribuito in quattro tipologie: minimo,professionale, culturale, eccellente) e l’altra relativa al successo formativo declina-to in termini di esiti (il successo esterno descritto sulla base di due tipologie: inseri-mento nel lavoro e continuità negli studi che può essere intesa come percorso nellaIeFP per conseguire il diploma di tecnico o di tecnico superiore o come percorsonell’istruzione per ottenere un diploma di istruzione secondaria superiore e succes-sivamente anche un titolo universitario o dell’istituto tecnico superiore) (Nicoli,2010). Sul piano negativo, l’insuccesso formativo sta a indicare sia i fenomeni didispersione (abbandoni, ripetenze e frequenza irregolare) sia le situazioni di disoc-cupazione, inimpiegabilità ed emarginazione (Università Cattolica del Sacro Cuore,Università di Milano - Bicocca e Libero Istituto Universitario “C. Cattaneo”, 2005).Dopo esserci soffermati sui significati di successo/insuccesso scolastico e for-mativo, si presenteranno brevemente i dati sulla situazione italiana. Ci limiteremoai principali, facendo riferimento al successo formativo in termini sia di apprendi-mento sia di esiti, come anche all’insuccesso formativo. Incominciamo con lo statoformativo dei giovani del gruppo di età 14-17 anni (Nicoli, 2011). Un primo gros-solano indicatore del successo/insuccesso formativo quanto agli apprendimenti èofferto in positivo dalla percentuale del 95% che nel 2008-09 era comunque inse-rito in un percorso formativo; nello stesso tempo, sul lato negativo ben il 5% era aldi fuori di tali percorsi nonostante il diritto-dovere di tutti alla istruzione e alla for-mazione per almeno dodici anni o, comunque, fino al conseguimento della quali-fica entro il diciottesimo anno di età, anche se va riconosciuto che il tasso citato re- 29 gistra una lieve diminuzione rispetto agli anni precedenti. La maggioranza relativadel gruppo di età 14-17 anni (49%) frequenta corsi di tipo professionalizzante: piùdi un quarto (27.8%) è iscritto agli Istituti Tecnici, oltre il 15% (16.4%) agli IstitutiProfessionali, il 4.3%, cioè più di 100.000, ai Centri di Formazione Professionale ealle agenzie formative (un successo notevole tenuto conto che la sperimentazionedei corsi triennali di IeFP è iniziata nel 2003) e lo 0.5% si trova in formazione inapprendistato. Gli iscritti ai licei, includendo anche l’istruzione magistrale e arti-stica che i regolamenti Gelmini hanno inserito nei licei costituiscono il 42% del to-tale della coorte considerata; inoltre, vi è un 4% del gruppo che frequenta ancora lasecondaria di 1° grado.Passando ad altri parametri che si pongono più sul lato dell’insuccesso forma-tivo, ma sempre dalla parte degli apprendimenti, incominciamo con un confrontocon gli altri Paesi del nostro continente. In Italia, nel 2010, il 18.8% lascia il siste-ma educativo di istruzione e di formazione senza ottenere un diploma della secon-daria superiore o almeno una qualifica professionale; e la percentuale è superiorealla media dell’Unione Europea (14.1%) (Istat, 2012; Censis, 2011). Tuttavia, in po-sitivo va anche ricordato che tra il 2000 e il 2010 il tasso del nostro Paese si è ab-bassato del 6.5%, scendendo dal 25.3% al 18.8%. Le criticità riemergono appena idati si esaminano in base alla collocazione territoriale: se infatti la percentuale si ab-bassa al 16.2% nel Centro-Nord, essa si eleva al 22.3% nel Sud e nella Isole e rag-giunge un quarto del gruppo di età corrispondente nelle Isole dove si tocca il 25.6%.Tra il 2006-07 e il 2009-10, la percentuale degli abbandoni nel biennio dellescuole secondarie di 2° grado risulta in crescita, essendo aumentata dell’1.1% dal15.6% al 16.7% (Censis, 2011). La distribuzione per circoscrizioni territoriali vedeil Sud e le Isole al primo posto con un tasso del 18.6% e il Nord-Ovest si colloca alsecondo posto con il 17.5%. Il Centro e il Nord-Est si situano al di sotto dellamedia nazionale, con il primo al 14.6% e il secondo al 12.8%. Il tipo di scuole se-condarie di 2° grado maggiormente raggiunte dal fenomeno sono gli Istituti Profes-sionali con un quarto quasi (23.7% che nel Sud/Isole diviene il 30%); seguono itecnici con il 16.6% e il dato coincide sostanzialmente con quello nazionale; la per-centuale più bassa si riscontra nei licei con l’11.4%. Gli andamenti esaminati con-fermano tre tendenze: la consistente diversificazione che ancora sussiste tra le cir-coscrizioni geografiche del nostro Paese a svantaggio del Sud, in particolare delleIsole; la concentrazione del fenomeno nel biennio della secondaria di 2° grado; lafocalizzazione negli Istituti Professionali e Tecnici.Passando alle ripetenze, la percentuale nella secondaria di 2° grado raggiun-geva nel 2006-07 il 6.3% con però notevoli differenze tra gli anni, massima alprimo (8.5%), più bassa al secondo e al terzo che manteneva una cifra consistentein ambedue gli anni (7.2%), per scendere al 5.3% al quarto e al 2% al quinto (Ni-coli, 2011). Un’altra forma di diversificazione importante riguarda anche in questocaso il tipo di secondaria superiore: infatti, il tasso di ripetenza tocca il 9% quasi(8.9%) negli Istituti Professionali e oltre l’8% (8.2%) negli Istituti Tecnici, mentre 30 nei licei si limita al 3%. Nel biennio è un quarto circa (23.5%) degli iscritti all’Isti-tuto Professionale che ripete e un quinto quasi (19.9%) negli Istituti Tecnici.Un ultimo indicatore del successo/insuccesso formativo in termini di apprendi-menti è offerto dal tasso di regolarità. Nel 2009-10 tre quarti quasi (74.7%) degliiscritti alla secondaria di 2° grado erano al primo anno o in anticipo (2.9%) o rego-lari (71.8%), mentre poco più di un quarto (25.3%) risultava in ritardo di 1 anno(16.1%), di 2 (5.2%) e di tre anni e più (4%) (Miur, 2011); preoccupa che la situa-zione si è deteriorata rispetto al 2006-07 quando il rapporto era di 76.9% a 23.1%(Nicoli, 2011). Nella secondaria di 2° grado, diversamente dagli altri ordini e gradidi scuola, la percentuale più elevata di studenti in ritardo non si riscontra all’ultimoanno, ma al terzo anno anche se la differenza è minima, 0.7% (29.4% e 30.1% ri-spettivamente); questo andamento è un segno chiaro delle difficoltà che sperimen-tano gli studenti nel passaggio dal biennio al triennio della scuola superiore. La va-riabile di genere presenta un’incidenza notevole perché sono soprattutto le ragazzea procedere con regolarità nei loro studi; è sufficiente considerare che nella secon-daria superiore gli studenti in ritardo sono il 32.2% mentre le studentesse sono il22.8%. Come si è già più volte osservato sopra, le differenze divengono più consi-stenti tra tipi di secondaria superiore: nel 2006-07, all’ultimo anno i licei presen-tano un rapporto tra regolari/in anticipo e in ritardo che si pone fra il 90.7% e il9.3%; esso però diviene 62.5% - 37.5% negli Istituti Tecnici e 56.6% - 43.4% negliIstituti Professionali (Nicoli, 2011). 3.2. I giovani al centro della crisi occupazionaleA febbraio la disoccupazione nell’area euro è salita al 10.8% quella generale eal 21.6% quella della fascia di età 15-24 anni, le cifre più alte dal giugno 1997(Basso, 2012). In Italia il primo dato è inferiore alla media dell’UE, 9.3%, ma il se-condo risulta molto più elevato, 31.9%, al di sotto solo della Spagna (50.5%) edella Grecia (50.4%); in ogni caso per l’Italia sono le percentuali più elevate rispet-tivamente dal 2004 e dal 1999.Sulla stessa linea, i tassi dell’Istat relativi al quarto trimestre del 2011 si collo-cano per i giovani 15-24 anni al 32.6%, cioè uno ogni tre è senza lavoro e il datosegnala una crescita del 2.8% rispetto allo stesso periodo di un anno prima; la si-tuazione peggiore è quella delle giovani donne al Sud con una percentuale del49.2% e comunque maschi e femmine insieme nel Mezzogiorno totalizzano il44.9% in paragone al 24.1% al Nord, mentre il Centro è sulla media nazionale,32.9%. Pertanto, giovani, donne e Meridione sono le realtà più deboli del mercatodel lavoro. Il tasso generale si situa al 9.6%, ma sale al 14.9% al Sud, cioè oltre ildoppio del Nord, 6.1%, mentre il Centro rimane sulla media nazionale, 9.2%. Lasituazione delle donne è sempre peggiore di quella degli uomini; per tutta l’Italia ilrapporto è 10.8% a 8.7%, per il Nord 7.8% a 5.9%, per il Centro 10.4% a 8.3% eper il Sud 17.4% a 13.4%.A questo punto vale la pena richiamare i fattori più importanti che contribui- 31 scono a creare tale situazione (Censis, 2011). Un primo motivo può essere identifi-cato nella maggiore flessibilità della condizione dei giovani che, se da una partepuò facilitarne l’entrata nel mercato, dall’altra li rende più vulnerabili al pericolodella disoccupazione. Incide anche nella medesima direzione la ridotta congruitàdella loro preparazione ai bisogni del mondo produttivo che pertanto tende ad op-tare per lavoratori più anziani, ma anche più esperti. Non si deve neppure trascu-rare il senso di sfiducia che i giovani sperimentano in misura crescente verso leproprie possibilità di riuscire ad affrontare con successo il futuro a causa di tanteattese che sono rimaste inadempiute; in altre parole, essi sembrano mancare diquella intraprendenza e voglia di mettersi in gioco che invece hanno caratterizzatoil comportamento delle generazioni precedenti, per cui finiscono per rinunciare acompetere ancor prima di confrontarsi con le sfide del momento.Un riflesso di questa situazione è riscontrabile nella porzione di giovani che néstudiano né lavorano. Essa, infatti, si colloca all’11.2% nella fascia di età 15-24anni e al 16.7% nella coorte 25-29 e risulta molto più elevata di quella media del-l’eurozona: rispettivamente 3.4% e 8.5%. Si comprende allora perché in Italia lapercentuale di quanti lavorano si situa a livelli notevolmente inferiori: 20.5% nellafascia 15-24 e 58.8% in quella 25-29 al confronto con i dati UE del 34.1% e del72.2%, nettamente superiori. Su questi andamenti influisce la durata più lunga inItalia dei percorsi di studio per cui si trovano implicati in essi il 60.4% della fasciadi età 15-24 e il 14.4% di quella 25-29 in paragone a una situazione dell’UE che re-gistra il 53.5% e il 9%. In sostanza una percentuale consistente di giovani nonsembra interessata né allo studio né al lavoro e parecchi sembrano voler ritardarel’impatto con il mondo del lavoro, quasi fossero raggiunti da una forma di paniconei suoi confronti, e proseguono la formazione. In questo contesto, va sottolineatala percezione prevalente nella popolazione e particolarmente in quella giovanilecirca le esperienze della formazione e del lavoro che vengono considerate comeesclusive ed escludenti. Infatti appena il 2.9% del gruppo di età 15-24 anni uniscelo studio e un’occupazione rispetto al 24.3% in Germania, al 21.4% nel RegnoUnito e al 10.3% della Francia.Un ultimo motivo può essere identificato nella perdita di attrazione che si regi-stra a proposito della figura dell’imprenditore che pure ha svolto un ruolo centralenel nostro sviluppo, contribuendo a dare slancio e vitalità produttiva al sistema.Anche in questo caso i dati mettono in evidenza le criticità del nostro Paese rispettoall’Europa: solo il 32.5% del gruppo di età 15-35 si dimostra disponibile ad avviareun’attività in proprio rispetto al 56.3% della Spagna, al 48.4% della Francia, al46.3% del Regno Unito e al 35.2% della Germania.Queste problematiche relative al mondo giovanile si inseriscono in un quadropiù ampio di generale declino della nostra economia, le cui manifestazioni più evi-denti possono essere identificate sia nel graduale rallentamento delle percentuali dicrescita del Pil del nostro Paese, che nell’ultima decade è stato caratterizzato da in-crementi molto modesti soprattutto in paragone ad altre nazioni comparabili, sia 32 nella diffusione di una tipologia di lavori sempre meno capace di facilitare adeguatiprocessi di sviluppo (Censis, 2011; Unioncamere, 2011). Se si fa riferimento alprimo decennio del 2000, risulta da una parte che l’aumento del Pil si è attestatoappena al 4%, mentre dall’altra la crescita degli occupati è stata quasi il doppio,7.5%. Questo andamento contrasta con quello di Paesi comparabili: Germania9.7%, Francia 11.9%, Regno Unito 17.7% e Spagna 22.7% hanno registrato unosviluppo più sostenuto del loro Pil in confronto al nostro.L’effetto congiunto dei due trend ha influito negativamente sulla competitivitàe la produttività del nostro lavoro. Quest’ultima infatti si è gradualmente ridottacome attesta il confronto con gli altri Paesi. Nel 2000 essa raggiungeva un valorepari a 117, superiore alla media dell’UE fatta pari a 100; nel 2010 la cifra è 101;altri sono i risultati di Francia, Germania, Regno Unito e Spagna e si tratta rispetti-vamente di 133, 124, 107 e 108.Su questi risultati ha inciso anche l’abbassamento della qualità della crescitaoccupazionale in Italia. Nell’ultimo decennio l’andamento del mercato del lavoro èstato contraddistinto dall’espansione dei lavori caratterizzati da una qualificazionemodesta o scarsa rispetto a quelli di livello medio o alto. Più in particolare, nell’ul-timo quinquennio i nuovi posti di lavoro hanno premiato soprattutto le figure pro-fessionali addette alla vendita e le occupazioni non qualificate. Questo andamentoha di sicuro influito sul calo della produttività del lavoro nel nostro Paese.Un altro fattore negativo è consistito nella marginalità dell’Italia nei processidi finanziarizzazione dell’economia reale che, pur con notevoli contraddizioni,hanno contribuito in maniera determinante alla sostituzione dell’industria con iservizi come settore economico principale nel produrre ricchezza. Tale andamentoè chiaramente visibile all’interno dell’UE che nel quinquennio 2005-10 assistemediamente a un calo del 2.1% nella produzione industriale e a un aumento deiservizi pari al 7.8%, provocato soprattutto dall’espansione del comparto dell’inter-mediazione finanziaria e dei servizi all’impresa che si colloca al 10.5%. Al con-trario, in Italia si registra nel periodo considerato una crescita nei servizi solodell’1.3% che, tra l’altro, è anche accompagnata dal crollo della produzione indu-striale del 10.2%.Il declino della nostra economia è un problema complesso dalle molte sfaccet-tature. In aggiunta a quelle già indicate, altre cause che sono intervenute possonoessere identificate nelle seguenti tendenze: la presenza di un vasto settore di attivitàsommerse che sottrae ricchezza al sistema dell’economia formale; la natura del no-stro modello di crescita che è focalizzato eccessivamente su logiche di piccola im-presa e sul momento produttivo rispetto alla commercializzazione, che si caratte-rizza per il basso livello di capitalizzazione e di propensione agli investimenti e cheriserva poca considerazione all’organizzazione dei processi di lavoro come stru-mento essenziale per accrescere competitività; la resistenza all’introduzione di in-novazioni e di cambiamenti in ambito lavorativo che risulta molto superiore allamedia europea. 33 3.3. Gli esiti dei percorsi triennali dell’IeFP: le indagini nazionali del CNOS-FAP, del CIOFS/FP e dell’IsfolLe ricerche a cui qui si fa riferimento sono tre e tutte hanno coinvolto l’interoterritorio nazionale, anche se le categorie degli intervistati sono differenti. Duesono state condotte dal CNOS-FAP, la prima nel 2007 insieme al CIOFS/FP suiloro qualificati del 2005-06, la seconda dal CNOS-FAP da solo nel 2010 sui propriqualificati nel 2008-09 dei settori automotive ed elettro/elettronico. La terza è statarealizzata dall’Isfol tra il luglio 2010 e il febbraio 2011 ed ha coinvolto un cam-pione nazionale rappresentativo di qualificati nel 2006-07, a tre anni dal consegui-mento della qualifica.3.3.1. L’indagine del CNOS-FAP e del CIOFS/FP nel 2007 su un campione nazio-nale di qualificati del 2005-06Le Sedi Nazionali dei due Enti, CNOS-FAP e CIOFS/FP, hanno realizzato nel2007 una indagine, mirata al conseguimento tra l’altro dell’obiettivo di monitorare,a distanza di circa un anno dalla conclusione, la condizione degli allievi usciti nel2005-06 dai percorsi triennali sperimentali del diritto-dovere, conseguendo unaqualifica o ottenendo un attestato di frequenza, per verificare se avessero prose-guito gli studi all’interno del sistema educativo di istruzione e formazione, oppurese avessero trovato un lavoro, o se si trovassero in una situazione di inattività (Ma-lizia e Pieroni, 2008 a e b). La ricerca si è svolta su un campione nazionale rappre-sentativo di 638 ex allievi/e, suddivisi tra 391 (61.3%) del CNOS-FAP e 247(38.7%) del CIOFS/FP.Il campione a cui è stata somministrata un’intervista telefonica, si presentavacosì distribuito tra i diversi possibili sbocchi:– 329 (51.6%) all’uscita dal percorso avevano scelto di lavorare e a distanza diun anno avevano trovato lavoro;– 172 (27%) avevano scelto di continuare gli studi;– 153 (24%) non stavano né studiando né lavorando.Il 92.1% dei lavoratori proviene da due livelli del sistema d’istruzione: 154(46.8%) dalla scuola secondaria di 1° grado e 149 (45.3%) da quella di 2° grado.Tuttavia, si caratterizzano per una diversa esperienza: il 66.5% di chi è passato dal2° grado è stato bocciato, a differenza del 69.9% del 1° grado.All’uscita dal sistema formativo 150 (45.6%) hanno trovato subito lavoro. Inquesto esito positivo è risultato favorito soprattutto chi si è segnalato durante il pe-riodo di stage trascorso in azienda e chi ha accettato un contratto di apprendistato,fattori che sembrano stare tra loro in stretto rapporto di causa-effetto. Nella quotaresidua la maggior parte ha trovato lavoro privilegiando le reti informali di fami-liari, conoscenti e contatti diretti, ma c’è stato anche chi si è assunto la responsabi-lità in prima persona recandosi direttamente nelle aziende. In ciò la componentefemminile è apparsa più determinata. 34 In questi casi il lato negativo si riscontra nella precarietà dei contratti, la cui re-golarità (se si prescinde dall’apprendistato) è stata dichiarata da appena uno su cin-que per il tempo pieno e da uno su dieci per il tempo parziale. È certamente questouno dei motivi per cui la metà dei lavoratori ha dichiarato di voler cambiare lavoro.Chi ha proseguito gli studi è un gruppo composto da 172 soggetti che costitui-scono il 27% del totale: 116 (67.4%) hanno scelto di inserirsi nel sistema di istru-zione iscrivendosi alla scuola secondaria di 2° grado, 34 (19.8%) di rimanere all’in-terno della IeFP frequentando il IV anno e 22 (12.8%) hanno scelto di frequentarecorsi di apprendistato o di formazione continua. Chiaramente il dato attesta la capa-cità di recupero del sistema di istruzione e formazione dei percorsi sperimentali deldiritto-dovere.Un ulteriore elemento caratterizzante il gruppo degli studenti va poi individua-to nel sistema motivazionale sotteso alla scelta il quale, facendo leva sulla possibi-lità di ottenere maggiori e migliori opportunità occupazionali, lascia intuire che si èin presenza di soggetti dotati di elevate aspirazioni per una carriera professionaleche in un futuro prossimo li potrebbe far sentire pienamente realizzati. Tutto questosi verifica a prescindere dal fatto che chi manifesta tali attese sia in una posizionedi svantaggio rispetto al mercato del lavoro e delle professioni o per appartenere al-la condizione femminile, in particolare se residente nelle Regioni centro-meridio-nali, o per essere già passato attraverso esperienze scolastiche negative. Pertanto, indefinitiva si può a tutti gli effetti sostenere che chi ha continuato a studiare lo ha de-ciso in vista di un progetto strettamente connesso alla realizzazione di sé, puntandoa una carriera professionale il più possibile rispondente alle proprie aspettative.Infine l’indagine ha rilevato che al momento del sondaggio telefonico 153(24%) non stavano né studiando né lavorando.Costoro si distribuiscono in quote abbastanza simili sia all’interno della varia-bile di genere con 74 (48.4%) maschi e 79 (51.6%) femmine, che riguardo alla pro-venienza dalla scuola di 1° o 2° grado con 70 (45%) dal 1° grado e 83 (54.2%) dal2° grado. Tuttavia, la vera distinzione di tale sottocampione si riscontra nella pre-senza al suo interno di 96 (62.7%) bocciati; quest’ultimo dato a sua volta va ulte-riormente ponderato in rapporto tanto al pregresso percorso scolastico, dove si rile-va che il tasso di insuccessi ha riguardato oltre l’80% di chi proviene dal 2° grado(mentre non vi si è trovato il 63% di quelli che si sono iscritti alla IeFP dal 1° an-no), che all’età, in quanto coinvolge il 90% circa di chi si colloca dai 19 anni in su.E comunque, se si prescinde da un 5% che ha continuato la propria formazionenella IeFP, oltre il 90% al termine del percorso ha tentato la ricerca di un’occupazionee il 35.9% ha potuto effettuare una prima esperienza lavorativa, che però è cessata qua-si subito o ha avuto una durata inferiore ad un anno; dai dati si evince che l’apparte-nenza di quanti né studiano né lavorano a categorie già in partenza svantaggiate, ossiai bocciati, gli ex allievi in età avanzata, la residenza nelle Regioni centro-meridionali.Per quel 60% circa che invece a distanza di un anno non è ancora riuscito a trovare la-voro le motivazioni addotte riguardano in misura maggiore la dimensione valoriale 35 (non aver trovato un lavoro adatto alle proprie aspirazioni, l’incoerenza con la qualifi-ca e/o con la formazione ricevuta…) e solo in parte afferiscono anche all’aspetto logi-stico (mancanza di opportunità per i residenti nelle Regioni centro-meridionali, man-canza di appoggi/raccomandazioni, sfortuna…). Tali fattori hanno consigliato a questogruppo di posizionarsi in uno stato di osservazione in attesa di migliori opportunità,piuttosto che accettare la prima proposta di lavoro. Resta un dato di fatto che nessunoha attribuito la responsabilità di questo stato di attuale inattività alla qualità della for-mazione ricevuta, alla qualifica conseguita o al bisogno di acquisire un più elevato li-vello di formazione per ottenere il lavoro a cui aspirano.Al termine di questa presentazione sintetica dei risultati principali della inda-gine, si può quindi a tutti gli effetti sostenere che nei confronti di almeno tre suquattro degli ex allievi/e sono state raggiunte le finalità che si prefiggevano i per-corsi del diritto-dovere, quelle appunto o di portare gli iscritti ad inserirsi diretta-mente e da protagonisti nel mercato del lavoro o di poter continuare con successo ipropri studi verso altri traguardi formativi. A conseguire l’una o l’altra meta non èinvece riuscito circa uno su quattro, ma anche in questo caso occorre effettuare unadistinzione: tra questi ultimi solo un gruppo molto ridotto ha mancato totalmentel’obiettivo prefisso, mentre c’è stato chi in realtà il lavoro l’aveva trovato ma poil’ha perso per varie ragioni (personali e strutturali).3.3.2. L’indagine del CNOS-FAP nel 2010 sull’universo dei qualificati dei settoriautomotive ed elettro/elettronico nell’anno 2008-09La ricerca precedente aveva evidenziato due problematiche che sembravanorendere opportuni ulteriori approfondimenti:1) la percentuale dei qualificati dell’anno formativo 2005-06 che all’uscita dalpercorso aveva scelto di lavorare e che a distanza di un anno aveva conseguitoun lavoro, era certamente consistente, 51.6%, ma non così elevata come si sa-rebbe potuto aspettare, tenendo conto del carattere immediatamente professio-nalizzante della IeFP, anche se il 27% che aveva deciso di continuare gli studidoveva essere considerato un’ulteriore conferma delle potenzialità positivedella IeFP che era riuscita a recuperare alla formazione più di un quarto di co-loro che avevano lasciato la scuola, “sbattendo la porta”;2) in ogni caso risultava difficile valutare con esattezza il significato della percen-tuale del 51.6% di occupati perché mancavano dati regionali e nazionali com-plessivi sulla IeFP e su gruppi di giovani in situazioni comparabili sia a livelloquantitativo che qualitativo.Per queste ragioni si è pensato di avviare una indagine che cercasse di identifi-care con più precisione la situazione dei qualificati della IeFP al momento dell’in-serimento nel mondo del lavoro in una prospettiva comparativa. Per motivi ditempo e di risorse la prima fase della ricerca, di cui qui illustreremo gli esiti princi-pali, è stata focalizzata sui qualificati dei settori automotive ed elettro/elettroniconell’anno 2008-2009 della IeFP Salesiana (Malizia e Pieroni, 2010). 36 Incominciamo con il settore “Automotive”.Gli aspetti positivi dei risultati del sondaggio possono essere identificati nei se-guenti:– 52 (42.3%) hanno trovato un’occupazione;– 37 (30.1%) hanno proseguito gli studi;– tra gli occupati, il 53.8% ha trovato lavoro nei primi 3 mesi e ad esserne piùavvantaggiata è la fascia dei più giovani;– il 71.1% ha trovato un’occupazione nello stesso settore della qualifica.L’indagine ha evidenziato anche elementi di criticità che certamente possonoessere oggetto di miglioramento:– 34 (27.6%) al momento non studiano né lavorano e la maggioranza è com-posta da chi ha un’età più alta;– tra chi ha proseguito gli studi, gli iscritti al IV anno della IeFP risultano unaminoranza, anche se questo dipende principalmente dalle scelte politiche a li-vello nazionale e regionale.Passiamo alla seconda categoria di intervistati appartenenti al settore“Elettro/Elettronico”.La ricerca ha messo in risalto i seguenti esiti favorevoli:– il 37.9% ha proseguito gli studi, di cui uno su cinque inscrivendosi al IV annodella IeFP e a riprendere a studiare è soprattutto la fascia più giovane d’età;– il 53.8% degli occupati ha trovato lavoro entro i primi 3 mesi, di cui ancora lafascia degli ex allievi più giovani è stata più avvantaggiata;– il 60.9% ha trovato un’occupazione nello stesso settore di qualifica.Non mancano anche in questo caso risultati meno convincenti:– il 29.5% a 1 anno dalla qualifica non studia né lavora;– il 24.3% ha trovato lavoro;– il dato dei soggetti inattivi colpisce percentualmente la fascia più avanzata d’età.Dal confronto tra i qualificati dei due settori emerge anzitutto che ad influiresugli aspetti positivi o di criticità di entrambi i settori sembra essere l’età e più pre-cisamente:– la coorte dei più giovani (17enni o al di sotto) che appare assai più avvantag-giata nel fare la scelta sia di proseguire gli studi che di entrare subito nel mer-cato del lavoro;– mentre la fascia d’età più avanzata parrebbe attestare che chi proviene da unpercorso disseminato da difficoltà ed ostacoli sembra destinato ad incontrareulteriori svantaggi anche in seguito, sia per quanto riguarda il proseguimentodegli studi che la ricerca del lavoro.Un ulteriore elemento di differenziazione si può trovare nel confronto tra ledue categorie di qualificati in base alla scelta di proseguire gli studi o di trovareun’occupazione: 37 – per il settore “Automotive” il mercato sembra più aperto e al tempo stesso laformazione che è stata data loro appare sufficiente, al punto da spingere lamaggioranza ad andare subito alla ricerca del posto di lavoro invece di prose-guire gli studi;– viceversa per il settore “Elettro/Elettronico” in genere vengono richieste com-petenze sempre nuove e aggiornate che invitano soprattutto i più giovani e/ochi ancora è in grado di farlo ad integrare la formazione ricevuta con una piùavanzata. E in questo i dati del presente monitoraggio sembrerebbero attestareche la IeFP salesiana, oltre a dotare i suoi utenti di una formazione di base ade-guata al proseguimento, contribuisce a fare da cerniera con gli studi superiorinel sensibilizzare e motivare gli allievi al passaggio in quella direzione.3.3.3. L’indagine dell’Isfol nel 2010 su un campione nazionale di qualificati dellaIeFP del 2006-07La ricerca si è svolta tra il luglio 2010 e il febbraio 2011 ed ha coinvolto uncampione nazionale rappresentativo di 3600 giovani qualificati nel 2006-07, a treanni cioè dal conseguimento della qualifica; comunque, vari dati riguardano la si-tuazione a un anno dalla qualifica e nel prosieguo, se non è detto altrimenti, è aquesti che facciamo riferimento (Isfol, 2011; Marsili e Scalmato, 2011). Gli intervi-stati avevano seguito il percorso triennale di IeFP sia nelle strutture formative ac-creditate sia negli Istituti Scolastici.Se si guarda agli esiti sul piano occupazionale, i risultati si presentano positivi eattestano la valenza significativa dei percorsi triennali di IeFP per i giovani della fasciadi età 15-24 anni che, come abbiamo constatato sopra, è la coorte maggiormente indifficoltà nella transizione al mondo del lavoro. Infatti, la metà (50%) riesce a reperireun lavoro entro un anno dalla qualifica e la percentuale sale al 59% al momento del-l’intervista, cioè a tre anni dalla qualifica. Il dato costituisce una riprova ulteriore del-la validità della preparazione che viene fornita dai percorsi della IeFP.Sempre in direzione positiva si muovono anche altri esiti dell’indagine. Anzi-tutto, i tempi di attesa per il reperimento di un’occupazione risultano molto ridotti:come già si è osservato sopra, il 50% degli intervistati si è inserito nel mondo dellavoro entro l’anno dalla qualifica. Un altro segnale favorevole consiste nella stabi-lità di tale collocazione nei tre anni dalla qualifica, cioè fino alla data dell’inter-vista: oltre la metà degli intervistati (56%) dichiara di aver svolto una sola occupa-zione durante il periodo di tempo considerato. Un altro dato valido da evidenziaresi riferisce alla corrispondenza tra l’impiego ottenuto e il percorso formativo se-guito: l’indagine nazionale mostra che questa si è verificata per il 64% dei qualifi-cati che aveva trovato lavoro, soprattutto nei settori meccanica industriale edelettro/elettronico. Da ultimo questi risultati positivi si riscontrano maggiormentepresso le strutture formative accreditate, cioè i Centri degli Enti di IeFP.I totali si distribuiscono diversamente a seconda delle principali variabili con-siderate. A tre anni dalla qualifica, la percentuale di chi ha trovato un lavoro è più 38 elevata tra i maschi (64%) che non tra le femmine (52%). I comparti nei quali è piùfacile reperire un impiego comprendono: l’elettro/elettronico, la meccanica indu-striale e il settore “altro”; quelli che si caratterizzano per minori opportunità occu-pazionali abbracciano il turistico-alberghiero e i servizi alle imprese. Come era daaspettarsi, il Nord-Est è la circoscrizione territoriale del Paese dove le possibilità ditrovare un lavoro sono più elevate (70.5% per i maschi e 57.1% per le femmine);seguono il Nord-Ovest e il Centro, mentre il Sud appare staccato con rispettiva-mente il 42.2% e il 38.2%.Un altro gruppo di dati riguarda il rapporto di lavoro, sempre a tre anni.Quello dipendente è diffuso in maniera quasi esclusiva perché viene dichiaratodall’87% degli intervistati; inoltre, risultano senz’altro prevalenti i contratti tempo-ranei e a causa mista. Scendendo nei particolari, il 35% lavora con un contratto diapprendistato, il 33% a tempo indeterminato, il 25% a tempo determinato e il 4%dice di non avere alcun contratto. Solo il 13% dichiara posizioni lavorative auto-nome e/o parasubordinate a motivo – si può supporre – della limitata esperienza la-vorativa e della scarsa disponibilità di capitali.Infine, il reperimento del lavoro rimane una questione di relazioni, fondatasulle reti informali di familiari e conoscenti e sul contatto diretto con il datore di la-voro. Inoltre, lo stage si conferma valido, oltre che come metodologia didattica,anche come strategia di inserimento lavorativo.Passando ai risultati sul piano formativo, già si è richiamato un segnale posi-tivo che è dato dal successo nel reperimento di un lavoro. Nella stessa direzione sicolloca anche la propensione a continuare la formazione e/o gli studi che riguardail 36% a un anno dalla qualifica e il 10% circa a tre anni, sebbene si tratti di gio-vani che, a causa di fallimenti precedenti, correvano il rischio di abbandonare il si-stema educativo di istruzione e formazione. Tutto ciò si rispecchia nelle ragioniprincipali indicate per giustificare la prosecuzione: la voglia di continuare gli studi(32%) e di cercare un lavoro migliore (35%). Le scelte formative dei qualificati aun anno dalla qualifica premiano il IV° anno della IeFP (68.1%); in aggiunta, il18.4% si orienta verso la IeFP di secondo livello, il 9.3% verso la scuola secondariadi 2° grado e il 4.1% verso altri tipi di studi.Quanto agli intervistati che a un anno dalla qualifica non rientrano nelle cate-gorie di coloro che hanno trovato un lavoro o non hanno proseguito la loro forma-zione, essi rappresentano il 14%, ma di loro non viene specificata la tipologia dellasituazione. Al contrario, gli intervistati a tre anni che non studiano né lavorano co-stituirebbero il 31% e si dividerebbero tra un 57.4% di disoccupati, un 29.4% diinoccupati e un 13.2% di inattivi1.Passando ora a una conclusione che riguarda le tre indagini, non è certamentepossibile un confronto sui dati di natura puntuale a motivo delle notevoli diversità 1 Usiamo il condizionale perché il dato totale non è ben chiaro e le ripartizioni dipendono da no-stri calcoli. 39 esistenti sia tra gli anni di qualifica e di realizzazione delle ricerche, sia tra la tipo-logia degli intervistati e la natura del campione oggetto dell’indagine. Ci sembra,però, che per tutte e tre le investigazioni possiamo senz’altro condividere la valuta-zione globale che si trova nel rapporto dell’Isfol e che cioè i dati relativi confer-mano «la capacità dei percorsi di funzionare come canale professionalizzante, siaper coloro che scelgono sotto una spinta fortemente vocazionale, sia per coloro chesi sono affacciati ai percorsi come ultima occasione, con un bagaglio di insuccessie di demotivazioni tale da porli a rischio di rifiuto verso qualsiasi canale scolasticoe formativo» (Marsili e Scalmato, 2011, p. 46). 3.4. Le politiche di welfare attivoIn questi ultimi anni il modello di welfare presente nei Paesi europei è statooggetto di un profondo ripensamento sia in generale a livello continentale sia inparticolare sul piano italiano: tale riflessione ha puntato soprattutto a una moderniz-zazione della sua impostazione (Colasanto, 2011; Lodigiani, 2008; Colasanto e Lo-digiani, 2007; Castel, 2004; Hemerijk, 2002; Esping-Andersen, 2000; Naldini,2006; Paci, 2005; Ranci, 2002 e 2004; Ferrera, 1998; Ferrera, Hemerijck e Rhodes,2000).Per capire queste dinamiche, è opportuno richiamare anzitutto la tipologia piùaccettata dei regimi di welfare (Lodigiani, 2008; Esping-Andersen, 2000). Unaprima impostazione è quella liberale che si riscontra nei Paesi anglosassoni qualil’Australia, la Nuova Zelanda, il Regno Unito e gli Stati Uniti. In questo caso, è ilmercato a svolgere il ruolo centrale, mentre la funzione dello Stato presenta un ca-rattere residuale – in quanto pochi rischi ottengono la qualificazione di “sociali” – eselettivo – nel senso che sono tutelate solo le persone in reale situazione di neces-sità. Il regime cosiddetto socialdemocratico è tipico dei Paesi scandinavi come Da-nimarca, Finlandia, Norvegia e Svezia. L’impostazione è universalistica, l’accessoalle prestazioni è fondato sulla cittadinanza e indipendente dal mercato (demercifi-cazione) e il welfare è individuale (defamilizzazione). Il modello conservatore-cor-porativo riguarda i Paesi dell’Europa Centrale come Austria, Germania e Belgio.Esso attribuisce un ruolo centrale allo Stato e alla famiglia: la protezione dai rischiè focalizzata sul capofamiglia, è diversificata secondo la categoria lavorativa e icompiti di cura e di garanzia del benessere sono caricati sulla famiglia. Il regimemediterraneo, a sua volta, che riguarda tra l’altro Francia, Italia e Spagna, è con-traddistinto «dal prevalere di una protezione dualistica dei lavoratori, che conduceall’ipergarantismo di quanti impiegati nei settori centrali dell’economia a discapitodi quanti impegnati invece nei settori periferici; dalla preferenza per i trasferimentimonetari; dal carattere particolaristico e clientelare dell’apparato politico-istituzio-nale; dall’approccio universalistico alla sanità e dalla presenza di un mix peculiaretra pubblico e privato» (Lodigiani, 2008, p. 27; Ferrera, 1998).Indubbiamente, dietro il processo innovativo di modernizzazione di cui si èparlato sopra sono riscontrabili motivazioni di carattere economico: la dilatazione 40 eccessiva dei compiti dello Stato sul piano socio-assistenziale che, non più soste-nuta dalla copertura contributiva dei cittadini, ha causato gravi problemi finanziari,mentre dal punto di vista organizzativo si sono moltiplicati i casi di spreco, ineffi-cienza, burocratizzazione e clientelismo. Tuttavia una spiegazione di natura soloeconomicistica od efficientistica non è in grado di cogliere tutte le ragioni del cam-biamento. Altre dinamiche vanno messe in risalto quali: nel mercato del lavoro, laflessibilizzazione, la precarizzazione e la femminilizzazione; nel mondo delle orga-nizzazioni, il passaggio da una impostazione meccanica di natura fordista ad unaorganica qualificata da un alto grado di complessità e in cui le strutture e i ruoli sipresentano come sistemi aperti che operano in base ad ambiti di autonomia; nelledinamiche demografiche, il graduale invecchiamento della popolazione; nelle rela-zioni familiari, spinte alla differenziazione, alla pluralizzazione e alla fragilizza-zione; nei rapporti tra persona e società, fenomeni accentuati di individualizza-zione, accompagnati dalla domanda di autorealizzazione, ma anche dall’affermarsidi situazioni di vulnerabilità e di incertezza.Va aggiunto che la statalizzazione della società ha prodotto i suoi effetti piùnegativi alla radice stessa del vivere associato: soffocamento della creatività deimondi vitali, deresponsabilizzazione delle persone nella soddisfazione dei loro bi-sogni essenziali e crescita di un privatismo che consiste nel ricercare la propria rea-lizzazione nel consumo delle merci. Pertanto, l’impostazione tradizionale di wel-fare non sembra capace di dare risposte adeguate ai nuovi nodi problematici checaratterizzano la società della conoscenza, né alla domanda di protezione che vienedai cittadini.Le dinamiche di innovazione in atto e le riflessioni che le accompagnanostanno facendo emergere nel nostro continente un modello di stato sociale attivo,«proteso a sviluppare la promozionalità dei cittadini, la loro responsabilità, il loroempowerment, ossia la loro capacità di fronteggiare le situazioni, agire con consa-pevolezza ed efficacia accrescendo le proprie conoscenze e le competenze perso-nali, facendo leva sulle proprie risorse, puntando sul lavoro e sulla formazione»(Colasanto e Lodigiani, 2007, p. 9; Colasanto, 2011; Lodigiani, 2008; Castel, 2004;Hemerijk, 2002; Esping-Andersen, 2000; Naldini, 2006; Paci, 2005; Ranci, 2002 e2004; Ferrera, 2004). Il nuovo welfare si presenta come garante della soddisfazioneper tutti i cittadini dei bisogni fondamentali, benché non più primariamente gestoreanche se lo rimane in via sussidiaria: in altre parole, la sua funzione va pensatacome garante promotore. Pertanto, la realizzazione del benessere non dovrà essereaffidata tanto a pacchetti di beni o servizi erogati direttamente da parte dello Statoo delle sue strutture, quanto alla garanzia della possibilità di produrli attraversoforme di autorganizzazione e autogestione degli stessi cittadini, singoli o comunità,con il sostegno dello Stato. Nel concetto di solidarietà rimane l’aspirazione allagiustizia sociale, al superamento delle diseguaglianze tradizionali. Però la nuovasolidarietà dovrà coniugare contemporaneamente i bisogni della soggettività, daresoddisfazione alle esigenze individuali, valorizzare il diritto di ciascuno alla diffe- 41 renza. È centrale il concetto di corresponsabilità: la solidarietà non va confusa conl’assistenzialismo, ma richiede che ogni persona, anche l’emarginato, diventi attoredell’avvenire proprio e collettivo.La concezione di un welfare attivo e dinamico che si sta affermando nell’UEnon vuole limitarsi a un’assistenza di natura unicamente passiva, mirata cioè a pro-teggere le persone dalle situazioni problematiche in un’ottica di riparazione deldanno ricevuto (disoccupazione, malattia, invalidità, vecchiaia), ma punta a metterein campo strategie di carattere abilitante nel senso che intende primariamente raf-forzare le capacità di decisione, azione e partecipazione attiva dei cittadini e diauto-protezione e responsabilizzazione rispetto al ventaglio dei problemi sociali dacui sono minacciati (Colasanto e Lodigiani, 2007; Colasanto, 2011; Lodigiani,2008; Vanderbrouke, 1999 e 2003). In altre parole, si tratta di allargare la gammadegli interventi oltre il supporto al reddito a quelli di promozione della persona nel-l’affrontare condizioni di disagio.Si parla in questi casi di un welfare che mira allo sviluppo di una cittadinanzaattiva e che trova nel lavoro un settore fondamentale per l’integrazione sociale (Co-lasanto, 2011; Lodigiani, 2008; Colasanto e Lodigiani, 2007; Lodigiani, 2005). Percapire la diversità rispetto al passato, è sufficiente riflettere sulla differenza tra pro-mettere l’occupazione e garantire l’occupabilità; in altre parole, non ci si ferma aoffrire un posto di lavoro, ma si vogliono creare le condizioni da una parte per pro-muovere nella persona le conoscenze e le competenze per conseguire una occupa-zione e dall’altra, in riferimento al mercato, per sviluppare in esso opportunità talida poter essere facilmente utilizzate. Sorreggono questa impostazione tre principibasilari: anzitutto, l’occupazione rappresenta generalmente un progresso in para-gone alla condizione di assistenza e di dipendenza dai servizi sociali; la correspon-sione di indennità non può avere che un carattere selettivo nel senso che dovrà es-sere condizionata all’accertamento di una vera situazione di bisogno; essa inoltrenon può che essere promozionale in quanto dipenderà dall’impegno delle personein stato di bisogno a cui verrà richiesta la partecipazione ai programmi di (re)inseri-mento lavorativo, all’accettazione di un’occupazione alle condizioni di mercato ealla frequenza di attività formative.La meta pertanto è quella di attuare la flexicurity che significa realizzare unraccordo tra il bisogno di flessibilità del mondo della produzione e del lavoro e ladomanda dei cittadini di sicurezza e protezione sociale (Colasanto, 2011; Lodi-giani, 2008; Colasanto e Lodigiani, 2007; Wilthagen e Tros, 2004). Ciò richiedel’esistenza di una strategia politica deliberata che riesca realmente a puntare sui dueobiettivi e a fare sintesi tra di loro; inoltre, l’impegno deve essere rivolto a soste-nere non solo i lavoratori che operano regolarmente e stabilmente all’interno delmercato del lavoro, ma anche i marginali, gli esclusi e coloro che cercano di acce-dervi.Tenuto conto del tema di questo rapporto, pare opportuno approfondire, anchese sinteticamente, i risvolti della trasformazione in atto nel welfare che riguardano 42 la transizione dall’istruzione/formazione al mondo del lavoro. Il passaggio da unmodello assistenziale e assicurativo, focalizzato sul lavoro, a una impostazione at-tiva e attivante, tarata sull’occupabilità e la partecipazione, porta in primo piano lepolitiche del capitale umano (Colasanto, 2011; Lodigiani, 2008; Colasanto e Lodi-giani, 2007; Ambrosini e Beccalli, 2000; Giddens, 1999; Paci, 2005). Il cambia-mento di ottica che è intervenuto in questa trasformazione implica un mutamentosignificativo nel ruolo dello Stato sociale che non si limita a interventi di prote-zione passiva, ma si impegna a fornire servizi alla persona di natura promozionaleche la abilitino a confrontarsi in maniera vincente con le situazioni di rischio chesperimenta nel corso della vita. In altre parole, il welfare attivo mira principalmentea promuovere il capitale umano dei cittadini, assicurando un diritto all’inserimentonel sistema sociale che non significa prima di tutto certezza di una occupazione, mapiuttosto certezza di una formazione adeguata come strumento di cittadinanza.Ciò che conta soprattutto sono le capacità della persona di utilizzare a propriovantaggio le potenzialità che la società mette a disposizione in vista dello svolgi-mento di un ruolo attivo nel mondo del lavoro e nel sistema sociale a servizio delbene comune e della propria autorealizzazione. Entro questa cornice «la forma-zione […] si configura come strumento per aumentare l’occupabilità, per accederea impieghi più sicuri, meglio remunerati, di maggiore qualità e dunque anche piùsoddisfacenti, nonché per accrescere il grado di consapevolezza e spirito critico delsoggetto, entrambi tasselli di un reale processo di empowerment, di capacitazioneindividuale, di accrescimento delle sue chance negoziali e decisionali oltre che oc-cupazionali» (Colasanto e Lodigiani, 2007, p. 21; Colasanto, 2011; Lodigiani,2008). Gli stessi autori precisano con molta chiarezza il significato di un concettocentrale di tutto il ragionamento, quello di empowerment che riportiamo anchequesto alla lettera: «capacità di attivazione sul piano lavorativo (occupabilità); ca-pacità di attivazione sul piano della definizione del percorso di uscita dalla condi-zione di bisogno (consapevolezza, autonomia, responsabilità per sé); capacità diattivazione sul piano della partecipazione alla programmazione (corresponsabilità,responsabilità per sé e per gli altri)» (Colasanto e Lodigiani, 2007, pp. 21-22). Nesegue che le politiche del capitale umano vengono ad assumere la funzione dipunto nodale di incontro tra le politiche del lavoro, quelle sociali e dell’apprendi-mento per tutta la vita.Questo nuovo modello di welfare attivo trova in Europa diverse modalità diattuazione tra le quali ne emergono soprattutto due: una più umanistica e l’altra piùproduttivistica (Colasanto e Lodigiani, 2007; Colasanto, 2011; Lodigiani, 2008;Barbier, 2005). La prima è focalizzata sullo sviluppo della persona e presenta carat-teristiche inclusive e universalistiche. Gli interventi si concentrano sul capitaleumano in quanto si mira principalmente a promuovere le capacità di scelta e di de-cisione dei soggetti, la loro responsabilità, le opportunità di autorealizzazione. Inquesto caso, l’ingresso nel mondo del lavoro rimane certamente importante, è unadelle strategie per attuare lo sviluppo integrale della persona, ma non l’unica, è in- 43 dubbiamente necessario per assicurare una cittadinanza attiva, ma non sufficiente.In questa modalità, la formazione svolge un ruolo centrale ai fini dell’empower-ment e della capacitazione della persona. L’altra impostazione si distingue per lalogica fortemente efficientistica. In questo caso l’esercizio dei diritti sociali è con-dizionato all’impegno delle persone nel mercato del lavoro e la formazione vieneconcepita in maniera strumentale e come un intervento di breve termine cioè solocome politica attiva del lavoro. Secondo Barbier le condizioni non sarebbero ma-ture per trovare un parallelismo tra le due declinazioni di welfare attivo appenamenzionate e il modello quadripartito dei regimi di welfare che è stato presentatosopra.Al di là di queste tipologie, modernizzare il welfare state significa operare suquattro dimensioni (Lodigiani, 2008; Colasanto e Lodigiani, 2007; Colasanto,2011). Anzitutto si tratta di intervenire a livello funzionale, riequilibrando le poli-tiche sociali a favore dei lavoratori precari, delle persone non autosufficienti o de-boli, soprattutto dei bambini, delle loro madri che lavorano e delle famiglie rispettoagli adulti stabilmente occupati e agli anziani, due categorie della popolazione fi-nora eccessivamente privilegiate. Sul piano distributivo, gli interventi dovrannomirare a diminuire le situazioni di “ipergarantismo”, di ridurre le disparità tra glistessi beneficiari (per esempio i numerosi privilegi di cui godono i lavoratori delpubblico impiego in varie nazioni) e di attenuare gli scarti tra beneficiari e non. Laprospettiva normativa riguarda l’idea di cittadinanza e dei relativi diritti e doveriche si trova alla base della concezione politica perseguita e che richiede un im-pegno maggiore per l’equità nelle opportunità di partenza e lungo l’arco della vita.La quarta dimensione è di natura politico-istituzionale e rinvia a una ridefinizionedelle linee di demarcazione delle competenze istituzionali e dei protagonisti dellepolitiche sociali in base ai nuovi modelli di gestione focalizzati sulle modalità dicoordinamento, negoziazione e partecipazione.Anche l’Italia è impegnata in questa transizione da un modello assistenziale eassicurativo di stato sociale, a una impostazione attiva e attivante e negli ultimi duedecenni ha varato una serie di misure che si ispirano all’impostazione europea sianell’una che nell’altra declinazione (Colasanto e Lodigiani, 2007; Colasanto, 2011;Lodigiani, 2008; Kazepov, 2006). In particolare si possono ricordare i seguentiorientamenti innovativi: le politiche di welfare sono state ripensate su base territo-riale, si è proceduto a un ampliamento consistente del numero degli attori e dei li-velli di governo coinvolti e degli interventi da porre in essere; la legislazione sul la-voro è stata riformata profondamente e ci si è impegnati ad adeguarsi alle linee pre-valenti nell’UE; si è pure cercato di introdurre cambiamenti rilevanti nei servizi al-l’impiego. Questa azione riformatrice ha prodotto effetti significativi: la centraliz-zazione dell’amministrazione è stata ridotta mediante l’introduzione di un livelloelevato di decentramento; è venuto meno il monopolio pubblico del compito di in-termediazione della manodopera; l’accesso all’occupazione è stato reso meno ri-gido mediante misure di flessibilizzazione. 44 Tuttavia, le innovazioni numerose e significative che si sono adottate in questiultimi anni sono state accompagnate da effetti imprevisti e ambigui e ciò è dovutosoprattutto all’azione di due fattori: i ritardi nella realizzazione delle riforme appro-vate a livello legislativo e le notevoli differenze che si riscontrano sul piano territo-riale. Più specificamente sono riscontrabili le seguenti situazioni di rischio: le dis-parità territoriali tendono a consolidarsi a livello istituzionale dando luogo a occa-sioni di conflitto tra il centro e le Regioni e tra le stesse Regioni; solleva anche pro-blemi non facili da risolvere la funzione del coordinamento; il processo decisionalepresenta limiti non indifferenti quanto a trasparenza e “accountability”; risulta in-fine tutt’altro che facile gestire sul piano nazionale i fattori dell’esclusione sociale.Questo andamento si riscontra in particolare nelle politiche della formazione che fi-niscono per essere condizionate dalla frammentazione regionale e dai rapporti nonsempre collaborativi tra gli attori. A ciò va aggiunto che la modernizzazione deiservizi all’impiego è frenata dalla diversificazione territoriale e dalla eterogeneitàdelle competenze professionali, mentre la riforma delle misure di protezione so-ciale è ancora lontana dall’essere compiuta.La recente crisi economica e finanziaria ha portato in superficie i problemifondamentali del nostro welfare e le relative cause. Nel mese di febbraio di questoanno le richieste di cassa integrazione hanno subito una vera impennata nel sensoche hanno registrato una crescita del 49,1% rispetto all’anno precedente, toccandola cifra di 82 milioni di ore (Biffi e Anfossi, 2012). Come si è ampiamente illu-strato sopra, la disoccupazione giovanile (fascia di età 15-24 anni) si colloca al32.6% e il tasso generale si sta attesta al 9,6% per cui le persone senza lavoro as-sommano a 2.420.000, un numero tra i più elevati in Europa (Conte, 2012). Dietroqueste cifre così preoccupanti si riscontra una pluralità di cause tra cui si possonoricordare le principali: un mercato del lavoro poco dinamico, flessibile e inclusivo,che presenta livelli insoddisfacenti di coerenza tra flessibilità del lavoro e istitutiassicurativi, che tiene la gran parte dei giovani in una condizione di precariato, chediscrimina di fatto le donne e che scarica eccessivamente su tutta la società i costidegli ammortizzatori sociali o ne ammette usi distorti, come nel caso della cassa in-tegrazione straordinaria che diventa un parcheggio in attesa del pensionamento.Questa situazione ha spinto il governo attuale a presentare nell’aprile 2012 inParlamento un disegno di legge di riforma del mercato del lavoro di cui è oppor-tuno richiamare qui gli orientamenti fondamentali (Il piano del governo, 2012;Conte, 2012; I punti-chiave, 2012). Anzitutto, i licenziamenti potranno aver luogoper ragioni economiche, riguardanti l’attività produttiva e l’organizzazione del la-voro, o disciplinari. Nella prima fattispecie, il giudice può reintegrare il lavoratorese ritiene il licenziamento illegittimo per manifesta insussistenza, mentre in tutti glialtri casi di illegittimità, dispone un indennizzo che va dalle 12 alle 24 mensilità; sesi tratta di licenziamento “mascherato”, l’onere della prova non spetta al lavoratore,ma sarà il giudice a disporre le relative sanzioni, qualora il licenziamento nascondeun motivo discriminatorio o disciplinare. Nel caso dei licenziamenti disciplinari, è 45 lasciato al giudice di scegliere tra un indennizzo e un reintegro nel senso che se illicenziamento è ritenuto illegittimo, nei casi gravi il giudice disporrà il reintegro enegli altri un indennizzo che va da 12 a 14 mensilità. Se il licenziamento assumecarattere discriminatorio, il giudice ordinerà il reintegro del lavoratore, anche nelleimprese con meno di 15 dipendenti.L’apprendistato costituirà lo strumento principale per l’accesso al mondo dellavoro. Riguardo ai contratti a termine è previsto un incremento contributivodell’1.4% destinato al finanziamento dell’assicurazione contro la disoccupazione(Aspi di cui dopo) e l’intervallo tra un contratto e l’altro passa da 10 a 60 giorni peri contratti di durata inferiore ai 6 mesi e da 20 a 90 per quelli di durata superiore.L’aliquota contributiva per i cosiddetti “Co.Co.Pro.”, cioè per i lavoratori iscrittialla gestione separata dell’Inps, viene elevata al 33%, cioè diviene la stessa dei la-voratori dipendenti. Si interviene per bloccare l’uso distorto del lavoro a progettoin quanto il progetto non potrà essere una semplice riproposizione dell’oggetto so-ciale dell’impresa. Più in generale, si è proceduto a una limitazione delle formecontrattuali esistenti, anche se non c’è stato un taglio drastico, mentre si è fatta sen-tire la stretta sugli abusi mirata a ridurre la precarietà.L’assicurazione sociale per l’impiego (Aspi), che sostituisce l’indennità di mo-bilità, durerà 12 mesi (18 per i lavoratori con età superiore ai 55 anni) e garantirà lacorresponsione del 75% dello stipendio fino 1.150 euro e del 25% per la parte su-periore; una assicurazione, più contenuta, è stabilita per i giovani e gli apprendisti,sempre che possano provare due anni di anzianità assicurativa. La cassa integra-zione non scompare, ma si cercherà di allargare e di rendere più eque le tutele;inoltre, quella straordinaria non sarà più applicata alle fattispecie della cessazionedi attività e di mobilità per evitare distorsioni. Gli sgravi, cioè la riduzione dei con-tributi, sono stabiliti solo nel caso che si assumano lavoratori con oltre 50 anni età,e si collocano al 50% della cifra dovuta.Quanto alle donne, il periodo entro cui la dimissione della lavoratrice o del la-voratore deve essere convalidata dal Servizio ispettivo del ministero del lavoro,viene allungato da 1 a 3 anni di vita del bambino. Nei 5 mesi dalla nascita del figlioè stabilito il congedo obbligatorio del padre lavoratore, pari a tre giorni consecutivi.In alternativa al congedo facoltativo per maternità è previsto un voucher per servizidi baby-sitting. Inoltre, viene approvato il regolamento che prevede le quote rosanelle società controllate dalla pubblica amministrazione.Viene abolita la norma che stabiliva la revoca del permesso per gli immigratiche perdevano il lavoro. A loro beneficio è esteso il tempo in cui possono essereiscritti nelle liste di collocamento.Passando ad una prima valutazione del disegno di legge, si può essere d’ac-cordo con chi sulla base dei comuni parametri europei l’ha considerato un compro-messo positivo in quasi tutte le sue parti – eliminazione del precariato, amplia-mento delle garanzie a tutte le categorie dei disoccupati, allargamento dell’applica-zione del contratto a tempo indeterminato, flessibilità in entrata e in uscita (Scal- 46 fari, 2012; Ferrera, 2012; Ichino, 2012) –; in ogni caso, esso può e deve essere mi-gliorato e perfezionato, ma la direzione di base sembra corretta (De Bortoli, 2012;Baccaro, 2012). Inoltre, il disegno di legge è riuscito ad affrontare in modo com-plessivo e unitario le questioni principali che si pongono a livello occupazionaledalla flessibilità, alla precarietà, agli ammortizzatori sociali, ai licenziamenti. In ag-giunta, non si può non apprezzare la considerazione che viene riservata ai problemidei giovani che si possono qui brevemente richiamare: l’80% accede al mercato dellavoro senza un contratto a tempo pieno, da oltre dieci anni il loro stipendio di en-trata è cristallizzato, circa 2 milioni tra i 15 e i 29 anni non studiano e non lavoranoe finora essi non hanno mai potuto utilizzare la rete degli ammortizzatori socialinelle difficili transizioni tra un’occupazione e un’altra (Orioli, 2012). Il compro-messo raggiunto al momento della presentazione in Parlamento ha avvicinato laCgil e i sindacati, mentre ha allontanato la Confindustria in quanto lamenta che lariduzione della flessibilità in uscita non sia stata compensata da un aumento diquella in entrata. Tuttavia, la Confindustria soprattutto, ma anche le altre parti so-ciali, dovrebbero prendere molto sul serio l’ammonimento della Conferenza Epi-scopale: «La questione di fondo: il lavoratore non è una merce. Non lo si può trat-tare […] come un prodotto da dismettere, da eliminare per motivi di bilancio,perché resta invenduto in magazzino. […] al centro di tutto ci deve essere la dignitàdell’uomo e della famiglia» (Cei, 2012) e dovrebbe servire come punto di riferi-mento principale nel dibattito alle Camere; il concetto è stato ribadito dal presi-dente della Conferenza nella prolusione al Consiglio permanente della CEI del 26marzo scorso, che afferma che «bene sommo è la persona e la persona che lavora»per cui creare lavoro diventa in questo momento la priorità assoluta perché il rigoree l’approccio finanziario da soli non bastano, mentre bisogna realizzare «un’eco-nomia sociale di mercato, nella linea della cooperazione e dei sistemi di welfarecondiviso» (Bagnasco, 2012, n. 7).Quanto a punti specifici, il disegno di legge recepisce la protezione sancita dal-l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori riguardo ai licenziamenti discriminatori con lanovità che essi sono previsti per tutti, anche nelle imprese con meno di 15 dipen-denti (Ferrera, 2012; Trovati, 2012; Cei, 2012). Risulta anche molto valida l’artico-lazione dei licenziamenti in tre categorie: discriminatori, economici e disciplinari.Inoltre, la proposta in esame introduce una terza possibilità nell’alternativa secca incui precedentemente si trovava il giudice tra reintegrare il dipendente o confermareil licenziamento, la possibilità cioè di un indennizzo con un numero di mensilitàvariabili e valutato caso per caso. È stata giustamente corretta la normativa che pre-vedeva solo l’indennizzo e non il reintegro nel caso di licenziamenti di natura eco-nomica, con la reintroduzione di quest’ultimo, come si è visto sopra.Sembrano in generale condivisibili gli interventi in tema di lavoro precario inquanto le imprese sono incentivate a stabilizzare i rapporti di lavoro e si cerca dicombattere gli abusi (Ferrera, 2012; Trovati, 2012). Se è vero che le aziende do-vranno rispettare qualche vincolo in più, tuttavia ne potranno guadagnare in termini 47 di qualità del lavoro e di capitale umano. Va poi apprezzato lo sforzo di razionaliz-zazione dei contratti a termine, favorendo l’apprendistato. Tuttavia, in questo am-bito si potrebbe venire maggiormente incontro alla richiesta delle imprese di unamaggiore flessibilità in entrata.Seguendo il modello tedesco, dovrebbe terminare l’utilizzo falsato della cassaintegrazione per garantire la sopravvivenza di imprese decotte o sostenere econo-micamente in maniera indefinita lavoratori che non potranno mai più riprendere illoro vecchio lavoro, mentre il suo compito sarà correttamente quello di garantire unsupporto nelle crisi congiunturali e in vista di valide ristrutturazioni (Ferrera, 2012;Trovati, 2012). Appare lodevole anche l’introduzione di uno schema universale diassicurazione sociale per tutti i lavoratori disoccupati che fornirà loro una indennitàper almeno un anno. Indubbiamente le imprese dovranno corrispondere contributipiù alti, ma la riduzione del costo del lavoro va perseguita con altri mezzi; anche isindacati dovranno rinunciare alla difesa ad oltranza di quanti sono già ipergaran-titi, ma questo dovrebbe spingerli a impegnarsi in compiti più consoni alla loromissione.La normativa su donne e immigrati era un intervento dovuto e probabilmentesi poteva fare ancora di più. Un altro ambito che appare trascurato è quello dell’o-rientamento e dei servizi dell’impiego: infatti, senza un loro adeguato potenzia-mento la scelta del lavoro rimane affidata al potere contrattuale di familiari e amicio alla fortuna (Orioli, 2012). 49 Parte II L’INDAGINESUI 2609 QUALIFICATINELL’A.F. 2009-10 51 Capitolo 2I dati del monitoraggioper Regioni e per singoli CFP 1. OBIETTIVI DEL MONITORAGGIO E DESCRIZIONE DELLA METODOLOGIA L’obiettivo sotteso al monitoraggio ha inteso verificare l’inserimento occupa-zionale degli allievi dei percorsi biennali, triennali e quadriennali sperimentali diIstruzione e Formazione Professionale (IeFP) del CNOS-FAP, qualificati nell’a.f.2009-10, relativamente a 5 macrosettori (automotive, elettro/elettronico, grafico,meccanica industriale, turistico-alberghiero) più altri (edilizia, lavorazione artisticadel legno, agricoltura, benessere1, amministrazione, punto vendita).Per poter valutare gli esiti della transizione al lavoro si è deciso di ricorrerealla seguente metodologia di ricerca.1. In una primo momento ci si è rivolti alle Segreterie dei 47 CFP del CNOS-FAP, per conoscere anzitutto il numero dei qualificati a giugno-luglio 2010,suddivisi per settori di qualifica operativi in ciascun CFP e per ottenere datianagrafici suddivisi per settori di qualifica.2. A seguito di queste prime informazioni è stato raggiunto, tramite intervista te-lefonica personalizzata, un congruo numero di ex allievi (2609) con lo scopodi verificare la loro attuale posizione a 1 anno dalla qualifica (quanti hannoproseguito gli studi, quanti hanno trovato lavoro, quanti non studiano né lavo-rano o fanno altro).Per i 2609 qualificati dei vari settori coinvolti nell’inchiesta lo strumento di ri-levamento è rimasto per tutti lo stesso, ed è costituito da una scheda, preparata daun gruppo di studio composto da personale dell’Università Salesiana e del CNOS-FAP, che si articola nelle seguenti sezioni:– dati anagrafici del soggetto (sesso, età, nazionalità, titolo in ingresso);– informazione sul CFP dove l’ex allievo ha conseguito la qualifica (denomina-zione del CFP, Regione di appartenenza);– titolo e settore di qualifica, mese/anno in cui è stata conseguita, tipologia delcorso (biennale, triennale, quadriennale), esperienza di stage; 1 Estetiste e acconciatori. 52 – individuazione delle scelte effettuate a 1 anno dalla qualifica:• ha proseguito gli studi (e in quale indirizzo);• è rimasto inoccupato (non studia né lavora);• ha trovato lavoro;• ha fatto o sta facendo altre scelte diverse da quelle elencate sopra.A questo punto l’inchiesta, per le prime due categorie (studenti, inoccupati/dis-occupati) terminava qui, mentre a chi nel frattempo stava già lavorando (sono staticontattati 901 ex allievi) è stato chiesto di indicare:• il settore occupazionale;• entro quanto tempo ha trovato lavoro;• con quale formula contrattuale;• se ha trovato lavoro con l’apporto del CFP;• se il lavoro che sta facendo è compatibile con il settore della qualifica;• la tipologia dell’azienda (solo per i settori automotive e turistico-alber-ghiero).Le motivazioni di fondo di questa ulteriore iniziativa sul successo formativodegli ex-allievi della IeFP del CNOS-FAP vanno riscontrate nel fatto che in anniprecedenti sono già state promosse, sempre dal CNOS-FAP, altre indagini aventicome obiettivo di verificare:– nel 20032, la sperimentazione della Formazione Professionale Iniziale avviatasulla base dell’articolo 68 della legge n. 144/99 e dell’Accordo Stato-Regionidel 2000;– nel 20083, la sperimentazione di nuovi percorsi di Istruzione e di FormazioneProfessionale in coerenza con la legge n. 53/03 e con l’Accordo Stato-Regionisu istruzione e formazione del 2003;– mentre nel 2010 ha fatto da precursore alla presente un’indagine mirata pretta-mente a rilevare quali percorsi hanno intrapreso, a 1 anno dalla qualifica, gli exallievi dell’a.f. 2008-09, dei settori automotive ed elettro/elettronico4.È soprattutto a seguito di quest’ultima indagine, e in considerazione dei risul-tati conseguiti, che è stato deciso – come previsto dal progetto d’insieme – di coin-volgere progressivamente anche i rimanenti settori.Nel presente capitolo sono stati analizzati, secondo l’ordine alfabetico, i datidel monitoraggio relativi alle 12 Regioni e, al loro interno, ai 47 CFP che hanno 2 MALIZIA G. - PIERONI V., Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della formazioneprofessionale iniziale secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP, Roma, CNOS-FAP e CIOFS/FP,2003.3 MALIZIA G. - PIERONI V., Follow-up della transizione al lavoro degli allievi/e dei percorsitriennali sperimentali IeFP, Roma, CNOS-FAP e CIOFS/FP, 2008.4 MALIZIA G. - PIERONI V., L’inserimento nel lavoro degli allievi della IeFP. Il caso dei qualifi-cati dei settori “Meccanica Auto” ed “Elettro/Elettronico” nell’anno 2009, in “Rassegna CNOS”, 3,2010, 127-44. 53 partecipato al rilevamento. Per ogni singola Regione si è proceduto secondo il se-guente schema:1. Dati di scenario1.1. Contestualizzazione1.2. Dati anagrafici1.3. Il percorso formativo1.4. La posizione degli ex allievi a 1 anno dalla qualifica1.5. La condizione occupazionale dei lavoratori2. Sintesi conclusiva: confronto dati regionali-nazionali e tra singoli CFP, punti diforza e di criticità2.1. Il confronto tra dati regionali-nazionali2.2. Il confronto tra singoli CFP3. Dati per singoli CFP (segue, sempre in ordine alfabetico, l’analisi dei dati diogni CFP in base allo schema 1.1-1.5 utilizzato per la Regione). 54 1. Lo scenario regionale 1.1. ContestualizzazioneIn Abruzzo sono stati intervistati 26 qualificati, i quali rappresentano comples-sivamente l’1% del totale (Graf. 1). I 26 appartengono a tre CFP della Regione (Graf. 2):– L’Aquila, con 8 intervistati (30.8%);– Vasto, con 10 intervistati (38.4%);– Ortona, con 8 intervistati (30.8%). Graf. 1 - QUALIFICATI in ABRUZZO ABRUZZO: 26 intervistati = 1% del totale (2609) Graf. 2 - QUALIFICATI per CFP 55 Stando invece ai settori di qualifica, i 26 sono così distribuiti:– 18 (69.2%) nella meccanica industriale, a fronte del 27.8% nazionale;– 8 (30.8%) nell’elettro/elettronico, a fronte del 29.6% nazionale.Un’ulteriore lettura dei dati prodotta dall’incrocio tra i singoli CFP ed i settoripermette di evidenziare alcuni trend caratteristici degli intervistati (Tav. 1/ABRUZZO):– gli 8 qualificati del L’Aquila appartengono tutti al settore della meccanica indu-striale e rappresentano il 44.4% dei qualificati della Regione in questo settore;– i 10 qualificati di Vasto appartengono tutti al settore della meccanica indu-striale e rappresentano il 55.6% dei qualificati della Regione in questo settore;– gli 8 (30.8%) di Ortona provengono tutti dal settore elettro/elettronico. 1.2. Dati anagraficiI 26 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status adottate nell’inchiesta:– tutti maschi;– 2 (7.7%) hanno fino a 18 anni, 24 (92.3%) vanno dai 19 anni in poi;– 3 (11.5%) di origine migratoria, 23 autoctoni (88.5%). 1.3. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 16 (61.5%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 9 (34.6%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado;- 1 (3.8%) non ha risposto in merito.b) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.c) Tipologia del corso:- triennale per tutti.d) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente. Tav. 1/ABRUZZO: Distribuzione dei 26 QUALIFICATI per CFP e SETTORI (in Fq. e %) LEGENDA: * % (di colonna) dei 26 qualificati distribuiti all’interno di ciascun settore 56 1.4. La posizione dei 26 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 26 qualificati hanno dichiarato (Tav. 2/ABRUZZO eGraf. 3 e 4):– 5 (19.2%) di continuare a studiare in un Istituto Professionale, a fronte del32.8% nazionale;– 10 (38.4%) di lavorare, a fronte del 34.5% nazionale;– 10 (38.4%) di non studiare né lavorare, a fronte del 21.3% nazionale;– 1 (3.8%) di fare altre attività, a fronte dell’11.4% nazionale. Dall’incrocio tra le scelte effettuate ed i settori di qualifica si evince che:– 2 qualificati dell’elettro/elettronico e 3 della meccanica industriale hannoscelto di continuare gli studi;– 6 qualificati del L’Aquila e 2 di Vasto hanno trovato un lavoro coerente con ilsettore di qualifica; Tav. 2/ABRUZZO: SCELTE effettuate dai 26 ex allievi, distribuiti per CFPe cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (26) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte per CFP e Tot. Abruzzo*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) Graf. 3 - SCELTE per CFP 57 – 2 qualificati di Ortona hanno trovato un lavoro non coerente con il proprio set-tore di qualifica;– 5 qualificati di Vasto, 3 di Ortona e 2 del L’Aquila si trovano in una condizionedi inattività. 1.5. La condizione occupazionale dei 10 lavoratoriAi 10 (38.5%) che al momento del monitoraggio hanno dichiarato che stavanolavorando è stato chiesto anche in quali settori hanno trovato lavoro. Dal confrontotra il numero dei qualificati e quello dei lavoratori, suddivisi per CFP e settori oc-cupazionali, si rileva che (cfr. la Tav. 3/ABRUZZO): a) stando ai singoli CFP:- a L’Aquila 6 (75%) qualificati hanno trovato lavoro, a fronte del 38.3%nazionale, tutti nello stesso settore di qualifica;- a Vasto e a Ortona le quote del rapporto qualificati/lavoratori si attestano at-torno al 20% - 25%; Tav. 3/ABRUZZO: Cfr. (in %) tra singoli CFP e SETTORInel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI LEGENDA: Q=n. QUALIFICATI; L=n. LAVORATORI;* % (di riga) dei qualificati che lavorano Graf. 4 - SCELTE cfr. REGIONALE/NAZIONALE 58 b) se si guarda all’andamento interno ai settori, si osserva che:- 10 (38.5%) hanno trovato lavoro nella meccanica industriale, a fronte del38.3% nazionale;- nessuno dei qualificati dell’elettro/elettronico ha trovato lavoro nel settore diqualifica.Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, successi-vamente si è voluto sapere:a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFP:- lo hanno fatto 10 su 26;- di questi, 6 (60%) hanno trovato lavoro grazie al proprio CFP, a frontedell’87.8% nazionale;b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 8 (66.7%) hanno trovato lavoro nei primi tre mesi, a fronte del 58.4% nazio-nale;- 2 entro un anno;c) la tipologia contrattuale, ha riguardato:- 3 (30%) nell’apprendistato, a fronte del 44.8% nazionale;- 3 (30%) assunti con contratto a tempo determinato a fronte del 23.2% nazio-nale;- 4 (40%) con contratti atipici a fronte del 26.1% nazionale. 2. Sintesi conclusiva: confronto dati regionali-nazionali e tra singoli CFP, punti di forza e di criticità 2.1. Il confronto tra dati regionali-nazionalia) Per quanto riguarda i dati anagrafici si osserva, contestualmente al totale na-zionale:- la totale assenza della componente femminile;- il 92.3% di soggetti dai 19 anni in poi, a fronte del 37.9% nazionale.b) In merito alle scelte post-qualifica, si rileva che:- il 19.2% ha scelto di continuare gli studi a fronte del 32.8% nazionale;- il 38.4% ha scelto di lavorare, a fronte del 34.5% nazionale;- il 38.4% si trova in una condizione di inattività, a fronte del 21.3% nazio-nale.c) Rispetto ai settori occupazionali e ai tempi d’ingresso, 8 qualificati nella mec-canica industriale hanno conseguito l’obiettivo di far coincidere la propria car-riera professionale con le competenze acquisite e 8 hanno trovato lavoro neiprimi tre mesi. 59 2.2. Il confronto tra singoli CFPa) Sui dati anagrafici non si rilevano particolarità tra i tre CFP.b) In merito alle scelte, si distinguono:- L’Aquila, in quanto nessuno ha preferito continuare a studiare; e al tempostesso per avere 6 lavoratori;- Vasto, per avere 5 dei suoi qualificati che non studia né lavora;c) Per quanto riguarda l’occupazione, si rileva che:- 6 qualificati a L’Aquila e 2 a Vasto hanno trovato lavoro nello stesso settoredi qualifica;- 2 qualificati di Ortona hanno trovato lavoro al di fuori del settore di qualificae dopo un anno. 3. Dati per singoli CFP 3.1. L’AQUILASono stati intervistati complessivamente 8 qualificati, che rappresentano il30.8% del dato regionale e lo 0.3% del totale.3.1.1. Dati anagraficiGli 8 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status:– tutti maschi;– 1 (12.5%) ha 18 anni, 7 (87.5%) vanno dai 19 anni in poi;– 6 (75%) sono autoctoni e 2 (25%) di origine migratoria, questi ultimi a frontedell’11.5% regionale e del 14.1% nazionale.3.1.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 1 proviene dalla scuola secondaria di 1° grado;- 7 hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2° grado.b) Qualifica acquisita al termine del corso di IeFP (cfr. Tav. 1/ABRUZZO):- tutti nel settore della meccanica industriale.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- triennale per tutti.e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente. 60 3.1.3. La posizione degli 8 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta gli 8 qualificati hanno dichiarato (cfr. Tav.2/ABRUZZO e Graf. 3):– 6 (75%) di lavorare, a fronte del 38.5% regionale e 34.5% nazionale;– 2 (25%) di non studiare né lavorare, a fronte del 38.5% regionale e 21.3% na-zionale;– nessuno ha proseguito gli studi.3.1.4. La condizione occupazionale dei 6 lavoratoriI 6 (75%) che hanno dichiarato che stavano già lavorando hanno trovato tuttiun’occupazione nello stesso settore di qualifica (meccanica industriale - cfr. Tav.3/ABRUZZO), nei primi tre mesi, ma a condizioni contrattuali differenti: 2 a tempodeterminato, 2 a tempo indeterminato e 2 con contratti atipici; 3 su 5 che lo hannochiesto, hanno trovato lavoro grazie al proprio CFP. 3.2. ORTONAAd Ortona sono stati intervistati complessivamente 8 qualificati, che rappre-sentano il 30.8% del dato regionale e lo 0.3% del totale.3.2.1. Dati anagraficiGli 8 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status:– tutti maschi;– tutti con un’età che va dai 19 anni in poi;– tutti autoctoni.3.2.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- provengono tutti dalla scuola secondaria di 1° grado.b) Qualifica acquisita al termine del corso di IeFP (cfr. Tav. 1/ABRUZZO):- tutti nel settore elettro/elettronico.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- triennale per tutti.e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente.3.2.3. La posizione degli 8 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta gli 8 qualificati hanno dichiarato (cfr. Tav.2/ABRUZZO e Graf. 3): 61 – 3 (37.5%) di continuare a studiare, tutti negli Istituti Professionali, a fronte del19.2% regionale e del 32.8% nazionale;– 2 (25%) di lavorare, a fronte del 38.5% regionale e del 34.5% nazionale;– 3 (37.5%) di non studiare né lavorare, a fronte del 38.5% regionale e del21.3% nazionale.3.2.4. La condizione occupazionale dei 2 lavoratoriI 2 che hanno dichiarato che stavano già lavorando hanno trovato entrambiun’occupazione, a distanza di un anno, non nello stesso settore di qualifica (cfr.Tav. 3/ABRUZZO) e a condizioni contrattuali differenti: 1 a tempo determinato e 1 atempo indeterminato. 3.3. VASTOSono stati intervistati complessivamente 10 qualificati, che rappresentano il38.5% del dato regionale e circa lo 0.4% del totale.3.3.1. Dati anagraficiI 10 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status:– tutti maschi;– 1 ha fino a 18 anni, 9 vanno dai 19 anni in poi;– 9 autoctoni, 1 di origine migratoria.3.3.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 7 provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 2 hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2° grado;- 1 non ha risposto in merito.b) Qualifica acquisita al termine del corso di IeFP (cfr. Tav. 1/ABRUZZO):- tutti hanno ottenuto una qualifica nel settore della meccanica industriale.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- triennale per tutti.e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente.3.3.3. La posizione dei 10 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 10 qualificati hanno dichiarato (cfr. Tav.2/ABRUZZO e Graf. 3):– 2 (20%) di continuare a studiare, a fronte del 19.2% regionale e del 32.8% na-zionale; 62 – 2 (20%) di lavorare, a fronte del 38.5% regionale e del 34.5% nazionale;– 5 (50%) di non studiare né lavorare, a fronte del 38.5% regionale e del 21.3%nazionale;– 1 di aver fatto “altre scelte”.3.3.4. La condizione occupazionale dei 2 lavoratoriI 2 (75%) che hanno dichiarato che stavano già lavorando hanno trovato en-trambi e grazie al proprio CFP, un’occupazione nello stesso settore di qualifica (cfr.Tav. 3/ABRUZZO), nei primi tre mesi con contratto di apprendistato. 63 1. Lo scenario regionale 1.1. ContestualizzazioneIn Emilia Romagna sono stati intervistati 136 qualificati, i quali rappresentanocomplessivamente il 5.2% del totale (Graf. 1). I 136 appartengono a due CFP della Regione (Graf. 2):– Bologna con 75 intervistati (55.1%);– Forlì con 61 (44.9%). I 136 sono invece così distribuiti, in base ai rispettivi settori di qualifica (cfr.Graf. 3):– 99 (72.8%) nella meccanica industriale, a fronte del 27.8% nazionale;– 26 (19.1%) nel grafico,a fronte del 13.6% nazionale;– 11 (8.1%) provengono dai settori “altri”, a fronte del 12.1% nazionale. EMILIA ROMAGNA:136 intervistati = 5.2% del totale (2609) Graf. 1 - QUALIFICATI in EMILIA ROMAGNA Graf. 2 - QUALIFICATI per CFP 64 Una ulteriore lettura dei dati prodotta dall’incrocio tra i singoli CFP ed i set-tori permette di evidenziare alcuni trend caratteristici degli intervistati (Tav.1/EMILIA ROMAGNA):– i 75 intervistati di Bologna provengono 38 (50.6%) dal settore della meccanicaindustriale, 26 (34.7%) dal grafico e 11 (14.7%) da “altri” settori;– i 61 di Forlì appartengono tutti al settore della meccanica industriale. 1.2. Dati anagraficiI 136 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status adottate nell’inchiesta:– 130 (95.6%) maschi e 6 (4.4%) femmine, a fronte del 14.8% nazionale;– 76 (55.8%) hanno fino a 18 anni e 60 (44.2%) vanno dai 19 anni in poi;– 58 (42.6%) autoctoni e 78 (57.4%) di origine migratoria, in assoluto la percen-tuale più elevata a fronte del 14.1% nazionale. 1.3. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 94.8% provengono dalla scuola secondaria di 2° grado;- 5.2% non hanno risposto in merito.b) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010. Graf. 3 - QUALIFICATI per SETTORI Tav. 1/EMILIA ROMAGNA: Distribuzione dei 136 QUALIFICATIper CFP e SETTORI (in Fq. e % di colonna e di riga) LEGENDA: * % (di colonna) dei 136 qualificati distribuiti all’interno di ciascun settore** % (di riga) dei qualificati di ciascun CFP, distribuiti per settori*** altri settori (edilizia, legno, agricoltura, benessere, amministrazione, punto vendita…) 65 c) Tipologia del corso:- triennale per tutti.d) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente. 1.4. La posizione dei 136 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 136 qualificati hanno dichiarato (Tav. 2/EMILIA RO-MAGNA e Graf. 4 e 5): – 38 (27.9%) di continuare a studiare, a fronte del 32.8% nazionale;– 66 (48.5%) di lavorare, a fronte del 34.5% nazionale;– 23 (16.9%) di non studiare né lavorare, a fronte del 21.3% nazionale;– 9 (6.6%) di aver fatto “altre” scelte a fronte dell’11.4% nazionale. Tav. 2/EMILIA ROMAGNA: SCELTE effettuate dai 136 ex allievi,distribuiti per CFP e cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (136) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte per CFP e Tot. Emilia Romagna*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) Graf. 4 - SCELTE per CFP 66 Dal confronto tra le scelte effettuate ed i settori di qualifica si evince che tutti etre i settori hanno proporzionalmente contribuito alla scelta di andare subito a lavo-rare, mentre sulla continuazione degli studi appare più determinante il grafico (co-erentemente a quanto si è verificato in altri CFP). Proseguendo nell’inchiesta, ai 38 che hanno dichiarato di aver continuato glistudi è stato chiesto di indicare dove. Nel presente caso si è di fronte ad un’ampiagamma di iniziative:– 13 (34.2%) negli Istituti Professionali e 2 negli Istituti Tecnici;– 4 (10.5%) hanno proseguito nel canale della IeFP;– 21 (55.3%) hanno dichiarato di aver fatto altre scelte formative. 1.5. La condizione occupazionale dei 66 lavoratoriAi 66 che al momento del monitoraggio hanno dichiarato che stavano lavo-rando è stato chiesto anche in quali settori hanno trovato lavoro. Dal confronto trail numero dei qualificati e quello dei lavoratori, suddivisi per CFP e settori occupa-zionali, si rileva che (cfr. la Tav. 3/EMILIA ROMAGNA e Graf. 6):a) stando ai singoli CFP, il rapporto qualificati-lavoratori riguarda in entrambi icasi circa la metà dei giovani (49.3% a Bologna e 47.5% a Forlì), superando dicirca 15 punti percentuali il dato nazionale (34.5%);b) se si guarda invece all’andamento interno ai settori, si osserva che:- la meccanica industriale ha assorbito il 32.8% a Forlì e il 47.4% a Bolognadegli ex allievi, a fronte del 38.4% regionale e 38.3% nazionale;- il grafico ha assorbito l’11.5%, in coerenza con il 9.6% nazionale; Graf. 5 - SCELTE cfr REGIONALE/NAZIONALE 67 - le qualifiche in “altri” settori hanno trovato piena rispondenza sul mercatocreando occupazione per il 90.9% in coerenza con il 91.1% nazionale;- 15 (11%) hanno trovato lavoro al di fuori della qualifica conseguita, di cui 4nell’automotive, altri 4 nel turistico-alberghiero e 7 in “altri” settori. Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, successi-vamente si è voluto sapere:a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFP e quanti l’hanno trovato in questomodo:- su 39 che l’hanno richiesto, 31 (79.5%) hanno effettivamente trovato lavorograzie al proprio CFP, a fronte dell’87.8% nazionale; Graf. 6 - Lavoratori per CFP/REGIONALE/NAZIONALEnel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI Tav. 3/EMILIA ROMAGNA: Cfr. (in %) tra singoli CFP e SETTORInel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI LEGENDA: Q=n. QUALIFICATI; L=n. LAVORATORI;* % (di riga) dei qualificati che lavorano**altri settori (edilizia, legno, agricoltura, benessere, amministrazione, punto vendita…)( ) Si fa osservare che i numeri tra ( ) stanno ad indicare quei lavoratori che hanno trovato un’occupazione in set-tori diversi dalla qualifica conseguita 68 b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 42 (63.6%) nei primi tre mesi, a fronte del 58.4% nazionale;- 13 (19.7%) entro sei mesi;- 11 (16.7%) entro un anno;c) la tipologia contrattuale utilizzata:- l’apprendistato per 37 (56.1%), a fronte del 44.2% nazionale;- 13 (19.7%) sono stati assunti con contratto a tempo determinato, a fronte del23.2% nazionale;- 10 (15.2%) con contratti atipici, a fronte del 26.1% nazionale;- 5 (7.6%) con contratto a tempo indeterminato, a fronte del 7.5% nazionale.Dai dati si rileva che l’apprendistato è stato utilizzato di più nella meccanicaindustriale, mentre nel grafico sono stati fatti tutti contratti a tempo determinato. 2. Sintesi conclusiva: confronto dati regionali-nazionali e tra singoli CFP, punti di forza e di criticità 2.1. Il confronto tra dati regionali-nazionalia) Per quanto riguarda i dati anagrafici si osserva un dato decisamente superiorea tutte le altre Regioni, che riguarda la presenza di 78 (21.3%) giovani di ori-gine migratoria, i quali all’interno di entrambi i CFP risultano un numeromaggiore rispetto agli autoctoni; il 94.8% dei qualificati sono entrati nellaIeFP provenendo dalle scuole secondarie di 2° grado, a fronte del 22.4% na-zionale.b) Riguardo alle scelte post-qualifica:- il 49.3% a Bologna e il 47.5% a Forlì dei qualificati ha scelto di lavorare, afronte del 48.5% regionale e 34.5% nazionale;- il 27.9% dei qualificati nella Regione ha scelto di continuare gli studi, afronte del 32.8% nazionale;- il 16.9% dei qualificati nella Regione si trova in una condizione di inattività,a fronte del 21.3% nazionale.c) In merito alla posizione dei lavoratori, si osserva che:- non sussistono particolari differenze tra i dati regionali e quelli nazionali inmerito al rapporto qualificati-occupati dei due principali settori, grafico emeccanica industriale;- se l’ingresso nel mercato del lavoro nei primi tre mesi ha favorito due su tredei lavoratori, il dato critico viene dal constatare le tipologie contrattuali diassunzione, con particolare riferimento all’apprendistato, dove il 56.1% re-gionale è superiore al 43.8%, nazionale. 69 2.2. Il confronto tra singoli CFPa) Bologna e Forlì presentano, a confronto con tutti gli altri CFP, la più alta quotadi giovani di origine migratoria che si sono formati e qualificati all’interno diqueste strutture.b) Entrambi i CFP presentano percentuali molto vicine in merito alle diversescelte effettuate, distinguendosi da tutti gli altri CFP per avere le più alte per-centuali di lavoratori.c) Per quanto riguarda l’occupazione, Bologna supera sia il dato regionale chenazionale nel rapporto qualificati-occupati (47.4%) all’interno dello stesso set-tore di qualifica.d) Ulteriori aspetti che accomunano entrambi i CFP vanno individuati nei tempibrevi di reperimento dell’occupazione. 3. Dati per singoli CFP 3.1. BOLOGNAA Bologna sono stati intervistati 75 ex allievi, i quali rappresentano il 55.1%del dato regionale e il 2.9% del totale.3.1.1. Dati anagraficiStando ad alcune delle principali variabili di status, i 75 intervistati presentanole seguenti caratteristiche:– 69 (92%) maschi e 6 (8%) femmine, a fronte del 4.4% regionale e del 14.8%nazionale;– 34 (45.4%) hanno fino a 18 anni e 41 (54.6%) vanno dai 19 anni in poi;– 36 (48%) autoctoni e 39 (52%) di origine migratoria, a fronte del 57.4% regio-nale e del 14.1% nazionale.3.1.2. Il percorso formativoa) Titolo all’ingresso nel CFP:- 69 (92%) provengono dalle scuole secondarie di 2° grado;- 6 (8%) non hanno risposto in merito.b) Qualifica conseguita al termine del corso di IeFP:- 38 (50.6%) nel settore della meccanica industriale;- 26 (34.7%) nel grafico;- 11 (14.7%) in “altri” settori.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- triennale per tutti (il primo anno si svolge all’interno degli Istituti Professio-nali). 70 e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente.3.1.3. La posizione dei 75 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 75 qualificati presentano le seguenti posizioni(Tav. 1/Bologna e Graf. 7/Bologna): – 37 (49.3%) lavorano, a fronte del 48.5% regionale e 34.5% nazionale; talescelta in più della metà dei casi è stata fatta dai qualificati della meccanica in-dustriale;– 22 (29.3%) hanno proseguito gli studi, a fronte del 27.9% regionale e del32.8% nazionale; in questo caso la scelta in circa la metà dei casi è stata fattadai qualificati del settore grafico; Tav. 1/Bologna: SCELTE effettuate dai 75 intervistati di Bolognae cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (136) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte dei 75 qualificati*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) Graf. 7 - Bologna: SCELTE cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 71 – 13 (17.3%) al momento dell’inchiesta non stanno né studiando né lavorando afronte del 16.9% regionale e del 21.3% nazionale;– 3 (4%) hanno fatto “altre” scelte.Ai 22 che hanno dichiarato di proseguire gli studi è stato chiesto dove e inquale indirizzo:– 12 (54.5%) negli Istituti Professionali e 1 in un Istituto Tecnico;– 3 (13.6%) nella IeFP;– 6 in altre strutture formative.3.1.4. La posizione occupazionale dei 37 lavoratoriAi 37 qualificati di Bologna che stavano già lavorando è stato chiesto in qualisettori hanno trovato lavoro (cfr. Tav. 2/Bologna e Graf. 8/Bologna):– 18 hanno trovato lavoro nella meccanica industriale: essi rappresentano il47.4% dei qualificati di Bologna che hanno trovato lavoro nello stesso settoredi qualifica, a fronte del 38.4% regionale e del 38.3% nazionale ed il 48.6%degli allievi di questo CFP che hanno trovato lavoro;– 10 qualificati nel settore “altro”: essi rappresentano il 90.9% dei qualificati diBologna che hanno trovato lavoro nello stesso settore di qualifica, a fronte del90.9% regionale e del 91.1% nazionale ed il 27% degli allievi di questo CFPche hanno trovato lavoro;– 3 del settore grafico: essi rappresentano l’11.5% dei qualificati di Bologna chehanno trovato lavoro nello stesso settore di qualifica, a fronte del 9.6% nazio-nale e l’8.1% degli allievi di questo CFP che hanno trovato lavoro;– 6 si sono collocati in settori non coerenti con la qualifica conseguita: 2 nell’au-tomotive e 4 nel turistico-alberghiero.Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, successi-vamente si è voluto sapere:a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFPe quanti l’hanno trovato in questomodo:- 16 (66.7%) hanno effettivamente trovato lavoro grazie al proprio CFP, afronte del 79.5% regionale e 87.8% nazionale;b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 20 (54.1%) nei primi tre mesi, a fronte del 63.6% regionale e 57.9% nazionale;- 11 (29.7%) entro sei mesi e 6 (16.2%) entro un anno;c) In merito alla tipologia contrattuale:- 21 (56.8%) sono stati assunti con contratto di apprendistato, a fronte del56.1% regionale e 44.2% nazionale;- 7 (18.9%) con contratti a tempo determinato, a fronte del 19.7% regionale e23.2% nazionale;- 6 (16.2%) con contratti atipici, a fronte del 15.2% regionale e 26.1% nazionale;- 3 (8.1%) con contratti a tempo indeterminato, a fronte del 7.6% regionale e7.5% nazionale. 72 3.2. FORLÌA Forlì sono stati intervistati 61 ex allievi, i quali rappresentano il 44.9% deldato regionale e il 2.3% del totale.3.2.1. Dati anagraficiStando ad alcune delle principali variabili di status, i 61 intervistati presentanole seguenti caratteristiche:– tutti maschi;– 42 (68.8%) hanno fino a 18 anni e 19 (31.2%) vanno dai 19 anni in poi;– 39 (63.9%) di origine migratoria e 22 (36.1%) autoctoni, a fronte del 57.4% re-gionale e del 14.1% nazionale. Tav. 2/Bologna: Cfr. (in %) con Tot. REGIONALE/NAZIONALEnel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI per SETTORI LEGENDA: Q=n. QUALIFICATI; L=n. LAVORATORI;* % (di riga) dei qualificati che lavorano** altri settori (edilizia, legno, agricoltura, benessere, amministrazione, punto vendita…)( ) Si fa osservare che i numeri tra ( ) stanno ad indicare quei lavoratori che hanno trovato un’occupazione in set-tori diversi dalla qualifica conseguita Graf. 8 - Bologna: SETTORI OCCUPAZIONALI cfr. Tot. REGIONALE/NAZIONALE 73 3.2.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 60 (98.3%) provengono dalle scuole secondarie di 2° grado;- 1 non ha risposto in merito.b) Qualifica acquisita al termine del corso di IeFP:- tutti nel settore della meccanica industriale.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- triennale per tutti (il primo anno si svolge all’interno degli Istituti Professio-nali).e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente.3.2.3. La posizione dei 61 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 61 qualificati presentano le seguenti posizioni(Tav. 1/Forlì e Graf. 9 - Forlì):– 29 (47.5%) lavorano, a fronte del 48.5% regionale e 34.5% nazionale;– 16 (26.3%) hanno proseguito gli studi, a fronte del 27.9% regionale e del32.8% nazionale;– 10 (16.4%) al momento dell’inchiesta non stanno né studiando né lavorando, afronte del 16.9% regionale e del 21.3% nazionale;– 6 (9.8%) hanno fatto “altre” scelte. Ai 16 che hanno dichiarato di proseguire gli studi è stato chiesto verso qualeindirizzo:– 1 nella IeFP;– 1 negli Istituti Tecnici;– 1 negli Istituti Professionali;– 13 in altre strutture formative. Tav. 1/Forlì: SCELTE effettuate dai 61 intervistati di Forlìe cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (136) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte dei 61 qualificati*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) 74 3.2.4. La posizione occupazionale dei 29 lavoratoriAi 29 qualificati di Forlì che stavano già lavorando è stato chiesto in quali set-tori hanno trovato lavoro (cfr. Tav. 2/Forlì): – 20 nella meccanica industriale: essi rappresentano il 32.8% dei qualificati diForlì che hanno trovato lavoro nello stesso settore di qualifica, a fronte del38.4% regionale e del 38.3% nazionale ed una stessa quota degli allievi diquesto CFP che hanno trovato lavoro;– 9 hanno trovato lavoro in settori non coerenti con la qualifica conseguita: 2nell’automotive e 7 in “altri” settori. Graf. 9 - Forlì: SCELTE cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE Tav. 2/Forlì: Cfr. (in %) con Tot. REGIONALE/NAZIONALEnel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI LEGENDA: Q=n. QUALIFICATI; L=n. LAVORATORI;* % (di riga) dei qualificati che lavorano** altri settori (edilizia, legno, agricoltura, benessere, amministrazione, punto vendita…)( ) Si fa osservare che i numeri tra ( ) stanno ad indicare quei lavoratori che hanno trovato un’occupazione in set-tori diversi dalla qualifica conseguita 75 Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, successi-vamente si è voluto sapere:a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFP e quanti l’hanno trovato in questomodo:- i 15 che l’hanno chiesto, hanno tutti trovato lavoro grazie al proprio CFP;b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 22 (75.9%) nei primi tre mesi, a fronte del 63.6% regionale e 58.4% nazio-nale;- 2 (6.9%) entro sei mesi e 5 (12.2%) entro un anno;c) la tipologia contrattuale:- 16 (55.2%) sono stati assunti come apprendisti, a fronte del 56.1% regionalee del 44.2% nazionale;- 6 (20.7%) con contratto a tempo determinato, a fronte del 19.7% regionale edel 23.2% nazionale;- il 16.2% con contratti atipici, a fronte del 15.2% regionale e del 26.1% na-zionale;- il 6.9% con contratti a tempo indeterminato. 76 1. Lo scenario regionale 1.1. ContestualizzazioneIn Friuli Venezia Giulia sono stati intervistati 78 qualificati, i quali apparten-gono tutti al CFP di Udine e rappresentano complessivamente il 3% del totale(Graf. 1). I 78 a loro volta sono così suddivisi per settori di qualifica (Graf. 2):– 34 (43.6%) nell’elettro/elettronico;– 44 (56.4%) nella meccanica industriale. FRIULI VENEZIA GIULIA - Udine:78 intervistati = 3% del totale (2609) Graf. 1 - QUALIFICATI in FRIULI VENEZIA GIULIA Graf. 2 - QUALIFICATI per SETTORI 77 – 39 (50%) di continuare a studiare, a fronte del 32.8% nazionale, di cui 22(56.4%) negli Istituti Tecnici e 17 (43.6%) negli Istituti Professionali;– 16 (20.5%) di lavorare, a fronte del 34.5% nazionale;– 10 (12.8%) di non studiare né lavorare, a fronte del 21.3% nazionale;– 13 (16.7%) di fare altre attività, a fronte dell’11.4% nazionale. 1.2. Dati anagraficiI 78 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status adottate nell’inchiesta:– tutti maschi;– 47 (60.2%) hanno fino a 18 anni e 31 (39.8%) vanno dai 19 anni in poi;– 59 (75.6%) autoctoni e 19 (24.4%) di origine migratoria a fronte del 14.1% na-zionale. 1.3. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 47 (60.2%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 20 (25.6%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado;- 11 (14.1%) non hanno risposto in merito.b) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.c) Tipologia del corso:- triennale per tutti.d) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente. 1.4. La posizione dei 78 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 78 qualificati hanno dichiarato (Tav. 1/FRIULIVENEZIA GIULIA - Udine e Graf. 3): Tav. 1/FRIULI VENEZIA GIULIA - Udine: SCELTE effettuate dai 78 ex allievi,distribuiti per CFP e cfr. con Tot. NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (82) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte per CFP e Tot. Liguria*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) 78 Dal confronto tra le scelte effettuate ed i settori di qualifica si evince che:– 12 qualificati nel settore della meccanica industriale hanno scelto di andare su-bito a lavorare;– 8 qualificati nel settore sono della meccanica industriale si trovano in una con-dizione di inattività;– entrambi i settori, meccanica industriale ed elettro/elettronico, hanno influitonella stessa misura sia sulla scelta di studiare che su quella di fare “altro”. 1.5. La condizione occupazionale dei 16 lavoratoriAi 16 che al momento del monitoraggio hanno dichiarato che stavano lavo-rando è stato chiesto in quali settori. Dal confronto tra il numero dei qualificati equello dei lavoratori, suddivisi per settori occupazionali, si rileva che (Tav. 2/FRIULIVENEZIA GIULIA - Udine e Graf. 4 - FRIULI VENEZIA GIULIA/Udine):a) 12 hanno trovato lavoro nello stesso settore di qualifica:- 9 nella meccanica industriale: essi rappresentano il 20.5% dei qualificati diUdine che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qualifica, afronte del 38.3% nazionale e il 56.2% degli ex allievi di questo CFP chehanno trovato lavoro;- 3 nell’elettro/elettronico: essi rappresentano l’8.8% dei qualificati di Udineche hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qualifica, a frontedel 18.9% nazionale e il 18.8% degli ex allievi di questo CFP che hanno tro-vato lavoro; Graf. 3 - SCELTE cfr. REGIONALE/NAZIONALE 79 Graf. 4 - FRIULI VENEZIA GIULIA - Udine:SETTORI OCCUPAZIONALI cfr. con Tot. NAZIONALE b) 4 hanno trovato lavoro al di fuori del proprio settore di qualifica: 1 nel settoreautomotive e 3 in settori “altri”.Attraverso le successive domande si è venuti a sapere che:– 4 hanno trovato lavoro rivolgendosi al proprio CFP;– 9 (52.9%) hanno trovato lavoro nei primi tre mesi, a fronte del 58.4% nazio-nale; 3 entro 6 mesi e 4 entro un anno;– 10 (62.5%) sono stati assunti con contratto di apprendistato, tutti nella mecca-nica industriale, a fronte del 44.2% nazionale; 5 (31.2%) con contratto a tempodeterminato, a fronte del 23.2% nazionale; 1 (6.2%) con contratto atipico, afronte del 26.1% nazionale. Tav. 2/FRIULI VENEZIA GIULIA - Udine: Cfr. (in %) con Tot. NAZIONALEnel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI per SETTORI LEGENDA: Q=n. QUALIFICATI; L=n. LAVORATORI;* % (di riga) sui qualificati che lavorano** altri settori (edilizia, legno, agricoltura, benessere, amministrazione, punto vendita…)( ) Si fa osservare che i numeri tra ( ) che si trovano nella colonna “L” stanno ad indicare quei lavoratori chehanno trovato lavoro in settori diversi dalla qualifica conseguita 80 2. Sintesi conclusiva, punti di forza e di criticità Dai dati del monitoraggio si evince che:– Udine presenta un elevato numero di qualificati, di cui uno su quattro di ori-gine migratoria;– a un anno dalla qualifica 39 (50%) qualificati hanno scelto di continuare a stu-diare, di cui 22 (56.4%) negli Istituti Tecnici e 17 (43.6%) negli Istituti Profes-sionali; mentre 10 (12.8%) si trovano in una condizione di inattività;– 12 hanno trovato lavoro nello stesso settore di qualifica, entro un anno conprevalenza di contratti di apprendistato e a tempo determinato. 81 LAZIO: 207 intervistati = 7.9% del totale (2609) 1. Lo scenario regionale 1.1. ContestualizzazioneNel Lazio sono stati intervistati complessivamente 207 qualificati, i quali rap-presentano il 7.9% del totale (Graf. 1). A loro volta i 207 appartengono ai 3 CFP della Regione e sono così distribuiti(Graf. 2):– 105 (50.7%) a Roma - T. Gerini;– 55 (26.6%) a Roma - Borgo Ragazzi Don Bosco;– 47 (22.7%) a Roma - Pio XI. Graf. 1 - QUALIFICATI nel LAZIO Graf. 2 - QUALIFICATI per CFP 82 I 207 sono così distribuiti rispetto ai settori di qualifica (Graf. 3):– 81 (39.1%) nell’elettro/elettronico;– 47 (22.7%) nel grafico;– 41 (19.8%) nell’automotive;– 38 (18.4%) nella meccanica industriale. 1.2. Dati anagraficiI 207 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status adottate nell’inchiesta:– 198 (95.7%) maschi e 9 (4.3%) femmine, a fronte del 14.8% nazionale;– 83 (40.1%) hanno fino a 18 anni e 124 (59.9%) vanno dai 19 anni in poi;– 177 (85.5%) autoctoni e 30 (14.5%) di origine migratoria, questi ultimi afronte del 14.1% nazionale. Tav. 1/LAZIO: Distribuzione dei 207 QUALIFICATI per CFP e SETTORI(in Fq. e % di colonna e di riga) LEGENDA: * % (di colonna) dei 207 qualificati distribuiti all’interno di ciascun settore** % (di riga) dei qualificati di ciascun CFP, distribuiti per settori Graf. 3 - QUALIFICATI per SETTORI 83 Graf. 4 - SCELTE per CFP 1.3. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 118 (57%) dalla scuola secondaria di 1° grado;- 66 (31.9%) hanno frequentato uno o più anni di scuola secondaria di 2° grado;- 23 (11.1%) non hanno risposto in merito.b) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.c) Tipologia del corso:- triennale per tutti.d) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente. 1.4. La posizione dei 207 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 207 qualificati hanno dichiarato (Tav. 2/LAZIO eGraf. 4 e 5): Tav. 2/LAZIO: SCELTE effettuate dai 207 ex allievi,distribuiti per CFP e Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (207) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte per CFP e Tot. Lazio*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) 84 – 76 (36.7%) di continuare a studiare, a fronte del 32.8% nazionale;– 58 (28%) di lavorare, a fronte del 34.5% nazionale;– 54 (26.1%) di non studiare né lavorare, a fronte del 21.3% nazionale;– 19 (9.2%) di aver fatto “altre” scelte, a fronte dell’11.4% nazionale. Graf. 5 - SCELTE cfr. REGIONALE/NAZIONALE Attraverso il confronto tra le scelte effettuate ed i settori di qualifica è statopossibile verificare che (Tav. 3/LAZIO):– la scelta di proseguire gli studi è stata fatta da 28 qualificati del settoreelettro/elettronico e 26 del grafico;– la scelta di andare subito a lavorare è stata fatta da 24 qualificati del settoreelettro/elettronico e 18 della meccanica industriale;– nel settore elettro/elettronico 25 qualificati si trovano in condizione di inatti-vità, mentre negli altri settori le quote si attestano attorno a 10 ex allievi;– del settore grafico 8 hanno fatto “altre” scelte. Tav. 3/LAZIO: Distribuzione dei 207 per SCELTE e SETTORI di qualifica(in Fq. e % di colonna e di riga) LEGENDA: * % (di colonna) degli 207 qualificati distribuiti all’interno di ciascun settore** % (di riga) dei qualificati distribuiti in base alle scelte 85 Ai 76 che hanno proseguito gli studi è stato chiesto in quale indirizzo:– 39 (51.3%) negli Istituti Tecnici;– 25 (32.9%) negli Istituti Professionali;– 11 (14.5%) nella IeFP. 1.5. La condizione occupazionale dei 58 lavoratoriAi 58 che al momento del monitoraggio hanno dichiarato che stavano lavo-rando è stato chiesto anche in quali settori. Dal confronto tra il numero dei qualifi-cati e quello dei lavoratori, suddivisi per CFP e settori occupazionali, si rileva che(cfr. la Tav. 4/LAZIO e Graf. 6 e 7):a) stando ai singoli CFP:- il T. Gerini presenta un rapporto qualificati-lavoratori pari al 39% a frontedel 28% regionale e 34.5% nazionale;- il Borgo Ragazzi Don Bosco presenta un rapporto qualificati-lavoratori parial 23.6%;- il Pio XI presenta un rapporto formazione-occupazione pari all’8.5%;b) stando all’andamento interno ai settori:- nel settore automotive del T. Gerini il rapporto qualificati-lavoratori riguardail 37.9% a fronte del 29.3% regionale e 49.5% nazionale; nel Borgo RagazziDon Bosco il rapporto è dell’8.3%;- nell’elettro/elettronico il rapporto qualificati-lavoratori del T. Gerini è del34.6%, a fronte del 29.6% regionale e 18.9% nazionale; nel Borgo RagazziDon Bosco il dato è del 20.7%;- nella meccanica industriale il rapporto qualificati-lavoratori del T. Gerini èdel 50%, a fronte del 29.6% regionale e 18.9% nazionale; nel Borgo RagazziDon Bosco il dato è del 42.9%;- nel grafico si ripropone il trend evidenziato sopra in merito ai qualificati delPio XI. Tav. 4/LAZIO: Cfr. (in %) tra singoli CFP e SETTORI nel rapporto QUALIFICATI-LAVORATORI LEGENDA: Q=n. QUALIFICATI; L=n. LAVORATORI;* % (di riga) sui qualificati che lavorano 86 Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, successi-vamente si è voluto sapere:a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFP e quanti l’hanno trovato in questomodo:- 37 (17.9%) qualificati si sono rivolti al CFP a fronte del 13.8% nazionale;- 33 (89.2%) hanno trovato lavoro grazie al proprio CFP, a fronte dell’87.8%nazionale;b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 38 (65.5%) nei primi tre mesi, a fronte del 58.4% nazionale;- 8 entro sei mesi e 12 entro un anno; Graf. 6 - Lavoratori per CFP e per SETTORI Graf. 7 - Tot. REGIONALE/NAZIONALE nel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI 87 c) la tipologia contrattuale:- 23 (39.7%) assunti con contratto a tempo determinato, a fronte del 23.2% na-zionale;- 18 (31%) nell’apprendistato, a fronte del 44.2% nazionale;- 13 (22.4%) con contratti atipici, a fronte del 26.1% nazionale;- 4 (6.9%) con contratto a tempo indeterminato, a fronte del 7.5% nazionale.Anche nei confronti di quest’ultima serie di dati è stata avvertita l’esigenza diindividuare in quali settori sono state attuate le diverse forme contrattuali:– i 41 lavoratori del T. Gerini appaiono così suddivisi: degli 11 del settore auto-motive, 1 nell’apprendistato, 3 a tempo determinato, 2 a tempo indeterminato e5 con contratti atipici; dei 18 del settore elettro/elettronico, 7 nell’apprendi-stato, 6 a tempo determinato, 1 a tempo indeterminato, 4 con contratti atipici;dei 12 della meccanica industriale, 3 nell’apprendistato, 7 a tempo determi-nato, 1 a tempo indeterminato, 1 con contratti atipici;– i 13 lavoratori del Borgo Ragazzi Don Bosco appaiono così suddivisi: 1 nel set-tore automotive, con contratto di apprendistato; 6 nell’elettro/elettronico, di cui3 nell’apprendistato e altri 3 a tempo determinato; 6 nella meccanica industriale,di cui 1 nell’apprendistato, 4 a tempo determinato, 1 con contratto atipico;– dei 4 lavoratori del Pio XI, tutti del settore grafico, 2 nell’apprendistato, e 2con contratti atipici. 2. Sintesi conclusiva: confronto dati regionali-nazionali e tra singoli CFP, punti di forza e di criticità 2.1. Il confronto tra dati regionali-nazionalia) Per quanto riguarda i dati anagrafici si osserva, contestualmente al totale na-zionale, che:- il 4.3% dei qualificati sono femmine, a fronte del 14.8% nazionale;- il 14.5% dei qualificati sono di origine migratoria, a fronte del 14.1% nazio-nale;- il 59.9% ha dai 19 anni in poi, a fronte del 37.9% nazionale.b) In merito alle scelte post-qualifica, si rileva che:- il 36.7% ha scelto di continuare gli studi, a fronte del 32.8% nazionale;- il 26.1% si trova in una condizione di inattività, a fronte del 21.3% nazio-nale;- il 28% ha scelto di andare subito a lavorare, a fronte del 34.5% nazionale.c) Rispetto ai settori occupazionali e alla posizione lavorativa, va evidenziatoche:- tutti i 58 lavoratori hanno conseguito l’obiettivo di far coincidere la propriacarriera professionale con le competenze acquisite; 88 - il 65.5% ha trovato lavoro subito o entro tre mesi (con particolare riferi-mento ai settori elettro/elettronico e meccanica industriale) e dei 36 che sisono rivolti al proprio CFP per trovare un lavoro, 32 l’hanno effettivamenteottenuto;- nel settore grafico 4 qualificati sono entrati nel sistema produttivo. 2.2. Il confronto tra singoli CFPa) Sui dati anagrafici si distinguono:- il Pio XI per essere l’unico ad avere tra i propri qualificati anche femmine;- il Borgo Ragazzi Don Bosco e il Pio XI per avere quote superiori al dato na-zionale relativamente ai qualificati che vanno dai 19 anni in poi;- il T. Gerini per avere al proprio interno il 19% degli allievi di origine migra-toria.b) In merito alle scelte, si distinguono:- il T. Gerini per avere il 39% di qualificati che hanno scelto di andare subito alavorare;- il Borgo Ragazzi Don Bosco per avere il 45.5% dei suoi qualificati che nonstudia né lavora;- il Pio XI per avere il 55.3% dei suoi qualificati che ha proseguito gli studi.c) Per quanto riguarda l’occupazione:- nel T. Gerini buona parte dei qualificati hanno trovato un’occupazione intutti e tre i settori in cui eroga formazione;- nel Borgo Ragazzi Don Bosco il dato relativo all’occupazione dei qualificatirisulta nei settori elettro/elettronico e meccanica industriale vicino alla mediaregionale e nazionale e nel settore automotive distante dagli stessi dati;- nel Pio XI 4 qualificati del settore grafico hanno trovato lavoro. 3. Dati per singoli CFP 3.1. ROMA - BORGO RAGAZZI DON BOSCOSono stati intervistati complessivamente 55 qualificati, che rappresentano il26.6% del dato regionale e il 2.1% del totale.3.1.1. Dati anagraficiI 55 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status:– tutti maschi;– 21 (38.2%) hanno fino a 18 anni e 34 (61.8%) vanno dai 19 anni in poi;– 50 (90.1%) autoctoni e 5 (9.1%) di origine migratoria, questi ultimi a frontedel 14.5% del dato regionale e del 14.1% nazionale. 89 3.1.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 33 (60%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 20 (36.4%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado;- 2 (3.6%) non hanno risposto in merito.b) Qualifica acquisita al termine del corso di IeFP (cfr. Tav. 1/LAZIO e Graf. 3):- 29 (52.7%) nel settore elettro/elettronico;- 14 (25.5%) nella meccanica industriale;- 12 (21.8%) nel settore automotive.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- triennale per tutti.e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente.3.1.3. La posizione dei 55 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 55 qualificati hanno dichiarato (cfr. Tav. 1/Roma -Borgo Ragazzi Don Bosco e Graf. 8):– 17 (30.9%) di continuare a studiare, a fronte del 36.7% regionale e 32.8% na-zionale;– 13 (23.6%) di lavorare, a fronte del 28% regionale e 34.5% nazionale;– 25 (45.5%) di non studiare né lavorare, a fronte del 26.1% regionale e 21.3%nazionale. A seguito di questa prima domanda, ai 17 qualificati che hanno proseguito glistudi è stato chiesto in quale ramo:– 11 (64.7%) negli Istituti Professionali;– 6 (35.3%) negli Istituti Tecnici. Tav. 1/Roma - Borgo Ragazzi Don Bosco: SCELTE effettuate dai 55 intervistatidel Borgo Ragazzi don Bosco e cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (207) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte dei 55 qualificati 90 Nell’intento di verificare quanto hanno influito i settori di qualifica nel deter-minare le successive scelte, attraverso ulteriori analisi è stato possibile verificareche:– 13 qualificati del settore elettro/elettronico hanno scelto di continuare gli studi;– i settori elettro/elettronico e meccanica industriale hanno inciso, in pari misura,sulla scelta di andare subito a lavorare;– alcuni qualificati dei settori automotive, elettro/elettronico e meccanica indu-striale si trovano, in egual misura, in una condizione di inattività. 3.1.4. La condizione occupazionale dei 13 lavoratoriAi 13 (23.6%) qualificati che hanno dichiarato che stavano già lavorando suc-cessivamente è stato chiesto in quali settori hanno trovato lavoro (cfr. Tav. 2/Roma- Borgo Ragazzi Don Bosco e Graf. 9):– 1 nel settore automotive: esso rappresenta l’8.5% dei qualificati di Roma -Borgo Ragazzi Don Bosco che hanno trovato un’occupazione nello stesso set-tore di qualifica, a fronte del 29.3% regionale e del 49.5% nazionale e il 7.7%degli ex allievi di questo CFP che hanno trovato lavoro;– 6 nel settore elettro/elettronico: essi rappresentano il 20.7% dei qualificati diRoma - Borgo Ragazzi Don Bosco che hanno trovato un’occupazione nellostesso settore di qualifica, a fronte del 29.6% regionale e del 18.9% nazionalee il 46.2% degli ex allievi di questo CFP che hanno trovato lavoro;– 6 nella meccanica industriale: essi rappresentano il 42.9% dei qualificati diRoma - Borgo Ragazzi Don Bosco che hanno trovato un’occupazione nellostesso settore di qualifica, a fronte del 47.4% regionale e del 38.3% nazionaleed il 46.2% degli ex allievi di questo CFP che hanno trovato lavoro. Graf. 8 - Roma - Borgo Ragazzi Don Bosco: SCELTE cfr. tot. REGIONALE/NAZIONALE 91 Graf. 9 - Roma - Borgo Ragazzi Don Bosco: SETTORI OCCUPAZIONALIcfr. Tot. REGIONALE/NAZIONALE Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, successi-vamente si è voluto sapere:a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFP e quanti l’hanno trovato in questomodo:- 10 (18.2%) qualificati di Roma - Borgo Ragazzi Don Bosco si sono rivolti alproprio CFP;- 7 (53.8%) hanno trovato lavoro grazie al proprio CFP, a fronte dell’89.2%regionale e dell’87.8% nazionale;b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 7 (53.8%) nei primi tre mesi, a fronte del 65.5% regionale e del 58.4% na-zionale;- 3 entro sei mesi e 3 entro un anno; Tav. 2/Roma - Borgo Ragazzi Don Bosco: Cfr. (in %) con Tot. REGIONALE/NAZIONALEnel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI per SETTORI LEGENDA: Q=n. QUALIFICATI; L=n. LAVORATORI;* % (di riga) sui qualificati che lavorano 92 c) la tipologia contrattuale:- 7 (53.8%) sono stati assunti con contratto a tempo determinato, a fronte del39.7% regionale e del 23.2% nazionale;- 5 (38.5%) nell’apprendistato, a fronte del 31% regionale e del 44.2% nazio-nale;- 1 (7.7%) con contratto atipico, a fronte del 22.4% regionale e del 26.1% na-zionale.Nell’analizzare l’incidenza dei settori occupazionali nel favorire il tempo d’in-gresso dei qualificati nel mondo del lavoro e a quali condizioni, si evince che:– sia il settore elettro/elettronico che quello della meccanica industriale hannoassunto entrambi 3 lavoratori nei primi tre mesi e 3 entro un anno, a loro voltaequamente divisi tra apprendistato e tempo determinato;– il settore automotive ha assunto 1 lavoratore nei primi tre mesi, con contrattodi apprendistato.Anche in questo caso hanno ottenuto tutti un lavoro coerente con la qualificaconseguita. 3.2. ROMA - T. GERINISono stati intervistati complessivamente 105 qualificati, che rappresentano il50.7% del dato regionale e il 4% del totale.3.2.1. Dati anagraficiI 105 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status:– tutti maschi;– 46 (43.8%) hanno fino a 18 anni e 59 (56.2%) vanno dai 19 anni in poi;– 85 (81%) autoctoni e 20 (19%) di origine migratoria, questi ultimi a fronte del14.5% del dato regionale e del 14.1% nazionale.3.2.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 64 (61%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 31 (29.5%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado;- 10 (9.5%) non hanno risposto in merito.b) Qualifica acquisita al termine del corso di IeFP (cfr. Tav. 1/LAZIO e Graf. 3):- 52 (49.5%) nel settore elettro/elettronico;- 29 (27.6%) nel settore automotive;- 24 (22.9%) nella meccanica industriale.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010. 93 d) Tipologia del corso:- triennale per tutti.e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente.3.2.3. La posizione dei 105 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 105 qualificati hanno dichiarato (cfr. Tav. 1/Roma- T. Gerini e Graf. 10):– 33 (31.4%) di continuare a studiare, a fronte del 36.7% regionale e 32.8% na-zionale;– 41 (39%) di lavorare, a fronte del 28% regionale e 34.5% nazionale;– 20 (19%) di non studiare né lavorare, a fronte del 26.1% regionale e 21.3% na-zionale;– 11 (10.5%) di aver fatto “altre” scelte, a fronte del 9.2% regionale e 11.4% na-zionale. Tav. 1/Roma - T. Gerini: SCELTE effettuate dai 105 intervistati del T. Gerini,e cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (207) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte dei 105 qualificati*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) Graf. 10 - Roma - T. Gerini: SCELTE cfr. Tot. REGIONALE/NAZIONALE 94 A seguito di questa prima domanda, ai 33 che hanno proseguito gli studi èstato chiesto in quale ramo:– 24 (72.7%) negli Istituti Tecnici;– 8 (24.2%) negli Istituti Professionali;– 1 (3%) in altre strutture formative.Nell’intento di verificare quanto hanno influito i settori di qualifica nel deter-minare le successive scelte, attraverso ulteriori analisi è stato possibile verificareche:– 15 qualificati del settore elettro/elettronico hanno scelto di continuare gli studi;– 18 qualificati del settore elettro/elettronico hanno scelto di andare subito a la-vorare;– 15 qualificati del settore elettro/elettronico si trovano in una condizione diinattività.3.2.4. La condizione occupazionale dei 41 lavoratoriAi 41 qualificati (39%) che hanno dichiarato che stavano già lavorando suc-cessivamente è stato chiesto in quali settori hanno trovato lavoro (cfr. Tav. 2/Roma- T. Gerini e Graf. 11):– 11 nel settore automotive: essi rappresentano il 37.9% dei qualificati di Roma -T. Gerini che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qualifica, afronte del 29.3% regionale e del 49.5% nazionale e il 26.8% degli ex allievi diquesto CFP che hanno trovato lavoro;– 18 nel settore elettro/elettronico: essi rappresentano il 34.6% dei qualificati diRoma - T. Gerini che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qua-lifica, a fronte del 29.6% regionale e del 18.9% nazionale e il 43.9% degli exallievi di questo CFP che hanno trovato lavoro;– 12 nella meccanica industriale: essi rappresentano il 50% dei qualificati diRoma - T. Gerini che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qua-lifica, a fronte del 47.4% regionale e del 38.3% nazionale e il 29.3% degli exallievi di questo CFP che hanno trovato lavoro. Tav. 2/Roma - T. Gerini: Cfr. (in %) con Tot. REGIONALE/NAZIONALEnel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI LEGENDA: Q=n. QUALIFICATI; L=n. LAVORATORI;* % (di riga) sui qualificati che lavorano 95 Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, successi-vamente si è voluto sapere:a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFP e quanti l’hanno trovato in questomodo:- 26 (24.8%) dei qualificati del T. Gerini si sono rivolti al proprio CFP;- 25 (96.2%) hanno trovato lavoro grazie al proprio CFP, a fronte dell’89.2%regionale e dell’87.8% nazionale;b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 31 (75.6%) nei primi tre mesi, a fronte del 65.5% regionale e del 58.4% na-zionale;- 5 entro sei mesi e 5 entro un anno;c) la tipologia contrattuale:- 16 (39%) assunti con contratto a tempo determinato, a fronte del 39.7% re-gionale e del 23.2% nazionale;- 11 (26.8%) nell’apprendistato, a fronte del 31% regionale e del 44.2% nazio-nale;- 10 (24.4%) con contratti atipici, a fronte del 22.4% regionale e del 26.1% na-zionale;- 4 (9.8%) assunti con contratto a tempo indeterminato, a fronte del 6.9% re-gionale e del 7.5% nazionale.Nell’analizzare l’incidenza dei settori occupazionali nel favorire il tempo d’in-gresso dei qualificati nel mondo del lavoro e a quali condizioni, si evince che:– il settore automotive ha assunto 9 lavoratori su 11 nei primi tre mesi. Di questi11: 1 nell’apprendistato, 3 a tempo determinato, 2 a tempo indeterminato e 5con contratto atipici; Graf. 11 - Roma - T. Gerini: SETTORI OCCUPAZIONALI cfr. Tot. REGIONALE/NAZIONALE 96 – nel settore elettro/elettronico, 12 su 18 hanno trovato lavoro entro tre mesi. Diquesti 18: 7 nell’apprendistato, 6 a tempo determinato, 1 a tempo indetermi-nato, 4 con contratti atipici;– nella meccanica industriale, 10 su 12 hanno trovato lavoro entro tre mesi. Diquesti 12: 3 nell’apprendistato, 7 a tempo determinato, 1 a tempo indetermi-nato, 1 con contratto atipico. 3.3. ROMA - PIO XISono stati intervistati complessivamente 47 qualificati, che rappresentano il22.7% del dato regionale e l’1.8% del totale.3.3.1. Dati anagraficiI 47 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status:– 38 (80.9%) maschi e 9 (19.1%) femmine, a fronte del 4.3% regionale e del14.8% nazionale;– 16 (34.1%) hanno fino a 18 anni e 31 (65.9%) vanno dai 19 anni in poi;– 42 (89.4%) autoctoni e 5 (10.6%) di origine migratoria, questi ultimi a frontedel 14.5% regionale e del 14.1% nazionale.3.3.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 21 (44.7%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 15 (31.9%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado;- 11 (23.4%) non hanno risposto in merito.b) Qualifica acquisita al termine del corso di IeFP (cfr. Tav. 1/LAZIO e Graf. 3):- tutti nel settore grafico.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- triennale per tutti.e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente.3.3.3. La posizione dei 47 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 47 qualificati hanno dichiarato (cfr. Tav. 1/Roma -Pio XI e Graf. 12):– 26 (55.3%) di continuare a studiare, a fronte del 36.7% regionale e 32.8%na-zionale;– 4 (8.5%) di lavorare, a fronte del 28% regionale e 34.5% nazionale; 97 – 9 (19.1%) di non studiare né lavorare, a fronte del 26.1% regionale e 21.3%nazionale;– 8 (17.1%) di aver fatto “altre” scelte, a fronte del 9.2% regionale e 11.4% na-zionale. Tav. 1/Roma - Pio XI: SCELTE effettuate dai 47 intervistati del Pio XIe cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (207) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte dei 47 qualificati*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) A seguito di questa prima domanda, ai 26 che hanno proseguito gli studi èstato chiesto in quale indirizzo:– 11 (42.3%) nella IeFP;– 9 (34.6%) negli Istituti Tecnici;– 6 (23.1%) negli Istituti Professionali.3.3.4. La condizione occupazionale dei 4 lavoratoriDall’intervista ai 4 (8.5%) lavoratori del grafico che hanno dichiarato che sta-vano già lavorando è stato possibile verificare che:– 1 si è rivolto al proprio CFP trovando lavoro;– tutti e 4 hanno trovato lavoro entro un anno;– 2 sono stati assunti con contratto d’apprendistato e 2 con contratti atipici. Graf. 12 - Roma - Pio XI: SCELTE cfr. Tot. REGIONALE/NAZIONALE 98 LIGURIA: 82 intervistati = 3.1% del totale (2609) 1. Lo scenario regionale 1.1. ContestualizzazioneIn Liguria sono stati intervistati complessivamente 82 qualificati, i quali rap-presentano il 3.1% del totale (Graf. 1). A loro volta gli 82 qualificati appartengono ai 3 CFP della Regione e sono cosìdistribuiti (Graf. 2):– 27 a Genova/Quarto (32.9%);– 45 a Genova/Sampierdarena (54.9%);– 10 a Vallecrosia (12.2%); Graf. 1 - QUALIFICATI in LIGURIA Graf. 2 - QUALIFICATI per CFP 99 Gli 82 qualificati sono invece così distribuiti in base ai settori di qualifica(Graf. 3):– 61 (74.4%) nell’elettro/elettronico;– 11 (13.4%) nell’automotive;– 10 (12.2%) in “altri” settori. Un’ulteriore lettura dei dati prodotta dall’incrocio tra i singoli CFP ed i settoripermette di evidenziare alcuni trend caratteristici degli intervistati (Tav. 1/LIGURIA):– gli 11 qualificati del settore automotive si trovano tutti a Genova/Quarto; essirappresentano il 40.7% dei qualificati di questo CFP;– dei 61 qualificati nel settore elettro/elettronico, 45 (73.8%) provengono da Ge-nova/Sampierdarena, che al tempo stesso presenta solo qualificati in questosettore e 16 (26.2%) da Genova/Quarto;– i 10 (12.2%) qualificati nei settori “altri” si trovano tutti a Vallecrosia, coe-rente con il 12.2% regionale. Graf. 3 - QUALIFICATI per CFP e SETTORI Tav. 1/LIGURIA: Distribuzione degli 82 QUALIFICATI per CFP e SETTORI(in Fq. e % di colonna e di riga) LEGENDA: * % (di colonna) degli 82 qualificati distribuiti all’interno di ciascun settore** % (di riga) dei qualificati di ciascun CFP, distribuiti per settori*** altri settori (edilizia, legno, agricoltura, benessere, amministrazione, punto vendita…) 100 1.2. Dati anagraficiGli 82 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status adottate nell’inchiesta:– 74 (90.2%) maschi e 8 (9.8%) femmine, a fronte del 14.8% nazionale;– 33 (40.2%) hanno fino a 18 anni e 49 (59.8%) vanno dai 19 anni in poi;– 70 (85.4%) autoctoni e 12 (14.6%) di origine migratoria, a fronte del 14.1%nazionale. 1.3. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 44 (53.7%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 23 (28%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado;- 15 (18.3%) non hanno risposto in merito.b) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- 72 (87.8%) a giugno 2010;- 10 (12.2%) a luglio.c) Tipologia del corso:- triennale per 72 (87.8%);- quadriennale per 10 (12.2%).d) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente. 1.4. La posizione degli 82 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta gli 82 qualificati hanno dichiarato (Tav. 2/LIGURIA eGraf. 4 e 5):– 27 (32.9%) di continuare a studiare, a fronte del 32.8% nazionale;– 29 (35.4%) di lavorare, a fronte del 34.5% nazionale;– 15 (18.3%) di non studiare né lavorare, a fronte del 21.3% nazionale;– 11 (13.4%) di fare “altre” attività, a fronte dell’11.4% nazionale. Tav. 2/LIGURIA: SCELTE effettuate dagli 82 ex allievi,distribuiti per CFP e Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (82) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte per CFP e Tot. Liguria*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) 101 Attraverso il confronto tra le scelte effettuate ed i settori di qualifica è statopossibile verificare che (Tav. 3/LIGURIA):– 24 qualificati del settore elettro/elettronico e 3 del settore “altro” hanno sceltodi proseguire gli studi;– 15 qualificati del settore elettro/elettronico, 9 dell’automotive e 5 del settore“altro” hanno scelto di andare subito a lavorare; Graf. 4 - SCELTE per CFP Graf. 5 - SCELTE cfr. REGIONALE/NAZIONALE 102 – 13 qualificati nel settore elettro/elettronico si trovano in condizione di inatti-vità,– degli 11 che hanno fatto “altre” scelte 9 provengono dal settore elettro/elettro-nico. Ai 27 qualificati che hanno proseguito gli studi è stato chiesto in quale ramo:– 9 (33.3%) nel IV anno della IeFP a fronte del 13.2% nazionale;– 5 (18.5%) negli Istituti Tecnici;– 10 (37%) negli Istituti Professionali;– 3 (11.1%) in “altre” strutture formative. 1.5. La condizione occupazionale dei 29 lavoratoriAi 29 qualificati che al momento del monitoraggio hanno dichiarato che sta-vano lavorando è stato chiesto anche in quali settori hanno trovato lavoro. Dal con-fronto tra il numero dei qualificati e quello dei lavoratori, suddivisi per CFP e set-tori occupazionali, si rileva che (cfr. la Tav. 4/LIGURIA e Graf. 6 e 7): Tav. 3/LIGURIA: Distribuzione degli 82 intervistati per SCELTE e SETTORI di QUALIFICA(in Fq. e % di colonna e di riga) LEGENDA: * % (di colonna) degli 82 qualificati distribuiti all’interno di ciascun settore** % (di riga) dei qualificati distribuiti in base alle scelte*** altri settori (edilizia, legno, agricoltura, benessere, amministrazione, punto vendita…)**** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) Tav. 4/LIGURIA: Cfr. (in %) tra singoli CFP e SETTORInel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI LEGENDA: Q=n. QUALIFICATI; L=n. LAVORATORI;* % (di riga) dei qualificati che lavorano**altri settori (edilizia, legno, agricoltura, benessere, amministrazione, punto vendita…) 103 a) stando ai singoli CFP:- 14 (51.9%) qualificati a Genova/Quarto;- 5 (50%) qualificati a Vallecrosia;- 10 (22.2%) qualificati a Genova/Sampierdarena;b) se si guarda invece all’andamento interno ai settori:- 9 (81.8%) nel settore automotive, a fronte del 49.5% nazionale;- 5 (31.2%) a Genova/Quarto, 10 (22.2%) a Genova/Sampierdarena nell’e-lettro/elettronico, a fronte del 18.9% nazionale;- 5 (50%) a Vallecrosia nel settore “altro”. Graf. 6 - LAVORATORI per CFP e per SETTORI Graf. 7 - Cfr. Tot. REGIONALE/NAZIONALE nel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI 104 Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, successi-vamente si è voluto sapere:a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFP e quanti l’hanno trovato in questomodo:- 11 (13.4%) si sono rivolti al CFP, a fronte del 13.8% nazionale,- 9 (81.8%) hanno trovato lavoro grazie al proprio CFP, a fronte dell’87.8%nazionale;b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 18 (62.1%) nei primi tre mesi, a fronte del 58.4% nazionale;- 8 (27.6%) entro sei mesi e 3 (10.3%) entro un anno;c) la tipologia contrattuale:- 11 (37.9%) nell’apprendistato, a fronte del 44.2% nazionale;- 8 (27.6%) assunti con contratto a tempo determinato, a fronte del 23.2% na-zionale;- 6 (20.7%) assunti con contratto a tempo indeterminato, a fronte del 7.5% na-zionale;- 4 (13.8%) con contratto atipico, a fronte del 26.1% nazionale.Anche nei confronti di quest’ultima serie di dati è stata avvertita l’esigenza diindividuare in quali settori sono state attuate le diverse forme contrattuali:– a Genova/Quarto i 14 lavoratori appaiono così suddivisi: dei 9 del settore auto-motive, 4 nell’apprendistato, 2 a tempo determinato, 2 a tempo indeterminato e1 con contratto atipico; mentre degli altri 5 del settore elettro/elettronico, 2 nel-l’apprendistato, 2 a tempo determinato e 1 a tempo indeterminato;– a Genova/Sampierdarena, dei 10 lavoratori tutti del settore elettro/elettronico,4 nell’apprendistato, 2 a tempo determinato, 2 a tempo indeterminato e altri 2con contratto atipico;– a Vallecrosia, dei 5 lavoratori nei settori “altri”, 1 nell’apprendistato 2 con con-tratto a tempo determinato, 1 a tempo indeterminato ed 1 con contratto atipico.28 (96.6%) lavoratori hanno ottenuto un lavoro coerente con la qualifica con-seguita. 2. Sintesi conclusiva: confronto dati regionali-nazionali e tra singoli CFP, punti di forza e di criticità 2.1. Il confronto tra dati regionali-nazionalia) Per quanto riguarda i dati anagrafici si osserva una presenza di 19enni del59.8% a fronte del 37.9% nazionale.b) In merito alle scelte post-qualifica, si rileva che:- il 32.9% dei qualificati ha scelto di continuare a studiare, a fronte del 32.8%nazionale; 105 - il 35.4% ha scelto di andare subito a lavorare, a fronte del 34.5% nazionale;- il 18.3% non studia né lavora, a fronte del 21.3% nazionale;- il 13.4% ha fatto altre scelte, a fronte dell’11.4% nazionale.c) Rispetto ai settori occupazionali e alla posizione lavorativa, va evidenziato:- una piena coerenza tra la qualifica conseguita ed i settori in cui i 29 ex allievihanno trovato un lavoro;- il 62.1% ha trovato lavoro entro tre mesi e degli 11 che si sono rivolti al pro-prio CFP per trovare lavoro 9 lo hanno effettivamente trovato;- il 27.6% dei lavoratori è stato assunto con contratto a tempo determinato, afronte del 22.9% nazionale e il 20.7% con l’indeterminato, a fronte del 7.4%nazionale. 2.2. Il confronto tra singoli CFPa) Sui dati anagrafici si distinguono:- Genova/Quarto e Sampierdarena per avere solo maschi;- Genova/Sampierdarena e Vallecrosia per avere il 70% circa dei propri quali-ficati con un’età che va dai 19 anni in poi.b) In merito al percorso formativo, si rileva che:- a Genova/Quarto e a Vallecrosia provengono tutti dalla scuola secondaria di1° grado;- a Genova/Sampierdarena un terzo proviene dalla scuola secondaria di 2°grado.c) Per quanto riguarda l’occupazione:- Genova/Quarto e Vallecrosia si distinguono per aver inserito nel mondo dellavoro la metà dei propri qualificati tutti negli stessi settori di qualifica. 3. Dati per singoli CFP 3.1. GENOVA/QUARTOSono stati intervistati complessivamente 27 qualificati, che rappresentano il32.9% regionale e l’1% del totale.3.1.1. Dati anagraficiI 27 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status:– tutti maschi;– 13 (48.1%) hanno fino a 18 anni e 14 (51.9%) vanno dai 19 anni in poi;– 21 (77.8%) autoctoni e 6 (22.2%) di origine migratoria, questi ultimi a frontedel 14.6% regionale e del 14.1% nazionale. 106 3.1.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 15 (55.6%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 6 (22.2%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado;- 6 (22.2%) non hanno risposto in merito.b) Qualifica acquisita al termine del corso di IeFP (cfr. Tav. 1/LIGURIA e Graf. 3):- 16 (59.3%) nel settore elettro/elettronico;- 11 (40.7%) nel settore automotive.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- triennale per tutti.e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente.3.1.3. La posizione dei 27 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 27 qualificati hanno dichiarato (cfr. Tav. 1/Ge-nova/Quarto e Graf. 8):– 9 (33.3%) di continuare a studiare, a fronte del 32.9% regionale e 32.8% na-zionale;– 14 (51.8%) di lavorare, a fronte del 35.4% regionale e 34.5% nazionale;– 2 (7.4%) di non studiare né lavorare, a fronte del 18.3% regionale e 21.3% na-zionale;– 2 (7.4%) di aver fatto “altre” scelte, a fronte del 13.4% regionale e 11.4% na-zionale.A seguito di questa prima domanda, ai 9 che hanno proseguito gli studi è statochiesto in quale ramo:– 3 (33.3%) negli Istituti Tecnici;– 4 (44.%) negli Istituti Professionali;– 1 (11.1%) nella IeFP;– 1 (11.1%) in altre strutture formative. Tav. 1/Genova/Quarto: SCELTE effettuate dai 27 intervistati di Genova/Quartoe cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (82) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte degli 27 qualificati*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) 107 Nell’intento di verificare quanto hanno influito i settori di qualifica nel deter-minare le successive scelte, attraverso ulteriori analisi è stato possibile verificareche:– 9 nel settore elettro/elettronico hanno scelto di continuare a studiare;– 9 nel settore automotive e 5 nel settore elettro/elettronico hanno scelto di an-dare subito a lavorare;– entrambi questi due settori hanno influito (1 per parte) sia sull’inattività chenella scelta di “altre” soluzioni.3.1.4. La condizione occupazionale dei 14 lavoratoriAi 14 (51.8%) qualificati che hanno dichiarato che stavano già lavorando suc-cessivamente è stato chiesto in quali settori hanno trovato lavoro (cfr. Tav. 2/ Ge-nova/ Quarto e Graf. 9):– 9 nel settore automotive: essi rappresentano l’81.8% dei qualificati di Ge-nova/Quarto che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di quali-fica, a fronte di una stessa quota a livello regionale e del 49.5% nazionale e il64.3% degli ex allievi di questo CFP che hanno trovato lavoro;– 5 nel settore elettro/elettronico: essi rappresentano il 31.2% dei qualificati diGenova/Quarto che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di quali-fica, a fronte del 24.6% regionale e del 18.9% nazionale e il 35.7% degli ex al-lievi di questo CFP che hanno trovato lavoro.Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, successi-vamente si è voluto sapere:a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFP e quanti l’hanno trovato in questomodo:- 6 (22.2%) qualificati di Genova/Quarto si sono rivolti al CFP; Graf. 8 - Genova/Quarto: SCELTE cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 108 - di questi, 5 (83.3%) hanno trovato lavoro grazie al proprio CFP, a frontedell’81.8% regionale e dell’87.8% nazionale;b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 11 (78.6%) nei primi tre mesi, a fronte del 62.1% regionale e del 58.4% na-zionale;- 3 (21.4%) entro sei mesi;c) la tipologia contrattuale:- 6 (42.9%) nell’apprendistato, a fronte del 37.9% regionale e del 44.2% na-zionale;- 4 (28.6%) assunti con contratto a tempo determinato, a fronte del 27.6% re-gionale e del 23.2% nazionale;- 3 (21.4%) assunti con contratto a tempo indeterminato, a fronte del 20.7%regionale e del 7.5% nazionale;- 1 (7.1%) con contratto atipico, a fronte del 13.8% regionale e del 26.1% na-zionale. Tav. 2/ Genova/Quarto: Cfr. (in %) con Tot. REGIONALE/NAZIONALEnel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI per SETTORI LEGENDA: Q=n. QUALIFICATI; L=n. LAVORATORI;* % (di riga) dei qualificati che lavorano Graf. 9 - Genova/Quarto: SETTORI OCCUPAZIONALI cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 109 Nell’analizzare l’incidenza dei settori occupazionali nel favorire l’ingresso deiqualificati nel mondo del lavoro, e a quali condizioni, si evince che a Genova/Quarto:– il settore automotive ha assunto tutti e 9 i lavoratori entro tre mesi, di questi, 4nell’apprendistato, 2 a tempo determinato, altri 2 a tempo indeterminato e 1con contratto atipico;– dei 5 dell’elettro/elettronico, 2 hanno trovato lavoro entro tre mesi e 3 entro seimesi; di questi, 2 nell’apprendistato, 2 a tempo determinato e 1 a tempo inde-terminato. 3.2. GENOVA/SAMPIERDARENASono stati intervistati complessivamente 45 qualificati, che rappresentano il54.9% regionale e l’1.7% del totale.3.2.1. Dati anagraficiI 45 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status:– tutti maschi;– 17 (37.8%) hanno fino a 18 anni e 28 (62.2%) vanno dai 19 anni in poi;– 41 (91.1%) autoctoni e 4 (8.9%) di origine migratoria, questi ultimi a frontedel 14.6% regionale e del 14.1% nazionale.3.2.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 23 (51.1%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 14 (31.1%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado;- 8 (17.8%) non hanno risposto in merito.b) Qualifica acquisita al termine del corso di IeFP (cfr. Tav. 1/LIGURIA e Graf. 3):- tutti nel settore elettro/elettronico.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- 35 (77.8%) a giugno 2010;- 10 (22.2%) a luglio.d) Tipologia del corso:- per 35 (77.8%) triennale;- per 10 (22.2%) quadriennale.e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente.3.2.3. La posizione dei 45 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 45 qualificati hanno dichiarato (cfr. Tav. 1/Genova/Sampierdarena e Graf. 10): 110 – 15 (33.3%) di continuare a studiare, a fronte del 32.9% regionale e 32.8% na-zionale;– 10 (22.2%) di lavorare, a fronte del 35.4% regionale e 34.5% nazionale;– 12 (26.7%) di non studiare né lavorare, a fronte del 18.3% regionale e 21.3%nazionale;– 8 (17.8%) aver fatto altre scelte, a fronte del 13.4% regionale e 11.4% nazio-nale. A seguito di questa prima domanda, ai 15 che hanno proseguito gli studi èstato chiesto in quale ramo:– 7 (46.7%) nel IV anno della IeFP, a fronte del 33.3% regionale e del 13.1% na-zionale;– 5 (33.3%) negli Istituti Professionali;– 1 (6.7%) negli Istituti Tecnici;– 2 (13.3%) in altre strutture formative. Tav. 1/Genova/Sampierdarena: SCELTE effettuate dai 45 intervistati di Genova/Sampierdarenae cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (82) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte degli 45 qualificati*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) Graf. 10 - Genova/Sampierdarena: SCELTE cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 111 3.2.4. La condizione occupazionale dei 10 lavoratoriAttraverso la Tav. 2 si evince che tutti e 10 hanno trovato lavoro nello stessosettore di qualifica, a fronte del 24.6% regionale e 18.3% nazionale. Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, successi-vamente si è voluto sapere:a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFP e quanti l’hanno trovato in questomodo:- 4 (8.9%) qualificati si sono rivolti al proprio CFP;- tutti hanno trovato lavoro grazie al CFP;b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 6 (60%) nei primi tre mesi, a fronte del 62.1% regionale e del 58.4% nazio-nale;- 2 entro sei mesi e 2 entro un anno;c) la tipologia contrattuale:- 4 (40%) nell’apprendistato, a fronte del 37.9% regionale e del 44.2% nazio-nale;- 2 (20%) con contratto a tempo determinato, a fronte del 27.6% regionale edel 23.2% nazionale;- 2 (20%) con contratto a tempo indeterminato, a fronte del 20.7% regionale edel 7.5% nazionale;- 2 (20%) con contratto atipico, a fronte del 13.8% regionale e del 26.1% na-zionale. 3.3. VALLECROSIASono stati intervistati complessivamente 10 qualificati, che rappresentano il12.2% regionale e lo 0.4% del totale.3.3.1. Dati anagraficiI 10 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status: Tav. 2/Genova/Sampierdarena: Cfr. (in %) con Tot. REGIONALE/NAZIONALEnel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI per SETTORI LEGENDA: Q=n. QUALIFICATI; L=n. LAVORATORI;* % (di riga) dei qualificati che lavorano 112 – 2 maschi e 8 femmine (80%), a fronte del 9.8% regionale e del 14.8% nazionale;– 3 hanno fino a 18 anni e 7 vanno dai 19 anni in poi;– 8 autoctoni e 2 di origine migratoria.3.3.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 6 provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 3 hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2° grado;- 1 non ha risposto in merito.b) Qualifica acquisita al termine del corso di IeFP (cfr. Tav. 1/LIGURIA e Graf. 3):- tutti nel settore “altro”.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- triennale per tutti.e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente.3.2.3. La posizione dei 10 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 10 qualificati hanno dichiarato (cfr. Tav. 1/Valle-crosia e Graf. 11):– 3 (30%) di continuare a studiare, a fronte del 32.9% regionale e 32.8% nazionale;– 5 (50%) di lavorare, a fronte del 35.4% regionale e 34.5% nazionale;– 1 (10%) di non studiare né lavorare, a fronte del 18.3% regionale e 21.3% na-zionale;– 1 (10%) di aver fatto altre scelte, a fronte del 13.4% regionale e 11.4% nazio-nale. Dei 3 che hanno proseguito gli studi:– 1 nel IV anno della IeFP;– 1 negli Istituti Tecnici;– 1 negli Istituti Professionali. Tav. 1/Vallecrosia: SCELTE effettuate dai 10 intervistati di Vallecrosiae cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (82) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte degli 10 qualificati*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) 113 3.3.4. La condizione occupazionale dei 5 lavoratoriTutti e 5 hanno trovato lavoro nello stesso settore di qualifica. Dalle successiveinformazioni, è emerso che:– 1 si è rivolto al proprio CFP per trovare lavoro;– 4 hanno trovato lavoro entro sei mesi;– 2 hanno trovato lavoro a tempo determinato, 1 a tempo indeterminato, 1 concontratto di apprendistato e 1 con contratto atipico. Graf. 11 - Vallecrosia: SCELTE cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 114 LOMBARDIA: 283 intervistati = 10.8% del totale (2609) 1. Lo scenario regionale 1.1. ContestualizzazioneIn Lombardia sono stati intervistati complessivamente 283 qualificati, i qualirappresentano il 10.8% del totale (Graf. 1). A loro volta i 283 qualificati appartengono ai 4 CFP della Regione e sono cosìdistribuiti (Graf. 2):– 88 ad Arese (31.1%);– 35 a Brescia (12.4%);– 93 a Milano (32.9%);– 67 a Sesto S. Giovanni (23.6%). Graf. 1 - QUALIFICATI in LOMBARDIA Graf. 2 - QUALIFICATI per CFP 115 I 283 qualificati sono così distribuiti, rispetto ai settori di qualifica (Graf. 3):– 98 (34.6%) nel settore elettro/elettronico, a fronte del 29.6% nazionale;– 84 (29.7%) nel settore grafico, a fronte del 13.6% nazionale;– 75 (26.5%) nella meccanica industriale, a fronte del 27.8% nazionale;– 19 (6.7%) nel settore automotive, a fronte del 7.4% nazionale;– 7 (2.5%) in “altri” settori, a fronte del 12.1% nazionale. Graf. 3 - QUALIFICATI per SETTORI Una ulteriore lettura dei dati prodotta dall’incrocio tra i singoli CFP ed i set-tori permette di evidenziare alcuni trend caratteristici degli intervistati (Tav. 1/LOM-BARDIA): – i 19 qualificati del settore automotive si trovano tutti ad Arese e così i 7 delsettore “altro”;– nel settore elettro/elettronico sono presenti i qualificati di tutti e 4 i CFP, di cui42 provengono da Sesto S. Giovanni; Tav. 1/LOMBARDIA: Distribuzione dei 283 QUALIFICATI per CFP e SETTORI(in Fq. e % di colonna e di riga) LEGENDA: * % (di colonna) dei 283 qualificati distribuiti all’interno di ciascun settore** % (di riga) dei qualificati di ciascun CFP, distribuiti per settori*** altri settori (edilizia, legno, agricoltura, benessere, amministrazione, punto vendita…) 116 – nel settore grafico 50 qualificati provengono da Arese e 34 da Milano;– nella meccanica industriale, se si guarda alle percentuali di riga (%**), si ri-scontrano proporzioni simili tra i qualificati di Milano, Brescia e Sesto S. Gio-vanni. 1.2. Dati anagraficiI 283 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status adottate nell’inchiesta:– 260 (91.9%) maschi e 23 (8.1%) femmine, a fronte del 14.8% nazionale;– 156 (55.1%) hanno fino a 18 anni e 127 (44.9%) vanno dai 19 anni in poi;– 256 (90.5%) autoctoni e 27 (9.5%) di origine migratoria, a fronte 14.1% nazio-nale. 1.3. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 182 (64.3%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 77 (27.2%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado;- 24 (8.5%) non hanno risposto in merito.b) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.c) Tipologia del corso:- triennale per 199 (70.3%);- quadriennale per 84 (29.7%).d) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente. 1.4. La posizione dei 283 ex allievi a 1 anno dalla qualifica Tav. 2/LOMBARDIA: SCELTE effettuate dai 283 ex allievi,distribuiti per CFP e Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (283) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte per CFP e Tot. Lombardia*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) 117 Al momento dell’inchiesta i 283 qualificati hanno dichiarato (Tav. 2/LOM-BARDIA e Graf. 4 e 5):– 119 (42%) di continuare a studiare, a fronte del 32.8% nazionale;– 94 (33.2%) di lavorare, a fronte del 34.5% nazionale; – 51 (18%) di non studiare né lavorare, a fronte del 21.3% nazionale;– 19 (6.8%) di aver fatto “altre” scelte, a fronte dell’11.4% nazionale.Attraverso il confronto tra le scelte effettuate ed i settori di qualifica è statopossibile verificare che (Tav. 3/LOMBARDIA):– 42 qualificati del settore elettro/elettronico, 33 del grafico e 44 della mecca-nica industriale hanno scelto di proseguire gli studi; Graf. 4 - SCELTE per CFP Graf. 5 - SCELTE cfr. REGIONALE/NAZIONALE 118 – 36 qualificati del settore elettro/elettronico, 25 della meccanica industriale, 20 delsettore grafico e 12 dell’automotive hanno scelto di andare subito a lavorare;– 14 qualificati nel settore elettro/elettronico, 25 nel settore grafico, 6 nella mecca-nica industriale e 2 dell’automotive si trovano in una condizione di inattività;– 12 del settore elettro/elettronico e 12 del grafico hanno fatto “altre” scelte. Ai 119 che hanno proseguito gli studi è stato chiesto in quale ramo:– 74 (62.2%) nel IV anno della IeFP, a fronte del 13.1% nazionale;– 25 (21%) negli Istituti Tecnici;– 17 (14.3%) negli Istituti Professionali;– 3 (2.5%) in altre strutture formative. 1.5. La condizione occupazionale dei 94 lavoratoriA 1 anno dalla qualifica 94 (33.2%) ex allievi hanno trovato lavoro. Stando aidati per singoli CFP la proporzione tra qualificati e lavoratori è (Tav. 4/LOM-BARDIA):– 30 (34.1%) Arese;– 28 (30.1%) Milano;– 19 (28.3%) Sesto S. Giovanni;– 17 (48.6%) Brescia.Ai 94 che al momento del monitoraggio hanno dichiarato che stavano lavo-rando è stato chiesto anche in quali settori hanno trovato lavoro (cfr. Tav. 4/LOM-BARDIA, Graf. 6 e 7) si rileva che:a) stando ai CFP:- ad Arese 6 (50%) qualificati nel grafico hanno trovato lavoro nello stessosettore;- Brescia ha collocato nell’elettro/elettronico e nella meccanica industriale il40% circa dei suoi qualificati di questi stessi settori; Tav. 3/LOMBARDIA: Distribuzione dei 283 per SCELTE e SETTORI di QUALIFICA(in Fq. e % di colonna e di riga) LEGENDA: * % (di colonna) dei 283 qualificati distribuiti all’interno di ciascun settore** % (di riga) dei qualificati distribuiti in base alle scelte*** altri settori (edilizia, legno, agricoltura, benessere, amministrazione, punto vendita…)**** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) 119 - a Milano e Sesto S. Giovanni la quota dei qualificati-occupati negli stessisettori si attesta attorno al 20%-25% per il settore elettro/elettronico e gra-fico, mentre per la meccanica industriale la quota è 35.3% a Milano e 24% aSesto S. Giovanni;b) stando all’andamento complessivo dei vari settori occupazionali:- 8 (42.1%) dei qualificati nel settore automotive hanno trovato lavoro nellostesso settore;- 29 (29.6%) nell’elettro/elettronico hanno trovato lavoro nello stesso settore;- 12 (14.3%) nel grafico hanno trovato lavoro nello stesso settore;- 28 (37.3%) nella meccanica industriale hanno trovato lavoro nello stessosettore;- nel settore occupazionale “altro” hanno trovato lavoro 17 qualificati dei set-tori tradizionali. Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, successi-vamente si è voluto sapere:a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFP e quanti l’hanno trovato in questomodo:- 53 (18.7%) qualificati si sono rivolti al CFP, a fronte del 13.8% nazionale;- di questi, 50 (94.3%) hanno trovato lavoro grazie al proprio CFP, a frontedell’87.8% nazionale;b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 63 (63.9%) nei primi tre mesi, a fronte del 58.4% nazionale;- 13 (13.4%) entro sei mesi- 21 (22.7%) entro un anno; Tav. 4/LOMBARDIA: Cfr. (in %) tra singoli CFP e SETTORInel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI LEGENDA: Q=n. QUALIFICATI; L=n. LAVORATORI;* % (di riga) dei qualificati che lavorano** altri settori (edilizia, legno, agricoltura, benessere, amministrazione, punto vendita…)( ) Si fa osservare che i numeri tra ( ) che si trovano nella colonna “L” stanno ad indicare quei lavoratori chehanno trovato un’occupazione in settori diversi dalla qualifica conseguita 120 c) la tipologia contrattuale:- 38 (39.2%) nell’apprendistato, a fronte del 44.2% nazionale;- 25 (25.8%) assunti con contratto a tempo determinato, a fronte del 23.2% na-zionale;- 19 (19.6%) con contratto atipico, a fronte del 26.1% nazionale;- 12 (12.4%) assunti con contratto a tempo indeterminato, a fronte del 7.5%nazionale. Graf. 6 - LAVORATORI per CFP e per SETTORI Graf. 7 - Cfr. Tot. REGIONALE/NAZIONALE nel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI 121 Anche nei confronti di quest’ultima serie di dati è stata avvertita l’esigenza diindividuare quali settori hanno favorito l’ingresso dei qualificati in tempi brevi nelmondo del lavoro e a quali condizioni contrattuali:a) nel primo caso di evince che a favorire l’ingresso nei primi tre mesi sono statitutti i settori e in percentuale superiore la meccanica industriale (78.6%);b) quanto alla forma contrattuale, si rileva che:- l’apprendistato è stato adottato inmisura percentualmente superiore, rispetto al39.2% regionale, nei settori automotive (50%) ed elettro/elettronico (58.6%);- i contratti a tempo determinato, per il 41.7% nel settore grafico, a fronte del25.8% regionale;- i contratti a tempo indeterminato, per il 32.1% nella meccanica industriale, afronte del 12.4% regionale;- i contratti atipici per il 52.9% nei settori “altri”, a fronte del 19.6% regionale. 2. Sintesi conclusiva: confronto dati regionali-nazionali e tra singoli CFP, punti di forza e di criticità 2.1. Il confronto tra dati regionali-nazionalia) Per quanto riguarda i dati anagrafici si osserva, contestualmente al totale na-zionale:- una minore presenza della componente femminile pari all’8.1%, a fronte del14.8% nazionale e di ex allievi di origine migratoria pari al 9.5%, a frontedel 14.1% nazionale;- una maggiore presenza di soggetti 19enni pari al 44.9%, a fronte del 37.9%nazionale.b) In merito alle scelte post-qualifica, si rileva che:- il 42% ha scelto di proseguire gli studi, a fronte del 32.8% nazionale, prefe-renza che a sua volta è stata decisamente convogliata nel 63.8% dei casi ri-spetto al 13.2% nazionale, nel IV anno della IeFP;- il 18% di soggetti al momento dell’inchiesta si trovava in una condizione diinattività, a fronte del 21.3% nazionale e il 6.8% aveva fatto “altre” scelte, afronte dell’11.4% nazionale;- il 33.2% ha deciso di andare subito a lavorare, a fronte del 34.5% nazionale.c) Rispetto ai settori occupazionali e alla posizione lavorativa, va evidenziatoche:- 17 (18.1%) hanno trovato un lavoro non coerente con la qualifica conseguita,a fronte del 32.3% nazionale;- 77 (81.9%) hanno conseguito l’obiettivo di far coincidere la propria carrieraprofessionale con le competenze acquisite;- il 63.9% ha trovato lavoro subito o al massimo entro tre mesi; 122 - la tipologia dei contratti con cui i 94 sono stati assunti presenta i seguenti dati:25.8% a tempo determinato, a fronte del 22.9% nazionale, 12.4% a tempo inde-terminato, a fronte del 7.4% nazionale, 19.6% con contratti atipici, a fronte del24.6% nazionale e 39.2% nell’apprendistato, a fronte del 43.8% nazionale. 2.2. Il confronto tra singoli CFPa) Sui dati anagrafici si distinguono:- Arese per avere nel proprio gruppo di intervistati il maggior numero di ra-gazze (20 su 23);- Milano per avere nel proprio gruppo il maggior numero di intervistati di ori-gine migratoria (15 su 27);- Brescia e Sesto S. Giovanni per avere solo maschi.b) In merito al percorso formativo, si rileva che:- ad Arese si trovano tutti e 19 i qualificati del settore automotive, tutti e 7quelli del settore altro e 50 del settore grafico; in questo CFP si trovano 27qualificati che sono in una condizione di inattività;- a Milano 37 hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado; 43 qualificati hanno scelto di continuare gli studi, di cui 30 (68.9%)nel IV anno della IeFP;- a Sesto San Giovanni si trovano 40 qualificati che hanno scelto di continuaregli studi, di cui 30 (75%) nel IV anno della IeFP;c) Per quanto riguarda l’occupazione si evidenziano:- Milano per aver inserito nel grafico 7 (58.3%) qualificati;- Brescia per aver collocato il 48.6% a fronte del 33.2% regionale e 34.5% na-zionale. 3. Dati per singoli CFP 3.1. ARESEAd Arese sono stati intervistati 88 qualificati, che rappresentano il 31.1% deldato regionale e il 3.4% del totale.3.1.1. Dati anagraficiGli 88 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status:– 68 (77.3%) maschi e 20 (22.7%) femmine, a fronte dell’8.1% regionale e del14.8% nazionale;– 49 (55.7%) hanno fino a 18 anni e 39 (44.3%) vanno dai 19 anni in poi;– 80 (90.9%) autoctoni e 8 (9.1%) di origine migratoria, questi ultimi a frontedel 9.5% regionale e del 14.1% nazionale. 123 3.1.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 59 (66.4%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 18 (20.5%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado;- 11 (12.5%) non hanno risposto in merito.b) Qualifica acquisita al termine del corso di IeFP (cfr. Tav. 1/LOMBARDIA eGraf. 3):- 50 (56.8%) nel settore grafico;- 19 (21.6%) nell’automotive;- 12 (13.6%) nel settore elettro/elettronico;- 7 (8%) nel settore “altro”.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- triennale per 58 (65.9%);- quadriennale per 30 (34.1%).e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente.3.1.3. La posizione degli 88 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta gli 88 qualificati hanno dichiarato (cfr. Tav. 1/Aresee Graf. 8): Tav. 1/Arese: SCELTE effettuate dagli 88 intervistati di Aresee cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (283) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte degli 88 qualificati*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) – 23 (26.2%) di continuare a studiare, a fronte del 42% regionale e 32.8% nazio-nale;– 30 (34.1%) di lavorare, a fronte del 33.2% regionale e 34.5% nazionale;– 27 (30.7%) di non studiare né lavorare, a fronte del 18% regionale e 21.3%nazionale;– 8 (9.1%) di aver fatto “altre” scelte, a fronte del 6.8% regionale e 11.4% nazio-nale. 124 A seguito di questa prima domanda, ai 23 che hanno proseguito gli studi èstato chiesto in quale ramo:– 12 (57.1%) nel IV anno della IeFP, a fronte del 62.2% regionale e del 13.2%nazionale;– 4 (19%) negli Istituti Tecnici;– 5 (23.8%) negli Istituti Professionali;– 2 (8.7%) in altre strutture formative. Nell’intento di verificare quanto hanno influito i settori di qualifica nel deter-minare le successive scelte, attraverso ulteriori analisi è stato possibile verificareche:– 18 qualificati nel settore grafico hanno scelto di continuare gli studi;– 12 qualificati nel settore automotive, 9 nell’elettro/elettronico e 8 nel graficohanno scelto di andare subito a lavorare;– 20 nel settore grafico si trovano in una condizione di inattività;– degli 8 che hanno fatto “altre” scelte, 4 sono dell’automotive e 4 del grafico.3.1.4. La condizione occupazionale dei 30 lavoratoriAi 30 (34.6%) qualificati che hanno dichiarato che stavano già lavorando suc-cessivamente è stato chiesto in quali settori hanno trovato lavoro (cfr. Tav. 2/Aresee Graf. 9):– 7 nel settore automotive: essi rappresentano il 36.8% dei qualificati di Areseche hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qualifica, a fronte del Graf. 8 - Arese: SCELTE cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 125 Graf. 9 - Arese: SETTORI cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 42.1% regionale e del 49.5% nazionale e il 23.3% degli ex allievi di questoCFP che hanno trovato lavoro;– 6 nel settore elettro/elettronico: essi rappresentano il 50% dei qualificati diArese che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qualifica, afronte del 29.6% regionale e del 18.9% nazionale e il 20% degli ex allievi diquesto CFP che hanno trovato lavoro;– 5 nel settore grafico: essi rappresentano il 50% dei qualificati di Arese chehanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qualifica, a fronte del14.3% regionale e del 9.6% nazionale e il 16.7% degli ex allievi di questo CFPche hanno trovato lavoro;– 12 (40%) sono occupati 4 nel turistico-alberghiero e 8 in settori “altri”. Tav. 2/Arese: Cfr. (in %) con Tot. REGIONALE/NAZIONALEnel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI per SETTORI LEGENDA: Q=n. QUALIFICATI; L=n. LAVORATORI;* % (di riga) dei qualificati che lavorano** altri settori (edilizia, legno, agricoltura, benessere, amministrazione, punto vendita…)( ) Si fa osservare che i numeri tra ( ) che si trovano nella colonna “L” stanno ad indicare quei lavoratori chehanno trovato un’occupazione in settori diversi dalla qualifica conseguita 126 Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, successi-vamente si è voluto sapere:a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFP e quanti l’hanno trovato in questomodo:- 15 (17%) qualificati si sono rivolti al CFP;- di questi, 14 (93.3%) hanno trovato lavoro grazie al proprio CFP, a fronte del94.3% regionale e dell’87.8% nazionale;b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 19 (59.4%) nei primi tre mesi, a fronte del 63.9% regionale e del 58.4% na-zionale;- 6 (18.8%) entro sei mesi e 5 (15.6%) entro un anno;c) la tipologia contrattuale:- 12 (37.5%) nell’apprendistato, a fronte del 39.2% regionale e del 44.2% na-zionale;- 11 (34.4%) con contratto a tempo determinato, a fronte del 25.8% regionalee del 23.2% nazionale;- 7 (21.9%) con contratti atipici, a fronte del 19.6% regionale e del 26.1% na-zionale.Nell’analizzare l’incidenza dei settori occupazionali nel favorire l’ingressodei qualificati nel mondo del lavoro e a quali condizioni, ad Arese (diversamentedal dato regionale) non si rilevano particolari differenze sia nel favorire l’ingressosubito o al massimo entro tre mesi, sia nell’offrire le diverse condizioni contrat-tuali. 3.2. BRESCIAA Brescia sono stati intervistati 35 qualificati, che rappresentano il 12.4% deldato regionale e l’1.3% del totale.3.2.1. Dati anagraficiI 35 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status:– tutti maschi;– 21 (il 60%) hanno fino a 18 anni e 14 (40%) vanno dai 19 anni in poi;– 1 (2.3%) è di origine migratoria, 34 (97.1%) sono autoctoni.3.2.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 22 (62.9%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 9 (25.7%) da uno o più anni di frequenza in una scuola secondaria di 2°grado;- 4 (11.4%) non hanno risposto in merito. 127 b) Qualifica acquisita al termine del corso di IeFP (cfr. Tav. 1/LOMBARDIA eGraf. 3):- 19 (54.3%) nel settore elettro/elettronico;- 16 (45.7%) nella meccanica industriale.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- triennale per tutti.e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente.3.2.3. La posizione dei 35 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 35 qualificati hanno dichiarato (Tav. 1/Brescia eGraf. 10):– 13 (37.1%) di continuare a studiare, a fronte del 42% regionale e 32.8% nazio-nale;– 17 (48.6%) di lavorare, a fronte del 33.2% regionale e 34.5% nazionale;– 3 (8.6%) di non studiare né lavorare, a fronte del 18% regionale e 21.3% na-zionale;– 2 (5.8%) di aver fatto “altre” scelte, a fronte del 6.8% regionale e 11.4% nazio-nale. A seguito di questa prima domanda, ai 13 che hanno proseguito gli studi èstato chiesto in quale indirizzo:– 2 (15.4%) nel IV anno della IeFP, a fronte del 62.2% regionale e del 13.2% na-zionale, preferenza che scaturisce soprattutto dai qualificati nel settore dellameccanica industriale;– 4 (30.8%) negli Istituti Tecnici;– 7 (53.8%) negli Istituti Professionali. Tav. 1/Brescia: SCELTE effettuate dai 35 intervistati di Bresciae cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati in Lombardia (283) e a livello nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte dei 35 qualificati*** altre scelte (altri corsi di FP, corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) 128 Graf. 10 - Brescia: SCELTE cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE Nell’intento di verificare quanto hanno influito i settori di qualifica nel deter-minare tali scelte, attraverso ulteriori analisi è stato possibile verificare che:– 8 nel settore della meccanica industriale e 5 nell’elettro/elettronico hannoscelto di continuare gli studi;– 11 nell’elettro/elettronico e 6 nella meccanica industriale hanno scelto di an-dare subito a lavorare;– sia sulla condizione di inattività che sulle scelte “altre” in questo caso il pesoappare irrilevante, stando allo scarso numero di soggetti coinvolti.3.2.4. La condizione occupazionale dei 17 lavoratoriAi 17 (il 48.6%) qualificati che hanno dichiarato che stavano già lavorando èstato chiesto in quali settori hanno trovato lavoro (Tav. 2/Brescia e Graf. 11): Tav. 2/Brescia: Cfr. (in %) con Tot. REGIONALE/NAZIONALEnel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI per SETTORI LEGENDA: Q=n. QUALIFICATI; L=n. LAVORATORI;* % (di riga) dei qualificati che lavorano** altri settori (edilizia, legno, agricoltura, benessere, amministrazione, punto vendita…)( ) Si fa osservare che i numeri tra ( ) che si trovano nella colonna “L” stanno ad indicare quei lavoratori chehanno trovato un’occupazione in settori diversi dalla qualifica conseguita 129 – 8 nel settore elettro/elettronico: essi rappresentano il 42.1% dei qualificati diBrescia che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qualifica, afronte del 42.1% regionale e del 49.5% nazionale e il 47.1% degli ex allievi diquesto CFP che hanno trovato lavoro;– 6 nella meccanica industriale: essi rappresentano il 37.5% dei qualificati diBrescia che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qualifica, afronte del 42.1% regionale e del 49.5% nazionale e il 35.3% degli ex allievi diquesto CFP che hanno trovato lavoro;– 3 hanno trovato lavoro in settori “altri”. Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo dei quali-ficati che lavorano, successivamente si è voluto sapere:a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFP e quanti l’hanno trovato in questomodo:- 6 (17.1%) dei qualificati di Brescia si sono rivolti al CFP;- tutti e 6 hanno trovato lavoro grazie al proprio CFP;b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 13 (76.5%) nei primi tre mesi, a fronte del 63.9% regionale e del 58.4% na-zionale;- 2 entro sei mesi e 2 entro un anno;c) la tipologia contrattuale:- 8 (47.1%) nell’apprendistato, a fronte del 39.2% regionale e del 44.2% na-zionale;- 5 (29.4%) con contratto a tempo indeterminato, a fronte del 12.4% regionalee del 7.5% nazionale; Graf. 11 - Brescia: SETTORI cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 130 - 3 (17.6%) con contratto atipico, a fronte del 19.6% regionale e del 26.1% na-zionale;- 1 (5.9%) assunto a tempo determinato, a fronte del 25.8% regionale e del23.2% nazionale.Nell’analizzare l’incidenza dei settori occupazionali nel favorire l’ingresso deiqualificati nel mondo del lavoro e con quali tipologie contrattuali, si evince che aBrescia, in merito all’inserimento entro tre mesi, ha contribuito soprattutto il set-tore della meccanica industriale, mentre nella contrattazione l’elettro/elettronico sidistingue per il ricorso all’apprendistato e la meccanica industriale per i contratti atempo indeterminato.L’82.3% dei qualificati ha ottenuto un lavoro coerente con la qualifica conse-guita. 3.3. MILANOA Milano sono stati intervistati 93 qualificati, che rappresentano il 32.9% deldato regionale e il 3.6% del totale.3.3.1. Dati anagraficiI 93 qualificati presentano le seguenti caratteristiche:– 90 maschi (96.8%) e 3 femmine (3.2%);– 43 (46.2%) hanno fino a 18 anni e 50 (53.8%) vanno dai 19 anni in poi;– 78 (83.9%) autoctoni e 15 (16.1%) di origine migratoria, questi ultimi a frontedel 9.5% regionale e del 14.1% nazionale.3.3.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 49 (52.7%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 37 (39.8%) da uno o più anni di frequenza in una scuola secondaria di 2°grado;- 7 (7.5%) non hanno risposto in merito.b) Qualifica acquisita al termine del corso di IeFP (cfr. Tav. 1/LOMBARDIA eGraf. 3):- 34 (36.6%) nel settore grafico;- 34 (36.6%) nella meccanica industriale;- 25 (26.9%) nel settore elettro/elettronico.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- 57 (61.3%) triennale;- 36 (38.7%) quadriennale.e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente. 131 3.3.3. La posizione dei 93 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 93 qualificati hanno dichiarato (Tav. 1/Milano eGraf. 12):– 43 (46.2%) di continuare a studiare, a fronte del 42% regionale e 32.8% nazionale;– 28 (30.1%) di lavorare, a fronte del 33.2% regionale e 34.5% nazionale;– 14 (15.1%) di non studiare né lavorare, a fronte del 18% regionale e 21.3% na-zionale;– 8 (8.6%) di aver fatto “altre” scelte, a fronte del 6.8% regionale e 11.4% nazio-nale. A seguito di questa prima domanda, ai 43 che hanno proseguito gli studi èstato chiesto in quale indirizzo:– 30 (49.8%) nel IV anno della IeFP, a fronte del 62.2% regionale e del 13.2%nazionale, preferenza che scaturisce per il 90% dalle fila dei qualificati nel set-tore elettro/elettronico;– 11 (25.6%) negli Istituti Tecnici; Tav. 1/Milano: SCELTE effettuate dai 93 intervistati di Milanoe cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati in Lombardia (283) e a livello nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte dei 93 qualificati*** altre scelte (altri corsi di FP, corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) Graf. 12 - SCELTE cfr. Milano con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 132 – 1 (2.3%) negli Istituti Professionali;– 1 (2.3%) in altre strutture formative.Nell’intento di verificare quanto hanno influito i settori di qualifica nel deter-minare tali scelte, attraverso ulteriori analisi è stato possibile verificare che hannoinciso tutti i settori, seppure con diverso peso:– 18 qualificati del settore della meccanica industriale, 15 del grafico e 10 dell’e-lettro/elettronico hanno scelto di continuare gli studi;– 12 qualificati del settore grafico e 11 della meccanica industriale hanno sceltodi andare subito a lavorare;– dei 14 qualificati che non studiano né lavorano, 6 provengono dall’elettro/elet-tronico, 5 dal grafico e 3 dalla meccanica industriale;– degli 8 qualificati che hanno fatto “altre” scelte, 4 sono dell’elettro/elettronico,2 del grafico e 2 della meccanica industriale.3.3.4. La condizione occupazionale dei 28 lavoratoriAi 28 (30.1%) qualificati che hanno dichiarato che stavano già lavorando èstato chiesto in quali settori hanno trovato lavoro (Tav. 2/Milano e Graf. 13):– 5 su 25 nel settore elettro/elettronico: essi rappresentano il 20% dei qualificatidi Milano che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qualifica, afronte del 29.6% regionale e del 18.9% nazionale e il 17.9% degli ex allievi diquesto CFP che hanno trovato lavoro;– 7 su 34 nel settore grafico: essi rappresentano il 20.6% dei qualificati di Mi-lano che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qualifica, afronte del 14.3% regionale e del 9.6% nazionale e il 25% degli ex allievi diquesto CFP che hanno trovato lavoro;– 12 su 34 nella meccanica industriale: essi rappresentano il 35.3% dei qualifi-cati di Milano che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di quali-fica, a fronte del 37.3% regionale e del 38.3% nazionale e il 42.6% degli ex al-lievi di questo CFP che hanno trovato lavoro;– 1 ha trovato lavoro nell’automotive e 3 in settori “altri”.Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo dei quali-ficati che lavorano, successivamente si è voluto sapere:a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFP e quanti l’hanno trovato in questomodo:- 20 (21.5%) dei qualificati di Milano si sono rivolti al CFP;- di questi, 18 (90%) hanno trovato lavoro grazie al proprio CFP, a fronte del94.3% regionale e dell’87.8% nazionale;b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 18 (64.3%) nei primi tre mesi, a fronte del 63.9% regionale e del 58.4% na-zionale;- 2 entro sei mesi e 8 entro un anno; 133 c) la tipologia contrattuale:- 11 (39.3%) nell’apprendistato, a fronte del 39.2% regionale e del 44.2% na-zionale;- 9 (32.1%) assunti con contratto a tempo determinato, a fronte del 25.8% re-gionale e del 23.2% nazionale;- 4 (14.3%) assunti con contratto a tempo indeterminato, a fronte del 12.4%regionale e del 7.5% nazionale;- 4 (14.3%) con contratti atipici, a fronte del 19.6% regionale e del 26.1% na-zionale.Nell’analizzare l’incidenza dei settori occupazionali nel favorire l’ingresso deiqualificati nel mondo del lavoro e con quali tipologie contrattuali, si evince che aMilano, in merito all’inserimento entro tre mesi, ha contribuito soprattutto il settoredella meccanica industriale, e nella contrattazione l’elettro/elettronico per la for-mula dell’apprendistato. Tav. 2/Milano: Cfr. (in %) con Tot. REGIONALE/NAZIONALEnel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI per SETTORI LEGENDA: Q=n. QUALIFICATI; L=n. LAVORATORI;* % (di riga) dei qualificati che lavorano** altri settori (edilizia, legno, agricoltura, benessere, amministrazione, punto vendita…)( ) Si fa osservare che i numeri tra ( ) che si trovano nella colonna “L” stanno ad indicare quei lavoratori chehanno trovato un’occupazione in settori diversi dalla qualifica conseguita Graf. 13 - Milano: SETTORI cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 134 3.4. SESTO S. GIOVANNIA Sesto S. Giovanni sono stati intervistati 67 qualificati, che rappresentano il23.6% del dato regionale e il 2.6% del totale.3.4.1. Dati anagraficiI 67 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status:– tutti maschi;– 43 (64.2%) hanno fino a 18 anni e 24 (35.8%) vanno dai 19 anni in poi;– 3 (4.5%) sono di origine migratoria e 64 (95.5%) sono autoctoni.3.4.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 52 (77.6%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 13 (19.4%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado;- 2 (7.5%) non hanno risposto in merito.b) Qualifica acquisita al termine del corso di IeFP (cfr. Tav. 1/LOMBARDIA e Graf. 3):- 42 (62.7%) nel settore elettro/elettronico;- 25 (37.3%) nella meccanica industriale.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- triennale per 49 (73.1%);- quadriennale per 18 (26.9%).e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente.3.4.3. La posizione dei 67 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 67 qualificati hanno dichiarato (Tav. 1/Sesto S.Giovanni e Graf. 14):– 40 (59.7%) di continuare a studiare, a fronte del 42% regionale e 32.8% nazio-nale;– 19 (28.3%) di lavorare, a fronte del 33.2% regionale e 34.5% nazionale;– 7 (10.4%) di non studiare né lavorare, a fronte del 18% regionale e 21.3% na-zionale;– 1 (1.5%) di fare “altro”, a fronte del 6.8% regionale e 11.4% nazionale.A seguito di questa prima domanda, ai 40 che hanno proseguito gli studi èstato chiesto in quale indirizzo:– 30 (76.9%) nel IV anno della IeFP, a fronte del 62.2% regionale e del 13.2%nazionale; 135 – 6 (15.4%) negli Istituti Tecnici;– 3 (7.7%) negli Istituti Professionali;– 1 (2.5%) in altre strutture formative.Nell’intento di verificare quanto hanno influito i settori di qualifica nel deter-minare tali scelte, attraverso ulteriori analisi è stato possibile verificare che:– 25 dell’elettro/elettronico e 15 della meccanica industriale hanno scelto di pro-seguire gli studi;– 11 dell’elettro/elettronico e 8 della meccanica industriale hanno scelto di an-dare subito a lavorare;– 5 dell’elettro/elettronico e 2 della meccanica industriale non studiano né lavo-rano. 3.4.4. La condizione occupazionale dei 19 lavoratoriAi 19 (28.3%) qualificati che hanno dichiarato che stavano già lavorando è statochiesto in quali settori hanno trovato lavoro (Tav. 2/Sesto San Giovanni. e Graf. 15): Tav. 1/Sesto S. Giovanni: SCELTE effettuate dai 67 intervistati di Sesto S. Giovannie cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati in Lombardia (283) e a livello nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte dei 67 qualificati*** altre scelte (altri corsi di FP, corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) Graf. 14 - Sesto S. Giovanni: SCELTE cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 136 – 10 su 42 nel settore elettro/elettronico: essi rappresentano il 23.8% dei qualifi-cati di Sesto S. Giovanni che hanno trovato un’occupazione nello stesso set-tore di qualifica, a fronte del 29.6% regionale e del 18.9% nazionale e il 52.6%degli ex allievi di questo CFP che hanno trovato lavoro;– 6 su 25 nella meccanica industriale: essi rappresentano il 24% dei qualificatidi Sesto S. Giovanni che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore diqualifica, a fronte del 37.3% regionale e del 38.3% nazionale e il 31.6% degliex allievi di questo CFP che hanno trovato lavoro;– 3 hanno trovato lavoro in settori “altri”. Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo dei quali-ficati che lavorano, successivamente si è voluto sapere:a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFP e quanti l’hanno trovato in questomodo:- 12 (17.9%) qualificati di Sesto S. Giovanni si sono rivolti al CFP;- di questi, 11 (91.7%) hanno trovato lavoro grazie al proprio CFP, a fronte del94.3% regionale e dell’87.8% nazionale;b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 12 (60%) nei primi tre mesi, a fronte del 63.9% regionale e del 58.4% nazio-nale;- 3 entro sei mesi e 4 entro un anno;c) la tipologia contrattuale:- 7 (35%) nell’apprendistato, a fronte del 39.2% regionale e del 44.2% nazionale;- 5 (25%) con contratti atipici, a fronte del 19.6% regionale e del 26.1% nazionale;- 4 (20%) assunti a tempo determinato, a fronte del 25.8% regionale e del23.2% nazionale;- 3 (15%) assunti con contratto a tempo indeterminato, a fronte del 12.4% re-gionale e del 7.5% nazionale. Tav. 2/Sesto S. Giovanni: Cfr. (in %) con Tot. REGIONALE/NAZIONALEnel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI per SETTORI LEGENDA: Q=n. QUALIFICATI; L=n. LAVORATORI;* % (di riga) dei qualificati che lavorano** altri settori (edilizia, legno, agricoltura, benessere, amministrazione, punto vendita…)( ) Si fa osservare che i numeri tra ( ) che si trovano nella colonna “L” stanno ad indicare quei lavoratori chehanno trovato un’occupazione in settori diversi dalla qualifica conseguita 137 Nell’analizzare l’incidenza dei settori occupazionali nel favorire l’ingresso deiqualificati nel mondo del lavoro e con quali tipologie contrattuali, si evince che aSesto S. Giovanni, in merito all’inserimento entro tre mesi, ha contribuito soprat-tutto il settore della meccanica industriale e, nella contrattazione, l’elettro/elettro-nico per la formula dell’apprendistato e la meccanica industriale per i contratti ati-pici. Graf. 15 - Sesto S. Giovanni: SETTORI cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 138 PIEMONTE: 782 intervistati = 30% del totale (2609) 1. Lo scenario regionale 1.1. ContestualizzazioneIn Piemonte sono stati intervistati complessivamente 782 qualificati, i qualirappresentano il 30% del totale (Graf. 1). A loro volta i 782 qualificati appartengono ai 10 CFP della Regione e sonocosì distribuiti (in ordine alfabetico - cfr. Graf. 2, in graduatoria numerica):– 37 ad Alessandria (4.7%);– 91 a Bra (11.6%);– 30 a Castelnuovo Don Bosco (3.8%);– 210 a Fossano (26.9%);– 168 a S. Benigno Canavese (21.5%);– 18 a Torino/Agnelli (2.3%);– 62 a Torino/Rebaudengo (8%);– 66 a Torino/Valdocco (8.4%);– 24 a Vercelli (3.1%);– 76 a Vigliano Biellese (9.7%).I 782 qualificati sono invece così distribuiti, in base ai rispettivi settori di qua-lifica (in graduatoria numerica; cfr. Graf. 3):– 199 (25.4%) nella meccanica industriale, a fronte del 27.8% nazionale;– 195 (24.9%) in altri settori, rispetto al 12.1% nazionale;– 133 (17%) nel settore elettro/elettronico, a fronte del 29.6% nazionale;– 96 (12.3%) nel turistico-alberghiero, a fronte del 9.5% nazionale; Graf. 1 - QUALIFICATI in PIEMONTE 139 Graf. 3 - QUALIFICATI per SETTORI – 82 (10.5%) nel settore automotive, a fronte del 7.4% nazionale;– 77 (9.8%) nel settore grafico, a fronte del 13.6% nazionale. Una ulteriore lettura dei dati prodotta dall’incrocio tra i singoli CFP ed i set-tori permette di evidenziare alcuni trend caratteristici degli intervistati (Tav. 1/PIE-MONTE):– gli 82 qualificati del settore automotive si trovano in tre CFP: 27 (32.9%) aBra, 41 (50%) a Fossano, 14 (17.1%) a Torino/Rebaudengo e rappresentano il10.5% dei qualificati in Piemonte;– i 133 del settore elettro/elettronico provengono da cinque CFP: 25 (18.8%) daFossano, 35 (26.3%) da S. Benigno Canavese, 34 (25.6%) da Torino/Rebau-dengo, 29 (21.8%) da Torino/Valdocco, 10 (7.5%) da Vigliano Biellese e rap-presentano il 17% dei qualificati in Piemonte; Graf. 2 - QUALIFICATI per CFP 140 – i 77 del grafico si trovano in tre CFP: 10 (13%) ad Alessandria, 30 (39%) aCastelnuovo Don Bosco, 37 (48%) a Torino/Valdocco e rappresentano il 9.8%dei qualificati in Piemonte;– i 199 qualificati della meccanica industriale si caratterizzano per essere distri-buiti in otto CFP: 14 (7%) ad Alessandria, 38 (19.1%) a Bra, 36 (18.1%) a Fos-sano, 19 (9.5%) a S. Benigno Canavese, 18 (9%) a Torino/Agnelli, 14 (7%) aTorino/Rebaudengo, 24 (12.2%) a Vercelli, 36 (18.1%) a Vigliano Biellese erappresentano il 25.4% dei qualificati in Piemonte;– i 96 qualificati nel turistico-alberghiero appartengono a due CFP: 25 (26%) aFossano e 71 (74%) a S. Benigno Canavese e rappresentano il 12.3% dei qua-lificati in Piemonte;– i 195 qualificati in “altri” settori, provengono da cinque CFP: 13 (6.7%) daAlessandria, 26 (13.3%) da Bra, 83 (42.6%) da Fossano, 43 (22%) da S. Be-nigno Canavese, 30 (15.4%) da Vigliano Biellese e rappresentano il 24.9% deiqualificati in Piemonte.I 18 qualificati di Torino/Agnelli come pure i 24 di Vercelli, sono tutti qualifi-cati nel settore della meccanica industriale, mentre i 30 di Castelnuovo Don Boscosono tutti del grafico. 1.2. Dati anagraficiI 782 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status adottate nell’inchiesta:– 587 (75.1%) maschi e 195 (24.9%) femmine (una delle più alte percentuali, as-sieme a Umbria e Sicilia, di presenza femminile nei CFP del CNOS-FAP);– 559 (66.4%) hanno fino a 18 anni e 223 (33.6%) vanno dai 19 anni in poi;– 660 (84.4%) autoctoni e 122 (15.6%) di origine migratoria. 1.3. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 550 (70.3%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 158 (20.2%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado;- 74 (9.5%) non hanno risposto in merito.b) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.c) Tipologia del corso:- per 563 (72%) triennale;- per 219 (28%) biennale.d) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente. 141 Tav.1 /PIEM ONT E:Di stribu zione dei78 2QU ALIF ICAT Iper CFPe SETT ORI( inFq .e% dicol onna edir iga) LEGE NDA :* %(di colon na)d ei782 qualif icatid istrib uitia ll’inte rnod icias cuns ettore **% (dirig a)dei qualif icatid icias cunC FP,d istrib uitip erset tori ***a ltrise ttori( ediliz ia,leg no,ag ricolt ura,b eness ere,a mmin istraz ione, punto vendi ta…) 142 1.4. La posizione dei 782 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 782 qualificati hanno dichiarato (Tav. 2/PIEMONTEe Graf. 4 e 5):– 201 (25.7%) di continuare a studiare, a fronte del 32.8% nazionale;– 332 (42.5%) di lavorare, a fronte del 34.5% nazionale;– 168 (21.5%) di non studiare né lavorare, a fronte del 21.3% nazionale;– 81 (10.3%) di aver fatto altre scelte, a fronte dell’11.4% nazionale. Tav. 2/PIEMONTE: SCELTE effettuate dai 782 ex allievi,distribuiti per CFP e Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (782) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte per CFP e Tot. Piemonte*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) Graf. 4 - SCELTE per CFP 143 Tav.3 /PIEM ONT E:Di stribu zione dei78 2per SCEL TEe SETT ORId iQUA LIFIC A(in Fq.e %di colon naed iriga ) LEGE NDA :* %(di colon na)d ei782 qualif icatid istrib uitia ll’inte rnod icias cuns ettore **% (dirig a)dei qualif icatid istrib uitiin base alles celte ***a ltrise ttori( ediliz ia,leg no,ag ricolt ura,b eness ere,a mmin istraz ione, punto vendi ta…) **** altre scelte (corsi diapp rendis tato,p atente europ ea,se rvizio civile …) 144 Ai 201 qualificati (25.7%) che hanno dichiarato di aver proseguito gli studi èstato chiesto in quale indirizzo:– 90 (45%) negli Istituti Professionali;– 56 (28%) negli Istituti Tecnici;– 6 (3%) nei percorsi di IeFP;– 48 (24%) in altre strutture formative.Attraverso l’incrocio tra le scelte effettuate ed i settori di qualifica è stato pos-sibile verificare quali settori di qualifica hanno favorito maggiormente il fare al-cune scelte, piuttosto che altre (Tav. 3/PIEMONTE):– la scelta di proseguire gli studi è stata fatta in particolare dal 49.4% dei qualifi-cati del grafico, dal 33.8% dell’elettro/elettronico e dal 30.2% del turistico-al-berghiero;– la scelta di andare subito a lavorare è stata fatta dal 58.5% dei qualificati del-l’automotive, dal 45.7% della meccanica industriale e dal 47.7% dei settori oc-cupazionali “altri”;– la quota dei soggetti inattivi appare equamente distribuita tra tutti i settori;– il dato di chi ha fatto “altre” scelte formative appare direttamente correlato,quasi in rapporto di causa-effetto, con gli “altri” settori occupazionali. 1.5. La condizione occupazionale dei 332 lavoratoriA 1 anno dalla qualifica in Piemonte hanno trovato lavoro 332 (42.5%) qualifi-cati, il dato occupazionale più elevato (assieme a quello dell’Emilia Romagna) re-gistrato in questo monitoraggio. Passando ai dati per singoli CFP, la proporzione trail totale qualificati e il totale lavoratori è (Tav. 4/PIEMONTE): Graf. 5 - SCELTE cfr. REGIONALE/NAZIONALE 145 Tav.4 /PIEM ONT E:Cf r.(in %)tra singo liCFP eSET TORI nelra pport oQU ALIF ICAT I/LAV ORAT ORI LEGE NDA :Q= n.QU ALIF ICAT I;L= n.LA VORA TORI ; *%( dirig a)sui qualif icatic helav orano **alt risett ori(e dilizia ,legn o,agr icoltu ra,be nesse re,am minis trazio ne,pu ntove ndita… ) ()Si faoss ervar eche inum eritra ()ch esitr ovano nella colon na“L ”stan noad indica reque ilavo ratori cheh anno trovat olavo roin settor idive rsida llaqu alifica conse guita 146 – a Bra 64 su 91 (70.3%);– ad Alessandria 19 su 37 (51.3%);– a Vigliano Biellese 38 su 76 (50%);– a Fossano 100 su 210 (47.6%);– a S. Benigno Canavese 58 su 168 (34.5%);– a Vercelli 7 su 24 (29.2%);– a Torino/Agnelli 5 su 18 (27.8%);– a Torino/Rebaudengo 17 su 62 (27.4);– a Torino/Valdocco 18 su 66 (27.3%);– a Castelnuovo Don Bosco 7 su 30 (23.3%).Ai 332 è stato chiesto anche in quali settori hanno trovato lavoro. Attraverso laTav. 4/PIEMONTE si rileva che (cfr. anche Graf. 6 e 7): a) stando ai CFP:- Fossano si distingue per aver distribuito 99 lavoratori in tutti i settori occu-pazionali, in coerenza con la qualifica conseguita e 1 in un settore diverso;- a Torino/Agnelli nessuno dei 18 qualificati nella meccanica industriale risulta oc-cupato nell’apposito settore, e di conseguenza anche i 5 che hanno trovato lavorosono collocati altrove; così pure adAlessandria nessuno dei 10 qualificati nel gra-fico ha trovato lavoro nello stesso settore; su questa linea si mette in evidenza an-che Castelnuovo Don Bosco per aver inserito 1 nel grafico, sui 30 qualificati nel-lo stesso settore; gli altri 6 lavoratori sono andati in altri settori occupazionali; Graf. 6 - LAVORATORI per CFP e per SETTORI 147 b) se si guarda invece all’andamento interno ai settori:- in Piemonte il più alto tasso di occupazione è stato offerto dai settori “altri”in cui 126 su 195 (64.6%) hanno trovato lavoro, di cui 15 non in coerenzacon le qualifiche conseguite; in questo si distinguono i cinque CFP chehanno adottato “altri” settori di qualifica: Bra 84.6%, Alessandria 61.5%, Vi-gliano Biellese 56.7%, S. Benigno Canavese 52.4% e Fossano 50%;- a questo successo si unisce anche la meccanica industriale in cui 91 su 199(45.7%) hanno trovato lavoro tutti, a parte 1, in coerenza con la qualificaconseguita; in questo caso le quote occupazionali riguardano ancora glistessi CFP menzionati sopra, ossia Bra 76.3%, Alessandria 64.3%, Fossano52.8%, S. Benigno Canavese 47.4% e Vigliano Biellese 44.4%;- anche nel settore automotive 43 qualificati su 82 (52.4%) hanno trovato la-voro, con particolare riferimento a Fossano (46.3%);- nel turistico-alberghiero 34 qualificati su 96 (35.4%) hanno trovato lavoro;- nell’elettro/elettronico 30 qualificati su 133 (22.6%) e nel grafico 8 su 77 (10.4%)hanno trovato lavoro e i dati rimangono in coerenza con l’andamento nazionale(rispettivamente 18.9% e 9.6%). Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, successi-vamente si è voluto sapere:a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFP e quanti l’hanno trovato in questomodo:- 113 (34%) si sono rivolti al proprio CFP a fronte del 40.3% nazionale;- di questi, 101 (89.4%) hanno trovato lavoro grazie al proprio CFP, a frontedell’87.8% nazionale; Graf. 7 - Tot. REGIONALE/NAZIONALE nel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI 148 b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 194 (58.3%) nei primi tre mesi, a fronte del 58.4% nazionale;- 60 (18%) entro sei mesi;- 79 (23.7%) entro un anno;c) la tipologia contrattuale:- 165 (49.5%) nell’apprendistato, a fronte del 44.2% nazionale;- 65 (19.5%) assunti con contratto a tempo determinato, a fronte del 23.2% na-zionale;- 25 (7.5%) assunti con contratto a tempo indeterminato, a fronte del 7.5% na-zionale;- 77 (23.1%) con contratti atipici a fronte del 26.1% nazionale.Anche nei confronti di quest’ultima serie di dati è stata avvertita l’esigenza diindividuare quali settori hanno favorito l’ingresso in tempi brevi dei qualificati nelmondo del lavoro e a quali condizioni contrattuali. Dai dati si evince che:– per quanto riguarda i tempi d’ingresso, la maggioranza dei lavoratori è entratanei primi tre mesi favoriti soprattutto dalla meccanica industriale (58 su 194) edai settori occupazionali “altri” (49);– per quanto riguarda le tipologie contrattuali nella meccanica industriale sonostati utilizzati sia contratti di apprendistato (48 su 165) sia quelli a tempo de-terminato (23), mentre nei settori occupazionali “altri” si è fatto ricorso soprat-tutto ai contratti atipici.Infine va osservato che in Piemonte 35 su 332 (10.5%) ha trovato lavoro insettori al di fuori della qualifica conseguita e l’89.5% ha raggiunto l’obiettivo diun’occupazione coerente alle competenze acquisite. 2. Sintesi conclusiva: confronto dati regionali-nazionali e tra singoli CFP, punti di forza e di criticità 2.1. Il confronto tra dati regionali-nazionalia) Per quanto riguarda i dati anagrafici si osserva, contestualmente al totale na-zionale:- una delle maggiori presenze della componente femminile 24.9%, a fronte del14.8% nazionale;- una presenza dei figli di origine migratoria pari al 15.6%, a fronte del 14.1%nazionale.b) In merito alle scelte post-qualifica, si rileva che:- il 26.9% ha scelto di continuare gli studi, a fronte del 32.8% nazionale;- il 42.5% ha scelto di andare subito a lavorare, a fronte del 34.5% nazionale;- il 10.3% ha fatto scelte “altre” a fronte dell’11.4% nazionale. 149 c) Rispetto ai settori occupazionali e alla posizione lavorativa, va evidenziatoche:- 126 su 195 (64.6%) qualificati dei settori “altri”, di cui 45.7% della mecca-nica industriale e 52.4% del settore automotive hanno trovato lavoro;- per quanto riguarda le diverse tipologie di contratti con cui i 332 sono statiassunti i dati regionali sono abbastanza in linea con l’andamento nazionale. 2.2. Il confronto tra singoli CFPa) Sulla distribuzione dei qualificati per settori, si distinguono:- Torino/Agnelli e Vercelli per avere tutti i qualificati nella meccanica indu-striale, e Castelnuovo Don Bosco per averli tutti nel grafico;- il settore della meccanica industriale, per avere qualificati che provengonoda 8 CFP.b) In merito al percorso formativo, si rileva che:- le più alte percentuali di chi ha proseguito gli studi si trovano a CastelnuovoDon Bosco e Torino/Valdocco, i quali hanno al proprio interno una metàcirca di qualificati nel grafico;- mentre le più alte percentuali di chi ha trovato lavoro si trovano a Bra (50%)e Vigliano Biellese (69%) che presentano le maggiori concentrazioni di qua-lificati nella meccanica industriale e in settori “altri”.c) Per quanto riguarda l’occupazione si rileva:- a Bra la più alta percentuale nel rapporto qualificati-occupati (70.3%); cui fan-no seguitoAlessandria (51.3%), Vigliano Biellese (50%) e Fossano (47.6%);- un ulteriore dato positivo si riscontra nello stretto rapporto tra chi ha conse-guito qualifiche “altre” e il loro inserimento nei settori occupazionali, conparticolare riferimento a Bra (84.6%) e Alessandria (61.5%);- nel settore grafico a Castelnuovo Don Bosco ha trovato lavoro 1 qualificatosu 30 (3.3%) e nell’elettro/elettronico 2 su 29 (6.9%). 3. Dati per singoli CFP 3.1. ALESSANDRIAAd Alessandria sono stati intervistati 37 qualificati, che rappresentano il 4.7%del dato regionale e l’1.4% del totale.3.1.1. Dati anagraficiI 37 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status:– 32 maschi (86.5%) e 5 femmine (13.5%), a fronte del 24.9% regionale e del14.8% nazionale; 150 Tav. 1/Alessandria: SCELTE effettuate dai 37 intervistati di Alessandriae cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistate a livello regionale (782) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte dei 37 qualificati – 19 (51.3%) hanno fino a 18 anni e 18 (48.7%) vanno dai 19 anni in poi;– 20 (54.1%) autoctoni e 17 (45.9%) di origine migratoria, a fronte del 15.6% re-gionale e del 14.1% nazionale.3.1.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 24 (64.9%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 10 (27%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado;- 3 (8.1%) non hanno risposto in merito.b) Qualifica conseguita al termine del percorso di IeFP (cfr. Tav. 1/PIEMONTE eGraf. 3):- 10 (27%) nel settore grafico;- 14 (37.8%) nella meccanica industriale;- 13 (35.1%) in “altri” settori.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- biennale per 24 (64.9%);- triennale per 13 (35.1%).e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente.3.1.3. La posizione dei 37 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 37 qualificati hanno dichiarato (cfr. Tav. 1/Ales-sandria e Graf. 8):– 6 (16.2%) di continuare a studiare, a fronte del 25.7% regionale e 32.8% na-zionale, di cui 2 negli Istituti Tecnici, 3 negli Istituti Professionali e 1 nellaIeFP;– 19 (51.4%) di lavorare, a fronte del 42.5% regionale e 34.5% nazionale;– 12 (32.4%) di non studiare né lavorare, a fronte del 21.5% regionale e 21.3%nazionale. 151 Nell’intento di verificare quanto hanno influito i settori di qualifica nel deter-minare le successive scelte, attraverso ulteriori analisi è stato possibile verificareche sono state in particolare le qualifiche nella meccanica industriale e nei settori“altri” a indirizzare verso il lavoro (16 su 19).3.1.4. La condizione occupazionale dei 19 lavoratoriAi 19 che stavano già lavorando successivamente è stato chiesto in quali set-tori hanno trovato lavoro (cfr. Tav. 2/Alessandria e Graf. 9): – 9 su 14 nella meccanica industriale: essi rappresentano il 64.3% dei qualificatidi Alessandria che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di quali-fica, a fronte del 45.7% regionale e del 38.3% nazionale e il 47.4% degli ex al-lievi di questo CFP che hanno trovato lavoro;– 8 su 13 in settori “altri”: essi rappresentano il 61.5% dei qualificati di Alessan-dria che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qualifica, a Tav. 2/Alessandria: Cfr. (in %) con Tot. REGIONALE/NAZIONALEnel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI per SETTORI LEGENDA: Q=n. QUALIFICATI; L=n. LAVORATORI;* % (di riga) sui qualificati che lavorano** altri settori (edilizia, legno, agricoltura, benessere, amministrazione, punto vendita…)( ) Si fa osservare che i numeri tra ( ) che si trovano nella colonna “L” stanno ad indicare quei lavoratori chehanno trovato lavoro in settori diversi dalla qualifica conseguita Graf. 8 - Alessandria: SCELTE cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 152 fronte del 64.6% regionale e del 91.1% nazionale e il 42.1% degli ex allievi diquesto CFP che hanno trovato lavoro;– 2 hanno trovato lavoro in settori non coerenti con la qualifica conseguita: 1nell’automotive e 1 nel turistico-alberghiero. Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, successi-vamente si è voluto sapere:a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFP e quanti l’hanno trovato in questomodo:- 4 (40%) hanno effettivamente trovato lavoro grazie al proprio CFP, a frontedell’89.3% regionale e dell’87.8% nazionale;b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 6 (31.6%) nei primi tre mesi, a fronte del 58.3% regionale e del 58.4% na-zionale;- 13 (68.4%) tra sei mesi e un anno;c) la tipologia contrattuale:- 3 (15.6%) nell’apprendistato, a fronte del 49.5% regionale e del 44.2% na-zionale;- 9 (47.4%) con contratto a tempo determinato, a fronte del 19.5% regionale edel 23.2% nazionale;- 5 (26.3%) con contratto a tempo indeterminato, a fronte del 7.5% regionale edel 7.5% nazionale;- 2 (10.5%) assunti con contratti atipici, a fronte del 23.1% regionale e del26.1% nazionale.Sono stati soprattutto la meccanica industriale, assieme ai settori occupazionali“altri”, a offrire contratti a tempo determinato. Graf. 9 - Alessandria: SETTORI OCCUPAZIONALI cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 153 3.2. BRAA Bra sono stati intervistati 91 qualificati, che rappresentano l’11.6% del datoregionale e il 3.5% del totale.3.2.1. Dati anagraficiI 91 presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delle principalivariabili di status:– 65 (71.4%) maschi e 26 (28.6%) femmine, a fronte del 24.9% regionale e del14.8% nazionale;– 72 (79.1%) hanno fino a 18 anni e 19 (20.9%) vanno dai 19 anni in poi;– 76 (83.5%) autoctoni e 15 (16.5%) di origine migratoria, a fronte del 15.6% re-gionale e del 14.1% nazionale.3.2.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 66 (72.5%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 17 (18.7%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado;- 8 (8.8%) non hanno risposto in merito.b) Qualifica conseguita al termine del percorso di IeFP (cfr. Tav. 1/PIEMONTE eGraf. 3):- 27 (29.7%) nell’automotive;- 38 (41.8%) nella meccanica industriale;- 26 (28.6%) in “altri” settori.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- triennale per tutti.e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente.3.2.3. La posizione dei 91 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 91 qualificati hanno dichiarato (cfr. Tav. 1/Bra eGraf. 10):– 14 (15.4%) di continuare a studiare, a fronte del 25.7% regionale e 32.8% na-zionale, di cui 3 negli Istituti Tecnici, 6 negli Istituti Professionali, 2 nei per-corsi di IeFP e 2 in altre strutture formative;– 63 (69.2%) di lavorare, a fronte del 42.5% regionale e 34.5% nazionale;– 13 (14.3%) di non studiare né lavorare, a fronte del 21.5% regionale e 21.3%nazionale;– 1 (1.1%) di aver fatto “altre” scelte. 154 Tav. 1/Bra: SCELTE effettuate dai 91 intervistati di Brae cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistate a livello regionale (782) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte dei 91 qualificati*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) Nell’intento di verificare quanto hanno influito i settori di qualifica nel deter-minare le successive scelte, attraverso ulteriori analisi è stato possibile verificareche sono state in particolare le qualifiche nella meccanica industriale (27 su 63),nell’automotive (20) e nei settori “altri” (16) a indirizzare verso il lavoro.3.2.4. La condizione occupazionale dei 63 lavoratoriAi 63 che stavano già lavorando successivamente è stato chiesto in quali set-tori hanno trovato lavoro (cfr. Tav. 2/Bra e Graf. 11):– 29 su 38 nella meccanica industriale: essi rappresentano il 76.3% dei qualifi-cati di Bra che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qualifica, afronte del 45.7% regionale e del 38.3% nazionale e il 46% degli ex allievi diquesto CFP che hanno trovato lavoro;– 22 su 26 in settori “altri”: essi rappresentano l’84.4% dei qualificati di Bra chehanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qualifica, a fronte del64.6% regionale e del 91.1% nazionale e il 34.9% degli ex allievi di questoCFP che hanno trovato lavoro;– 2 hanno trovato lavoro in settori non coerenti con la qualifica conseguita: 1nell’automotive e 1 nel turistico-alberghiero. Graf. 10 - Bra: SCELTE cfr. con REGIONALE/NAZIONALE 155 Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, successi-vamente si è voluto sapere:a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFP e quanti l’hanno trovato in questomodo:- su 25 che l’hanno chiesto, hanno effettivamente trovato lavoro tutti grazie alproprio CFP;b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 34 (54.1%) nei primi tre mesi, a fronte del 58.3% regionale e del 58.4% na-zionale;- 11 (17.2%) entro sei mesi e 19 (29.7%) entro un anno;c) la tipologia contrattuale:- 33 (51.6%) nell’apprendistato, a fronte del 49.5% regionale e del 44.2% na-zionale; Tav. 2/Bra: Cfr. (in %) con Tot. REGIONALE/NAZIONALEnel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI per SETTORI LEGENDA: Q=n. QUALIFICATI; L=n. LAVORATORI;* % (di riga) sui qualificati che lavorano** altri settori (edilizia, legno, agricoltura, benessere, amministrazione, punto vendita…)( ) Si fa osservare che i numeri tra ( ) che si trovano nella colonna “L” stanno ad indicare quei lavoratori chehanno trovato lavoro in settori diversi dalla qualifica conseguita Graf. 11 - Bra: SETTORI OCCUPAZIONALI cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 156 - 12 (18.8%),con contratto a tempo determinato, a fronte del 19.5% regionalee del 23.2% nazionale;- 6 (9.4%) con contratto a tempo indeterminato, a fronte del 7.5% regionale edel 7.5% nazionale;- 13 (20.5%) assunti con contratti atipici, a fronte del 23.1% regionale e del26.1% nazionale.L’apprendistato è stato utilizzato soprattutto nella meccanica industriale,mentre nel settore automotive si è fatto ricorso soprattutto ai contratti atipici. 3.3. CASTELNUOVO DON BOSCOA Castelnuovo Don Bosco sono stati intervistati 30 qualificati, che rappresen-tano il 3.8% del dato regionale e l’1.1% del totale.3.3.1. Dati anagraficiI 30 presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delle principalivariabili di status:– 23 (76.7%) maschi e 7 (23.3%) femmine, a fronte del 24.9% regionale e del14.8% nazionale;– 25 (73.3%) hanno fino a 18 anni e 5 (26.7%) vanno dai 19 anni in poi;– 27 (90%) autoctoni e 3 (10%) di origine migratoria, a fronte del 15.6% regio-nale e del 14.1% nazionale.3.3.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 24 (80%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 3 (10%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado;- 3 (10%) non hanno risposto in merito.b) Qualifica conseguita al termine dei percorsi di IeFP (cfr. Tav. 1/PIEMONTE eGraf. 3):- tutti nel grafico.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- triennale per 18 (60%);- biennale per 12 (40%).e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente.3.3.3. La posizione dei 30 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 30 qualificati hanno dichiarato (cfr. Tav. 1/Castel-nuovo Don Bosco e Graf. 12): 157 – 14 (46.7%) di continuare a studiare, a fronte del 25.7% regionale e del 32.8%nazionale, di cui 5 negli Istituti Tecnici e 9 negli Istituti Professionali;– 7 (23.3%) di lavorare, a fronte del 42.5% regionale e 34.5% nazionale;– 6 (20%) di non studiare né lavorare, a fronte del 21.5% regionale e 21.3% na-zionale;– 3 (10%) di aver fatto “altre” scelte. 3.3.4. La condizione occupazionale dei 7 lavoratoriSi rileva che 1 qualificato su 30 è riuscito ad inserirsi nel proprio settore diqualifica e 6 hanno trovato lavoro altrove: 5 in settori “altri” e 1 nell’elettro/elettro-nico. Inoltre, dai dati successivi sui 7 lavoratori si è venuti a sapere che:a) l’unico che ha chiesto aiuto al proprio CFP per trovare lavoro, l’ha effettiva-mente trovato;b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 3 nei primi tre mesi, a fronte del 58.3% regionale e del 58.4% nazionale;- 4 tra sei mesi e un anno; Tav. 1/Castelnuovo Don Bosco: SCELTE effettuate dai 30 intervistatidi Castelnuovo Don Bosco e cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistate a livello regionale (782) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte dei 30 qualificati*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) Graf.12 - Castelnuovo Don Bosco: SCELTE cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 158 c) la tipologia contrattuale:- 5 assunti con contratti atipici;- 2 nell’apprendistato. 3.4. FOSSANOA Fossano sono stati intervistati 210 qualificati, che rappresentano il 26.9% re-gionale e l’8% del totale.3.4.1. Dati anagraficiI 210 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status:– 120 (57.1%) maschi e 90 (42.9%) femmine (uno dei più alti tassi di presenzafemminile nei CFP del CNOS-FAP);– 172 (81.9%) hanno fino a 18 anni e 38 (18.1%) vanno dai 19 anni in poi;– 182 (86.7%) autoctoni e 28 (13.3%) di origine migratoria, a fronte del 15.6%regionale e del 14.1% nazionale.3.4.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 173 (82.4%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 20 (9.5%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado- 17 (8.1%) non hanno risposto in merito.b) Qualifica conseguita al termine dei percorsi di IeFP (cfr. Tav. 1/PIEMONTE eGraf. 3):- 41 (19.5%) nell’automotive;- 25 (11.9%) nell’elettro/elettronico;- 25 (11.9%) nel turistico-alberghiero;- 36 (17.1%) nella meccanica industriale;- 83 (39.5%) in “altri” settori.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- triennale per 192 (91.4%);- biennale per 18 (8.6%).e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente.3.4.3. La posizione dei 210 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 210 qualificati hanno dichiarato (cfr. Tav. 1/Fos-sano e Graf. 13): 159 – 32 (15.2%) di continuare a studiare, a fronte del 25.7% regionale e 32.8% na-zionale, di cui 7 negli Istituti Tecnici, 17 negli Istituti Professionali, 1 nellaIeFP e 7 in altre strutture formative;– 100 (47.6%) di lavorare, a fronte del 42.5% regionale e 34.5% nazionale;– 57 (27.1%) di non studiare né lavorare, a fronte del 21.5% regionale e 21.3%nazionale;– 21 (10.1%) di aver fatto “altre” scelte. Nell’intento di verificare quanto hanno influito i settori di qualifica nel deter-minare le successive scelte, attraverso ulteriori analisi è stato possibile verificareche sono state in particolare le qualifiche:– nella meccanica industriale 13 su 32, hanno scelto di continuare gli studi;– 25 su 100 nell’automotive e 38 su 100 nei settori “altri” hanno scelto di andaresubito a lavorare;– nei settori “altri” 27 su 57 sono rimasti inattivi. Tav. 1/Fossano: SCELTE effettuate dai 210 intervistati di Fossanoe cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistate a livello regionale (782) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte dei 210 qualificati*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) Graf. 13 - Fossano: SCELTE cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 160 Tav.2 /Foss ano: Cfr.( in%) conT ot.RE GION ALE/ NAZI ONA LEne lrapp ortoQ UALI FICA TI/LA VOR ATOR Iper SETT ORI LEGE NDA :Q= n.QU ALIF ICAT I;L= n.LA VORA TORI ; *%( dirig a)sui qualif icatic helav orano **alt risett ori(e dilizia ,legn o,agr icoltu ra,be nesse re,am minis trazio ne,pu ntove ndita… ) ()Si faoss ervar eche inum eritra ()ch esitr ovano nella colon na“L ”stan noad indica reque ilavo ratori cheh anno trovat olavo roin settor idive rsida llaqu alifica conse guita 161 3.4.4. La condizione occupazionale dei 100 lavoratoriAi 100 (47.6%) che stavano già lavorando successivamente è stato chiesto inquali settori (cfr. Tav. 2/Fossano e Graf. 14):– 19 su 41 nell’automotive: essi rappresentano il 46.3% dei qualificati di Fos-sano che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qualifica, afronte del 52.4% regionale e del 49.5% nazionale e il 19% degli ex allievi diquesto CFP che hanno trovato lavoro;– 8 su 25 nell’elettro/elettronico: essi rappresentano il 32% dei qualificati diFossano che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qualifica, afronte del 22.6% regionale e del 18.9% nazionale e l’8% degli ex allievi diquesto CFP che hanno trovato lavoro;– 19 su 36 nella meccanica industriale: essi rappresentano il 52.8% dei qualifi-cati di Fossano che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di quali-fica, a fronte del 45.7% regionale e del 38.3% nazionale e il 19% degli ex al-lievi di questo CFP che hanno trovato lavoro;– 11 su 25 nel turistico-alberghiero: essi rappresentano il 44% dei qualificati diFossano che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qualifica, afronte del 35.4% regionale e del 27.1% nazionale e il 19% degli ex allievi diquesto CFP che hanno trovato lavoro;– 42 su 83 in settori “altri”: essi rappresentano il 50.6% dei qualificati di Fos-sano che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qualifica, afronte del 64.6% regionale e del 91.1% nazionale e il 42% degli ex allievi diquesto CFP che hanno trovato lavoro;– 2 hanno trovato lavoro in settori non coerenti con la qualifica conseguita: 1nell’automotive e 1 nel turistico-alberghiero.– 1 ha trovato lavoro al di fuori del settore di qualifica. Graf. 14 - Fossano: SETTORI OCCUPAZIONALI cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 162 Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, successi-vamente si è voluto sapere:a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFP e quanti l’hanno trovato in questomodo:- su 31 che l’hanno chiesto, 28 (90.3%) hanno effettivamente trovato lavorograzie al proprio CFP, a fronte dell’89.3% regionale e dell’87.8% nazionale;b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 67 (67%) nei primi tre mesi, a fronte del 58.3% regionale e del 58.4% nazionale;- 19 entro sei mesi e 14 entro un anno;c) la tipologia contrattuale:- 62 (62%) nell’apprendistato, a fronte del 49.5% regionale e del 44.2% nazionale;- 13 (13%) con contratto a tempo determinato, a fronte del 19.5% regionale edel 23.2% nazionale;- 9 (9%) con contratto a tempo indeterminato, a fronte del 7.5% regionale edel 7.5% nazionale;- 16 (16%) con contratti atipici, a fronte del 23.1% regionale e del 26.1% na-zionale.Tanto il settore automotive che i settori “altri” hanno entrambi favorito l’inse-rimento in tempi brevi nel mercato del lavoro e fatto ricorso alla formula dell’ap-prendistato. Così come per Bra, anche in questo caso si rileva che la quasi totalitàdei lavoratori (99%) è occupata negli stessi settori di qualifica. 3.5. S. BENIGNO CANAVESEA S. Benigno Canavese sono stati intervistati 168 qualificati, che rappresen-tano il 21.5% del dato regionale e il 6.4% del totale.3.5.1. Dati anagraficiI 168 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status:– 128 (76.2%) maschi e 40 (23.8%) femmine, a fronte del 24.9% regionale e del14.8% nazionale;– 119 (70.8%) hanno fino a 18 anni e 49 (29.2%) vanno dai 19 anni in poi;– 157 (93.5%) autoctoni e 11 (6.5%) di origine migratoria, a fronte del 15.6% re-gionale e del 14.1% nazionale.3.5.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 107 (63.7%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 35 (20.8%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado;- 26 (15.5%) non hanno risposto in merito. 163 b) Qualifica conseguita al termine dei percorsi di IeFP (cfr. Tav. 1/PIEMONTE eGraf. 3):- 35 (20.8%) nell’elettro/elettronico;- 19 (11.3%) nella meccanica industriale;- 71 (42.3%) nel turistico-alberghiero;- 43 (25.6%) in “altri” settori.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- triennale per 106 (63.1%);- biennale per 62 (36.9%).e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente.3.5.3. La posizione dei 168 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 168 qualificati hanno dichiarato (cfr. Tav. 1/S. Be-nigno Canavese e Graf. 15):– 49 (29.2%) di continuare a studiare, a fronte del 25.7% regionale e 32.8% na-zionale, di cui 5 negli Istituti Tecnici, 21 negli Istituti Professionali, 1 nei per-corsi di IeFP e 22 in altre strutture formative;– 58 (34.5%) di lavorare, a fronte del 42.5% regionale e 34.5% nazionale;– 30 (17.9%) di non studiare né lavorare, a fronte del 21.5% regionale e 21.3%nazionale;– 31 (18.4%) di aver fatto “altre” scelte, a fronte del 10.3% regionale e 11.4%nazionale.Nell’intento di verificare quanto hanno influito i settori di qualifica nel deter-minare le successive scelte, attraverso ulteriori analisi è stato possibile verificareche sono state in particolare le qualifiche:– 24 qualificati nel turistico-alberghiero e 15 nell’elettro/elettronico hanno sceltodi proseguire gli studi;– 23 nel turistico-alberghiero e 14 nel settore “altro” hanno scelto di andare su-bito a lavorare. Tav. 1/S. Benigno Canavese: SCELTE effettuate dai 168 intervistati di S. Benigno Canavesee cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistate a livello regionale (782) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte dei 168 qualificati*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) 164 Graf. 15 - S. Benigno Canavese: SCELTE cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 3.5.4. La condizione occupazionale dei 58 lavoratoriAi 58 (34.5%) che stavano già lavorando successivamente è stato chiesto inquali settori hanno trovato lavoro (cfr. Tav. 2/S. Benigno Canavese e Graf. 16): – 7 su 35 nell’elettro/elettronico: essi rappresentano il 20% dei qualificati di S.Benigno Canavese che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore diqualifica, a fronte del 22.6% regionale e del 18.9% nazionale e il 12.1% degliex allievi di questo CFP che hanno trovato lavoro;– 9 su 19 nella meccanica industriale: essi rappresentano il 47.4% dei qualificatidi S. Benigno Canavese che hanno trovato un’occupazione nello stesso settoredi qualifica, a fronte del 45.7% regionale e del 38.3% nazionale e il 15.5%degli ex allievi di questo CFP che hanno trovato lavoro; Tav. 2/S. Benigno Canavese: Cfr. (in %) con Tot. REGIONALE/NAZIONALEnel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI per SETTORI LEGENDA: Q=n. QUALIFICATI; L=n. LAVORATORI;* % (di riga) sui qualificati che lavorano** altri settori (edilizia, legno, agricoltura, benessere, amministrazione, punto vendita…)( ) Si fa osservare che i numeri tra ( ) che si trovano nella colonna “L” stanno ad indicare quei lavoratori chehanno trovato lavoro in settori diversi dalla qualifica conseguita 165 – 20 su 71 nel turistico-alberghiero: essi rappresentano il 28.2% dei qualificatidi S. Benigno Canavese che hanno trovato un’occupazione nello stesso settoredi qualifica, a fronte del 35.4% regionale e del 27.1% nazionale e il 34.5%degli ex allievi di questo CFP che hanno trovato lavoro;– 22 su 43 in settori “altri”: essi rappresentano il 52.4% dei qualificati di S. Be-nigno Canavese che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qua-lifica, a fronte del 64.6% regionale e del 91.1% nazionale e il 38% degli ex al-lievi di questo CFP che hanno trovato lavoro. Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, successi-vamente si è voluto sapere:a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFP e quanti l’hanno trovato in questomodo:- su 13 che l’hanno chiesto, 12 (92.3%) hanno effettivamente trovato lavorograzie al proprio CFP, a fronte dell’89.3% regionale e dell’87.8% nazionale;b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 34 (58.6%) nei primi tre mesi, a fronte del 58.3% regionale e del 58.4% na-zionale;- 8 (13.8%) entro sei mesi e 16 (27.6%) entro un anno;c) la tipologia contrattuale:- 21 (36.2%) nell’apprendistato, a fronte del 49.5% regionale e del 44.2% na-zionale;- 22 (37.9%) assunti con contratti atipici, a fronte del 23.1% regionale e del26.1% nazionale; Graf. 16 - S. Benigno Canavese: SETTORI OCCUPAZIONALIcfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 166 - 12 (20.7%) con contratto a tempo determinato, a fronte del 19.5% regionalee del 23.2% nazionale;- 3 (5.2%) con contratto a tempo indeterminato, a fronte del 7.5% regionale edel 7.5% nazionale.L’inserimento in tempi brevi nel mercato del lavoro è stato favorito soprattuttodal turistico-alberghiero e in parte anche dalla meccanica industriale; mentre èsempre nel turistico-alberghiero, assieme ai settori “altri”, che sono stati adottatisoprattutto i contratti atipici e la formula dell’apprendistato. 3.6. TORINO/AGNELLIA Torino/Agnelli sono stati intervistati 18 qualificati, che rappresentano il2.3% del dato regionale e lo 0.7% del totale.3.6.1. Dati anagraficiI 18 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status:– tutti maschi;– 7 (38.9%) hanno fino a 18 anni e 11 (61.1%) vanno dai 19 anni in poi;– 10 (55.6%) autoctoni e 8 (44.4%) di origine migratoria: anche in questo caso siha a che fare con una delle percentuali più elevate, se messa a confronto con il15.6% regionale e del 14.1% nazionale.3.6.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 9 (50%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 5 (27.8%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado;- 4 (22.2%) non hanno risposto in merito.b) Qualifica conseguita al termine dei percorsi di IeFP (cfr. Tav. 1/PIEMONTE eGraf. 3):- tutti nella meccanica industriale.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- biennale per tutti.e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente.3.6.3. La posizione dei 18 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 18 qualificati hanno dichiarato (cfr. Tav. 1/To-rino/Agnelli e Graf. 17): 167 Tav. 1/Torino/Agnelli: SCELTE effettuate dai 18 intervistati di Torino/Agnellie cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistate a livello regionale (782) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte dei 18 qualificati*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) – 5 (27.8%) di continuare a studiare, a fronte del 25.7% regionale e del 32.8%nazionale, di cui 2 negli Istituti Tecnici, 2 negli Istituti Professionali e 1 non haspecificato;– 5 (27.8%) di lavorare, a fronte del 42.5% regionale e 34.5% nazionale;– 4 (22.2%) di non studiare né lavorare, a fronte del 21.5% regionale e 21.3%nazionale;– 4 (22.2%) di aver fatto “altre” scelte, a fronte del 10.3% regionale e 11.4% na-zionale.3.6.4. La condizione occupazionale dei 5 lavoratoriSi rileva come tra coloro che sono riusciti a trovare un’occupazione, nessuno ècollocato all’interno del proprio settore di qualifica, bensì nell’automotive, concontratto di apprendistato, e grazie all’interessamento del CFP. Graf. 17 - Torino/Agnelli: SCELTE cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 168 3.7. TORINO/REBAUDENGOA Torino/Rebaudengo sono stati intervistati 62 qualificati, che rappresentanol’8% del dato regionale e il 2.4% del totale.3.7.1. Dati anagraficiI 62 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status:– tutti maschi;– 35 (56.5%) hanno fino a 18 anni e 27 (43.5%) vanno dai 19 anni in poi;– 48 (77.4%) autoctoni e 14 (22.6%) di origine migratoria, a fronte del 15.6% re-gionale e del 14.1% nazionale.3.7.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 41 (66.1%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 21 (33.9%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado.b) Qualifica conseguita al termine dei percorsi di IeFP (cfr. Tav. 1/PIEMONTE eGraf. 3):- 34 (54.8%) nell’elettro/elettronico;- 14 (22.6%) nell’automotive;- 14 (22.6%) nella meccanica industriale.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- triennale per tutti.e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente.3.7.3. La posizione dei 62 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 62 qualificati hanno dichiarato (cfr. Tav. 1/ To-rino/Rebaudengo e Graf. 18):– 22 (35.5%) di continuare a studiare, a fronte del 25.7% regionale e 32.8% nazio-nale, di cui 9 negli Istituti Tecnici, 12 negli Istituti Professionali e 1 nella IeFP;– 17 (27.4%) di lavorare, a fronte del 42.5% regionale e 34.5% nazionale;– 14 (22.6%) di non studiare né lavorare, a fronte del 21.5% regionale e 21.3%nazionale;– 9 (14.5%) di aver fatto “altre” scelte, a fronte del 10.3% regionale e 11.4% na-zionale.Attraverso ulteriori analisi è stato possibile verificare che è stato in particolareil settore elettro/elettronico a influire sulle diverse tipologie di scelta. 169 Tav. 1/Torino/Rebaudengo: SCELTE effettuate dai 62 intervistati di Torino/Rebaudengoe cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistate a livello regionale (782) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte dei 62 qualificati*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) 3.7.4. La condizione occupazionale dei 17 lavoratoriAi 17 (27.4%) che stavano già lavorando successivamente è stato chiesto inquali settori hanno trovato lavoro (cfr. Tav. 2/Torino/Rebaudengo e Graf. 19):– 3 su 14 nel settore automotive: essi rappresentano il 21.4% dei qualificati diTorino/Rebaudengo che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore diqualifica, a fronte del 52.4% regionale e del 49.5% nazionale e il 17.6% degliex allievi di questo CFP che hanno trovato lavoro;– 6 su 34 nell’elettro/elettronico: essi rappresentano il 17.6% dei qualificati diTorino/Rebaudengo che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore diqualifica, a fronte del 22.6% regionale e del 18.9% nazionale e il 35.3% degliex allievi di questo CFP che hanno trovato lavoro;– 4 su 14 nella meccanica industriale: essi rappresentano il 28.6% dei qualificatidi Torino/Rebaudengo che hanno trovato un’occupazione nello stesso settoredi qualifica, a fronte del 45.7% regionale e del 38.3% nazionale e il 23.5%degli ex allievi di questo CFP che hanno trovato lavoro;– 4 hanno trovato lavoro in settori non coerenti con la qualifica conseguita: 1 nelgrafico e 3 nei settori “altri”. Graf. 18 - Torino/Rebaudengo: SCELTE cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 170 Tav. 2/Torino/Rebaudengo: Cfr. (in %) con Tot. REGIONALE/NAZIONALEnel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI per SETTORI LEGENDA: Q=n. QUALIFICATI; L=n. LAVORATORI;* % (di riga) sui qualificati che lavorano** altri settori (edilizia, legno, agricoltura, benessere, amministrazione, punto vendita…)( ) Si fa osservare che i numeri tra ( ) che si trovano nella colonna “L” stanno ad indicare quei lavoratori chehanno trovato lavoro in settori diversi dalla qualifica conseguita Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, successi-vamente si è voluto sapere:a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFP e quanti l’hanno trovato in questomodo:- su 5 che l’hanno chiesto, 4 (80%) hanno effettivamente trovato lavoro grazieal proprio CFP, a fronte dell’89.3% regionale e dell’87.8% nazionale;b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 9 (52.9%) nei primi tre mesi, a fronte del 58.3% regionale e del 58.4% na-zionale;- 3 (17.6%) entro sei mesi e 5 (29.4%) entro un anno;c) la tipologia contrattuale:- 8 (47.1%) nell’apprendistato, a fronte del 49.5% regionale e del 44.2% na-zionale; Graf. 19 - Torino/Rebaudengo: SETTORI OCCUPAZIONALIcfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 171 - 5 (29.4%) con contratto a tempo determinato, a fronte del 19.5% regionale edel 23.2% nazionale;- 4 (23.5%) assunti con contratti atipici, a fronte del 23.1% regionale e del26.1% nazionale.È stato ancora il settore elettro/elettronico a influenzare in particolare sia sul-l’inserimento in tempi brevi nel mercato del lavoro che sull’adozione della formuladell’apprendistato. 3.8. TORINO/VALDOCCOA Torino/Valdocco sono stati intervistati 66 qualificati, che rappresentanol’8.4% del dato regionale e il 2.5% del totale.3.8.1. Dati anagraficiI 66 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status:– 55 (83.3%) maschi e 11 (16.7%) femmine, a fronte del 24.9% regionale e del14.8% nazionale;– 36 (54.5%) hanno fino a 18 anni e 30 (45.5%) vanno dai 19 anni in poi;– 57 (86.4%) autoctoni e 9 (13.6%) di origine migratoria, a fronte del 15.6% re-gionale e del 14.1% nazionale.3.8.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 37 (56.1%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 27 (40.9%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado;- 2 (3%) non hanno risposto in merito.b) Qualifica conseguita al termine dei percorsi di IeFP (cfr. Tav. 1/PIEMONTE eGraf. 3):- 37 (54.8%) nel grafico;- 29 (43.9%) nell’elettro/elettronico.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- triennale per 37 (56.1% dei qualificati del grafico);- biennale per 29 (43.9% dei qualificati dell’elettro/elettronico).e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente.3.8.3. La posizione dei 66 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 66 qualificati hanno dichiarato (cfr. Tav. 1/Torino/Valdocco e Graf. 20): 172 – 34 (51.5%) di continuare a studiare, a fronte del 25.7% regionale e 32.8% na-zionale, di cui 16 (47.1%) negli Istituti Tecnici e 18 (52.9%) negli Istituti Pro-fessionali;– 18 (27.3%) di lavorare, a fronte del 42.5% regionale e 34.5% nazionale;– 10 (15.2%) di non studiare né lavorare, a fronte del 21.5% regionale e 21.3%nazionale;– 4 (6%) di aver fatto “altre” scelte, a fronte del 10.3% regionale e 11.4% nazio-nale.Attraverso ulteriori analisi è stato possibile verificare che sono stati entrambi isettori (elettro/elettronico e grafico) a influire sulla scelta di continuare gli studi. 3.8.4. La condizione occupazionale dei 18 lavoratoriAi 18 (27.3%) che stavano già lavorando successivamente è stato chiesto inquali settori hanno trovato lavoro (cfr. Tav. 2/Torino/Valdocco e Graf. 21):– 2 su 29 nell’elettro/elettronico: essi rappresentano il 6.9% dei qualificati diTorino/Valdocco che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qua- Tav. 1/ Torino/Valdocco: SCELTE effettuate dai 66 intervistati di Torino/Valdoccoe cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistate a livello regionale (782) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte dei 66 qualificati*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) Graf. 20 - Torino/Valdocco: SCELTE cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 173 Tav. 2/Torino/Valdocco: Cfr. (in %) con Tot. REGIONALE/NAZIONALEnel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI per SETTORI LEGENDA: Q=n. QUALIFICATI; L=n. LAVORATORI;* % (di riga) sui qualificati che lavorano** altri settori (edilizia, legno, agricoltura, benessere, amministrazione, punto vendita…)( ) Si fa osservare che i numeri tra ( ) che si trovano nella colonna “L” stanno ad indicare quei lavoratori chehanno trovato lavoro in settori diversi dalla qualifica conseguita lifica, a fronte del 22.6% regionale e del 18.9% nazionale e l’11.1% degli exallievi di questo CFP che hanno trovato lavoro;– 5 su 37 nel grafico: essi rappresentano il 13.5% dei qualificati di Torino/Val-docco che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qualifica, afronte del 10.4% regionale e del 9.6% nazionale e il 27.8% degli ex allievi diquesto CFP che hanno trovato lavoro;– 11 (61.1%) hanno trovato lavoro in settori non coerenti con la qualifica conse-guita: 4 nell’automotive, 1 nella meccanica industriale e 6 nei settori “altri”. Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, successi-vamente si è voluto sapere:a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFPe quanti l’hanno trovato in questomodo:- su 8 che l’hanno chiesto, 6 (75%) hanno effettivamente trovato lavoro grazieal proprio CFP, a fronte dell’89.3% regionale e dell’87.8% nazionale; Graf. 21 - Torino/Valdocco: SETTORI OCCUPAZIONALIcfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 174 b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 10 (55.6%) nei primi tre mesi, a fronte del 58.3% regionale e del 58.4% na-zionale;- 3 (16.7%) entro sei mesi e 5 (27.8%) entro un anno;c) la tipologia contrattuale:- 10 (55.6%) nell’apprendistato, a fronte del 49.5% regionale e del 44.2% na-zionale;- 3 (16.7%) con contratto a tempo determinato, a fronte del 19.5% regionale edel 23.2% nazionale;- 5 (27.8%) assunti con contratti atipici, a fronte del 23.1% regionale e del26.1% nazionale.Anche in questo caso sono stati entrambi i settori (elettro/elettronico e grafico)a influenzare sia sull’inserimento in tempi brevi nel mercato del lavoro che sull’a-dozione della formula dell’apprendistato. 3.9. VERCELLIA Vercelli sono stati intervistati 24 qualificati, che rappresentano il 3.1% deldato regionale e lo 0.9% del totale.3.9.1. Dati anagraficiI 24 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status:– tutti maschi;– 19 (69.2%) hanno fino a 18 anni e 5 (30.8%) vanno dai 19 anni in poi;– 18 (75%) autoctoni e 6 (25%) di origine migratoria, a fronte del 15.6% regio-nale e del 14.1% nazionale.3.9.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 14 (58.3%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 3 (12.5%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2° grado;- 7 (29.2%) non hanno risposto in merito.b) Qualifica conseguita al termine dei percorsi di IeFP (cfr. Tav. 1/PIEMONTE eGraf. 3):- tutti nella meccanica industriale.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- biennale per tutti.e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente. 175 3.9.3. La posizione dei 24 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 24 qualificati hanno dichiarato (cfr. Tav. 1/Vercellie Graf. 22):– 7 (29.2%) di continuare a studiare, a fronte del 25.7% regionale e 32.8% na-zionale, di cui 2 negli Istituti Tecnici, 4 negli Istituti Professionali e 1 non haspecificato;– 7 (29.2%) di lavorare, a fronte del 42.5% regionale e 34.5% nazionale;– 5 (20.8%) di non studiare né lavorare, a fronte del 21.5% regionale e 21.3%nazionale;– 5 (20.8%) di aver fatto “altre” scelte, a fronte del 10.3% regionale e 11.4% na-zionale. 3.9.4. La condizione occupazionale dei 7 lavoratoriDei 24 qualificati 7 (29.2%) hanno trovato lavoro nella meccanica industrialee di essi 4 coerente con il proprio settore di qualifica: questi ultimi rappresentano il Tav. 1/Vercelli: SCELTE effettuate dai 24 intervistati di Vercellie cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistate a livello regionale (782) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte dei 24 qualificati*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) Graf. 22 - Vercelli: SCELTE cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 176 16.7% dei qualificati di Vercelli che hanno trovato un’occupazione nello stesso set-tore di qualifica, a fronte del 45.7% regionale e del 38.3% nazionale.Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, successi-vamente si è voluto sapere:a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFP e quanti l’hanno trovato in questomodo:- entrambi coloro che l’hanno chiesto, hanno effettivamente trovato lavorograzie al proprio CFP;b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 6 (85.7%) nei primi tre mesi, a fronte del 58.3% regionale e del 58.4% na-zionale;- 1 entro un anno;c) la tipologia contrattuale:- 4 (55.6%) nell’apprendistato, a fronte del 49.5% regionale e del 44.2% na-zionale;- 1 con contratto a tempo determinato, 1 a tempo indeterminato e 1 assuntocon contratto atipico. 3.10. VIGLIANO BIELLESEA Vigliano Biellese sono stati intervistati 76 qualificati, che rappresentano il9.7% del dato regionale e il 2.9% del totale.3.10.1. Dati anagraficiI 76 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status:– 60 (78.9%) maschi e 16 (21.1%) femmine, a fronte del 24.9% regionale e del14.8% nazionale;– 55 (63.4%) hanno fino a 18 anni e 21 (36.6%) vanno dai 19 anni in poi;– 65 (85.5%) autoctoni e 11 (14.5%) di origine migratoria, a fronte del 15.6% re-gionale e del 14.1% nazionale.3.10.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 55 (72.4%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 17 (22.4%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado;- 4 (5.3%) non hanno risposto in merito.b) Qualifica conseguita al termine dei percorsi di IeFP (cfr. Tav. 1/PIEMONTE eGraf. 3):- 36 (47.4%) nella meccanica industriale;- 10 (13.2%) nell’elettro/elettronico;- 30 (39.5%) in “altri” settori. 177 c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- triennale per 58 (76.3%);- biennale per 18 (23.7%).e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente.3.10.3. La posizione dei 76 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 76 qualificati hanno dichiarato (cfr. Tav. 1/Vi-gliano Biellese e Graf. 23): – 38 (50%) di lavorare, a fronte del 42.5% regionale e 34.5% nazionale;– 18 (23.7%) di continuare a studiare, a fronte del 25.7% regionale e 32.8% na-zionale, di cui 3 negli Istituti Tecnici, 2 negli Istituti Professionali e 13 in altrestrutture formative; Tav. 1/ Vigliano Biellese: SCELTE effettuate dai 76 intervistati di Vigliano Biellesee cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistate a livello regionale (782) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte dei 76 qualificati*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) Graf. 23 - Vigliano Biellese: SCELTE cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 178 – 17 (22.4%) di non studiare né lavorare, a fronte del 21.5% regionale e 21.3%nazionale;– 3 (3.9%) di aver fatto “altre” scelte.Nell’intento di verificare quanto hanno influito i settori di qualifica nel deter-minare le successive scelte, attraverso ulteriori analisi è stato possibile verificareche sono state in particolare le qualifiche nella meccanica industriale (16 su 38) enei settori “altri” (17) a indirizzare verso il lavoro, mentre per lo studio ha influitosoprattutto la qualifica nella meccanica industriale (13 su 18).3.10.4. La condizione occupazionale dei 38 lavoratoriAi 38 che stavano già lavorando successivamente è stato chiesto in quali set-tori hanno trovato lavoro (cfr. Tav. 2/Vigliano Biellese e Graf. 24): Tav. 2/Vigliano Biellese: Cfr. (in %) con Tot. REGIONALE/NAZIONALEnel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI per SETTORI LEGENDA: Q=n. QUALIFICATI; L=n. LAVORATORI;* % (di riga) sui qualificati che lavorano** altri settori (edilizia, legno, agricoltura, benessere, amministrazione, punto vendita…)( ) Si fa osservare che i numeri tra ( ) che si trovano nella colonna “L” stanno ad indicare quei lavoratori chehanno trovato lavoro in settori diversi dalla qualifica conseguita Graf. 24 - Vigliano Biellese: SETTORI OCCUPAZIONALIcfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 179 – 4 su 10 nell’elettro/elettronico: essi rappresentano il 40% dei qualificati di Vi-gliano Biellese che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di quali-fica, a fronte del 22.6% regionale e del 18.9% nazionale e il 10.5% degli ex al-lievi di questo CFP che hanno trovato lavoro;– 16 su 36 nella meccanica industriale: essi rappresentano 44.4% dei qualificatidi Vigliano Biellese che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore diqualifica, a fronte del 45.7% regionale e del 38.3% nazionale e il 42.1% degliex allievi di questo CFP che hanno trovato lavoro;– 17 su 30 in settori “altri”: essi rappresentano il 56.7% dei qualificati di Vi-gliano Biellese che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di quali-fica, a fronte del 64.6% regionale e del 91.1% nazionale e il 44.7% degli ex al-lievi di questo CFP che hanno trovato lavoro.Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, successi-vamente si è voluto sapere:a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFP e quanti l’hanno trovato in questomodo:- su 15 che l’hanno chiesto, 14 (93.3%) hanno effettivamente trovato lavorograzie al proprio CFP, a fronte dell’89.3% regionale e dell’87.8% nazionale;b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 21 (55.3%) nei primi tre mesi, a fronte del 58.3% regionale e del 58.4% na-zionale;- 6 (15.8%) entro sei mesi e 11 (28.9%) entro un anno;c) la tipologia contrattuale:- 18 (47.4%) nell’apprendistato, a fronte del 49.5% regionale e del 44.2% na-zionale;- 9 (23.7%) con contratto a tempo determinato, a fronte del 19.5% regionale edel 23.2% nazionale;- 1 (2.6%) con contratto a tempo indeterminato, a fronte del 7.5% regionale edel 7.5% nazionale;- 10 (26.3%) assunti con contratti atipici, a fronte del 23.1% regionale e del26.1% nazionale.L’apprendistato è stato utilizzato soprattutto nella meccanica industriale,mentre nei settori “altri” si è fatto ricorso soprattutto ai contratti atipici o a tempodeterminato. 180 PUGLIA: 23 intervistati = 0.9% del totale (2609) 1. Lo scenario regionale 1.1. ContestualizzazioneIn Puglia sono stati intervistati 23 qualificati, i quali rappresentano complessi-vamente lo 0.9% del totale (Graf. 1). I 23 qualificati appartengono ai due CFP della Regione (Graf. 2):– Bari, con 8 intervistati (35%);– Cerignola, con 15 (65%).I qualificati di questa Regione si caratterizzano per appartenere tutti allo stessosettore (elettro/elettronico), e di conseguenza anche la loro ripartizione per CFP ri-mane la stessa riportata sopra. Graf. 1 - QUALIFICATI in PUGLIA Graf. 2 - QUALIFICATI per CFP 181 1.2. Dati anagraficiI 23 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status adottate nell’inchiesta:– tutti maschi;– 13 (55.5 %) hanno fino a 18 anni e 10 (44.5%) vanno dai 19 anni in poi;– tutti autoctoni. 1.3. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 14 (60.9%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 4 (17.4%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado;- 5 (21.7%) non hanno risposto in merito.b) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.c) Tipologia del corso:- triennale per tutti.d) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente. 1.4. La posizione dei 23 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 23 qualificati hanno dichiarato (Tav. 1/ PUGLIA eGraf. 3):– 4 (17.4%) di continuare a studiare in un Istituto Tecnico, a fronte del 32.8%nazionale;– 8 (34.8%) di lavorare, a fronte del 34.5% nazionale;– 8 (34.8%) di non studiare né lavorare, a fronte del 21.3% nazionale;– 3 (13%) di aver fatto altre scelte, a fronte dell’11.4% nazionale. Tav. 1/PUGLIA: SCELTE effettuate dai 23 ex allievi, distribuiti per CFPe cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (23) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte per CFP e Tot. Puglia*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) 182 1.5. La condizione occupazionale degli 8 lavoratoriAgli 8 che al momento del monitoraggio hanno dichiarato che stavano lavo-rando è stato chiesto anche in quali settori hanno trovato lavoro. Dal confronto trail numero dei qualificati e quello dei lavoratori, suddivisi per CFP e settori occupa-zionali, si rileva che (cfr. la Tav. 2/PUGLIA): a) stando ai singoli CFP:- a Bari hanno trovato lavoro 5 (62.5%) qualificati, di cui 2 nel proprio settoredi qualifica (elettro/elettronico) e 3 in settori diversi dalla qualifica (automo-tive, meccanica industriale e “altro” settore);- a Cerignola hanno trovato lavoro 3 qualificati e tutti nel proprio settore diqualifica. Graf. 3 - SCELTE per CFP e cfr. Tot. REGIONALE/NAZIONALE Tav. 2/PUGLIA: Cfr. (in %) tra singoli CFP e SETTORInel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI LEGENDA: Q=n. QUALIFICATI; L=n. LAVORATORI;* % (di riga) dei qualificati che lavorano** altri settori (edilizia, legno, agricoltura, benessere, amministrazione, punto vendita…)( ) Si fa osservare che i numeri tra ( ) che si trovano nella colonna “L” stanno ad indicare quei lavoratori chehanno trovato un’occupazione in settori diversi dalla qualifica conseguita 183 b) Se si guarda all’interno del proprio settore di qualifica si osserva che le percen-tuali di impiego a livello sia dei singoli CFP, Bari 25% e Cerignola 20%, chedella Regione 21.7% sono leggermente superiori al dato nazionale (18.3%).Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, attra-verso le successive domande è emerso che i 2 qualificati che si sono rivolti al pro-prio CFP per trovare lavoro, l’hanno ottenuto entrambi.In merito al tempo impiegato per trovare lavoro:– 4 hanno trovato lavoro nei primi tre mesi, a fronte del 58.4% nazionale;– 2 entro sei mesi e 2 entro un anno.La tipologia contrattuale, ha riguardato:– 2 (22.2%) nell’apprendistato, a fronte del 44.2% nazionale;– 2 (22.2%) assunti con contratto a tempo determinato, a fronte del 23.2% nazio-nale;– 4 (50%) con contratti atipici, a fronte del 26.1% nazionale. 2. Sintesi conclusiva: confronto dati regionali-nazionali e tra singoli CFP, punti di forza e di criticità 2.1. Il confronto tra dati regionali-nazionalia) Per quanto riguarda i dati anagrafici, i 23 ex allievi della Puglia si caratteriz-zano per essere tutti maschi e tutti autoctoni.b) In merito alle scelte post-qualifica, si rileva che:- il 17.4% ha continuato a studiare, a fronte del 32.8% nazionale;- 8 (34.8%) hanno trovato lavoro, a fronte del 34.5% nazionale;- 8 (34.8%) sono rimasti inattivi, a fronte del 21.3% nazionale. Graf. 4 - Bari e Cerignola: SETTORI OCCUPAZIONALIcfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 184 c) Per quanto riguarda i settori occupazionali e la posizione lavorativa:- il rapporto tra il numero dei lavoratori e quello dei qualificati è pari al 34.8%a fronte del 34.5% nazionale;- tutti i lavoratori presentano condizioni contrattuali non stabili e tempi d’in-gresso nel mercato del lavoro diversificati tra loro. 2.2. Il confronto tra singoli CFPa) In merito alle scelte, si distingue Bari, per non avere nessuno che ha continuatoa studiare.b) Per quanto riguarda l’occupazione:- Bari presenta un rapporto qualificati-lavoratori pari al 62.5%, una percen-tuale d’impiego tra le più elevate su scala nazionale;- Cerignola presenta un rapporto pari al 20%. 3. Dati per singoli CFP 3.1. BARIA Bari sono stati intervistati 8 ex allievi su 23, che rappresentano il 35% deldato regionale (cfr. Graf. 2) e lo 0.3% del totale.3.1.1. Dati anagraficiStando ad alcune delle principali variabili di status, gli 8 intervistati del CFP diBari presentano le seguenti caratteristiche:– tutti maschi;– 5 hanno fino a 18 anni e 3 vanno dai 19 anni in poi;– tutti autoctoni.3.1.2. Il percorso formativoa) Titolo all’ingresso nel CFP:- tutti provengono dalla scuola secondaria di 1° grado.b) Qualifica acquisita al termine del corso di IeFP:- tutti nel settore elettro/elettronico.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- triennale per tutti.e) Partecipazione allo stage:- tutti hanno risposto positivamente. 185 Tav. 1/Bari: SCELTE effettuate dagli 8 ex allievi,distribuiti per CFP e cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (23) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte degli 8 qualificati*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) 3.1.3. La posizione degli 8 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta gli 8 qualificati presentano le seguenti posizioni(Tav. 1/Bari e Graf. 5):– 5 (62.5%) lavorano, a fronte del 34.8% regionale e del 34.5% nazionale;– 3 (37.5%) non studiano né lavorano, a fronte del 34.8% regionale e del 21.3%nazionale;– nessuno ha proseguito gli studi, a fronte del 17.4% regionale e del 32.8% na-zionale. 3.1.4. La condizione occupazionale dei 5 lavoratoriDei 5 lavoratori intervistati:– 2 hanno dichiarato di aver trovato un’occupazione nello stesso settore di qua-lifica (elettro/elettronico): essi rappresentano il 40% dei qualificati di Bari chehanno trovato lavoro nello stesso settore di qualifica, a fronte del 18.9% na- Graf. 5 - Bari: SCELTE cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 186 zionale ed una stessa quota di ex allievi di questo CFP che hanno trovato la-voro;– 3 hanno dichiarato di aver trovato un’occupazione in settori diversi dalla quali-fica (automotive, meccanica industriale e “altro”).Attraverso le successive domande è emerso che solo un ex allievo si è fatto aiuta-re dal proprio CFP ed ha effettivamente trovato lavoro; il 60% l’ha trovato nei primitre mesi, a fronte del 50% regionale e del 58.4% nazionale e 2 entro sei mesi/un anno.In merito alle tipologie contrattuali: 2 sono stati assunti con contratti atipici, 1nell’apprendistato, 1 a tempo determinato e 1 a tempo indeterminato. 2 hanno tro-vato lavoro in un settore coerente con la qualifica conseguita. 3.2. CERIGNOLAA Cerignola sono stati intervistati 15 ex allievi, che rappresentano il 65% deldato regionale (cfr. Graf. 2) e lo 0.6% del totale.3.2.1. Dati anagraficiStando ad alcune delle principali variabili di status, i 15 intervistati di Ceri-gnola presentano le seguenti caratteristiche:– tutti maschi;– 8 (53.3%) hanno fino a 18 anni e 7 (46.7%) vanno dai 19 anni in poi;– tutti autoctoni.3.2.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 10 (66.7%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 2 (13.3%) hanno frequentato una scuola secondaria di 2° grado;- 3 (20%) non hanno risposto in merito.b) Qualifica acquisita al termine del corso di IeFP:- tutti nell’elettro/elettronico.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- triennale per tuttie) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente.3.2.3. La posizione dei 15 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 15 qualificati presentano le seguenti posizioni(Tav. 1/Cerignola e Graf. 6):– 4 (26.7%) hanno continuato gli studi in un Istituto Tecnico, a fronte del 17.4%regionale e del 32.8% nazionale; 187 Tav. 1/Cerignola: SCELTE effettuate dai 15 ex allievi,distribuiti per CFP e cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (23) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte dei 15 qualificati*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) 3.2.4. La condizione occupazionale dei 3 lavoratoriI 3 lavoratori hanno dichiarato di aver trovato occupazione tutti nel settoreelettro/elettronico; il tempo necessario per il reperimento va dai sei mesi a un anno;la tipologia contrattuale riguarda l’apprendistato, 1 contratto a tempo determinato e1 atipico. – 3 (20%) lavorano, a fronte del 34.8% regionale e del 34.5% nazionale;– 5 (33.3%) al momento dell’inchiesta non studiano né lavorano, a fronte del34.8% regionale e del 21.3% nazionale;– 3 (20%) hanno fatto altre scelte, a fronte del 13% regionale e dell’11.4% na-zionale. Graf. 6 - Cerignola: SCELTE cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 188 SICILIA: 490 intervistati = 18.8% del totale (2609) 1. Lo scenario regionale 1.1. ContestualizzazioneIn Sicilia sono stati intervistati complessivamente 490 qualificati, i quali rap-presentano il 18.8% del totale (Graf. 1). A loro volta i 490 qualificati appartengono ai 9 CFP della Regione e sono cosìdistribuiti (in ordine alfabetico - cfr. Graf. 2, in graduatoria numerica):– 15 a Caltanissetta (3.1%);– 92 a Catania/Barriera (18.8%);– 21 a Catania/Salette (4.3%);– 111 a Catania/S. Filippo Neri (22.6%);– 9 a Catania/Teatro Greco (1.8%)– 97 a Gela (19.8%);– 26 a Misterbianco Belsito (5.3%);– 85 a Palermo (17.3%);– 34 a Ragusa (7%); Graf. 1 - QUALIFICATI in SICILIA 189 Graf. 3 - QUALIFICATI per SETTORI I 490 qualificati sono invece così distribuiti, in base ai rispettivi settori di qua-lifica (in graduatoria numerica; cfr. Graf. 3):– 164 (33.5%) nel settore elettro/elettronico, a fronte del 29.6% nazionale;– 145 (29.6%) nel turistico-alberghiero, a fronte del 9.5% nazionale;– 94 (19.2%) nella meccanica industriale, a fronte del 27.8% nazionale;– 50 (10.1%) in altri settori, a fronte del 12.1% nazionale,– 23 (4.7%) nel settore grafico, a fronte del 13.6% nazionale;– 14 (2.9%) nel settore automotive, a fronte del 7.4% nazionale. Graf. 2 - QUALIFICATI per CFP 190 Tav.1 /SICI LIA: Distri buzio nede i490 qualif icatip erCF PeS ETTO RI(in Fq.e %di colon naed iriga ) LEGE NDA :* %(di colon na)d ei490 qualif icatid istrib uitia ll’inte rnod icias cuns ettore **% (dirig a)dei qualif icatid icias cunC FP,d istrib uitip erset tori ***a ltrise ttori( ediliz ia,leg no,ag ricolt ura,b eness ere,a mmin istraz ione, punto vendi ta…) 191 Una ulteriore lettura dei dati prodotta dall’incrocio tra i singoli CFP ed i settoripermette di evidenziare alcuni trend caratteristici degli intervistati (Tav. 1/SICILIA):– i 14 qualificati del settore automotive si trovano tutti a Palermo e rappresen-tano il 2.9% del totale dei qualificati in Sicilia;– i 164 (33.5%) del settore elettro/elettronico si trovano il 32.9% a Gela, il29.9% a Catania/Barriera, il 22% a Palermo, il 6.7% a Misterbianco Belsito el’8.5% a Ragusa;– i 23 (4.7%) qualificati del settore grafico si trovano 13 a Catania/Barriera e 10a Palermo;– i 94 (19.2%) qualificati della meccanica industriale si trovano in particolare aCatania/Barriera (32%), Gela (25.5%), Ragusa (21.3%), Catania/Salette(10.6%) e Palermo (10.6%);– il turistico-alberghiero è presente in Sicilia con 145 (29.6%) qualificati la per-centuale più elevata a livello nazionale, di cui 111 (76.6%) a Catania/S. FilippoNeri, 19 (13.1%) a Gela e 15 (10.3%) a Palermo;– i 50 (10.1%) qualificati in “altri” settori provengono: 15 (30%) da Caltanis-setta, 15 (30%) da Misterbianco Belsito, 11 (22%) da Catania/Salette e 9(18%) da Catania/Teatro Greco. 1.2. Dati anagraficiI 490 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status adottate nell’inchiesta:– 392 (80%) maschi e 98 (20%) femmine (una delle più alte percentuali conUmbria e Piemonte, di presenza femminile nei CFP del CNOS-FAP), a frontedel 14.8% nazionale;– 330 (67.4%) hanno fino a 18 anni e 160 (32.6%) vanno dai 19 anni in poi;– 480 (98%) autoctoni e 10 (2%) di origine migratoria, a fronte del 14.1% nazionale. 1.3. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 329 (67.1%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 72 (14.7%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado;- 89 (18.2%) non hanno risposto in merito.b) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.c) Tipologia del corso:- 474 (96.7%) triennale;- 15 (3.06%) biennale.d) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente. 192 1.4. La posizione dei 490 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 490 qualificati hanno dichiarato (Tav. 2/SICILIA eGraf. 4 e 5):– 132 (26.9%) di continuare a studiare, a fronte del 32.8% nazionale;– 104 (21.2%) di lavorare, a fronte del 34.5% nazionale;– 142 (29%) di non studiare né lavorare, a fronte del 21.3% nazionale;– 112 (22.8%) di aver fatto altre scelte, a fronte dell’11.4% nazionale. Tav. 2/SICILIA: SCELTE effettuate dai 490 ex allievi,distribuiti per CFP e Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (490) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte per CFP e Tot. Sicilia*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) Graf. 4 - SCELTE per CFP 193 Ai 132 che hanno dichiarato di aver proseguito gli studi è stato chiesto in qualeindirizzo:– 82 (62.1%) negli Istituti Professionali;– 31 (23.5%) negli Istituti Tecnici;– 5 (3.8%) nella IeFP;– 14 (10.6%) in altre strutture formative. Attraverso l’incrocio tra le scelte effettuate ed i settori di qualifica è stato pos-sibile verificare quali settori hanno favorito maggiormente il fare certe scelte, piut-tosto che altre (Tav. 3/SICILIA):– 65 (49.2%) qualificati del turistico-alberghiero e 35 (26.5%) dell’elettro/elettronico hanno scelto di proseguire gli studi;– i qualificati che hanno scelto di andare subito a lavorare si trovano in tutti isettori;– 65 (45.8%) qualificati dell’elettro/elettronico, 30 della meccanica industriale e30 del turistico-alberghiero non studiano né lavorano;– chi ha fatto “altre” scelte è un terzo dei qualificati dell’elettro/elettronico e unterzo del turistico-alberghiero. Graf. 5 - SCELTE cfr. REGIONALE/NAZIONALE 194 Tav.3 /SICI LIA: Distri buzio nede i490 perS CELT EeS ETTO RIdi qualif ica(in Fq.e %di colon naed iriga ) LEGE NDA :* %(di colon na)d ei490 qualif icatid istrib uitia ll’inte rnod icias cuns ettore **% (dirig a)dei qualif icatid istrib uitiin base alles celte ***a ltrise ttori( ediliz ia,leg no,ag ricolt ura,b eness ere,a mmin istraz ione, punto vendi ta…) **** altre scelte (corsi diapp rendis tato,p atente europ ea,se rvizio civile …) 195 1.5. La condizione occupazionale dei 104 lavoratoriA 1 anno dalla qualifica in Sicilia 104 (21.2%) qualificati hanno trovato la-voro. Stando ai dati per singoli CFP, la proporzione tra il totale qualificati e il totalelavoratori è (Tav. 4/SICILIA):– 11 (52.4%) a Catania/Salette;– 16 (47.1%) a Ragusa;– 4 (44.4%) a Catania/Teatro Greco;– 9 (34.6%) a Misterbianco Belsito;– 23 (25%) a Catania/Barriera– 3 (20%) a Caltanissetta;– 13 (15.3%) a Palermo;– 14 (12.6%) a Catania/S. Filippo Neri– 11 (11.3%) a Gela.Ai 104 qualificati è stato chiesto anche in quali settori hanno trovato lavoro.Attraverso la Tav. 4/SICILIA si rileva che (cfr. anche i Graf. 6 e 7):a) stando ai CFP:- i qualificati dei settori elettro/elettronico emeccanica industriale diMisterbiancoBelsito e Palermo non hanno trovato lavoro nello stesso settore di qualifica;b) se si guarda invece all’andamento interno ai settori:- il 96% dei qualificati nel settore “altro” ha trovato lavoro;- il 20.2% dei qualificati ha trovato lavoro nella meccanica industriale;- il 13% nel grafico;- il 9.7% nel turistico-alberghiero;- il 7.3% nell’elettro/elettronico;- il 57.1% nell’automotive. Graf. 6 - LAVORATORI per CFP e per SETTORI 196 Tav.4 /SICI LIA: Cfr.( in%) trasin goliC FPe SETT ORIn elrap porto QUA LIFIC ATI/L AVOR ATOR I LEGE NDA :Q= n.QU ALIF ICAT I;L= n.LA VORA TORI ; *%( dirig a)sui qualif icatic helav orano **alt risett ori(e dilizia ,legn o,agr icoltu ra,be nesse re,am minis trazio ne,pu ntove ndita… ) ()Si faoss ervar eche inum eritra ()ch esitr ovano nella colon na“L ”stan noad indica reque ilavo ratori cheh anno trovat olavo roin settor idive rsida llaqu alifica conse guita 197 Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, successi-vamente si è voluto sapere:a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFP e quanti l’hanno trovato in questomodo:- si sono rivolti al proprio CFP37 (7.6%) qualificati, a fronte del 13.8% nazionale;- di questi, 32 (86.5%) hanno trovato lavoro grazie al proprio CFP, a frontedell’87.8% nazionale;b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 58 (55.8%) nei primi tre mesi, a fronte del 58.4% nazionale;- 20 (19.2%) entro sei mesi;- 5 (4.8%) entro un anno;c) la tipologia contrattuale:- 53 (50.9%) con contratti atipici, a fronte del 26.1% nazionale;- 40 (38.5%) nell’apprendistato, a fronte del 44.2% nazionale;- 6 (5.8%) assunti con contratto a tempo determinato, a fronte del 23.2%nazionale;- 5 (4.8%) assunti con contratto a tempo indeterminato, a fronte del 7.5% na-zionale.Anche nei confronti di quest’ultima serie di dati è stata avvertita l’esigenza diindividuare quali settori hanno favorito l’ingresso in tempi brevi dei qualificati nelmondo del lavoro e a quali condizioni contrattuali. Dai dati si evince che:– la meccanica industriale ha fatto ricorso all’apprendistato;– i settori “altri” hanno fatto ricorso ai contratti atipici. Graf. 7 - SICILIA: cfr. Tot. REGIONALE/NAZIONALEnel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI 198 2. Sintesi conclusiva: confronto dati regionali-nazionali e tra singoli CFP, punti di forza e di criticità 2.1. Il confronto tra dati regionali-nazionalia) Per quanto riguarda i dati anagrafici si osserva, contestualmente al totale na-zionale:- una delle maggiori presenze della componente femminile pari al 20%, afronte del 14.8% nazionale;- una maggiore presenza di soggetti più giovani;- la presenza dei figli di origine migratoria si attesta al 2%, a fronte del 14.1%nazionale.b) In merito alle scelte post-qualifica, si rileva che:- il 26.9% ha scelto di continuare gli studi, a fronte del 32.8% nazionale;- il 21.2% ha scelto di andare subito a lavorare a fronte del 34.5% nazionale;- il 29.1% si trova in una condizione di inattività, a fronte del 21.3% nazio-nale;- l’11.4% ha fatto altre scelte.c) Rispetto ai settori occupazionali e alla posizione lavorativa, va evidenziato che:- 48 qualificati nel settore “altro” hanno trovato lavoro, di cui 16 in coerenzacon le qualifiche; il 20.2% dei qualificati ha trovato lavoro nella meccanicaindustriale; il 13% nel grafico; il 9.7% nel turistico-alberghiero; il 7.3% nel-l’elettro/elettronico; il 57.1% nell’automotive;- la tipologia dei contratti con cui sono stati assunti presenta il 50.9% di con-tratti atipici a fronte del 24.6% nazionale, mentre 11 sono quelli a tempo de-terminato/indeterminato. 2.2. Il confronto tra singoli CFPa) Sui dati anagrafici si distinguono:- Catania/S. Filippo Neri, Catania/Barriera e Palermo per avere quote più ele-vate di qualificati;- Catania/Barriera e Ragusa per aver soli maschi e Caltanissetta per avere solefemmine; mentre a Catania/S. Filippo Neri le femmine sono il 43%.b) In merito al percorso formativo, si rileva che:- tutti i qualificati del settore automotive si trovano a Palermo; i 111 qualificatidi Catania/S. Filippo Neri appartengono al turistico-alberghiero; i 15 di Cal-tanissetta e i 9 di Catania/Teatro Greco appartengono al settore “altro”; Pa-lermo distribuisce i qualificati in tutti i settori;- il 45.4% dei qualificati di Catania/S. Filippo Neri ha scelto di proseguire glistudi;- il 28.2% di Gela e il 25.4% di Catania/Barriera si trovano in una condizionedi inattività. 199 c) Per quanto riguarda l’occupazione:- il dato positivo sta nel costatare lo stretto rapporto tra le qualifiche “altre” e illoro inserimento nei settori occupazionali ricorrendo spesso a contratti atipici;- i settori elettro/elettronico, meccanica industriale e turistico-alberghiero pre-sentano quote occupazionali al di sotto del dato nazionale;- i qualificati dei settori elettro/elettronico emeccanica industriale diMisterbiancoBelsito e Palermo non hanno trovato lavoro nello stesso settore di qualifica. 3. Dati per singoli CFP 3.1. CALTANISSETTAA Caltanissetta sono state intervistate 15 qualificate, che rappresentano il 3.1%degli intervistati a livello regionale e lo 0.6% nazionale.3.1.1. Dati anagraficiLe 15 qualificate presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status:– hanno tutte dai 19 anni in poi;– tutte autoctone.3.1.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- tutte hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2° grado.b) Qualifica acquisita al termine del corso di IeFP (cfr. Tav. 1/SICILIA e Graf. 3):- hanno conseguito tutte la qualifica nel settore “altro”.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutte a giugno.d) Tipologia del corso:- biennale per tutte.e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutte affermativamente.3.1.3. La posizione delle 15 ex allieve a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta le 15 qualificate hanno dichiarato (cfr. Tav. 1/Calta-nissetta e Graf. 8):– 10 (66.7%) di continuare a studiare, a fronte del 26.9% regionale e 32.8% na-zionale;– 3 (20%) di lavorare, a fronte del 21.2% regionale e 34.5% nazionale;– 1 (6.7%) di non studiare né lavorare, a fronte del 29% regionale e 21.3% na-zionale;– 1 (6.7%) di aver fatto “altre” scelte, a fronte del 22.8% regionale e dell’11.4%nazionale. 200 Tav. 1/Caltanissetta: SCELTE effettuate dalle 15 intervistate di Caltanissettae cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistate a livello regionale (490) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte delle 15 qualificate*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) 3.1.4. La condizione occupazionale delle 3 lavoratriciLe 3 qualificate che stavano già lavorando hanno dichiarato di essere inseritenello stesso settore di qualifica, di aver trovato lavoro nei primi sei mesi, 1 comeapprendista e 2 a tempo indeterminato. 3.2. CATANIA/BARRIERAA Catania/Barriera sono stati intervistati 92 qualificati, che rappresentano il18.8% del dato regionale e il 3.5% del totale.3.2.1. Dati anagraficiI 92 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status:– tutti maschi;– 65 (70.7%) hanno fino a 18 anni e 27 (29.3%) vanno dai 19 anni in poi;– 91 (98.9%) autoctoni e 1 (1.1%) di origine migratoria, a fronte del 2% regio-nale e del 14.1% nazionale. Graf. 8 - Caltanissetta: SCELTE cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 201 3.2.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 73 (79.3%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 10 (10.9%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado;- 9 (9.8%) non hanno risposto in merito.b) Qualifica acquisita al termine del corso di IeFP (cfr. Tav. 1/SICILIA e Graf. 3):- 49 (53.3%) nell’elettro/elettronico;- 30 (32.6%) nella meccanica industriale;- 13 (14.1%) nel grafico.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- triennale per tutti.e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente.3.2.3. La posizione dei 92 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 92 qualificati hanno dichiarato (cfr. Tav. 1/Ca-tania/Barriera e Graf. 9):– 25 (27.2%) di continuare a studiare, a fronte del 26.9% regionale e 32.8% na-zionale: di cui il 68% negli Istituti Tecnici e il 32% negli Istituti Professionali;– 23 (25%) di lavorare, a fronte del 21.2% regionale e 34.5% nazionale;– 36 (39.1%) di non studiare né lavorare, a fronte del 29% regionale e 21.3% na-zionale;– 8 (8.7%) di aver fatto altre scelte, a fronte del 22.8% regionale e 11.4% nazio-nale.Nell’intento di verificare quanto hanno influito i settori di qualifica nel deter-minare le successive scelte, attraverso ulteriori analisi è stato possibile verificareche nel settore elettro/elettronico 18 qualificati hanno scelto di proseguire gli studi,12 hanno scelto di andare subito a lavorare e 17 si trovano in una situazione di inat-tività. Tav. 1/Catania/Barriera: SCELTE effettuate dai 92 intervistati di Catania/Barrierae cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (490) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte dei 92 qualificati*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) 202 Graf 9 - Catania/Barriera: SCELTE cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 3.2.4. La condizione occupazionale dei 23 lavoratoriAi 23 (25%) qualificati che hanno dichiarato che stavano lavorando successi-vamente è stato chiesto in quali settori hanno trovato lavoro (cfr. Tav.2/Catania/Barriera e Graf. 10): – 3 su 49 nel settore elettro/elettronico: essi rappresentano il 6.1% dei qualificatidi Catania/Barriera che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore diqualifica, a fronte del 7.3% regionale e del 18.9% nazionale e il 13.1% degliex allievi di questo CFP che hanno trovato lavoro;– 1 su 13 nel grafico: esso rappresenta il 7.7% dei qualificati di Catania/Barrierache hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qualifica, a fronte del13% regionale e del 9.6% nazionale e il 4.3% degli ex allievi di questo CFPche hanno trovato lavoro;– 9 su 30 nella meccanica industriale: essi rappresentano 30% dei qualificati diCatania/Barriera che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qua- Tav. 2/Catania/Barriera: Cfr. (in %) con Tot. REGIONALE/NAZIONALEnel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI per SETTORI LEGENDA: Q=n. QUALIFICATI; L=n. LAVORATORI;* % (di riga) sui qualificati che lavorano** altri settori (edilizia, legno, agricoltura, benessere, amministrazione, punto vendita…)( ) Si fa osservare che i numeri tra ( ) che si trovano nella colonna “L” stanno ad indicare quei lavoratori chehanno trovato lavoro in settori diversi dalla qualifica conseguita 203 lifica, a fronte del 20.2% regionale e del 38.3% nazionale e il 39.1% degli exallievi di questo CFP che hanno trovato lavoro;– 10 hanno trovato lavoro in settori non coerenti con la qualifica conseguita: 2nell’automotive e 8 in “altri” settori.Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, successi-vamente si è voluto sapere:a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFP e quanti l’hanno trovato in questomodo:- 10 (10.9%) qualificati di Catania/Barriera si sono rivolti al CFP;- di questi, 7 hanno trovato lavoro grazie al proprio CFP, a fronte dell’86.3%regionale e dell’87.8% nazionale;b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 9 (39.1%) nei primi tre mesi, a fronte del 55.8% regionale e del 58.4% na-zionale;- 5 (21.7%) entro sei mesi e 9 (39.1%) entro un anno;c) la tipologia contrattuale:- 10 (43.5%) nell’apprendistato, a fronte del 38.5% regionale e del 44.2% na-zionale;- 10 (43.5%) assunti con contratti atipici, a fronte del 50.9% regionale e del26.1% nazionale;- 2 (8.7%) con contratto a tempo indeterminato, a fronte del 4.8% regionale edel 7.5% nazionale;- 1 (44.3%) con contratto a tempo determinato, a fronte del 5.8% regionale edel 23.2% nazionale. Graf. 10 - Catania/Barriera: SETTORI OCCUPAZIONALIcfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 204 3.3. CATANIA/SALETTEA Catania/Salette sono stati intervistati 21 qualificati, che rappresentano il4.3% del dato regionale e lo 0.8% del totale.3.3.1. Dati anagraficiI 21 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status:– 10 (47.6%) maschi e 11 (52.4%) femmine, a fronte del 20% regionale e del14.8% nazionale;– 16 (76.2%) hanno fino a 18 anni e 5 (23.8%) vanno dai 19 anni in poi;– 20 (95.2%) autoctoni e 1 (4.6%) di origine migratoria, a fronte del 2% regio-nale e del 14.1% nazionale.3.3.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 13 (61.9%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 3 (14.3%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado;- 5 (23.8%) non hanno risposto in merito.b) Qualifica acquisita al termine del corso di IeFP (cfr. Tav. 1/SICILIA e Graf. 3):- 10 (47.6%) nella meccanica industriale;- 11 (52.4%) in qualifiche “altre”.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- triennale per tutti.e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente.3.3.3. La posizione dei 21 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 21 qualificati hanno dichiarato (cfr. Tav.1/Ca-tania/Salette e Graf. 11):– 11 (52.4%) di lavorare, a fronte del 21.2% regionale e 34.5% nazionale;– 2 (9.5%) di aver proseguito gli studi, a fronte del 26.9% regionale e 32.8% na-zionale, di cui 1 negli Istituti Tecnici e 1 negli Istituti Professionali;– 5 (23.8%) di non studiare né lavorare, a fronte del 29% regionale e 21.3% na-zionale;– 3 (14.3%) di aver fatto “altre” scelte, a fronte del 22.8% regionale edell’11.4% nazionale. 205 Tav. 1/Catania/Salette: SCELTE effettuate dai 21 intervistati di Catania/Salettee cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (490) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte dei 21 qualificati*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) 3.3.4. La condizione occupazionale degli 11 lavoratoriAgli 11 (52.4%) qualificati che hanno dichiarato che stavano già lavorandosuccessivamente è stato chiesto in quali settori hanno trovato lavoro:– 8 su 11 nel settore “altro”: essi rappresentano il 72.7% dei qualificati di Ca-tania/Salette che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di quali-fica, a fronte del 96% regionale e del 91.1% nazionale e il 72.7% di coloro chehanno trovato lavoro;– 2 su 10 nella meccanica industriale: essi rappresentano il 20% dei qualificatiche hanno trovato lavoro nello stesso settore di qualifica e il 18.3% degli ex al-lievi di questo CFP che hanno trovato lavoro, a fronte del 20.2% regionale edel 38.3% nazionale;– 1 ha trovato lavoro in un settore non coerente con la qualifica conseguita.Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, successi-vamente si è voluto sapere: Graf. 11 - Catania/Salette: SCELTE cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 206 a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFPe quanti l’hanno trovato in questomodo:- su 6 che l’hanno chiesto, hanno trovato lavoro tutti grazie al proprio CFP, afronte dell’86.3% regionale e dell’87.8% nazionale;b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 9 (81.6%) nei primi tre mesi, a fronte del 55.8% regionale e del 58.4% nazio-nale;- 2 entro sei mesi;c) la tipologia contrattuale:- 5 (45.5%) assunti con contratti atipici, a fronte del 50.9% regionale e del26.1% nazionale;- 3 (27.3%) nell’apprendistato, a fronte del 38.5% regionale e del 44.2% na-zionale;- 3 (27.3%) con contratto a tempo indeterminato, a fronte del 4.8% regionale edel 7.5% nazionale. 3.4. CATANIA/S. FILIPPO NERIA Catania/S. Filippo Neri sono stati intervistati 111 qualificati, che rappresen-tano il 22.6% del dato regionale e il 4.3% del totale.3.4.1. Dati anagraficiI 111 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status:– 69 (62.2%) maschi e 42 (37.8%) femmine, a fronte del 20% regionale e del14.8% nazionale;– 74 (66.6%) hanno fino a 18 anni e 37 (33.4%) vanno dai 19 anni in poi;– 109 (98.2%) autoctoni e 2 (1.8%) di origine migratoria, a fronte del 2% regio-nale e del 14.1% nazionale.3.4.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 75 (67.6%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 21 (18.9%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado;- 15 (13.5%) non hanno risposto in merito.b) Qualifica acquisita al termine del corso di IeFP (cfr. Tav. 1/SICILIA e Graf. 3):- tutti e 111 nel turistico-alberghiero.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- triennale per tutti.e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente. 207 3.4.3. La posizione dei 111 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 111 qualificati hanno dichiarato (cfr. Tav. 1/Ca-tania/S. Filippo Neri e Graf. 12):– 60 (54.1%) di continuare a studiare, a fronte del 26.9% regionale e 32.8% na-zionale, di cui il 78.3% negli Istituti Professionali, il 13.3% negli Istituti Tec-nici e l’8.3% nella IeFP;– 14 (12.6%) di lavorare, a fronte del 21.2% regionale e 34.5% nazionale;– 20 (18%) di non studiare né lavorare, a fronte del 29% regionale e 21.3% na-zionale;– 17 (15.3%) di aver fatto altre scelte, a fronte del 22.8% regionale e dell’11.4%nazionale. 3.4.4. La condizione occupazionale dei 14 lavoratoriAi 14 (12.6%) qualificati che hanno dichiarato che stavano già lavorando suc-cessivamente è stato chiesto in quali settori hanno trovato lavoro: Tav. 1/Catania/S. Filippo Neri: SCELTE effettuate dai 111 intervistati di Catania/S. Filippo Nerie cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (490) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte dei 111 qualificati*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) Graf. 12 - Catania/S. Filippo Neri: SCELTE cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 208 – 7 nel turistico-alberghiero: essi rappresentano il 6.3% dei qualificati di Ca-tania/S. Filippo Neri che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore diqualifica, a fronte del 9.7% regionale e del 27.1% nazionale;– 7 in “altri” settori, non coerenti con la qualifica conseguita.Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, successi-vamente si è voluto sapere:a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFP e quanti l’hanno trovato inquesto modo:- su 8 che l’hanno chiesto, tutti hanno trovato lavoro grazie al proprio CFP, afronte dell’86.3% regionale e dell’87.8% nazionale;b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 11 (78.6%) nei primi tre mesi, a fronte del 55.8% regionale e del 58.4% na-zionale;- 3 tra sei mesi e un anno;c) la tipologia contrattuale:- 7 (50%) assunti con contratti atipici, a fronte del 50.9% regionale e del26.1% nazionale;- 5 (35.7%) nell’apprendistato, a fronte del 38.5% regionale e del 44.2% na-zionale;- 1 (7.1%) con contratto a tempo determinato, a fronte del 5.8% regionale edel 23.2% nazionale;- 1 (7.1%) con contratto a tempo indeterminato, a fronte del 4.8% regionale edel 7.5% nazionale. 3.5. CATANIA/TEATRO GRECOA Catania/Teatro Greco sono stati intervistati 9 qualificati in tutto, che rappre-sentano l’1.8% del dato regionale e lo 0.3% del totale.3.5.1. Dati anagraficiI 9 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status:– 5 maschi e 4 femmine (44.4%) a fronte del 20% regionale e del 14.8% nazionale;– 6 hanno fino a 18 anni e 3 vanno dai 19 anni in poi;– 8 autoctoni e 1 di origine migratoria (11.1%), a fronte del 2% regionale edell’11.4% nazionale.3.5.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 6 (66.7%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 3 (33.3%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado. 209 b) Qualifica acquisita al termine del corso di IeFP (cfr. Tav. 1/SICILIA e Graf. 3):tutti nel settore “altro”.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- triennale per tutti.e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente.3.5.3. La posizione dei 9 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 9 qualificati hanno dichiarato (cfr. Tav. 1/Ca-tania/Teatro Greco e Graf. 13): – 2 (22.2%) di continuare a studiare, a fronte del 26.9% regionale e 32.8% na-zionale;– 4 (44.4%) di lavorare, a fronte del 21.2% regionale e 34.5% nazionale; Tav. 1/Catania/Teatro Greco: SCELTE effettuate dai 9 intervistati di Catania/Teatro Grecoe cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (490) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte dei 9 qualificati*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) Graf. 13 - Catania/Teatro Greco: SCELTE cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 210 – 2 (22.2%) di non studiare né lavorare, a fronte del 29% regionale e 21.3% na-zionale;– 1 (11.2%) di aver fatto altre scelte, a fronte del 22.8% regionale e dell’11.4%nazionale.3.5.4. La condizione occupazionale dei 4 lavoratoriAi 4 (44.4%) che hanno dichiarato che stavano già lavorando successivamenteè stato chiesto in quali settori hanno trovato lavoro:– 3 nei settori “altri”: essi rappresentano il 33.3% dei qualificati di Catania/Teatro Greco che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di quali-fica e il 75% degli ex allievi di questo CFP che hanno trovato lavoro;– 1 ha trovato un’occupazione in un settore diverso dalla qualifica.Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, successi-vamente si è voluto sapere:a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFPe quanti l’hanno trovato in questomodo:- nessuno ha chiesto al proprio CFP di trovare lavoro;b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 1 nei primi tre mesi;- 2 entro sei mesi;- 1 entro un anno;c) la tipologia contrattuale:- assunti tutti con contratti atipici. 3.6. GELAA Gela sono stati intervistati 97 qualificati, che rappresentano il 19.8% deldato regionale e il 3.7% del totale.3.6.1. Dati anagraficiI 97 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status:– 89 (91.8%) maschi e 8 femmine (8.2%), a fronte del 20% regionale e del14.8% nazionale;– 61 (62.9%) hanno fino a 18 anni e 36 (37.1%) vanno dai 19 anni in poi;– 96 (99%) autoctoni e 1 (1%) di origine migratoria, a fronte del 2% regionale edel 14.1% nazionale.3.6.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 61 (62.9%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 5 (5.2%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2° grado;- 31 (32%) non hanno risposto in merito. 211 b) Qualifica acquisita al termine del corso di IeFP (cfr. Tav. 1/SICILIA e Graf. 3):- 54 (55.7%) nell’elettro/elettronico;- 24 (24.7%) nella meccanica industriale;- 19 (19.6%) nel turistico-alberghiero.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a luglio 2010.d) Tipologia del corso:- triennale per tutti.e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente.3.6.3. La posizione dei 97 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 97 qualificati hanno dichiarato (cfr. Tav. 1/Gela eGraf. 14): Tav. 1/Gela: SCELTE effettuate dai 97 intervistati di Gelae cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (490) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte dei 97 qualificati*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) Graf. 14 - Gela: SCELTE cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 212 – 8 (8.2%) di continuare gli studi, a fronte del 26.9% regionale e 32.8% nazio-nale, tutti negli Istituti Professionali;– 11 (11.3%) di lavorare, a fronte del 21.2% regionale e 34.5% nazionale;– 40 (41.2%) di non studiare né lavorare, a fronte del 29% regionale e 21.3% na-zionale;– 38 (39.3%) di aver fatto altre scelte, a fronte del 22.8% regionale e dell’11.4%nazionale.Nell’intento di verificare quanto hanno influito i settori di qualifica nel deter-minare le successive scelte, attraverso ulteriori analisi è stato possibile verificareche dei 40 inattivi 28 appartengono al settore elettro/elettronico, ma al tempo stessoquesto settore di qualifica ha influito positivamente sulla ricerca di altre soluzioni,assieme al turistico-alberghiero.3.6.4. La condizione occupazionale degli 11 lavoratoriAgli 11 (11.3%) qualificati che hanno dichiarato che stavano già lavorandosuccessivamente è stato chiesto in quali settori hanno trovato lavoro (cfr. Tav.2/Gela e Graf. 15):– 4 su 54 nel settore elettro/elettronico: essi rappresentano il 7.4% dei qualificatidi Gela che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qualifica, afronte del 7.3% regionale e del 18.9% nazionale e il 17.3% degli ex allievi diquesto CFP che hanno trovato lavoro;– 1 su 24 nella meccanica industriale: esso rappresenta il 4.2% dei qualificati diGela che ha trovato un’occupazione nello stesso settore di qualifica, a frontedel 20.2% regionale e del 38.3% nazionale e il 9% degli ex allievi di questoCFP che hanno trovato lavoro;– 2 su 19 nel turistico-alberghiero: essi rappresentano il 10.5% dei qualificati diGela che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qualifica, afronte del 9.7% regionale e del 27.1% nazionale e il 18.2% degli ex allievi diquesto CFP che hanno trovato lavoro;– 4 hanno trovato lavoro in settori non coerenti con la qualifica conseguita: 1nell’automotive e 3 in “altri” settori. Tav. 2/Gela: Cfr. (in %) con Tot. REGIONALE/NAZIONALEnel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI per SETTORI LEGENDA: Q=n. QUALIFICATI; L=n. LAVORATORI;* % (di riga) sui qualificati che lavorano** altri settori (edilizia, legno, agricoltura, benessere, amministrazione, punto vendita…)( ) Si fa osservare che i numeri tra ( ) che si trovano nella colonna “L” stanno ad indicare quei lavoratori chehanno trovato lavoro in settori diversi dalla qualifica conseguita 213 Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, successi-vamente si è voluto sapere:a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFP e quanti l’hanno trovato in questomodo:- l’unico che l’ha chiesto, ha effettivamente trovato lavoro grazie al proprio CFP;b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 5 (45.5%) nei primi tre mesi, a fronte del 55.8% regionale e del 58.4% na-zionale;- 4 (36.4%) entro sei mesi e 2 (18.2%) entro un anno;c) la tipologia contrattuale:- 2 sono stati assunti con contratto di apprendistato;- 9 (81.8%) con contratti atipici, a fronte del 50.9% regionale e del 26.1% na-zionale, di cui 7 nel settore elettro/elettronico. 3.7. MISTERBIANCO BELSITOA Misterbianco Belsito sono stati intervistati 26 qualificati, che rappresentanoil 5.3% del dato regionale e l’1% del totale.3.7.1. Dati anagraficiI 26 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status:– 13 (50%) maschi e 13 (50%) femmine, queste ultime a fronte del 20% regio-nale e del 14.8% nazionale;– 21 (80.8%) hanno fino a 18 anni e 5 (19.2%) vanno dai 19 anni in poi;– tutti autoctoni. Graf. 15 - Gela: SETTORI OCCUPAZIONALI cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 214 3.7.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 21 (80.8%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 4 (15.4%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2° grado;- 1 (3.8%) non ha risposto in merito.b) Qualifica acquisita al termine del corso di IeFP (cfr. Tav. 1/SICILIA e Graf. 3):- 11 (42.3%) nell’elettro/elettronico;- 15 (57.7%) in qualifiche “altre”.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- triennale per tutti.e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente.3.7.3. La posizione dei 26 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 26 qualificati hanno dichiarato (cfr. Tav. 1/Mister-bianco Belsito e Graf. 16): Tav. 1/Misterbianco Belsito: SCELTE effettuate dai 26 intervistati di Misterbianco Belsitoe cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (490) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte dei 26 qualificati*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) Graf. 16 - Misterbianco Belsito: SCELTE cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 215 – 5 (19.2%) di aver proseguito gli studi, a fronte del 26.9% regionale e 32.8%nazionale, di cui 2 negli Istituti Tecnici e 3 negli Istituti Professionali;– 9 (34.6%) di lavorare, a fronte del 21.2% regionale e 34.5% nazionale;– 10 (38.5%) di non studiare né lavorare, a fronte del 29% regionale e 21.3% na-zionale; di questi 10, 8 sono qualificati nell’elettro/elettronico;– 2 (7.7%) di aver fatto altre scelte, a fronte del 22.8% regionale e dell’11.4%nazionale.3.7.4. La condizione occupazionale dei 9 lavoratoriAi 9 (34.6%) qualificati che hanno dichiarato che stavano già lavorando suc-cessivamente è stato chiesto in quali settori hanno trovato lavoro:– 8 su 9 nel settore “altro”: essi rappresentano il 53.3% dei qualificati di Mister-bianco Belsito che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di quali-fica, a fronte del 96% regionale e del 91.1% nazionale e l’89% degli ex allievidi questo CFP che hanno trovato lavoro;– 1 ha trovato lavoro in un settore non coerente con la qualifica conseguita.Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, successi-vamente si è voluto sapere:a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFP e quanti l’hanno trovato in questomodo:- su 3 che l’hanno chiesto, tutti hanno trovato lavoro grazie al proprio CFP;b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- tutti nei primi tre mesi, a fronte del 55.8% regionale e del 57.9% nazionale;c) la tipologia contrattuale:- 2 sono stati assunti con contratto di apprendistato;- 7 (77.8%) sono stati assunti con contratti atipici, a fronte del 50.9% regio-nale e del 26.1% nazionale. 3.8. PALERMOA Palermo sono stati intervistati 85 qualificati, che rappresentano il 17.3% deldato regionale e il 3.3% del totale.3.8.1. Dati anagraficiGli 85 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status:– 82 (96.5%) autoctoni e 3 (3.5%) di origine migratoria, a fronte del 2% regio-nale e del 14.1% nazionale.3.8.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 57 (67.1%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado; 216 - 9 (10.6%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado;- 19 (22.4%) non hanno risposto in merito.b) Qualifica acquisita al termine del corso di IeFP (cfr. Tav. 1/SICILIA e Graf. 3):- 14 (16.5%) nell’automotive;- 36 (42.4%) nell’elettro/elettronico;- 10 (11.8%) nel grafico;- 10 (11.8%) nella meccanica industriale;- 15 (17.6%) nel turistico-alberghiero.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a luglio 2010.d) Tipologia del corso:- triennale per tutti.e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente.3.8.3. La posizione degli 85 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta gli 85 qualificati hanno dichiarato (cfr. Tav. 1/Pa-lermo e Graf. 17):– 20 (23.5%) di continuare gli studi, a fronte del 26.9% regionale e 32.8% nazio-nale, di cui 13 negli Istituti Professionali, 4 negli Istituti Tecnici e 3 in altrestrutture formative;– 13 (15.3%) di lavorare, a fronte del 21.2% regionale e 34.5% nazionale;– 23 (27.1%) di non studiare né lavorare, a fronte del 29% regionale e 21.3% na-zionale;– 29 (34.1%) di aver fatto altre scelte, a fronte del 22.8% regionale e dell’11.4%nazionale. Nell’intento di verificare quanto hanno influito i settori di qualifica nel deter-minare le successive scelte, attraverso ulteriori analisi è stato possibile verificareche 11 qualificati del settore elettro/elettronico hanno scelto di continuare gli studi,14 hanno fatto altre scelte e 9 si trovano in una condizione di inattività. Tav. 1/Palermo: SCELTE effettuate dagli 85 intervistati di Palermoe cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (490) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte degli 85 qualificati*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) 217 3.8.4. La condizione occupazionale dei 13 lavoratoriAi 13 (15.3%) che hanno dichiarato che stavano già lavorando successivamenteè stato chiesto in quali settori hanno trovato lavoro (cfr. Tav. 2/Palermo e Graf. 18):– 5 su 14 nel settore automotive: essi rappresentano il 36.7% dei qualificati diPalermo che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qualifica, afronte del 57.1% regionale e del 49.5% nazionale;– 1 su 36 nel settore elettro/elettronico: esso rappresenta il 2.8% dei qualificatidi Palermo che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qualifica,a fronte del 7.3% regionale e del 18.9% nazionale e il 17.7% degli ex allievi diquesto CFP che hanno trovato lavoro;– 2 su 10 nel grafico: essi rappresentano il 20% dei qualificati di Palermo chehanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qualifica, a fronte del13% regionale e del 9.6% nazionale e il 15.4% degli ex allievi di questo CFPche hanno trovato lavoro;– 2 su 15 nel turistico-alberghiero: essi rappresentano il 13.3% dei qualificati diPalermo che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qualifica, afronte del 9.7% regionale e del 27.1% nazionale e il 15.4% degli ex allievi diquesto CFP che hanno trovato lavoro;– 3 hanno trovato lavoro in “altri” settori non coerenti con la qualifica conseguita.Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, successi-vamente si è voluto sapere:a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFP e quanti l’hanno trovato in questomodo:- 2 che l’hanno chiesto, hanno effettivamente trovato lavoro grazie al proprioCFP; Graf. 17 - Palermo: SCELTE cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 218 Tav.2 /Pale rmo: Cfr.( in%) conT ot.RE GION ALE/ NAZI ONA LEne lrapp ortoQ UALI FICA TI/LA VOR ATOR Iper SETT ORI LEGE NDA :Q= n.QU ALIF ICAT I;L= n.LA VORA TORI ; *%( dirig a)sui qualif icatic helav orano **alt risett ori(e dilizia ,legn o,agr icoltu ra,be nesse re,am minis trazio ne,pu ntove ndita… ) ()Si faoss ervar eche inum eritra ()ch esitr ovano nella colon na“L ”stan noad indica reque ilavo ratori cheh anno trovat olavo roin settor idive rsida llaqu alifica conse guita 219 b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 3 (23.1%) nei primi tre mesi, a fronte del 55.8% regionale e del 58.4% na-zionale;- 10 tra sei mesi e un anno;c) la tipologia contrattuale:- 6 (46.1%) nell’apprendistato, a fronte del 38.5% regionale e del 44.2% na-zionale;- 7 (53.9%) sono stati assunti con contratti atipici, a fronte del 50.9% regio-nale e del 26.1% nazionale. 3.9. RAGUSAA Ragusa sono stati intervistati 34 qualificati, che rappresentano il 7% del datoregionale e l’1.3% del totale.3.9.1. Dati anagraficiI 34 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status:– tutti maschi;– 26 (76.5%) hanno fino a 18 anni e 8 (23.5%) vanno dai 19 anni in poi;– 33 (97.1%) autoctoni e 1 (2.9%) di origine migratoria, a fronte del 2% regio-nale e del 14.1% nazionale.3.9.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 23 (67.6%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado; Graf. 18 - Palermo: SETTORI OCCUPAZIONALI cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 220 - 5 (14.7%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado;- 6 (17.6%) non hanno risposto in merito.b) Qualifica acquisita al termine del corso di IeFP (cfr. Tav. 1/SICILIA e Graf. 3):- 14 (41.2%) nell’elettro/elettronico;- 20 (58.8%) nella meccanica industriale.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a luglio 2010.d) Tipologia del corso:- triennale per tutti.e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente.3.9.3. La posizione dei 34 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 34 qualificati hanno dichiarato (cfr. Tav. 1/Ragusae Graf. 19): Tav. 1/Ragusa: SCELTE effettuate dai 34 intervistati di Ragusae cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (490) e nazionale (2609)** % (di riga in base alle scelte dei 34 qualificati*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) Graf. 19 - Ragusa: SCELTE cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 221 – 16 (47.1%) di lavorare, a fronte del 21.2% regionale e 34.5% nazionale;– 5 (14.7%) di non studiare né lavorare, a fronte del 29% regionale e 21.3% na-zionale;– 13 (38.2%) di aver fatto altre scelte, a fronte del 22.8% regionale e dell’11.4%nazionale;– nessuno ha continuato gli studi.Nell’intento di verificare quanto hanno influito i settori di qualifica nel deter-minare le successive scelte, attraverso ulteriori analisi si evince che 12 qualificatidella meccanica industriale hanno scelto di andare subito a lavorare.3.9.4. La condizione occupazionale dei 16 lavoratoriAi 16 (47.1%) che hanno dichiarato che stavano già lavorando successiva-mente è stato chiesto in quali settori hanno trovato lavoro (cfr. Tav. 2/Ragusa eGraf. 20):– 4 su 16 nel settore elettro/elettronico: essi rappresentano il 28.6% dei qualifi-cati di Ragusa che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di quali-fica, a fronte del 7.3% regionale e del 18.9% nazionale e il 25% degli ex al-lievi di questo CFP che hanno trovato lavoro;– 6 su 20 nella meccanica industriale: essi rappresentano il 30% dei qualificatidi Ragusa che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qualifica, afronte del 20.2% regionale e del 38.3% nazionale e il 37.5% degli ex allievi diquesto CFP che hanno trovato lavoro;– 6 hanno trovato lavoro in “altri” settori non coerenti con la qualifica conse-guita. Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, successi-vamente si è voluto sapere:a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFP e quanti l’hanno trovato in questomodo:- su 6 che l’hanno chiesto, hanno trovato tutti lavoro grazie al proprio CFP; Tav. 2/Ragusa: Cfr. (in %) con Tot. REGIONALE/NAZIONALEnel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI per SETTORI LEGENDA: Q=n. QUALIFICATI; L=n. LAVORATORI;* % (di riga) sui qualificati che lavorano** altri settori (edilizia, legno, agricoltura, benessere, amministrazione, punto vendita…)( ) Si fa osservare che i numeri tra ( ) che si trovano nella colonna “L” stanno ad indicare quei lavoratori chehanno trovato lavoro in settori diversi dalla qualifica conseguita 222 b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 10 (62.5%) nei primi tre mesi, a fronte del 55.8% regionale e del 58.4% na-zionale;- 6 tra sei mesi e un anno;c) la tipologia contrattuale:- 10 (68.8%) nell’apprendistato, a fronte del 38.5% regionale e del 44.2% na-zionale;- 6 sono stati assunti con contratti atipici, a fronte del 50.9% regionale e del26.1% nazionale.È stato soprattutto il settore della meccanica industriale a favorire l’ingresso intempi brevi nel mondo del lavoro e al tempo stesso a gestire tale ingresso attraversola formula dell’apprendistato. Graf. 20 - Ragusa: SETTORI OCCUPAZIONALI cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 223 UMBRIA: 29 intervistati = 1.1% del totale (2609) 1. Lo scenario regionale 1.1. ContestualizzazioneIn Umbria sono stati intervistati 29 qualificati, i quali rappresentano comples-sivamente l’1.1% del totale (Graf. 1). I 29 appartengono ai due CFP della Regione (Graf. 2):– Foligno, con 7 intervistati (24.1%);– Marsciano, con 22 (75.9%).I 29 qualificati sono così distribuiti in base ai rispettivi settori di qualifica:– 14 (48.3%) in settori “altri”, a fronte del 12.1% nazionale;– 8 (27.6%) nell’elettro/elettronico, a fronte del 29.6% nazionale;7 (24.1%) nel settore turistico-alberghiero, a fronte del 9.5% nazionale. Graf. 1 - QUALIFICATI in UMBRIA Graf. 2 - QUALIFICATI per CFP 224 Un’ulteriore lettura dei dati prodotta dall’incrocio tra i singoli CFP ed i settoripermette di evidenziare alcuni trend caratteristici degli intervistati (Tav. 1/UMBRIA):– i 7 qualificati di Foligno appartengono tutti al settore turistico-alberghiero erappresentano il 2.8% dei qualificati in questo settore;– dei 22 qualificati di Marsciano 8 (36.4%) appartengono al settore elettro/elet-tronico e 14 (63.6%) al settore “altro”. 1.2. Dati anagraficiI 29 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status adottate nell’inchiesta:– 16 (55.2%) maschi e 13 (44.8%) femmine, a fronte del 14.8% nazionale;– 12 (41.4 %) hanno fino a 18 anni e 17 (58.6%) vanno dai 19 anni in poi;– 16 (55.2%) autoctoni e 13 (44.8%) di origine migratoria, a fronte del 14.1%nazionale. 1.3. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 13 (44.8%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 10 (34.5%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado;- 6 (20.7%) non hanno risposto in merito.b) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.c) Tipologia del corso:- triennale per tutti.d) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente. Tav. 1/UMBRIA: Distribuzione dei 29 QUALIFICATI per CFP e SETTORI(in Fq. e % di colonna e di riga) LEGENDA: * % (di colonna) dei 29 qualificati distribuiti all’interno di ciascun settore** % (di riga) dei qualificati di ciascun CFP, distribuiti per settori*** altri settori (edilizia, legno, agricoltura, benessere, amministrazione, punto vendita…) 225 1.4. La posizione dei 29 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 29 qualificati hanno dichiarato (Tav. 2/UMBRIA eGraf. 3 e 4):– 1 (3.4%) di continuare gli studi in un Istituto Professionale, a fronte del 32.8%nazionale;– 7 (24.1%) di lavorare, a fronte del 34.5% nazionale;– 14 (48.3%) di non studiare né lavorare, a fronte del 21.3% nazionale;– 7 (24.1%) di fare altre attività, a fronte dell’11.4% nazionale. Dall’incrocio tra le scelte effettuate ed i settori di qualifica si evince che:– la scelta di proseguire gli studi è stata fatta da 1 qualificato del settore “altro”di Marsciano; Tav. 2/UMBRIA: SCELTE effettuate dai 29 ex allievi, distribuiti per CFPe cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (29) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte per CFP e Tot. Umbria*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) Graf. 3 - Foligno e Marsciano: SCELTE per CFP 226 – la scelta di andare subito a lavorare è stata fatta, a Foligno da 1 qualificato nelturistico-alberghiero e a Marsciano da 6 qualificati, di cui 4 del settoreelettro/elettronico e 2 in “altri” settori;– al momento dell’inchiesta non studiavano né lavoravano, a Foligno 4 qualifi-cati del settore turistico-alberghiero, a Marsciano 2 qualificati del settoreelettro/elettronico e 8 di “altri” settori;– 7 hanno fatto “altre” scelte di cui 2 qualificati di Foligno appartenenti al set-tore turistico-alberghiero e 5 di Marsciano appartenenti 2 al settore elettro/elet-tronico e 3 al settore “altro”. 1.5. La condizione occupazionale dei 7 lavoratoriAi 7 che al momento del monitoraggio hanno dichiarato che stavano lavorandoè stato chiesto anche in quali settori hanno trovato lavoro. Dal confronto tra il nu-mero dei qualificati e quello dei lavoratori, suddivisi per CFP e settori occupazio-nali, si rileva che (cfr. la Tav. 3/UMBRIA):a) stando ai singoli CFP:- a Foligno ha trovato lavoro 1 (14.3%) qualificato, in un settore diverso daquello della qualifica;- dei 6 (27.3%) lavoratori di Marsciano, 5 hanno trovato un lavoro coerentecon la qualifica (1 nell’elettro/elettronico e 4 in “altro”) e 1 in un settore noncoerente con la qualifica;b) se si guarda invece all’andamento interno ai settori, si osserva che:- nessuno dei 7 qualificati nel turistico-alberghiero ha trovato lavoro in questosettore;- 4 qualificati in “altri” settori hanno trovato lavoro. Graf. 4 - SCELTE cfr REGIONALE/NAZIONALE 227 Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, successi-vamente si è voluto sapere se per trovare lavoro si sono rivolti al CFP, ma in questocaso nessuno ha fatto tale richiesta. In merito al tempo impiegato per trovare un’oc-cupazione:– 1 (14.3%) ha trovato lavoro nei primi tre mesi, a fronte del 58.4% nazionale;– 5 entro sei mesi e 1 entro un anno.La tipologia contrattuale, ha riguardato:– 1 (14.3%) assunto con contratto di apprendistato, a fronte del 44.2% nazionale;– 3 (42.9%) a tempo determinato, a fronte del 23.2% nazionale;– 3 (42.9%) con contratti atipici, a fronte del 26.1% nazionale. Graf. 5 - Foligno e Marsciano: SETTORI OCCUPAZIONALIcfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE Tav. 3/UMBRIA: Cfr. (in %) tra singoli CFP e SETTORInel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI LEGENDA: Q=n. QUALIFICATI; L=n. LAVORATORI;* % (di riga) dei qualificati che lavorano** altri settori (edilizia, legno, agricoltura, benessere, amministrazione, punto vendita…)( ) Si fa osservare che i numeri tra ( ) che si trovano nella colonna “L” stanno ad indicare quei lavoratori chehanno trovato un’occupazione in settori diversi dalla qualifica conseguita 228 Anche nei confronti di quest’ultima serie di dati è stata avvertita l’esigenza diindividuare in quali settori sono state attuate le diverse forme contrattuali. Dai datisi rileva che si tratta di contratti per lo più atipici (4 con particolare riferimento aisettori “altri”), a tempo determinato (2 nell’elettro/elettronico) e di apprendistato(1 nella meccanica industriale). 2. Sintesi conclusiva: confronto dati regionali-nazionali e tra singoli CFP, punti di forza e di criticità 2.1. Il confronto tra dati regionali-nazionalia) Per quanto riguarda i dati anagrafici si osserva, contestualmente al totale na-zionale, una certa attrattiva esercitata da parte dei 2 CFP, in base al fatto che:- la componente femminile è presente in percentuale superiore, a fronte del14.8% nazionale, con particolare riferimento a Marsciano (44.8%);- è presente il 41.4% di ex allievi di origine migratoria, a fronte del 14.1% na-zionale;- il 34.5% dei qualificati sono entrati nella IeFP dopo aver frequentato uno opiù anni di scuola secondaria di 2° grado, a fronte del 22.4% nazionale;- 17 (58.6%) vanno dai 19 anni in poi a fronte del 37.8% nazionale.b) In merito alle scelte post-qualifica, si rileva che:- il 4.5% a Marsciano e nessuno a Foligno ha scelto di continuare gli studi, afronte del 3.4% regionale e 32.8% nazionale;- il 14.3% a Foligno e il 27.3% a Marsciano hanno scelto di lavorare, a frontedel 24.1% regionale e 34.5% nazionale;- il 57.1% a Foligno e il 45.5% a Marsciano non studiano né lavorano, afronte del 48.3% regionale e 21.3% nazionale;- il 28.6% a Foligno e il 22.7% a Marsciano hanno fatto “altre” scelte, a frontedel 11.4% nazionale e 24.1% regionale.c) Per quanto riguarda i settori occupazionali e la posizione lavorativa:- i 7 qualificati nel turistico-alberghiero non hanno trovato lavoro nel settoredi qualifica e i 4 qualificati in “altri” settori hanno trovato tutti un lavoro co-erente con la qualifica conseguita. 2.2. Il confronto tra singoli CFPa) A Marsciano è presente il 40.9% di ex allievi di origine migratoria a fronte del14.1% nazionale.b) In merito alle scelte, si distingue:- Foligno, per non avere nessuno che ha continuato a studiare, e 1 che a di-stanza di un anno è riuscito a trovare lavoro;- Marsciano, in quanto 10 (45.5%) degli ex allievi sono rimasti inattivi. 229 c) Per quanto riguarda l’occupazione:- a Marsciano la diversificazione dell’offerta formativa in “altri” settori, oltrequelli tradizionali, offre maggiori opportunità occupazionali. 3. Dati per singoli CFP 3.1. FOLIGNOA Foligno sono stati intervistati 7 ex allievi su 29, che rappresentano il 24.1%del dato regionale (cfr. Graf. 2) e lo 0.3% del totale.3.1.1. Dati anagraficiStando ad alcune delle principali variabili di status, i 7 intervistati del CFP diFoligno presentano le seguenti caratteristiche:– 5 maschi e 2 femmine (28.6%), a fronte del 44.8% regionale e del 14.8% nazionale;– 4 hanno fino a 18 anni e 3 vanno dai 19 anni in poi;– 3 sono autoctoni e 4 (57.1%) di origine migratoria, a fronte del 44.8% regio-nale e del 14.1% nazionale.3.1.2. Il percorso formativoa) Titolo all’ingresso nel CFP:- 1 proviene dalla scuola secondaria di 1° grado;- 3 hanno già frequentato una scuola secondaria di 2° grado;- 3 non hanno risposto in merito.b) Qualifica acquisita al termine del corso di IeFP:- tutti nel turistico-alberghiero.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- triennale per tutti.e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente.3.1.3. La posizione dei 7 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 7 qualificati hanno dichiarato (Tav. 1/Foligno eGraf. 6):– 1 (14.3%) di lavorare, a fronte del 24.1% regionale e del 34.5% nazionale;– 4 (57.1%) di trovarsi in una condizione di inattività;– 2 (28.6%) di aver fatto “altre” scelte, a fronte del 24.1% regionale edell’11.4% nazionale;– nessuno di aver proseguito gli studi, a fronte del 3.4% regionale e del 32.8%nazionale. 230 3.1.4. La condizione occupazionale dell’unico lavoratoreNel presente caso l’indagine ha permesso di evidenziare che l’unico lavoratoreha trovato un’occupazione in un settore diverso da quello di qualifica, dopo circaun anno e con contratto a tempo determinato. 3.2. MARSCIANOA Marsciano sono stati intervistati 22 ex allievi su 29, che rappresentano il75.9% del dato regionale (cfr. Graf. 2) e lo 0.8% del totale.3.2.1. Dati anagraficiStando ad alcune delle principali variabili di status, i 22 intervistati di Mar-sciano presentano le seguenti caratteristiche:– 11 (50%) maschi e 11 (50%) femmine, queste ultime a fronte del 44.8% regio-nale e del 14.8% nazionale; Tav. 1/Foligno: SCELTE effettuate dai 7 ex allievi, distribuiti per CFPe cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (29) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte dei 7 qualificati*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) Graf. 6 - Foligno: SCELTE cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 231 Tav. 1/Marsciano: SCELTE effettuate dai 22 ex allievi, distribuiti per CFPe cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (29) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte dei 22 qualificati*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) – 11 hanno fino a 18 anni e 11 vanno dai 19 anni in poi;– 13 (59.1%) autoctoni e 9 (40.9%) di origine migratoria, a fronte del 44.8% re-gionale e del 14.1% nazionale.3.2.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 12 (54.5%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 7 (31.8%) hanno già frequentato una scuola secondaria di 2° grado;- 3 (13.6%) non hanno risposto in merito.b) Qualifica acquisita al termine del corso di IeFP:- 14 (63.6%) in “altri” settori;- 8 (36.4%) nell’elettro/elettronico.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- triennale per tutti.e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente.3.2.3. La posizione dei 22 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 22 qualificati presentano le seguenti posizioni(Tav. 1/Marsciano e Graf. 7): – 1 (4.5%) ha continuato gli studi in un Istituto Professionale, a fronte del 3.4%regionale e del 32.8% nazionale;– 6 (27.3%) lavorano, a fronte del 24.1% regionale e del 34.5% nazionale;– 10 (45.5%) al momento dell’inchiesta non stanno né studiando né lavorando, afronte del 48.3% regionale e del 21.3% nazionale;– 5 (22.7%) hanno fatto “altre” scelte, a fronte del 24.1% regionale e dell’11.4%nazionale. 232 3.2.4. La condizione occupazionale dei 6 lavoratoriAi 6 che hanno dichiarato che stavano lavorando, è stato chiesto (cfr. Tav.2/Marsciano e Graf. 8):a) in quale settore hanno trovato lavoro:- 4 in “altri” settori: essi rappresentano il 28.6% dei qualificati di Marscianoche hanno trovato lavoro nello stesso settore di qualifica, a fronte di unastessa percentuale a livello regionale e del 91.1% nazionale ed il 66.7% degliex allievi di questo CFP che hanno trovato lavoro;- 1 nell’elettro/elettronico: questo rappresenta il 12.5% dei qualificati di Mar-sciano che hanno trovato lavoro nello stesso settore di qualifica, a fronte diuna stessa percentuale regionale e del 18.9% nazionale ed il 16.7% degli exallievi di questo CFP che hanno trovato lavoro;- 1 (16.7%) ha trovato lavoro in un settore diverso dalla qualifica conseguita.b) se si sono rivolti al proprio CFP per trovare lavoro:- la risposta è stata negativa da parte di tutti e 6;c) entro quanto tempo è stato trovato il lavoro:- 1 (16.7%) nei primi tre mesi;- 5 entro sei mesi;d) la tipologia contrattuale:- 3 (50%) assunti con contratti atipici in “altri” settori, a fronte del 57.1% re-gionale e del 26.1% nazionale;- 2 (33.3%) a tempo determinato, a fronte del 28.6% regionale e del 23.2% na-zionale;- 1 (16.7%) nell’apprendistato, a fronte del 14.3% regionale e del 44.2% na-zionale. Graf. 7 - Marsciano: SCELTE cfr. Tot. REGIONALE/NAZIONALE 233 Graf. 8 - Marsciano: SETTORI OCCUPAZIONALI cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE Tav. 2/Marsciano: Cfr. (in %) con Tot. REGIONALE/NAZIONALEnel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI per SETTORI LEGENDA: Q=n. QUALIFICATI; L=n. LAVORATORI;* % (di riga) dei qualificati che lavorano** altri settori (edilizia, legno, agricoltura, benessere, amministrazione, punto vendita…)( ) Si fa osservare che i numeri tra ( ) che si trovano nella colonna “L” stanno ad indicare quei lavoratori chehanno trovato un’occupazione in settori diversi dalla qualifica conseguita 234 VALLE D’AOSTA - Châtillon:12 intervistati = 0.5% del totale (2609) 1. Lo scenario regionale 1.1. ContestualizzazioneAbbiamo a che fare con uno dei pochi casi in cui il dato regionale coincide conquello del CFP (Graf. 1). I 12 intervistati appartengono, infatti, a l’unico CFP della Regione, Châtillon, aloro volta suddivisi in due settori di qualifica: 7 (58.3%) del settore automotive e 5(41.7%) del settore elettro/elettronico (cfr. Graf. 2). Graf. 1 - QUALIFICATI in VALLE D’AOSTA Graf. 2 - QUALIFICATI per SETTORI 235 1.2. Dati anagraficiI 12 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status adottate nell’inchiesta:– tutti maschi;– 6 hanno fino a 18 anni e 6 vanno dai 19 anni in poi;– 10 (83.3%) autoctoni e 2 (16.7%) di origine migratoria, a fronte del 14.1% na-zionale. 1.3. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 5 (41.7%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 4 (33.3%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado;- 3 (25%) non hanno risposto in merito.b) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.c) Tipologia del corso:- triennale per tutti.d) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente. 1.4. La posizione dei 12 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta 10 hanno dichiarato che stavano già lavorando ealtri 2 che stavano facendo “altro” e nessuno ha proseguito gli studi. Da notare chesulla scelta lavorativa hanno influito in misura equivalente entrambi i settori auto-motive ed elettro/elettronico. 1.5. La condizione occupazionale dei 10 lavoratoriAi 10 che al momento del monitoraggio hanno dichiarato che stavano lavo-rando è stato chiesto anche in quali settori hanno trovato lavoro (cfr. Tav. 1/VALLED’AOSTA e Châtillon e Graf. 3):– 2 qualificati nel settore automotive: essi rappresentano il 28.6% dei qualificatidi Chatillon che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qualifica,a fronte del 49.5% nazionale ed il 20% degli ex allievi di questo CFP chehanno trovato lavoro;– 2 qualificati nel settore elettro/elettronico: essi rappresentano il 40% dei quali-ficati di Châtillon che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore diqualifica, a fronte del 18.9% nazionale ed il 20% degli ex allievi di questo CFPche hanno trovato lavoro;– 3 qualificati nella meccanica industriale, 1 nel turistico-alberghiero e 2 neisettori “altri”. 236 Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, successi-vamente si è voluto sapere se per trovare lavoro si sono rivolti al CFP:– 4 (80%) che lo hanno chiesto hanno trovato lavoro grazie al proprio CFP, afronte dell’87.8% nazionale.Il tempo impiegato per trovare lavoro è stato:– per 7 (70%) di tre mesi, a fronte del 58.4% nazionale;– per 3 di sei mesi.Le modalità di assunzione hanno riguardato tutte le tipologie contrattuali;– 5 (50%) nell’apprendistato, a fronte del 44.2% nazionale;– 2 (20%) a tempo determinato, a fronte del 23.2% nazionale;– 1 (10%) a tempo indeterminato, a fronte del 7.5% nazionale;– 2 (20%) con contratti atipici, a fronte del 26.1% nazionale. Tav. 1/VALLE D’AOSTA e Châtillon: Cfr. (in %) tra singoli CFP e SETTORInel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI LEGENDA: Q=n. QUALIFICATI; L=n. LAVORATORI;* % (di riga) sui qualificati che lavorano** altri settori (edilizia, legno, agricoltura, benessere, amministrazione, punto vendita…)( ) Si fa osservare che i numeri tra ( ) che si trovano nella colonna “L” stanno ad indicare quei lavoratori chehanno trovato lavoro in settori diversi dalla qualifica conseguita Graf. 3 - VALLE D’AOSTA e Châtillon: SETTORI OCCUPAZIONALI cfr. con Tot. NAZIONALE 237 In merito ai tempi d’ingresso nel mercato del lavoro hanno contribuito en-trambi i settori, automotive ed elettro/elettronico; in merito alla tipologia contrat-tuale si rileva che il settore automotive ha fatto ricorso all’apprendistato, mentrenell’elettro/elettronico sono presenti tutte le tre tipologie contrattuali. 2. Sintesi conclusiva, punti di forza e di criticità Trattandosi di un unico CFP, le osservazioni che emergono sono essenzial-mente due:– 10 qualificati su 12 hanno trovato lavoro;– solo una minoranza ha trovato lavoro negli stessi settori di qualifica, con mo-dalità contrattuali poco stabili. 238 1. Lo scenario regionale 1.1. ContestualizzazioneIn Veneto sono stati intervistati complessivamente 461 qualificati, i quali rap-presentano il 17.7% del totale (Graf. 1). A loro volta i 461 qualificati appartengono ai 7 CFP della Regione e sono cosìdistribuiti (in ordine alfabetico - cfr. Graf. 2, in graduatoria numerica):– 32 (6.9%) a Bardolino;– 41 (8.9%) a Este;– 11 (2.4%) a S. Ambrogio Valpolicella;– 91 (19.7%) a S. Donà di Piave;– 46 (10%) a Schio;– 75 (16.3%) a Venezia Mestre;– 165 (35.8%) a Verona S. Zeno.I 461 qualificati sono invece così distribuiti, in graduatoria, in base ai rispettivisettori di qualifica (Graf. 3):– 159 (34.5%) nel settore elettro/elettronico, a fronte del 29.6% nazionale;– 158 (34.3%) nella meccanica industriale, a fronte del 27.8% nazionale;– 98 (21.3%) nel settore grafico, a fronte del 13.6% nazionale;– 28 (6.1%) in altri settori a fronte del 12.1% nazionale;– 18 (3.9%) nel settore automotive, a fronte del 7.4% nazionale. VENETO: 461 intervistati = 17.7% del totale (2.609) Graf. 1 - QUALIFICATI in VENETO 239 Graf. 3 - QUALIFICATI per SETTORI Una ulteriore lettura dei dati prodotta dall’incrocio tra i singoli CFP ed isettori permette di evidenziare alcuni trend caratteristici degli intervistati (Tav.1/VENETO):– i 18 qualificati del settore automotive si trovano tutti a S. Donà di Piave e rap-presentano il 3.9% del totale dei qualificati in Veneto;– i 28 (6.1%) qualificati del settore “altro” si trovano tutti a Schio;– 159 (34.5%) qualificati appartengono al settore elettro/elettronico che ha ilmaggior numero di qualificati presenti in tutti i CFP, a parte S. Ambrogio Val-policella, ed in particolare il 25.2% a S. Donà di Piave, il 23.3% a Verona S.Zeno, il 18.9% a Este, mentre a Schio, Venezia Mestre e Bardolino si attestaattorno al 10%; Graf. 2 - QUALIFICATI per CFP 240 Tav.1 /VEN ETO: Distri buzio nede i461 QUA LIFIC ATIp erCF PeS ETTO RI(in Fq.e %di colon naed iriga ) LEGE NDA :* %(di colon na)d ei461 qualif icatid istrib uitia ll’inte rnod icias cuns ettore **% (dirig a)dei qualif icatid icias cunC FP,d istrib uitip erset tori ***a ltrise ttori( ediliz ia,leg no,ag ricolt ura,b eness ere,a mmin istraz ione, punto vendi ta…) 241 – 158 (34.3%) qualificati appartengono alla meccanica industriale che ha un nu-mero di qualificati presenti in tutti i CFP a parte Schio, ed in particolare si carat-terizza a Verona S. Zeno con il 48.1%, a S. Donà di Piave con il 20.9%, mentre aEste, S.AmbrogioValpolicella, VeneziaMestre e Bardolino si attesta tra il 7/8%;– 98 (21.3%) qualificati appartengono al settore grafico provenienti da due CFP:52 (53.1%) da Verona S. Zeno e 46 (46.9%) da Venezia Mestre. 1.2. Dati anagraficiI 461 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status:– 426 (92.4%) maschi e 35 (7.6%) femmine, a fronte del 14.8% nazionale;– 302 (65.5%) hanno fino a 18 anni e 159 (34.5%) vanno dai 19 anni in poi;– 410 (88.9%) autoctoni e 51 (11.1%) di origine migratoria, a fronte del 14.1%nazionale. 1.3. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 340 (73.8%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 88 (19.1%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2° grado;- 33 (7.2%) non hanno risposto in merito.b) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.c) Tipologia del corso:- triennale per tutti.d) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente. 1.4. La posizione dei 461 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 461 qualificati hanno dichiarato (Tav. 2/VENETO eGraf. 4 e 5):– 212 (46%) di continuare a studiare, a fronte del 32.8% nazionale;– 167 (36.2%) di lavorare, a fronte del 34.5% nazionale;– 61 (13.2%) di non studiare né lavorare, a fronte del 21.3% nazionale;– 21 (4.6%) di aver fatto altre scelte, a fronte dell’11.4% nazionale.Ai 212 che hanno dichiarato di aver proseguito gli studi è stato chiesto in qualeindirizzo:– 155 (73.5%) negli Istituti Tecnici;– 50 (23.7%) negli Istituti Professionali;– 2 (0.9%) nella IeFP;– 4 (1.9%) in altre strutture formative. Attraverso l’incrocio tra le scelte effettuate ed i settori di qualifica è stato pos-sibile verificare quali di questi ultimi hanno favorito maggiormente di fare certescelte piuttosto che altre (cfr. Tav. 3/VENETO):– la scelta di proseguire gli studi è stata fatta da 69 (70.4%) qualificati del gra-fico, 10 (55.6%) del settore automotive e 70 (44%) dell’elettro/elettronico;– la scelta di andare subito a lavorare è stata fatta da 76 (48.1%) qualificati dellameccanica industriale, da 64 (40.3%) dell’elettro/elettronico e da 6 (33.2%)dell’automotive;– 17 (60.8%) qualificati in settori “altri” non hanno trovato lavoro e non hannocontinuato gli studi. 242 Tav. 2/VENETO: SCELTE effettuate dai 461 ex allievi,distribuiti per CFP e Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (461) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte per CFP e Tot. Veneto*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) Graf. 4 - SCELTE per CFP 243 1.5. La condizione occupazionale dei 167 lavoratoriA 1 anno dalla qualifica in Veneto hanno trovato lavoro 167 (36.4%) ex allievi.Stando ai dati per singoli CFP, la proporzione tra qualificati e lavoratori è di (Tav.4/VENETO):– 5 su 11 (45.5%) a S. Ambrogio Valpolicella;– 19 su 32 (59.4%) a Bardolino;– 25 su 41 (61%) a Este;– 25 su 75 (33.3%) a Venezia Mestre;– 16 su 46 (34.8%) a Schio;– 35 su 91 (38.5%) a S. Donà di Piave;– 42 su 165 (25.5%) a Verona S. Zeno. Tav. 3/VENETO: Distribuzione dei 461 per SCELTE e SETTORI di qualifica(in Fq. e % di colonna e di riga) LEGENDA: * % (di colonna) dei 461 qualificati distribuiti all’interno di ciascun settore** % (di riga) dei qualificati distribuiti in base alle scelte*** altri settori (edilizia, legno, agricoltura, benessere, amministrazione, punto vendita…)**** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) Graf. 5 - SCELTE cfr. REGIONALE/NAZIONALE 244 Tav.4 /VEN ETO: Cfr.( in%) trasin goliC FPe SETT ORIn elrap porto QUA LIFIC ATI/L AVOR ATOR I LEGE NDA :Q= n.QU ALIF ICAT I;L= n.LA VORA TORI ; *%( dirig a)sui qualif icatic helav orano **alt risett ori(e dilizia ,legn o,agr icoltu ra,be nesse re,am minis trazio ne,pu ntove ndita… ) ()Si faoss ervar eche inum eritra ()ch esitr ovano nella colon na“L ”stan noad indica reque ilavo ratori cheh anno trovat olavo roin settor idive rsida llaqu alifica conse guita 245 Ai 167 qualificati è stato chiesto anche in quali settori hanno trovato lavoro.Attraverso la Tav. 4/VENETO si rileva che (cfr. anche i Graf. 6 e 7):a) stando ai CFP:- 9 (81.8%) a Este, 11 (76.6%) a Bardolino e 7 (43.8%) a Venezia Mestrehanno trovato lavoro nello stesso settore di qualifica;- 1 (1.9%) a Verona S. Zeno e 6 (13%) a Venezia Mestre qualificati nel settoregrafico non hanno trovato occupazione nello stesso settore;b) se si guarda invece all’andamento interno ai settori:- in Veneto il più alto tasso di occupazione è stato offerto dalla meccanica in-dustriale con una media del 37.3% e con punte che vanno fino all’80%, se-condo quanto riportato nella Tav. 4;- l’elettro/elettronico ha un tasso di occupazione pari al 21.4%; si distingue tratutti Venezia Mestre (43.8%), mentre in tutti gli altri CFP si registrano quotetra 15% e 25%;- il settore automotive presenta un buon tasso di occupazione pari al 55.6%,pur trattandosi di un solo CFP;- il turistico-alberghiero (con 8 assunzioni) ed il settore “altro” (con 40 assun-zioni) sono stati punti di riferimento per coloro che non hanno trovato lavoronel proprio settore di qualifica. Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, successi-vamente si è voluto sapere: Graf. 6 - LAVORATORI per CFP e per SETTORI 246 a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFP e quanti l’hanno trovato in questomodo:- 52 (11.3%) qualificati si sono rivolti al proprio CFP;- di questi, 45 (86.5%) hanno trovato lavoro grazie al proprio CFP, a frontedell’87.8% nazionale;b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 85 (51%) nei primi tre mesi, a fronte del 58.4% nazionale;- 38 (22.7%) entro sei mesi;- 43 (25.7%) entro un anno;c) la tipologia contrattuale:- 68 (40.7%) nell’apprendistato, a fronte del 44.2% nazionale;- 54 (32.3%) assunti con contratto a tempo determinato, a fronte del 23.2% na-zionale;- 37 (22.2%) con contratti atipici, a fronte del 26.1% nazionale;- 6 (3.6%) assunti con contratto a tempo indeterminato, a fronte del 7.5% na-zionale.Anche nei confronti di quest’ultima serie di dati è stata avvertita l’esigenza diindividuare quali settori hanno favorito l’ingresso in tempi brevi dei qualificati nelmondo del lavoro, e a quali condizioni contrattuali:– nel primo caso si evince che a favorire l’ingresso nei primi tre mesi è stata so-prattutto la meccanica industriale;– quanto alla forma contrattuale, si rileva che l’apprendistato è stato adottato inmisura superiore nei settori meccanica industriale ed elettro/elettronico, esempre nella meccanica industriale i contratti a tempo determinato. Graf. 7 - VENETO: cfr. Tot. REGIONALE/NAZIONALEnel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI 247 2. Sintesi conclusiva: confronto dati regionali-nazionali e tra singoli CFP, punti di forza e di criticità 2.1. Il confronto tra dati regionali-nazionalia) Per quanto riguarda i dati anagrafici si osserva, contestualmente al totale na-zionale, che:- il 65.5% di qualificati ha fino a 18 anni.b) In merito alle scelte post-qualifica, si rileva che:- il 46%, in particolare nel settore grafico, ha scelto di proseguire gli studi, afronte del 32.8% nazionale;- il 13.2% di soggetti rimasti inattivi, a fronte del 21.3% nazionale;- il 36.2% ha deciso di andare subito a lavorare a fronte del 34.5% nazionale,in particolare nei settori elettro/elettronico e meccanica industriale.c) Rispetto ai settori occupazionali e alla posizione lavorativa, va evidenziatoche:- il 31% dei qualificati non ha trovato un’occupazione coerente con la quali-fica conseguita;- il 51% ha trovato lavoro entro tre mesi, a fronte del 57.9% nazionale;- quasi tutti coloro che si sono rivolti al proprio CFP per trovare lavoro,l’hanno ottenuto. 2.2. Il confronto tra singoli CFPa) Sui dati anagrafici si distinguono:- Bardolino, S. Ambrogio Valpolicella e S. Donà di Piave per aver solo ma-schi;- S. Ambrogio Valpolicella per avere solo ex allievi autoctoni;- S. Donà di Piave per avere una delle più alte percentuali di soggetti di ori-gine migratoria.b) In merito al percorso formativo, si rileva che:- Verona S. Zeno, S. Donà di Piave e Venezia Mestre presentano quote supe-riori al dato regionale e nazionale in merito al proseguimento degli studi e,viceversa, inferiori al dato regionale e nazionale per l’inserimento occupa-zionale;- Bardolino, Este e S. Ambrogio Valpolicella presentano quote superiori aldato regionale e nazionale in merito all’inserimento lavorativo ed inferioriper quanto riguarda la continuazione degli studi;- Schio ha una consistente quota di soggetti rimasti inattivi.c) Per quanto riguarda l’occupazione, si distinguono:- 11 (75%) qualificati a Bardolino e 9 (80%) a Este che hanno trovato lavoronella meccanica industriale;- 1 (1.9%) qualificato a Verona S. Zeno che ha trovato lavoro nel settore grafico. 248 3. Dati per singoli CFP 3.1. BARDOLINOA Bardolino sono stati intervistati 32 qualificati, che rappresentano il 6.9% deldato regionale e l’1.2% del totale.3.1.1. Dati anagraficiI 32 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status:– tutti maschi;– 22 (68.8%) hanno fino a 18 anni e 10 (31.2%) vanno dai 19 anni in poi;– 27 (84.4 %) autoctoni e 5 (15.6%) di origine migratoria, questi ultimi a frontedell’11.1% regionale e del 14.1% nazionale.3.1.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 26 (81.3%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 6 (18.8%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado.b) Qualifica acquisita al termine del corso di IeFP (cfr. Tav. 1/VENETO eGraf. 3):- 18 (56.3%) nel settore elettro/elettronico;- 14 (43.8%) nella meccanica industriale.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- triennale per tutti.e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente.3.1.3. La posizione dei 32 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 32 qualificati hanno dichiarato (cfr. Tav. 1/Bardo-lino e Graf. 8):– 10 (31.3%) di continuare gli studi, a fronte del 46% regionale e 32.8% nazio-nale, di cui 8 negli Istituti Tecnici e 2 negli Istituti Professionali;– 19 (59.4%) di lavorare, a fronte del 36.2% regionale e 34.5% nazionale;– 3 (9.4%) di non studiare né lavorare, a fronte del 13.2% regionale e 21.3% na-zionale.Attraverso l’incrocio tra le scelte effettuate ed i settori di qualifica è stato pos-sibile verificare quali di questi ultimi hanno favorito maggiormente di fare certescelte piuttosto che altre: 249 – 6 qualificati del settore elettro/elettronico e 4 della meccanica industrialehanno scelto di continuare gli studi;– 9 qualificati del settore elettro/elettronico e 10 della meccanica industrialehanno scelto di andare subito a lavorare. 3.1.4. La condizione occupazionale dei 19 lavoratoriAi 19 (59.4%) qualificati che hanno dichiarato che stavano già lavorando suc-cessivamente è stato chiesto in quali settori hanno trovato lavoro (cfr. Tav. 2/Bardo-lino e Graf. 9):– 11 su 14 nella meccanica industriale: essi rappresentano il 76.6% dei qualifi-cati di Bardolino che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qua-lifica, a fronte del 37.3% regionale e del 38.3% nazionale e il 58% degli ex al-lievi di questo CFP che hanno trovato lavoro;– 2 su 18 nel settore elettro/elettronico: essi rappresentano l’11.1% dei qualifi-cati di Bardolino che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qua- Tav. 1/Bardolino: SCELTE effettuate dai 32 intervistati di Bardolinoe cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (461) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte dei 32 qualificati Graf. 8 - Bardolino: SCELTE cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 250 lifica, a fronte del 21.4% regionale e del 18.9% nazionale e il 10.5% degli exallievi di questo CFP che hanno trovato lavoro;– 6 in settori non coerenti con la qualifica conseguita: 1 nell’automotive, 3 nelturistico-alberghiero e 2 nel settore “altro”. Successivamente si è riscontrato che:a) su 7 che si sono rivolti al CFP, 6 (85.7%) hanno effettivamente trovato lavorograzie al proprio CFP, a fronte dell’86.5% regionale e dell’87.8% nazionale;b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 11 (58%) nei primi tre mesi, a fronte del 51% regionale e del 58.4% nazio-nale;- 2 (10.5%) entro sei mesi e 6 (31.6%) entro un anno; Tav. 2/Bardolino: Cfr. (in %) con Tot. REGIONALE/NAZIONALE nel rapportoQUALIFICATI/LAVORATORI per SETTORI LEGENDA: Q=n. QUALIFICATI; L=n. LAVORATORI;* % (di riga) sui qualificati che lavorano** altri settori (edilizia, legno, agricoltura, benessere, amministrazione, punto vendita…)( ) Si fa osservare che i numeri tra ( ) che si trovano nella colonna “L” stanno ad indicare quei lavoratori chehanno trovato lavoro in settori diversi dalla qualifica conseguita Graf. 9 - Bardolino: SETTORI OCCUPAZIONALI cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 251 c) la tipologia contrattuale:- 7 (36.8%) nell’apprendistato, a fronte del 40.7% regionale e del 44.2% na-zionale;- 7 (36.8%) assunti con contratto a tempo determinato, a fronte del 32.3% re-gionale e del 23.2% nazionale;- 3 (15.8%) con contratti atipici, a fronte del 22.2% regionale e del 26.1% na-zionale;- 2 (10.5%) con contratto a tempo indeterminato, a fronte del 3.6% regionale edel 7.5% nazionale.Inoltre, nell’analizzare l’incidenza dei settori occupazionali nel favorire l’in-gresso dei qualificati nel mondo del lavoro e a quali condizioni, si evince che aBardolino entrambi i settori (elettro/elettronico e meccanica industriale) hanno fa-vorito sia l’ingresso nel mercato del lavoro in tempi brevi, che condizioni contrat-tuali all’insegna dell’apprendistato e del tempo determinato. 3.2. ESTEAd Este sono stati intervistati 41 qualificati, che rappresentano l’8.9% del datoregionale e l’1.6% del totale.3.2.1. Dati anagraficiI 41 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status:– 40 (97.6%) maschi e 1 (2.4%) femmina;– 21 (51.3%) hanno fino a 18 anni e 20 (46.7%) vanno dai 19 anni in poi;– 33 (80.5%) autoctoni e 8 (19.5%) di origine migratoria, questi ultimi a frontedell’11.1% regionale e del 14.1% nazionale.3.2.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 24 (58.5%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 15 (36.6%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado;- 2 (4.9%) non hanno risposto in merito.b) Qualifica acquisita al termine del corso di IeFP (cfr. Tav. 1/VENETO e Graf. 3):- 30 (73.2%) nel settore elettro/elettronico;- 11 (26.8%) nella meccanica industriale.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- triennale per tutti.e) Partecipazione allo stage:hanno risposto tutti affermativamente. 252 3.2.3. La posizione dei 41 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 41 qualificati hanno dichiarato (cfr. Tav. 1/Este eGraf.10):– 9 (22%) di continuare gli studi, a fronte del 46% regionale e 32.8% nazionale;– 25 (61%) di lavorare, a fronte del 36.2% regionale e 34.5% nazionale;– 7 (17.1%) di non studiare né lavorare, a fronte del 13.2% regionale e 21.3%nazionale. A seguito di questa prima domanda, ai 9 qualificati che hanno proseguito glistudi è stato chiesto in quale indirizzo:– 8 (88.9%) negli Istituti Professionali;– 1 (11.1%) negli Istituti Tecnici.Nell’intento di verificare quanto hanno influito i settori di qualifica nel deter-minare le successive scelte, attraverso ulteriori analisi è stato possibile verificareche: Tav. 1/Este: SCELTE effettuate dai 41 intervistati di Estee cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (461) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte dei 41 qualificati Graf. 10/Este: SCELTE cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 253 – 9 qualificati del settore elettro/elettronico hanno scelto di proseguire gli studi;– 15 qualificati del settore elettro/elettronico e 9 della meccanica industrialehanno scelto di andare subito a lavorare;– 6 qualificati del settore elettro/elettronico e 1 della meccanica industriale sitrovano in una condizione di inattività. 3.2.4. La condizione occupazionale dei 25 lavoratori Ai 25 (61%) che hanno dichiarato che stavano già lavorando successivamenteè stato chiesto in quali settori hanno trovato lavoro (cfr. Tav. 2/Este e Graf. 11):– 9 su 11 nella meccanica industriale: essi rappresentano l’81.8% dei qualificatidi Este che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qualifica, afronte del 37.3% regionale e del 38.3% nazionale e il 36% degli ex allievi diquesto CFP che hanno trovato lavoro;– 8 su 30 nel settore elettro/elettronico: essi rappresentano il 26.7% dei qualifi-cati di Este che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qualifica,a fronte del 21.4% regionale e del 18.9% nazionale e il 32% degli ex allievi diquesto CFP che hanno trovato lavoro;– 8 in “altri” settori, hanno trovato lavoro in settori non coerenti con la qualificaconseguita. Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, successi-vamente si è voluto sapere:a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFP e quanti l’hanno trovato in questomodo:- 11 (26.8%) qualificati di Este si sono rivolti al CFP;- di questi, 9 (81.8%) hanno trovato lavoro grazie al proprio CFP, a frontedell’86.5% regionale e dell’87.8% nazionale; Tav. 2/Este: Cfr. (in %) con Tot. REGIONALE/NAZIONALEnel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI per SETTORI LEGENDA: Q=n. QUALIFICATI; L=n. LAVORATORI;* % (di riga) dei qualificati che lavorano**altri settori (edilizia, legno, agricoltura, benessere, amministrazione, punto vendita…)( ) Si fa osservare che i numeri tra ( ) che si trovano nella colonna “L” stanno ad indicare quei lavoratori chehanno trovato lavoro in settori diversi dalla qualifica conseguita 254 b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 12 (48%) nei primi tre mesi, a fronte del 51% regionale e del 58.4% nazio-nale;- 3 (12%) entro sei mesi e 10 (40%) entro un anno;c) la tipologia contrattuale:- 8 (32%) nell’apprendistato, a fronte del 40.7% regionale e del 44.2% nazio-nale;- 10 (40%) con contratto a tempo determinato, a fronte del 32.3% regionale edel 23.2% nazionale;- 5 (20%) con contratti atipici, a fronte del 22.2% regionale e del 26.1% nazio-nale;- 1 (4%) con contratto a tempo indeterminato, a fronte del 3.6% regionale edel 7.5% nazionale. Nell’analizzare l’incidenza dei settori occupazionali nel favorire l’ingresso deiqualificati nel mondo del lavoro e a quali condizioni, si evince che ad Este en-trambi i settori (elettro/elettronico e meccanica industriale) hanno favorito l’in-gresso nel mercato del lavoro entro tre mesi; riguardo alle condizioni contrattuali,la meccanica industriale si distingue per il tempo determinato e l’elettro/elettronicoper i contratti atipici. 3.3. S. AMBROGIO VALPOLICELLAA S. Ambrogio Valpolicella sono stati intervistati 11 qualificati, che rappresen-tano il 2.4% del dato regionale e lo 0.4% del totale. Graf. 11/Este: SETTORI OCCUPAZIONALI cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 255 3.3.1. Dati anagraficiGli 11 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status:– tutti maschi;– 5 hanno fino a 18 anni e 6 vanno dai 19 anni in poi;– tutti autoctoni.3.3.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 5 provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 5 hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2° grado;- 1 non ha risposto in merito.b) Qualifica acquisita al termine del corso di IeFP (cfr. Tav. 1/VENETO e Graf. 3):- tutti nella meccanica industriale.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- triennale per tutti.e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente.3.3.3. La posizione degli 11 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta gli 11 qualificati hanno dichiarato (cfr. Tav. 1/S.Ambrogio Valpolicella e Graf. 12):– 4 (36.4%) di continuare gli studi, tutti negli Istituti Tecnici, a fronte del 46%regionale e 32.8% nazionale;– 6 (54.5%) di lavorare, a fronte del 36.2% regionale e 34.5% nazionale;– 1 (9.1%) di non studiare né lavorare, a fronte del 13.2% regionale e 21.3% na-zionale; Tav. 1/S. Ambrogio Valpolicella: SCELTE effettuate dagli 11 intervistatidi S. Ambrogio Valpolicella e cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (461) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte degli 11 qualificati 256 3.3.4. La condizione occupazionale dei 6 lavoratoriDei 6 occupati, 3 hanno trovato un lavoro coerente con la qualifica e 3 si sonoinseriti in un settore non coerente; i tempi contrattuali sono stati brevi per quasitutti, con la formula dell’apprendistato; 3 hanno chiesto aiuto al CFP per trovare la-voro e l’hanno effettivamente ottenuto. 3.4. S. DONÀ DI PIAVEA S. Donà di Piave sono stati intervistati 91 qualificati, che rappresentano il19.7% del dato regionale e 3.5% del totale.3.4.1. Dati anagraficiI 91 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status:– tutti maschi;– 68 (74.7%) hanno fino a 18 anni e 23 (25.3%) vanno dai 19 anni in poi;– 74 (81.3%) autoctoni e 17 (18.7%) di origine migratoria, questi ultimi a frontedell’11.1% regionale e del 14.1% nazionale.3.4.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 75 (82.4%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 10 (11%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado;- 6 (6.6%) non hanno risposto in merito. Graf. 12 - S. Ambrogio Valpolicella: SCELTE cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 257 b) Qualifica acquisita al termine del corso di IeFP (cfr. Tav. 1/VENETO e Graf. 3):- 18 (19.8%) nel settore automotive;- 40 (44%) nell’elettro/elettronico;- 33 (36.3%) nella meccanica industriale.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- triennale per tutti.e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente.3.4.3. La posizione dei 91 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 91 qualificati hanno dichiarato (cfr. Tav. 1/S.Donà di Piave e Graf. 13):– 44 (48.4%) di continuare gli studi, a fronte del 46% regionale e 32.8% nazio-nale;– 35 (38.5%) di lavorare, a fronte del 36.2% regionale e 34.5% nazionale;– 9 (9.9%) di non studiare né lavorare, a fronte del 13.2% regionale e 21.3% na-zionale;– 3 (3.3%) di aver fatto altre scelte, a fronte del 4.6% regionale e dell’11.4% na-zionale. A seguito di questa prima domanda, ai 44 che hanno proseguito gli studi èstato chiesto in quale indirizzo:– 28 (63.6%) negli Istituti Professionali;– 14 (31.8%) negli Istituti Tecnici;– 1 (2.3%) nella IeFP;– 1 (2.3%) in altre strutture formative.Nell’intento di verificare quanto hanno influito i settori di qualifica nel deter-minare le successive scelte, attraverso ulteriori analisi è stato possibile verificareche: Tav. 1/S. Donà di Piave: SCELTE effettuate dai 91 intervistati di S. Donà di Piavee cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (461) e nazionale (2609)** % (di riga in base alle scelte dei 91 qualificati*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) 258 – 22 (50%) dei qualificati nel settore elettro/elettronico hanno scelto di conti-nuare gli studi;– 13 qualificati del settore elettro/elettronico e 16 della meccanica industrialehanno scelto di andare subito a lavorare;– 5 qualificati nella meccanica industriale si trovano in una condizione di inatti-vità. 3.4.4. La condizione occupazionale dei 35 lavoratoriAi 35 (38.5%) qualificati che hanno dichiarato che stavano già lavorando suc-cessivamente è stato chiesto in quali settori hanno trovato lavoro (cfr. Tav. 2/S.Donà di Piave e Graf. 14):– 7 su 18 nell’automotive: essi rappresentano il 38.9% dei qualificati di S. Donàdi Piave che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qualifica, afronte del 55.6% regionale e del 49.5% nazionale e il 20% degli ex allievi diquesto CFP che hanno trovato lavoro;– 6 su 40 nel settore elettro/elettronico: essi rappresentano il 15% dei qualificatidi S. Donà di Piave che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore diqualifica, a fronte del 21.4% regionale e del 18.9% nazionale e il 17.1% degliex allievi di questo CFP che hanno trovato lavoro;– 12 su 33 nella meccanica industriale: essi rappresentano il 36.4% dei qualifi-cati di S. Donà di Piave che hanno trovato un’occupazione nello stesso settoredi qualifica, a fronte del 37.3% regionale e del 38.3% nazionale e il 34.3%degli ex allievi di questo CFP che hanno trovato lavoro;– 10 hanno trovato lavoro in settori non coerenti con la qualifica conseguita: 2nel turistico-alberghiero e 8 in “altri” settori. Graf. 13 - S. Donà di Piave: SCELTE cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 259 Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, successi-vamente si è voluto sapere:a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFP e quanti l’hanno trovato in questomodo:- 10 (11%) qualificati di S. Donà di Piave, si sono rivolti al CFP;- di questi, 9 (90%) hanno trovato lavoro grazie al proprio CFP, a frontedell’86.5% regionale e dell’87.8% nazionale;b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 18 (51.4%) nei primi tre mesi, a fronte del 51% regionale e del 58.4% nazio-nale;- 10 (28.6%) entro sei mesi e 7 (20%) entro un anno; Graf. 14 - S. Donà di Piave: SETTORI OCCUPAZIONALIcfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE Tav. 2/ S. Donà di Piave: Cfr. (in %) con Tot. REGIONALE/NAZIONALEnel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI per SETTORI LEGENDA: Q=n. QUALIFICATI; L=n. LAVORATORI;* % (di riga) sui qualificati che lavorano** altri settori (edilizia, legno, agricoltura, benessere, amministrazione, punto vendita…)( ) Si fa osservare che i numeri tra ( ) che si trovano nella colonna “L” stanno ad indicare quei lavoratori chehanno trovato lavoro in settori diversi dalla qualifica conseguita 260 c) la tipologia contrattuale:- 20 (57.1%) nell’apprendistato, a fronte del 40.7% regionale e del 44.2% na-zionale;- 8 (22.9%) assunti con contratto a tempo determinato, a fronte del 32.3% re-gionale e del 23.2% nazionale;- 6 (17.1%) con contratti atipici, a fronte del 19.6% regionale e del 26.1% na-zionale;- 1 (2.9%) con contratto a tempo indeterminato, a fronte del 3.6% regionale edel 7.5% nazionale.Nell’analizzare l’incidenza dei settori occupazionali nel favorire l’ingresso deiqualificati nel mondo del lavoro e a quali condizioni, si evince che a S. Donà diPiave i settori elettro/elettronico e meccanica industriale hanno favorito l’ingressonel mercato del lavoro, entro tre o sei mesi; in merito alle condizioni contrattuali,l’elettro/elettronico e la meccanica industriale si distinguono per l’apprendistato el’automotive per i contratti atipici. 3.5. SCHIOA Schio sono stati intervistati 46 qualificati, che rappresentano il 10% del datoregionale e l’1.8% del totale.3.5.1. Dati anagraficiI 46 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status:– 33 (71.7%) maschi e 13 (28.3%) femmine, a fronte del 7.6% regionale e del14.8% nazionale;– 27 (58.7%) hanno fino a 18 anni e 19 (41.3%) vanno dai 19 anni in poi;– 43 (93.5%) autoctoni e 3 (6.5%) di origine migratoria, questi ultimi a frontedell’11.1% regionale e del 14.1% nazionale.3.5.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 37 (80.4%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 8 (17.4%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado;- 1 (2.8%) non ha risposto in merito.b) qualifica acquisita al termine del corso di IeFP (cfr. tav. 1/VENETO e Graf. 3):- 18 (39%) nel settore elettro/elettronico;- 28 (60.9%) in “altri” settori.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- triennale per tutti. 261 e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente.3.5.3. La posizione dei 46 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 46 qualificati hanno dichiarato (cfr. Tav. 1/Schio eGraf.15):– 6 (13.1%) di continuare gli studi, di cui 3 negli Istituti Tecnici e 2 negli IstitutiProfessionali, a fronte del 46% regionale e 32.8% nazionale;– 15 (32.6%) di lavorare, a fronte del 36.2% regionale e 34.5% nazionale;– 24 (52.2%) di non studiare né lavorare, a fronte del 13.2% regionale e 21.3%nazionale;– 1 (2.2%) di aver fatto altre scelte, a fronte del 4.6% regionale e 11.4% nazio-nale. Tav. 1/Schio: SCELTE effettuate dai 46 intervistati di Schioe cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (461) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte dei 46 qualificati*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) Dai dati si rileva che 17 qualificati nel settore “altro” si trovano in una condi-zione di inattività. Graf. 15 - Schio: SCELTE cfr. con Tot: REGIONALE/NAZIONALE 262 3.5.4. La condizione occupazionale dei 15 lavoratoriAi 15 (38.5%) che hanno dichiarato che stavano già lavorando successiva-mente è stato chiesto in quali settori hanno trovato un’occupazione (cfr. Tav.2/Schio):– 4 su 18 nell’elettro/elettronico: essi rappresentano il 22.2% dei qualificati diSchio che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qualifica, afronte del 21.4% regionale e del 18.9% nazionale e il 26.7% degli ex allievi diquesto CFP che hanno trovato lavoro;– 9 su 28 in “altri” settori: essi rappresentano il 32.1% dei qualificati di Schioche hanno trovato un’occupazione negli stessi settori di qualifica e il 60%degli ex allievi di questo CFP che hanno trovato lavoro;– 2 hanno trovato lavoro in un settore non coerente con la qualifica: 1 nella mec-canica industriale e 1 nel turistico-alberghiero. Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, successi-vamente si è voluto sapere:a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFP:- i 2 che l’hanno chiesto hanno trovato lavoro entrambi grazie al proprio CFP;b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 8 (53.3%) nei primi sei mesi, a fronte del 51% regionale e del 58.4% nazio-nale;- 7 dopo un anno;c) la tipologia contrattuale:- 5 (31.3%) nell’apprendistato, a fronte del 40.7% regionale e del 44.2% na-zionale;- 4 (25%) con contratto a tempo determinato, a fronte del 32.3% regionale edel 23.2% nazionale;- 6 (37.5%) con contratti atipici, a fronte del 19.6% regionale e del 26.1% na-zionale. Tav. 2/Schio: Cfr. (in %) con Tot. REGIONALE/NAZIONALEnel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI per SETTORI LEGENDA: Q=n. QUALIFICATI; L=n. LAVORATORI;* % (di riga) sui qualificati che lavorano** altri settori (edilizia, legno, agricoltura, benessere, amministrazione, punto vendita…)( ) Si fa osservare che i numeri tra ( ) che si trovano nella colonna “L” stanno ad indicare quei lavoratori chehanno trovato lavoro in settori diversi dalla qualifica conseguita 263 3.6. VENEZIA MESTREA Venezia Mestre sono stati intervistati 75 qualificati, che rappresentano il16.3% del dato regionale e il 2.9% del totale.3.6.1. Dati anagraficiI 75 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status:– 66 (88%) maschi e 9 (12%) femmine, a fronte del 7.6% regionale e del 14.8%nazionale;– 32 (42.6%) hanno fino a 18 anni e 43 (57.4%) vanno dai 19 anni in poi;– 73 (97.3%) autoctoni e 2 (2.7%) di origine migratoria, questi ultimi a frontedell’11.1% regionale e del 14.1% nazionale.3.6.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 40 (53.3%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 28 (37.3%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado;- 7 (9.3%) non hanno risposto in merito.b) Qualifica acquisita al termine del corso di IeFP (cfr. Tav. 1/VENETO e Graf. 3):- 46 (61.3%) nel settore grafico;- 16 (21.3%) nell’elettro/elettronico;- 13 (17.3%) nella meccanica industriale.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- triennale per tutti.e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente.3.6.3. La posizione dei 75 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 75 qualificati hanno dichiarato (cfr. Tav. 1/VeneziaMestre e Graf. 16):– 36 (48%) di continuare gli studi, a fronte del 46% regionale e 32.8% nazio-nale;– 25 (33.3%) di lavorare, a fronte del 36.2% regionale e 34.5% nazionale;– 7 (9.3%) di non studiare né lavorare, a fronte del 13.2% regionale e 21.3% na-zionale;– 7 (9.3%) di aver fatto “altre” scelte, a fronte del 4.6% regionale e 11.4% na-zionale.A seguito di questa prima domanda, ai 36 che hanno proseguito gli studi èstato chiesto in quale indirizzo: 264 – 30 (83.3%) negli Istituti Tecnici;– 4 (11.1%) negli Istituti Professionali;– 2 (5.6%) in altre strutture formative. Nell’intento di verificare quanto hanno influito i settori di qualifica nel deter-minare le successive scelte, attraverso ulteriori analisi è stato possibile verificareche:– 22 qualificati nel settore grafico hanno scelto di continuare gli studi;– 10 qualificati nel settore elettro/elettronico hanno scelto di andare subito a la-vorare;– 5 qualificati nel settore grafico si trovano in una condizione di inattività.3.6.4. La condizione occupazionale dei 25 lavoratoriAi 25 (33.3%) che hanno dichiarato che stavano già lavorando successiva-mente è stato chiesto in quali settori hanno trovato lavoro (cfr. Tav. 2/Venezia Me-stre e Graf. 17): Tav. 1/Venezia Mestre: SCELTE effettuate dai 75 intervistati di Venezia Mestree cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (461) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte dei 75 qualificati*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) Graf. 16 - Venezia Mestre: SCELTE cfr. con Tot: REGIONALE/NAZIONALE 265 Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, successi-vamente si è voluto sapere:a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFP:- su 7 che l’hanno fatto, 4 (57.1%) hanno effettivamente trovato lavoro grazieal proprio CFP, a fronte dell’86.5% regionale e dell’87.8% nazionale;b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 11 (44%) nei primi tre mesi, a fronte del 51% regionale e del 58.4% nazio-nale;- 8 (32%) entro sei mesi e 6 (24%) entro un anno;c) la tipologia contrattuale:- 8 (32%) nell’apprendistato, a fronte del 40.7% regionale e del 44.2% nazio-nale;- 8 (32%) assunti con contratto a tempo determinato, a fronte del 32.3% regio-nale e del 23.2% nazionale; – 7 su 16 nel settore elettro/elettronico: essi rappresentano il 43% dei qualificatidi Venezia Mestre che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore diqualifica, a fronte del 21.4% regionale e del 18.9% nazionale e il 28% degli exallievi di questo CFP che hanno trovato lavoro;– 6 su 46 nel grafico: essi rappresentano il 13% dei qualificati di Venezia Mestreche hanno trovato un’occupazione nello stesso settore di qualifica, a fronte del7.1% regionale e del 9.6% nazionale e il 24% degli ex allievi di questo CFPche hanno trovato lavoro;– 3 su 13 nella meccanica industriale: essi rappresentano il 23.1% dei qualificatidi Venezia Mestre che hanno trovato un’occupazione nello stesso settore diqualifica, a fronte del 37.3% regionale e del 38.3% nazionale e il 12% degli exallievi di questo CFP che hanno trovato lavoro;– 9 hanno trovato lavoro in settori non coerenti con la qualifica conseguita: 1 nelturistico-alberghiero e 8 in “altri” settori. Tav. 2/Venezia Mestre: Cfr. (in %) con Tot. REGIONALE/NAZIONALEnel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI per SETTORI LEGENDA: Q=n. QUALIFICATI; L=n. LAVORATORI;* % (di riga) sui qualificati che lavorano** altri settori (edilizia, legno, agricoltura, benessere, amministrazione, punto vendita…)( ) Si fa osservare che i numeri tra ( ) che si trovano nella colonna “L” stanno ad indicare quei lavoratori chehanno trovato lavoro in settori diversi dalla qualifica conseguita 266 - 7 (28%) con contratti atipici, a fronte del 19.6% regionale e del 26.1% nazio-nale;- 2 (8%) con contratto a tempo indeterminato, a fronte del 3.6% regionale edel 7.5% nazionale. Nell’analizzare l’incidenza dei settori occupazionali nel favorire l’ingresso deiqualificati nel mondo del lavoro e a quali condizioni, si evince che a Venezia Mestretutti i settori hanno favorito l’ingresso nel mercato del lavoro in tempi brevi; mentre inmerito alle condizioni contrattuali non si rilevano particolari differenze tra i settori. 3.7. VERONA S. ZENOA Verona S. Zeno sono stati intervistati 165 qualificati, che rappresentano il35.8% del dato regionale e il 6.3% del totale.3.7.1. Dati anagraficiI 165 qualificati presentano le seguenti caratteristiche, in base ad alcune delleprincipali variabili di status:– 153 (92.7%) maschi e 12 (7.3%) femmine, a fronte del 7.6 regionale e del14.8% nazionale;– 127 (76.9%) hanno fino a 18 anni e 38 (23.1%) vanno dai 19 anni in poi;– 149 (90.3%) autoctoni e 16 (9.7%) di origine migratoria, questi ultimi a frontedell’11.1% regionale e del 14.1% nazionale. Graf. 17 - Venezia Mestre: SETTORI OCCUPAZIONALIcfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 267 3.7.2. Il percorso formativoa) Titolo di studio all’ingresso nel CFP:- 133 (80.6%) provengono dalla scuola secondaria di 1° grado;- 16 (9.7%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado;- 16 (9.7%) non hanno risposto in merito.b) Qualifica acquisita al termine del corso di IeFP (cfr. Tav. 1/VENETO e Graf. 3):- 76 (46.1%) nella meccanica industriale;- 52 (31.5%) nel grafico;- 37 (22.4%) nell’elettro/elettronico.c) Mese in cui è stata conseguita la qualifica:- tutti a giugno 2010.d) Tipologia del corso:- triennale per tutti.e) Partecipazione allo stage:- hanno risposto tutti affermativamente.3.7.3. La posizione dei 165 ex allievi a 1 anno dalla qualificaAl momento dell’inchiesta i 165 qualificati hanno dichiarato (cfr. Tav. 1/Ve-rona S. Zeno e Graf. 18):– 103 (62.4%) di continuare gli studi, a fronte del 46% regionale e 32.8% nazionale;– 42 (25.5%) di lavorare, a fronte del 36.2% regionale e 34.5% nazionale;– 10 (6.1%) di non studiare né lavorare, a fronte del 13.2% regionale e 21.3%nazionale;– 10 (6.1%) di aver fatto altre scelte, a fronte del 4.6% regionale e dell’11.4%nazionale.A seguito di questa prima domanda, ai 103 che hanno proseguito gli studi èstato chiesto in quale indirizzo:– 95 (92.2%) negli Istituti Tecnici;– 6 (5.8%) negli Istituti Professionali;– 2 in altre strutture formative. Tav. 1/Verona S. Zeno: SCELTE effettuate dai 165 intervistati di Verona S. Zenoe cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE LEGENDA: * % (di colonna) sul totale intervistati a livello regionale (461) e nazionale (2609)** % (di riga) in base alle scelte dei 165 qualificati*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) 268 Nell’intento di verificare quanto hanno influito i settori di qualifica nel deter-minare le successive scelte, attraverso ulteriori analisi è stato possibile verificareche:– 47 qualificati del settore grafico hanno scelto di proseguire gli studi;– mentre sul resto delle scelte e in particolare su quella di andare subito a lavo-rare ha influito la meccanica industriale.3.7.4. La condizione occupazionale dei 42 lavoratoriAi 42 (25.5%) che hanno dichiarato che stavano già lavorando successiva-mente è stato chiesto in quali settori hanno trovato lavoro (cfr. Tav. 2/Verona S.Zeno e Graf. 19):– 19 su 76 qualificati nella meccanica industriale: essi rappresentano il 25% deiqualificati di Verona S. Zeno che hanno trovato un’occupazione nello stessosettore di qualifica, a fronte del 37.3% regionale e del 38.3% nazionale e il45.2% degli ex allievi di questo CFP che hanno trovato lavoro;– 7 su 37 qualificati nel settore elettro/elettronico: essi rappresentano il 18.9%dei qualificati di Verona S. Zeno che hanno trovato un’occupazione nellostesso settore di qualifica a fronte del 21.4% regionale e del 18.9% nazionale eil 16.7% degli ex allievi di questo CFP che hanno trovato lavoro;– dei 52 qualificati nel grafico, 1(1.9%) ha trovato un’occupazione a fronte del7.1% regionale e del 9.6% nazionale, tutti gli altri hanno preferito continuaregli studi;– 15 hanno trovato lavoro in settori non coerenti con la qualifica conseguita: 1nell’automotive e 14 in “altri” settori, questi ultimi rappresentano il 33.3% deiqualificati di Verona S. Zeno che hanno trovato lavoro. Graf. 18 - Verona S. Zeno: SCELTE cfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE 269 Graf. 19 - Verona S. Zeno: SETTORI OCCUPAZIONALIcfr. con Tot. REGIONALE/NAZIONALE Nell’intento di approfondire la tematica attorno al contesto operativo, successi-vamente si è voluto sapere:a) se per trovare lavoro si sono rivolti al CFP e quanti l’hanno trovato in questomodo:- 12 (7.3%) si sono rivolti al CFP e tutti l’hanno effettivamente trovato grazieal proprio CFP;b) entro quanto tempo hanno trovato lavoro:- 24 (57.1%) nei primi tre mesi, a fronte del 51% regionale e del 58.4% nazio-nale;- 10 (23.8%) entro sei mesi e 7 (16.7%) entro un anno; Tav. 2/Verona S. Zeno: Cfr. (in %) con Tot. REGIONALE/NAZIONALEnel rapporto QUALIFICATI/LAVORATORI per SETTORI LEGENDA: Q=n. QUALIFICATI; L=n. LAVORATORI;* % (di riga) sui qualificati che lavorano** altri settori (edilizia, legno, agricoltura, benessere, amministrazione, punto vendita…)( ) Si fa osservare che i numeri tra ( ) che si trovano nella colonna “L” stanno ad indicare quei lavoratori chehanno trovato lavoro in settori diversi dalla qualifica conseguita 270 c) la tipologia contrattuale:- 17 (40.5%) nell’apprendistato, a fronte del 40.7% regionale e del 44.2% na-zionale;- 15 (35.7%) assunti con contratto a tempo determinato, a fronte del 32.3% re-gionale e del 23.2% nazionale;- 10 (23.8%) con contratti atipici, a fronte del 19.6% regionale e del 26.1% na-zionale.Nell’analizzare l’incidenza dei settori occupazionali nel favorire l’ingresso deiqualificati nel mondo del lavoro e a quali condizioni, si evince che è stata soprat-tutto la meccanica industriale a favorire l’ingresso nel mercato del lavoro in tempibrevi e a offrire condizioni contrattuali alternative all’apprendistato. 271 Parte III CONCLUSIONI 273 Capitolo 3Sintesi dei dati e osservazioni conclusive 1. I 2609 QUALIFICATI DISTRIBUITI PER REGIONI E PER SETTORI DI QUALIFICA I 2609 ex allievi raggiunti attraverso il monitoraggio, che si sono qualificatinell’a.f. 2009/2010, appartengono ai 47 CFP del CNOS-FAP, questi ultimi presentiin 12 Regioni del Nord, del Centro e del Sud e Isole. La qualifica che hanno conse-guito afferisce a 5 macrosettori (automotive, elettro/elettronico, grafico, meccanicaindustriale, turistico-alberghiero), più alcuni settori raggruppati nella categoria“altro” (edilizia, lavorazione artistica del legno, agricoltura, benessere, amministra-zione, punto vendita).Attraverso la Tav. 1 è possibile ricostruire un quadro sinottico contestualmentealle variabili elencate sopra.Se si parte da una prima distribuzione dei 2609 qualificati in base alle Regionie alle circoscrizioni geografiche, si osserva che (Graf. 1): Graf. 1 - QUALIFICATI distribuiti per REGIONI e per Circoscrizioni 274 Tav.1 -Dist ribuzi oned ei2.6 09QU ALIF ICAT Iinb aseal leRE GION I,alle circos crizio niGe ograf ichee aiSE TTOR IdiQ UALI FICA (inFq .e% dicol onna edir iga) LEGE NDA :* %(di colon na)d eiqua lificat idistr ibuiti perto talen azion ale(2 609) etota ledic iascu nsett ore **% (dirig a)dei qualif icatid elles ingole Regio niec ircosc rizion i,dist ribuit iall’i ntern odic iascu nsett ore ***al triset tori(e dilizia ,legn o,agr icoltu ra,be nesse re,am minis trazio ne,pu ntove ndita… ) 275 – nei CFP del Nord si concentrano 1834 (70.3%) qualificati raggiunti attraversoil monitoraggio; tale quota è concentrata a sua volta soprattutto in tre Regionisu sette, ossia Piemonte 782 (30.1%) qualificati, Veneto 461 (17.7%) e Lom-bardia 283 (10.9%);– segue il Sud con 513 (19.7%) qualificati, la cui quota è quasi completamenteassorbita dalla Sicilia con 490 (18.8%) qualificati; da notare come quest’ultimacontiene, dopo il Piemonte, il più alto numero di intervistati;– al Centro sono presenti 262 (10%) qualificati di cui 207 (8%) nel Lazio.Un’ulteriore classificazione degli ex allievi in base ai settori di qualifica (Graf.2) permette di osservare una distribuzione degli stessi in:– 774 (29.6%) nell’elettro/elettronico e 725 (27.8%) nella meccanica industriale,seguono (in ordine decrescente) 355 (13.6%) nel grafico, 248 (9.5%) nel turi-stico-alberghiero, 192 (7.4%) nell’automotive e 315 (12.1%) qualificati in set-tori “altri”. Tornando alla Tav. 1, dall’incrocio di ogni singola Regione con i vari settori, sirileva che:– Piemonte e Sicilia sono le uniche Regioni ad avere i propri qualificati su tutti isettori;– seguono Lombardia, Veneto e Lazio che hanno qualificati in tutti i settori, aparte il turistico-alberghiero;– se si prescinde dalla Puglia, che presenta qualificati solo nel settoreelettro/elettronico, le rimanenti Regioni (Valle d’Aosta, Liguria, Emilia Ro-magna, Friuli Venezia Giulia, Umbria, Abruzzo) presentano qualificati in due otre settori.Attraverso una diversa lettura dei dati basata su percentuali di colonna, pro-dotte dall’incrocio di ogni settore con le singole Regioni, è ancora possibile eviden-ziare che (cfr. Tav. 1): Graf. 2 - Distribuzione dei QUALIFICATI per SETTORI 276 – il settore automotive presenta 192 (7.4%) qualificati, di cui 82 (42.7%) in Pie-monte, 41 (21.4%) nel Lazio, mentre in Valle d’Aosta, Lombardia, Veneto, Li-guria e Sicilia i qualificati si attestano al di sotto del 10%; in Emilia Romagna,Friuli Venezia Giulia, Umbria, Abruzzo e Puglia non sono presenti qualificatiin questo settore;– il settore elettro/elettronico presenta 774 (29.6%) qualificati provenienti da qua-si tutte le Regioni, ed in particolare 164 (21.2%) dalla Sicilia, 159 (20.5%) dalVe-neto, 133 (17.2%) dal Piemonte, 98 (12.7%) dalla Lombardia e 81 (10.5%) dal La-zio; in Valle d’Aosta, Liguria, Friuli Venezia Giulia, Umbria, Abruzzo e Puglia iqualificati si attestano al di sotto del 10%,mentremancano del tutto in Emilia Ro-magna;– i 355 (13.6%) qualificati nel settore grafico si caratterizzano per essere nell’80%dei casi concentrati al Nord, ed in particolare 98 (27.6%) in Veneto, 84 (23.7%) inLombardia, 77 (21.7%) in Piemonte e 47 (13.2%) nel Lazio; in Emilia Romagna ein Sicilia i qualificati scendono al di sotto del 10% e mancano del tutto in Valled’Aosta, Liguria, Friuli Venezia Giulia, Umbria,Abruzzo e Puglia;– lameccanica industriale ha 725 (27.8%) qualificati, di cui 575 (79.3%) del Nord.In particolare 199 (27.4%) qualificati in Piemonte e 158 (21.8%) in Veneto; 99(13.7%) qualificati in Emilia Romagna, 94 (13%) in Sicilia, 75 (10.3%) in Lom-bardia, 44 (6.1%) in Friuli Venezia Giulia e 18 (2.5%) inAbruzzo; non sono pre-senti qualificati in Valle d’Aosta, Liguria, Umbria e Puglia;– il turistico-alberghiero ha 248 (9.5%) qualificati, di cui 145 (58.5%) in Sicilia,96 (38.7%) in Piemonte; in Umbria i qualificati si attestano al di sotto del10%, mentre mancano del tutto in Valle d’Aosta, Lombardia, Veneto, Liguria,Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Abruzzo e Puglia;– il settore “altro” ha 315 (12.1%) qualificati, di cui 14 (0.8%), tutti al Nord,hanno conseguito qualifiche nell’edilizia, 18 (5.7%), tutti al Nord, nella lavo-razione artistica del legno, 209 (66.3%), 168 al Nord e 41 al Sud, nel benes-sere, 23 (7.3%), tutti al Nord, nell’amministrazione, 37 (11.7%) nel punto ven-dita e 14 (4.4%), tutti al Nord, nell’agricoltura; a completamento del quadro vaosservato che di questi qualificati 195 (61.9%) si trovano in Piemonte. 2. DATI ANAGRAFICI DEI 2609 QUALIFICATI Nella suddivisione per variabile di genere si osserva, contestualmente alla spe-cificità dell’Ente, una netta prevalenza maschile 2222 (85.2%), a fronte di 387(14.8%) della componente femminile.L’età copre un arco di tempo che va dai 17 ai 20 anni, che a sua volta può es-sere così suddiviso:– 1619 (62.1%) hanno fino a 18 anni;– 990 (37.9) hanno dai 19 anni in poi. 277 L’andamento d’insieme permette di ritenere che la maggior parte di questi gio-vani abbia avuto, contestualmente alla quota dei minorenni, un regolare percorsoscolastico/formativo, mentre nella coorte dei maggiorenni è possibile ipotizzare chesi siano verificati insuccessi scolastici.Un ulteriore identikit di questi giovani viene dalla domanda sulla nazionalità,mirata a distinguere gli autoctoni da coloro che, indipendentemente dal possesso omeno della cittadinanza italiana, nel presente caso vanno sotto il termine di “figli diorigine migratoria”. Il rapporto tra i due gruppi è di 85.9% (2242) a 14.1% (367);quest’ultimo dato porta a rilevare che nel CNOS-FAP la presenza di iscritti di ori-gine migratoria è almeno il doppio di quella che c’è nella scuola secondaria (5.8%Caritas e Migrantes 2011, p.186); inoltre si osserva che quest’ultima categoria diallievi risulta particolarmente concentrata nelle Regioni del Nord 311 (84.7%) edha conseguito qualifiche soprattutto nei settori della meccanica industriale 160(44%) e dell’elettro/elettronico 83 (22.6%). 3. IL PERCORSO FORMATIVO La serie delle domande mirate ad analizzare il percorso intrapreso all’internodella IeFP del CNOS-FAP è stata preceduta dalla richiesta di indicare il titolo distudio posseduto al momento dell’ingresso nel CFP, in base al quale si rileva che:– coerentemente a quanto analizzato sopra, 1735 (66.5%) qualificati provengonoda un regolare percorso all’interno della scuola secondaria di 1° grado;– 583 (22.4%) hanno frequentato uno o più anni in una scuola secondaria di 2°grado; costoro appaiono percentualmente più presenti nelle Regioni centrali enei settori grafico e meccanica industriale;– 291 (11.1%) non hanno risposto a questa domanda; si tratta di ex allievi percen-tualmente più presenti nelle Regioni del Sud e nel settore elettrico/elettronico.Attraverso la successiva domanda, mirata a conoscere la tipologia della qualificaconseguita, è emerso un lungo elenco di qualifiche, le quali successivamente sono sta-te raggruppate nei tradizionali 5 settori (più “altro”), come riportato nella Tav. 1.Passando al mese in cui è stata conseguita la qualifica, 2286 (87.6%) hanno in-dicato giugno e 323 (12.4%) luglio; in quest’ultimo caso si distinguono i residentinelle Regioni del Sud ed i qualificati nell’elettro/elettronico.Infine, è stata richiesta la tipologia del corso frequentato:– 2118 (81.2%) hanno indicato un corso triennale;– 397 (15.2%) hanno indicato un corso biennale e 94 (3.6%)1 hanno indicato il4° anno; sia i primi che questi ultimi appartengono tutti ai CFP del Nord efanno capo ai settori elettro/elettronico, grafico e meccanica industriale. 1 La ridotta quota di chi ha frequentato il IV° anno va attribuita al fatto che tali corsi sono statifatti solo in alcuni CFP, tutti del Nord. 278 4. LA POSIZIONE DEI 2609 EX ALLIEVI A 1 ANNO DALLA QUALIFICA Dall’incrocio tra le scelte effettuate e la tipologia di qualifica conseguita è pos-sibile “fotografare” lo stato dell’arte dei 2609 ex allievi al momento dell’inchiesta(Tav. 2 e Graf. 3):– 901 (34.5%) hanno trovato un’occupazione, di cui 714 (38.9%) ex allievi col-locati al Nord, 99 (51.6%) nei settori automotive, 313 (43.2%) nella meccanicaindustriale e 131 (41.6%) nel settore “altro”;– 855 (32.8%) hanno scelto di proseguire gli studi, di cui 175 (49.3%) qualificatinel grafico, 269 (34.7%) nell’elettro/elettronico e 94 (37.9%) nel turistico-al-berghiero;– 556 (21.3%) al momento dell’inchiesta si trovano in una posizione inattiva siain quanto studente che come lavoratore;– 297 (11.4%) hanno dato “altre risposte”, una categoria che si caratterizza perrisultare in qualche modo “attiva”, dal momento che stavano facendo attivitàvarie, tra cui corsi di apprendistato, patente europea e altre iniziative ancora. Attraverso la Tav. 3, l’entità e diversità delle scelte può essere analizzata anchein base ai rispettivi territori regionali e circoscrizionali.a) Stando ai totali per circoscrizioni (cfr. le % di colonna*):- 901 (34.5%) sono entrati nel sistema produttivo, di cui 714 (38.9%) al Nord,75 (28.6%) al Centro e 112 (21.8%) al Sud; Graf. 3 - SCELTE dei QUALIFICATI per SETTORI 279 Tav.2 -SCE LTEe ffettu ateda i2609 exall ievia 1ann odall aqua lifica, distrib uitep erSE TTOR I(inF q.e% dicol onna edir iga) LEGE NDA :* %(di colon na)d eiqua lificat idistr ibuiti perto talen azion ale(2 609) etota ledic iascu nsett ore **% (dirig a)dei qualif icati, distri buiti, pero gnisi ngola scelta ,inba seai settor i ***al triset tori(e dilizia ,legn o,agr icoltu ra,be nesse re,am minis trazio ne,pu ntove ndita… ) **** altre scelte (cors idia ppren distat o,pat entee urope a,ser vizio civile …) 280 - 855 (32.8%) hanno scelto di continuare gli studi, di cui 637 (34.7%) al Nord,82 (31.3%) al Centro e 136 (26.5%) al Sud;- 556 (21.3%) non studiano né lavorano, di cui 78 (29.8%) al Centro, 150(29.2%) al Sud, 328 (17.9%) al Nord;- 297 (11.4%) al momento dell’inchiesta occupavano una posizione ancora di-versa, di cui 115 (22.4%) al Sud, 27 (10.3%) al Centro e 155 (8.5%) al Nord. b) Dall’incrocio dei dati tra le singole Regioni e le scelte effettuate dagli ex al-lievi, si evince che (cfr. le % di riga**):- tra chi ha trovato lavoro, le percentuali più elevate si trovano in: Valled’Aosta (83.3%), Emilia-Romagna (48.5%), Piemonte (42.5%), Abruzzo(38.5%), Veneto (36.2%), Liguria (35.4%), Puglia (34.8%); mentre nelle ri-manenti Regioni si scende al di sotto del 30%;- tra coloro che invece hanno scelto di proseguire gli studi, le percentuali piùelevate si trovano in: Friuli Venezia Giulia (51.3%), Veneto (46%), Lom-bardia (42%), Lazio (36.7%); mentre nelle rimanenti Regioni si registranoquote al di sotto del 30%;- tra coloro che al momento dell’inchiesta non studiano né lavorano, le per-centuali più elevate si trovano in: Umbria (48.3%), Abruzzo (38.5%), Puglia(34.8%), Sicilia (29%), Lazio (26.1%), Piemonte (21.5%); mentre nelle altreRegioni le quote si attestano tra il 20% e il 10%; Tav. 3 - SCELTE effettuate dai 2609 ex allievi a 1 anno dalla QUALIFICA:Tot. distribuito per REGIONI e circoscrizioni geografiche (in Fq. e %) LEGENDA: * % (di colonna) dei qualificati distribuiti per regioni e circoscrizioni,) sul totale di ciascuna scelta** % (di riga) dei qualificati, distribuiti per regioni e circoscrizioni in base alle singole scelte*** altre scelte (corsi di apprendistato, patente europea, servizio civile…) 281 - infine, le quote maggioritarie di chi ha fatto registrare altre posizioni si tro-vano soprattutto in: Umbria (24.1%), Sicilia (22.8%), Friuli Venezia Giulia(15.4%), Valle d’Aosta (16.7%); mentre nelle rimanenti Regioni si registranoquote al di sotto del 15%.A completamento delle scelte effettuate dopo la qualifica è stato chiesto agli855 (32.8%) che avevano affermato di aver proseguito gli studi, dove e in quale in-dirizzo:– 338 (39.5%) hanno indicato gli Istituti Tecnici; si tratta per lo più dei qualifi-cati nei settori elettro/elettronico, grafico e meccanica industriale;– 304 (35.6%) gli Istituti Professionali; per lo più qualificati dei settori automo-tive e turistico-alberghiero;– 111 (13%) frequentano il IV anno della IeFP, con particolare riferimento aigrafici; la ragione, secondo quanto già anticipato in una nota precedente, va at-tribuita al fatto che sono ancora pochi i CFP (tutti del Nord) che hanno inseritoal proprio interno i corsi quadriennali;– 102 (11.9%) non ha precisato l’indirizzo. 5. LA CONDIZIONE OCCUPAZIONALE DEI 901 LAVORATORI I 901 qualificati che al momento del monitoraggio stavano già lavorando, sonocosì distribuiti (Tavv. 4 e 5 e Graf. 4 e 5). Graf. 4 - LAVORATORI distribuiti per REGIONI e Circoscrizioni 282 Tav.4 -Dist ribuzi oned ei901 LAVO RATO RIin basea iSET TORI OCCU PAZI ONA LI,al leRE GION Ieall eCirc oscriz ionig eogra fiche (inFq .e% ) LEGE NDA :* %(di colon na)d eilav orato ridis tribui tiper totale (901) eper totale dicia scun settor e **altr isetto ri(ed ilizia, legno ,agri coltur a,ben essere ,amm inistr azion e,pun toven dita… ) 283 1. Se si guarda al totale per Regioni e circoscrizioni (Tav. 4 e Graf. 4):- tra i qualificati che hanno trovato lavoro 714 (79.3%) si collocano nelle Re-gioni del Nord, di cui 332 (36.8%) in Piemonte, 167 (18.6%) in Veneto e 94(10.4%) in Lombardia;- 112 (12.4%) al Sud e 75 (8.3%) al Centro.2. Se si guarda invece alla distribuzione per settori (Tavv. 4 e 5 e Graf. 5):- 278 (30.8%) ex allievi hanno trovato lavoro nella meccanica industriale, co-erentemente con la significativa quota dei 725 (27.8%) qualificati nello stes-so settore. Confrontando i dati della Tav. 5 si può osservare che in questo set-tore il rapporto qualificati/occupati è complessivamente del 38.3% a frontedel 18.9% del settore elettro/elettronico, 9.6% del settore grafico, 49.5% delsettore automotive, 27.1% del turistico-alberghiero e 91.1% del settore altro.I settori che hanno maggiormente favorito l’occupazione sono:• l’automotive con 95 lavoratori su 192 qualificati in questo settore, pari al49.5%;• lameccanica industriale con 278 lavoratori su 725 qualificati, pari al 38.3%;• l’elettro/elettronico con 140 lavoratori su 774 qualificati, pari al 18.9%;• il grafico con 34 lavoratori su 355 qualificati, pari al 9.6%. 3. Dall’incrocio tra i settori e le singole Regioni, è possibile far emerge ulterioriutili informazioni (cfr. Tav. 4):- il settore della meccanica industriale è l’unico che presenta i suoi lavoratoriin tutte le Regioni coinvolte nel monitoraggio, con particolare riferimento alPiemonte con 91 (32.7%), Veneto con 59 (21.2%), Emilia Romagna con 38(13.7%) e Lombardia con 28 (10.1%);- i lavoratori del settore elettro/elettronico, se si prescinde da Emilia Romagnae Abruzzo, sono presenti in tutte le altre Regioni, con particolare riferimentoal Veneto con 34 (24.3%), Piemonte con 30 (22%), Lombardia con 29(20.7%), Lazio con 15 (10.7%) e Sicilia con 12 (8.6%); Graf. 5 - Distribuzione dei LAVORATORI per SETTORI 284 Tav.5 -Cfr. (inFq .e% dirig a)To t.RE GION ALE/ NAZI ONA LEne lrapp ortoQ UALI FICA TI/LA VOR ATOR Iper SETT ORIo ccupa ziona li LEGE NDA :Q= n.QU ALIF ICAT I;L= n.LA VORA TORI ; *% (dirig a)sui qualif icatic helav orano **altr isetto ri(ed ilizia, legno ,agri coltur a,ben essere ,amm inistr azion e,pun toven dita… ) ()Sif aosse rvare chein umeri tra() chesi trovan onell acolo nna“ L”sta nnoa dindi careq ueila vorat orich ehan notro vatou n’occ upazi onein settor idive rsida llaqu alifica conse guita 285 - i qualificati di “altri settori” sono presenti con 287 (31.9%) lavoratori inquasi tutte le Regioni e in particolare in Piemonte con 126 (43.9%), Venetocon 49 (17.1%) e Sicilia con 48 (16.7%);- il settore automotive si distingue per presentare la più alta percentuale di in-serimento lavorativo con 95 (49.5%) lavoratori, di cui 43 (45.3%) in Pie-monte;- il turistico-alberghiero con 34 (50.7%) lavoratori in Piemonte e 14 (20.9%)in Sicilia;- i qualificati del settore grafico sono presenti con 34 (9.6%) lavoratori, di cui12 (35.6%) in Lombardia, 8 (23.5%) in Piemonte e 7 (20.6%) in Veneto.4. Un’interessante analisi viene poi dal mettere a confronto, all’interno di ogniRegione (ricorrendo alle % di riga**), il numero dei qualificati di ciascun set-tore con il numero di coloro che hanno effettivamente trovato lavoro nellostesso settore (Tav. 5):a) stando ai totali delle circoscrizioni, si osserva che tale rapporto è del 38.9%al Nord, a significare che su 1834 qualificati hanno trovato lavoro 714; alCentro 75 hanno trovato lavoro su 262 (28.6%) qualificati; al Sud 112hanno trovato lavoro su 513 (21.8%) qualificati; tra le Regioni, le percen-tuali più elevate di impiego si trovano, a parte la Valle d’Aosta con 10 lavo-ratori su 12 qualificati, in Emilia Romagna (48.5%) e in Piemonte (42.5%);in tutte le altre Regioni il rapporto qualificati/lavoratori si attesta tra il 20%e il 40%;b) passando ad osservare il rapporto qualificati/occupati contestualmente aciascun settore occupazionale, si rileva che:• 95 (49.5%) qualificati nel settore automotive hanno conseguito un lavorocoerente con la qualifica, di cui 8 (72.7%) in Liguria, 8 (57.1%) in Sicilia,10 (55.6%) in Veneto, 43 (52.4%) in Piemonte e 8 (42.1%) in Lombardia,2 (28.6%) in Valle d’Aosta e 10 (24.4%) nel Lazio;• 278 (38.3%) ex allievi hanno trovato lavoro nella meccanica industriale:Piemonte 45.7%, Abruzzo 55.6%, Lazio 42.1%, Emilia Romagna 38.4%,Lombardia e Veneto entrambe 37.3%;• 140 (18.9%) qualificati nell’elettro/elettronico hanno trovato un lavorocoerente con la qualifica, di cui 30 (22.6%) in Piemonte, 34 (21.4%) inVeneto, 5 (21.7%) in Puglia, 29 (29.6%) in Lombardia e 2 (40%) in Valled’Aosta;• 34 (9.6%) qualificati nel settore grafico hanno trovato un lavoro coerentecon la qualifica;• 67 (27.1%) qualificati del settore turistico-alberghiero hanno trovato unlavoro coerente con la qualifica, di cui 34 (35.4%) in Piemonte, 14(9.7%) in Sicilia e i rimanenti 19 provengono da altri settori.Come anticipato, il dato più sorprendente riguarda comunque quei 315 qualifi-cati in “altri” settori, dei quali 287 (91.1%) hanno trovato lavoro in “altri” com- 286 parti (edilizia, legno, agricoltura, benessere, amministrazione …). Se poi si escedal dato complessivo e si computa il numero degli occupati in base alle circoscri-zioni e alle singole Regioni, troviamo che:a) a livello circoscrizionale, nei settori “altri” hanno trovato occupazione l’89.2%dei qualificati del Nord, il 93% del Centro e il 96% del Sud;b) a livello regionale, la Liguria ha raggiunto il 100% in questo bacino occupa-zionale, la Sicilia il 96% e il Piemonte il 65.6%;c) se si prescinde dall’Umbria (28.6%) sulle altre Regioni non è possibile rico-struire la proporzione in quanto ci troviamo di fronte ad una quota di 53 quali-ficati pari al 2% del totale nei 5 settori tradizionali che hanno trovato lavoro;costoro si distribuiscono tra le Regioni Veneto (+21), Lombardia (+10) edEmilia Romagna (+6), mentre Lazio, Friuli Venezia Giulia e Valle d’Aosta sicaratterizzano per dare ugualmente lavoro rispettivamente a 11, 3 e 2 ex al-lievi, pur non avendo alcun qualificato nei settori “altri”. A completamento delquadro si osserva che in Abruzzo e in Puglia non sono presenti né qualificatiné occupati nei settori “altri”.In pratica, questi “altri” comparti occupazionali hanno dimostrato di esserein grado di inserire al proprio interno non solo chi ha una qualifica corrispondentema anche chi proviene da altri settori di qualifica. Di conseguenza, l’andamentod’insieme di questi dati potrebbe essere considerato un valido indicatore in gradodi dimostrare che più ci si diversifica dalle tradizionali qualifiche e più è facileoggi trovare lavoro. Certamente un segnale da tenere in considerazione, inrapporto agli inevitabili cambiamenti che si stanno verificando nel mondo del la-voro.L’inchiesta a questo punto proseguiva chiedendo agli occupati se per trovarelavoro si sono rivolti al CFP e se il lavoro che stavano facendo l’hanno trovato pro-prio attraverso il CFP:– contestualmente alla prima domanda 360 qualificati (40%) si sono rivolti alCFP per trovare lavoro (con particolare riferimento a quelli della meccanicaindustriale e dell’elettro/elettronico);– 316 (87.8%) che l’hanno chiesto hanno ammesso poi di aver trovato lavoro at-traverso il proprio CFP ai settori su indicati.Alla successiva richiesta di precisare i tempi di inserimento nel mercato, èemerso che:– 526 (58.4%) hanno trovato lavoro nei primi 3 mesi dal conseguimento dellaqualifica; in questo non si osservano differenze tra i diversi settori;– 174 (19.3%) hanno trovato lavoro entro 6 mesi e 201 (22.3%) entro un anno.Nell’indicare quindi la formula contrattuale con cui sono stati assunti, tro-viamo che:– 398 (44.2%) con apprendistato, con riferimento soprattutto ai settori automo-tive, elettro/elettronico e meccanica industriale; 287 – 235 (26.1%) con contratti atipici, più presenti nei settori grafico e turistico-al-berghiero e nei settori altri;– 209 (23.2%) con contratti a tempo determinato, registrati soprattutto nel gra-fico e nella meccanica industriale;– 68 (7.5%) hanno dichiarato di avere un contratto a tempo indeterminato; inquest’ultimo caso si osserva una percentuale leggermente più elevata nel turi-stico-alberghiero. 6. SINTESI CONCLUSIVA, PUNTI DI FORZA E DI CRITICITÀ a) Per quanto riguarda i dati di scenario, le punte percentualmente emergenti, ri-guardano:- la concentrazione al Nord del 70.3% dei qualificati;- l’estrazione da due settori trainanti all’interno del CNOS-FAP: l’elettro/elet-tronico e la meccanica industriale.b) Passando ai dati anagrafici si osserva, contestualmente al totale nazionale:- una netta presenza della componente maschile (85.2%), contestualmente allaspecificità dell’Ente;- una presenza di qualificati di origine migratoria (14.1%), in rapporto deldoppio rispetto ai loro pari iscritti nelle scuole secondarie di 2° grado.c) A un anno dalla qualifica la posizione dei qualificati in base alle scelte fattepermette di evidenziare che:- il 21.3% si trova in una condizione di inattività; 2053 (78.7%) possono rien-trare nei parametri di Lisbona;- il 32.8% ha scelto di proseguire gli studi e il 34.5% di andare a lavorare.d) Rispetto alla posizione dei lavoratori, va evidenziato che:- nel rapportare il numero dei qualificati a quello degli occupati nello stessosettore, le più alte percentuali si sono verificate nell’automotive (49.5%) etra i settori “altri” (90.5%);- il 58.5% ha trovato lavoro subito o al massimo entro tre mesi dal consegui-mento della qualifica e che dei 360 allievi che hanno chiesto aiuto al proprioCFP per trovare lavoro, 316 l’hanno effettivamente ottenuto;- quanto alle tipologie contrattuali, è emersa una consistente presenza di con-tratti atipici e di contratti a tempo determinato, mentre la maggioranza rela-tiva dei contratti di apprendistato sembra anticipare la riforma che si va deli-neando a livello nazionale nei rapporti di lavoro, la cui validità dipenderà,però, dalla volontà politica di dare loro un vero contenuto formativo.e) L’attuale ricerca del CNOS-FAP sui qualificati del 2009-2010, anche se non ècomparabile come tale a quella dell’Isfol a motivo delle notevoli diversità esi-stenti riguardo sia agli anni di qualifica e di realizzazione delle ricerche, sia al-la tipologia degli intervistati e alla natura di campione o di universo dei gruppi 288 indagati, ha comunque confermato i principali andamenti positivi di quella in-dagine: l’incidenza rilevante della IeFP sull’inserimento lavorativo dei giovaninella fascia 15-24 anni, quella cioè che presenta maggiori problemi nella trans-izione occupazionale; l’impatto favorevole di tali percorsi sulla formazione deiqualificati; la brevità dei tempi di attesa per il reperimento di un lavoro; la coe-renza di quest’ultimo con la preparazione ricevuta nella IeFP. Mentre la percen-tuale di quanti continuano gli studi o la formazione rimane pressappoco la stes-sa, diminuisce quella di chi riesce a trovare un lavoro e aumenta quella di colo-ro che hanno fatto registrare una posizione inattiva: su queste due differenze hacertamente influito la diversità della situazione del mondo produttivo che nel2006-07, l’anno dei qualificati dell’Isfol, era in crescita mentre oggi risulta ingrave crisi, soprattutto riguardo ai giovani.f) Anche le tre indagini del CNOS-FAP non sono comparabili perché la prima ri-guarda un campione di qualificati anche del CIOFS/FP, la seconda consideral’universo dei qualificati del CNOS-FAP ma limitatamente ai settori automo-tive ed elettro/elettronico e l’attuale investiga l’universo dei qualificati dellaIeFP salesiana. È possibile, però, accostarle con un approccio globale e gli an-damenti sono in generale positivi, anche se poi i risultati vanno utilizzati sulpiano propositivo con molta prudenza. Il primo dato favorevole è costituitodalla diminuzione nel tempo della percentuale dei qualificati che non studianoné lavorano: essa era pari al 24% tra gli ex allievi del 2005-06, era salita al27.6% tra gli ex allievi del settore automotive e al 29.5% dell’elettro/elettro-nico del 2008-2009, mentre diviene il 21.3% tra i qualificati del 2009-2010 og-getto della presente ricerca; tuttavia, nonostante il miglioramento constatato, cisi aspetterebbe un’ulteriore riduzione in tempi brevi di tale percentuale.L’altro andamento positivo è che la percentuale complessiva di quanti lavoranoo continuano a studiare rimane pressoché invariata: 78.6% nel campione CNOS-FAP CIOFS/FP (qualificati nel 2005-2006) e 78.7%2 nell’universo del CNOS-FAP(2009-2010), dopo un abbassamento tra i meccanici (72.4%) e tra gli elettro/elettro-nici (62.2%, ma con una percentuale dell’8.3% di non risposte) (2008-2009). Indub-biamente, cresce l’entità di quanti studiano rispetto a quanti lavorano, ma il datoprobabilmente è l’effetto sia della grave crisi occupazionale sia del cambiamento inatto dell’utenza della IeFP che è aumentata e comprende non solo giovani che vo-gliono entrare subito nel mondo del lavoro, ma anche coloro che, valorizzando lacultura del fare, intendono perseguire mete formative più ambiziose della qualifica.Inoltre, vengono confermate altre tendenze positive già evidenziate nel con-fronto con gli esiti dell’indagine Isfol: l’impatto favorevole di percorsi di IeFP sullaformazione dei qualificati; la brevità dei tempi di attesa per il reperimento di un la-voro; la coerenza di quest’ultimo con la preparazione ricevuta nella IeFP. 2 Se si uniscono a chi lavora e a chi studia altre scelte che si riferiscono a percorsi di formazionenon formali. 289 Bibliografia AL. 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L’affermarsi della teoria del capitale umano negli anni ’60 . . . . . . . . . . . . . . 152.2. Le posizioni critiche degli anni ’70 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 172.3. A partire dagli anni ’80 la nuova centralità dell’istruzione e della formazione 202.4. Apprendimento continuo e politiche del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 243. L’inserimento occupazionale dei giovani in Italia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 263.1. Successo/insuccesso scolastico e formativo: significato e dati . . . . . . . . . . . . 263.2. I giovani al centro della crisi occupazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 303.3. Gli esiti dei percorsi triennali dell’IeFP: le indagini nazionali del CNOS-FAP, del CIOFS/FP e dell’Isfol . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 333.3.1. L’indagine del CNOS-FAP e del CIOFS/FP nel 2007 su un campionenazionale di qualificati del 2005-06 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 333.3.2. L’indagine del CNOS-FAP nel 2010 sull’universo dei qualificati neisettori automotive ed elettro/elettronico nell’anno 2008-09 . . . . . . . . 353.3.3. L’indagine dell’Isfol nel 2010 su un campione nazionale di qualificatidella IeFP del 2006-07 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 373.4. Le politiche di welfare attivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39 Parte IIL’INDAGINE SUI 2609 QUALIFICATI NELL’A.F. 2009-10 Capitolo 2 - I dati del monitoraggio per Regioni e per singoli CFP . . . . . . . . . . . 51 1. Obiettivi del monitoraggio e descrizione della metodologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51ABRUZZO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 541. Lo scenario regionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 541.1. Contestualizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 541.2. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 551.3. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 551.4. La posizione dei 26 ex allievi a un anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . . . . . . 561.5. La condizione occupazionale dei 10 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57 294 2. Sintesi conclusiva: confronto dati regionali-nazionali e tra singoli CFP, punti diforza e di criticità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 582.1. Il confronto tra dati regionali-nazionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 582.2. Il confronto tra singoli CFP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 593. Dati per singoli CFP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 593.1. L’AQUILA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 593.1.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 593.1.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 593.1.3. La posizione degli 8 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . 603.1.4. La condizione occupazionale dei 6 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 603.2. ORTONA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 603.2.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 603.2.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 603.2.3. La posizione degli 8 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . 603.2.4. La condizione occupazionale dei 2 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 613.3. VASTO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 613.3.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 613.3.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 613.3.3. La posizione dei 10 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . 613.3.4. La condizione occupazionale dei 2 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62EMILIA ROMAGNA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 631. Lo scenario regionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 631.1. Contestualizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 631.2. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 641.3. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 641.4. La posizione dei 136 ex allievi a un anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . . . . . 651.5. La condizione occupazionale dei 66 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 662. Sintesi conclusiva: confronto dati regionali-nazionali e tra singoli CFP, punti diforza e di criticità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 682.1. Il confronto tra dati regionali-nazionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 682.2. Il confronto tra singoli CFP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 693. Dati per singoli CFP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 693.1. BOLOGNA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 693.1.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 693.1.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 693.1.3. La posizione dei 75 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . 703.1.4. La condizione occupazionale dei 37 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . 713.2. FORLÌ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 723.2.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 723.2.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 733.2.3. La posizione dei 61 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . 733.2.4. La condizione occupazionale dei 29 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74FRIULI VENEZIA GIULIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 761. Lo scenario regionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 761.1. Contestualizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 761.2. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 771.3. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77 295 1.4. La posizione dei 78 ex allievi a un anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . . . . . . 771.5. La condizione occupazionale dei 16 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 782. Sintesi conclusiva, punti di forza e di criticità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80LAZIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 811. Lo scenario regionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 811.1. Contestualizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 821.2. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 821.3. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 831.4. La posizione dei 207 ex allievi a un anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . . . . . 831.5. La condizione occupazionale dei 58 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 852. Sintesi conclusiva: confronto dati regionali-nazionali e tra singoli CFP, punti diforza e di criticità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 872.1. Il confronto tra dati regionali-nazionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 872.2. Il confronto tra singoli CFP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 883. Dati per singoli CFP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 883.1. ROMA - BORGO RAGAZZI DON BOSCO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 883.1.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 883.1.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 893.1.3. La posizione dei 55 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . 893.1.4. La condizione occupazionale dei 13 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . 903.2. ROMA - T. GERINI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 923.2.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 923.2.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 923.2.3. La posizione dei 105 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . 933.2.4. La condizione occupazionale dei 41 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . 943.3. ROMA - PIO XI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 963.3.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 963.3.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 963.3.3. La posizione dei 47 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . 963.3.4. La condizione occupazionale dei 4 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97LIGURIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 981. Lo scenario regionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 981.1. Contestualizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 981.2. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1001.3. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1001.4. La posizione degli 82 ex allievi a un anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . . . . 1001.5. La condizione occupazionale dei 29 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1022. Sintesi conclusiva: confronto dati regionali-nazionali e tra singoli CFP, punti diforza e di criticità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1042.1. Il confronto tra dati regionali-nazionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1042.2. Il confronto tra singoli CFP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1053. Dati per singoli CFP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1053.1. GENOVA/QUARTO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1053.1.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1053.1.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1063.1.3. La posizione dei 27 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . 1063.1.4. La condizione occupazionale dei 14 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107 296 3.2. GENOVA/SAMPIERDARENA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1093.2.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1093.2.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1093.2.3. La posizione dei 45 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . 1093.2.4. La condizione occupazionale dei 10 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1113.3. VALLECROSIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1113.3.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1113.3.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1123.3.3. La posizione dei 10 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . 1123.3.4. La condizione occupazionale dei 5 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113LOMBARDIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1141. Lo scenario regionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1141.1. Contestualizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1141.2. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1161.3. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1161.4. La posizione dei 283 ex allievi a un anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . . . . . 1161.5. La condizione occupazionale dei 94 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1182. Sintesi conclusiva: confronto dati regionali-nazionali e tra singoli CFP, punti diforza e di criticità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1212.1. Il confronto tra dati regionali-nazionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1212.2. Il confronto tra singoli CFP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1223. Dati per singoli CFP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1223.1. ARESE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1223.1.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1223.1.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1233.1.3. La posizione degli 88 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . 1233.1.4. La condizione occupazionale dei 30 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1243.2. BRESCIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1263.2.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1263.2.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1263.2.3. La posizione dei 35 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . 1273.2.4. La condizione occupazionale dei 17 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1283.3. MILANO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1303.3.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1303.3.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1303.3.3. La posizione dei 93 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . 1313.3.4. La condizione occupazionale dei 28 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1323.4. SESTO S. GIOVANNI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1343.4.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1343.4.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1343.4.3. La posizione dei 67 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . 1343.4.4. La condizione occupazionale dei 19 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135PIEMONTE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1381. Lo scenario regionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1381.1. Contestualizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1381.2. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1401.3. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 140 297 1.4. La posizione dei 782 ex allievi a un anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . . . . . 1421.5. La condizione occupazionale dei 332 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1442. Sintesi conclusiva: confronto dati regionali-nazionali e tra singoli CFP, punti diforza e di criticità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1482.1. Il confronto tra dati regionali-nazionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1482.2. Il confronto tra singoli CFP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1493. Dati per singoli CFP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1493.1. ALESSANDRIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1493.1.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1493.1.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1503.1.3. La posizione dei 37 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . 1503.1.4. La condizione occupazionale dei 19 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1513.2. BRA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1533.2.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1533.2.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1533.2.3. La posizione dei 91 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . 1533.2.4. La condizione occupazionale dei 63 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1543.3. CASTELNUOVO DON BOSCO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1563.3.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1563.3.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1563.3.3. La posizione dei 30 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . 1563.3.4. La condizione occupazionale dei 7 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1573.4. FOSSANO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1583.4.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1583.4.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1583.4.3. La posizione dei 210 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . 1583.4.4. La condizione occupazionale dei 100 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . 1613.5. S. BENIGNO CANAVESE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1623.5.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1623.5.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1623.5.3. La posizione dei 168 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . 1633.5.4. La condizione occupazionale dei 58 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1643.6. TORINO/AGNELLI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1663.6.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1663.6.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1663.6.3. La posizione dei 18 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . 1663.6.4. La condizione occupazionale dei 5 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1673.7. TORINO/REBAUDENGO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1683.7.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1683.7.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1683.7.3. La posizione dei 62 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . 1683.7.4. La condizione occupazionale dei 17 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1693.8. TORINO/VALDOCCO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1713.8.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1713.8.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1713.8.3. La posizione dei 66 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . 1713.8.4. La condizione occupazionale dei 18 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1723.9. VERCELLI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1743.9.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 174 298 3.9.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1743.9.3. La posizione dei 24 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . 1753.9.4. La condizione occupazionale dei 7 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1753.10. VIGLIANO BIELLESE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1763.10.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1763.10.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1763.10.3. La posizione dei 76 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . 1773.10.4. La condizione occupazionale dei 38 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . 178PUGLIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1801. Lo scenario regionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1801.1. Contestualizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1801.2. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1811.3. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1811.4. La posizione dei 23 ex allievi a un anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . . . . . . 1811.5. La condizione occupazionale degli 8 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1822. Sintesi conclusiva: confronto dati regionali-nazionali e tra singoli CFP, punti diforza e di criticità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1832.1. Il confronto tra dati regionali-nazionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1832.2. Il confronto tra singoli CFP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1843. Dati per singoli CFP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1843.1. BARI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1843.1.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1843.1.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1843.1.3. La posizione degli 8 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . 1853.1.4. La condizione occupazionale dei 5 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1853.2. CERIGNOLA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1863.2.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1863.2.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1863.2.3. La posizione dei 15 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . 1863.2.4. La condizione occupazionale dei 3 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 187SICILIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1881. Lo scenario regionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1881.1. Contestualizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1881.2. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1911.3. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1911.4. La posizione dei 490 ex allievi a un anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . . . . . 1921.5. La condizione occupazionale dei 104 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1952. Sintesi conclusiva: confronto dati regionali-nazionali e tra singoli CFP, punti diforza e di criticità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1982.1. Il confronto tra dati regionali-nazionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1982.2. Il confronto tra singoli CFP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1983. Dati per singoli CFP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1993.1. CALTANISSETTA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1993.1.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1993.1.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1993.1.3. La posizione delle 15 ex allieve a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . 1993.1.4. La condizione occupazionale delle 3 lavoratrici . . . . . . . . . . . . . . . . . . 200 299 3.2. CATANIA/BARRIERA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2003.2.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2003.2.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2013.2.3. La posizione degli 92 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . 2013.2.4. La condizione occupazionale dei 23 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2023.3. CATANIA/SALETTE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2043.3.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2043.3.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2043.3.3. La posizione dei 21 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . 2043.3.4. La condizione occupazionale degli 11 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . 2053.4. CATANIA/S. FILIPPO NERI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2063.4.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2063.4.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2063.4.3. La posizione dei 111 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . 2073.4.4. La condizione occupazionale dei 14 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2073.5. CATANIA/TEATRO GRECO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2083.5.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2083.5.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2083.5.3. La posizione dei 9 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . . 2093.5.4. La condizione occupazionale dei 4 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2103.6. GELA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2103.6.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2103.6.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2103.6.3. La posizione dei 97 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . 2113.6.4. La condizione occupazionale degli 11 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . 2123.7. MISTERBIANCO BELSITO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2133.7.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2133.7.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2143.7.3. La posizione dei 26 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . 2143.7.4. La condizione occupazionale dei 9 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2153.8. PALERMO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2153.8.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2153.8.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2153.8.3. La posizione degli 85 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . 2163.8.4. La condizione occupazionale dei 13 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2173.9. RAGUSA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2193.9.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2193.9.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2193.9.3. La posizione dei 34 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . 2203.9.4. La condizione occupazionale dei 16 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . 221UMBRIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2231. Lo scenario regionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2231.1. Contestualizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2231.2. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2241.3. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2241.4. La posizione dei 29 ex allievi a un anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . . . . . . 2251.5. La condizione occupazionale dei 7 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 226 300 2. Sintesi conclusiva: confronto dati regionali-nazionali e tra singoli CFP, punti diforza e di criticità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2282.1. Il confronto tra dati regionali-nazionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2282.2. Il confronto tra singoli CFP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2283. Dati per singoli CFP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2293.1. FOLIGNO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2293.1.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2293.1.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2293.1.3. La posizione dei 313 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . 2293.1.4. La condizione occupazionale dell’unico lavoratore . . . . . . . . . . . . . . . 2303.2. MARSCIANO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2303.2.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2313.2.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2313.2.3. La posizione dei 22 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . 2313.2.4. La condizione occupazionale dei 6 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 232VALLE D’AOSTA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2341. Lo scenario regionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2341.1. Contestualizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2341.2. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2351.3. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2351.4. La posizione dei 12 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2351.5. La condizione occupazionale dei 10 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2352. Sintesi conclusiva, punti di forza e di criticità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 237VENETO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2381. Lo scenario regionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2381.1. Contestualizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2381.2. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2411.3. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2411.4. La posizione dei 461 ex allievi a un anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . . . . . 2411.5. La condizione occupazionale dei 167 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2432. Sintesi conclusiva: confronto dati regionali-nazionali e tra singoli CFP, punti diforza e di criticità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2472.1. Il confronto tra dati regionali-nazionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2472.2. Il confronto tra singoli CFP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2473. Dati per singoli CFP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2483.1. BARDOLINO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2483.1.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2483.1.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2483.1.3. La posizione dei 32 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . 2483.1.4. La condizione occupazionale dei 19 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2493.2. ESTE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2513.2.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2513.2.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2513.2.3. La posizione degli 41 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . 2523.2.4. La condizione occupazionale dei 25 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2533.3. S. AMBROGIO VALPOLICELLA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2543.3.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2543.3.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 254 301 3.3.3. La posizione degli 11 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . 2553.3.4. La condizione occupazionale dei 6 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2563.4. S. DONÀ DI PIAVE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2563.4.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2563.4.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2563.4.3. La posizione dei 91 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . 2573.4.4. La condizione occupazionale dei 35 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2583.5. SCHIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2603.5.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2603.5.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2603.5.3. La posizione dei 46 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . 2613.5.4. La condizione occupazionale dei 15 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2623.6. VENEZIA MESTRE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2633.6.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2633.6.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2633.6.3. La posizione dei 75 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . 2633.6.4. La condizione occupazionale dei 25 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2643.7. VERONA S. ZENO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2663.7.1. Dati anagrafici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2663.7.2. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2673.7.3. La posizione dei 165 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . 2673.7.4. La condizione occupazionale dei 42 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . 268 Parte IIICONCLUSIONI Capitolo 3 - Sintesi dei dati e osservazioni conclusive 1. I 2609 qualificati distribuiti per Regioni e per settori di qualifica . . . . . . . . . . . . . 2732. Dati anagrafici dei 2609 qualificati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2763. Il percorso formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2774. La posizione dei 2609 ex allievi a 1 anno dalla qualifica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2785. La condizione occupazionale dei 901 lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2816. Sintesi conclusiva, punti di forza e di criticità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 287 Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 289 303 Pubblicazioni nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE” ISSN 1972-3032 Sezione “Studi” 2002 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimenta- zione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto finale, 2002 2003 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XIV seminario di formazione europea. La formazione professio- nale per lo sviluppo del territorio. Castel Brando (Treviso), 9-11 settembre 2002, 2003 CIOFS/FP SICILIA (a cura di), Vademecum. 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Comunità professionale alimentazione, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale commerciale e delle vendite, 2004 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione delle unità didattiche, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale estetica, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale sociale e sanitaria, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale tessile e moda, 2004 CIOFS/FP BASILICATA, L’orientamento nello zaino. Percorso nella scuola media inferiore. Diffusione di una buona pratica, 2004 CIOFS/FP CAMPANIA (a cura di), ORION tra orientamento e network, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale elettrica e elettronica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale grafica e multimediale, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale meccanica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale turistica e alberghiera, 2004 NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema del- l’istruzione e della formazione professionale, 2004 NICOLI D. (a cura di), Sintesi delle linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, 2004 2005 CIOFS-FP SICILIA (a cura di), Operatore Servizi Turistici in rete. Rivisitando il progetto: le buone prassi. Progettazione, Ricerca, Orientamento, Nuova Imprenditorialità, Inseri- mento Lavorativo, 2005 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale legno e arredamento, 2005 CNOS-FAP (a cura di), Proposta di esame per il conseguimento della qualifica professionale. Percorsi triennali di Istruzione formazione Professionale, 2005 NICOLI D. (a cura di), Il diploma di istruzione e formazione professionale. Una proposta per il percorso quadriennale, 2005 POLÀČEK K., Guida e strumenti di orientamento. Metodi, norme ed applicazioni, 2005 VALENTE L. 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Linee guida per i formatori di cultura etica e religiosa nei per- corsi di Istruzione e Formazione Professionale, 2007 2008 BALDI C. - LOCAPUTO M., L’esperienza di formazioni formatori nel progetto integrazione 2003. La riflessività dell’operatore come via per la prevenzione e la cura educativa degli allievi della FPI, 2008 CIOFS/FP (a cura di), Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2008 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., Individuazione e raccolta di buone prassi mirate all’accoglienza, formazione e integrazione degli immigrati, 2008 NICOLI D., Linee guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2008 NICOLI D., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello stato dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. II volume, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere con... 2. La relazione. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere per... 3. Il progetto. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 2009 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale meccanica, 2009 MALIZIA G. - PIERONI V., Accompagnamento al lavoro degli allievi qualificati nei percorsi triennali del diritto-dovere, 2009 2010 BAY M. - GRĄDZIEL D. - PELLEREY M. (a cura di), Promuovere la crescita nelle competenze strategiche che hanno le loro radici spirituali nelle dimensioni morali e spirituali della persona. Rapporto di ricerca, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale grafica e multimediale, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale elettrica ed elettronica, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale automotive, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per l’orientamento nella Federazione CNOS-FAP, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale turistico-alberghiera, 2010 2011 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A. (a cura di), “Cittadini si diventa”. Il contributo dei Salesiani (SDB) e delle Suore Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) nell’educare stu- denti/allievi delle loro Scuole/CFP in Italia a essere “onesti cittadini”, 2011 TACCONI G., In pratica. 1. La didattica dei docenti di area matematica e scientifico-tecnolo- gica nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 TACCONI G., In pratica. 2. La didattica dei docenti di area linguistica e storico sociale nel- l’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 MANTEGAZZA R., Educare alla costituzione, 2011 NICOLI D., La valutazione formativa nella prospettiva dell’educazione. Una comparazione tra casi internazionali e nazionali, 2011 BECCIU M. - COLASANTI A.R., Il fenomeno del bullismo. Linee guida ispirate al sistema pre- ventivo di Don Bosco per la prevenzione e il trattamento del bullismo, 2011 2012 PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., In cammino per Cosmopolis. Unità di Laboratorio per l’e- ducazione alla cittadinanza, 2012 307 Sezione “Esperienze” 2003 CIOFS/FP PUGLIA (a cura di), ORION. Operare per l’orientamento. Un approccio metodolo- gico condiviso e proposte di strumenti, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 1. Guida per l’accoglienza, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 2. Guida per l’accompagnamento in itinere, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 3. Guida per l’accompagnamento finale, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 4. Guida per la gestione dello stage, 2003 2005 CIOFS/FP SICILIA, Operatore servizi turistici in rete. Rivisitando il progetto: le buone prassi. Progettazione, ricerca, orientamento, nuova imprenditorialità, inserimento lavorativo, 2005 TONIOLO S., La cura della personalità dell’allievo. Una proposta di intervento per il coordi- natore delle attività educative del CFP, 2005 2006 ALFANO A., Un progetto alternativo al carcere per i minori a rischio. I sussidi utilizzati nel Centro polifunzionale diurno di Roma, 2006 CIOFS-FP LIGURIA (a cura di), Linee guida per l’orientamento nei corsi polisettoriali (fascia 16-17 anni). L’esperienza realizzata in Liguria dal 2004 al 2006, 2006 COMOGLIO M. (a cura di), Il portfolio nella formazione professionale. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2006 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V., Una formazione di successo. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali triennali di istruzione e formazione professionale in Piemonte 2002-2006. Rapporto finale, 2006 2007 NICOLI D. - COMOGLIO M., Una formazione efficace. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali di Istruzione e Formazione professionale in Piemonte 2002-2006, 2007 2008 CNOS-FAP (a cura di), Educazione della persona nei CFP. Una bussola per orientarsi tra buone pratiche e modelli di vita, 2008 2010 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edi- zione 2010, 2010 2011 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edi- zione 2011, 2011 2012 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edi- zione 2012, 2012 Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@donbosco.it Marzo 2013

Cultura associativa e Federazione CNOS-FAP Storia e attualità

Autore: 
CNOS-FAP
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2012
Numero pagine: 
241
Codice: 
9788895640594
A cura diCNOS-FAP CULTURAASSOCIATIVAeFEDERAZIONE CNOS FAPStoria e attualità Anno 2012 Coordinamento scientifico:Dario Nicoli (Università Cattolica di Brescia) Hanno collaborato:Matteo D’ANDREA: Segretario Nazionale settore Automotive.Dalila DRAZZA: Sede Nazionale CNOS-FAP – Ufficio Metodologico-Tecnico-Didattico.FIAT GROUPAutomobiles.Comunità professionale AUTOMOTIVE: Angelo ALIQUÒ, Gianni BUFFA, Roberto CAVAGLIÀ, EgidioCIRIGLIANO, Luciano CLINCO, Domenico FERRANDO, Paolo GROPPELLI, Nicola MERLI, RobertoPARTATA, Lorenzo PIROTTA, Antonio PORZIO, Roberto SARTORELLO, Fabio SAVINO, GiampaoloSINTONI, Dario RUBERI. ©2012 By Sede Nazionale del CNOS-FAP(Centro Nazionale Opere Salesiane - Formazione Aggiornamento Professionale)Via Appia Antica, 78 – 00179 RomaTel.: 06 5137884 – Fax 06 5137028E-mail: cnosfap.nazionale@cnos-fap.it – http: www.cnos-fap.it 3 SOMMARIO PresentazionePer ricordare don Pasquale Ransenigo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 PARTE ICULTURA ASSOCIATIVA E FEDERAZIONE CNOS-FAP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 Cultura associativa e scelte istituzionali civilistiche dei Salesiani in Italia negli anni1966-2000 (Pasquale Ransenigo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9La Federazione CNOS-FAP in Italia: origini e sviluppo (Guglielmo Malizia) . . . . . . . . . . 27 PARTE IIGIOVANI E LAVORO: ELEMENTI DI MPAGISTERO SALESIANO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89 Intervento del Rettor Maggiore don Egidio Viganò ai lavori della prima Assembleadella Federazione CNOS-FAP, 1987 (Egidio Viganò) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91Missione salesiana e mondo del lavoro, 1983 (Egidio Viganò) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101L’impegno della Congregazione Salesiana per il mondo del lavoro, 1985 (Egidio Viganò) 119Preparazione dei Salesiani per il mondo del lavoro, 1982 (Juan Vecchi) . . . . . . . . . . . . . . 131La Formazione Professionale e l’educazione per il lavoro nel progetto educativopastorale salesiano, 2009 (Pasqual Chávez Villanueva) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151Il servizio dei Salesiani d’Italia a favore dei giovani nella Scuola e nella FormazioneProfessionale, 2010 (Pasqual Chávez Villanueva) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 159La pastorale giovanile salesiana, 2010 (Pasqual Chávez Villanueva) . . . . . . . . . . . . . . . . . 213 Allegati - Don Pasquale Ransenigo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 221Un breve profilo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 223Bibliografia dei principali scritti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 229 Indice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 231 5 Presentazione Per ricordare don Pasquale Ransenigo Perché un volume dal titolo “Cultura associativa e Federazione CNOS-FAP:storia e attualità”?Innanzitutto per ricordare un salesiano che sulla cultura associativa e sullaFormazione Professionale è stato maestro: “... per oltre 40 anni” si è impegnato peri giovani attraverso la Formazione Professionale.In secondo luogo per raccogliere materiali utili per quanti, salesiani e laici,oggi operano nell’ambito della Formazione Professionale, invitati dal Rettor Mag-giore a “rilanciare” l’«onesto cittadino» e il «buon cristiano».Commenta don Pascual nella Strenna 2013: In riferimento all’«onesto cittadino», ci si impone una riflessione profonda. Innanzitutto,a livello speculativo, essa deve estendere la sua considerazione a tutti i contenuti relativial tema della promozione umana, giovanile, popolare, avendo, al contempo, attenzionealle diverse qualificate considerazioni filosofico-antropologiche, teologiche, scientifiche,storiche, metodologiche pertinenti. Questa riflessione si deve poi concretizzare sul pianodella esperienza e della riflessione operativa dei singoli e delle comunità. Vorrei qui ricor-dare che, per i Salesiani di don Bosco, un Capitolo Generale di grande rilievo, il CG 23,aveva indicato come importanti luoghi ed obiettivi dell’educazione la “dimensione socialedella carità” e “l’educazione dei giovani all’impegno e alla partecipazione alla politica”,“ambito da noi un po’ trascurato e disconosciuto” (cfr CG 23, numeri 203-2010-212-214).Se da una parte comprendiamo la scelta di don Bosco di non fare se non “la politica delPadre Nostro”, dall’altra dobbiamo anche chiederci quanto la sua iniziale scelta di un’edu-cazione intesa in senso stretto, e la conseguente prassi dei suoi educatori di escludere dallapropria vita la “politica”, non abbiano condizionato e limitato l’importante dimensionesocio-politica nella formazione degli educandi. Oltre alle obiettive difficoltà create da dif-ferenti regimi politici con i quali don Bosco ha dovuto convivere, non vi hanno per casocontribuito anche degli educatori propensi al conformismo, all’isolazionismo, con un’in-sufficiente cultura ed una scarsa conoscenza del contesto storico-sociale?Dovremo quindi procedere nella direzione di una riconferma aggiornata della “sceltasocio-politica-educativa” di don Bosco. Questo significa non promuovere un attivismoideologico, legato a particolari scelte politiche di partito, ma formare ad una sensibilità so-ciale e politica, che porta comunque a investire la propria vita come missione per il benedella comunità sociale, con un riferimento costante agli inalienabili valori umani e cri-stiani. Si tratta quindi di operare all’insegna di una più coerente attuazione pratica nel set-tore specifico. Detto in altri termini, la riconsiderazione della qualità sociale dell’educa-zione – già immanente, anche se imperfettamente realizzata nell’opzione giovanile fonda-mentale, anche dal punto di vista delle enunciazioni e delle formule – dovrebbe incenti-vare la creazione di esplicite esperienze di impegno sociale nel senso più ampio. Ma ciòsuppone anche uno specifico impegno teorico e vitale, ispirato ad una più ampia visione 6 dell’educazione stessa insieme a realismo e concretezza. Non bastano proclami e mani-festi. Occorrono anche concetti teorici e progetti operativi concreti da tradurre in pro-grammi ben definitivi e articolati.E altrettanto si dovrebbe dire del rilancio del “buon cristiano”. Don Bosco, “bruciato”dallo zelo per le anime, ha compreso l’ambiguità e la pericolosità della situazione, ne hacontestato i presupporti, ha trovato forme nuove di opporsi al male con le scarse risorse(culturali, economiche, ...) di cui disponeva.Ma come attualizzare il «buon cristiano» di don Bosco?Come salvaguardare oggi la totalità umano-cristiana del progetto in iniziative formal-mente o prevalentemente religiose e pastorali, contro i pericoli di antichi e nuovi inte-grismi ed esclusivismi? Come trasformare la tradizionale educazione, il cui contesto era“una società monoreligiosa”, in una educazione aperta, e al tempo stesso critica, di fronteal pluralismo contemporaneo? Come educare a vivere in autonomia e nello stesso tempoessere partecipi in un mondo plurireligioso, pluriculturale, plurietnico? A fronte dell’at-tuale superamento della tradizionale pedagogia dell’obbedienza, adeguata ad un certo tipodi ecclesiologia, come promuovere una pedagogia della libertà e della responsabilità, tesaalla costruzione di persone responsabili, capaci di libere decisioni mature, aperte alla co-municazione interpersonale, inserire attivamente nelle strutture sociali, in atteggiamentonon conformistico, ma costruttivamente critico? Il volume non intende offrire risposte a queste impegnative domande. Ha il soloumile scopo di riportare pezzi di storia, che sono state delle risposte all’impegnosalesiano della formazione dell’onesto cittadino e buon cristiano.Noi amiamo pensare, infatti, che l’impegno di don Pasquale Ransenigo e l’im-pegno dei salesiani e dei laici che operano nella Federazione CNOS-FAP siano“attuazione pratica”, una delle modalità per la formazione dell’onesto cittadino edel buon cristiano.L’organizzazione del volume che pubblichiamo rispecchia queste due finalità.Riportando testi scritti da don Pasquale Ransenigo vogliamo ricordare, innan-zitutto, l’impegno di un salesiano che resta, per tutti noi, di stimolo a lavorare inquesto particolare ambito.Raccogliendo documenti di storia della Federazione CNOS-FAP e di magisterosalesiano sul rapporto tra salesiani e mondo del lavoro, in secondo luogo, vogliamooffrire spunti di riflessione per l’oggi e per il domani.Nel volume il lettore troverà la riflessione sul valore della cultura associativa ecome la Federazione CNOS-FAP ha cercato di realizzare questi valori nel contestoitaliano (prima parte). Sono stati riportati, inoltre, i principali interventi/documentidel magistero salesiano che hanno riflettuto sul ruolo dei Salesiani nell’ambito delmondo del lavoro (seconda parte).L’augurio che la presente pubblicazione, oltre che memoria, si riveli di stimoloe di incoraggiamento a tutti i salesiani e i laici che operano nella Formazione Pro-fessionale soprattutto quella rivolta ai giovani. La Sede Nazionale Parte I CULTURAASSOCIATIVAEFEDERAZIONE CNOS-FAP 9 Cultura associativa e scelte istituzionali civilistichedei Salesiani in Italia negli anni 1966-2000Pasquale RANSENIGO Don Pasquale Ransenigo ha scritto questi “appunti” negli ultimimesi di vita.Sono “appunti”, dice l’autore, che non rispondono ad esigenzecommemorative ma tendono a verificare se le iniziative, attivatedalla Congregazione nel recente passato, possono costituireun patrimonio di famiglia a cui ricorrere, oggi, per superare lapreoccupante situazione di crisi di alcune Associazioni promossein Italia dall’Ente CNOS.Il confronto con la diffusa e capillare presenza di aggregazioniassociative di varia natura nell’attuale società italiana non puòlasciare indifferenti quanti, per vocazione personale o istituzio-nale, svolgono ruoli educativi e pastorali nel mondo giovanile. PREMESSA Questi “appunti” non rispondono ad esigenze commemorative ma tendono averificare se le iniziative, attivate dalla Congregazione nel recente passato, possonocostituire un patrimonio di famiglia a cui ricorrere, oggi, per superare la preoccu-pante situazione di crisi di alcune Associazioni promosse in Italia dall’Ente CNOS.Il confronto con la diffusa e capillare presenza di aggregazioni associative di varianatura nell’attuale società italiana non può lasciare indifferenti quanti, per vocazionepersonale o istituzionale, svolgono ruoli educativi e pastorali nel mondo giovanile.Per superare la crisi non sono sufficienti, per il mondo salesiano italiano, le ela-borazioni culturali e le strategie pensate a tavolino, ma dovrebbe risultare determi-nante e più efficace conoscere e socializzare, nei fatti, le varie fasi di un processoculturale e istituzionale perlopiù sconosciuto anche a non pochi salesiani che, a di-stanza di anni da tali eventi, si trovano ad operare nell’ambito di Associazioni/Fede-razioni dotate di propri Statuti ispirati ad una cultura associativa e a scelte istituzio-nali che fanno riferimento all’Ente Promotore denominato “CENTRO NAZIONALEOPERE SALESIANE – CNOS”.Obiettivamente, si è trattato di un processo culturale ed istituzionale che haavuto inizio nel periodo post bellico e ha coinvolto con diverse vicende la Congre-gazione dei Salesiani in Italia, in particolare gli Ispettori e i rispettivi Economi ispet-toriali, preoccupati di acquisire e sviluppare competenze professionali al proprio in-terno per mantenere, da una parte, l’identità del carisma salesiano a servizio dei gio-vani a rischio e del ceto popolare e, dall’altra, di poter fruire anche di aiuti e sussidieconomici pubblici necessari per attuare la propria missione educativa e pastorale. 10 In coerenza con le premesse, si sono individuati i fatti significativi di questoprocesso, che possono offrire opportunità di scelte operative, culturali, sociali e po-litiche già sperimentate e da valutare responsabilmente con la più ampia partecipa-zione e condivisione possibile. 1. LA “CASA S. LORENZO DI ROMA PER DELEGATI NAZIONALI DELLE ISPETTORIEITALIANE” La prima fase di questo processo culturale e istituzionale coincide con la deci-sione dei Superiori salesiani di creare a fine 1966 una nuova “Casa S. Lorenzo” inviale dei Salesiani, 9 di Roma1.Tale scelta rappresenta storicamente un primo tentativo istituzionale di costi-tuire una Comunità salesiana che rappresentasse con i propri Delegati nazionali unpunto di riferimento culturalmente e politicamente “visibile” non solo per le Ispet-torie salesiane d’Italia ma anche per le Pubbliche Amministrazioni nazionali e lo-cali, a cui facevano già riferimento le prime “Associazioni nazionali di Settore”(C.G.S. - P.G.S. - T.G.S. - COSPES) istituite nel 1967-68 nell’ambito salesiano2.Tuttavia la destinazione canonica della Casa Salesiana S. Lorenzo “per Dele-gati nazionali” (i cosi detti Azzurri) 3 ebbe una vita breve (1966-1973), anche se laCasa S. Lorenzo non fu mai soppressa e rimase sempre a Roma con diverse vicissi-tudini, ubicazioni e organico4, che sono provvidenzialmente documentate nell’auto- 1 La Casa S. Lorenzo di Roma è stata eretta canonicamente con Decreto del Rettor Maggioren. 1035 del 21.11.1966.2 Associazioni costituite:- Cinecircoli Giovanili Salesiani (G.G.S.), atto notarile del 12.11.1967, notaio V. Pompili;- Polisportive Giovanili Salesiane (P.G.S.), atto notarile del 09.11.1967, notaio V. Pompili;- Centri di Orientamento Scolastico, Professionale e Sociale”(COSPES), atto notarile del28.02.1968, notaio V. Pompili;- Turismo Giovanile Salesiano (T.G.S), atto notarile del 28.02.1968, notaio V. Pompili.La Federazione “Centro Nazionale Opere Salesiane - Formazione e Aggiornamento Professio-nale (CNOS-FAP) verrà costituita con atto notarile del 09.12.1977 – notaio Roberto Franci (vedipunto n. 6).3 L’organico 1967 della Comunità della “Casa per Delegati nazionali delle Ispettorie italiane” ècomposto: dal Dir. sac.Orlando Carlo; sac.Buttarelli Armando; sac.Cipriani Giuseppe; sac.ClementelGiuseppe; sac. Paltrinieri Ivo; sac. Scotti Elio; sac. Vacalepre Arcadio; sac. Valentini Michele (cfr.Elenco Generale 1967 della Ispettoria Romano-Sarda, vol. 1°).L’organico della Comunità rimane invariato dal 1967 all’ottobre 1973, mentre al direttore donOrlando Carlo (1967-1970) succedono don Bassi Mario (1970-72) e don Sartor Tullio (1972 - ottobre1973).4 Le principali tappe:a) Il 3 ottobre 1973 don Magni Dante, Superiore emerito della Ispettoria Centrale di Torino, suc-cede a don Sartor Tullio non come direttore di Comunità ma solo in qualità di Presidente e Le-gale Rappresentante dell’Ente CNOS, a seguito dell’immediato scioglimento dell’organico dellaCasa per Delegati delle Ispettorie. Infatti nell’Elenco Generale dell’anno 1974 dell’IspettoriaRomano-Sarda non compare più la suddetta Casa, mentre nell’anno 1975 vi appare di nuovo lamedesima “Casa Salesiana di Roma S. Lorenzo”. Ma (senza precisarne la via e il numero civico) 11 biografia “Storia di un figlio di don Bosco” che don Dante Magni consegnò ai con-fratelli nell’aprile 1997 (utilizzata ampiamente nella stesura dei presenti “appunti”),con riferimenti importanti alle difficoltà da superare per mantenere in vita, con unanuova Comunità salesiana, “la Casa S. Lorenzo di Roma – Ente CNOS”.Nonostante ciò non si deve sottovalutare il ruolo che svolsero questi Delegatidelle Ispettorie, in particolare don Valentini Michele, nel ricercare una prima mo-dalità istituzionale per inserirsi nell’ambito civilistico attraverso la costituzione,con Atto notarile, di una Associazione che, per la prima volta, viene denominata“CENTRO NAZIONALE OPERE SALESIANE (C.N.O.S.)” 1967. 2. IDENTITÀ GIURIDICA E DURATA DELLA “ASSOCIAZIONE C.N.O.S.” 1967 Allo scopo di evidenziare ulteriormente l’importanza, ma anche i limiti diquesta prima scelta istituzionale dei Salesiani, è necessario fare riferimento alleconnotazioni giuridiche specifiche dell’Associazione. detta Casa è indicata con sede in Roma e con riferimento diretto al Presidente della CISI (sac.Fiora Luigi), sotto la denominazione “Sede Centrale C.N.O.S. – CENTRO NAZIONALEOPERE SALESIANE”, con Presidente dell’Ente il sac. Magni Dante, Amministratore il sac.Volpe Antonio, i Consiglieri il sac. De Bonis Antonio e il sac. Valentini Michele.b) Don Magni, ormai generale senza l’esercito dei Delegati nazionali, si appoggia prima alla Co-munità salesiana di Cinecittà e poi, sollecitato anche da don Fiora, cerca e trova accoglienza daldicembre 1973 presso la Comunità Salesiana di Roma S. Callisto in Via Appia Antica 126 e dal1978 anche presso la Comunità di s. Tarcisio in Via Appia Antica 102 (Case dell’Ispettoria Cen-trale di Torino), dove continua a svolgere funzioni e ruoli di Presidente dell’Ente CNOS (cfr. au-tobiografia di don Dante Magni, Storia di un figlio di don Bosco, aprile 1997, pag. 42-46).c) Don Magni ottiene da don Fiora la promessa di avere in aiuto, negli anni successivi 1977-80, al-cuni Confratelli salesiani provenienti soprattutto dai Centri di Formazione Professionale: donSilvino Pericolosi; don Pasquale Ransenigo; don Alfonso Bertoldi; don Giancarlo Manara; sig.Gianluigi Stiappacasse; sig. Francesco Berra; sig. Bernardino Pinton.Don Magni, disponendo della stabilità e professionalità di nuovi confratelli, è nominato anchedirettore della “Casa Salesiana S. Lorenzo – CNOS”, (trasferita ormai sul territorio delle Cata-combe di S. Callisto), incrementando così le attività e le funzioni dell’Ente CNOS con una du-plice priorità di programma d’azione entro l’anno 1997: definire le caratteristiche e le azionispecifiche dell’Ente CNOS con il relativo Statuto (approvato nel novembre 1977); istituire laFederazione Nazionale “Formazione e Aggiornamento Professionale” (CNOS-FAP) con AttoCostitutivo nel dicembre del medesimo anno. In tale Atto, il Presidente CNOS, don Magni,viene nominato anche Presidente CNOS-FAP.Il rapido conseguimento dei due obiettivi prioritari del programma confermano soprattutto l’effi-cacia delle scelte statutarie relative all’azione promotrice di Associazioni da parte dell’EnteCNOS nonché la scelta di confluenza dell’Associazione CNOS-1967 nella neo FederazioneCNOS-FAP, eliminando rischi di dualismo istituzionale con la definitiva collocazione strutturaledell’assetto associativo civilistico delle istituzioni salesiane che operano nel sistema della Forma-zione Professionale con la possibilità di fruire del supporto di relazioni istituzionali già avviatecon il Ministero del Lavoro che, nell’ambito della Formazione Professionale e dell’orientamento,metteva a disposizione consistenti risorse economiche per la promozione e il coordinamentonazionale delle sedi operative associate. 12 2.1. C.N.O.S. 1967Il “CENTRO NAZIONALE OPERE SALESIANE (C.N.O.S)” 1967 è una Asso-ciazione “di fatto” e sprovvista di riconoscimento della personalità giuridica,anche se istituita con atto notarile del dott. Vincenzo Pompili del 22 aprile 1967 inRoma; è composta “solamente da persone fisiche” di alcuni confratelli della Casasalesiana S. Lorenzo, viale dei Salesiani 9 in Roma.Va precisato che questa Associazione “CENTRO NAZIONALE OPERE SALE-SIANE (C.N.O.S)” – anche se ha la denominazione comune con l’attuale EnteCNOS – è antecedente e distinta giuridicamente dal medesimo “Ente CNOS” Pro-motore di Associazioni/Federazioni settoriali nazionali nell’ambito salesiano, che èinvece “dotato di personalità giuridica civilmente riconosciuta con DPR n. 1016del 20/09/1967 e DPR n. 294 del 02/05/1969” (cfr. successivo punto 3).Tuttavia, la distinzione istituzionale e giuridica tra “Associazione CNOS1967” e il nuovo “Ente CNOS 1969” non ha comportato la immediata soppressionedell’Associazione 1967 e del relativo Statuto ma, nei fatti, la comune denomina-zione di tali istituzioni – in assenza di uno Statuto specifico del nuovo EnteCNOS – non ha limitato i ruoli operativi del “Delegato nazionale don Michele Va-lentini”, il quale ha continuato ad esercitare la sua funzione statutaria nell’Associa-zione negli anni 1966-1974 per ottenere l’approvazione e il finanziamento pubblicodi attività di Orientamento (COSPES) e di Corsi professionali attivati nei Centri diAddestramento Professionale (CAP) e di Formazione Professionale (CFP) dei Sale-siani in Italia.Non sorprende, quindi, se l’apporto dei primi finanziamenti pubblici delle atti-vità di Formazione Professionale e di orientamento ebbero ricadute positive sulleistituzioni educative e formative salesiane in Italia (CAP -CFP -COSPES), creandoun senso di appartenenza CNOS (così si diceva) nei loro dirigenti e operatori che sisentivano orgogliosi e coinvolti attivamente in un processo culturale-associativoanche a livello nazionale.Ciò rendeva ancora più urgente e necessario intervenire decisamente nell’am-bito giuridico per superare una situazione di dualismo istituzionale tra “Associa-zione CNOS 1967” e “l’Ente CNOS” definito nei relativi DPR n. 1016 del 1967 en. 294 del 1969. Ciò verrà definito attraverso due interventi necessari: a) l’approva-zione canonica dello STATUTO dell’Ente CNOS da parte del Rettor Maggiore deiSalesiani (15.06.1977); b) un accordo specifico sottoscritto nell’Atto Costitutivodella FEDERAZIONE CNOS-FAP (09.12.1977), che sancisce, a tutti gli effetti, il“subentro” della Federazione CNOS-FAP nelle attività specifiche di FormazioneProfessionale riferite fino allora alla “Associazione CNOS 1967”.5 5 “L’Associazione CNOS (1967), nella persona del suo mandatario e Delegato Nazionale DonMichele Valentini, demanda ogni propria attività nel settore specifico della Formazione Professionalealla Federazione CNOS-FAP, la quale, mentre ringrazia della fiducia, accetta”. (art. 4 dell’AttoCostitutivo della Federazione nazionale CNOS-FAP). 13 2.2. Elementi significativi dello Statuto della “Associazione C.N.O.S.” 1967 6I contenuti di alcuni articoli dello STATUTO di questa Associazione (da noisempre indicata con l’anno della sua istituzione 1967) documentano che, aldilà diuna manifesta preoccupazione di non disperdere il patrimonio di significative atti-vità svolte da istituzioni salesiane nella città di Roma, si voleva assicurare la sceltaesplicita dei Salesiani d’Italia di corrispondere alle attese – manifestate anche daesponenti politici, in particolare dall’onorevole Giulio Andreotti, riconosciuto nel-l’ambito salesiano amico ed estimatore personale di don Michele Valentini – direndere strutturale la loro collocazione culturale, educativa e sociale nell’ambitoassociativo e civilistico del nostro Paese. A tale scopo si riportano i contenuti degliarticoli più significativi. Art. 1 – “Il CNOS ha avuto inizio, come ente di fatto, nel lontano calamitoso periodopostbellico, sotto la denominazione di “Opera Salesiana Ragazzi di Don Bosco” e, suc-cessivamente, di “Opera di Salesiana Assistenza Giovanile”, con lo scopo di risolvere ildelicato problema sociale, sollevato da numerosi ragazzi, detti “Ragazzi della strada oSciuscià”, i quali, abbandonati a se stessi avevano creato molte preoccupazioni allestesse autorità religiose, civili e militari del tempo. I Salesiani in conformità agli idealidel loro Fondatore S. Giovanni Bosco, avevano cercato di allontanare tali giovani daipericoli della strada, ricoverandoli nei loro Istituti e avviandoli ad un onesto lavoro.Tale programma veniva in seguito provvidenzialmente favorito dalla legge 29 aprile1949 n. 264 e successive modificazioni, che offriva ai Salesiani la possibilità di promuo-vere, su scala nazionale una positiva collaborazione con il Ministero del Lavoro attra-verso i C.A.P., cui apportavano il contributo della loro secolare e multiforme esperienzapedagogica, professionale e sociale.Art. 2 – Scopo del Centro Nazionale Opere Salesiane è la promozione, il potenziamento ela gestione delle attività formative ed assistenziali della gioventù nel campo spirituale, ci-vile, scolastico e professionale... istituendo e ampliando collegi, colonie, oratori, campisportivi, C.A.P., procurando attrezzature scolastiche tecnico didattiche, ricreative...Art. 4 – Possono essere associati solamente i membri ecclesiastici e laici della Congrega-zione Salesiana, i quali dovranno prestare la loro opera per il conseguimento dei fini del-l’Ente.Art. 11 – Il Delegato Nazionale7 rappresenta di diritto il Presidente nella relazioni con lePubbliche Amministrazioni, Società, Enti e privati; sovraintende e coordina le attività e ilpotenziamento dei Centri Regionali, Provinciali e locali; riscuote i contributi dispostidalle Pubbliche Amministrazioni e da terzi, rilasciandone relativa quietanza; devolve aiCentri periferici le aliquote dei contributi loro spettanti... Di tutto il suo operato rendeconto al Consiglio Direttivo”. 6 Sono presenti all’atto costitutivo dell’Associazione: don Carlo Orlando, don Michele Valentini edon Elio Scotti della Casa salesiana di viale dei Salesiani 9; don Secondo De Bernardi e don AntonioDe Bonis della Casa salesiana di via Marsala 42. I suddetti 5 comparenti formano il primo ConsiglioDirettivo dell’Associazione. Il Comitato di Presidenza è composto dal Presidente don Carlo Orlando edal Delegato nazionale don Michele Valentini. A comporre il Collegio dei Revisori dei Conti sononominati: presidente il Cav. Alessandro Novelli, don Giuseppe Cipriani ed Elio Menichelli.7 Don Michele Valentini. 14 2.3. In sintesiCon riferimento particolare ai contenuti degli articoli 1 e 2 del citato Statuto enei limiti di uno strumento istituzionale purtroppo inadeguato, si può oggettiva-mente documentare l’acquisizione di elementi basilari di una cultura associativa deiSalesiani d’Italia avviata in questo primo tentativo di inserimento istituzionale nel-l’ambito civilistico che, come si documenta subito, richiede però di disporre un as-setto giuridico idoneo e stabile per raggiungere le finalità proposte. 3. COLLOCAZIONE DELLA “CASA SALESIANA S. LORENZO IN ROMA” NEL NUOVOASSETTO ASSOCIATIVO PRECISATO CON DUE DPR RELATIVI ALLA SUA PERSONA-LITÀ GIURIDICA Si deve pure ricondurre all’impegno dei Delegati nazionali della Casa sale-siana di S. Lorenzo in Roma la decisione di ottenere, in soli due anni, un primo De-creto del Presidente della Repubblica (DPR n. 1016 del 20 settembre 1967) per ilriconoscimento della personalità giuridica di detta Casa denominata “Istituto SanLorenzo - Centro italiano opere salesiane religioso-sociali” e un secondo Decretodel medesimo Presidente della Repubblica (DPR n. 294 del 2 maggio 1969) perchévenga “riconosciuto, agli effetti civili, il mutamento della denominazione del sotto-titolo della Casa salesiana di S. Giovanni Bosco, denominata “Istituto S. Lorenzo -Centro italiano opere salesiane religioso-sociali” in “Centro Nazionale Opere Sa-lesiane – C.N.O.S.”.Nell’economia di questi “appunti” è da rilevare la portata culturale e politicanon tanto del primo DPR (che riconosce la personalità giuridica della Casa sale-siana S. Lorenzo, ai sensi dell’art. 29 lettera b. del Concordato, applicato anche peraltre Istituzioni religiose e per altre Case salesiane), quanto la tempestiva decisionedei “Delegati nazionali delle Ispettorie italiane”di ricorrere ad un secondo DPR permutare la denominazione del sottotitolo della suddetta Casa salesiana, attribuendolela connotazione nazionale ed eliminando i riferimenti religioso-sociali.Non può sfuggire infatti la motivazione di una richiesta urgente di tale muta-zione che nel medesimo testo del DPR è criptata nella parentetica agli effetti civili.Cosa comporta tale specificazione? È solo una strategia per sottrarsi a contrapposi-zioni ideologiche e confessionali? Oppure è una scelta responsabile che prelude aduno sviluppo di un processo inedito di inserimento istituzionale dei Salesiani d’I-talia nell’ambito associativo con ragioni sociali comuni ad altri Enti che operanocon analoghe finalità educativo e promozionali sul territorio nazionale?La risposta a questi interrogativi va ricercata non tanto sul piano di riflessioniastratte, quanto sulle scelte operative conseguenti alla nuova collocazione istitu-zionale della Casa salesiana S. Lorenzo – indipendentemente dalla sua ubicazionein viale dei Salesiani, 9 in Roma – scelte, che negli anni 1970-80, attivate e realiz-zate dal neo Presidente dell’Ente CNOS don Dante Magni, coadiuvato inizial- 15 mente dall’Amministratore don Antonio Volpe e dai Consiglieri don Antonio DeBonis e don Michele Valentini, ma con riferimento diretto al Presidente CISI donLuigi Fiora8.La risposta è ancora data dai fatti: avviare un articolato processo di riflessione,di consulenza e di confronti, che porti alla elaborazione di un apposito STATUTOdella Casa S. Lorenzo “Centro Nazionale Opere Salesiane – CNOS”, nel quale sipossa definire la nuova collocazione strutturale e permanente del CNOS nell’am-bito civilistico e soprattutto le modalità necessarie per raggiungere i fini specifici dipromozione e di coordinamento di Associazioni e Federazioni che, già presenti inambienti salesiani9, dovranno poi rinnovare e adeguare i propri Statuti associativiper renderli coerenti con i contenuti dello Statuto proprio dell’Ente CNOS. 4. PROCEDURE ADOTTATE PER L’APPROVAZIONE CON DPR DELLO STATUTOCNOS L’operazione “Statuto CNOS” si presentava quindi una scelta inedita per laCongregazione salesiana in Italia che, a differenza degli altri Paesi dove operano isalesiani, esigeva una mediazione delicata tra due ordinamenti giuridici: quello ca-nonico-ecclesiastico e quello civilistico delle associazioni.Motivati a trovare tale mediazione da codificare nello “Statuto CNOS” eranosoprattutto i salesiani impegnati nelle strutture della Formazione Professionale che,a differenza delle istituzioni salesiane paritarie del sistema dell’istruzione, pote-vano fruire di pubblici finanziamenti statali e regionali con riferimento alle compe-tenze del Ministero del Lavoro o delle Amministrazioni Regionali.L’operazione “Statuto CNOS” fu portata a termine in due anni (1977-1979) diintenso lavoro, nel rispetto delle procedure necessarie, sia in ambito canonico chein quello civilistico. 4.1. Fasi di elaborazione e approvazione “canonica” dello Statuto dell’EnteCNOSIl Consiglio Direttivo della Casa Salesiana denominata “Centro NazionaleOpere Salesiane – CNOS”, in seduta del 3 novembre 1977 delibera di adottare loStatuto dell’Ente CNOS, predisposto con l’apporto dell’avv. Edoardo Boitani e didon Angelo Begni da sottoporre all’esame e alla approvazione dei Superiori dellaCongregazione Salesiana.Gli Ispettori, nelle riunioni della CISI del 28 marzo e del 5 aprile 1977, dopoapprofondito esame condotto con l’aiuto di esperti, approvano il contenuto delloStatuto dell’Ente CNOS, da sottoporre all’approvazione delle Autorità competenti. 8 Cfr. nota n. 4, lettera a.9 Cfr. nota n.2. 16 Il Rettor Maggiore dei Salesiani don Luigi Ricceri, avuto consenso del proprioConsiglio, approva lo Statuto dell’Ente CNOS con Decreto n. 1035 del 10.11.1977.Il Sottosegretario della S. Congregazione dei Religiosi e Istituti Secolari, sac.Edoardo Simeoni, presentate alcune osservazioni e richieste di delucidazioni sulcontenuto degli articoli 1 e 8, approva il testo definitivo dello Statuto in data 16 no-vembre 1977. 4.2. Come e perché ottenere anche l’approvazione dello Statuto dell’ENTECNOS con DPRL’approvazione con DPR dello STATUTO CNOS sembrava offrire “maggiorigaranzie” soprattutto alle Associazioni e Federazioni promosse da Enti Nazionaliper superare eventuali rischi di restrizione di esercizio di libertà culturali e di plura-lismo istituzionale che si potevano configurare a seguito del trasferimento di nuovecompetenze alle Regioni e agli Enti Locali.Dotare l’Ente CNOS di un proprio Statuto, approvato canonicamente ma sprov-visto di riconoscimenti civilisti rischiava di essere politicamente inefficace per pro-muovere e coordinare a livello nazionale e locale Associazioni e Federazioni setto-riali. Queste Associazioni e Federazioni, a servizio dei giovani, necessitano di essereequiparate alle analoghe strutture associative sostenute da autorizzazioni esterne perfruire di aiuti anche finanziari da parte delle Amministrazioni Regionali e Locali.Anche altre Istituzioni e Strutture associative si muovevano in tale direzione.Sulla scorta del parere del dott. Ciro Conte della Direzione generale AffariCulto del Ministero dell’Interno si avviano le pratiche per l’approvazione con DPRdello Statuto dell’Ente CNOS, che si concludono con la firma del PresidenteSandro Pertini del DPR n. 166 del 19 marzo 1979 e pubblicato sulla G.U. n. 148del 31 maggio 1979.Nel caso specifico, si presentava però il dubbio sulla possibilità di ottenerel’approvazione con DPR, trattandosi di uno STATUTO che si riferiva ad una “CasaSalesiana S. Lorenzo” (Ente ecclesiastico) che come tale poteva fruire delle dispo-sizioni contenute nell’art. 5 della vigente legge n. 848 del 27-5-1929. In questo ar-ticolo, con riferimento particolare agli “Enti di Culto con attività di educazione eformazione”, si precisava che anche “gli enti ecclesiastici, civilmente riconosciutiin quanto esercitano attività di carattere educativo, assistenziale, o comunque diinteresse sociale a favore dei laici, sono sottoposti alle leggi civili concernenti taliattività”. Quindi ciò era possibile, anche se tale approvazione costituiva una novitàassoluta nell’ambito degli istituti religiosi10. 10 Alla richiesta di un parere per procedere alla presentazione della domanda di una esplicita ap-provazione dello Statuto CNOS con DPR, l’avvocato Edoardo Boitani (esperto CEI ed estensoredello Statuto CNOS insieme a don Angelo Begni, per conto di don Magni) rispondeva che “in sede diriconoscimento della personalità giuridica con apposito DPR, ai sensi dell’art. 29 lettera b. del Con-cordato, lo Stato italiano non era tenuto all’approvazione esplicita di alcun Statuto”. Ovviamente,l’avv. Boitani lasciava piena libertà di azione alle competenti Autorità Salesiane. 17 La possibilità di ottenere, l’approvazione dello Statuto CNOS con DPR è con-fermata dal dott. Ciro Conte, della Direzione generale Affari Culto del Ministerodell’Interno, con un suo parere scritto, specificando che “nel riconoscere la perso-nalità giuridica della Casa Salesiana di S. Giovanni Bosco, denominata ‘CentroNazionale Opere Salesiane – CNOS’, non è stato approvato esplicitamente il rela-tivo STATUTO... Si richiede, quindi, che a ciò venga provveduto, anche al fine dinormalizzare, ‘secondum legem’ il funzionamento dell’Ente... L’Ente concordatariopuò avere un proprio Statuto, e se Ente ecclesiastico-religioso, questi dovrà essereconforme alle rispettive Costituzioni: questa è prassi per tutti gli Enti concorda-tari”.Superata ogni incertezza, i Superiori Salesiani hanno dato mandato a donDante Magni, Presidente e Legale Rappresentante della Casa Salesiana di S. Lo-renzo denominata “Centro Nazionale Opere Salesiane – CNOS”, di inoltrare do-manda alle competenti Autorità dello Stato Italiano per ottenere l’approvazione delrelativo Statuto. L’istanza, inoltrata il 9 settembre 1977, ha avuto esito positivo. Suproposta del Ministro dell’Interno Rognoni, il Presidente della Repubblica SandroPertini con il DPR n. 166 del 19 marzo 1979 approvava lo Statuto dell’ENTECNOS. (cfr. G.U. n. 149 del 31.5.1979). 5. FINI SPECIFICI NELLO STATUTO DEL “CENTRO NAZIONALE OPERE SALESIANE −CNOS” La complessa e articolata documentazione degli adempimenti procedurali postiin essere dai Salesiani per assicurare l’approvazione canonica e la collocazione ci-vilistica dello STATUTO del “Centro Nazionale Opere Salesiane – CNOS” risultaampiamente motivata alla luce di normative “innovative”, con specificità tutta ita-liana per la Congregazione Salesiana, che dovevano essere sancite nello Statutomedesimo e a cui dobbiamo fare riferimento11. 5.1. La distinzione fondamentale tra fini istituzionali e fini specifici del CNOSè definita nell’articolo 2 dello Statuto:“Il CNOS fa parte a tutti gli effetti della Congregazione Salesiana, e i suoi fini istituzio-nali sono quelli contenuti nelle Costituzioni della Congregazione Salesiana; principal-mente promuove il perfezionamento spirituale dei soci, mediante l’intenso esercizio delleopere di evangelizzazione e promozione umana. In armonia con le Costituzioni Salesianee in conformità alla metodologia del Fondatore S. Giovanni Bosco, il “CNOS” si pro-pone il raggiungimento dei seguenti fini specifici: 11 Una riflessione approfondita sui contenuti rilevanti dello Statuto in oggetto è stata predispostadall’Ente CNOS, con la consulenza dell’Ufficio Giuridico CISI, nel documento “Nota Ente Cnos eAssociazioni/Federazioni e Istituzioni Salesiane”, che intende chiarire identità giuridica, collocazioneistituzionale, reciproci rapporti tra Ente e Associazioni/Federazioni promosse e tra queste e le Istitu-zioni salesiane. (cfr. Notiziario CISI, n. 3 – settembre 1996). 18 - coordinare a raggio nazionale attività culturali, formative, educative, ricreative, assi-stenziali, artistiche, sociali...;- promuovere iniziative di studio, di ricerca e sperimentazione in rapporto ai problemiinerenti l’orientamento e la Formazione Professionale...;- curare la formazione e l’aggiornamento del personale docente nelle scuole di ogniordine e grado e nei Centri di Formazione Professionale;- promuovere iniziative per l’orientamento scolastico e professionale;” NOTA 1I fini istituzionali del CNOS sono, dunque, comuni ad ogni Casa Salesiana; mentre i fini speci-fici del CNOS sono definiti nel relativo Statuto che, approvato dai legittimi Superiori salesiani,determinano nell’ordinamento canonico l’ambito proprio della missione affidata – per obbe-dienza – ai Salesiani di quella Casa perché venga realizzata ai vari livelli territoriali. 5.2. Le modalità e le strutture a cui il CNOS deve far riferimento per conse-guire i fini specifici della propria missione sono sancite esplicitamente al-l’articolo 4 dello Statuto:“L’azione di promozione e di coordinamento di cui all’art. 2 verrà svolta soprattuttomediante la costituzione di Associazioni e Federazioni settoriali, a raggio nazionale, in-terregionale e regionale fra Istituzioni salesiane che svolgono attività omogenee e chedecidono liberamente di associarsi. Il CNOS quale Ente promotore opererà per la costi-tuzione di tali Associazioni e Federazioni, le quali potranno darsi degli Statuti e deiRegolamenti che, nelle linee fondamentali, siano conformi a quanto previsto al riguardodal presente Statuto e approvati dai competenti organismi salesiani”. NOTA 2Costituire Associazioni e Federazioni è l’oggetto proprio della funzione di promozione del-l’Ente CNOS che, come si evince anche dal successivo articolo 5 dello Statuto, non può essereridotta alla sola azione di coordinamento che, ovviamente risulta complementare e necessariama non sostitutiva all’azione di promuovere Soggetti Istituzionali dotati di propri Statuti asso-ciativi.Comportamenti ambigui su tale materia rischiano di annullare culturalmente e operativamente lescelte istituzionali statutarie fatte dai competenti Superiori Salesiani, col rischio di assimilarel’azione promotrice del CNOS ad altre lodevoli e necessarie attività di coordinamento esercitateda Organismi e Strutture salesiane ai diversi livelli ispettoriali, interispettoriali e nazionali. 5.3. I reciproci rapporti tra Ente CNOS e Associazioni/Federazioni promossesono definiti nei contenuti dell’articolo 5 dello Statuto:“Il CNOS eserciterà in seno alle predette Associazioni e Federazioni funzione di guida econtrollo atta a garantire l’orientamento e l’ispirazione codificata dalle Costituzionisalesiane.Ciascuna delle Federazioni e Associazioni, costituite in seguito all’azione dell’Entepromotore CNOS, avrà nel suo Consiglio Direttivo un membro di diritto designato dalPresidente del CNOS con lo specifico incarico di mantenere i collegamenti col CNOSmedesimo, e di redigere annualmente una relazione sull’andamento dell’Associazione oFederazione. Le distinte relazioni confluiranno nella Relazione Annuale del Presidentedel CNOS sullo stato dell’Ente”. 19 NOTA 3Risulta necessario approfondire il contenuto dell’articolo, certamente innovativo, per evitare si-tuazioni di crisi e di conflittualità relazionali che possono, nei fatti anche recenti, portare a deci-sioni quantomeno non conformi alle diverse competenze che lo Statuto attribuisce all’azionepromotrice dell’Ente CNOS nelle sue relazioni con i Superiori, in particolare con la CISI. Per superare tali rischi sembrano opportune e utili due precisazioni importanti:a. la “funzione di guida e controllo” che l’Ente CNOS esercita in seno alle Asso-ciazioni e Federazioni deve essere collocata tra i fini istituzionali della CasaSalesiana S. Lorenzo – Ente CNOS in quanto funzione “atta a garantirel’orientamento e l’ispirazione codificata dalle Costituzioni salesiane”. Estra-polata dal contesto e senza riferimento alle sue finalità, la “funzione di guida econtrollo” può dare adito, nei fatti, ad interventi e decisioni che possonoriguardare l’ordinamento interno o la gestione stessa delle attività associativepreviste da appositi Statuti che, nel caso specifico, “devono essere conformiallo Statuto CNOS e approvati dai competenti organismi salesiani” (cfr. Sta-tuto CNOS, art. 4).b. “Mantenere i collegamenti con il CNOS e redigere annualmente una rela-zione sull’andamento dell’Associazione o Federazione” è un incarico speci-fico affidato alla responsabilità e professionalità di un membro di diritto desi-gnato dal Presidente del CNOS nel Consiglio Direttivo delle Associazioni oFederazioni. Ovviamente, il contenuto del termine “andamento” include il raggiungimentodei fini istituzionali e specifici che l’Ente Promotore CNOS deve assicurare attra-verso la relazione complessiva da trasmettere ai competenti Superiori e alla CISI12. 5.4. Le procedure per modificare lo Statuto sono indicate nell’articolo 10 delloStatuto:“Eventuali modifiche al presente Statuto potranno essere proposte dal Consiglio Diret-tivo alla competente autorità salesiana, con l’approvazione del Rettor Maggiore dellaSocietà Salesiana e con il nulla osta della Santa Sede”. 12 “L’unitarietà dei fini istituzionali e specifici comporta, in particolare, per la CISI:• la responsabilità di assicurare alla Casa salesiana S. Lorenzo le risorse di persone e di profes-sionalità adeguate all’assolvimento della propria missione specifica, che è insieme culturale,educativa e pastorale, civilista, funzionale ed operativa;• l’onere di immettere nell’ambito associativo CNOS confratelli salesiani, che per obbedienzareligiosa esercitano peculiari funzioni negli Organi sociali delle Associazioni e Federazionipromosse dall’Ente e, se Delegati nazionali CNOS, con lo specifico incarico di mantenere icollegamenti;• la responsabilità di curare una adeguata formazione specifica di tali salesiani e dei laici, Dele-gati dell’Ente CNOS...” (cfr. “Nota Ente CNOS e Associazioni/Federazioni e Istituzioni sale-siane”, Notiziario CISI n.3, sett. 1996, punto 2.1). 20 NOTA 4Finora non sono state presentate proposte di modifiche e conseguentemente è sempre vigente loStatuto CNOS approvato nel novembre 1977. 6. LA FEDERAZIONE NAZIONALE “FORMAZIONE AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE”(CNOS-FAP): INTERVENTI PER LA SUA COSTITUZIONE − UN APPREZZAMENTOAUTOREVOLE Nell’intento di prospettare una coerente conclusione culturale e istituzionale diquesti “appunti” sembra importante socializzare, tra i fatti significativi del processodi inserimento dei Salesiani nell’ambito civilistico e associativo italiano, le caratte-ristiche “innovative” che la Federazione Nazionale “Centro Nazionale Opere Sale-siane - Formazione Aggiornamento Professionale (CNOS-FAP)” rappresenta so-prattutto negli eventi che precedettero e accompagnarono la scelta di costituire neldicembre 1977 una nuova Istituzione associativa dopo quelle già presenti da un de-cennio nell’ambito salesiano13. 6.1. Interventi per la costituzione della Federazione CNOS-FAPLe motivazioni di procedere con urgenza e correttezza giuridica per tale sceltasono documentate dalla relazione che Don Angelo Begni presentò agli EconomiIspettoriali nel 1974, con lo scopo di coinvolgere le competenti Autorità salesianeper la necessaria autorizzazione.Di tale relazione ne riportiamo, per i suddetti motivi e per la competenza pro-fessionale e salesiana del relatore, il contenuto trascritto dei 10 paragrafi del mano-scritto.14 1. “Il Decreto del Presidente della Repubblica del 20/07/1967 n. 1016 riconosce la per-sonalità giuridica della Casa salesiana di S. Giovanni Bosco, denominata “Istituto SanLorenzo - Centro Italiano opere salesiane religioso-sociali” con sede in Roma.2. Il Decreto del Presidente della Repubblica del 02.05.1969 n. 294 riconosce, agli effetticivili, il mutamento della denominazione del sottotitolo della casa salesiana di S. Gio-vanni Bosco denominata “Istituto S. Lorenzo - Centro italiano opere salesiane religioso -sociali” in “Centro Nazionale Opere Salesiane - C.N.O.S.”, con sede in Roma.3. In data 22 aprile 1967 (e quindi precedentemente ai due Decreti del Presidente dellaRepubblica) era stata costituita con atto notarile una associazione denominata “CEN-TRO NAZIONALE OPERE SALESIANE” (C.N.O.S.) 13 Cfr. nota n.2.14 Il manoscritto è conservato presso la Sede Nazionale CNOS-FAP di via Appia Antica, 78 -Archivio CNOS, cartella CNOS - C 1, allegato “R”. 21 4. Nei suddetti due Decreti del Presidente della Repubblica tale associazione non è men-zionata. Perciò fra i due ENTI (ISTITUTO SAN LORENZO - C.N.O.S.) e ASSOCIA-ZIONE (CENTRO NAZIONALE OPERE SALESIANE - C.N.O.S.) non esiste nessun col-legamento giuridico. Si tratta di due entità distinte e indipendenti aventi in comune solola denominazione.5. All’art. 4 dello statuto di questa Associazione C.N.O.S. è detto che “possono essereassociati solamente i membri ecclesiastici e laici della Congregazione Salesiana”. Sitratta cioè di una associazione di persone fisiche. Di conseguenza non possono far partedella Associazione gli enti gestori dei cosiddetti C.A.P., a suo tempo riconosciuti dal Mi-nistero del Lavoro, né i C.A.P. medesimi come tali.6. Perciò finora mi sembra abbia dominato un grosso equivoco, che certo ci è statomolto utile, ma che è necessario eliminare se si crea una nuova Associazione (Federa-zione) CNOS-FAP.7. Mi sembra che l’Associazione CNOS-FAP dovrebbe essere promossa dall’IstitutoS. Lorenzo e costituita fra gli enti gestori (con personalità giuridica o enti di fatto) deiCENTRI di FORMAZIONE PROFESSIONALE.8. Compito dell’Associazione CNOS-FAP dovrebbe essere quello di promuovere e coor-dinare i C.F.P. lasciandone la gestione ai singoli Enti gestori; questo salverebbe la suaautonomia gestionale (con tutte le semplificazioni per il CNOS-FAP e le DELEGAZIONIREGIONALI CNOS-FAP); verrebbe stabilito un sufficiente collegamento con l’ISTITUTOS. LORENZO - CNOS, di cui L’Associazione CNOS-FAP sarebbe una emanazione; i sin-goli Enti gestori, oltre che gestire in proprio i C.F.P. potrebbero gestire anche altre attività(la Legge della Regione Lombardia prevede che i locali e le attrezzature di ciascun C.F.P.possono dall’Ente gestore essere utilizzati anche per altre attività – per esempio IstitutiTecnici Industriali – purché compatibili con l’attività del C.F.P.); i singoli Enti gestoridovrebbero avere per tutte le attività dagli stessi esercitate un unico numero di codicefiscale.9. Forse sarebbe anche possibile che un Ente gestore avente personalità giuridica, possaassumere la gestione anche di altri CFP che non possono appoggiarsi a un Ente con per-sonalità giuridica, abolendo così l’Ente di fatto che fa loro da sostegno. Questo qualorala legge della Regione a cui il CFP manca l’appoggio di un Ente giuridico rendesse lacosa opportuna.10. Comunque mi sembra cosa di fondamentale importanza che i singoli Enti gestori diCFP conservino l’autonomia gestionale, almeno quelli che attualmente si trovassero intali condizioni”. La socializzazione dei contenuti della relazione di don Begni ha avuto imme-diato riscontro ai diversi livelli della Congregazione, coinvolgendo esperti salesianie laici per esaminare e vagliare le diverse soluzioni prospettate in ambito canonico,istituzionale, amministrativo e fiscale.In questo impegno prioritario sono stati coinvolti in modo particolare i Confra-telli della rinnovata Comunità S. Lorenzo - CNOS che costituiscono il primo orga-nico della Sede Nazionale della Federazione CNOS-FAP, ormai trasferita definiti-vamente in via Appia Antica, 78 in Roma. Ottenute le autorizzazioni necessarie,il 9 dicembre 1977 viene istituita la Federazione Nazionale CNOS-FAP, con Atto 22 Notarile del dott. Roberto Franci di Roma, alla presenza del Presidente CNOS donDante Magni e del relativo Consiglio Direttivo, di ben 18 Legali Rappresentanti diIstituzioni salesiane e di altri 15 Confratelli salesiani che operano nell’ambito del-l’orientamento e della Formazione Professionale nelle Ispettorie salesiane italiane.Oltre la definizione dello Statuto CNOS-FAP, nell’atto Costitutivo si precisanoanche 2 obiettivi, già evidenziati, che dovevano trovare riscontro immediato a li-vello istituzionale della Federazione:Art. 1 - L’Ente CNOS interviene (per la prima volta) come Ente Promotore dellaFederazione.Art. 4 - L’Associazione CNOS (1967), nella persona del suo mandatario e DelegatoNazionale don Michele Valentini, demanda ogni propria attività nel settore spe-cifico della Formazione Professionale alla Federazione CNOS-FAP, la quale,mentre ringrazia della fiducia, accetta. 6.2. Apprezzamento autorevoleDopo pochi mesi dalla sua costituzione, la Federazione Nazionale CNOS-FAPcelebra il 5 maggio 1978 la prima Assemblea Generale. Il Rettor Maggiore dei sa-lesiani don Egidio Viganò, è invitato a incontrare i Soci e a offrire il suo contributodi valutazione sulle linee programmatiche della nuova Federazione. In premessa alsuo intervento precisa subito di voler condividere con i Soci presenti alcune rifles-sioni che superano meri riferimenti di circostanza, validi solo per questa Federa-zione, ma si fondano su sue esperienze dirette e personali confrontate con il nuovocontesto in cui si collocano le novità istituzionali e associative dei Salesiani inItalia, ma che coinvolgono ovviamente tutta la Congregazione.La prima riflessione proposta dal Rettor Maggiore15 “riguarda proprio la motivazione principale di questa vostra Assemblea che non è sol-tanto espressione dell’importanza della Formazione Professionale, ma risponde ad unaesigenza caratteristica e specificatamente italiana che investe le strutture educative inuna svolta socio-politica di questo paese e che risulta, a chi proviene da esperienze dialtri paesi, urgente e indispensabile soddisfare. Si tratta della necessità si superare il set-torialismo ispettoriale per entrare in una dimensione di livello nazionale”.(omissis)“Non bisogna tralasciare sforzo alcuno per costituire un’Associazione che operi ad unlivello superiore delle Ispettorie. Perché, non mi sembra un’esagerazione l’affermareche non c’è futuro, letto alla luce dell’attuale situazione socio-politica se non scegliendoquella strategia salesiana che ci permette di inserirci in questa dimensione strutturaleche va crescendo in questo paese. Qui c’è novità! 15 Il testo dell’intervento del Rettor Maggiore, pubblicato nella collana “Quaderni CNOS-FAP”-maggio 1978, è articolato in quattro riflessioni:1° superare il settorialismo ispettoriale;2° Federazione capace di sostenere un confronto culturale e politico;3° Istituzione responsabile della formazione del proprio personale;4° comunità educativa aperta alla partecipazione. 23 Si parla, oggi, di necessità di nuove presenze salesiane: in questo settore, voi dimostrateuna novità di presenza salesiana che non si è inventata ieri. Questo è bello, perché signi-fica che nel cuore salesiano c’è sempre fantasia e la capacità di scelte intelligenti(omissis). Capisco, però, che queste scelte crescono tra difficoltà varie e non tutti per-cepiscono immediatamente le ragioni valide che guidano a tali scelte. Questo tipo diASSOCIAZIONISMO deve operare a livello superiore delle Ispettorie, non perché questenon servano, ma perché la configurazione dell’attuale società italiana ha, oggi, questaesigenza”. NOTALa priorità della riflessione assegnata dallo stesso Rettor Maggiore, nell’introdurre il suo inter-vento, non è dettata da “parole di circostanza” rivolte ai soli Soci della Federazione CNOS-FAP,ma conferma quanto sia importante attualizzare nei fatti le scelte culturali, istituzionali e civili-stiche definite nel vigente Statuto dell’Ente Promotore CNOS, approvato dai competenti Supe-riori della Congregazione nonché dal Presidente della Repubblica. 7. RIFLESSIONI E PROPOSTE CONCLUSIVE A conclusione di questi “appunti” si pone la domanda: quali potrebbero essere“i fatti significativi” che i Salesiani, impegnati nella missione educativa e pastoralein Italia, dovrebbero tener presenti per superare la crisi in cui versano attualmentealcune Associazioni promosse dall’Ente CNOS e soprattutto per confermare l’iden-tità culturale e istituzionale dell’Ente medesimo?Le possibili risposte alla domanda posta sembrano derivare direttamente daruoli e scelte da assumere almeno in tre direzioni. 7.1. A livello di CongregazioneRipercorrendo a ritroso il percorso delineato negli “appunti” è facile rilevareche la cultura associativa e le scelte istituzionali civilistiche fatte dai Salesiani inItalia rappresentano, al di là dei condizionamenti storici e sociali, una specificitàdella missione salesiana in Italia, confermata anche dall’intervento autorevole delRettor Maggiore don Egidio Viganò.Si tratta, come dimostrato dai fatti, di individuare e assicurare associativa-mente una necessaria mediazione culturale e istituzionale che specifica l’identitàpastorale ed educativa con cui i salesiani operano in Italia, che corrisponde allascelta preferenziale per i giovani a rischio di emarginazione culturale, professionalee sociale.La cultura e la collocazione istituzionale delle Associazioni promosse dal-l’Ente CNOS non si riducono a ruoli meramente strumentali, ma permettono unapresenza a difesa della pluralità dell’offerta educativa e formativa nelle varie di-mensioni del progetto educativo e pastorale delle Comunità salesiane in Italia.Con tale specificità si possono arricchire anche i confronti con le esperienzeeducative e pastorali che i salesiani sperimentano nei diversi paesi del mondo e 24 prima ancora si entra in collaborazione con altre realtà ecclesiali e laiche che si im-pegnano nel sociale in Italia. Il ruolo del CNOS, assunto e riconosciuto in questianni, ha permesso di catalizzare forze varie, a difesa di alcuni principi della demo-crazia e della dottrina sociale della Chiesa.Determinante è la dimensione esplicitamente culturale che richiede capacità di“calare i valori salesiani” nel contesto culturale, civile, canonico e congregazionale:un’opera di mediazione indispensabile, se si vuole che le Associazioni e Federa-zioni promosse dall’Ente CNOS siano effettivamente salesiane nel civile, non auto-referenziali, per non correre il rischio di essere meramente copertura organizzativae funzionale. 7.2. A livello del carisma salesianoSi sente dire che oggi i tempi sono cambiati, il passato è culturalmente e ope-rativamente improponibile per mantenere in vita la collocazione istituzionale e lefunzioni specifiche dell’Ente CNOS, promotore di Associazioni e Federazioni a li-vello nazionale.Con tali affermazioni, si dimentica la tradizione salesiana. La “cultura del ci-vile”, come rilevato anche da questi “appunti”, si colloca al di dentro del carisma.Don Bosco non si è posto parallelamente o in opposizione alle Istituzioni civili delsuo tempo, ma si è inserito in esse, dialogando, assumendo ciò che c’era di buono,mai disprezzando anche suggerimenti e aiuti economici (vedi il rapporto con Mini-stri anticlericali, vedi il chiedere anche aiuti economici), spingendo i primi sale-siani a fare altrettanto (vedi l’invio dei Salesiani all’Università e i suggerimenti datiai direttori nel rapporto con le Autorità).Ha preferito quella che noi chiamiamo oggi “animazione”, cioè cambiare daldi dentro istituzioni e norme (vedi il rapporto col mondo del lavoro e l’inserimentoattraverso la stampa nella problematica, anche scolastica, del suo tempo).La presenza dei Salesiani oggi “nell’ambito civilistico” permette di essere làdove si decidono le sorti dei giovani, di partecipare all’elaborazione di leggi enorme, soprattutto a difesa dei più deboli, di testimoniare una presenza di Chiesa nelsociale, a difesa del principio della sussidiarietà (così frequentemente richiamato dalMagistero), di spingere i cattolici ad entrare in dialogo con il mondo di oggi.Disattendere ruoli e scelte istituzionali in tale ambito o snobbarle non significauna perdita per la Congregazione e la Chiesa in Italia? 7.3. A livello di una presenza istituzionale originaleLe Associazioni e Federazioni promosse dal CNOS hanno raggiunto un altogrado di partecipazione e condivisione quando la Casa salesiana S. Lorenzo “CentroNazionale Opere Salesiane – CNOS” si è dotata di un proprio Statuto, definito eapprovato con il coinvolgimento ai vari livelli dei competenti Organi della Con-gregazione Salesiana, nonché della più alta Carica dello Stato italiano. 25 In un periodo di crisi, che sta vivendo in particolare l’Associazione PGS a li-vello nazionale, non sembra opportuno avviare sperimentazioni che toccano aspettiistituzionali dell’assetto statutario dell’Ente CNOS, tanto più quando si riscontranoforti e motivate perplessità riguardo ad eventuali vantaggi di identità salesiana chederiverebbero da tali sperimentazioni.Ovviamente tutto si può cambiare, ma deve essere chiaro che ciò va verificato,condiviso e approvato – se ancora è possibile − con le analoghe modalità e proce-dure adottate per l’elaborazione e approvazione dello STATUTO CNOS.Perciò, il ricorso ad esperti esterni alla Congregazione deve prevedere adeguaticonfronti con le professionalità e le competenze di Confratelli salesiani, ai quali vaassicurata l’opportunità di fruire di percorsi specifici di formazione, da inserire ob-bligatoriamente nei curriculi della Formazione Salesiana Iniziale, per promuovereun “patrimonio di famiglia” ed una specificità di interventi, che hanno dato i lorofrutti.Sembra importante, quindi, che anche la Comunità − Ente CNOS sia posta ingrado di seguire, soprattutto a livello nazionale, quelle iniziative legislative cheriguardano le aree in cui sono presenti le Associazioni promosse. Se così non fosse,non è esagerato dire che qualcosa verrebbe a mancare soprattutto nel presidio sco-lastico-formativo e nell’ambito delle attività del tempo libero del nostro sistemaitaliano, affidato spesso a forze tutt’altro che sensibili ai valori cui si ispira la pro-posta salesiana. 27 La Federazione CNOS-FAP in Italia:origini e sviluppo Guglielmo MALIZIA Nei giorni 3 e 4 aprile 2003 la Federazione CNOS-FAP a Romaha celebrato, con un convegno nazionale dal titolo “Un rinno-vato impegno del CNOS-FAP nella Formazione Professionale inItalia”, i suoi 25 anni di vita.Il prof. Guglielmo Malizia è stato invitato a scriverne la storia:“25 anni di storia e di esperienze della Federazione NazionaleCNOS-FAP in Italia”.Il testo che viene proposto è il contributo del prof. GuglielmoMalizia aggiornato dalla Sede Nazionale con riflessioni edeventi legati ai tempi successivi al 2002. La Formazione Professionale qualifica in modo originale la scuola dei Sale-siani fino ad assurgere a criterio di riconoscimento di essi e delle loro opere (Vi-ganò, 1978). E la Federazione Nazionale CNOS-FAP è la struttura associativa chein Italia attualizza l’esperienza di don Bosco e dei suoi figli in quest’area.Nostro compito è di presentarne sinteticamente i primi 25 anni di storia. Il pe-riodo di tempo da illustrare è relativamente breve, ma l’intreccio degli avvenimentirisulta molto complesso. Abbiamo cercato pertanto di concentrare l’attenzione sutre fasi: il primo decennio di attività tra la fine degli anni ’70 e della prima decade’80, la realizzazione del Centro di Formazione Professionale (CFP) polifunzionalenella prima metà del ’90 e la costruzione di un sistema maturo di Formazione Pro-fessionale (FP) nella seconda parte del ’90 fino ai nostri giorni. Inoltre, abbiamo in-quadrato l’evoluzione della Federazione all’interno delle dinamiche sociali che lehanno fatto da sfondo durante gli ultimi 30 anni.In questa breve introduzione non poteva mancare un richiamo alla riflessione eall’esperienza salesiana in campo professionale. Ci serviamo delle parole di uno deinostri maggiori esperti in materia, José Manuel Prellezo: “Nel lungo e laboriosocammino percorso dai laboratori di Valdocco alle scuole tecnico-professionali sale-siane sono riscontrabili tappe differenziate nelle quali, pur con qualche ombra o in-certezza, emerge sempre più chiaramente l’impegno per i giovani operai comeaspetto essenziale della missione dei figli di don Bosco. [...] I laboratori e le scuoleprofessionali hanno consentito ai Salesiani di attuare in modo privilegiato la loromissione giovanile e popolare, attirando le simpatie anche degli ambienti laici.Specialmente in momenti di depressione economica e di scarsa attenzione pubblicaall’istruzione professionale, i laboratori e le scuole tecnico-professionali salesianehanno offerto a numerosi ragazzi/e dei ceti meno agiati un mezzo di promozionesociale. In sintonia con lo spirito delle origini, i documenti più recenti e autorevoli 28 ribadiscono con forza la proposta di mettere i ‘centri d’insegnamento professionalein funzione dei più bisognosi’.Nella lunga strada – 150 anni ca. – dell’impegno a favore del mondo giovanileper il mondo del lavoro non sono mancati momenti di arresto, situazioni di incer-tezza, scarsità di personale qualificato, offerte meno adeguate alle urgenze nuovedel sistema produttivo in trasformazione. Ma neppure sono mancate, d’altro canto,spinte al superamento di tale stato di cose. Dagli studiosi e dagli stessi vertici dellaSocietà Salesiana è stato caldeggiato l’invito a sviluppare la creatività e lo spirito diinventiva e a puntare sulle professioni ‘più favorite sul mercato del lavoro’. Tale in-vito è stato sintetizzato felicemente, all’inizio del nostro secolo, con l’espressione:‘coi tempi e con don Bosco’” (Prellezo, 1997, 50-51).In sintesi, si può affermare che l’originalità dell’apporto della CongregazioneSalesiana e del suo Fondatore in questo campo consiste:– nella intenzionalità educativa che punta allo sviluppo integrale della persona-lità del giovane apprendista,– nelle concezione promozionale che mira alla sua professionalità,– nella maturazione etica e socio-politica in vista della formazione dell’“onestocittadino” (Viganò, 1988). 1. LA NASCITA DEL CNOS-FAP E IL PRIMO DECENNIO DI ATTIVITÀ È il momento dell’inizio formale e del periodo di consolidamento della Fede-razione. Abbiamo collocato ambedue gli eventi nel trapasso socio-culturale ed eco-nomico che si è verificato fra gli anni ’70 e ’80. 1.1. Tra due culture dello sviluppo formativoUn segno della profonda trasformazione che si è compiuta tra le due decadi,’70 e ’80, è offerto dal ricorso alla categoria della complessità che a partire daglianni ’80 è divenuto sempre più frequente da parte dei sociologi per qualificareglobalmente la situazione dei sistemi dei paesi occidentali (Malizia - Frisanco,1991). Essa sta ad indicare la numerosità e la varietà delle componenti sociali, laforza del dinamismo che le muove e le rinnova, le incongruenze non superabiliche caratterizzano le loro relazioni. Sul piano macrostrutturale il referente è datodalla presenza talmente abbondante e diversificata di rapporti che rende impossi-bile, o quasi, tracciare il quadro unitario di una società, mentre sul micro si sotto-linea la distanza che separa le capacità di conoscenza, di scelta e di controllo delsingolo da quelle del sistema. I principi d’azione si qualificano per la loro naturasettoriale in quanto sono finalizzati al conseguimento degli obiettivi temporanei especifici dei singoli sottosistemi. Riguardo a questa raffigurazione della società al-cuni tendono a evidenziare la moltiplicazione delle possibilità e delle opportunitàe l’ampliamento dell’organizzazione, mentre altri sottolineano la graduale ingo- 29 vernabilità dei sistemi, l’assenza di un centro organizzatore e l’aumento della en-tropia sociale.La progressiva terziarizzazione del mondo economico e soprattutto l’intreccioterziario delle culture, che stavano portando l’Italia verso una fase di sviluppo post-industriale, implicavano una trasformazione culturale e sociale di vaste propor-zioni, in quanto significavano una razionalizzazione dei comportamenti, una ri-strutturazione dei processi decisionali, un allargamento delle capacità conoscitive.Il trend in questione poneva tra l’altro l’esigenza di un’alfabetizzazione informaticadei giovani e delle generazioni adulte e di un apprendimento attraverso le nuovetecnologie, ed era destinato a far lievitare le nuove offerte formative a fianco e inconcorrenza alla scuola. Inoltre, dopo il raggiungimento del traguardo di una soddi-sfazione diffusa dei bisogni primari, il paese viaggiava verso la qualità sofisticata enon era pensabile che le istituzioni formative potessero continuare a limitare la loroattenzione alle sole problematiche di ordine quantitativo, pena la progressiva emar-ginazione dalle dinamiche sociali.Nonostante i segni di crescita e di sviluppo enumerati sopra, non sono mancateproblematiche gravi rappresentate in particolare dai seguenti fenomeni: il manteni-mento di forme tradizionali di povertà, anche quantitativamente appariscenti, e l’e-mergerne di nuove; il permanere di tassi elevati di disoccupazione, soprattutto gio-vanile; l’affermarsi di una competitività sfrenata e di un individualismo esasperato;una società polarizzata tra una forza lavoro ristretta, impegnata in attività di spessoreculturale particolarmente gratificanti, e una porzione quantitativamente molto consi-stente di persone che svolgono mansioni ripetitive di scarso contenuto culturale.Nel 1983 il Rapporto Censis sulla situazione sociale del paese faceva notareche il sistema scolastico e di FP si trovava in una situazione di transizione fra dueculture dello sviluppo formativo. Negli anni ’50-’70 era prevalso “una sorta dimodello lineare e semplice di sviluppo [...], basato su presupposti di quantità, uni-cità, centralizzazione” (Censis, 1983, 164; Malizia, 1988). Durante il periodo ac-cennato si è assistito a un’esplosione quantitativa della domanda di scolarizza-zione, si è passati da una scuola elitaria a una di massa, lo Stato si è sforzato diadeguare il sistema formativo alla domanda sociale, dando priorità alle fasce gio-vanili, senza però riuscire a soddisfare pienamente e in modo tempestivo le esi-genze emergenti. Educazione e scuola risultavano identificate secondo la logica diuna società semplice mentre il servizio statale e l’impegno finanziario del Mini-stero della Pubblica Istruzione occupavano un ruolo centrale rispetto alla forma-zione organizzata da altri enti pubblici e dai privati. L’offerta formativa si qualifi-cava inoltre per l’uniformità in risposta ad esigenze comuni e per il prevalere diuna situazione di stabilità.Le nuove tendenze che stavano emergendo sembrano puntare verso “unaspecie di modello (o meglio di spunti per un modello) complesso [...] basato su pre-supposti di qualità, di differenziazione e personalizzazione dei servizi, di moltepli-cità di risorse formative, di decentramento” (Censis, 1983, 164). Mentre l’offerta 30 pubblica continua a restare agganciata ai bisogni tradizionali, la domanda socialepur non rinunciando al minimo garantito dallo Stato si orientava decisamente versola qualità e l’individualizzazione dei percorsi formativi. L’eguaglianza non venivapiù ricercata nell’uniformità, ma nel rispetto delle esigenze personali; si affermavala prospettiva della mobilità, della transizione, del passaggio. Emergeva l’alter-nanza studio-lavoro soprattutto nella fase di primo inserimento professionale in cuisi venivano a intrecciare attività lavorative e di formazione, mentre l’utenza poten-ziale si estendeva agli adulti. Diminuiva il monopolio della scuola sull’educazione,si allargava l’offerta formativa al di là dell’istruzione formale e crescevano i sog-getti che offrivano formazione oltre lo Stato. Si sentiva la necessità di superare lacontrapposizione fra centralizzazione e decentramento in un’ipotesi di governo del-l’istruzione che prevedeva un coordinamento e un controllo centrali accanto a unforte potere locale d’iniziativa.La formazione non poteva più essere identificata con l’azione dello Stato, maandava considerata come un sistema allargato e diversificato che abbracciava, oltreall’intervento statale, tutto un complesso di risorse e di agenzie che agivano nel-l’area dell’educazione. Il “sistema formativo allargato” verrebbe ad includere: unapluralità di soggetti che intervengono nel settore della formazione (lo Stato, le Re-gioni, gli Enti locali, altri enti e privati) tra i quali realizzare ipotesi di coordina-mento, integrazione o almeno interdipendenza; iter formativi differenziati in ri-sposta alle esigenze di personalizzazione dei percorsi; obiettivi diversificati di ap-prendimento che dovrebbero essere determinati esplicitamente, valutati con mezziidonei e certificati con modalità nuove; collegamenti diversificati con gli altri si-stemi confinanti con il formativo (famiglia, lavoro e tempo libero). In tale prospet-tiva il compito del potere pubblico non veniva annullato, ma trasformato in unruolo di stimolo, valutazione e supporto.Quanto in particolare alla FP, con l’approvazione nel 1978 della legge quadron. 845/78 si concludeva una lunga evoluzione che, iniziata negli anni ’50, avevagradualmente innalzato la finalità educativa globale del settore dalla prevalenzadell’addestramento alla trasmissione di una cultura professionale (Ghergo, 2009). Ilsistema di FP delineato dalla normativa appena richiamata “appare organico e strut-turato. Esso fa riferimento ad una rete di CFP, dotati di una notevole libertà di ini-ziativa nel territorio di riferimento, in stretta relazione con le imprese. Il sistema diFP è inteso in senso alternativo alla scuola, (per questo motivo è stato denominatoin modo forse un po’ spregiativo ‘scuola di serie B’), volto ad offrire alla gran partedegli adolescenti e dei giovani – quelli che non proseguivano gli studi dopo la terzamedia – un’opportunità di ‘elevazione culturale’ e di qualificazione professionale,in modo da posticipare l’ingresso nel mondo del lavoro e da garantire loro una mi-gliore dotazione umana e professionale. Dal punto di vista strategico tale imposta-zione conduce alla delineazione di un sistema regolato come il sistema d’istruzionema parallelo ad esso, con tipologie formative e ordinamenti didattici definiti, mache in un secondo tempo sono divenuti in certa parte sostanzialmente rigidi e itera- 31 tivi, tanto da dare vita ad una componente di CFP a carattere para-scolastico” (Gan-dini - Nicoli, 1999, 270-271; Ghergo, 2009).La FP di base, destinata cioè ai giovani con o senza licenza media e con bassaqualifica, aveva registrato negli anni successivi una crescita costante che però si erainterrotta nel 1985-86 quando si era verificato un calo significativo degli iscritti; alcontrario risultava in aumento la domanda di corsi professionalizzanti da parte deidiplomati, degli adulti, della forza lavoro in riconversione, del grande pubblico(Malizia - Chistolini - Pieroni, 1990). Comunque, dopo la crisi quantitativa dallametà degli anni ’80 alla fine della decade (1988-89) si osserva un aumento nel datoglobale che però premia i corsi di 2° livello e quelli di formazione sul lavoro,mentre quelli di 1° livello presentano una ripresa che, tuttavia, non li riporta sui va-lori degli inizi del decennio.Al di là delle problematiche di ordine quantitativo il sottosistema pubblico –Stato, Regioni ed Enti convenzionati – denotava difficoltà di slancio. Le causeerano varie: le carenze del quadro legislativo, quali lo stallo della riforma della se-condaria superiore che manteneva in una condizione di grave incertezza le sortidella FP di base; il prestigio non molto elevato di cui godeva la FP regionale, comedi una scuola di serie B; l’inadeguatezza a rispondere ai bisogni del mercato di la-voro, per cui non infrequentemente la decisione sui corsi era condizionata dall’of-ferta più che dalla domanda; una burocratizzazione pervasiva che si manifestava tral’altro nella trasformazione tendenziale delle convenzioni da atto contrattuale adatto autoritativo, nella standardizzazione soffocante di interventi e costi, nell’ecces-sivo garantismo e nella scarsa flessibilità della politica del personale; la conoscenzainsufficiente dei dati della spesa e la mancanza di meccanismi reali di controllo deirisultati reali (Relazione del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, 1987).Indubbiamente a monte incidevano le connotazioni del nuovo ciclo economicoaccennato sopra quali la progressiva terziarizzazione dei processi produttivi, lo svi-luppo impressionante della scienza e della tecnologia, l’internazionalizzazione delmercato. In altre parole, la FP stava attraversando una fase di trasformazione carat-terizzata dal passaggio da una mono-utenza tradizionale a una pluriutenza di porta-tori di esigenze nuove e diversificate, dall’ampliamento della gamma dei servizi,dalla crescita e dalla differenziazione delle offerte extrascolastiche, dall’introdu-zione di nuove tecniche di autoformazione e di formazione personalizzata. 1.2. La nascita della Federazione Nazionale CNOS-FAP (fine anni ’70) e il suoconsolidamento (anni ’80)Entro questo quadro di una società in profondo cambiamento, in data 9 di-cembre 1977 veniva creata presso notaio la Federazione Nazionale CNOS-FAP(Centro Nazionale Opere Salesiane - Formazione e Aggiornamento Professionale).Contestualmente si approvava lo Statuto e si stabilivano le cariche sociali.La Federazione era promossa dall’Ente CNOS. Questo è “un Ente con perso-nalità giuridica civilmente riconosciuta con D.P.R. 20/9/1967 n. 1016, modificato 32 con D.P.R. 2/5/1969” (Statuto CNOS=STC, a.1) (CNOS, 1977). Il CNOS “fa partea tutti gli effetti della Congregazione Salesiana” che lo ha costituito per assicurareai Salesiani la titolarità giuridica ad inserirsi nell’assetto civilistico della società e asvolgere attività culturali, formative, educative, ricreative, assistenziali, artistiche esociali, anche con finanziamenti pubblici (STC, a.2). Per conseguire le proprie fi-nalità istituzionali, il CNOS ha promosso la costituzione di Associazioni o di Fede-razioni settoriali a raggio nazionale, interregionale e regionale in diversi ambiti del-l’attività salesiana in Italia, nelle quali esercita un’azione di guida e di controllo inordine alla ispirazione salesiana, coinvolgendo le istituzioni della Congregazioneche svolgono attività omogenee (STC, a 2 e 4).Una delle Federazioni settoriali che il CNOS ha costituito per realizzare i suoiscopi istituzionali è la “Federazione Nazionale Centro Nazionale Opere Salesiane-Formazione e Aggiornamento Professionale” (CNOS-FAP) (Statuto del CNOS-FAP=StF, a.1) (CNOS-FAP, 1981). Essa persegue i seguenti scopi: “a. coordinare le attività di formazione professionale svolte dagli Enti Associati, promuo-vendo eventuali associazioni;b. promuovere iniziative di studio, ricerca e sperimentazione in rapporto ai problemi ine-renti all’orientamento e alla formazione professionale [...];c. curare la formazione e l’aggiornamento del personale docente nei Centri di Forma-zione Professionale;d. collaborare [...] a iniziative tendenti alla formazione, qualificazione e riconversionedei lavoratori ad ogni livello;e. promuovere iniziative per l’orientamento professionale e scolastico [...];f. aderire alle organizzazioni regionali, nazionali e ultranazionali che perseguano lestesse finalità [...]” (StF, a. 2). Anche la Federazione CNOS-FAP, al di là delle attività atte a conseguire ipropri fini istituzionali, opera in prevalenza per la promozione e il coordinamentodelle Sedi periferiche e lo fa principalmente attraverso le rispettive Delegazioni Re-gionali che assicurano alle suddette Sedi identità associativa e servizi culturali e ge-stionali nel rispetto delle loro autonomie e responsabilità dirette (StF, a.2 e 6).I soci sono di tre tipi: i soci fondatori di cui all’atto costitutivo; le istituzionisalesiane, le Associazioni promosse dalle stesse o dalla Federazione NazionaleCNOS-FAP che svolgono attività di FP; membri qualificati della società salesiana(StF, a.3).Organi sociali sono: l’Assemblea Generale che è l’organo supremo della Fede-razione; il Consiglio Direttivo Nazionale che è l’organo esecutivo delle delibera-zioni e degli indirizzi determinati dall’Assemblea Nazionale; la Giunta e la SedeNazionale che attraverso i propri Uffici e i relativi responsabili assicura piani an-nuali di attività, ricerca e sperimentazione a tutti i livelli; le Delegazioni Regionali;i Settori Professionali; il Collegio dei Revisori dei Conti.All’interno, poi, della Conferenza degli Ispettori Salesiani di Italia e MedioOriente (CISI) è contemplata la presenza di un Superiore Provinciale (Ispettore) il 33 quale assicura il coordinamento e la coerenza con le iniziative nazionali della Con-gregazione Salesiana nel campo della FP e della scuola, garantendo la fedeltà dellaFederazione al sistema educativo, alle metodologie e allo stile di S. Giovanni Bosco.Nell’assetto istituzionale della Federazione è previsto un ruolo significativoper le Delegazioni Regionali a cui presiede il Delegato Regionale, chiamato a svol-gere funzioni di rappresentanza della Federazione di fronte alle AmministrazioniRegionali e Locali (StF, a.15).A livello locale sono attive le Associazioni e/o Federazioni Locali che la Fede-razione promuove attraverso le Delegazioni. I loro compiti si riferiscono prevalen-temente alla gestione del personale e delle risorse umane e strumentali dei rispettiviCFP.Alla costituzione del CNOS-FAP hanno portato anzitutto le stesse ragioni chesono alla base della creazione dell’Ente CNOS e delle Associazioni da questo pro-mosse. In particolare, hanno giocato una incidenza significativa su questa deci-sione: l’esigenza di legittimazione della presenza e dell’azione educativo-pastoraledei Salesiani; il bisogno di garantirsi spazi di libertà in un momento di montantestatalismo; la ricerca del dialogo e del confronto con le istituzioni pubbliche, conaltri enti e con le associazioni in vista di un servizio culturale ed educativo semprepiù efficace alla gioventù; il reperimento di finanziamenti pubblici per poter eserci-tare l’opzione preferenziale per i più poveri (Rizzini, 1988).Passando più nello specifico della Federazione CNOS-FAP, si possono richia-mare alcune motivazioni particolari:– la dipendenza da una associazione civile era necessaria al personale salesianoper operare nella FP ed essere retribuito con finanziamenti pubblici, non po-tendo tale personale essere alle dipendenza del medesimo Ente ecclesiastico diappartenenza;– inoltre, tali finanziamenti in base alla legge quadro erano erogati medianteconvenzioni a strutture di enti che risultassero emanazione di organizzazionispecifiche o di associazioni con finalità educative sociali;– sul piano strettamente congregazionale, si consentiva di aggregare le strutturee le iniziative locali mediante un coordinamento di livello nazionale o almenoregionale, uscendo dal settorialismo delle province religiose, o ispettorie nellinguaggio salesiano; va sottolineato che la medesima esigenza di aggrega-zione emergeva anche nella società civile (Viganò, 1978).Nel mondo delle politiche della formazione e del lavoro il dialogo culturale perportare avanti le nostre proposte non poteva svolgersi solo nell’ambito del singoloCFP ma richiedeva di elevarsi a livelli più alti per essere introdotto nei punti chiavedove si gioca il futuro in particolare dei giovani. Solo una Federazione che costi-tuisse un corpo organico, sostenuto nella sua azione anche da studi di natura scienti-fica quali quelli condotti dall’Università Salesiana, poteva effettuare in modo vin-cente il confronto con i vertici del potere decisionale o con i centri di ricerca cheplasmano l’opinione pubblica di un paese. Condizione di un confronto alla pari era 34 anche la disponibilità di un personale qualificato: pure da questo punto di vista la di-mensione nazionale del CNOS-FAP offriva una grande opportunità positiva. La na-tura civilistica dell’Associazione poteva facilitare il passaggio da un CFP gestito dasoli religiosi come padroni a una comunità educativa che ricerca il massimo di par-tecipazione da tutti coloro che intervengono in questo progetto di crescita umana.La formula si è dimostrata subito positiva. In cinque anni (1977-78/1981-82)gli allievi crescono del 5% quasi, passando da 8.937 a 9.365, i formatori dell’8% da714 a 777 e i Centri di 4 unità da 36 a 40 (cfr. Tav. 1). Ma il balzo in avanti è so-prattutto qualitativo: i CFP si inseriscono dinamicamente nel contesto sociale, met-tendo a disposizione della comunità locale civile ed ecclesiale il loro patrimonioculturale, educativo e pastorale, corresponsabilizzando i laici e concorrendo me-diante lo strumento dell’associazione del privato-sociale alla elaborazione delle po-litiche formative a livello locale e nazionale.A ciò ha concorso il rapido consolidamento del CNOS-FAP che si è compiutonegli anni ’80 (Rizzini, 1988). Nel 1980 all’assetto previsto dallo Statuto si aggiun-geva quello normativo dei Regolamenti della Sede Nazionale e delle DelegazioniRegionali che dotava la Federazione di articolazioni efficaci sul piano territoriale.Nel 1982 venivano istituiti i Settori Professionali (meccanico, elettromeccanico,elettronico, grafico e le commissioni culturale e matematico-scientifica), mentre ilrelativo Regolamento diveniva definitivo nel 1987: con questa nuova struttura ve-niva potenziata la dimensione associativa del CNOS-FAP nel senso che ogni for-matore in quanto membro di un settore professionale specifico o di una commis-sione contribuisce a definire le linee generali della programmazione formativa e atradurle in pratica. Nel 1984 la rivista “Rassegna CNOS” iniziava le pubblicazioni;l’intento era di offrire ai formatori e agli operatori della FP, ai centri di studi impe-gnati in questo ambito, agli amministratori e ai politici un “periodico saggio deglistudi e delle ricerche degli esperti e l’esperienza degli operatori dei suoi 41 Centri,impegnati oggi particolarmente nella innovazione e sperimentazione della didatticae delle tecnologie formative” (Editoriale, 1984; cfr. anche Editoriale, 1993). Inquesto modo, si pensava di poter dare un contributo determinante a realizzare unodei compiti, appena ricordato, che il Rettore Maggiore dei Salesiani, don Egidio Vi-ganò, aveva assegnato fin dall’inizio alla Federazione, quello cioè di realizzare unconfronto rigoroso con il mondo culturale e politico a livello nazionale ed europeosui problemi delle politiche del lavoro e della formazione (1978). Da ultimo, nel1989 veniva elaborata la Proposta Formativa CNOS-FAP che articolava l’attivitàdella Federazione intorno a quattro strategie fondamentali: la costruzione della co-munità formativa come soggetto e ambiente di formazione; la qualificazione educa-tiva e professionalizzante del CFP; la tensione verso una professionalità fondata suuna valida e significativa cultura del lavoro ed un progetto di vita; l’offerta del ser-vizio di orientamento professionale.Pertanto, si può senz’altro condividere il giudizio che il presidente del CNOSdi allora, don Felice Rizzini, ha dato sul primo decennio del CNOS-FAP: “La con- 35 sistenza della Federazione CNOS/FAP, le salde tradizioni maturate in centoquaran-t’anni di storia e l’assistenza prestata dagli organismi federativi, specie quelli cen-trali e regionali [...] l’hanno resa partecipe di un forte dialogo con il Ministero e leRegioni, con gli Enti di FP, specie con quelli di ispirazione cristiana attraverso laCONFAP, e con gli altri organismi e l’hanno resa capace di esprimere una propriacultura professionale e di fare scelte adeguate, conservando un certo prestigio edautorevolezza per l’esperienza acquisita, per le ricerche di studio portate avanti conla collaborazione del laboratorio CNOS istituito presso la Facoltà di Scienze del-l’Educazione dell’U.P.S., per le pubblicazioni (sussidi e rivista specializzata) e perle iniziative assunte di sperimentazione, specie sotto il profilo didattico ed a favoredi giovani in difficoltà e a rischio” (Rizzini, 1988, 174; cfr. anche Editoriale,1994b). In questo periodo l’attività formativa principale è quella di primo livelloche però viene profondamente rinnovata nei contenuti e nell’organizzazione sullabase anche dei risultati di numerose maxisperimentazioni affidate dalle Regioni edal Ministero a livello di singolo CFP. La scelta dei giovani e delle famiglie con-tinua a orientarsi in maniera consistente verso i Centri CNOS-FAP, anche se nel1986-87 si nota una leggera diminuzione degli iscritti (cfr. Tav. 1) anche a seguitodel blocco delle iniziative regionali, di alcuni esperimenti di pubblicizzazione delpersonale, della limitazione dei finanziamenti e del ricorso generalizzato di alcuneRegioni a forme generalizzate di aggiornamento che causarono la sospensione delleattività corsuali. Efficace è l’attività di orientamento che i Centri di OrientamentoScolastico Professionale e Sociale (COSPES) promossi dagli Enti CNOS e CIOFSoffrono alla Federazione, partecipando alla programmazione educativa, accompa-gnando gli allievi ed assistendo i formatori e i genitori. Una conferma della consi-stenza qualitativa e quantitativa delle attività formative poste in essere si può desu-mere anche dal riconoscimento della Federazione come ente nazionale di primo li-vello per poter fruire dei contributi finanziari previsti dalla legge n. 40/87.Da ultimo non si può non sottolineare un aspetto che, però, non è specifico diquesto periodo, ma che costituisce una costante dei 30 anni di attività del CNOS-FAP. Si tratta dell’impegno “a fare della formazione professionale un vero e pro-prio sistema” (Rizzini, 1988, 176) a cui riconoscere parità e autonomia nei con-fronti del sistema scuola. 2. LA FEDERAZIONE CNOS-FAP DURANTE GLI ANNI ’90 Agli inizi della prima decade ’90 l’Italia ha attraversato una fase di attesa e distanca in cui sembrava che alla fiducia nello sviluppo ulteriore si fosse sostituito ildemone della de-costruzione (Censis, 1991). In ogni caso le ombre, anche moltofosche, che gravavano sul nostro cielo, non esaurivano il quadro globale che eramolto più vario e complicato: accanto alle crisi e alle sfasature che si erano imposteall’attenzione generale, non andavano dimenticate le lunghe derive positive, né gli 36 spazi e i varchi che si stavano aprendo per rinnovare e adeguare il nostro paese.Tuttavia, nel prosieguo l’attenzione verrà concentrata sugli aspetti negativi perchéconsentiranno di capire meglio le problematiche della FP e le risposte della Federa-zione CNOS-FAP. 2.1. Una società inquieta in fase di attesaNei primi anni ’90 il processo di sviluppo a lungo termine del nostro paese sitrovava in un periodo di stasi e di blocco. Il sovraccarico dei soggetti, dei processie dei comportamenti aveva portato a una ridondanza non regolata che creava piùrigonfiamento che strategia. Al tempo stesso sembrava essere entrata in crisi la ten-sione ad innovare e a fare qualità: fantasia e creatività, che avevano accompagnatoe, soprattutto, preceduto lo sviluppo degli ultimi decenni, apparivano decisamentein ribasso, mentre la scena denotava una crescente presenza di ordinarietà, ripeti-tività e routine. Un altro trend negativo poteva essere visto nella tendenziale dere-sponsabilizzazione dei diversi centri di decisione a cominciare dalla famiglia sem-pre più propensa al consumo che all’investimento o al risparmio.Una grave sfasatura era riscontrabile anche a livello di intervento pubblico chesi caratterizzava da una parte per l’aumento incontrollabile del suo costo e dal-l’altra per la caduta in verticale della sua incidenza e utilità e per la situazione diframmentazione e di crisi in cui versava il sistema di rappresentanza. Ma il pericolopiù serio era costituito senz’altro dal fatto che la forza del credere si era molto ri-dotta sia nei riguardi della politica sia entro la società civile, mentre si affermava ilfenomeno, a cui si è già accennato sopra, della de-costruzione: sembrava che si vo-lesse abbattere tutto dall’assetto costituzionale, ai partiti di massa, ai sindacati, agliordinamenti regionali per, poi, ripartire di nuovo da zero.Passando infine agli aspetti socio-economici della situazione del paese nellaprima decade ’90, ci si limiterà a sottolineare i mutamenti profondi in atto nel mer-cato del lavoro per poterli mettere a confronto con la FP. Da una parte si riscon-trava un calo delle occupazioni industriali e dei mestieri tradizionali, mentre dal-l’altra emergevano nuove professioni e quasi-professioni nell’industria e nel ter-ziario: queste ultime rinviavano a paradigmi di lavoro molto diversi dai profili a cuitradizionalmente aveva preparato la FP (Butera, 1989). Il mercato del lavoro assu-meva un carattere sempre più frammentato, mentre la FP si era attrezzata ad offrireformazione solo ad alcuni di questi segmenti, per cui non riusciva a soddisfare ladomanda globale. Si registrava inoltre una notevole polarizzazione fra settori forti edeboli della forza lavoro e l’insorgere di una nuova stratificazione sociale; anche inquesto caso storicamente la FP si era occupata quasi esclusivamente delle fascemarginali. Altri cambi nel sistema sociale ponevano problemi non semplici alla FP:l’importanza determinante della qualità della persona umana nelle aziende; l’au-mento della rilevanza dell’atmosfera di un’organizzazione e della sua cultura; unarelazione più adulta fra singolo e organizzazione; una domanda diffusa di riconver-sione delle proprie competenze lavorative; l’esigenza di abilità sempre più com- 37 plesse; la maggiore mobilità; la richiesta di interventi in tempo reale. In ogni casonon si trattava più di formare persone che dovevano svolgere dei paradigmi di la-voro già definiti, ma di preparare operatori che portavano valori e capacità di inno-vazione, di creatività, di impegno, di qualità e di eccellenza.Va riconosciuto che la FP aveva conseguito notevoli traguardi negli ultimi 20anni: una definizione più adeguata, una corrispondenza più stretta con il sistemaproduttivo, un’accettazione crescente della sua rilevanza strategica e un riconosci-mento più ampio della sua autonomia (Conferenza Nazionale sulla FormazioneProfessionale, 1992; Ruberto, 1992; Ghergo, 2009). Tuttavia, il mondo della FP,pur essendosi reso conto sufficientemente dell’evoluzione in atto nella realtà for-mativa, stentava a tradurla nel proprio sistema in strategie efficaci e generalmenteaccettate. Inoltre, sebbene si fossero realizzate sperimentazioni valide, i risultatitardavano a ricadere sulle strutture non solo a causa della rigidità degli ordina-menti, ma anche di operatori contrari all’innovazione. I CFP dimostravano suffi-ciente dinamismo, ma trovavano un freno nella propria origine perché ritenute perlo più strutture di serie B. Le imprese si rivelavano più esigenti quanto all’efficaciacontrollabile degli interventi e più aperte alla collaborazione con le scuole e i CFP,ma limitavano il loro interesse alla stretta funzionalità delle azioni formative con imiglioramenti produttivi e organizzativi, mentre trascuravano la formazione invista dello sviluppo prioritario delle competenze dei lavoratori e della ricerca.È stata anche rimproverata alla FP di quegli anni una considerazione inade-guata del rapporto tra la domanda e l’offerta formativa: infatti, da una parte si regi-strava un eccesso di offerta formativa rispetto alla domanda sociale da cui segui-vano non infrequentemente sovrapposizioni e irrazionalità, mentre dall’altra l’of-ferta formativa si rivelava inadeguata nei confronti della domanda economica siaper la preparazione carente degli operatori pubblici sia per la scarsa disponibilitàdelle imprese ad assumere parte dei costi. Il dibattito sull’offerta tendeva a concen-trarsi sul curricolo, sulle metodologie e sulle esigenze occupazionali dei formatori edegli operatori piuttosto che sulla formazione da acquisire al termine del percorsodi FP; a sua volta la progettazione curricolare si dimostrava insufficiente soprat-tutto nel momento dell’analisi della professionalità presente nell’impresa. In ag-giunta si riscontrava una eccessiva diversificazione tra le Regioni e non mancavanoaree ad alta concentrazione di condizioni problematiche per cui la situazione stavarasentando la polarizzazione. Il sistema di certificazione era assente o assoluta-mente inadeguato perché privo del fondamento solido di criteri oggettivi.Nonostante ciò, il carattere strategico della FP era riconosciuto da una por-zione importante di ricercatori e di operatori che la consideravano una variabile de-terminante della crescita socio-economica. La FP era il sottosistema formativo chenel nostro paese si qualificava per la più grande concretezza in quanto operavanello snodo tra domanda e offerta di lavoro; in particolare essa interveniva nellafase di raccordo fra tre gruppi di sistemi: produttivo e scolastico; lavorativo e for-mativo; della stratificazione sociale e della promozione degli strati più deboli della 38 società. Inoltre, presentava un grado notevole di flessibilità e di apertura verso ilcontesto esterno, anche se non nella misura voluta. In sostanza le strutture della FPerano chiamate a costituire il perno del sistema regionale della transizione-reinseri-mento, in altre parole del passaggio dalla scuola alla vita attiva e della riqualifica-zione dei lavoratori. Cinque erano le aree di cui essa di fatto si occupava: la FP di1° e di 2° livello, la formazione sul lavoro, i corsi speciali, i corsi di altro tipo(Isfol, 1990). Un ruolo così impegnativo esigeva cambiamenti notevoli nelle strut-ture di FP: emergevano nuovi compiti di integrazione e coordinamento, si richie-deva flessibilità di organizzazione, strutture e curricoli, bisognava rendere i CFPcapaci di gestire l’innovazione.Accanto ai problemi organizzativi, l’altra questione centrale degli inizi delladecade ’90 era costituita dalla situazione degli operatori della FP che vedeva anzi-tutto una giustapposizione e frequente sostituzione o integrazione delle figure diprocesso (progettisti, tutor, coordinatori) alle figure di contenuto (docenti, istrut-tori) (Isfol, 1992). Inoltre, i compiti dei formatori tendevano a combinarsi nelleforme più varie sia nel momento dell’assunzione che dell’organizzazione del la-voro. Si registrava anche una situazione di elevata instabilità nei ruoli per cui questinon sempre corrispondevano alle articolazioni precedenti delle figure, né d’altraparte ne emergevano di nuovi che ottenevano un consenso generale e la loro diffe-renziazione era talora molto forte. La struttura del mondo del lavoro in cui coesiste-vano modalità tradizionali e nuove e una gamma di forme intermedie esigeva daiformatori il possesso non tanto delle abilità di adattamento al cambio quanto la ca-pacità di prevenirlo e di fornire strategie adeguate di risposta.Di qui l’esigenza di disporre di categorie anche contrattuali che affrontasserola tematica dell’innovazione dei profili professionali e del relativo inquadramento. 2.2. Il CNOS-FAP e il CFP polifunzionaleLe linee fondamentali delle politica della Federazione CNOS-FAP agli inizi deglianni ’90 possono essere sintetizzate nei seguenti orientamenti assunti a livello di As-semblee Generali e di Consigli Direttivi Nazionali della Federazione medesima: “a) un serio impegno da parte di tutti i membri della Federazione, secondo ruoli e re-sponsabilità diversi, coinvolgendo allievi e genitori, per approfondire i valori caratteriz-zanti la attività formativa salesiana. [...].b) [...] le iniziative assunte perché l’elevamento dell’istruzione obbligatoria dai quattor-dici ai sedici anni possa essere soddisfatto in una pluralità di canali, compreso quellodella formazione professionale. [...]c) La qualificazione del personale, salesiano e laico impegnando: il singolo CFP a diven-tare fulcro della formazione permanente dello stesso; le Sedi Regionali a progettare unpiano regionale adeguato; e la Sede Nazionale ad organizzare con i Settori Professionali,corsi di qualificazione di aggiornamento, seminari di studio e convegni, ed a riservarenegli incontri, previsti dagli statuti e dai regolamenti, temi formativi. A questo scopovengono ulteriormente valorizzati: la rivista «Rassegna CNOS»; gli studi-ricerche delLaboratorio CNOS; la sperimentazione di nuovi testi e sussidi multimediali [...]. 39 d) il potenziamento degli organismi nazionali, regionali e locali con personale specializ-zato e con attrezzature aggiornate e la valorizzazione delle strutture associative, con-forme allo statuto ed ai vari regolamenti” (Rizzini, 1988, 176-177). A nostro parere e anche in relazione alla presentazione della situazione dellaFP sopra indicata, l’aspetto più innovativo dell’attività del CNOS-FAP nei primianni ’90 va identificata nella elaborazione di un nuovo modello organizzativo delCFP. Come si è osservato sopra, i CFP erano stati raggiunti agli inizi della decade’90 da fenomeni di involuzione burocratica (Isfol, 1995). Infatti, non infrequente-mente si notava una focalizzazione eccessiva sui bisogni degli operatori a scapitodei destinatari; inoltre, non mancavano casi in cui si privilegiava il controllo nor-mativo sulle procedure rispetto alla verifica sostanziale sui risultati. In reazione aquesti segnali degenerativi si andava diffondendo l’esigenza di elaborare un mo-dello alternativo al CFP tradizionale.A tal fine il Laboratorio “Studi e Ricerche” del CNOS-FAP ha realizzato nellaprima metà degli anni ’90 quattro ricerche, tre su finanziamento del Ministero delLavoro (Malizia et al., 1991 e 1993; Malizia et al., 1996) – rispettivamente sul co-ordinatore progettista, su quello di settore/processo e sul direttore e lo staff di dire-zione – e una dello stesso CNOS-FAP sul coordinatore delle attività di orienta-mento (Pellerey - Sarti, 1991). Sulla base dei risultati di tali investigazioni è statopossibile elaborare un modello di organizzazione delle azioni di FP che si qualificaper essere al tempo stesso formativo, comunitario, progettuale, coordinato, aperto,flessibile e qualificato (Malizia et al., 1993). In sostanza si tratta del modello delCFP polifunzionale che, mentre da una parte cerca con la pluralità delle sue offertedi adeguarsi alla complessità della società odierna, dall’altra non rinuncia, anzimira a rafforzare il suo ruolo formativo al servizio di una gamma molto ampia didestinatari. Esso si contrappone alla formula dell’agenzia formativa (Isfol, 1995)che però non sembra trovare il conforto dei dati delle ricerche menzionate sopra.I risultati di tale impegno associativo hanno costituito il quadro di riferimentoentro il quale si è collocato anche un articolo (n. 7) del CCNL della FormazioneProfessionale convenzionata (1994-1997)2.2.1. Un modello formativo e comunitarioGli studi a medio e lungo termine coincidevano in generale su una previsione:l’avvio del terzo millennio sarebbe stato contraddistinto da una vera e propriaesplosione delle conoscenze in tutti i campi (Cresson - Flynn, 1995). Nel nuovomodello di società, ricerca, sapere e formazione diventavano il fondamento del si-stema sociale e non sarebbero stati più soltanto fattori di sviluppo: in altre parole,la formazione, con la ricerca e il sapere, rappresentava il fondamento stesso dellasocietà post-industriale o post-moderna.Anche nella FP la centralità della formazione significa promozione integraledelle persone; in questo caso, tuttavia, tale finalità prioritaria viene raggiunta attra-verso l’acquisizione di un ruolo professionale qualificato e di una specifica cultura 40 che è professionale, umanistica ed integrale. In altre parole tale cultura deve esserefocalizzata sulla condizione produttiva che, a sua volta, va inquadrata in una conce-zione globale dell’uomo e che ottiene la sua piena significatività nella dimensioneetica e religiosa.La formazione è opera comune, presuppone un accordo di base sulle finalità, icontenuti, le metodologie da parte di tutte le componenti della FP, giovani e adulti,animatori e operatori, genitori e collaboratori. La centralità della formazione esigela costruzione di una comunità che sia allo stesso tempo soggetto e ambiente dieducazione. I dati delle ricerche evidenziano la convergenza delle opinioni deglioperatori della FP sulla centralità della formazione (e di una formazione di qualità)e sul modello comunitario (Malizia et al., 1991 e 1993).È chiaro che la centralità della formazione e la costruzione di una comunitàsono esigenze che si impongono in ogni Centro. Esse vanno realizzate in qualsiasitipo di CFP, qualunque sia la sua dimensione o il contenuto della sua offerta. Né lacomplessità delle azioni intraprese dal Centro, né la presenza o la preponderanza dicorsi mirati a un pubblico adulto possono indurre a pensare che il CFP si sia tra-sformato in un’azienda o in un’agenzia. Il CFP rimane un’istituzione formativa e lasua riorganizzazione, pur necessaria ed urgente, resta al servizio della scelta educa-tiva e comunitaria la quale conserva il primato anche nella FP. Ed è questa logicadi fondo che distingue principalmente il CFP polifunzionale del CNOS-FAP dacerte concezioni agenziali della FP.2.2.2. Un modello progettualeIn quegli anni si era andato delineando un consenso generale sulla necessità dirinnovare il modello organizzativo delle istituzioni formative, in quanto apparivadel tutto superato rispetto alle esigenze attuali della società. La strategia principaledi azione andava ricercata nella crescita e nella diffusione di un’adeguata culturaorganizzativa che significava fondamentalmente sviluppo della capacità di avviareprassi progettuali di sistema. In altre parole, bisognava anzitutto passare da un ap-proccio organizzativo individualistico e disintegrato ad uno integrato che si tradu-cesse in proposte unitarie e qualificanti di Centro e di corso. In secondo luogo ladimensione progettuale non poteva essere solo una caratteristica dell’azione delsingolo formatore, ma doveva connotare l’attività di tutto il sistema. Inoltre, laprogettazione doveva includere come componente imprescindibile il controllo; al-trimenti i risultati dell’azione organizzativa avrebbero continuato a presentarsicome casuali.In ogni caso dalle ricerche più volte menzionate emerge chiara ed inequivoca-bile la domanda degli operatori di introdurre nella FP la funzione/figura del coordi-natore di progetto che viene inteso come un’articolazione della funzione del forma-tore (Isfol, 1992; Malizia et al., 1991). In altre parole, si fa strada una impostazionedi natura educativa che parte dal presupposto che il CFP sia principalmente una co-munità formativa e più specificamente una comunità di formatori. Ne segue che la 41 progettazione degli interventi impegna la corresponsabilità di tutti e diventa stru-mento prezioso attraverso cui la comunità formativa si crea e si sviluppa: infatti,tale azione consente alla comunità del CFP di identificare la domanda sociale diformazione, di fissare gli obiettivi dei propri interventi in relazione alle esigenzedel contesto, di elaborare strategie educative valide in risposta al territorio, di valu-tare la propria attività in rapporto alle mete che ci si è posti. In altre parole la pro-gettazione è il cemento che unifica la comunità formatrice e il dinamismo che la facrescere.2.2.3. Un modello al servizio della personaLa promozione integrale della persona significa che l’educando occupa ilcentro del sistema formativo e che pertanto questo deve fare dell’oggetto dell’edu-cazione il soggetto della sua propria educazione. A ogni persona va assicurato il di-ritto ad educarsi scegliendo liberamente il proprio percorso tra una molteplicità divie, strutture, contenuti, metodi e tempi; in sostanza, è il sistema formativo chedeve adattarsi all’educando e non viceversa.Indubbiamente, tutti gli operatori, i formatori, l’intero CFP e la FP nel suocomplesso sono primariamente impegnati a promuovere lo sviluppo integrale dellapersonalità degli allievi. Tra le nuove funzioni/figure che emergono dalle nostre ri-cerche, una che è chiamata a svolgere particolarmente tale servizio è senz’altroquella del coordinatore delle attività di orientamento (Pellerey - Sarti, 1991).Negli ultimi anni si era passati progressivamente dalla considerazione dell’o-rientamento come un insieme di servizi, spesso esterni alle istituzioni formative oalmeno autonomi da esse, ad una in cui l’orientamento si presentava come un pro-cesso educativo, continuo, finalizzato a far acquisire e a far utilizzare alla personale conoscenze, le abilità e gli atteggiamenti necessari per rispondere adeguatamentealle scelte che continuamente era chiamata ad operare, soprattutto in relazione al-l’attività professionale. Per ottimizzare, armonizzare, sincronizzare le attività for-mative e didattiche con valenza orientante dei diversi operatori e del Centro nel suocomplesso, si è ritenuto necessario individuare una persona, il coordinatore delleattività di orientamento che, pur continuando a far parte del corpo docente, in modoparticolare si facesse carico della realizzazione coordinata e finalizzata di questoinsieme di attività.2.2.4. Un modello coordinato e integratoNella FP era in atto un processo di differenziazione e di moltiplicazione dellefunzioni, un tempo accentrate nelle figure del direttore e del formatore anche a mo-tivo della prevalenza di strutture semplici, fondate su attività generalmente consoli-date (Nicoli, 1991a,b,c). Queste dinamiche di riarticolazione si manifestavano conparticolare chiarezza a livello di personale formativo, dove sempre più si richiede-vano precise specializzazioni di ruoli e funzioni. Esse a loro volta rinviavano allaintroduzione di forme nuove di integrazione attraverso la creazione di figure di rac-cordo quali i coordinatori, in particolare di settore/processo. 42 A sua volta l’indagine del Laboratorio “Studi e Ricerche” del CNOS-FAP suldirettore aveva messo in risalto una diffusa insoddisfazione nei confronti dell’arti-colazione dei suoi compiti quale delineata nel CCNL (Malizia et al., 1996). Sem-brava necessario un riaccorpamento e una semplificazione di quell’elenco fram-mentato di mansioni in un disegno sintetico ed essenziale di grandi funzioni. Inparticolare, sulla base dei risultati dell’indagine si sono proposte le seguenti sei: re-sponsabilità della gestione del CFP nei confronti dell’Ente locale o di formazione;leadership della comunità degli operatori, in particolare attraverso la presidenzadell’organo collegiale dei formatori e la responsabilità della gestione del personale;motivazione del personale e cura del suo aggiornamento; direzione e coordina-mento delle attività; coordinamento delle attività progettuali; innovazione dell’or-ganizzazione del CFP.La stessa indagine ha messo in risalto anche l’emergere di un altro organismo,lo staff di direzione. In proposito, la funzione che viene indicata al primo posto èquella relativa al collegamento tra il CFP e il sistema delle imprese presenti sul ter-ritorio. A questa si aggiungono il coordinamento tra le varie attività promosse al-l’interno del CFP, la preparazione delle principali decisioni da prendere, la pianifi-cazione e l’organizzazione delle attività del CFP in vista del raggiungimento degliobiettivi formativi. Lo staff non è pensato come un contraltare al direttore, macome un sostegno al ruolo direttivo e una compartecipazione alle attività di condu-zione del CFP. Dovrà svolgere consulenza al direttore, presentargli proposte, parte-cipare alle decisioni, eseguire le iniziative promosse e decise dal direttore, verifi-care le azioni formative.2.2.5. Un modello apertoNel campo delle istituzioni formative un impatto decisivo è stato esercitato dalnuovo modello di sviluppo, l’educazione permanente: in proposito si possono ri-cordare due dei suoi assunti principali (Malizia, 1988). Anzitutto, lo sviluppo inte-grale della persona umana e in particolare, l’educazione di ogni persona, di tutta lapersona, per tutta la vita, richiede il coinvolgimento lungo l’intero arco dell’esi-stenza, oltre che della scuola, di tutte le agenzie educative in una posizione di paridignità formativa, anche se ciascuna di esse interverrà in tempi e forme diverse se-condo la propria natura, la propria metodologia e i propri mezzi (policentricità for-mativa). In secondo luogo, l’educazione è una responsabilità della società intera,comunità e singoli che sono chiamati a gestire democraticamente le iniziative for-mative (società educante).L’esigenza dell’apertura al contesto attraversa tutte le figure/funzioni della FP.I compiti del coordinatore di progetto convergono in questa direzione: si tratta diindividuare la domanda sociale di formazione, di fissare gli obiettivi degli inter-venti formativi in relazione alle esigenze del contesto, di elaborare strategie educa-tive valide in risposta al territorio (Malizia et al., 1991). A sua volta il coordinatoredi settore/processo costituisce uno snodo tra il CFP, le aziende e i singoli formatori 43 (Malizia et al., 1993). La funzione del coordinatore delle attività di orientamento èfinalizzata tra l’altro a mantenere il coordinamento e il collegamento fra la strutturaformativa e i soggetti istituzionali e sociali, il sistema scolastico e formativo,nonché gli eventuali specialisti e Centri specifici di orientamento (Pellerey - Sarti,1991). Da ultimo, il direttore è chiamato ad assumersi la responsabilità della ge-stione del CFP nei confronti dell’Ente locale o di formazione.2.2.6. Un modello flessibileLa flessibilità rappresenta una caratteristica che è connessa strettamente con lanozione di sistema aperto. Con tale aspetto si è inteso riferirsi ai problemi di sede,di organico di appartenenza, di status. Ciò che si vuole sottolineare è che il sistemadel CNOS-FAP è a “geometria variabile”: la sua realizzazione può essere la piùvaria, tutto dipende dalle particolari condizioni di ogni Centro per cui si può andareda un’attuazione molto elementare alla più complessa; quello che va assicurato inogni caso è la presenza in ciascun CFP delle funzioni e non delle figure e, nel con-testo territoriale, delle necessarie unità specialistiche di supporto (CFP complessi,sede regionale di Ente, servizi territoriali regionali).2.2.7. Un modello qualificatoCon il termine qualificazione si è voluto significare il tipo di formazione ne-cessario per l’esecuzione dei vari compiti. La ricerca in questo caso fornisce indi-cazioni in relazione al coordinatore di progetto, al coordinatore di processo/settore,al coordinatore delle attività di orientamento e al direttore, indicando per ognunoconoscenze e competenze.Quanto ai requisiti per l’accesso alle quattro funzioni/figure, si riscontra un ac-cordo generale su una esperienza previa di docenza (e di managerialità per il diret-tore) e su un corso di formazione in servizio finalizzata. Gli operatori, però, si divi-dono sulla laurea che per il momento non poteva essere imposta a tutti, ma chedovrà essere introdotta in futuro in relazione anche con la generale elevazione deilivelli culturali di base per l’insegnamento. 3. DOPO L’ANNO 2002: VERSO UN SISTEMA MATURO DI FP Secondo il Libro Bianco su istruzione e formazione della Commissioneeuropea, nella seconda metà degli anni ’90 “la società europea è entrata in unafase di transizione verso una nuova forma di società”, la società della conoscenza(Cresson - Flynn, 1995, 22). Tutto ciò significa che la collocazione di ogni in-dividuo nella società dipenderà fondamentalmente dalle conoscenze che eglipossiede. “La società del futuro sarà quindi una società che saprà investire nell’in-telligenza, una società in cui si insegna e si apprende, in cui ciascun individuopotrà costruire la propria qualifica. In altri termini una società conoscitiva”(Ibidem, 5). 44 3.1. L’avvento della società della conoscenzaLe tecnologie dell’informazione, informatiche e telematiche, hanno provocatonell’ultimo decennio uno scenario di radicale transizione sociale verso nuove formedi vita e di organizzazione sociale che ha fatto parlare di “società della cono-scenza” (Malizia - Nanni, 2010 e bibliografia ivi citata; Cresson - Flynn, 1995;Margiotta, 1997; Nanni, 2000). I micro-processori stanno inducendo sotto i nostriocchi una “rivoluzione globale” dagli esiti non ancora chiari e scontati. Ciò siestende non solo alla produzione e alla comunicazione sociale, ma anche ai modi divita e dell’esistenza individuale, familiare, sociale, mondiale. Si sono accresciuteenormemente le opportunità di accedere all’informazione e al sapere, ma d’altraparte si richiedono adattamenti e competenze nuove che, se mancano, possono pro-vocare emarginazione ed esclusione sociale.3.1.1. I fattori strutturaliSemplificando al massimo il discorso, si può probabilmente affermare che sulpiano economico lo scenario appare dominato da sei dinamiche principali: il pas-saggio graduale da un’economia di scala ad una della flessibilità, la progressiva ter-ziarizzazione dei processi, l’avvento delle nuove tecnologie, la globalizzazione deiprocessi, l’emergere del concetto di qualità totale, la transizione da un modellomeccanico di organizzazione e di gestione ad uno organico (Giovine, 1998; Malizia- Nanni, 2010).In particolare, l’economia della flessibilità ha attribuito il primato al mercatorispetto alla produzione: la riduzione dei costi di produzione conserva la sua rile-vanza, ma diviene prioritaria la capacità di risposta alla domanda del mercato nelmomento, nel luogo e nel modo appropriato. L’organizzazione del lavoro si con-traddistingue di conseguenza per la flessibilità delle tecnologie e delle strutture, peril primato del conseguimento dei risultati sulla esecuzione fedele di prescrizioni eper l’importanza assunta dal piccolo e dal decentramento.In questo contesto i servizi finali o per la produzione si espandono dando vitaad aziende e amministrazioni specializzate (terziarizzazione esterna) o a strutturespecializzate entro la grande impresa (terziarizzazione interna). Il fenomeno è con-nesso con due altri “trends”, uno alla differenziazione strutturale e un altro alla in-tegrazione. Il dato di partenza consiste nel fatto che tra i prodotti assumono rile-vanza sempre maggiore i servizi immateriali ad alta tecnologia intellettuale.Il terzo fattore è dato dall’avvento delle nuove tecnologie dell’informazione.Queste sono nuove perché muta l’oggetto che non è più la produzione di un pezzoo la scrittura a macchina di una lettera, ma sono operazioni di natura più intellet-tuale, come il controllo di processo o l’innovazione. Esse creano problemi per leoccupazioni tradizionali in quanto tendono ad assumerne i compiti e perché restrin-gono le possibilità di lavoro. Inoltre, il quasi monopolio che viene esercitato sullenuove tecnologie dell’informazione dalle grandi potenze o, peggio, da gruppi parti-colari di interesse, attribuisce a questi ultimi un reale potere culturale e politico su 45 ampi strati dell’opinione pubblica mondiale, soprattutto quelli che sono sprovvistidi sufficienti capacità di interpretare e criticare le informazioni ricevute; non solo,ma anche opera come un fattore potente di omologazione culturale che tende ad an-nullare le specificità delle varie entità nazionali e dei differenti gruppi.La libera circolazione mondiale delle immagini e delle parole costituisce tral’altro uno dei grandi acceleratori della mondializzazione. Più in generale, lo svi-luppo impressionante della scienza e della tecnologia, che sta rivoluzionando le no-stre società, si caratterizza anche per la globalizzazione dei processi che non si li-mita alle multinazionali. Di fatto, si estende la cooperazione tra aree geografiche esi sta sviluppando l’integrazione nelle produzioni, nei mercati e negli stili di con-sumo. Per effetto della deregolamentazione e dell’apertura dei mercati finanziaritutte le economie sono largamente condizionate dai movimenti di masse enormi dicapitali che passano con grande velocità da un luogo all’altro, attratti dalle diffe-renze nei tassi di interesse e dalle anticipazioni speculative, e che sembrano im-porre le loro esigenze persino ai governi nazionali. Al tempo stesso non si può nonriconoscere che l’espansione del commercio mondiale ha esercitato un influsso po-sitivo su vari paesi e che la crescita mondiale è stata fortemente stimolata dalleesportazioni.L’affermarsi della qualità totale significa che è quest’ultima, intesa come sod-disfazione del cliente, e non il profitto, a occupare il primo posto nelle finalità diun’impresa: in altre parole diviene decisiva la qualità percepita dal cliente. A montedell’emergere di tale concezione vi sarebbe la riscoperta della finalizzazione delprocesso produttivo all’uomo, che tornerebbe a occupare di nuovo il centro dellascena. Le conseguenze sono molto rilevanti anzitutto nei rapporti con l’esterno, inquanto diviene centrale l’impegno per identificare la domanda del cliente.Pertanto, in ambienti complessi, turbolenti, dinamici, incerti, imprevedibilicome gli attuali, il modello organizzativo non può più essere centrato sulle proce-dure della dipendenza e dell’esecuzione e sugli aspetti formali e strutturali dell’or-ganizzazione, per cui tutto è razionalmente e scientificamente predefinito attraversouna dettagliata descrizione dei sistemi di divisione e controllo del lavoro. Nelnuovo modello si vengono a richiedere alle persone capacità di innovazione, di go-verno dell’imprevisto e delle varianze, competenze di problem solving, abilità co-municative e relazionali. Non vi sono organizzazioni, attività professionali, compe-tenze “al sicuro’’. A tutti i diversi attori è richiesta una grande capacità, quella digovernare l’incertezza, di affrontare attivamente il cambiamento. Adattarsi, antici-pare, innovare, rischiare diventano abilità “trasversali”, attrezzi culturali di soprav-vivenza di soggetti e organizzazioni. Questo contesto più mutevole ed incerto, seda una parte è fonte di minacce, apre dall’altra la via verso nuove opportunità.In altre parole, si sta compiendo il passaggio da un modello industriale di eco-nomia ad uno post-industriale. Il primo pone l’accento su una concezione quantita-tiva della crescita (“trarre più dal più”), sul volume della produzione, su una impo-stazione lineare, atomistica, gerarchica, dualistica e manipolativa del lavoro e della 46 sua organizzazione. Il secondo sottolinea la qualità e l’intensità dello sviluppo (“ot-tenere più dal meno”), il valore della produzione, la natura simbolica, interattiva,contestuale, partecipativa, autonoma e intellettuale dell’attività occupazionale edella sua strutturazione. Il mondo delle aziende è dominato da imprese piccole,flessibili, dinamicizzate dalla risorsa “conoscenza”, capaci di produrre una vastagamma di beni e servizi che sono molto spesso immateriali.Ciò comporta, “negativamente”, che le grandi imprese riducano le loro atti-vità: le funzioni produttive di base sono conservate, mentre i servizi di supportovengono affidati a ditte o persone esterne. Per questa via, la grande industria è riu-scita a ridurre la forza lavoro in maniera anche molto drastica. Il passaggio al post-industriale si accompagna anche ad un aumento dei fenomeni di precarizzazione edi de-regolazione del lavoro che mettono in crisi il tradizionale sistema di relazionisociali. Nel contempo la globalizzazione e la informatizzazione contribuiscono adaumentare la disoccupazione o sotto-occupazione che, a differenza della prima edella seconda “rivoluzione industriale” del passato, non riesce più ad essere intera-mente assorbita dai settori emergenti (il cosiddetto “quaternario”). Ciò spinge ad unaumento delle diseguaglianze e della forbice delle professionalità, tra una ristrettaélite di “ingegneri della conoscenza” e una massa di persone destinate a lavori de-qualificati. Sembra quasi che i nostri sistemi sociali non riescano ad assicurare atutti un accesso equo alla prosperità, a modalità decisionali democratiche e allo svi-luppo socio-culturale personale (Consiglio dell’Unione Europea, 2001). In questocontesto tra i gruppi più vulnerabili vanno senz’altro annoverate le persone che pre-sentano specifici problemi di apprendimento e in genere le fasce più deboli dellapopolazione (disabili, donne, giovani, popolazione rurale, ecc...).Ritornando ora alla questione occupazionale, si può dire in sintesi che il pas-saggio alla società della conoscenza trasforma il senso e il modo di lavorare: na-scono nuove professioni, vecchi mestieri cambiano “pelle”, altri scompaiono defi-nitivamente. Si diversificano i lavori, e prima ancora le tipologie e le forme giuri-diche dei rapporti di lavoro. C’è un’indubbia “intellettualizzazione” del lavoro. Èrichiesta la flessibilità e la mobilità occupazionale e la polivalenza della culturaprofessionale.Per rispondere al meglio a queste esigenze del mondo dell’occupazione sidovrà pensare a una nuova figura di lavoratore che non solo possieda i necessarirequisiti tecnici, ma anche nuovi saperi di base (informatica-informazione, in-glese, economia, organizzazione), capacità personali (comunicazione e relazione,lavoro cooperativo, apprendimento continuo) e anche vere e proprie virtù del la-voro (affrontare l’incertezza, risolvere problemi, sviluppare soluzioni creative).3.1.2. Le dinamiche culturaliLa cultura della società della conoscenza risulta fortemente segnata dalla rivo-luzione silenziosa dei microprocessori (Malizia - Nanni, 2010; Nanni - Rivoltella,2006; Malizia, 2006; Botta, 2003). L’avvento delle nuove tecnologie dell’informa- 47 zione origina spinte contrastanti: moltiplicazione delle opportunità di informazionee di formazione e creazione di nuove forme di analfabetismo e di nuove margina-lità; elevazione dei livelli di cultura generale e di competenze per l’accesso almondo del lavoro e parcellizzazione che ostacola ogni tentativo di sintesi; poten-zialmente personalizzante e al tempo stesso generatrice di consumo passivo daparte soprattutto degli strati più deboli della popolazione; fattore di pluralismo, maanche all’origine del relativismo etico.In altre parole i giovani portano nella scuola e nella FP la cultura del fram-mento che, se ha il merito di aver contribuito a mettere in crisi il dogmatismo dellegrandi ideologie, pone gravi problemi al sistema educativo. Infatti, la cultura diquest’ultimo presenta caratteristiche opposte: tende a trasmettere una visione siste-matica e organica della realtà, vorrebbe offrire ad ogni allievo gli strumenti per co-struire un proprio progetto di vita, radicato nel passato e aperto al futuro, intendeaiutarlo ad elaborare un quadro di riferimento unitario, organico, coerente, tra-smette il meglio delle conquiste della storia in continuità con il passato, forma al-l’impegno per il bene comune e al rispetto dei diritti umani che considera valori pe-renni da approfondire e da ampliare, ma non da ribaltare.Sul piano culturale le grandi narrazioni “metafisiche”, i grandi miti dell’Occi-dente – come ha scritto Lyotard – non riescono più a difendere le loro pretese di as-solutezza, di unicità ed egemonia veritativa, cioè di guida vera e ideale per tutti(Lyotard, 1981).Ad un pensiero prevalentemente analitico, logico, dimostrativo si viene a con-trapporre (o a preferire) un pensiero più narrativo, più espositivo; alle concettualiz-zazioni generali si controbilanciano le molte forme dell’autobiografia, del saggioesplorativo attento alle sfumature, alle contaminazioni cognitive, ai giochi lingui-stici, alle ibridazioni dei punti di vista. L’assolutezza della scienza lascia il passo amodi di vedere e di esprimersi più “ermeneutici” (cioè insieme più soggettivi, piùinterpretativi, più comprensivi). Si parlò per questo, negli anni Ottanta del secoloscorso di “pensiero debole” (Vattimo - Rovatti, 1983). Alle grandi ideologie, sullascena delle idee di moda, sono succeduti i molti racconti, le più disparate offerte diconoscenza e di saperi. La perdita delle totalità significative spesso diventa defini-tiva. Frequentemente il frammento non si compone ulteriormente e scade nellaframmentazione irrelata (Pera, 1994; Mari, 1995).La secolarizzazione religiosa (cioè una vita sociale senza religione), più checome “logica conseguenza” del trionfo della scienza e dello sviluppo tecnologico,si è attuata a livello pratico, vale a dire nel senso che le menti e i cuori della gentesi sono rivolti più che altro al consumismo, al benessere e al divertimento ma,d’altro canto, ha provocato o comunque è stata controbilanciata da un ritorno difiamma del sacro, della magia, dei riti, di nuove forme di religiosità e da quella dif-fusa tendenza ad una religiosità soggettivistica e cosmica, che nelle società del so-prasviluppo o comunque in via di sviluppo ha avuto la sua classica espressione neimovimenti della New Age. Si è parlato in Occidente di neopaganesimo e di poli- 48 teismo post-cristiano, ma anche di mercato del sacro, di fiera dei misteri, di nuovipercorsi di religiosità e di mistica e di nuove denominazioni religiose (Volli, 1992;Terrin, 1992).Ciò non ha solo posto problemi alle religioni ufficiali, ma dice quanto l’atten-zione alla buona qualità della vita, al mondo delle emozioni e dell’affettivitàchiede di essere presa in considerazione poiché non esaudita né dalle agenzie tradi-zionali di senso (chiese, partiti, politica, scienza, tecnica), né da quella che è statadetta la “speranza tecnologica” (Nanni, 2000).Certamente lo statuto del sapere e del conoscere si è trasformato. Agli studidella mente e della logica c’è da affiancare quelli sull’intelligenza emotiva, dei bi-sogni, del desiderio. In questo clima si comprende come la coscienza della parzialitàdi ogni affermazione e della sua inevitabile configurazione storica e culturale vadabilanciata con la irriducibile pretesa di verità e certezza che ognuno viene ad averequando fa un percorso conoscitivo. Il problema dell’identità va “composto” conquello della molteplicità, del pluralismo, della complessità, senza per forza avere lasensazione teorica e pratica di cadute nel relativismo, nell’incertezza e nella confu-sione “babelica” (a cui segue solo lo scetticismo) o nella perdita dell’identità perso-nale e etnico-culturale (Morin, 1995; Nanni, 2000; Malizia - Nanni, 2004).Questi andamenti dei processi storici dell’Occidente vengono a combinarsi e ascontrarsi con gli spostamenti delle popolazioni per i motivi più svariati, da quellidi tipo economico a quelli di tipo politico, culturale, turistico, dando luogo al feno-meno della multicultura. Questa viene a caratterizzare sempre più la vita internadelle nazioni e il quadro internazionale. A livello di cultura ciò tende ad esaltare ilfenomeno del pluralismo a tutti i livelli; e inoltre mette in crisi i tradizionali mo-delli di uomo, di cultura e di sviluppo.Tutto ciò non è senza riflessi sull’istruzione e sulla formazione. 3.2. Un decennio di riformeEntro questo quadro, a partire dalla prima decade ’90 si è andata diffondendonell’opinione pubblica la convinzione che non bastasse intervenire sull’uno ol’altro dei livelli del sistema educativo per risolvere i problemi alla radice, ma chesi dovesse procedere a una ridefinizione dell’intera struttura (Malizia e Nanni, incorso di pubblicazione; Malizia e Nanni, 2010 e bibliografia ivi citata; Ghergo,2009). Più in particolare, l’esigenza di una nuova architettura nasceva anzituttodalla riflessione sulle trasformazioni della società. Il contesto di accelerazione delcambiamento e gli effetti conseguenti dell’obsolescenza delle professioni e delladisoccupazione rendevano urgente sostituire il modello tradizionale focalizzatosulla trasmissione delle conoscenze con uno centrato sull’acquisizione di compe-tenze e di metodi. Al tempo stesso, si dimostrava altrettanto necessario rafforzare laformazione culturale generale in modo da abilitare la persona a gestire situazionicomplesse dagli sviluppi imprevedibili. Inoltre, appariva urgente che il sistemaeducativo uscisse dalla autoreferenzialità ed entrasse in relazione con il mondo 49 della produzione. La riforma della scuola rispondeva anche a esigenze di tipo per-sonalistico e socio-politico, nella linea della Costituzione che disegna una comunitànazionale fatta di membri al contempo persone, cittadini, lavoratori.Sulla domanda di riforma globale incideva la considerazione delle criticità delsistema educativo esistente. Infatti, si trattava di superare la discontinuità esistentetra i diversi livelli della scolarizzazione, di togliere l’eccessiva parcellizzazionedegli indirizzi della scuola superiore e la loro eccessiva rigidità, di raccordarsi nonsolo con l’università e il mondo del lavoro, ma anche con i diversi vissuti culturalidelle persone, che si muovono tra i poli opposti dell’analfabetismo di ritorno e l’e-sigenza di una sempre più incisiva educazione permanente, fra divari non solo eco-nomici ma globalmente vitali fra Nord e Sud, fra una generazione e l’altra, fra svi-luppo crescente e nuove povertà, fra faticosi e lenti processi di integrazione e rin-novate forme di esclusione e disagio.Il decennio delle riforme inizia con la riforma Berlinguer, legge n. 30/001. Perquanto riguarda la secondaria superiore, questa aveva conservato la tradizionaledurata quinquennale. Era cambiata, però, l’età minima dell’entrata, che era ormaidi 13 anni in seguito alla fusione tra elementare e media nella scuola di base e la ri-duzione a 7 anni da 8 della durata complessiva. Il percorso successivo prevedevasia uno sbocco al termine dei primi due anni per l’assolvimento dell’obbligo forma-tivo in altri sottosistemi – anche tramite forme di integrazione con la FP – siaun’altra uscita alla fine dei cinque verso l’istruzione universitaria o verso quellanon universitaria, come la FP di secondo livello, e l’istruzione e formazione tecnicasuperiore. Il curricolo si articolava in aree: classico-umanistica, scientifica, tecnicae tecnologica, artistica e musicale; ciascuna di queste a sua volta era ripartita in in-dirizzi (tendenzialmente in numero inferiore agli attuali). Pertanto, le finalità veni-vano ripensate in funzione di questo complesso quadro di riferimento: da una partesi rinunciava a ogni pretesa di preparazione specialistica e si aboliva qualsiasi strut-turazione gerarchica tra i differenti tipi di formazione; dall’altra si decideva di pun-tare a una diffusione più larga e qualificata di livelli di formazione generale, conl’intenzione di assicurare a tutti i fondamenti culturali della professione futura.Tutto questo però era previsto all’interno di un modello fortemente scuolacen-trico. Infatti, né la legge n. 30/00 né il successivo piano quinquennale di attuazionetraducevano in termini concreti la reciprocità e la necessaria integrazione tra scuolae FP; e non era reso operativo il principio secondo cui non è sostenibile, né cultu-ralmente, né socialmente, l’idea di un sistema educativo composto unicamente dascuole. Sicché si continuava a mantenere la FP in una posizione di fondamentalemarginalità e di subalternità rispetto alla sostanziale unicità del percorso scolastico.E ciò, mentre nella gran parte dei Paesi dell’Unione Europea la FP veniva ricono-sciuta come parte legittima e non sussidiaria dell’offerta formativa, come canale 1 Del decennio delle riforme ci limitiamo a presentare solo i passaggi essenziali che si riferi-scono al secondo ciclo. 50 percorribile di pari dignità con la scuola e come un ampliamento reale del dirittoalla formazione.La riforma Berlinguer aveva confermato l’istituzione dell’obbligo formativofino a 18 anni, introdotto dalla legge n. 144/99 in base al quale per gli studenti cheavevano assolto l’obbligo di istruzione si profilavano tre possibili percorsi che erapossibile realizzare anche in forma integrata: proseguire gli studi nella scuola se-condaria superiore; frequentare la FP ai fini del conseguimento di una qualifica;iniziare il percorso di apprendistato, caratterizzato dalla alternanza formazione/lavoro. La successiva riforma Moratti, legge n. 53/03, compie in proposito un ulte-riore salto di qualità, assicurando a ognuno il diritto all’istruzione e alla forma-zione, per almeno 12 anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualificaentro il diciottesimo anno di età.Secondo la riforma appena citata, il sistema educativo si articola nella scuoladell’infanzia (3-6 anni), in un primo ciclo che comprende la scuola primaria (6-11)e la scuola secondaria di primo grado (11-14) e in un secondo ciclo di cui fannoparte il sistema dei licei (14-19) e quello dell’Istruzione e della Formazione Profes-sionale (14-21). Quanto ai licei, sono confermati gli assi culturali tradizionali, clas-sico, scientifico e artistico; al tempo stesso ne nascono dei nuovi, economico, tec-nologico, musicale, linguistico, delle scienze umane. Essi hanno durata quinquen-nale: l’attività didattica si sviluppa in due periodi biennali e in un quinto anno cheprioritariamente completa il percorso disciplinare e prevede inoltre l’approfondi-mento delle conoscenze e delle abilità caratterizzanti il profilo educativo, culturalee professionale del corso di studi. Si concludono con un esame di Stato il cui supe-ramento rappresenta titolo necessario per l’accesso all’università.Ferma restando la competenza regionale, il sistema dell’Istruzione e della For-mazione Professionale (IeFP) realizza profili educativi, culturali e professionali aiquali conseguono titoli e qualifiche professionali di differente livello, valevoli sututto il territorio nazionale se rispondenti ai livelli essenziali di prestazione definitisu base nazionale. Inoltre, i giovani che seguono questi percorsi non soltanto si ve-dono garantita anno dopo anno una passerella per trasferirsi nei licei, ma hannoanche modo di proseguire dopo i quattro anni per un quinto, un sesto e un settimoanno, così da acquisire una qualifica professionale superiore. Potranno altresì dis-porre di un quinto anno per affrontare l’esame di Stato per l’iscrizione all’università.L’introduzione di un percorso graduale e continuo di Istruzione e FormazioneProfessionale parallelo a quello scolastico e universitario dai 14 ai 21 anni è inpiena linea con le tendenze più diffuse e avanzate del nostro continente. Infatti, laFP non viene più concepita nella gran parte dei paesi europei come un addestra-mento finalizzato esclusivamente all’insegnamento di destrezze manuali, ma rap-presenta un principio pedagogico capace di rispondere alle esigenze del pieno svi-luppo della persona secondo un approccio specifico, fondato sull’esperienza reale esulla riflessione in ordine alla prassi che permette di intervenire nel processo di co-struzione dell’identità personale. 51 L’Accordo Stato-Regioni su istruzione e formazione del 2003 ha consentito diavviare già da quell’anno la sperimentazione dei percorsi triennali di istruzione edi formazione previsti dalla riforma Moratti. Questa offerta ha ottenuto un grandesuccesso tra i giovani e le famiglie. Infatti, tra il 2003-04 e il 2008-09, cioè in ap-pena 6 anni, il numero degli iscritti ha registrato un vero balzo in avanti in quantosi è quintuplicato raggiungendo la cifra di 150.489 (Isfol, 2009, 80).In discontinuità con i suoi predecessori il Ministro della Pubblica Istruzione,on. Fioroni, del governo di centro-sinistra decideva di non elaborare un’altra ri-forma complessiva del sistema e ha adottato un metodo diverso, più pragmatico. Lostesso approccio, anche se con finalità, contenuti e strategie differenti, è stato as-sunto dalla on. Gelmini che l’ha sostituito nel 2008 quando il centro-destra è tor-nato al governo: ma sull’azione di quest’ultima ritorneremo nella sezione succes-siva quando presenteremo in generale i nuovi regolamenti relativi alla secondariadi 2° grado.Con la legge n. 296/06 e il decreto 22 agosto 2007 n. 139 l’obbligo di istru-zione è stato elevato a 16 anni, come anche l’età minima per l’ingresso nel mercatodel lavoro. In proposito, va subito precisato che, sebbene rappresenti un passaggionecessario nella carriera formativa di un ragazzo, esso non possiede una natura ter-minale perché rientra nell’ambito del diritto-dovere di istruzione e di formazione epertanto non è una fase di un percorso che si conclude con il conseguimento di untitolo di studio. Inoltre, esso non deve essere confuso con l’obbligo scolastico,perché può essere adempiuto anche frequentando percorsi di Istruzione e Forma-zione Professionale.Un altro aspetto importante dell’azione del Ministro Fioroni è stato la revi-sione del secondo ciclo. In particolare, sono stati reintrodotti gli istituti tecnici eprofessionali e al tempo stesso sono stati aboliti il liceo tecnologico ed economico,con il pericolo però di una ulteriore emarginazione della FP dato il carattere profes-sionalizzante degli istituti, soprattutto di quelli professionali. È pur vero che iltitolo che potranno conferire di norma è il diploma di istruzione secondaria supe-riore, ma è anche previsto che in via sussidiaria e su domanda delle Regioni questiultimi potranno rilasciare anche qualifiche professionali. C’è da dire, in positivo,che sono attribuiti alla competenza delle Regioni le qualifiche e i diplomi profes-sionali, inclusi in uno specifico repertorio nazionale.Con l’approvazione il 4 febbraio 2010 in seconda e definitiva lettura da partedel Consiglio dei Ministri di tre Regolamenti, uno per i licei (DPR n. 89/10), unoper gli istituti tecnici (DPR n. 88/10) e uno per quelli professionali (DPR n. 87/10),il ministro Gelmini ha avviato il completamento del progetto di riorganizzazionedel sistema educativo italiano di istruzione e di formazione riguardo al suo seg-mento da più lungo tempo non riformato, quello dell’istruzione secondaria supe-riore (Tonini - Malizia, 2010; Cicatelli, 2010c).Prima di passare al loro esame, procediamo a una contestualizzazione (Maliziae Nanni, in corso di pubblicazione; Malizia - Nanni, 2010). I dati mettono in evi- 52 denza che la mobilità sociale in Italia è limitata e che la scuola tende a svolgere unafunzione riproduttiva delle diseguaglianze piuttosto che una funzione di lotta alledisparità sociali.Da sempre si va affermando che una strategia per affrontare questo nodo pro-blematico consiste nell’assicurare a tutti gli studenti i livelli essenziali delle presta-zioni concernenti i diritti civili e sociali in tema di istruzione e di formazione. Inconcreto, a fronte dell’elevarsi della complessità, tipica della società globalizzata edella conoscenza, si punta su interventi a favore dell’innalzamento della prepara-zione di base a livello di diritto-dovere di istruzione e di formazione e di obbligo diistruzione; al tempo stesso si cerca di evitare lo spezzettamento dei saperi.Un’altra strategia fa capo alla personalizzazione del processo di insegnamento-apprendimento. Infatti, l’eguaglianza delle opportunità nell’istruzione non significaeguaglianza di trattamento, ma eguale possibilità di essere trattati in manieradiversa per poter realizzare le proprie capacità. Pertanto, il processo formativo vaorganizzato in modo che ciascun alunno possa procedere nell’apprendimentosecondo il ritmo che gli è più congeniale.In questa linea si può leggere l’azione del Ministro Gelmini circa la revisionedel secondo ciclo del sistema educativo. La finalità da lei proclamata è stata quelladi elevare tutta l’offerta alla “serie A”. Piuttosto che prolungare in maniera indefi-nita il dibattito sulla precocità o meno della scelta a 14 anni tra secondaria di2° grado da una parte e Istruzione e Formazione Professionale dall’altra, il Ministroha inteso evitare le contrapposizioni ideologiche e misurarsi in maniera conver-gente con la sfida di elaborare percorsi capaci di aiutare tutti gli studenti a trovarela strada più adeguata. “L’indifferenziazione dei percorsi, la pretesa di uccidere lepropensioni individuali per pretendere, ope legis, che ogni adolescente percorra lastessa strada è la traiettoria più sicura verso gli abbandoni e le dispersioni. Diamoad ogni persona la sua scuola, e ogni persona troverà nella sua scuola le ragioni perfrequentarla con profitto” (Gelmini, 2008, 14). Ovviamente, si dovrà manteneresempre aperta la possibilità di ripensare la propria scelta e questo per l’intero arcodell’esistenza, assicurando un sistema efficace di apprendimento per tutta la vita.Tale orientamento del Ministro ha trovato da subito un’attuazione importante.Uno dei suoi primi interventi è consistito nella conferma della presenza di uncanale di Istruzione e Formazione Professionale nel nuovo obbligo di istruzionegià elevato dal Ministro Fioroni a 16 anni (cfr. art. 64 della legge n. 113/08). Piùarticolata è la valutazione dei tre Regolamenti citati anche per la complessità dellamateria.Entrando nel merito, mentre la riforma Berlinguer aveva adottato una imposta-zione unitaria (tutti Licei) e quella Moratti una formula binaria (i sottosistemi deilicei e dell’Istruzione e Formazione Professionale), il Ministro Gelmini in conti-nuità con il suo predecessore, l’on. Fioroni, sembra aver optato per un modello atre poli: i licei; gli istituti tecnici e gli istituti professionali; l’Istruzione e la Forma-zione Professionale. Come ha affermato S. Cicatelli, la proposta dei Regolamenti 53 costituisce “un riassetto operato su un impianto sostanzialmente confermativo del-l’ordinamento da sempre vigente nella scuola italiana. Nessuna ‘riforma Gelmini’,dunque. E ormai anche addio alla ‘riforma Moratti’ (Cicatelli, 2010c, 1). In altreparole, si tratta di una pura e semplice razionalizzazione e modernizzazione dell’e-sistente sulla base del modello tradizionale della nostro secondo ciclo, con l’aggra-vante che i percorsi di Istruzione e Formazione Professionale regionale tornano adessere l’offerta per i “falliti” dei tre percorsi delle scuole statali (licei, istituti tecnicie istituti professionali), ammesso che le Regioni non decidano di affidarli agli isti-tuti professionali.Detto questo non si può neppure non essere d’accordo con quanto G. Bertagnaevidenzia di positivo in questi Regolamenti, sempre che il Ministro Gelmini inter-venga decisamente per rendere i percorsi di IeFP un canale nazionale e stabile.Riportiamo alla lettera le sue affermazioni: “Cosicché oggi si può dire che entri invigore la ‘Morfiormini (Moratti, Fioroni, Gelmini)’, davvero la prima riforma del-l’impianto degli studi secondari a partire dal ministro De Vecchi (1936) in poi. Nonè perfetta. Si poteva fare meglio e forse in maniera anche più strategica. Ma ilrisultato ‘epocale’, viste le abitudini per lo più verbose della nostra classe politica esindacale, è che finalmente c’è ed entra in vigore. E che fra tre anni il parlamentoha chiesto una seria verifica della sua applicazione. C’è da augurarsi che questa siacondotta coinvolgendo maggioranza ed opposizione, Stato e Regioni, governo eparti sociali perché al di là delle esasperazioni ideologiche tipiche della lotta poli-tica contingente, la scuola è una cosa troppo seria per essere lasciata al pendolodella maggioranza e agli interessi corporativi” (Bertagna, 2010, 10).Una valutazione che fa sintesi tra queste posizioni è possibile trovarla nell’ana-lisi di P. Ferratini. A suo parere la politica scolastica del Ministro Gelmini consistein un tentativo serio di ripensare il nostro sistema educativo sulla base di una ideo-logia tradizional-moderata che potrebbe essere espressa nello slogan del ritornoalla scuola del tempo che fu con la correzione apportata dalle tre “i”, internet, in-glese, impresa. Nello stesso tempo non si può contestare il traguardo raggiunto diaver concluso il decennio delle riforme e il sessantennio delle attese deluse introdu-cendo un punto fermo da cui ripartire. In ogni caso, la salvezza del sistema italianodi istruzione e di formazione va cercata fondamentalmente in un ritorno al passato,in un ieri da ripristinare e in un recupero della scuola di prima. Nelle parole delMinistro “Autorevolezza, autorità, gerarchia, insegnamento, studio, fatica, merito.Sono queste le parole chiave che vogliamo ricostruire, smantellando quella costru-zione ideologica di vuoto pedagogismo che dal 1968 ha infettato come un virusla scuola italiana” (Ferratini, 2009, 725). Si tratta di richiami che hanno esercitatofinora una forte efficacia di persuasione nei confronti della opinione pubblica, ridu-cendo di molto l’incidenza delle critiche ed evitando che confluissero in un rile-vante dissenso sociale.Non solo i licei e gli istituti tecnici e professionali, ma anche il sottosistema diIeFP è stato raggiunta da un processo parallelo di cambiamento. Esso si è realizzato 54 in una forma più graduale e maggiormente attraverso lo strumento degli Accordi inConferenza Stato-Regioni piuttosto che mediante il ricorso ad interventi legislativi(Malizia e Nanni, in corso di pubblicazione; Tonini - Malizia, 2010; D’Agostino,2010; Frisanco, 2010; Gaudio - Governatori, 2010; Poggi, 2010; Salerno, 2010). Ilprimo passo è stato compiuto con l’Accordo Stato-Regioni su istruzione e forma-zione del 2003 (a cui si è già accennato sopra) che, senza attendere lo specifico de-creto legislativo, ha consentito l’attivazione in via sperimentale dei corsi di Istru-zione e di Formazione Professionale rivolti alle ragazze e ai ragazzi che, conclusoil primo ciclo di studi, manifestano la volontà di accedervi preferendoli all’offertadella secondaria di 2° grado. L’Accordo ha stabilito che i percorsi formativi deb-bano avere una durata almeno triennale, anche allo scopo di agevolare i passaggifra sottosistemi, attraverso il riconoscimento di crediti formativi acquisiti non solonegli itinerari appena ricordati, ma anche nell’apprendistato. Ha inoltre deciso diattivare un percorso articolato di partenariato istituzionale a livello nazionale inraccordo con il livello regionale.La cooperazione tra Stato, Regioni e autonomie locali ha permesso di definirenel 2004 gli standard formativi minimi relativi alle competenze di base; i dispositividi certificazione finale e intermedia; e le modalità per riconoscimento dei creditiformativi ai fini dei passaggi tra i sistemi. Nel 2006 sono stati approvati gli standardformativi minimi delle competenze tecnico-professionali relativi a 14 figure inuscita dai percorsi sperimentali.A sua volta, come si è ricordato sopra, con la legge n. 113/08 il Ministro Gel-mini ha riconosciuto definitivamente la possibilità di adempiere il nuovo obbligo diistruzione, già elevato dal ministro Fioroni a 16 anni, nei percorsi triennali speri-mentali di IeFP.Infine, l’Accordo Stato-Regioni del 2010 ha approvato il primo Repertorionazionale che comprende 21 figure professionali come sbocco dei corsi triennali e21 al termine di quattro anni. Esso, inoltre, sancisce la possibilità di ottenere quali-fiche e diplomi professionali utilizzabili a livello nazionale e corrispondenti alterzo e quarto livello europeo.Ma ciò che sembra degno di rilievo è il fatto che – oltre all’evoluzione realiz-zata sul piano ordinamentale – la IeFP sia riuscita anche a predisporre un modelloformativo proprio e avanzato. I capisaldi sono da una parte la definizione di unachiara strategia d’azione focalizzata sulla concezione della “persona competente” edall’altra l’affermazione della centralità dell’“esperienza reale” nei processi diapprendimento. La prima ha permesso di superare ogni forma di giustapposizionetra Istruzione e Formazione Professionale mediante la messa a punto di un’offertaunitaria dal valore pienamente educativo, culturale, sociale e professionale. Laseconda ha consentito di costruire un processo di apprendimento su compiti reali,basati sui principi della personalizzazione, della partecipazione degli allievi, delcompito reale, della comunità di apprendimento, del coinvolgimento della societàcivile. 55 Nel complesso si può affermare che l’introduzione dei percorsi sperimentalitriennali e quadriennali ha innovato e migliorato in misura significativa il sottosi-stema dell’IeFP. Essi “sono divenuti, infatti, un efficace strumento di prevenzionedella dispersione scolastica e di acquisizione di una professionalità competente,accogliendo circa 150.000 giovani (Isfol, 2009); hanno un costo inferiore rispettoal parallelo percorso scolastico statale triennale (cfr. Rapporto sul futuro della for-mazione in Italia, 2009); si sono rivelati un efficace strumento di promozione dellaoccupabilità/occupazione dei giovani (cfr. i monitoraggi regionali)” (Tonini - Ma-lizia, 2010, 16). L’offerta, inoltre, dimostra una evidente natura popolare in quantogli iscritti provengono in prevalenza dalle classi sociali meno abbienti, da famiglieimmigrate e da condizioni disagiate. Del resto, essa non si presenta come concor-renziale rispetto alla secondaria di 2° grado, ma piuttosto come complementare: inquanto, in caso di assenza, non verrebbe supplita da alcuna modalità scolastica.C’è purtroppo da dire che i percorsi di IeFP sono attuati a macchia di leo-pardo: non si riscontrano in tutte le Regioni e solo nel Nord vi è una copertura sod-disfacente, mentre la situazione è molto carente nel Centro e nel Sud, tranne chenel Lazio e nella Sicilia. Un discorso simile va ripetuto per le risorse che si sonodimostrate inadeguate rispetto alla domanda dei giovani e che oltretutto sono stateoggetto negli ultimi anni di notevoli tagli.Del tutto diversa da quella sostanzialmente positiva dei percorsi sperimentalidell’IeFP è la valutazione della situazione ad oggi dell’apprendistato per i minoriin vista dell’adempimento del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione (To-nini - Malizia, 2010; D’Agostino, 2010; CNOS-FAP, 2010). Infatti, esso è sempremeno utilizzato dalle imprese ed è in crisi sotto l’aspetto formativo: statistiche difonte regionale parlano di appena 36.905 minori assunti con contratto di apprendi-stato e di un numero intorno ai 6.500 – che è anche in calo nel tempo – di soggettiche nel 2007 hanno frequentato attività di formazione esterna rispetto ai 125.853adolescenti tra i 14 e i 17 anni che sono fuori dei percorsi scolastici e formativi(CNOS-FAP, 2010, 2-4). Peraltro, la stessa normativa sull’apprendistato trova pro-blemi di implementazione anche a causa della mancanza della intesa interistituzio-nale tra Ministeri (Lavoro e Istruzione) e Regioni. Certamente, un rilancio potrebbevenire dall’approvazione del Disegno di Legge 3 marzo 2010, n. 1167b, che con-sente l’assolvimento dell’obbligo d’istruzione anche nei percorsi di apprendistatoper l’espletamento del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione. Tuttavia, anostro parere, tale provvedimento potrà raggiungere risultati positivi solo a condi-zione che sia riorganizzata la dimensione formativa, migliorata la preparazione deiformatori e valorizzato l’apporto della IeFP. I percorsi formativi sperimentali sonoandati a regime e sono divenuti “ordinamento” solo a partire dall’anno 2011-2012ma le caratteristiche di precarietà ed instabilità sono rimaste. Il sistema o (sotto)sistema di IeFP, infatti, è stato avviato con le istituzioni formative accreditate (iCFP) solo dove già operano e, in via sussidiaria (spesso sostitutiva) dagli IstitutiProfessionali di Stato accreditati dalle Regioni. 56 3.3. Il cammino della Federazione CNOS-FAPIn questo contesto l’azione della Federazione non poteva limitarsi a sempliciritocchi anche se numerosi, o concentrarsi su determinati ambiti particolarmentecarenti. Al ripensamento dell’architettura del sistema educativo di istruzione e diformazione doveva corrispondere un rinnovamento profondo della FP del CNOS-FAP. È quanto è stato avviato con coraggio e lungimiranza dalla Federazione e chenon è ancora compiuto, anche se sono state poste solide fondamenta. Prima di par-lare delle grandi linee di intervento del disegno complessivo è opportuno ricordarel’impegno del CNOS-FAP per una riforma del sistema educativo di istruzione e diformazione che mettesse al centro gli allievi, soprattutto quelli più marginali.3.3.1. La promozione della Formazione Professionale Iniziale (FPI)2 nella riformaUna delle direttrici dell’azione del CNOS-FAP è stata quella di opporsi allalegge n. 9/99 sull’elevazione dell’obbligo scolastico nelle disposizioni che colloca-vano la FP in una condizione di marginalità e di subalternità rispetto alla scuola.Al contrario la posizione della Federazione era che tale innalzamento doveva es-sere realizzato in strutture distinte, ma formativamente equipollenti e interagenti,quelle cioè della scuola e della FP accreditata. In altre parole bisognava prevedereun sistema di offerte plurime con una collaborazione istituzionalizzata tra il sotto-sistema scolastico e regionale e una mobilità orizzontale garantita tramite creditididattici certificati. L’elevazione andava attuata sulla base dei principi della diver-sificazione delle opzioni, della individualizzazione e della personalizzazione deipercorsi, della flessibilità dei modelli di intervento, della continuità dei livelli delsistema formativo, della integrazione delle offerte. Inoltre, ai giovani che, dopo ilsoddisfacimento dell’obbligo, non intendevano continuare gli studi nella secon-daria superiore, doveva essere garantito il diritto alla formazione fino al diciotte-simo anno di età, prevedendo offerte atte a consentire il conseguimento almenodi una qualifica professionale. E alla fine di una lunga battaglia la Federazione èriuscita ad ottenere l’abrogazione della legge.Una presa di posizione analoga è stata assunta, successivamente, dalla Federa-zione CNOS-FAP nei confronti del Governo Prodi II (2006-08) che aveva, tra isuoi punti programmatici, l’innalzamento dell’obbligo scolastico a 16 anni. Si ri-proponeva, ancora una volta, la tesi che solo la scuola era il luogo idoneo per l’i-struzione obbligatoria: quindi, obbligo da assolvere a scuola fino a 16 anni e solodopo tale data era proposta agli allievi la facoltà di scegliere la Formazione Profes-sionale Iniziale. Le proposte elaborate dalla Federazione CNOS-FAP in sintonia 2 Con l’espressione Formazione Professionale Iniziale (FPI) si indicano, generalmente, quelleattività di formazione che vengono proposte ai giovani in età compresa tra i 14 e i 18 anni. Tra queste,i percorsi formativi triennali e quadriennali di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) sono i piùimportanti. Vanno richiamate, inoltre, quelle attività formative che possono essere realizzate nell’ap-prendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione o in progetti per categoriespecifiche (giovani a rischio, portatori di handicap, ecc.). 57 con gli Enti aderenti a CONFAP e a FORMA hanno portato ad una soluzione con-divisa. La sintesi normativa è stata, infatti, l’obbligo di istruzione fino a 16 anni enon l’obbligo scolastico in quanto la “nuova istruzione” poteva essere assoltaanche nei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale (Nicoli, 2006, 47).Intorno agli anni duemila il CNOS-FAP è stato uno degli ispiratori dell’intro-duzione dell’obbligo formativo che ha consentito di estendere il diritto alla forma-zione a complessivi dodici anni per tutti i giovani tra i 6 e i 18 anni. Sull’esempiodi altri paesi dell’UE, questa è la strada da percorrere se si vuole veramente assicu-rare ai giovani quell’ampia formazione di base idonea a promuovere la crescita per-sonale, l’orientamento, la prosecuzione degli studi, l’inserimento nell’attività lavo-rativa e la partecipazione responsabile alla vita democratica. L’introduzione del-l’obbligo formativo può essere considerato il momento del rilancio della FPI intesacome sistema e con finanziamento proprio. Solo dopo questa legge, infatti, è statoavviato in Italia il rilancio della FPI anche dal punto di vista normativo.La Federazione non ha mancato di riconoscere anche gli altri progressi signifi-cativi che si sono fatti con la legge n. 30/00 e con gli altri interventi del governo del-l’Ulivo. In proposito si possono ricordare la Formazione Integrata Superiore (FIS)e il potenziamento dell’apprendistato e dei tirocini. Nonostante ciò, l’azione delgoverno rimaneva lontana dal riconoscimento di una piena parità tra scuola e FP.A ciò si giunge con la riforma Moratti almeno in linea di principio. Infatti,come si è già osservato sopra, questa configura la FP come percorso alternativo allascuola, al pari di questa capace di accompagnare gli allievi verso il conseguimentodi obiettivi educativo-formativi. A partire dai 14 anni i ragazzi possono inserirsi nelsotto-sistema di Istruzione e Formazione Professionale e, dopo tre anni, acquisi-scono una “qualifica professionale”, dopo quattro un “diploma professionale” e at-traverso corsi triennali di formazione superiore, possono ottenere un “diploma pro-fessionale superiore”, in una prospettiva di crescita professionale verso ruoli tecnicidi responsabilità.Dopo un decennio di acceso dibattito e di aspre contrapposizione (Campione -Ferratini - Ribolzi, 2005) riportato anche nei paragrafi precedenti, oggi, la norma-tiva vigente stabilisce che i giovani assolvono il diritto-dovere all’istruzione e allaformazione almeno fino al conseguimento di una qualifica professionale entro il18° anno di età, titolo professionalizzante che si consegue presso strutture forma-tive accreditate dalle Regioni (i CFP), nel rispetto dei livelli essenziali delle presta-zioni definiti dalle norme generali dello Stato (legge n. 53/03; D. Lgs. n. 76/05;D. Lgs. n. 226/05, capo III). Leggi ulteriori hanno precisato il secondo ciclo cheoggi risulta composto dal (sotto)sistema dell’istruzione secondaria superiore, arti-colato in licei, istituti tecnici e istituti professionali e dal (sotto)sistema dell’Istru-zione e Formazione Professionale, di competenza delle Regioni, nel quale i giovanipossono assolvere l’obbligo di istruzione fino al sedicesimo anno di età e il diritto-dovere all’istruzione e alla formazione fino al diciottesimo anno di età (leggen. 296/06, legge n. 40/07, legge n. 133/08). 58 Il quadro legislativo, sommariamente richiamato, recepisce molte delle istanzeespresse nei documenti prodotti e socializzati dalla Federazione CNOS-FAP econdivisi anche in quelli di CONFAP e di FORMA. Questo quadro, pur ancora in-completo, presenta, a giudizio della Federazione CNOS-FAP, elementi strutturalipositivi.La Federazione CNOS-FAP ha giudicato positivamente, in primo luogo, lapossibilità offerta ai giovani di scegliere la FPI all’età di 14 anni. Si tratta di unatappa, ormai, profondamente assimilata dai giovani e dalle famiglie come “etàidonea per una prima scelta”; collocare la scelta della FPI accanto a quella scola-stica a questa età appare ragionevole perché permette di prevenire, tra l’altro, laprassi di riservare alla FPI solo i giovani che ripiegano dopo un fallimento scola-stico. La normativa, sotto questo aspetto, ha recepito le istanze degli Enti di FPaderenti a CONFAP e FORMA superando le posizioni di quanti volevano affer-mare il prolungamento dell’istruzione obbligatoria nella sola istituzione scolastica.L’obbligo scolastico, pur storicamente meritevole, oggi appare insufficiente adindicare il conseguimento di un livello di istruzione e di formazione adeguato aibisogni di una persona che vive consapevolmente nella nostra società.La normativa vigente sulla FPI va, in secondo luogo, nella direzione della“diversificazione e dell’ampliamento dell’offerta formativa”, una via sempre sotto-lineata dalla Federazione CNOS-FAP e dagli Enti di Formazione Professionale ade-renti a CONFAP e FORMA, una via peraltro europea, necessaria anche in Italia siaperché la scuola italiana deve affrontare il problema della dispersione scolasticache è collocata in modo particolare nei “bienni” dei percorsi del sistema dell’istru-zione secondaria superiore sia perché, nell’attuale società, la scuola in generale“deve proporre sempre meno modelli omologanti e sempre più rispondere allesfide della differenziazione, dinanzi ad un destinatario sempre più disomogeneo ead una utenza caratterizzata, da qualche anno, dalla crescente presenza di stra-nieri” (Campione - Ferratini - Ribolzi, 2005, 69; Ghergo 2009). Assumere la FPIcome parte dell’intera offerta del secondo ciclo è, senza ombra di dubbio, l’esitopiù complesso ma anche tra i più positivi del cammino percorso in questi decenniper l’affermazione del successo formativo.Il riferimento ai soggetti che erogano la FPI rimanda, in terzo luogo, al nododella “sussidiarietà orizzontale”. L’introduzione del principio di sussidiarietà intutto l’ordinamento politico e amministrativo dell’Italia, soprattutto a livello regio-nale, è una questione importante e, a giudizio di molti, anche decisiva. Se non siriconosce il valore pubblico delle iniziative personali e sociali, infatti, si rischia diindebolire la responsabilità dei cittadini e di rendere sempre più inefficiente il ser-vizio pubblico. È alla luce di questa riflessione che la Federazione CNOS-FAP giu-dica positivo il coinvolgimento degli Enti di FP nello svolgere le attività di FPI afavore dei giovani. Si tratta di una scelta che va nella direzione della valorizzazionedegli organismi della società civile senza replicare a livello regionale nuove formedi centralismo. Questo risultato è il frutto di un cammino piuttosto difficile e lungo. 59 Negli anni Ottanta del secolo scorso, infatti, la FPI era stata ricondotta all’internodelle politiche attive del lavoro; era dunque una formazione fuori dal sistema scola-stico ma poteva essere realizzata, oltre che direttamente dalla Regione, anche daEnti che potevano essere emanazione delle organizzazioni democratiche dei lavora-tori o associazioni con finalità formative e sociali (Legge 845/78, art. 5, comma b).Nel decennio successivo si era registrata una proposta dell’on. Mezzapesa che pre-vedeva che anche il sistema di FP potesse contribuire all’assolvimento dell’obbligoscolastico, allora ipotizzato fino a 16 anni. Ma la proposta non fu accolta. Neglianni duemila, il Ministro Berlinguer, dopo un obbligo scolastico innalzato fino a 15anni, introdusse un obbligo formativo extra scolastico fino a 18 anni. La riformacomplessiva, però, fu bloccata; nelle Regioni si avviò, in maniera differenziata,solo l’obbligo formativo, in molti casi svolto da una istituzione scolastica che inte-grava il percorso con moduli di Formazione Professionale (i c.d. percorsi integrati).Nel periodo successivo, il Ministro Moratti, riformulando l’obbligo scolastico el’obbligo formativo nel diritto-dovere, coinvolse anche le istituzioni formative nel-l’assolvimento di tale diritto-dovere. Ma anche questa proposta fu rivista nellalegislatura successiva e le Regioni reagirono in modo molto differenziato, avviandomodelli diversi di percorso formativo. Con il Ministro Fioroni si ripropose il di-lemma tra innalzamento dell’obbligo scolastico e l’allungamento dell’istruzioneobbligatoria. La soluzione fu a favore di quest’ultima, ma inquadrata in una fasetemporanea. Il Ministro Gelmini, intervenendo ancora una volta sulla materia conla Legge 133/2008, stabilisce che l’obbligo di istruzione si assolve anche nei per-corsi di istruzione e formazione professionale, e sino alla completa messa a regimedelle disposizioni contenute nel capo III del D.Lgs. n. 226/05, anche nei percorsisperimentali di istruzione e formazione professionale. Le istituzioni formative,ancora oggi emanazione delle organizzazioni democratiche dei lavoratori o associa-zioni con finalità formative e sociali possono concorrere, con la FPI, all’assolvi-mento del diritto-dovere all’istruzione e formazione fino al diciottesimo anno dietà. Questo punto di arrivo, che la Federazione CNOS-FAP giudica positivamente,è aperto ad una nuova sfida, la riforma federale dello Stato. A giudizio della Fede-razione CNOS-FAP la riforma si giocherà anche su questo aspetto, cioè nel pro-gressivo superamento delle differenze che esistono fra le Regioni in fatto di appli-cazione del principio di sussidiarietà orizzontale al campo della FPI. Solo così siavrà un “pluralismo” anche dal punto di vista istituzionale.Non è esagerato affermare che la Federazione CNOS-FAP ha potuto dare ilproprio apporto originale e qualificato soprattutto nell’organizzazione dell’offertaformativa. Ha dato le “ali” al percorso formativo, qualificandolo sia dal punto divista pedagogico che metodologico e didattico. La Federazione CNOS-FAP, attivaall’interno di FORMA, da subito, ha contribuito ad elaborare un PROGETTOPILOTA, un idealtipo di percorso caratterizzato da specifici obiettivi da raggiun-gere, da un preciso modello formativo, da standard professionali e formativi e dauna peculiare metodologia formativa (FORMA, 2002). La sperimentazione, poi, 60 avviata in molte Regioni, è stata segnata da una notevole documentazione cheattesta la vitalità della Federazione CNOS-FAP e degli Enti dove, o come protago-nisti o sotto la regia regionale, hanno partecipato attivamente al monitoraggio e allainnovazione del percorso formativo progettato. Si riportano, per offrire al lettore lavastità e la varietà delle tematiche affrontate, i titoli delle principali pubblicazioniprodotte durante la sperimentazione. Molte di esse sono state realizzate a livellonazionale e offerte alla Federazione come strumento di lavoro o di formazione,altre sono sorte nelle Regioni soprattutto come documentazione del monitoraggioeffettuato.A livello nazionale la Federazione CNOS-FAP, avvalendosi anche di consu-lenti, ha elaborato vari documenti dal carattere fondativo oltre che proseguire, annodopo anno, negli studi e nei monitoraggi attraverso la Rivista Rassegna CNOS.I testi che hanno ispirato e guidato il monitoraggio della sperimentazione nelleRegioni sono, in particolare, NICOLI D., Linee guida per i percorsi di istruzione eformazione professionale, 1° edizione 2004; 2° edizione 2008; CNOS/FAP eCIOFS/FP (Edd.), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati nellecomunità professionali alimentazione, aziendale e amministrativa, commerciale edelle vendite, elettrica ed elettronica, estetica, grafica e multimediale, legno e arre-damento, meccanica, sociale e sanitaria, tessile e moda, turistica e alberghiera;MALIZIA G. - ANTONIETTI D. - TONINI M., Le parole chiave della formazione pro-fessionale, 2° ed. 20073.Studi e forme di ricerca-azione hanno approfondito aspetti del percorso forma-tivo triennale e quadriennale, dell’apprendistato, dei percorsi destrutturati, delleanagrafi formative. Si ricordano, in particolare, NICOLI D. - TACCONI G., Valuta-zione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello stato dell’arte e ri-cerca nelle pratica educativa della Federazione CNOS-FAP, il 1° volume nel 2007e il 2° volume nel 2008; D’AGOSTINO S., Apprendistato nei percorsi di diritto-dovere, 2007; MALIZIA G. - PIERONI V., Percorsi/progetti formativi “destrutturati”.Linee guida per l’inclusione socio-lavorativa di giovani svantaggiati, 2005; AL-FANO A., Un progetto alternativo al carcere. I sussidi utilizzati nel Centro polifun-zionale diurno di Roma, 2006; MALIZIA G., Diritto-dovere all’istruzione e alla for-mazione e anagrafe formativa. Problemi e prospettive, 2007.Sull’identità del formatore e sulla sua formazione sono stati promossi varistudi. Si ricordano, innanzitutto, gli studi coordinati da M. Pellerey: PELLEREY M.Processi formativi e dimensione spirituale e morale della persona. Dare senso eprospettiva al proprio impegno nell’apprendere lungo tutto l’arco della vita, 2007e BAY M. - GRZADZIEL D. - PELLEREY M., Promuovere la crescita nelle competenzestrategiche che hanno le loro radici nelle dimensioni morali e spirituali della per-sona, 2010. Sono da ricordare, inoltre, le pubblicazioni di G. Tacconi e S. Fontana 3 Tutte queste pubblicazioni come le seguenti hanno come casa editrice il CNOS-FAP e luogo dipubblicazione la Tipografia Pio XI, Roma. 61 sulla formazione al sistema preventivo di don Bosco: TACCONI G., Insieme per unnuovo progetto di formazione, 2003; FONTANA S. - TACCONI G. - VISENTIN M.,Etica e deontologia dell’operatore della FP, 2003; i volumi di G. Ruta che hannoconcorso a sistematizzare la formazione all’insegnamento della religione nella FP:RUTA G. (Ed.), Etica della persona e del lavoro, 2004; Vivere, Linee guida per iformatori di Cultura etica e religiosa nei percorsi di Istruzione e Formazione Pro-fessionale, 2007.Per sostenere gli operatori della FP nella delicata azione di interazione con lafamiglia e il mondo del lavoro, la Sede Nazionale ha elaborato alcune ricerche-azioni. Si segnalano BECCIU M., COLASANTI A. R., La corresponsabilità CFP – fa-miglia: i genitori nei CFP. Esperienza triennale nel CFP CNOS-FAP (2004-2006),2006; MALIZIA G. - PIERONI V., Accompagnamento al lavoro degli allievi quali-ficati nei percorsi triennali del diritto-dovere. Linee guida e raccolta di buonepratiche per svolgere le attività, 2009; MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINIOA., Individuazione e raccolta di buone prassi mirate all’accoglienza, formazione eintegrazione degli immigrati, 2009; oltre a due guide operative per gli operatoricurate da GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo. Una pro-posta di percorsi per la creazione d’impresa, 2° ed. 2007 e da MARSILII E., Dallaricerca al rapporto di lavoro. Opportunità, regole e strategie, 2007.Aspetti di carattere di filiera e di carattere europeo messi a disposizione deglioperatori per la loro formazione sono stati dati attraverso la pubblicazione deivolumi: PELLEREY M. (a cura di), Studio sull’intera filiera formativa professionaliz-zante alla luce delle strategie di Lisbona a partire dalla formazione superiore nonaccademica, Roma 2008; COLASANTO M. (a cura di), Il punto sulla formazione pro-fessionale in Italia in rapporto agli obiettivi di Lisbona, 2008; MALIZIA G., Poli-tiche educative di istruzione e formazione. La dimensione internazionale, 2008; NI-COLI D., I sistemi di Istruzione e Formazione professionale (VET) in Europa, 2009.Non potevano mancare studi sugli aspetti pedagogici ed educativi degli allieviche frequentavano i percorsi formativi triennali. Ricerche e monitoraggi sono statidocumentati in vari volumi. Si ricordano, tra gli altri, MALIZIA G. - BECCIU M. -COLASANTI A. R. - MION R. - PIERONI V., Stili di vita degli allievi/e dei percorsi for-mativi del diritto-dovere, 2007; MALIZIA G. - PIERONI V., Follow-up della transi-zione al lavoro degli allievi/e dei percorsi triennali sperimentali di IeFP, 2008.Avvalendosi della consulenza del CENSIS la Federazione CNOS-FAP ha in-dagato con studi e ricerche mirate su specifiche questioni: la scelta dei giovani, lacarenza di proposte di formazione nelle Regioni del Sud e il rapporto tra Enti di FPe imprese. I risultati sono riportati nei volumi: DONATI C. - BELLESI L., Giovani epercorsi professionalizzanti: un gap da colmare?, 2007; BELLESI L. - DONATI C.,Ma davvero la formazione professionale non serve? Indagine conoscitiva sulmondo imprenditoriale, 2008; DONATI C. - BELLESI C., Verso una prospettivadi lungo periodo per il sistema della formazione professionale. Il ruolo della reteformativa, 2009. 62 Il monitoraggio delle sperimentazioni ha permesso alla Federazione e agli Entidi FP aderenti a CONFAP e a FORMA di essere protagonisti della sperimentazionee di documentarne gli esiti. Si riportano, per evidenziarne la quantità e la vastità, iprincipali testi:Emilia Romagna: LODINI E. - VANNINI I., Istruzione e formazione: il monito-raggio dell’integrazione, 2006; SACCHI G., Istruzione e formazione: l’integrazionepossibile, 2006.Lazio: MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CPFdel CNOS-FAP e del CIOFS/FP del Lazio, 2007.Liguria: FRANCHINI R. - CERRI R. (a cura di), Per una istruzione e formazioneprofessionale di eccellenza. Un laboratorio per la riforma del sistema educativo,2005; NICOLI D. - PALUMBO M. - MALIZIA G. (a cura di), Per una istruzione e for-mazione professionale di eccellenza. Nuovi percorsi formativi per la riforma del si-stema educativo, 2005.Lombardia: Regione Lombardia. Istruzione e formazione professionale. Pro-getto sperimentale triennale: linee guida dell’area professionale alimentare, com-mercio e vendite, edile e del territorio, elettrica, estetica, grafica e multimediale,meccanica, servizi impresa, 2003.Piemonte: MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V. (a cura di), Una formazione disuccesso. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali di istruzione e forma-zione professionale in Piemonte 2002 – 2006, 2006; NICOLI D. - COMOGLIO M. (acura di), Una formazione efficace. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentalidi istruzione e formazione professionale in Piemonte 2002-2006, 2008.Puglia: BALDI C. - LO CAPUTO M., L’esperienza di formazione formatori nelprogetto 2003. La riflessività dell’operatore come via per la prevenzione e la curaeducativa degli allievi della formazione professionale iniziale, 2008; LANESE C., Cisono dei posti vuoti in classe. Analisi della dispersione scolastica e linee di inter-vento, 2009.Sardegna: CNOS/FAP Sardegna (a cura di), Repertorio dei profili professio-nali e dei corrispondenti percorsi formativi in Sardegna, 2003; CNOS/FAP (a curadi), Guide metodologiche per l’elaborazione di piani e di percorsi formativi, 2003;CNOS/FAP (a cura di), Il portfolio delle competenze individuali, 2003; CNOS/FAP(a cura di), L’orientamento in Sardegna. Un modello operativo di intervento, 2003.Sicilia: MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFPdel CNOS-FAP e del CIOFS/FP della Sicilia, 2007.Veneto: NICOLI D. - LOZZI M. - CATANIA C. - MALIZIA G., Studio, ricerca, valu-tazione, monitoraggio delle politiche di formazione e istruzione, 2004; FORMAVENETO, Metodologie e strumenti per un nuovo modello regionale di riconosci-mento delle qualifiche nel secondario e per un coerente processo di adeguamentodelle competenze degli operatori della formazione professionale, 2004; CNOS/FAP(a cura di), Rapporto dell’esperienza sull’apprendimento per competenze in 22CFP degli Enti aderenti a Forma della Regione Veneto, 2006 (paper). 63 Lo studio più compiuto ed organico è stato certamente quello sulle LineeGuida per i percorsi di Istruzione e Formazione Professionale. Il testo, facendoriferimento anche ad avanzate esperienze europee, quella francese in particolare,contiene un preciso modello di competenza e di cultura del lavoro, suggerisce per-corsi scanditi da “situazioni di apprendimento”, consegna al formatore una defini-zione rigorosa di traguardi formativi, elabora un preciso iter valutativo del per-corso e dell’offerta, suggerisce una modalità di formazione dei formatori. Rappre-senta il riferimento culturale, metodologico e procedurale per la progettazione e lagestione dei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale in diritto-dovere,dai 14 fino ai 18 anni, come pure dei progetti integrati nelle iniziative del secondociclo degli studi, secondo un approccio rigoroso, coerente con le normative ita-liane e le disposizioni europee, così da delineare una IeFP di qualità. La proposta èelaborata in modo da consentire una sua gestione aperta e flessibile, compresol’apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere come pure forme di alter-nanza più impegnative rispetto ai soli stage. Essa è basata sul concetto di “forma-zione efficace” ed è centrata sui principi del coinvolgimento degli allievi, dellapersonalizzazione, del compito reale, della comunità di apprendimento, del coin-volgimento della società civile. Si tratta di una metodologia che è in grado di met-tere a frutto le “risorse vitali dell’educazione”. La prima è costituita dai giovanidestinatari, che presentano spesso una motivazione legata alla figura professionalescelta, alla possibilità di “imparare facendo”, ma anche al riscatto di una espe-rienza scolastica non raramente problematica; subito connessa a questa vi è il for-matore, una figura decisiva per il successo delle attività di IeFP, con caratteristicheumane, deontologiche, metodologiche e tecniche che lo rendono un modello diriferimento per l’intero sistema educativo; infine, è risorsa decisiva per il successodelle attività formative la presenza di organismi formativi dotati di una propriavocazione e missione educativa e sociale, riferita proprio ad adolescenti e giovaniche si iscrivono alle azioni formative della IeFP al fine di accrescere la propriacultura, apprendere un lavoro, diventare cittadini della società della conoscenza.La missione dell’IeFP consiste nell’offerta di percorsi formativi a carattere profes-sionalizzante, tendenzialmente polivalenti, coerenti con i riferimenti europei (EQFe ECVET), con una tappa triennale ed una quadriennale, riferiti alle necessità delcontesto economico locale, nell’ambito delle prerogative che la Costituzione attri-buisce alle Regioni ed alle Province autonome. I percorsi di IeFP si distinguonoper quattro caratteristiche peculiari: il riferimento ad opere espresse dalla realtàsociale, dotate di una tradizione tale da collocarle in modo stabile nel contesto lo-cale oltre che nazionale; la presenza di un’ispirazione educativa che ne connotal’azione attraverso lo stile della comunità educante, della valorizzazione dei talentie potenzialità dei destinatari e del coinvolgimento dei soggetti del territorio; lavalorizzazione della cultura del lavoro “vitale”, presente nel contesto come situa-zione di apprendimento entro cui svolgere percorsi di valore educativo, culturale eprofessionale; la metodologia attiva tesa a sollecitare il coinvolgimento dei desti- 64 natari attraverso compiti reali così da sollecitare l’apprendimento per soluzionedei problemi e per scoperta.Il quadro delineato, tuttavia, positivo in vari aspetti, è ancora da completare. IlCNOS-FAP si augura che l’impianto normativo della FPI sia portato a termine peril successo formativo dei giovani. Mentre è operativo il primo Repertorio nazionaledelle figure professionali riferito ai principali processi produttivi resta da comple-tare la filiera professionalizzante in modo che si possano creare le condizioniperché i giovani beneficino di una opportunità formativa organica e verticalmentepercorribile, di pari dignità di quella dell’istruzione. Occorre superare, in secondoluogo, la precarietà finanziaria. Oggi i percorsi di IeFP sono sostenuti da finanzia-menti statali, regionali e comunitari ma non sono né stabilizzati né raccordati alladomanda dei giovani e delle famiglie. Solo un finanziamento stabile è rispettosodella domanda di formazione dei giovani. Un’altra lacuna da colmare riguarda ladiffusione geografica di questa offerta formativa. Nelle Regioni del Nord (TrentinoAlto Adige, Veneto, Lombardia, Piemonte) i giovani che, dopo la scuola media,scelgono un percorso di IeFP sono intorno al 10% contro la media nazionale che siattesta intorno al 5% (in Trentino Alto Adige arrivano al 19.1%). Il successo diquesta offerta va attribuito al ruolo sicuramente fondamentale delle relazioni tra si-stema formativo e mondo dell’impresa che ha consentito di poter effettuare pro-poste formative qualificate in termini di competenze tecnico professionali e rispon-denti ai fabbisogni del mondo del lavoro. Questa situazione non trova riscontronelle Regioni del Centro e del Sud, dove la percentuale dei licenziati iscritti ai per-corsi di IeFP è notevolmente inferiore al valore percentuale nazionale con un 3,1%per le Regioni del Centro, un 2,2% per le Regioni del Sud, una percentuale uguale azero in alcune Regioni. Un’ultima criticità è legata al personale impegnato. Accredi-tamento dei CFP e accreditamento dei formatori sono l’ultimo tassello che resta an-cora da definire in modo organico, per far sì che anche la FPI abbia un organico de-finito e specifico per questa particolare offerta. Questi sono gli aspetti, insieme allariforma federale, che la Federazione CNOS-FAP sta monitorando per una soluzionepositiva.3.3.2. L’aggiornamento del CFP polifunzionaleAll’inizio del 1999, la Sede Nazionale CNOS-FAP ha affidato all’Istituto diSociologia FSE-UPS la realizzazione di un’indagine mirata alla rilevazione dielementi della situazione dei Centri della Federazione in riferimento ai requisitirichiesti dal regolamento attuativo della legge 196/97, art. 17, e in vista dellaindividuazione di indicatori di qualità per un CFP polifunzionale (Malizia - Pie-roni, 1999). La Federazione avverte infatti l’esigenza di individuare nuove formedi aiuto e di supporto soprattutto al direttore e alle figure di staff presenti nei CFPo nella Sede Regionale (impegnate in attività di orientamento, coordinamento,analisi, progettazione e valutazione dei fabbisogni), essendo questi i ruoli più co-involti nel processo di cambiamento/rinnovamento. Più in particolare, avendo pre- 65 sente un modello organizzativo di CFP dinamico, orientato al sistema qualità erispondente alla logica dell’accreditamento, si intende elaborare, con la collabora-zione di un gruppo di esperti, un progetto di fattibilità inteso a predisporre un pro-cesso permanente di monitoraggio e valutazione delle attività della FP CNOS-FAP.Dall’indagine emerge che se molto è stato attuato in questi ultimi anni e l’o-biettivo della polifunzionalità si è rivelato una realtà per molti Centri, la fase dicompletamento di certi obiettivi richiede ancora ulteriori sforzi e nuove strategied’intervento. Pertanto, stando ai risultati ottenuti attraverso il rilevamento, si sug-geriscono i seguenti passi da intraprendere, ai fini di una più completa realizza-zione del modello CNOS-FAP di CFP polifunzionale.1) Una prima proposta riguarda il conseguimento della “certificazione” del “si-stema qualità”, con tutti requisiti che tale obiettivo comporta.2) Tra essi va indubbiamente annoverata la introduzione di nuove figure: oltre aquelle che già esistono nella più parte dei Centri vanno previsti (meglio an-cora se come figure di sistema nello staff) il responsabile dei servizi di sicu-rezza ed il responsabile della qualità; non ci si nasconde però che sarannosempre più richieste in un immediato futuro anche quella del responsabiledelle reti informatiche e del coordinatore delle attività di integrazione (invista di una FP indirizzata a vantaggio delle fasce deboli, sempre più ampieed attuali in una società in rapida trasformazione tecnologica), coerentementeanche all’esigenza (avvertita in oltre la metà dei Centri e sperimentata in unaparte degli stessi) di potenziare l’orientamento e le azioni formative a favoredi questi soggetti.3) Un altro passo da compiere in tempi brevi è quello di una sempre più decisaapertura del CFP al territorio così da assumere una piena posizione di colla-borazione, concertazione, integrazione con le varie realtà di riferimento.4) Continuare, come era stato fatto egregiamente fino a quel momento, nell’orga-nizzazione di corsi di formazione per i formatori nelle due principali direttrici:a. corsi per tutti, mirati cioè al costante aggiornamento della formazione dellevarie figure di formatori;b. corsi “ad hoc” per la preparazione di figure specialistiche, con particolareriferimento a quelle da introdurre ex-novo.5) Effettuare un costante monitoraggio sulla “qualità” della formazione erogatanei CFP della Federazione, sulla base di un modello aggiornato di CFP poli-funzionale e di standard minimi di qualità e nel rispetto della giusta autonomiadi ogni Centro.6) Creare una rete informatizzata, in grado di collegare tutti i Centri, così darealizzare una informazione in tempo reale su problematiche emergenti e dasocializzare innovazioni e sperimentazioni in atto.7) Ampliare e/o rendere accessibile a un maggior numero possibile di Centri lapartecipazione a progetti/programmi multiregionali e transnazionali. 66 Sulla base dei risultati di questa ricerca la Federazione ha ritenuto opportunoorientare lo sforzo di rinnovamento soprattutto in tre direzioni: il potenziamento dellaformazione dei formatori, l’attuazione dell’obbligo formativo e del diritto-dovereall’istruzione e formazione e la realizzazione di un modello organizzativo di qualità.3.3.3. Il potenziamento della formazione dei formatoriAnche in questo caso si è partiti con una ricerca che è stata realizzata dalla SedeNazionale del CNOS-FAP nel gennaio-giugno 2000 con lo scopo sia di approfondirela conoscenza della situazione della formazione del personale del CNOS-FAP, sia dielaborare la proposta di un sistema di qualità per una preparazione più adeguatadegli operatori, sia di predisporre un’ipotesi di standard formatori (Malizia - Pieroni- Salatin, 2001). L’indagine evidenzia un posizionamento professionale medio at-tuale più che buono degli operatori CNOS-FAP (in rapporto ad altri enti italiani), masegnala più o meno indirettamente alcune criticità del sistema organizzativo:– una situazione con significative eterogeneità tra gli operatori, sia a livello dipercezione che di situazioni professionale (es. tra Nord e Sud, tra generazioni etra salesiani e non salesiani);– un sistema ancora non adeguatamente orientato all’utenza e al territorio:abituato ad aspettare gli utenti più che ad andare verso di loro (forse perchénon ha mai avuto gravi problemi di domanda e di risorse), non particolarmentepreoccupato di ascoltare (non a caso risultano sottodimensionate le compe-tenze marketing e valutazione);– un sistema non molto aperto e tendenzialmente autoreferenziale, che collaboraancora poco con altri soggetti nel territorio; ciò può essere un limite nella pro-spettiva del “fare rete”;– un sistema non adeguatamente differenziato nei suoi servizi e funzioni: moltofocalizzato sulla erogazione formativa tradizionale con ancora debole presenzadi altri servizi (orientamento, accompagnamento, counselling, ...) e un po’ in-dietro sulle nuove tecnologie didattiche e sulla FAD.Circa il dispositivo formativo proposto, sono condivisibili le indicazioni dellaricerca con un impianto flessibile basato su:– formazione d’ingresso: corso formatori (master di primo ciclo o di secondociclo per i livelli più alti);– formazione in servizio: interventi ricorrenti con attenzione all’identità del-l’Ente e alla formazione comportamentale (in presenza); sviluppo delle for-mule a distanza (moduli FAD) e degli stage all’estero.I dati della ricerca non vanno letti solo in sé, ma anche in rapporto ai trend os-servabili a livello nazionale. A questo livello e in particolare in rapporto allo sce-nario dell’accreditamento degli operatori:– il livello generale degli operatori appare in grado di reggere la copertura dellefunzioni previste e dei relativi standard (c’è anche di più rispetto agli standardminimi); 67 – ci sono segnali incoraggianti di apertura all’innovazione, visto il rilievo datoall’analisi della nuova domanda di formazione implicito nelle risposte relativealla figura del direttore della ricerca;– il modello organizzativo può reggere un orientamento alla qualità senza enormirivoluzioni;– è possibile rilevare inoltre una complementarità tra il rilievo delle competenze“salesiane” (sistema preventivo, carisma pedagogico...) collegate alla “mis-sion” e le competenze professionali richieste.Sulla base di questi dati è stato elaborato un piano con una prospettiva polien-nale. Esso s’inserisce nella missione di servizio della Federazione CNOS-FAP Na-zionale alle sedi locali e dovrebbe integrarsi agli eventuali piani formativi di CFP,ai piani formativi regionali e ai piani formativi individuali, anche in funzione dellaimplementazione delle nuove normative in materia di formazione continua e dellosviluppo della contrattazione collettiva di comparto.Dal punto di vista degli obiettivi, il piano ha carattere strategico e si propone disistematizzare un dispositivo di formazione iniziale degli operatori, in grado diequilibrare le componenti valoriali e professionali, di fornire le linee guida per ilconsolidamento di un dispositivo di formazione permanente in servizio, compati-bile e coerente con i processi d’accreditamento interno ed esterno in atto, e forniredelle proposte di percorsi per l’acquisizione e/o lo sviluppo delle competenze indi-viduate più necessarie dalla ricerca e/o segnalate dai responsabili dell’Ente.Il piano assume come criteri di base metodologici la distinzione tra la forma-zione di ingresso e quella in servizio, di base e specialistica, il principio di intera-zione tra formazione e attività professionale e la pluralità dei modi di formazione(presenziali e non presenziali). Esso muove inoltre dalla consapevolezza della tri-plice articolazione degli interventi a livello nazionale, regionale e locale, pur svi-luppando solo le proposte relative al livello nazionale.Per facilitare la traduzione operativa del piano, si è ritenuto opportuno predi-sporre un catalogo che contenga una offerta formativa permanente e sistematicaper gli operatori, basata sulle buone prassi in atto presso le singole sedi. Più speci-ficamente esso è finalizzato ai seguenti obiettivi:– “sistematizzare la formazione iniziale degli operatori, in modo da equilibrarele componenti valoriali e professionali, soprattutto attraverso la proposta dimoduli ‘comportamentali’;– fornire le linee guida per il consolidamento della formazione permanente inservizio, compatibile e coerente con i processi di accreditamento interno edesterno in atto;– fornire delle proposte di percorsi per l’acquisizione e/o lo sviluppo dellecompetenze più necessarie individuate dalla ricerca e/o segnalate dai responsabilidell’Ente;– mettere a sistema la formazione in atto e quella in fase di progettazione e faci-litare l’accesso alle informazioni disponibili per quanto riguarda le opportunitàdi crescita professionale” (CNOS-FAP - CePOF, 2003, 8). 68 Oggi la formazione dei formatori ha raggiunto una metodologia ed una struttu-razione sufficientemente stabile. Vengono proposte attività corsuali residenziali na-zionali legate soprattutto alla crescita dei settori professionali, attività residenzialilocali connesse in particolare ai bisogni delle varie Delegazioni regionali, attività diformazione per il personale direttivo, attività di formazione a distanza per tutti glioperatori. Il catalogo, nella sua globalità, copre tutti i settori, dall’area pedagogico-salesiana, a quella della dottrina sociale della Chiesa, a quella metodologico-didat-tica, a quella tecnologica.3.3.4. La sperimentazione dell’obbligo formativo e del diritto-dovereSi è trattato di una ricerca-azione che intendeva contribuire allo sviluppo dellaFP contestualmente e in sinergia con la riforma in corso del sistema educativo diistruzione e di formazione (Malizia - Nicoli - Pieroni, 2002). Più specificamente,l’innovazione, a cui l’indagine si è collegata dal momento del suo avvio nel 2000, ècostituita dall’introduzione dell’obbligo formativo fino a 18 anni di età, che ha ri-conosciuto la possibilità (attraverso la Legge 144/99, art. 68) di assolvere tale ob-bligo in percorsi anche integrati di istruzione e formazione:1) nel sistema di istruzione scolastica;2) nel sistema di Formazione Professionale di competenza regionale;3) nell’esercizio dell’apprendistato.Sulla base delle indicazioni legislative, il CNOS-FAP e il CIOFS/FP hannodato vita ad un progetto sperimentale a carattere nazionale che ha occupato 2 anni,il 2000-01 e il 2001-02. Di seguito, alcune delle dimensioni più significative.Anzitutto, l’impostazione seguita integra le esigenze professionali con le cultu-rali e con le educative. In secondo luogo, va sottolineata l’articolazione del modelloformativo in saperi (insieme di nozioni strutturate in una materia/disciplina o areaculturale), competenze (un saper agire o reagire riconosciuto) e capacità personali(il complesso delle caratteristiche, quali tratti, disposizioni, vocazione e attitudini,che il soggetto mette in atto in diverse situazioni e che ne connotano la personalità)(Nicoli, 2000). Questa impostazione tiene conto degli aspetti più validi dei modellidell’IFSOL e della Tecnostruttura delle Regioni e al tempo stesso li supera perchéconsidera i saperi di base, trasforma correttamente le competenze trasversali in ca-pacità personali, arricchisce il gruppo delle competenze professionali e distingue alsuo interno un ambito specifico e uno trasversale. In terzo luogo, viene riconosciutauna rilevanza centrale alle istanze della personalizzazione attraverso i moduli del-l’orientamento, dell’accoglienza e dell’ac-compagnamento.I Centri dell’inizio della sperimentazione sono 73 in tutto e si distribuisconoquasi alla pari tra CNOS-FAP e CIOFS/FP, 41.1% l’uno e 38.4% l’altro, mentre iCentri di Formazione Professionale degli altri Enti costituiscono un quinto del to-tale (20.5%).Tra il 2000-01 e il 2001-02, gli iscritti al 1° anno della sperimentazione sonocresciuti di 234, pari all’8%, passando da 2.915 a 3.149: il dato attesta del successo 69 dell’iniziativa. Nel 2001-02 vanno aggiunti gli allievi del secondo anno, 1.918, percui a regime si raggiunge la cifra di 5.067.Sia nel 2000-01 che nel 2001-02, la grande maggioranza degli iscritti al 1°anno della sperimentazione (70.1% e 68.1%) si trova in una situazione di difficoltàdal punto di vista scolastico in quanto semplicemente “prosciolti dall’obbligo”: nonhanno cioè conseguito la promozione al secondo anno della scuola secondaria su-periore e si sono potuti iscrivere alla FP Iniziale perché al compimento del quindi-cesimo anno di età hanno dimostrato di aver osservato per almeno 9 anni le normesull’obbligo scolastico. Il dato evidenzia ancora una volta i gravi limiti della leggen. 9/99 sull’elevazione dell’obbligo scolastico, in quanto i ragazzi che volevanoiscriversi alla FP erano costretti a un anno di parcheggio nella scuola secondaria su-periore, senza conseguire nessun risultato utile per il loro percorso formativo nep-pure quello del passaggio al secondo anno della secondaria.Passando ad esaminare i flussi degli allievi, si nota che il vero abbandono è in-feriore al 10% dei casi, nel 1° anno, e al 5%, nel 2° anno. Le cifre non sono dram-matiche, ma rimangono significative e devono spingere a trovare le strategie perrendere solo fisiologiche le uscite prima della conclusione. In ogni caso, l’anda-mento complessivo dei flussi, in particolare per quanto riguarda il rapporto allieviritirati/aggiunti, permette di attribuire alla sperimentazione un indubitabile suc-cesso in quanto le perdite, a lungo andare, si sono ridotte già a partire dal 2° anno.Nel 2001-02, i formatori coinvolti nella FPI sperimentale sono 553 e si ripar-tono tra 398 del CNOS-FAP (72%) e 155 del CIOFS/FP (28%).Il gradimento degli allievi relativamente al sperimentazione dell’obbligo for-mativo si situa globalmente sull’“abbastanza” e, in un certo numero di casi, è an-dato pure oltre (anche se non si arriva al “molto”, ci si avvicina ad esso in modo so-stanziale).A sua volta, la soddisfazione dei formatori, si colloca complessivamentesull’“abbastanza” e, in un certo numero di casi, si è spinta oltre.In generale, appare una buona predisposizione degli organismi formativi versouna prospettiva pedagogica orientata alla personalizzazione dei percorsi formativi,con un approccio che privilegia la valorizzazione delle modalità attive quali il labo-ratorio, i compiti reali e non raramente le simulazioni ed i casi di studio. Soprat-tutto l’analisi delle prassi pedagogiche e didattiche rivela una ricchezza di intentied una concentrazione di risorse in direzione di una metodologia completa, orga-nica, ancorata ad un’impostazione educativa, culturale e professionale esplicita.Questo significa che gli organismi indagati – appartenenti alla tradizione “educa-tivo-professionale” – si sono trovati molto a loro agio nel cogliere l’opportunitàdell’obbligo formativo al fine di rilanciare la loro proposta formativa.Emerge anche un notevole investimento degli Enti e dei Centri in tema di meto-dologie didattiche (dopo anni di scarsa applicazione in tale ambito), segno di unatendenza profonda che può portare a frutti importanti per l’intero settore. Nasce intal senso l’esigenza di delineare una modalità di valorizzazione stabile di tale produ- 70 zione, sotto forma di un “Centro risorse educative per l’apprendimento” (CREA),ovvero una struttura di supporto alla didattica (d’aula, alternativa all’aula, mista),che può essere presente in ogni CFP, e nel contempo inserita in una rete nazionale,nella quale concentrare le risorse che consentono di dare vita a processi di forma-zione basati su una strategia attiva. In proposito la Federazione ha avviato subito unapposito progetto a livello nazionale.Gli esiti della rilevazione consentono di evidenziare alcuni punti chiave del-l’impegno dei Centri indagati:a) l’esigenza del rispetto dell’età evolutiva degli alunni nella fase dell’obbligoformativo;b) l’attenzione alla continuità tra i cicli, che favorisca il superamento della dis-persione, e la necessità di una corretta impostazione dell’orientamento;c) l’esigenza di predisporre le condizioni per un’effettiva scelta, da parte deglialunni, dei percorsi di scuola o di FP, che abbiano pari dignità culturale, edu-cativa e professionale, a partire dal termine della scuola secondaria di I grado,con inizio dal 14° anno di età, analogamente a quanto avviene in quasi tutti ipaesi europei.In conclusione, la ricerca ribadisce l’importanza della FP come percorso alter-nativo alla scuola, al pari di questa capace di accompagnare gli allievi verso ilconseguimento di obiettivi educativo-formativi e, quindi, all’acquisizione di una“Qualifica professionale” e di un “Diploma professionale” e, attraverso corsi trien-nali di formazione tecnica superiore, un “Diploma professionale superiore”. La ri-forma Moratti accoglie questa istanza. Dopo la sperimentazione dell’obbligo for-mativo la Federazione CNOS-FAP si è impegnata nel monitoraggio della sperimen-tazione dei percorsi triennali e quadriennali di qualifica e di diploma professionale icui esiti sono documentati nel paragrafo precedente, il 3.3.1.3.3.5. Il modello organizzativo: l’accreditamento interno e la certificazioneAnzitutto, è bene iniziare con una chiarificazione delle parole del titolo dellasezione che, però, non è solo terminologica. L’accreditamento costituisce una atte-stazione di “parte seconda”, in particolare dell’Ente pubblico che il CFP adempie aun complesso di requisiti riguardanti la struttura organizzativa e gestionale, i pro-dotti e i servizi (Nicoli, 2000). In proposito, è anche opportuno distinguere tra: l’ac-creditamento interno o associativo che mira a verificare la conformità delle moda-lità di funzionamento e degli esiti della singola agenzia formativa rispetto ad unmodello di riferimento autodefinito, dato ad esempio dall’associazione a cui si ade-risce; e l’accreditamento esterno, che intende valutare il rispetto di alcuni standardminimi normativamente definiti – sul piano delle strutture, del funzionamento e/odegli esiti – come condizione per l’accesso a finanziamenti e/o alla distribuzione dirisorse; il modello di qualità assunto a riferimento, infatti, viene definito da unafonte normativa a livello locale o nazionale (ad esempio MPI o Regioni) (Maliziaet al., 2001). A sua volta, la certificazione esterna che è un atto di “parte terza”, 71 cioè di un organismo indipendente rispetto al committente delle azioni formative eal cliente, mira a verificare la conformità delle modalità di funzionamento e degliesiti della singola agenzia formativa rispetto ad un modello di riferimento definitoda una fonte normativa esterna (vedi, ad esempio, le norme internazionali ISO).L’accreditamento interno si giustifica alla luce di una precisa volontà, tesa adattivare entro un’organizzazione a rete (associazione, federazione...) un processo diadeguamento delle parti, che la costituiscono, a requisiti organizzativi e/o gestio-nali e/o qualitativi (Nicoli, 2000; Malizia et al., 2001). Esso si configura perciòcome uno strumento per governare cambiamenti finalizzati a omogeneizzare orga-nizzazioni a rete e a potenziarne l’efficacia specialmente quando i cambiamentiriguardano aspetti fondamentali dell’organizzazione. Il tutto in vista di tramandaree sviluppare la “mission”, il carisma e la qualità dei servizi erogati dall’ente; inoltreha il vantaggio di poter essere delineato come patto tra soggetti che sostiene la for-mazione di ispirazione cristiana.A fronte dei criteri esposti, vanno richiamate le condizioni essenziali che de-vono sussistere per l’efficacia del processo: in primo luogo dovrà essere presente all’interno dell’Associazione la consape-volezza della necessità di un cambiamento rispetto alla situazione organizza-tiva e gestionale attuale; essa costituisce una condizione indispensabile per av-viare e sostenere il processo; in secondo luogo è strettamente necessaria una forte motivazione a livello lo-cale, da parte del direttore e dei responsabili di funzioni degli organismi for-mativi, tesa ad avviare il percorso di accreditamento associativo. Questa rap-presenta infatti una garanzia insostituibile per la sostenibilità e l’efficacia delprocesso di accreditamento associativo che si intende realizzare; in terzo luogo è molto importante “ancorare” il processo di accreditamento adun progetto specifico predisposto per risolvere un problema impellente (adesempio la realizzazione della riforma Moratti). Questa condizione consentedi focalizzare l’attenzione di tutto il personale coinvolto che, lavorando su unproprio problema, avrà sempre presente il senso e l’utilità del processo di accre-ditamento.Gli obiettivi del processo possono essere identificati nei seguenti:a. guidare e accompagnare il processo di cambiamento indispensabile per affron-tare la nuova impostazione del centro e dei suoi processi/prodotti più impor-tanti e strategici;b. sviluppare negli organismi formativi associati un modello efficace e condivisodi gestione della qualità della formazione;c. anticipare l’accreditamento esterno e preparare le condizioni in modo da po-terli conseguire con il minimo sforzo;d. attivare tra gli organismi associati il processo di costruzione di una rete basatasull’obiettivo comune di realizzare prodotti formativi di qualità per soddisfaresia il committente che gli utenti; 72 e. mettere a disposizione dei Centri gli orientamenti comuni per realizzare unpercorso di certificazione conforme alle linee guida della politica della qualitàdella Federazione.In concreto riguardo a quest’ultimo punto, come modello concettuale di riferi-mento è stata adottata l’impostazione E.F.Q.M., proposta dalla “European Founda-tion for Quality Management”. Tale scelta si giustifica per diverse ragioni. Anzitutto,si tratta di un modello conosciuto e diffuso, basato sui risultati positivi di molte espe-rienze e soprattutto sul principio della qualità totale e della centralità della personaall’interno dell’organizzazione; inoltre, esso facilita l’apprendimento del linguaggiodella qualità e l’avvio di un processo continuo e graduale di miglioramento.Ancora più importante è richiamare il quadro dei criteri ispiratori della politicadella qualità della Federazione che si può ritrovare nella Carta dei valori salesianinella formazione professionale, un documento già quasi del tutto definitivo chedovrà sostituire la Proposta Formativa dell’Ente. In questo testo si afferma che“L’educazione salesiana ha come fondamento il ‘Sistema Preventivo’ di don Bosco,basato sulla religione, la ragione e l’amorevolezza. Da questo ‘sistema’ scaturisceuna forza morale che lega educatore e educando, coinvolge la famiglia del giovanee fa vivere tutti in un clima fortemente umano e cristiano. In questo clima, l’educa-tore ha sul giovane un’autorità morale, e la sua azione è indirizzata unicamente adaiutare il giovane. [...]La Formazione Professionale salesiana non ha come traguardo ultimo il buonfunzionamento della società (‘collocare la persona giusta al posto giusto’). Il gio-vane infatti non è una formica nel formicaio né un mattone nell’edificio di unacasa. È una persona libera, che tende alla sua realizzazione ed alla felicità. La so-cietà, infatti, sarà una buona società solo se formata da uomini liberi, responsabili eprofessionalmente validi. Non è quindi una formazione ‘collettiva’, ma fortemente‘personalizzata’, in cui ciascuno ha spazio per pensare liberamente e prepararsi arealizzare la propria vita.[...]I Salesiani sono convinti che i valori debbono essere testimoniati ‘insieme’, inun clima di famiglia. È questo ambiente, infatti, che prepara al ‘lavorare insieme’,che è la principale caratteristica della nuova organizzazione del lavoro, orientataalla piena valorizzazione delle risorse umane. [...]Una buona Formazione Professionale esige un sistematico servizio di orienta-mento, che favorisce nel giovane la capacità di scegliere il suo avvenire professio-nale. Il servizio lo aiuta a conoscere innanzitutto se stesso, le proprie attitudini einclinazioni, il mondo del lavoro e delle professioni, permettendogli di scegliere ilprogetto per il proprio futuro e, insieme agli educatori, il modo migliore per realiz-zarlo. [...]Un orientamento così inteso non si limita ad intervenire nei momenti delledecisioni, ma si concretizza in un ‘cammino educativo’ che accompagna il giovanenel suo sviluppo, tenendo costantemente presente la sua crescita personale ed il suoinoltrarsi attraverso momenti delicati della sua vita e del suo lavoro. [...] 73 Per offrire al giovane il miglior servizio possibile, la strategia del Centro puntaai seguenti obiettivi:– il giovane e la sua famiglia sono coinvolti nello svolgimento del progetto e neesprimono il livello di soddisfazione;– gli operatori garantiscono la propria qualificazione e la condivisione del pro-getto formativo; la loro presenza e la loro competenza previene le difficoltà,risolve i problemi che si presentano, migliora il livello del lavoro e della vitadei giovani;– le strutture, la tecnologia, gli strumenti del Centro di Formazione Professionalesono costantemente aggiornati;– il contatto con il mondo delle imprese e, più in generale, con gli altri servizidel territorio (Scuole, Servizi per l’impiego, ...), è intenso e continuo;– il ‘know-how’ è progressivamente migliorato” (CNOS-FAP, 2003, 5-7).Sul piano operativo, in base ai risultati delle due indagini citate sopra riguar-danti la realizzazione del CFP polifunzionale e la formazione dei formatori, la Fe-derazione ha elaborato nel 2001 un modello di accreditamento interno e il relativoprogetto di fattibilità e iniziato il processo per la sua realizzazione, assicurando aogni Centro un apposita consulenza. Tuttavia, a livello regionale ha assunto sempremaggiore importanza l’attuazione di un sistema qualità dei CFP in prospettiva ISO9000:2000, finalizzato alla certificazione e nel quadro dell’accreditamento esterno.Nel 2002 si è continuato nella strada intrapresa. Pertanto, si è costituito un co-mitato tecnico-scientifico nazionale per garantire l’esame critico dei documenti eproporre miglioramenti e si è anche creato un gruppo di lavoro per la definizionedegli standard delle sedi formative. L’intervento più significativo in questo ambitoè consistito nella preparazione di una guida interpretativa della vision 2000 e so-prattutto nella elaborazione di un manuale di qualità di 1° livello di cui si sta cu-rando l’attuazione contestualizzata nei diversi centri del CNOS-FAP in base a unpiano di consulenze. Lo scopo ultimo di questa operazione è costituito dalla certifi-cazione complessiva di tutta la Federazione che si è quasi completamente realizzatadurante la prima decade degli anni 2000.Un percorso quasi contemporaneo è stato compiuto per l’accreditamento dellesedi orientative. Nel campo dell’orientamento la Federazione si è avvalsa tradizio-nalmente della preziosa azione dei COSPES. Nonostante l’impegno del CNOS-FAP,questi sono diffusi in maniera disorganica sul territorio nazionale, mentre la norma-tiva richiede che in ogni Regione esista un sistema di orientamento realizzato attra-verso la creazione di sedi orientative accreditate. Si è pertanto elaborata una pro-posta che si caratterizza per un impianto ispirato ai principi educativi della Carta deivalori e che si presenta “come intervento di accompagnamento e sostegno della per-sona lungo l’intero arco della vita” (CNOS-FAP, 2002, 9). Attualmente la Federa-zione sta promuovendo il sorgere di sedi orientative in ogni Regione attraverso unservizio di consulenza sulla base di una apposita Linea Guida scritta con il coinvol-gimento di esperti e operatori dell’Orientamento (Linea Guida, 2010). 74 4. IL RETAGGIO DI QUESTO PRIMO PERIODO È tutt’altro che semplice delinearlo perché le iniziative sono state davvero nu-merose e le linee di azione risultano diversificate e complesse. C’è anche il rischiodi una notevole soggettività dato che mancano studi storici adeguati e soprattuttomanca il distacco necessario dagli eventi considerati. Al tempo stesso ci sembradoveroso fare un tentativo di redigere un bilancio, focalizzando l’attenzione sugliaspetti positivi perché sono quelli più utili per costruire un futuro altrettanto (e sepossibile anche più) luminoso del passato e del presente. 4.1. Una crescita quantitativa tendenzialeNei primi quindici anni (1977-78/1991-92) l’aumento del sistema di FP delCNOS-FAP con qualche eccezione è stato in generale costante, ma al tempo stesso èrimasto entro limiti contenuti: infatti, si è restati in una fascia compresa tra il 10 e il30% (cfr. Tav. 1). Sono stati i corsi ad espandersi maggiormente, del 29.9%, passandoda 411 a 534 e facendo quindi registrare una crescita in valori assoluti di 123. Anche iformatori registrano un andamento in costante aumento (+161 in valori assoluti),anche se percentualmente più contenuto dei corsi (+22.6%). Gli allievi presentano unabattuta di arresto tra il 1981-82 e il 1986-87 nel senso che si riscontra una crescitazero (numeri indici 104.8 e 104.7 rispettivamente); comunque, nei quindici anni l’au-mento è di 1.816, pari al 20.3% in percentuale. A loro volta, i centri sono in crescita,anche se solo di tre, da 36 a 39, e dopo aver registrato nel 1986-87 un aumento di 6. Tav. 1 – Evoluzione del sistema di FP del CNOS-FAP (anni scelti: in VA e IND) Legenda: VA=Valori Assoluti; IND=Numeri IndiciFonte: Rielaborazione su dati CNOS-FAP Il primo balzo in avanti si realizza nel 1996-97 con gli allievi che cresconodella metà (+53%; o +4.375 soggetti) rispetto all’anno della fondazione della Fe-derazione; tra il 1996-97 e il 2001-02 continua l’espansione di un altro 50% percui al termine dei 25 anni gli iscritti risultano più che raddoppiati (+106.3%, o+9.498). L’aumento è ancora maggiore nei corsi che tra il 1977-78 e 2001-02 sonoquasi triplicati, essendo saliti da 411 a 1.125 (+714). Nel 1996-97 i Centri ritor-nano sui valori del 1986-87, 42 unità, e nel 2001-02 si attestano su 54 con un saltodel 50% (+18) rispetto agli inizi. In questo secondo periodo (1991-92/2001-02),l’andamento dei formatori è al contrario molto contenuto e tra il 1991-92 e il1996-97 la crescita è pressoché zero, anche se poi nel quinquennio successivol’aumento supera il 40% e nei 25 anni si colloca al 64.8%, pari a 463. Sistema di FP del CNOS-FAP 1977-78 1981-82 1986-87 1991-92 1996-97 2001-02 VA IND. VA IND. VA IND. VA IND. VA IND. VA IND. Centri 36 100.0 40 111.1 42 116.7 39 108.3 42 116.7 54 150.0 Corsi 411 100.0 448 109.0 477 116.1 534 129.9 698 169.8 1.125 273.7 Allievi 8.937 100.0 9.365 104.8 9.354 104.7 10.753 120.3 13.672 153.0 18.435 206.3 Formatori 714 100.0 777 108.8 827 115.8 875 122.6 880 123.2 1.177 164.8 75 Tav. 2 – Tipologia di attività formative e di allievi (anno 2001-02; in VA e %) Legenda: VA=Valori Assoluti; %=PercentualiFonte: Rielaborazione su dati CNOS-FAP Nel 2001-02 (cfr. Tav. 2) oltre la metà degli allievi della Federazione (53.5%)frequentano corsi che in base alla terminologia della riforma Moratti possiamochiamare di secondo ciclo: specificamente, più di un terzo (36.3%) è iscritto allaformazione iniziale, il 10.7% ai corsi dell’obbligo scolastico in integrazione con lascuola e il 5.4% a corsi in integrazione con la media superiore. Un 10% quasi(8.8%) è collocato nella formazione superiore: il 7.8% nel post-diploma e l’1%negli IFTS. Il 35.8% è impegnato nella formazione sul lavoro: apprendistato(13.9%) e formazione continua di occupati e disoccupati.Gli allievi della fasce deboli sono 343, pari al 2% circa. In sintesi, intorno aglianni 2000, si può dire che i CFP del CNOS-FAP sono diventati polifunzionali, pre-sentano cioè un’offerta formativa molteplice, e al tempo stesso hanno conservato laloro tradizionale attenzione alla fascia 14-18 anni.L’anno formativo 2003-04 è l’anno dell’inizio della sperimentazione dei per-corsi formativi triennali in tutte le Regioni.La Federazione CNOS-FAP, in quell’anno segna una ulteriore crescita soprat-tutto nella Formazione Professionale Iniziale realizzando 1.300 corsi di cui quasi600 nella FPI e servendo 21.561 allievi di cui oltre 6. 000 in età tra i 14 e i 18 anni.Una ulteriore espansione si è registrata nell’anno formativo 2005-06, l’annodella massima espansione formativa.I corsi formativi realizzati sono stati 1.503 di cui 713 nella FPI e 20.409 allievidi cui quasi 14 mila in età tra i 14 e i 18 anni.All’aumento delle attività è corrisposta anche la crescita delle sedi che erano60 nell’anno formativo 2003-04 e 61 nell’anno 2005/2006.Scelte politiche regionali restrittive hanno avuto riflessi consistenti anche sulleattività della Federazione CNOS-FAP, determinando la chiusura di molte sedi ope-rative e la contrazione delle attività in varie Regioni quali la Sardegna, l’Abruzzo ela Calabria.Sulla base dell’ultima rilevazione, anno 2009-10, la Federazione CNOS-FAPsvolge 1.173 corsi di cui 646 nella FPI, coinvolge 21.100 allievi di cui 12.500 circain età tra i 14 e i 18 anni, 1.336 operatori, di cui 853 a tempo indeterminato. LaTav. 3 mostra l’andamento di quest’ultimo periodo rispetto ai corsi e agli allievi: Tipologia di attività formative Corsi Allievi VA % VA % Obbligo scolastico 120 10.7 2.179 11.8 Formazione iniziale 392 34.8 6.687 36.3 Integrazione scuola media superiore 58 5.1 994 5.4 Fasce deboli 30 27 343 1.9 Apprendistato 161 14.3 2.561 13.9 Postdiploma 65 5.8 1.441 7.8 Ifts 9 0.8 187 1.0 Formazione continua occupati e disoccupati 290 25.8 4.043 21.9 Totale 1.125 100.0 18.435 100.0 76 Tav. 3 – Tipologia di attività formative e di allievi (anni 2003-04/2009-10; in VA) LegendaVA=Valori AssolutiCorsie Allievi=si tratta dell’intera attività formativaCorsi di FPI e Allievi di FPI=si tratta solo dei corsi rivolti a giovani tra i 14 e i 18 anni e dei relativi allieviFonte: Rielaborazione su dati CNOS-FAP Mutuando da una terminologia diffusa nella scuola italiana, i settori produttivisono ordinariamente classificati in settore primario, secondario e terziario. A questisi aggiunge sempre più spesso un “quarto settore”, detto anche “terziario avan-zato”. La Federazione CNOS-FAP e le scuole a indirizzo tecnico-professionalesono presenti nei vari settori produttivi ma si sono storicamente consolidate soprat-tutto nei settori industriale e terziario avanzato, privilegiando, di questi, soprattuttogli aspetti formativi relativi al campo meccanico, elettrico-elettronico, grafico-mul-timediale e informatico. Oggi la Federazione è attiva con percorsi di durata trien-nale, quadriennale e con la formazione attivata nell’istituto dell’apprendistato. Laproposta della Federazione si completa con quella del CNOS/Scuola operantenei medesimi settori con percorsi quinquennali e, nei campus, anche con lauree di1° livello in “Ingegneria meccanica”, “Ingegneria elettrica” e in “Scienze e tec-niche della comunicazione”. 4.2. L’impegno per un sistema paritario di FPIn questo caso, si farà riferimento alle parole di uno dei Presidenti del CNOS-FAP che più si è battuto per la realizzazione di tale impegno. Una delle linee fon-damentali costanti della politica della Federazione è consistita nella “piena valo-rizzazione della formazione di base di primo livello, innovandola fortemente,come risposta alle esigenze di una larga fascia di giovani che non accedono allascuola secondaria superiore o sono emarginati dal sistema scolastico, e comeautentica risorsa per elevare la qualificazione dell’operaio e renderlo capace dirinnovamento.A questo scopo si desidera fare della formazione professionale un vero e pro-prio sistema4 [...] che, nel quadro della formazione permanente, preveda interventidi primo, secondo e terzo livello, e rientri periodici per mettere il lavoratore ingrado di affrontare i cambi sempre più incalzanti” (Rizzini, 1988, 176; cfr. ancheEditoriale, 1987 e 1999). 4 Il corsivo è nostro. Attività formative 2003/04 2004/05 2005/06 2006/07 2007/08 2008/09 2009/10 Corsi 1300 1300 1503 1495 1295 1061 1173 Corsi di FPI 540 647 713 766 598 614 646 Allievi 2003/04 2004/05 2005/06 2006/07 2007/08 2008/09 2009/10 Allievi 20.561 21.343 26.409 25.932 20.609 18.779 20100 Allievi FPI 8842 11.422 13.206 14.057 10.369 12.203 12.620 77 Nel libro “Tutta un’altra scuola. Proposte di buon senso per cambiare i sistemiformativi” pubblicato nel 2005, venivano riportati alcuni “punti nodali” che dove-vano essere sciolti, a giudizio degli autori, per ammodernare il sistema scolastico eformativo italiano (Campione - Ferratini - Ribolzi). Alcuni di questi nodi, quali ladurata dell’obbligo scolastico, il potenziamento del cosiddetto “secondo canale”, laportata del “successo formativo”, le problematiche legate alle “competenze istituzio-nali” sono stati oggetto di acceso dibattito politico e di interventi normativi in questodecennio ed hanno portato a soluzioni che stanno influendo in vario modo sulla de-finizione dell’intero sistema educativo di istruzione e formazione del nostro paese(Campione - Ferratini - Ribolzi, 2005). In questo scenario di dibattito la FederazioneCNOS-FAP si è impegnata ad essere sempre presente con proprie proposte. Nellapresente sede ci limitiamo solo a richiamare con titoli quanto abbiamo espostoanche precedentemente. La Federazione, fedele all’idea della FP da intendere comesistema, ha sempre agito per far sì che la FPI, in Italia, costituisse una strategia perfronteggiare la dispersione scolastica e formativa, una formazione alla cittadinanza ealla occupabilità, un percorso distinto da quello scolastico ma equivalente negliobiettivi da raggiungere, la base di una filiera formativa progressiva e verticale nel-l’ottica della formazione per tutto l’arco della vita e aperta ai possibili passaggi daun sistema all’altro, un tassello del sistema europeo dei titoli e delle qualifiche, unapporto della società civile ed espressione della sussidiarietà orizzontale, una pro-posta concreta di pastorale giovanile ecclesiale, oltre che salesiana. 4.3. I giovani e la formazione integraleUn primo criterio ispiratore dell’azione della Federazione nei 30 anni trascorsiconsiste nella visione unitaria del giovane destinatario dei nostri interventi, senzadicotomie tra cultura e pratica, fra intelletto e corpo, fra rapporti personali e presta-zioni, tra contenuti e tecnica (Van Looy - Malizia, 1998). Ciò ha permesso di deli-neare un iter formativo in cui lo sviluppo cognitivo, quello tecnico, quello socio-politico e quello morale e religioso non costituiscono comportamenti stagni, masono tra loro fortemente intrecciati in modo da contribuire alla crescita della capa-cità della persona di accostare in modo attivo e maturo la realtà.È un orientamento che ha portato a potenziare nell’attività formativa i processidi personalizzazione in modo da educare soggetti solidi, maturi, consapevoli e ca-paci di assumere responsabilità sociali e professionali conformi alla propria voca-zione. Per affrontare in modo vincente le sfide della “infosocietà” non basta unapreparazione tecnico-professionale adeguata, ma i giovani devono essere capaci di:pensare in modo autonomo e critico; essere intellettualmente curiosi; instaurarerapporti positivi e stabili con gli altri, intrecciando con essi un dialogo fecondo, va-lorizzandoli, collaborando in progetti comuni; risolvere i conflitti; gestire il cam-biamento con originalità e libertà; vivere la vita come vocazione e servizio.La personalità che si è intesa sviluppare in modo globale non coincide con unio separato o isolato rispetto alla comunità e al contesto di appartenenza. La sogget- 78 tività, se rimane ripiegata su se stessa, può trasformarsi in un impedimento alla for-mazione integrale proprio perché manca l’apporto dell’altro. Al contrario il pro-cesso educativo deve tradursi in un iter in cui ciascuna individualità cresce con egrazie a quelle di tutti i soggetti con i quali si entra in relazione: infatti, per liberarsidel proprio centrismo è necessario assicurare un incontro dinamico tra differenze.Se orientare significa porre l’individuo in grado di prendere coscienza di sé edi progredire per l’adeguamento dei suoi studi e della sua professione alle mutevoliesigenze della vita, si capisce la stretta connessione dell’orientamento con la matu-razione della personalità e anche l’importanza di una riaffermazione delle suecaratteristiche in chiave pedagogica e salesiana (Editoriale, 1994a e 1998). Gliallievi della FP, sia per l’età che per la condizione di svantaggio in cui molti si tro-vano, hanno bisogno di tale accompagnamento da vicino, rispettoso e al tempostesso propositivo, che li aiuti a conoscere le loro potenzialità, che li guidi nellacomplessità della realtà sociale, che li sostenga nella elaborazione di un progetto divita come servizio agli altri secondo la propria opzione vocazionale. L’obiettivofinale è la costruzione dell’identità personale e sociale del soggetto in un adeguatoprogetto di vita, inteso come compito aperto alla realtà comunitaria e sociale, ecome appello all’attuazione dei valori che danno senso alla vita. Passando più nellospecifico, si è trattato di avviare alla ricerca della identità, di formare alla proget-tualità e all’autonomia decisionale e di far acquisire una maturità professionaleadeguata che permetta di combinare sapere, saper essere, saper fare.Un ulteriore passaggio, piuttosto recente, è stato quello di assumere la qualitàcome criterio ispiratore dell’attività formativa (ISFOL, 2003, CNOS-FAP, 2008).A questo punto è opportuno richiamarne le dimensioni principali.a. La qualità pedagogica e didattica salesianaLa qualità pedagogica del percorso di formazione, sia esso tecnico che pro-fessionale, pone la persona al centro dell’attenzione educativa: il giovane vieneaccolto così come è. La pedagogia salesiana dà particolare attenzione alla personache è portatrice di valori etici, di potenzialità cognitive ed affettive, di progetti.Facendo leva su queste potenzialità i formatori e i docenti formano questa personaad inserirsi nella società e nel mondo del lavoro in maniera attiva e critica, forte diuna coscienza di cittadino e di lavoratore, attento e aperto alla complessità della so-cietà italiana, europea e mondiale. Tutto ciò prende forma in un progetto educativoe formativo, che tiene conto dei tempi, dei modi e dei ritmi di apprendimento chesono propri di ciascuno per assicurare a tutti il successo formativo.La qualità pedagogica ispira e stimola la qualità didattica. Qualità didatticasignifica, per i Salesiani, curare in modo particolare tre aspetti:– l’orientamento alle competenze che tende ad assicurare un insieme integratodi conoscenze, abilità, competenze, valori, atteggiamenti e comportamenti,finalizzato al conseguimento di una qualifica professionale o di un diploma distato; 79 – l’apprendimento attraverso il fare che consente agli allievi e agli studenti, rea-lizzando “capolavori” di progressiva complessità, di sperimentare attivamentele proprie competenze anche attraverso l’errore, di collegare l’operatività alsapere e al saper essere, di ritrovare il senso dell’apprendere e di riflettere sul-l’esperienza compiuta;– la pluralità dei contesti di apprendimento che superano di gran lunga l’uso po-vero dell’aula e del laboratorio perché valorizzano anche le opportunità forma-tive che provengono dal mondo del lavoro e dal territorio.b. La qualità dei risultati: una proposta di “valutazione”La valutazione è, in primo luogo, un processo formativo che riguarda gli al-lievi e gli studenti che sono aiutati a prendere coscienza del raggiungimento degliobiettivi di apprendimento, dei miglioramenti compiuti, delle risorse attivate e delledifficoltà incontrate. La valutazione è, in secondo luogo, un processo formativo cheriguarda il servizio stesso che è spinto ad un miglioramento continuo rispetto agliobiettivi raggiunti, le strategie adottate, i mezzi messi in campo.c. La qualità dell’organizzazione a sostegno del progetto educativoÈ sempre questa visione di qualità a spingere i Salesiani a pensare all’organiz-zazione del CFP o della scuola non come una “agenzia”, ma come luoghi di appren-dimento e comunità educative strutturati in modo da favorire la partecipazione el’iniziativa degli allievi e delle famiglie. Sono anche centri di servizi che offrono,oltre che istruzione e formazione, anche orientamento, accompagnamento al lavoro,aggiornamento continuo. Data la complessità delle funzioni formative ed educative,l’équipe formatrice è composta di diverse figure professionali di sistema, chiamatetutte ad agire all’interno del progetto educativo.d. La qualità del ciclo di vita del processo formativoOgni CFP o ogni scuola a indirizzo tecnico corre, nel tempo, il pericolo del-l’autoreferenzialità. Per prevenirlo, i Salesiani, in primo luogo, verificano che lapropria offerta sia una risposta ai bisogni del territorio, oltre che dei giovani; cura,in secondo luogo, una rete di relazioni che agevolano i giovani nel loro diritto dicompiere scelte anche reversibili e nell’apprendimento che, oggi, è sempre più per-manente e aperto, cioè dato anche dai contesti non formali e in formali e non soloformali. 4.4. Il modello organizzativo del CFP polifunzionaleUna società sempre più complessa come l’attuale richiede che le persone ven-gano preparate ad affrontare le esigenze che da questa situazione derivano (VanLooy - Malizia, 1998). Le organizzazioni formative e in particolare i formatori, nonpotranno più accontentarsi di contenuti e di processi consolidati e in parte ripetitivi,ma dovranno divenire attori capaci di gestire la diversità, la varietà e il cambio. Daquesto punto di vista, grande è stato l’impegno del CNOS-FAP per preparare gli 80 operatori a lavorare sempre più per progetti anziché per programmi, per obiettivianziché per procedure, per processi anziché per routine.Nella società dell’informazione la trasmissione delle conoscenze da parte delformatore perde di priorità a motivo dell’apporto molto significativo che può essereofferto dalle nuove tecnologie, mentre egli è chiamato sempre di più a svolgereun ruolo di mediazione tra l’educando e le informazioni per aiutare quest’ultimo aintegrarle in un quadro sistematico di conoscenze. La sua funzione consiste più nelformare la personalità degli allievi e nell’aprire l’accesso al mondo reale che nonnel trasmettere nozioni programmate, più nel fare da guida alle fonti che non nel-l’essere lui stesso fonte o trasmettitore di conoscenze. Nei Centri questa transizioneè in atto, anche se è tutt’altro che compiuta.Circa la funzione/figura del dirigente va accettato anche nei nostri CFP l’allar-gamento che la riflessione e l’esperienza propongono in questo ambito: essa com-prende oltre agli aspetti pedagogici e di animazione, anche compiti di natura mana-geriale. La funzione/figura del dirigente deve avere come terreno di azione un’areaqualificata dalla compresenza di amministrativo e di educativo e della finalizza-zione dell’organizzativo a sostegno dell’azione educativa. In particolare, il diri-gente è chiamato a potenziare il clima dei rapporti con i docenti in tre direzioni:l’instaurazione di un’atmosfera di familiarità, il riconoscimento di una giusta auto-nomia al personale, l’attribuzione ad esso di un posizione di corresponsabilità nellavita dei CFP.Il rinnovamento e il potenziamento del ruolo del dirigente si inserisce inun progetto più ambizioso finalizzato alla diffusione nei Centri della Federazionedi una nuova cultura organizzativa ispirata a un modello progettuale, coordinato/integrato, aperto e flessibile. Questo significa che la progettazione degli interventidovrebbe consentire alla comunità formativa di identificare la domanda sociale diformazione, di fissare gli obiettivi dei propri interventi in relazione alle esigenzedel contesto, di elaborare strategie educative valide in risposta al territorio, di valu-tare la propria attività in rapporto alle mete che ci si è posti. A loro volta, coordina-mento e integrazione vogliono dire essenzialmente sincronizzazione e armonizza-zione delle azioni di un gruppo di persone e delle attività di tutte le articolazioni diuna organizzazione in vista del raggiungimento di mete condivise; si tratta di favo-rire la combinazione più efficace degli sforzi dei singoli individui che compongonoun gruppo o di più sottogruppi di un’organizzazione più ampia. L’esigenza del-l’apertura al contesto si basa sulla considerazione che i Centri possono conservarsisolo sulla base di un flusso continuo di risorse da e per l’ambiente per cui loscambio con il contesto costituisce il meccanismo fondamentale che consente ilfunzionamento dell’organizzazione. Nonostante il riferimento a un modello, l’orga-nizzazione deve rimanere flessibile nel senso che la realizzazione del modello puòessere la più varia mentre tutto dipende dalle particolari condizioni di ogni CFP percui si può andare da un’attuazione molto elementare alla più complessa; quello cheva assicurato in ogni caso è la presenza in ciascun CFP delle funzioni e non delle 81 figure e, nel contesto territoriale, delle necessarie unità specialistiche di supporto.Accreditamento interno e certificazione hanno costituito e stanno offrendo un’op-portunità formidabile di rinnovamento della cultura organizzativa dei CFP delCNOS-FAP.Pertanto un impegno fondamentale è stato ed è quello di migliorare la forma-zione iniziale e in servizio del personale, in particolare per quanto riguarda gliaspetti salesiani. Sullo sfondo il criterio guida è quello di preparare il personale arispondere in modo sempre più efficace ai bisogni complessi, vari e mutevoli deidestinatari dei nostri CFP. Più immediatamente un progetto di formazione in ser-vizio va calibrato sulle esigenze dei formatori considerati non come utenti anonimi,standard, ma come persone concrete con le loro attese specifiche. 4.5. Il processo di insegnamento-apprendimentoAnzitutto, va notato il progressivo allargamento dell’offerta a tutte le categoriedi persone che richiedono interventi specifici di formazione professionale senzalimitarsi ai giovani (Van Looy - Malizia, 1998). Le caratteristiche dell’attuale svi-luppo economico, in particolare il ritmo elevato di cambiamento e l’esigenza dilivelli più alti di competenze, hanno portato a questo ampliamento dei destinatariche, tuttavia, rientrano sempre in quelle classi popolari che sono oggetto della no-stra missione. L’allargamento degli utenti si è accompagnata anche a un amplia-mento della gamma dei settori della FP offerta dalla Federazione.Il nuovo ciclo economico rinvia a una nuova professionalità in cui predominail lavoro pensato, fatta cioè di competenze più avanzate, di conoscenze più teori-che, di caratteristiche più spinte di riflessività, di libertà, di risposta, di adattamentoe di controllo. La ricaduta sulla formazione è chiara: si esige una formazione dibase più solida che comprenda un bagaglio di cognizioni tecnico-scientifiche piùsofisticate, capacità di pensiero astratto più elevate, disponibilità alla formazione ri-corrente, possesso di abilità organizzative, progettuali, e di innovazione, capacità disapersi relazionare con gli altri e di saper affrontare il cambiamento, senza farsi tra-volgere, ma conferendo ad esso un significato umano e ponendolo al servizio dellosviluppo individuale e sociale. La nuova domanda di formazione del sottosistemaeconomico ha portato i Centri salesiani a rafforzare la formazione della capacità diadeguarsi e di dominare il ritmo accelerato del cambio tecnologico e scientifico.Il potenziamento del processo di insegnamento-apprendimento dei nostri CFPè stato collocato nel quadro dell’innovazione pedagogica degli ultimi anni. Più inparticolare questa richiede una maggiore integrazione tra momenti formativi istitu-zionalizzati e momenti formativi informali in una prospettiva globale di educazionepermanente e differenziata. La FP ha adottato le metodologie proprie di una peda-gogia dei diversi e della differenza.La FP salesiana si caratterizza per alcune scelte di campo sul piano metodolo-gico che vanno conservate. Anzitutto va ricordata l’attenzione al valore educativodel lavoro senza distinguere troppo tra attività manuale e intellettuale, una opzione 82 importante sia dal punto di vista della motivazione dell’allievo sia da quella dellapreparazione professionale da dare. Un secondo aspetto è l’interesse per il giovaneche viene accolto così come è, e di cui si considerano non solo le carenze, maanche le potenzialità di maturazione. A ciò si aggiunge l’attenzione all’inserimentonel mondo del lavoro che, però, non porta mai a trascurare un orizzonte più ampiodi formazione in cui ci sia spazio per attività mirate alla maturazione globale dellapersona. 4.6. Federazione CNOS-FAP e impreseUn capitolo particolarmente nuovo, rispetto ai decenni passati, è relativo al rap-porto tra la Federazione CNOS-FAP e il mondo delle imprese. Va subito precisatoche ogni CFP o Scuola a indirizzo tecnico, da sempre, ha coltivato relazioni con ilmondo produttivo del proprio territorio, mettendo progressivamente a regime dellemodalità, lo stage in particolare, utili a raccordare l’offerta formativa con le esi-genze aziendali e a proporre agli allievi una formazione imperniata sempre più sullecompetenze. In anni recenti, tuttavia, la Federazione ha coltivato rapporti più conti-nuativi con varie imprese, dando vita a forme di collaborazione soprattutto nei set-tori meccanico, elettrico, grafico. Si stanno sviluppando così forme di cooperazionea un livello superiore a quello del singolo CFP o della singola scuola, con l’effetto dimettere in rete tutti i CFP e tutte le scuole a indirizzo tecnico di un determinato set-tore. A seguito di questi accordi, CFP e istituti tecnici/professionali paritari salesianipossono beneficiare dell’apporto formativo e tecnico delle aziende del settore, del-l’allestimento (talvolta anche gratuito) di laboratori specializzati, dell’agevolazionenell’ammodernamento di propri macchinari, dell’utilizzo della rete aziendale perl’organizzazione di stage, tirocini e forme di alternanza scuola-lavoro. Questi ac-cordi di collaborazione (alcuni già attivi, altri in via di perfezionamento) stanno por-tando i CFP della Federazione CNOS-FAP a qualificarsi ulteriormente in vari campiquali il fotovoltaico, la meccanica industriale, il risparmio energetico, la tecnologiadell’auto, l’automazione industriale, dla grafica, la serramentistica.Le Intese o Accordi hanno interessato le principali aziende dei settori profes-sionali in cui la Federazione CNOS-FAP opera. A titolo esemplificativo si ricor-dano i più importanti e significativi: la costituzione del polo automotive(25.09.2006); Accordo con Aluscuola (27.02.2008); Accordo con Fiat Group Auto-mobiles Spa (20.05.2008); Accordo con Schhneider Electric S.p.A. (19.02.2009);Collaborazione tra il CFP CNOS-FAP “Bearzi” (Udine) e Siemens per l’allesti-mento del Centro tecnologico midrange (20.02.2009); Accordo con DMG Italia(19.05.2009); Accordo con Sandwik Coromant (08.06.2009); Accordo con Heiden-hain Italiana (20.04.2010); Accordo con De Lorenzo (29.11.2010); Accordo conENI (20.01.2011).Questa prassi è stata segnalata come “prassi significativa” anche presso l’ONU.Il 26 luglio 2010, infatti, all’ECOSOC è stato presentato il contributo salesiano al-l’occupazione giovanile. Il tema dell’Annuale Verifica Ministeriale dell’ECOSOC è 83 stato “Promozione della capacità produttiva, dell’occupazione e del lavoro digni-toso per sradicare la povertà nel contesto di una crescita economica inclusiva, equae sostenibile a tutti i livelli per raggiungere gli Obiettivi del Terzo Millennio”.La circostanza ha permesso di evidenziare i modelli di crescita economica chefavoriscono la creazione di posti di lavoro, che sono sostenibili, inclusivi ed equi eche possono essere adattati alle esigenze particolari dei paesi, promuovendo nelcontempo la protezione sociale e diritti sul lavoro. La società civile è stata invitataa partecipare a questo importante dibattito con interventi scritti e orali che richie-dono l’attenzione degli Stati membri su questioni che le singole ONG propongono.I Salesiani di don Bosco hanno contribuito con un intervento scritto e orale sultema dell’occupazione giovanile preparato dal salesiano don Thomas Brennan, dal2007 consultore dell’ECOSOC.Nell’intervento scritto, dopo aver presentato le informazioni di base sull’anda-mento dell’occupazione giovanile, don Brennan ha evidenziato due esempi di pro-grammi promossi dai salesiani per la formazione al lavoro dignitoso dei giovani,soprattutto per quelli economicamente e socialmente svantaggiati.Il primo è il “Don Bosco Tech”, una rete di 125 Centri di Formazione Profes-sionali sparsi in 25 Stati dell’India, la più grande ONG impegnata nella formazionein India. Il loro ambizioso obiettivo è di fornire Formazione Professionale e inseri-mento lavorativo a 2 milioni di giovani nell’arco di dieci anni si sta realizzando.Il secondo il lavoro del CNOS-FAP (Centro Nazionale Opere Salesiane - For-mazione Aggiornamento Professionale) dell’Italia che promuove il partenariato trai Centri di Formazione Professionale e aziende private come Fiat, Schneider, Sie-mens, Bosch, Heidenhain Italiana, DMG Mori Seiki, ENI, ecc. Il partenariato hal’obiettivo di elevare la qualità dell’offerta formativa e favorire l’occupazione deigiovani. 4.7. La dimensione religiosa e pastoralePer superare la dicotomia o giustapposizione tra la FP e la educazione cristianasi è cercato di realizzare un processo di evangelizzazione veramente integrato nellavita dei Centri (Van Looy e Malizia, 1998). Il relativo iter comprende le seguentiarticolazioni: un ambiente di vita permeato dei valori evangelici; una cultura chesia focalizzata sull’integralità della persona, soprattutto che tenga conto della suadimensione spirituale e religiosa; momenti ed esperienze esplicite di evangelizza-zione; proposta a coloro che lo vogliono di un cammino di educazione alla fede daattuare in comunione con la comunità cristiana. Gli obiettivi sono identificati neiseguenti: trasmettere agli allievi una concezione umanistica ed evangelica dellarealtà sociale; offrire a tutti o a gruppi specifici esperienze spirituali e di apertura aDio sia nella vita ordinaria sia in momenti significativi dell’attività formativo; darel’opportunità di effettuare esperienze di servizio gratuito e di solidarietà con le per-sone in situazione di svantaggio; proporre la possibilità di un accompagnamentopersonale da parte di qualche educatore cristiano. 84 Un aspetto centrale nel potenziamento del processo di evangelizzazione ècostituito dal rafforzamento della comunità educativo-pastorale. Infatti, in una pro-spettiva pastorale non basta il personale preparato, un curricolo adeguato o attrez-zature di avanguardia; è anche necessaria una comunità di persone che abbiano co-scienza della globalità della proposta pastorale salesiana, che interagiscano inmodo sistematico e reciproco sulla base del progetto educativo-pastorale locale,che verifichino continuamente e, di conseguenza, migliorino e innovino i processieducativi e pastorali, che si impegnino ad aprirsi al territorio, in particolare almondo giovanile, e che realizzino un iter sistematico di formazione permanente.Se l’educazione viene ad assumere una posizione centrale nella società, èchiaro che il servizio più significativo che possiamo offrire alle nuove generazioniconsiste proprio in una formazione solida. Questa non va intesa naturalmente in unsenso riduttivo come semplice istruzione o addestramento, ma deve fornire aognuno le capacità per vivere al meglio nella società della conoscenza. L’eredità di30 anni di storia e di esperienza pone la Federazione CNOS-FAP in una posizionedi vantaggio nel realizzare questo compito. Con il sostegno di Dio, di Maria Ausi-liatrice e del nostro Fondatore, come Salesiani ci impegniamo a operare in futuroanche più efficacemente che nei primi 30 anni per offrire a tutti i giovani, special-mente a quelli più emarginati, un orizzonte di senso e di significato, una guida alloro agire e conoscenze e competenze adeguate per la vita e per il lavoro, in mododa aiutarli ad acquisire quella preparazione valoriale, culturale e professionale ele-vata che consenta loro di inserirsi da protagonisti in un mondo sempre più artico-lato e complesso.A supporto di queste istanze religiose e pastorali la Federazione CNOS-FAP haadottato il modello organizzativo e di gestione voluto dalla legge (D. Lgs. 8 giugno2001) ma ritenuto anche un utile strumento per rafforzare l’azione formativa e pre-ventiva con tutti i soggetti che agiscono in una struttura salesiana. Il Codice Etico,in particolare, è di aiuto e di guida per far sì che tutti gli operatori agiscano, dalpunto di vista educativo, religioso e pastorale, nella medesima direzione, mettendoin atto quella comunità educativo-pastorale che è alla base di ogni efficace azioneeducativa (CNOS-FAP, 2008). BIBLIOGRAFIA AVALLONE F., La metamorfosi del lavoro, Milano, Angeli, 1995.BERTAGNA G., Entra in vigore la “Morfiormini” (Moratti, Fioroni, Gelmini), in “Nuova Secondaria”,27(2010)7, 9-10.BOTTA P. (a cura di), Capitale umano on line: le potenzialità dell’e-learning nei processi formativi elavorativi, Milano, Angeli, 2003.BUTERA F., Dalle occupazioni industriali alle nuove professioni, Milano, Angeli, 1989.CAMPIONE V. - FERRATINI P. - RIBOLZI L. (a cura di), Tutta un’altra scuola. 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Si riportano alcuni testi particolarmenteconnessi a questo tema scritti da don Egidio Viganò, don Juan Vecchi e don Pascual ChávezVillanueva. 91 Intervento del Rettor Maggioredon Egidio Viganòai lavori della prima Assembleadella Federazione CNOS-FAP, 1978 Egidio VIGANÒ Don Egidio Viganò, Rettor Maggiore dei Salesiani, ha seguito laFederazione CNOS-FAP fin dal suo nascere.Il testo riportato è stato l’intervento alla prima Assemblea dellaFederazione CNOS-FAP che si è svolta il 16 maggio 1978.L’intervento mette in luce l’importanza della Formazione Profes-sionale nel carisma salesiano e la specificità dell’organizzazioneassociativa.Il testo, che è stato registrato, viene riproposto nello stile collo-quiale.La numerazione è proposta dalla redazione della Sede nazionale. Volentieri ho accolto l’invito di incontrarmi con voi, Delegati e Direttori deiCentri di Formazione Professionale affidati ai Salesiani d’Italia, e con molto pia-cere vi rivolgo un saluto che viene dal profondo del mio animo per il tipo di con-fratello e di missione salesiana che voi rappresentate.A conferma di questi sentimenti vi posso portare alcuni esempi che sottolineanol’importanza del vostro impegno educativo e pastorale. Innanzitutto un ricordopersonale. 1. TRE TESTIMONIANZE DI PRESENZA SALESIANA NELLA FORMAZIONE PROFESSIO-NALE Sapete della mia provenienza dal Cile. Ebbene proprio nell’estremo sud del-l’America Latina, nella Terra del Fuoco, un direttore salesiano, d. Mario Zavattarodi origine italiana, ha dedicato tutta la sua vita in un Centro professionale agricolo,dal quale si è dovuto allontanare per essere curato in un ospedale di Santiago delCile, a duemila chilometri di distanza e dove morì per cancro al cervello. Il Go-verno socialista di quel Paese si è fatto carico delle spese per far ritornare la salmadi questo grande salesiano da Santiago a Porvenir, un paese della Terra del Fuoco, eha voluto dedicare la principale via del paese a don Mario Zavattaro e ha fatto eri-gere un monumento funebre a questo sacerdote che aveva servito realmente i bi-sogni del popolo e della gente, aiutandola a crescere in promozione umana e pro-fessionale. È un lusinghiero riconoscimento che proviene da uno schieramento po-litico e amministrativo non sospetto e che sa riconoscere la validità dell’impegno 92 salesiano di promozione umana che altri governi di posizione ideologica più vicinaai valori cristiani, non sempre valutano con pari sensibilità.Un’altra testimonianza personale proviene dall’esperienza che ho fatto nel par-tecipare alla seduta plenaria della Sacra Congregazione dei Religiosi, composta daCardinali e Vescovi e da quattro Membri Religiosi, che ha il compito di assistere ilSanto Padre nel governo della Chiesa in tutto il mondo. Il tema dei lavori di questaconvocazione plenaria era appunto “la presenza dei religiosi per una promozioneumana nel contesto socio-politico dell’attuale società”. Un tema molto scottante edelicato, che è stato affrontato sulla scorta di studi e di approfondimenti che hannorichiesto un anno di lavoro e sono contenuti in un grosso volume che documenta lereali situazioni dei vari continenti. A presentare la situazione problematica del-l’Asia è stato chiamato il perito Padre Lazzarotto del PIME, che forse alcuni di voiconoscono, il quale a conferma dell’efficacia della presenza dei religiosi nell’im-pegno di promozione umana in quel continente citò espressamente “le famosescuole professionali dei Padri Salesiani”. L’unica imperfezione della citazione era iltermine “Padri”, riferito ai Salesiani!Una terza ed ultima testimonianza mi è suggerita dalla mia recente partecipa-zione alla ricorrenza decennale dell’Opera Salesiana di Selargius, in Sardegna. ESelargius è proprio un Centro di formazione professionale. Al di là della soddisfa-zione personale di avere avuto modo di visitare, per la prima volta, questa meravi-gliosa isola e di constatare la vivacità di iniziative salesiane che hanno fatto fiorirenumerose e qualificate vocazioni, che sono ben rappresentate anche in questa As-semblea, mi ha molto ben impressionato quest’opera professionalmente qualificatae robusta e aperta alla crescita del futuro nostro in quella simpatica terra.Così ho avuto modo di sentire gli apprezzamenti positivi che venivano espressida uomini politici, pubblici amministratori e rappresentanti sindacali: Selargius,nessuno lo tocca! Questo Centro di formazione professionale è di esempio a tutti,anche al governo regionale!Questa esperienza l’ho voluta comunicare familiarmente anche in un inter-vento di buona-notte, qui alla Casa Generalizia, affermando di essere tornato dallaSardegna ricco di due scoperte in profondità della vocazione salesiana.Prima scoperta: l’importanza degli adolescenti, richiamati dall’attrattiva di unvalido modello di santità giovanile in Domenico Savio, al quale si è ispirata la gior-nata della “Festa del Ragazzo” in Sardegna (argomento, questo, che esula dalle pre-senti considerazioni).Seconda scoperta: la funzione straordinaria che ha la formazione professionalenel contesto culturale attuale.E all’importanza delle strutture educative, in particolare della scuola, che cirichiama anche il recente documento della Sacra Congregazione dell’Educazione,dal quale emerge l’impegno a recuperare la concezione e funzione di una scuolacattolica di tipo ecumenico, che offra occasione di dialogo e di confronto culturale,indispensabile per l’affermazione del pluralismo democratico. 93 Il venir meno di strutture educative capaci di elaborare una propria identitàculturale, come deve essere una scuola cattolica, condiziona negativamente la for-mazione e l’espressione di forti personalità culturali, ispirate alla fede per un im-pegno di crescita umana globale. Ora, nell’ambito della presenza della scuola catto-lica nei vari paesi – io ho girato un po’ il mondo – la nota più originale che con-traddistingue la scuola dei salesiani, fino a diventare criterio di riconoscimento diessi, è proprio la Scuola Professionale. Quindi, nella citata buonanotte, ho espressa-mente parlato della riscoperta della funzione straordinaria che ha la scuola profes-sionale e, per conseguenza, della necessità nella pastorale vocazione, in tutta lanostra capacità di crescita salesiana, la figura del Salesiano Coadiutore. Perché,abbiate pazienza voi confratelli che non siete Coadiutori, non si può concepire unascuola professionale salesiana senza la presenza del Salesiano Coadiutore! Diquesto contatto diretto, esistenziale e non per riflessione al tavolino, io traggo mo-tivo per farvi riflettere: siete proprio impegnati in una parte vitalissima e di futuroper la crescita della nostra vocazione. Non è quindi per opportunismo, o perché sistia parlando adesso di questo settore, che io dico questo; ma è un convincimentoprofondo di essere qui a colloquio con dei Confratelli che esprimono una dellegrandi originalità della vocazione salesiana, evangelizzatrice in una dimensione piùampia di quella catechetica. Il salesiano, infatti, non è solo un catecheta, ma è uneducatore e, come tale, sa portare il messaggio di evangelizzazione in tutte le suedimensioni di crescita umana, dove la professionalità costituisce un’area caratteri-stica dell’impegno salesiano.Da queste testimonianze di esperienza personale deduco l’importanza e lagrandezza di questo vostro impegno.Vorrei, ora, approfittare di questo nostro incontro per fare con voi alcune im-portanti riflessioni su quanto state facendo, anche se per pochi minuti e con ovvilimiti che provengono da non essere io immerso direttamente, come lo siete voi,nell’impegno che state assolvendo, ma che percepisce l’importanza di tutto ciò. 2. ECCO ALCUNE IDEE CHE TRAGGONO ORIGINE ANCHE DA UN PO’ DI RIFLESSIONE a. Superare il settorialismo ispettorialeLa prima di queste idee riguarda proprio la motivazione principale di questavostra Assemblea che non è soltanto espressione dell’importanza della formazioneprofessionale, già rilevata nell’impressione introduttiva a queste mie parole, ma ri-sponde ad un’esigenza caratteristica e specificatamente italiana che investe le strut-ture educative in una svolta socio-politica di questo paese e che risulta, a chi pro-viene da esperienze di altri paesi, urgente ed indispensabile soddisfare, anche conl’aiuto e la collaborazione del Superiore Regionale, don Natali, qui presente.Si tratta della necessità di SUPERARE IL SETTORIALISMO ISPETTO-RIALE per entrare in una dimensione di livello nazionale. 94 Voi avete appena costituito una Federazione che, appunto perché in dialogo econfronto continuo con l’elaborazione di leggi o progetti di leggi regionali e nazio-nali, deve aggregare le strutture e le iniziative periferiche in linee unitarie coordi-nate e promosse da un organismo vivo che opera a livello nazionale.Più volte ho detto al Superiore Regionale D. Natali, da quando ci troviamo alavorare insieme, che la CISI ha un’importanza fondamentale nel creare le struttureintermedie nel processo di decentramento. Una di queste strutture intermedie è il li-vello operativo nazionale.Anche in questo Don Bosco ci è di esempio: egli ha fondato la nostra Congre-gazione in un processo generale di secolarizzazione; ossia, quando si sopprimevanogli istituti religiosi egli fonda, accettando tutte le sfide. E la sfida è: noi per esserereligiosi non possiamo non tener conto delle leggi sociali, belle o brutte che siano,non certo per adeguarsi ad esse in modo acritico. Non siamo stupidi! Ci sono sediappropriate per esprimere le nostre valutazioni di cittadini che hanno il senso dellapersona umana, della democrazia e della necessità di creare una società sempre piùrispettosa della crescita umana. Questo però può diventare una discussione di tipoastratto e che minaccia di concludere al nulla di fatto.Don Bosco era un realista: “noi cercheremo in tutte le cose la legalità... se sirichiedono esami, questi si subiscano, se patenti o diplomi si farà il possibile perottenerli: e così si andrà avanti” (cfr. E. Ceria, Annali, vol. I, pag. 30).La conclusione di questa prima riflessione è, appunto, quella di non tralasciaresforzo alcuno per costruire un’associazione che operi ad un livello superiore delleIspettorie. Perché, non mi sembra un’esagerazione l’affermare che non c’è futuro,letto alla luce dell’attuale situazione socio-politica, se non seguendo quella stra-tegia salesiana che ci permette di inserirci in questa dimensione strutturale che vacrescendo in questo paese.Qui c’è novità!Si parla, oggi, di necessità di nuove presenze salesiane: in questo settore, voidimostrate una novità di presenza salesiana che non si è inventata ieri. E questo èbello, perché significa che nel cuore salesiano c’è sempre la fantasia e la capacitàdi scelte intelligenti.Capisco, però che queste scelte crescono tra difficoltà varie e non tutti percepi-scono immediatamente le ragioni valide che guidano a tali scelte; e c’è anche da la-mentare che qui ci siano solo due persone che debbono sentire bene questo rilievo,Don Paolo Natali e Don Carlo Melis che incarichiamo di riferire, nella prossimariunione della CISI, il parere di tutti noi su questa novità che non è moda, ma ri-sponde alle esigenze dei tempi.In fin dei conti... è far crescere le strutture che ci sono e ripensare alla lorostrutturazione.Se c’è stato un Santo e un Fondatore che non si è legato alle strutture, questo èDon Bosco. Sarebbe ridicolo che facessimo dipendere il nostro futuro da struttureanacronistiche. E per inventare strutture bisogna sudare, soffrire: noi lo facciamo, 95 voi lo state facendo. Ecco, in sintesi, il contenuto di questa prima riflessione:questo tipo di ASSOCIAZIONISMO deve operare a livello superiore delle Ispet-torie, non perché queste non servano, ma perché la configurazione dell’attuale so-cietà italiana ha, oggi, questa esigenza.b. Una seconda importante riflessione: perché fare questo?Mi sembra che il ruolo e l’importanza di questa Federazione è non tanto di na-tura socio giuridica, anche se questa ci deve essere per le osservazioni fin quiesposte, ma di natura socio-culturale.È impossibile un dialogo, un confronto culturale nel mondo del lavoro, oggi alivello di ogni singolo Centro di Formazione Professionale, sia che questo operi aSelargius, a Sesto S. Giovanni o a Lecce. Non perché a questo livello ciò non sipossa fare, ma risulterebbe condizionato dall’ambito ristretto e locale.Un più valido confronto si deve fare a livello del mondo del lavoro, che è unarealtà molto complessa, organizzata e, purtroppo, troppo politicizzata e con unacultura monopolizzata da ideologie che sono spesso anticulturali.Non per questo dobbiamo abbandonare il campo e lasciare questo mondo cul-turale: ma dobbiamo far valere la nostra presenza non isolatamente, come formicheche arrivano per caso, ma come un corpo organico.Inoltre, voi avete la fortuna di ricorrere all’appoggio di un cervello pensantesalesiano, la nostra Università dell’UPS, che vi può sostenere su specifiche proble-matiche e riflessioni che riguardano le strutture educative, la scuola, ecc...Anche questo concorre a sviluppare una statura CNOS-FAP che, dalle conver-sazioni che io ho avuto con qualcuno di voi, è già affermata a livello nazionale epersino a livello europeo. Si, perché bisogna pensare anche a questo livello di con-fronto culturale, prima nell’ambito salesiano, e poi, attraverso la collaborazione deiconfratelli che operano negli altri paesi del MEC, anche a livello Europeo, perché sicammina verso una convergenza europea di tutte le iniziative di promozione umana.È, dunque, un discorso serio, un discorso impegnativo, un discorso che ri-chiede proprio una conversione di mentalità in ciascuno di voi, se non siete ancoraconvertiti, ma anche negli Ispettori e in tutti i salesiani. Ormai, o parliamo a questolivello o noi siamo dei muratori in educazione; e questo proprio in un momento sto-rico in cui le strutture educative vengono delineate e riformate da organismi mini-steriali e legislativi. Ora, noi abbiamo una statura di storia educativa da poter reg-gere al confronto con questi dicasteri e legislatori e non dobbiamo rassegnarci alruolo di facchinaggio educativo.Dobbiamo riconoscere che spesso ci siamo comportati in tale maniera. Ciò loconstato non tanto in Italia, ma in altri paesi: lavoriamo tutti con sacrificio, ma nonincontriamo nei punti chiave dove si apre e si chiude il futuro. E questo, perché?Forse non abbiamo sempre avuto magnanimità; mentre D. Bosco era un uomodalle vedute larghe e sapeva essere all’altezza di trattare con i Ministri del Regno econ il Papa sui problemi che riguardavano la Chiesa e le relazioni tra Chiesa e Stato. 96 Questo tipo di politica, Don Bosco l’ha fatta: una politica a lettere maiuscole,una politica che riconosce alla cultura una grande importanza nel processo dicrescita di un paese e di una nazione, sotto il profilo civile che noi sappiamo illu-minato ed irrobustito dal Vangelo, anche se ciò non potrà essere sempre manife-stato apertamente, perché il Vangelo c’illumina su certi valori che sono fonda-mentali.Noi siamo impegnati nell’evangelizzazione mentre altri, come il governo cheha onorato quel nostro confratello nella Terra del Fuoco, sanno riconoscere sola-mente la nostra dimensione di promozione umana, sfuggendo a loro le connota-zioni precise, di evangelizzazione che anima ogni nostro intervento.La conclusione di questa seconda riflessione è dunque: CAPACITÀ DI SO-STENERE IL CONFRONTO CULTURALE, sommando e facendo convergere tuttele forze disponibili su qualificanti progetti e programmi che impegnano la nostrapresenza nel conseguimento di questo obiettivo.c. Formare il personaleUna terza riflessione, anche questa importante.Mi sono informato un po’ per conoscere quanti sono i salesiani che sono impe-gnati in queste attività di formazione professionale in Italia: circa 500 confratelli,che rappresentano circa il 45 per cento di tutto il personale che opera a vari livellinelle strutture dei Centri di Formazione Professionale CNOS-FAP.L’indice percentuale dei salesiani, rispetto a quello dei collaboratori esterni,non mi spaventa. Provengo dal Cile, e ho visto paesi dell’America dove la percen-tuale dei salesiani impegnati in iniziative di promozione umana scende anche ad unrapporto del 10 per cento, o al di sotto... e si è pure contenti.Non è che io abbia paura del livello di guardia a cui siete arrivati, sia esso il50 per cento o il 20 per cento o, volesse il cielo, il 70 per cento attraverso la cre-scita di queste vocazioni.Ma il problema, che tocca i salesiani e i non salesiani, riguarda invece, la for-mazione di questo personale.Bisogna ribadire queste idee: non si tratta solo di amministrare una scuola pro-fessionale o di far funzionare officine e laboratori: si tratta di elaborare una culturamoderna, dove la problematica del mondo del lavoro costituisca l’asse fondamen-tale, anche in adempimento alla Costituzione Italiana che vuole questa Repubblicafondata sul lavoro.Ora, il mondo del lavoro ha una funzione di tipo culturale straordinaria. Forseavete letto articoli e studi del Padre Chenu sulla teologia del lavoro e dell’influssodell’organizzazione del lavoro, specie quello di tipo industriale. Basta un esempio;egli dice: prendete un paese che vive di cultura rurale... tutti in chiesa tutti attornoal parroco.Una simpatica cultura, che abbiamo quasi tutti vissuto negli anni della nostrafanciullezza! 97 Bene, costruite in questo paese una fabbrica di tremila operai e, a distanzadi dieci anni, osserverete che quasi più nessuno va in chiesa e quasi tutti si procla-mano atei.Perché questo?Perché il tipo di organizzazione industriale del lavoro porta con sé un cambiodi rapporti umani, un cambio di pensiero del modo di concepire le cose e anchedi una maniera di esprimere la religione che ci si figura fondamentalmente di-versa.Per noi, essere presenti non significa tanto dedicarsi con competenza nei varisettori di attività professionale, ma essere presenti nel mondo del lavoro con unafunzione cristiana, senza stare a far prediche, ma costruendo un mondo del lavoroaperto al Vangelo e alla presenza di Gesù Cristo. Questo non è cosa facile: è unodegli impegni più difficili che la Chiesa deve assolvere.Si è tanto parlato di “apostasia delle masse”, ecc...: tutte affermazioni che biso-gnerebbe ripensare e controllare fino a che punto sono vere. Perché, io provengo dauna famiglia di operai, da un ambiente di operai e so che questi sono cristiani, pro-prio in senso sostanziale. Quello che manca è proprio l’approfondimento di certidiscorsi.Anche questa realtà ci convince dell’importanza di avere una formazione e didare una formazione specifica ai nostri collaboratori, sopratutto al nostro personalesalesiano, a ciascuno di noi, ai confratelli di ogni casa, ai Coadiutori Salesiani chelavorano in questo campo e costituiscono, per me, il fondamento e l’espressionestoricamente massima e più intelligente della figura del Salesiano Coadiutore chedobbiamo recuperare e far fiorire.E poi formare i nostri collaboratori che scelgono di lavorare con noi, perchéentrino in questa mentalità. Anche qui non bisogna avere paura che questi siano inproporzione maggiore dei salesiani; anzi, io credo che dovremmo rallegrarci, pro-prio ispirandoci a Don Bosco.In quale fase storica della sua vita Don Bosco ha operato disponendo di mag-gior numero di salesiani rispetto ai collaboratori non salesiani?In quale fase? Nel periodo di massima intensità di diffusione del suo sistemapreventivo, egli non disponeva di salesiani... e ha fatto santo Domenico Savio.Questa è storia!Dunque, la terza riflessione ci richiama proprio alla formazione del personale,senza spaventarci dei numeri, ma badando alla qualità e riconducendoci a questamentalità, tanto importante.d. La partecipazioneUn’ultima considerazione, che ci ricollega ad un discorso comune a tutta lascuola: la sintetizzerei nel termine PARTECIPAZIONE. Non si può più concepireun Centro di Formazione Professionale, o altra istituzione scolastica, che sia gestitadai soli religiosi, come padroni. 98 La comunità educativa è una realtà che è presente in altri paesi e porta fruttipositivi. Credo che anche in Italia, pur non conoscendo io a fondo tale realtà, que-st’esperienza sia già in un processo avanzato di crescita. Una comunità educativache ricerca al massimo di partecipazione di tutti coloro che intervengono in questoprogetto di crescita umana: genitori, docenti salesiani ed esterni, giovani, amici ecollaboratori che sono interessati al mondo dell’educazione. “Partecipazione”, hodetto, e non cogestione.La cogestione, infatti, ha riferimento a progetti concreti e può funzionare incerti contesti e non funzionare in altri.Ricordo, a questo proposito, che nell’Ispettoria del Cile, dove io ho lavorato, nonsi è potuto fare cogestione. Mentre in un collegio di Santiago, denominato Patrociniodi S. Giuseppe al quale accedevano allievi di classe medio-borghese, era possibilefare tutto con i genitori, con la collaborazione di due o tre salesiani soltanto, in altrazona, invece, a Puerto Natales nella Patagonia Cilena, era impossibile far cogestione,perché i genitori erano tutti minatori che andavano a lavorare in Argentina e... beve-vano e non si preoccupavano affatto dei figli: non avevano capacità alcuna di coge-stione. Dunque, nello stesso paese, nello stesso periodo, di fronte allo stesso concettodi comunità educativa bisognava elaborare progetti concreti e diversificati che sicommisurassero alle circostanze locali. Ecco perché io parlo di partecipazione.E qui bisogna operare un’altra conversione che ci richiama alla responsabilitàdelle scelte salesiane, senza lasciarci sfuggire dalle mani i punti veramente nevral-gici della guida di una comunità educativa. È lì che i salesiani si qualificano.Perché se per partecipazione si intende solamente dare importanza agli altri e, con-seguentemente, si assume personale indiscriminato, potremmo, voi me lo inse-gnate, trovarci in casa nostra di fronte a penosi condizionamenti ideologici non au-gurabili a nessuno. Nell’affermare questo, mi rifaccio anche all’esperienza perso-nale. Sarebbe veramente ridicolo che nel nostro impegno per costruire e far cre-scere il pluralismo culturale offrissimo, invece, opportunità all’affermarsi, in casanostra, dell’egemonia culturale.Inoltre, vi dico questo in relazione ad una risposta che Padre Voillaume ha datoad una domanda posta da un superiore di religiosi, proprio su questi argomenti. Eb-bene, questo Padre, superiore della nuova Congregazione di Charles de Foucould eche è noto per il suo sostegno al carisma piuttosto che alle strutture, ha risposto so-stanzialmente così. “Sono passato attraverso un periodo della mia vita in cui pensavo che la scuola catto-lica fosse una struttura ormai obsoleta, anacronistica, ... e che fosse più utile che i reli-giosi e i cattolici, che volessero impegnarsi nella cultura, si inserissero nella scuola sta-tale.E, infatti, molti hanno fatto questa scelta, in Francia.Qual è il risultato di questa esperienza?Io sono convintissimo – ha continuato il Padre – che in queste strutture già organizzatesu altre ideologie non c’è spazio di azione e la presenza di questi cattolici è una presenzafacilmente emarginabile che ha scarsa incidenza sull’elaborazione della cultura. 99 Mi sono convertito – ha concluso il Padre – della necessità delle scuole cattoliche, nondi una gestione totale e di padronanza economica, ma nel senso di possedere punti stra-tegici di elaborazione di una cultura aperta al vangelo e da proporre ai credenti”. Da tutte queste osservazioni si rileva, dunque, la necessità ed utilità di avereconcrete possibilità di organizzare la comunità educativa in dimensione partecipa-tiva, coinvolgendo tutti i collaboratori, con specifiche competenze e responsabilità,per garantire qualificati interventi di ispirazione cristiana nella crescita del mododel lavoro.Ciò costituisce un impegno importante.Ecco, queste sono alcune riflessioni serie che io ho voluto manifestare a rico-noscimento del vostro lavoro e che ho sperimentato nella mia vita.Vi auguro che possiate continuare a far crescere e qualificare questo vostroimpegno non solo a dimensione tricolore, ma...europea, avvalendovi anche dellacollaborazione del Superiore Regionale Don Paolo Natali, perché egli possa irrobu-stire queste idee e riconfemarle nella prossima riunione della CISI, nella qualeanche l’Ispettore qui presente, Don Carlo Melis, avrà modo di portare tutti i vostridesideri e il vostro proposito.Vi saluto...Buon lavoro. 101 Missione salesiana e mondo del lavoro Egidio VIGANÒ Nel 1983, il Rettor Maggiore don Egidio Viganò, ha scritto lalettera dal titolo “Missione salesiana e mondo del lavoro” (Attidel Consiglio Superiore n. 307 del 1983).Nella parte introduttiva scrive:“... ho constatato che la nostra Vocazione salesiana è umil-mente ma concretamente impegnata in questo urgente e vastocompito. Lo è tra i popoli economicamente più bisognosi, i cuifigli promuovono una crescente coscienza e professionalità nelmondo del lavoro. Lo è tra i popoli industrializzati dove aprel’educazione dei giovani a un processo critico e propulsivo ca-pace di evangelizzare coraggiosamente, con acuto senso delmessaggio di Cristo, la “cultura del lavoro”.Siamo chiamati a collaborare, nella Chiesa, alla formazionedelle coscienze per aiutare a rimettere il lavoro nell’orbita diuna morale orientata e vivificata dall’amore e sorretta dallapotenza dello Spirito Santo.Quante richieste mi sono state fatte di centri professionali;quanta necessità di Salesiani Coadiutori numerosi e compe-tenti; quale urgenza di saper coinvolgere la Famiglia Salesianae il Laicato cattolico in un impegno così straordinariamente at-tuale!” (p. 6).Sotto la guida di don Juan Vecchi, Consigliere generale per lapastorale giovanile, la Sede Nazionale ha fatto una selezionedei brani più significativi, offerta a tutti coloro che sentono l’e-sigenza di una migliore formazione, per fare dei giovani chevengono nei CFP del CNOS-FAP, non solo degli ottimi tecnicima anche e soprattutto degli annunciatori del Vangelo nelmondo del lavoro. 1. DI FRONTE AL PROCESSO TECNICO 1.1. Mentalità circa il lavoroLa tecnica è un prodotto dell’intelligenza umana, è progresso, è promozione,è possibilità di crescita in dignità ed efficacia di convivenza sociale. Sarebbe unerrore identificarla con usurpazioni ideologiche di tipo capitalista o marxista. Pur-troppo questo grande apporto dell’intelligenza, che è la tecnica, risulta, di fatto, piùal servizio dell’egoismo (di gruppo o di Stato) che della fraternità. Non lo è perpropria natura, bensì per l’indebita appropriazione che ne hanno fatto i potenti. Ecosì, fin dal secolo scorso, si è venuta creando e sviluppando una dilagante menta-lità circa il lavoro animata più dall’interesse che dalla morale, più dal potere didominio che dalla giustizia sociale. 102 1.2. Liberare il progresso tecnicoPenso allora che uno dei più urgenti compiti da affrontare nell’opera di evan-gelizzazione è quello di liberare eticamente il progresso tecnico e l’organizzazionedel lavoro dagli artigli dell’egoismo per metterli veramente al servizio di tuttal’umanità, sforzandosi di riconsegnare questa importante attività umana alla sferadell’etica e della carità. 1.3. Evangelizzazione del lavoroLa nostra vocazione salesiana è umilmente ma concretamente impegnata inquesto urgente e vasto compito. Lo è tra i popoli economicamente più bisognosi, i cuifigli promuove ad una crescente coscienza e professionalità nel mondo del lavoro.Lo è tra i popoli industrializzati dove apre l’educazione dei giovani ad un pro-cesso critico e propulsivo capace di evangelizzare coraggiosamente, con acutosenso del messaggio di Cristo, la “cultura del lavoro”.Siamo chiamati a collaborare, nella Chiesa, alla formazione delle coscienzeper aiutare e rimettere il lavoro nell’orbita di una morale orientata e vivificata dal-l’amore e sorretta dalla potenza dello Spirito Santo.Mi è parso opportuno, perciò, invitarvi a riflettere insieme su un aspetto con-creto della nostra missione tra i giovani, quello dell’“evange1izzazione del lavoro”:tema che interessa tutti a pieno titolo. 1.4. Tema importante e attualeIl tema è d’importanza tale e di tale attualità da investire a fondo. A prima vistapotrebbe anche intimidirci per la sua vastità, per la sua complessità e per la co-stante sua evoluzione. Ma noi non pretendiamo in assoluto di farne uno studio;ci proponiamo semplicemente di risvegliare la nostra sensibilità. Sono convintodi star lanciando un vero grido d’allarme di fronte ad un segno dei tempi, come sefosse un pressante invito dello Spirito del Signore che va preso molto sul serio. 2. MONDO E CULTURA DEL LAVORO Sappiamo che il lavoro in tutte le sue forme costituisce un’esperienza fonda-mentale dell’esistenza umana. Ha concorso a modellare la persona e la società nonsoltanto esternamente, ma nel nucleo esistenziale con cui l’uomo elabora se stessoe la civiltà. Si parla appunto di un “mondo” e di una “cultura” del lavoro, ad indi-care che il suo influsso travalica la sola produzione di beni economici. Attorno allavoro si aggregano forze diverse, sorgono valori e disvalori, si elaborano norme erapporti, si matura una visione dell’uomo e del suo destino. È comprensibile cosìche il lavoro abbia attirato l’attenzione non solo di coloro che cercano di strutturaremeglio la società, ma anche degli annunciatori del messaggio cristiano. 103 2.1. Far crescere una “spiritualità del lavoro”Il Magistero della Chiesa è intervenuto frequentemente, in questo secolo rivol-gendosi ora ai lavoratori, ora ai protagonisti dell’evoluzione sociale, ora agli opera-tori di pastorale con documenti ricchi di saggezza e di prospettive. Recentemente ilPapa Giovanni Paolo II ci ha offerto una ricca visione magisteriale con un’impor-tante lettera enciclica1. Essa s’impegna a sviscerare il senso umano del lavoro, afondare un’etica rinnovata che sostituisca quella ormai erosa dalle ideologie tempo-raliste, e ad indicare ai cristiani la missione urgente di far crescere una “spiritualitàdel lavoro” mentre partecipano, per gli altri aspetti, agli sforzi di tutti nel consegui-mento delle giuste mete che il movimento dei lavoratori si propone.Così il lavoro, insieme al tema della famiglia, della vita e della libertà civile,entra a far parte del tessuto di quel discorso pastorale sull’uomo che l’attuale Papaha inaugurato con la “Redemptor hominis”.La Congregazione Salesiana non è mai rimasta insensibile a tali urgenze e oggisi sforza per rispondere a questi appelli. Negli ultimi mesi (fin dal 1980) si è svi-luppata in alcune aree una crescente riflessione sulla presenza salesiana nel mondodel lavoro; si sono raccolte statistiche, si sono organizzati incontri, si sono elaboratidei progetti educativi specifici. Alle dense giornate della Spagna (settembre 1981) edell’Italia (febbraio 1982) ha fatto seguito un Convegno europeo sulla nostra mis-sione tra i giovani lavoratori d’Europa (maggio 1982), e poi l’incontro della zonadel Plata (agosto 1982) avutosi a Buenos Aires.Si tratta di un tema particolarmente vincolato con il nostro tipo d’azione evan-gelizzatrice, con i destinatari preferenziali della nostra missione e con la richiestaangosciosa soprattutto delle nostre presenze tra i giovani più bisognosi. 3. LEGAMI DI DON BOSCO CON IL MONDO DEL LAVORO 3.1. Vale la pena far memoria di ieri per orientare il futuroDon Bosco ci ha lanciato in orbita. Vediamo che una stretta affinità ha legato ilnostro Padre al mondo del lavoro: dal contesto rurale agli inizi dell’epoca preindu-striale e industriale.I problemi d’impiego e di occupazione per sopravvivere erano ordinari nellafamiglia Bosco in cerca d’impiego, affitto di terra e prestazione di lavori. Giovan-nino nasce e cresce familiarizzandosi con i temi e le esperienze di lavoro ruralepercepite dal punto di vista di chi deve subirne le conseguenze in una situazionesfavorevole, anche se vissuta ed accettata come situazione normale di vita.La sua fanciullezza è dominata da queste realtà e i fatti ricordati nella sua auto-biografia (morte del padre, primi studi) sono fortemente vincolati con il lavoro, 1 Luborem exercens, 14 settembre 1981. 104 come lo era tutta l’esistenza. I dieci anni di vita trascorsi a Chieri come studente lovedono guadagnarsi il pane con varie prestazioni. Vengono poi gli anni del semi-nario che rappresentano una quasi esclusiva dedizione allo “studio”, senza dimi-nuire però il suo interesse, nei periodi estivi, per il lavoro manuale, del quale perce-piva la dignità e in cui esprimeva la sua creativa praticità.I primi anni di sacerdozio e la sua scelta di essere “missionario della gioventù”lo collocano a contatto con turbe di giovani stagionali che venivano a cercare lavoronella città di Torino che si andava dilatando, affrontando così i fenomeni di un’eragià preindustriale: l’emigrazione, il lavoro giovanile, lo sfruttamento, l’ignoranza.II desiderio di affrontare i problemi di vita dei giovani lo spinge ad avviare ini-ziative destinate a risolvere i problemi più urgenti del presente, mentre matura in-terventi più sostanziali per la loro promozione umana, culturale, spirituale, contri-buendo umilmente ma concretamente alla trasformazione della società. 3.2. Il primo “Oratorio” iniziativa per i giovani lavoratoriIl primo oratorio aperto a tutti fu, infatti, soprattutto, un’iniziativa per i giovanilavoratori. Il ragazzo sul quale si cominciò a edificare l’opera morale e religiosadell’oratorio presenta questa carta d’identità: Bartolomeo Garelli, orfano, analfa-beta, emigrante, manovale. “In generale – scriveva Don Bosco – l’Oratorio era for-mato di scalpellini, muratori, stuccatori, selciatori, quadratori e di altri che veni-vano da lontani paesi”2.La popolazione oratoriana era così caratterizzata che l’anno 1842 si celebròsolennemente nell’oratorio la festa del muratore3.A favore dei piccoli lavoratori Don Bosco intraprenderà, con altri sacerdoti,la scuola serale ed iniziative di educazione sociale, i contratti di lavoro serale e levisite sui posti di occupazione. 3.3. I primi laboratoriMa l’attenzione ai giovani “artigianelli”, come si diceva allora, fece maturareuna seconda fase. Consistette nell’offrire loro una residenza. I giovani avviati allavoro vivevano con Don Bosco e andavano in città per imparare un mestiere, allostesso modo che gli studenti andavano a prendere lezioni da appositi maestri. Quiinteressa richiamare l’iter seguito da Don Bosco a vantaggio dei suoi “artigiani”.Alla loro uscita in città seguì l’insediamento dei laboratori nella propria casa, un’u-mile e coraggiosa epopea su piccola scala. Ha inizio nel 1853, anno in cui sorgeuna calzoleria con alcuni metri quadrati di disponibilità, gli strumenti più semplicie a buon mercato, con tanti allievi e Don Bosco come capo d’arte. “Col soccorsodei benefattori, comprati alcuni deschetti e gli attrezzi necessari collocò il labora- 2 S. G. BOSCO, “Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales”, Roma, pag. 129.3 Ivi, pag. l30. 105 torio calzolai in un piccolo corridoio di casa Pinardi presso il campanile dellachiesa. Allorché gli studenti erano a scuola in città Don Bosco andava a sedersi aldeschetto per insegnare il maneggio della lesina e dello spago impeciato per rattop-pare le scarpe”4.Questo coraggioso periodo di ricerca si conclude nel 1862, anno in cui il “mo-dello” delle prime scuole salesiane assume una fisionomia propria. Il tutto seminatodi aneddoti, iniziative e peripezie che i limiti di questo scritto non permettono dievocare. Fa sorridere pensare che la prima sartoria nacque negli ambienti rimasti li-beri dopo il trasloco della vecchia cucina, e che ebbe come prima maestra MammaMargherita! Così pure fa sorridere la precaria istallazione della tipografia sullaquale Don Bosco fondava i suoi sogni di editore e di pubblicista.Si trattava di laboratori incipienti il cui primo e totale responsabile era DonBosco. Erano nati dalle molteplici e convergenti domande sorte in quella comunitàgiovanile e in quella casa ormai culla di una Congregazione proiettata a raggiomondiale: provvedere all’inserimento cristiano dei ragazzi nel mondo del lavoro,ridurre i costi di quell’alveare giovanile, appoggiare i piani apostolici e provvedereall’allargamento delle strutture di una Congregazione in espansione. Ciascun labo-ratorio segna una tappa non soltanto dell’evoluzione educativa in Don Bosco, maanche dell’assunzione di una concreta capacità tecnica al servizio della società. 3.4. La Scuola di arti e mestieriLa fase finale è quella della scuola di arti e mestieri con personale, fisionomia,progetto educativo propri. La figura del Salesiano Coadiutore aveva ormai un pro-filo e la Congregazione, dopo un’esperienza di quasi trenta anni, raccoglieva neldocumento “Indirizzo da darsi alla parte operaia nelle case salesiane e mezzi di svi-luppare la vocazione dei giovani artigiani”, l’insieme di orientamenti e programmi:maturavano quei germi organizzativi che erano nati col primo regolamento dei la-boratori (anno 1853)5. 3.5. L’“Oratorio” e la “Scuola Professionale”Alla morte del Fondatore la Società di San Francesco di Sales si presentavacon svariati tipi di attività educativa. Ma due la caratterizzavano fino ad esserestrettamente collegati con la sua immagine: “l’Oratorio” e la “Scuola Professionale”. 4 Memorie Biografiche ZV, pagg. 659 - 660.5 Del 1853 è il REGOLAMENTO per i Maestri d’arte (MB IV, 661). Dello stesso tempo, peròcon data non definita perché fatto da diverse aggiunte nel tempo, è “IL PRIMO PIANO DI REGOLA-MENTO PER LA CASAANNESSAALL’ORATORIO DI SAN FRANCESCO DI SALES”. Esso hagià indicazione per:- L’Assistente di Laboratorio, Cap. V, art. 9;- Responsabile di Laboratorio, Cap. VII, art 1;- Maestri di laboratorio, Cap. IX.Tra il 1853 e il 1861 si perfeziona la regolamentazione (MB, IV, pagg. 735-755). 106 Don Bosco aveva portato a termine la sua risposta ad un’urgenza e lasciavasolidi orientamenti per un efficace intervento apostolico dei Salesiani tra i giovaniapprendisti: un modello di scuola (Valdocco); un progetto educativo (in un docu-mento del Capitolo Generale N); alcuni principi di organizzazione (Regolamentodei laboratori); un incarico a livello di direzione generale (Consigliere professio-nale); una figura di membro della comunità salesiana pensata particolarmente infunzione di queste presenze, sebbene aperta a molteplici altre possibilità (il Sale-siano Coadiutore); uno spirito peculiare e adeguato che comprende, in particolare,la professionalità, il lavoro, lo spirito di sacrificio, il senso sociale.Sarebbe interessante percorrere l’evoluzione avvenuta in Congregazione dopola morte di Don Bosco e nella prima metà del nostro secolo, storia in molte parti dipionierismo e di attenzione al progresso tecnico e pedagogico. 3.6. Opera preferenzialmente richiestaColpisce una coincidenza: in una gran parte dei nuovi Paesi che desideravanola presenza salesiana, l’opera preferenzialmente richiesta era la scuola professio-nale.La sensibilità di Don Bosco per il mondo del lavoro include anche il suo vivointeresse riguardo a certi fenomeni collegati ad esso, come l’emigrazione verso altricontinenti, le vicende degli incipienti problemi sociali e le molteplici iniziative ditipo culturale e di evangelizzazione dei ceti popolari. 4. VICINANZA CONGENITA CON IL FENOMENO UMANO DEL LAVORO Alla luce delle circostanze odierne scopriamo nella nostra vocazione, tra glialtri valori, un’affinità carismatica e una vicinanza congenita col fenomeno umanodel lavoro e con i bisogni dei giovani che ad esso si avviano.Percepiamo, al di dentro di una fondamentale predilezione per la gioventù so-prattutto più bisognosa (e senza disattendere altre caratteristiche della nostra mis-sione), un’indicazione vocazionalmente connaturale verso quel complesso mondodel lavoro in cui urge far brillare il Vangelo e che oggi s’impone come una priori-taria esigenza dei tempi.Lo riconosciamo sia nella considerazione della nostra specifica missione, sianel peculiare “spirito” che ci anima, sia nella “forma” stessa della Congregazione,sia nell’attuale richiesta d’urgenti “opzioni pastorali” in tale settore. Vediamonebrevemente il come. 4.1. La missione salesianaInnanzitutto possiamo percepire questa inclinazione congenita nell’approfon-dire la nostra specifica missione. Sin dal manoscritto costituzionale del 1859 i gio- 107 vani “avviati a qualche arte o mestiere” e le presenze ad essi destinate vengonomenzionati subito al secondo posto tra i destinatari e le opere della Congregazione,immediatamente dopo gli Oratori. Questa collocazione è conservata successiva-mente in tutte le riformulazioni. Le attuali Costituzioni, dopo essersi riferite informa generale agli adolescenti e ai giovani come destinatari della nostra missione,stagliano la figura speciale del giovane avviato al mondo del lavoro: “I giovani delceto popolare che si avviano al lavoro, anche se non vivono in condizioni di mi-seria, trovano spesso difficile inserirsi nella società e nella Chiesa. Imitando la sol-lecitudine di Don Bosco per gli apprendisti li guidiamo a prendere il loro postonella vita sociale, culturale e religiosa del loro ambiente”6.All’interno della varietà e della creatività con cui la Congregazione si è impe-gnata in vari Paesi, ci sono “tipi” di presenze tra i giovani specialmente vincolatecol mondo del lavoro; esse hanno attraversato tempi e frontiere e costituiscono unavera “caratteristica salesiana”. 4.2. L’Originalità dello spirito salesianoPercepiamo questa inclinazione analizzando l’originalità del nostro spirito. Ècentrato sull’operosità in una forma tanto concreta che ci avvicina, quasi direi pernatura, alla praticità del lavoro per trovare in esso un’appropriata incarnazione apo-stolica.È vero che, nell’ambito del nostro spirito, con il termine “lavoro” Don Boscointende significare ogni forma apostolica e di servizio nell’occupazione del tempo:lavoro è certo anche predicare, scrivere, studiare, amministrare i sacramenti, ecc.Ma è altrettanto vero che il nostro Fondatore ha portato sugli altari il vissuto e i va-lori del popolo lavoratore del suo tempo, secolarmente cristiano con una cultura giàin lento declino ma permeata di Vangelo (alacrità, sacrificio, servizio, praticità,competenza, solidarietà, religiosità, ecc.), perché noi divenissimo “profezia” vi-vente di determinate virtù da far permanere e da adattare all’irrequieto e crescentenuovo mondo del lavoro. Egli ha sperimentato, di fatto, l’originalità del suo spiritoanche in un continuo contatto apostolico con i giovani apprendisti più bisognosi.Così, nello spirito di Don Bosco, l’insistenza sui valori umani e cristiani del lavorosi carica di risonanze pratiche, di significato manuale e tecnico, che spingerà poivitalmente la Congregazione ad interessarsi generosamente dell’evangelizzazionedi una nascente epoca marcata da un dilatarsi appunto del lavoro umano.Questo peculiare spirito, che ammira e assimila i valori del lavoro in generale,ci dà e sorregge in noi una speciale sensibilità apostolica verso le urgenze giovanilinello specifico mondo del lavoro. Ha sospinto a curare una concreta pedagogiad’avviamento al lavoro: “Ricordatevi, cari giovani – diceva innanzitutto – chel’uomo è nato per lavorare!”. E proponeva loro il lavoro non come castigo, macome valore intrinseco allo sviluppo integrale della propria capacità di amare. 6 Costituzioni, 11. 108 La Congregazione è cresciuta in questo clima. A ragione il Capitolo Generale21, parlando della specificità della presenza salesiana nella scuola, enumera, tra lecostanti che la devono caratterizzare la seguente: “Scuola di lavoro perché insegnaa vivere la caratteristica spiritualità del lavoro, mantiene un abituale e cordiale col-legamento col mondo del lavoro; ma soprattutto perché in molti posti realizza corsidi alfabetizzazione e corsi serali per lavoratori; prepara con la formazione profes-sionale d’avviamento al lavoro i giovani apprendisti ad entrare nel mondo del la-voro con una loro qualifica”7. 4.3. La forma della Congregazione SalesianaMa c’è di più: per capire questa propensione innata dobbiamo considerareanche la forma stessa della Congregazione. Essa è costituita da “ecclesiastici elaici”, comporta la presenza sostanziale di “capi d’arte”, di “tecnici” e di “arti-giani”, che le imprimono una fisionomia di vita e di azione tutta propria.La componente laicale permea la forma stessa della Congregazione e, di con-seguenza, dà un suo tocco concreto alla vita e missione di noi tutti. Non si trattasemplicemente di una collaborazione “laterale” da parte di un gruppo, ma di unorientamento “intrinseco” al nostro tipo di comunità apostolica, con una sua fun-zione pastorale che include una specifica “coscienza di apertura secolare”8 che cispinge vocazionalmente (e, perciò, comunitariamente!) ad interessarci seriamentedei gravi problemi giovanili nel mondo del lavoro. 4.4. Scelta di determinate linee pastoraliE, infine possiamo considerare tale inclinazione nella scelta di determinatelinee pastorali in tale settore.Il Capitolo Generale Speciale insiste su “un’attenzione per la realtà sociale estorica del mondo operaio; lo sforzo di scoprire i suoi valori educativi, umani edevangelici; la preoccupazione di collaborare con i movimenti dediti all’evangeliz-zazione di questo ambiente”9.Ci ricorda inoltre che “l’azione pastorale e di testimonianza tra i lavoratori èuno degli impegni che caratterizzano la nostra vocazione di servizio delle classi piùbisognose. I Salesiani chiamati a questa missione dovranno prima di tutto appro-fondire l’ascolto e la conoscenza delle masse operaie, dei loro problemi, ansie easpirazioni, delle cause dell’atteggiamento nei confronti della Chiesa e dellafede”10.E il Capitolo Generale 21 ci esorta ad essere specialisti della condizione giova-nile e a dare in seno alle Chiese locali l’apporto di un’azione concreta, prendendo 7 Atti del Capitolo Generale 21, n. 131, 2.3.6.8 Atti del Consiglio Superiore n. 298, ottobre-dicembre 1980, pagg. 31ss.9 Atti del Capitolo generale Speciale, n. 74.10 Id. n. 413. 109 in attenta considerazione “l’appartenenza al mondo dello studio o della fabbrica, almondo dei campi o dell’impiego. Una cura specialissima si avrà per quei ragazzi egiovani che vivono in contesto di sottosviluppo economico e di emarginazione”11.C’è nella nostra vocazione una vera inclinazione congenita che ci spinge a col-tivare una peculiare attenzione alla gioventù più bisognosa del mondo del lavoro. Ec’è da domandarsi se il Signore non chiami, oggi, la Congregazione a privilegiare,per la sua immensa attualità, questo campo d’impiego apostolico.Uno sguardo alle attuali nostre opere rivela una gamma interessante e varia dipresenze fisiche in tale settore: scuole professionali e agricole, pensionati per gio-vani operai, centri giovanili, parrocchie, animazione di movimenti specializzati,centri promozionali ed altre molteplici attività affidate a persone singole che ope-rano con l’appoggio delle rispettive comunità. I programmi sono diversi. La finalitàè unica: portare il messaggio di Cristo a liberare e a perfezionare il lavoro umano. 5. IL “VANGELO DEL LAVORO” 5.1. Saper proclamare il “Vangelo del Lavoro”12Purtroppo sembra che da anni il Vangelo si sia fermato sulla soglia dei nume-rosi e vasti ambienti del lavoro, sebbene raggiunga ancora non pochi lavoratorinelle loro famiglie e in altri settori privati e individuali. A ragione, dunque, la “La-borem exercens” propone come compito importante dei fedeli il saper proclamareil “Vangelo del lavoro” per cercare un modo nuovo di pensare, di valutare e di agiree dare al lavoro il valore che ha agli occhi di Dio. Ma cosa chiede il saper annun-ciare questo “Vangelo”? 5.2. Riconoscere la consistenza del mondo del lavoroIn primo luogo, richiede di riconoscere la consistenza propria e obiettiva delmondo del lavoro, sia come fattore di umanizzazione personale e sociale e di pro-gresso, sia nelle sue ambivalenze e pericoli, sia nelle predominanti egemonie ideo-logiche che lo deturpano. Esso è la manifestazione storica della vocazione del-l’uomo nell’universo. Non è una materia amorfa, ordinaria e facile, senza emer-genza riguardo alle altre; il compito di un suo adeguamento all’etica e alle esigenzedella carità è assai difficile.Ha le sue leggi, i suoi rapporti, i suoi vantaggi e la sua razionalità intrinsecache è sfociata in quel fenomeno tutt’altro che secondario che chiamiamo “tecnica”.“Se le parole bibliche, ‘soggiogate la terra’, rivolte all’uomo fin dall’inizio,vengono intese nel contesto dell’intera epoca moderna, industriale e postindu- 11 Atti del Capitolo Generale 21, n. 29.12 Cfr. Laborem exercens, 7.26. 110 striale, allora indubbiamente esse racchiudono in sé un rapporto con la tecnica...che è il futuro del lavoro dell’intelletto umano e la conferma storica del dominiodell’uomo sulla natura”13.Il Vangelo del lavoro più che una tematica particolare comporta la “pastoraledella società industriale” a cui bisogna riconoscere sinceramente un luogo nellastoria della crescita dell’uomo, in cui rapporti e costumi tipici delle società ruralisono mutati e non necessariamente contro l’uomo. Il Vangelo del lavoro è anchemessaggio profetico-critico del progresso umano e delle tecnologie. Fino a quandonon si è capaci di entrare in questo vasto e dinamico mondo non si sarà capacinemmeno di evangelizzarlo, così come non fu possibile evangelizzare il mondorurale fino a quando la Chiesa non si è inserita nei suoi dinamismi e nella sua men-talità. 5.3. Posto centrale dell’uomoAll’interno della complessità e dei problemi del “mondo del lavoro” va rile-vato il posto centrale dell’uomo come soggetto, origine e finalità del tutto. “Ciòvuol dire che il primo fondamento del valore del lavoro è l’uomo stesso... Si arrivadunque a riconoscere la preminenza del significato soggettivo del lavoro su quellooggettivo”14.Questo è rilevabile a livello di riflessione umana e la parola di Dio lo illuminain modo determinante facendo diventare le “conclusioni dell’intelletto” una “con-vinzione di fede”15.Gesù Cristo venne ad incarnarsi in una storia umana reale, e non in un con-sorzio umano ideale e astratto. In Lui si rivela il disegno di Dio e il progetto storicoed eterno dell’Uomo vero e completo. “Essendo Dio è divenuto simile a noi intutto, dedicò la maggior parte degli anni della sua vita sulla terra al lavoro manuale,presso un banco di falegname. Questa circostanza costituisce da sola il più elo-quente ‘Vangelo del lavoro”16.Il suo non è soltanto un esempio morale, ma la prima rivelazione del genuinopiano di Dio sull’uomo e la sua presenza salvifica nei nostri sforzi di dominio e ditrasformazione del creato.Per questo il lavoro incorporato all’esistenza di Cristo ieri e oggi acquistaun’altra densità. Il mistero della sua morte e risurrezione danno al lavoro un sensodefinitivo, in altre parole non è solo strumentale alla produzione dei beni, ma coo-perazione alla salvezza dell’uomo in senso temporale ed eterno17. 13 Id. 5.14 Id. 6.15 Id. 4.16 Id. 6.17 Cfr. Id. 27. 111 5.4. Spiritualità del lavoroInfine dal “Vangelo del lavoro” emerge l’esigenza di una spiritualità che nonva intesa come uno strato più o meno sottile di atti o parole religiose da applicaread una realtà estranea, come se si trattasse di dorare una statua di bronzo; va intesainvece, come capacità di lettura e di partecipazione del disegno di Dio nella storia,competenza e impegno in essa, decisa presa di posizione dalla parte dell’uomo, tra-sfigurazione del mondo e sua offerta al Padre, unione con l’amore redentore diCristo. “Bisogna che specialmente nell’epoca odierna la spiritualità del lavoro di-mostri quella maturità che esigono le tensioni e le inquietudini dei cuori. I cristianisono persuasi che le vittorie dell’umanità sono segni della grandezza di Dio e fruttodel suo ineffabile disegno”18.Appare evidente la necessità d’illuminare con un adeguato messaggio evange-lico il lavoro umano e il progresso tecnico per risolvere certi problemi di sperequa-zione. 5.5. Illuminare con il messaggio evangelico il lavoro umanoC’è un Vangelo e c’è una Spiritualità del lavoro che devono crescere conurgenza nelle coscienze. Il progresso tecnico, frutto dell’intelligenza umana, non è,di per sé, il nemico dei poveri; ha bisogno, però, del messaggio evangelico per di-venire il loro amico!Don Bosco (è più che mai il Vangelo di cui egli è portatore) è lanciato nelmondo del lavoro nel senso più aperto, nelle prospettive più progressiste e avveni-riste, quindi è sintonizzato anche con l’era postindustriale caratterizzata dai compu-ters, dalla telematica, dalle tecnologie più sofisticate e avanzate che sembranoquasi sostituirsi alla mano dell’uomo per impegnare invece la sua intelligenza nellacreatività e funzionamento delle stesse tecniche. 5.6. Preparare la liberazione dell’uomoNon si tratta di legare l’evangelizzazione e l’educazione del mondo del lavoroné all’artigianato primitivo né all’ultimo sviluppo tecnologico; ma di proporre laliberazione di Cristo e la promozione dell’uomo in qualsiasi situazione, a tutti ilivelli e stadi del fenomeno “lavoro”.Così il Salesiano, come è disponibile al lavoro “primitivo” (agrario, preindu-striale e artigianale, neo-industriale...) è pure disponibile al lavoro nelle più avan-zate situazioni di sviluppo in cui sono chiamati e inseriti i giovani.Con una particolare attenzione il Salesiano sa che soprattutto ai poveri va an-nunziata la buona novella. Essa consiste nel liberare sempre più, e nel realizzare, ildiritto degli emarginati a conquistare a loro volta l’uso dei beni e delle tecnologieche non sono affatto retaggio delle sole società più industrializzate della terra. La 18 Id. 25. 112 “buona novella” da annunciare è la promozione dell’uomo, la sua abilitazione allavoro, la coscientizzazione del diritto alla tecnica, la destinazione dei beni econo-mici per tutti, la predicazione dell’eguaglianza dei figli di Dio, insieme a quanto èpiù essenziale per il Vangelo: la salvezza integrale della persona e dell’umanità. 6. SFIDA APPASSIONANTE E INEVITABILE 6.1. I giovani avviati al mondo del lavoro richiedono un’educazione integraleIl mondo del lavoro è aperto a tanti giovani, sia nelle società sottosviluppatesia in quelle più progredite. La loro condizione c’interpella. I giovani avviati almondo del lavoro richiedono l’aiuto di un’educazione integrale per inserirsisenza traumi nelle difficili e problematiche situazione reali e per capire e vivereil messaggio autentico di Cristo in un contesto che a prima vista si presenta loroquasi come incompatibile. C’è tutto un insieme di fattori e di condizionamentioggettivi (perfezionamento progressivo di mezzi e di sistemi di lavoro, variabilitàe novità nelle professioni) che esige, specialmente nei paesi a più alto sviluppo,sempre migliori livelli di preparazione professionale e richiede flessibilità e capa-cità di acquisire nuove conoscenze e tecniche rinnovate. A questo si aggiunge unavera erosione dell’etica tradizionale del lavoro, a cui è andata subentrando unavisione utilitaristica dell’individuo, dei gruppi e dello Stato, perciò il lavoro èsolo strumento di benessere a vari livelli e causa di duri conflitti. Le sperequa-zioni, gli abusi, gli scontri, gli odi, le violenze hanno portato, di fatto, ad unadura e continua conflittualità terribilmente bisognosa di giustizia, di verità e difraternità. 6.2. Esigenze di ridefinire il lavoro umanoLa pesante mole di questi problemi e situazioni è andata svegliando la co-scienza dei lavoratori. Si va esigendo una ridefinizione del lavoro umano, conside-randolo non solo come intervento materiale nella produzione dei beni, ma anchecome vera partecipazione attiva e cosciente allo stesso processo produttivo e alconseguente progresso socioculturale. Ciò significa poter intervenire nella determi-nazione delle finalità e della giusta destinazione dei prodotti e dell’inserimentodella propria prestazione in una compagine sociale di fraternità. Perciò l’educa-zione al lavoro necessita oggi anche di un’ampia formazione sociale alla coscienzapolitica e alla partecipazione civile. 6.3. Formazione alla coscienza politica e alla partecipazioneEsser lavoratore, infatti, comporta oggi più che mai avere un senso socialedella giustizia e saper prendere parte attiva nella costruzione della società, cono-scendo il significato umano e l’utilità del proprio contributo. 113 Se non si prende in considerazione questo ampio, nuovo, delicato e non facileaspetto dell’educazione si produrrà uno scollamento o uno strappo tra la prepara-zione dei giovani e la condizione sociale che si evolve continuamente.Insomma: entrando nel mondo del lavoro i giovani si trovano tanto nelle so-cietà sottosviluppate come in quelle progredite, anche se in modo differente, confenomeni che mettono a dura prova la loro qualità umana e sociale e la loro fedecristiana, e che ingigantiscono la difficoltà di ridurre a sintesi esistenziale i bisognipersonali, le istanze sociali e le esigenze del Vangelo.Questo semplice e assai incompleto abbozzo di quadro ambientale lancia unasfida appassionante al nostro compito educativo e di catechesi, suppone che l’inter-vento formativo salesiano non sia semplicemente un’area di parcheggio in cui igiovani sostano prima della loro vita reale. 6.4. Un progetto educativo pensato, maturato e continuamente aggiornatoÈ inevitabile per noi accettare, in solidarietà comunitaria, la sfida, per ardua edesigente che appaia. Dobbiamo approfondire e far progredire quella riflessione edu-cativo-pastorale che in questi anni ci si è sforzati di promuovere, cioè: un progettoeducativo pensato, maturato e continuamente aggiornato. Dobbiamo sentirci chiamatiad essere frequentatori e collaboratori all’elaborazione di una nuova e vera “culturadel lavoro”. Questo significa sforzo permanente d’informazione, di discernimento edi confronto critico riguardo a tutto ciò che nasce e si esprime nel mondo del lavoro,superando una certa ignoranza sistematica e il giudizio abitudinario e leggero. 6.5. Cultura del lavoro tradotta in metodologia pedagogicaMa una cultura del lavoro, elaborata da educatori, non può ridursi a belle pa-role, deve venir tradotta in una metodologia pedagogica che ripensa l’organizza-zione dell’istituzione educativa (il funzionamento di un’appropriata “comunità edu-cativa”!) e ricerca praticamente un orientamento formativo unificante tra la prepa-razione tecnica, la visione umanistica dell’esistenza e il progetto cristiano di vita. 6.6. Riattualizzare il sistema preventivoRiattualizziamo con costante impegno il Sistema Preventivo, come metodo-logia pedagogica che cerca una sintesi vitale tra fede e lavoro, un dialogo costantetra Vangelo e tecnica, per formare robustamente nei giovani apprendisti un’ade-guata mentalità cristiana. 7. PROIEZIONI PRATICHE DELLA DIMENSIONE LAICALE La sfida è veramente vasta e appassionante. Tutti ci sentiamo interpellati, ma ilproblema è immenso. La chiesa intera cerca di affrontarlo tra innumerevoli difficoltà. 114 Noi salesiani siamo certamente chiamati a collaborare. Incominciamo a curaremeglio la “dimensione laicale” della nostra vocazione!A tal fine vorrei concentrare l’attenzione su tre proiezioni pratiche che da essaderivano. 7.1. Salesiani coadiutoriInnanzitutto riguardo ai “salesiani coadiutori”. Abbiamo ricordato l’impor-tanza della componente laicale nella forma stessa della nostra Congregazione. El’abbiamo fatto per confermare la nostra propensione innata d’impegnarci apostoli-camente nel mondo del lavoro. “La Congregazione di S. Francesco di Sales – ci halasciato detto Don Bosco – è una radunanza di preti, chierici, laici, specialmente ar-tigiani, i quali desiderano di unirsi insieme, cercando così di farsi del bene tra loroe anche di fare del bene agli altri”19.Un’esigenza concreta nel riflettere sul ruolo che tocca a noi salesiani nelmondo del lavoro è che tutta la Congregazione prenda sul serio la necessità di rive-dere, di rinnovare e cambiare profondamente la mentalità circa la componente lai-cale della comunità salesiana. 7.2. Importanza dei collaboratori laiciDobbiamo considerare l’importanza e il ruolo dei numerosi laici sia nella “Fami-glia salesiana” che nel vasto ambito di simpatia e di collaborazione che la circonda.La Congregazione insiste da anni e in maniera coerente sul loro ruolo ecclesiale esulle loro multiformi capacità di partecipazione e collaborazione. La validità dellaloro presenza, il fondamento del loro inserimento, il bisogno di formazione continua,i rapporti fra essi e le nostre Comunità sono stati temi ribaditi in indirizzi e progetti.Recentemente un nuovo documento della Santa Sede20 “Il laico cattolico, testi-mone della fede nella scuola”, ci aiuta a sintetizzare quanto si veniva raccoman-dando. Da esso ci viene un rafforzamento autorevole di quello che in questi anni siè ripetuto, cioè che la presenza dei laici, sebbene originata dal bisogno di personalequalificato, dati i livelli e la quantità degli impegni educativi, ha superato oggiquesto motivo iniziale e trova fondamenti in considerazioni teologiche: una visionedi Chiesa come comunione operativa di diverse vocazioni, una nuova compren-sione dell’agire pastorale, e una nuova considerazione del laico all’interno di en-trambe. “Il motivo fondamentale dell’importanza del laicato cattolico consideratopositivo ed arricchente dalla Chiesa, è teologico”, ci dice il “Documento”21; la pre-senza è necessaria22; si tratta di un importante “segno dei tempi”23: “la presenza si- 19 Memorie Biografiche, XZZ, 15 1.20 S. Congregazione per l’Educazione Cattolica, Roma, 15 ottobre 1982.21 Ivi, 2.22 Ivi, 3.23 Ivi, 4. 115 multanea di sacerdoti, religiosi, religiose e laici costituisce per l’alunno un riflessovivo di questa ricchezza che gli facilita una maggiore assimilazione delle realtàdella Chiesa”24. La vocazione educatrice coinvolge il laico nel “compito di formareuomini che attuino la civiltà dell’amore”25, attraverso la comunicazione della cul-tura in prospettiva di fede26.Da questa rapida indicazione si vedono già quali saranno i contributi dei laicinelle nostre comunità educative: esperienza di vita, professionalità, testimonianzacristiana. Si vedono anche quali sono i punti delicati su cui portare l’attenzione:scelta accurata in funzione del progetto educativo particolare, formazione continua,coinvolgimento attivo. 7.3. Ruolo animatore della comunità salesianaIn rapporto all’inserimento dei “laici” si prospetta un terzo elemento concretoda promuovere: il ruolo animatore della comunità salesiana.Nell’attuale struttura educativa, dai compiti complessi, dai molteplici influssi,dal pluralismo vitale, dalle aperture indispensabili, è diventata necessaria e preziosala funzione di orientamento qualificato, di animazione delle persone e di sapientecoordinamento del tutto. L’educazione di fatto è costantemente minacciata, oltreche da certe ideologie egemoni nell’opinione pubblica e in certe organizzazioni so-ciali, anche dai pericoli di frammentazione, d’eclettismo, di funzionalismo, e pur-troppo a volte d’incompetenza nel campo specifico.Una visione chiara e costantemente riveduta dei valori che si propongono, unaconvergenza metodologica e soprattutto un rafforzamento della qualità delle per-sone sono compiti educativi non addizionali, ma principali.I salesiani, sebbene non esclusivamente loro, debbono svolgere con bontà e co-stanza il ministero di animatori: è un compito di competenza e di contenuti e nonsoltanto di fervore, o di semplice organizzazione. Questo impegno esige un livellopiù alto di qualificazione professionale, una maggior chiarezza riguardo all’origina-lità della propria missione, un’avvertita coscienza comunitaria di base che facciadiventare connaturale la partecipazione. 8. ALCUNI SUGGERIMENTI DI STRATEGIA PER IL FUTURO Da quanto siamo venuti dicendo emergono non pochi suggerimenti per le pre-senze dedicate a questo tipo di destinatari. A me, per il momento, sembra interes-sante sottolineare e raccomandare pochi ma grandi orientamenti che sono alla ra-dice di tanti altri. 24 Ivi, 43.25 Ivi, 19.26 Ivi, 20. 116 8.1. Preparazione specifica del personale salesianoIl primo fronte di una rinnovata strategia è la preparazione specifica di più per-sonale salesiano per il mondo del lavoro. È stata prerogativa di lunghi periodi dellanostra storia preparare, in numero notevole, dei confratelli appositamente per talesettore. Recentemente le insistenze si sono spostate alquanto verso altri settori,mentre questo, che sembrava ormai acquisito, è rimasto un po’ in seconda linea.Così si sono venute allargando altre qualifiche e presenze, mentre è rimasta piùo meno allo “status quo” la qualificazione del personale in vista dell’impegno nelmondo del lavoro, forse anche per la difficoltà di adeguamento che essa rappresenta.Si potrebbe pensare, a modo d’ipotesi stimolante per provocare reazioni, che mentrela nostra capacità di risposta regge davanti a sfide più semplici, il salire del livellodelle competenze richieste ci trova non sempre pronti a rispondere adeguatamente.La preparazione specifica dei Salesiani in questo campo comprende oggi variaspetti: la coscienza e il senso pastorale, la sensibilità per i segni dei tempi e per ivalori della cultura del lavoro, la qualificazione professionale, la capacità di coin-volgimento del laicato, la perizia nell’animazione soprattutto di comunità educa-tive, il dialogo di quartiere, la comunione di Chiesa locale, ecc.Da anni si parla di queste nuove esigenze e non c’è dubbio che si cammini.Oggi si possono vedere esempi e modelli di comunità che funzionano con effi-ciente qualificazione dei salesiani, con buona integrazione e animazione dei colla-boratori laici, con orientamento, corresponsabilità e dialogo. 8.2. Il controllo delle opereUn secondo fronte strategico, altrettanto importate, è il controllo delle opere, laloro visione d’insieme con un loro equilibrato sviluppo organico nelle Ispettorie, inconsonanza con l’identità e l’originalità salesiana. Mi riferisco alla quantità di pre-senze tra i lavoratori che ciascuna Ispettoria ha oggi e prospetta per il futuro, parti-colarmente di carattere educativo. Si sa che in alcune Ispettorie, per effetto di unosviluppo portato avanti più in base a sole offerte e scelte occasionali che a criterisalesiani, il nostro impegno nel mondo del lavoro si è rimpicciolito progressiva-mente. È imperioso pensarci! 8.3. Pastorale vocazionaleE, infine, un altro fronte vitale è quello di una rinnovata pastorale vocazionalein favore del già più volte ricordato salesiano coadiutore. Il futuro delle nostre pre-senze educative nel mondo del lavoro è legato fortemente alla vocazione del sale-siano coadiutore. La sua figura è nata e si è espressa in queste presenze, pur senzalimitarsi ad esse. I periodi più floridi delle scuole professionali ed agricole coinci-dono anche con una presenza quantitativa e qualitativa di coadiutori e con il fioriredi ambienti particolarmente dedicati alla loro preparazione: corsi professionali, in-contri e confronti, permanenza nel settore, ecc. 117 È dunque pressante al riguardo, la necessità di pensare coraggiosamente e concreatività ad iniziative di pastorale vocazionale veramente rinnovate. Attraversomodelli di esperienze e proposte, esse debbono mettere davanti ai giovani, in tuttala sua ricchezza e senza bisogno di condizionamenti particolari, questa manieramoderna e geniale di essere salesiani.Ogni Ispettoria deve far sì che i giovani, chiamati dal Signore a questo tipo diimpegno, trovino i punti di riferimento, l’orientamento, l’animazione e l’assistenzaper un’opzione libera, attraente, chiara e gioiosa. 9. AFFIDAMENTO A MARIA 9.1. Il lavoro umano, chiave della questione socialeIl progresso tecnico è un bene in sé, ma è ingabbiato in strutture e ideologienon oggettivamente etiche, né tanto meno cristiane che lo mettono a servizio diegoismi di gruppi e di Stati.Il Papa ci ha ricordato il fatto che “il lavoro umano è una chiave, e probabil-mente la chiave essenziale di tutta la questione sociale, se cerchiamo di vederlochiaramente dal punto di vista del bene dell’uomo. E se la soluzione o, piuttosto, lagrande soluzione della questione sociale, che continuamente si ripresenta e si fa piùcomplessa, deve essere cercata nella direzione di ‘rendere la vita umana piùumana’, allora appunto la chiave, che è il lavoro umano, acquista un’importanzafondamentale e decisiva”27.Urge dunque, nella missione della Chiesa, evangelizzare con opportuna attua-lità la cultura del lavoro. Pur adeguandosi alla situazione esistenziale del povero,occorre consegnare anche ai poveri (ai giovani bisognosi) le chiavi di aperturaverso un giusto progresso a cui ogni uomo e ogni popolo ha diritto, per la proprialiberazione sociale e spirituale.Non puntiamo semplicemente sulle nostre energie, tanto limitate, ma confi-diamo con cuore illuminato in Colui che ha voluto la nostra vocazione e che ci dàla forza per viverla e farla crescere.E questa fiducia nel Cristo esprimiamola filialmente attraverso la nostra speci-fica devozione mariana: a Cristo per Maria! L’Ausiliatrice interceda, ci guidi e cisorregga in un impegno tanto arduo e incalzante. 9.2. Maria modello del nostro tempoNoi La veneriamo appunto come “Ausiliatrice” perché sottolineiamo in Lei sial’operosa condizione dei poveri (sposa di un falegname e casalinga), sia la solleci-tudine di servizio e di collaborazione, sia, soprattutto, la solerte laboriosità materna 27 Laborem exercens, 3. 118 così aperta all’universalità da costituire, più in là del Calvario, il suo modo d’esserecome risorta nell’assunzione ai cieli: vive con Cristo Signore quale Aiuto dell’uma-nità e quale Madre della Chiesa. 9.3. La Madonna del lavoroEssa è, dunque, totalmente attiva, dedita agli uomini ancora viandanti, cosìpreoccupata dei poveri e dei bisognosi che potremmo anche chiamarla “La Ma-donna del lavoro”, quasi a sottolineare un aspetto del suo atteggiamento di Ausilia-trice.Ebbene: considerando il bisogno impellente che abbiamo di saper reinserircivalidamente oggi nel mondo del lavoro, affidiamo fiduciosamente a Lei, nostraMadre e Maestra, il rilancio di un aspetto tanto essenziale della nostra missionenella Chiesa.Esprimiamo in questo atto di affidamento a Maria Ausiliatrice il nostro propo-sito sincero di essere portatori ai giovani del “Vangelo del lavoro” approfondito eproclamato alla luce del mistero di Cristo presentato come messaggio di risposta al-l’appello dei segni dei tempi e dell’attuale condizione soprattutto dei più bisognosi. 119 L’impegno della Congregazione Salesianaper il mondo del lavoro Egidio VIGANÒ Il Rettor Maggiore don Egidio Viganò ha onorato l’AssembleaCNOS-FAP del maggio 1985 con un intervento inteso a preci-sare, con l’autorevolezza del Superiore, l’impegno della Con-gregazione salesiana per il mondo del lavoro.La Sede nazionale ha ritrascritto dalla registrazione la conver-sazione per offrirla a tutti i Salesiani d’Italia, sia impegnatinella formazione professionale, sia impegnati in altre dimen-sioni ed ambienti pastorali.Il documento viene proposto nella forma discorsiva con cui èstato pronunciato, per conservargli lo stile e la freschezza di unaconversazione ricca di contenuti e di significato.Il Rettor Maggiore, cui va il ringraziamento della FederazioneCNOS-FAP per la sua disponibilità, ha riletto e approvato iltesto che viene qui riprodotto. Il vostro Presidente D. Mario Bassi mi ha invitato a fare una conversazione fa-miliare sul pensiero della Congregazione, attraverso le Costituzioni e i Regola-menti rinnovati, circa l’impegno per la formazione dei giovani al mondo del lavoro,ossia sull’aspetto tanto caratteristico della vocazione salesiana di impegnarsi per gliapprendisti, per la gioventù dei ceti popolari e degli operai.Io ho preso le Costituzioni e i Regolamenti, ho riletto alcuni articoli che vi pre-sento, ne deduco alcune conclusioni; voi poi farete delle domande e tutti insiemecompleteremo queste idee.Non sono in ordine diretto ai problemi pratici che avete voi, ma nell’ordinefondante della vocazione salesiana; quindi presentati in forma universale valgonoper tutta la Congregazione, per tutti i salesiani. Poi, in ogni paese e in ogni Regionesi fa quel che si può. Queste Costituzioni infatti valgono, per esempio, anche per isalesiani polacchi; ma non possono fare queste cose nel loro paese; però è bene sa-pere che dove si può fare, anche lottando, bisogna fare!Credo che gli Articoli che possono suggerire elementi di riflessione su questoimpegno della Congregazione riguardo al mondo del lavoro possono essere quelliche vi presenterò con una presentazione sostanziale, non con uno studio esaustivo. 1. LE COSTITUZIONI E IL MONDO DEL LAVORO Il 1° articolo che mi sembra importante è l’Art. 7 delle CC. nel quale si stabi-lisce qual è la figura e il posto della nostra Società nel mondo contemporaneo. 120 Vi si dice che noi dobbiamo essere “aperti alle culture dei diversi paesi dovelavoriamo”. Noi sappiamo che il mondo del lavoro è una sottocultura o una cul-tura, e l’articolo specifica che dobbiamo essere “aperti” a questa cultura; che lavo-riamo in ambienti “popolari”, dove per ‘popolo’ si implicano evidentemente leclassi dei lavoratori, degli operai, dei contadini e questo con una “azione pastoraleper l’avvento di un mondo più giusto e più fraterno in Cristo”.Evidentemente è la visione integrale della pastorale della Chiesa; però, l’arti-colo sottolinea dal punto di vista dell’impegno salesiano, la ricerca dell’avvento diun mondo più giusto. E quindi ci introduce in una maniera di fare pastorale che èentrare nell’ambito delle culture, per costruire una società nuova. È un’idea tantocara a Don Bosco già dal proemio delle prime Costituzioni del 1858.Nella seconda parte delle Costituzioni troviamo l’Art. 27: questa seconda parteparla della nostra missione e nel primo capitolo dei destinatari. L’Art. 26, infatti, cipresenta come nostri destinatari “i giovani, specialmente i più poveri” e bisognosi,e l’Art. 27 specifica che la Congregazione attraverso il Capitolo Generale ha volutoraccogliere in un distinto articolo un elemento che caratterizza la vocazione sale-siana:“I giovani degli ambienti popolari..., che si avviano al lavoro e i giovani lavo-ratori spesso incontrano difficoltà e sono facilmente esposti ad ingiustizie. Imi-tando la sollecitudine di Don Bosco, ci rivolgiamo ad essi..”.Quindi diciamo di aver qui un elemento per determinare nei giovani che si av-viano al mondo del lavoro e nei giovani lavoratori un ambito preferenziale dell’at-tività della Congregazione salesiana. Quando in paesi delle società dei consumi cidomandiamo chi siano i giovani poveri, se non ve ne sono, almeno dobbiamo stareattenti a questo aspetto: coloro che si avviano al mondo del lavoro devono esserepreferiti dalla nostra scelta pastorale.L’Art. 29 sottolinea di nuovo la nostra preferenza e presenza negli ambientipopolari: “i ceti popolari” come una evangelizzazione che implica promozioneumana. Difatti dice: “Riconosciamo i valori evangelici di cui sono portatori (questiceti popolari) e il bisogno che hanno di essere accompagnati nello sforzo di promo-zione umana e di crescita nella fede”.È bello tutte le volte che si parla di questi temi vedere come le nostre Costitu-zioni mettono in questo binomio come due poli inseparabili della nostra maniera diconcepire la pastorale.L’Art. 31 parla del nostro servizio educativo-pastorale. Approfondisce questoconcetto che dicevamo prima. La nostra missione partecipa evidentemente a quelladella Chiesa, però è un progetto di promozione integrale: l’articolo si chiude con lafamosa frase di Don Bosco: “onesti cittadini e buoni cristiani”. Quindi l’impor-tanza di portare il messaggio del Vangelo intimamente unito, dice l’articolo, allosviluppo dell’ordine temporale. Forse la nostra formazione clericale di un certo pe-riodo di formazione sacerdotale ci ha allontanato un po’ da questo realismo sale-siano e ci ha fatto diventare umanisti nel senso intellettuale e non nel senso reale 121 della soluzione dei problemi umani, che sempre comportano questa competenza di-retta nella crescita della promozione umana.L’art. 33 di nuovo sviluppa quest’aspetto: “Promozione umana e collettiva” –“Lavoriamo in ambienti popolari e per i giovani poveri. Li educhiamo alle respon-sabilità morali, professionali e sociali, collaborando con loro, e contribuiamo allosviluppo di gruppo e dell’ambiente”. Questo articolo è importante per noi, per ciòche dirà poi; perché il mondo del lavoro ci obbliga ad avere competenze sociali, sianella formazione di questa gioventù, sia nelle problematiche con cui noi pensiamoe progettiamo la pastorale. Dobbiamo avere maggior considerazione, competenza econoscenza per l’ambito sociale.Ora nella nostra tradizione vi è un principio fondamentale che è molto bello eancora valido, di “non metterci in politica”. Abbiamo la politica del “Padre nostro”.Ma il mondo ha camminato dai tempi di Don Bosco fino ad oggi. Ai tempi di DonBosco, infatti, il concetto di politica era vincolato anche con tutte le vicende del Ri-sorgimento e quindi con un concetto di vita cristiana e di preoccupazione dellaChiesa, vincolato con il problema del potere temporale. Non hanno permesso aDon Bosco di inserire nelle Costituzioni, e lo ha tentato per ben tre volte, l’articoloche diceva di non mettersi in politica, perché gli si obiettava. “No, vi sono dei prin-cipi che bisogna difendere...”.Don Bosco ci ha detto “niente politica”, ma intendeva: la politica del suotempo...Però il mondo ha camminato, è cresciuto. I segni dei tempi hanno svilup-pato il senso sociale. Ora il termine “politica” si usa anche per indicare il “sensosociale”. Quindi c’è un termine “politica” che si riferisce al bene comune, ai grandifini della vita della società e c’è invece un’accezione al termine di politica che si-gnifica la politica partitica, cioè ricerca, possesso ed esercizio di potere, per far fun-zionare la società. In questo secondo senso rimaniamo con lo spirito e la tradizionedi Don Bosco.L’Art. 33 è nel primo senso, ma non usa il termine “politica”, perché nei Capi-toli la parola “politica” è sempre stata antipatica, sopratutto se vi sono Confratellidi zone nelle quali la parola “politica” significa quello che è il governo e fai ilgoverno: per esempio i capitolari polacchi hanno fatto sempre osservare questo.Però la realtà è un’altra. Difatti oggi si chiama politica tutto ciò che è preoccupa-zione del bene comune. In questo senso dobbiamo saper lottare. Non la chiamiamo“politica”, però dobbiamo saper usare questa parola, perché fuori del nostro am-biente se andiamo a dire: “Noi non ci mettiamo in politica” forse saremo mal inter-pretati.Come infatti possiamo lavorare per i giovani del mondo del lavoro senza avereun’idea politica? Ma politica nel senso della “P” maiuscola, del bene comune, delbene sociale, dello sviluppo economico, dello sviluppo del lavoro, ecc. Come edu-care al lavoro se non conosciamo quali sono le molle interiori del mondo del la-voro, che è politica? Allora quest’articolo è molto importante. È l’unico articoloche ha ricevuto lodi da parte dei consultori della Sacra Congregazione dei Reli- 122 giosi, che ha approvato queste Costituzioni, perché ci hanno detto e scritto che nonhanno mai trovato questo tipo di problemi descritti con tanta chiarezza e precisionereligiosa. Difatti, dice poi: “Partecipiamo in qualità di religiosi (quindi con una vo-cazione specifica che non è quella del politico) alla testimonianza e all’impegnodella Chiesa per la giustizia e la pace”.Noi partecipiamo: nel mondo del lavoro vi è un bisogno enorme di giustizia edi pace. Come affrontare le conflittualità del mondo del lavoro con un concetto dipace che non è non lottare, ma lottare con dei metodi che sono degni della pace?“Rimanendo indipendenti da ogni ideologia e politica di partito (ecco il punto) ri-fiutiamo tutto ciò che favorisce la miseria, l’ingiustizia, la violenza, e cooperiamocon quanti costruiscono una società più degna del1’uomo”.Ecco di nuovo il pensiero di D. Bosco: costruire la società. E l’articolo con-tinua: “La promozione a cui ci dedichiamo in spirito evangelico, realizza l’amoreliberatore di Cristo e costituisce un segno della presenza del Regno di Dio”. Par-liamo anche di liberazione, nel senso del Liberatore, che è Cristo. Questo articolo èmolto importante per costruire l’interesse, la mentalità e l’impegno di noi salesiani,sopratutto in questo aspetto del mondo del lavoro; anche negli altri, ma qui si rife-risce in modo molto intenso al gruppo di salesiani impegnati in questo settore.L’Art. 40 che conoscete tutti a memoria, suppongo, descrive il criterio pasto-rale che deve guidare tutte le nostre presenze: il criterio “oratoriano”, cioè “l’ora-torio” come criterio di fondo. Però non l’oratorio come struttura, l’oratorio di Val-docco; ma “l’oratorio” come molla che spinge il pastore a costruire un progetto dievangelizzazione; stimolo, metro per giudicare. Questo è un punto che tocca ancheil nostro impegno nel mondo del lavoro, che a volte si identifica con la scuola pro-fessionale: questo è uno sbaglio!La scuola professionale è una struttura che esiste, che ha un peso storico, cheha bisogno di riforme, di difesa, di promozione; però non esaurisce il concetto pa-storale della presenza salesiana nel mondo del lavoro.Da dove ha incominciato D. Bosco a giudicare come faceva pastorale per gliapprendisti? Non è partito da una struttura, è partito dai giovani che erano sullestrade o nelle carceri o impiegati in forma ingiusta nel lavoro della città di Torinodell’epoca.Per giudicare anche le attuali presenze che abbiamo, per difenderle, per svilup-parle dobbiamo partire dai bisogni reali che ha la gioventù dal punto di vista pro-mozionale e cristiano. È bello questo! È una rivoluzione... Poi faremo quello chepotremo; però abbiamo un criterio, un metro per misurare le cose.Gli Artt. 41 e 42 sottolineano la sensibilità ai segni dei tempi: dobbiamo essere“sensibili ai segni dei tempi”. Quindi non siamo difensori di una struttura tradizio-nale; camminiamo con le cose che camminano e raggiungiamo i giovani “nel loroambiente”.L’Art. 42 nomina in forma particolare “i centri professionali, la scuola, i con-vitti, le case per giovani in difficoltà”. 123 È interessante notare come le Costituzioni nuove non hanno più l’elenco delleopere: qui sono stati messi i criteri pastorali, e invece le opere, quelle che ci sono eche ci possono essere, sono indicate nei Regolamenti. Questo sottolinea, diciamocosì, anche l’aspetto di possibile transitorietà, di cambio che ci può essere nelleopere. Ossia noi non siamo catalogati tra i carismi della Chiesa, perché abbiamo undeterminato tipo di opere: non siamo i Fratelli delle Scuole Cristiane per le scuoleprofessionali, ma siamo gli educatori di questa gioventù, e questa gioventù deve es-sere accudita con i mezzi che il tempo e la zona rendono possibili, per la sua pro-mozione umana e per la sua evangelizzazione.L’Art. 47 delle Costituzioni coinvolge i laici associati al nostro lavoro. Si rife-risce a tutti. Però credo che è molto importante nell’ambito in cui lavorate voi,perché innanzitutto, oggi, in tutte le opere si suppone il coinvolgimento dei laici.Ma penso che, in forma specialissima, nei nostri Centri professionali c’è un gruppodi laici più numeroso che negli altri Centri. E con un bisogno di particolare cura.Questo coinvolgimento, evidentemente, significa un coinvolgimento educativo, pa-storale dove è possibile, non semplicemente tecnico e di docenza.Questi sono gli Articoli delle Costituzioni che penso sia utile tener presenti. 2. I REGOLAMENTI E IL MONDO DEL LAVORO L’Art. 2 sviluppa e specifica “l’impegno educativo verso giovani lavoratori” eil mondo del lavoro. Dice tra l’altro: “Curare i Centri di formazione professionale”.Gli Artt. 4, 5 e 6 parlano del progetto educativo-pastorale.È questo un tema importante. Il nostro tipo di promozione umana, quando ab-biamo delle strutture scolastiche, implica una certa creatività e originalità. Noi nonabbiamo come ideale di essere i realizzatori di un programma fatto dallo Stato.Qualche volta dovremo fare così: quando siamo forzati lo faremo, ma abbiamo unastoria e una capacità per fare dei progetti migliori.Purtroppo nonostante tanta democrazia in Italia, lo Stato segue ancora, perquanto capisco io, le ideologie di Stato docente, che vengono da un periodo liberaleed è appoggiato e condizionato da idee socializzanti. Noi vediamo in Francia, inSpagna adesso, come il socialismo, anche più democratico, porta ad una interpreta-zione di questo tipo, e purtroppo nelle mie esperienze, girando il mondo, non homai trovato un partito cristiano e neppure una gerarchia locale che capisse a fondoquesti problemi. Purtroppo! Allora ci si sente sguarniti in questo campo. Però io vidico: fin dove è possibile lottare e difendere; bisogna farlo. Perché è un bene per igiovani. Non è per difendere chissà quale specialità salesiana, ma perché nellaChiesa noi abbiamo detto una parola su questo. Se ce la tolgono, staremo zitti!Siamo richiesti dai governi, in altri paesi. Le scuole professionali sono ri-chieste dai governi; anche ultimamente il Papa ci manda nella Guinea Konakry, ri-chiesti dal Presidente di quella Repubblica per aprire là delle scuole professionali. 124 Vuol dire che abbiamo la possibilità di dire una parola di esperienza vissuta realiz-zata in questo campo.Quindi questi artt. 4, 5 e 6 che parlano del Progetto educativo pastorale si rife-riscono a tutte le nostre scuole, però in modo particolare a quelle professionali, chepiù ci hanno caratterizzato.Poi l’Art. 8 parla dei gruppi e delle associazioni che bisogna promuovere. Ab-biamo delle associazioni, dei gruppi di giovani apprendisti, di lavoratori? Ce nesono di tipo sportivo, di tipo culturale, di tipo religioso. Ve ne sono anche di carat-tere professionale. È cosa da pensare! La JOC qui in Italia non funziona tanto, main Belgio, Francia, Cile e in tante altre parti funziona, e vi sono salesiani vi lavo-rano. Su questo punto noi potremo portare contributo di idee e fare delle espe-rienze. Si potrà incominciare con piccoli gruppi; e sopratutto da questi gruppi sipuò favorire la maturazione di vocazioni. Noi abbiamo bisogno di molte vocazioniper il mondo del lavoro. Vocazioni specifiche, sopratutto per salesiani laici o coa-diutori. E allora questo articolo è importante.Anche l’Art. 9 che parla di questo orientamento vocazionale, può farci pensareal Coadiutore.L’Art. 13 parla delle Scuole e dei Centri professionali ricordando la loro im-portanza e soprattutto che in questa Scuola o Centro professionale noi rielaboriamocriticamente la cultura. Diventano così centri creativi di cultura, la cultura propriadel mondo del lavoro. Quindi una maniera di far scuola che è veramente pastorale,con una verifica periodica. Il Dicastero di D. Vecchi ha elaborato e offerto dei sus-sidi nel sessennio scorso e spero che continuerà anche in questo sessennio.E per ultimo nell’Art. 14 dove si parla che la Congregazione salesiana, quindiil Centro professionale, deve essere anche un centro di cultura popolare a serviziodella zona, con corsi che possono essere offerti agli adulti della zona; in tante partidel mondo si tratta solo di qualificazione professionale di base e persino di alfabe-tizzazione; un servizio del quale possano approfittare coloro del popolo e dei cetipopolari, che ci vivono attorno.Questi sono i principali articoli dei Regolamenti che ci richiamano al vostroproblema. 3. IL SALESIANO COADIUTORE Voglio però aggiungerne alcuni altri tolti sia dalle Costituzioni sia dai Regola-menti, che non si riferiscono direttamente al mondo del lavoro o ai Centri profes-sionali, ma al Salesiano Coadiutore.Perché non ne ho parlato prima? Perché questi ultimi articoli si riferiscono atutti i Salesiani, alle Ispettorie e alle Comunità. Tutti siamo impegnati in questo.Vale qui la pena sottolineare la figura del salesiano laico, perché rappresentauna nostra speciale capacità di inserirci pastoralmente nel mondo del lavoro. E 125 perché, purtroppo, è un aspetto della vita della nostra Congregazione particolar-mente in crisi. Allora è importante ricordare l’Art. 45 delle Costituzioni in riferi-mento ai nostri Confratelli coadiutori: è un articolo che parla della corresponsabi-lità nella nostra missione, e si riferisce tanto al salesiano prete quanto al salesianolaico.L’articolo dice: “Il salesiano coadiutore porta in tutti i campi educativi e pa-storali il valore proprio della sua laicità (che enormemente interessa il mondo dellavoro), che lo rende in modo specifico testimone del Regno di Dio nel mondo, vi-cino ai giovani e alle realtà del lavoro”.Ma questo io lo leggo perché non è solo la caratteristica specifica del nostroConfratello coadiutore o laico, ma una dimensione di ogni Comunità salesiana. IIsalesiano prete, il salesiano diacono devono sentire come elemento costitutivo dellaloro capacità pastorale questa dimensione laicale, questa tendenza a essere presentee operante nel mondo del lavoro. Evidentemente in collaborazione e complementa-rietà.Ci sono poi altri articoli. L’Art. 4 delle Costituzioni fa vedere l’unità della co-munità. Ci hanno fatto aggiungere “clericale”, però questo si riferisce ad una moda-lità di servizio; ma ciò che è sostanziale è che la nostra comunità è composta dichierici e di laici, che vivono la medesima vocazione in fraterna complementarietà.Questo bisogna sottolinearlo; e questo è stato sottolineato anche negli Artt. 106e 116 per l’impegno paritario della formazione: evidentemente il coadiutore se-condo la specificità sua propria.Questi sono i principali articoli riferiti al nostro argomento. 4. IDEE SINTESI Io direi adesso alcune idee come sintesi di questa carrellata attraverso gli arti-coli che ci interessano e che ci ricordano l’importanza della nostra vocazione inquesto settore.La prima idea che mi sembra risulti evidente da questa rapida considerazionedel nostro testo fondante è la chiara coscienza della Congregazione circa l’impegnosalesiano nel mondo del lavoro, come aspetto caratteristico della nostra missione.Direi che la rielaborazione del testo lo ha messo ancora più in evidenza, e lo ha sot-tolineato come un impegno caratterizzante. Quindi: quanto più diminuisce questoimpegno, tanto più si fa generica la figura e il volto del salesiano.La seconda idea. La rielaborazione del testo ha portato alla revisione e all’ap-profondimento dei principi direttivi di questo impegno. In che cosa consiste questarevisione e approfondimento?Nel dimostrare come la nostra maniera di evangelizzare consiste precisamentenella capacità di far crescere il giovane povero, il giovane bisognoso nella sua qua-lità di cittadino: non che, nel fare questa promozione umana, si dimentichi il Van- 126 gelo di G.C., ma perché il Vangelo di G. C. è proprio un fermento, che farà crescerel’uomo in quanto tale, nella sua condizione di uomo.Lo slogan lanciato dal Capitolo Generale XXII° è chiarissimo: “Educare evan-gelizzando, evangelizzare educando”. Promuovere l’uomo, fare cultura non signi-fica fare erudizione, far sapere molte cose. Qui si dice “fare cultura” nel senso dievangelizzare una cultura, quindi significa essere capaci di innestare nei centri diinteresse umano i principi evangelici. Quindi fare cultura nel mondo del lavoro, oaiutare a crescere in una cultura specifica nel mondo del lavoro secondo una educa-zione salesiana, significa avere come obiettivo questo: saper fare una catechesi che,dal di dentro, muova la competenza, la professionalità, la responsabilità del gio-vane che cresce per il mondo del lavoro.Questa è cosa abbastanza complessa. È un fatto che non si può fare catechesicon dei giovani lavoratori allo stesso modo che si fa catechesi con dei giovani stu-denti: vi sono dei valori differenti. E purtroppo noi siamo soliti fare molti testi dicatechesi per le scuole umanistiche, ma non tanti e con altrettanta competenza per iCentri professionali. C’è tutta l’evangelizzazione del lavoro e la bella Enciclica delPapa “Laboremexercens”.La terza idea non la trovate nelle Costituzioni, ma nel Capitolo Generale 22. Echi ha partecipato al Capitolo o ha letto la Relazione sullo “stato della Congrega-zione” ricorda quello che è stato chiamato “grido d’allarme”, in relazione con la fi-gura dell’educatore e la modalità di lavoro della Congregazione tra i giovani po-veri, che porta proprio ai giovani apprendisti; ed è la diminuzione della presenzadel salesiano laico. Il grido d’allarme è questo. Non sarà che uno degli elementi cheinfluiscono (perché devono essere tanti) sulla contrazione del numero di vocazionidi coadiutori sia che la Congregazione salesiana è meno chiara, meno presente,meno entusiasta per il mondo del lavoro? Ossia, perché non c’è un elemento di at-trattiva per i giovani ad essere impegnati specificamente nel mondo del lavoro?Non dico che il mondo del lavoro sia un patrimonio esclusivo, diciamo così, dicategoria, del coadiutore. È di tutta la comunità: però la maniera di lavorare inquesto campo offre una presenza specifica, bella e piena di responsabilità, di apo-stolato al salesiano laico; il ragazzo si sentirà attirato da questo carattere specifico.Un’altra idea è quella della problematica formativa per il mondo del lavoro.Mi riferisco al famoso Art. 40 delle Costituzioni. Non si deve partire soltanto dacriteri tecnici, che non si possono ignorare, evidentemente; ma partire dai giovaniapprendisti e ricordare che si può lavorare con loro non solo in una scuola profes-sionale, ma in oratorio, in un gruppo, in una associazione; ossia fare che l’impegnosalesiano per il mondo del lavoro ecceda, vada più in là degli stessi Centri profes-sionali. Questo è un discorso, diciamo così, di “cuore salesiano “più ampio”.Un’altra idea ancora che io deduco è l’importanza dei Centri professionali inCongregazione: la Scuola professionale come dicevo è elemento caratterizzante delnostro impegno. Va difesa, promossa con tutti i mezzi, secondo le situazioni deipaesi. Purtroppo ci sono delle situazioni che imprigionano: però prima di stare zitti 127 e rimanere imprigionati ci muoviamo fin che possiamo. Quindi difesa e promo-zione dei Centri professionali.Un’ultima idea: bisogna avere una maggior coscienza ecclesiale in questocampo. Che significa? Innanzitutto che noi siamo inviati dalla Chiesa a fare questo.È pastorale pura, è pastorale salesiana, questa! La nostra pastorale salesiana è par-tecipazione alla missione della Chiesa. Sentirsi inviati dalla Chiesa proprio per farequesto, anche se a volte, magari il mio o il tuo Vescovo, di questo non ne capiscetanto, perché la Chiesa è universale e chi muove la Chiesa dal di dentro e suscita icarismi è lo Spirito Santo. Ma speriamo che anche i pastori capiscano di più. Poi,oltre questa coscienza ecclesiale, una competenza o una sconoscenza in profonditàdell’insegnamento sociale del Magistero ecclesiale. Questo è l’elemento che facatechesi nel mondo del lavoro. Come si può fare catechesi oggi nel mondo del la-voro senza conoscere le grandi Encicliche o i grandi discorsi del Papa e dei Vescovisu questo punto? Questo è un campo di studio, di formazione, di impegno.Infine, come espressione ecclesiale, un atteggiamento interiore di fiducia nellapotenza dello Spirito Santo. Questo non è un “Deus ex machina” per concludere. Èun pensiero importante. La nostra superficialità spirituale a volte ci fa program-mare, nutrire speranza o essere scoraggiati solo in forza dei nostri programmi.Ossia, siamo un po’ pelagiani. Contiamo sulle nostre forze. Ma noi sappiamo perfede che c’è nella storia e nelle vicissitudini umane la presenza attiva dello SpiritoSanto, che la Liturgia chiama “la potenza dello Spirito Santo”, che trasforma lecose. Quando crediamo che una cosa è impossibile, è ancora possibile!Il mondo del lavoro è forse il settore umano più scristianizzato che ci sia. Èpossibile evangelizzarlo? Sì, è possibile evangelizzarlo, perché c’è la potenza delloSpirito Santo che ci aiuta a farlo! Allora confidiamo in questa potenza e cerchiamodi studiare i modi nella nostra maniera di prepararci, di sacrificarci e confidarefamiliarmente nel suo aiuto: ma lavoriamo!Già Pio XI parlava di “apostasia delle masse”. Paolo VI ha parlato di “divorziotra cultura e Vangelo”. Ma se c’è un luogo dove bisogna avvertirlo, è quello del la-voro. Gli studiosi hanno detto che un paese cristiano in cui sorge una fabbrica e cheda 5.000 abitanti passi ad averne 15.000 perché si è riempito di operai, in 10 anniquesto paese è diventato ateo, materialista, perché nel mondo del lavoro non cisono più evangelizzatori... L’unica ideologia che finora ha trionfato è una ideologiaatea, che ha spiegato il mondo del lavoro in questa forma.Noi siamo stati chiamati con le nostre piccole forze a collaborare con tuttele forze della Chiesa a fare un passo più in là: a rendere presente e dinamico il Van-gelo in questo mondo del lavoro. Alle nostre forze piccole, magari incapaci, sot-tostà la potenza dello Spirito Santo.Sono spunti di conversazione che vi possono dimostrare, anche se un po’ infretta, ciò che le Costituzioni e i Regolamenti e la nostra tradizione salesiana cidicono sui principi sottostanti all’impegno che abbiamo in questi Centri Profes-sionali. 128 5. DIBATTITO E CHIARIMENTI All’intervento del Rettor Maggiore Don Egidio VIGANÒ sono seguite le ri-chieste di chiarimenti da parte dei presenti.Dalle risposte del Rettor Maggiore ricaviamo alcune affermazioni. 5.1. Il CNOS-FAP“Il fatto che esista questo servizio nazionale del CNOS-FAP a me sembra chesia un fatto positivo, che dà maggior personalità alla nostra presenza, maggiorcapacità di difesa, di promozione ai singoli Centri nelle rispettive Regioni. Mi parepure che se si riunissero tutte le forze salesiane che in Italia si interessano delmondo del lavoro, attraverso un’organizzazione come la CISI, si potrebbe arrivarea influire ed a fare di più”. 5.2. Pastorale e Formazione ProfessionaleNella relazione sullo “stato della Congregazione” presentata all’inizio delCapitolo Generale 22 il Rettor Maggiore ha fatto presente un certo pericolo che c’èin Congregazione e che fa riferimento a un “concetto di pastorale” in vigore inCongregazione, e che è desunto da un uso diocesano di fare pastorale, (che per leDiocesi è un uso legittimo), che fa consistere la pastorale nella catechesi, nellaliturgia, nella predicazione, in azioni cioè che sono solo di evangelizzazione, iden-tificando la pastorale con l’evangelizzazione pura.Certo, bisogna evangelizzare; però la vocazione salesiana non è cosi. Mai unsalesiano è stato un semplice catechista. E ciò dal primo catechismo fatto daD. Bosco. Ha fatto contratti di lavoro, è andato alla ricerca dei giovani, ha inven-tato i centri professionali, ha fatto lui stesso il falegname, il meccanico, il ciabat-tino: insomma tutto.Nella relazione dicevo che questa crescita di un concetto di pastorale genericoporta il pericolo di far consistere la pastoralizzazione, in una diminuzione del set-tore educativo.Difatti, se controlliamo in che ramo si sono specializzati i salesiani in questi ul-timi dieci anni, si trova che si sono frequentati tutti i rami ecclesiastici, tutti i ramidell’evangelizzazione. È bene che questo si faccia: ma, e la competenza del ramopedagogico, nella professionalità? Guardiamo anche la nostra Università. La “fa-coltà salesiana” per eccellenza, la Facoltà di Scienze dell’educazione: è quella chedall’inizio sino ad ora ha avuto un minor numero di allievi salesiani. Perché? Forseperché, si dice, noi salesiani abbiamo la pedagogia nel sangue: campa cavallo...!Tutto il progresso delle scienze antropologiche esige uno studio di competenze.C’è molto bisogno di tutta la professionalità e della competenza dei problemidel mondo del lavoro! A mio parere qui c’è uno dei difetti rimarcati nella Congre-gazione e una linea di tendenza da correggere. 129 Se si vuole avere una cultura critica del mondo del lavoro così scristianizzato,bisogna avere degli anni di formazione attraverso strutture opportune. 5.3. Evangelizzare il mondo del lavoroConsacrazione e Missione: è un tema difficile che esige profondità. Dovremoarrivare a far conoscere che Consacrazione e missione vivono insieme nella graziadell’unità. Noi dobbiamo far brillare la missione dell’evangelizzazione del mondodel lavoro, con un tipo di radicalità evangelica, che è la nostra consacrazione apo-stolica. Quando un salesiano coadiutore è entusiasta di questo, è lui stesso cheattira vocazioni di laici alla Congregazione. È quello che succede in nazioni dove laCongregazione vive in clandestinità. “Mi piacerebbe essere come sei tu” si è sen-tito dire un confratello di quelle nazioni da un giovane che neppure era a cono-scenza della sua identità di sacerdote. Quel salesiano è un ingegnere contento dellasua vita di lavoratore e di salesiano clandestino: fa del bene agli altri e si fa amiciun po’ dovunque... Poi vengono a conoscere che quell’amico è un salesiano. E inquel paese le vocazioni aumentano, ed ogni anno vi sono nuovi salesiani. Chi attiravocazioni alla Congregazione è la testimonianza del salesiano... piuttosto che leriflessioni su “consacrazione e missione”...! 5.4. Cultura del lavoroIl “lavoro” di cui parla l’Art. 18 delle Costituzioni è diverso da quello di cui siparla in questa assemblea.L’Art. 18 parla di un genere di spiritualità, che implica una maniera di amareDio, e che si traduce in fatti, in azioni, in servizio. Per l’Art. 18 infatti il lavoro e latemperanza sono la nostra maniera di testimoniare il Vangelo. Qui si parla di lavoroin senso soggettivo, spirituale l’altro lavoro ha il senso di realtà oggettiva nellasocietà.È bene però averlo ricordato perché ciò sottolinea che la caratteristica del no-stro carisma è di fare cultura, non nel senso in cui normalmente si parla di cultura.Si è detto che è tempo di superare una certa cultura superficiale, evanescente...come quella che faceva Don Bosco. È un’affermazione questa... proprio... superfi-ciale!In tal caso bisogna ricorrere al “concetto di cultura” nel senso antropologico,che è stato indicato nella “Gaudium et Spes”, e che adesso è usuale nel mondodella Chiesa, quando si discute di cultura.In questo senso si è parlato a Puebla...Per altri, cultura è erudizione, conoscenza intellettuale dei problemi del mondodel lavoro. Per cultura invece, noi vogliamo intendere “coltivare l’uomo per farlocrescere” mentre cioè la natura ci dà l’uomo, la cultura lo aiuta a sviluppare capa-cità, l’uso della sua libertà, la professionalità. Quindi, fare cultura in definitiva vuoldire “EDUCARE L’UOMO”. 130 Quando io dico che il Centro professionale deve fare cultura, lo intendo inquesto senso: nel senso, cioè, di far crescere i giovani con una competenza civile,professionale, e ciò “con cuore salesiano”. Quindi fare cultura in senso salesianovuol dire “EDUCARE I GIOVANI”. Ed è quello che ha sempre fatto Don Bosco.Don Bosco esprime le cose in una forma che sembra “superficiale”: “Io sono an-dato avanti come il Signore mi suggeriva...”.Ma Don Bosco non ha mai separato la teoria dalla pratica: non ha mai fattoteoria prima della pratica; non ha mai fatto pratica senza pensarci su. Teoria e pra-tica per lui sono inseparabili: come evangelizzazione e educazione.Fare, ma pensare quello che si sta facendo Don Bosco ha cominciato ad interes-sarsi del mondo del lavoro come poteva, ma poi è arrivato alla scuola professionale.È arrivato a realizzare tante strutture che prima non avevano. Perché nell’esperienzache faceva, pensava quale fosse il punto più alto da raggiungere, come poter sempremigliorare...Io penso che questa è proprio la caratteristica del carisma salesiano: un’espe-rienza in cui fare cultura, significa: “Far progredire i giovani nella loro possibilitàdi essere buoni cristiani e onesti cittadini”. 5.5. Formazione del salesianoIn questi momenti si sta rivedendo la “Ratio Studiorum” per un aggiornamentosia al Codice di Diritto Canonico, sia alle nuove Costituzioni e Regolamenti. Bi-sogna inviare alla Commissione le vostre osservazioni, perché è evidente che se laformazione dei nostri salesiani è di tipo umanistico, e non vi sono degli approfondi-menti in merito agli aspetti concreti del mondo del lavoro, il lavoro della Commis-sione sarebbe monco. E in seguito bisognerà improvvisare. Le vostre osservazionisuperano il quadro di riferimento a cui si è guardato per raccogliere gli emenda-menti per l’aggiornamento della Ratio. 5.6. RatioLe osservazioni provenienti dal vostro settore porteranno certamente dei mi-glioramenti. 131 Preparazione dei salesianiper il mondo del lavoro, 1982 Juan VECCHI L’intervento di don Juan Vecchi, allora Consigliere della Pasto-rale giovanile, è stato tenuto all’interno del Convegno “Salesianinel mondo del lavoro”, promosso dal Dicastero Pastorale Giova-nile con la collaborazione del CNOS nei giorni 9-15 maggio1982. 1. ALCUNE COSTATAZIONI Questa relazione è stata collocata alla conclusione delle nostre giornate distudio, proprio come momento di sintesi. Dovrebbe raccogliere alcune linee diforza del Convegno e indirizzarle sul tema della qualificazione pastorale del sale-siano impegnato nel mondo del lavoro.Premettiamo alcune costatazioni. La letteratura sulla pastorale del mondo dellavoro è abbondante. Un giudizio più cauto merita la sua concretezza e la sua unitàdi indirizzo. Appare con una prevalenza di enunciazioni di principi con cui nonsembrano collegate azioni comunitarie unificate ed efficaci. Queste sono affidate alcoordinamento operativo a diversi livelli, il quale a sua volta cerca nella letteraturai punti di coagulo dell’azione, e dalla letteratura è rimandato nuovamente ai prin-cipi. Soprattutto quando dalla descrizione della pastorale si passa al pastore, all’a-nima e alla prassi che lo caratterizzano ci si deve appellare alle esperienze dei sin-goli. Non sembra esserci un itinerario di preparazione sperimentato, né un insiemedi contenuti vagliati. Azione e formazione di operatori sono in deficit riguardo allariflessione sulle generalità della pastorale del lavoro.Tra di noi l’ultima volta che si è parlato in maniera piuttosto pressante e siste-matica su una preparazione specifica dei salesiani per operare nel mondo del lavoroè stato in occasione del Capitolo Generale XIX (anno 1965). Questo Capitolo de-dicò un documento veramente generoso (17 pagine) all’azione dei salesiani tra igiovani lavoratori, riproponendo criteri, contenuti e ruoli e analizzando in quest’ot-tica l’Oratorio, il Pensionato e le presenze scolastiche. Una delle sezioni del docu-mento porta come titolo: «Preparazione dei confratelli ecclesiastici e laici» edesprime questi propositi: «Nella formazione generale di tutti i salesiani, siano essiecclesiastici o laici si cerchi di orientarli verso entrambi i tipi di scuole, quelle perstudenti e quelle per giovani lavoratori... Venga perseguita tempestivamente ancheper i chierici e i giovani sacerdoti una specifica preparazione nei compiti da svol-gere nelle scuole professionali, selezionando gli idonei e mettendoli in grado di ac-quisire le abilità e i titoli di studio occorrenti per le varie mansioni. La preparazione 132 culturale e professionale di tutto il personale addetto alle scuole professionali siasvolta almeno al livello richiesto nelle corrispondenti scuole della nazione in cui siopera» (Atti CG XIX, pag. 121).Questi obiettivi di qualifica sarebbero stati assicurati da corrispondenti strut-ture e ruoli. Difatti si propone a livello ispettoriale «una commissione per l’educa-zione dei giovani lavoratori con compiti di studio, di documentazione e di consu-lenza» Si aggiunge un «Delegato ispettoriale per l’educazione dei giovani lavora-tori... al quale si affida di mantenere rapporti con le case per quanto concerne taleeducazione». E ancora si auspica «una commissione centrale per l’educazione deigiovani lavoratori sotto la presidenza del Consigliere della Pastorale Giovanile, laquale provveda allo studio e alla documentazione» (Atti CG XIX, pag. 125).Sono interessanti anche gli accenni alla preparazione specifica dei confratelliche svolgono ruoli nelle scuole professionali: Consigliere professionale, Preside,Capo laboratori. C’è ancora d’aggiungere che nel documento sugli ApostolatiSociali, il capo V è dedicato «all’Apostolato tra i lavoratori»: «Si dia vita a tutte leforme possibili... Parrocchie e Oratori dovrebbero in opportuna collaborazione conle opere diocesane e nazionali, religiose e sindacali...». «Anche per questo lavorooccorrono evidentemente degli specialisti ai quali si potrà provvedere mediante gliorganismi e le iniziative pastorali di cui si è parlato sopra, avviando per tempochierici e coadiutori, cooperatori ed ex-allievi a tale tipo di apostolato» (Atti, CGXIX, pag. 152).L’apertura della Congregazione a campi pastorali notevolmente diversificatidal punto di vista dei contenuti, dei fenomeni caratterizzanti e delle tecniche daadoperarsi, tali come i mezzi di comunicazione sociale, le parrocchie, gli ambientiscolastici, ha moltiplicato le richieste di formazione specifica almeno per alcunisettori. In proposito si possono leggere le direttive del CGS riguardanti la prepara-zione del personale che lavorerà nelle parrocchie con gli accenni ai tre tempi: laformazione iniziale, la preparazione immediata, la formazione permanente (cfr.n. 440), direttive ribadite dal CG XXI: «I confratelli destinati alla parrocchia rice-vano una formazione specifica che sottolinei e sviluppi anche i valori dello stilesalesiano nella vita e nell’azione» (cfr. n. 142 d). Simili raccomandazioni sonoespresse e ripetute nei due capitoli riguardo agli operatori nel settore della comu-nicazione sociale (cfr. CGS nn. 454-455 e CG XXI n. 152) e riguardo a coloro chesi preparano per inserire il carisma salesiano nelle Chiese nuove (cfr. CGS 473,479).La pastorale scolastica è emersa anche come un campo specializzato che ri-chiedeva una qualifica particolare. Il CG XXI si esprime: «Preparare persone cheoperino nell’area scolastica. Si tratta di un lavoro specializzato con compiti e possi-bilità che richiedono lunga formazione culturale e conoscenze pastorali specifiche»(n. 133).Coloro che operano a tempo pieno nell’area del lavoro attraverso programmi,non hanno avuto ultimamente una considerazione simile. 133 Qualche vuoto è stato salvato dalla riflessione sulla figura del salesiano coa-diutore. Questa figura difatti è stata determinante nello sviluppo delle nostre pre-senze educative per il mondo del lavoro. Però è evidente che l’asse della riflessionevaria notevolmente se la si imposta sulla identità e possibilità di una figura di sale-siano, oppure sulle esigenze globali che emergono dalla pastorale del lavoro; esi-genze che includono azioni e programmi che impegnano la comunità con tutte lesue vocazioni e richiedono scelte di campo a diversi livelli.Davanti a siffatta costatazione è legittima la domanda: sarà stata avvertita la ri-levanza che il lavoro e i fenomeni personali, culturali, sociali e politici ad esso col-legati hanno sulla prassi educativa e pastorale?Una manciata di stimoli alla preparazione per affrontare con più attrezzaturaculturale e più addestramento pratico il mondo del lavoro ci vengono dai Regola-menti, dalla Ratio e dai Capitoli. Stimoli che hanno bisogno di sviluppo e attua-zione pratica.I Regolamenti Salesiani stabiliscono un principio di specializzazione pastoralequando dicono all’articolo 82: «assicurata la formazione generale, ogni confratellostudierà con i superiori il campo di qualificazione più confacente alle sue capacitàpersonali e alle necessità dell’Ispettoria».Il CGS, sebbene non propose come tema di studio la pastorale salesiana nelmondo del lavoro attraverso opere, presenze e attività totalmente dedicate ad essa,tuttavia rilevò questa componente nell’azione di insieme di alcune presenze. Rife-rendosi al lavoro nelle parrocchie dice: «L’azione pastorale e di testimonianza tra ilavoratori è uno degli impegni che caratterizzano la nostra vocazione di serviziodelle classi bisognose. Sacerdoti e coadiutori, chiamati a questa missione, dovrannoprima di tutto approfondire l’ascolto e la conoscenza delle masse operaie, dei loroproblemi, ansie e aspirazioni, delle cause del loro atteggiamento nei confronti dellaChiesa e della fede» (n. 413).La Ratio della Formazione Salesiana indica come speciale manifestazionedella capacità pastorale del salesiano «una vigile sensibilità verso il mondo del la-voro, particolarmente verso le masse operaie e la gioventù bisognosa in un tempoin cui l’accentuazione tecnica ha portato questo mondo, la sua organizzazione e ilsuo sviluppo a prescindere praticamente dai valori religiosi» (n. 133).E anche come conclusione di questi rilievi sorgono delle domande. C’è bi-sogno oggi di una preparazione differenziata per affrontare il complesso mondo dellavoro? Basta la formazione generale sacerdotale e religiosa e un movimento per-sonale di «carità pastorale»? Deve concepirsi questa preparazione soltanto comequalifica tecnica o, come asseriva il CG XXI, anche come qualifica pastorale?A supporto della legittimità di tutte le domande precedenti mi si consenta unrilievo di attualità e una meditazione storica. All’uscita del catechismo italiano deigiovani, non pochi rilevarono che il suo linguaggio e la sua impostazione esisten-ziale rispondeva ad una ipotetica problematica della numerosa gioventù di scuolamedia superiore. Lo si trovava piuttosto lontano dal mondo, dalle preoccupazioni, 134 dal linguaggio e dalla forma in cui i giovani lavoratori si pongono i problemi. Sullascorta di simile osservazione negli ambienti di lavoro alcuni catechisti hanno per-cepito la necessità di collegare il messaggio evangelico alle esperienze significativee connaturali dei giovani che si avviano al lavoro e ne vivono già le caratteristichee le tensioni, e di produrre testi differenti a cui hanno dovuto dedicare anni distudio e di applicazione in équipe.Questo ci indica che non si tratta di differenze superficiali. Il contenuto dell’e-vangelizzazione non è una sintesi concettuale, ma la vita di persone in situazione,salvate da Dio. Non si trattava, dunque, di un «adattamento», ma di una vera tradu-zione e incarnazione. E hanno avvertito che non sarebbe stata possibile tale incar-nazione senza piantare la propria tenda e la propria riflessione tra i giovani operai.Forse il fenomeno che ci insidia per essere evangelizzatori efficaci nel mondodel lavoro è l’allontanamento di sensibilità e di cultura riguardo al sistema di rap-porti, agli interessi, ai problemi e modelli di vita di coloro che vivono in questomondo.E qui si inserisce la «meditazione storica». Per molto tempo i laboratori e lesusseguenti scuole professionali salesiane cercarono di rappresentare in piccolol’ambiente e la struttura di lavoro in cui il ragazzo si sarebbe inserito. I salesianiper origine appartenevano ed erano vissuti nello stesso ambiente contadino-artigia-nale dei giovani lavoratori. Le grandi convinzioni trasmesse con parole e immaginirivelano identità di humus umano, sociale e religioso, oggi diremmo culturale. Ren-dersi simili ai giovani era possibile perché gli educatori erano nati nello stesso am-biente, avevano avuto una giovinezza per tanti aspetti simile, convivevano quoti-dianamente, parlavano lo stesso linguaggio di immagini e di terminologia addirit-tura dialettale.La definizione della missione e dello stile pastorale conserva ancora nei nostritesti la chiarezza delle intuizioni e degli slanci degli inizi. «I giovani di ceti popo-lari che si avviano al lavoro trovano spesso difficile inserirsi nella società e nellaChiesa». I salesiani intendono guidarli «a prendere il loro posto nella vita sociale,culturale e religiosa del loro ambiente» (Costituzioni Salesiane 11), guidati da unatteggiamento di fondo, «la simpatia, la volontà di contatto, la conoscenza delmondo giovanile e popolare, la solidarietà in tutti gli aspetti legittimi del loro dina-mismo» (Costituzioni Salesiane 16).Dove gli ambienti pur difficili sono meno dissimili rispetto alle esperienzedegli inizi, si trovano realizzazioni e sviluppi impressionanti. Comunità e confra-telli offrono, come vuole l’articolo 18 delle Costituzioni Salesiane, «il pane delcorpo, la competenza in una professione, la cultura intellettuale». In situazioni dif-ferenziate, sempre con qualche somiglianza con il primo Valdocco, prepararsi perintervenire nel mondo del lavoro vuol dire portare un’esperienza e un messaggioreligioso, arricchirsi di tecniche e conoscenze da trasmettere, munirsi di capacità dicomunicazione, affinarsi in sensibilità e umanità per cogliere fenomeni umani an-cora non interpretati né curati da altre forze. 135 Ma proprio questi risultati ci interpellano per contrasto sulla nostra prepara-zione, dove il contesto socio-economico-culturale impone una diversa presenza ec-clesiale ed educativa. Si impone una preparazione diversa, difficile anche da ipotiz-zare perché non fondata su una esperienza precedente, in quanto questa realtà sto-rica in cui ci si inserisce è nuova. L’evoluzione tecnologica, la trasformazione deltipo di operaio, il crescere della categoria dei tecnici e dei quadri intermedi, l’indu-strializzazione delle campagne, il lavoro femminile, sono problemi che investonoanzitutto società politiche e atteggiamenti personali. Ma interpellano anche una pa-storale che voglia essere realistica.Nessun salesiano, o almeno non tanti quanti a Valdocco condividevano le ra-dici e la cultura nativa dei loro ragazzi, può oggi sentire come sue di istinto la men-talità e le problematiche di questo mondo che fino a poco tempo fa non esisteva eche neppure oggi esiste in nessun ambiente esattamente con le caratteristiche che sistudiano.Parliamo, dunque, di preparazione nel senso di una sensibilità di acquisire, diuna capacità di interpretazione e intervento che vanno recuperate, perché pur es-sendo radicate nella tradizione e nel carisma, come è stato chiarito nella prima rela-zione, potrebbero risultare inoperanti data la distanza che sembra essersi creata trale diverse componenti della cultura attuale.Non si tratta solo del coadiutore, sebbene questa figura è sempre in primopiano quando si parla di scuole professionali. Ma sono laici e sacerdoti che si pre-parano assieme ad offrire ciascuno con le proprie competenze una testimonianza eun servizio comune di fede e di umanità.Quando si parla di preparazione ci si può riferire a iniziative, programmi estrutture che assicurino una qualifica.Io offrirò alcuni spunti per sottolineare quattro linee di crescita. 2. COSCIENZA E SENSO «PASTORALE» Il lavoro costituisce un’esperienza fondamentale della esistenza umana (cfr.LE 4). Ha prodotto vantaggi e scarti e soprattutto ha modellato la persona, la so-cietà non soltanto esternamente ma nel nucleo più intimo, dove l’uomo elabora ilsenso dell’esistenza. Si parla appunto di un «mondo», per indicare che la scelta e ilsignificato travalicano i beni che si producono e le attività che si vedono e affon-dano le radici nelle persone e nel patrimonio comunitario, sui quali si riversanoanche le conseguenze. Attorno al lavoro si aggregano forze diverse con propositidiversificati, che concorrono, nei migliori dei casi, a una visione piena e a uno svi-luppo totale delle sue possibilità.Il primo nucleo di crescita importante per un pastore, per un religioso è avereuna coscienza chiara e permanentemente approfondita del significato che lui portain questo insieme. Il servizio pastorale è legato alla realtà della Chiesa, alla fede in 136 Gesù Cristo, alla speranza della salvezza e all’amore che ci fa intravedere la reden-zione e partecipare ad essa.La Chiesa condivide le aspirazioni e il travaglio del mondo del lavoro, dandoun suo contributo originale: una lettura in Gesù Cristo delle speranze che emergonoe dei conflitti che si sviluppano, e l’annuncio della salvezza dell’uomo da parte diDio. La Chiesa – ci dirà ancora la LE – «vede un suo dovere particolare nell’elabo-razione di una spiritualità del lavoro, tale da aiutare tutti gli uomini ad avvicinarsiper il suo tramite a Dio» (LE 24).Questo costituisce la pastorale e l’apporto tipicamente cristiano. Se i cristiani,attraverso le loro svariate e complementari vocazioni, non riuscissero a dare questoapporto, priverebbero il mondo del lavoro di un contributo che non può venire daaltri. Si tratta, in ultima analisi, di evangelizzare secondo l’ampio significato deltermine, che viene presentato nella Evangelii Nuntiandi, cioè trasformare dal didentro mediante la parola che esprime la verità e chiama a conversione.«Occorre lo sforzo interiore dello spirito umano, guidato dalla fede, dalla spe-ranza e dalla carità, per dare al lavoro dell’uomo concreto quel significato che essoha agli occhi di Dio, e mediante il quale esso entra nell’opera della salvezza al paridelle sue trame e componenti ordinarie» (LE 24).La storia cristiana è una storia spirituale, cioè di lotta per il senso della vita. Ecosì è anche la pastorale. È chiaro che parliamo di spiritualità non come di un aspettostaccato o di un’esperienza interiore avulsa dalla situazione storica dei credenti, macome la sua sorgente più profonda. Da essa attingiamo le ragioni del nostro viverequotidiano e i motivi che danno forza, senso e indirizzo a piani e programmi.Quello che ci fa vivere in Dio lo svolgimento del nostro impegno, ci fa dive-nire ricchi di fede, di speranza e di iniziative, ci fa accettare di buon grado, nellafiducia del seme, le lentezze, la scarsità di forze, le tenebre dell’esistenza, e vederenei segni il futuro dell’uomo.La spiritualità è propria di ogni uomo aperto al mistero, che vive più in là delleapparenze. Nel cristiano è frutto della presenza dello Spirito. Esso lo spinge a fareun’opzione storica fondamentale, secondo la visuale di Dio manifestatasi in Cristoa favore dell’uomo, ad approfondirla e a mantenerla nel flusso della vita e deglieventi. In questo senso, spiritualità significa identità: mantenere chiaro l’orizzontesignificativo, vivere nella storia l’esperienza della presenza di Dio, scoprire la suaazione negli eventi salvifici, arrivare ad una profonda conoscenza dell’uomo e im-pegnarsi a fondo per il destino del mondo.Da questa spiritualità, più che dall’analisi stessa culturale, verrebbe la capacitàdi vivificare la cultura dall’interno, di dinamizzarla obbligandola costantemente auscire dai suoi limiti e insediamenti in nome della speranza. Spiritualità è, quindi,cogliere e inverare la fede nel vissuto, una particolare maniera di sintetizzare vital-mente i valori cristiani secondo diversità di punti prospettici.Non può essere supposta o data per scontata, in un discorso anche specificosulla nostra presenza nel mondo del lavoro. Difatti ad essa è legato il senso pasto- 137 rale, i cui interrogativi non sono risolti una volta per sempre, ma richiedono rimedi-tazioni e approfondimenti, assimilazione di dati nuovi e recupero di motivi. Sitratta di essere non soltanto attivi, ma soprattutto consci dei significati di esistenzadi cui siamo portatori.La pastorale del lavoro – si asserisce – è una modalità necessaria nella pasto-rale normale e generale. Lo esprime con chiarezza il Documento della Commis-sione CEI per i problemi sociali1: la pastorale del mondo del lavoro è la pastoraledella società industriale (cfr. Introduzione e n. 22).Piuttosto che un settore staccato è una prospettiva che ogni Chiesa localeassume ed esprime attraverso atteggiamenti di ascolto, di comprensione, dialogo eimpegno in una società trasformata e segnata dal lavoro. Si sviluppa attraverso lepresenze di Chiesa che diventano centro di comunicazione e partecipazione di per-sone di diversa estrazione e mentalità. Si manifesta nella sensibilizzazione generalee nello spazio di dialogo che ai problemi del lavoro si dia nella comunità.Le sue linee di azione sono quelle tipiche di ogni pastorale: l’annunzio profe-tico della salvezza, la celebrazione con linguaggio, segni e gesti comprensibili, e ilservizio che, superando la sola informazione, programma in linea con la storia in-terventi che testimoniano l’Assoluto, propongono, anche se a livello quantitativa-mente modesto, una qualità di vita e denunciano criticamente situazioni inumane,cioè il prezzo umano con cui si sta pagando il benessere (emarginazione, disoccu-pazione).Ma allo stesso tempo la pastorale del lavoro è un’azione specializzata, portataavanti da alcuni membri della Chiesa, muniti di una visione ricca della sua realtàsalvifica, addestrati ad un intervento in condizioni particolari, preparati per una let-tura evangelica dei fenomeni che sono sorti in questo mondo.Da questo doppio movimento pastorale della Chiesa all’interno della storia delmondo provengono le prime indicazioni per una crescita della coscienza pastorale.Essa richiederà nel salesiano lo sviluppo di un profondo senso di appartenenzaalla Chiesa come comunione di tutte le forze che collaborano alla salvezza e la cuimanifestazione sono i seguenti atteggiamenti: la coscienza della missione comune,il riconoscimento del pluralismo degli apporti e dei carismi che operano in comu-nione e complementarietà, l’apertura dunque alle diverse manifestazioni della fra-ternità cristiana e della collaborazione operativa.Li renderà sensibili alle esigenze che comporta il dialogo della Chiesa colmondo d’oggi, tali come il riconoscimento di quanto di buono si elabora più in làdelle file cristiane, la conoscenza del fenomeno dell’ateismo e della areligiosità,delle sue radici e delle risposte vitali che richiedono dal credente. Soprattutto esi-gerà un ancoraggio rinnovato ogni giorno alla parola di Dio per illuminare ognievento, azione, interrogativo o conflitto. È questo ancoraggio che ci dà l’intuito 1 COMMISSIONE PER I PROBLEMI SOCIALI, Documento pastorale. La Chiesa e il mondodel lavoro, coll. Documenti CEI n. 9, LDC, Leumann 1977. 138 profondo proprio del popolo di Dio che legge i segni, discerne i valori e giudica lastoria.Ma i Salesiani si inseriscono nell’azione della comunità cristiana con un contri-buto carismatico particolare. L’esperienza di vita del Fondatore, la collocazione popo-lare, lo sviluppo delle iniziative educative fecero del lavoro uno degli elementi-cardininella maturazione della mentalità e della spiritualità dei Salesiani. Il lavoro sarà,secondo Don Bosco, il loro distintivo sociale, che li renderà simpatici e accettabili allasocietà in via di secolarizzazione, più attratta dal senso da dare alla vita umana che dasimboli religiosi istituzionali. Il lavoro darà il tono al loro stile di povertà, influirà suirapporti comunitari e costituirà una caratteristica della loro pastorale. Più profonda-mente e più alla radice, il lavoro sarà sentito come partecipazione all’opera di Cristoper la redenzione del mondo ed esercizio di carità verso gli uomini.A partire da questa esperienza spirituale i Salesiani diventeranno educatori deigiovani al lavoro, rivelatori del suo senso umano e soprannaturale. «Necessità edu-cative e sociali intuite in perfetta relazione con i nuovi tempi – scrive l’Orestano –fecero scoprire a Don Bosco la grande legge di educare col lavoro e al lavoro. Dellavoro come strumento educativo Don Bosco senti la straordinaria potenza edifi-cante della personalità umana in tutti i sensi e i momenti».Il lavoro farà parte, dunque, dei contenuti educativi di tutte le iniziative sale-siane oltre a ispirare ambienti particolarmente centrati in esso. Sarà proposto ai gio-vani non come castigo e nemmeno soltanto come dura necessità, ma come unagrazia e come gioiosa esperienza educativa.Il Capitolo Generale XXI ha raccolto questo tratto quando riferendosi allascuola salesiana dice: «Insegna a vivere la caratteristica spiritualità del lavoro,mantiene un abituale e cordiale collegamento col mondo del lavoro» (n. 131).Coscienza e senso pastorale vuol dire consapevolezza che nel mondo del la-voro siamo annunciatori del Vangelo assieme a tutta la Chiesa; consapevolezzadella testimonianza religiosa segnata dal primato di Dio e dalla radicalità nel ser-vizio; consapevolezza infine della singolare destinazione dei Salesiani al mondodel lavoro attraverso l’iniziazione della gioventù ad esso. 3. INCARNAZIONE CULTURALE Che l’evangelizzazione e il vissuto della fede siano collegati con la cultura èun’affermazione che non ha bisogno di un lungo commento. Si può in proposito,come unico e autorevole appoggio, citare il testo della Evangelii Nuntiandi: «IlRegno, che il Vangelo annunzia, è vissuto da uomini profondamente legati a unacultura». Occorre evangelizzare – non in maniera decorativa, a somiglianza di ver-nice superficiale, ma in modo vitale, in profondità e fino alle radici – la cultura e leculture dell’uomo, nel senso ricco ed esteso..., partendo sempre dalla persona e tor-nando sempre ai rapporti tra le persone tra loro e con Dio» (n. 20). E affinché 139 questi rilievi non venissero limitati entro considerazioni soltanto geografiche, sog-giunge: «Per la Chiesa non si tratta soltanto di predicare il Vangelo in fasce geogra-fiche sempre più vaste o a popolazioni sempre più estese, ma anche di raggiungeree quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori de-terminanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli divita della umanità» (n. 19).Ora un dato emerso fortemente da questo incontro è che il lavoro è passato dafenomeno individuale e funzionale al proprio sostentamento, alla categoria di cul-tura. E questo non soltanto perché i lavoratori hanno sviluppato una coscienza col-lettiva che si è espressa in movimenti, azioni e fatti tendenti a creare una società di-versa nella quale emergesse di più la solidarietà, l’umanizzazione del lavoro, il pro-tagonismo del popolo inteso senza discriminazioni come insieme di persone for-manti la comunità politica. Ma soprattutto perché il lavoro ha fatto nascere nuovimodelli culturali: conoscenze innovatrici, aree di sviluppo personale, atteggiamentidavanti alla vita e comportamenti sociali, elaborazioni di ideali comuni, prassi poli-tica. Il tutto ha originato una forma di convivenza dove la creazione e l’attività pro-duttiva crea energia sociale, è base di solidarietà universale più in là delle frontierenazionali, è fattore di umanizzazione e punto di aggregazione.Nel mondo del lavoro sorgono fenomeni, si stabiliscono mete e scadenzestoriche, si provocano lotte e opposizioni, si preparano professioni e ruoli sociali, sicreano istituzioni con stile e finalità proprie. Il lavoro oltrepassa, dunque, la sem-plice attività: è una cultura. Vuol dire che per penetrarlo e capirlo non basta laconoscenza esterna e aneddotica, l’avvicinamento individuale, o la semplice buonavolontà. Ha una struttura, ha rapporti, ha dinamismi interni, ha leggi di azione ereazione. Da questo mondo viene e a questo mondo si indirizza il giovane che noiincontriamo. Nella sua atmosfera respira e del suo humus si nutre.Ora si può domandare: che impressione si ha quando si guarda alla prepara-zione generale, salvo casi di vocazioni individuali, che sacerdoti e religiosi hannoacquistato nella loro prima formazione e nella susseguente maturazione per affron-tare questo mondo?Mi affiderò ad alcuni documenti di gruppi autorevoli che hanno studiatoquesto interrogativo e che considero in possesso di dati più precisi di quelli di cuiposso disporre io per conoscenza diretta. E li offro non come affermazioni indiscu-tibili, ma come stimoli per riflettere.Quasi non c’è documento che non deplori un vuoto. Dobbiamo riconoscere– dice il Vescovo di Brescia in un lucido intervento2 – che da parte della Chiesasono abbondantissimi i documenti... (cfr. n. 21). Sono però di fatto ignorati. «Introppe parrocchie il problema dei nostri lavoratori non è neppure preso in conside-razione» (n. 166). 2 MORSTABILINI L., Pastorale del mondo del lavoro, coll. Maestri della Fede, n. 115, LDC,Leumann 1977. 140 Non pochi operatori rilevano che raggiungiamo l’uomo che lavora nella suaesperienza familiare, nei suoi figli, nei suoi gesti religiosi e nel suo patrimonio mo-rale che costituisce quasi il suo ambito privato, mentre tutta la realtà del lavoro ri-mane come un tema inesplorato, non evangelizzato e tagliato da qualunque altraconsiderazione di fede che superi un’etica fondamentale e quasi sempre genericapsicologicamente.Appare poi come primo proposito di futuro il non rimanere fuori della realtàlavoro-produzione, società e di cercar di capirla nei suoi dinamismi. A confermapossono essere citati innumerevoli raccomandazioni, da quelle che si riferiscono informa generale allo studio della dottrina sociale della Chiesa, fino ad altre più pre-cise come l’indicazione del Sinodo tedesco del 1976 sul tema «Chiesa e mondo dellavoro»3. «Negli anni della formazione e della qualificazione tutti i collaboratoriimpegnati a tempo pieno nella pastorale dovrebbero far proprie quelle conoscenzeteoriche e pratiche che permettano loro di occuparsi dei problemi della societàindustriale» (n. 3.5.).È evidente anche un certo sforzo di superare il «dottrinarismo» cioè il proce-dere soltanto attraverso informazioni verbali. «Per tutto il periodo della forma-zione, i candidati al sacerdozio... conoscano effettivamente per esperienza diretta lasituazione esistenziale dei lavoratori» (ibidem). A questo indirizzo si aggiunge laraccomandazione 4: «Allo studio della dottrina sociale cristiana, prescritto comemateria obbligatoria nelle facoltà teologiche..., va unito un periodo di pratica nelleindustrie preparato e guidato da specialisti». Il Sinodo riconosce il bisogno di «in-formazione, educazione», ma anche di «contatti» per chi non è lavoratore, per com-prendere le condizioni di vita all’interno del mondo del lavoro (cfr. numero 2.2.).Assieme a questa volontà tesa verso un futuro di maggior avvicinamento, sirilevano alcune remore che potrebbero essere quasi connaturali all’ambiente dellaformazione ecclesiastica: una preferenza inconscia verso le forme e i valori dellacultura rurale che predispone negativamente al fenomeno tecnico-urbano, un’in-comprensione ai fatti connaturali allo sviluppo della cultura del lavoro più collet-tiva, più politica, più mobile, più conflittuale, e un rifugio sereno in sintesi culturaliche non assimilano la nuova realtà del lavoro.Il documento sui problemi sociali del lavoro dell’Ufficio pastorale CEI, par-lando dei sacerdoti anche direttamente impegnati con gruppi di lavoro in apostolatispecifici, dice: «in genere nel clero è prevalente una mentalità di ceto medio cheimpedisce l’incontro e il dialogo con i lavoratori...» (2.1.).Tra le cause del triste distacco Chiesa-mondo del lavoro, si annovera anche un«certo atteggiamento di favore, parzialmente ancora in atto, verso una realtà conta-dina pre-industriale con qualche avversione verso la tecnica e i suoi sviluppi»(Vescovo di Brescia, Pastorale e mondo del lavoro, n. 23). 3 SINODO NAZIONALE DELLA GERMANIA FEDERALE, Chiesa e mondo del lavoro, coll.Maestri della Fede, n. 113, LDC, Leumann, 1977. 141 Sulla incomprensione da parte dell’elemento ecclesiastico di alcuni fenomeniambivalenti, ma integranti il mondo del lavoro, potrebbe essere significativo racco-gliere l’accenno di questi punti che rileva il Sinodo tedesco: «Molti sacerdoti e laicitendono a una visione unilaterale armonistica: secondo loro i conflitti sono soltantoun male; si nega semplicemente la contrapposizione effettiva di interessi, e quindidei conflitti che ne derivano» (1.4.3.). «Riconoscere ai lavoratori il diritto di riven-dicare... mediante la lotta operaia risultò talora difficile a molti sacerdoti e laicinella Chiesa» (1.4.2.).E sui limiti più generali che impedirono alla sintesi religioso-culturale di spo-stare alquanto l’asse contenutistico e metodologico verso il mondo del lavoro,senza rinunciare per niente alla centralità della riflessione di fede e ad un’antropo-logia fondata, si enunciano questi elementi di influsso:– restrizione dello sguardo ai problemi intraecclesiali;– il peso di una scienza teologica che è «rimasta invischiata nell’idea del mondocontadino o artigianale, in cui l’attività produttiva è legata alla gestione fami-liare e il rapporto di lavoro è inserito completamente nella realtà domestica efamiliare» (Sinodo tedesco, n. 1.2.);– preferenza ideologica per l’intervento assistenziale che non è in grado di risol-vere problemi strutturali;– l’atteggiamento indifferente o cauto davanti a qualsiasi provvedimento in fa-vore dell’esercizio dei propri diritti;– un insufficiente confronto con le correnti di pensiero e di prassi innegabil-mente presenti e influenti nel mondo del lavoro, o un confronto in termini sor-passati senza prendere atto dei significati nuovi che ci sono sotto termini an-tichi. «Con grave danno della nostra credibilità, la discussione nei nostri am-bienti corre ancora oggi sui vecchi binari, mentre in ambito... internazionale edecumenico si usano con naturalezza le categorie dell’analisi sociale» (Sinodotedesco, n. 1.5);– l’integralismo di pensiero che non ammette collaborazioni e in generale lapoca rilevanza data al fenomeno operaio come fenomeno di futuro.È ancora il citato documento dell’Ufficio Pastorale CEI che asserisce che nonsentendosi attrezzati culturalmente «si è portati a vedere pericolo di turbamentonella comunità, di conflitti, di contestazioni» quando si inseriscono con le loro pro-blematiche persone provenienti dall’esperienza del lavoro. La distanza dalla culturadel lavoro considerata come un tutto dinamico di valenze e rapporti, di mete e aspi-razioni, di modelli di comportamenti e criteri, ha come effetto l’incomprensibilitàdel linguaggio, la difficoltà di percepire significati anche in gesti, dichiarazioni eatteggiamenti ineccepibili, ma fuori epoca. Il gruppo di lavoro della CEI trova che«il linguaggio non è comprensibile... non chiama in causa chi ascolta» (Doc. CEI-9, n. 15.4). L’atteggiamento a volte autoritario e paternalistico dei sacerdoti rendedifficile il dialogo, l’amicizia e una fraternità vera..., come pure l’incomprensionedella necessaria presenza dei laici nella evangelizzazione dei lavoratori. 142 Forse la realtà dell’incontro del mondo interno in cui si decantano e si elabo-rano i nostri messaggi e quell’altro mondo del lavoro si percepisce simbolicamentenell’incontro dei Papi con le fabbriche. Paolo VI (Taranto-Pomezia), GiovanniPaolo II (Terni, Rosignano-Solvay) in visita a luoghi dove il lavoro umano mo-derno ha le sue espressioni dure e tipiche, a giudizio comune di presenti, si trovanodi fronte a un primo momento di stupore e difficoltà.Il Papa era atteso e l’incontro lungamente preparato. La persona, i valori istitu-zionali e personali che rappresentava hanno sgelato l’atmosfera e sono stati vissutinon solo bellissimi momenti di dialogo, ma interessanti esperienze da approfondirein una riflessione pastorale. Ma non è mancato un certo dramma dell’impatto, unquasi silenzio e smarrimento. L’aveva espresso già Paolo VI, quando, rivolgendosiagli operai, aveva riconosciuto che non sapeva che parole scegliere. Ne furono te-stimoni quesiti e dialoghi a Rosignano. Ne è testimone quanto fu scritto dopo l’in-contro collegiale del Consiglio di Fabbrica di Rosignano. La meraviglia che cifosse disponibilità di incontro autentico, di ascolto attento, di vero desiderio dichiedere e capire, e non la presunzione collegata a una certa immagine della Chiesacome di chi non ha che da insegnare, o crede di aver a portata di mano la soluzionealmeno teorica d’ogni questione in base a principi eternamente validi, anche diquelle questioni vissute da altri in prima persona.Cioè è apparso un varco ancora non superato tra il riconoscimento della testi-monianza personale e l’immagine di una istituzione che, più in là di certi momentifelici e certi rappresentanti ispirati, è sempre legata a radici culturali almeno di-stanti da quelle in cui si fonda il mondo operaio-industriale.E questa è la costatazione più scioccante: non c’è preclusione di principio almessaggio religioso; anzi il gruppo CEI riconosce la permanenza e la forza di sen-timenti religiosi e di abitudini cristiane, manifestati in gesti e fatti. C’è invece unostacco culturale e di prassi sociale.Pur ammettendo che queste convinzioni non hanno un fondamento totalmenteobiettivo, il fatto che siano cresciute silenziosamente, accusa allontanamento dimentalità più che cause morali o azione di cattiva volontà da parte di persone inte-ressate.Preparazione al mondo del lavoro non significa, dunque, soltanto acquisizionedi un certo sapere settoriale, ma capacità di percepire, di valutare, di sintetizzarecultura non con una selettiva mentalità da ceto medio, ma con sensibilità ben piùaperta e disponibilità.Un movimento favorevole a questo è già peraltro in corso nella Chiesa e ciòcostituisce l’aspetto positivo dell’analisi, movimento che si manifesta sia nellasfida di una riflessione aggiornata, lanciata dalla Laborem exercem, sia dalla nuovavolontà di presenza emersa in molte Chiese locali.Il nostro ministero di pastori-educatori non soltanto ci richiama al messaggioevangelico, ma ci colloca nella cultura dove si giuocano i significati. Non po-tremmo prepararci a svolgere un ministero nel mondo del lavoro a meno che non ci 143 immergiamo in questo mondo, cogliendo le sue forze sane e preparandoci a conte-stare i suoi idoli.Dalla fusione tra coscienza pastorale e immersione culturale dovrebbero origi-narsi una sintesi vitale attuata nella persona stessa e nella comunità, e il conse-guente sviluppo degli atteggiamenti auspicati da tutti i piani pastorali preparati invista del mondo del lavoro: è l’ascolto, che significa studio, esperienza di penetra-zione, immedesimazione; la comunione, condivisione nel mistero pasquale dellepreoccupazioni del mondo del lavoro, dei criteri e delle azioni della Chiesa in esso;il servizio, cioè di animare la crescita, scoprirne e difenderne la dignità. 4. LA QUALIFICAZIONE EDUCATIVA La dimensione educativa è così interna alla missione e allo stile pastorale sale-siano che viene inserita in tutti i programmi e caratterizza tutte le strutture e tutti gliambienti, siano essi formalmente ed esplicitamente educativi, o si considerino diattendimento pastorale più generale. Il salesiano, secondo la definizione raccoltanelle Costituzioni e commentata in autorevoli testi, è un pastore-educatore e il suoprogetto d’intervento è educativo-pastorale.Forse l’esempio più chiaro di come si vogliono congiungere e fondere questidue aspetti si intravede in quanto il Capitolo Generale XXI dice sulle parrocchie:«La parrocchia salesiana evangelizza secondo lo stile e lo spirito del progetto edu-cativo-pastorale salesiano (n. 140)». O in forma più generale, ma anche più fonda-mentale: «come persone e come comunità... abbiamo un carisma specifico per cuici dedichiamo all’educazione» (n. 15).Questa accentuazione richiede di acquisire competenza specifica nell’accom-pagnare la crescita armonica e integrale dei giovani che vengono dal mondo dellavoro o vanno verso di esso. Si tratta d’introdurre i giovani, attraverso cono-scenze ed esperienze progressive e adeguate, non tanto in un processo di produ-zione, quanto in una società in cui i rapporti originati dal lavoro sono determi-nanti e conflittuali, e aiutarli a costruire una personalità unificata. Il buon citta-dino e il buon cristiano si fondono nel lavoratore competente e critico, con vo-lontà e capacità di partecipare alla cultura. È un compito più specifico che l’an-nuncio generale della parola evangelica. Nella Chiesa ci colloca in un’area spe-cializzata della pastorale, mentre nella società civile ci identifica professional-mente. E questo risponde anche al desiderio di Don Bosco che i suoi religiosifossero cittadini come gli altri, che assumessero, se pur con piena e chiara ispira-zione pastorale, un lavoro stimabile in termini di professionalità e di rendimentosociale.La professionalità educativa si basa sulla conoscenza sufficiente delle scienzedell’educazione applicate all’area del lavoro. Si manifesta particolarmente in tremomenti e operazioni. 144 Il primo è la capacità di analisi della condizione dei giovani nell’area del la-voro. A questo riguardo ci avverte il CG XXI: «L’evangelizzazione passa semprepiù obbligatoriamente attraverso l’analisi delle situazioni di vita che incidono sullapersonalità giovanile. I modelli che l’ambiente presenta, le aspirazioni, le tensioni ele rivendicazioni che induce, trovano spesso accoglienza e solidarietà nell’animodei giovani» (n. 20). «Si tengano in conto le loro esigenze specifiche e la loro ap-partenenza al mondo dello studio o della fabbrica, al mondo dei campi o dell’im-piego» (n. 29). Questa conoscenza è, dopo il Vangelo, il criterio fondamentale perconcretizzare le nostre scelte e impostare i nostri programmi.Si insiste che debba essere sufficientemente seria, non basandosi semplice-mente su impressioni o su approssimazioni generiche. Per noi il punto risolutivo èsoprattutto scoprire quelle attitudini e aspirazioni che sembrano avere riferimentoal Vangelo. C’è sempre una segreta solidarietà e richiamo tra quello che emerge daisegni e la Parola di Cristo ed è necessario esplicitarla, chiarirla e procedere oltre,poiché i segni dei tempi non esauriscono le possibilità della parola.La persona è al centro della nostra missione. Non dobbiamo però concepirla informa astratta. Nel caso del giovane lavoratore non dobbiamo fermarci ai problemie alle aspirazioni connesse soltanto con il fatto della sua giovinezza, ma assumere ifenomeni tipici del mondo del lavoro e risolvere positivamente la loro incidenza suigiovani.Alcuni di questi fenomeni sono comuni alle diverse aree europee e hanno atti-nenza col compito educativo.È diffusa una mentalità che sottovaluta il lavoro tecnico, anche quando si rea-lizza a buon livello, e concede status alla preparazione intellettuale che porta piùfacilmente a funzioni direttive e a ruoli di comando. In qualche parte si è indicata lascuola professionale come scuola di seconda classe. Viene considerata come unaforma di promozione o di recupero sociale, riservata a giovani provenienti da fami-glie di minori possibilità. La scelta della scuola professionale non potrebbe esseredeterminata che da un limitato livello di aspirazione (carenza di motivazione per li-velli più alti, scarsità di risultato scolastico), o a causa della condizione socio-cultu-rale della famiglia (difficoltà economiche, mancanza di stimoli, limiti sociali).La precarietà di occupazione e la difficoltà di impiego colpiscono egualmenteintellettuali e operai. Questi sanno che affrontano un tempo in cui la meccanizza-zione crescente e la automazione modificano costantemente compiti e professioni.Dai mestieri che si esauriscono e ricompongono nasce il fenomeno dell’attivitàspersonalizzata e puramente funzionale come mezzo di sussistenza, più che comeattività creatrice e come espressione della persona. C’è dissociazione tra efficienzae spontaneità rispetto ai risultati e alle modalità delle prestazioni. Così la culturaindustriale, malgrado gli sforzi, cammina verso un’immensa massa di subordinati ela non partecipazione risulta inevitabile.La persona si scinde a poco a poco e cerca le gratificazioni fondamentali inaltri settori della propria esistenza, eliminando il lavoro dai fattori di perfeziona- 145 mento, di donazione e di progresso. Lavora in un settore per fare fronte alla propriasussistenza; però realizza la propria umanità in altri settori (famiglia, circoli diamici e lotta politica).La tendenza all’automazione trasforma poco a poco la civiltà del lavoro inciviltà del consumo. La società industriale si fonda su alcuni principi assunti comevalori indiscussi: il massimo vantaggio, il principio di produzione, la concentra-zione del potere economico. L’etica del lavoro si cambia in morale del guadagno edel consumo. Il centro di gravitazione di tutta la vita slitta insensibilmente verso iltempo libero, verso il non lavoro, ove la persona costruisce liberamente la propriaidentità e arricchisce il suo patrimonio culturale.In questa rifondazione della vita si fanno presenti le ideologie come tentativod’interpretazione del processo storico, come sforzo di trasformazione delle strut-ture, di umanizzazione dei rapporti di lavoro, di produzione, di proprietà, di parte-cipazione nel politico e come «utopia» per l’edificazione di un futuro.Questo insieme di stimoli, aspirazioni storiche e sforzi di costruzione socialenon è esente da tentazioni e pericoli. Ciò che il giovane lavoratore incontra e incon-trerà frequentemente sono la visione materialista e chiusa della vita umana, la ten-tazione della violenza, l’egoismo di classe, con i sentimenti corrispondenti di osti-lità per chi non condivide con lui gruppo e tendenze.Incertezza economica, mancanza di sbocchi professionali, incontro con leideologie, senso d’inferiorità, divisioni interne, sono i problemi educativi che deveaffrontare chi si propone, come i Salesiani, di costruire persone e inserirle nella so-cietà.Come si potrebbe operare una fusione tra fede e vita se questi fenomeni e altrisimili non fossero umanizzati ed evangelizzati? E come potrebbero esserlo se lacomunità di educatori, e non già qualcuno isolatamente, non si dedicasse a capirlidall’interno, nelle loro cause e nei loro dinamismi?Il Capitolo Generale XXI esorta i Salesiani a essere specialisti della realtà gio-vanile e a offrire nell’ambito delle Chiese locali la conoscenza acquisita attraversogli studi e i contatti reali.Il mondo del lavoro si evolve con rapidità. In esso i giovani non trovano facil-mente una loro collocazione, né riescono facilmente a integrare fede e vita in uncontesto in cui molti elementi non erano prevedibili.La missione salesiana ci chiederà nell’immediato futuro di approfittare dell’in-sieme delle nostre presenze, per poter pervenire a una maggior profondità di com-prensione della situazione dei giovani che provengono e si dirigono al mondo dellavoro. E questo è un primo aspetto della professionalità educativa che la nostracollocazione tra la gioventù può renderci capaci di offrire alla Chiesa.La professionalità ci spingerà ad accrescere la capacità di progettazione edu-cativa. Non è concepibile in educazione procedere individualmente per entusiasmospontaneo, o ripetendosi anno dopo anno, mentre attorno a noi le domande cam-biano. 146 Viene opportuno richiamare qui un’osservazione del CG XXI: «Un lavoroeducativo per essere concreto e offrire un servizio utile non può limitarsi a principigenerali e a orientamenti generici. Deve indicare con precisione i contenuti e i me-todi, perché siano dati ai giovani in fase educativa quell’attenzione e quel rispettoche ci insegna la pedagogia di Dio» (n. 20).Il compito educativo soffre l’impatto oltreché del ritmo evolutivo della società,della pluralità delle scelte possibili in termini di programma, obiettivi intermedi econtenuti su cui giocare le forze disponibili, e delle innovazioni didattiche.Nella dispersione degli interventi giornalieri non collegati si può perdere anchequel quadro di riferimento antropologico ed evangelico che dà senso alle singoleproposte.Nessuno sopravvive nella cultura odierna senza sottomettersi a delle riformula-zioni periodiche delle proprie sintesi, e senza essere cosciente del risultato finale etotale a cui si indirizzeranno i propri contributi. Questa è forse la ragione profondaper cui negli ultimi tempi si è insistito sul progetto come operazione unificantedella mentalità e degli interventi e allo stesso tempo come atteggiamento innova-tivo, capace di seguire il ritmo della realtà e di dare risposte adeguate alle domandee proporzionate alle possibilità.Finalmente la professionalità dovrebbe aiutare a sviluppare gli abiti, i metodi egli atteggiamenti di verifica.Un aspetto particolare della nostra qualifica educativa è la pedagogia religiosa,cioè la capacità di formare i giovani nella fede attraverso itinerari specifici che as-sumano le loro esperienze e si adeguino al loro linguaggio. 5. PRASSI DI ANIMAZIONE COMUNITARIA La nostra azione si svolge attraverso comunità. «La formazione di vere comu-nità educativo-pastorali basate sulla corresponsabilità e collaborazione è uno degliobiettivi principali del nostro rinnovamento» (CG21 62).Non rientra nello spazio di questa relazione approfondire i fondamenti diquesta linea di azione, valida per tutte le presenze salesiane. Il farlo, però, daràagli operatori il senso della sua urgenza e della sua attinenza con la evangelizza-zione, eliminerebbe resistenze e aiuterebbe a capire i nuovi ruoli della comunitàreligiosa.Tre sono i nodi della comunità educativa: l’identità cristiana e salesiana, il di-namismo interno di partecipazione costruttiva, il collegamento con altre forze edu-cative e soprattutto col territorio.Una felice soluzione di questi problemi mette sul tappeto la questione della ca-pacità animatrice dei salesiani.C’è una parola chiave molto usata in questi ultimi anni: animare che non con-viene ridurre all’organizzare o dirigere. «L’animazione nel suo significato originale 147 fa pensare anzitutto all’attività interiore dell’anima come energia di vita, di crescitaarmonica, di coesione articolata delle parti: attività che dall’interno fa crescere lapartecipazione di tutti i membri nella vita del corpo» (CG21 46).Conviene mettere in chiaro alcuni punti strategici, che sono pregiudiziali per ilrisultato. Eccoli.– Che la comunità religiosa (la comunità tutta, non uno o due di essa) riconoscail suo ruolo all’interno della comunità educativa e pastorale, con le conse-guenti modifiche di orari e attività che questo comporta. Si dice a questo pro-posito: «formare la comunità educativa con la partecipazione dei salesianicome animatori»; e sembra che su questo fulcro riposino le speranze di arri-varci. Ai Salesiani toccherà guidare il processo, affinché la comunità sia evan-gelizzata ed evangelizzatrice (Cfr. CG21 132).– Che avendo riconosciuto e accettato «in solidum» questo ruolo, lo concretizziin iniziative e programmi. L’animazione difatti non consiste in parole di inco-raggiamento, ma in chiarezza di finalità, unione di membri, coscienza dellamissione ed entusiasmo nell’opera che si svolge.– Che questo coinvolgimento non si esprima soltanto nei momenti «istituziona-lizzati» ma si allarghi alle attività libere. «Ogni comunità – dice ancora il CGXXI – programmi annualmente attività e incontri che aiutino a superare il li-vello burocratico dei rapporti e a instaurare un ambiente comunitario permeatodallo Spirito evangelico di libertà e di carità» (n. 133).La vita di una comunità educativa e le sue possibilità di camminare cosciente eunita in un progetto dipende dal fatto che i Salesiani prendano su di loro questoruolo di animare nella linea educativa, pastorale e salesiana. Ma i Salesiani nonprendono questo ruolo quando non hanno maturato in determinati criteri di azione,non hanno acquistato le relative conoscenze e non si sono inseriti progressivamentein una prassi di animazione. 6. CONCLUSIONE Coscienza e senso pastorale, sensibilità culturale, livello professionale, capa-cità animatrice: sono i quattro nuclei attorno ai quali organizzare la preparazionedei Salesiani per il mondo del lavoro.Le iniziative e le opportunità, alcune indicazioni per un cammino futuro è ilcompito di riflessione affidata ai gruppi. CONTRIBUTI DEI GRUPPI E SCAMBIO IN ASSEMBLEA DOPO LA RELAZIONE I gruppi di lavoro si dimostrano d’accordo sull’importanza dei punti presentatinella relazione. Scorgono nella «coscienza e senso pastorale» il nucleo fondante, e 148 negli altri punti – incarnazione culturale, competenza professionale e prassi di ani-mazione comunitaria – la necessaria traduzione metodologica.1. Si rileva lo squilibrio tra lo sforzo didattico-professionale e quello della prepa-razione pastorale attraverso le seguenti costatazioni.1.1. Riguardo alla formazione didattico-professionale:– si sono fatti periodicamente corsi di aggiornamento sugli aspetti legali,sull’insegnamento delle singole discipline, su programmazioni metodo-logico didattiche, accompagnando le proposte con relativi sussidi peruna traduzione pratica;– Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice seguono la sperimentazione dinuove tecnologie d’insegnamento;– in qualche Ispettoria sono stati elaborati i progetti educativi anche a li-vello locale, a cui però non sempre conseguono traduzioni operative;difatti alle volte mancano nei progetti stessi l’aderenza alla cultura dellavoro e l’assunzione delle sue istanze.1.2. Riguardo alla qualificazione educativo-pastorale:– nonostante che i documenti della Chiesa e della Congregazione stimo-lino ad aperture sociali e pastorali verso il mondo del lavoro, si ha l’im-pressione che nel nostro curriculum formativo non esista una specificapreparazione neppure a livello di sensibilità riguardo al mondo del la-voro;– anche in chi opera in Centri di Formazione Professionale si rileva allevolte una mentalità estranea al mondo per il quale si vogliono prepararegli allievi. La stessa cultura che si comunica appare troppo astratta eavulsa dalla problematica del lavoro e dei lavoratori;– si hanno informazioni su problemi sociali, ma non forme di coinvolgi-mento e di apertura attiva al mondo del lavoro. Quando ci si avvicina,dunque, ai lavoratori ci si accorge di possedere criteri, linguaggio evalutazioni distanti dalle loro esperienze;– tentativi d’inserimento di singoli confratelli non sono diventati sceltedella comunità. E peraltro quando si tenta un discorso sulla necessità dipreparare persone per questo specifico settore la carenza di personaleblocca ogni iniziativa.2. In base a queste costatazioni si enunciano voti, proposte e suggerimenti– È necessario impostare la preparazione per inserirsi nel mondo del lavorofin dalle prime fasi della Formazione Iniziale e prepararsi per una società in-dustriale e post-industriale; dare quindi possibilità di tempi di esperienza di-retta negli ambienti di lavoro, affinché si impari facendo (tirocinio nellescuole professionali, pratiche pastorali in zone di lavoro, ecc.). Nei pianiformativi non manchino contenuti relativi ai quattro nuclei enunciati dal Re-latore, in modo che anche i chierici possano essere preparati per gli ambientitecnico-professionali. 149 – Si auspica che si possa dare ai confratelli una più ampia informazione socio-politica e sindacale e una migliore conoscenza dei dinamismi del mondo dellavoro, favorendo un atteggiamento di seria valutazione e simpatia. NellaFormazione Permanente si garantisca, in forma sistematica, l’informazionee la capacità di giudizio sulle situazioni del mondo del lavoro; detta Forma-zione Permanente va favorita con una vigilanza critica, a livello di comunitàlocale, di quanto accade nel mondo del lavoro.– Si richiede conoscenza di ciò che la Chiesa attraverso il suo magistero hadetto su una pastorale per il mondo del lavoro e su una lettura positiva deisuoi fenomeni.– Si vede la necessità che in una programmazione ispettoriale si scelgano pertempo persone da formare, che poi vengano mantenute nei rispettivi settori,dato che si costata troppa mobilità. Per i confratelli e in maniera analoga peri collaboratori laici che lavorano nelle scuole professionali vanno garantititempi di riciclaggio.– Si propone uno sforzo per coinvolgere di più gli ex-allievi e i genitori deinostri allievi impegnati nelle fabbriche o in altri ruoli di lavoro per consulta-zioni, confronti e valutazioni sul nostro modo di essere e di operare.– Nel caso di aperture di nuove opere, optare per il mondo operaio; non ri-durre, in ogni caso, l’educazione al lavoro e l’informazione su di esso ai soliCentri di Formazione Professionale, ma estenderle anche alle altre scuole.– Si vede conveniente un salto di mentalità per aprirci alla collazione dei laici,delle forze sociali ed ecclesiali e alle richieste del territorio, scoprendo ilruolo animatore della comunità religiosa e puntando su una maggiore prepa-razione pastorale ed educativa dei collaboratori.– Si vede anche la necessità di raccomandare alcuni atteggiamenti che sem-brano indispensabili quando si tratta di esperienze concrete e più audacinel mondo del lavoro: coscienza di essere mandato dalla comunità e dal-la Chiesa; consapevolezza di essere la voce dei giovani lavoratori perla Chiesa e la voce della Chiesa per loro; atteggiamento corrispondente diappoggio e assunzione delle conseguenze da parte della comunità man-dante.3. Riguardo a iniziative, responsabilità e strutture, si è proposto quanto segue.– Riprodurre nelle diverse Ispettorie e aree geografiche l’esperienza del pre-sente convegno, per una conoscenza più esatta del mondo del lavoro, per unconfronto con i confratelli e con i collaboratori laici. Commissioni nazionalidi Pastorale Giovanile e organismi analoghi propongano incontri e inter-scambi su tematiche simili, con la presenza di insieme di Salesiani, Figlie diMaria Ausiliatrice e collaboratori.– Il Consiglio ispettoriale, come primo responsabile dell’animazione pastoraledei confratelli, vagli le caratteristiche del mondo del lavoro in cui opera,faciliti il nostro intervento e spinga la mentalizzazione dell’Ispettoria. 150 – Ogni scuola professionale programmi contatti con le aziende della zona, pervedere la situazione obiettiva, da cui dedurre indicazioni per un insegna-mento più attualizzato del futuro lavoratore.– Si auspica vivamente a livello nazionale, dove non ci sia già, la costituzionedi un Centro coordinatore salesiano che animi la nostra vocazione verso ilmondo del lavoro. Possono essere suoi compiti: stimolare il perfeziona-mento degli educatori nelle aree tecnologiche, pedagogiche e pastorali, pro-grammare attività, elaborare sussidi, rappresentare la Congregazione davantiagli enti sociali e politici operanti nel mondo del lavoro. 151 La Formazione Professionale el’educazione per il lavoronel progetto educativo pastorale salesiano, 2009Pascual CHÁVEZ VILLANUEVA Si riporta l’intervento del Rettor Maggiore che ha tenuto inoccasione della Prima Consulta Mondiale dei Salesiani cheoperano nelle scuole e nei centri tecnici – professionali (SCTP),svoltasi a Roma nei giorni 5, 6 e 7 giugno 2009.Così scrive don Fabio Attard, Consigliere per la pastorale Gio-vanile:“Perché una consulta mondiale dei Salesiani che operano nelleSCTP (Scuole Centri Tecnici Professionali)?I motivi sono molteplici. Ne richiamo solo alcuni.È una risposta ad una domanda avvertita da più parti, quella dicoordinarsi in un ambito che per i Salesiani è “carismatico”.È il segno di una attenzione da parte della Congregazione aduna particolare tipologia di giovani da considerare come“nuova frontiera”.Attraverso la Consulta, i Salesiani che operano nelle SCTP, po-tranno conoscersi, confrontarsi, scambiarsi le migliori pratiche,approfondire le motivazioni per questa scelta... per offrire aquesti giovani un servizio di qualità.Attraverso la Consulta i Salesiani che operano nelle SCTP po-tranno, inoltre, elaborare delle strategie e dei traguardi comunia partire dai vari contesti territoriali ma anche in quadro piùampio, a livello di Regione e di Congregazione. L’educazione al lavoro dei giovani e l’educazione attraverso il lavoro è un ele-mento fondamentale della proposta educativo-pastorale salesiana. 1. CAMMINO REALIZZATO Nel programma di animazione e governo del RM e del suo Consiglio per ilsessennio 2002-2008, il Dicastero si proponeva dare “un’attenzione speciale e prio-ritaria alle situazioni di disagio giovanile” tra le quali veniva segnalata la prepara-zione e l’inserimento nel lavoro1.Già nel sessennio precedente, tra le iniziative per sviluppare la qualità educa-tiva delle nostre scuole e Centri di Formazione Professionale, si era tentato di pro-muovere una maggiore coscienza dell’importanza e urgenza dell’educazione al la- 1 Cfr. Progetto di animazione e governo del Rettor Maggiore e del suo Consiglio, ACG 380 pag. 39. 152 voro. Segno di questo sforzo fu un intervento del Consigliere per la Pastorale Gio-vanile negli Atti del Consiglio Generale 368 (Luglio-Settembre 1999) “La pastoralegiovanile salesiana e il mondo del lavoro”.Nell’anno 1997 era stata pubblicata l’indagine condotta dal Dicastero per laPG, sotto la guida di D. Luc Van Looy, e dell’Istituto di sociologia dell’UPS, sullaFormazione Professionale Salesiana. In essa si offriva una visione d’insieme dellarealtà della FP nella Congregazione, delle sue realtà, problematiche e prospettive difuturo. Un libro ancora non sufficientemente valorizzato.Nel frattempo nasceva, quasi dappertutto, in modo speciale nei paesi in via disviluppo, un insieme di servizi e di proposte per la preparazione al lavoro dei gio-vani in situazione di rischio: centri e programmi più o meno formali o anche infor-mali di formazione professionale, alcune esperienze molto interessanti di creazionedi lavoro, ecc. Queste iniziative, nate dallo zelo pastorale di alcuni confratelli, sisviluppavano in modo speciale nell’ambito delle parrocchie o degli Oratori, oanche delle scuole professionali in orari serali, ma erano poco considerate e coordi-nate dai programmi e dall’animazione pastorale delle Ispettorie.Le Procure Internazionali Salesiane, insieme con alcune ONG per lo svi-luppo, hanno sostenuto e accompagnato molte di queste iniziative, così come lanascita e lo sviluppo di Centri di Formazione professionale in molte ispettorie del-l’Africa, Asia e America Latina. Approfitto per ringraziare questo vostro impegnonel sostenere e difendere questi programmi davanti ai grandi organismi interna-zionali di aiuto allo sviluppo; se molti di questi servizi formativi per i giovani arischio si sono sviluppati e moltiplicati in molte ispettorie è, in grande misura, me-rito vostro.Durante questi anni io stesso ho ricevuto ed offerto diversi stimoli che incorag-giavano la Congregazione a riprendere questo settore caratteristico della missionesalesiana, a promuovere nelle ispettorie un’attenzione e un coordinamento mag-giore a queste opere e servizi, a curare la loro crescita in qualità educativa e a faci-litare loro una ricerca più efficace di risorse di futuro.In questo senso il Dicastero della PG ha promosso negli ultimi anni una rifles-sione sulla Formazione Professionale e l’educazione al lavoro nelle Commissionicontinentali della scuola salesiana (Europa a Krakow, marzo 2004; America a San-tiago di Cili, gennaio 2004); si è realizzato un seminario di riflessione con alcunisalesiani esperti in queste iniziative per conoscere la realtà e preparare un cam-mino di riflessione e di studio nelle ispettorie della regione Interamerica (Quito,marzo 2004). La Conferenza degli ispettori di Africa e Madagascar ha realizzatouna prima riflessione e ha chiesto al Dicastero di convocare un incontro con i rap-presentanti delle ispettorie interessate per approfondire il tema. È avviato, dunque,un ampio cammino di riflessione, di condivisione e di coordinamento che oggi siriprende per aiutare le ispettorie a rinnovare la qualità e l’efficacia del loro im-pegno per l’educazione e l’accompagnamento dei giovani che si avviano al mondodel lavoro. 153 2. ALCUNI CRITERI FONDAMENTALI PER L’IMPEGNO SALESIANO NELL’EDUCAZIONEE FORMAZIONE PROFESSIONALE DEI GIOVANI Ricordo brevemente alcuni criteri che devono guidarci in questo sforzo di rin-novamento della presenza salesiana nel mondo della formazione per il lavoro. 2.1. I giovani che s’avviano al lavoro, i giovani lavoratori e i giovani disoccu-pati destinatari specifici della nostra missione.Don Bosco, nella sua opzione educativa pastorale per i giovani bisognosi, ebbeuna grande preoccupazione per il mondo del lavoro. Cominciò la sua opera a Val-docco accogliendo giovani alla ricerca di lavoro e immigrati disoccupati, li radunò,cercò lavoro per loro, tentò di offrire loro laboratori dove potessero imparare un la-voro e ricevere una formazione religiosa e morale adeguata.Sin dall’inizio, l’impegno per i giovani operai è un aspetto essenziale dellamissione salesiana e si esprime, in modo particolare, nell’abbondante numero discuole professionali e iniziative simili che divengono una delle caratteristiche piùnote dei Salesiani in molti paesi, soprattutto quelli in via di sviluppo.Quest’orientamento costante della Congregazione sin dalle origini è raccoltodall’articolo 27 delle Costituzioni: “I giovani degli ambienti popolari che si av-viano al lavoro e i giovani lavoratori spesso incontrano difficoltà e sono facilmenteesposti ad ingiustizie. Imitando la sollecitudine di Don Bosco, ci rivolgiamo ad essiper renderli idonei ad occupare con dignità il loro posto nella società e nella Chiesae a prendere coscienza del loro ruolo in vista della trasformazione cristiana dellavita sociale”.Inoltre le Scuole Professionali, molti Oratori-Centri Giovanili, Parrocchie, ecc.possono offrire una attenzione speciale ai giovani lavoratori o disoccupati, facili-tando la loro accoglienza e protagonismo, una metodologia che faciliti la loro inte-grazione nell’ambiente, iniziative che rispondano ai bisogni più sentiti da loro. Tal-volta troviamo difficoltà a raggiungere questi giovani perché molte delle nostre at-tività sono più adeguate per i giovani studenti o universitari di una certa cultura ecapacità intellettuale. In parecchi luoghi sono nate iniziative di formazione al la-voro, di aiuto all’auto-occupazione, borse di lavoro, o iniziative simili, segni del-l’interesse e preoccupazione di molti confratelli e collaboratori. 2.2. Un’educazione integraleLa finalità del nostro intervento educativo non è soltanto preparare i giovaniper il lavoro, ma renderli idonei a svolgere con dignità la loro vocazione e collabo-rare così alla trasformazione cristiana della società. Questa finalità ci obbliga ad as-sicurare nei programmi educativi dei Centri di Formazione Professionale alcunelinee prioritarie come la centralità della persona rispetto all’economia, l’attenzionepreferenziale ai più deboli nella ricerca del bene della comunità, la salvaguardia 154 della dimensione della gratuità contro lo strapotere del profitto, la professionalitàvissuta nella prospettiva delle competenze personali e professionali, la promozionedi modelli di sviluppi più equi, che impediscano di allargare ulteriormente la for-bice delle disuguaglianze presenti nel sistema.Questa preoccupazione per offrire ai giovani che si avviano al lavoro un’edu-cazione integrale deve impegnare tutte le comunità e tutte le opere salesiane, nonsoltanto le scuole professionali. Si dice nell’articolo 2 dei Regolamenti: “Le ispet-torie favoriscano l’impegno educativo verso i giovani lavoratori. Cerchino di cono-scere il mondo del lavoro e la situazione dei giovani lavoratori. Curino i Centri diFormazione Professionale dal punto di vista pastorale, pedagogico e tecnico e pre-dispongano programmi adeguati per educare i giovani ad un’autentica spiritualitàdel lavoro”.Sono impegni importanti e urgenti che esigono da tutti una seria verifica, so-prattutto perché il mondo del lavoro si sta trasformando rapidamente, cambiano ledomande delle imprese e le possibilità d’impiego; i giovani sono quelli che più spe-rimentano questi cambiamenti. 2.3. La pedagogia del lavoro come un elemento importante in una formazioneintegrale salesianaMolti giovani sono esposti o già vivono qualche esperienza di insuccesso sco-lastico e/o con problemi di integrazione personale, familiare e sociale. Per loro unaesperienza lavorativa positiva, programmata e seguita con criteri educativi, può co-stituire un’ottima possibilità di recupero personale; il giovane può riacquistare lastima di sé, riscoprire le proprie abilità e capacità, apprezzare il lavoro ben fatto edessere motivato alla propria formazione.Questo richiede che nella proposta educativa offriamo un ampio spazio ad al-cune esperienze di lavoro, servizi alla comunità, lavoro all’interno di organizza-zioni “non-profit”, valutando in esse soprattutto la realizzazione personale e il ser-vizio al bene comune della comunità. Richiede anche di promuovere contatti quali-ficati e significativi con persone, istituzioni e ambienti del mondo del lavoro, favo-rendo un dialogo, confronto e mutua conoscenza e collaborazione formativa. Perquesto le opere e servizi di Formazione Professionale hanno bisogno di lavorare inrete con scuole, imprese, amministrazione pubblica e molte altre opere e servizi so-ciali ed educativi. 2.4. Un orientamento evangelico che apre e dispone all’evangelizzazione“Come Don Bosco siamo chiamati tutti e in ogni occasione a essere educatorialla fede” dicono le nostre Costituzioni (art. 34). Per questo ogni nostra azione eopera a favore dei giovani lavoratori deve offrire loro una visione umanista ed evan-gelica della realtà sociale, economica e del mondo del lavoro, attraverso la lezionedi religione o di formazione morale e lo studio della Dottrina Sociale della Chiesa; 155 deve sviluppare una pedagogia dei valori, deve proporre esperienze spirituali e diapertura a Dio come una graduale iniziazione alla preghiera e alla celebrazione; of-frire anche esperienze di servizio gratuito e di solidarietà verso i più poveri, comin-ciando da quelli del proprio ambiente; ecc. In questo modo la nostra presenza eazione educativa sarà segno del Vangelo e cammino che apre all’evangelizzazione. 3. ALCUNE PREOCCUPAZIONI IMPORTANTI Dai contatti ed esperienze realizzate ci sembra di percepire alcune preoccupa-zioni che meritano un’attenzione particolare e di fronte alle quali il Dicastero vuoleaiutare le ispettorie a trovare vie di risposta. 3.1. Bisogno di un appoggio particolare alla Formazione ProfessionaleNei paesi in via di sviluppo la formazione professionale è sempre più impor-tante; la maggioranza dei giovani, soprattutto i più poveri, restano al margine dellascuola, almeno dopo l’istruzione elementare; per loro la Formazione Professionaleo una rapida preparazione per il lavoro è l’unica strada aperta per poter inserirsi po-sitivamente nel mondo del lavoro e nella società.Per questo oltre ai numerosi Centri di Formazione Professionale formale sisono sviluppate molte iniziative e servizi per la preparazione immediata al lavorodei giovani. Tutte queste opere e servizi richiedono investimenti importanti, unmantenimento costoso, un aggiornamento continuo e molta creatività, cose che nonsempre le comunità o le ispettorie possono assicurare.Un altro aspetto di questo appoggio è la formazione tecnica, pedagogica e sale-siana degli insegnanti, istruttori e formatori; molti di loro sono gente di buona vo-lontà, disponibili a condividere quello che sanno, ma non sempre molto qualificati;con scarsa sensibilità pedagogica e anche poca conoscenza dello stile e dello spiritosalesiano; sono loro stessi poveri e bisognosi di progredire e di guadagnare di più. 3.2. Assicurare un’educazione integraleUn’altra preoccupazione importante dei salesiani che animano e dirigonoquesti centri e servizi è l’offrire ai giovani una formazione e una educazione inte-grale; si tratta di formare non soltanto un lavoratore, ma una persona, capace di as-sumere con responsabilità la sua missione nella vita e nel mondo del lavoro, conuna visione solidale della vita e della società, con un orientamento aperto alla di-mensione religiosa. A volte gli stessi giovani, cercando il guadagno facile e rapido,sono preoccupati soltanto di imparare alcune tecniche per andare subito a lavoraree avere denaro.In molti di questi servizi i giovani frequentano il centro per breve tempo, percui l’influenza educativa che si può avere con loro è scarsa e molto precaria. 156 Inoltre i salesiani si vedono sovente obbligati a spendere molte delle proprieenergie nella ricerca di risorse per il funzionamento e lo sviluppo del centro, tro-vando difficoltà per lo sviluppo della loro missione più specifica, l’animazioneeducativa e salesiana della comunità educativa. 3.3. L’inserimento nel mondo del lavoro dei giovani che finiscono la formazioneUn indicatore importante della efficacia di una formazione professionale è lasua capacità di condurre i giovani a trovare un lavoro e ad inserirsi positivamentein esso; soltanto in questo modo si garantirà il frutto della formazione ricevuta e sieviterà l’emigrazione o la caduta nell’emarginazione.Ma questo, in molte situazioni di precarietà e di povertà, è difficile: il lavoro èscarso, poco sicuro e offre poche possibilità di progresso professionale; i diritti deigiovani in esso sono poco rispettati; in molti ancora è troppo comune la mentalitàdel guadagno facile e rapido, anche a scapito del futuro.Gli stessi giovani che, finendo la formazione, trovano un lavoro, hanno bisognodi essere accompagnati e sostenuti ad inserirsi in esso, a continuare la propria for-mazione. Tutte queste preoccupazioni esigono un progetto globale che non pensisoltanto ai corsi, ma guardi anche ad assicurare nel cammino formativo stage praticinelle imprese, a garantire un’occupazione ai giovani che finiscono, a promuovere traloro esperienze di auto-occupazione, a suscitare la collaborazione delle imprese nel-l’accompagnamento formativo dei giovani che s’inseriscono in esse, ecc. Un taleprogetto supera normalmente le possibilità di una sola comunità educativa. 3.4. L’integrazione di queste opere e servizi nel Progetto educativo-pastoraledell’IspettoriaA volte alcune di queste opere e servizi sono nate dall’iniziativa di un confra-tello o comunità, ma il suo pieno sviluppo esige che sia l’Ispettoria come tale cheassuma il progetto e ne garantisca la continuità, l’efficacia e la qualità salesiana.L’attenzione educativa per i giovani lavoratori non deve essere soltanto preoc-cupazione di alcuni confratelli o di alcune opere nell’ispettoria, ma deve coinvol-gere tutti in un lavoro in rete secondo un progetto globale al quale ogni opera ap-porta il proprio contributo specifico. Ciò richiede che questa attenzione sia presentenel PEPS ispettoriale e coinvolga le diverse équipe di animazione, in modo spe-ciale quella della scuola e quella dell’emarginazione e dei servizi sociali. In questosenso ancora si deve percorrere un lungo cammino. 3.5. L’auto-sostenibilità dei Centri di Formazione Professionale e dei pro-grammi di avviamento al lavoro.La continuità finanziaria dei Centri di Formazione Professionale, con le lorocrescenti spese di manutenzione e di investimenti, è una grande preoccupazione inmolte ispettorie. Le procure e ONG hanno appoggiato i primi passi di molti di 157 questi centri, presentando i loro progetti agli organismi internazionali; ma questoaiuto non basta a lunga scadenza; si devono cercare altre fonti di finanziamento, so-prattutto tenendo conto che molti di questi centri non possono appoggiarsi sul con-tributo degli allievi e delle loro famiglie e neanche sulle sovvenzioni dello Stato. Sideve pensare a progetti di produzione, capaci di assicurare questo finanziamento.Impostare questi progetti richiede contare su persone preparate per gestire im-prese produttive, persone che conoscano le tecniche di economia aziendale, ilmondo del marketing e della ricerca di mercati, ecc., cose poco comuni tra di noi eanche tra i laici nostri collaboratori.Inoltre, questa iniziativa produttiva deve sempre rispettare il carattere formativoed educativo del Centro, senza sottoporre le esigenze di produzione alle esigenzedei programmi formativi. 4. ALCUNE ESIGENZE FONDAMENTALI DA CURARE Ne appunto soltanto due importanti, sperando che nella nostra conversazionevoi stessi ne suggeriate altre.Nel rispondere a queste preoccupazioni è necessario innanzitutto promuoveretra i SDB e le comunità educative una mentalità più sensibile al mondo del lavoroin modo che l’attenzione a questi giovani che si avviano al lavoro sia un indirizzocondiviso da tutte le opere salesiane. Questo richiede:• Una conoscenza maggiore del mondo del lavoro e delle sue principali tendenzee fenomeni da parte dei Salesiani e comunità, attraverso uno sforzo perma-nente d’informazione, di discernimento e di confronto critico riguardo a tuttociò che nasce e si esprime nel mondo del lavoro.• Una formazione sociale sistematica e approfondita che assicuri in noi e neigiovani delle nostre opere una mentalità più solidale e una maggiore capacitàdi impegnarsi con efficacia per la giustizia. Questo suppone una conoscenzapiù completa e sistematica dell’insegnamento sociale della Chiesa, e la colla-borazione in progetti concreti di solidarietà.• Una attenzione speciale ai giovani lavoratori o disoccupati nelle nostre opere,soprattutto negli Oratori-Centri Giovanili, Parrocchie, Convitti, gruppi ecc., fa-cilitando in esse la loro accoglienza e protagonismo, una metodologia che faci-liti la loro integrazione nell’ambiente, iniziative che rispondano ai bisogni piùsentiti da loro.• Il rinnovamento della pedagogia del lavoro nella proposta educativa-pastoralesalesiana, superando una pedagogia troppo intellettuale e molte volte tropposelettiva.Insieme a questo rinnovamento della mentalità è anche necessario promuovereuna nuova metodologia di lavoro educativo e pastorale attraverso progetti e pro-cessi, realizzati in collaborazione e in rete. 158 Il nostro modo di lavorare è molte volte troppo settoriale: ogni opera o settoresi preoccupa soltanto dei loro campi specifici, senza percepire che oggi un lavoroveramente efficace richiede di agire allo stesso tempo sui diversi aspetti che influi-scono sulla realtà che si vuole trasformare. Per esempio: se vogliamo educare i gio-vani perché possano inserirsi responsabilmente nel mondo del lavoro, non bastapreoccuparsi della loro preparazione tecnica o professionale, ma allo stesso tempodobbiamo inserirli nel complesso mondo del lavoro per promuovere in esso nuoveesperienze e possibilità di collaborazione dei giovani; dobbiamo anche preoccu-parci della trasformazione del territorio perché possa permettere nuove iniziative dilavoro e di sviluppo in modo che i giovani professionalmente preparati non deb-bano andare altrove a cercare lavoro, ma siano aiutati nel proprio luogo a creare esviluppare le loro capacità al servizio di tutti.Formazione, creazione di lavoro, accompagnamento e appoggio umano e lavo-rativo, promozione del territorio, ecc. sono elementi di un progetto globale che, sesettorializzati, perdono molto delle loro possibilità.Evidentemente un progetto simile non può essere realizzato normalmente dauna sola istituzione, c’è bisogno di un lavoro insieme di molte altre che da diversipunti di vista e con differenti competenze convergono e collaborano a un obiettivocomune.Questa forma di lavorare attraverso progetti globali e in rete è ancora poco svi-luppata tra noi ma risulta fondamentale soprattutto in questo campo della promo-zione ed educazione dei giovani che si avviano al lavoro; per questo diviene ancheuna preoccupazione importante del Dicastero.Ecco gli elementi che ritengo importanti per impostare bene l’animazione dellaFormazione professionale salesiana.Sono sicuro che la vostra esperienza nel promuovere e sostenere durante questianni tanti centri e iniziative di formazione professionale in diverse parti del mondosalesiano potrà arricchire e completare la visione presentata.Tutti insieme, condividendo uno stesso quadro di riferimento: criteri, obiettivi,priorità, riusciremo a rinnovare e dare piena significatività a questo campo così ca-ratteristico della nostra missione: l’educazione dei giovani che si avviano al lavoro. 159 Il servizio dei Salesiani d’Italia a favore dei giovaninella Scuola e nella Formazione Professionale, 2010Pascual CHÁVEZ VILLANUEVA Il 20 aprile 2012 la Federazione CNOS-FAP e l’AssociazioneCNOS/Scuola hanno organizzato un Convegno dal titolo “Gio-vani e Sistema educativo di Istruzione e Formazione in Italia”.Il Convegno si colloca all’interno di una riflessione che i Sale-siani stanno compiendo sulla loro presenza in Europa.Ne sintetizza gli aspetti salienti il documento “Progetto Europa”predisposto dal Rettor Maggiore dei Salesiani, un documento cheindica la natura, gli obiettivi e le strategie per impegnare tuttala Congregazione nel rafforzamento del carisma salesiano inEuropa attraverso la scelta prioritaria della presenza salesiananella Scuola e nella Formazione Professionale”. PREMESSA Un convegno dedicato a “Giovani e Sistema Educativo di Istruzione e Formazio-ne in Italia” testimonia la grande speranza ed il profondo entusiasmo che il sognoapostolico di don Bosco sa suscitare nel nostro tempo. Alla speranza e all’entusiasmosi aggiunge però anche la consapevolezza di una responsabilità per la fecondità delcarisma salesiano affidato oggi alla nostra testimonianza e al nostro servizio pastorale.Proprio questa coscienza carismatica decide la prospettiva nella quale è neces-sario siano svolti confronto e riflessione: la prospettiva del discernimento. «Discer-nere», scrivevo nella presentazione dei documenti capitolari del CG 26, «è distin-guere ciò che è fondamentale da ciò che è secondario in un determinato momento,ed operare di conseguenza delle scelte»1.E un discernimento evangelico deve fondarsi sulla chiamata di Dio, che ri-suona nella Chiesa e si fa appello carismatico particolare, per la Famiglia di donBosco, quando lo Spirito, come nel CG 26, effonde «l’abbondanza dei suoi doni[...] con una rinnovata Pentecoste»2.Alla luce di questa chiamata è possibile una lettura sapiente delle sfide dell’at-tuale condizione giovanile, perché siano raccolte con il cuore di Don Bosco, e allasua passione apostolica, «che si esprime [...] nella capacità di cogliere le urgenzedell’evangelizzazione e di operare perché a tutti sia fatto dono di Gesù Cristo e delsuo vangelo»3, ispirino le scelte operative. 1 CHÁVEZ VILLANUEVA P., Presentazione, in Da mihi anima cetera tolle, ACG 401 (2008), 11.2 CHÁVEZ VILLANUEVA P., Presentazione, in Da mihi anima cetera tolle, ACG 401 (2008), 14.3 CHÁVEZ VILLANUEVA P., Presentazione, in Da mihi anima cetera tolle, ACG 401 (2008), 10. 160 Il CG 26 ci ricorda che «fin dal primo momento, l’educazione deve prendereispirazione dal Vangelo e l’evangelizzazione deve adattarsi alla condizione evolu-tiva del giovane. Solo così egli potrà scoprire in Cristo la propria vera identità ecrescere verso la piena maturità; solo così il Vangelo potrà toccare in profondità ilsuo cuore, sanarlo dal male e aprirlo ad una fede libera e personale»4.Il carisma di don Bosco, dono dello Spirito alla Chiesa, è principio ispiratoredi ogni sollecitudine salesiana per i giovani; per questo anche il suo prodursi comeservizio scolastico o impegno nella Formazione Professionale, non può non caratte-rizzarsi per la qualità educativa decisa dall’intenzionalità evangelizzatrice, fuoridalla quale non sarebbe riconoscibile la fedeltà a don Bosco. 1. CHIAMATI DA DIO PER UNA MISSIONE NELLA SCUOLA E FP 1.1. Una missione ecclesialeAlla riflessione sui compiti e sulle possibilità di un servizio salesiano a favoredei giovani nella scuola e nella formazione professionale risulta necessaria unachiara coscienza della sfide culturali e sociali più cospicue indicate dal Magisteroecclesiale.In questa prospettiva riteniamo si possano ricavare alcune indicazioni fonda-mentali da quattro encicliche passibili di una chiara lettura educativa e particolar-mente rilevanti per una progettualità coerente con forme e contenuti della nuovaevangelizzazione.1.1.1. Fides et Ratio: l’amore per la verità vocazione dell’intelligenzaUn documento di singolare attualità che fornisce orientamenti essenziali per lariflessione sulla qualità educativa ed evangelica del servizio all’intelligenza deigiovani è certamente Fides et ratio.Qui Giovanni Paolo II concentra la sua riflessione sul tema stesso della veritàe sul suo fondamento in rapporto alla fede. Non si può negare, infatti, che questoperiodo di rapidi e complessi cambiamenti esponga soprattutto le giovani genera-zioni, a cui appartiene e da cui dipende il futuro, alla sensazione di essere privedi autentici punti di riferimento. L’esigenza di un fondamento su cui costruire l’e-sistenza personale e sociale si fa sentire in maniera pressante soprattutto quandosi è costretti a costatare la frammentarietà di proposte che elevano l’effimero alrango di valore, illudendo sulla possibilità di raggiungere il vero senso dell’esi-stenza. Accade così che molti trascinano la loro vita fin quasi sull’orlo del ba-ratro, senza sapere a che cosa vanno incontro. Ciò dipende anche dal fatto che tal-volta chi era chiamato per vocazione a esprimere in forme culturali il frutto dellapropria speculazione, ha distolto lo sguardo dalla verità, preferendo il successo 4 Da mihi anima cetera tolle, ACG 401 (2008), n. 25. 161 nell’immediato alla fatica di una indagine paziente su ciò che merita di esserevissuto5.Il testo è chiaro: una cultura indifferente alla verità tradisce l’uomo ed in parti-colare i giovani. Ma il progetto dell’enciclica, epistempologicamente ambizioso, haun risvolto fondamentale che provoca la missione salesiana, là dove, attraverso ilbinomio ragione-fede, fornisce una declinazione cognitiva del binomio educazione-evangelizzazione.Che la portata di entrambi questi binomi sia decisiva per la missione dellascuola salesiana è dato evidente; meno scontata è l’effettività di una loro pertinenteadozione a guida della prassi pastorale.Giova pertanto accennare – almeno brevemente – agli spunti offerti in partico-lare dai capitoli di questo documento nei quali si illumina la circolarità virtuosanecessaria al reciproco rinforzo dei due movimenti cognitivi resi dalle note espres-sioni latine “credo ut intellegam” e “intellego ut credam”. Qui si possono rinve-nire le linee essenziali di un’autentica pedagogia teologica dell’intelligenza.Sotto il titolo “credo ut intellegam”, l’enciclica riflette su quella forma disapere che ha come termine la verità e come condizione di possibilità la fede. Talesapere è attestato nella letteratura sapienziale biblica6, che confessa il timore delSignore come principio di accesso alla verità ultima dell’esistenza umana e delmistero del mondo.La Bibbia dichiara irrinunciabile per il vivere dell’uomo – altrimenti ignaro disé e del proprio destino – il possesso di questa sapienza, che si presenta, insieme,come dono gratuito di Dio e come frutto di un’esistenza condotta nell’obbedienzaalla Legge: fuori dal favore di Dio e da un’esistenza fedele ai comandamenti non sidà biblicamente vera sapienza.Soffermandosi poi sulle lettere paoline, il cui messaggio è posto in continuitàcon lo spirito della letteratura sapienziale, la Fides et Ratio si misura con la de-nuncia neotestamentaria dell’insidia del peccato nel cammino di conoscenza dellaverità7. La rivelazione pasquale, il logos tou staurou, in un mondo ottenebrato dal 5 GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Fides et Ratio circa i rapporti tra fede e ragione, 14 set-tembre 1998, n. 6.6 «La peculiarità che distingue il testo biblico consiste nella convinzione che esista una profondae inscindibile unità tra la conoscenza della ragione e quella della fede. Il mondo e ciò che accade inesso, come pure la storia e le diverse vicende del popolo, sono realtà che vengono guardate, analizzatee giudicate con i mezzi propri della ragione, ma senza che la fede resti estranea a questo processo.Essa non interviene per umiliare l’autonomia della ragione o per ridurne lo spazio di azione, ma soloper far comprendere all’uomo che in questi eventi si rende visibile e agisce il Dio di Israele. Cono-scere a fondo il mondo e gli avvenimenti della storia non è, pertanto, possibile senza confessare alcontempo la fede in Dio che in essi opera. La fede affina lo sguardo interiore aprendo la mente a sco-prire, nel fluire degli eventi, la presenza operante della Provvidenza» (Fides et Ratio, n. 16).7 «Il Libro della Genesi descrive in maniera plastica questa condizione dell’uomo, quando narrache Dio lo pose nel giardino dell’Eden, al cui centro era situato “l’albero della conoscenza del bene edel male” (2,17). Il simbolo è chiaro: l’uomo non era in grado di discernere e decidere da sé ciò cheera bene e ciò che era male, ma doveva richiamarsi a un principio superiore. La cecità dell’orgoglio) 162 peccato, diventa scandalo per i giudei e stoltezza per i sapienti. La consapevolezzaveterotestamentaria, che vede nella vera sapienza un dono di Dio, diventa co-scienza neotestamentaria dell’estraneità della sapienza di questo mondo alla sa-pienza di Dio. Nel Nuovo Testamento, soprattutto nelle Lettere di san Paolo, undato emerge con grande chiarezza: la contrapposizione tra “la sapienza di questomondo” e quella di Dio rivelata in Gesù Cristo. La profondità della sapienza rive-lata spezza il cerchio dei nostri abituali schemi di riflessione, che non sono affattoin grado di esprimerla in maniera adeguata. L’inizio della prima Lettera ai Corinzipone con radicalità questo dilemma. Il Figlio di Dio crocifisso è l’evento storicocontro cui s’infrange ogni tentativo della mente di costruire su argomentazioni sol-tanto umane una giustificazione sufficiente del senso dell’esistenza. Il vero puntonodale, che sfida ogni filosofia, è la morte in croce di Gesù Cristo. Qui, infatti, ognitentativo di ridurre il piano salvifico del Padre a pura logica umana è destinato alfallimento. “Dov’è il sapiente? Dov’è il dotto? Dove mai il sottile ragionatore diquesto mondo? Non ha forse Dio dimostrato stolta la sapienza di questo mondo?”(1Cor 1,20), si domanda con enfasi l’Apostolo. Per ciò che Dio vuole realizzarenon è più possibile la sola sapienza dell’uomo saggio, ma è richiesto un passaggiodecisivo verso l’accoglienza di una novità radicale: “Dio ha scelto ciò che nelmondo è stolto per confondere i sapienti [...]; Dio ha scelto ciò che nel mondo èignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono” (1Cor1,27-28). La sapienza dell’uomo rifiuta di vedere nella propria debolezza il presup-posto della sua forza; ma san Paolo non esita ad affermare: “Quando sono debole, èallora che sono forte” (2 Cor 12,10). L’uomo non riesce a comprendere come lamorte possa essere fonte di vita e di amore, ma Dio ha scelto per rivelare il misterodel suo disegno di salvezza proprio ciò che la ragione considera “follia” e “scan-dalo”. Parlando il linguaggio dei filosofi suoi contemporanei, Paolo raggiunge ilculmine del suo insegnamento e del paradosso che vuole esprimere: “Dio ha sceltociò che nel mondo [...] è nulla per ridurre a nulla le cose che sono” (1Cor 1,28)8.Le argomentazioni proposte a commento del principio “credo ut intellegam”,marcando con la letteratura sapienziale la necessità della fede per l’autenticità delsapere ed insistendo sul potere, sviluppato dal peccato, di ottenebrare l’intelligenza,sembrerebbero gettare discredito sull’esercizio dell’intelligenza umana. La Fides etratio, indugiando successivamente sull’espressione intellego ut credam, illumina illuse i nostri progenitori di essere sovrani e autonomi, e di poter prescindere dalla conoscenza deri-vante da Dio. Nella loro originaria disobbedienza essi coinvolsero ogni uomo e ogni donna, procurandoalla ragione ferite che da allora in poi ne avrebbero ostacolato il cammino verso la piena verità. Ormaila capacità umana di conoscere la verità era offuscata dall’avversione verso Colui che della verità èfonte e origine. È ancora l’Apostolo a rivelare quanto i pensieri degli uomini, a causa del peccato, fos-sero diventati “vani” e i ragionamenti distorti e orientati al falso (cfr Rm 1,21-22). Gli occhi dellamente non erano ormai più capaci di vedere con chiarezza: progressivamente la ragione è rimasta pri-gioniera di se stessa. La venuta di Cristo è stata l’evento di salvezza che ha redento la ragione dalla suadebolezza, liberandola dai ceppi in cui essa stessa s’era imprigionata» (Fides et Ratio, n. 22).8 Fides et Ratio, n. 23. 163 invece la vocazione più propria e più alta dell’intelligenza umana, chiamata a rico-noscere l’intenzionalità manifestativa di Dio nell’opera della creazione e della re-denzione.Per illustrare tale responsabilità dell’intelligenza l’enciclica muove dall’ap-pello di Paolo al pensiero degli ateniesi, quale premessa favorevole all’annunciodel Vangelo. L’opzione di Paolo giustifica in questo caso la considerazione positivadell’umana ricerca di verità, ricerca strutturalmente orientata alla conoscenza diDio, principio e fine di tutte le cose9.La Fides et ratio non si limita però ad una riproposizione della dottrina deipreambula fidei, tipica dell’apologetica classica; piuttosto elabora una sorta di fe-nomenologia della coscienza sottolineando come la relazione con il Fondamentosia virtualmente costitutiva di ogni determinazione dell’uomo per la verità, ed ag-giungendo pure che tale determinazione si produce nei termini di accoglienza e af-fidamento alla manifestazione della verità, attraverso la mediazione della relazioneinterpersonale.L’uomo, per natura, ricerca la verità. Questa ricerca non è destinata solo allaconquista di verità parziali, fattuali o scientifiche; egli non cerca soltanto il verobene per ognuna delle sue decisioni. La sua ricerca tende verso una verità ulterioreche sia in grado di spiegare il senso della vita; è perciò una ricerca che non può tro-vare esito se non nell’assoluto. Grazie alle capacità insite nel pensiero, l’uomo è ingrado di incontrare e riconoscere una simile verità. In quanto vitale ed essenzialeper la sua esistenza, tale verità viene raggiunta non solo per via razionale, ma anchemediante l’abbandono fiducioso ad altre persone, che possono garantire la certezzae l’autenticità della verità stessa. La capacità e la scelta di affidare se stessi e la pro-pria vita a un’altra persona costituiscono certamente uno degli atti antropologica-mente più significativi ed espressivi. Non si dimentichi che anche la ragione ha bi-sogno di essere sostenuta nella sua ricerca da un dialogo fiducioso e da un’amiciziasincera. Il clima di sospetto e di diffidenza, che a volte circonda la ricerca specula-tiva, dimentica l’insegnamento dei filosofi antichi, i quali ponevano l’amiciziacome uno dei contesti più adeguati per il retto filosofare. Da quanto ho fin quidetto, risulta che l’uomo si trova in un cammino di ricerca, umanamente intermina-bile: ricerca di verità e ricerca di una persona a cui affidarsi10.Emerge, in questi passaggi della Fides et ratio, una lettura del rapporto del-l’uomo alla verità inconsueta per una cultura tentata da debolismo, scetticismo e re-lativismo, ma innovativa per una pedagogia dell’intelligenza che voglia qualificarsicome schiettamente evangelica.La circolarità di intelligenza e fede, proposta attraverso il mutuo riferimentodei dinamismi “credo ut intellegam” e “intellego ut credam”, suggerisce la parzia-lità del modello che vorrebbe l’esercizio della ragione propedeutico all’esperienza 9 CONCILIO VATICANO I, Costituzione dogmatica Dei Filius sulla fede cattolica, 24.04.1870,DS 3004.10 Fides et Ratio, n. 33. 164 di fede e l’adesione credente come ulteriorità opzionale rispetto alla maturità del-l’intelligenza.Ma, rilevato che tanto la denuncia del peccato, quale minaccia sempre offen-siva contro il retto esercizio dell’intelligenza, quanto il riconoscimento delle condi-zioni essenziali al suo consolidamento – nelle dinamiche dell’affidamento, dellamediazione interpersonale, della gratuità del dono e della testimonianza – impon-gono il ripensamento della relazione tra fede e sapere.Ogni istituzione culturale e formativa, che voglia esprimere una sollecitudineecclesiale per la crescita nella verità soprattutto dei giovani, trova nelle indicazionidel Magistero provocazioni di notevole importanza per qualificare la propria mis-sione, che non può conoscere tentennamenti, come servizio alla verità e annunciodi Cristo.La Chiesa promuove insieme sia la difesa della dignità dell’uomo sia l’annunciodel messaggio evangelico. Per tali compiti non vi è oggi, infatti, preparazione piùurgente di questa: portare gli uomini alla scoperta della loro capacità di conoscere ilvero (124) e del loro anelito verso un senso ultimo e definitivo dell’esistenza.Nella prospettiva di queste esigenze profonde, iscritte da Dio nella naturaumana, appare anche più chiaro il significato umano e umanizzante della parola diDio. Grazie alla mediazione di una filosofia divenuta anche vera saggezza, l’uomocontemporaneo giungerà così a riconoscere che egli sarà tanto più uomo quantopiù, affidandosi al Vangelo, aprirà se stesso a Cristo11.1.1.2. Deus caritas est: la verità dell’amore nel sacrificio di DioLa prima enciclica di Benedetto XVI volge lo sguardo al contenuto centraledel Vangelo, lieta notizia dell’Amore incarnato di Dio che riscatta l’uomo dal pec-cato. Il documento, passibile di differenti letture, proprio per la profondità di rifles-sione che vi si produce a proposito dell’amore, può essere letto in continuità conFides et ratio, come contributo essenziale per un robusto e rinnovato pensiero sullarelazione dell’uomo alla verità, coerente con la rivelazione di Dio in Cristo.Articolando una riflessione sulla verità di Dio-Amore, la Deus caritas est iden-tifica il referente veritativo – inteso, ma non formalmente circostanziato, da Fideset ratio – della costitutiva relazione della coscienza e della conoscenza umana conil Fondamento.Nella sua morte in croce si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nelquale Egli si dona per rialzare l’uomo e salvarlo-amore, questo, nella sua forma piùradicale. Lo sguardo rivolto al fianco squarciato di Cristo, di cui parla Giovanni(cfr 19,37), comprende ciò che è stato il punto di partenza di questa Lettera enci-clica: «Dio è amore» (1Gv 4,8). È lì che questa verità può essere contemplata. Epartendo da lì deve ora definirsi che cosa sia l’amore. A partire da questo sguardo ilcristiano trova la strada del suo vivere e del suo amare12. 11 Fides et Ratio, n. 102.12 BENEDETTO XVI, Lettera enciclica Deus caritas est sull’amore cristiano, 25.12.2005, n. 12. 165 La rivelazione in pienezza della Verità come Amore è insieme rivelazione dellaverità dell’amore umano e compimento della sua speranza. Tale compimento sor-prende la disposizione all’amore per la verità costitutiva dell’intelligenza, prece-dendola in modo inaudito.La concezione di verità e la pedagogia dell’intelligenza raccomandate dalla ri-velazione dell’Amore come verità di Dio non sono consuete nella storia del pen-siero, ma sembrano addirittura avversate nella cultura postilluminista.La persuasività personale tipica dell’amore, la forma della sua credibilità, ilsuo carattere elettivo, la sua intenzionalità totalizzante scompaginano i modelli co-gnitivi che ancora plasmano – pur tra crescenti contraddizioni – la cultura contem-poranea, e soprattutto sollecitano l’elaborazione di un’antropologia rinnovata, chesolleciti e insieme promuova un radicale ripensamento del rapporto tra fede, saperee vita.La verità dell’amore, riconoscibile dopo la pienezza della sua manifestazionein Cristo, non attiene a qualche segmento dell’esistere, e neppure riguarda la per-sona nella mera accidentalità di qualche suo interesse o possibilità; piuttosto, dallaverità dell’amore l’esistenza umana viene completamente ridefinita nel suo dina-mismo e nel suo orientamento.L’amore non è soltanto un sentimento. I sentimenti vanno e vengono. Il senti-mento può essere una meravigliosa scintilla iniziale, ma non è la totalità dell’a-more. Abbiamo all’inizio parlato del processo delle purificazioni e delle matura-zioni, attraverso le quali l’eros diventa pienamente se stesso, diventa amore nelpieno significato della parola. È proprio della maturità dell’amore coinvolgere tuttele potenzialità dell’uomo ed includere, per così dire, l’uomo nella sua interezza.L’incontro con le manifestazioni visibili dell’amore di Dio può suscitare in noi ilsentimento della gioia, che nasce dall’esperienza dell’essere amati. Ma tale in-contro chiama in causa anche la nostra volontà e il nostro intelletto. Il riconosci-mento del Dio vivente è una via verso l’amore, e il sì della nostra volontà alla suaunisce intelletto, volontà e sentimento nell’atto totalizzante dell’amore.Questo però è un processo che rimane continuamente in cammino: l’amore nonè mai “concluso” e completato; si trasforma nel corso della vita, matura e proprioper questo rimane fedele a se stesso. Idem velle atque idem nolle – volere la stessacosa e rifiutare la stessa cosa, è quanto gli antichi hanno riconosciuto come auten-tico contenuto dell’amore: il diventare l’uno simile all’altro, che conduce alla comu-nanza del volere e del pensare. La storia d’amore tra Dio e l’uomo consiste appuntonel fatto che questa comunione di volontà cresce in comunione di pensiero e di sen-timento e, così, il nostro volere e la volontà di Dio coincidono sempre di più: la vo-lontà di Dio non è più per me una volontà estranea, che i comandamenti mi impon-gono dall’esterno, ma è la mia stessa volontà, in base all’esperienza che, di fatto,Dio è più intimo a me di quanto lo sia io stesso. Allora cresce l’abbandono in Dio eDio diventa la nostra gioia (cfr Sal 73 [72],23-28). Si rivela così possibile l’amoredel prossimo nel senso enunciato dalla Bibbia, da Gesù. Esso consiste appunto nel 166 fatto che io amo, in Dio e con Dio, anche la persona che non gradisco o neancheconosco. Questo può realizzarsi solo a partire dall’intimo incontro con Dio, un in-contro che è diventato comunione di volontà arrivando fino a toccare il sentimento.Allora imparo a guardare quest’altra persona non più soltanto con i miei occhi e coni miei sentimenti, ma secondo la prospettiva di Gesù Cristo. Il suo amico è mioamico. Al di là dell’apparenza esteriore dell’altro scorgo la sua interiore attesa di ungesto di amore, di attenzione, che io non faccio arrivare a lui soltanto attraverso leorganizzazioni a ciò deputate, accettandolo magari come necessità politica. Io vedocon gli occhi di Cristo e posso dare all’altro ben più che le cose esternamente neces-sarie: posso donargli lo sguardo di amore di cui egli ha bisogno. Qui si mostra l’in-terazione necessaria tra amore di Dio e amore del prossimo, di cui la Prima Letteradi Giovanni parla con tanta insistenza. Se il contatto con Dio manca del tutto nellamia vita, posso vedere nell’altro sempre soltanto l’altro e non riesco a riconoscere inlui l’immagine divina. Se però nella mia vita tralascio completamente l’attenzioneper l’altro, volendo essere solamente “pio” e compiere i miei “doveri religiosi”,allora s’inaridisce anche il rapporto con Dio. Allora questo rapporto è soltanto “cor-retto”, ma senza amore. Solo la mia disponibilità ad andare incontro al prossimo,a mostrargli amore, mi rende sensibile anche di fronte a Dio. Solo il servizio al pros-simo apre i miei occhi su quello che Dio fa per me e su come Egli mi ama13.1.1.3. Spe salvi: destino escatologico e verità della storiaAnche l’enciclica Spe Salvi fornisce indicazioni fondamentali per un’azioneeducativa ed evangelizzatrice che voglia promuovere un incontro autenticamentecristiano con la verità.In virtù della riflessione escatologica, il documento risulta particolarmenteprovocatorio per contesti culturali – è certo il caso dell’Occidente secolarizzato –sempre più pericolosamente rinchiusi sul presente ed incapaci di elaborare il sensodel vincolo, essenziale alla storia, con la trascendenza ultrastorica.Se Fides et ratio richiama l’uomo al compito di riconoscere la forma credenteche riferisce al Fondamento la propria sete di conoscenza e Deus caritas est meditasull’amore come verità del Fondamento, Spe salvi ripropone la dimensione escato-logica della manifestazione pasquale dell’amore di Dio come Fondamento e finedella storia e, in rapporto ad essa, presenta la forma cristiana della speranza.Il n. 7 dell’enciclica, in un notevole passaggio teorico, denuncia il pericolodi una estenuazione della speranza cristiana in forma soggettivistica di adesioneall’invisibile, forma coerente con una concezione di fede ridotta a convincimentopersonale. Le puntualizzazioni di Benedetto XVI, che insistono sulla portata ogget-tiva dei termini hypostasis ed elenchos – maturati nella tradizione filosofica greca eriferibili all’oggettività rispettivamente metafisica della sostanza e razionale del-l’argomentazione – costringono a ripensare la fede e la speranza come adesionestorica alla verità escatologica dell’esistere. 13 Deus caritas est, nn. 17-18. 167 Dobbiamo ancora una volta tornare al Nuovo Testamento. Nell’undicesimocapitolo della Lettera agli Ebrei (v. 1) si trova una sorta di definizione della fedeche intreccia strettamente questa virtù con la speranza. Intorno alla parola centraledi questa frase si è creata fin dalla Riforma una disputa tra gli esegeti, nella qualesembra riaprirsi oggi la via per una interpretazione comune. Per il momento lascioquesta parola centrale non tradotta. La frase dunque suona così: “La fede è hypo-stasis delle cose che si sperano; prova delle cose che non si vedono”. Per i Padri eper i teologi del Medioevo era chiaro che la parola greca hypostasis era da tradurrein latino con il termine substantia. La traduzione latina del testo, nata nella Chiesaantica, dice quindi: «Est autem fides sperandarum substantia rerum, argumentumnon apparentium» – la fede è la “sostanza” delle cose che si sperano; la prova dellecose che non si vedono. Tommaso d’Aquino, utilizzando la terminologia della tra-dizione filosofica nella quale si trova, spiega questo così: la fede è un “habitus”,cioè una costante disposizione dell’animo, grazie a cui la vita eterna prende inizioin noi e la ragione è portata a consentire a ciò che essa non vede. Il concetto di “so-stanza” è quindi modificato nel senso che per la fede, in modo iniziale, potremmodire “in germe” – quindi secondo la “sostanza” – sono già presenti in noi le coseche si sperano: il tutto, la vita vera. E proprio perché la cosa stessa è già presente,questa presenza di ciò che verrà crea anche certezza: questa «cosa» che deve venirenon è ancora visibile nel mondo esterno (non “appare”), ma a causa del fatto che,come realtà iniziale e dinamica, la portiamo dentro di noi, nasce già ora unaqualche percezione di essa. A Lutero, al quale la Lettera agli Ebrei non era in sestessa molto simpatica, il concetto di “sostanza”, nel contesto della sua visionedella fede, non diceva niente. Per questo intese il termine ipostasi/sostanza non nelsenso oggettivo (di realtà presente in noi), ma in quello soggettivo, come espres-sione di un atteggiamento interiore e, di conseguenza, dovette naturalmente com-prendere anche il termine argumentum come una disposizione del soggetto. Questainterpretazione nel XX secolo si è affermata – almeno in Germania – anche nel-l’esegesi cattolica, cosicché la traduzione ecumenica in lingua tedesca del NuovoTestamento, approvata dai Vescovi, dice: “Glaube aber ist: Feststehen in dem, wasman erhofft, Überzeugtsein von dem, was man nicht sieht” (fede è: stare saldi inciò che si spera, essere convinti di ciò che non si vede). Questo in se stesso non èerroneo; non è però il senso del testo, perché il termine greco usato (elenchos) nonha il valore soggettivo di “convinzione”, ma quello oggettivo di “prova”. Giusta-mente pertanto la recente esegesi protestante ha raggiunto una convinzione diversa:“Ora però non può più essere messo in dubbio che questa interpretazione prote-stante, divenuta classica, è insostenibile”. La fede non è soltanto un personale pro-tendersi verso le cose che devono venire ma sono ancora totalmente assenti; essa cidà qualcosa.Ci dà già ora qualcosa della realtà attesa, e questa realtà presente costituisceper noi una “prova” delle cose che ancora non si vedono. Essa attira dentro il pre-sente il futuro, così che quest’ultimo non è più il puro “non-ancora”. Il fatto che 168 questo futuro esista, cambia il presente; il presente viene toccato dalla realtà futura,e così le cose future si riversano in quelle presenti e le presenti in quelle future14.Non si tratta – come forse potrebbe in prima battuta apparire – di mere puntualizza-zioni di scuola; certamente per il nostro interesse, ma forse non solo in ordine adesso, il numero 7 di Spe Salvi è di assoluto rilievo teorico. Vi si presenta infatti unafigura di fede cristiana estremamente audace quanto alle referenze oggettive dellapropria evidenza e alle possibilità meta-individuali della propria destinazione.Fuori dall’angustia dell’epistemologia moderna, che vorrebbe negare ogni forza dilegittimazione pubblica all’impegno della coscienza e della libertà per verità di or-dine meta-empirico e meta-fattuale, il Magistero ribadisce la vocazione dell’intelli-genza ad argomentare le ragioni della propria fede ed il compito della fede a testi-moniare la credibilità delle proprie ragioni. La chiara affermazione magisterialecirca l’urgenza di riconoscere l’insediamento della coscienza nella necessità, possi-bilità e responsabilità d’esibire pubblicamente la qualità del proprio affidamentocredente non può lasciare indifferenti. Un simile pronunciamento sollecita ogniforza ecclesiale a rivedere il profilo del proprio apostolato in ogni sua espressione ein particolare nel suo rapporto con i processi culturali del postilluminismo, pervica-cemente orientati alla marginalizzazione ideologica della fede, intimistica dellamorale e settaria della testimonianza.Anche il nostro servizio pastorale deve lasciarsi condurre ad un’esigente veri-fica dei percorsi formativi che offre ai giovani; questo servizio e questi percorsidebbono infatti cercare la piena fedeltà ai capisaldi di un’antropologia autentica-mente cristiana.Per quanto riguarda i due grandi temi “ragione” e “libertà”, qui possono esseresolo accennate quelle domande che sono con essi collegate. Sì, la ragione è ilgrande dono di Dio all’uomo, e la vittoria della ragione sull’irrazionalità è ancheuno scopo della fede cristiana. Ma quand’è che la ragione domina veramente?Quando si è staccata da Dio? Quando è diventata cieca per Dio? La ragione delpotere e del fare è già la ragione intera? Se il progresso per essere progresso ha bi-sogno della crescita morale dell’umanità, allora la ragione del potere e del faredeve altrettanto urgentemente essere integrata mediante l’apertura della ragione alleforze salvifiche della fede, al discernimento tra bene e male. Solo così diventa unaragione veramente umana. Diventa umana solo se è in grado di indicare la stradaalla volontà, e di questo è capace solo se guarda oltre se stessa. In caso contrario lasituazione dell’uomo, nello squilibrio tra capacità materiale e mancanza di giudiziodel cuore, diventa una minaccia per lui e per il creato. Così in tema di libertà bi-sogna ricordare che la libertà umana richiede sempre un concorso di varie libertà.Questo concorso, tuttavia non può riuscire, se non è determinato da un comune in-trinseco criterio di misura, che è fondamento e meta della nostra libertà. Diciamoloora in modo molto semplice: l’uomo ha bisogno di Dio, altrimenti resta privo di 14 BENEDETTO XVI, Lettera enciclica Spe salvi sulla speranza cristiana, 30.11.2007, n. 7. 169 speranza. Visti gli sviluppi dell’età moderna, l’affermazione di san Paolo citata al-l’inizio (cfr. Ef 2,12) si rivela molto realistica e semplicemente vera. Non vi èdubbio, pertanto, che un “regno di Dio” realizzato senza Dio – un regno quindi del-l’uomo solo – si risolve inevitabilmente nella “fine perversa” di tutte le cose de-scritta da Kant: l’abbiamo visto e lo vediamo sempre di nuovo. Ma non vi è nep-pure dubbio che Dio entra veramente nelle cose umane solo se non è soltanto danoi pensato, ma se Egli stesso ci viene incontro e ci parla. Per questo la ragione habisogno della fede per arrivare ad essere totalmente se stessa: ragione e fede hannobisogno l’una dell’altra per realizzare la loro vera natura e la loro missione15.L’antropologia posta al cuore del messaggio evangelico è permeata di spiritoescatologico, che solo può ispirare un’autentica speranza. Non è la scienza che re-dime l’uomo. L’uomo viene redento mediante l’amore. Ciò vale già nell’ambito pu-ramente intramondano. Quando uno nella sua vita fa l’esperienza di un grandeamore, quello è un momento di “redenzione” che dà un senso nuovo alla sua vita.Ma ben presto egli si renderà anche conto che l’amore a lui donato non risolve, dasolo, il problema della sua vita. È un amore che resta fragile. Può essere distruttodalla morte. L’essere umano ha bisogno dell’amore incondizionato. Ha bisogno diquella certezza che gli fa dire: “né morte né vita, né angeli né principati, né pre-sente né avvenire, né potenze, né altezze né profondità, né alcun altra creatura potràmai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8,38-39). Se esiste questo amore assoluto con la sua certezza assoluta, allora – soltantoallora – l’uomo è “redento”, qualunque cosa gli accada nel caso particolare. Èquesto che si intende, quando diciamo: Gesù Cristo ci ha “redenti”. Per mezzo diLui siamo diventati certi di Dio – di un Dio che non costituisce una lontana “causaprima” del mondo, perché il suo Figlio unigenito si è fato uomo e di Lui ciascunopuò dire: “Vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso perme” (Gal 2,20). In questo senso è pur vero che chi non conosce Dio, pur potendoavere molteplici speranze, in fondo è senza speranza, senza la grande speranza chesorregge tutta la vita (cfr Ef 2,12).Le parole del Magistero, di nuovo, non potrebbero essere più chiare, e la lorovalenza educativa è immediatamente apprezzabile: se non vi può essere spazio perun’autentica speranza fuori dalla salvezza pasquale, un’educazione che si limitassea creare le condizioni remote per una consapevolezza soteriologica ed escatologica,lascerebbe i propri destinatari privi di speranza.1.1.4. Caritas in veritate: nel dono la verità della libertàNella Caritas in veritate le tematiche dei documenti magisteriali cui abbiamosin qui alluso, non solo vengono riprese – a consolidamento di un progetto antropo-logico ed epistemologico che si propone, nella sua originalità evangelica, alterna-tivo alla cultura sovente rassegnata del nostro tempo –, ma trovano ulteriore appro-fondimento in una trattazione suggestiva nella prospettiva del dono. 15 Spe salvi, n. 23 170 Tale prospettiva, chiarita nella sua condizione teologica di istituzione, presiedepoi ad una rilettura delle relazioni sociali, specie nelle contraddizioni che ancoraaffliggono la comunità umana del terzo millennio.La luce del vangelo, storia del dono salvifico che il Figlio fa di sé per la sal-vezza dell’uomo, illumina la forma del dono come coestensiva della stessa esi-stenza, fuori dagli equivoci dell’egoismo e oltre l’illusione di una libertà tentata diaffermare autarchicamente la propria solitudine.Di nuovo, il Magistero si avvale di questo dato teologico come principio di di-scernimento dell’istanza epistemologica moderna, indicando nel dono la forma diesercizio della stessa intelligenza, di quell’intelligenza che il razionalismo vorrebbeprincipio dell’edificazione di sé e di una criticità legata all’esclusività del propriopunto di vista.Un’istituzione formativa ecclesiale non può non lasciarsi provocare – e con-durre ad una seria verifica della qualità del proprio impegno formativo – da un in-segnamento decisamente inconsueto per la sensibilità culturale del nostro tempo,segnato da un diffuso relativismo e da uno scientismo duro a morire.L’assolutismo della tecnica tende a produrre un’incapacità di percepire ciò chenon si spiega con la semplice materia. Eppure tutti gli uomini sperimentano i tantiaspetti immateriali e spirituali della loro vita. Conoscere non è un atto solo mate-riale, perché il conosciuto nasconde sempre qualcosa che va al di là del dato empi-rico. Ogni nostra conoscenza, anche la più semplice, è sempre un piccolo prodigio,perché non si spiega mai completamente con gli strumenti materiali che adope-riamo. In ogni verità c’è più di quanto noi stessi ci saremmo aspettati, nell’amoreche riceviamo c’è sempre qualcosa che ci sorprende. Non dovremmo mai cessare distupirci davanti a questi prodigi. In ogni conoscenza e in ogni atto d’amore l’animadell’uomo sperimenta un «di più» che assomiglia molto a un dono ricevuto, adun’altezza a cui ci sentiamo elevati. Anche lo sviluppo dell’uomo e dei popoli si col-loca a una simile altezza, se consideriamo la dimensione spirituale che deve conno-tare necessariamente tale sviluppo perché possa essere autentico. Esso richiedeocchi nuovi e un cuore nuovo, in grado di superare la visione materialistica degliavvenimenti umani e di intravedere nello sviluppo un “oltre” che la tecnica non puòdare. Su questa via sarà possibile perseguire quello sviluppo umano integrale che hail suo criterio orientatore nella forza propulsiva della carità nella verità16.Le notazioni sintetiche di questo numero della Caritas in veritate offrono unapreziosa chiave di lettura per un pensiero della libertà coerente con la figura deldono e veramente alternativo ai modelli di pensiero e di esistenza più diffusi e ci-vilmente promozionati. Tale pensiero contrasta radicalmente con il disegno mo-derno di una libertà individuale, irretita dal miraggio dell’autofondazione, e ag-grappata alla propria autonomia fino all’isolamento dell’autoreferenzialità. Ad unalibertà individuale vittima di tali equivoci si deve un progetto sociale sospettoso nei 16 Caritas in veritate, n. 77. 171 confronti di qualsiasi incondizionato etico e governato da norme meramente proce-durali fondate per via socio-contrattuale.Se l’obiettivo politico di questo progetto si definisce nei termini di un pro-gresso illimitato intrastorico, il suo esito etico/antropologico non eviterà la derivadell’individualismo consumistico. La figura di libertà che emerge invece dalla Ca-ritas in veritate è riferita all’esperienza del dono chiaramente indicato come suaorigine, destino e condizione di esercizio. Resa consapevole dell’ordine del dono –in virtù del quale essa è affidata a se stessa – la libertà riconosce esistenzialmente ilproprio doversi ad una generosità che la pone come destinataria sorpresa e grata diun’iniziativa cui è impossibile corrispondere secondo una logica mercantile.La confessione di questa origine dell’esistere non rende meno seria l’espe-rienza della libertà, che piuttosto si abilita a riconoscere proprio nella responsoria-lità dell’affidamento la forma dell’esistere. In questa responsorialità la libertà ècondotta oltre se stessa dall’accadere della vita che si offre sempre come possibilitàsorprendente. Di qui una fondamentale conclusione formativa: accompagnare lacrescita di un figlio d’uomo significa sostenere l’esercizio della sua intelligenzaperché riconosca il gesto gratuito, singolare e trascendente cui deve la propria li-bertà, ma anche promuovere l’audacia della sua corrispondenza all’Origine dellasua vita, perché questa assuma la forma del dono. Di nuovo, fuori dalla consapevo-lezza della propria provenienza e del proprio destino – e dalla fedeltà che annoda lalibertà ad esse lungo l’esistenza – non si può dare un esistere pienamente umano.Senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chiegli sia. Di fronte agli enormi problemi dello sviluppo dei popoli che quasi ci spin-gono allo sconforto e alla resa, ci viene in aiuto la parola del Signore Gesù Cristoche ci fa consapevoli: “Senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5) e c’incoraggia:“Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Di fronte allavastità del lavoro da compiere, siamo sostenuti dalla fede nella presenza di Dio ac-canto a coloro che si uniscono nel suo nome e lavorano per la giustizia. Paolo VI ciha ricordato nella Populorum progressio che l’uomo non è in grado di gestire dasolo il proprio progresso, perché non può fondare da sé un vero umanesimo. Solose pensiamo di essere chiamati in quanto singoli e in quanto comunità a far partedella famiglia di Dio come suoi figli, saremo anche capaci di produrre un nuovopensiero e di esprimere nuove energie a servizio di un vero umanesimo integrale.La maggiore forza a servizio dello sviluppo è quindi un umanesimo cristiano, cheravvivi la carità e si faccia guidare dalla verità, accogliendo l’una e l’altra comedono permanente di Dio. La disponibilità verso Dio apre alla disponibilità verso ifratelli e verso una vita intesa come compito solidale e gioioso. Al contrario, lachiusura ideologica a Dio e l’ateismo dell’indifferenza, che dimenticano il Creatoree rischiano di dimenticare anche i valori umani, si presentano oggi tra i maggioriostacoli allo sviluppo. L’umanesimo che esclude Dio è un umanesimo disumano17. 17 Caritas in veritate, n. 78. 172 1.2. ...Secondo il carisma salesianoLe indicazioni del Magistero sulle quali ci siamo soffermati forniscono ad unconfronto sulla missione educativa della scuola e della Formazione Professionaleimportanti premesse; trattandosi però qui di introdurre un confronto sintonizzato conil cammino della Chiesa e con le attese dei giovani secondo il cuore di don Bosco,fondamentale è pure l’ascolto della chiamata di Dio nel nostro patrimonio carisma-tico, seme divenuto albero ed albero divenuto bosco per la forza dello Spirito.1.2.1. Il criterio oratorianoRaccogliere con fedeltà carismatica l’invito della Chiesa a rispondere credibil-mente all’emergenza educativa attraverso la Nuova Evangelizzazione significa an-zitutto ritornare con docilità alla nostra Regola di vita, che anche oggi fa risuonareper noi l’appello di Dio.L’articolo 40 delle nostre Costituzioni illumina la ricchezza del carisma di donBosco a partire dalla singolare esperienza di vita che egli offrì ai destinatari dellesue sollecitudini. Don Bosco visse una tipica esperienza pastorale nel primo ora-torio, che fu per i suoi giovani casa che accoglie, parrocchia che evangelizza,scuola che avvia alla vita e cortile per incontrarsi da amici e vivere in allegria. Nelcompiere oggi la nostra missione, l’esperienza di Valdocco rimane criterio perma-nente di discernimento e rinnovamento di ogni attività ed opera18.L’articolo 40 provoca la missione salesiana – in ogni sua espressione – ad undiscernimento permanente, sulla base di un criterio che vede la mutua inerenza diquattro dimensioni fondamentali: lo spirito di famiglia, la passione evangelizza-trice, la sollecitudine formativa, una particolare prossimità educativa.La molteplicità delle dimensioni fa del criterio oratoriano un esigente banco diprova della qualità salesiana di ogni nostra iniziativa e missione.La semplicità e l’immediatezza della pratica apostolica di don Bosco – l’arti-colo 40 ben ce lo ricorda – non possono essere confuse con superficialità e speri-mentalismo. Le intuizioni del suo cuore appassionato per i giovani lo conducono ariconoscere essenziale alla prossimità educativa un genuino spirito di famiglia, ca-pace di creare le condizioni perché il giovane si apra alla sollecitudine dell’educa-tore, riconoscendovi un dono per la sua felicità nel tempo e nell’eternità. Ma dob-biamo pure constatare come sia il cuore sacerdotale di don Bosco a cogliere la ne-cessità di un’evangelizzazione coerente con il gesto del Signore, che annuncia l’av-vento del Regno nella sua dedizione misericordiosa per ogni povertà umana e perradunare nella famiglia di Dio i suoi figli dispersi.E ancora potremmo dire che il sogno di don Bosco nasce da una paternità vi-rile e delicata che si compie come risposta audace e generosa ai bisogni dei gio-vani, riconosciuti nella dignità e bellezza della loro stagione di vita ma pure predi-letti come promesse per un futuro di bene. 18 Costituzioni della Società di San Francesco di Sales, Roma 2003, art. 40. 173 Da ultimo: è la concretezza di un’intelligenza che sa cogliere il bisogno di unrinnovamento cristiano della comunità degli uomini a spingere don Bosco a vederenei giovani la porzione più eletta dei figli di Dio, ma anche la più bisognosa di cureche sappiano raggiungere i loro cuori fino a portarvi il Vangelo del Signore. La pre-ziosità del criterio oratoriano sta allora in questa multidimensionalità che lo attra-versa fuori da giustapposizioni, consequenzialità o contiguità problematiche. Il cri-terio oratoriano ci ricorda in modo efficace che la grandezza di don Bosco nonviene semplicemente dalla capacità di dedicarsi a forme di apostolato in ambientitra loro differenti, per le ricchezze di una personalità poliedrica.La grandezza di don Bosco viene anzitutto dalla forza di un’esperienza spiri-tuale profondamente coerente ed armonica, pur nella molteplicità di dimensioni chela caratterizzano; dimensioni che riflettono la sapienza antropologica di don Boscofondata nel Vangelo e nella docilità allo Spirito. Il cuore di don Bosco è tutto di Dio,ed è il cuore di un prete, di un padre, di un maestro, di un amico dei giovani, capacedi straordinaria empatia; il criterio oratoriano viene dalla grazia di unità che fa dellavita di don Bosco uno straordinario capolavoro, e insieme vuole condurre la nostravita a questa stessa grazia. Il criterio oratoriano è il cuore della missione salesianaperché è il cuore apostolico di don Bosco, la cui santità ci ricorda la verità del Van-gelo, dell’amore definitivo per Dio, che rende possibile un amore fino all’ultimo re-spiro per i giovani. Anche la missione dei figli di don Bosco, pur nella caratterizza-zione immediata dovuta all’ambiente nel quale si realizza, deve comunque risultareidentificabile in virtù del criterio oratoriano; solo questa fedeltà la libera dal qualun-quismo e dalla superficialità, ed evita che la sua coerenza con standards estranei oincompatibili con il carisma ne pregiudichi l’identità salesiana19. 19 La riflessione della Congregazione sulla Scuola e la Formazione Professionale salesiana è con-fluita in testi autorevoli che possono sostenere il nostro impegno nell’assicurare ad ogni fronte dellanostra missione identità carismatica e fedeltà dinamica alla nostra tradizione: «La scuola salesiananasce nell’Oratorio di Valdocco per rispondere alle necessità concrete dei giovani e s’inserisce in unprogetto globale di educazione e di evangelizzazione dei giovani, soprattutto i più bisognosi. Il settorescuola si è sviluppato molto nella Congregazione in risposta alle esigenze degli stessi giovani, dellasocietà e della Chiesa, fino a diventare un movimento di educatori saldamente attestati sul fronte sco-lastico. I salesiani considerano la scuola come una mediazione culturale privilegiata di educazione incui si può dare una risposta sistematica ai bisogni dell’età evolutiva, come una istituzione determi-nante nella formazione della personalità, perché trasmette una concezione del mondo, dell’uomo edella storia e come una delle forme più importanti di promozione umana e di prevenzione dell’emar-ginazione. È riconosciuto il valore fondamentale della scuola come ambito dove il Vangelo illumina lacultura e si dà una efficace integrazione tra il processo educativo e il processo di evangelizzazione.Questa integrazione costituisce un’alternativa educativa importante nell’attuale pluralismo della so-cietà. I salesiani si inseriscono nel movimento che educa ed evangelizza attraverso la scuola, appor-tando il patrimonio pedagogico ereditato da S. Giovanni Bosco e accresciuto dalla tradizione susse-guente. In questo impegno, l’attuale realtà socio-politica e culturale, i nuovi orientamenti di rinnova-mento scolastico nei diversi Stati e la stessa realtà interna delle scuole, l’attuale presenza comune diragazzi e ragazze, con un intreccio di molti, e talvolta divergenti, elementi legali, finanziari, lavora-tivi, didattici, ecc. presentano nuove e complesse difficoltà e sfide alle quali, nei diversi luoghi in cuici troviamo, stiamo cercando di rispondere con una maggiore qualità educativa, con professionalità esignificatività, fedeli alla nostra identità carismatica. [...] Come la scuola, i CFP nascono nell’oratoriodi Valdocco: Don Bosco, nella sua opzione educativa pastorale per i giovani bisognosi, ha una grande 174 1.2.2. Il CG 23 e CG 26: la Spiritualità salesiana e la Nuova EvangelizzazioneI Capitoli Generali 23 e 26 forniscono indicazioni molto chiare circa la rile-vanza del criterio oratoriano. Il CG 23 lo presenta come una spiritualità, dunque uncammino di santità per tutti i protagonisti della missione, e il CG 26 lo riprende, apartire dall’emergenza educativa e dall’urgenza della Nuova Evangelizzazione. Inquesta riflessione potremmo recuperare le sollecitazioni di entrambi i Capitoli rico-noscendo nella spiritualità e nell’evangelizzazione – rispettivamente – il dina-mismo sistolico e diastolico dell’esperienza di Dio, dinamismo cui deve ispirarsi ladedizione di un educatore con il cuore di don Bosco e dinamismo cui vanno for-mati i giovani perché accedano alla maturità della fede. Riconoscere nel solido rife-rimento alla spiritualità salesiana il dinamismo sistolico della nostra esperienza diDio continua ad essere un’urgenza; una spiritualità è anzitutto una forma oggettivadi esistenza secondo il Vangelo, forma che lo Spirito consegna alla Chiesa perché isuoi figli possano percorrere vie sicure di santità.Se una missione non deve la sua forma ad una ben precisa spiritualità, essa lamutua indebitamente da altre fonti, che potrebbero essere lontane, estranee, addirit-tura contrastanti il Vangelo. Senza una solida spiritualità un cammino di fedemanca di nutrimento carismatico, di criteri di discernimento circa la propria qualitàevangelica, di certezze circa la propria fedeltà ecclesiale: è la deriva soggettivisticao eccentrica della vocazione, che la cultura individualistica del postilluminismopropaganda con pericolosa insistenza. Maturare la consapevolezza dell’urgenza diannunciare il Vangelo significa garantire il movimento diastolico essenziale all’e-sperienza di Dio; nella sollecitudine per l’annuncio del Vangelo la spiritualità testi-monia la sua fecondità. L’intiepidirsi della passione evangelizzatrice non è mero in-dice di una debolezza d’identità spirituale, ma diventa inesorabilmente sua con-causa. preoccupazione per il mondo del lavoro e i suoi problemi più urgenti (immigrazione dei giovani nellacittà, impreparazione per il lavoro industriale, sfruttamento, abbandono, ecc.). Molto presto organizzanell’Oratorio piccoli laboratori che poi diventeranno le Scuole di “arti e mestieri” e, con Don Rua, na-scono le Scuole Professionali. Allo stesso tempo aiuta i giovani nella ricerca del lavoro procurandoloro contratti di lavoro, per evitare che siano sfruttati. Con la vocazione e la presenza del SalesianoCoadiutore, questo servizio e preparazione sarà arricchito. La Formazione Professionale diventa patri-monio della Congregazione Salesiana e una delle richieste più sentite nella società. Nel tempo si èsviluppata una grande varietà di Scuole e di Centri di Formazione Professionale formali e non for-mali. Come Don Bosco, i Salesiani sono convinti che con questo tipo di opera aiutano i giovani degliambienti popolari non solo a prepararsi ed inserirsi creativamente nel mondo del lavoro, ma anchenella loro crescita integrale. In questo modo favoriscono una visione umana ed evangelica dello stessomondo del lavoro. La nostra società tecnologica in continuo progresso e la realtà interna di questicentri ci presentano alcune difficoltà e sfide di indole tecnica, finanziaria, legale e pedagogica, allequali i salesiani devono rispondere coraggiosamente con una maggiore qualità educativa, fedeli allapropria identità carismatica. [...] Le Scuole e i CFP dei salesiani sono due strutture di formazione si-stematica con caratteristiche proprie, ma sempre in profondo rapporto: non c’è vera scuola salesianache non avvia al lavoro, né c’è vero CFP salesiano che non tenga conto dell’assimilazione sistema-tica della cultura» (DICASTERO PER LA PASTORALE GIOVANILE SALESIANA, La pastorale giovanile sale-siana. Quadro di riferimento fondamentale, Roma 20002, 74-75). 175 Don Bosco ce lo insegna: il suo dedicarsi ai giovani per comunicare loro ilVangelo ha avuto i caratteri di una reciproca generazione; don Bosco ha generato igiovani alla maturità della fede, ma si è pure lasciato generare alla paternità spiri-tuale dai suoi ragazzi20.Il segreto di questa reciprocità – che non pregiudica l’asimmetria tipica delrapporto educativo – è la spiritualità, il progetto di santità, che rimanda la relazioneeducativa oltre se stessa, verso il compimento vocazionale dell’educatore e dell’e-ducando.Ma il segreto di questa reciprocità è, in pari tempo, l’evangelizzazione, chelibera il rapporto educativo dal sequestro reciproco e sigilla, in Dio, una nuovaalleanza tra l’educatore e l’educando; per questo i giovani educati da don Boscodiventeranno come lui e con lui educatori ed evangelizzatori di giovani. Tutti ifronti della missione debbono lasciarsi provocare dalle sollecitazioni del CG 23 edel CG 26. Dobbiamo chiederci quanto matura sia la consapevolezza che il cri-terio oratoriano è la traduzione, funzionale ad una verifica della qualità carisma-tica della nostra azione, di una spiritualità. Dobbiamo domandarci se la spiritualitàsalesiana nutre la nostra vita interiore, guida la nostra maturazione nella fede,plasma credibilmente la nostra identità di discepoli del Signore, fa di ogni espres-sione della nostra missione una scuola di vita secondo il Vangelo, una scuola disantità.Don Viganò, presentando gli Atti del CG 23, non usa mezzi termini: solo unasolida spiritualità può salvare la nostra vita di fede ed il nostro apostolato da«quel sottile genericismo che è stato individuato come un pericolo [...] e che co-stituisce un aspetto della nostra superficialità spirituale»21. Non dovrebbe lasciarciindifferenti la constatazione del credito e del seguito che nella Chiesa suscitanoproposte carismatiche immediatamente identificabili per una solida spiritualità;come non dovrebbe lasciarci indifferenti lo sconcerto di chi, pur ammirando l’au-dacia operativa delle nostre presenze, cerca nutrimento per il proprio cammino di 20 Le parole che il biografo attribuisce a don Bosco quando, convalescente dopo la grave malattiache ha messo in pericolo la sua vita, si rivolge ai ragazzi fanno riflettere: «Io vi ringrazio delle provedi amore che mi avete dato durante la malattia; vi ringrazio delle preghiere fatte per la mia guarigione.Io sono persuaso che Dio concesse la mia vita alle vostre preghiere; e perciò la gratitudine vuole cheio la spenda tutta a vostro vantaggio, spirituale e temporale. Così prometto di fare finché il Signore milascerà su questa terra, e voi dal canto vostro aiutatemi» (G.B. LEMOYNE, Memorie biografiche diDon Giovanni Bosco, Scuola tipografica e libraria salesiana, San Benigno Canavese 1939, vol. II,cap. LII). Una riduzione psico-affettiva di questo fatto non ne rispetterebbe il significato chiaramenteinteso da don Bosco e intensamente vissuto dai ragazzi: l’evento educativo che coinvolge il Santo deigiovani e i suoi ragazzi, è totalmente regolato dal Vangelo; per questo la relazione che in esso vive hail valore stesso della vita. I ragazzi non giungono per ingenuità o mancanza d’equilibrio a ritenere lavita di don Bosco di valore pari alla propria; maturano questa consapevolezza riconoscendo nell’in-contro con lui il momento della loro nascita ad una vera vita. Ma, per lo stesso don Bosco, sono ifrutti dell’azione evangelizzatrice – resi evidenti dalla trasformazione della vita dei suoi ragazzi – adattestare il solo ed esclusivo senso e valore della sua stessa vita, che non conosce dedicazione alterna-tiva o complementare rispetto all’annuncio del Vangelo.21 Educare i giovani alla fede, ACG 333 (1990), n. 15. 176 fede in altre tradizioni spirituali. Quella salesiana non è una spiritualità? Non haforse prodotto dei Santi? Dall’esperienza di Dio e dall’annuncio del Vangelo chediedero forma alla vita di don Bosco non viene forse una forma che può dare unprofilo inconfondibile alla vita di fede nostra e dei nostri destinatari? Il CG 26 ciricorda proprio l’imprescindibilità di una competenza spirituale non generica –una competenza generica non sarebbe altro che superficialità spirituale – ma cari-smatica, e per farlo indica schiettamente quali sarebbero i tratti di una missionenon chiaramente e consapevolmente sorretta dalla spiritualità. Le nostre iniziativenon sono sempre chiaramente orientate all’educazione alla fede. I processi di ca-techesi sono deboli e in molti casi non suscitano nei giovani una vita sacramen-tale convinta e regolare, una vera appartenenza ecclesiale ed un coraggioso im-pegno apostolico. La mancanza di organicità e continuità, frutto anche di insuffi-ciente riflessione e studio, ha portato talora ad attuare più una pastorale delle ini-ziative e degli eventi che dei processi. In altri casi le proposte non sono state suf-ficientemente inserite nei cammini delle Chiese locali22. Il CG 23 ricorda, invece,che un’azione pastorale ispirata alla spiritualità salesiana sa essere «dedicazione aun crescita progressiva della fede fino alla maturazione, e non soltanto una se-mina, una proposta occasionale, o qualche gesto o rito tradizionale»; e l’assun-zione di una responsabilità vocazionale imprescindibile – anche per il diritto chene hanno i destinatari di tutte le forme della nostra missione – «richiede non soloimpegno di seminare, ma anche costanza e perizia nel coltivare, e preoccupazionedi condurre a compimento: richiede, cioè una pedagogia della santità veramenteoriginale».23In una cultura sovente prigioniera dell’incoerenza tra il pensiero e la vita, ten-tata dalla marginalizzazione razionale o affettiva della fede, dalla declinazione fol-cloristica o psicosociale della pratica religiosa, la competenza spirituale è un do-vere imprescindibile di chi, per vocazione, assume nella Chiesa una missione pub-blica a servizio della fede dei fratelli.Senza competenza spirituale il sapere della fede non diventa esperienza di vita,la pratica credente non conosce sviluppo e crescita, la testimonianza fatica a guada-gnare identità e credibilità. La spiritualità è l’orizzonte nel quale l’Evento salvificotrova la sua destinazione antropologica e la sua mediazione pedagogica.Questo ci permette di cogliere immediatamente come la tradizione salesiana– che ha come missione il rapporto pedagogico e la sollecitudine educativa – do-vrebbe trovare assolutamente congeniale con la propria identità di fare un eventocarismatico – l’esperienza di Vangelo vissuta da don Bosco – una spiritualità. Do-vrebbe di nuovo interrogarci un fatto: la sapienza pedagogica ha accreditato in tuttoil mondo la competenza salesiana straordinariamente efficace nel mediare ai gio-vani tanto contenuti culturali, scientifici, tecnici, quanto esperienze artigianali, pro- 22 Da mihi anima cetera tolle, ACG 401 (2008), n. 28.23 VIGANÒ E, Presentazione, in Educare i giovani alla fede, ACG 333 (1990), 13. 177 fessionali, artistiche; non dovrebbe, la stessa sapienza pedagogica, costituire unpunto di forza per la mediazione del Vangelo?Se ogni spiritualità nella Chiesa si caratterizza per qualità pedagogica – trattan-dosi appunto di regola storica donata alla libertà credente che ispirandosi ad essapuò nutrire il proprio cammino di fede aprendolo alla maturità dell’incontro con ilSignore e della testimonianza ecclesiale – la spiritualità salesiana non dovrebbecontraddistinguersi per una persuasività tutta particolare?Don Viganò, in proposito scrive: La nostra spiritualità si caratterizza come una spiritualità pedagogica. La qualità pastoraledella comunità è misurata dall’evangelizzare “educando”. Si tratta di saper coltivare paziente-mente il seme gettato nel cuore dei giovani, anche da altri seminatori. La comunità è chiamatatutta a seguire con attenzione i giovani in un dialogo di fede, più in là del semplice adempi-mento di obblighi istituzionali; in questo non esistono “clichés” che si possano ripetere, maoccorre intensificare la capacità di animare, di coinvolgere, di corresponsabilizzare, ossia dieducare24. E il fondamento che ogni spiritualità esige, prima ancora di esprimerlo, motival’approfondimento della relazione con il Vangelo vissuto e annunciato.Un’esistenza nella fede non configurata secondo una precisa spiritualità allentaprogressivamente il suo rapporto con il Vangelo, inclinando allo spontaneismo, alsoggettivismo, alla superficialità; al contrario, la spiritualità sostiene – attraversouna tradizione carismatica – un rapporto vitale con il Vangelo e ne motiva l’an-nuncio, scongiurando il pericolo delle derive ideologiche della missione.Vivere il Vangelo dentro una tradizione carismatica assunta come forma dellapropria fede, dunque come spiritualità, è condizione necessaria di un annuncio cherispetti l’integrità, della Buona Novella, fuori dalla sudditanza a indebite prescri-zioni culturali o mode teologiche.L’invito pressante del CG 26 perché il Vangelo sia principio e fine dell’agireeducativo potrà pertanto trovare ascolto attraverso una crescita della nostra consa-pevolezza spirituale, e – insieme – la nostra consapevolezza spirituale si consoli-derà grazie alla fedeltà evangelica e carismatica della nostra missione. Per questo,fin dal primo momento, l’educazione deve prendere ispirazione dal Vangelo e l’e-vangelizzazione deve adattarsi alla condizione evolutiva del giovane. Solo così eglipotrà scoprire in Cristo la propria vera identità e crescere verso la piena maturità;solo così il Vangelo potrà toccare in profondità il suo cuore, sanarlo dal male eaprirlo ad una fede libera e personale. Consapevoli che siamo chiamati a educareed evangelizzare anche mentalità, linguaggi, costumi ed istituzioni, ci impegniamoa promuovere il dialogo tra fede, cultura e religioni; ciò aiuterà a illuminare con ilVangelo le grandi sfide poste alla persona umana e alla società dai cambiamentiepocali e a trasformare il mondo con il lievito del Regno25. 24 VIGANÒ E., Presentazione, in Educare i giovani alla fede, ACG 333 (1990), 14.25 Da mihi anima cetera tolle, ACG 401 (2008), n. 25. 178 1.2.3. CG 24 e CG 25: il carisma di don Bosco nella comunità salesiana e nella CEPOggi più che ieri e domani più di oggi, c’è il grave rischio di spezzare i legamivivi che ci tengono uniti a don Bosco. Siamo ad oltre un secolo dalla sua morte.Sono ormai decedute le generazioni di salesiani che erano venute a contatto con luie lo avevano conosciuto da vicino. Aumenta il distacco cronologico, geografico eculturale dal fondatore. Viene a mancare quel clima spirituale e quella vicinanzapsicologica, che consentivano uno spontaneo riferimento a don Bosco e al suo spi-rito, anche alla semplice vista del suo ritratto. Ciò che ci è stato tramandato puòandare smarrito. Allontanati dal fondatore, sbiadita l’identità carismatica, indebolitii legami al suo Spirito, se non ravviviamo le nostre radici corriamo il pericolo dinon avere futuro né diritto di cittadinanza26.Così scrivevo nella lettera di indizione del CG 26, un evento che sin dalla suaprogettazione ha inteso rispondere alla sfida di un approfondimento dell’identitàcarismatica, urgente per ogni salesiano e per l’intera Congregazione.È motivo di grande gioia per ogni salesiano avvertire il fascino che la figuradi don Bosco esercita oggi nel mondo; è più faticoso assicurare fascino alla nostratestimonianza carismatica.Questo perché, allentato il legame tra il dono dello Spirito posto al principiodella nostra vocazione e la persona di don Bosco, quel dono rischia di non esserepercepito da noi nella sua vitalità, nel suo realismo storico, nella sua efficacia ca-pace di unificare ed appassionare un’esistenza.Ma anche la persona di don Bosco, separata dal carisma che lo rende vocazio-nalmente intimo a noi stessi, non è più riconosciuta nella luce di una paternità viva,feconda e rassicurante, ma può sbiadire in una lontananza storica che ne decreta lamarginalità nel nostro vivere.Lo Spirito ci dona una vocazione ecclesiale fissando i tratti più intimi dellanostra identità attraverso un processo di autentica generazione carismatica, che cilega indissolubilmente a don Bosco; e noi testimoniamo oggi la vitalità fecondadella sua esperienza di Dio.La nostra missione, se vuole conservare una chiara identità, deve esprimere lavitalità di questo vincolo carismatico che ci riferisce a don Bosco per scolpire, nellanostra originalità, la sua fisionomia. Ma il carisma, compreso a partire da una rela-zione vocazionale autentica con don Bosco, è soprattutto l’unico principio legit-timo della forma comunitaria della nostra azione pastorale, e la garanzia della qua-lità salesiana della nostra relazione con i laici. Don Vecchi, a conclusione del CG24 ce lo ha ricordato. Il punto focale della nostra riflessione è stato il carisma sale-siano, missione e spirito, come possibilità, ancora da scoprire, di comunione e cor-responsabilità a servizio dei giovani. Ciò non va dimenticato, perché da questo 26 CHÁVEZ VILLANUEVA P., “Da mihi animas, cetera tolle”. Identità carismatica e passione apo-stolica. Ripartire da Don Bosco per risvegliare il cuore di ogni salesiano!, in ACG 394 (2006) 3-46,qui 9. 179 dono dello Spirito provengono le ricchezze e le forme originali di sinergie che au-spichiamo. I soggetti chiamati in causa simultaneamente sono i salesiani e i laici,ma la novità della prospettiva proviene dall’irruzione di questi ultimi nell’orizzontesalesiano e dall’inserimento della loro esperienza ricompresa nel cuore del ca-risma27. La consapevolezza carismatica permette ad ogni salesiano di fornire un ap-porto significativo alla fisionomia della comunità; tale consapevolezza gli consenteinfatti di far sì che i giovani e i laici corresponsabili si identifichino non tanto conlui quanto con la vocazione che vive come membro della comunità, la quale è por-tatrice del carisma e della spiritualità salesiana e nucleo della CEP28. Oggi, nelleopere attestate su fronti apostolici che esigono contributi e competenze diversifi-cate, quali le scuole e i Centri di Formazione Professionale, la vitalità del carisma èun’esigenza imprescindibile. In questo la comunità salesiana ha un compito fonda-mentale.Essa visibilizza il mistero di comunione che costituisce la natura intima dellaChiesa e diventa fermento del Regno. Per questo suo valore di segno e di strumentola comunità dei consacrati svolge una preziosa funzione nei confronti della CEP;l’aiuta a diventare, essa stessa, una autentica esperienza di Chiesa nella comunionefraterna e nel servizio ai giovani29.Non dovremmo dimenticare che dopo un capitolo sulla relazione tra salesiani elaici nel servizio alla fede dei giovani, la Congregazione ha avvertito l’urgenzadi riflettere sulla comunità salesiana con il CG 25. L’irrobustimento delle CEP at-traverso un crescente coinvolgimento dei laici e la valorizzazione sempre più signi-ficativa delle loro competenze, diventa appello alla consistenza carismatica dellacomunità salesiana. Il rapporto tra CEP e comunità salesiana non deve essere com-preso superficialmente; la relazione nel carisma presiede alle determinazioni fun-zionali dei rapporti di collaborazione organizzativa a servizio della missione.Ma non vi può essere relazione nel carisma, tra salesiani e laici, se la comunitàsalesiana non matura una chiara consapevolezza di essere, per il dono della voca-zione salesiana, luogo di discernimento delle esigenze della missione alla luce delcarisma e del valore del carisma alla luce della chiamata di Dio nella missione. IlCG 25, su questo, prendendo atto del cammino della Congregazione, non ha esitatoad illuminare alcuni compiti attuali.La comunità salesiana, più convinta di avere un compito carismatico nel nu-cleo animatore, ha dato vita a nuove forme di coinvolgimento dei laici, soprattuttoattraverso la formazione e l’animazione della CEP, la condivisione con i volontari,l’elaborazione del PEPS. È anche migliorata la sensibilità per la Famiglia Sale- 27 VECCHI J.E., Discorso del Rettor Maggiore a conclusione del CG24, in Salesiani e laici: co-munione e condivisione nello spirito e nella missione di don Bosco, ACG 356 (1996), n. 231.28 Salesiani e laici: comunione e condivisione nello spirito e nella missione di don Bosco, ACG356 (1996), n. 151.29 Salesiani e laici: comunione e condivisione nello spirito e nella missione di don Bosco, ACG356 (1996), n. 153. 180 siana, ma si avverte l’esigenza di crescere verso una maggiore corresponsabilità peruna più efficace condivisione della missione30.La complessa organizzazione di forze sempre più necessaria alla missione,come la diminuzione del numero di confratelli attivi nelle CEP devono ricordarcil’urgenza di una più forte consapevolezza carismatica e metterci in guardia dallatentazione di ritenere surrogabile, in virtù di qualche criterio di efficienza, la comu-nità salesiana e la sua testimonianza dentro le nostre opere.L’invisibilità della comunità salesiana determina inesorabilmente la deriva fun-zionalistica della CEP e la marginalizzazione del carisma nell’approccio alla mis-sione. Solo passando attraverso il cuore di una comunità salesiana, nella differenteconsistenza delle sue forze e nelle forme variegate della sua testimonianza, la mis-sione può invece essere accolta con fedeltà carismatica e convocare evangelicamen-te, come espressione di sinergia apostolica ecclesiale, la CEP. Per questo il CG 25 hascommesso sul cuore della comunità salesiana, luogo di un dono che non teme lasfida anagrafica, delle condizioni di salute e delle energie fisiche, un dono che,sempre assume il profilo di un compito esigente, ma reso possibile dalla Grazia.Il modello di comunità che emerge dal CG 25 è quello che fa riferimento allanostra consacrazione apostolica, così come è espresso nell’articolo 3 delle Costitu-zioni. Si tratta di una comunità chiamata a realizzare, attraverso la grazia di unità,la sintesi vitale tra la vita fraterna, la sequela radicale di Cristo, la dedizione allamissione giovanile31.1.2.4. Il coordinamento nazionale e il progetto EuropaLa missione salesiana nella scuola e nella Formazione Professionale in Italiadeve misurarsi anche con alcune scelte molto precise di carattere programmatico chestanno segnando profondamente il cammino della Congregazione: la scelta del coor-dinamento, del lavoro in rete, a tutti i livelli, come condizione per far fruttificare almeglio i doni di Dio, rigenerare le risorse, assicurare incisività ed efficacia alla no-stra azione; e la scelta dell’Europa, che ha conosciuto una presenza massiccia deifigli di don Bosco, su avamposti dell’educazione e dell’evangelizzazione, ed oggi sitrova sfidata da un crescente assottigliamento di forze, e da un contesto sociale poli-tico e culturale sempre più bisognoso di rinnovamento evangelico.Quanto al coordinamento nazionale della nostra azione vorrei riferirmi ad un il-luminante intervento di don Viganò che oltre trent’anni fa affermava la «necessità disuperare il settorialismo ispettoriale per entrare in una dimensione di livello nazio-nale»32. Don Viganò esprimeva la sua soddisfazione per la costituzione, allora recen-tissima, di «una Federazione che, appunto perché in dialogo e confronto continuocon l’elaborazione di leggi o progetti di leggi regionali e nazionali, deve aggregarele strutture e le iniziative periferiche in linee unitarie coordinate e promosse da un 30 La comunità salesiana oggi, ACG 378 (2002), n. 39.31 CHÁVEZ VILLANUEVA P., Presentazione, in La comunità salesiana oggi, ACG 378 (2002), 15.32 VIGANÒ E., Discorso ai lavori dell’Assemblea della Federazione CNOS-FAP, 16 maggio 1978. 181 organismo vivo che opera a livello nazionale»33. Continua ad essere attuale la primaragione che conduceva il Settimo Successore di don Bosco a raccomandare unasinergia delle forze salesiane che operano in Italia sul fronte della scuola e della For-mazione Professionale. Non mi sembra un’esagerazione l’affermare che non c’è fu-turo, letto alla luce dell’attuale situazione socio-politica, se non seguendo quellastrategia salesiana che ci permette di inserirci in questa dimensione strutturale cheva crescendo in questo paese. [...] In fin dei conti... son da far crescere le struttureche ci sono e ripensare alla loro strutturazione. Se c’è stato un Santo e un Fondatoreche non si è legato alle strutture, questo è don Bosco. Sarebbe ridicolo che faces-simo dipendere il nostro futuro da strutture anacronistiche. E per inventare strutturebisogna sudare, soffrire: noi lo facciamo, voi lo state facendo.Ecco, in sintesi, il contenuto di questa prima riflessione: questo tipo di Asso-ciazionismo deve operare a livello superiore delle Ispettorie, non perché queste nonservano, ma perché la configurazione dell’attuale società italiana ha, oggi, questaesigenza34.Più importante ancora diviene però la seconda ragione cui don Viganò ispiravala sua promozione di questo sforzo di coordinamento nazionale.Il ruolo e l’importanza di questa Federazione è non tanto di natura socio-giu-ridica, [...] ma di natura socio-culturale. È impossibile un dialogo, un confrontoculturale nel mondo del lavoro, oggi a livello di ogni singolo Centro di FormazioneProfessionale [...]. Non perché a questo livello ciò non si possa fare, ma risulte-rebbe condizionato dall’ambito ristretto e locale. Un più valido confronto si devefare a livello del mondo del lavoro, che è una realtà molto complessa, organizzatae, purtroppo, troppo politicizzata e con una cultura monopolizzata da ideologie chesono spesso anticulturali. Non per questo dobbiamo abbandonare il campo e la-sciare questo mondo culturale: ma dobbiamo far valere la nostra presenza non iso-latamente, come formiche che arrivano per caso, ma come un corpo organico35.Gli equivoci che oggi attraversano la riflessione e l’azione nel mondo dellascuola e della Formazione Professionale non sono gli stessi di trent’anni fa. La ca-duta delle ideologie non ha cancellato il loro retaggio culturale, ma certamente hapermesso al dibattito sul rapporto tra sapere e lavoro di articolarsi in forme nuove.Nondimeno, tanto la digitalizzazione e mediatizzazione della cultura, quanto laprofonda trasformazione subita dal mondo del lavoro e dell’economia accendononuove sfide. Va pertanto rimarcata con forza l’urgenza di un coordinamento che di-venti sinergia di pensiero a servizio del Vangelo; il Vangelo, non altro, deve presie-dere all’identificazione delle sfide che ci provengono dal mondo della cultura, dalmondo del lavoro e dai loro reciproci vincoli, la percezione dei quali è fondamen-tale nei processi educativi. 33 VIGANÒ E., Discorso ai lavori dell’Assemblea della Federazione CNOS-FAP, 16 maggio 1978.34 VIGANÒ E., Discorso ai lavori dell’Assemblea della Federazione CNOS-FAP, 16 maggio 1978.35 VIGANÒ E., Discorso ai lavori dell’Assemblea della Federazione CNOS-FAP, 16 maggio 1978. 182 Sempre don Viganò, con estrema chiarezza, profilava una duplice possibilità:quella dell’autorevolezza culturale che un robusto coordinamento nazionale puòsostenere, e quella dell’azione frammentaria e isolata che non può incidere se non alivello esecutivo sulle grandi trasformazioni del sistema scuola e Formazione Pro-fessionale in Italia:È, dunque, un discorso serio, un discorso impegnativo, un discorso che richiedeproprio una conversione di mentalità in ciascuno di voi, se non siete ancora conver-titi, ma anche negli Ispettori e in tutti i salesiani. Ormai, o parliamo a questo livelloo noi siamo dei... muratori in educazione; e questo proprio in un momento storico incui le strutture educative vengono delineate e riformate da organismi ministeriali elegislativi. Ora, noi abbiamo una statura di storia educativa da poter reggere al con-fronto con questi dicasteri e legislatori, e non dobbiamo rassegnarci al ruolo di fac-chinaggio educativo. Dobbiamo riconoscere che spesso ci siamo comportati in talemaniera. Ciò lo constato non tanto in Italia, ma in altri paesi: lavoriamo tutti con sa-crificio, ma non incontriamo nei punti chiave dove si apre e si chiude il futuro. Equesto, perché? Forse non abbiamo sempre avuto magnanimità; mentre don Boscoera un uomo dalle larghe vedute e sapere essere all’altezza di trattare con i Ministridel Regno e con il Papa sui problemi che riguardavano la Chiesa e le relazioni traChiesta e Stato. Questo tipo di politica, don Bosco l’ha fatta: una politica a letteremaiuscole, una politica che riconosce alla cultura una grande importanza nel pro-cesso di crescita di un paese e di una nazione, sotto il profilo civile che noi sap-piamo illuminato ed irrobustito dal Vangelo.36 Se la necessità di coordinamento a li-vello nazionale interpella profondamente la nostra missione nella scuola e nella For-mazione Professionale, perché abbia futuro e significatività in Italia, l’impegno dellaCongregazione per il Progetto Europa spalanca i nostri orizzonti, chiedendoci unalettura, con cuore salesiano, di alcune sfide ecclesiali del nostro tempo.Il dibattito attorno all’identità europea provoca la società civile, il confrontopolitico, le scelte economiche, le pratiche religiose. La posta in gioco del dibattito èdi assoluta importanza, e le parole di un grande pensatore del secolo scorso ci aiu-tano a focalizzarla.La crisi dell’esistenza europea ha solo due sbocchi: il tramonto dell’Europa,nell’estraniazione rispetto al senso razionale della propria vita, la caduta nell’osti-lità allo Spirito e nella barbarie, oppure la rinascita dell’Europa dallo Spirito dellafilosofia, attraverso un eroismo della ragione capace di superare definitivamente ilnaturalismo. Il maggior pericolo dell’Europa è la stanchezza.Combattiamo contro questo pericolo estremo, in quanto “buoni europei”, inquella vigorosa disposizione d’animo che non teme nemmeno una lotta destinata adurare in eterno; allora dall’incendio distruttore dell’incredulità, dal fuoco soffo-cato della disperazione per la missione dell’Occidente, dalla cenere della grandestanchezza, rinascerà la fenice di una nuova interiorità di vita e di una nuova spiri- 36 VIGANÒ E., Discorso ai lavori dell’Assemblea della Federazione CNOS-FAP, 16 maggio 1978. 183 tualità, il primo annuncio di un grande e remoto futuro dell’umanità: perché sol-tanto lo spirito è immortale37.Se numerosi voci della cultura si sono levate per esprimersi sulle possibilità ele difficoltà del processo di unificazione europea, la Chiesa non ha mancato di farsentire la sua voce, indicando nel Vangelo l’unica fonte di un vero rinnovamentoche tocchi tutte le dimensioni della convivenza umana in Europa.L’Europa ha bisogno di un salto qualitativo nella presa di coscienza della suaeredità spirituale. Tale spinta non le può venire che da un rinnovato ascolto del Van-gelo di Cristo. Tocca a tutti i cristiani impegnarsi per soddisfare questa fame e setedi vita. [...] Ancora oggi ripeto a te, Europa che sei all’inizio del terzo millennio:“Ritorna te stessa. Sii te stessa. Riscopri le tue origini. Ravviva le tue radici”. Nelcorso dei secoli, hai ricevuto il tesoro della fede cristiana. Esso fonda la tua vita so-ciale sui principi tratti dal Vangelo e se ne scorgono le tracce dentro le arti, la lette-ratura, il pensiero e la cultura delle tue nazioni. Ma questa eredità non appartienesoltanto al passato; essa è un progetto per l’avvenire da trasmettere alle generazionifuture, poiché è la matrice della vita delle persone e dei popoli che hanno forgiatoinsieme il Continente europeo38.La Congregazione Salesiana ha accolto questa sollecitudine ecclesiale e, con-sapevole dell’ampiezza di fronti apostolici che caratterizzano l’impegno in Europadei figli di don Bosco, ha operato un attento discernimento confluito nel ProgettoEuropa39.Con grande chiarezza il Progetto Europa indica una priorità per la missione sa-lesiana in questo continente.La Commissione per il PE e il Dicastero di pastorale giovanile promuovonodecisamente la scelta prioritaria della presenza salesiana nella scuola e nella For-mazione Professionale40; e fornisce indicazioni precise per il consolidamento diforme di condivisione e progettazione in chiave europea del servizio educativo epastorale della scuola e della Formazione Professionale:Il Dicastero di pastorale giovanile favorisce, coinvolgendo i laici, la rifles-sione, lo scambio di esperienze, lo studio di proposte, il coordinamento dell’im-pegno salesiano in Europa nella scuola e nella Formazione Professionale, attra-verso la Consulta europea della scuola e la Consulta europea della Formazione Pro-fessionale, e ne condivide i risultati con la Commissione per il PE41.L’urgenza di aderire allo spirito del Progetto Europa non è semplicemente im-posta dalla necessità di rivedere i fronti dell’impegno apostolico in un continente 37 HUSSERL E., La filosofia nella crisi dell’umanità europea, Conferenza tenuta al Kulturbund diVienna il 7 e 10 maggio 1935, in ID., La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale(EST 90), Il Saggiatore, Milano 1997, 328-360, qui 358.38 GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica postsinodale Ecclesia in Europa, 28 giugno 2003,n. 120.39 Progetto Europa, Documento approvato dal Consiglio Generale il 27 gennaio 2009.40 Progetto Europa, 2.1.2.41 Progetto Europa, 2.1.3. 184 segnato dalla forte diminuzione del personale; non è neppure soltanto raccoman-data dall’opportunità di ottimizzare gli investimenti educativi pastorali attraversocoordinamenti, collaborazioni e sinergie.Il Progetto Europa è un’espressione della nostra speranza cristiana, dell’a-scolto nello Spirito dei segni dei tempi, della nostra fedeltà ecclesiale, del nostroentusiasmo vocazionale, della nostra passione apostolica.Queste ragioni devono nutrire una nuova sensibilità europea nel nostro ap-proccio alle sfide che la missione ci presenta anche nell’ambito della scuola e dellaFormazione Professionale, sensibilità sintonizzata con le priorità riconosciute dallaCongregazione per questo nostro tempo:Ciascuna delle Regioni di Europa, attraverso le sue forme di animazione, cural’attuazione delle tre priorità del Progetto del sessennio, “Ritornare a Don Boscoper ripartire da lui”, “Mantenere viva l’urgenza di evangelizzare e la necessità diconvocare”, “Promuovere la semplicità di vita e l’impegno su nuove frontiere”, perrivitalizzare in forma endogena la presenza salesiana in Europa42. 2. SFIDATI DA UNA NUOVA SITUAZIONE CULTURALE 2.1. La “Stimmung” postilluminista“Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8). Latroverà su queste terre della nostra Europa di antica tradizione cristiana? È un inter-rogativo aperto che indica con lucidità la profondità e drammaticità di una dellesfide più serie che le nostre Chiese sono chiamate ad affrontare. Si può dire – comeè stato sottolineato nel Sinodo – che tale sfida consiste spesso non tanto nel battez-zare i nuovi convertiti, ma nel condurre i battezzati a convertirsi a Cristo e al suoVangelo: nelle nostre comunità occorre preoccuparsi seriamente di portare il Van-gelo della speranza a quanti sono lontani dalla fede o si sono allontanati dalla pra-tica cristiana43.L’esortazione apostolica Ecclesia in Europa, in questo passaggio accorato, ac-costa con il realismo tipico della speranza evangelica la situazione europea all’albadel Terzo millennio cristiano.Tutto il documento si interroga sulle ragioni cristiane di speranza per l’Europa,ma non si nasconde le sfide che più minacciano questa speranza; e tali sfide44 ri-mandano a compiti educativi che ci interpellano profondamente. 42 Progetto Europa, 1.2.1.43 GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica postsinodale Ecclesia in Europa, 28 giugno 2003,n. 47.44 Ricaviamo dalla Ecclesia in Europa quattro sfide, ricorrendo ad espressioni particolarmenteefficaci che il testo ci offre; la scelta di ricavare queste espressioni dall’Esortazione apostolica civiene dalla lettura del contributo di S. MAGISTER, L’Europa si è smarrita e Giovanni Paolo II le in-segna la strada, http: //chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/6958. 185 2.1.1. Smarrimento della memoria Il tempo che stiamo vivendo [...] appare come una stagione di smarrimento.[...] Vorrei ricordare lo smarrimento della memoria e dell’eredità cristiane, accom-pagnato da una sorta di agnosticismo pratico e di indifferentismo religioso, per cuimolti europei danno l’impressione di vivere senza retroterra spirituale e come deglieredi che hanno dilapidato il patrimonio loro consegnato dalla storia.Non meravigliano più di tanto, perciò, i tentativi di dare un volto all’Europaescludendone la eredità religiosa e, in particolare, la profonda anima cristiana, fon-dando i diritti dei popoli che la compongono senza innestarli nel tronco irroratodalla linfa vitale del cristianesimo45.Lo smarrimento cui allude l’Ecclesia in Europa è sotto gli occhi di tutti, cosìcome evidenti sono i segni di uno sradicamento e disorientamento esistenziale vis-suto talvolta come conquista e guadagno di libertà, più sovente come condizioneinsuperabile di un tempo segnato da inarrestabili e repentini cambiamenti sociali,da complesse rivoluzioni tecniche, da ingovernate promiscuità culturali.Un tempo come il nostro, se da un lato vede l’uomo con un bisogno spasmo-dico di conoscere le proprie radici e di aderirvi per identificarsi, dall’altro si trovatra mano i frutti di un pensiero che ha ridotto ad oscurantismo la tradizione, oppurel’ha culturalisticamente ridotta a sintomo dell’inesistenza di verità durature.L’esito di questo sradicamento potrebbe essere descritto con la metafora delnomadismo. L’uomo moderno è un nomade più che un sedentario. Segue diversepiste, percorre cammini, rimane aperto agli incontri della vita, senza mai poteraffermare di essersi stabilito da qualche parte. Non costruisce, più che altro siaccampa46. Le contraddizioni che animano il dibattito sull’importanza di conoscerele proprie radici continuano ad emergere in modo singolarmente evidente quando laposta in gioco del confronto è l’identità europea.Ad essere privo di radici in questi casi sembra essere proprio il dibattito cultu-rale sulle radici dell’Europa, incapace persino di convergere su qualche premessaevidente; così, codici espressivi equivoci argomentano senza comunicare dentroquadri culturali di riferimento incommensurabili, riduttivi e sovente autoreferenziali.Si moltiplicano prospettive di analisi del problema – economiche, sociali, poli-tiche, antropologiche, etiche, religiose – ma si allontanano guadagni condivisi e con-divisibili. E intanto l’Europa sta diventando la terra più scristianizzata dell’Occidentee se ne fa un vanto. Pensa che il cristianesimo che l’ha tenuta a battesimo le sia diostacolo. Ma poi si accorge che le occorre una identità. “C’è bisogno di un’anima”lamentano oggi alcuni europeisti della seconda generazione, ripetendo le stesse pa-role di quelli della prima. “I trattati politici non bastano”, “l’unificazione economicaè solo un passo”. Ma un altro passo, quello decisivo, i nuovi europeisti non sono riu- 45 Ecclesia in Europa, n. 7.46 LENOIR F., Le metamorfosi di Dio. La nuova spiritualità occidentale, Milano, Garzanti, 2005, 7. 186 sciti a compierlo. Rifiutando la natura cristiana dell’anima europea, hanno rifiutatoanche la storia europea. Lo hanno fatto pensando che senza identità cristiana l’Eu-ropa è più aperta, inclusiva, tollerante, pacifica. È vero il contrario. Senza la consa-pevolezza dell’identità cristiana, l’Europa si distacca dall’America e divide l’Occi-dente, perde il senso dei propri confini e diventa un contenitore indistinto47.Estremamente puntuale in questa situazione ci pare il referto di Maria Zam-brano, che affronta con uno sguardo capace di profondità il problema dello sradica-mento culturale, indugiando sulla sua fattispecie europea, ma fornendone una de-scrizione antropologicamente persuasiva.È la saggezza meno europea, quella che l’Europa ha imparato di meno. Ancoraoggi in alcuni angoli della Spagna, vicini all’Africa e dal paesaggio identico, ilpeggiore insulto lanciato a un individuo è “senz’anima”, o “senza madre”, che vuoldire lo stesso. E l’uomo europeo, lontano dalla sua origine, con le viscere chiuse,opache e confuse, si è reso un disanimato. Oscurità del cuore che lo disorienta e lofa essere perduto, poiché non distingue più fra quello che vuole essere e quello dacui fugge. Perché il cuore confuso si dichiara in rivolta, ed è la fonte del rancore.Quando si rannuvola, il cuore si fa pesante, pesa come il peggiore dei carichi,mentre invece è vuoto. È difficile sostenere questo carico vuoto senza odiarsi, nontrovando consolazione dall’esser nati, perché il rancore altro non è48. Educatori au-tentici, in un simile contesto, dovrebbero essere avvertiti soprattutto del pericolorappresentato dalla capacità di risposta, a tale sradicamento, da parte di pedagogiebonarie e verificare il modo in cui le agenzie formative vi si rapportano.Accade di frequente, per un misto di rassegnazione e di miopia del discerni-mento, che siano promozionati approcci alla tradizione per nulla promettenti pro-prio nelle agenzie educative, ove un’appropriazione onesta e consapevole delleproprie radici dovrebbe invece costituire un criterio di qualità del servizio alla per-sona.Proprio questo misto di connivenza e incoscienza formativa può fornirequalche ragione ad analisi fin troppo cupe dell’attuale smarrimento di memoria,sulle quali giova comunque riflettere.Non ci sono più idee. Non ci sono più valori. Non se ne producono più. Lapassività e l’inerzia sembrano caratterizzare l’atmosfera del nostro tempo, dovel’impressione è che nessuno abbia una storia da scrivere né passata né futura, masolo energia da liberare in una sorta di spontaneità selvaggia, dove non circolaalcun senso, ma tutto si esaurisce nella fascinazione dello spettacolare. Viene allorada chiedersi come mai dopo tante rivoluzioni e un secolo o due di apprendistato po-litico, nonostante i giornali, i sindacati, i partiti, gli intellettuali e tutte le energiepreposte a sensibilizzare gli uomini alla loro storia, si trovano solo mille personeche reagiscono, e milioni di persone che rimangono passive e preferiscono, in per- 47 PERA M., Perché dobbiamo dirci cristiani. Il liberalismo, l’Europa, l’etica, Milano, Monda-dori, 2008, 6.48 ZAMBRANO M., L’agonia dell’Europa, Venezia, Marsilio, 2009, 70-71. 187 fetta buona fede, con gioia e senza neppure chiedersi il motivo, un incontro dicalcio a un dramma umano o sociale. La risposta va forse cercata nel fatto che,bombardati come siamo da stimoli, messaggi, test e sondaggi, le nostre teste sonodiventate il luogo dove circolano idee e valori che noi non abbiamo prodotto, masemplicemente assorbito. Teste e cuori, che non si esprimono, ma si sondano, nonper conoscere le loro idee o i loro valori, ma per verificare il grado di efficacia deimedia nell’inculcare in loro un’idea o un presunto valore, e poi appurarne l’indicedi gradimento. Ridotte in questo modo a schermi di lettura, le nostre teste non sonopiù un luogo di ideazione e di invenzione, ma un luogo di assorbimento e di implo-sione, dove ogni senso propulsivo si inabissa e ogni significato acquisito si allineaa quell’ideale di uniformità che è l’inerzia del conformismo49.2.1.2. Apostasia silenziosaAlla radice dello smarrimento della speranza sta il tentativo di far prevalereun’antropologia senza Dio e senza Cristo. Questo tipo di pensiero ha portato a con-siderare l’uomo come il «centro assoluto della realtà, facendogli così artificiosa-mente occupare il posto di Dio e dimenticando che non è l’uomo che fa Dio maDio che fa l’uomo. L’aver dimenticato Dio ha portato ad abbandonare l’uomo», percui «non c’è da stupirsi se in questo contesto si è aperto un vastissimo spazio per illibero sviluppo del nichilismo in campo filosofico, del relativismo in campo gno-seologico e morale, del pragmatismo e finanche dell’edonismo cinico nella confi-gurazione della vita quotidiana». La cultura europea dà l’impressione di una “apo-stasia silenziosa” da parte dell’uomo sazio che vive come se Dio non esistesse50.L’Ecclesia in Europa identifica un secondo tratto problematico di questotempo e lo nomina con l’efficace espressione apostasia silenziosa.Si tratta di una forma di antropocentrismo che progressivamente ha perso ilsuo carattere culturalmente aggressivo, e – complice la promiscuità culturale – haassunto i toni di un indifferentismo che scredita l’autenticità della fede e la coe-renza della pratica credente.L’Europa sottoscriverebbe le tesi di Nietzsche circa l’origine dell’esperienzareligiosa51, fuori da schermaglie teoriche ma nella convinzione che i diritti del-l’uomo sono garantiti in un mondo che abbandona la religione, vincendo la tenta-zione superstiziosa che in passato ha fatto la fortuna di Dio. Il cristianesimoschiacciò e frantumò l’uomo completamente e lo sprofondò come in una fonda pa-lude: poi, nel sentimento di totale abiezione, fece brillare tutto a un tratto lo splen- 49 GALIMBERTI U., I miti del nostro tempo, Milano, Feltrinelli, 2009, 310-311.50 Ecclesia in Europa, n. 9.51 «Malati e moribondi erano costoro, che disprezzavano il corpo e la terra e inventarono le cosecelesti e le gocce di sangue della redenzione: ma persino questi veleni dolci e tenebrosi essi li ave-vano tratti dal corpo e dalla terra. Alla loro miseria volevano sfuggire, e le stelle erano per essi troppolontane. Allora sospiravano: “Oh, se vi fossero sentieri nel cielo per insinuarsi in un altro essere eun’altra felicità!” – così inventarono le loro vie misteriose e le loro bibite di sangue!» (F. NIETZSCHE,Così parlò Zarathustra [Piccola Biblioteca Adelphi 36], Adelphi, Milano 19795, 32). 188 dore di una divina pietà, sicché l’uomo sorpreso, stordito dalla grazia, emise ungrido di rapimento e per un attimo credette di portare in sé il cielo intero. Su questomorboso eccesso di sentimento, sulla profonda corruzione della mente e del cuore aesso necessaria, agiscono tutti i sentimenti psicologici del Cristianesimo: essovuole annientare, spezzare, stordire, inebriare, solo una cosa esso non vuole: la mi-sura52. L’insidia di una cultura che oppone la fede in Dio alla pienezza di vita del-l’uomo raggiunge ogni ambiente educativo; senza una formazione alla verità delVangelo ed un ascolto sapiente della novità che attraversa le sue risposte alla condi-zione umana, gli ateismi corrosivi continuano ad esercitare il loro fascino. Semprela drammatica parabola del pensiero e dell’esistenza di Nietzsche attestano la vul-nerabilità della coscienza agli equivoci più pericolosi circa il rapporto tra Dio el’uomo.Nietzsche non ha “prove”, in senso stretto, contro l’esistenza di Dio, ma un“istinto” o, meglio, una molteplicità di impulsi contro l’idea di Dio, così come ècomunemente intesa nella tradizione filosofica e teologica occidentale. La credenzain Dio è per Nietzsche qualcosa di ripugnante. [...] “Se Dio ha creato il mondo, egliha creato l’uomo come scimmia di Dio, come continuo motivo di divertimentonelle sue troppo lunghe eternità. Quell’annoiato immortale solletica con il dolore ilsuo animale preferito, per gioire dei gesti tragici e orgogliosi, delle interpretazionidelle sue sofferenze”. [...] Meglio morire e sprofondare nel nulla, che gioire sadica-mente in paradiso di fronte alla vista dei dannati, come fanno Tertulliano, Tommasod’Aquino, Dante! E un Dio che non punisca e non premi, un Dio che non garan-tisca l’eternità personale a quell’essere borioso che si chiama uomo, non si diffe-renzia per nulla da quell’universo insondabile e senza scopo di cui parla Nietzschequasi con senso religioso53.2.1.3. Cultura di morteL’Ecclesia in Europa non usa mezzi termini: la cultura che vuole fare a menodi Dio, mentre promette pienezza di vita, in realtà corteggia la morte.In tale orizzonte, prendono corpo i tentativi, anche ultimamente ricorrenti, dipresentare la cultura europea a prescindere dall’apporto del cristianesimo che hasegnato il suo sviluppo storico e la sua diffusione universale. Siamo di fronte al-l’emergere di una nuova cultura, in larga parte influenzata dai mass media, dallecaratteristiche e dai contenuti spesso in contrasto con il Vangelo e con la dignitàdella persona umana. Di tale cultura fa parte anche un sempre più diffuso agnosti-cismo religioso, connesso con un più profondo relativismo morale e giuridico, cheaffonda le sue radici nello smarrimento della verità dell’uomo come fondamentodei diritti inalienabili di ciascuno. I segni del venir meno della speranza talvolta si 52 F. NIETZSCHE, Umano troppo umano (Piccola Biblioteca Adelphi 82), Milano, Adelphi, 19822,§ 114.53 ANDREONI C., L’ateismo di Nietzsche, in CORRADINI D. - MONTINARI M. - ALFIERI L. ET AL.,Nietzsche, Milano, Franco Angeli, 1979, 179-210, qui 180-181. 189 manifestano attraverso forme preoccupanti di ciò che si può chiamare una “culturadi morte”54.Purtroppo non possono essere attribuite ad un eccesso di pessimismo questeosservazioni; il malessere dei giovani, che talvolta non riesce ad essere occultatodalle mimetizzazioni del costume ed esplode in forme drammatiche, è sotto gliocchi degli educatori. Raccogliere altre sfide e ignorare queste tentazioni giova-nili – le più drammatiche – di considerare la morte alla stregua della vita e la vitaalla stregua della morte rappresenterebbe un autentico tradimento educativo.I giovani, anche se non sempre ne sono consci, stanno male. E non per le solitecrisi esistenziali che costellano la giovinezza, ma perché un ospite inquietante, ilnichilismo, si aggira tra loro, penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri,cancella prospettive e orizzonti, fiacca la loro anima, intristisce le passioni renden-dole esangui. Le famiglie si allarmano, la scuola non sa più cosa fare, solo il mer-cato si interessa di loro per condurli sulle vie del divertimento e del consumo, doveciò che si consuma non sono tanto gli oggetti che di anno in anno diventano obso-leti, ma la loro stessa vita, che più non riesce a proiettarsi in un futuro capace di farintravedere una qualche promessa. Il presente diventa un assoluto da vivere con lamassima intensità, non perché questa intensità procuri gioia, ma perché promette diseppellire l’angoscia che fa la sua comparsa ogni volta che il paesaggio assume icontorni del deserto di senso55.Non mancano poi interpreti della condizione giovanile che denunciano unaconnivenza delle agenzie educative con il modello nichilista, con la cultura dimorte.Il capolinea è diventato metafora di un progetto di crescita sociale mai vera-mente compiuto. Guardando alle idee e pratiche educative di oggi, ho l’impres-sione di scorgere un elemento “autistico” in genitori e insegnanti, come se non fos-simo interessati a vedere crescere una generazione di giovani migliore della nostra.[...] A guardar bene tra le righe della nostra cultura dominante, si scorge un para-dossale impeto autodistruttivo: non vogliamo che i nostri ragazzi crescano forti, madeboli e ricattabili. S’intuisce un disegno depressivo, tipico di chi non crede nel fu-turo ma sa soltanto raschiare il barile di un privilegiato benessere presente. Unasorte di sindrome da fine dell’impero occidentale56.Ma si rivelano singolarmente istruttive soprattutto le riflessioni di chi fornisceuna lettura teologica, sebbene non formalmente cristiana, dei processi di autodistru-zione che tentano l’uomo.Poiché la storia non ha precedenti, la nostra civiltà è la prima che si crede im-mortale, mentre forse è semplicemente la prima alla quale manchi un consapevolesentimento di limitazione. Col passaggio dell’uomo dalla condizione animale a 54 Ecclesia in Europa, n. 9.55 GALIMBERTI U., L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Feltrinelli, Milano 20086, 11.56 CREPET P., Sfamiglia. Vademecum per un genitore che non si vuole rassegnare, Einaudi,Torino 2009, 35-36. 190 quella storico-civile, le sue forme di vita non evolvono più per selezione naturale– con la scomparsa dei più deboli – bensì, con moto sempre più rapido, per sviluppoculturale e crescita tecnologica. Eppure, fagocitando ogni rispetto del limite assiemea quello per Dio e per la morte, la nostra civiltà sembra quasi aver seguito un cam-mino opposto e regressivo. La sua storia, che inizia con il capitolo altamente civiledell’autolimitazione (per quanto ripresa in qualche forma da meccanismi di autoini-bizione dell’istinto) ha poi ceduto alle regole della espansione competitiva, tornandoa una selezione darwiniana fra civiltà. Di fronte a questa carica onnipotente della so-cietà tecnologica, ogni altra cultura sta scomparendo. Se la civiltà si presenta comenuova, la psiche è, nei suoi strati profondi, quella di sempre: e non può ignorare chela presenza di Dio e della morte istituiva il limite nella vita e alla vita. Per parteci-pare alla modernità l’Oriente e il terzo mondo non hanno trasformato il loro credo,ma lo hanno solo rapidamente decolorato nelle ultime generazioni, sovrapponendovimolte regole razionali. La civiltà occidentale, invece, è l’unica ad avere diretta-mente, profondamente e gradualmente incorporato in sé tutte le forme di Dio e lesue qualità infinite. Il greco si è metabolizzato nei secoli in moderno, incorporandogli avversari: prima i persiani, poi gli dei. Con questo processo non ha lasciato qua-lità significative fuori di sé: per questo è impossibile distinguere se una statua grecarappresenta un dio o un uomo. Ben lontana dal tabù monoteista della rappresenta-zione divina, le sue forme sono già laiche. Per questo cammino, l’uomo ha spostatoal proprio interno il suo contrario e il suo limite. La sua laicizzazione non è statasolo adeguamento a nuove regole esterne, ma metamorfosi interiore e trasmutazionedell’anima in luogo così complesso da farsi sempre più difficilmente esprimibile.Se Dio è stato rimosso dai cieli e incorporato sotto forma di aspirazioni comelui infinite, anche la morte, allontanata dagli occhi, si riaffaccia all’interno dei sog-getti travestita da depressione non razionalmente motivabile. Il nucleo di tale ripie-gamento dello slancio vitale è una colpa assoluta, priva di motivi visibili, cui corri-sponde un vissuto di insufficiente giustificazione dell’esistere57.2.1.4. Speranze artificialiUn’ultima nota merita di essere ripresa da Ecclesia in Europa per illuminare lesfide più significative del nostro tempo per la Nuova Evangelizzazione; tale nota siconcentra sui surrogati più consueti e pericolosi della speranza cristiana che vannodiffondendosi nel nostro continente.“L’uomo non può vivere senza speranza: la sua vita sarebbe votata all’insigni-ficanza e diventerebbe insopportabile”. Spesso chi ha bisogno di speranza crededi poter trovar pace in realtà effimere e fragili. E così la speranza, ristretta in unambito intramondano chiuso alla trascendenza, viene identificata, ad esempio, nelparadiso promesso dalla scienza e dalla tecnica, o in forme varie di messianismo,nella felicità di natura edonistica procurata dal consumismo o quella immaginaria e 57 ZOJA L., Storia dell’arroganza. Psicologia e limiti dello sviluppo, Bergamo, Moretti & Vitali,20042, 209-210. 191 artificiale prodotta dalle sostanze stupefacenti, in alcune forme di millenarismo, nelfascino delle filosofie orientali, nella ricerca di forme di spiritualità esoteriche,nelle diverse correnti del New Age58. Le giovani generazioni sono fortemente impli-cate in questi processi di surrogazione della speranza, che, avendo per protagonistigli adulti e la cultura di massa, lungi dal trovare alternative, vengono sovente rin-forzati dalle agenzie educative.È indispensabile ed urgente uno sforzo collettivo di riflessione sui processi dicostruzione di modelli negativi che assurgono allo status di idoli, insieme vittime,complici e responsabili di una mistificazione pericolosa per la solidità e la veritàdell’esistere.La società di oggi è laica. Alla fine dell’Ottocento, il grido sconvolgente diNietzsche si è sparso sulla Terra: “Dio è morto”. Anche chi non ama Nietzsche hadovuto riconoscerlo come profeta: durante il Novecento, nel mondo ebraico-cri-stiano le persone religiose sono diventate minoranza. E, anche per questa mino-ranza, la fede è diventata soprattutto un fatto privato, come la scelta di una filo-sofia, di una convinzione politica, addirittura di un amore. La società retta da duepilastri non ha avuto più equilibrio da quando uno è crollato. La morte di Dio hasvuotato il cielo. Ma niente ha resistito al risucchio del vuoto. Lo spazio celeste èstato riempito con l’assunzione dei miracoli della scienza e dell’economia fra le di-vinità, con l’elevazione alle stelle del desiderio personale. Troppo spesso si dimen-tica che desiderare significa proprio questo: smettere (de-) di affidarsi agli astri (si-dera), farne a meno, sostituirsi al cielo. Continuiamo ad aver bisogno di adorarequalcuno, ma il posto di Dio è preso dall’uomo e dalle sue opere. Insieme sono ele-vate a modello e scopo per gli altri uomini. L’uomo ideale è trasfigurato, diviniz-zato. Di conseguenza non è più un uomo vicino.Non è più una vista: è una visione. Ecco l’origine del culto delle persone fa-mose, delle celebrities. Naturalmente le persone vicine continuano a esistere, ma laloro banale imperfezione le rende più estranee di un tempo59.Ogni istituzione educativa deve considerare con grande serietà e senso di re-sponsabilità il pericolo di tradire le nuove generazioni, proprio attraverso la qualifi-cazione di un servizio di dubbia qualità formativa, che in fondo asseconda – e so-vente raccomanda – gli pseudo valori dell’arrivismo, del successo, della carriera,dell’apparenza, della ricchezza.Confermano purtroppo il pericolo delle nuove idolatrie alcuni dati sconcer-tanti, che giungono da paesi asiatici e illustrano possibili conseguenze di un mo-dello sociale non solo indifferente rispetto alla verità dell’uomo, ma tanto dispoticoda sequestrare per la propria affermazione le energie formative di una convivenzacivile. In tali contesti le simbolizzazioni del disagio giovanile, oltre a manifestareparticolare drammaticità, sembrano acquisire carattere endemico. 58 Ecclesia in Europa, n. 10.59 ZOIA L., La morte del prossimo, Torino, Einaudi, 2009, 5. 192 In tutto il Giappone, ci sono più di un milione di uomini e ragazzi [...] chehanno scelto di ritirarsi completamente dalla società. Questi reclusi si nascondono incasa per mesi o anni interi, rifiutandosi di lasciare le mura protettive della propriacamera da letto. Sono impauriti come bambini abbandonati in una foresta buia. [...]Non riescono a salire sull’efficiente nastro trasportatore che porta i ragazzini dallascuola materna all’università, per poi depositarli direttamente sul posto di lavoro60. 2.2. I modelli antropologiciPer la formazione di una coscienza educativa è necessario non solo individuarele sfide più significative di una temperie culturale nella quale vivono i destinataridella missione, è urgente pure misurarsi con i modelli umani che presiedono aglistili di vita più diffusi e ne reclamano gli investimenti formativi.Il pericolo dell’educazione è quello di muoversi senza sufficiente discerni-mento tra modelli antropologici molto differenti tra loro; talvolta lontani dalla ve-rità dell’uomo, altre volte contrastanti la sua dignità, altre volte ancora promettentiin sé ma non accattivanti.Accade così che anche intenzionalità formative apprezzabili si trovino silen-ziate dal clamore di modelli alternativi seducenti ma pericolosi, o neutralizzatedalla loro stessa estraneità rispetto all’immaginario dei destinatari. E può avve-nire – al contrario – che intenzionalità formative equivoche impongano i loro pro-getti d’umanità privi di futuro, radicalizzando la sofferenza interiore dei giovani oacuendo contraddizioni e frammentarietà nelle loro scelte e nella loro condotta.Il nostro servizio educativo potrebbe lasciarsi interpellare da quattro modelliumani che riflettono la risignificazione contemporanea della spazialità, della tem-poralità e della relazione producendo le forme oggi forse più in voga di rapporto asé, agli altri, al mondo; si tratta di modelli problematici, ma avvertiti dai giovanicome fortunati e appetibili.Non dobbiamo illuderci: questi modelli non solo fanno talvolta della nostraproposta educativa un’offerta di nicchia per una porzione di destinatari numerica-mente marginale e civilmente invisibile; sovente inquinano la nostra proposta, inse-diandosi in essa con prescrizioni e consuetudini che ne pregiudicano la qualità. Lariflessione allora su questi modelli antropologici dominanti potrà sortire qualcheutilità per il nostro discernimento, chiamato a precisare il referente antropologicodella nostra azione educativo pastorale e a produrne una mediazione persuasiva peri giovani.Sarà proprio il discernimento ad evitare che tale mediazione, volta a destinareil nostro modello antropologico ai desideri dei giovani, giunga a patteggiare con lacultura dominante, diluizioni della verità e sudditanze a tratti di costume social-mente fortunati ed attuali ma evangelicamente inaccettabili. 60 ZIELENZIEGER M., Non voglio più vivere alla luce del sole. Il disgusto per il mondo esterno diuna nuova generazione perduta, Roma, Elliot, 2008, 29-30. 193 2.2.1. “Self-made-man”: la libertà di PrometeoIl senso della libertà, la sua provenienza, la sua destinazione, la sua forma diesercizio, continua a rappresentare per il nostro mondo una questione nebulosa econtroversa; il vincolo tra criticità ed autonomia, rinsaldato dal pensiero della mo-dernità e considerato guadagno epocale irrinunciabile, miete le sue vittime e in-sieme prescrive ciò a cui sfugge.Tutto va soggetto a critica, fuorché la critica; e contro ogni prescrizione oc-corre salvaguardare la propria autonomia, salvo però inchinarsi alla prescrizioned’essere autonomi.Questo vincolo problematico tra criticità ed autonomia viene da una fonda-zione formale della morale che identifica l’uomo nella pura ragione e nella pura au-todeterminazione. Un uomo così identificato regola i conti con la propria verità econ l’edificazione di sé nel solitario rapporto tra la propria libertà e la propria ra-gione; qualsiasi mediazione s’introducesse in questo rapporto sarebbe lesiva – peril pensiero moderno – della dignità umana.Questo modello di ragione e libertà non è oggetto di una coraggiosa valuta-zione forse neppure nei nostri ambienti, e persino noi potremmo inconsapevol-mente continuare a determinarne il successo.Le conseguenze di tale modello sono però sotto gli occhi di tutti.Paradossalmente [...] la nostra società è riuscita a foggiare un ideale di libertàche assomiglia, come una goccia d’acqua, alla vita dello schiavo così come la defi-nisce Aristotele. San Paolo si riferisce alla libertà dicendo: sono incatenato alla mialibertà. Per questi saggi la libertà non si costruisce attraverso una specie di auto-nomia o di isolamento individuale, ma attraverso lo sviluppo di legami: sono questiche ci rendono liberi. [...] Si direbbe [...] che, nella nostra società, essere autonomisignifichi semplicemente essere forti. La forza rappresenta una tale ossessione chela nostra società ha prodotto una concezione della libertà fondata sul dominio: li-bero è colui che domina. Domina cosa esattamente? Il suo tempo, il suo ambiente,le sue relazioni, il suo corpo, gli altri. In questo consiste l’attuale ideale di auto-nomia. [...] I nostri contemporanei sognano un’autonomia-dominio, aspirano a con-quistare un potere sugli altri e sull’ambiente che consenta loro di perseguire ipropri scopi e soddisfare le proprie voglie, senza ostacoli e senza l’opposizione dichicchessia61.Autodeterminazione e autoedificazione divengono inesorabilmente idolatriadel potere, che intossica la convivenza civile e, in fondo, produce e riflette unaschiavitù interiore:Oggi il potere è diventato più subdolo, più mascherato, più nascosto, ma pro-prio per questo più pervasivo, fino a permeare il nostro inconscio, al punto da farciapparire ovvia quella che in realtà è una sua imposizione. Per rendercene contodobbiamo domandarci se a volte non abbiamo del potere un concetto troppo gros- 61 BENASAYAG M. - SCHMIT G., L’epoca delle passioni tristi, Milano, Feltrinelli, 20096, 101-103. 194 solano al punto da non riconoscerlo proprio là dove ci assedia. Il potere non si pre-senta mai come tale, ma indossa sempre i panni del prestigio, dell’ambizione, del-l’ascendente, della reputazione, della persuasione, del carisma, della decisione, delveto, del controllo, e dietro queste maschere non è facile riconoscere le due leve sucui si fonda: il controllo assoluto delle nostre condizioni di vita e la massima effi-cienza delle prestazioni che ci sono richieste62.I riflessi soggettivi della tirannide dell’efficienza e del controllo si producononei termini di insoddisfazione esistenziale, di senso di inconciliabilità tra le esi-genze del mondo ed esigenze interiori, queste ultime a loro volta lacerate ed incom-prensibili per il contrasto tra l’ascolto di sé e l’intima necessità d’aderire alle pre-scrizioni culturali interiorizzate.Questa visione della libertà come competenza determina una sorta di schizo-frenia tra vita pubblica e vita privata, tra la funzione con cui si viene riconosciutisotto il profilo tecnico e le aspirazioni dell’individuo, che devono essere tacitate, ri-mosse o nascoste sotto le maschere di ruoli, l’ordine delle gerarchie, il rigore deimansionari, dove entrano in gioco solo le prestazioni e non le qualità soggettive63.E queste lacerazioni costituiscono un’innegabile con-causa di comportamentiautolesivi e devianti, che conoscono la curiosa e drammatica sorte di essere imple-mentati e regolati in una socialità che se ne avvale per confermare se stessa.Che cosa c’è di meglio della cocaina, allora, per istigare fantastici desideri di sé,per consumare persino se stessi nell’esaudimento dei desideri e, nello stesso tempo,per impedire ogni vero cambiamento? Cosa sembra più efficace della cocaina perilludere di soddisfare la bramosia di potenza e di realizzare i sogni d’autoafferma-zione? Per illudere che un cambiamento sia possibile e per sanare il dolore dell’evi-denza che nessun cambiamento è avvenuto e potrebbe mai avvenire con qualunquesostanza? La cocaina si giustifica proprio perché è messa al servizio della smania diesaltarsi, grazie al raggiungimento di vette prodigiose di potere, in cui splenderebbeil valore di un migliore se stesso. Essa è una macchina formidabile di consumo didesideri e di desideri che producono consumo, innanzitutto di se stessi64.Ma l’insofferenza nei confronti delle prescrizioni collettive, intrecciata ad in-competenza ed incomprensione quanto al senso buono dell’autonomia, diventanotravolgenti fino ad osare una costruzione di sé che non conosca alcun tratto identi-tario già dato.L’ultima frontiera di questo drammatico prometeismo che miete vittime tra igiovani è quello dell’identità di genere, rifiutata per una contraddittoria lotta di li-bertà, e bollata come retaggio di prescrizioni culturali e sociali mortificanti l’indi-viduo. Uno studio molto interessante sul tema riporta due testimonianze che – loromalgrado – denunciano una vera emergenza educativa. 62 GALIMBERTI U., I miti del nostro tempo, Milano, Feltrinelli, 2009, 11563 GALIMBERTI U., I miti del nostro tempo, 127.64 RIGLIANO P., Come pensare il consumo di cocaina, in RIGLIANO P. - BIGNAMINI E. (a cura di),Cocaina. Consumo, psicopatologia, trattamento, Milano, Raffaello Cortina, 2009, 1-63, qui 9. 195 La maschilità non si può descrivere; che cosa è di per sé maschile? E cosafemminile? Mi ribello al biologismo e all’essenzialismo, la maggior parte di ciòche siamo è appreso attraverso la socializzazione. Ci dovrebbe essere semplice-mente più spazio individuale, e soprattutto più comprensione. Al contempo io [...]gioco molto volentieri con ciò che è inteso socialmente come mascolinità. [...] Il di-vertimento è smontare il concetto di maschilità dimostrando che figure così appa-rentemente maschili possono essere facilmente interpretate da una donna biologica.Attraverso queste performance si toglie unicità alla maschilità e la si decostruisce.Stesso processo di decostruzioni che le drag queen fanno con la femminilità [...].Maschilità e femminilità sono pretesti per la mia espressione massima, simultanea,libera e sono due concetti che rielaboro continuamente e che mi fanno sentire riccaperché mai l’uno è a discapito dell’altro ma si complementano [...]. Sono canoniche mi stanno ormai sempre più stretti: mi diverto nell’interpretarli, ma sempremeno tollero nella vita la coercizione a scegliere, che mi limita e mi pesa. Perquesto, insieme alle mie compagne, cerchiamo [...] attraverso l’ironia e/o la sedu-zione, di scardinare, e aprire il varco verso le possibilità che hanno i corpi di espri-mere e parlare “generi” diversi, anche simultaneamente65.2.2.2. “Cyber-man”: le navigazioni di UlisseQuasi vent’anni fa un noto antropologo affidava ad un volume sulla ridefini-zione postmoderna dello spazio osservazioni ancora molto attuali.I grandi magazzini, qui il cliente circola silenziosamente, consulta le etichette,pesa la verdura o la frutta su di una macchina che unitamente al peso gli indica ilprezzo, poi tende la sua carta di credito ad una ragazza anch’essa silenziosa, o pocoloquace, che sottopone ogni articolo alla registrazione di una macchina decodifica-trice prima di verificare la validità della carta di credito. Dialogo più diretto ma an-cora più silenzioso: quello che ogni titolare di carta di credito intrattiene con ilcash-dispenser in cui l’inserisce e sul cui schermo gli sono trasmesse istruzioni ge-neralmente incoraggianti ma che a volte costituiscono veri e propri richiami all’or-dine (“Carta mal introdotta”, “ritirate la vostra carta” [...]).Tutte le interpellanze provenienti dalle nostre vie di comunicazione, dai nostricentri commerciali o dalle avanguardie del sistema bancario [...] mirano simulta-neamente, indifferentemente, a ciascuno di noi; non importa chi di noi: esse fabbri-cano “l’uomo medio”, definito come utente del sistema stradale, commerciale obancario. [...] Se era l’identità degli uni e degli altri, attraverso le connivenze dellinguaggio, i punti di riferimento del paesaggio, le regole non formulate del sapervivere, che costituiva il “luogo antropologico”, è il non luogo a creare l’identitàcondivisa dei passeggeri, della clientela o dei guidatori della domenica. Indubbia-mente, il relativo anonimato derivante da questa identità provvisoria può anche es-sere avvertito come una liberazione da coloro che, per un po’ di tempo, non devono 65 MAGARAGGIA S., Let me be: Drag King de-generi, in CAPECCHI S. - RUSPINI E., Media, corpi,sessualità. Dai corpi esibiti al cybersex, Milano, Franco Angeli, 2009, 133-149, qui 142-143. 196 più mantenere il proprio rango, il proprio ruolo o essere sempre presenti a se stessi.Duty-free: appena declinata l’identità personale (quella del passaporto o della cartadi identità), il passeggero in attesa del prossimo volo si avventa nello spazio “liberoda tasse”, egli stesso liberato dal peso dei bagagli e degli impegni della quotidia-nità, forse non tanto per comprare ad un prezzo più conveniente quanto per provarela realtà della sua disponibilità del momento, la sua irrecusabile qualità di passeg-gero in attesa di partenza. Solo, ma simile agli altri, l’utente del nonluogo si trovacon esso (o con le potenze che lo governano) in una relazione contrattuale66.L’intuizione a proposito del rapporto tra identità umana e significato deglispazi vitali è utile a comprendere il senso di spaesamento vissuto insieme come li-berante ed opprimente nella nostra società. In un contesto di grande mobilità lo sra-dicamento si accentua con il dilatarsi di spazi anonimi che accolgono identità diffe-renti; ma intanto questo spazio anonimo offre la sua ospitalità al prezzo di de-iden-tificare i soggetti quanto alle loro specificità e di rideterminarli a partire dall’utenzache esso fornisce.Se poi i non luoghi di cui parla Augé hanno conosciuto progressivi amplia-menti e affollamenti, la digitalizzazione della comunicazione e la creazione dellarete hanno delineato un nuovo vastissimo spazio dai caratteri originali.Lo sviluppo della rete e le possibilità da essa inaugurate stanno incidendo pro-gressivamente sulla forma di conoscenza e di esperienza soprattutto dei giovani.Posso sbagliarmi, ma io credo che la mutazione in atto, che tanto ci sconcerta, siariassumibile interamente in questo: è cambiato il modo di fare esperienze. C’eranodei modelli e delle tecniche e da secoli portavano al risultato di fare esperienza: main qualche modo, a un certo punto, hanno smesso di funzionare. [...] Cosa dovevafare, l’animale? Curarsi i polmoni? L’ha fatto a lungo. Poi, a un certo punto hamesso su le branchie. Modelli nuovi, tecniche inedite e ha ricominciato a fare espe-rienza. Ormai era un pesce, però. Il modello formale del movimento di quel pescel’abbiamo scoperto in Google: traiettorie di links, che corrono in superficie. Tra-duco: l’esperienza, per i barbari, è qualcosa che ha forma di stringa, di sequenza, ditraiettoria, implica un movimento che inanella punti diversi nello spazio del reale, èl’intensità di quel lampo. Non era così e non è stato così per secoli. L’esperienza,nel suo senso più alto e salvifico, era legata alla capacità di accostarsi alle cose, unaper una, e di maturare un’intimità con esse capace di dischiuderne le stanze più na-scoste. Spesso era un lavoro di pazienza e perfino di erudizione, di studio. [...] Eracomunque una faccenda quasi intima fra l’uomo e una scheggia del reale, era unduello circoscritto, e un viaggio in profondità67.La formazione diretta alla net-generation non può concedersi illusioni: le po-tenzialità dei nuovi media sono intrecciate a sfide di difficile elaborazione, che tro-vano talvolta gli educatori in posizione di inferiorità rispetto a giovani e ragazzi 66 AUGÈ M., Non luoghi. Introduzione ad una antropologia della surmodernità, Milano, Elèu-thera, 1993, 91-93.67 BARICCO A., I barbari. Saggio sulla mutazione, Roma, Fandango, 2006, 95-96. 197 quanto a competenza tecnica68, o animati da entusiasmi poco consapevoli circa lanatura ed i pericoli dei mezzi all’uso dei quali vorrebbero educare69.Le possibilità della rete non stanno però disegnando meri orizzonti di cono-scenza o di comunicazione, piuttosto stanno costruendo nuove geografie, mondialternativi rispetto a quello reale, mondi in grado di ospitare esistenze, soggetti,comunità.È stato quasi naturale sostenere che per alcuni questi mondi possano esseresemplicemente un luogo migliore e che quindi la scelta di investire le proprie gior-nate al loro interno possa essere quantomeno coerente, coloro i quali si sentono iso-lati o discriminati “nel reale” possono sentirsi integrati e accettati “nel virtuale”. Iruoli sociali che non possiamo ricoprire nel reale, possono essere sperimentati nelvirtuale. Tutto ciò che non ci piace del nostro corpo, può essere eliminato nel pro-cesso di costruzione di un nuovo corpo. Chi soffre di limiti fisici, può diventare unapersona più forte. Chi si ritiene ignorante, può diventare un mago di grande sag-gezza, chi si sente frustrato dai limiti terreni, può compiere imprese eccezionali. Etutte queste esperienze possono realizzarsi in un contesto che non è puramente difantasia: centinaia di migliaia di altri individui vivono all’interno di quell’altromondo, legittimando i nostri sentimenti e le nostre azioni, perciò tutti coloro che si 68 «Da anni si parla del digital divide, cioè di una linea di confine fra chi sa e chi non sa. Fra chiè alfabetizzato al digitale e chi non lo è. All’inizio dell’era digitale il confine invisibile divideva inmodo orizzontale la società fra le generazioni adulte che dovevano apprendere, e i giovani che “natu-ralmente sapevano”. Oggi il confine si è spostato e divide quello che convenzionalmente si chiamaNord dal Sud del mondo. Con una nota rilevante: alcuni paesi sono usciti dalla situazione di Sud delmondo anche grazie al digitale. Gli effetti economici del digital divide sono evidenti, inutile spendereparole. Altri effetti, più subdoli e altrettanto pericolosi, sono lì a minare le basi delle nostre certezze. Ilprimo effetto del digital divide generazionale è quello di ribaltare i ruoli: il genitore dovrebbe natural-mente avere la funzione di insegnare ai figli come stare al mondo. Il digitale lo mette nella funzionedi colui che deve apprendere dal figlio, con conseguente perdita di autorevolezza. Chi nella scala so-ciale era Up diventa down, e viceversa. Questo non è un bene né per i genitori, né per i figli, come lopsicologo e il buon senso potranno meglio di me dimostrare» (BRANCATI D., Cortocircuito, in BRAN-CATI D.- AJELLO A.M. – RIVOLTELLA P.C., Guinzaglio elettronico. Il telefono cellulare tra genitori efigli, Roma, Donzelli, 2009, 3-41, qui 14-15).69 «La tecnologia corre velocissima e da molti anni è più avanti della società. Questa nel tenta-tivo di rincorrerla accelera ma resta indietro, impreparata ai mutamenti tanto rapidi e inadeguata, nonsufficientemente elastica. L’uso dei telefoni cellulari di nuova generazione ha cambiato la nostra vitadomestica e familiare, quella lavorativa, perfino il tempo libero. In verità giorno dopo giorno ha cam-biato il nostro modo di concepire la vita. Mai come in questo caso la funzione crea l’organo, o megliopiega l’organo alle proprie logiche. Essere perennemente connessi (la famosa net-generation cosìvive). È molto più che un’esigenza per i giovani: è un modo di rapportarsi con il resto del mondo,quindi un modo di essere. Gli adulti a volte fanno parte di questo mondo, altre volte no. In tal casobasta cancellarli dalla scena. Molti adulti di buona volontà sperano che sia possibile e risolutivo pie-gare i mezzi di comunicazione – vecchi e nuovi – a finalità educative. Diciamo la verità: è come chie-dere alla lavatrice di restituirti i panni lavati, asciutti e anche stirati. Forse è possibile ma non è ovvioe non è naturale e non rientra nelle funzioni per le quali la macchina è stata concepita. Analogamenteper i mass-media è giusto dire che possono anche essere educativi, ma non è la loro funzione princi-pale. Il vero problema è che sono diventati totalmente centrali nella vita della società, ma sono ancheil punto di massima irresponsabilità sociale delle imprese, dei manager e degli operatori che vi lavo-rano» (BRANCATI D., Cortocircuito, 18-19). 198 trovano lì lo tratteranno come un luogo autentico, non come una fantasia. Questeesperienze positive, concretizzabili solo nel mondo sintetico, potrebbero attirare ungran numero di persone. In quel caso, il fenomeno potrebbe non rimanere ai mar-gini della società, ma diventare qualcosa di normale.Così i mondi sintetici possono trovare il loro senso non nell’essere radical-mente diversi dal mondo della vita comune, quanto dall’essere così simili a esso darappresentare un’alternativa verosimile, in alcuni casi migliore della controparte.Acquisiscono significato non solo per gli eventi insoliti che si verificano al loro in-terno, ma anche per la possibilità che, nei prossimi decenni, molti milioni di indi-vidui possano desiderare una vita caratterizzata da eventi insoliti e possano dunquepreferire quest’ultima alla vita che conducono oggi. Se la tecnologia sarà in gradodi soddisfare tali desideri resta tuttavia un problema aperto70. Con la fondazionedelle comunità virtuali, la rete non si limita ad essere solcata da navigatori che in-troducono parentesi avventurose più o meno prolungate nella vita reale; piuttosto larete si propone come dimora primaria dell’esistere, producendo effetti de-realiz-zanti sulla realtà.L’immaginario era l’alibi del reale, in un mondo dominato dal principio direaltà. Oggi è il reale che è diventato l’alibi del modello, in un universo retto dalprincipio di simulazione. Ed è paradossalmente il reale che è diventato oggi la no-stra vera utopia – ma è un’utopia che non appartiene più all’ordine del possibile,perché non si può che sognare come un oggetto perduto71.La perdita di contatto con la realtà produce effetti particolarmente problematicisulla capacità relazionale delle persone. La cultura dei contatti certo esprime il bi-sogno di incontro, di condivisione, di comunità; risulta però molto difficile valutarela soddisfazione che la prossimità telematica e digitale assicura a questi bisogni.Bauman sul tema è assai severo: i legami, invece, diventano sempre più fragili evolatili, difficili da alimentare per periodi prolungati, bisognosi di una vigilanzacontinua, inaffidabili. I networks prendono il posto delle ‘strutture’ (di amicizia, af-finità, comunità); la ‘fedeltà/devozione’ viene sostituita dalle ‘connessioni’ (lalingua stessa ci mostra la differenza tra i due termini: l’idea della connessione -connection – procede parallela a quella di disconnessione - disconnection –, mentrela devozione - commitment – non ha un contrario linguistico diretto). Il veloce dete-rioramento di qualunque competenza, conoscenza, merito accumulato nel tempo(‘vali quanto il tuo ultimo successo’ è la frase tipo della saggezza spicciola dellasocietà liquida; ma, data la cultura liquido-moderna della dimenticanza, il ricordodel tuo ultimo successo è destinato a durare ben poco tempo) e la fragilità dei le-gami rende il ghiaccio su cui noi tutti pattiniamo sempre più sottile e pericolosocome mai in passato72. 70 CASTRONOVA E., Universi sintetici. Come le comunità online stanno cambiando la società el’economia, Milano, Mondadori, 2007, 92-93.71 BAUDRILLARD J., Cyberfilosofia, Milano, Mimesis, 2010, 10.72 BAUMAN Z., Una nuova condizione umana (Transizioni 13), Vita e Pensiero 2003, 67-68. 199 2.2.3. “Fit-man”: il corpo di NarcisoL’immagine che il mondo adulto fornisce di sé ai giovani fa molto pensare;certamente non sono eccessive le diagnosi che riconoscono nel narcisismo un trattoculturale intergenerazionale dai cospicui risvolti psicologici, economici e sociali.Viviamo, si dice, nell’epoca del narcisismo. E il povero Narciso, si sa, era so-prattutto un terribile egoista. Ciò che lo appassionava era esclusivamente se stesso,anzi la propria immagine, che contemplava, innamorato, riflessa nell’acqua. Dietroquell’immagine cercava di afferrare il suo Ego, che per lui era tutto. [...] Sappiamocome finì, con un annegamento. Tuttavia, e molto imprudentemente, oggi all’Ego,così come al culto di sé, si intitolano libri, trasmissioni, giornali. Si moltiplicano iper sé, yourself e altri periodici patinati, più svariate trasmissioni televisive e tutticompongono un rumoroso coro che incita a occuparsi sempre dello stesso esplora-tissimo pianeta: il proprio Ego, la sua immagine, le sue paturnie, ansie, velleità.L’intenzione è quella tipica delle epoche di malessere: star bene. Siccome l’indi-viduo avverte di non sentirsi benissimo, gli si consiglia di occuparsi sempre più disé, dei suoi malesseri, del suo Io mal mostoso. E così il poveretto sta semprepeggio. Infatti la cultura del narcisismo confonde (tra l’altro) il nostro povero om-belico (non a caso sempre più esibito dalla moda), con la cornucopia, la miticacoppa dell’abbondanza. Non è così, possiamo guardarcelo e riguardarcelo, ma nonne uscirà mai nulla e tanto meno oro e magici profumi. È una feritina che fatal-mente tende alla sporcizia, inutile girarci intorno o scrutarla con speciali obiettivi,non mostrerà mai altro che la sua insignificanza73.Una cultura di questo genere diventa confondente soprattutto per adolescenti egiovani alle prese con l’ambivalenza evolutiva di spinte narcisistiche; i modelli so-ciali ispirati all’apparenza, alla seduzione, all’estetizzazione del corpo impedisconoai giovani di trovare soluzioni credibili alla relazione con se stessi e con la propriaimmagine che vadano oltre quelle adolescenziali.Fanno molto riflettere corsi e ricorsi dei processi evolutivi nella nostra societàe non è certo un dato confortante che compiti di sviluppo tipicamente adolescen-ziali vedano ancora impegnati giovani e adulti.Eppure descrizioni dell’adolescenza di particolare efficacia sembrano descri-vere in modo assai convincente tratti assai diffusi delle condotte adulte.Narciso instaura una relazione molto intensa con il proprio nuovo corpo post-puberale, sessuato e generativo, e spesso lo palesa attraverso manipolazioni vio-lente alle quali lo sottopone, per controllarlo, modificarlo, abbellirlo fino a ridurlo auno scheletro o a caricatura del bronzo di Riace. Lo intaglia, gli infila metalli e mo-nili, inserisce sottocute inchiostri di china e lo tatua ad eterna memoria di ciò chesente di essere in quel preciso momento. Lo dimagrisce, lo palestra, lo dopa, lodroga, lo espone a rischi terribili con volteggi pericolosi, troppo audaci per essere 73 RISÈ C., Felicità è donarsi, contro la cultura del narcisismo e per la scoperta dell’altro,Milson, Sperling Paperback, 2004, 13-14. 200 evitati e troppo belli ed emozionanti per indurre ad una maggiore attenzione per lapropria incolumità, che evidentemente non coincide con quella del corpo. In molticasi ciò deriva dal fatto che Narciso non si sia mai identificato in quel corpo di pro-porzioni e apparenze assai modeste rispetto al suo intimo splendore, che appare tra-dito dalle sembianze del nuovo corpo74.La confusione che oggi circonda il rapporto con il corpo presenta i caratteri diuna grande sfida formativa: sfruttamento, svilimento, esibizione, mercificazione,manipolazione, idolatria sono forme di investimenti sulla corporeità che ne falsanoil significato fondamentale per l’esistere. Il corpo può essere presentato dagli adulticome una sorta di bene rifugio o di ridotta egoistica entro la quale combattere il tra-scorrere del tempo, la paura del futuro, del mondo e degli altri.Il paradosso di un’esistenza ossessivamente ripiegata sulle proprie sensazionicorporee in una sorta di sospensione delle relazioni con il mondo sembra divenutoun fatto di costume, ma le ossessioni cui conduce mostrano la precarietà del pro-getto. L’ideale della fitness cerca di cogliere le funzioni del corpo innanzitutto, esoprattutto, come ricevitore/trasmettitore di sensazioni. Si riferisce alla sua capacitàdi assorbimento; al modo in cui il corpo si sintonizza con le delizie che sono, o chepotrebbero essere offerte a piaceri noti, o anche ignoti, non ancora inventati, nem-meno immaginati, inimmaginabili allo stato attuale, ma destinati prima o poi aessere escogitati. Come tale la fitness non ha un limite massimo: essa è anzi defi-nita proprio dall’assenza di limite, o più precisamente dall’inammissibilità dellimite. Per quanto fit sia il tuo corpo, potresti renderlo ancor più ‘fit’. Per quanto fitpossa essere al momento, a tale condizione si mescola sempre, fastidiosamente, unaparziale assenza di fitness, che affiora o si intuisce ogni volta che confronti ciò chehai già sperimentato ai piaceri suggeriti dal sentire e dal vedere le gioie altrui chefinora non hai potuto provare e che puoi solo immaginare e sognare di vivere in testesso75.Le agenzie educative impegnate nella formazione dei giovani sono chiamate ariflettere sulla consistenza di un progetto uomo impregnato di narcisismo, e questoper indicare non solo l’impertinenza delle sue premesse, ma pure la minaccia deisuoi esiti. La monetizzazione di ogni esperienza ed espressione dell’umano nonrisparmia certo la dimensione corporea dell’esistere, con gli investimenti che la suaidolatria sembra ampiamente giustificare; se modelli educativi sapienti e persuasivinon sapranno tutelarle, le giovani generazioni rischieranno di essere abbandonate aquesta monetizzazione del narcisismo che favorisce la recrudescenza delle sueespressioni più problematiche.Il biocapitalismo è la forma più avanzata di evoluzione del modello economicocapitalistico. Una forma che si caratterizza per il suo crescente intreccio con le vitedegli esseri umani. In precedenza, il capitalismo faceva principalmente ricorso alle 74 PIETROPOLLI-CHARMET G., Fragile e spavaldo. Ritratto dell’adolescente di oggi, Roma-Bari,Laterza, 2008, 91.75 BAUMAN Z., Vita liquida, Roma-Bari, Laterza, 2008, 101. 201 funzioni di trasformazione delle materie prime svolte dai macchinari e dai corpidei lavoratori. Il biocapitalismo invece produce valore estraendolo, oltre che dalcorpo operante come strumento materiale di lavoro, anche dal corpo inteso nellasua globalità. Dunque, agisce su tutte le componenti biologiche e sulle dimensionimentali, relazionali e affettive degli individui. Ne consegue che deve presentarsiagli esseri umani in modo nuovo rispetto al passato, evidenziando un voltoumano, accattivante. Si spiega così perché sempre più le imprese propongano pro-dotti e marche come se fossero vere e proprie persone e si rivolgano agli individuioffrendogli un riconoscimento della loro identità, piuttosto che un beneficio o unservizio76.2.2.4. “Excited-man”: l’esperienza di IcaroUn contributo recente di una ricercatrice italiana nell’ambito della comunica-zione si avvale della metafora dei delfini ammaestrati per indicare il degrado delcostume collettivo e della cultura diffusa, prodotto dalla pressione del mezzo tele-visivo, soprattutto nella sua versione commerciale. Le osservazioni sono molto pro-vocatorie proprio per la sollecitudine educativa dalla quale sono animate. Quest’e-state, su richiesta della più piccola, ho portato al delfinario le mie figlie e sono ri-masta colpita da alcune interessanti analogie. La vasca mi è apparsa improvvisa-mente come una illuminante metafora del ruolo dei media nella contemporaneità.Per l’addestramento dei simpatici mammiferi viene usato un bastone di legno conuna sfera schiacciata, rossa, sulla punta. Il bastone rappresenta un’estensione delbraccio dell’istruttore (e quindi un ‘medium’, secondo la definizione di McLuhan)e si chiama target. I delfini, con il rinforzo di una ricompensa in sardine fresche,imparano a seguire i movimenti del target e quindi a roteare, saltare, inabissarsi...Una volta appreso l’esercizio, il bastone diventa superfluo, basta la ricompensa.L’analogia mi è sorta spontanea: la televisione è una sorta di grande target che, coimodelli che ci ha proposto soprattutto negli ultimi trent’ anni, in particolare conl’avvento delle televisioni commerciali e con la ricompensa del riconoscimento edell’applauso sociale (senso di essere come gli altri e nello stesso tempo illusionedi esprimere la propria individualità) ci ha addestrati a seguire istruzioni spesso as-surde, provocandoci per di più la gratificante sensazione, confermata dal plauso so-ciale, di essere dei performer, dei protagonisti attivi anziché dei semplici spettatori.È vero che la ragazza della porta accanto che entra nel cast del Grande Fratelloraggiungerà velocemente una celebrità (altrettanto veloce nell’estinguersi) sempli-cemente ‘esprimendo se stessa’: ma se gli ascolti si abbassano, l’invito ad accen-dere un po’ l’atmosfera, con i soliti ingredienti (risse, lacrime, sesso e trasgressionivarie) certo non mancherà, secondo un copione non scritto ma non per questo menopotente, che i “rinchiusi” conoscono benissimo. Non so perché, ma i delfini am-maestrati di Rimini mi hanno richiamato immediatamente le performative au- 76 CODELUPPI V., Il biocapitalismo. Verso lo sfruttamento integrale di corpi, cervelli, emozioni,Torino, Bollati e Boringhieri, 2008, 7. 202 diences di cui discettano tanti manuali contemporanei di studi sui media, i cui pre-supposti impliciti sono totalmente e aproblematicamente congruenti con le pre-messe implicite della cultura contemporanea77.È difficile dare torto alla severa lettura dell’autrice sui pericoli di impoveri-mento etico e culturale cui il nostro tempo espone i giovani attraverso la spettacola-rizzazione di eventi e celebrazioni di personaggi che nascondono dietro un’appa-rente audacia e spregiudicatezza l’obbedienza al copione del momento e al palin-sesto economicamente più promettente.La qualità dei sogni che la nostra civiltà catodica veicola è preoccupante; ilsogno di celebrità costruito attraverso la televisione ha ben poco di creativo, di ori-ginale, di audace, ma la sua triste monotonia contraffatta da qualche bagliore super-ficiale non lo rende meno seducente ed accarezzato.Dovrebbe far riflettere soprattutto gli educatori quel sodalizio pericoloso traaspirazioni, sogni, slanci di basso profilo – ma promozionati con clamore daimedia – e il culto dell’eccitazione più che dell’emozione sempre più diffuso e con-fuso ma pure accreditato come indice di qualità dell’esperienza; le due tendenze sirinforzano reciprocamente e offuscano la coscienza personale e collettiva che nonne percepisce l’insidia.Se si rinuncia a un mondo comune, se ciascuno persegue individualmente lapropria autorealizzazione in un mondo generalmente e genericamente definito “arischio”, la gratificazione non può arrivare dal futuro, ma va cercata adesso. “Lifeis now”, recita lo slogan di una nota compagnia di servizi telefonici (che peraltroaveva già espresso mirabilmente il nuovo ethos iperindividualista con lo sloganprecedente “tutto intorno a te”). Le retoriche mediatiche contemporanee sono infar-cite del termine “esperienza”, evocata nella sua accezione più banale e riduttiva diintensità sensoriale-emozionale. La rinuncia al mondo comune, in cui ciascunopone un limite alla propria volontà di affermazione di sé per potersi armonizzarecon gli altri, diventa anche abdicazione alla ragione intesa come ragionevolezza,capacità di esprimere valutazioni, distinzioni, di stabilire una distanza rispetto allecontingenze78.Il tipo umano generato dall’adesione a questi sogni di basso profilo, che scom-mettono su sensazioni elementari ma di forte intensità, è una sorta di nuovo Icaro,alla ricerca di un sole non troppo distante, ma affascinato dall’idea di ardere – finoa bruciarsi – per sentirsi vivo. Il consumo di emozioni istantanee nella ricerca difonti sempre nuove di eccitazione plasma quella che è stata efficacemente descrittacome personalità istantanea.La Personalità istantanea educata nel rapporto con il mondo degli audiovisivi enell’adesione immediata al godimento effimero e momentaneo, non riesce ad ela-borare i propri vissuti nelle forme della durata e stabilità del desiderio e della pas- 77 GIACCARDI C., Dal Paese catodico a egolandia. Una riflessione su media e crisi culturale, «LaRivista del Clero Italiano» 90 (2009/9) 583-595, qui 584-585.78 GIACCARDI C., Dal Paese catodico a egolandia..., 586. 203 sione: vive in una sorta di universo gelato dove non può esserci lo spazio-mentaleper una coscienza critica e per un progetto di cambiamento79.Così, paradossalmente, ciò che più manca in tempi di iperstimolazione emo-tiva e di eccitazione dilagante è l’educazione di questo plesso dove molto si decidedell’equilibrio e dell’identità umana. Manca un’educazione emotiva: dapprima infamiglia, dove i giovanissimi trascorrono il loro tempo in quella tranquilla solitu-dine con le chiavi di casa in tasca e la televisione come baby-sitter e poi a scuolaquando, sotto gli occhi molto spesso appannati dei loro professori ascoltano paroleinincidenti, che fanno riferimento ad una cultura troppo lontana da ciò che la televi-sione ha loro offerto come base di reazione emozionale. E così la loro sensibilitàfragile introversa e indolente, che la scuola si guarda bene di educare, tracolla inquell’inerzia a cui li aveva allenati l’apprendimento passivo davanti al video e oggidavanti a internet, con frequenti fughe nel sogno o nel mito, nella ricerca neppuretroppo spasmodica di un’identità, di cui troppo spesso si dubita di poter reperire lafisionomia, per incapacità di rintracciare radici emotive proprie. Il tutto condito daun acritico consumismo, reso possibile da una società opulenta, dove le cose sono adisposizione prima ancora che sorga quell’emozione desiderante, che quindi non èsollecitata a conquistarle e perciò che consuma con disinteresse e snobismo inmodo individualistico, dove il pieno delle cose sta al posto del vuoto delle relazionimancate80. 3. IMPEGNATI IN UNA RINNOVATA AZIONE PERSONALE Dopo l’ascolto della chiamata di Dio, attraverso la riflessione sul Magisterodella Chiesa e della Congregazione e dopo uno sguardo alle emergenze educativecon le quali si misura la nostra missione, è importante segnalare qualche prioritàper sostenere il discernimento della scuola e della Formazione Professionale dei sa-lesiani d’Italia, discernimento necessario a garantire la qualità ecclesiale, carisma-tica ed educativa della nostra proposta.Potrebbe aiutarci un brano provocatorio delle Confessioni di Agostino, capacedi illuminare questa ricerca di criteri concreti di orientamento per la nostra azione.Aspiravo al successo, ai soldi, al matrimonio, e tu te ne ridevi. Per queste miepassioni soffrivo tutto l’amaro delle contrarietà, ed era tuo favore questo, tanto piùgrande quanto era minore la dolcezza che mi lasciavi assaporare in cose diverse date. [...] Quanto ero infelice e cosa hai fatto tu per farmela sentire tutta, la mia infeli-cità. Come quel giorno in cui mi preparavo a un discorso in lode dell’imperatore:avrei detto un mucchio di bugie e sarei stato applaudito da gente che lo sapeva. Col 79 BARCELLONA P.- VENTORINO F., L’ineludibile questione di Dio, Genova-Milano, Marietti, 2009,131. 80 GALIMBERTI U., L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Milano, Feltrinelli, 20086, 11. 204 cuore affannato e febbricitante di pensieri nefasti passavo per un certo vicolo diMilano, quando notai un pezzente che credo fosse già gonfio di vino, tanto era al-legro e in vena di scherzare. Trassi un profondo sospiro e agli amici che mi accom-pagnavano presi a dire dei molti dispiaceri che la nostra follia ci procurava: perchétutti i nostri sforzi – quelli che ora mi angustiavano ad esempio, mentre sotto lasferza delle mie ambizioni trascinavo il carico della mia infelicità e trascinandololo ingrossavo – non miravano ad altro che ad arrivare a quella spensierata conten-tezza dove quel pezzente ci aveva già preceduto, mentre forse noi non ci saremmoarrivati mai. Quello che lui s’era già guadagnato con pochi spiccioli avuti in elemo-sina, io lo inseguivo per vie scoscese e torte, a gran fatica: era questa, la soddisfa-zione di una felicità terrena. Non era vera gioia la sua, ma io con quelle mie ambi-zioni ne cercavo una assai più falsa. E lui comunque era contento, io pieno d’ansia;lui era spensierato, io tesissimo81.Agostino, con molta serietà, rilegge un’esperienza di vita nella quale è statocostretto a misurare la qualità della sua gioia rispetto alla qualità della gioia diquello che oggi chiameremmo un emarginato. Il grande retore, in ansia per il dis-corso da tenere all’Imperatore, ha l’impressione non solo di trovarsi sulla via di unafalsa felicità, ma di non saperla neppur percorrere, tanto che un miserabile – avva-lendosi di qualche espediente – riesce persino ad apparire più felice di lui.Proviamo a tradurre per noi la riflessione agostiniana.Il nostro servizio educativo vuole raggiungere destinatari sovente segnati da si-tuazioni di marginalità, oppure dà fondo con generosità all’impegno preventivo perscongiurare il pericolo di devianze e fallimenti esistenziali, o, ancora, lavora inmodo sacrificato per fornire opportunità ai giovani di oggi perché siano costruttoridel loro domani. Quello però su cui scommettiamo propositivamente – la cultura, illavoro, la socialità, gli interessi, il senso del tempo libero – si può offrire coerente-mente ai nostri destinatari come inscrivibile in un progetto di vita riuscito? Ago-stino ci mette in guardia proprio da un equivoco: la sua posizione sociale poteva es-sere ritenuta di assoluto successo, indicatore di una vita culturalmente e social-mente riuscita, ma non sarà neppure necessaria la fede per rilevarne l’inconsi-stenza; basterà l’incontro con un emarginato per privarla di quella patina superfi-ciale che sembra renderla convincente e appetibile.La nostra missione deve preoccuparsi di raggiungere i giovani per prevenire lemarginalità che la nostra società non sa e non può integrare, ma deve nel contempochiedersi se il modello sociale, culturale, antropologico che ispira e finalizza il suoservizio costituisca un’alternativa plausibile a quella marginalità o non sia inveceindesiderabile e inaffidabile per gli stessi giovani, o lontano dalla verità del loro es-sere in Cristo.Il CG 26 ha tracciato la via anche per il nostro impegno nella scuola e nellaFormazione Professionale. Avvertiamo l’evangelizzazione come l’urgenza princi- 81 AGOSTINO, Confessioni, Milano, Garzanti, 1990, VI. 6.9-10. 205 pale della nostra missione, consapevoli che i giovani hanno diritto a sentirsi annun-ciare la persona di Gesù come fonte di vita e promessa di felicità nel tempo e nel-l’eternità82. Questa indicazione del Capitolo potrà trovare ascolto e divenire formariconoscibile della nostra missione solo se a decidere il profilo dell’azione educa-tiva saranno i caratteri dell’esperienza di fede. Li vorrei richiamare secondo unadeclinazione salesiana attenta alle urgenze attuali e ai contesti della Scuola e For-mazione Professionale della nostra missione. 3.1. Il Vangelo della famiglia: koinonia salesiana e prossimità educativaLa novità della fede cristiana ha nella comunione ecclesiale una sua dimen-sione costitutiva, prima che un suo segno distintivo. La comunione ecclesiale nascedall’annuncio del Vangelo e dalla celebrazione del mistero Pasquale. Se la nostramissione vuole qualificarsi come missione ecclesiale non può mancare di essereidentificabile per la qualità della comunione cristiana, fedele riflesso dei gesti chela generano. Ma se la nostra missione intende garantirsi per credibilità carismatica,non può non fornire una testimonianza della comunione secondo la forma dello spi-rito di famiglia.L’attenzione alla didattica, ai programmi, alla strategia formativa – che oppor-tunamente deve caratterizzare la nostra presenza nella scuola e nella FormazioneProfessionale – non può distrarre dalla verifica della koinonia cristiana e salesianache deve permettere di riconoscere i nostri ambienti come luoghi di fede permeatidallo spirito di don Bosco.Fuori da questa prospettiva la nostra missione mutuerebbe la forma della pro-pria organizzazione e – di riflesso – della relazione e collaborazione dei suoi prota-gonisti da modelli gestionali di altra matrice e l’educazione nella fede si ridurrebbea servizio specifico erogato dallo sportello di un’agenzia altrimenti determinata.La storia della missione cristiana – gli Atti degli Apostoli ce lo ricordano inmodo paradigmatico – conosce invece una decisiva determinazione della formadella missione ad opera del suo contenuto, contenuto che per la sua indole totaliz-zante non può essere posizionato come servizio accessorio o supererogatorio diqualche strategia socioculturale; la forma nella quale il Vangelo della carità è an-nunciato è la carità medesima, che plasma l’inaudito relazionale della koinonia ec-clesiale.Conseguentemente, se la nostra missione vuole ispirarsi alla koinonia sale-siana, lo spirito di famiglia deve trovarvi inequivoca testimonianza.E non c’è forse dono più prezioso che i giovani possano aspettarsi da noi inquesto tempo, ma non c’è forse sfida più impegnativa per la nostra attività aposto-lica.Lo spirito di famiglia tipico di una comunità educativo pastorale che ha comenucleo animatore dei consacrati secondo lo spirito di don Bosco deve distinguersi 82 Da mihi anima cetera tolle, ACG 401 (2008), n. 24. 206 per la testimonianza escatologica della verità ultima della famiglia secondo il cuoredi Dio. E tale verità è urgente in un contesto culturale e di costume massimamenteconfuso a proposito del compito e dell’essenza della famiglia; compito ed essenzasovente sepolti dalla spettacolarizzazione di convivenze ispirate ad intemperanze,arbitri e sperimentazioni di una società egoista. Solo una comunità educativo pasto-rale nutrita dal Pane della Parola, del Perdono e del Corpo del Signore può renderetestimonianza di un autentico spirito di famiglia, che testimonia la verità filiale e ladignità fisica e spirituale di ogni esistenza, il carattere ministeriale della paternità,della maternità, della cura e dell’educazione, l’irrevocabilità e la gratuità della de-dizione a beneficio della crescita integrale di ogni figlio dell’uomo. Solo lo spiritodi famiglia, coltivato come esigenza intrinseca dell’esperienza di fede anzitutto daparte della comunità salesiana nucleo animatore della CEP, può sostenere una pros-simità ai giovani salesianamente preventiva; l’alternativa di nuovo sarebbe il qua-lunquismo educativo, il genericismo pastorale, la superficialità spirituale.Occorre un impegno deciso per l’elaborazione, l’approfondimento, la trasmis-sione di una cultura della famiglia, che potrebbe essere labile in noi a seguito dellepressioni culturali più disparate, e potrebbe essere controversa nell’esperienza deinostri collaboratori, prima che smentita nell’esistenza di molti nostri destinatari. Lanostra formazione qui si presenta come sfida impegnativa ed attualissima; saremmoingenui se pensassimo di non risentire di una cultura incapace di riconoscere la ve-rità della famiglia o se ritenessimo di averne profondamente interiorizzato la novitàcristiana coerente con la sua origine ed il suo destino nel cuore di Dio. Per questoil compito della riflessione si apre davanti a noi in tutto il suo fascino e la suaurgenza, per ispirare poi un vero annuncio ed una vera formazione al Vangelo dellafamiglia.Ma il Vangelo della famiglia attende, per essere credibile, di diventare pro-fezia, grazie alla nostra testimonianza vocazionale, fedele al cuore di don Bosco.Collaboratori e giovani si attendono questa testimonianza dalla comunità salesianae i nostri destinatari hanno diritto di chiedere questa testimonianza alle CEP che sipongono al loro servizio.In radice, sarà, però, la robustezza della nostra vita consacrata salesiana che,facendosi spiritualità contagiosa, per la forza dello Spirito, accrediterà questa cul-tura della famiglia indispensabile per il nostro tempo. 3.2. Il Vangelo della verità: educazione salesiana e “martyria” della fedeLa carità e la verità ci pongono davanti a un impegno inedito e creativo, certa-mente molto vasto e complesso. Si tratta di dilatare la ragione e di renderla capacedi conoscere e di orientare queste imponenti nuove dinamiche, animandole nellaprospettiva di quella «civiltà dell’amore» il cui seme Dio ha posto in ogni popolo,in ogni cultura83. 83 Caritas in veritate, n. 33. 207 La nostra missione nella scuola, se vuole risultare autenticamente evangelica,deve essere capace del coraggio culturale cui ci richiama la Caritas in Veritate, co-raggio del quale abbiamo potuto cogliere i profili attraverso la lettura dei docu-menti del Magistero sui quali ci siamo soffermati.La fede cristiana, ce lo insegna la Scrittura, è costitutivamente conoscenza, co-noscenza nella Verità di Dio della Verità di Dio, dell’uomo e del mondo. La fede hai caratteri di una relazione, ma una relazione che plasma radicalmente la libertànella quale si produce l’intelligenza che in essa si esprime, gli affetti che ne confes-sano la consistenza. Per questo la fede non può che prodursi come verità della testi-monianza e testimonianza della verità. Ogni verità viene riconosciuta dentro l’esi-stenza umana secondo una consegna di sé; anche la più piccola delle verità del vi-vere si mostra tale quando fruttifica in una libertà che vi aderisce nell’obbedienza,e vi trova giustificazione nel suo agire. Producendosi nella storia di una libertà chele obbedisce, la verità si offre ad altre libertà, si fa visibile nel suo valore, diventatestimonianza.Nel caso della fede però la coscienza umana è, per la potenza di Dio – in Lui egrazie a Lui – in rapporto con Dio, dunque con la Verità. Consegnarsi a questa Ve-rità significa riconoscervi il senso ultimo dell’uomo, del mondo, di Dio. La fedenon viene da una ricerca dell’uomo alle prese con le contraddizioni del cosmo edella storia, viene da un annuncio, dal favore di Dio che mostra il suo Volto. E laVerità di Dio creduta diventa testimonianza, testimonianza della Verità. Dovremmocoraggiosamente chiederci se le figure di verità, di libertà, di fede offerte dalla no-stra cultura sappiano onorare questo dinamismo dell’esperienza cristiana. Il peri-colo cui si espone la nostra missione è quello di porsi in rapporto con la cultura do-minante talvolta con senso di inferiorità o di rassegnazione, talvolta con qualchesuperficialità e inconsapevolezza; forse non ce ne accorgiamo, ma con questi atteg-giamenti pregiudichiamo la testimonianza della fede. La Chiesa delle origini nonebbe dubbi, il Magistero continua a ricordarcelo: si servì dell’infrastruttura concet-tuale resa disponibile dalla filosofia greca, per disporre di una mediazione culturalenecessaria onde rendere ragione della propria speranza. Ma il principio ermeneu-tico fondamentale che ispirò il suo discernimento culturale fu la Storia del Signore,la celebrazione della Memoria vivente dei suoi gesti, l’ascolto fedele della novitàdelle sue parole: di qui la teologia nacque come autointelligenza della fede.Oggi anche le nostre istituzioni formative debbono vivere di quel coraggio cul-turale: la fede deve essere principio di discernimento delle mediazioni culturali chene vogliono possibilizzare la testimonianza, l’annuncio, la comprensione.L’alternativa è una consacrazione della cultura del momento ed una subordina-zione ad essa della verità della fede.I contenuti della nostra didattica, le sue forme, le Weltanschauungen entro lequali iscriviamo il senso e la possibilità delle diverse discipline devono lasciarsipurificare dal Vangelo, se non vogliono pregiudicarne l’annuncio. Ci potrebbe ac-cadere di formare inconsapevolmente l’intelligenza dei nostri destinatari a forme di 208 pensiero ostili alla fede e, se questo accadesse, saremmo noi a marginalizzare edostacolare il nostro stesso annuncio del Vangelo, confinato ai momenti liturgici o diformazione religiosa programmati dalle nostre CEP.Sono urgenti sinergie culturali che sostengono la comune necessità di un pen-siero della fede; sinergie che ispirano un più convinto discernimento di progetti,strumenti e pratiche didattiche, educative e formative.Senza un investimento sulla formazione nostra e dei nostri collaboratori ad uncompetente servizio cristiano all’intelligenza, non potremo superare la marginalitàculturale del Vangelo; da una simile marginalità viene l’inconsistenza della praticacredente. Fare del Vangelo il principio della nostra offerta formativa significa nonrelegarlo a contenuto trasmesso nel contesto di qualche esperienza religiosa o stu-diato in qualche disciplina didattica; significa piuttosto verificare la coerenza evan-gelica dei modelli antropologici, cognitivi, etici, sociopolitici, promossi dal nostroservizio scolastico e formativo nel complesso e nella particolarità delle sue scelte edelle sue concretizzazioni. 3.3. Il Vangelo della speranza: “leitourgia” salesiana ed escatologia della vitaUna dimensione costitutiva della fede è quella liturgica: qui la fede confessal’implicazione di Dio nell’esercizio della libertà. La nostra missione, non può es-sere significativa per la crescita dei giovani nella fede fuori da una formazione alsenso cristiano della liturgia.Le sfide dell’eterogeneità dei cammini di fede dei giovani, della crescente dif-fusione di forme di analfabetismo religioso, l’apertura delle nostre opere a giovanidi religioni non cristiane può rendere imbarazzata e rapsodica la proposta di espe-rienze liturgiche, con l’esito di un crescente indebolimento dell’annuncio esplicitodel Vangelo.Proprio la complessità del contesto nel quale operiamo rende però urgentel’annuncio della novità sorprendente dello spirito liturgico cristiano, buona notiziaper il mondo e risposta alla solitudine disperata nella quale l’uomo si trova dopol’esercizio dei suoi forsennati prometeismi.La buona notizia della liturgia cristiana consente anzitutto di superare la com-prensione equivoca della separazione tra sacro e profano, separazione che la culturaed il costume continuano contraddittoriamente a sostenere. L’Incarnazione rivela ilgesto senza pentimento di Dio che, nella sua libertà, vuole il mondo, ed in essol’uomo, per un mistero di libertà e amore che cerca corrispondenza e comunionenella storia e per l’eternità.La familiarità con questo Dio ispira l’atto liturgico, che non si produce – comeinvece affermano le condotte magiche e fataliste proliferanti anche nel mondo po-stilluminista – all’insegna di un sequestro di spazi, tempi e gesti particolari, neiquali l’uomo soddisfa un Assoluto bramoso di dominio, ne blandisce le intempe-ranze, tenta di propiziarsene i favori, onde poter poi soggiornare nello spazio suoproprio – quello profano – senza temere le vendette del Sacro. Gesù vive la sua vita 209 come culto a Dio, riconoscendo nella comunione ininterrotta con l’Abbà la veritàdi ogni istante ed evento della vita. I suoi gesti terreni, fondativi della liturgia cri-stiana, mostrano che questa è celebrazione della verità dell’esistere come luogo diincontro con l’amore misericordioso e fedele di Dio.La liturgia cristiana sa che l’atto celebrativo – con la sua disciplina, i suoispazi, tempi e gesti – non apre una parentesi sacra in un’esistenza profana, ma con-fessa la radice sacra cui ogni gesto profano deve la sua consistenza, la sua possibi-lità, il suo valore, la sua serietà storica ed escatologica.Formare alla liturgia significa formare alla verità della vita nel suo spessoresimbolico, chiaramente ricordato dall’insegnamento di Paolo ai Corinzi. Non deveingannare la corruttibilità della seminagione nel tempo: la potenza della Resurre-zione ne trarrà frutti d’eternità. Fuori da una forte coscienza liturgica tale veritàdell’esistere è dimenticata ed equivocata.L’unica alternativa gioiosa e liberante alle speranze artificiali ed alla cultura dimorte viene dalla celebrazione del Mistero del Signore, speranza per il mondo, e dauna consapevolezza del senso liturgico del vivere, che restituisce ai gesti dell’uomoriscatto, custodia e speranza.La missione salesiana, soprattutto nella Formazione Professionale, è singolar-mente sfidata: la cultura contemporanea fatica a comprendere l’esperienza del la-voro e le sue contraddizioni, poiché le ascrive a ragioni di carattere sociale, poli-tico, economico; così ignora la verità del lavoro, la sua finalità e il suo bisogno diriscatto. Non possiamo correre il rischio di preparare i giovani al futuro senza for-mare la loro coscienza alla verità evangelica del lavoro; è questa verità a smasche-rare la precarietà del sogno prometeico e narcisista degli uomini di oggi e a vincerele loro tentazioni di fuga in mondi sintetici o nella trasgressione. Solo l’alleanzacon Dio rende il lavoro degno dell’uomo e supera l’equivoco dell’antropocen-trismo, che vorrebbe rendere la libertà finita protagonista solitaria del corso mon-dano con progetti edonistici ed egoistici. Allora una Formazione autenticamenteProfessionale, come una scuola che voglia onestamente avviare alla vita, deve ca-ratterizzarsi per una evangelizzazione del lavoro, cui è essenziale il soccorso dellaliturgia cristiana che ne celebra il riscatto e la destinazione. Giova da ultimo preci-sare che proprio il rapporto, nell’esperienza di fede, tra leitourgia e martyria ri-flette, a partire dalla sua radice teologale, l’unità inscindibile dell’attitudine del-l’uomo a fare e a conoscere; questa antropologia integrale fornisce gli strumenti persuperare le contrapposizioni ideologiche tra cultura e lavoro che ancora caratteriz-zano non poche teorizzazioni pedagogiche e tradizioni normative.La grande intuizione di don Bosco di una scuola che forma al lavoro e di unaformazione al lavoro culturalmente solida non si spiegherebbe fuori da una conce-zione liturgica della laboriosità; non si spiegherebbe fuori da una visione della fedecome sapere del quale rendere ragione; non si spiegherebbe fuori dalla coscienzadella necessità per la fede di divenire vita laboriosa e dell’urgenza per la fatica quo-tidiana di nutrirsi di fede. Va pertanto affermato come alla testimonianza vocazio- 210 nale di ogni confratello ed alla significatività escatologica della vita della comunitàsia anzitutto consegnata la responsabilità di annunciare il Vangelo della speranza edella laboriosità per il Regno.La prossimità educativa ai giovani, in una scuola che voglia formare alla vita,deve scommettere su questa testimonianza, capace di ispirare una cultura del lavoroche ne annuncia il profilo liturgico ed il senso escatologico. Saranno allora la no-stra formazione e la nostra testimonianza a condurre le CEP nelle quali operiamo adivenire luoghi originali di esperienza del valore teologale del lavoro, valore che ri-splende nella vita di don Bosco. 3.4. Il Vangelo della carità: “diakonia” salesiana e compimento della libertàL’ultima dimensione costitutiva dell’esperienza di fede attiene alla diakonia. Sitratta di una dimensione alquanto provocatoria tanto per la forma che per il conte-nuto della nostra missione: la carità è la forma del nostro servizio ai giovani, ma èanche il dono evangelico cui i giovani vanno formati perché la loro vita si orienti aun compimento autentico in Dio.Verificare la qualità formativa della nostra missione nella scuola e nella For-mazione Professionale significa interrogarci sulla qualità evangelica ed educativadella nostra carità. Di nuovo il Magistero e le riflessioni capitolari ci hanno istruiti:non ci può essere carità salesiana fuori dall’educazione alla verità e nella verità delVangelo. La verità dell’uomo è il dono di sé, regolato sul dono di Dio dispiegatosinella Creazione e nella Redenzione. La nostra missione deve distinguersi perquesta forma diventando buona notizia della dedizione in una cultura soffocata dal-l’utilitarismo.La verità di un amore che si irrobustisce nel sacrificio ha bisogno di raggiun-gere i giovani, oggi quanto mai confusi circa il senso delle loro emozioni e dei loroaffetti: sarà la testimonianza della nostra carità educativa a contagiarli e a far loroscoprire, nel dono di sé, il senso vero della vita.Solo il coraggio della nostra vita radicalmente donata autorizzerà e renderàcredibili proposte audaci di dedizione e servizio che debbono raggiungere i destina-tari della missione affinché facciano esperienza del senso autentico della loro li-bertà. L’egoismo ha trovato nel nostro mondo troppe legittimazioni culturali e haplasmato i fini del lavoro, del progresso, dell’economia. Non è nominale il pericolodi formare in una prospettiva egoistica e secondo un pensiero egoistico.La qualità della nostra testimonianza, la verifica della cultura che trasmet-tiamo, la profondità delle esperienze di servizio che assicuriamo faranno dei nostriambienti scuole di diakonia, scuole di vita cristiana. La Caritas in veritate può illu-minare il nostro compito con estrema chiarezza; rielaborando in forma radical-mente evangelica la nozione di sviluppo – che forse nella sua declinazione antropo-centrica continua ad avere eccessiva influenza nella definizione del nostro servizionella scuola e Formazione Professionale – ci ricorda le dimensioni fondamentali diuna vera educazione alla vita. 211 Lo sviluppo implica attenzione alla vita spirituale, seria considerazione delleesperienze di fiducia in Dio, di fraternità spirituale in Cristo, di affidamento allaProvvidenza e alla Misericordia divine, di amore e di perdono, di rinuncia a sestessi, di accoglienza del prossimo, di giustizia e di pace. Tutto ciò è indispensabileper trasformare i “cuori di pietra” in “cuori di carne” (Ez 36,26), così da rendere“divina” e perciò più degna dell’uomo la vita sulla terra. Tutto questo è dell’uomo,perché l’uomo è soggetto della propria esistenza ed insieme è di Dio, perché Dioè al principio e alla fine di tutto ciò che vale e redime: “Il mondo, la vita, la morte,il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio” (1Cor3,22-23).Dio principio è al principio di tutto ciò che vale e redime: se non fosse diakoniadi questa verità, di straordinario impatto pratico ed affettivo, la nostra missione tra igiovani non sarebbe ecclesiale e non sarebbe salesiana; sortirebbe un tradimento for-mativo piuttosto che sostenere un autentico sviluppo della persona.Nella cultura dell’effimero, nella quale labilità e mutevolezza dei criteri di di-scernimento adottati nei diversi frangenti dell’esistere rendono difficili una coe-renza di vita, una progettualità decisamente orientata al compimento di sé nel-l’amore, una solidità affidabile, una speranza coraggiosa, solo una cultura ed unapratica delle virtù teologali può costituire una via di riscatto rispetto alle sirene delnichilismo, dell’illusione e della superficialità.Una formazione nella fede, nella speranza e nella carità, che permettono diamare la vita come dono di Dio può sostenere un cammino verso la pienezza deldono di sé; cultura e lavoro necessitano di questa evangelizzazione, per trovare cia-scuno il proprio riscatto e aprirsi alla reciprocità di una sinergia rispettosa dell’inte-grità dell’uomo, della sua intelligenza e della sua libertà fatta per amare. A questoriscatto e a questa apertura si deve dedicare con generosità la nostra missione. Se,come don Bosco, sapremo servire la Grazia, quella relazione di intimità con Dio,che la fede, la speranza e la carità radica nel cuore dei giovani, allora saremo auten-tici maestri di vita.La vita nel senso vero non la si ha in sé da soli e neppure solo da sé: essa è unarelazione. E la vita nella sua totalità è relazione con Colui che è la sorgente dellavita. Se siamo in relazione con Colui che non muore, che è la Vita stessa e lo stessoAmore, allora siamo nella vita. Allora “viviamo”84. 84 Spe salvi, n. 27. 213 La pastorale giovanile salesiana, 2010Pascual CHÁVEZ VILLANUEVA Il 25 aprile 2010 il Rettor Maggiore pubblica la lettera dal titolo“La pastorale giovanile salesiana”.Con questa lettera il Rettor Maggiore si propone di “offrire unavisione coerente e chiara dello stato attuale della PastoraleGiovanile Salesiana”, augurandosi anche che i contenuti dellalettera diventino oggetto di studio da parte degli Ispettori, Con-sigli ispettoriali, direttori e formandi.Dopo aver richiamato il cammino della Congregazione nellosviluppo della pastorale giovanile salesiana postconciliare (1punto) e tratteggiato le caratteristiche salienti della pastoralegiovanile salesiana attuale (2 punto), il Rettor Maggiore si sof-ferma sui diversi settori della pastorale giovanile salesiana.Qui si riportano le riflessioni connesse alla scuola e alla forma-zione professionale. 1. I DIVERSI SETTORI DELLA PASTORALE GIOVANILE SALESIANA La pastorale giovanile salesiana si attua in un determinato territorio attraversouna “pluralità di forme, determinate in primo luogo dalle esigenze di coloro a cui cidedichiamo” (Cost. 41) e degli ambienti in cui i giovani vivono, soprattutto gli am-bienti di impoverimento economico, politico e culturale. Attraverso questa pluralitàdi opere e di servizi si manifesta la sua unità e allo stesso tempo la sua ricchezza.Ogni opera e struttura apporta la propria specificità all’insieme e contribuisce a rea-lizzare il criterio oratoriano dell’art. 40 delle Costituzioni. Per esprimere con chia-rezza questa unità della pastorale salesiana nel territorio e nella Chiesa locale le di-verse opere e servizi che costituiscono una presenza salesiana in un determinatoterritorio devono pensarsi in mutuo riferimento e complementarità.1 1.1. La Scuola e il mondo della educazione formaleLa presenza salesiana nel campo dell’educazione formale e in particolare nellascuola è una delle più consistenti, significative e diffuse.Nel 2007 la Congregazione era responsabile di 1208 Istituti scolastici di di-versi livelli, con un po’ più di un milione di allievi, soprattutto nella fascia deipreadolescenti, anche se in quest’ultimo sessennio sono notevolmente cresciuti gliallievi delle scuole superiori, e in particolare di quelle di livello universitario. ISalesiani che lavorano nel campo scolastico sono 2286 a tempo pieno e 1364 a 1 Cfr. DICASTERO PER LA PASTORALE GIOVANILE. La Pastorale Giovanile Salesiana. Quadro di ri-ferimento fondamentale. Seconda edizione, Roma 2000, pag. 63-64. 214 tempo parziale, con la collaborazione di una schiera assai grande di laici, quasi60.000.La scuola salesiana è una presenza cristiana significativa nel mondo dell’edu-cazione e della cultura; aiuta i giovani a prepararsi dignitosamente per la vita e con-tribuisce a formare la mentalità ed a trasformare la società secondo i valori umani ecristiani; per questo è uno strumento fondamentale per l’evangelizzazione. In pa-recchie nazioni dell’Asia o dell’Africa la scuola è sovente l’unica forma di pre-senza di Chiesa consentita e in essa la comunità cristiana offre una testimonianza diservizio disinteressato ai settori più poveri della società, un ambiente umano per-meato dai valori evangelici, come testimonianza silenziosa di Gesù Cristo e anchecome una preziosa opportunità per le famiglie cristiane del posto di educare cristia-namente i propri figli.In questi anni la Congregazione ha fatto un notevole sforzo per rinnovare lasua presenza in questo campo, soprattutto nei seguenti aspetti principali:1° La qualità educativa e pastorale dell’ambiente in cui si vive, dei programmi edelle proposte che si offrono, della metodologia che si adopera, delle stessestrutture e risorse materiali, delle persone in essa impegnate, attraverso unPEPS operativo e condiviso da tutta la comunità educativa, in modo che di-venti capace di orientare e guidare la dinamica quotidiana della scuola.In questo senso è importante superare il pericolo di considerare la pastoralecome un settore accanto ad altri, piuttosto che la qualità di tutta la vita dellascuola, della cultura, della metodologia, dei rapporti, delle proposte, ecc. chein essa si presentano e si realizzano; sovente ciò è ben presentato nei docu-menti, ma rimane una sfida da riuscire a tradurre in pratica nella vita quoti-diana della comunità educativa.2° La comunità educativo-pastorale: impegnarsi a costruire la scuola come comu-nità umana al servizio dell’educazione e dell’evangelizzazione dei giovani enon soltanto come un’istituzione di servizi educativi. Una scuola è una comu-nità educativo-pastorale quando in essa il centro è costituito dalle persone, so-prattutto i giovani, con rapporti interpersonali, con la condivisione dei valoridella pedagogia e della spiritualità salesiana, con il coinvolgimento e il prota-gonismo di tutti nelle loro diverse funzioni.3° Una scuola piattaforma di efficace e normale evangelizzazione, in modo spe-ciale attraverso la promozione e trasmissione di una cultura e di una mentalitàispirata ai valori evangelici. La pastorale giovanile salesiana nel campo dell’e-ducazione deve promuovere nei giovani non soltanto una vita cristiana, maanche una cultura ispirata alla fede e ai valori evangelici, che sia un’alternativaalla cultura dell’ambiente sovente caratterizzata dal secolarismo, relativismo,soggettivismo, consumismo.I contenuti culturali che si offrono nella vita quotidiana di una scuola, nelle di-verse discipline, nella metodologia, nell’ambiente e nei rapporti, ecc. non sem-pre ricevono l’attenzione che necessiterebbero per garantire una coerenza tra 215 i contenuti trasmessi o le metodologie adoperate e i valori della fede cristiana,in modo che questa informi efficacemente la vita personale, professionale e so-ciale delle persone e si stabilisca un fecondo rapporto tra fede e cultura.4° Una scuola attenta e aperta ai giovani più poveri; con una dinamica e una me-todologia che previene il fallimento scolastico e aiuta a superarlo con corsi direcupero, scuole serali per i giovani che si trovano fuori della struttura scola-stica, ecc.; che promuove, attraverso diverse materie e attività proposte, il con-tatto e l’inserimento nella realtà sociale, per scoprire le cause delle situazionidi emarginazione e di esclusione che in essa si vivono e per suscitare l’im-pegno per superarle; una scuola che promuove la cultura del dialogo, della col-laborazione, dell’accettazione del diverso, della solidarietà.Questi obiettivi sono stati promossi in questi anni attraverso uno sforzo siste-matico e continuo attuato in parecchie regioni della Congregazione. Esemplare è ilprocesso che si sta realizzando nell’America salesiana a partire dagli incontri conti-nentali di Cumbayá (1994 e 2001) e Brasilia (2008). Le conclusioni di questi in-contri sono approfondite nelle diverse équipes ispettoriali e zonali per tradurle inprogrammi operativi che guidano l’azione delle differenti comunità educative, aiu-tandole a verificare la loro prassi educativa e a trasformarla. Questo sforzo si rea-lizza insieme con i vari gruppi della Famiglia Salesiana che gestiscono scuole inAmerica.Qualcosa di simile si sta sviluppando anche in Europa (incontri di Roma del1994 e 2000, di Cracovia nel 2004 e di Siviglia nel 2010) e in Asia sud, attraverso icoordinamenti interispettoriali o nazionali.Nel Brasile con queste stesse finalità i Salesiani e le Figlie di Maria Ausilia-trice hanno costituito una rete delle scuole salesiane, mediante la quale si pro-muove la formazione dei professori e l’elaborazione di testi scolastici secondo lapedagogia salesiana.Questo cammino di rinnovamento esige certamente una più sistematica forma-zione permanente degli educatori. Oltre allo sforzo delle Ispettorie per garantireuna buona formazione educativa e salesiana con programmi sistematici, si sonosviluppati in alcune Ispettorie o zone, diversi centri e progetti di formazione educa-tiva e pastorale salesiana dei collaboratori laici, in modo speciale dei professoridelle nostre scuole. 1.2. La Formazione Professionale e la preparazione per il lavoroFin dai suoi inizi la Congregazione salesiana è stata conosciuta e apprezzataper i suoi centri di Formazione Professionale, attraverso i quali si offriva ai giovanipiù poveri, quelli che sovente fin da piccoli dovevano lavorare per aiutare la fami-glia o quelli che non riuscivano a seguire il percorso scolastico normale, una for-mazione umana e una preparazione per il lavoro di qualità, che permetteva loro diaffrontare con fiducia e responsabilità il loro futuro. Anche adesso parecchi paesiche non consentono una presenza esplicita di Chiesa ci affidano opere di Forma- 216 zione Professionale e attraverso di esse possiamo essere una testimonianza silen-ziosa, ma chiara, del Vangelo di Gesù Cristo.Le opere di formazione professionale sono oggi molto varie, da Scuole tec-nico-professionali, attorno a 180, che offrono ai giovani una formazione secondariasistematica che permette di seguire uno sviluppo posteriore nell’Università, aScuole di Formazione Professionale (457) che offrono ai giovani che si avviano allavoro una preparazione di qualità, con un programma regolare riconosciuto. Traqueste scuole meritano una speciale attenzione le 46 scuole agricole.Nel campo della Formazione Professionale non formale, in questi anni si sonomoltiplicati più di 300 piccoli centri di preparazione al lavoro, che offrono ai gio-vani lavoratori o a quelli che si avviano al lavoro corsi brevi e molto pratici perrenderli capaci di una certa qualificazione lavorativa.Sovente questi centri di Formazione Professionale favoriscono e appoggianoiniziative concrete di aiuto per l’occupazione dei giovani lavoratori, cooperative dimutuo aiuto, centri di artigianato e altre iniziative per facilitare l’occupazione deigiovani più poveri.Nelle società moderne in rapida evoluzione il mondo tecnico e del lavoro è unsettore che sperimenta cambiamenti profondi e rapidi; per questo la formazioneprofessionale, se vuole realmente aiutare i giovani a inserirsi in questo mondonuovo, deve trasformarsi nei suoi programmi, metodi e anche nei suoi strumenti.Tutto questo la rende bisognosa di uno speciale appoggio e orientamento, inparticolare nei seguenti aspetti:1° Promuovere la formazione integrale dei giovani. La formazione umana, mo-rale e spirituale è importante quanto quella tecnica e professionale. Moltospesso un allievo di un Centro Professionale di Don Bosco viene preferito aglialtri soprattutto per le qualità della sua personalità, più ancora che per l’istru-zione o le qualificazioni ottenute. Questo, tuttavia, non vuol dire che l’istru-zione professionale debba essere considerata secondaria. La meta finale di uncentro di formazione professionale salesiano, infatti, è proprio quella di poterassicurare al giovane un impiego confacente con l’istruzione ricevuta. Il curri-culum formativo integrale è appunto orientato a questo obiettivo. Di conse-guenza, è essenziale che ogni centro abbia un Progetto Educativo Pastorale,che guidi efficacemente la sua azione quotidiana.2° Rafforzare, nel compito educativo delle scuole tecnico-professionali, i processidi personalizzazione. Oggi non è sufficiente una buona preparazione tecnica eprofessionale, ma si richiedono sempre di più persone capaci di pensare in ma-niera autonoma, intellettualmente interessate e dotate di senso critico; personein grado di stabilire relazioni positive, stabili ed efficaci, di promuovere la col-laborazione in progetti comuni; capaci di gestire e risolvere i conflitti, di af-frontare i cambiamenti con fantasia e creatività. Questa esigenza è molto sen-tita anche dagli stessi giovani, che vorrebbero una maggiore attenzione deglieducatori alla loro vita. Per questo è importante promuovere momenti e per- 217 corsi di comunicazione e di relazione personale tra educatori e allievi, con lefamiglie, con l’ambiente sociale; curare un orientamento educativo rispettoso,ma nel contempo propositivo; programmare una formazione morale e un’edu-cazione ai valori realmente personale, comunitaria e solidale.3° Sviluppare nei diversi processi educativi una formazione sociale sistematica eapprofondita che assicuri una mentalità più solidale e una maggiore capacità diimpegnarsi efficacemente per la giustizia. Il CG23, di fronte all’enorme sfidadella povertà, segnalava la formazione alla dimensione sociale della caritàcome un compito fondamentale per dare concretezza e credibilità all’educa-zione alla fede.2Ecco alcuni elementi che non dovrebbero mancare in questa formazione:- una conoscenza adeguata della complessa realtà socio-politica, cominciandodai livelli più prossimi e immediati;- una presentazione completa e sistematica dell’insegnamento sociale dellaChiesa, come chiave di lettura di questa realtà e come indicazione delle meteideali a cui tendere nell’impegno quotidiano;- introdurre i giovani in situazioni che chiedono solidarietà e aiuto, soprattuttonel mondo del lavoro, per esempio di fronte al dramma della disoccupazionegiovanile, dello sfruttamento, dell’immigrazione o del razzismo, ecc.4° Sviluppare nella nostra proposta educativa la pedagogia del lavoro come unelemento importante in una formazione umana integrale, superando una peda-gogia troppo intellettuale e selettiva. Molti giovani sono esposti o già hannovissuto qualche esperienza di insuccesso scolastico e/o con problemi di inte-grazione personale, familiare e sociale. Per essi un’esperienza lavorativa posi-tiva, programmata e seguita con criteri educativi, può costituire un’ottima pos-sibilità di recupero personale; il giovane può riacquistare la stima di sé, risco-prire le proprie abilità e capacità ed essere motivato alla propria formazione.Questo richiede che nella proposta educativa offriamo un ampio spazio ad al-cune esperienze di lavoro, servizi alla comunità, lavoro all’interno di organiz-zazioni “non-profit”..., valutando in esse soprattutto la realizzazione perso-nale e il servizio al bene comune. Richiede anche di promuovere contatti qua-lificati e significativi con persone, istituzioni e ambienti del mondo del la-voro, favorendo un dialogo, confronto e mutua conoscenza e collaborazioneformativa.5° Offrire un processo di evangelizzazione realmente inserito nella dinamica edu-cativa e lavorativa. Tutta la nostra azione a favore dei giovani lavoratori hacome meta l’evangelizzazione, ma un’evangelizzazione veramente integratanel loro mondo.Un tale progetto di evangelizzazione deve curare in modo particolare i se-guenti aspetti: 2 Cf. CG23, n. 204. 218 - offrire agli alunni una visione umanista ed evangelica della realtà sociale,economica e del mondo del lavoro, attraverso la lezione di religione o di for-mazione morale e lo studio della Dottrina Sociale della Chiesa;- proporre esperienze spirituali e di apertura a Dio, sia nella vita ordinaria siain momenti significativi di essa, con un processo graduale di iniziazione allapreghiera e alla celebrazione;- offrire anche esperienze di servizio gratuito e solidale verso i più poveri, co-minciando da quelli del proprio ambiente;- proporre momenti espliciti di evangelizzazione e di educazione alla fede at-traverso gruppi adeguati alla loro sensibilità e ai loro bisogni;- collegarsi con le iniziative pastorali della Chiesa nel mondo del lavoro e fa-cilitare ai giovani la loro partecipazione.6° Un indice significativo della qualità ed efficacia della formazione ricevuta saràla facilità con la quale trovano impiego e lavoro gli allievi che finiscono la for-mazione e come essi sono capaci di trasformare in meglio la società in cui sisono inseriti. Questo richiede di sviluppare una collaborazione stretta con ilmondo dell’industria e delle imprese, favorendo la loro cooperazione nei pro-grammi di esercitazioni pratiche offerte agli alunni e negli “stages” di aggior-namento per docenti, cercandone la consulenza nel processo di rinnovamento emodernizzazione, preparando insieme alle imprese e alle industrie programmidi formazione permanente, soprattutto per i giovani che già lavorano, pen-sando a delle iniziative per accompagnare i giovani nei primi passi del loro in-serimento nel mondo lavorativo.In questo aspetto possono avere una grande importanza ed essere di vero aiutogli ex-allievi: essi possono essere un ponte eccellente tra la scuola e il mondodel lavoro nel quale si trovano già inseriti; possono collaborare al compitoeducativo della scuola attraverso il lavoro professionale o con servizi volon-tari; molti, inoltre, possono aiutare i giovani che terminano gli studi, accompa-gnandoli nell’inserimento nel mondo del lavoro, facilitandoli in iniziative diauto-occupazione, creando borse di impiego, ecc.Esistono nella Congregazione magnifiche esperienze in questo campo dellaFormazione Professionale: scuole tecniche che sono all’avanguardia, che non sol-tanto offrono ai giovani una Formazione Professionale di alta qualità ma anchepromuovono diverse iniziative per aiutarli ad introdursi degnamente nel mondodel lavoro.Precisamente per l’importanza che ha la Formazione Professionale nella nostramissione educativa dei giovani più poveri e per le difficoltà e sfide che oggi deveaffrontare in una società in rapido sviluppo, è urgente appoggiarla promuovendo unmaggiore coordinamento tra i diversi centri tanto nell’Ispettoria come a livello na-zionale e regionale, favorendo uno scambio di esperienze, progetti, risorse e una in-tensa collaborazione tra i centri più sviluppati e gli altri più modesti, soprattuttonella formazione degli insegnanti, nella qualificazione dei programmi e metodo- 219 logie... cercando insieme vie e iniziative per garantire il sostentamento e il rinnova-mento continuo dei centri.In questi ultimi anni il Dicastero per la Pastorale Giovanile ha promosso al-cune iniziative in questo senso, ma certamente si deve ancora fare molto di più. Allegati Don Pasquale Ransenigo 223 Un breve profilo «Questi è il Signore in cui abbiamo sperato», proclama il Profeta Isaia invi-tando tutti a credere nella salvezza.Noi amiamo immaginare che questa sia l’esperienza o la sensazione che provaun salesiano sacerdote quando giunge davanti a Dio, al termine della sua vita: eccoil Signore nel quale ho sperato; ecco Colui che mi ha donato la chiamata alla vitacristiana, salesiana e sacerdotale e alla quale ho cercato di rispondere; ecco Coluiche ho annunciato nella mia vita, Colui che ho celebrato nei sacramenti, la cui vitaho portato a tanti nella Riconciliazione e nell’Eucaristia.Noi amiamo immaginare che anche don Pasquale Ransenigo abbia fatto questaesperienza davanti a Dio quando il 2 marzo 2011 a Roma, presso la Comunità Assi-stita Salesiana “A. Zatti” dell’Istituto Salesiano Pio XI, si è spento dopo una ma-lattia protrattasi per quasi tre anni. In questi ultimi tempi la vita di don Pasquale èstata segnata, infatti, dalla malattia. Forse vi è stata anche una sofferenza più pro-fonda, dovuta alla sensazione di non essere in grado di sostenere il peso di unaprova così impegnativa. Ma la sofferenza, se vissuta in unione a Cristo, è un altaresul quale si celebra la sua passione e morte, ci fa partecipare all’infinito atto diamore di Gesù e ci si dispone ad accogliere il dono della vita nuova portata dal Ri-sorto. Don Pasquale è stato fedele e perseverante nel suo ministero, che aveva as-sunto una forma nuova, quella della sofferenza accettata nell’amore e nella sere-nità, ripetendo con Paolo: Do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, mancanella mia carne (Col 1,24).Solo qualche settimana prima della sua morte, presagendola ormai vicina, DonPasquale ha scritto un breve testo che rivela la sua fede robusta e il primato di Dionella sua vita.Il 13 febbraio del 2011 ha scritto: La Provvidenza ha disposto che il grande dono della mia vocazione salesiana fosseorientato, per oltre 40 anni, alla crescita integrale dei giovani “poveri”, operando conentusiasmo nella Formazione Professionale sia a livello culturale e politico che in quellosindacale, sociale e religioso. GRAZIE Signore! GRAZIE don Bosco! GRAZIE ai mieiMAESTRI SALESIANI! È l’atteggiamento di chi ha preso sul serio il suo impegno di battezzato, di sa-lesiano e di sacerdote, e si pone davanti al Signore con l’umile consapevolezzadella grandezza di Dio e della piccolezza del suo servo. Viene da dire: anche dopola morte don Pasquale svolge così il suo magistero e offre la sua testimonianza di 224 autentico discepolo di Gesù e vero figlio di Don Bosco. Abbiamo tutti un grande debito di gratitudine nei confronti di don Pasquale Ransenigo.Siamo tutti convinti che siamo di fronte alla morte di un grande per tutto quello che èstato, per quanto ha fatto, in umile silenzio, non sempre visibile, ma condotto con grandecompetenza, professionalità, rigore e tanta passione, così don Alberto Lorenzelli, Ispet-tore della Circoscrizione Speciale dell’Italia Centrale, nell’omelia. Don Pasquale Ransenigo è nato a Berlingo (BS) il 20 novembre del 1932.Riceve una profonda educazione umana e cristiana dai genitori Carlo e Sile.A Chiari San Bernardino (BS) frequenta la quinta elementare, la scuola mediae il ginnasio.Nel 1950, Anno Santo del Signore, Don Pasquale matura la sua vocazione sale-siana, entra nel Noviziato di Montodine (CR) e nell’anno seguente, il 16 agosto del1951, emette la sua professione religiosa, consacrando la sua vita con i voti di Obbe-dienza, Castità e Povertà come salesiano per essere un altro Don Bosco con i giovani.Negli anni seguenti lo troviamo nello Studentato di Nave (BS) per gli studi li-ceali e filosofici.Il tirocinio pratico lo svolge a Milano, via Copernico, per tre anni assistente einsegnante degli artigiani e per uno nell’Istituto di Sesto san Giovanni (MI) comeassistente e insegnante nell’avviamento.Gli studi teologici a Monteortone (PD) lo fanno maturare sempre più nellaconvinzione che il Signore lo chiamava ad essere salesiano sacerdote. Corona ilsuo desiderio il 25 aprile del 1961 con l’Ordinazione sacerdotale a Rezzato (BS).Prese il titolo di Perito Tecnico Industriale con l’intento e il grande desiderio diimpegnare la sua vita per i giovani della Formazione Professionale. Approfondiscequesta preparazione conseguendo, nel 1974, presso l’Università degli Studi di Bo-logna, la Laurea in Scienze Politiche discutendo la significativa tesi “La questionedella Formazione Professionale in Italia dagli antecedenti storici al dibattito at-tuale”.Nel percorso pastorale, dopo l’ordinazione sacerdotale, lo troviamo a Paviacome Incaricato dell’Oratorio, a Sesto San Giovanni (MI) come catechista ed inse-gnante, a Brescia sempre come catechista ed insegnante, a Bologna come docente eDelegato regionale della Formazione Professionale.Nel 1977, a seguito delle sue competenze e delle esperienze accumulate, vienechiamato dai Superiori alla Sede Nazionale del CNOS-FAP come responsabile del-l’Ufficio socio-politico, incarico che ha conservato ininterrottamente fino alla morte.Grazie a lui, l’apporto socio-politico dei Salesiani è stato determinante nei mo-menti in cui la Formazione Professionale in Italia correva il rischio di perdere lasua identità, rilevanza e dignità.Ne sono esempio il suo ruolo svolto in tanti tavoli di trattative per l’elabora-zione della legge-quadro 845/78, per la stipula dei Contratti Collettivi Nazionali dilavoro per gli operatori della Formazione Professionale, per l’elaborazione del- 225 l’identità culturale e pedagogica di questo particolare servizio e, infine, per il ruoloche ha svolto nel dibattito che è sfociato, agli inizi degli anni Duemila, nell’istitu-zione dell’obbligo formativo prima e del diritto-dovere all’istruzione e formazionepoi, un provvedimento che ha dato origine ad un percorso formativo ordinamentalespecifico e dotato di obiettivi equivalenti a quelli scolastici.Fu un vero lottatore, ma sempre signorile; mai parole fuori dalle righe, sempremotivazioni serie e ragioni convincenti.Il Comitato Scientifico di Rassegna CNOS, rivista della Federazione CNOS-FAP, del quale era membro, lo ricorda per il suo prezioso e originale contributo.L’attenzione ai giovani di fronte al lavoro e ai suoi significati, la lettura attentadella situazione politica, sociale, culturale e professionale in Italia inquadrata nelpiù ampio contesto europeo e mondiale, le riflessioni sul Contratto Collettivo Na-zionale di Lavoro per la Formazione Professionale, il monitoraggio costante dellalegislazione italiana ed europea in materia di Istruzione, Formazione e Lavoro sonosolo alcuni dei contributi più qualificati che don Pasquale ha affrontato nella Ri-vista e che ha socializzato all’interno e all’esterno della Federazione CNOS-FAP.Ogni contributo, fosse di natura politica, culturale, sociale, contrattuale, legis-lativa, spirituale, aveva sempre una conclusione obbligata: “Quale impegno per glieducatori?” perché l’educatore, nel suo pensiero, è sempre chiamato “ad un rinno-vato impegno professionale a favore dei giovani nella delicata e difficile fase di in-gresso nella vita attiva”.Anche dopo l’approvazione del provvedimento che avviava in Italia l’obbligoformativo, don Pasquale riportava una valutazione che riassumeva il senso di unabattaglia da lui combattuta spesso anche in prima persona, per almeno un trentennio: “Il segmento della formazione professionale iniziale è stato, dagli anni Ottanta, sotto-posto ad una pesante critica ideologica il cui assunto era di sopprimere totalmentequesta attività, spostando la formazione professionale tutta sul post-diploma. Questa im-postazione non teneva conto dei limiti del sistema scolastico a rispondere alla domandadi formazione di base e di quanto di fatto continua a richiedere il mercato del lavoro, chesembra orientarsi ancora soprattutto su qualifiche e specializzazioni professionali,anche di primo inserimento lavorativo” (Rassegna CNOS, Anno 16, N. 2, 2000). Se volessimo definire la sua poliedrica personalità, dovremmo coniugare tanteparole. Ma alcune di esse, forse, lo caratterizzano in modo particolare: umanità,professionalità, lavoro, tenacia, passione, educazione, entusiasmo. Queste caratte-ristiche le troviamo sottolineate nelle tante testimonianze che ci sono giunte allanotizia della sua morte.A ricordarlo così è la nipote suor Luciana che, dalla Mauritania, ha scritto unsaluto appassionato e commosso dopo aver appreso la notizia della sua scomparsa: “Le nostre lacrime fecondano la terra che calpestiamo, ma in questo momento il nostroricordo per te, carissimo zio don Pasquale, è fatto di “serenità e pace”. Quelle che in-fondevi nel nostro cuore quando ritornavi fra di noi e soprattutto quando da lontano nondimenticavi “NESSUNO”. 226 Uno speciale ricordo l’hai sempre avuto per chi nella nostra famiglia, amici e cono-scenti, ci hanno preceduti nel Regno dei Cieli.Grazie zio don Pasquale per la tua “GIOIA” tutta “salesiana”, per il tuo grande e infi-nito “ENTUSIAMO” sempre giovanile che ci lasci come “EREDITÀ”. Sono aspetti che vengono sottolineati anche da salesiani e laici che l’hannoconosciuto: “Lo ricordo con stima e affetto fraterno quando, durante gli anni di studentato filosofico(1982-1984) a San Tarcisio si intratteneva con noi studenti nel dopo pranzo. Emergeval’afflato salesiano verso i giovani per i quali lavorava presso il CNOS-FAP nazionale,la sua grande preparazione nella legislazione del lavoro che lasciava tutti noi, giovaniconfratelli, meravigliati, i suoi inviti nella comunità dove esprimeva tutta la sua giovia-lità salesiana” (Don Raimondo Giammusso, salesiano).“Ho un ricordo bellissimo degli anni Ottanta e Novanta quando seguivo il settore Istru-zione – Formazione.Quante battaglie per il cosiddetto “doppio-canale” dopo la terza media, insieme a lui eal caro don Felice Rizzini!” (Mario Dupuis, Padova).“La perdita di don Pasquale colpisce tutta la comunità dei tecnici, dei formatori, deglistudiosi e degli esperti della Formazione Professionale ed anche i giovani.La dedizione di tutta una vita ci sarà di esempio” (Anna D’Arcangelo, ISFOL). A ricordarlo così è anche don Felice Rizzini, che è stato per 9 anni Presidentedella Federazione CNOS-FAP e che ha condiviso con don Pasquale numerose bat-taglie.Così scrive sul Giornale di Brescia: “Don Pasquale Ransenigo, un bresciano autentico che alla schiettezza e cordialitàdei rapporti umani sapeva unire una rara competenza nella Formazione ProfessionaleIniziale.La Federazione CNOS-FAP, nata nel 1977 anche per il suo contributo, doveva esserericonosciuta civilmente: compito non piccolo.Riunioni si succedono a riunioni, partecipa a commissioni di studio, ad incontri coni politici e con i sindacati, con gli altri Enti di Formazione Professionale e con Centridi ricerca. Rende la sua vita una vita di studio personale e di consulenza in quei tempidi riforme e di evoluzioni del sistema formativo, specie nel passaggio dallo Stato alleRegioni.Don Ransenigo non ha lasciato molti scritti, ha preferito sempre il contatto personale sianegli incontri che nei corsi di aggiornamento del personale. Questi incontri li ha soventetrasformati in fonte di amicizia. Fedele a don Bosco, non mancava mai di sottolineare gliaspetti educativi dei problemi”. Un debito di riconoscenza a don Pasquale lo ha anche il mondo associativo deiSalesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice, organizzato negli Enti CNOS (CentroNazionale Opere Salesiane) e CIOFS (Centro Italiano Opere Salesiane Femminili).Nell’editoriale della rivista Città CIOFS/FP del marzo 2011, suor LaurettaValente, Presidente del CIOFS/FP, ricorda questo particolare aspetto: 227 “Il mondo associativo deve a don Pasquale Ransenigo tanta riflessione e studio sugliaspetti costitutivi e identitari della proposta associativa: il dialogo con la società civile,con la Chiesa, con l’Ente promotore e, soprattutto, con i giovani destinatari.L’impegno svolto dai fondatori di questa realtà associativa, nel cui ambito ha operatoanche don Pasquale Ransenigo, non si è esaurito nella sfera privata. Il lavoro svolto hadato un fondamento autorevole alle Associazioni perché ne legittimasse l’impegno pub-blico”. Una dimensione particolarmente sottolineata da don Pasquale Ransenigo èstata quella dell’Orientamento, voluta sin dalle origini come parte integrante dellaproposta formativa del CNOS-FAP.Suor Pina del Core, attiva per molto tempo nell’Associazione e oggi Presidedell’Auxilium ha scritto: “Ci dispiace tanto pensare di averlo perduto... dopo tanta sofferenza e dopo una vitaspesa interamente al servizio della vocazione educativa salesiana, in particolare nei con-fronti dei ragazzi poveri. La sua competenza ha contribuito ad arricchire l’assetto dellenostre Associazioni, dando consistenza giuridica e professionale alla vision e alla mis-sion ad esse sottese. E alla competenza don Pasquale sapeva unire tanta umanità e tantalungimiranza, spinto dall’amore alla Congregazione salesiana e alla sua missione nellastoria”. L’Associazionismo non è stato in questi decenni solamente un impegno dei Sa-lesiani. L’esigenza di fare “rete” è stata condivisa da tutti gli Enti di FormazioneProfessionale di ispirazione cristiana aggregandosi in CONFAP nel 1974 e inFORMA nel 1999, per dare vita ad un efficace coordinamento di tutte le attività diformazione professionale.Sono stati organismi nei quali don Pasquale è stato sempre sostenitore e prota-gonista. CONFAP e FORMA, nelle persone che hanno avuto ruoli al loro interno,lo ricordano con commozione: “Rivolgo a te un ringraziamento che non ho mai espresso direttamente a don Pasqualeper quanto ho potuto apprendere negli oltre 35 anni di collaborazione in CONFAP e so-prattutto nelle trattative per tutti i rinnovi del Contratto Collettivo Nazionale di Lavorodella Formazione Professionale che abbiamo condotto fianco a fianco.Don Pasquale mi ricordava sempre che per CONFAP il Contratto di lavoro è un mezzo,uno strumento importantissimo ma che altro è il nostro fine. Nelle trattative era capacedi esprimere autorevole fermezza sui temi che considerava irrinunciabili; ma ricordobene quante volte raccomandava attenzione e cautela, perché – ci ricordava – dietroogni clausola contrattuale c’è sempre una persona, un collaboratore, che amava definire“la nostra maggiore risorsa.A don Pasquale gli abbiamo voluto bene. Era un vero amico” (Emilio Gandini e FrancoBissaro). Il 4 marzo 2011, al suo funerale erano presenti in tanti.La Provvidenza – forse... anche uno scherzo di don Pasquale – ha voluto che lasua partenza per il cielo coincidesse con l’avvio del Consiglio Direttivo della Fede- 228 razione CNOS-FAP nel quale era stato sempre attivo protagonista. A salutarlo c’e-rano, dunque, tutti i membri del Consiglio Direttivo Nazionale, tutti i Salesiani, cioè,che hanno il compito di animare e governare, in Italia, il servizio della FormazioneProfessionale. Una felice coincidenza, perché tutti noi salesiani che operiamo inquesto campo ci sentiamo, in qualche modo, suoi allievi. Siamo in molti ad averloconosciuto, ad aver lavorato con lui, combattuto con lui la battaglia dell’educazionedei giovani attraverso lo strumento della Formazione Professionale, soprattutto perquei giovani che non possono pagarsi una retta, come era solito affermare.Ecco, in sintesi, il suo messaggio, un messaggio chiaro, semplice, diretto, pro-fondo, testimoniato dagli oltre 40 anni dedicati a questa causa, come lui stesso ciha ricordato al termine della sua vita. Perché oggi ricordare don Pasquale vuol direraccogliere la sua testimonianza. Don Alberto Lorenzelli, che ha presieduto la cele-brazione funebre, ha riassunto i sentimenti di tutti i presenti con parole che possonocostituire la “consegna” per tutti noi: Caro Don Pasquale, siamo tristi oggi per la tua partenza, lasci un grande vuoto non fa-cilmente colmabile.Ti ringraziamo di cuore per tutto quello che sei stato, per quanto hai dato col tuo cuoresalesiano e sacerdotale, con le tue competenze e la tua squisita umanità.Ti ricorderemo a lungo, ti affidiamo al Padre perché ti dia il giusto premio che meriti. 229 Bibliografia dei principali scritti La questione della formazione professionale in Italia dagli antecedenti storici al dibattito attuale(Tesi di laurea – Anno 1973-74).Spazi istituzionali per la preparazione dei giovani al Mondo del LavoroIn “Salesiani nel mondo del lavoro. Atti del Convegno europeo sul tema “Salesiani e pastorale peril mondo del lavoro” (Roma 9-15 maggio 1982).Il nuovo CCNL 1983/86 per la F.P. convenzionata. Prima valutazione complessivaRassegna CNOS, Anno 1 nr. 0 - Ottobre 1984I giovani d’oggi di fronte al lavoro e ai suoi significati.Rassegna CNOS, Anno 1 nr. 1 - Febbraio 1985Informazioni sulla situazione polita, sociale, culturale e professionale in Italia.Rassegna CNOS, Anno 1 nr. 2 - Maggio 1985Tavola rotonda su “Giovani, formazione e lavoro” in Abruzzo.Rassegna CNOS, Anno 2 nr. 1 - Febbraio 1986Contributo per una rassegna critica delle pubblicazioni sulla transizione.Rassegna CNOS, Anno 2 nr. 2 - Maggio 1986Motivazioni per ricercare modalità efficaci per un effettivo prolungamento di istruzione.Rassegna CNOS, Anno 3 nr. 1 - Febbraio 1987Innovazione scientifico-tecnologica e proposta formativa.Rassegna CNOS, Anno 3 nr. 3 - Ottobre 1987Osservazioni circa la legge 40/87, il decreto e la circolare di applicazione.Rassegna CNOS, Anno 4 nr. 1 - Febbraio 1988Il CCNL 1986-89 per la Formazione Professionale convenzionata: un contratto di transizione?Rassegna CNOS, Anno 4 nr. 3 - Ottobre 1988Elementi di organizzazione del lavoro nei C.C.N.L. 1989-91 per la Formazione Professionale conven-zionata.Rassegna CNOS, Anno 7 nr. 2 - Maggio 1991Transizione Sistema Formativo – Vita professionaleRassegna CNOS, Anno 8 nr. 1 - Febbraio 1992Identità e funzione di un Centro di Formazione ProfessionaleRassegna CNOS, Anno 9 nr. 1 - Febbraio 1993Identità e ruolo della Formazione Professionale in riferimento alle iniziativa di riforma della ScuolaSecondaria Superiore.Rassegna CNOS, Anno 10 nr. 2 - Maggio 1994Alcune linee “innovative” emergenti dalle recenti leggi – D.d.L. regionali sull’Orientamento e laFormazione Professionale.Rassegna CNOS, Anno 11 nr. 2 - Maggio 1995CCNL 1994-97 per la formazione professionale convenzionata: un contratto di “svolta” o di “transi-zione”?Rassegna CNOS, Anno 12 nr. 2 - Maggio 1996 230 Alcuni “potenziali” elementi innovativi del CCNL 1994-97 per la formazione professionale conven-zionata.Rassegna CNOS, Anno 12 nr. 3 - Settembre 1996Il sistema di formazione professionale regionale dagli Accordi tra Governo e Parti Sociali al docu-mento Berlinguer.Rassegna CNOS, Anno 13 nr. 2 - Maggio 1997“La questione del lavoro oggi” Riflessioni su alcuni temi del Convegno CEI del 7-10 maggio 1998.Rassegna CNOS, Anno 15 nr. 1 - Gennaio 1999Riforme e obbligo scolastico.Rassegna CNOS, Anno 15 nr. 2 - Maggio 1999Obbligo scolastico e formazione professionale nel Decreto del Ministro P.I. n. 323 del 9 agosto 1999.Rassegna CNOS, Anno 16 nr. 1 - Gennaio 2000L’obbligo formativo nell’art. 68 nell’articolo 68 della legge 144/99 e nelle normative di attuazione.Rassegna CNOS, Anno 16 nr. 2 - Maggio 2000La testimonianza di don Dante Magni, un figlio di don Bosco per i giovani e per la loro formazioneprofessionale.Rassegna CNOS, Anno 16 nr. 3 - Settembre 2000Obiettivi istituzionali e specifici dell’obbligo formativo.Rassegna CNOS, Anno 17 nr. 2 - Maggio 2001L’obbligo formativo nel contesto del sistema “educativo di istruzione e formazione”.Rassegna CNOS, Anno 18 nr. 1 - Gennaio 2002Obiettivi istituzionali dell’obbligo formativo e ruolo degli enti localiRassegna CNOS, Anno 18 nr. 2 - Maggio 2002Istruzione e formazione professionale verso un sistema-canale unitario.Rassegna CNOS, Anno 18 nr. 3 - Settembre 2002 231 Indice Sommario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 Presentazione - Per ricordare don Pasquale Ransenigo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 PARTE ICULTURA ASSOCIATIVA E FEDERAZIONE CNOS-FAP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 Cultura associativa e scelte istituzionali civilistiche dei Salesiani in Italia neglianni 1966-2000 (Pasquale Ransenigo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91. La “Casa S. Lorenzo di Roma per Delegati Nazionali delle Ispettorie Italiane” . . . 102. Identità giuridica e durata della “Associazione C.N.O.S.” 1967 . . . . . . . . . . . . . . . 112.1. C.N.O.S. 1967 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 122.2. Elementi significativi dello Statuto della “Associazione C.N.O.S.” 1967 . . . 132.3. In Sintesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 143. Collocazione delle “Casa Salesiana S. Lorenzo in Roma” nel nuovo assetto asso-ciativo precisato con due DPR relativi alla sua personalità giuridica . . . . . . . . . . . 144. Procedure adottate per l’approvazione con DPR dello STATUTO CNOS . . . . . . . 154.1. Fasi di elaborazione e approvazione “canonica” dello Statuto dell’Ente CNOS 154.2. Come e perché ottenere anche l’approvazione dello Statuto dell’ENTE CNOScon DPR . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 165. Fini specifici nello Statuto del “Centro Nazionale Opere Salesiane – CNOS” . . . . 175.1. La distinzione fondamentale tra fini istituzionali e fini specifici del CNOS èdefinita nell’articolo 2 dello Statuto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 175.2. Le modalità e le strutture a cui il CNOS deve far riferimento per conseguire ifini specifici della propria missione sono sancite esplicitamente all’articolo 4dello Statuto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 185.3. I reciproci rapporti tra Ente CNOS e Associazioni/Federazioni promosse sonodefiniti nei contenuti dell’articolo 5 dello Statuto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 185.4. Le procedure per modificare lo Statuto sono indicate all’articolo 10 delloStatuto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 196. La Federazione Nazionale “Formazione Aggiornamento Professionale” (CNOS-FAP): interventi per la sua costituzione – un apprezzamento autorevole . . . . . . . . 206.1. Interventi per la costituzione della Federazione CNOS-FAP . . . . . . . . . . . . . 206.2. Apprezzamento autorevole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 227. Riflessioni e proposte conclusive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 237.1. A livello di Congregazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23 232 7.2. A livello del carisma salesiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 247.3. A livello di una presenza istituzionale originale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24 La Federazione CNOS-FAP in Italia: origini e sviluppo (Malizia Guglielmo) . . . 271. La nascita del CNOS-FAP e il primo decennio di attività . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 281.1. Tra due culture dello sviluppo formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 281.2. La nascita della Federazione Nazionale CNOS-FAP (fine anni ’70) e il suoconsolidamento (anni ’80) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 312. La Federazione CNOS-FAP durante gli anni ’90 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 352.1. Una società inquieta e in fase di attesa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 362.2. Il CNOS-FAP e il CFP polifunzionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 382.2.1. Un modello formativo e comunitario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 392.2.2. Un modello progettuale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 402.2.3. Un modello al servizio della persona . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 412.2.4. Un modello coordinato e integrato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 412.2.5. Un modello aperto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 422.2.6. Un modello flessibile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 432.2.7. Un modello qualificato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 433. Dopo l’anno 2002: verso un sistema maturo di FP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 433.1. L’avvento della società della conoscenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 443.1.1. I fattori strutturali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 443.1.2. Le dinamiche culturali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 463.2. Un decennio di riforme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 483.3. Il cammino della Federazione CNOS-FAP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 563.3.1. La promozione della Formazione Professionale Iniziale (FPI) nellariforma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 563.3.2. L’aggiornamento del CFP polifunzionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 643.3.3. Il potenziamento della formazione dei formatori . . . . . . . . . . . . . . . . . 663.3.4. La sperimentazione dell’obbligo formativo e del diritto-dovere . . . . . 683.3.5. Il modello organizzativo: l’accreditamento interno e la certificazione 704. Il reiteraggio di questo primo periodo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 744.1. Una crescita quantitativa tendenziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 744.2. L’impegno per un sistema paritario di FP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 764.3. I giovani e la formazione integrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 774.4. Il modello organizzativo del CFP polifunzionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 794.5. Il processo di insegnamento-apprendimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 814.6. Federazione CNOS-FAP e imprese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 824.7. La dimensione religiosa e pastorale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84 PARTE IIGIOVANI E LAVORO: ELEMENTI DI MAGISTERO SALESIANO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89 Intervento del Rettor Maggiore, don Egidio Viganò, ai lavori della prima Assem-blea della Federazione CNOS-FAP, 1978 (don Egidio Viganò) . . . . . . . . . . . . . . . . 911. Tre testimonianze di presenza salesiana nella Formazione Professionale . . . . . . . . 912. Ecco alcune idee che traggono origine anche da un po’ di riflessione . . . . . . . . . . 93 233 a. Superare il settorialismo ispettoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93b. Una seconda importante riflessione: perché fare questo? . . . . . . . . . . . . . . . . . 95c. Formare il personale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96d. La partecipazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97 Missione salesiana e mondo del lavoro, 1983 (don Egidio Viganò) . . . . . . . . . . . . . 1011. Di fronte al processo tecnico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1011.1. Mentalità circa il lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1011.2. Liberare il progresso tecnico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1021.3. Evangelizzazione del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1021.4. Tema importante e attuale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1022. Mondo e cultura del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1022.1. Far crescere una “spiritualità del lavoro” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1033. Legami di don Bosco con il mondo del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1033.1. Vale la pena fra memoria di ieri per orientare il futuro . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1033.2. Il primo “Oratorio” iniziativa per i giovani lavoratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1043.3. I primi laboratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1043.4. La Scuola di arti e mestieri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1053.5. L’“Oratorio” e la “Scuola Professionale” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1053.6. Opera preferenzialmente richiesta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1064. Vicinanza congenita con il fenomeno umano del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1064.1. La missione salesiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1064.2. L’Originalità dello Spirito Salesiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1074.3. La forma della Congregazione Salesiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1084.4. Scelta di determinate linee pastorali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1085. Il “Vangelo del Lavoro” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1095.1. Saper proclamare il “Vangelo del Lavoro” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1095.2. Riconoscere la consistenza del mondo del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1095.3. Posto centrale dell’uomo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1105.4. Spiritualità del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1115.5. Illuminare con il messaggio evangelico il lavoro umano . . . . . . . . . . . . . . . . 1115.6. Preparare la liberazione dell’uomo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1116. Sfida appassionante e inevitabile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1126.1. I giovani avviati al mondo del lavoro richiedono un’educazione integrale . . 1126.2. Esigenze di ridefinire il lavoro umano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1126.3. Formazione alla coscienza politica e alla partecipazione . . . . . . . . . . . . . . . . 1126.4. Un progetto educativo pensato, maturato e continuamente aggiornato . . . . . . 1136.5. Cultura del lavoro tradotta in metodologia pedagogica . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1136.6. Riattualizzare il sistema preventivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1137. Proiezioni pratiche della dimensione laicale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1137.1. Salesiani coadiutori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1147.2. Importanza dei collaboratori laici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1147.3. Ruolo animatore della comunità salesiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1158. Alcuni suggerimenti di strategia per il futuro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1158.1. Preparazione specifica del personale salesiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1168.2. Il controllo delle opere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1168.3. Pastorale vocazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1169. Affidamento a Maria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117 234 9.1. Il lavoro umano, chiave della questione sociale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1179.2. Maria modello del nostro tempo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1179.3. La Madonna del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 118 L’impegno della Congregazione Salesiana per il mondo del lavoro, 1985 (EgidioViganò) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1191. Le Costituzioni e il mondo del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1192. I Regolamenti e il mondo del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1233. Il Salesiano Coadiutore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1244. Idee e sintesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1255. Dibattito e chiarimenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1285.1. Il CNOS-FAP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1285.2. Pastorale e Formazione Professionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1285.3. Evangelizzare il mondo del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1295.4. Cultura del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1295.5. Formazione del salesiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1305.6. Ratio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 130 Preparazione dei Salesiani per il mondo del lavoro, 1982 (Juan Vecchi) . . . . . . . . 1311. Alcune constatazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1312. Coscienza e senso «pastorale» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1353. Incarnazione culturale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1384. La qualificazione educativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1435. Prassi di animazione comunitaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1466. Conclusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 147Contributi dei gruppi e scambio in Assemblea dopo la relazione . . . . . . . . . . . . . . . . 147 La Formazione Professionale e l’educazione per il lavoro nel progetto educativopastorale salesiano, 2009 (Pascual Chavez) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1511. Cammino realizzato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1512. Alcuni criteri fondamentali per l’impegno salesiano nell’educazione e FormazioneProfessionale dei giovani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1532.1. I giovani che s’avviano al lavoro, i giovani lavoratori e i giovani disoccupatidestinatari specifici della nostra missione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1532.2. Un’educazione integrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1532.3. La pedagogia del lavoro come un elemento importante in una formazioneintegrale salesiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1542.4. Un orientamento evangelico che apre e dispone all’evangelizzazione . . . . . . 1543. Alcune preoccupazioni importanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1553.1. Bisogno di un appoggio particolare alla Formazione Professionale . . . . . . . . 1553.2. Assicurare un’educazione integrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1553.3. L’inserimento nel mondo del lavoro dei giovani che finiscono la formazione 1563.4. L’integrazione di queste opere e servizi nel Progetto educativo-pastorale del-l’Ispettoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1563.5. L’auto-sostenibilità dei Centri di Formazione Professionale e dei programmidi avviamento al lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1564. Alcune esigenze fondamentali da curare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 157 235 Il servizio dei Salesiani d’Italia a favore dei giovani nella Scuola e nella Forma-zione Professionale, 2010 (Pascual Chávez Villanueva) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 159Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1591. Chiamati da Dio per una missione nella scuola e FP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1601.1. Una missione ecclesiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1601.1.1. Fides et Ratio: l’amore per la verità vocazione dell’intelligenza . . . . 1601.1.2. Deus caritas est: la verità dell’amore nel sacrificio di Dio . . . . . . . . . 1641.1.3. Spe Salvi: destino escatologico e verità della storia . . . . . . . . . . . . . . 1661.1.4. Caritas in veritate: nel dono la verità della libertà . . . . . . . . . . . . . . . 1691.2. ...Secondo il carisma salesiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1721.2.1. Il criterio oratoriano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1721.2.2. Il CG23 e CG26: la Spiritualità salesiana e la Nuova Evangelizzazione 1741.2.3. CG24 e CG25: il carisma di don Bosco nella comunità salesiana enella CEP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1781.2.4. Il coordinamento nazionale e il progetto Europa . . . . . . . . . . . . . . . . . 1802. Sfidati da una nuova situazione culturale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1842.1. La “Stimmung” postilluminista . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1842.1.1. Smarrimento della memoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1852.1.2. Apostasia silenziosa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1872.1.3. Cultura di morte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1882.1.4. Speranze artificiali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1902.2. I modelli antropologici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1922.2.1. “Self-made-man”: la libertà di Prometeo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1932.2.2. “Cyber-man”: le navigazioni di Ulisse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1952.2.3. “Fit-man”: il corpo di Narciso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1992.2.4. “Excited-man”: l’esperienza di Icaro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2013. Impegnati in una rinnovata azione personale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2033.1. Il Vangelo della famiglia: koinoniana salesiana e prossimità educativa . . . . . 2053.2. Il Vangelo della verità: educazione salesiana e “martyria” della fede . . . . . . . 2063.3. Il Vangelo della speranza: “leitourgia” salesiana ed escatologia della vita . . . 2083.4. Il Vangelo della carità: “diakonia” salesiana e compimento della libertà . . . . 210 La pastorale giovanile salesiana, 2010 (Pascual Chávez Villanueva) . . . . . . . . . . . 2131. I diversi settori della pastorale giovanile salesiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2131.1. La Scuola e il mondo dell’educazione formale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2131.2. La Formazione Professionale e la preparazione per il lavoro . . . . . . . . . . . . . 215 Allegati - Don Pasquale Ransenigo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 221 Un breve profilo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 223 Bibliografia dei principali scritti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 229 Indice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 231 237 Pubblicazioni nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE” ISSN 1972-3032 Sezione “Studi” 2002 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimenta- zione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto finale, 2002 2003 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XIV seminario di formazione europea. La formazione professio- nale per lo sviluppo del territorio. Castel Brando (Treviso), 9-11 settembre 2002, 2003 CIOFS/FP SICILIA (a cura di), Vademecum. Strumento di lavoro per l’erogazione dei servizi orientativi, 2003 MALIZIA G. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto sul follow-up, 2003 2004 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XV seminario di formazione europea. Il sistema dell’istruzione e formazione professionale nel contesto della riforma. Significato e percorsi, 2004 CIOFS/FP SICILIA (a cura di), Opportunità occupazionali e sviluppo turistico dei territori di Catania, Noto, Modica, 2004 CNOS-FAP (a cura di), Gli editoriali di “Rassegna CNOS” 1996-2004. Il servizio di don Stefano Colombo in un periodo di riforme, 2004 MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. 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L’interazione istituzionale per la preparazione delle giovani generazioni all’inserimento lavorativo in rapporto agli obiettivi di Lisbona, 2006 NICOLI D. - MALIZIA G. - PIERONI V., Monitoraggio delle sperimentazioni dei nuovi percorsi di istruzione e formazione professionale nell’anno formativo 2004-2005, 2006 2007 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XVIII seminario di formazione europea. Standard formativi nell’istruzione e nella formazione professionale. Roma, 7-9 settembre 2006, 2007 COLASANTO M. - LODIGIANI R. (a cura di), Il ruolo della formazione in un sistema di welfare attivo, 2007 DONATI C. - BELLESI L., Giovani e percorsi professionalizzanti: un gap da colmare? Rapporto finale, 2007 MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. (a cura di), Le parole chiave della forma- zione professionale. II edizione, 2007 MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP della Sicilia. 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Strumento di lavoro sulle professioni e sui percorsi formativi, 2003 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale alimentazione, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale commerciale e delle vendite, 2004 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione delle unità didattiche, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale estetica, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale sociale e sanitaria, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale tessile e moda, 2004 CIOFS/FP BASILICATA, L’orientamento nello zaino. Percorso nella scuola media inferiore. Diffusione di una buona pratica, 2004 CIOFS/FP CAMPANIA (a cura di), ORION tra orientamento e network, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale elettrica e elettronica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale grafica e multimediale, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale meccanica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale turistica e alberghiera, 2004 NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema del- l’istruzione e della formazione professionale, 2004 NICOLI D. (a cura di), Sintesi delle linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, 2004 2005 CIOFS-FP SICILIA (a cura di), Operatore Servizi Turistici in rete. Rivisitando il progetto: le buone prassi. Progettazione, Ricerca, Orientamento, Nuova Imprenditorialità, Inseri- mento Lavorativo, 2005 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale legno e arredamento, 2005 CNOS-FAP (a cura di), Proposta di esame per il conseguimento della qualifica professionale. Percorsi triennali di Istruzione formazione Professionale, 2005 NICOLI D. (a cura di), Il diploma di istruzione e formazione professionale. Una proposta per il percorso quadriennale, 2005 POLÀČEK K., Guida e strumenti di orientamento. Metodi, norme ed applicazioni, 2005 VALENTE L. (a cura di), Sperimentazione di percorsi orientativi personalizzati, 2005 2006 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La corresponsabilità CFP-famiglia: i genitori nei CFP. Espe- rienza triennale nei CFP CNOS-FAP (2004-2006), 2006 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione dei sussidi, II edizione, 2006 2007 D’AGOSTINO S., Apprendistato nei percorsi di diritto-dovere, 2007 GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo. Una proposta di percorsi per la creazione di impresa. II edizione, 2007 240 MARSILII E., Dalla ricerca al rapporto di lavoro. Opportunità, regole e strategie, 2007 NICOLI D. - TACCONI G., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello stato dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. I volume, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere in... 1. L’identità. Percorso di cultura etica e religiosa, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere... Linee guida per i formatori di cultura etica e religiosa nei per- corsi di Istruzione e Formazione Professionale, 2007 2008 BALDI C. - LOCAPUTO M., L’esperienza di formazioni formatori nel progetto integrazione 2003. La riflessività dell’operatore come via per la prevenzione e la cura educativa degli allievi della FPI, 2008 CIOFS/FP (a cura di), Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2008 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., Individuazione e raccolta di buone prassi mirate all’accoglienza, formazione e integrazione degli immigrati, 2008 NICOLI D., Linee guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2008 NICOLI D., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello stato dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. II volume, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere con... 2. La relazione. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere per... 3. Il progetto. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 2009 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale meccanica, 2009 MALIZIA G. - PIERONI V., Accompagnamento al lavoro degli allievi qualificati nei percorsi triennali del diritto-dovere, 2009 2010 BAY M. - GRĄDZIEL D. - PELLEREY M. (a cura di), Promuovere la crescita nelle competenze strategiche che hanno le loro radici spirituali nelle dimensioni morali e spirituali della persona. Rapporto di ricerca, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale grafica e multimediale, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale elettrica ed elettronica, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale automotive, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per l’orientamento nella Federazione CNOS-FAP, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale turistico-alberghiera, 2010 2011 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A. (a cura di), “Cittadini si diventa”. Il contributo dei Salesiani (SDB) e delle Suore Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) nell’educare stu- denti/allievi delle loro Scuole/CFP in Italia a essere “onesti cittadini”, 2011 TACCONI G., In pratica. 1. La didattica dei docenti di area matematica e scientifico-tecnolo- gica nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 TACCONI G., In pratica. 2. La didattica dei docenti di area linguistica e storico sociale nel- l’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 MANTEGAZZA R., Educare alla costituzione, 2011 NICOLI D., La valutazione formativa nella prospettiva dell’educazione. Una comparazione tra casi internazionali e nazionali, 2011 BECCIU M. - COLASANTI A.R., Il fenomeno del bullismo. Linee guida ispirate al sistema pre- ventivo di Don Bosco per la prevenzione e il trattamento del bullismo, 2011 2012 PIERONI V., A. SANTOS FERMINO, In cammino per Cosmopolis. Unità di Laboratorio per l’edu- cazione alla cittadinanza, 2012 241 Sezione “Esperienze” 2003 CIOFS/FP PUGLIA (a cura di), ORION. Operare per l’orientamento. Un approccio metodolo- gico condiviso e proposte di strumenti, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 1. Guida per l’accoglienza, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 2. Guida per l’accompagnamento in itinere, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 3. Guida per l’accompagnamento finale, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 4. Guida per la gestione dello stage, 2003 2005 CIOFS/FP SICILIA, Operatore servizi turistici in rete. Rivisitando il progetto: le buone prassi. Progettazione, ricerca, orientamento, nuova imprenditorialità, inserimento lavorativo, 2005 TONIOLO S., La cura della personalità dell’allievo. Una proposta di intervento per il coordi- natore delle attività educative del CFP, 2005 2006 ALFANO A., Un progetto alternativo al carcere per i minori a rischio. I sussidi utilizzati nel Centro polifunzionale diurno di Roma, 2006 CIOFS-FP LIGURIA (a cura di), Linee guida per l’orientamento nei corsi polisettoriali (fascia 16-17 anni). L’esperienza realizzata in Liguria dal 2004 al 2006, 2006 COMOGLIO M. (a cura di), Il portfolio nella formazione professionale. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2006 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V., Una formazione di successo. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali triennali di istruzione e formazione professionale in Piemonte 2002-2006. Rapporto finale, 2006 2007 NICOLI D. - COMOGLIO M., Una formazione efficace. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali di Istruzione e Formazione professionale in Piemonte 2002-2006, 2007 2008 CNOS-FAP (a cura di), Educazione della persona nei CFP. Una bussola per orientarsi tra buone pratiche e modelli di vita, 2008 2010 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edi- zione 2010, 2010 2011 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edi- zione 2011, 2011 2012 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edi- zione 2012, 2012 Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@donbosco.it Febbraio 2013

Rubriche delle competenze per i Diplomi professionali IeFP Con Linea guida per la progettazione formativa

Autore: 
Dario Nicoli
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2012
Numero pagine: 
241
Codice: 
978-88-95640-49-5
Dario NICOLI RUBRICHEDELLE COMPETENZE PER IDIPLOMI PROFESSIONALI IeFPcon Linea guida per la progettazione formativa Anno 2012 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 1 Coordinamento scientifico:Dario Nicoli (Università Cattolica di Brescia) Hanno collaborato:Matteo D’ANDREA: Segretario Nazionale settore Automotive.Dalila DRAZZA: Sede Nazionale CNOS-FAP – Ufficio Metodologico-Tecnico-Didattico.FIAT GROUPAutomobiles.Comunità professionale AUTOMOTIVE: Angelo ALIQUÒ, Gianni BUFFA, Roberto CAVAGLIÀ, EgidioCIRIGLIANO, Luciano CLINCO, Domenico FERRANDO, Paolo GROPPELLI, Nicola MERLI, RobertoPARTATA, Lorenzo PIROTTA, Antonio PORZIO, Roberto SARTORELLO, Fabio SAVINO, GiampaoloSINTONI, Dario RUBERI. ©2012 By Sede Nazionale del CNOS-FAP(Centro Nazionale Opere Salesiane - Formazione Aggiornamento Professionale)Via Appia Antica, 78 – 00179 RomaTel.: 06 5137884 – Fax 06 5137028E-mail: cnosfap.nazionale@cnos-fap.it – http: www.cnos-fap.it rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 2 SOMMARIO Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 PARTE PRIMAPrincipi della nuova filosofia educativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 PARTE SECONDAMetodologia formativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 Allegati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 Glossario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69 Rubriche delle competenze relative ai diplomi professionali IeFP . . . . . . . . . . . . 83 Competenze degli assi culturali dei percorsi IeFP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86 Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 231 Sitografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 233 Indice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 235 3 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 3 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 4 5 Presentazione Perché una nuova Linea Guida sulla progettazione formativa di percorsi diIstruzione e Formazione Professionale (IeFP)?Avvalendosi della consulenza del prof. Dario Nicoli, la Sede NazionaleCNOS-FAP aveva elaborata una prima Linea Guida nel 2004, aggiornata poi nel2008 e, con la collaborazione dei Settori professionali, aveva scritto Guide per spe-cifiche Comunità Professionali. Perché, dunque, una nuova Linea Guida?Prima di presentare le caratteristiche di questo documento, rispondo alla do-manda. Più che una Linea Guida “nuova”, si tratta di una Linea Guida “aggiornata”e “rinnovata” sulla base dell’esperienza maturata in questi anni, soprattutto a se-guito della sperimentazione dei percorsi formativi triennali e quadriennali. Quindi,con questa pubblicazione, la Sede Nazionale propone a tutti gli operatori della Fe-derazione CNOS-FAP e quanti operano, a vari livelli, in questo ambito, un “ma-nuale”, una “guida” aggiornata e rinnovata nei contenuti e negli strumenti per ac-compagnarli nell’azione della progettazione formativa.Con l’avvio delle sperimentazioni dei percorsi formativi triennali nel 2003 il(sotto)sistema di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) si è dotato di unametodologia organica, in grado di coniugare cultura del lavoro e cittadinanza. Pos-siamo affermare, senza cadere nella retorica, che la sperimentazione ha dato originead un modello di IeFP che si caratterizzata soprattutto per la personalizzazione deipercorsi, la didattica attiva e per competenze, il perseguimento del successo forma-tivo per tutti, nessuno escluso, la valorizzazione delle potenzialità dei giovani, indi-pendentemente dai livelli di ingresso, la motivazione formativa connessa al lavoroed alla professionalità soprattutto attraverso la valorizzazione dei laboratori e glistage in impresa, la relazione educativo-formativa che rende il Centro di Forma-zione Professionale una vera e propria comunità nella quale formarsi è piacevoleoltre che utile.Questo modello, pur in presenza di soluzioni differenti a livello regionale, hadato vita anche ad un modello organizzativo di CFP imperniato sulla flessibilità, lapartnership con le aziende del territorio, la figura del formatore-docente e la figuradel tutor.Oggi, tuttavia, pur in presenza dei molti aspetti positivi acquisiti, il (sotto)si-stema di IeFP è chiamato a fronteggiare, in modo particolare, tre sfide:a. superare la separazione tra discipline teoriche e discipline pratiche ancorapresente, creando legami forti tra le materie degli assi culturali e l’area profes- rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 5 6 sionale e definendo una proposta culturale appropriata, i “contenuti irrinun-ciabili”, per i giovani dei percorsi di IeFP;b. superare la tendenza ad insegnare per abilità e procedure, dove si pone l’en-fasi esclusivamente sulla diligenza, e stimolare, invece, i giovani a fronteg-giare compiti e problemi che contemplino anche l’imprevisto, nella prospettivadell’autonomia e della responsabilità;c. superare la tendenza all’abbassamento dell’asticella, comune, secondo variesperti, a tutto il secondo ciclo di istruzione e formazione, e rilanciare, invece,il progetto educativo e formativo per veri cittadini della società complessa.Questa Linea Guida sulla progettazione formativa ha l’ambizione di aiutare glioperatori della IeFP a fronteggiare queste sfide approfondendo le modalità per ri-lanciare la didattica delle competenze applicata alla IeFP, una didattica che si ca-ratterizza, per due aspetti: “imparare lavorando” e “imparare a lavorare”.Circa il primo aspetto, imparare lavorando, va riconosciuto che il cardinedello sviluppo cognitivo risiede nella relazione tra individuo e ambiente, mediatadalla cultura. Ciò consente di suscitare processi di costruzione della conoscenzache risultano situati nelle attività proprie di un contesto. Il percorso formativo è,pertanto, costituito dalla sequenza delle esperienze (“situazioni di apprendimento”)che mobilitano le risorse intrinseche degli allievi e permettono loro di fare espe-rienza personale del sapere, nel momento in cui assolvono a compiti reali e signifi-cativi e risolvono i problemi che questi compiti via via presentano.Circa il secondo aspetto, imparare a lavorare, va riconosciuto il fatto che unCentro di Formazione Professionale, inteso come comunità di apprendimento, pre-senta una decisa apertura alla realtà come fonte e riscontro delle occasioni di ap-prendimento più significative. La ricerca del sapere che viene sollecitata presso gliallievi non può essere rinchiusa entro uno spazio circoscritto, ma trova il suo am-bito naturale di riferimento nella realtà intesa come totalità composta dalle suevarie componenti. L’apertura alla realtà si manifesta come sollecitazione agli al-lievi, affinché considerino la cultura proposta non come un insieme inerte di no-zioni bensì come un fattore vitale in grado di spiegare la realtà ed i suoi processi,ed inoltre come stimolo volto a scoprire insieme il sapere (buono) iscritto nelle di-namiche del reale così da renderlo personale attraverso la conquista e la confermadella corrispondenza con i tratti del proprio mondo personale. Il mondo reale equello del lavoro in particolare, in tal modo, non sono tenuti fuori dal CFP, ma di-vengono un “libro di testo” che merita di essere sfogliato affinché il suo valore po-tenziale possa essere messo a frutto da parte degli allievi. In questo modo, il pro-cesso di crescita culturale si presenta come un cammino volto a rendere evidente ilsapere implicito nei processi reali; per fare ciò il CFP è chiamato a sollecitare neidestinatari il desiderio e la passione della conoscenza ed a far intuire loro che è allaloro portata la possibilità di trovare soddisfazione a tale desiderio con un metodo dicoinvolgimento attento e di investigazione aperta all’insegnamento emergente dalreale. L’apertura alla realtà comporta, infine, un aumento delle occasioni di rela- rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 6 7 zione ovvero degli apporti di “maestri” non formali capaci di fornire un contributosignificativo alla crescita culturale dei giovani.Prima di concludere questa presentazione mi sembra importante richiamare unaltro contributo dato da questa Linea Guida. La proposta intende colmare ancheuna lacuna.Nel capitolo “La rubrica delle competenze”, infatti, l’autore così descrive la la-cuna denunciata: La rubrica ha l’ambizione di colmare il vuoto lasciato dalla Con-ferenza Stato-Regioni il cui passaggio da un ordinamento centrato sui “programminazionali” ad un altro che predilige i “risultati di apprendimento” (knowledgeoutcome) risulta largamente incompiuto, e quindi equivoco, nel momento in cui haprodotto gli “standard formativi” che sono in realtà standard di competenzapoiché descrivono le conoscenze, abilità e/o competenze necessarie per una deter-minata professione, mentre ha omesso di indicare gli standard di apprendimento edi valutazione-certificazione, ovvero le caratteristiche ed i livelli delle prestazioniattese affinché si possano rilasciare i titoli ed i certificati previsti, limitandosi adenunciare le competenze-traguardo articolate in conoscenze ed abilità.In sintesi, la IeFP è chiamata ad un salto di qualità, in direzione di una prospet-tiva pienamente umana: rendere esplicito il proprio profilo educativo, per formarelavoratori competenti, cittadini attivi e consapevoli, persone capaci di vivere inmodo autentico la propria libertà. Ciò richiede una cultura della progettazioneformativa che, superando la logica compilativa, adotti una prospettiva volta a pro-gettare, allestire, gestire, valutare “ambienti di apprendimento” che valorizzi unmodo di fare formazione per problemi presentati attraverso l’illustrazione di situa-zioni autentiche, significative, attinte dalla vita reale. In questo modo, gli allievisono stimolati a scoprire la cultura facendone esperienza concreta, assumendo unprofilo di corresponsabilità in riferimento al proprio percorso educativo e forma-tivo.Per agevolare gli operatori in questo difficile compito la Sede Nazionale haideato questo nuovo strumento che si caratterizza per brevità e praticità.Sono brevi ed essenziali, infatti, i richiami teorici sottesi alla progettazioneformativa. Sono numerosi ed esemplari, invece, gli strumenti operativi allegati perrendere più agevole questa nuova progettazione formativa. rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 7 8 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 8 9 Introduzione Con la riforma del sistema educativo, è stata riconosciuta la valenza educativa,culturale e professionale della Formazione Professionale; in tal modo la cultura dellavoro non è solo un insieme di prescrizioni operative, ma è anche un punto di vistaappropriato per leggere la realtà ed intervenire in essa da cittadino consapevole,fornendo il proprio contributo al bene comune in modo autonomo e responsabile.Ciò in particolare per giovani appartenenti al ceto popolare, che prediligono l’ap-proccio dell’“imparare facendo” e che vedono nel lavoro una prospettiva positivaper inserirsi nella società da protagonisti.Questo cambiamento, che pure valorizza l’approccio peculiare della Forma-zione Professionale, centrato sulla personalizzazione dei percorsi, sulla familiaritàe l’amichevolezza, sui compiti reali, sull’alternanza formazione-lavoro, pone allaFormazione Professionale, nell’ambito di una didattica per competenze, tre nuovesfide:1. superare la separazione tra discipline teoriche e discipline pratiche, creando le-gami forti e di servizio tra le materie degli assi culturali e l’area professionale,e definendo una proposta culturale appropriata (i “contenuti irrinunciabili”) peri giovani dei corsi di Formazione Professionale;2. superare la tendenza ad insegnare per abilità e procedure, dove si pone l’enfasiesclusivamente sulla diligenza, stimolando i giovani a fronteggiare compiti eproblemi che contemplino anche l’imprevisto, nella prospettiva dell’autonomiae della responsabilità;3. superare la tendenza all’“abbassamento dell’asticella” e rilanciare il progettoeducativo e formativo per veri cittadini della società complessa.In definitiva, la Formazione Professionale è chiamata ad un salto di qualità, inuna prospettiva formativa capace di risvegliare l’umanità dei nostri giovani: ren-dere esplicito il proprio profilo educativo, per formare lavoratori competenti, citta-dini attivi e consapevoli, persone capaci di vivere in modo autentico la propria li-bertà. Ciò richiede una cultura della progettazione formativa che, superando la lo-gica compilativa, adotti una prospettiva volta a progettare, allestire, gestire, valu-tare “ambienti di apprendimento” che valorizzino un modo di fare formazione percompiti e problemi presentati attraverso l’illustrazione di situazioni autentiche, si-gnificative, attinte dalla vita reale. In questo modo, gli allievi sono stimolati a sco-prire la cultura facendone esperienza concreta, diventando corresponsabili del pro-prio percorso educativo e formativo. rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 9 10 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 10 11 Parte prima Principi della nuova filosofia educativa 1. Dai programmi ai risultati di apprendimento Nel sistema educativo italiano è in atto un profondo cambiamento, che ri-guarda l’intera impostazione pedagogica, progettuale, didattica e valutativa. Talecambiamento prende il nome di “didattica delle competenze”, un’espressione cheindica, in senso proprio, la qualità di una persona, che viene riconosciuta quandoquesta si mostra capace, con prove tangibili e significative, di mobilitare le proprierisorse – abilità e conoscenze – al fine di fronteggiare in modo adeguato i compitied i problemi che gli sono affidati.Una frase di Wiggins esprime in modo chiaro quanto detto: “Si tratta di accer-tare non ciò che lo studente sa, ma ciò che sa fare con ciò che sa” (Wiggins, 1993,24). Con ciò non si intende creare una contrapposizione tra conoscenze e compe-tenze, ma porre l’accento sul fatto che la vera padronanza delle prime risiede nellacapacità di applicarle a compiti reali ed adeguati, mostrando quindi di possederleattivamente.La competenza non è assimilabile né ad un insieme di saperi, e neppure rap-presenta l’esito di un adattamento sociale dell’individuo, ma indica una caratteri-stica di natura etico-morale della persona, quindi una disposizione positiva difronte al reale. In tal senso, è competente la persona autonoma e responsabile cheha coscienza dei propri talenti e della propria vocazione, possiede un senso positivodell’esistenza, entra in un rapporto amichevole con la realtà in tutte le sue dimen-sioni, di cui coglie i principali fattori in gioco, è inserita in forma reciproca nel tes-suto della vita sociale in cui agisce in modo significativo ed efficace.La scelta di una didattica per persone competenti non rappresenta né una que-stione burocratico-amministrativa (non si tratta infatti di compilare formati diversio documenti ulteriori come la certificazione), né riguarda unicamente l’ambitodella metodologia didattica (sebbene non si possa certificare, senza una didatticadelle competenze).Essa richiede innanzitutto l’assunzione di una prospettiva pienamente educa-tiva da parte degli adulti in rapporto ai giovani: si tratta di sottrarli dalla distrazionedell’irrealtà, come pure dalla umiliazione dello stigma sociale, specie per una partedegli iscritti ai corsi di Formazione Professionale, e di porli in modo adeguato di rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 11 12 fronte al reale, capaci di cultura viva, ovvero di stupore, responsabilità e reciprocitàsociale.Nell’affrontare il nuovo quadro normativo del sistema educativo ed in partico-lare dell’Istruzione e Formazione Professionale, occorre quindi guardarsi da ungrave equivoco purtroppo molto diffuso, ovvero che si tratti semplicemente di“carta” o, come si usa dire, di un nuovo “format” su cui scrivere i progetti e docu-mentare l’attività didattica. Questo equivoco nasce dal degrado progressivo dellaprogettazione formativa che è scaduta negli ultimi tempi a tecnica della compila-zione dei documenti richiesti dalle varie autorità pubbliche.In realtà siamo di fronte ad un rilevante mutamento di impostazione del si-stema educativo che origina dalla consapevolezza dei limiti della tradizionale me-todologia basata sui programmi. La nuova impostazione per “risultati di apprendi-mento” (learning outcomes) non persegue più soltanto una “preparazione”, dimo-strata attraverso la ripetizione di parole e gesti, ma una vera e propria “padronanza”del sapere rilevata nell’azione concreta di chi apprende personalmente.Ecco il confronto tra le due impostazioni sulla base di criteri comuni di analisi: L’impostazione per risultati di apprendimento appartiene al “costruttivismo pe-dagogico” il cui elemento fondamentale è che la conoscenza umana, l’esperienza,l’adattamento, sono caratterizzati da una partecipazione attiva dell’individuo (Ban-nister; Fransella 1986).È molto evocativa di questa visione la seguente frase di J.D. Novak nel suolibro più importante, dal titolo “Imparando a imparare” (2005, p. 17): “gli inse-gnanti hanno dovuto faticare per prepararsi a raggiungere qualcosa che non fun-ziona, che è gravoso da portare avanti e perciò è costoso: ci si aspettava da loro cheproducessero apprendimento negli studenti, quando invece l’apprendimento nonpuò che essere prodotto dallo studente stesso”. È un altro modo per dire che, senza rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 12 13 il contributo diretto, la “voglia” di imparare, degli studenti, non vi può essere unapprendimento autentico e duraturo. È questo il punto centrale del discorso costrut-tivista in pedagogia, e indica che il sapere si conquista personalmente, e che questoè un cammino pieno di vitalità, non limitato solamente ad un livello cognitivo del-l’intelligenza umana.In questo modo può avvenire l’apprendimento significativo, che secondo Jo-nassen (1994) presenta i seguenti caratteri:• attivo, perché consapevole e responsabile,• costruttivo, perché il soggetto integra le nuove conoscenze con le precedenti,• collaborativo, perché il soggetto lavora in una comunità costruttiva (scaffol-ding offerto da ciascun attore),• intenzionale, perché il soggetto è coinvolto fattivamente nel conseguimento diobiettivi conosciuti e condivisi,• conversazionale, perché è forte la dimensione dialogica dell’apprendimento,• contestualizzato, perché i compiti assumono significatività nel mondo reale,• riflessivo, perché il soggetto riflette sui processi e sulle decisioni.Molte delle concezioni su cui si basa questo approccio educativo derivano dalpensiero di Vygotskij, secondo il quale la persona apprende tramite l’interazionesociale con gli altri, appropriandosi mediante il linguaggio di nuovi strumenti co-gnitivi che gli consentiranno di risolvere in maniera autonoma problemi analoghi aquelli affrontati con gli altri (Vygotskij 1987).Si delinea in questo modo il legame tra dimensione cognitiva e dimensione so-ciale: l’apprendimento dei saperi non avviene esclusivamente tramite uno lavoroindividuale di acquisizione; i processi di costruzione della conoscenza si realizzanonel corso delle interazioni e risultano situati nelle attività proprie di un contesto. Èl’implicazione in quest’ultimo che le persone, entro una dimensione sociale, ne ac-quisiscono gli strumenti culturali propri.Si pone qui il superamento delle precedenti concezioni centrate esclusivamentesul lavoro dell’insegnante come trasmettitore di conoscenze formalizzate entro unpercorso sequenziale di acquisizione di informazioni: sono gli allievi che costrui-scono le loro conoscenze, attraverso la mediazione di strumenti e segni della cul-tura, quando essi sono coinvolti in un’interazione che conferisce senso agli stru-menti culturali utilizzati, che vengono in tal modo interiorizzati attraverso l’intera-zione con altri.È in questo punto che il costruttivismo pedagogico tende a legarsi con il relati-vismo culturale e con un’antropologia individualistica, come se la realtà non esi-stesse in quanto tale, ma fosse in definitiva una costruzione del soggetto umano chedispone dei materiali culturali che incontra come tessere di puzzle che compone asuo uso e piacimento.È ciò che ha sostenuto Max Weber, ovvero “la consapevolezza, o la fede, chese solo lo si volesse, si potrebbe sempre giungere a conoscenza, ossia che in linea rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 13 14 di principio non sono in gioco forze misteriose e irrazionali, ma al contrario chetutte le cose possono – in linea di principio – essere dominate dalla ragione. Ciònon è altro che il disincantamento del mondo” (Weber 1997, p. 89).Il legame tra costruttivismo pedagogico e relativismo culturale non è affattonecessario, anzi: la prospettiva del protagonismo della persona che apprende, laquale si interessa al mondo che lo circonda, si pone domande cui cerca di dare ri-sposte ragionevoli ed assume volentieri assieme ai compagni sfide e compiti che glivengono rivolti per giungere a risultati validi, si connette bene con un punto divista realista secondo cui le conoscenze sono espressioni della realtà oggettiva enon prodotto del soggetto umano.Tramite la cultura e l’interazione ordinata ad uno scopo, il soggetto umano faesperienza del reale non solo elaborando “gracili rappresentazioni del mondo”(Hacking 2000) incapaci di cogliere la natura delle cose, pur essendo strumenti utilialla predizione dei fatti che costituiscono il suo contenuto empirico (Feyerabend1983). Accanto ed insieme al modo proprio – razionale – di procedere della cono-scenza scientifica che avanza per paradigmi necessariamente parziali e falsificabili,esiste un modo ragionevole di conoscenza della realtà oggettiva che non risulta in-fluenzata dal soggetto, ma la cui comprensione richiede un’azione volontaria per-sonale che si avvale appunto della comprensibilità del reale tramite cognizioni, fun-zioni, immagini e simboli.La realtà oggettiva è quindi accessibile ed anche persuasiva, essa si manifestaal soggetto umano come portatrice di valori convincenti, corrispondenti alla dispo-sizione dell’animo e sostenuti da “buone ragioni” (Perelman; Olbrechts-Tyteca2001) che possono essere scoperte e fatte proprie, oltre che argomentate in modopersuasivo. Va detto che questi valori – etici, politici e religiosi – sono le cose chepiù contano per le persone umane: esse riguardano più da vicino l’esistenza quoti-diana e ne costituiscono i riferimenti di fondo.La scoperta della realtà avviene tramite un’esperienza di vita che assume pertale motivo il carattere educativo, poiché sollecita le energie buone della persona ela dispone ed orienta al bene. Essa provoca stupore ed anche consolazione: lo stu-pore corrisponde all’esistenza ed all’essenza stessa della verità come entità distintadalla nostra mutevole soggettività e nel contempo attribuisce consistenza al nostroesistere, mentre la consolazione scaturisce dall’esperienza della fiducia nei con-fronti di un punto di riferimento saldo e reale, non ingannevole. La tensione al sa-pere che vive in ogni persona presuppone la possibilità che le cose siano così comesono e che possano essere conosciute come verità e non mere rappresentazioni lin-guistiche, tecniche o estetiche fatalmente destinate alla dissoluzione. La certezzadel reale, la ragionevolezza del bene quando sono esperienze condivise entro unacomunità, suscitano la disposizione della persona umana alla vita buona.Quando una persona vive tale esperienza, ciò che accade non può essere limi-tato alla categoria dell’apprendimento, ma indica un’apertura all’essere descrivibileappropriatamente come illuminazione, ovvero l’intuizione di un legame essenziale rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 14 15 tra il mondo personale ed il mondo esterno, mediato dalla cultura. Non si tratta diuna questione teoretica, quanto di un’esperienza che necessariamente la precede: ilcuore dell’educazione si ritrova in esperienze di verità nella vita, che sollecitanodecisioni personali vive ed impegnative. Per tale scopo è indispensabile la figuradell’insegnante che consente la scoperta della cultura tramite l’affezione, la comu-nicazione o capacità di introdurre le conoscenze e di sollecitarle mediante domandee compiti, oltre che di incoraggiare e di in-signare ovvero, accompagnando passopasso il discente, di indicargli i segni del cammino verso il sapere.Questo modo di accedere al sapere qualifica la libertà delle persone intesacome disponibilità a dedicare la propri vita a scopi buoni, che accrescano la possi-bilità delle persone di realizzare le proprie potenzialità entro la comunità sociale edin un rapporto innocente con il creato, nel senso di in-nocens, che non nuocere, nonfa male (Panikkar 2004).Ciò rovescia l’impostazione pedagogica tradizionale, che sosteneva, di frontead una verità bell’è fatta, l’inconsistenza del contribuito del soggetto umano ilquale doveva unicamente aderire (o rifiutare) ciò che gli veniva offerto. In questomodo il prezzo dell’adesione alla verità consiste nell’annullamento della soggetti-vità e dell’unicità distintiva dell’individuo, mentre la dimensione sociale risulta ri-dotta a pedante conformità alla legge così che il tutto risulta statico e ripetitivo.Una verità il cui contenuto riguarda l’essere umano non può essere resa inmodo indifferente all’umanità di coloro cui è proposta. Di fronte alle realtà che piùinteressano le persone va sollecitato un pensiero vivo e nel contempo una volontàlibera e responsabile. In questo senso, l’educare consiste prioritariamente in un’e-ducazione morale poiché mira a promuovere l’uomo in quanto uomo e sollecita lavirtù come ideale di vita.Già Socrate, chiedendosi se la virtù sia insegnabile, poneva la domanda su chisia il vero maestro della virtù. Egli mostra che la vera virtù dell’uomo è legata allaconoscenza del bene, perché l’uomo segue in realtà sempre quello che crede bene,pur non sapendo spesso quale sia. La virtù è insegnabile non nel senso che qual-cuno la possiede e la insegna ad un altro che non la possiede, ma nel senso che èpossibile educare l’uomo ad apprenderla da se stesso, nell’interiorità della propriacoscienza. Proponendo la via del conoscere se stessi per giungere al vero bene, So-crate afferma che la vera virtù è legata al sapere inteso come coscienza viva e nonmera ripetizione di formule.Circa la questione del metodo da adottare nell’educazione dei giovani, lostesso Aristotele affermava che, poiché ci affezioniamo di più a tutto quel che cicolpisce per primo, bisogna “rendere estranee ai giovani tutte le cose cattive, spe-cialmente quelle che hanno in sé malvagità e malignità” (Politica, VII, 17), inten-dendo con ciò la necessità di predisporre un contesto adeguato all’opera educativa.Ma don Bosco a questo proposito propone una visione positiva dell’animo del gio-vane, affermando che egli possiede una “naturale intelligenza per conoscere il beneche loro viene fatto, ed un cuore sensibile facilmente aperto alla riconoscenza” rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 15 16 (Bosco, 1987, p. 98), indicando in tal modo l’importanza dell’educatore in quantoamico che, piuttosto che temere, cura di farsi amare.E torniamo così al punto cruciale della nuova filosofia educativa, il protago-nismo dell’allievo nel percorso della conoscenza, il riferimento ad un sapere chepuò essere scoperto e che consente l’accesso alla verità, l’orientamento dell’educa-zione alla virtù ovvero alla vita buona. 2. Cultura del lavoro come leva per formare la persona ed il cittadino In campo professionale, molta parte della dinamica dell’educazione avvieneintorno al lavoro inteso non come mera attività, bensì come condizione privilegiata,seppur non totalizzante e quindi limitata, della vicenda umana. L’ethos – dimen-sione indispensabile di ogni convivenza sociale – scaturisce dall’operare umano, dicui l’agire economico è solo un’espressione (Vito 1961). Tale azione rappresenta ilpunto di congiunzione, sempre dinamico ed aperto al futuro, tra mondo individualee mondo collettivo, entro un quadro razionale ovvero dotato di senso, quindi nonesclusivamente strumentale fondato sul rapporto mezzi-fini, ma anche mediante larazionalità dei valori, della tradizione, affettiva.Il lavoro, tanto bistrattato dalla letteratura che ha visto in esso solo alienazionee inautenticità (Nicoli 2009), sta tornando ad essere considerato una componentefondamentale dell’esistenza. Parlare di lavoro significa considerare innanzitutto lapersona umana come soggetto che cerca la sua propria realizzazione, il compi-mento della sua vocazione professionale, la costituzione di rapporti sociali signifi-cativi e la promozione del bene comune.Il lavoro «assume una rilevanza specifica in quanto modalità di espressionedell’identità personale, poiché in esso vengono coinvolte non unicamente le capa-cità operativo manuali, bensì la dimensione cognitiva, motivazionale creativa, cul-turale, etico valoriale» (Bocca 1998, 104).La qualità del lavoro e l’accessibilità per tutti ad occupazioni che consentanodi valorizzare i talenti di ciascuno è divenuta la questione decisiva per le modernedemocrazie, come già aveva detto John Dewey: «L’occupazione è il solo elementoche armonizzi le capacità specifiche di un individuo e la sua funzione sociale.Chiave della felicità è lo scoprire che cosa uno è adatto a fare e il dargli l’opportu-nità di farlo» (Dewey 2004, 341).Ciò porta a considerare lavoro in chiave educativa solo quelle attività che con-sentono di fare un’autentica esperienza umana e culturale, oltre che di contribuireal bene collettivo e di realizzare le potenzialità della propria condizione umana.Apprendere un lavoro consente pertanto di mettere in moto un processo educa-tivo e culturale, teso a sostenere l’azione umana come espressione dell’incontro trasentimento comune e originalità dei singoli; inoltre sollecita una comprensionedella realtà a partire da un punto di vista etico culturale, ciò che permette di viverela realtà nella sua totalità. rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 16 17 La formazione «non considera la professione un accessorio, bensì una dimen-sione fondamentale della personalità, che va sviluppata nel contesto dello sviluppointegrale di quest’ultima, a partire dall’infanzia e non alla fine del processo evolu-tivo. La ‘professione’, in altri termini, deve ‘emergere’ dalla personalità e non ag-giungersi ad essa» (Giugni 1987, 153-154).La valenza formativa del lavoro è duplice: imparare lavorando, e imparare alavorare.Circa la prima valenza, va riconosciuto che il cardine dello sviluppo cognitivorisiede nella relazione tra individuo e ambiente, mediata dalla cultura. Ciò consentedi suscitare processi di costruzione della conoscenza che risultano pertanto situatinelle attività proprie di un contesto (Vygotskij 1987).Il percorso formativo è pertanto costituito dalla sequenza delle esperienze (“si-tuazioni di apprendimento”) che mobilitano le risorse intrinseche degli studenti epermettono loro di fare esperienza personale del sapere, nel momento in cui assol-vono a compiti reali e significativi e risolvono i problemi che questi compiti viavia presentano.Circa la seconda valenza formativa del lavoro, va riconosciuto il fatto che unCentro di Formazione Professionale, inteso come comunità di apprendimento, pre-senta una decisa apertura alla realtà come fonte e riscontro delle occasioni di ap-prendimento più significative. La ricerca del sapere che viene sollecitata presso gliallievi non può essere rinchiusa entro uno spazio circoscritto, ma trova il suo am-bito naturale di riferimento nella realtà intesa come totalità composta dalle suevarie componenti. L’apertura alla realtà si manifesta come sollecitazione agli allieviaffinché considerino la cultura proposta non come un insieme inerte di nozionibensì come un fattore vitale in grado di spiegare la realtà ed i suoi processi, edinoltre come stimolo volto a scoprire insieme il sapere (buono) iscritto nelle dina-miche del reale così da renderlo personale attraverso la conquista e la confermadella corrispondenza con i tratti del proprio mondo personale. Il mondo reale in talmodo non è tenuto fuori dalla scuola/CFP, ma diviene un “libro di testo” che meritadi essere sfogliato affinché il suo valore potenziale possa essere messo a frutto daparte degli allievi. In questo modo, il processo di crescita culturale si presentacome un cammino volto a rendere evidente il sapere implicito nei processi reali;per fare ciò la scuola/CFP è chiamata a sollecitare nei destinatari il desiderio e lapassione della conoscenza ed a far intuire loro che è alla loro portata la possibilitàdi trovare soddisfazione a tale desiderio con un metodo di coinvolgimento attento edi investigazione aperta all’insegnamento emergente dal reale. L’apertura alla realtàcomporta infine un aumento delle occasioni di relazione, ovvero degli apporti di“maestri” non formali capaci di fornire un contributo significativo alla crescita cul-turale dei giovani.È emblematico il caso della Istruzione e Formazione Professionale, stretta-mente raccordate sul piano territoriale con le altre realtà che concorrono a com-porre il sistema di offerta formativa professionalizzante, si svolgono sulla base di rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 17 18 un’alleanza tra organismi formativi, governo locale e soggetti economico-socialicoinvolti nell’ambito di riferimento. Tale intesa di natura volontaria, che può assu-mere forme giuridiche differenti, identifica la corresponsabilità di tutti gli attori equindi il loro contributo alla qualificazione dell’offerta formativa. Essa è fondatasulla condivisione dei criteri educativi e formativi di fondo, e soprattutto sul rico-noscimento del carattere etico e culturale del lavoro e della professione oltre chesulla valenza di servizio pubblico della formazione.Va segnalata, in direzione del rinnovamento delle relazioni tra l’istituzione ed ilsuo contesto, la rilevanza della metodologia della alternanza formativa. Questa rap-presenta una strategia metodologica che consente di realizzare un percorso formati-vo coerente e compiuto nel quale si integrano reciprocamente attività formative diaula, di laboratorio ed esperienze di lavoro svolte nella concreta realtà di impresa.L’alternanza formativa è sostanziale quando le diverse modalità formative chesi alternano vengono a comporre un percorso unico e continuo, avente al centro lapersona in formazione collocata in modo attivo e responsabile entro il contesto diriferimento.La qualità formativa dell’alternanza è data dalla natura della relazione che siinstaura tra i diversi attori in gioco. Non si tratta di una semplice interazione, bensìdi una partnership che prevede la comprensione dell’altro e del suo specifico va-lore, la volontà di cooperazione reciproca, la reale possibilità nello sviluppareazioni congiunte.Un’alternanza efficace richiede anche il superamento di stereotipi oramai ob-soleti andando oltre semplificazioni o schematismi che non trovano poi riscontronella realtà. Il “rendere pratico” le nozioni teoriche non può essere rappresentatosolo nel senso della mera applicazione ma costituisce un movimento di nuovo ap-prendimento che consente di acquisire modi diversi di leggere la realtà, di coglieregli scenari di riferimento e indicare le strade da percorrere nel futuro.Dalle pratiche di alternanza svolte emerge inoltre un suggerimento affinché lascuola/CFP insegni il metodo di lavoro, che viene reso con l’espressione “metterein condizioni gli studenti di usare la testa”.L’alternanza non deve essere vista come delega all’esterno di parti del curri-colo scolastico. Occorre al contrario pensarla come una sorta di campo di apprendi-mento anche per docenti e per le scuole/CFP nel loro insieme, oltre che per il per-sonale degli enti coinvolti che in tal modo può acquisire consapevolezza circa lavalenza culturale del proprio lavoro ed i requisiti di un intervento formativo dal ca-rattere pedagogico.In tal modo, la professionalità si riferisce non ad una visione addestrativa, maad una vera e propria cultura del lavoro, intesa nella sua accezione più ampia: l’in-sieme di operazioni, procedure, simboli, linguaggi e valori, ma anche identità esenso di appartenenza ad una comunità professionale, che riflettono una visioneetica della realtà, un modo di agire per scopi positivi in relazione ad esigenze nonsolo personali ma comuni. rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 18 19 3. Accompagnare i giovani della FP a scoprire il mondo e ad agire in esso inmodo autonomo e responsabile Con la riforma del sistema educativo, è stata riconosciuta – ed è una novità as-soluta per il nostro Paese, nel quale resiste una forte tradizione che contrapponecultura e lavoro – la valenza educativa, culturale e professionale della FormazioneProfessionale; in tal modo la cultura del lavoro non è solo un insieme di prescri-zioni operative, ma è anche un punto di vista appropriato per leggere la realtà ed in-tervenire in essa da cittadino consapevole, fornendo il proprio contributo al benecomune in modo autonomo e responsabile.Questa novità rilevante presenta un valore generale, ma assume un significatoparticolare per giovani appartenenti al ceto popolare, che prediligono l’approcciodell’“imparare facendo” e che vedono nel lavoro una prospettiva positiva per inse-rirsi nella società da protagonisti e per realizzare i propri talenti personali.Con l’accordo Stato Regioni circa il primo anno di attuazione 2010-11 dei per-corsi di Istruzione e Formazione Professionale a norma dell’articolo 27, comma 2,del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, si è conclusa la fase di sperimenta-zione dei percorsi IeFP. In questo modo, è stata sancita l’equivalenza formativa deipercorsi IeFP e la necessità che tutte le Regioni e Province Autonome forniscanotale proposta ai giovani dell’intero Paese, senza alcuna discriminazione. Tutto ciòin piena sintonia con quanto avviene in Europa e in coerenza con le indicazioni de-l’Unione europea.I percorsi IeFP, aventi valore equivalente rispetto a quelli dell’istruzione inquanto assolvono al diritto-dovere ed all’obbligo di istruzione, sono caratterizzatidalla personalizzazione, dalla didattica attiva e per competenze, dal perseguimentodel successo formativo per tutti, nessuno escluso. I risultati delle sperimentazionisvolte a partire dal 2003 e dei monitoraggi effettuati negli ultimi anni (si vedano inparticolare i rapporti dell’Isfol) confermano il loro valore in termini di efficacia, maanche di efficienza economica oltre che di risparmio di tempo per i destinatari. Essisi riferiscono a tutti i giovani che desiderano acquisire una qualifica e, successiva-mente, un diploma professionale quadriennale. Vi sono soluzioni particolari favore-voli a soggetti posti in condizione di difficoltà sociale e di apprendimento.Questo cambiamento, che pure valorizza l’approccio peculiare della FormazioneProfessionale, centrato sulla personalizzazione dei percorsi, sulla familiarità e l’ami-chevolezza, sui compiti reali, sull’alternanza formazione-lavoro, pone alla stessa trenuove sfide che vanno fronteggiate in modo rigoroso e con uno sforzo di insieme:1. in primo luogo occorre superare la separazione, ancora molto rilevante neipercorsi di FP, tra discipline teoriche e discipline pratiche; ciò può essereperseguito seguendo contemporaneamente due vie: innanzitutto attraverso lacreazione di legami forti e di servizio (ciò che prende il termine di “curva-tura”) tra le materie degli assi culturali e l’area professionale, in secondo luogodefinendo una proposta culturale appropriata per i giovani dei corsi di Forma- rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 19 20 zione Professionale che contempli i “contenuti irrinunciabili” degli assi cultu-rali, perseguiti entro un metodo coerente con la prospettiva dell’“imparare fa-cendo”. Infatti, non basta più una generica “cultura generale” per consentire aigiovani allievi di entrare in un rapporto personale e positivo con la cultura; oc-corre uno sforzo comune di proposta e di esperienza didattica.2. In secondo luogo va superata la tendenza, sostenuta da una parte del sistemadi FP propria della stagione dei corsi di formazione biennali di qualifica (prece-denti al 2002) ad insegnare sulla base di una prospettiva basata essenzial-mente su abilità e procedure, dove si pone l’enfasi esclusivamente sulla dili-genza ovvero sull’acquisizione da parte dell’allievo di routine operative basatesu sequenze prestabilite; questa pratica didattica non va abbandonata, specie nel-le fasi iniziali dei percorsi formativi, ma occorre ben presto stimolare i giovani afronteggiare compiti e problemi che contemplino anche l’imprevisto, nella pro-spettiva dell’autonomia e della responsabilità. Si tratta della questione dellacomplessità, che richiede negli allievi capacità di visione, di lettura e compren-sione delle consegne, di definizione di un piano d’azione realistico, di una capa-cità di attuazione che contempli una verifica simultanea della bontà degli esitiintermedi, così da giungere, tramite le necessarie correzioni, ad un esito giudica-to valido dagli interlocutori interni ed esterni dell’azione formativa.3. Infine, occorre contrastare la tendenza, comune peraltro a tutto il secondo ciclodel sistema educativo, che produce un progressivo “abbassamento dell’asti-cella” rispetto ai saperi ed alle competenze traguardo e rilanciare il progetto edu-cativo e formativo orientato effettivamente a formare i cittadini della societàcomplessa. Questa tendenza trae alimento dall’elenco delle problematicità cui vaincontro l’opera educativa (demotivazione dei giovani, bassi livelli di ingresso,estrema varietà dei gruppi classe con presenza di stranieri, di portatori di handi-cap e di soggetti con difficoltà specifiche di apprendimento, assenza di collabo-razione di una parte delle famiglie); ma tali condizioni, sia pure innegabili, anchese non certo inedite nei periodi precedenti della storia della Formazione Profes-sionale, possono agire anche come sfida per delineare una proposta educativa eduna metodologia che punti al riscatto sociale di questi giovani, evitando di con-siderare la Formazione Professionale come una sorta di strumento assistenziale enon educativo e formativo. In parte, l’innalzamento dell’asticella è già in atto nelsistema CNOS-FAP, specie in forza del contributo delle Commissioni di settoreche hanno definito accordi rilevanti con Aziende partner ed hanno promosso iConcorsi nazionali uno strumento che ha introdotto una spinta innovativa sia sulpiano tecnologico sia su quello educativo e formativo. 4. Tornare a don Bosco per risvegliare l’umanità dei giovani Queste nuove sfide fanno appello al valore profetico della Formazione Profes-sionale di ispirazione cristiana, ed in particolare al carisma Salesiano. La possibilità rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 20 21 di risposta ad esse non è collocata primariamente sul piano metodologico, perchépone in gioco la questione antropologica ovvero la possibilità, per i giovani che sirivolgono alla Formazione Professionale, di conquistare una effettiva libertà ovverodi vivere pienamente la propria vita secondo tutte le potenzialità volute da Dio perciascuno di loro personalmente.Questi giovani, infatti, sono spesso “abbandonati e pericolanti” come quelliche hanno suscitato l’opera Salesiana; mentre al tempo di don Bosco la condizionedi pericolo era costituita dalla fatale attrazione che giovani di estrazione contadina -tra cui molti orfani - subivano da parte della città, alla ricerca di un tenore di vitameno duro, cadendo però spesso in una condizione di miseria, disumanità e finendonon raramente in prigione, ora il pericolo risiede in uno stile di vita distratto dall’i-perrealtà, intendendo con ciò la comparsa, sotto l’influsso dei media, di un mondodi segni carenti di un valore simbolico reale. Si creano in questo modo bisogni nonpiù connessi ad un ordine sociale di valori, in una condizione di continua eccita-zione dove l’individuo rimbalza perennemente nella tensione tra bisogno e piacere(Baudrillard, 1976, p. 40).Buona parte dei giovani d’oggi, specie quelli appartenenti a strati popolari irre-titi dall’ideologia consumistica, sono pericolanti perché incatenati in un fitto reti-colo di stimoli e sollecitazioni che li pone in uno stato di continua sospensione; nonvivendo un rapporto positivo con la realtà, finiscono per rimanere inconsapevoli disé e del mondo, dissipando così alla lunga i propri talenti.Nel contempo sono abbandonati a causa della sostanziale dimissione degliadulti dal ruolo educativo: si va da genitori troppo cedevoli a docenti ripiegati sucontenuti inerti (Whitehead 1992), fino ad istruttori sportivi tesi alla prestazionepiuttosto che alla crescita umana.Il messaggio di don Bosco è assolutamente attuale e necessario al giornod’oggi: egli non si è limitato a denunciare la gravità del fenomeno, poiché si ren-deva conto che la maggior parte dei reclusi erano “poveri giovani” venuti da lon-tano, e condotti più volte in quel “luogo di punizione” dove “diventano peggiori”.Allo stesso modo, in riferimento ai nostri giovani auto-reclusi, occorre evitaredi abbandonarsi, anche nella Formazione Professionale, a quella lamentazione cosìdiffusa negli ambienti scolastici che preferisce accusare la durezza dei tempi e lademotivazione dei giovani allo studio, finendo per rivestire di sociologismo la pro-pensione a dimettersi dal ruolo educativo. Oggi è molto diffusa l’idea secondo cui,se un giovane appartiene ad una famiglia disastrata, con un curricolo scolastico ne-gativo, non può raggiungere risultati soddisfacenti; al massimo può essere adde-strato ad un lavoro routinario. L’insegnamento, in tal modo, è inteso come la co-struzione di un edificio che procede a strati successivi: se le fondamenta sonoquello che sono, al massimo si può edificare una baracca… Inoltre, si è fatta stradala “medicalizzazione del disapprendimento” che se portata all’estremo finisce perperseguire la certificazione da parte di specialisti come attestazione “scientifica”dell’impossibilità di un intervento educativo. rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 21 22 È qui che si pone la questione antropologica, che a sua volta richiede un atto difede nei misteri della creazione e della redenzione: Dio ha fatto ogni persona a suaimmagine e somiglianza, quindi ha messo dentro ciascuno di noi, anche dei piùpiccoli e apparentemente miseri, il desiderio della conoscenza della verità e quindidello stesso Creatore; il compito dell’educazione è non soltanto essenziale per il fu-turo della società, ma anche come simbolo della salvezza dell’uomo, come inte-resse di Dio per gli affari umani.La questione antropologica risulta da ciò: Dio è il vero educatore che ci pre-cede compiendo l’opera fondamentale che consiste nel porre nel cuore di ciascunoil desiderio insopprimibile della conoscenza. Il nostro compito consiste nell’agirecon dedizione, cultura e metodo, al fine di risvegliare l’umanità di ogni giovaneche ci viene affidato, conquistandolo con l’amorevolezza ed ottenendone così la fi-ducia: “L’educatore deve pur persuadersi che tutti, o quasi tutti questi cari giovani,hanno una naturale intelligenza per conoscere il bene che loro vien fatto personal-mente, ed insieme sono pur dotati di un cuore sensibile facilmente aperto alla rico-noscenza” (Bosco, 1987, p. 98).Allo stesso modo, anche per i giovani pericolanti ed abbandonati di oggi sideve affermare: “chi sa se questi giovanetti avessero avuto un amico…” (Ibidem,p. 98).La persona non è condannata alla sua condizione sociale o al rendimento neglistudi precedenti: c’è in ognuno un tesoro di umanità, spesso nascosto, che rispondeal bene ed all’attesa positiva dell’educatore. L’apprendimento non è un processomeccanico basato sulla “legge dei prerequisiti”, ma un’evidenza di ciò che accadein un giovane quando sente che qualcuno gli dà fiducia e si aspetta da lui grandicose. Ed allora sana le “lacune” e brucia le tappe, meravigliando chi gli sta intorno.Il fine dell’insegnamento non è dotare l’educando di un bagaglio culturale minimo,ma la virtù: “illuminare la mente per rendere buono il cuore” (Ibidem, p. 32). Il la-voro dell’educatore non è una sorta di malinconica esistenza, che si alimenta diideali ma accumula inevitabili delusioni: è la possibilità di realizzare la propria esi-stenza alimentata dall’effetto consolante dei miracoli che accadono giorno pergiorno nelle nostre opere.È quanto ha affermato don Bosco: “l’educazione è cosa di cuore, e Dio solo neè il padrone, e noi non potremo riuscire a cosa alcuna, se Dio non ce ne insegnal’arte, e ce ne dà in mano le chiavi” (Ibidem, p. 259).In definitiva, la Formazione Professionale, è chiamata ad affrontare le sfideproprie del nostro tempo, sapendo perseguire un salto di qualità che significa tor-nare ad abbeverarsi alle fonti della sua storia straordinaria, adeguata al tempo pre-sente, capace di suscitare l’umanità dei giovani affinché possano essere felici. Ciòrichiede risorse spirituali e morali (“credere ai giovani!”), e la capacità di rilanciareil profilo educativo dell’opera Salesiana, potendo contare maggiormente su laici,gli “operai della vigna” che il Signore ha posto nei nostri Centri.Occorre in definitiva un progetto rinnovato, che consenta, partendo da coloro rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 22 23 che si iscrivono ai corsi di Formazione Professionale, di formare lavoratori compe-tenti, cittadini attivi e consapevoli, persone capaci di vivere in modo autentico lapropria libertà.Occorre, come ai tempi di don Bosco, risvegliare con l’amorevolezza e la fa-miliarità, il desiderio di sapere e di riuscire che c’è in ogni giovane, così che sen-tano di esser amati sia nelle cose che piacciono loro, sia in quelle che loro piac-ciono poco: quali sono la disciplina, lo studio, avvertendo in modo sensibile chequanto viene loro proposto è per il loro bene.Serve infine anche un progetto formativo bene impostato, organico, centrato suprincipi pedagogici solidi, e su una metodologia coerente, che va perseguita supe-rando i limiti di un approccio che rischia di essere inefficace poiché non riesce arendere gli allievi consapevoli dell’unitarietà del sapere. Quello presente è uno diquei momenti storici nei quali è necessaria una revisione delle nostre pratiche peda-gogiche, alla luce dei fondamenti dell’opera Salesiana, sapendone ritrovare l’entu-siasmo originario. Perché anche i carismi più belli sono soggetti all’offesa deltempo che li frustra, li automatizza, li anestetizza, li rende parole che non sentiamopiù. I nostri allievi sono dotati personalmente della capacità di cogliere la bellezzadella cultura in tutti i suoi aspetti; di fronteggiare compiti complessi, potendo con-tare su una comunità educativa che condivide tale metodo e si sforza di realizzarlocon dedizione e coraggio. Ma soprattutto nella fiducia che il miracolo possa dav-vero avvenire. 5. Principi educativi e formativi I principi educativi e formativi su cui si basa questa Linea guida progettualesono i seguenti:• Affezione e scoperta per mobilitare le risorse intrinseche degli allievi;• Olismo o della triplice valenza del sapere;• Attivismo o didattica del coinvolgimento;• Scienza e poesia: la realtà come processo e incanto;• Apprendimento cooperativo e socievolezza;• Esternalizzazione e comunità professionale;• Competenza come impegno civico.Affezione e scoperta per mobilitare le risorse intrinseche degli allieviI giovani non sono fatalmente caduti in uno stato di semi-selvatichezza, masono distratti dall’iper-realtà che li mantiene in una continua ed inutile agitazioneed eccitazione divenendo così schiavi dei propri bisogni (reali e immaginari). Essivivono in una solitudine non solo pratica, ma anche esistenziale, esito di uno spae-samento proprio di una cultura tendenzialmente scettica e pessimistica. rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 23 24 Solo un Centro di Formazione Professionale che li abiliti a conoscere vera-mente il reale può sollecitare in loro il desiderio (di sentirsi vivi, di compiere il pro-prio cammino, di essere felici) e mettere in moto la loro umanità.Essi hanno bisogno di punti di riferimento nei formatori e nella cultura: l’inse-gnante inteso come guida (in-signare) non è una persona perfetta, bensì umana, ca-pace di accoglienza e di accompagnamento nel cammino del sapere (e del vivere).Un’autentica istruzione avviene solo nell’educazione e si rende possibile nel-l’affezione (un legame che dà sicurezza) e nella fiducia (l’attesa di qualcosa chevalga la pena per sé e per gli altri)Non si tratta di assistenza, ma di cultura intesa in senso autentico, come ri-sposta a domande di conoscenza: non è il sapere che insegue gli studenti, ma glistudenti che inseguono il sapere.La metodologia formativa proposta punta a mobilitare le risorse intrinsechedegli studenti:– curiosità: infatti la più singolare caratteristica umana è l’attitudine ad appren-dere;– desiderio di competenza, ovvero lo stimolo ad affrontare e risolvere problemi,così che la competenza diventa a sua volta un fattore di motivazione prima an-cora di divenire una capacità conseguita;– aspirazione ad emulare un modello proposto dagli insegnanti, che non consistenecessariamente nell’imitare il maestro, quanto nel fatto che egli divenga parteintegrante del dialogo interno dello studente, una persona, cioè, di cui egli de-sidera il rispetto, di cui vuole far sue le qualità;– impegno consapevole ad inserirsi nel tessuto della reciprocità sociale, desi-derio di rispondere agli altri e cooperare con essi in vista di un obiettivo co-mune: vi è nel legame sociale una spinta intrinseca ad apprendere, ed è non giàun’imitazione, quanto una dinamica in cui si apprende reciprocamente.Ciò richiama il principio della personalizzazione. Questa non si persegue intro-ducendo “eccezioni” ad un percorso a-personale massificato, ma modulando lescelte e le opportunità proprie di una didattica per persone competenti, in modo dastimolare e valorizzare le caratteristiche peculiari di ciascun allievo. Sono quindi adisposizione di ogni consiglio di classe varie leve ordinarie sulla base delle qualiperseguire il fine della personalizzazione dei percorsi formativi:– didattica per competenze ovvero UdA strutturate secondo la sequenza pratica-teoria;– cura della composizione dei gruppi di lavoro al fine di potenziare l’inserimentoe l’apprendimento di chi presenta difficoltà;– attività di recupero gestita da insegnanti e da studenti degli ultimi anni (peereducation);– laboratori di approfondimento di tipo elettivo;– laboratori di ingresso e di passaggio. rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 24 25 Olismo o della triplice valenza del sapereIl sapere non si presenta alla persona come un costrutto disciplinare astratto,ma come una realtà unitaria dal carattere olistico (il tutto è nelle parti, le parti sononel tutto, il tutto è più della somma delle parti), di cui è possibile fare esperienzacognitiva, affettiva, pratica.Il riduzionismo ha portato ad una costruzione artefatta del sapere, e ciò impe-disce l’accesso ad una autentica conoscenza.L’essere umano può impadronirsi della cultura tramite percorsi che originanodalla sollecitazione della curiosità e dall’esperienza della scoperta. Ciò disegna uncammino per nuclei tematici del sapere, condivisi tra più discipline e proiettativerso risultati concreti, tangibili.Tre sono le valenze del sapere “vitale” (per la vita):– cognitiva: consente di giungere ad una conoscenza valida tramite la coscienzadelle regole che presiedono alle sue operazioni;– affettiva: suscita le potenzialità umane buone, stimola il desiderio di appren-dere che è insito nella natura umana (“fatti non foste…”) entro un preciso con-testo morale (orientamento al bene);– pratica: stimola la concretezza, la responsabilità e l’impegno nell’ambito divita in cui si è posti, in vista di un futuro auspicato (e sempre riprogettato).Attivismo o didattica del coinvolgimentoIl cardine dello sviluppo cognitivo risiede nella relazione tra individuo e am-biente, mediata dalla cultura. Ciò consente di suscitare processi di costruzione dellaconoscenza che risultano pertanto situati nelle attività proprie di un contesto.Il percorso formativo è costituito dalla sequenza delle esperienze che solleci-tano il coinvolgimento dell’allievo e quindi ne mobilitano le risorse intrinseche.Nel momento in cui assolvono a compiti reali e significativi e risolvono i pro-blemi, tesi a risultati utili e significativi, gli studenti fanno esperienza personale delsapere, quella che rimane come bagaglio e padronanza reale.Il lavoro costituisce l’occasione per fare esperienza del mondo in senso piena-mente culturale; ma l’agire umano appare nel suo giusto valore se la persona si ali-menta anche con la contemplazione, la poesia e l’arte.Scienza e poesia: la realtà come processo e incantoPer rendere intelligibile il reale è necessaria la scienza intesa come descri-zione, spiegazione, previsione e controllo; ciò avviene attraverso un continuo supe-ramento dei limiti di capacità della visione scientifica del presente storico, che ri-sulta quindi sempre provvisoria, e nel contempo abitua al rigore, all’onestà intellet-tuale, alla libertà di pensiero, alla creatività, alla collaborazione, in quanto valorifondamentali per la costruzione di una società aperta e democratica.Ma ogni spiegazione fisica è insufficiente ad appagare la ragione; per evitareil disincantamento ed il tedio del cuore, occorre alimentare il senso dell’inatteso e rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 25 26 dell’immeritato e la capacità di apprezzare le cose, tramite lo sguardo meravi-gliato ed assieme concreto della poesia, la ricchezza di linguaggio e di amiciziedella letteratura, le visioni indicibili della mistica. In questo modo si diventagrandi imparando a vivere realmente, o più precisamente a conquistare la secondainfanzia.Apprendimento cooperativo e socievolezzaL’essere per gli altri, la socievolezza, rappresenta una dimensione fondamen-tale dell’esistenza, anche se per molti giovani non è più un’attitudine spontanea acausa della carenza di legami tra pari età e per l’esposizione ad una cultura centratasulla realizzazione di sé.Lo studio consente di fare esperienza dell’altro e della comunità, sia nellaforma della cooperazione al fine di perseguire obiettivi inaccessibili al singolo, siacome fine in sé più importante della realizzazione individuale.Il gruppo è risorsa per il singolo, ma è anche una dimensione esistenziale chepermette di “vivere insieme” con e per gli altri, quindi di uscire dal carcere dell’ioindividuale.Esternalizzazione e comunità professionaleLa funzione principale di ogni attività culturale non consiste tanto nel ripetere,quanto nel produrre opere. Il produrre opere che abbiano un’esistenza loro propriacostituisce una metodologia di apprendimento molto vantaggiosa; essa:– consente di liberare l’attività cognitiva dal suo carattere astratto, rendendolapubblica, negoziale e sociale;– rende tale attività accessibile alla riflessione;– favorisce il sentimento di comunità creando un mito, una tradizione che ri-mane nel gruppo che l’ha vissuta.Nel contesto professionalizzante, realizzare opere permette agli allievi di en-trare in rapporto con i membri della comunità professionale più vasta che unisceorganismi formativi, soggetti economici e professionali, organismi culturali e di ri-cerca, servizi attivi per il lavoroMolteplici sono le possibilità formative connesse alla esternalizzazione: con-corsi, project work, lavoro a commessa, fino alle attività di servizio riconosciutocome il “ristorante didattico” nel settore alberghiero.Più che la simulazione, il compito reale, mentre consente una valutazione at-tendibile e partecipata, stimola l’allievo ad un inserimento autonomo e responsabilenella realtà.L’integrazione con il territorio e il mondo produttivo non è solo un metodo dilavoro, è un fattore imprescindibile per l’elaborazione del piano dell’offerta forma-tiva dei Centri di Formazione Professionale. Gli strumenti per intrecciare la proget-tazione didattica della scuola con i piani di sviluppo locali e le esigenze formativedegli allievi sono quelli offerti dall’autonomia didattica e organizzativa. rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 26 27 Competenza come impegno civicoLa didattica per competenze non è una tecnica, ma una metodologia formativache si ispira all’idea della cittadinanza europea intesa non solo come esercizio deidiritti politici né come identificazione nei valori nazionali mediati da un discorsofilosofico-storico-letterario.Nella visione europea, la cittadinanza si riscontra nella capacità della personadi gestire un ruolo sociale attivo, di valore pubblico: il lavoro.La persona competente è un tipo umano volitivo, curioso, che si coinvolge inun’esperienza culturale con gli altri; non si limita a ripetere ciò che impara, ma loargomenta e lo utilizza nella sua vita. rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 27 28 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 28 29 Parte seconda Metodologia formativa 1. La metodologia Con l’avvio delle sperimentazioni nel 2003, la Formazione Professionale harealizzato percorsi formativi dotati di una metodologia organica, in grado di coniu-gare cultura del lavoro e cittadinanza. Esiste un “modello IeFP” che si è affermatonel corso delle sperimentazioni. Esso prevede la personalizzazione, la didattica at-tiva e per competenze, il perseguimento del successo formativo per tutti, nessunoescluso. L’elemento che connota i percorsi è la valorizzazione delle potenzialità deigiovani, indipendentemente dai livelli di ingresso; inoltre la motivazione formativaconnessa al lavoro ed alla professionalità e quindi l’importanza dei laboratori edello stage in impresa; infine, la relazione educativo-formativa che rende il Centrodi Formazione Professionale una vera e propria comunità nella quale formarsi èpiacevole oltre che utile.Le soluzioni adottate nelle Regioni e Province Autonome sono differenti; ilmodello integrale ha indubbiamente portato nel tempo a migliori performance ri-spetto a quello integrato, ma occorre ancora superare il retaggio delle politiche re-gionali che ancora “balcanizzano” il sistema impedendogli di essere effettivamentetale.Dal punto di vista organizzativo, sono da segnalare in positivo la flessibilità, lapartnership con le aziende del territorio, la figura del formatore-docente che dedicaal suo lavoro un tempo superiore a quello del docente scolastico, infine la figuradel tutor.Questi fattori di pregio dell’approccio della FP vanno arricchiti ed integratientro un quadro organico basato sui seguenti criteri della metodologia formativaper persone competenti:– Laboratorialità;– Progettazione “a ritroso”;– Cammino formativo per gradi di padronanza del sapere, scanditi da prestazioniutili e significative;– Didattica definita per “nuclei tematici” del sapere cui si accede tramite compitimirati, significativi ed utili;– Compiti complessi e stimolo delle criticità. rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 29 30 LaboratorialitàLa didattica laboratoriale non è un modo per rendere attraenti contenuti inerti,la “messa in pratica” dei saperi teorici tramite esercitazioni, una serie di sequenzeoperative di tipo addestrativo, un’attività avulsa dal piano formativo. È una meto-dologia per formare persone competenti, tramite situazioni di apprendimento realiin cui l’allievo è chiamato a coinvolgersi attivamente svolgendo compiti e risol-vendo problemi, così da scoprire e padroneggiare i saperi teorici sottostanti. In talmodo egli fa esperienza personale di cultura.Tali situazioni sono collocate entro un piano formativo centrato sulle compe-tenze, di cui si perseguono le evidenze secondo una progressione indicata.Il percorso formativo procede dalla pratica all’astrazione puntando sulla realiz-zazione di prodotti, il linguaggio e la riflessione. La didattica laboratoriale non deveportare all’eccesso opposto rispetto a quella frontale, ovvero fermarsi solo sull’o-peratività facendo così coincidere la “qualità competente” della persona con i pro-dotti che è in grado di realizzare, ciò che costituisce l’esito erroneo del performati-vismo.Per correggere tale pericolo, va data la giusta rilevanza al linguaggio in quantofacoltà umana che consente di passare dal livello dell’operatività a quello dell’a-strazione: tramite il linguaggio, l’allievo è chiamato a riflettere su ciò che fa e sco-prire i concetti ed i principi universali che sottostanno all’azione, che vanno appresiin modo sistematico e sicuro.Progettazione “a ritroso”Il progetto formativo va definito in chiave unitaria, sulla base dei risultati diapprendimento attesi; quindi occorre procedere a ritroso, partendo dal fondo ov-vero dal quadriennio del Diploma professionale risalendo al triennio e così finoal primo anno, tenendo conto che alla fine del biennio occorre impostare unaprova esperta che concorra alla valutazione delle competenze dell’obbligo diistruzione.La progettazione a ritroso richiede un’intesa di fondo tra tutti i formatori, cen-trata sul rapporto tra saperi essenziali e prestazioni attese. Inoltre, occorre distri-buire nel percorso formativo le differenti attività didattiche (visite, progetti, alter-nanza formazione-lavoro, concorsi, eventi…) e le principali attività valutative di-stinguendo tra le verifiche di asse/disciplina e le prove esperte. Tale progettazionerichiede la presenza di un’équipe interdipartimentale di coordinatori che definiscail piano formativo di massima, sul quale poi lavoreranno i dipartimenti e successi-vamente i consigli di classe.Cammino formativo per gradi di padronanza del sapere, scanditi da presta-zioni utili e significativeLa progettazione persegue un cammino definito per gradi di padronanza, chescandiscono la progressione degli allievi verso i traguardi formativi attesi. Per rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 30 31 questo motivo, è necessario rispondere alla domanda: “quale approccio formativo èpiù favorevole alla formazione della figura professionale-traguardo?”. Infatti, ognisettore lavorativo è dotato di una propria “formatività” implicita, iscritta nella pro-pria peculiare cultura, che va individuata e tradotta in un progetto. «Il primo ele-mento di analisi non è né l’individuo né le istituzioni sociali quanto piuttosto l’in-formale ‘comunità di pratica’ che le persone creano per condividere nel tempo leloro esperienze» (Wenger 1998, 135).Il sapere che si intende acquisire non è separabile dalla pratica, ovvero dall’a-gire applicato a problemi reali: si apprende solo nell’azione, non osservando, némandando a memoria le nozioni via via mobilitate né ripetendo i meri gesti opera-tivi. La persona acquisisce saperi sempre più “fini” nell’ambito professionale viavia che il suo contributo passa da una posizione di supporto ad una di apporto crea-tivo di idee, soluzioni, procedure, accorgimenti così che egli stesso impara lavo-rando ed, in una qualche misura, lavora imparando.Didattica definita per “nuclei tematici” del sapere cui si accede tramite com-piti mirati, significativi ed utiliLa scansione della progettazione va definita a partire dai nuclei essenziali delsapere e delle prestazioni, sotto forma di compiti reali ed adeguati, tramite le qualisi ritiene di poter perseguire una reale padronanza dei saperi indicati.La progettazione indica la scansione delle prestazioni che segnano il camminoformativo dell’allievo, a partire da quelle professionali, ma incrementandole conquelle proprie degli assi culturali. In un primo tempo, gli assi culturali – essendo inprevalenza per loro natura propria “astratti” – debbono cercare nell’area professio-nale le “situazioni di apprendimento” che consentano loro di avere un “corpo” equindi di riferirsi ad uno specifico ambito di realtà. Ma gli assi culturali posseg-gono una loro identità peculiare che va segnalata tramite compiti e prodotti propri,definendo le necessarie collaborazioni con le discipline convergenti.I compiti che generano prodotti debbono essere mirati, ovvero finalizzati agliobiettivi di padronanza attesi, significativi, ovvero rilevanti nel progetto formativo,ed infine utili, ovvero dotati di valore sociale oltre che culturale.Compiti complessi e stimolo delle criticitàNella definizione del piano formativo, va tenuto conto della necessità di sotto-porre agli allievi – secondo una progressione graduale – compiti di natura com-plessa e non soltanto richieste di prestazioni semplici e ripetitive. Ciò significa che,se pure in un primo tempo occorre sostenere le abilità degli allievi, appena possi-bile occorre che a questi vengano sottoposti compiti dotati di complessità, che si ri-scontra nei seguenti aspetti:– la consegna deve partire da una situazione problematica che va interpretata, enon da una sua traduzione operativa “suggerita” dai docenti;– l’attività non deve essere gestibile unicamente da una sequenza operativa pre- rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 31 32 definita, ma prevedere potenzialmente più soluzioni con differenti valori in ter-mini di efficacia ed efficienza, oltre che di sicurezza;– prima dell’avvio dell’attività, l’allievo deve essere sollecitato a definire unpiano operativo, comprendente le fasi di lavoro, i tempi, le risorse necessarie;– l’attività deve prevedere sia compiti individuali sia compiti di gruppo, com-presa la consultazione di fonti e di esperti;– durante l’esecuzione dell’attività, gli allievi debbono verificare costantementese gli esiti intermedi corrispondono alle previsioni, oppure se occorre applicaremodifiche e correzioni;– al termine dell’attività, è necessario procedere alla verifica di quanto fatto, alladocumentazione del lavoro svolto, all’incremento del glossario, all’elabora-zione di una relazione finale in cui indicare ciò che è stato fatto e quanto si èappreso, all’esposizione pubblica dei risultati ottenuti. 2. La progettazione: il piano formativo generale Non si tratta più di “copiare” gli standard e di incasellarli in una sequenza diunità didattiche, bensì di spiegare in che modo, sulla base delle risorse disponi-bili e del contesto, si intendono perseguire quei traguardi formativi.Lo strumento fondamentale è il Piano formativo (Allegato 1). Questo rappre-senta la guida, ovvero la rappresentazione di massima del percorso che orienta i do-centi-formatori nel loro lavoro. Non è quindi né un programma (sequenza di lezioniper contenuti) e neppure un curricolo (sequenza di unità didattiche per obiettivi, at-tività e verifiche), ma il disegno del cammino del tri-quadriennio e quindi dell’annoformativo con le attività principali che coinvolgono tutti i docenti-formatori e laloro scansione, specificando ruoli, tempi, risultati e modalità di verifica e valuta-zione. Il Piano formativo risponde al criterio generale dell’unitarietà degli intenti,che rovescia l’impostazione tradizionale basata sulla giustapposizione di pro-grammi disciplinari. Tale unitarietà è corrispettiva sia della concezione della per-sona dell’allievo sia della cultura sia della realtà.Tutto questo partendo dal profilo finale/standard formativi e lavorando a ri-troso, così da ottenere un percorso razionale.Esso comprende i seguenti elementi:Mete educative e formativeTali mete sono reperibili nel Profilo formativo, culturale e professionale(Pecup) oltre che nelle Linee guida del settore/indirizzo, i documenti che indicanole caratteristiche che si attendono dall’allievo al termine del percorso degli studi.È bene che tali mete, sotto forma di competenze, siano collocate entro loschema delle 8 competenze chiave di cittadinanza europea così da creare una coe-renza già dall’inizio con la struttura del certificato delle competenze. rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 32 33 Criteri formativiSono i criteri metodologici, ma anche culturali ed etici, che motivano le sceltesu cui viene impostato il Percorso formativo. Uno dei criteri rilevanti è costituitodall’alleanza con i soggetti del contesto, nella prospettiva dell’alternanza forma-tiva.Tali criteri costituiscono la trama del progetto comune tra docenti.Percorso formativoÈ rappresentato dall’insieme degli elementi essenziali che indicano il camminoproposto agli studenti, ovvero i saperi e le attività che ne scandiscono il percorsosecondo la successione per bienni-monoennio finale e successivamente per singoleannualità.La definizione del percorso si avvale delle Rubriche delle competenze checonsentono di individuare, per ogni competenza chiave, le evidenze, i saperi essen-ziali ed i compiti suggeriti per la didattica.Il percorso va definito a ritroso, ovvero partendo dalla fine e retrocedendo finoal primo biennio, con attenzione (non esclusiva) alle prestazioni degli studenti.Nella compilazione, occorre porre attenzione ai seguenti elementi:Nuclei portanti del sapere ed assi formativi coinvoltiVanno identificati i “nuclei portanti” del sapere, coerenti con le macro-compe-tenze da promuovere, indicando anche gli assi formativi coinvolti. Tali nuclei por-tanti sono da indicare in modo nominalistico e per macro-temi, così da consentire atutti la visione generale del percorso.Unità di apprendimentoÈ la mappa delle Unità di apprendimento che sostengono l’allievo nella con-quista autonoma, oltre che cooperativa, della conoscenza. Le attività – anche le vi-site di istruzione ed i concorsi – sono da considerare tutte parti di UdA orientate acompiti-prodotti e terminanti con una specifica valutazione.Sessioni di valutazioneSono i momenti nei quali si svolgono prove per capacità e conoscenze (tipoOcse-Pisa e Invalsi) e prove esperte per competenze, quindi per macro-compiti. Il percorso formativo procede dalla pratica all’astrazione puntando sul lin-guaggio e la riflessione. La didattica laboratoriale non deve portare all’eccesso op-posto rispetto a quella frontale, ovvero fermarsi solo sull’operatività facendo cosìcoincidere la “qualità competente” della persona con i prodotti che è in grado direalizzare, ciò che costituisce l’esito erroneo del performativismo.Per correggere tale pericolo, va data la giusta rilevanza al linguaggio in quantofacoltà umana che consente di passare dal livello dell’operatività a quello dell’a- rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 33 34 strazione: tramite il linguaggio, l’allievo è chiamato a riflettere su ciò che fa e sco-prire i concetti ed i principi universali che sottostanno all’azione, che vanno appresiin modo sistematico e sicuro. 3. La Rubrica delle competenze La rubrica rappresenta una matrice che consente di identificare, per una speci-fica macro-competenza oggetto di formazione e valutazione, il legame che si in-staura tra le sue componenti:– le conoscenze ed abilità essenziali mobilitate dal soggetto nel corso dell’azionedi apprendimento;– le evidenze, ovvero le prestazioni reali, significative e necessarie che costitui-scono il riferimento valutativo periodico e finale;– i livelli di padronanza (EQF) che consentono di collocare la prestazione delsoggetto entro una scala ordinale;– i compiti che indicano le attività suggerite per la gestione del processo didat-tico.Si presenta lo schema EQF con l’indicazione dei primi 4 livelli; il terzo è lostandard europeo per la qualifica professionale, mentre il quarto lo è per il diplomao baccalaureato. rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 34 35 La rubrica ha l’ambizione di colmare il vuoto lasciato dalla Conferenza Stato-Regioni il cui passaggio da un ordinamento centrato sui “programmi nazionali” adun altro che predilige i “risultati di apprendimento” (knowledge outcome) risultalargamente incompiuto, e quindi equivoco, nel momento in cui ha prodotto gli“standard formativi” che sono in realtà standard di competenza poiché descrivonole conoscenze, abilità e/o competenze necessarie per una determinata professione,mentre ha omesso di indicare gli standard di apprendimento e di valutazione-certi-ficazione, ovvero le caratteristiche ed i livelli delle prestazioni attese affinché sipossano rilasciare i titoli ed i certificati previsti, limitandosi ad enunciare le compe-tenze-traguardo articolate in conoscenze ed abilità.La rubrica delle competenze (Allegato 2), connessa al profilo ed al repertorio,sulla base di una scelta degli obiettivi formativi rilevanti e significativi per ilgruppo classe, per i sottogruppi e per le persone che li compongono, consente all’é-quipe formativa i seguenti tre utilizzi:– individuazione delle situazioni di apprendimento consone e rilevanti, oltre cheessenziali, su cui impegnare i componenti dell’équipe ad un lavoro prevalente-mente interdisciplinare;– verifica e valutazione delle acquisizioni effettivamente agite in modo perti-nente ed efficace da parte degli allievi;– rielaborazione degli obiettivi e dei percorsi di apprendimento, così da indiriz-zare l’azione formativa in modo da valorizzare le acquisizioni e sormontare lecriticità emerse.La rubrica è uno strumento indispensabile di supporto dell’azione didatticanella logica della costruzione del percorso formativo, in modo condiviso tra i for-matori che compongono l’équipe. Essa, inoltre, fornisce un linguaggio operativoche consente di attribuire ad ogni enunciato circa i risultati di apprendimento, defi-niti in forma di competenze articolate in abilità e conoscenze, le necessarie evi-denze concrete. È uno strumento che esige un riscontro o validazione, composto didue passi:– nel momento della elaborazione essa richiede una validazione provvisoria, checonsiste nel riflettere sulla sua struttura, sul linguaggio, sul suo carattere evo-cativo e di facilitazione dell’azione didattica;– a seguito della sua applicazione essa chiede di essere validata rilevando i ri-scontri provenienti dal campo in cui si è sperimentata, così da poter giudicaredella sua consistenza e procedere ad una rielaborazione migliorativa.Per quanto riguarda il rapporto tra gli standard di competenze, la definizionedelle UdA e la progettazione dei percorsi formativi, gli standard di competenza la-sciano ai progettisti di percorsi formativi la libertà di fare le proprie scelte tenendoconto anche dei propri valori, dei propri modelli di riferimento e della tipologiadella filiera formativa su cui lavorano. Se lo standard di competenza è il punto diarrivo di riferimento, la definizione del percorso per arrivare allo standard è la- rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 35 36 sciata alla libertà e alla responsabilità del soggetto che eroga formazione. È impor-tante, quindi, tenere presente che lo standard non è una gabbia per i progettisti diformazione: è semplicemente un punto di riferimento condiviso da più soggetti. Lalibertà della progettazione formativa non é coartata dalla presenza degli standard.Anzi, la responsabilità dei progettisti di formazione ne viene esaltata. Se ben com-presi, gli standard sono un fattore di “liberalizzazione” della formazione e della di-dattica.Nell’ambito di questa libertà si può evitare un’interpretazione, per così dire,“al ribasso” del riferimento agli standard, volta a appiattire i percorsi solo sullecompetenze “minime” previste dagli standard medesimi. Il riferimento agli stan-dard da parte dei progettisti delle UdA dovrebbe piuttosto essere dettato dall’orgo-glio. Essi dovrebbero, infatti, sentire l’orgoglio di dimostrare che i risultati di ap-prendimento previsti dall’insieme delle UdA da loro progettate sono qualitativa-mente superiori (per ampiezza, per livello, ecc.) a quelli previsti dagli standard dicompetenza nazionali, non fosse che per il fatto che questi standard sono definiticome “minimi” per l’acquisizione della qualifica. Se gli standard di competenzefossero progressivi (cfr. standard delle competenze di base degli adulti) stimolereb-bero maggiormente, anche attraverso la loro strutturazione, a considerare ogni gra-dino degli standard non tanto un punto di arrivo minimo, ma un punto di partenzaverso altre gradini verticali o orizzontali. 4. L’Unità di apprendimento L’Unità di apprendimento (Allegato 3) costituisce la struttura di base dell’a-zione formativa; insieme di occasioni di apprendimento che consentono all’allievodi entrare in un rapporto personale con il sapere, affrontando compiti che condu-cono a prodotti di cui egli possa andare orgoglioso e che costituiscono oggetto diuna valutazione più attendibile.Possiamo avere UdA ad ampiezza massima (tutti i formatori), media (alcuni) ominima (asse culturale). Essa prevede sempre compiti reali (o simulati) e relativiprodotti che i destinatari sono chiamati a realizzare ed indica le risorse (capacità,conoscenze, abilità) che egli è chiesto di mobilitare per diventare competente. OgniUdA deve sempre mirare almeno una competenza tra quelle presenti nel repertoriodi riferimento.In forma schematica possiamo dire che l’UdA si caratterizza per questi aspetti(definiti già nella sua progettazione):– individuazione della competenza di riferimento (e delle relative abilità e cono-scenze);– interdisciplinarità nell’Asse a tra gli Assi, grazie alla collaborazione di più do-centi e più discipline;– ruolo attivo degli allievi attraverso attività laboratoriali e occasioni esperien- rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 36 37 ziali anche sul territorio che favoriscano la contestualizzazione delle cono-scenze e il loro trasferimento e uso in contesti nuovi, per la soluzione di pro-blemi;– presenza di momenti riflessivi, nei quali l’allievo viene sollecitato a ricostruirele procedure attivate e le conoscenze acquisite;– clima e ambiente cooperativo;– coinvolgimento dell’allievo rispetto alla competenza da raggiungere;– trasparenza dei criteri di valutazione e attività di autovalutazione degli allievi;– verifica finale tramite prova in situazione (o autentica).Il criterio di fondo cui riferirsi è la possibilità di sollecitare i talenti dei giovanie di stimolarli alla ricerca, a prendere il cammino. Occorre insegnare per compiticon consegne chiare e stimolanti, variare le situazioni di apprendimento ed il mododi implicazione con gli studenti, puntare talvolta sullo stupore e sul contrasto con ilpunto di vista usuale.Va sospeso per un certo tratto l’intento didascalico che si risolve nel riversaresugli interlocutori quantità rilevanti di nozioni e regole, per sostituirlo con l’intentodi sollecitare curiosità, definire un percorso di studio, fornire strumenti e stimolarela riflessione e la strutturazione del sapere acquisito. In questo modo, si impara la-vorando.Questa struttura così impegnativa va riservata alle UdA di medio-grandi di-mensioni, in grado di coinvolgere tendenzialmente quasi tutto il Consiglio diclasse, e quindi previste in numero ridotto; mentre per le UdA piccole, ovvero lagrande maggioranza, si può procedere con un impianto ridotto, più intuitivo. 5. Il modello di valutazione e la prova esperta Le competenze, come abbiamo visto, non sono dei saperi, dei saper-fare odelle attitudini, ma padronanze in base alle quali la persona è in grado di mobili-tare, integrare ed orchestrare tali risorse. Questa mobilitazione è pertinente soloentro una situazione reale (o simulata, ma integrata necessariamente con prove direaltà); ogni situazione costituisce un caso a sé stante, anche se può essere trattataper analogia con altre situazioni già incontrate. L’esercizio della competenza passaattraverso operazioni mentali complesse, quelle che permettono di determinare (piùo meno coscientemente e rapidamente) e di realizzare (più o meno efficacemente)un’azione relativamente adatta alla situazione.In base a ciò, è incongruo ritenere che la valutazione delle competenze sisvolga attraverso la somma algebrica di voti conseguenti a verifiche aventi per og-getto conoscenze ed abilità, attuate in modo inerte ovvero slegate da un compito-problema contestualizzato, perché questo modo di procedere non permette di espri-mere un giudizio sulla capacità della persona di mobilitare le risorse a disposizionea fronte di compiti-problema reali, fattore che costituisce il cuore di una valuta- rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 37 38 zione attendibile. È quindi indispensabile che la valutazione segua una didattica percompetenze; questa è svolta tramite unità di apprendimento, caratterizzate dall’in-sieme di occasioni che consentono allo studente di entrare in un rapporto personalecon il sapere, affrontando compiti che conducono a prodotti di cui egli possa an-dare orgoglioso e che costituiscono oggetto di una valutazione attendibile.Tre sono pertanto gli elementi fondamentali per la descrizione di una compe-tenza: i tipi di situazione di cui essa dà una certa padronanza; le risorse che mobi-lita, saperi teorici e metodologici, attitudini, saper-fare e competenze più speci-fiche; la natura degli schemi di pensiero (schemi motori, schemi di percezione, divalutazione, di anticipazione, di decisione) che permettono la sollecitazione, la mo-bilitazione e l’orchestrazione di risorse pertinenti, in situazione complessa e intempo reale. A differenza della valutazione di conoscenze ed abilità, la valutazionedi una competenza richiede l’analisi della dimensione da valutare, la scelta di cri-teri di valutazione, gli strumenti di valutazione, i livelli di prestazione.I prodotti in esito costituiscono solo una parte, non l’unica, della evidenze de-finite in anticipo (rubrica) come necessarie e sufficienti.È utile a questo scopo una griglia unitaria riferita a tutte le competenze, con icriteri/indicatori possibili legati alle diverse forme dell’intelligenza (cognitiva, af-fettivo-relazionale, pratica, sociale, riflessiva), tra cui selezionare i fattori appro-priati alla UdA che si sta svolgendo.Il consiglio di classe esprime un giudizio circa il grado di padronanza mo-strato, prevedendo due livelli negativi (assente, parziale) e tre positivi (basilare, in-termedio, elevato). Ogni docente coinvolto pone un voto sul suo registro.La condotta riflette il coinvolgimento degli allievi nell’attività.Superata l’ossessione per la misurazione degli apprendimenti, va consideratala necessità di un utilizzo intelligente di tutte le possibilità offerte, specie dei tremodelli di valutazione indicati da Smith e Robertson:– gli approcci analitici che individuano dei test generici (es. test di abilità, delcarattere, di motivazione etc.) per misurare le competenze, anche senza colle-garsi ad aspetti specifici del loro esercizio;– gli approcci analogici: cercano di ricreare gli elementi costitutivi del ruoloagito, collegandoli alle competenze interessate; rientrano in questa categoriagli esercizi di gruppo, le simulazioni di ruolo, i compiti-problema, gli incidentietc.;– gli approcci che si basano sul giudizio degli altri: si affidano a giudizi di partiterze (ad es. i colleghi, i supervisori etc.) per ottenere informazioni sui valutati(Smith, Robertson 2003, pp. 96-133).Gli approcci analitici partono dalle discipline coinvolte nel percorso forma-tivo, e si riferiscono all’elenco delle conoscenze (e delle abilità operative e mentaliconnesse) in cui questi si articolano. Si realizzano tramite test che consentono unamisurazione della preparazione degli studenti. I test possono essere di facile ge- rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 38 39 stione valutativa (vero/falso; scelta multipla semplice o complessa, corrispondenza,completamento, risposta semplice univoca...) oppure difficile se si tratta di quesiti arisposta aperta articolata, testi liberi, continui e discontinui che possono avere piùformulazioni e soluzioni. È bene che la prova di verifica utilizzi la più ampia va-rietà di tecniche.Gli approcci analogici sono più esplicitamente centrati sulle competenze, cheprevedono l’implicazione degli allievi, singoli ed in gruppo, entro situazioni sfi-danti fondati sulla analogia con le condizioni in cui si svolge il ruolo agito. L’ele-mento analogico è anche alla base della metodologia di valutazione: tramite unagriglia unitaria, si considerano le varie forme dell’intelligenza umana (cognitiva,pratica, sociale, affettiva relazionale, riflessiva) ed i vari “oggetti” di valutazione(prodotti, processi, linguaggi), e si confronta il modo di porsi dello studente difronte al compito-problema con una tipologia di stili ordinati su una scala necessa-riamente qualitativa.Negli approcci per giudizio, la valutazione avviene raccogliendo le riflessionidi giudici che hanno la possibilità di vedere il candidato in azione, oltre che di con-siderarne le produzioni. Questi sono tutor aziendali ed esperti i quali sono chiamatiad esprimere giudizi argomentati sul candidato, anche se non necessariamente fon-dati su tecniche valutative puntuali e formalizzate tramite griglie e schede.La metodologia di valutazione prevede 3 strumenti:Valutazione UdAOgni attività di apprendimento è una UdA. Viene valutata tramite la grigliacondivisa tra tutti i docenti coinvolti.La valutazione progressiva delle UdA ha un peso del 40% rispetto alla valuta-zione delle competenze.Ogni volta che un docente vede agito un sapere disciplinare che lo riguarda,inserisce un voto sul registroVerifica disciplinarePer ogni sessione è necessaria almeno una verifica disciplinare.La verifica mira alle conoscenze/abilità espresse tramite prova, utilizzandotutte le possibilità previste (da sì/no a testo libero).Ha un peso del 20% nella valutazione delle competenze.Prova espertaÈ posta al termine di ogni tappa importante del percorso.Ha carattere multidisciplinare ed ha un peso del 40% rispetto alla valutazionedelle competenze. Ecco lo schema generale del processo di valutazione (vd. pag. seg.): rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 39 40 La prova di valutazione finale, o “prova esperta” (Allegato 4) è un compito-problema rilevante, il più possibile olistico (ovvero in grado di connettere i variambiti del sapere, è “pluri-competenze”, articolata su più dimensioni dell’intelli-genza), in grado di sottoporre a valutazione la padronanza degli studenti. In quantotale, non può soddisfare puntualmente tutti i saperi e le competenze, ma è necessa-riamente selettiva rispetto a questi. Infatti concorre, assieme alle attività di valuta-zione di tipo formativo che si svolgono al termine di ogni UdA, a rilevare il gradodi padronanza dei saperi e delle competenze mobilitati utilizzando una metodologiache consenta di giungere a risultati certi e validi.Essa è collocata in corrispondenza delle scadenze formali dei corsi (quandovengono rilasciati titoli di studio) e consente di rilevare in forma simultanea, sullabase di un compito rilevante, la padronanza di più competenze e saperi da parte deicandidati, con un peso indicativo del 30%. L’altro 70% deriva dalla valutazioneformativa emergente dall’insieme delle UdA sviluppate, oltre che dalle prove diverifica riferite agli assi ed alle discipline coinvolte.L’utilizzo della prova di valutazione finale (prova esperta) richiede necessaria-mente che l’attività di apprendimento venga svolta secondo la metodologia costrut-tivistica delle Unità di apprendimento (UdA), centrate su compiti e prodotti. Infattil’insegnamento non è inteso, nel contesto dell’approccio per competenze, come una“successione di lezioni”, ma come “organizzazione e animazione di situazioni diapprendimento”. 6. Il Portfolio personale dell’allievo Il Portfolio personale dell’allievo (Allegato 5) rappresenta il documento perl’autopresentazione dell’allievo in cui egli inserisce la documentazione circa i pro- rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 40 41 dotti/servizi di cui va orgoglioso e che illustrano il suo cammino di competenza. Sitratta pertanto della raccolta significativa dei lavori dell’allievo che racconta lastoria del suo impegno, del suo progresso o del suo rendimento. Tramite esso è pos-sibile capire la storia della crescita e dello sviluppo di una persona corredandolacon materiali che permettono di comprendere “che cosa è avvenuto” dal momentodella presa in carico della persona fino al momento della partenza, passando per levarie fasi di cui si compone il percorso formativo.È preferibilmente in formato elettronico, con una copertina molto personaliz-zata, è progressivo, richiede un lavoro iconografico da parte dell’allievo.Il portfolio è concordata e definito nell’ambito del Centro; esso comprende co-munque i seguenti ambiti:– anagrafico,– orientativo,– formativo e valutativo,– certificativo.Occorre che gli allievi dedichino un tempo appropriato alla elaborazione ed al-l’incremento del proprio portfolio personale: indicativamente, si può ritenere ade-guata un’ora ogni 3-4 settimane. Naturalmente, nel momento in cui l’allievo inse-risce nel proprio portfolio i prodotti di cui va orgoglioso, egli ha già elaborato i ma-teriali necessari poiché al termine di ogni unità di apprendimento si provvede alladocumentazione ed alla archiviazione completa ed ordinata dei materiali via viaprodotti.Va quindi nettamente distinto il portfolio dal Dossier personale dell’allievo,che rappresenta la raccolta dei materiali relativi all’allievo, tenuta dal Coordinatoredel suo corso. 7. Il Project work Il Project work rappresenta un elaborato a cura dello studente, nel quale dàconto di un’attività svolta su una consegna proposta da un organismo partner dellascuola/Centro di Formazione Professionale, tramite il quale si chiede di svolgere unprogetto, coerente con il curricolo degli studi, basato su un compito complesso, concomponenti impreviste rispetto alle attività svolte nel percorso formativo.In alternativa, il PW può riferirsi ad un’ipotesi di lavoro “di scuola” di cui sichiede una verifica di fattibilità. Quindi il progetto non rappresenta una mera eser-citazione, ovvero un’applicazione pratica dei saperi appresi nel percorso deglistudi, ma prevede una sfida per certi versi innovativa che mette alla prova lo stile“competente” del candidato.Il progetto è elaborato in base all’estro ed alla creatività del candidato, rispet-tando alcuni elementi che ne costituiscono la struttura, che prevede le seguentivoci: rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 41 42 – Idea progetto;– Contesto;– Documentazione del progetto;– Valutazione e riflessione.Si precisano gli elementi relativi alla valutazione/riflessione che chiariscono lanatura del progetto:Autovalutazione da parte dell’allievoL’allievo è chiamato ad esprimere una valutazione puntuale e meditata sul suoprogetto.I fuochi dell’autovalutazione riguardano:– l’efficacia,– l’efficienza,– gli apprendimenti acquisiti,– le maturazioni che il progetto ha potuto sollecitare.Valutazione dei docenti e del tutor aziendaleLa valutazione dei docenti e del tutor aziendale mette a fuoco gli aspetti cru-ciali del PW:– la sua significatività (è rilevante per il profilo in uscita?),– l’economicità (è proponibile?),– l’autonomia (lo studente ha potuto agire autonomamente?),– la responsabilità (lo studente ha potuto assumere decisioni e gestirne le conse-guenze?),– capitalizzazione (gli esiti del progetto sono stati documentati e valorizzati invista delle attività e sfide future?). 8. Il Certificato delle competenze Si parla di certificazione (allegato 6) quando, a seguito della valutazione, sipassa alla registrazione degli apprendimenti entro una scheda che ne indichi il li-vello di padronanza e le altre informazioni utili alla comprensione del giudizio.Occorrere garantire il criterio della attendibilità, che a sua volta comporta unlegame con delle ancore (evidenze) che sostengano tale giudizio dando ad esso unaefficacia dimostrativa, un riscontro probatorio e una leggibilità che lo renda com-prensibile in contesti diversi.La necessità di certificare le competenze del soggetto viene intesa e propostaqui in senso non formalistico, come risposta al bisogno, ampiamente descrittoanche nei capitoli precedenti, di passare, nella scuola tanto quanto nel mondo dellavoro, “da un dispositivo formativo rigido ad uno aperto e flessibile, più indivi-dualizzato e rispondente al principio della valorizzazione della persona” (Margiotta rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 42 43 2007, 263). Nella logica del curricolo personalizzato, sullo sfondo di uno scenariodi mobilità nelle esperienze di studio quanto in quelle di lavoro, la visibilità e rico-noscibilità del patrimonio di conoscenze acquisite è affidata alla certificazione cheva quasi di necessità abbinata ad un altro strumento, il portfolio, di cui dopo breve-mente si parlerà.Quella della certificazione rappresenta un’azione complessa, tesa a soddisfare iseguenti criteri:– la comprensibilità del linguaggio, che deve riferirsi – in forma narrativa e nonquindi con linguaggi stereotipati – a locuzioni e sintagmi che consentano ai di-versi attori di visualizzare le competenze,– l’attribuibilità delle competenze al soggetto con specificazione delle evidenzeche consentano di contestualizzare la competenza entro processi reali in cuiegli è coinvolto insieme ad altri attori,– la validità del metodi adottati nella valutazione e validazione delle competenzestesse, con specificazione del loro livello di padronanza.Un certificato siffatto necessita di una raccolta dei prodotti più significativirealizzati dalla persona valutata, ovvero il portfolio, una raccolta significativa deilavori dell’allievo che racconta la storia del suo impegno, del suo rendimento e delsuo progresso.La certificazione – riferita ad ogni studente e svolta dall’intera équipe dei do-centi-formatori – si svolge nei seguenti modi:– si riportano ad ogni riga le competenze indicate in ciascuna delle rubriche ecorrispondente UdA;– si indicano le situazioni di apprendimento più significative traendole dal port-folio e dall’attività didattica;– si attribuisce il livello della competenza (se positivo), specificandone il gradoed eventualmente altre informazioni utili, sotto forma di note.Va detto che il legislatore ha creato un doppio livello di certificazione:1) la certificazione dell’obbligo di istruzione, obbligatoria in ogni classe seconda,che riguarda sostanzialmente quattro assi culturali: asse dei linguaggi (linguaitaliana, lingua straniera, altri linguaggi), asse matematico, asse scientifico-tec-nologico, asse storico-sociale;2) la certificazione del percorso formativo specifico che riguarda tutte le compe-tenze comprese quelle professionali e quelle cosiddette “di cittadinanza”.Per evitare la duplicazione dell’azione certificativa, occorre assolutamente in-cludere la prima certificazione nella seconda, utilizzando il modello europeo delle8 competenze di cittadinanza, che rappresentano bene il profilo finale del cittadinoed inoltre evitano l’eccessiva frantumazione:– comunicazione nella lingua italiana;– comunicazione nelle lingue straniere; rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 43 44 – competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia;– competenza digitale;– imparare a imparare;– competenze sociali e civiche;– spirito di iniziativa e imprenditorialità;– consapevolezza ed espressione culturale.A queste va aggiunta la competenza professionale per completare il modellocertificativo finale dei percorsi. 9. Il Supplemento Europass Il Supplemento Europass (Allegato 7) è un documento che accompagna i titolie le qualifiche professionali acquisite, allo scopo di renderli più facilmente com-prensibili anche ad eventuali datori di lavoro stranieri. Esso fornisce informazionisulle abilità e competenze acquisite, sul tipo di attività professionale cui è possibileaccedere, nonché sul livello del certificato nell’ambito della classificazione nazio-nale.In chiave europea, in base alle raccomandazioni emanate, sono rilevanti innan-zitutto le competenze acquisite, e documentate in modo attendibile, oltre alle infor-mazioni circa il modo in cui si è svolto il percorso formativo e si è realizzata la va-lutazione finale, connesse al Supplemento Europass. Ciò riflette, ancora una volta,il carattere indicativo dei titoli nazionali, ed amplia il campo delle informazioni ne-cessarie a rendere trasparente non solo la votazione acquisita, ma soprattutto il pro-cesso formativo e la serietà delle prove di valutazione somministrate.A tale scopo, il Certificate Supplement, nel descrivere il titolo originale, rendevisibili le seguenti informazioni:– denominazione del certificato (in lingua nazionale),– insieme delle attività professionali cui il titolare del certificato può accedere,– denominazione e status dell’autorità nazionale/regionale che accredita/ri-conosce il certificato,– livello del titolo/qualifica nel Paese che lo rilascia,– tabella di classificazione/requisiti per il conseguimento,– accesso al successivo livello di insegnamento/formazione,– accordi internazionali,– iter ufficialmente riconosciuti per il conseguimento del certificato (descrizionedel percorso basato su scuola/Centro di Formazione Professionale, luogo di la-voro, riconoscimento di crediti formativi, requisiti di accesso al corso, annota-zioni integrative)1. 1 http://www.europass-italia.it/scelta4.asp rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 44 45 Le autorità competenti al rilascio del Supplemento sono le stesse che rilascianoi titoli originali e, in particolare in Italia sono:– le Regioni e le Provincie Autonome per quanto riguarda le qualifiche di For-mazione Professionale;– i Centri di Formazione Professionale e gli Istituti scolastici per quanto riguardai percorsi dell’Istruzione e Formazione Professionale.Tramite il Supplemento, si “mettono in trasparenza” le acquisizioni conseguitedal titolare del documento, sotto forma di competenze articolate in conoscenze edabilità. Nella formulazione del Supplemento qui elaborato, si indicano le compe-tenze conseguite con il livello EQF corrispondente precisando anche il grado di pa-dronanza (basilare, intermedio, elevato); inoltre si mettono in luce le “evidenze” ditali competenze, ovvero i compiti-problema che il titolare ha saputo portare a ter-mine positivamente così da giustificare quanto dichiarato. Si precisa l’importanzadel rimando alle Rubriche delle competenze, una metodologia condivisa da tutta laRete e che fissa in modo univoco il rapporto tra competenze, articolate in cono-scenze ed abilità e specificate per livelli, ed evidenze necessarie e sufficienti per at-testarne la padronanza.Il valore del certificato viene definito in riferimento alla sua spendibilità in ter-mini di continuità formativa e di inserimento lavorativo.– Circa la continuità, solitamente tale valore è visto sotto il profilo legale poichél’iscrizione ad un percorso di studi richiede il possesso di un certificato, ma viè anche un profilo sociale o meglio convenzionale per ciò che concerne il rico-noscimento dei crediti formativi che corrispondono in linea di massima a spez-zoni del percorso formativo che possono essere “accreditati” al titolare, sequesti dimostra di averli acquisiti anche secondo modalità informali e non for-mali.– Circa l’inserimento lavorativo, prevale il profilo sociale / convenzionale cheindica, secondo le classificazioni in uso nel Paese, la corrispondenza tra il cer-tificato, e quindi le competenze necessarie, ed uno specifico profilo lavorativodi ingresso nel mercato del lavoro. Ma anche qui emerge un profilo legale,quando si tratti di professioni normate per legge per le quali è previsto solita-mente un albo il cui accesso è possibile sulla base di condizioni relative al per-corso formativo ma anche al superamento di specifici esami di idoneità. 10. La gestione organizzativa Il cambiamento richiesto ai Centri di Formazione Professionale, nell’ambitodel modello progettuale elaborato a partire dalla sperimentazione del 2003, richiedel’adozione di una strategia organizzativa organica, ufficiale e pluriennale, che con-senta di adottare, con la necessaria progressività, una didattica per competenze, checonsenta di fronteggiare positivamente le tre sfide di fondo già annunciate: rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 45 46 1. superare la separazione tra discipline teoriche e discipline pratiche, creando le-gami forti e di servizio tra le materie degli assi culturali e l’area professionale,e definendo una proposta culturale appropriata (i “contenuti irrinunciabili”) peri giovani dei corsi di Formazione Professionale;2. superare la tendenza ad insegnare per abilità e procedure, dove si pone l’enfasiesclusivamente sulla diligenza, stimolando i giovani a fronteggiare compiti eproblemi che contemplino anche l’imprevisto, nella prospettiva dell’autonomiae della responsabilità;3. superare la tendenza all’“abbassamento dell’asticella” e rilanciare il progettoeducativo e formativo per veri cittadini della società complessa.Il Direttore del CFP è la figura centrale di questo cambiamento; egli è chia-mato a sensibilizzare i propri collaboratori, definire una fisionomia della propriastruttura appropriata a tale compito, elaborare un piano pluriennale di interventoscandito in risultati, piano di lavoro con fasi e responsabilità, le azioni di supportocon rifermento particolare alla formazione del personale, chiave del successo delpiano.Occorre animare, in stretta collaborazione con organismi formativi dello stessoEnte ed anche diversi da questo, una comunità di pratiche che sostenga il lavorodell’insegnante nella formazione, nella ricerca culturale, nello scambio di pratiche,nell’elaborazione di sussidi ed ausili per l’apprendimento. Infatti, «L’apprendi-mento va di pari passo con il cambiamento e, nonostante ciò, si chiede troppospesso alle scuole di cambiare senza dare al personale l’opportunità di apprendere».(Wald P., Castleberry, 2010).Indichiamo uno schema di “Piano di innovazione metodologica” triennaledefinito per azioni ed anni di intervento (vd. pagina accanto).L’attività di innovazione metodologica si sostiene tramite la creazione di:– uno staff di Centro composto dai coordinatori di settori, dipartimenti e classicon il compito di elaborazione e gestione del piano operativo e di supporto aiconsigli di classe;– èquipe di dipartimento per assi culturali ed aree di indirizzo. rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 46 47 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 47 48 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 48 49 ALLEGATI 1. Piano formativo generale2. Rubrica delle competenze3. Unità di apprendimento4. Prova esperta5. Portfolio dell’allievo6. Project work7. Certificato delle competenze8. Supplemento Europass rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 49 50 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 50 51 PIANO FORMATIVO DI SETTORE/INDIRIZZO Profilo finale dello studente (vedi Pecup e Standard formativi) Criteri formativi• Centratura sulla cittadinanza: autonomia, responsabilità, coscienza critica,coinvolgimento.• Caratterizzare il percorso sulle attività di indirizzo già dal primo anno.• Garantire interdisciplinarietà e lavoro cooperativo.• Valorizzare i laboratori.• Coinvolgere gli studenti.• Alleanza con il territorio: metodologia dell’alternanza.• Valutare in modo attendibile con prodotti reali e adeguati (portfolio).• ... Allegato 1Piano formativo generale rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 51 52 PERCORSO FORMATIVO TRIENNALE IeFP • Nuclei portanti e assi implicati, suddivisi per macro-competenze.• Unità di apprendimento (almeno una comune a tutti i docenti).• Attività di alternanza: incontri con testimoni, visite, ricerche, stage, projectwork…• Eventi e concorsi.• Visite di istruzione.• Sessioni di valutazione. rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.36 Pagina 52 53 Alleg ato2 Rubr icade lleco mpet enze rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.37 Pagina 53 54 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.37 Pagina 54 55 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.37 Pagina 55 56 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.37 Pagina 56 57 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.37 Pagina 57 58 Allegato 3Unità di apprendimento (Segue) rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.37 Pagina 58 59 (Segue) rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.37 Pagina 59 60 Allegato 4Prova esperta rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.37 Pagina 60 61 Allegato 5Portfolio dell’allievo rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.37 Pagina 61 62 Allegato 6Project Work rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.37 Pagina 62 63 Allegato 7Certificato delle competenze (Segue) rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.37 Pagina 63 64 (Segue) 2 Vanno inserite le competenze della figura professionale. rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.37 Pagina 64 65 Allegato 8Supplemento Europass rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.38 Pagina 65 66 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.38 Pagina 66 67 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.38 Pagina 67 68 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.38 Pagina 68 69 Glossario Abilità. “Indicano le capacità di applicare conoscenze e di utilizzare know-how per portare a termine compiti e risolvere problemi. Nel contesto del Quadroeuropeo delle qualifiche le abilità sono descritte come cognitive (comprendentil’uso del pensiero logico, intuitivo e creativo) e pratiche (comprendenti l’abilitàmanuale e l’uso di metodi, materiali, strumenti )” (EQF).Destrezza nello svolgere un’attività intellettuale o pratica. Essa è sempre associa-ta ad una conoscenza e si acquisisce tramite imitazione e ripetizione. L’abilità rappre-senta – assieme alla conoscenza – una risorsa di cui la persona competente dispone eche mette in opera (“mobilizza”) di fronte ad un compito in un preciso contesto. Accoglienza. Prassi pedagogica volta a rendere possibile l’implicazione perso-nale nel gruppo e finalizzata a definire un “contratto pedagogico” consapevole epartecipato all’interno dell’azione formativa. Essa si propone i seguenti obiettivi:conoscenza della persona, valorizzazione del suo “portato” culturale e sociale, inte-grazione del gruppo-classe, conoscenza del contesto formativo, dei suoi attori e delprogetto formativo, delineazione del “contratto pedagogico”. Accompagnamento. Accompagnare significa offrire alla persona un punto diriferimento ed un ausilio nel percorso di formazione e/o di inserimento lavorativo.Alcuni esempi di accompagnamento nell’ambito di un percorso formativo:a) possibilità di colloqui degli allievi con gli insegnanti,b) presenza tra i formatori di una figura di “referente di classe” per la gestionedelle dinamiche emergenti e per la conduzione di momenti di confronto,c) aiuti agli allievi in termini di metodo di studio e di recuperi formativi anche informa individualizzata,d) acquisizioni che consentano di attivare strategie di ingresso nel mondo del la-voro nelle diverse possibilità di lavoro dipendente ed autonomo. Accreditamento. Attestazione formale, effettuata dalla parte seconda (orga-nismo committente), che attesta la soddisfazione da parte dell’organismo formativodi una serie di requisiti relativi alla struttura organizzativa e gestionale nonché aiprodotti/servizi da essa offerti. Accreditamento interno/associativo. Processo deciso volontariamente daun’organizzazione (normalmente strutturata in forma di rete sia in una logica asso-ciativa sia federativa) e finalizzato a verificare il possesso di requisiti prestabiliti e rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.38 Pagina 69 70 condivisi da parte di unità/nodi dell’organizzazione che lo promuove. Esso ha per-ciò una finalità differente da quello esterno che è cogente per il richiedente nella mi-sura in cui viene promosso dalla parte seconda/committente dei servizi formativi. Aggiornamento. Formazione che mira all’adeguamento del sapere lavorativo-professionale della persona tenendo conto delle novità intervenute nelle tecnologie,nelle norme, nell’organizzazione. Alternanza formativa. Strategia metodologica che consente – in riferimentoal singolo allievo – di realizzare un percorso formativo coerente e compiuto nelquale si integrano reciprocamente attività formative di aula, di laboratorio ed espe-rienze svolte nella concreta realtà dell’organizzazione di lavoro e di impresa. L’al-ternanza formativa è autentica quando le diverse modalità formative che “si alter-nano” vengono a comporre un percorso unico e continuo avente al centro la per-sona in formazione in riferimento al profilo educativo, culturale e professionale edin stretta relazione con il contesto in cui opera la figura professionale di riferi-mento. Tale percorso trae inizio da un progetto formativo definito congiuntamentedai due attori in gioco (l’organismo di formazione e l’impresa) e si sviluppa attra-verso una cura continua che prevede monitoraggio, verifica ed eventualmente cor-rezione e miglioramento lungo tutto il cammino formativo. Apprendista. Persona protagonista dell’apprendimento di un mestiere entroun’impresa formativa. Egli è non solo utente, ma co-protagonista del processo for-mativo secondo un approccio integrato che ne sollecita il coinvolgimento sulla basedi compiti-problemi caratteristici del lavoro. Area Professionale. L’espressione “area professionale” – altrimenti definitacome “comunità professionale” oppure “gruppo professionale” ed – in parte – “co-munità di pratiche” – indica la tendenza da parte di figure lavorative sottoposte alprocesso di cognitivizzazione ad aggregarsi in modo da evidenziare la propria pe-culiarità culturale, organizzativa, professionale al fine di affermare una specificitàtendenzialmente rilevante anche dal punto di vista della rappresentanza, della tutelae della formazione. Attitudine. Capacità globale di una persona ad apprendere le competenze ne-cessarie per svolgere una determinata categoria di compiti con particolare riferi-mento a quelli di natura professionale. Comprende anche la capacità di acquisire lerisorse necessarie (abilità, conoscenze) a tale scopo. Attività/situazione di apprendimento. Esperienza disegnata dal team dei for-matori nella quale l’allievo, confrontandosi con problemi di cui coglie il senso el’utilità, si pone in modo attivo alla ricerca di una soluzione in grado di soddisfare i rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.38 Pagina 70 71 requisiti del problema stesso, sormontando gli ostacoli che via via incontra, mobili-tando in tal modo un processo di apprendimento autonomo, personale, autentico.L’attività o situazione di apprendimento non è un progetto predefinito, ma laproposizione – il più possibile vicina al contesto reale – di un compito sfidante chetrae origine dalle rappresentazioni che gli allievi si danno delle attività proposte e listimola alla costruzione di un cammino che consenta loro di giungere alla piena ri-uscita dell’azione intrapresa. Bilancio di competenze. Prassi formativa complessa con l’obiettivo di per-mettere (soprattutto) a dei lavoratori di analizzare le proprie competenze professio-nali e personali, così come le proprie attitudini e motivazioni, allo scopo di definireun progetto professionale e, ove necessario, un progetto di formazione. Si trattaquindi di una modalità di riconoscimento delle competenze di cui la persona è por-tatrice, in assenza di titoli formali (certificati, diplomi o attestati), acquisiti tramiteesperienza diretta. Tale dispositivo, di origine francese, ha lo scopo di certificaretali competenze e quindi di renderle evidenti socialmente e contrattualmente speciein riferimento a giovani ed adulti a bassa scolarità. Capacità personali. Caratteristiche della persona possedute su base innata eappresa che riguardano i suoi repertori di base: cognitivo, affettivo-motivazionale,socio-interpersonale. Esse riflettono i valori ed i contenuti propri dell’educazioneche la persona vive specie nell’età evolutiva; si riferiscono quindi alla famiglia diappartenenza, alle agenzie educative e formative ma anche ai legami significativiindividuali e di gruppo. Esse rappresentano le potenzialità dell’allievo che richie-dono di essere riconosciute (innanzitutto a favore del destinatario stesso) e attualiz-zate. Tali capacità, raramente coltivate in modo formale dalle istituzioni formative,sono attualmente considerate preziose per l’adattamento personale, interpersonale,scolastico e professionale. Centro di Istruzione e Formazione Professionale. Struttura che eroga un’of-ferta formativa nell’ambito del sistema di Istruzione e Formazione Professionale fi-nalizzata a promuovere il successo formativo di ogni allievo fornendo ad essoun’informazione adeguata ed utile sulle diverse opportunità formative, una possibi-lità di orientamento che gli consenta di riconoscere le proprie potenzialità e compe-tenze parziali, un percorso di formazione personalizzato e continuativo, un sup-porto per il passaggio alla vita attiva ed in ogni momento di transizione in cui sivenga a trovare, un’occasione di formazione continua e permanente. Certificazione di qualità. Documento, solitamente rilasciato da un’autoritàterza (rispetto al finanziatore e all’erogatore) attraverso il quale si attesta che l’or-ganizzazione formativa ha posto in atto tutte le azioni tese a rilevare la corrispon-denza delle azioni svolte con gli standard dichiarati. Esistono diversi dispositivi di rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.38 Pagina 71 72 certificazione: la più nota è la norma ISO 9000, ma esistono pure certificazioni as-sociative. Solitamente la certificazione richiede un lavoro preparatorio e di consoli-damento delle pratiche riferite al sistema qualità e quindi un audit. Certificazione formativa. Documento che attesta l’avvenuta acquisizione daparte dell’utente della formazione delle capacità, delle conoscenze, delle abilità edelle competenze previsti nel progetto formativo. Tale documento è rilasciato dal-l’organismo erogatore e può essere:• un diploma o un certificato di valore legale (qualifica, diploma di formazione,diploma di formazione superiore),• un certificato riferito ai crediti formativi acquisiti,• un attestato di frequenza e/o profitto. Competenza. “Capacità dimostrata di utilizzare le conoscenze, le abilità e leattitudini personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio enello sviluppo professionale e/o personale. Nel sistema europeo EQF, le compe-tenze sono descritte in termini di responsabilità e autonomia” (EQF).Caratteristica della persona, mediante la quale essa è in grado di affrontare ef-ficacemente un’area di problemi connessi ad un particolare ruolo o funzione. Pertale motivo, sarebbe preferibile parlare di persona “competente” piuttosto che dicompetenza. Essa viene dimostrata dalla persona tramite performance rese in unpreciso contesto organizzativo di fronte a “giudici” rappresentati da esponenti delmondo professionale di riferimento. La persona competente è in grado di mobili-tare le risorse possedute (capacità, conoscenze, abilità) al fine di condurre ad unasua soluzione un compito-problema. La competenza non è pertanto riducibile né aun sapere, né a ciò che si è acquisito con la formazione. Essa richiede necessaria-mente una prova concreta, nella quale il titolare si impegni in modo autonomo e re-sponsabile. Vi possono essere competenze culturali, sociali, professionali. Questeultime possono essere intese come competenze in senso proprio, poiché mobilitanoun’interazione organica tra soggetti (Centro di Formazione Professionale, persona,impresa) e prevedono una precisa prova professionale definita come “capolavoro”. Compito professionale. Nell’analisi del lavoro, tale espressione indica la si-tuazione-problema che sfida la professionalità del lavoratore, a fronte della qualeegli mobilita le sue risorse (capacità, conoscenze, abilità e competenze) al fine digiungere ad un risultato soddisfacente. Nel fare ciò, il lavoratore elabora una stra-tegia di soluzione dello stesso problema che risulta per tale natura contestuale enon standardizzata. La descrizione delle famiglie/figure professionali sulla base dicompiti siffatti aiuta a superare il riduttivismo delle “mansioni” poiché pone ilruolo lavorativo entro la ricca dinamica di richieste e sollecitazioni che lo caratte-rizza; inoltre, evita il meccanicismo poiché consente di impostare il processo diformazione sulla base di una metodologia aperta che consente di porre la persona rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.38 Pagina 72 73 in una posizione autonoma, attiva e responsabile, in vista della soluzione di pro-blemi complessi attinenti al suo campo di competenza. Comunità professionale. Aggregato – coincidente volta per volta con il set-tore (es.: meccanico) o il processo (es.: aziendale e amministrativa) – di più figure,ruoli o denominazioni che hanno in comune una cultura distintiva composta di va-lori e di saperi peculiari, la collocazione organizzativa, i percorsi professionali, lecompetenze chiave. Le ulteriori articolazioni in figure professionali sono definiteall’interno di tali aggregazioni più ampie, mantenendo la dimensione di “culturaprofessionale” comune. Conoscenze. “Risultato dell’assimilazione di informazioni attraverso l’ap-prendimento. Le conoscenze sono un insieme di fatti, principi, teorie e pratiche re-lative a un settore di studio o di lavoro. Nel contesto del Quadro europeo dellequalifiche le conoscenze sono descritte come teoriche e/o pratiche” (EQF).Insieme di nozioni strutturate in una materia/disciplina o area culturale. Pos-sono riguardare teorie, modelli, sistemi di azione. Ogni ambito di sapere com-prende nozioni, concetti, nessi, regole. I saperi sono – al pari delle abilità – cogni-zioni che occorre acquisire per poter porre in atto una competenza (di cui sono unodegli ingredienti). Coordinatore tutor. Figura indispensabile in ogni azione di Istruzione e For-mazione Professionale che ha il compito di guidare l’équipe dei formatori coin-volti, presiedere alle fasi di progettazione e programmazione (piano formativo per-sonalizzato), coordinare le attività, facilitare i processi di apprendimento e soste-nere il miglioramento continuo dell’attività formativa e didattica. Spetta al tutor lacura del Portfolio delle competenze individuali. Credito formativo. Documento che attesta il possesso di un determinato re-quisito (sapere, abilità) da parte della persona, che questa può far valere in un per-corso formativo, in modo da svolgere soltanto i moduli formativi mancanti per ilraggiungimento di una determinata meta formativa, oppure in un percorso di inseri-mento lavorativo, in modo da accelerare l’acquisizione di una qualifica. Didattica attiva. Insieme articolato di metodologie di insegnamento che pon-gono l’utente come soggetto attivo e non passivo del proprio processo di apprendi-mento. Ci si riferisce ad un ampio repertorio di metodologie didattiche che tenta disuperare quelle modalità tradizionali basate sull’ascolto (per esempio la lezionefrontale) o sull’osservazione ed imitazione (per esempio l’affiancamento addestra-tivo). Alcuni esempi di didattica attiva: la simulazione operativa; l’analisi e la riso-luzione di casi/problemi, il lavoro di progetto i lavori e le esercitazioni di gruppo; ilgioco psico-pedagogico. rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.38 Pagina 73 74 Difficoltà di apprendimento. Particolari condizioni che ostacolano il pro-cesso di apprendimento della persona. Esse possono riferirsi a caratteristiche didat-tico-formative (percorso, metodologia didattica, relazioni), oppure orientative (pro-getto personale e suoi aspetti). Tali condizioni richiedono la necessità di delineare ilquadro di riferimento tra cui si collocano gli aspetti personali (motivazione, prere-quisiti, integrità psico-fisica), del contesto di vita (famiglia, ambiente, gruppo) esociali (tipo di “capitale sociale” di cui la persona è portatrice). Diritto - dovere di istruzione e formazione. Prerogativa di ogni cittadino me-diante la quale la Repubblica assicura a tutti il diritto all’istruzione e alla forma-zione, per almeno 12 anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualificaentro il diciottesimo anno di età, nel senso di favorire “pari opportunità di raggiun-gere elevati livelli culturali e di sviluppare le capacità e le competenze, attraversoconoscenze e abilità, generali e specifiche, coerenti con le attitudini e le scelte per-sonali, adeguate all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro, anchecon riguardo alle dimensioni locali, nazionale ed europea” (art. 2, legge 53/2003).A fronte di tale offerta, ogni cittadino ha il dovere di partecipare alle attività forma-tive più idonee mirando ad accrescere il proprio bagaglio di acquisizioni in unaprospettiva di formazione competente. EQF - European qualification framework. Dispositivo di lettura e conver-sione che consente di mettere in relazione, entro una struttura a otto livelli, i diversititoli (qualifiche, diplomi, certificati ecc.) rilasciati nei Paesi membri, confrontandogli esiti dell’apprendimento.Si tratta di una meta-struttura rispetto alla quale gli Stati membri sono chiamatia rileggere i propri sistemi educativi, in modo da garantire un collegamento tra diessi.L’EQF illustra in modo univoco i risultati dell’apprendimento; pone al centrodell’apprendimento le competenze; propone una relazione attiva tra competenze,abilità e conoscenze; valorizza i risultati di apprendimento formali, non formali edinformali. Evidenza (della competenza). Prestazione reale ed adeguata che, assieme allealtre definite entro la rubrica di riferimento, attesta l’effettiva capacità del soggettonel saper fronteggiare compiti e problemi significativi e necessari, per poter esseregiudicato competente. Indicazioni regionali. Documento costitutivo del sistema di Istruzione e For-mazione Professionale che specifica la natura del nuovo sistema ed il suo ordina-mento (repertorio delle comunità/profili professionali, durata e articolazione deicorsi, titoli, modalità di certificazione), gli obiettivi generali del processo forma-tivo, gli obiettivi specifici di apprendimento le modalità per la compilazione del rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.38 Pagina 74 75 Portfolio delle competenze al fine del riconoscimento dei titoli e la gestione deicrediti e dei passaggi, le risorse messe a disposizione degli Organismi accreditati. Individualizzazione. Soluzione radicalmente differente da quella della perso-nalizzazione: se lì l’orientamento al percorso soggettivo si svolge mantenendo ilgruppo di apprendimento, l’individualizzazione del percorso formativo si realizzarompendo i riferimenti tra individuo e gruppo. La formazione è individualizzataquando si svolge in un rapporto 1:1 tra docente/formatore e allievo/utente. Ciò con-sente di rompere i vincoli spazio-temporali oltre che psicologici e cognitivi che ilgruppo porta con sé (anche se in tal modo vengono meno i fattori di facilitazionedel processo di apprendimento che pure il gruppo-classe porta con sé). Solitamente,la formazione individualizzata si svolge in presenza di sistemi anche parzialmentedi autoapprendimento, spesso con l’ausilio di supporti informatici. Ciò rende possi-bile anche la formazione a distanza. Inserimento professionale. Inserirsi professionalmente significa trovare unaposizione sancita socialmente nel sistema economico. È realizzato nell’impresa, nelluogo di produzione (di beni o di servizi, anche pubblici). La qualità di questo inse-rimento dipende dal valore delle interazioni tra la persona e l’impresa: esse portanola prima a valorizzare le proprie competenze in modo da operare al suo interno inmodo efficace e dotato di senso. Istruzione e Formazione Professionale. L’insieme dei percorsi del secondociclo degli studi che presentano un carattere professionalizzante. Si distingue daipercorsi liceali in base al criterio che sottende il carattere dei percorsi. In tal senso,se i licei presentano il carattere di “istruzione” nel senso che forniscono allo stu-dente una visione culturale generale in forza della quale egli può successivamentecompletare gli studi in sede universitaria o di formazione superiore, i Centri e gliIstituti di Istruzione e Formazione Professionale mirano a dotare la persona di re-quisiti di competenza tali da consentirle di immettersi nel mercato del lavoro edelle professioni. Linea guida. Documento che fissa finalità, obiettivi e procedure di una speci-fica organizzazione di servizi. Solitamente la linea guida viene elaborata in un con-testo di gestione della qualità oppure in attività innovative. Obiettivo formativo. Risultato di apprendimento perseguito dai formatori, mi-rante ad un cambiamento atteso nell’allievo, coerente con il Profilo educativo, cul-turale e professionale. Rappresenta, quindi, l’esito di un percorso formativo inten-zionale, mirato sulle specifiche capacità dell’allievo, definito tenendo conto dei di-versi ambiti in cui si esprime la sua personalità: intellettuale, morale, estetico-espressivo, relazionale, effettivo, operativo. Sulla base di tali obiettivi si elaborano rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.38 Pagina 75 76 le unità di apprendimento che conducono gli allievi ad acquisire competenze neivari ambiti dell’agire umano. Orientamento. Prassi educativa attiva volta a favorire la capacità del soggettodi risolvere il problema del suo avvenire professionale, facilitandogli l’assolvi-mento dei compiti vocazionali relativi alla conoscenza di sé (potenzialità attitudi-nali, capacità, interessi e valori), alla conoscenza del mondo del lavoro e delle pro-fessioni, alla formulazione di progetti di vita e di lavoro e alla loro valutazione infunzione della decisione di scelta di un progetto e del modo migliore di realizzarlo.Non si limita ad un atto puntuale d’intervento nei momenti decisionali, ma rappre-senta un processo educativo che si accompagna allo sviluppo evolutivo dell’indi-viduo in consonanza con il progressivo variare e arricchimento del concetto di sé inriferimento alle transizioni importanti del suo percorso di vita/di lavoro. Passaggio. Processo formativo tramite il quale una persona collocata entroun particolare percorso scolastico-formativo può accedere ad un altro vedendovalorizzato il proprio bagaglio di acquisizioni. Il passaggio richiede una collabo-razione tra organismo inviante ed organismo ricevente e l’attivazione di un appo-sito Larsa che consenta alla persona di acquisire le conoscenze, le abilità e lecompetenze necessarie al buon fine dell’azione. Il passaggio è l’esito di una vo-lontà dell’allievo e della relativa famiglia; esso si esprime mediante una domandaesplicita che indica il tipo di formazione desiderata e il Centro o Istituto in cui in-tende transitare. Percorso formativo. Rappresenta il cammino di apprendimento che l’allievopersegue avendo come riferimento il raggiungimento del successo formativo. Essoprevede la centralità della persona, una visione relazionale della formazione comeazione generatrice di senso e di valore, l’utilizzo di approcci e di metodiche coe-renti con l’opzione antropologica di fondo e quindi in grado di sviluppare una for-mazione personalizzata, contestuale, autentica. Personalizzazione. Riferimento del percorso educativo-formativo alla speci-fica realtà personale dell’allievo. Personalizzare significa delineare differenti per-corsi di trasferimento-acquisizione delle conoscenze, abilità e competenze, in basealle caratteristiche personali degli allievi: stili di apprendimento, metodi di studio,caratteristiche peculiari. La personalizzazione avviene comunque nell’ambito di ungruppo di allievi che condividono un medesimo percorso di apprendimento, fattesalve le necessarie attività di individualizzazione. Piano dell’offerta formativa. Documento a base della attività del Centro diIstruzione e Formazione Professionale che indica: missione dell’organismo, stra-tegia formativa e partnership, target e territorio di riferimento, offerta di forma- rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.38 Pagina 76 77 zione e di servizi, criteri metodologici, stili professionali e politica della qualità.L’offerta formativa in particolare comprende:– orientamento,– formazione iniziale (qualifica + diploma di formazione),– formazione superiore (diploma di formazione superiore),– formazione speciale,– servizi formativi. Piano formativo personalizzato. Documento elaborato dal team dei formatoriche delinea in chiave cronologica le principali attività/prodotti con relative compe-tenze mirate, specificando, in riferimento ad ogni attività-prodotto, lo sviluppodegli orari, il personale coinvolto (tutor coordinatore, scienze umane, area scienti-fica, area professionale, sviluppo capacità personali) con responsabilità e compiti,le modalità di accesso, le risorse necessarie, le modalità di orientamento e valuta-zione, l’intesa circa la compilazione del Portfolio. Il Piano formativo, che prevedeinoltre le occasioni di personalizzazione e le forme in cui queste vengono attivate,non è un programma precostituito, ma si sviluppa passo passo lungo il percorso tra-mite le unità di apprendimento realizzate, tanto da risultare completo solo al com-pimento dell’intero cammino. Portfolio delle competenze individuali. Raccolta significativa dei lavori del-l’allievo che racconta la storia del suo impegno, del suo progresso o del suo rendi-mento. Tramite esso è possibile capire la storia della crescita e dello sviluppo diuna persona corredandola con materiali che permettono di comprendere “che cosaè avvenuto” dal momento della presa in carico della persona fino al momento dellapartenza, passando per le varie fasi di cui si compone il percorso formativo.Il portfolio è concordato e definito nell’ambito del Centro; esso comprende co-munque i seguenti ambiti: anagrafico, orientativo, formativo e valutativo, certifica-tivo. Esso è composto da una parte essenziale – corrispondente al “libretto forma-tivo” da consegnare alla persona ed agli eventuali interlocutori (sistema educativo,sistema lavorativo e professionale) – e dagli allegati conservati presso il Centro. Professionalità. Insieme di competenze e risorse che consentono alla personadi risolvere in modo soddisfacente i problemi di un particolare ambito di lavoro.Non è solo qualcosa di esterno, ma è un vero e proprio “vestito” che modella lapersonalità. La professionalità richiede una partecipazione interiore; essa “viene dadentro” e si esprime in una passione per il proprio lavoro, nella curiosità e nel desi-derio di apprendere e migliorare continuamente. Profilo educativo culturale e professionale (Pecup). Il Pecup dello studentealla fine del percorso di qualificazione professionale costituisce la «bussola» per ladeterminazione sia degli «obiettivi generali del processo formativo» sia degli«obiettivi specifici di apprendimento» (art. 8 del Dpr. 275/99) che saranno conte- rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.38 Pagina 77 78 nuti nelle Indicazioni regionali per i PSP dei singoli Istituti/Centri. Il carattere «dilimite ideale» del Profilo é, quindi, esplicito. È compito delle Indicazioni regionaliprima e, dopo, soprattutto dei Piani di Studio Personalizzati (redatti da ogni gruppodi docenti coordinati dal tutor all’interno del quadro tracciato dal Piano dell’offertaformativa (Pof) di ogni istituzione di IeFP) disporre l’adattamento del Profilo alledifferenti situazioni ambientali e personali, e specificarne i percorsi ed i livelli diapprofondimento. Project Work. È il risultato della metodologia dell’alternanza formazione-la-voro nella sua versione evoluta, quando l’attività si svolge sotto forma di un vero eproprio progetto concordato tra scuola ed impresa. Esso ha per oggetto un compitorilevante, svolto realmente nel contesto dell’organizzazione di lavoro, coerente conil profilo in uscita del percorso formativo. Vi possono essere varie tipologie di pro-getti: uno studio di fattibilità per un prodotto-servizio, la progettazione di un im-pianto o di un software, la revisione di una procedura, una verifica o collaudo, l’e-laborazione di un report circa l’attività dell’organizzazione di lavoro. Il projectwork è un testo nel quale si dà conto del progetto svolto, del suo contesto, delleproblematiche incontrate, delle soluzioni adottate, dei risultati ottenuti. Tale pro-getto, inserito nel portfolio personale, può essere presentato dall’allievo in sede diesame così da illustrarne la preparazione. Prova esperta. È una prova “pluri-competenze”, articolata su più dimensionidell’intelligenza e concorre, assieme alle attività di valutazione di tipo formativoche si svolgono al termine di ogni UdA, a rilevare il grado di padronanza dei saperie delle competenze mobilitati – articolati in abilità, capacità e conoscenze e indicatinelle rubriche di riferimento – utilizzando una metodologia che consenta di giun-gere a risultati certi e validi. È collocata in corrispondenza delle scadenze formalidei corsi (quando vengono rilasciati titoli di studio) e consente di rilevare in formasimultanea, sulla base di un compito rilevante, la padronanza di più competenze esaperi da parte dei candidati. Rubrica delle competenze. Matrice che consente di identificare, per una spe-cifica macro-competenza oggetto di formazione e valutazione, il legame che si in-staura tra le sue componenti:– le conoscenze ed abilità essenziali mobilitate dal soggetto nel corso dell’a-zione di apprendimento;– le evidenze ovvero le prestazioni reali, significative e necessarie che costitui-scono il riferimento valutativo periodico e finale;– i livelli di padronanza (EQF) che consentono di collocare la prestazione delsoggetto entro una scala ordinale;– i compiti che indicano le attività suggerite per la gestione del processo didat-tico. rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.38 Pagina 78 79 Situazione di apprendimento (didattica attiva). Esperienza formativa che ilteam dei formatori è chiamato a “creare” e che ponga l’allievo, nel confronto conproblemi di cui coglie il senso, di porsi in modo attivo alla ricerca di una soluzioneadeguata, superando gli ostacoli che via via incontra, mobilitando in tal modo unprocesso di apprendimento autonomo, personale, autentico. Tale processo è cen-trato sull’azione; tanto che si può affermare che la conoscenza passa necessaria-mente per l’azione per poi giungere ad una piena formalizzazione attraverso il lin-guaggio. Tale metodologia mira a perseguire una visione unitaria della cultura apartire dall’esperienza evitando la meccanica trascrizione degli obiettivi generalidel processo formativo e degli obiettivi specifici di apprendimento in chiave di di-dattica disciplinare. Risulta quindi prevalente l’attività di laboratorio rispetto aquella di aula. Specializzazione. Rappresenta una formazione mirante all’approfondimento diun particolare ambito di lavoro in modo da acquisire una competenza ulteriore.Essa è pertanto successiva alla qualificazione e si acquisisce solitamente dopo uncerto periodo di lavoro. Standard. Descrittore di un fenomeno che consente di sviluppare un confrontoed un giudizio di appropriatezza, pertinenza, adeguatezza, idoneità.Professionali: elenco delle caratteristiche di una figura/famiglia professionale (de-nominazione, classificazione, riferimenti normativi, profilo, contesti di eserci-zio, compiti, criteri di qualità…) che ne consentono l’individuazione univoca.Organizzativi: caratteristiche delle strutture erogative, riferite ai Livelli essenzialidelle prestazioni (Lep), che forniscono i criteri base dell’accreditamento neces-sario per poter gestire servizi di istruzione e formazione compatibili con l’ordi-namento, anche al fine del rilascio del titolo e dell’assunzione di un ruolo isti-tuzionale corrispondente.Formativi: descrittori dei risultati di apprendimento (RdA) ovvero delle compe-tenze, articolate in abilità e conoscenze, e delle prestazioni o evidenze e loro li-velli EQF, che consentono di progettare e gestire uno specifico percorso for-mativo.Valutativi: livelli di padronanza delle competenze e dei saperi che consentono diesprimere un giudizio circa la capacità del soggetto titolare nel saper i compiti-problemi dell’ambito di riferimento. Tra questi livelli occorre indicare il fattoredi soglia della padronanza stessa che può variare da competenza a competenzaa seconda della loro rilevanza nell’ambito del profilo professionale. Successo formativo. Risultato dell’attività educativa mediante la quale la per-sona è in grado di trasformare le proprie capacità – attitudini, atteggiamenti, ri-sorse, vocazione – in vere e proprie competenze, al fine di ottenere comunque unrisultato soddisfacente in termini di conseguimento di una qualifica professionale rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.38 Pagina 79 80 coerente con i principali sistemi di classificazione disponibili, garanzia di un sup-porto all’inserimento lavorativo; possibilità di una prosecuzione della formazionenell’ambito dell’anno di diploma di formazione come pure nell’ambito della For-mazione Professionale superiore ed eventualmente nella prosecuzione nell’Istru-zione e nell’Università. Sviluppo professionale. Concezione derivante da un modello teorico di ori-gine canadese (ADVP - Attivazione dello Sviluppo Vocazionale Personale) se-condo cui il soggetto organizza il suo progetto personale di vita e di lavoro in baseall’immagine che ha di se stesso nei vari stadi del suo sviluppo; il che gli permettedi acquisire la maturità professionale necessaria a formulare una sintesi delle varieesperienze maturate nel decorso evolutivo, tale da renderlo capace di tradurre l’im-magine di sé in termini professionali. Secondo questa concezione, le scelte profes-sionali vengono elaborate lungo un processo evolutivo segnato da stadi e caratteriz-zato da compiti che l’individuo deve assolvere per pervenire a scelte soddisfacentiper sé e per la società, in una sequenza di comportamenti vocazionali e di decisioniche gradualmente tessono la trama dello sviluppo della carriera individuale. Tutor - coordinatore. Figura indispensabile in ogni azione di Istruzione e For-mazione Professionale con il compito di guidare l’équipe dei formatori coinvolti,presiedere alle fasi di progettazione e programmazione (piano formativo), coordi-nare le attività, facilitare i processi di apprendimento e sostenere il miglioramentocontinuo dell’attività formativa e didattica. Unità di apprendimento. Struttura di base dell’azione formativa; insieme dioccasioni di apprendimento che consentono all’allievo di entrare in un rapportopersonale con il sapere, affrontando compiti che conducono a prodotti di cui eglipossa andare orgoglioso e che costituiscono oggetto di una valutazione più attendi-bile. Possiamo avere UdA ad ampiezza massima (tutti i formatori), media (alcuni) ominima (asse culturale). Essa prevede sempre compiti reali (o simulati) e relativiprodotti che i destinatari sono chiamati a realizzare ed indica le risorse (capacità,conoscenze, abilità) che egli è chiesto di mobilitare per diventare competente. OgniUdA deve sempre mirare almeno una competenza tra quelle presenti nel repertoriodi riferimento. Validazione. Processo mediante il quale una procedura o uno strumento ven-gono giudicati dotati di validità da una serie di soggetti in gioco e di conseguenzavengono adottati nei processi reali. La validazione può essere:– scientifica, quando uno o più esperti qualificati ne affermano la fondatezza teo-rica e metodologica in riferimento allo stato dell’arte;– funzionale, quando la procedura, dopo una fase di applicazione, è dichiarata ingrado di rispondere ai requisiti di praticabilità e gestibilità; rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.38 Pagina 80 81 – di rete, quando i vari attori in gioco (stakeholder) decidono liberamente diadottarla nelle pratiche ordinarie. Valutazione. Giudizio tramite il quale si attribuisce un valore ad un fenomeno(ad esempio: un processo operativo, un dispositivo finanziario, un progetto, un si-stema), confrontato solitamente con una scala nominale per livelli di prestazione.Se è riferita ad una persona, si parla di valutazione della padronanza delle compe-tenze e dei saperi.Quest’ultima valutazione di una persona può essere formativa se svolta lungoil percorso e tendente a trarre da essa elementi utili per rendere consapevole il sog-getto della sua situazione e per definire nel modo migliore il prosieguo del cam-mino, apportando i necessari correttivi e miglioramenti; oppure finale se svolta altermine dello stesso tramite una prova esperta volta a mettere a fuoco il grado dipadronanza complessivo raggiunto, necessariamente multicompetenza e interdisci-plinare.Negli ultimi tempi si assiste ad un superamento del paradigma valutativo fon-dato su algoritmi, in particolare quello finalizzato al criterio dell’oggettività che do-vrebbe garantire l’indipendenza degli esiti dall’attore che gestisce la valutazione edal contesto in cui si svolge, tramite un nuovo paradigma centrato sull’attendibilitàche concentra l’analisi della padronanza su prove reali ed adeguate tramite le qualiil soggetto si confronta con compiti e problemi significativi poiché riflettono leesperienze reali e sono legati ad una motivazione personale. Quest’ultimo ap-proccio viene detto anche “valutazione autentica”. rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.38 Pagina 81 82 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.38 Pagina 82 83 RUBRICHE DELLE COMPETENZERELATIVE AI DIPLOMIPROFESSIONALI IeFP • Rubriche comuni• Tecnico per la conduzione e la manutenzionedi impianti automatizzati• Tecnico elettrico• Tecnico automazione industriale• Tecnico riparatore di veicoli a motore• Tecnico di cucina• Tecnico dei servizi di sala e bar• Tecnico commerciale delle vendite• Tecnico lavorazioni artistiche• Tecnico acconciatura rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.38 Pagina 83 84 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.38 Pagina 84 85 Competenze degli assi culturali dei percorsi IeFP Nota introduttiva Questo documento riassume l’impianto valutativo del progetto “Sperimenta-zione di nuovi modelli nel sistema di istruzione e formazione - Diploma professio-nale di tecnico”, definito per livelli EQF e articolato per competenze, abilità e co-noscenze essenziali. A tale fine sono stati recepiti gli “standard minimi formativi”definiti dall’Accordo in Conferenza Unificata Stato-Regioni con l’aggiunta di ele-menti che consentano di dare effettiva consistenza educativa, culturale e professio-nale, entro un quadro unitario, ai percorsi di Istruzione e Formazione Professionale.L’obiettivo è di fornire agli attori del sistema di IeFP che compongono l’ATSIV anno del Piemonte, uno strumento completo di:– Rubriche di competenze: definite in fase preliminare con valore normativo, inriferimento ai livelli EQF.– Evidenze: manifestazione delle competenze acquisite dall’allievo, valutate se-condo una metodologia analogica.– Griglie di valutazione: utilizzate per la valutazione dei processi e dei prodottielaborati dall’allievo durante il processo formativo. Queste griglie saranno uti-lizzate per le valutazioni dell’unità di apprendimento e per quelle attività cheavranno un valore predittivo delle competenze acquisite dagli allievi.In pratica, il documento è suddiviso nelle quattro aree:– Comunicare nella lingua italiana.– Comunicare in lingua inglese.– Matematica, scientifica e tecnologica.– Storica, socio-economica.Per ognuna di queste aree sono state elencate le competenze, le abilità, le co-noscenze previste dagli standard minimi; in grassetto sono state indicate quelle spe-cifiche del IV anno e in verde sono evidenziate le competenze, le abilità e le cono-scenze acquisite nel triennio che saranno nuovamente oggetto del IV anno.Si riportano anche i livelli EQF e le evidenze relative ad ogni area. Infine, legriglie di valutazione in cui si riprendono le competenze e le evidenze. Comunicazione nella lingua italiana– Padroneggiare gli strumenti espressivi ed argomentativi di base indispensabiliper gestire l’interazione comunicativa verbale in vari contesti (1° biennio).– Leggere, comprendere ed interpretare testi scritti di vario tipo (1°biennio). rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.38 Pagina 85 86 – Produrre testi di vario tipo in relazione a differenti scopi comunicativi (1° biennio).– Comunicare in lingua italiana, in contesti personali, professionali e di vita.– Gestire la comunicazione in lingua italiana scegliendo forme e codici ade-guati ai diversi contesti personali, professionali e di vita. Comunicazione nella lingua inglese– Utilizzare una lingua straniera per i principali scopi comunicativi e operativi. Competenza matematica e competenze di base di scienze e tecnologia– Utilizzare le tecniche e le procedure del calcolo aritmetico ed algebrico, rap-presentandole anche sotto forma grafica.– Confrontare ed analizzare figure geometriche del piano e dello spazio indivi-duando invarianti e relazioni.– Individuare le strategie appropriate per la soluzione di problemi.– Osservare, descrivere ed analizzare fenomeni appartenenti alla realtà naturale e ar-tificiale e riconoscere nelle sue varie forme il concetto di sistema e complessità.– Analizzare qualitativamente e quantitativamente fenomeni legati alle trasfor-mazioni di energia a partire dall’esperienza.– Padroneggiare concetti matematici e scientifici fondamentali, semplici proce-dure di calcolo e analisi per descrivere e interpretare sistemi, processi, feno-meni e per risolvere situazioni problematiche di vario tipo legate al propriocontesto di vita quotidiano e professionale.– Rappresentare processi e risolvere situazioni problematiche del settoreprofessionale in base a modelli e procedure matematico-scientifiche. Competenze storico, socio-economica– Comprendere il cambiamento e la diversità dei tempi storici in una dimensionediacronica attraverso il confronto fra epoche e in una dimensione sincronica at-traverso il confronto fra aree geografiche e culturali.– Collocare l’esperienza personale in un sistema di regole fondato sul reciprocoriconoscimento dei diritti garantiti dalla Costituzione, a tutela della persona,della collettività e dell’ambiente.– Riconoscere i tratti caratteristici della cultura italiana ed europea nelle sue ra-dici giudaico-cristiane, riconoscere il valore delle grandi religioni ed il loro pa-trimonio spirituale, cogliere l’importanza del confronto e della cooperazionetra culture diverse.– Identificare la cultura distintiva, il sistema di regole e le opportunità del pro-prio contesto lavorativo, nella loro dimensione evolutiva e in rapporto allasfera dei diritti, dei bisogni e dei doveri.– Riconoscere la comunità professionale locale e allargata di riferimentoquale ambito per lo sviluppo di relazioni funzionali al soddisfacimento deibisogni personali e delle organizzazioni produttive. rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.38 Pagina 86 87 (Segu e) rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.38 Pagina 87 88 (Segu e) 3 Qu estac onosc enza ècom unea llaru brica relativ aalla comp etenz astor ico-so ciale. rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.38 Pagina 88 89 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.38 Pagina 89 90 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.38 Pagina 90 91 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.38 Pagina 91 92 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.39 Pagina 92 93 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.39 Pagina 93 94 (Segu e) rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.39 Pagina 94 95 (Segu e) (Segu e) rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.39 Pagina 95 96 (Segu e) rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.39 Pagina 96 97 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.39 Pagina 97 98 (Segu e) rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.39 Pagina 98 99 (Segu e) rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.39 Pagina 99 100 (Segu e) rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.40 Pagina 100 101 (Segu e) rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.40 Pagina 101 102 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.40 Pagina 102 103 (Segu e) rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.40 Pagina 103 104 (Segu e) rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.40 Pagina 104 105 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.40 Pagina 105 106 Rubriche relative alle competenze Tecnico-Professionali 1. Produrre documentazione tecnica d’appoggio, di avanzamento e valutativa re-lativa a lavorazioni, manutenzioni, installazioni.2. Identificare situazioni di rischio potenziale per la sicurezza, la salute e l’am-biente, promuovendo l’assunzione di comportamenti corretti e consapevoli diprevenzione.3. Condurre impianti automatizzati, valutando l’impiego delle risorse al fine diuna loro ottimizzazione.4. Provvedere al monitoraggio, verifica e controllo del funzionamento di impiantiautomatizzati, effettuando interventi di cura, assistenza e ripristino. TECNICO PER LA CONDUZIONE E LAMANUTENZIONEDI IMPIANTI AUTOMATIZZATI rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.40 Pagina 106 107 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.40 Pagina 107 108 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.40 Pagina 108 109 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.41 Pagina 109 110 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.41 Pagina 110 111 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.41 Pagina 111 112 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.41 Pagina 112 113 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.41 Pagina 113 114 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.41 Pagina 114 115 Rubriche relative alle competenze Tecnico-Professionali 1. Condurre le fasi del lavoro partendo dalle specifiche di progetto, presidiandol’attività di realizzazione e/o manutenzione dell’impianto.2. Reperire i bisogni del cliente, coniugandole con le opportunità tecniche e tec-nologiche disponibili.3. Progettare impianti civili e industriali di piccola dimensione.4. Predisporre documenti relativi alle attività ed ai materiali.5. Identificare le esigenze di acquisto di attrezzature e materiali, curando il pro-cesso di approvvigionamento.6. Effettuare le verifiche di funzionamento dell’impianto, predisponendo la docu-mentazione richiesta.7. Identificare situazioni di rischio potenziale per la sicurezza, la salute e l’am-biente, promuovendo l’assunzione di comportamenti corretti e consapevoli diprevenzione. TECNICO ELETTRICO rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.41 Pagina 115 116 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.41 Pagina 116 117 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.41 Pagina 117 118 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.41 Pagina 118 119 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.42 Pagina 119 120 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.42 Pagina 120 121 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.42 Pagina 121 122 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.42 Pagina 122 123 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.42 Pagina 123 124 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.42 Pagina 124 125 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.42 Pagina 125 126 Rubriche relative alle competenze Tecnico-Professionali 1. Produrre documentazione tecnica d’appoggio, di avanzamento e valutativa re-lativa ad installazioni, uso e manutenzioni.2 Identificare situazioni di rischio potenziale per la sicurezza, la salute e l’am-biente, promuovendo l’assunzione di comportamenti corretti e consapevoli diprevenzione.3. Identificare gli elementi caratterizzanti il processo industriale, collaborandoalla progettazione del sistema di automazione.4. Intervenire nel processo di progettazione del sistema di automazione definito.5. Effettuare il dimensionamento della componentistica hardware del sistema diautomazione.6. Elaborare il programma software per il comando e il controllo tramite PLC delsistema di automazione.7. Realizzare l’installazione del sistema di automazione, integrando funzional-mente il programma sul sistema macchina.8. Realizzare il collaudo e la manutenzione del sistema di automazione valutandoi risultati dei diversi tipi di prove di funzionalità. TECNICO AUTOMAZIONE INDUSTRIALE rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.42 Pagina 126 127 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.43 Pagina 127 128 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.43 Pagina 128 129 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.43 Pagina 129 130 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.43 Pagina 130 131 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.43 Pagina 131 132 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.43 Pagina 132 133 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.43 Pagina 133 134 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.43 Pagina 134 135 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.43 Pagina 135 136 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.43 Pagina 136 137 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.44 Pagina 137 138 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.44 Pagina 138 139 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.44 Pagina 139 140 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.44 Pagina 140 141 Rubriche relative alle competenze Tecnico-Professionali 1. Gestire l’accettazione e la riconsegna del veicolo a motore.2. Individuare gli interventi da realizzare sul veicolo a motore e definire il pianodi lavoro.3. Presidiare le fasi di lavoro, coordinando l’attività dei ruoli operativi.4. Identificare e fronteggiare situazioni di rischio potenziale per la sicurezza, lasalute e l’ambiente, promuovendo l’assunzione di comportamenti corretti econsapevoli di prevenzione.5. Predisporre documenti relativi alle attività ed ai materiali.6. Definire le esigenze di acquisto di attrezzature e materiali, gestendo il processodi approvvigionamento.7. Effettuare il controllo e la valutazione del ripristino della funzionalità/effi-cienza del veicolo a motore, redigendo la documentazione prevista. TECNICO RIPARATORE DI VEICOLI AMOTORE rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.44 Pagina 141 142 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.44 Pagina 142 143 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.44 Pagina 143 144 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.44 Pagina 144 145 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.44 Pagina 145 146 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.44 Pagina 146 147 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.44 Pagina 147 148 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.45 Pagina 148 149 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.45 Pagina 149 150 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.45 Pagina 150 151 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.45 Pagina 151 152 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.45 Pagina 152 153 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.45 Pagina 153 154 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.45 Pagina 154 155 Rubriche relative alle competenze Tecnico-Professionali 1. Gestire le fasi di lavoro, sulla base degli ordini, coordinando l’attività di re-parto.2. Identificare situazioni di rischio potenziale per la sicurezza, la salute e l’am-biente nel luogo di lavoro, promuovendo l’assunzione di comportamenti cor-retti e consapevoli di prevenzione. (Applicare le normative vigenti, nazionalied internazionali, in fatto di sicurezza, trasparenza e tracciabilità dei prodotti)(Agire nel sistema di qualità relativo alla filiera produttiva di interesse; con-trollare e utilizzare gli alimenti e le bevande sotto il profilo organolettico, mer-ceologico, chimico-fisico, nutrizionale e gastronomico).3. Definire le esigenze di acquisto, individuando i fornitori e gestendo il processodi approvvigionamento.4. Formulare proposte di prodotti/servizi, interpretando i bisogni e promuovendola fidelizzazione del cliente.5. Predisporre menù in riferimento alle caratteristiche organolettiche e merceolo-giche delle materie prime ed alla tipicità del prodotto.6. Curare l’elaborazione dei piatti, con applicazione di tecniche innovative ecreative. TECNICO DI CUCINA rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.45 Pagina 155 156 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.45 Pagina 156 157 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.45 Pagina 157 158 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.45 Pagina 158 159 (Segu e) rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.46 Pagina 159 160 (Segu e) rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.46 Pagina 160 161 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.46 Pagina 161 162 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.46 Pagina 162 163 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.46 Pagina 163 164 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.46 Pagina 164 165 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.46 Pagina 165 166 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.46 Pagina 166 167 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.46 Pagina 167 168 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.46 Pagina 168 169 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.47 Pagina 169 170 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.47 Pagina 170 171 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.47 Pagina 171 172 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.47 Pagina 172 173 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.47 Pagina 173 174 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.47 Pagina 174 175 Rubriche relative alle competenze Tecnico-Professionali 1. Condurre le fasi di lavoro, sulla base degli ordini, coordinando l’attività di re-parto.2. Identificare situazioni di rischio potenziale per la sicurezza, la salute e l’am-biente nel luogo di lavoro, promuovendo l’assunzione di comportamenti cor-retti e consapevoli di prevenzione.3. Identificare le esigenze di acquisto, individuando i fornitori e curando il pro-cesso di approvvigionamento.4. Formulare proposte di prodotti/servizi, interpretando i bisogni e promuovendola fidelizzazione del cliente.5. Predisporre il servizio in relazione agli standard aziendali, alle esigenze dellaclientela ed alle nuove mode/tendenze.6. Curare il servizio distribuzione pasti e bevande formulando proposte di pro-dotti adeguate per tipologia di abbinamento e momento della giornata. TECNICO DEI SERVIZI DI SALA E BAR rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.47 Pagina 175 176 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.47 Pagina 176 177 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.47 Pagina 177 178 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.47 Pagina 178 179 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.47 Pagina 179 180 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.47 Pagina 180 181 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.48 Pagina 181 182 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.48 Pagina 182 183 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.48 Pagina 183 184 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.48 Pagina 184 185 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.48 Pagina 185 186 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.48 Pagina 186 187 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.48 Pagina 187 188 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.49 Pagina 188 189 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.49 Pagina 189 190 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.49 Pagina 190 191 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.49 Pagina 191 192 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.49 Pagina 192 193 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.49 Pagina 193 194 Rubriche relative alle competenze Tecnico-Professionali 1. Condurre le fasi di lavoro sulla base degli ordini, pianificando e coordinandol’attività del reparto/punto vendita.2. Identificare le situazioni di rischio potenziale per la sicurezza, la salute e l’am-biente nel luogo di lavoro, promuovendo l’assunzione di comportamenti cor-retti e consapevoli di prevenzione.3. Collaborare alla realizzazione del piano commerciale in sintonia con le poli-tiche di vendita, gli obiettivi economici aziendali ed i vincoli di mercato.4. Formulare proposte di prodotti/servizi, interpretando i bisogni e promuovendola fidelizzazione del cliente.5. Predisporre l’organizzazione degli spazi/lay-out del reparto/punto vendita, va-lutandone la funzionalità e l’efficacia in rapporto agli obiettivi aziendali. TECNICO COMMERCIALE DELLE VENDITE rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.49 Pagina 194 195 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.49 Pagina 195 196 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.49 Pagina 196 197 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.49 Pagina 197 198 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.49 Pagina 198 199 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.49 Pagina 199 200 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.49 Pagina 200 201 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.49 Pagina 201 202 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.49 Pagina 202 203 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.49 Pagina 203 204 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.50 Pagina 204 205 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.50 Pagina 205 206 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.50 Pagina 206 207 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.50 Pagina 207 208 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.50 Pagina 208 209 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.50 Pagina 209 210 Rubriche relative alle competenze Tecnico-Professionali 1. Determinare le risorse umane e strumentali, i tempi ed i costi necessari persvolgere le lavorazioni, verificandone in itinere e a consuntivo l’utilizzo.2. Valutare le scelte di investimento effettuando stime di redditività e di impattosui ricavi.3. Condurre le fasi di lavoro, sulla base dello stato degli ordini, coordinando l’at-tività di realizzazione di manufatti/beni artistici.4. Identificare situazioni di rischio potenziale per la sicurezza, la salute e l’am-biente nel luogo di lavoro, promuovendo l’assunzione di comportamenti cor-retti e consapevoli di prevenzione.5. Formulare proposte di prodotti, interpretando i bisogni del cliente.6. Definire le esigenze di acquisto di materiali, strumenti e attrezzature, indivi-duando i fornitori e curando il processo di approvvigionamento. TECNICO DELLE LAVORAZIONI ARTISTICHE rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.50 Pagina 210 211 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.50 Pagina 211 212 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.50 Pagina 212 213 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.50 Pagina 213 214 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.50 Pagina 214 215 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.50 Pagina 215 216 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.51 Pagina 216 217 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.51 Pagina 217 218 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.51 Pagina 218 219 Rubriche relative alle competenze Tecnico-Professionali 1. Gestire il planning degli appuntamenti funzionalmente ai servizi richiesti.2. Predisporre e gestire l’accoglienza e l’assistenza funzionalmente alla persona-lizzazione del servizio.3. Organizzare e predisporre la manutenzione dell’ambiente di lavoro.4. Identificare situazioni di rischio potenziale per la sicurezza, la salute e l’am-biente, promuovendo l’assunzione di comportamenti corretti e consapevoli diprevenzione.5. Gestire l’organizzazione operativa e la promozione dell’esercizio nel rispettodelle normative.6. Effettuare l’analisi dello stato del capello e del cuoio capelluto.7. Individuare prodotti cosmetici e tricologici in funzione dei trattamenti.8. Individuare tagli e acconciature funzionali a un servizio personalizzato e ingrado di favorire armonia di movimenti, forme, colore e volumi. TECNICO DELL’ACCONCIATURA rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.51 Pagina 219 220 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.51 Pagina 220 221 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.51 Pagina 221 222 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.51 Pagina 222 223 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.51 Pagina 223 224 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.52 Pagina 224 225 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.52 Pagina 225 226 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.52 Pagina 226 227 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.52 Pagina 227 228 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.52 Pagina 228 229 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.52 Pagina 229 230 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.52 Pagina 230 231 Bibliografia ARENDT H. (1999), Vita Activa. La condizione umana, Bompiani, Milano.ARISTOTELE (1993), Politica, Laterza, Bari.BANNISTER D. - FRANSELLA F. (1986), L’uomo ricercatore, Martinelli, Firenze.BAUDRILLARD J. 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CNOS-FAP - CENTRO RISORSE EDUCATIVEhttp://www.cnos-fap.it/node/19È la piattaforma nella quale sono inseriti progressivamente i materiali ed i sussidi riferiti allaFormazione Professionale per i giovani e quindi dove gli operatori della Federazione possonotrovare diversi materiali a supporto dell’azione didattica, ma anche della progettazione forma-tiva regionale/provinciale.Esso comprende una raccolta dei progetti ed una guida alla compilazione dei sussidi didattici.Particolare rilievo è stato dato alle unità di apprendimento interdisciplinari, alla costruzionedelle quali partecipa l’équipe dei formatori e che per lo più si sviluppano all’interno dell’areaprofessionale. MINISTERO DEL LAVORO - ORIENTAMENTO E FORMAZIONE PROFESSIONALEhttp://www.lavoro.gov.it/Lavoro/md/AreaLavoro/OrientamentoFormazione/Questa area dedicata all’orientamento e alla Formazione Professionale consente di seguire percorsiutili a individuare gli strumenti necessari per favorire l’accesso al mondo del lavoro. Vi si possonoreperire informazioni su come fare per orientarsi al lavoro, formarsi, migliorare la propria posizioneprofessionale attraverso la formazione continua e tramite percorsi di formazione permanente, for-marsi e lavorare all’estero, avere pieno riconoscimento dei propri percorsi formativi (attraverso il si-stema nazionale di certificazione delle competenze nella Formazione Professionale). MINISTERO DEL LAVORO - EUROPALAVOROhttp://www.lavoro.gov.it/lavoro/europalavoroPagine web dedicate al Fondo sociale europeo, interamente tradotte in inglese, dove è possibiletrovare: avvisi e bandi, indirizzario dedicato al lavoro e alla formazione, banche dati normative edocumentali, banca dati dei corsi di formazione, newsletter elettronica di informazione dedicataal Fse. TECNOSTRUTTURA DELLE REGIONIhttp://www.tecnostruttura.it/È il sito della Conferenza delle Regioni che presenta sia l’attività istituzionale sia informazioni edocumentazione utile sul sistema di Istruzione e Formazione Professionale, il FSE, lavoro, pro-fessioni e ricerca. EUROPASS ITALIAhttp://www.europass-italia.it/scelta4.aspIl Centro Nazionale Europass Italia (NEC), istituito presso l’Isfol (Istituto per lo Sviluppo dellaFormazione Professionale dei Lavoratori), agisce nell’ambito del quadro unico comunitario perla trasparenza delle qualifiche e delle competenze. Esso coordina tutte le attività connesse al-l’applicazione del portafoglio Europass, garantisce che i documenti Europass siano accessibili atutti i cittadini e siano rilasciati conformemente alla decisione e alle disposizioni nazionali. rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.52 Pagina 233 234 PIAZZA DELLE COMPETENZEhttp://www.piazzadellecompetenze.net/index.php?title=I_Progetti_FSE_per_la_descrizione,_va-lutazione_e_certificazione_delle_competenzeÈ il “modello Veneto”, il più organico presente in rete, gestito dalle scuole. Ci sono le lineeguida metodologiche, le rubriche delle competenze (tutti i percorsi del secondo ciclo di secondogrado), esempi di UdA e prove esperte per ogni percorso, supplemento Europass e ricerche suicasi esteri. È centrato sui quinquenni, ma ci sono anche le qualifiche IeFP. FORMAVENETOhttp://www.formaveneto.it/Default.aspxÈ sempre il “modello Veneto” ma gestito dai CFP. Occorre seguire “progetti sulle competenze” epoi “prodotti”. Comprende ricerca, rubriche, UdA, prove esperte, passerelle, supplemento Euro-pass. È centrato sulle qualifiche IeFP, ma ci sono anche i quinquenni. rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.52 Pagina 234 235 Indice Sommario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 PARTE PRIMA:Principi della nuova filosofia educativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111. Dai programmi ai risultati di apprendimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112. Cultura del lavoro come leva per formare la persona ed il cittadino . . . . . . . 163. Accompagnare i giovani della FP a scoprire il mondo e ad agire in esso inmodo autonomo e responsabile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 194. Tornare a don Bosco per risvegliare l’umanità dei giovani . . . . . . . . . . . . . . 205. Principi educativi e formativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23 PARTE SECONDA:Metodologia formativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 291. La metodologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 292. La progettazione: il piano formativo generale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 323. La Rubrica delle competenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 344. L’Unità di apprendimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 365. Il modello di valutazione e prova esperta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 376. Il Portfolio personale dell’allievo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 407. Il Project work . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 418. Il Certificato delle competenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 429. Il Supplemento Europass . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4410. La gestione organizzativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45 ALLEGATI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 491. Piano formativo generale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 512. Rubrica delle competenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 533. Unità di apprendimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 584. Prova esperta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 605. Portfolio dell’allievo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 616. Project work . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 627. Certificato delle competenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 638. Supplemento Europass . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65 Glossario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.52 Pagina 235 236 RUBRICHE DELLE COMPETENZE RELATIVE AI DIPLOMI PROFESSIONALI IeFP . . . . . . . 83Competenze degli assi culturali dei percorsi IeFP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85Tecnico per la conduzione e la manutenzione di impianti automatizzati . . . . . . . . 106Tecnico elettrico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115Tecnico automazione industriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 126Tecnico riparatore di veicoli a motore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141Tecnico di cucina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155Tecnico dei servizi di sala e bar . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 175Tecnico commerciale delle vendite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 194Tecnico delle lavorazioni artistiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 210Tecnico dell’acconciatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 219 Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 231 Sitografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 233 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.52 Pagina 236 237 Pubblicazioni nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE” ISSN 1972-3032 Sezione “Studi” 2002 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V. 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(a cura di), Insieme per un nuovo progetto di formazione, 2003 VALENTE L. - ANTONIETTI D., Quale professione? Strumento di lavoro sulle professioni e sui percorsi formativi, 2003 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale alimentazione, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale commerciale e delle vendite, 2004 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione delle unità didattiche, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale estetica, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale sociale e sanitaria, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale tessile e moda, 2004 CIOFS/FP BASILICATA, L’orientamento nello zaino. Percorso nella scuola media inferiore. Diffusione di una buona pratica, 2004 CIOFS/FP CAMPANIA (a cura di), ORION tra orientamento e network, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale elettrica e elettronica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale grafica e multimediale, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale meccanica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale turistica e alberghiera, 2004 NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema del- l’istruzione e della formazione professionale, 2004 NICOLI D. (a cura di), Sintesi delle linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, 2004 2005 CIOFS-FP SICILIA (a cura di), Operatore Servizi Turistici in rete. Rivisitando il progetto: le buone prassi. Progettazione, Ricerca, Orientamento, Nuova Imprenditorialità, Inseri- mento Lavorativo, 2005 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale legno e arredamento, 2005 CNOS-FAP (a cura di), Proposta di esame per il conseguimento della qualifica professionale. Percorsi triennali di Istruzione formazione Professionale, 2005 NICOLI D. (a cura di), Il diploma di istruzione e formazione professionale. Una proposta per il percorso quadriennale, 2005 POLÀČEK K., Guida e strumenti di orientamento. Metodi, norme ed applicazioni, 2005 VALENTE L. (a cura di), Sperimentazione di percorsi orientativi personalizzati, 2005 2006 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La corresponsabilità CFP-famiglia: i genitori nei CFP. Espe- rienza triennale nei CFP CNOS-FAP (2004-2006), 2006 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione dei sussidi, II edizione, 2006 2007 D’AGOSTINO S., Apprendistato nei percorsi di diritto-dovere, 2007 GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo. Una proposta di percorsi per la creazione di impresa. II edizione, 2007 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.52 Pagina 239 240 MARSILII E., Dalla ricerca al rapporto di lavoro. Opportunità, regole e strategie, 2007 NICOLI D. - TACCONI G., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello stato dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. I volume, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere in... 1. L’identità. Percorso di cultura etica e religiosa, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere... Linee guida per i formatori di cultura etica e religiosa nei per- corsi di Istruzione e Formazione Professionale, 2007 2008 BALDI C. - LOCAPUTO M., L’esperienza di formazioni formatori nel progetto integrazione 2003. La riflessività dell’operatore come via per la prevenzione e la cura educativa degli allievi della FPI, 2008 CIOFS/FP (a cura di), Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2008 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., Individuazione e raccolta di buone prassi mirate all’accoglienza, formazione e integrazione degli immigrati, 2008 NICOLI D., Linee guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2008 NICOLI D., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello stato dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. II volume, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere con... 2. La relazione. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere per... 3. Il progetto. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 2009 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale meccanica, 2009 MALIZIA G. - PIERONI V., Accompagnamento al lavoro degli allievi qualificati nei percorsi triennali del diritto-dovere, 2009 2010 BAY M. - GRĄDZIEL D. - PELLEREY M. (a cura di), Promuovere la crescita nelle competenze strategiche che hanno le loro radici spirituali nelle dimensioni morali e spirituali della persona. Rapporto di ricerca, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale grafica e multimediale, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale elettrica ed elettronica, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale automotive, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per l’orientamento nella Federazione CNOS-FAP, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale turistico-alberghiera, 2010 2011 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A. (a cura di), “Cittadini si diventa”. Il contributo dei Salesiani (SDB) e delle Suore Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) nell’educare stu- denti/allievi delle loro Scuole/CFP in Italia a essere “onesti cittadini”, 2011 TACCONI G., In pratica. 1. La didattica dei docenti di area matematica e scientifico-tecnolo- gica nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 TACCONI G., In pratica. 2. La didattica dei docenti di area linguistica e storico sociale nel- l’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 MANTEGAZZA R., Educare alla costituzione, 2011 NICOLI D., La valutazione formativa nella prospettiva dell’educazione. Una comparazione tra casi internazionali e nazionali, 2011 BECCIU M. - COLASANTI A.R., Il fenomeno del bullismo. Linee guida ispirate al sistema pre- ventivo di Don Bosco per la prevenzione e il trattamento del bullismo, 2011 2012 PIERONI V., A. SANTOS FERMINO, In cammino per Cosmopolis. Unità di Laboratorio per l’edu- cazione alla cittadinanza, 2012 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.52 Pagina 240 241 Sezione “Esperienze” 2003 CIOFS/FP PUGLIA (a cura di), ORION. Operare per l’orientamento. Un approccio metodolo- gico condiviso e proposte di strumenti, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 1. Guida per l’accoglienza, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 2. Guida per l’accompagnamento in itinere, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 3. Guida per l’accompagnamento finale, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 4. Guida per la gestione dello stage, 2003 2005 CIOFS/FP SICILIA, Operatore servizi turistici in rete. Rivisitando il progetto: le buone prassi. Progettazione, ricerca, orientamento, nuova imprenditorialità, inserimento lavorativo, 2005 TONIOLO S., La cura della personalità dell’allievo. Una proposta di intervento per il coordi- natore delle attività educative del CFP, 2005 2006 ALFANO A., Un progetto alternativo al carcere per i minori a rischio. I sussidi utilizzati nel Centro polifunzionale diurno di Roma, 2006 CIOFS-FP LIGURIA (a cura di), Linee guida per l’orientamento nei corsi polisettoriali (fascia 16-17 anni). L’esperienza realizzata in Liguria dal 2004 al 2006, 2006 COMOGLIO M. (a cura di), Il portfolio nella formazione professionale. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2006 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V., Una formazione di successo. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali triennali di istruzione e formazione professionale in Piemonte 2002-2006. Rapporto finale, 2006 2007 NICOLI D. - COMOGLIO M., Una formazione efficace. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali di Istruzione e Formazione professionale in Piemonte 2002-2006, 2007 2008 CNOS-FAP (a cura di), Educazione della persona nei CFP. Una bussola per orientarsi tra buone pratiche e modelli di vita, 2008 2010 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edi- zione 2010, 2010 2011 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edi- zione 2011, 2011 2012 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edi- zione 2012, 2012 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.52 Pagina 241 242 Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@donbosco.it Dicembre 2012 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.52 Pagina 242 243 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.52 Pagina 243 244 rubriche_PROGETTI-INPRATICAOK 21/11/12 08.52 Pagina 244

Sociologia dell'istruzione e della formazione. Una introduzione

Autore: 
Guglielmo Malizia
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2012
Numero pagine: 
139
Codice: 
978-88-95640-44-0
Guglielmo MAliziA sociologiadell’istruzionee della formazioneuna introduzione Anno 2012 coordinamento scientifico:Dario Nicoli (Università Cattolica di Brescia) Hanno collaborato:Matteo D’ANDREA: Segretario Nazionale settore Automotive.Dalila DRAzzA: Sede Nazionale CNOS-FAP – Ufficio Metodologico-Tecnico-Didattico.FiAT GROUPAutomobiles.Comunità professionale AUTOMOTIVE: Angelo AliqUò, Gianni BUFFA, Roberto CAVAGlià, EgidioCiRiGliANO, luciano CliNCO, Domenico FERRANDO, Paolo GROPPElli, Nicola MERli, RobertoPARTATA, lorenzo PiROTTA, Antonio PORziO, Roberto SARTOREllO, Fabio SAViNO, GiampaoloSiNTONi, Dario RUBERi. ©2012 By Sede Nazionale del CNOS-FAP(Centro Nazionale Opere Salesiane - Formazione Aggiornamento Professionale)Via Appia Antica, 78 – 00179 RomaTel.: 06 5137884 – Fax 06 5137028E-mail: cnosfap.nazionale@cnos-fap.it – http: www.cnos-fap.it sommario introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 PARTE PRiMA - le teorie sociologiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111.1. il funzionalismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111.2. il neo-marxismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161.3. la teoria della riproduzione culturale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 191.4. Basil Bernstein e la nuova sociologia dell’educazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 391.5. la teoria della riproduzione contraddittoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 481.6. il neo-weberianesimo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 541.7. l’approccio interazionista-fenomenologico e il post-moderno . . . . . . . . . . . 65 PARTE SECONDA - le tematiche principali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 792.1. istruzione, e stratificazione sociale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 792.2. istruzione, formazione e politica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 972.3. istruzione, formazione ed economia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1032.4. la professione docente e la scuola come organizzazione . . . . . . . . . . . . . . . 113 CONClUSiONi GENERAlisocietà della conoscenza, economia e sistemi educativi in una situazione di crisi 123 Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 127 indice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133 3 5 introduzione Mi permetto di presentare un altro libro nato dall’esperienza di quaranta annidi insegnamento nel curricolo di Pedagogia per la Scuola e la Formazione Profes-sionale della Facoltà di Scienze dell’Educazione della Università Salesiana. il titolodel corso che costituisce il punto di riferimento di questa pubblicazione non èquello tradizionale di sociologia dell’educazione, ma di sociologia delle istituzioniscolastiche e formative. Ritornerò successivamente sulle ragioni del nome, ma peril momento desideravo sottolineare una coincidenza dell’inciso “istituzioni scola-stiche e formative” con il binomio che caratterizza il titolo di questo volume “istru-zione e formazione” e in parte con i destinatari principali del volume che sono iformatori e i dirigenti della FP del CNOS-FAP. Un altro punto di contatto può es-sere trovato nella circostanza che molti dei miei studenti all’università possono giàvantare un’esperienza più o meno lunga di insegnamento o di coordinamento e ta-lora pure di dirigenza alla stessa guisa della gran parte dei lettori del presente vo-lume.Accenno anche a un’altra somiglianza. la mia esperienza mi suggerisce che imiei studenti come anche i dirigenti e i formatori del CNOS-FAP siano esposti allatentazione di ritenere che la dimensione sociologica non sia poi così necessaria perla loro preparazione. Non hanno dubbi sull’apporto della formazione antropologicaperché hanno bisogno di un modello di uomo e di donna e anche di cristiano/a a cuieducare i loro giovani, né su quella metodologica che li aiuta a stabilire buone rela-zioni e a creare una comunità fra tutte le parti interessate in vista di interventi effi-caci, né su quella didattica in quanto consente loro di impostare correttamente ilprocesso di insegnamento-apprendimento; da qualche tempo si sono convinti dellarilevanza della prospettiva organizzativa poiché può assicurare il coordinamento ditutte le attività del proprio CFP (o di una scuola) in funzione della realizzazione delprogetto educativo/formativo, mentre ritengono che la conoscenza delle condizionipsicologiche individuali dello sviluppo dei loro giovani siano un prerequisito ne-cessario dell’efficacia della loro azione educativa. la dimensione sociologicasembra, invece, riguardare il funzionamento del macrosistema educativo chesfugge al loro controllo o, se entra nel micro, diviene di competenze di figure piùspecializzate come le assistenti sociali. Essi, però, non tengono conto che peresempio anche oggi lo strumento diagnostico più sicuro del successo di un giovanea scuola e nella vita è rappresentato dalla sua condizione socio-culturale ed econo-mica. Ma forse la rilevanza della dimensione sociologica per l’azione di un inse-gnante/formatore o di un dirigente potrà apparire in tutta la sua chiarezza solo dopo 6 aver cercato di definire cos’è la sociologia dell’istruzione e della formazione, cosache mi accingo a fare, o probabilmente solo alla fine del volume se i lettori avrannola pazienza di percorrerlo tutto. 1. il punto di partenza il tipo di sociologia di cui si occupa il volume si colloca all’interno della so-ciologia dell’educazione per cui è opportuno richiamare in sintesi gli elementi prin-cipali per una definizione di quest’ultima (Milanesi, 1997; Mion, 2008 a e b; Fi-scher, 2007; Besozzi, 2006; Ballantine e Spade, 2008). Ricordo che il suo oggetto èil processo di socializzazione-educazione attraverso il quale una società trasmettela propria cultura ai giovani, la fa loro interiorizzare e li aiuta a inserirsi nei gruppie nelle istituzioni. la prima dimensione della polarità sta a indicare che esso puòpresentare ad un estremo del continuum le seguenti caratteristiche: essere automa-tico nel senso che ha luogo per il solo fatto di vivere in una società; avere naturaimpositiva, in quanto impone e non propone i suoi messaggi; presentarsi come unprocesso adattivo e integrativo che tende ad adattare i giovani alla società cosìcome è, inserendoli in essa.la socializzazione non è sufficiente, ma richiede una educazione cioè l’acqui-sizione di conoscenze e competenze che consentano l’elaborazione critica dei con-tenuti della socializzazione. Più precisamente essa dovrà qualificarsi per delle pre-rogative opposte alle precedenti:– decondizionamento: l’educazione libera la persona dai condizionamenti nega-tivi del proprio ambiente e l’abilita ad esercitare su di essi una propria opzioneautonoma;– propositività: non impone, ma propone la propria offerta formativa alla libertàdella persona;– progettualità: abilita la persona a elaborare un proprio progetto di vita;– criticità e innovazione: capacita l’educando a porsi in maniera critica rispettoalla cultura sociale e a contribuire al suo rinnovamento.la sociologia dell’educazione accosta questo immenso campo di studio che in-teressa tutte le scienze dell’educazione secondo un’ottica specifica che è appuntoquella sociologica. in altre parole tale approccio descrive e interpreta i comporta-menti educativi in quanto uniformizzati e partecipati, cioè in quanto si ripetono conle stesse caratteristiche nel tempo e nello spazio; si può anche dire che essa si oc-cupa dei condizionamenti non individuali e degli effetti di vasto raggio che si ri-scontrano nel sistema sociale.Da ultimo, sul piano dei contenuti va citata la presenza di due diverse prospet-tive. quella prevalente può essere caratterizzata come nordamericana: in questocaso, l’educazione viene intesa come scuola e la sociologia dell’educazione equi-vale a sociologia della scuola. Al contrario, nel nostro istituto di Sociologia della 7 Facoltà di Scienze dell’Educazione dell’Università Salesiana, l’educazione viene acoincidere con tutto il processo di socializzazione-educazione e la sociologia del-l’educazione comprende la sociologia della scuola, la sociologia della famiglia, lasociologia della gioventù, la sociologia del tempo libero, la sociologia della reli-gione, la sociologia della devianza, la sociologia politica… 2. lo specifico della sociologia dell’istruzione e della formazione e la sua evo-luzione l’educazione è presente in qualsiasi tipo di società, anche se con modalità di-verse: infatti, per sopravvivere e svilupparsi, ogni società ha bisogno di trasmetterealle nuove generazioni la propria cultura e di introdurle nelle sue strutture (Mila-nesi, 1997; Mion, 2008 a e b; Ardigò, 1966). Nella civiltà agricola essa è affidataad organizzazioni plurifunzionali come la famiglia, la Chiesa, la bottega artigiana,che cioè pongono in essere altre funzioni, oltre a quella educativa. Nella società in-dustriale (e a fortiori in quella post-industriale che tra l’altro viene anche definitacome società della conoscenza), invece, è svolta anche da organizzazioni unifun-zionali, tra cui principalmente le istituzioni scolastiche e formative.Pertanto, lo specifico della sociologia dell’istruzione e della formazione va ri-cercato nella scuola/FP1, intesa come una organizzazione formale, unifunzionale,strategica. Cerco ora di essere più preciso. Formale sta a significare che è espressa-mente mirata al fine educativo. il termine unifunzionale sottolinea che svolge solola funzione educativa; infatti, per effetto dell’industrializzazione, l’educazione di-viene un compito complesso in quanto comprende l’istruzione delle masse, la pro-mozione dello sviluppo scientifico e tecnologico, la preparazione professionale e laselezione sociale, compiti che non possono essere realizzati solo da organizzazioniplurifunzionali. inoltre, essa è strategica nel senso che i diritti e i doveri connessiall’educazione non discendono da un contratto o da una legge, ma fanno parte deidiritti e doveri di cittadinanza.Se ci si riferisce allo sviluppo della disciplina sul piano soprattutto accade-mico, allora si può dire che a livello sostanziale la sua nascita si connette con l’e-spansione della scuola dovuta all’industrializzazione, mentre a livello di cattedre ecurricoli universitari si collega con l’introduzione della disciplina “sociology ofeducation” negli atenei degli Stati Uniti tra il XiX e il XX secolo. Bisogna ricono-scere che durante la prima metà del ’900 lo sviluppo è stato modesto: in Europaemergono a cavallo dei due secoli alcune grandi figure che però rimangono isolate 1 Con questa breve formula intendo sinteticamente riferirmi a tutte le istituzioni che operano nelcampo dell’istruzione e della formazione e, quindi, oltre alla scuola e alla FP in senso stretto, anchel’università, l’istruzione e la formazione superiore non universitaria, l’educazione degli adulti e lestrutture dell’apprendimento per tutta la vita. 8 (Marx, Durkheim e Weber), mentre negli USA prevale sulla “sociology of educa-tion”, vera e propria sociologia, la “educational sociology”, cioè una tecnologia so-ciale.Negli anni ’50 si verifica il decollo della sociologia della istruzione e della for-mazione: il funzionalismo fornisce il quadro teorico e al campo di studio viene ap-plicata con rigore la metodologia della ricerca delle scienze sociali. Nella succes-siva decade essa realizza un importante progresso: l’esplosione dei sistemi scola-stici nei Paesi sviluppati comporta un ricorso accresciuto alla ricerca pedagogica, inparticolare a quella sociologica; inoltre, nel welfare state, in cui i governi interven-gono attivamente in campo sociale, la politica, che vuole promuovere il vero benecomune della popolazione e non interessi settoriali, trova nella ricerca, in partico-lare in quella sociologica, uno strumento privilegiato per identificare i problemi,elaborare e sperimentare ipotesi di soluzioni, verificare proposte in maniera scienti-fica.Negli anni ’70 il funzionalismo entra in crisi: essendo, come vedremo, unateoria di carattere “consensuale” non riesce più a interpretare in maniera adeguatauna società in cui predomina lo scontro e la lotta anche violenta tra i diversi attori.Al suo posto vengono ad occupare un ruolo centrale nella disciplina le teorie di na-tura conflittuale che tendono ad evidenziare i limiti della scuola/FP come: il neo-marxismo, secondo il quale la scuola/FP è un apparato ideologico di stato al ser-vizio della classe capitalista; la riproduzione culturale, al cui parere essa assicura laperpetuazione di un sistema fondamentalmente ingiusto; la nuova sociologia dell’e-ducazione che nella riproduzione esalta l’importanza dei fattori micro.Negli anni ’90 e 2000 si riscopre la funzione positiva della scuola/FP, pur conriconoscimento dei suoi limiti. Per la riproduzione contraddittoria essa non è solostrumento di riproduzione, ma anche di contraddizione; a sua volta, il neo-weberia-nesimo sostiene che la scuola/FP non è unicamente strumento di oppressione, maanche di mobilità; da ultimo, a parere dell’interazionismo-fenomenologico, la so-cietà e la scuola/FP si costruiscono nelle relazioni tra soggetti che sono tutti prota-gonisti, e non sono semplicemente determinate dalle forze sociali.Ritornando al libro, esso si articola in due parti principali. Dopo l’introduzionee le considerazioni epistemologiche, nella prima sezione vengono presentate leprincipali teorie sociologiche della scuola: il funzionalismo, il neo-marxismo, la ri-produzione culturale, la riproduzione contraddittoria, la nuova sociologia dell’edu-cazione, il neo-weberianesimo, l’interazionismo e la fenomenologia. la secondasezione è, invece, dedicata alle tematiche principali: istruzione e stratificazione so-ciale; istruzione e politica; istruzione ed economia; la scuola/FP come organizza-zione formale e come sistema sociale e la professione docente. le conclusioni ge-nerali e la bibliografia completano il volumela mia riconoscenza più sentita va al Presidente del CNOS-FAP, Prof. DonMario Tonini, che ancora una volta ha ritenuto opportuno pubblicare un volumeche non ha un carattere direttamente pratico, ma che si pone come un testo rivolto a 9 rafforzare la cultura di base sociologica dei formatori e dirigenti dell’Ente. Comenel caso del precedente libro sulle politiche educative, termino con un ringrazia-mento vivissimo a tutti gli studenti di questi quaranta anni che mi hanno aiutato amigliorare il presente saggio con i loro apprezzamenti, con le loro critiche e soprat-tutto con la loro vicinanza spirituale. aBBreViazioni CFP Centro di Formazione ProfessionaleFP Formazione Professionale 11 Parte prima 1. Le teorie sociologiche il tema dei rapporti tra educazione, scuola e società presenta una tale comples-sità e ricchezza di sfaccettature che può essere accostato da una pluralità di angola-ture. Ovviamente, la prospettiva qui scelta è di natura sociologica: la problematicanon è affrontata in un’ottica puramente pedagogica o didattica od organizzativa o afortiori psicologica, né è trattata principalmente sul piano giuridico-amministrativoe politico; l’analisi è, invece, focalizzata sullo studio delle costanti regolari del com-portamento sociale nell’ambito dell’istruzione e della formazione. in questa primaparte illustrerò le teorie generali sul ruolo della scuola/FP nel contesto sociale. 1.1. il funzionalismo Ha dominato la scena negli anni ’50 e nella prima metà della decade succes-siva; dopo la crisi della fine degli anni ’70 ha continuato ad occupare un posto se-gnalato tra i paradigmi di riferimento della sociologia dell’istruzione e della forma-zione, anche se è venuto meno il suo ruolo guida pressoché esclusivo degli inizi(Benadusi, 1984; Milanesi, 1997; Antikainen e Torres, 2003; Ballantine e Ham-mack, 2009). la presentazione è articolata in tre parti: si prenderà le mosse daiprincipi generali riguardo a due aspetti, l’idea di società e le funzioni dellascuola/FP per passare a due teorie specifiche quella del capitale umano e quelladella deprivazione culturale. 1.1.1. La concezione della societàil funzionalismo concepisce la società come un sistema di parti interdipendential cui interno si realizza una vera divisione del lavoro nel senso che ciascun sottosi-stema svolge funzioni proprie e specifiche e mette a disposizione degli altri le sueprestazioni in modo da consentire la conservazione e lo sviluppo del sistema (Par-sons, 1968 e 1986; Barbagli, 1978a; Benadusi, 1984; Milanesi, 1997; Crespi, 2002;Poggi e Sciortino, 2008). Pertanto i sistemi famiglia e scuola preparano le forze la-voro necessarie all’economia che, a sua volta, assicura le risorse per lo sviluppo so-ciale secondo quelle finalità di bene comune che sono decise dal mondo politico.Nonostante questa collaborazione, nella società non mancano disfunzionalità delle 12 parti e difetti di interscambio; tuttavia, questi non portano generalmente a conflitti,lacerazioni o rotture irreparabili, in quanto il sistema riesce a mantenersi in unacondizione di integrazione e di equilibrio attraverso i processi di socializzazione,cioè mediante la trasmissione ed interiorizzazione di un quadro di valori comuni.la concezione organicista del funzionalismo, se riesce a spiegare con facilitàla conservazione del sistema, si trova invece a disagio di fronte alla questione delcambio sociale. Esso, infatti, viene fatto risalire a fattori negativi: è dovuto sia a ca-renze nella formazione che divengono occasione di devianza, sia alle difficoltà chei sottosistemi incontrano nell’articolazione reciproca a causa della continua com-plessificazione del sistema sociale e dell’aumento della specializzazione delle parti.Nel primo caso, siccome di fatto non tutti accettano i contenuti della socializza-zione, può accadere che alcune delle proposte diverse da quelle della cultura domi-nante si facciano strada nell’opinione pubblica e ottengano il consenso della grandemaggioranza dei cittadini. in questa maniera, esse cessano di essere appunto “de-vianti” e diventano patrimonio comune di tutti. la seconda modalità si riferisce allesituazioni in cui l’evoluzione sociale mette in crisi i collegamenti e l’integrazionefra i vari sottosistemi per cui è necessario prevedere nuove strutture che li assicu-rano: per esempio, mentre fino agli anni ’60 del secolo scorso la transizione dal si-stema educativo al mondo del lavoro si compiva quasi in maniera automatica, suc-cessivamente per la diversificazione, segmentazione e accelerazione delle dina-miche il passaggio si è fatto difficile e si è dovuto ricorrere sempre più al contri-buto di una specifica e nuova articolazione del sistema sociale, le strutture di orien-tamento.Un discorso a parte merita il tema della stratificazione che viene ritenuta nonsolo una dato di fatto universale, ma anche un meccanismo necessario per la so-pravvivenza e il funzionamento della società in quanto garantisce la selezione deimigliori. il valore delle posizioni sociali non è eguale per tutte, ma alcune presen-tano una rilevanza più grande per il sistema. Al tempo stesso non sono molte le per-sone dotate delle capacità che possono essere trasformate nelle competenze ri-chieste per svolgere i ruoli più importanti. Siccome l’istruzione e la formazione ne-cessarie per acquisire le abilità attese implicano notevoli sacrifici di tempo e di ri-sorse, la società per invogliare i soggetti dotati ad affrontarli deve assicurare loroadeguate ricompense materiali e morali, cioè un reddito e una condizione socialepiù elevata, dando vita alle differenziazioni in strati e classi. indubbiamente, sitratta di una spiegazione che presuppone una concezione tutta individualistica ecompetitiva della vita. 1.1.2. Le funzioni del sottosistema di istruzione e di formazioneEntro questo quadro il funzionalismo va a definire il ruolo del sottosistemascuola/FP in relazione agli altri sottosistemi (Parsons, 1968 e 1986; Durkheim,1971; Barbagli, 1978a; Milanesi, 1997; Morgagni e Russo, 1997; Ardigò, 1966;Benadusi, 1984; Fourquin, 1997; Sadovnik, 2002; Antikainen e Torres, 2003; Be- 13 nadusi, Censi e Fabretti, 2004; Besozzi, 2006; Fischer, 2007; Ballantine e Spade,2008; Ballantine e Hammack, 2009; Ribolzi, 2012). la prima funzione da ricordareè quella di trasformare le capacità in competenze. Nelle società tradizionali prov-vedono principalmente istituzioni che sono incaricate contemporaneamente di altricompiti; nel mondo industriale, a causa dell’intensificarsi della divisione del lavoroe della specializzazione, nasce e si sviluppa un sottosistema specifico e differen-ziato come quello della scuola/FP.in secondo luogo il funzionalismo mette in risalto l’interdipendenza fra istru-zione/formazione ed economia. la forte espansione dei sistemi educativi che haavuto luogo nel mondo durante gli anni ’50 e ’60 andrebbe ricondotta allo sviluppoparallelo della domanda di forza lavoro qualificata. la crescita dell’economia hainfluito direttamente sulla richiesta di manodopera specializzata e ha comportatol’esigenza di una istruzione e di una formazione più elevate di porzioni crescenti digiovani, per due motivi principalmente: si è verificato un passaggio della forza la-voro dal settore primario verso quello industriale e successivamente in direzionedel terziario, cioè verso comparti che si caratterizzano per una domanda più ampiaed elevata di competenze; inoltre, il ritmo accelerato del cambio tecnologico haprodotto l’elevazione continua del livello delle conoscenze, delle abilità e dellecompetenze professionali necessarie per l’inserimento dei vari settori del sistemaproduttivo. Al tempo stesso la scuola/FP espandendosi svolge una funzione deter-minante nello sviluppo economico perché rende più produttivo il lavoro e aumentail ritmo dell’innovazione tecnologica.in terzo luogo, il funzionalismo concepisce l’istruzione e la formazione comestrumenti di progresso sociale. È vero che le disparità sono accettate come neces-sarie, ma è anche vero che la distribuzione dei ruoli deve avvenire in base al me-rito. in questo senso l’espansione della scuola/FP consente l’ascesa sociale dei gio-vani dei ceti sociali bassi, dotati di elevate capacità, e contribuisce a una riparti-zione più giusta delle opportunità educative fra le classi. Anzi, bisogna riconoscereche per essi il sistema di istruzione e di formazione costituisce l’unico, o quasi,strumento per realizzare un qualche tipo di mobilità ascendente, mentre gli studentidegli strati medi e alti possono contare sul prestigio, sull’influenza e sulle disponi-bilità economiche dei loro genitori. in aggiunta, va precisato che la promozione so-ciale viene motivata anche per ragioni di efficienza, come evitare lo spreco di ta-lenti, e non solo di equità: se bisogna rispondere alla domanda crescente di forzalavoro qualificata proveniente dal sistema economico, è necessario rimuovere lecause che impediscono ai giovani meritevoli di accedere ai livelli più elevati del si-stema educativo, bisogna cioè procedere alla sua democratizzazione.la scuola/FP è anche funzionale all’integrazione sociale, cioè alla coesione trai vari sottosistemi e tra i membri della società. Essa, infatti, motiva a comportarsisecondo i modelli sociali: in altre parole, educa ai valori comuni per cui, anche se iconflitti diventano intensi, tuttavia i cittadini trovano sempre in tali valori ragionisufficienti per vivere insieme e non separarsi, perché ciò che li unisce è più forte e 14 importante di ciò che li divide. in questo senso la scuola/FP impedisce delle lacera-zioni e degli strappi definitivi e assicura la sopravvivenza della società e la sua in-tegrazione. 1.1.3. La teoria del capitale umanoDopo avere presentato sinteticamente i principi generali del funzionalismo ri-guardo al sistema sociale e all’educazione, mi soffermo su due tesi caratteristichedi tale approccio che interessano il mondo della istruzione e della formazione. Pre-ciso che mi limiterò solo ad alcuni cenni perché si tratta di interpretazioni che at-tengono a due delle tematiche principali che saranno oggetto della seconda parte diquesto volume.il contesto sociale degli anni ’50-’60 evidenziava la centralità della istruzionee dalla formazione ai fini dello sviluppo economico (Barbagli, 1978a; Benadusi,1984; Halsey, 1997; lodigiani, 1999; Hallinan, 2000; Bertagna, 2002; lodigiani,2007). l’espansione industriale richiedeva un flusso adeguato di forza lavoro quali-ficata e si temeva che la crescita potesse bloccarsi proprio a causa della mancatacorrispondenza tra domanda economica e offerta di personale opportunamente pre-parato.Un altro fattore che ha influito è consistito nella competizione in atto tra gliUSA e l’URSS per la superiorità tecnologica. Tipica è stata la conquista dello spazioda parte dell’Unione Sovietica che attraverso il lancio dello sputnik riusciva a bat-tere sul tempo gli Stati Uniti. questi ultimi attribuirono la sconfitta subita alle ca-renze del loro sistema educativo per cui vennero accresciuti grandemente i relativiinvestimenti soprattutto riguardo a scienza e tecnologia.Entro tale contesto sociale l’istruzione e la formazione sono per la prima voltaconsiderati un bene produttivo (capitale umano) determinante. infatti, come si è ri-cordato sopra, essi aumentano anzitutto la redditività del lavoro in quanto forni-scono le conoscenze, le abilità, le competenze e gli atteggiamenti utili a rendere piùproduttive le attività occupazionali delle persone. in secondo luogo, accelerano ilritmo del cambio tecnologico poiché influiscono sullo sviluppo scientifico e tecno-logico.la teoria del capitale umano ha ottenuto un grande successo negli anni ’50-’60: i Paesi sviluppati l’hanno utilizzata per sostenere la democratizzazione dei si-stemi educativi, cioè l’allargamento dell’accesso all’istruzione e alla formazione; aloro volta, quelli in via di sviluppo sono riusciti a conseguire un potenziamentodegli investimenti in capitale umano, in particolare nella scuola/FP.Al tempo stesso, non si deve tralasciare di richiamare le criticità. infatti, lateoria del capitale umano sottovaluta l’influsso delle cause strutturali sullo sviluppoe più in particolare gli effetti dello scambio diseguale tra prodotti industriali e tec-nologici da una parte e risorse naturali dall’altra che finiscono per rendere semprepiù ricchi i Paesi sviluppati, che hanno il monopolio di fatto dei primi, e sempre piùpoveri i Paesi in via di sviluppo, che forniscono le seconde a costi molto inferiori e 15 spesso in continua diminuzione. inoltre, dopo il boom economico degli anni ’60,nonostante l’espansione della scuola/FP, incomincia a riemergere il problema delladisoccupazione intellettuale nelle Nazioni ricche, un andamento che sembrava con-traddire la tesi funzionalista secondo la quale alla crescita del sistema di istruzionee di formazione si dovrebbe accompagnare lo sviluppo economico. 1.1.4. La teoria della deprivazione culturaleEssa si colloca all’interno dell’empirismo metodologico, cioè di quell’ap-proccio di sociologia della istruzione e della formazione che, pur collocandosi so-stanzialmente nell’ambito del funzionalismo, assume caratteristiche proprie rispettoad altri orientamenti presenti nello stesso quadro teorico (Karabel e Halsey, 1977;Benadusi, 1984; Morgagni e Russo, 1997; Schizzerotto e Barone, 2006; Malizia,2008a).Gli elementi distintivi vanno ricercati nell’uso sofisticato del metodo quantita-tivo e nell’oggetto che è costituito dal problema della diseguaglianza delle opportu-nità educative. Sulla nascita di tali prospettive ha influito il contesto degli anni ’60.lo Stato sociale è in piena crescita e assume sempre più un atteggiamento interven-tistico anche nella scuola/FP ai fini di realizzare una maggiore eguaglianza. infatti,il welfare state intende procedere sulla base di indicazioni scientificamente cor-rette: pertanto, potenzia gli investimenti pubblici nella ricerca anche educativa. Daquesto punto di vista il metodo quantitativo sembra sufficientemente oggettivo percui le ricerche che lo utilizzano possono essere finanziate senza che il governo siaaccusato di favorire il proprio partito o le proprie lobby. in aggiunta, il ricorso almetodo empirico sofisticato soddisfa il bisogno che una disciplina nuova, come lasociologia della istruzione e della formazione, ha di affermarsi. Preciso riguardo almetodo utilizzato che esso è principalmente numerico, empirico, statistico; altempo stesso, non mancano esempi di ricerca-azione nella forma di una quasi speri-mentazione.l’approccio sotto esame concentra la sua attenzione sul problema delle dispa-rità tra i ceti nell’educazione, cercando di misurare con più precisione la loro consi-stenza e di identificare i fattori che le condizionano. in questo contesto nasce lateoria della deprivazione culturale secondo la quale esiste un rapporto positivo tral’origine socio-culturale e il successo scolastico degli studenti nel senso che ele-vandosi la prima crescono le opportunità del secondo. Pertanto, l’insuccesso deifigli degli operai dipenderebbe da tratti culturali negativi della famiglia e diventanecessario che la scuola assicuri agli studenti in difficoltà socio-culturali ed econo-miche una educazione compensatrice di tali punti deboli.Anche in questo caso non sono mancate osservazioni critiche. Anzitutto, èstato sottolineato che i tratti culturali negativi della famiglia di origine sociale bassadipendono dalla struttura di classe della società che è senz’altro ingiusta, piuttostoche dalla responsabilità dei genitori. inoltre, la cosiddetta inferiorità del culturaoperaia è relativa al tipo attuale di società in cui ciò che conta è saper maneggiare 16 simboli alfabetici o matematici; inoltre, non si può negare che essa, come tutte leculture, presenta anche elementi positivi.Alla fine degli anni ’60 il paradigma funzionalista è entrato in crisi. la suavisione consensuale non riusciva più a interpretare in modo adeguato una societàche era divenuta conflittuale. in aggiunta la contestazione studentesca e la ricercapedagogica avevano messo a nudo le gravi carenze della scuola/FP, ponendo cosìin discussione l’esaltazione ingenuamente positiva che ne aveva fatto ilfunzionalismo. Esso, inoltre, si poteva facilmente prestare ad essere usato ai fini digiustificare le ingiustizie sociali e la subordinazione del sistema educativo almondo economico. Comunque, l’approccio non è scomparso ma, seppur rivisitato,ha continuato e continua a svolgere un ruolo importante nella riflessione teorica enelle applicazioni concrete. 1.2. il neo-marxismo Ho organizzato questa breve sezione in due articolazioni fondamentali. laprima presenterà le affermazioni principali in tema di educazione, scuola/FP e so-cietà che si possono far risalire direttamente a Marx; la seconda si basa sulla cor-rente che all’interno del quadro teorico marxista si è maggiormente occupata dellequestioni che vengono esaminate dal presente volume. 1.2.1. Gli assunti riconducibili a MarxMarx si è interessato delle nostre tematiche solo incidentalmente e non informa sistematica (Marx, 1964-1966; Milanesi, 1997; Barbagli, 1978a; Benadusi,1984; Crespi, 2002; Poggi e Sciortino, 2008; Ardigò, 1967). Una delle sue tesi èche l’educazione è determinata dalla struttura: questa comprenderebbe da unaparte l’economia e più specificamente le forze di produzione come materie prime,macchine e attrezzature, e dall’altra includerebbe i rapporti di produzione, cioè lerelazioni di lavoro o di scambio che si riscontrano nel mondo occupazionale.in secondo luogo l’istruzione e la formazione sono parte della sovrastrutturainsieme con la cultura, il diritto, la politica, la morale e la religione, cioè con tuttigli aspetti che compongono il patrimonio ideale della società. Ciò significa che es-se sono agite dall’economia: in altre parole esse non costituiscono un fattore di svi-luppo, né danno vita a dinamismi capaci di muovere e cambiare il sistema sociale.Nelle società classiste l’educazione è uno strumento di dominio in mano allaclasse dirigente per mantenere gli altri ceti sociali in una condizione di subordina-zione. Pertanto, in tali sistemi non si può immaginare una vera riforma dellascuola/FP, ma questa richiede prima un cambiamento del modo di produzione eco-nomico: tutto ciò non può avvenire in forma indolore, ma esige la lotta di classe,anche se questa non deve necessariamente far ricorso alla violenza o assumereforme e caratteristiche di natura cruenta. 17 1.2.2. Il neo-marxismo, Althusser e gli apparati ideologici di StatoGli anni ’50 e ’60 in cui scrive Althusser assistono al consolidamento e all’e-spansione del capitalismo nei Paesi occidentali e tale andamento sembrava contra-stare con gli assunti del marxismo che sono stati presentati sinteticamente sopra(Althusser, 1978; Karabel e Halsey, 1977; Barbagli, 1978ab; Benadusi, 1984; Ca-pello, Dei e Rossi, 1982; Milanesi, 1997; Morgagni e Russo, 1997; Sadovnik,2002; Antikainen e Torres, 2003; Besozzi, 2006; Schizzerotto e Barone, 2006; Fi-scher, 2007; Ribolzi, 2012). infatti, il primo significa appropriazione privata deimezzi di produzione, mentre lo sviluppo delle forze produttive nella società indu-striale evidenzia il carattere sociale dell’economia: quest’ultima non si fonda piùprincipalmente sul lavoro dell’artigiano nel cui caso era percepibile il legame tra ilprodotto e la persona che lo aveva fatto – tutti nel villaggio sanno che quella sediaè l’opera di quello specifico falegname – per cui era facilmente giustificabile laproprietà privata da parte del produttore; al contrario l’economia in quegli anni sibasa sulla grande industria e sulla catena di montaggio e l’automobile che uscivadal ciclo di lavorazione non era ricollegabile a una persona specifica che potevapretendere di farla propria.Nonostante l’emergere della caratterizzazione collettiva della produzione il ca-pitalismo non perdeva certamente consensi, ma anzi li guadagnava. Nell’ipotesimarxista secondo la quale è la struttura, cioè l’economia, che comanda l’evolu-zione, il comunismo avrebbe dovuto trionfare da anni nei Paesi dell’occidenteperché l’economia industriale aveva assunto una connotazione sociale; al contrariosi stava verificando proprio il fenomeno opposto. Althusser ha cercato di risolverequesta evidente contraddizione, partendo dall’analisi delle condizioni di sopravvi-venza della società capitalista.la prima consiste nella riproduzione dei mezzi di produzione, quali materieprime, macchine, attrezzature ed edifici ed è assicurata dal mercato che si presentaparticolarmente efficiente nel capitalismo.A sua volta, la riproduzione della forza lavoro è resa possibile anzitutto dallostipendio che ricevono i lavoratori per le loro prestazioni e che consente loro disoddisfare i bisogni vitali propri e della famiglia e di generare, mantenere ed edu-care figli; inoltre, il salario è controllato dai capitalisti. Un’altra condizione con-siste nell’istruzione e nella formazione che assicurano non solo l’acquisizione diconoscenze, abilità e competenze, ma anche trasmettono regole di comportamentoe in particolare l’ideologia capitalista, ponendo così le basi per l’accettazione daparte del sistema sociale esistente.Comunque, lo strumento più efficace nella sopravvivenza della società capita-lista viene identificato nella riproduzione dei rapporti di produzione. Per renderepiù chiaro il discorso vanno ricordate due premesse. la prima è che, a parere delneo-marxismo, la sovrastruttura gode di autonomia relativa, anche se la struttura èdeterminante in ultima istanza; di conseguenza, è possibile un ritardo nel cambia-mento della sovrastruttura rispetto al mutamento della struttura. Pertanto, il fatto 18 che l’economia sia divenuta sociale, mentre la cultura abbia mantenuto la preva-lenza dei valori individualistici, deriva dalla mancanza di automatismi nella rela-zione tra struttura e sovrastruttura per cui a un intervento nel mondo della produ-zione può non seguire necessariamente un effetto corrispondente nel sistema cultu-rale.l’altra premessa riguarda la concezione dello Stato. Per i primi interpreti diMarx questo è costituito dai soli apparati repressivi (AR) per cui ai fini del sovver-timento della società capitalista bastava conquistare gli AR capitalisti. Al contrario,per Althusser esistono 2 tipi di apparati:1) gli AR che comprendono il governo, l’amministrazione, l’esercito, la polizia, itribunali e sono caratterizzati: dall’unità di comando, dalla natura pubblica,dall’uso della forza che li rende repressivi;2) gli AiS, cioè gli apparati ideologici di Stato, che includono la scuola, la fami-glia, il sindacato, i partiti, le chiese e le religioni e si contraddistinguono perl’unità della ideologia, per la funzionalità alla diffusione di quest’ultima e perla loro natura privata.Secondo Althusser, nessuna classe può conservare il potere senza AiS perché ilgoverno di un Paese si conquista e si mantiene sulla base del consenso, cioè dellacondivisione di una ideologia.in questo quadro esplicativo, la riproduzione dei rapporti di produzione è ga-rantita soprattutto dagli AIS. infatti, gli AR si limitano ad assicurare le condizioniesterne della convivenza tra i cittadini, in breve la pace sociale. Al contrario, gliAiS sono la causa della sopravvivenza della società, in quanto inculcano l’ideo-logia dominante.in altre parole, il sistema educativo sarebbe l’AiS che svolgerebbe nei Paesicapitalisti il ruolo centrale nella riproduzione dei rapporti di produzione. infatti, lascuola/FP raccoglie i giovani di tutte le classi sociali a cominciare dalla materna,ne dispone per 8-10 anni (i più vulnerabili), per 5-6 giorni su 7, per 5-8 ore algiorno, e trasmette loro competenze e tecniche, imbevute dell’ideologia dominante,o l’ideologia dominante stessa. Completato l’obbligo, essa assegnerebbe agli stu-denti una posizione nella società corrispondente allo status socio-economico dellerispettive famiglie e li fornirebbe dell’ideologia che si adatta al loro ruolo: glioperai e i contadini dell’ideologia dello sfruttato, i quadri intermedi di agente dellosfruttamento, i funzionari dello Stato di agente della repressione e gli insegnanti diprofessionisti dell’ideologia.Passando ora a una valutazione di queste posizioni teoriche, certamente non sipuò negare che esse hanno messo in evidenza alcune della cause principali che im-pediscono al sistema di istruzione e di formazione di svolgere il ruolo di egualiz-zare le opportunità educative tra studenti di classi sociali diverse. in altre parole,Althusser è riuscito a identificare dei meccanismi attraverso i quali la scuola/FPcontribuisce alla riproduzione delle strutture di potere nelle società industrializzate,qualunque sia il loro regime. 19 Se ci si sofferma, invece, sugli aspetti critici degli assunti dello studioso france-se, va anzitutto evidenziata la contraddizione esistente tra due sue affermazioni: lastruttura (l’economia) è determinante in ultima istanza e gli AiS con la sovrastrutturagarantiscono la riproduzione dei rapporti di produzione; in altre parole, non è chiarose siano decisivi l’economia o l’ideologia o ambedue. inoltre, anche nei Paesi comu-nisti l’istruzione e la formazione hanno svolto il compito di perpetuare la stratifica-zione sociale al servizio, non più della classe capitalista, ma della nuova classe for-mata dai membri della burocrazia del partito e dello Stato: infatti, erano i loro figli adaffollare l’università, anticamera del potere, in proporzione molto più alta che non glistudenti della classe operaia o di origine contadina. in terzo luogo, la scuola/FP nonpuò essere definita solo come riproduzione, oppressione, manipolazione, socializza-zione, ma la storia dimostra che pure nelle situazioni più buie essa è riuscita ad assi-curare cambiamento, liberazione, formazione al pensiero critico, cioè vera educazio-ne. Da ultimo, il neo-marxismo tende a sopravvalutare il ruolo della scuola/FP qualifossero le uniche cause della distribuzione diseguale delle opportunità nella vita del-le persone; al contrario, tutta una serie di studi e di autori che vedremo nella secondaparte di questo volume sostiene che un ruolo altrettanto importante, se non di più, invista dei condizionamenti positivi e negativi dello sviluppo della personalità dellostudente sul piano sociale viene svolto da parte della famiglia. 1.3. la teoria della riproduzione culturale: P. Bordieu e J.c. Passeron la teoria della riproduzione culturale comprende un gruppo di sociologi checonvergono su alcune tesi centrali della loro riflessione (Karabel e Halsey, 1977;Barbagli 1978ab; Benadusi, 1984; Milanesi, 1997; Sadovnik, 2002; Besozzi, 2006;Schizzerotto e Barone, 2006; Fischer, 2007; Ballantine e Hammack, 2009). Unprimo aspetto caratteristico è che essa nasce dall’incontro delle diverse posizioni dipartenza degli studiosi con il marxismo. in secondo luogo, i nodi problematici af-frontati riguardano i meccanismi attraverso i quali il sistema di istruzione e di for-mazione contribuisce a ricreare le condizioni per la perpetuazione dell’ordine so-ciale. Da ultimo, il principale paradigma scientifico di riferimento è una specie difunzionalismo assoluto che concepisce la società come una macchina perfetta incui ogni parte opera in funzione degli altri meccanismi e di tutta la macchina e incui agiscono forze sociali che ci determinano totalmente nel bene o nel male.Sul piano positivo questa teoria si segnala per il realismo dell’analisi, il rigorescientifico e l’apertura dell’ortodossia marxista. Al tempo stesso non si possonoignorare i punti deboli di tali posizioni: il sistema sociale appare caratterizzato dastaticità e ripetitività; la scuola/FP viene concepita come una specie di burattinaio oregista malvagio che tira le file di tutte le ingiustizie del mondo; ogni tentativo diriforma della scuola perde di senso, perché il vero rinnovamento può venire solo daun cambiamento del modello di società. 20 Degli studiosi in esame ricorderò solo due: P. Bordieu e J.C. Passeron che sisono particolarmente distinti per l’originalità, la profondità e il rigore delle loroanalisi (Bourdieu e Passeron, 1971 e 1972; Bourdieu, 1978; Passeron, 1982; Ka-rabel e Halsey, 1977; Barbagli, 1978; Malizia, 1978a; Benadusi 1984; Capello, Deie Rossi, 1982; Milanesi, 1997; Morgagni e Russo, 1997; Benadusi, 1984; Sa-dovnik, 2002; Antikainen e Torres, 2003; Benadusi, Censi e Fabretti, 2004; Be-sozzi, 2006; Schizzerotto e Barone, 2006; Fischer, 2007; Ballantine e Hammack,2009; Ribolzi, 2012). Anche se i due autori vanno certamente collocati nella teoriadella riproduzione, non si deve dimenticare che essi vi sono arrivati attraverso unaevoluzione che ha preso le mosse da Durkheim e da Weber e, in particolare, dailoro assunti in tema di cultura e di potere e che essi non si limitano a un approcciodi carattere macrostrutturale, ma esaminano anche agli aspetti micro. 1.3.1. Dall’analisi sincronica alla interpretazione diacronicaTradizionalmente la sociologia dell’istruzione e della formazione ha dedicatogran parte dei suoi sforzi alle relazioni tra la scuola e il sistema di stratificazionesociale (Karabel e Halsey, 1977; Schizzerotto e Barone, 2006). Anche l’interessescientifico di Bourdieu e Passeron si è concentrato durante gli anni ’60 sul pro-blema della diversa riuscita degli studenti secondo l’origine sociale. Fra i loro con-tributi alla delimitazione e all’approfondimento del tema vanno annoverate l’analisidel concetto di eguaglianza di opportunità e l’elaborazione di indicatori appro-priati2.Sul primo punto gli apporti dei due sociologi francesi, pur non raggiungendo laprecisione delle formulazioni di Coleman e Husén, sostanzialmente esprimono lamedesima concezione (Coleman, 1969; Husén, 1972; Malizia, 1973 e 1978a; Bena-dusi, 1984; Besozzi, 2006; Schizzerotto e Barone, 2006; Fischer, 2007). le dispa-rità relative a un livello scolastico non vengono misurate solo dalle possibilità diaccesso, ma si fa riferimento a tutta la carriera dell’allievo. la distinzione tra egua-glianza formale e sostanziale di fronte al sistema educativo e la dura critica dellaprima sono motivi ricorrenti dell’opera di Bourdieu e Passeron, i quali d’altra parterespingono l’ideologia dei doni e sottolineano ampiamente nei loro scritti le fun-zioni di riproduzione e di legittimazione dello status quo svolte dalla scuola. Ritro-viamo in tali assunti gli elementi fondamentali della concezione “sociologica o ra-dicale della eguaglianza delle opportunità”: per realizzare una vera democratizza-zione non è sufficiente garantire a tutti l’accesso alla scuola, ma è necessario assi-curare l’eguaglianza dei risultati alla fine del processo educativo; l’offerta di untrattamento identico indipendentemente dalla classe sociale è illusoria, mentre sipone l’esigenza di operare una discriminazione positiva nei confronti degli allievidei ceti più bassi; la responsabilità dell’insuccesso dell’alunno degli strati meno ab- 2 Su tali tematiche cfr. anche la sezione 2.1 della seconda parte di questo volume. 21 bienti ricade sul sistema scolastico e, più generalmente, sulla società piuttosto chesullo studente o la sua famiglia.l’immaginazione sociologica di Bourdieu e Passeron raggiunge un grado ele-vato di fecondità nella elaborazione di modelli per la verifica empirica della dise-guaglianza delle opportunità davanti alla scuola. Anzitutto, essi rivelano una note-vole creatività nell’escogitare le misure della disparità tra studenti di gruppi socialidiversi: come esempio fra tanti si possono citare le tabelle dell’appendice del libro“i Delfini” (Bourdieu e Passeron, 1971, pp. 125-160). Tuttavia, il loro merito mag-giore consiste nell’aver dimostrato i limiti di una comprensione puramente sin-cronica delle relazioni tra caratteristiche sociali e scolastiche, da una parte, e gradodi riuscita, dall’altra: per questa via, infatti, ci si condanna a ignorare che le variecategorie sociali degli studenti sono selezionate in maniera diversa durante il lorocurricolo scolastico. È necessario, invece, interpretare le relazioni sincroniche allaluce dell’intera carriera pregressa e utilizzare un modello che riesca a mettere incollegamento due complessi sistemi di relazione, il capitale linguistico e il grado diselezione.Di conseguenza, per provare la disparità nell’accesso agli studi superiori inbase all’origine sociale o al sesso, Bourdieu e Passeron non ricorrono al tasso dirappresentanza delle varie classi nell’università, ma preferiscono costruire le pro-babilità oggettive di accesso secondo la categoria socio-professionale dei genitori –in pratica quanti giovani su 100 del proprio ceto nati 20 anni prima si sono iscrittiall’università. Tale indice «fornisce [...] uno dei mezzi più efficaci per cogliere em-piricamente il sistema delle relazioni che uniscono, a un momento dato, il sistemadi insegnamento e la struttura delle classi sociali, nonché per misurare la trasforma-zione nel tempo di questo sistema di relazioni» (Bourdieu e Passeron, 1972, p.296).l’applicazione più originale del modello interpretativo diacronico è offerta ne“la Riproduzione” (Bourdieu e Passeron, 1972). Si tratta della somministrazione diun test di competenza linguistica a studenti universitari da cui appare che i pun-teggi degli allievi delle classi popolari eguagliano i risultati degli studenti deglistrati sociali più alti, mentre superano in maniera significativa i punteggi degli uni-versitari dei ceti medi. Una considerazione puramente sincronica dei dati porte-rebbe a negare la correlazione diretta tra il successo scolastico e la classe di appar-tenenza, che è invece costatabile a livello di primaria e di secondaria. Solo l’ap-proccio diacronico può dare ragione dei risultati senza negare il rapporto tra riu-scita negli studi e origine sociale.i giovani delle classi popolari che frequentano l’università sono stati oggettodurante la carriera scolastica di una selezione più stringente degli allievi dei ceti su-periori e proprio nell’area della competenza linguistica: tale decimazione va attri-buita alla lontananza del loro linguaggio dal linguaggio scolastico e alla inadegua-tezza del loro capitale linguistico. l’ultra-selezione degli universitari degli stratimeno abbienti rende conto del perché i loro risultati nelle prove di competenze lin-guistiche si avvicinino ai punteggi degli studenti di origine più elevata, meno sele- 22 zionati nella loro carriera scolastica precedente, e sopravanzino di gran lunga i ri-sultati degli allievi dei ceti medi che, oltre ad essere privi di capitale linguistico,sono stati selezionati più blandamente. A livello di istruzione superiore, cioè, laclasse d’appartenenza non interviene più in maniera diretta a condizionare il suc-cesso o meno dei giovani, ma si rende presente nel modo diverso con cui le variecategorie di universitari sono state selezionate durante il loro passato scolastico.Analogo tipo di interpretazione viene utilizzata con successo per analizzare i datiche emergono dal rapporto tra la riuscita nel medesimo test di competenza lingui-stica, da una parte, e, dall’altra, il sesso, la sezione frequentata nella secondaria el’indirizzo scelto nell’università. Bourdieu e Passeron, inoltre, riescono a illustrarequantitativamente tali relazioni con un modello semplicissimo consistente nell’as-segnare un valore relativo al capitale linguistico di ciascuna classe e al grado di se-lezione della medesima nell’entrata all’università e nel correlare tra loro i dati cosìottenuti (1972).in conclusione, le variazioni osservate nella competenza linguistica non pos-sono essere spiegate isolandole l’una dall’altra e trattandole separatamente, mareinserendole in una struttura e in un processo. l’origine sociale non determina im-mediatamente la riuscita scolastica in ogni momento della carriera dello studente,ma si serve di “clusters” diversi di variabili. D’altra parte, ciascuna costellazione aun livello dato – e a fortiori un singolo fattore – non può rendere ragione in ma-niera totale delle variazioni considerate, se non si tiene conto, all’interno del si-stema completo in tutti i suoi mutamenti e nel suo punto di partenza, della situa-zione di classe, che rimane l’ottica privilegiata per spiegare le differenze nella riu-scita scolastica. quindi, le tecniche di cui si serve la sociologia, in quanto spesso ri-spondono a un approccio analitico e instantaneistico (o sincronico), si precludonola comprensione delle diseguaglianze nel successo scolastico a meno che non ven-gano utilizzate all’interno di un modello interpretativo di natura sintetica e pro-cessuale (o diacronica). 1.3.2. L’ideologia dei donila prova della diseguaglianza nelle opportunità formative, anche se raggiuntacon analisi diacroniche e non sincroniche, con l’uso di tecniche qualitative e nonunicamente quantitative e con un complesso imponente di indicatori originali e per-tinenti, come suggeriscono e hanno realizzato Bourdieu e Passeron, non è suffi-ciente di per se stessa a dimostrare che i giovani delle classi popolari formino l’og-getto di un trattamento ingiusto nel sistema di insegnamento. le disparità possonoessere giustificate con il ricorso all’ideologia dei doni, appellandosi cioè alla diver-sità di doti naturali, talenti, capacità, esistenti fra gli individui. la Provvidenza o laNatura avrebbero fornito ad alcuni certe qualità mentre non avrebbero visitati glialtri con i medesimi doni. Dunque, i privilegi sociali o culturali delle classi domi-nanti troverebbero un’adeguata spiegazione nel merito personale.Nel “les héritiers” (1964: traduzione italiana 1972) Bourdieu e Passeron con- 23 futano l’ideologia dei doni, in quanto mettono a nudo le differenze sociali e cultu-rali e i rapporti di forza tra le classi che si celano sotto le diseguaglianze nella riu-scita scolastica (Malizia, 1978a e 1982; Benadusi, 1984; Malizia e Chistolini, 1985;Besozzi, 2006; Schizzerotto e Barone, 2006; Fischer, 2007). Nel condurre la loroanalisi essi respingono la posizione genetista e partono dal presupposto che il so-ciologo non deve rimettersi alla natura se non quando manchino del tutto altri tipidi spiegazione; egli, inoltre, dovrà continuare a ricercare i condizionamenti socialidelle diseguaglianze culturali finché non siano stati esaminati tutti i meccanismi at-traverso i quali operano i fattori sociali e non si siano tentate tutte le strategie edu-cative per superarli. Con questo Bourdíeu e Passeron non intendono negare l’esi-stenza di differenze naturali nelle attitudini, soltanto che tale spiegazione non è ingrado di rendere conto delle diseguaglianze nella riuscita secondo l’origine sociale,perché non si comprende il motivo per cui la causalità genetica non debba distri-buire in maniera eguale i doni naturali fra i differenti ceti.Dai dati quantitativi dell’indagine sugli universitari francesi, che costituisce labase del libro “i Delfini”, si può facilmente inferire che né l’appartenenza a unaconfessione religiosa o la pratica religiosa, né l’età provocano effetti significativisulla distribuzione delle opportunità scolastiche; sono, invece, i fattori connessi conl’origine sociale a determinare le disparità. Anzitutto tra gli allievi delle classi piùelevate si riscontrano le condizioni di vita più favorevoli per il successo negli studisuperiori: alloggio presso i genitori, origine familiare delle entrate, ammontare piùelevato di risorse economiche, minore diffusione del lavoro in aggiunta allo studio.Anche la carriera scolastica pregressa dipende dalla provenienza familiare: il gradodi informazione sui curricoli e sulle loro valenze professionali, i modelli culturaliche collegano certe professioni o scelte scolastiche a ceti specifici, la capacità diadeguarsi al mondo dei valori predominanti nella scuola costituiscono un patri-monio che è ripartito in maniera assai diseguale fra gli strati sociali. inoltre, l’atteg-giamento nei confronti della scuola e della cultura degli allievi di origine borghesepresenta una serie di caratteristiche che lo rendono più apprezzabile da parte deiprofessori universitari: disinteresse, facilità, naturalezza, grazia, disinvoltura,distacco sembrano doni innati, mentre derivano dal godimento prolungato di condi-zioni – non certo acquisite ma ascritte – di libertà e di gratuità di scelta che dannomaggiore sicurezza e predispongono più facilmente ad aspirazioni conformi alprincipio del piacere. in aggiunta, gli allievi più abbienti posseggono in propor-zione superiore la cultura libera che viene appresa al di fuori della scuola e che al-l’università è più valutata della cultura scolastica. in qualsiasi campo dell’arte glistudenti d’origine borghese dimostrano di possedere una conoscenza più estesa, mail divario cresce man mano che si procede verso le aree in cui manca un insegna-mento organizzato (pittura, cinema, jazz) o in cui il contatto con le opere richiedela frequenza di teatri, musei e concerti. quindi, mentre per le classi svantaggiate lascuola è l’unico strumento di accesso alla cultura, i ceti abbienti dispongono oltreche della scuola di tutto un complesso di esperienze diverse e ricche e di incita- 24 menti diffusi, assai più stimolanti nel suscitare adesione delle prediche sull’impor-tanza della cultura.in conclusione, il dono “naturale” non è altro che il frutto dell’educazioneimpartita nelle famiglie di livello socio-culturale elevato.Gli studenti si differen-ziano tra loro non in maniera casuale, ma in quanto aderiscono a sistemi culturalidiversi che ereditano dalla classe di origine, che li condizionano in tutte le attivitàscolastiche e che non devono essere avvertiti in maniera consapevole affinché gliinteressati ne adottino gli schemi di comportamento. la formazione scolasticapresuppone un patrimonio di nozioni, di atteggiamenti e di linguaggio che è pro-prio della élite colta: gli studi secondari liceali partono dalla supposizione impli-cita che l’individuo possegga tutto un complesso di esperienze culturali e trasmet-tono conseguentemente delle interpretazioni di secondo grado. in tale contesto di-viene palese che gli allievi di origine sociale inferiore si vengono a trovare in unacondizione di svantaggio in quanto per loro l’apprendimento precede l’esperienzadiretta. Pertanto, non è possibile garantire a tutti le medesime possibilità di ac-cesso all’università limitandosi ad egualizzare i mezzi finanziari: infatti, i mecca-nismi legati all’origine sociale continuerebbero ad operare, eliminando i menoabbienti con la stessa efficacia e con una parvenza maggiore di giustizia perché ladiversa riuscita scolastica sarebbe in questo caso attribuibile alla sola differenzadi doti naturali.Passando, poi, a una valutazione complessiva delle argomentazioni addotte, bi-sogna riconoscere a Bourdieu e Passeron il merito di aver individuato, al di là dellacopertura ideologica, i meccanismi che determinano l’eliminazione dal sistemascolastico degli allievi dei ceti più svantaggiati: da una parte la diversa eredità cul-turale che ciascun giovane riceve dalla sua famiglia; dall’altra, la falsa neutralitàdella scuola che trattando formalmente tutti gli allievi come eguali perpetua le dise-guaglianze sociali, senza dover ricorrere a un’aperta discriminazione in favoredelle classi dominanti. Non mancano al tempo stesso dei limiti nelle loro analisiche, però, non intaccano la sostanza delle tesi difese. Nel corso dell’esposizione gliautori sembrano dimenticare quanto teoricamente avevano ammesso che, cioè,nelle nostre attitudini è presente dell’innato in forme non trascurabili, né d’altrondesembrano lasciar spazio alcuno alla libertà individuale accanto ai condizionamentisociali. Si ha inoltre l’impressione che tranne il sociologo, o meglio, tranne Bour-dieu e Passeron, tutti siano vittime consenzienti dell’ideologia dei doni: gli inse-gnanti aderiscono all’ideologia carismatica per la provenienza sociale e poichél’immagine che essi hanno della professione docente e la loro vanità li convinconoa considerare come doni naturali competenze che essi hanno acquisito attraverso unimpegno più o meno laborioso; i ceti svantaggiati non sembrano capaci di contrap-porre una diversa spiegazione della riuscita scolastica, accettano la giustificazionecorrente che favorisce gli strati elevati e considerano il loro insuccesso come il pro-dotto di inferiori capacità naturali. Probabilmente, però, la carenza più grave – masu questo punto ritorneremo in seguito più ampiamente – è il trattamento che Bour- 25 dieu e Passeron riservano all’influsso delle disparità economiche: è assente una ve-rifica diretta della loro incidenza e ci si limita a considerarle come una specie di re-siduo. 1.3.3. La scuola come agenzia di riproduzione socialeCon “la Riproduzione” (1972) Bourdieu e Passeron compiono un salto quali-tativo in quanto non limitano la loro attenzione a un settore della sociologia dell’i-struzione e della formazione, anche se particolarmente rilevante, come il rapportotra sistema d’insegnamento e stratificazione sociale, ma pongono le basi di unateoria sociologica della scuola (Malizia, 1978a; Snyders, 1976; Benadusi, 1984;Besozzi, 2006; Fischer, 2007). il punto di partenza è costituito dall’assunzionedella relazione educativa come rapporto di comunicazione di cui si cerca di misu-rare il rendimento, cioè di cogliere le ragioni sociali e scolastiche del suo successoo insuccesso. Tra il 1961-62 e il 1965-66 si è assistito in Francia a una crescita deitassi di scolarizzazione delle varie classi. il pubblico dell’università non è più for-mato per la gran parte da studenti muniti del capitale linguistico e culturale che ilsistema presupponeva, senza mai richiederlo espressamente e senza mai insegnarlo.quindi, sul piano della comunicazione pedagogica ci si sarebbe aspettato un abbas-samento del livello di emissione che si adeguasse al nuovo inferiore grado di rece-zione. Al contrario, anche i docenti giovani, reclutati massicciamente e in fretta perfar fronte all’esplosione scolastica, hanno finito per assumere la relazione tra-dizionale con il linguaggio. Sorge allora il problema di individuare le condizionisociali che assicurano il perpetuarsi del rapporto pedagogico, nonostante l’abbas-sarsi a livelli minimi del suo rendimento informativo – un fenomeno che non si ve-rificherebbe se la relazione educativa consistesse semplicemente in un rapporto dicomunicazione.l’istituzione scuola circonda il linguaggio magisteriale di un’autorità statu-taria che impedisce l’emergere di qualsiasi interrogativo sul rendimento del rap-porto pedagogico. Fonte di tale autorità è in primo luogo la situazione in cui sicompie la relazione educativa, cioè l’insieme di norme sociali che determinano icodici, i trasmettitori, i ricevitori e i modi di trasmissione, onde ne segue che l’in-tervento pedagogico si presenta come un’azione rivolta a insegnare una cultura le-gittima; in secondo luogo, è l’uso professorale del discorso professorale, l’utilizza-zione del linguaggio come strumento di incantamento, il ricorso alla retorica disser-tativa con il gioco delle allusioni e delle ellissi, che rappresenta il mezzo più effi-cace per incutere rispetto in quanto non sembra mutuare il suo prestigio dall’istitu-zione, ma appare come una dote della persona, mentre in realtà è parte integrantedella relazione e della situazione autoritaria in cui l’azione educativa si inscrive. inqueste condizioni non è possibile migliorare il rendimento della comunicazione pe-dagogica perché i soggetti della relazione si negano i mezzi per verificarne l’utilità.i docenti non possono che difendere l’istituzione che li ha coronati e pertanto evi-tano di indagare sui contenuti e sui metodi di insegnamento; d’altronde, se lo ten- 26 tassero, distruggerebbero la finzione che consente di insegnare al costo minimo edovrebbero adottare metodologie che li farebbero assomigliare a maestri elemen-tari. Gli studenti si guardano bene dal palesare le loro difficoltà per non rimanereesclusi dai vantaggi della scuola e ricorrono alle cortine fumogene della retoricadissertativa che, con il medesimo gioco di allusioni ed ellissi, riesce a dare al do-cente l’impressione di una sufficiente comprensione.le caratteristiche del rapporto pedagogico e della lingua professorale trovanola loro giustificazione ultima nella struttura di classe della società francese. lalingua universitaria è inegualmente lontana dalle lingue usate dai diversi ceti: taledistanza è minima per la parlata borghese e massima per la parlata volgare. in altreparole, il capitale linguistico scolasticamente redditizio è distribuito in modo dise-guale tra le varie classi: i codici dei differenti strati sono più o meno lontani dallanorma linguistica della scuola, come anche varia tra i ceti la distanza fra la padro-nanza pratica del linguaggio dovuta alla prima educazione di classe e la padronanzasimbolica richiesta dal sistema educativo. Siccome il rendimento del rapporto pe-dagogico dipende dalla competenza linguistica degli studenti, cioè dalla padro-nanza del codice della lingua scolastica e al limite universitaria, gli allievi deglistrati abbienti si trovano necessariamente avvantaggiati nell’apprendimento rispettoagli alunni delle classi più basse, onde si comprende il diverso successo secondol’origine sociale, anche se la correlazione è più o meno visibile ai differenti livelli enei diversi tipi di insegnamento.Bourdieu e Passeron precisano che in ultima istanza non sono tanto le caratte-ristiche intrinseche della lingua borghese o popolare a determinare il successo omeno dello studente, come affermerebbe Bernstein3 confondendo il prodotto (il lin-guaggio) con il produttore (rapporto con il linguaggio), quanto i diversi tipi di rap-porto con il linguaggio che si iscrivono a loro volta in atteggiamenti differenti neiconfronti del mondo. le qualità di astrazione, formalismo, intellettualismo, mode-razione eufemistica della parlata borghese esprimerebbero una determinata rela-zione socialmente costituita nei confronti della lingua, consistente nella natura-lezza, nella spigliatezza, nella distanza distinta, che è il riflesso delle maniere di es-sere proprie delle classi superiori. la concretezza, la tendenza a rimanere nel parti-colare, il sarcasmo, la volgarità della parlata popolare manifesterebbero una rela-zione con la lingua caratterizzata dall’espressività, cioè dall’incapacità di separarela denotazione oggettiva dalla connotazione soggettiva, di oggettivare, di prenderele distanze, che dipenderebbe dalle caratteristiche sociali dei ceti meno abbienti.Siccome il sistema di disposizioni verso la lingua borghese è più vicino al rapportocon il linguaggio scolastico che non la competenza linguistica popolare, gli studentidei ceti inferiori per ottenere successo devono abbandonare la loro cultura o rasse-gnarsi all’eliminazione. 3 Cfr. la sezione successiva n. 1.4. 27 Secondo Bourdieu e Passeron la selezione dei giovani delle classi svantaggiatenon avviene tanto ad opera degli esami, quanto per autoeliminazione o per elimina-zione differita. in tutti i Paesi si osserva che i tassi di diseguaglianza nelle opportu-nità scolastiche tra studenti di ceti diversi sono più elevati quando si faccia riferi-mento alle probabilità di passaggio a un livello superiore di studi (la percentuale diallievi di ogni classe sociale che accedono a un dato livello di studi, a riuscita ante-riore equivalente) che non se si prendono come indici le probabilità di successo inquel livello. A parità di riuscita, gli studenti dei ceti meno abbienti hanno probabi-lità più elevate di eliminarsi dalla scuola secondaria, rinunziando ad entrarvi, chenon di uscirne una volta iniziato il ciclo secondario, o di lasciare gli studi per insuc-cesso negli esami.i giovani che non si autoeliminano nell’accesso a uno stadio superiore di inse-gnamento tendono a iscriversi negli istituti o sezioni che offrono ai loro alunni mi-nori probabilità di passare al corso successivo di studi, cioè possibilità maggiori diessere vittime dell’eliminazione differita. Nell’insegnamento secondario non solocontinuano a operare in funzione selettiva il rapporto con la lingua o con la culturae la padronanza logica delle operazioni astratte, ma anche la struttura del sistemaeducativo che è organizzata secondo una gerarchia di istituti, di sezioni e di disci-pline la quale riflette e riproduce la stratificazione sociale. Dato che i diversi tipi diarticolazioni strutturali attraggono allievi di differenti classi sociali, in misura di-versa, secondo il loro successo scolastico anteriore e secondo il prestigio socialedell’istituto, sezione, o disciplina frequentati, gli studenti delle classi popolari si ri-trovano in proporzione maggiore nei programmi meno valutati, in delle specie dibinari morti che li escludono o quasi dall’insegnamento superiore. Dunque, la de-mocratizzazione dell’accesso alla scuola secondaria, se ha ridotto l’autoelimina-zione, non ha diminuito l’efficacia conservatrice della scuola, poiché la gerarchia diprestigio tra i vari tipi e indirizzi dell’insegnamento secondario permette di avviareverso sbocchi senza uscita, o quasi, sull’università gli studenti delle classi popolarie, conseguentemente, escluderli dall’istruzione superiore.Rimangono, tuttavia, da spiegare le ragioni per cui gli allievi dei ceti svantag-giati si autoeliminano o si avviano verso binari morti. Secondo Bourdieu e Pas-seron, le probabilità oggettive di riuscita scolastica della propria classe vengono in-teriorizzate sotto forma di speranze soggettive che, a loro volta, si trasformano incomportamenti oggettivi i quali contribuiscono a rafforzare le probabilità oggettive.la scelta degli studi da parte di un giovane non avviene in base a una valutazionedelle doti possedute, non è un processo libero e consapevole, ma si compie in ob-bedienza all’habitus di classe, cioè a un complesso di disposizioni inconsapevoli edurevoli che costituiscono l’interiorizzazione del destino oggettivo della propriacategoria. A ogni strato sociale corrisponde un sistema oggettivo di probabilità diriuscita negli studi universitari che può essere calcolato statisticamente. i singoligiovani, anche se ignorano questi dati, scelgono il loro destino scolastico in modotale da confermarli: l’ambiente sociale di provenienza mette a contatto con un certo 28 tipo di persone che hanno avuto determinate forme di successo o insuccesso neglistudi e tale valutazione diffusa induce in ciascuno l’idea della carriera scolastica oprofessionale conveniente e possibile. Una volta formatasi tale opinione, il giovanemetterà in essere delle pratiche corrispondenti con le quali confermerà ancora unavolta il destino oggettivo del suo ceto. Così un giovane delle classi popolari, sullabase dell’esperienza delle carriere dei suoi amici e parenti si convincerà che il liceonon è fatto per lui, per cui si determineranno al suo interno disposizioni come l’in-certezza, il timore e l’insicurezza che lo porteranno ad autoeliminarsi o all’elimina-zione differita; invece, un allievo dei ceti superiori, che ritiene normali gli studi li-ceali e l’università, li affronterà con un senso tale di sicurezza da garantirsi il suc-cesso.quale allora la funzione dell’esame? Anzitutto, attirando ogni attenzione sullacontrapposizione macroscopica tra promossi e bocciati, fa passare in secondo or-dine la relazione tra i candidati e il complesso molto più numeroso dei non candi-dati e impedisce l’emergere di interrogativi sui criteri nascosti della scelta dei can-didati. D’altra parte, le classi sociali autoeliminate senza esame non hanno di solitola forza di far valere nell’arena politica le loro istanze, diversamente dai ceti (stratipiccolo-borghesi, classi medie) i cui figli sono minacciati dalla selezione palese.inoltre, l’esame rimane un meccanismo privilegiato per consacrare le decisioni sco-lastiche e le gerarchie sociali, perché gli eliminati si convincono della giustezza delloro destino di subordinazione e gli eletti si persuadono del loro merito e del lorodiritto a dominare. in particolare, la relazione dell’esame alla struttura dei rapportidi classe si rivela nel peso che gli insegnanti danno, nelle loro valutazioni, a normeimplicite che ritraducono nella logica scolastica i valori delle classi superiori, percui gli alunni vengono a trovarsi tanto più svantaggiati quanto più questi valori siallontanano da quelli del proprio gruppo sociale.Se si vuole sintetizzare la teoria sociologica della scuola soggiacente alle ana-lisi prospettate sopra, si può dire che il ragionamento si snoda sempre intorno ai se-guenti capisaldi: riproduzione, legittimazione, autonomia relativa e habitus diclasse. la scuola riproduce le strutture sociali in quanto assicura la riuscita deglistudenti delle classi superiori e l’emarginazione degli allievi dei ceti popolari, adot-tando un sistema di valori modellato su quello degli strati privilegiati, un lin-guaggio vicino ai modi di parlare della borghesia, un’organizzazione degli esamiche costituisce un mezzo di selezione sociale camuffato e che, soprattutto, riesce anascondere l’eliminazione senza esame. il sistema di insegnamento non solo garan-tisce il mantenimento dei rapporti di classe, ma li legittima convincendo gli esclusiche il loro insuccesso va attribuito alle scarse capacità scolastiche dimostrate e agliinferiori doni naturali.Analogamente nei confronti della cultura dominante: la scuola la riproduce in-culcandola negli studenti e al tempo stesso la fa accettare come universalmentevera, cioè la legittima nascondendo le sue origini di classe dietro il mito dellascienza. Ogni cultura, infatti, è arbitraria perché la scelta dei significati che costi- 29 tuiscono la cultura di un gruppo o di una classe, non può essere dedotta da un prin-cipio universale. in questo senso “la Riproduzione” giunge alla relativizzazionecompleta della cultura, una posizione che è assente, invece, da “i Delfini” in cui sidistingue tra la cultura scientifica e le varie culture e si considera la prima come ilcriterio di verità delle altre.la scuola riesce a dissimulare i rapporti di forza che riproduce e l’arbitrarietàdei contenuti inculcati in quanto è dotata di autonomia relativa: autonomia relativae dipendenza dalla struttura di classe sono due aspetti complementari del sistemaeducativo, l’uno visibile e l’altro nascosto, ciascuno dei quali non può esisteresenza l’altro. Per giustificare tale assunto Bourdieu e Passeron presentano il caso-limite del conservatorismo pedagogico. questo, che si riscontra quando la culturache la scuola inculca tende a ridursi al rapporto con la cultura, cioè a mero forma-lismo, è il momento di massima autonomia apparente perché il sistema scolasticosembra ignorare qualsiasi domanda che non sia quella della propria riproduzione;contemporaneamente è anche il momento di massima dipendenza della scuola dallaclasse dominante che monopolizza le condizioni, di acquisizione del rapporto conla cultura. Perciò, il conservatorismo pedagogico è il sostegno maggiore del con-servatorismo sociale, perché sotto le apparenze di difendere l’autonomia di un’isti-tuzione e di un corpo particolare contribuisce efficacemente alla riproduzione e allalegittimazione della stratificazione sociale. la conclusione è che quanto più il si-stema scolastico si presenta indipendente, tanto più contribuisce al mantenimentodello status quo e tanto più con la sua autonomia riesce a nascondere la dipendenzadalla struttura di classe.Attraverso quali vie la scuola riesce a convincere gli utenti della sua indipen-denza? in primo luogo, proclamando la neutralità nei confronti dei credi religiosi,etici e politici e del potere reale, può far credere che essa sanzioni le qualità natu-rali degli allievi e i loro meriti scolastici. in secondo luogo, l’insegnamento è affi-dato a un corpo di specialisti a cui è riconosciuta l’autonomia docente per cui l’au-torità pedagogica appare come l’effetto di un carisma, di doti personali e non di unaimposizione istituzionale: d’altronde è sufficiente la corrispondenza tra l’ethosdelle varie categorie d’insegnanti e l’ethos della scuola a rendere i docenti stru-menti inconsapevoli della funzione di conservazione dell’ordine sociale. Esiste,poi, una ragione intrinseca al funzionamento della scuola: l’educazione esige un in-tervento prolungato nel tempo per creare negli individui schemi comuni di pen-siero, di percezione, di valutazione e di azione; ma la preparazione in serie di per-sone identicamente programmate richiede la formazione di agenti di programma-zione identicamente programmati; ne segue, da una parte, il conservatorismo dellascuola, perché un cambiamento nell’educazione implica tempi lunghi per prepararei nuovi agenti della programmazione trasformata, e dall’altra la sua autonomia,poiché essendo la scuola a formare e a selezionare i suoi agenti si trova nella con-dizione migliore per reinterpretare le norme esterne. quindi, gli avvenimenti eco-nomici, demografici, sociali o politici non esercitano una azione meccanica e di- 30 retta sul sistema educativo, ma la scuola possiede la capacità di ritradurre le do-mande esterne nella sua logica, secondo la struttura e le funzioni sue proprie, inmodo però da salvaguardare la funzionalità di fondo agli interessi della classe do-minante.il binomio autonomia relativa/dipendenza dalla struttura di classe viene utiliz-zato da Bourdieu e Passeron per dimostrare i limiti delle concezioni correnti sullascuola. l’interpretazione tecnocratica subordina totalmente il sistema educativo al-l’economia di cui assume una visione riduttiva, cioè il compito della scuola consi-sterebbe nel rispondere in modo ottimale per quantità e qualità e al minimo costo aibisogni del mercato di lavoro. Un certo marxismo sommario sostiene un rapportodel tutto strumentale fra scuola e classi dominanti, mentre il sistema educativo è ca-pace di reinterpretare le esigenze di classe secondo le caratteristiche sue proprie. lateoria del fenomeno burocratico di Crozier afferma che le caratteristiche del si-stema scolastico francese rispecchiano quelle della burocrazia le quali, a loro volta,dipendono dal carattere nazionale filtrato attraverso le esigenze delle moderne so-cietà industriali; la funzione della scuola consisterebbe nel controllo sociale, cioènel trasmettere e rafforzare gli elementi culturali propri del sistema burocratico.Tale teoria, a giudizio di Bourdieu e Passeron, non terrebbe conto dell’autonomiarelativa dei diversi sottosistemi della società e ignorerebbe le differenti funzionisvolte da ciascun sottosistema nei rapporti con le diverse classi sociali: attribuendoal sistema educativo nei suoi rapporti con la società una funzione indivisibile e in-differenziata, quella del controllo sociale, occulta la realtà di una scuola che, ser-vendo l’ordine sociale, finisce per servire gli interessi delle classi che si avvantag-giano dell’ordine sociale. quanto alle ideologie critiche di marca freudo-marxista,limitandosi queste a denunciare globalmente l’azione repressiva della società e leimposizioni inerenti a ogni socializzazione, ignorano l’autonomia relativa del si-stema scolastico e il modo differenziato con cui queste imposizioni gravano sullediverse classi sociali.Un’ultima tessera del mosaico della scuola delineato da Bourdieu e Passeron ècostituita dall’habitus di classe, condizione negli educandi per l’esercizio da partedell’istruzione del ruolo di riproduzione e di legittimazione dell’ordine sociale. Glihabitus, infatti, svolgono la funzione di mediazione fra la struttura dei rapporti diclasse e le pratiche di classe; nel caso della scuola le possibilità oggettive di riusci-re attribuite alle differenti classi (strutture oggettive) producono le predisposizionia riuscirvi (gli habitus di classe) che generano le pratiche corrispondenti e assicura-no il perpetuarsi della distribuzione oggettiva delle opportunità scolastiche secondole classi sociali: analogamente avviene per le disposizioni e le predisposizioni ne-gative che portano all’autoeliminazione o all’eliminazione differita. il sistema edu-cativo, a sua volta, fornendo la cultura che può essere acquisita solo da chi possiedel’habitus dominante, potrà dare l’illusione che l’efficacia differenziale del processodidattico dipenda unicamente dalle attitudini innate degli studenti, mentre essa nonfa che confermare e rafforzare predisposizioni costituite fuori della scuola. 31 Se per potere di violenza simbolica si intende qualsiasi potere che riesce a in-culcare dei significati come legittimi nascondendo i rapporti di forza su cui si fondatale potere, è chiaro che ogni azione pedagogica svolta dalla scuola è oggettiva-mente una violenza simbolica. infatti, essa fonda il suo inculcamento sul potere ar-bitrario che scaturisce dai rapporti di forza esistenti fra classi e gruppi di una deter-minata società e trasmette messaggi che corrispondono all’arbitrario culturale di ungruppo o classe. in breve, l’educazione scolastica è un sostituto particolarmente ef-ficace della violenza fisica perché crea una disposizione permanente a reagire inmaniera conforme all’arbitrario culturale dominante.Dato che “la Riproduzione” costituisce il vertice della teoria della scuola diBourdieu e Passeron – dopo non vi ritorneranno che per compiere approfondimentisettoriali o per inglobarla in sintesi ancor più comprensive – conviene soffermarsiun poco sulle loro formulazioni per tentare una valutazione critica (Malizia, 1978a;Prost, 1970; Snyders, 1976; Benadusi, 1984; Besozzi, 2006; Fischer, 2007). inco-minciamo con alcune osservazioni di metodo e di stile che potrebbero essere ripe-tute anche per le altre opere, ma che ne “la Riproduzione” esplodono per la primavolta in maniera macroscopica. Ha scritto un commentatore acuto in proposito: «Sei fatti provano la loro teoria, [Bourdieu e Passeron] li prendono per ciò che sono;altrimenti, è semplicemente che non li si sa interpretare; in realtà, essi [i fatti] vo-gliono dire il contrario di quanto sembrano dire» (Prost, 1970, p. 854). Tale utiliz-zazione disinvolta dei fatti dà al discorso dei due sociologi francesi un tono urtantedi infallibilità mai sfiorata dal dubbio. quanto allo stile, tutti i difetti che Bourdieue Passeron rimproverano agli uomini di cultura francesi si ritrovano nei loro libri,illustrati in maniera magistrale: la ricerca letteraria dell’effetto brillante, la disin-voltura dello stile, il discorso professorale che prova la sua eccellenza dal grado diincomprensione del pubblico, l’esoterismo del linguaggio che vuole difendersidalla contaminazione del volgo. in questo modo offrono una prova estremamenteconvincente della crisi degli intellettuali perché «la critica dei mandarini è la raffi-natezza ultima della cultura mandarinale» (Prost, 1970, p. 861).Passando poi alla sostanza delle tesi esposte, si può dire che sono vere ma par-ziali in quanto descrivono e spiegano gli aspetti negativi della scuola, ma dimenti-cano quanto di valido e di positivo è pur sempre presente in essa; si tratta di mezzeverità e in questo senso assai pericolose se non ne vengono indicati con precisionei limiti. indubbiamente, Bourdieu e Passeron hanno dato un contributo centrale allaconoscenza dei meccanismi di riproduzione della situazione di classe nella societàindustriale, dimostrando che la conservazione del sistema sociale esistente non di-pende solo dai rapporti tra le forze che si contendono il controllo dell’apparato eco-nomico, ma anche dalle strutture e dai contenuti propri del sistema educativo; lascuola/FP svolge senz’altro una funzione di riproduzione e di legittimazione dellastruttura di classe, ma questa funzione non esaurisce i compiti della struttura educa-tiva. È una conclusione che scaturisce proprio da una delle intuizioni fondamentalidi Bourdieu e Passeron, l’autonomia relativa della scuola/FP: una volta ammessa, 32 non la si può utilizzare soltanto per rendere conto del compito negativo di dissimu-lare la dipendenza dai rapporti di forza, ma bisogna accettarne tutte le conseguenzee cioè che esiste lo spazio per trasformazioni relative, per un apporto specifico, perun’azione propria dell’insegnamento che venga a modificare quanto essa contem-poraneamente riproduce. Certamente il sistema educativo non è in grado di cam-biare da solo e in modo radicale la società e i due sociologi francesi hanno fornitouna critica riuscita e valida dell’ottimismo pedagogico, della fede cieca nella capa-cità della scuola/FP di risolvere i problemi complessi e gravi delle società indu-striali; tuttavia, non si può negare che essa possa evolvere e far evolvere le strutturesociali.Bourdieu e Passeron, invece, negano la possibilità di cambiamenti relativi, dimiglioramenti parziali, con due gravi conseguenze: la dimensione storica perdeogni significato e non si riesce più a giustificare perché e come la realtà scolasticasi modifichi; la riforma della scuola diviene un’illusione, dato che lascia tutto comeprima, pur dando l’impressione di aver cambiato qualcosa. Al contrario tra l’immo-bilismo sterile dei due sociologi e il mito illuminista che la scuola/FP può tutto,l’autonomia relativa fonda la possibilità di un’azione innovatrice limitata, mareale e in ultima analisi vincente.Se si vuole passare a delle esemplificazioni più precise in relazione alle duefunzioni di riproduzione e di legittimazione che Bourdieu e Passeron riconosconoalla scuola, va anzitutto osservato che la diseguaglianza nella riuscita non è totale,che va gradualmente diminuendo e che nei limiti in cui viene superata è fonte di in-novazione non apparente, ma sostanziale: le persone mobili non sono tutte cooptatenelle classi superiori, ma possono divenire punto di forza di un disegno di rinnova-zione della società. quanto poi all’inculcamento della cultura dominante, anzituttoappare arbitraria la riduzione di quest’ultima a rapporto con la cultura, a unasomma di differenze infinitesimali nelle maniere di fare e di dire: la comprensionedel pensiero di Cartesio e il linguaggio ricco, sottile e coltivato dei ceti più elevatinon possono essere posti sul medesimo piano del modo di vestire, di gestire, di se-dere, della cosmetica e della mimica; la cultura delle classi dominanti non può es-sere dissolta nell’irrealtà. la verità è che Bourdieu e Passeron non sanno immagi-nare nessun’altra concezione della cultura se non quella che essi criticano. Se lacultura ha il solo scopo di creare una barriera tra le masse e l’élite, essa si riduceveramente al nulla; ma la cultura non va confusa con l’uso conservatore della cul-tura, essa, invece, può servire come mezzo di approfondimento personale e comearma di lotta sociale e in questo senso deve divenire patrimonio di tutto il popoloper cui la scuola che la diffonde, pur tra manipolazioni, riduzioni e con metodo-logie più o meno valide, non può essere tacciata di trasmettere soltanto contenuti il-lusori e mistificanti.la teoria della scuola di Bourdieu e Passeron sembra dare poca attenzione alledisparità economiche: infatti, gli ostacoli che le condizioni materiali di vita oppon-gono alla riuscita degli alunni delle categorie più basse, assumono nel loro modello 33 interpretativo una rilevanza trascurabile. in particolare, Boudon ha sostenuto che laspiegazione di tipo culturale di Bourdieu e Passeron rende ragione solo parzial-mente della differente riuscita degli studenti secondo la classe sociale (Boudon,1973; Schizzerotto e Barone, 2006). Ai livelli superiori di insegnamento, i giovanidei ceti popolari, pur scolasticamente superselezíonatí, continuano a essere oggettodi una selezione sociale, segno evidente dell’intervento di altri fattori accanto al ca-pitale culturale e all’ethos scolastico. Secondo Boudon, il sistema scolastico è ca-ratterizzato da una serie continua di decisioni circa il passaggio o meno agli stadisuccessivi. A parità di risultati scolastici, gli allievi dei ceti superiori hanno più pos-sibilità di proseguire gli studi per le seguenti tre ragioni: le risorse economiche per-mettono di risolvere con più facilità i problemi finanziari del prolungamento deglistudi; la mobilità discendente presenta maggiori probabilità rispetto all’ascen-dente – data la struttura piramidale della gerarchia sociale –, il 20% di giovani delleclassi superiori devono abbandonare le posizioni originarie affinché il 5% dei gio-vani delle classi popolari salgano nella scala sociale; di conseguenza, la retroces-sione è più temuta che l’ascesa sociale desiderata.Secondo Boudon, le riforme scolastiche non possono risolvere che mar-ginalmente il problema della selezione sociale nella scuola, mentre una di-minuzione anche limitata della diseguaglianza economica può provocare una inci-denza notevole. Come si vede, pure questa tesi finisce per eccedere nel senso op-posto in quanto ipotizza che la struttura professionale sia indipendente dal sistemaeducativo mentre è vero il contrario che, cioè, la scuola/FP non si limita ad attri-buire le posizioni professionali, ma incide sulla loro strutturazione: infatti, postoche la struttura professionale si diversifica notevolmente tra Nazioni del medesimolivello di sviluppo economico e sociale, bisogna ammettere che siano le caratteri-stiche dei sistemi di istruzione e di formazione a provocare le differenze. Allora, sipuò forse concludere che tra diseguaglianze di posizioni socio-economiche e dispa-rità scolastiche esiste un rapporto di circolarità, piuttosto che un influsso monocau-sale in un senso o nell’altro.È lo stesso Boudon a sollevare obiezioni contro la teoria dell’habitus di classe.Per spiegare come mai gli individui agiscano in maniera tale da porre i comporta-menti che il sistema attende da ciascuno, Bourdieu e Passeron avrebbero escogitatoun meccanismo di ripetizione che si interpone tra strutture oggettive e pratiche inmodo da assicurare la conformità delle seconde alle prime. Tuttavia, se la spiega-zione dei due sociologi può essere vera nel periodo breve e per certi livelli scola-stici, non riesce a giustificare le variazioni dei tassi di scolarizzazione nei tempilunghi, le diversità tra stadi formativi e le differenze nello spazio – un meccanismodi ripetizione, infatti, può rendere conto della continuità ma non del mutamento. 1.3.4. La teoria della praticaCon l’“Esquisse d’une theorie de la pratíque” (1972) Bourdíeu passa da unateoria di livello intermedio (la teoria sociologica del sistema scolastico) a una 34 teoria generale in quanto mira a elaborare “una scienza generale delle pratiche”(Malizia, 1978a; liénard e Servais, 1974; Benadusi, 1981; Besozzi, 2006; Fischer,2007). lo scopo dell’opera è di superare le divisioni tra sociologia ed etnologia,sottrarsi all’alternativa tra obiettivismo e soggettivismo, tra empirismo e teoreti-cismo, tra meccanicismo e finalismo e collegare in una sintesi la critica epistemolo-gica, la costruzione teorica e la ricerca empirica. in questa sede ci limiteremo aesporre solo quanto costituisce risposta agli interrogativi emersi nel paragrafo pre-cedente e interessa l’evoluzione della sociologia dell’educazione.i modi di conoscenza della società che vengono utilizzati dagli studiosi discienze sociali sarebbero fondamentalmente due, il fenomenologico e l’obiettivo:entrambi a parere di Bourdieu presentano serie carenze. il primo è interessato soloalla comprensione dell’esperienza quotidiana e trascura di indagare sulle condi-zioni di possibilità del vissuto, soprattutto sui fattori socio-economici a monte. ilmodo di conoscenza obiettivo, o meglio strutturalista, che intende costruire le rela-zioni obiettive che strutturano le pratiche e le rappresentazioni delle pratiche, difatto finisce con lo svalutare la pratica che viene ridotta a una specie di residuo inu-tile rispetto alle strutture, a una semplice esecuzione delle strutture, mentre modelli,sistemi e strutture esistono solo nella pratica degli agenti. Conseguenza logica ditale orientamento è la reificazione delle categorie concettuali che vengono consi-derate come realtà autonome fornite di efficacia sociale.Per Bourdieu, l’habitus di classe, di gruppo o individuale realizzerebbe unamediazione tra strutture e pratiche che rende possibile utilizzare le conquiste dellafenomenologia e dello strutturalismo senza cadere nelle loro unilateralità. Esso è«[...] il prodotto del lavoro di inculcazione e di appropriazione necessario affinchéquei prodotti della storia collettiva che sono le strutture obiettive (per esempio dellalingua, dell’economia, ecc.) giungano a riprodursi, sotto la forma di disposizionidurevoli, in tutti gli organismi (che si può, se si vuole, chiamare individui) durevol-mente sottomessi agli stessi condizionamenti, dunque situati nelle medesime condi-zioni materiali d’esistenza» (Bourdieu, 1972, p. 187). l’apprendimento dell’habitusavviene implicitamente, per familiarizzazione, nelle e per mezzo delle pratichestrutturate dai rapporti di classe: è il frutto della prima educazione, delle primeesperienze, connesse a un tipo di condizioni materiali di esistenza che fanno inte-riorizzare all’individuo sotto forma di atteggiamenti stabili le strutture fondamen-tali di una formazione sociale. indubbiamente, le esperienze successive esercitanouna loro incidenza, ma ciascuna di esse è condizionata dalle precedenti e ultima-mente dalla prima educazione. l’habitus, facendo accettare come vere e giuste lestrutture necessario-arbitrarie della cultura di classe, definisce i limiti delle cose dafare e non fare, da dire e non dire, da pensare o non pensare, come se fossero stabi-lite in norme universali e oggettive. inoltre, il sistema di disposizioni durevoli e tra-sferibili, strutture strutturate e strutturanti, che lo costituiscono, vengono messe inopera in modo pre-reflessivo, per cui creano l’illusione della scelta libera e consa-pevole, mentre l’agente di fatto, opera in forme oggettivamente determinate. l’ha- 35 bitus è anche il principio della continuità e della regolarità, in quanto ha radici nelpassato, si realizza nel presente e si proietta nell’avvenire attraverso pratiche con-formi ai suoi principi costitutivi, e contemporaneamente produce il cambiamentopoiché si riorganizza di continuo sulla base dei successi o insuccessi ottenuti;inoltre, dà unità alle pratiche che da esso procedono e al tempo stesso può svolgerefunzioni estremamente diverse sulla base di alcuni principi impliciti. in sintesi, puòessere definito come «un sistema di disposizioni durevoli e trasferibili che, inte-grando tutte le esperienze passate, funziona in ogni momento come una matrice dipercezioni, valutazioni e azioni, e rende possibile lo svolgimento di compiti infini-tamente differenziati grazie ai transferts analogici di schemi che permettono di ri-solvere problemi aventi la stessa forma e grazie alle correzioni incessanti dei risul-tati ottenuti, prodotte dialetticamente da tali risultati» (Bourdieu, 1972, pp. 178-179).Ancora una volta Bourdieu è riuscito a offrire una spiegazione persuasiva deimeccanismi di riproduzione e di integrazione sociale, ma non del mutamento, del-l’autonomia relativa e della diversità. l’habitus può rendere conto della concor-danza profonda nello spazio e nel tempo dei comportamenti dei membri di un me-desimo gruppo o di una stessa classe, poiché tutti provengono dall’interiorizza-zione delle stesse strutture oggettive. Al contrario, tale modello interpretativo nonconvince affatto quando si tratta di affrontare il problema del cambio. infatti, se-condo Bourdieu l’innovazione sociale sarebbe il prodotto della congiunzione tra unavvenimento oggettivo, per esempio una situazione rivoluzionaria, e certe disposi-zioni che consisterebbero nell’habitus rafforzato dalla presa di coscienza, intesacome «il possesso, diretto o mediato, di un discorso capace di assicurare la padro-nanza simbolica dei principi dominati praticamente dall’habitus di classe» (Bour-dieu, 1972, p. 185): rimane, però, da spiegare come mai la presa di coscienza nonavvenga in tutti i membri della classe, pur dotati dello stesso habitus, e in alcuniprima degli altri.le contraddizioni accennate sopra non pare siano state risolte nel successivoarticolo “Avenir de classe et causalité du probable” (Bourdieu, 1974; Malizia,1978b; liénard e Servais, 1974; Benadusi, 1981; Besozzi, 2006; Schizzerotto e Ba-rone, 2006; Fischer, 2007). È vero che l’adattamento immediato e perfetto dellapratica individuale alle esigenze dell’economia non si può spiegare con le astra-zioni della teoria economica, che si riferisce alle risposte razionali di un agente in-determinato e fungibile a delle opportunità medie; esso suppone, invece, un habitusrazionale frutto di una condizione particolare consistente nel possesso del capitaleeconomico, sociale e culturale necessario per individuare le possibilità di utilizzo,offerte di diritto a tutti, ma di fatto raggiungibili solo da chi detiene le opportune ri-sorse. lo prova la situazione dei sotto-proletari: l’alternanza tra sogno e rassegna-zione, la pratica senza economia né strategia, l’abbandono fatalista alla fecondità,le speranze millenariste, i desideri immaginari che caratterizzano i membri di talestrato dimostrano l’esistenza di uno stretto legame tra aspirazioni effettive, capaci 36 cioè di orientare il futuro, e potere reale di dominare l’avvenire. Un altro esempio,che permette a Bourdieu di meglio integrare la dimensione economica nella sua in-terpretazione della diseguaglianza delle opportunità educative, riguarda le strategiedi investimento scolastico: infatti, l’audacia delle scelte si rivela tanto maggiore,quanto più elevate sono le risorse, la sicurezza cioè di rifarsi in caso d’insuccesso. igiovani delle classi superiori si indirizzano con maggiore probabilità verso le car-riere più difficili e più prestigiose perché, oltre a controllare informazioni aggior-nate, dirette e precise, possiedono il capitale economico per studiare a lungo senzadanneggiare la famiglia e nel caso di una cattiva riuscita possono rifarsi con il capi-tale economico della famiglia se questa ne è ricca, mentre nelle famiglie dotate so-prattutto di capitale culturale e sociale troveranno i mezzi per entrare nelle carriere-rifugio della burocrazia.quindi, l’habitus di classe può essere anche definito come la propensione adagire conformemente alle esigenze dell’avvenire obiettivamente iscritto nelle posi-zioni occupate all’interno della distribuzione del capitale economico, culturale esociale e in questo senso è sufficiente a dar ragione delle pratiche di un individuoche sono pienamente corrispondenti al suo avvenire obiettivo, cioè dell’illusionedella finalità e del meccanismo autoregolato; esso, però, non offre più una spiega-zione adeguata quando si tratti ad esempio delle pratiche della frazione ascendentedella piccola borghesia che si diversificano dalle azioni che ci si aspetterebbe teo-ricamente se dipendessero soltanto dal patrimonio posseduto. il dire in questo casoche «[...] l’habitus non funziona più come un operatore pratico della causalità delprobabile, ma è orientato verso una sorta di punto immaginario sganciato dall’av-venire virtualmente iscritto nel presente sotto forma di strumento di appropriazionedel futuro attualmente posseduto» (Bourdieu, 1974, p. 29), è solo un’ulteriore di-mostrazione di disinvoltura dialettica.Bourdieu ha voluto con il suo concetto di habitus superare l’alternativa tra laposizione umanista, che attribuisce alla libertà individuale la spiegazione ultimadell’agire umano e la tesi meccanicistica, che pone nei condizionamenti esterni al-l’agente la causa del suo comportamento sociale. in realtà, anche l’interpretazionedel sociologo francese è una forma mascherata di meccanicismo, soltanto che ilmeccanismo non è fuori dell’individuo, ma nella sua azione; come ogni meccani-cismo, la teoria dell’habitus è riduttiva e non riesce a rendere ragione della ric-chezza delle pratiche degli attori sociali. 1.3.5. Per una pedagogia razionaleUn argomento su cui il pensiero di Bourdieu e Passeron ha subito una sicurainvoluzione è costituito dalle strategie politiche della democratizzazione (Malizia,1978a; Benadusi, 1981; Besozzi, 2006; Schizzerotto e Barone, 2006; Fischer,2007). Ne “i Delfini” (1971) essi la ritengono possibile; inoltre, poiché l’insuccessodegli alunni delle classi popolari dipende dallo svantaggio culturale iniziale e dallaneutralità della scuola che non forma in essi le predisposizioni necessarie per com- 37 prendere i messaggi trasmessi, è evidente che la democratizzazione consisterà nel«permettere al maggior numero possibile di persone di impadronirsi nel minortempo possibile, il più completamente e il più perfettamente possibile, del maggiornumero possibile di quelle attitudini che costituiscono in un dato momento la cul-tura scolastica» (ibidem, p. 123).A tale scopo Bourdieu e Passeron propongono l’adozione di una pedagogia ra-zionale che consiste in un supplemento di formazione e in un insegnamento meto-dico. A scuola vanno trasmessi le tecniche e il codice necessari per capire i conte-nuti dell’insegnamento, ivi impartiti, perché è l’unico luogo dove i meno abbientipossono apprenderli; diverso è il caso degli studenti di origine sociale elevata chenormalmente li acquisiscono a casa. Bisogna, poi, che nella scuola si accrescal’area dello studio metodico e sistematico a spese dell’apprendimento casuale, la-sciato al libero gioco delle capacità individuali, cioè dei privilegi di classe: compitodell’insegnante sarà di organizzare il processo didattico in modo da garantire l’ac-quisizione più rapida e completa delle tecniche del lavoro intellettuale.Bourdieu e Passeron mettono in guardia contro l’introduzione di sistemi di va-lutazione che teoricamente sembrerebbero assicurare un’eguaglianza sostanziale,ma che di fatto la contraddicono: si tratterebbe di selezionare gli individui mediantecompetizione per categorie (come nel pugilato), o in base alle differenze algebricheesistenti fra le attitudini socialmente condizionate e i risultati scolastici ottenuti(come nelle corse ad handicap). il secondo metodo di valutazione è stato adottatonelle democrazie socialiste mediante una politica di proletarizzazione degli studisuperiori, diretta a favorire sistematicamente il successo degli allievi della classepopolare: i risultati sono stati negativi perché le differenze sociali, non livellate daun’adeguata azione pedagogica, tendono a riapparire molto presto nella vita.Ne “la Riproduzione” (1972) Bourdieu e Passeron ripetono sostanzialmente lestesse definizioni di democratizzazione e di pedagogia razionale esposte ne “i Del-fini” (1971).Negano, però, la possibilità di una politica dell’educazione ispirata atali principi perché «la struttura dei rapporti di forza esclude che un’Azione Peda-gogica possa ricorrere a un lavoro Pedagogico contrario agli interessi delle classidominanti che le delegano la sua Autorità Pedagogica» (Bourdieu e Passeron,1972, p. 102).Nella sottosezione n. 1.3.3, discutendo il concetto di autonomia relativa, cisembra di aver indicato all’interno della teoria della scuola dei due studiosi francesile condizioni di possibilità di un’azione rinnovatrice, limitata, ma reale, del sistemaeducativo. Aggiungiamo qui alcune osservazioni nella medesima linea. l’insoddi-sfazione e la ribellione contro le carenze dell’insegnamento e contro i limiti alleaspirazioni scolastiche e professionali posti dal proprio ambiente sociale d’originesono alimentate dalla stessa scuola e da una parte dei docenti. la scolarizzazione dibase può far nascere il desiderio di un’istruzione più approfondita e prolungata, némancano insegnanti che sanno spronare gli alunni svantaggiati a non contentarsidel destino scolastico del proprio ceto. D’altra parte, le classi sociali non si trovano 38 in una condizione di immutabilità e di stasi: esiste una protesta degli strati dominaticontro l’eliminazione scolastica dei propri figli, che è riuscita anche ad ottenere deicambiamenti del sistema educativo nei momenti in cui le categorie oppresse hannopotuto influire sul potere.la stessa democratizzazione quantitativa della scuola (cioè l’allargamento del-l’accesso all’istruzione e alla formazione dei giovani della classi sociali basse, a cuiperò non si accompagnano percentuali corrispondenti di successi) non è un feno-meno da sottovalutare, ma contiene delle potenzialità capaci di intaccare le condi-zioni di riproduzione dell’habitus di classe. il crollo del valore economico dei di-plomi scolastici rende difficile l’integrazione nel sistema dei superdotati di originemodesta e mette in crisi l’accettazione dell’ideologia dei doni da parte dei ceti po-polari. l’esplosione scolastica accresce a dismisura l’incomunicabilità nella scuolatra insegnanti e alunni, in gran parte privi delle disposizioni necessarie per capire icontenuti trasmessi, e sottolinea con evidenza gli aspetti arbitrari della cultura do-minante. Aumenta il disagio dei ceti medi condannati a occupare indefinitamente igradini intermedi delle gerarchie burocratiche, nonostante i superiori titoli distudio, e i lavoratori manuali, che hanno trascorso a scuola un periodo più lungodei loro padri, si rifiutano di rinunciare alla mobilità verticale e accettano con mag-giore difficoltà la parcellizzazione del lavoro in fabbrica. In conclusione, l’ispirazione di fondo dei due studiosi francesi è weberiana,durkheimiana, strutturalista e neo-marxista; tuttavia, non manca nelle loro opere lasensibilità per le conquiste della fenomenologia e dell’interazionismo. la prospet-tiva, soprattutto iniziale, è macrosociologica: la questione che li affascina è il rap-porto tra sistema educativo e mobilità sociale, che porta i due sociologi a scoprirele funzioni di riproduzione e di legittimazione e l’autonomia relativa della scuola.D’altra parte, essi rivelano una preoccupazione continua per il livello microso-ciologico: l’influsso dell’origine sociale viene scomposto nei suoi elementi, condi-zioni di vita, carriera, atteggiamenti nei confronti della scuola, cultura libera; ne“la Riproduzione” (1972) viene esaminata l’interazione docente-studente, i conte-nuti della comunicazione pedagogica, gli esami nelle loro caratteristiche interne enon solo nella relazione con la struttura di classe.Negli scritti più recenti la ricerca di una sintesi tra opposte scuole (fenomeno-logica e obiettivista) e l’attenzione per i problemi al microlivello divengono ancorapiù evidenti: è sufficiente pensare alla analisi dell’habitus e delle strategie di ripro-duzione attraverso le quali gli agenti operano per la conservazione e la crescita delpatrimonio individuale e dello status del gruppo nella gerarchia sociale. Va ag-giunto che Bourdíeu e Passeron non hanno assunto le categorie pedagogiche cor-renti come un punto di partenza non sottoponibile a critica. quanto alle metodo-logie usate, essi hanno saputo combinare l’approccio quantitativo e qualitativo.Probabilmente i limiti già segnalati della loro opera – soprattutto l’incapacitàdi spiegare il cambio sociale, la negazione della possibilità della riforma della 39 scuola, l’ultrarelativismo culturale – rendono la loro proposta non sempre moltopopolare. A chi, invece, non si ferma alle carenze e non si lascia invischiare dalloro negativismo, ma sa intravedere le potenzialità positive insite nella loro opera esfruttarle, Bourdieu e Passeron possono offrire strumenti molto fecondi di lavoro. 1.4. Basil Bernstein e la nuova sociologia dell’educazione Anche nel caso di Basil Bernstein non è possibile collocarlo in un solo ap-proccio teorico, ma la sua riflessione sociologica passa attraverso una evoluzioneche va dal funzionalismo al neo-marxismo (Bernstein, 1974, 1975, 1977, 2000; Ka-rabel e Halsey, 1977; Benadusi, 1984; Morgagni e Russo, 1997; Sadovnik, 2002;Antikainen e Torres, 2003; Jerez Mir, 2003; Besozzi, 2006; Schizzerotto e Barone,2006; Fischer, 2007; Ballantine e Hammack, 2009; Frandji e Vitale, 2010). Sullasua parabola di studioso un influsso notevole hanno esercitato Durkheim, Weber eMarx. Al tempo stesso, gli studiosi della “nuova sociologia dell’educazione” loconsiderano come il loro ispiratore, anche se Bernstein non si è mai riconosciuto intale scuola sociologica. Una caratteristica fondamentale della sua sociologia dell’i-struzione e della formazione è la rilevanza data agli aspetti microstrutturali.Articolerò l’esposizione del suo pensiero, basandomi sulle sue teorie dei codici(linguistici, educativi, visibili/invisibili e produttivi). Essi, infatti, rispecchianoanche l’evoluzione della sua adesione ai diversi approcci di studio. 1.4.1. I codici linguisticiSecondo tale teoria (Bernstein, 1973, 1974, 2000; Karabel e Halsey, 1977; Be-nadusi, 1984; Morgagni e Russo, 1997; Jerez Mir, 2003; Besozzi, 2006; Fischer,2007; Frandji e Vitale, 2010), il linguaggio costituisce lo strumento principale attra-verso il quale l’ambiente socio-culturale condiziona lo sviluppo dell’individuo. leclassi medie e basse sarebbero caratterizzate da due codici diversi, cioè da due dif-ferenti modelli di trasmissione della struttura profonda della propria cultura, o sub-cultura: il codice elaborato e quello ristretto. il primo è relativamente indipendenteda un determinato contesto, comunica significati universali e spesso utilizza varia-zioni linguistiche complesse; il secondo è più legato a una determinata situazione,trasmette significati particolaristici e usa raramente varianti articolate del discorso.Tuttavia, il fatto di servirsi di un codice ristretto non significa che il bambino sialinguisticamente svantaggiato.Nel portare avanti il processo di socializzazione molte madri delle classi medieattribuiscono una netta priorità all’aspetto della comunicazione su quello espres-sivo, in quanto tendono a trasmettere ai loro figli le regole di comportamento e leragioni che le giustificano; così, non solo i bambini apprendono, per esempio, afare o a non fare un determinato atto, ma anche imparano certi principi generali e imotivi che li legittimano. Al contrario, le madri appartenenti ai ceti bassi danno 40 maggiore importanza al simbolismo espressivo e non relazionano un certo atto alleragioni generali che lo avvalorano, di modo che i loro figli sono orientati verso si-gnificati particolaristici, dipendenti cioè da un determinato contesto.Per Bernstein compito della scuola è di trasmettere e sviluppare ordini univer-sali di significati; di fronte a tale ruolo gli allievi delle classi medie o inferiori sitrovano in una condizione diversa, i primi già sensibilizzati al sistema di simbolidella scuola, i secondi meno preparati. questa situazione però non fa difficoltàperché non c’è nulla nel codice ristretto, o nel dialetto, o nella esperienza socialedei bambini di estrazione sociale più bassa, che impedisca loro di interiorizzare eapprendere l’uso di significati universali; è sufficiente che la scuola crei dei con-testi educativi i quali, per il legame con l’ambiente familiare e la comunità degli al-lievi, sappiano stimolare la curiosità e il desiderio di conoscere. invece la scuola,oltre ai significati universali, comunica esplicitamente o implicitamente valori euna moralità propri di una classe diversa da quella del bambino di estrazione so-ciale inferiore che, di conseguenza, si viene a trovare a scuola in una situazione digrande svantaggio, essendo immerso in un sistema che è completamente estraneoalla vita di ogni giorno. È chiaro allora che non è il bambino o la sua famiglia a es-sere privo di una buona cultura, ma è la scuola che ha fallito, poiché non offre sindall’inizio un soddisfacente ambiente educativo.indubbiamente la critica serrata che Bernstein ha svolto della teoria della de-privazione culturale presenta il grande merito di aver ristabilito l’equilibrio nelleresponsabilità dell’insuccesso degli alunni dei ceti bassi. inoltre egli è riuscito adattirare l’attenzione dei sociologi sull’importanza dei fattori microstrutturali. 1.4.2. I codici educativiCome ho appena anticipato, nella sua evoluzione la sociologia ha trascurato gliaspetti micro della scuola come gli obiettivi, i contenuti e i metodi; una delle rareeccezioni in questo senso è rappresentata dalla teoria dei codici educativi di Bern-stein (1974, 2000; Karabel e Halsey, 1977; Benadusi, 1984; Morgagni e Russo,1997; Jerez Mir, 2003; Besozzi, 2006; Fischer, 2007; Frandji e Vitale, 2010).questi spiegano i criteri che spiegano: il curricolo (ciò che è considerato come sa-pere valido da insegnare), la pedagogia (ciò che è ritenuto come modalità valida ditrasmissione delle conoscenze) e la valutazione (ciò che è stimato come valido ap-prendimento).la loro tipologia fondamentale si basa su due parametri principali: la “classifi-cazione” che fa riferimento al grado di distinzione tra i contenuti; la “struttura-zione” che indica il livello di controllo che gli insegnanti e gli studenti possiedononei confronti della selezione, dell’organizzazione, del ritmo e dei tempi della tra-smissione e dell’apprendimento del sapere. in relazione al primo criterio (cioè a se-conda che la classificazione sia forte o debole) si distinguono due tipi di curricoli:uno a collezione nel quale i contenuti si trovano in una situazione di reciproco iso-lamento e sono tra loro nettamente separati e gerarchizzati per cui l’allievo al fine 41 di ottenere una valutazione positiva deve “collezionare” una serie di contenuti;l’altro integrato nel quale i contenuti sono in una relazione aperta e presentanoconfini flessibili e rapporti su un piede di parità. Ambedue a loro volta possono es-sere a strutturazione forte o debole in base al grado del potere (poco o molto) deidocenti e degli studenti sul curricolo.la tesi fondamentale di Bernstein è che la distribuzione del potere e i principidel controllo esistenti in una società condizionano i modi con cui il sistema scola-stico seleziona, trasmette e valuta il sapere scolastico e tali modi contribuisconoalla perpetuazione dei primi. i curricoli non solo vengono elaborati sulla base dicriteri filosofici, teologici, pedagogici, didattici, psicologici e organizzativi, ma ri-flettono anche la struttura del sistema sociale. Egli fornisce una prima esemplifica-zione della sua tesi con riferimento ai programmi scolastici e formativi del nostrocontinente.il codice europeo tradizionale sarebbe a collezione, cioè presenterebbe unaclassificazione e strutturazione forti.quale l’impatto sul piano sociologico del codice a collezione europeo sul pro-cesso di insegnamento-apprendimento? Esso implicherebbe tra l’altro:1) l’assunzione da parte degli allievi di un senso di appartenenza a una determi-nata area disciplinare, di una precisa identità scolastica attraverso la rigida di-stinzione delle materie, la scelta obbligata di percorsi differenziati e la specia-lizzazione;2) la socializzazione a un concetto di sapere come proprietà privata;3) la focalizzazione sull’individuo piuttosto che sul gruppo in quanto gli alunnistudiano come tante monadi isolate;4) la trasmissione dei principi che creano nuovo sapere solo nelle ultime tappedella carriera scolastica a una élite di studenti a causa dell’organizzazione ge-rarchica delle materie;5) uno scarso potere dell’insegnante e dell’allievo sul curricolo a motivo dell’im-portanza delle discipline;6) una separazione netta tra sapere scolastico e conoscenze della vita ordinaria.Venendo poi all’incidenza sull’organizzazione della scuola, il codice a colle-zione significa anzitutto una struttura gerarchica del potere tra il personale, soprat-tutto tra dirigenti e insegnanti. in secondo luogo essa fa riferimento a relazioni dinatura verticale, autoritaria tra i docenti e gli allievi. inoltre, l’amministrazione sicaratterizza per la poca trasparenza data la diversificazione ben marcata tra le cono-scenze insegnate a scuola e quelle della vita quotidiana.Un terzo impatto riguarda un problema tradizionale in sociologia, quello del-l’ordine. il codice a collezione assicura l’ordine interno dell’individuo attraverso laformazione di identità personali specifiche e l’ordine sociale mediante l’orga-nizzazione gerarchica e differenziata del curricolo, le modalità di esame esplicite eprevedibili e la struttura autoritaria dei rapporti nella scuola. il notevole isolamentodi ciascuna materia dalle altre favorisce la diversità tra le discipline quanto all’or- 42 ganizzazione, trasmissione e valutazione del sapere e, quindi, un considerevole plu-ralismo ideologico tra gli insegnanti. Viene, inoltre, facilitata la creazione di aree diprivatezza poiché la distinzione molto forte tra sapere scolastico e cultura della co-munità riduce gli aspetti della vita personale che sono penetrati dai processi di so-cializzazione.Da ultimo, va sottolineato che le caratteristiche del curricolo a collezione, so-prattutto quelle che riguardano il suo impatto sul processo di insegnamento-appren-dimento e quindi l’educazione dei giovani, riflettono e contribuiscono a produrrein un processo circolare le note distintive della società europea tradizionale deglianni ’50 e ’60. A riprova sarà sufficiente elencare queste ultime: la centralità dellaproprietà privata, la focalizzazione sull’individuo piuttosto che sulla comunità, lapriorità della gerarchia sull’eguaglianza, l’idea che l’ordine sociale è qualcosa didato che va accetto così com’è, un senso acuto della privatezza.Come si è detto sopra, il curricolo integrato si qualifica al contrario per unaclassificazione e strutturazione deboli. Fondamentalmente si possono distingueredue tipi: uno basato sull’insegnante che caratterizza il curricolo tradizionale dellascuola elementare e che prevede l’integrazione solo a livello di contenuti; un altrobasato sugli insegnanti che richiede l’integrazione e la collaborazione anche tra idocenti. questo secondo tipo a sua volta presenta due varietà nel senso che l’inte-grazione può avvenire entro una disciplina o fra discipline diverse.Un primo impatto del codice integrato sul processo di insegnamento-appren-dimento consiste nell’integrazione dei contenuti intorno a un principio comune percui tenderà a emergere una pedagogia e un sistema di valutazione comuni che im-plicheranno una diminuzione della discrezionalità dei docenti sul curricolo. il pro-cesso di istruzione e di formazione si muove dalla struttura profonda della materiaverso la superficie in quanto il principio comune a cui sono subordinati i contenutiorienta l’attenzione su asserzioni generali, cioè sulla struttura profonda della disci-plina: di conseguenza, fin dall’inizio della carriera scolastica sono trasmessi all’al-lievo i principi che creano nuovo sapere. in aggiunta, l’apprendimento è focalizzatomaggiormente sul lavoro di gruppo e sull’autoformazione e diminuisce la separa-zione tra le discipline e tra sapere scolastico ed esperienza dell’alunno.Sul piano organizzativo, la collaborazione nell’insegnamento favorisce il raf-forzamento dei rapporti orizzontali fra il personale e soprattutto tra dirigenti e do-centi. Ciò vale anche per le relazioni educative tra docenti e studenti che assumonouna natura cooperativa. Un’altra caratteristica è rappresentata dalla trasparenzanella docenza e nell’amministrazione.Dato che viene meno la focalizzazione sulla gerarchie e un ordine dato, comenel caso del codice a collezione, il codice integrato potrà contribuire a creare l’or-dine sociale solo se adempirà a quattro condizioni:1) esistenza di un consenso espresso sull’idea integratrice dei programmi;2) esplicitazione dei nessi fra l’idea integratrice e le discipline e sua interiorizza-zione da parte degli insegnanti e degli allievi; 43 3) organizzazione di un sistema di valutazione gestito comunitariamente dai do-centi e anche dagli studenti;4) elaborazione di una molteplicità di criteri di giudizio, in quanto le demarca-zioni meno nette consentono la considerazione di una gamma più vasta dicomportamenti dell’alunno.Anche in tale caso si riscontra la stessa circolarità tra caratteristiche del codicee sistema sociale europeo delle decadi ’70 e ’80. Da questo punto di vista basteràrichiamare il secondo gruppo di note: primato della comunità sull’individuo, prio-rità dell’eguaglianza sulla gerarchia, protagonismo dal basso degli attori sociali.Secondo Bernstein i sistemi europei di istruzione e di formazione, soprattutto alivello di secondaria superiore, hanno attraversato durante la seconda metà del se-colo scorso una fase di evoluzione dal codice tradizionale a collezione a quello in-tegrato. Tale passaggio sarebbe correlato con una serie di processi sociali quali:l’interdisciplinarità crescente in molti campi del sapere; la prevalenza di occupa-zioni che richiedono una professionalità polivalente; la domanda di eguaglianza edi democrazia; l’esigenza di significati unitari e di autodisciplina in una societàpluralistica che non si basa più su un ordine dato, cioè stabilito dall’esterno. in so-stanza Bernstein vede nel trapasso dal codice a collezione a quello integrato un ri-flesso del processo di democratizzazione delle società europee e un sostegno a taleprocesso: in altre parole in questa fase della sua riflessione egli crede ancora che lariforma della scuola/FP possa contribuire al progresso verso una maggiore libertà,eguaglianza e solidarietà in contemporanea e su un piede di parità con gli altri sot-tosistemi sociali.Venendo poi a una valutazione della teoria dei codici educativi, è stata anzi-tutto criticata l’impostazione troppo dicotomica e astratta, che trova con difficoltàuna verifica nella realtà sempre più complessa delle nostre società. in secondoluogo, disciplinarità e interdisciplinarità che caratterizzerebbero il passaggio tra idue codici non andrebbero pensate in contrapposizione, ma piuttosto si rinvianol’una all’altra. Sul lato positivo va sottolineato che Bernstein ha proposto conmolto successo un tema di analisi che era stato trascurato dalla letteratura sociolo-gica, quello cioè del curricolo, e lo ha fatto in termini originali e per molti aspettiefficaci. 1.4.3. Codici educativi e pedagogie visibili e invisibiliNella fase precedente dell’evoluzione del suo pensiero, Bernstein ritiene an-cora che i sistemi sociale ed educativo possano mutare contemporaneamente e chela riforma dell’istruzione e della formazione non debba attendere il previo muta-mento rivoluzionario da una società di classi ad una senza. l’accostamento decisoalle posizioni neo-marxiste e della riproduzione culturale si verifica, invece, conl’estensione dei codici educativi al passaggio sul piano metodologico da una peda-gogia visibile (tradizionale) a una invisibile (progressista) nella scuola elementare 44 (Bernstein, 1975, 1977, 2000; Karabel e Halsey, 1977; Benadusi, 1984; Halsey etalii, 1997; Jerez Mir, 2003; Frandji e Vitale, 2010).incomincio con il chiarire i due concetti. Nel primo caso, della pedagogia visi-bile cioè, i principi dell’azione educativa vengono resi espliciti e sono caratterizzatida un campo di applicazione più ristretto di attività e di abilità; il controllo dell’inse-gnante è esplicito, l’allievo ha pochi o nessun potere sulla scelta, organizzazione,ritmo e durata dell’attività; la valutazione presenta modalità precise e quantificabili.la pedagogia invisibile è contraddistinta, invece, da caratteristiche opposte.Più precisamente le principali sono le seguenti: la natura implicita dei principi del-l’azione educativa; l’ampiezza dell’ambito di riferimento che abbraccia tutta unaserie di nuove esperienze come per esempio il gioco; una maggiore autonomia del-l’allievo; una valutazione meno definita e più qualitativa.Secondo Bernstein esisterebbe un nesso stretto fra la pedagogia visibile e lanuova classe media che esercita il potere nell’ambito dei beni simbolici (profes-sioni culturali e del welfare state). in generale il ceto medio sarebbe lo strato so-ciale che più degli altri utilizza il sistema di istruzione e di formazione e lo con-trolla, per cui tutte le teorie pedagogiche sarebbero il prodotto dell’ideologia di taleclasse. in altre parole, le pedagogie visibile e invisibile costituirebbero la modalitàche al presente assumono le tensioni dentro i ceti medi e la classe media vecchia(proprietari di beni fisici, impiegati statali) e la nuova; si distinguerebbero per la ri-gidità, l’individualismo e la demarcazione netta delle occupazioni proprie dellaprima e la flessibilità, la collaborazione e l’ambiguità dei contorni dei lavori speci-fiche della seconda.la classe operaia non sarebbe, invece, in grado di utilizzare a proprio favorela pedagogia invisibile. A prima vista tale codice sembra attribuire all’interno dellascuola elementare una rilevanza maggiore alla cultura della famiglia e dell’am-biente di provenienza e questa attenzione al background degli allievi potrebbe faci-litare l’apprendimento degli alunni dei ceti popolari; di fatto, però, esiste uno scartonetto tra i criteri della pedagogia invisibile e i tratti distintivi dell’educazione nellefamiglie operaie, maggiormente orientate al controllo e più vicine pertanto alla pe-dagogia visibile, il cui codice era compreso facilmente dai genitori e dai bambinidella classe operaia. Un secondo svantaggio per questi ultimi emerge nel passaggiodalla primaria alla secondaria cioè da una pedagogia invisibile a una visibile di cuiessi non possiedono il codice linguistico elaborato mentre i loro coetanei dei cetimedi lo hanno già acquisito in famiglia.in terzo luogo, le classi superiori non hanno bisogno della scuola/FP per ripro-dursi. Se i loro figli falliscono nel sistema educativo, esse possiedono altre risorse,economiche, politiche e sociali, per assicurarsi la perpetuazione nei loro discen-denti delle loro posizioni di potere.la conclusione è che la riforma della scuola elementare con il passaggio dallapedagogia visibile a quella invisibile non è in grado di ridurre le diseguaglianze diopportunità educative che svantaggiano gli studenti dei ceti operai. l’unica classe a 45 ottenerne dei benefici è quella media che riesce non solo a riprodursi, ma anche amigliorare la propria condizione nella stratificazione del sistema sociale.i critici di Bernstein hanno anzitutto sottolineato la difficoltà che nasce dall’as-sunzione della logica della teoria della riproduzione per cui il passaggio alla peda-gogia invisibile, nonostante il progresso che segna sul piano educativo, non costi-tuirebbe una riforma capace di portare a una riduzione delle disparità e quindi a de-mocratizzare la società. inoltre, le ricerche empiriche mettono in risalto che la pe-dagogia invisibile non è un’ideologia della classe media, ma piuttosto degli inse-gnanti. È stato anche affermato che la relazione tra sistema scolastico e ceti medi èun’intuizione interessante, ma va ancora provata; in secondo luogo, la classe medianon può essere considerata semplicemente come un pilastro dello status quo capita-lista, ma potrebbe anche arrivare a delle convergenze con il mondo operaio, capacidi realizzare un cambio sostanziale del sistema sociale. 1.4.4. I codici produttiviEssi segnano la quarta fase dell’evoluzione della riflessione sociologica diBernstein, presentando la relazione scuola-lavoro nell’ottica della riproduzione(Bernstein, 1977, 2000; Karabel e Halsey, 1977; Benadusi, 1984; Halsey et alii,1997; Sadovnik, 2002; Antikainen e Torres, 2003; Jerez Mir, 2003; Frandji e Vitale,2010). in altre parole, essi sanciscono l’adesione piena alla teoria della riprodu-zione culturale e del neo-marxismo. il primo principio che regge ogni sistema edu-cativo nei confronti del mondo del lavoro afferma la funzione riproduttiva dellascuola. il codice (o modello) educativo dominante non può che corrispondere almodo dominante di produzione ed è ad esso subordinato. Di conseguenza, il primonon si può cambiare se prima non muta il codice produttivo dominante (il modellodelle relazioni di classe).in questo quadro, l’introduzione della dimensione del lavoro nel sistema diistruzione e di formazione eserciterebbe due tipi principali di funzioni. Anzitutto,prepara i giovani ad accettare l’organizzazione capitalista del mondo economico e ivalori che la contraddistinguono; in secondo luogo, fa da sostegno alla selezionescolastica in quanto attira gli studenti delle classi sociali inferiori verso sbocchiprofessionali di serie B.il secondo principio che impronta ogni sistema educativo afferma che lascuola/FP svolgerebbe anche una funzione conflittuale nei confronti del codice pro-duttivo senza, però, poterlo sovvertire. le manifestazioni più rilevanti di questoruolo possono essere identificate nelle seguenti: può verificarsi uno scarto tra lequalificazioni dell’istruzione e della formazione e la domanda del mercato di la-voro come nel caso in cui la preparazione offerta si presenta obsoleta in quanto su-perata dall’evoluzione socio-economica e culturale; inoltre, è possibile un divariotra codice educativo e produttivo, nel senso che il primo esalta l’eguaglianza e ilsecondo sottolinea la gerarchia; in terzo luogo, si potrebbe verificare un divario frale caratteristiche della personalità formate nella scuola/FP, per esempio, la promo- 46 zione del pensiero critico, e quelle richieste dal modo di produzione che, invece, èfocalizzato sull’obbedienza.Oltre alle valutazioni già offerte nelle singole fasi dell’evoluzione del pensierodi Bernstein, mi permetto di aggiungere qualche considerazione conclusiva di ca-rattere generale. Una novità interessante di questo studioso è costituita senz’altrodalla concezione del sistema di istruzione e di formazione come uno strumento diperpetuazione dei ceti medi, anche se si tratta di una intuizione. Molto più signifi-cativa è l’analisi veramente illuminante che egli dedica agli aspetti micro dellascuola/FP, anche perché praticamente ignorati dal funzionalismo e dal neo-mar-xismo e anche da gran parte della riflessione che si ispira alla teoria della riprodu-zione culturale. Permangono – e sono queste la carenze più gravi della sua rifles-sione – sia una concezione addestrativa della FPk, in contrasto con l’idea attual-mente prevalente di una offerta educativa capace di rispondere alle esigenze delpieno sviluppo della persona secondo un approccio specifico fondato sull’espe-rienza reale e sulla riflessione in ordine alla prassi, sia una visione pessimista dellariforma educativa che sarebbe voluta dai ceti medi per i loro interessi di classe, mache non comporterebbe un mutamento sostanziale della società capitalista e dellacondizione delle classi operaie; come anche risulta criticabile la sua accettazionedegli assunti del neo-marxismo e della riproduzione culturale. 1.4.5. La nuova sociologia dell’educazioneAgli inizi degli anni ’70 in Europa e, in particolare, in inghilterra incomincia aserpeggiare tra gli studiosi di sociologia dell’istruzione e della formazione un certodisagio nei confronti degli approcci teorici prevalenti, che non sembrano forniremodelli descrittivo-interpretativi adeguati per elaborare strategie capaci di realiz-zare una piena democratizzazione della scuola. le riforme di struttura, soprattutto alivello di secondaria, non avevano dato i risultati sperati perché non avevano messoin discussione i contenuti dell’insegnamento; pertanto si correva il pericolo che lanuova scuola comprensiva (un’unica scuola articolata in indirizzi che sostituiscetipi differenti e separati di secondaria) riproducesse le vecchie disparità sociali sullabase di mere diversificazioni interne al curricolo. Contemporaneamente si va deli-neando una scuola di pensiero che fa capo in particolare a un gruppo di docenti del-l’istituto di Educazione dell’Università di londra, la quale proclama la nascita diuna “nuova” sociologia dell’educazione (Flude e Ahier, 1974; Davies, 1976;Keddie, 1978; Young, 1980; Karabel e Halsey 1977; Benadusi, 1984; Fourquin,1997; Morgagni e Russo, 1997; Jerez Mir, 2003; Besozzi, 2006; Schizzerotto e Ba-rone, 2006; Fischer, 2007; Frandji e Vitale, 2010).A giudizio di questi studiosi, la “vecchia” sociologia dell’educazione sarebbeda identificarsi con il funzionalismo e le teorie conflittuali, utilizzerebbe il “para-digma normativo” e si servirebbe di categorie scientifiche di origine positivistica.Essa metterebbe l’accento sulle questioni macrostrutturali relative ai rapporti tra ilsistema educativo e gli altri sistemi sociali; aree fondamentali di indagine sareb- 47 bero costituite dalla selezione e dalla socializzazione. la metodologia di indaginesi caratterizzerebbe per gli studi empirici, quantitativi, su campioni numerosi, cheusano tecniche statistiche molto sofisticate. i “nuovi” sociologi rimproverano alla“vecchia” sociologia di aver accettato senza discutere le definizioni dei problemidate dagli educatori, mentre si trattava di categorie esse stesse bisognose di spiega-zione; inoltre, denunciano le sue tendenze deterministiche e meccanicistiche, latentazione di reificare i concetti, il pregiudizio che solo il quantitativo sia scienti-fico e che le relazioni non misurabili non siano reali.la “nuova” sociologia presenterebbe caratteristiche diverse. Anzitutto, si ispiraalla fenomenologia, all’interazionismo simbolico e all’etnometodologia. Concentrala sua attenzione sulle questioni che emergono al microlivello: i temi più importantida esaminare sarebbero l’interazione docente-alunno, le categorie usate dagli inse-gnanti e il curricolo, perché è lo stesso concetto di sapere pedagogico che è dive-nuto discutibile. Ne segue che la sociologia dell’educazione viene a identificarsicon la sociologia della conoscenza. Bisogna, perciò, procedere alla relativizzazionedelle categorie interpretative e degli assunti di base – orientamento senz’altro va-lido per far avanzare il sapere e scoprire le coperture ideologiche di certi rapporti diforza, ma che può giungere ai radicalismi sterili dell’ultrarelativismo per cui, setutta la conoscenza è relativa, non ha senso battersi per diminuire le disparità tra leclassi nella distribuzione del sapere perché non se ne può dare una dimostrazioneoggettiva. interessante è anche l’accentuazione dell’aspetto della creatività degli at-tori sociali nelle interazioni, anche se non va esagerata in quanto sono molti e pe-santi i condizionamenti sociali che gravano sull’“uomo creatore”. quanto ai metodid’investigazione, vengono preferite l’osservazione partecipante e l’osservazione di-retta senza partecipazione.la “nuova” sociologia ha esercitato una funzione di risveglio poiché ha messoin luce questioni teoriche cruciali, prima ignorate o trascurate, e ha indicato nuoviorientamenti di ricerca. Tra gli apporti più interessanti vanno ricordate la focalizza-zione sugli aspetti micro della scuola e la sottolineatura del protagonismo dellecomponenti della comunità educativa. inoltre, è anche vero che le materie, i pro-grammi, le stesse discipline non sono realtà ontologiche o degli apriori del pen-siero, ma costituiscono tra l’altro il risultato di una costruzione storico-sociale chenasce dai rapporti, anche di potere, tra i gruppi e le persone e che va studiata conun approccio sociologico.quanto alle criticità della “nuova” sociologia dell’educazione, in primo luogova sottolineato che i suoi sostenitori hanno accentuato la discontinuità con la “vec-chia”, mentre sembrerebbe possibile e auspicabile una integrazione feconda tra idue approcci. Una carenza grave consiste nell’iper-relativismo e nell’iper-politi-cismo nel senso che cultura, educazione e scienza non vengono definite altro checome il prodotto di elaborazioni sociali e politiche. Un limite ancora più serio èl’accoglimento crescente delle posizioni più discutibili della teoria della riprodu-zione che avviene per giunta entro un quadro teorico azionista, soggettivista e fidu- 48 cioso nelle potenzialità positive del protagonismo dalla basse degli attori a livellomicro come i dirigenti, gli insegnanti, gli studenti e i genitori; in altre parole, tentadi unire contro ogni logica una impostazione deterministica che postula l’assenzadi vera libertà, tipica delle teorie della riproduzione culturale, con un modello inter-pretativo di natura volontarista, più proprio di Parsons e del funzionalismo. 1.5. la teoria della riproduzione contraddittoria incomincio con una precisazione terminologica: in questo contesto, la parolacontraddizione va intesa in senso largo come opposizione, contrasto, effetti non vo-luti e non secondo il significato più ristretto di esclusione. l’esposizione che segueè organizzata in quattro articolazioni principali: si comincia con una presentazionegenerale della teoria; seguono tre sezioni ognuna dedicata a una teoria o a ungruppo di teorie che esemplificano gli assunti comuni. 1.5.1. Osservazioni generaliÈ stata elaborata dalla sociologia marxista per superare le carenze della teoriadella riproduzione, in particolare la sottovalutazione del ruolo della scuola/FP incontrasto con l’esperienza del movimento operaio che tradizionalmente aveva vistonella scuola/FP uno strumento di elevazione delle classi sociali basse (Offe, 1974;Bowles e Gintis, 1978, 1979, 1982; Willis, 1981; Karabel and Halsey, 1977; Bar-bagli, 1978ab; Benadusi, 1984; Capello, Dei e Rossi, 1982; Halsey et alii, 1997;Morgagni e Russo, 1997; Sadovnik, 2002; Antikainen e Torres, 2003; Jerez Mir,2003; Besozzi, 2006; Fischer, 2007; Ballantine e Spade, 2008; Ribolzi, 2012). Aquesto fine essa rivisita la teoria gramsciana dell’egemonia della classe dominanteche non sarebbe mai totalmente piena per cui anche nella società capitalista lascuola può svolgere una funzione di cambiamento e non solo di riproduzione;inoltre, rivaluta l’approccio classico marxista dell’importanza dell’economia.la teoria in esame ha operato due recuperi in senso positivo del ruolo dellascuola/FP e di quello dello Stato. Anzitutto, si tratta della loro funzione produttiva.la riproduzione culturale si caratterizza per una concezione strumentale dello Statoe della scuola/FP, intesi come pura riproduzione dell’ordine sociale: il primo assi-curerebbe le condizioni esterne per il funzionamento dell’economia, mentre la se-conda legittimerebbe la struttura e la cultura capitalista. Al contrario, secondo lateoria della riproduzione contraddittoria lo Stato è veramente imprenditore nel wel-fare state; inoltre, la scuola/FP dà supporto allo sviluppo mediante l’offerta di forzadi lavoro qualificata, sapere, know-how, e l’elevazione dei livelli di scolarizzazioneporta, anche se per via indiretta, alla democratizzazione dell’organizzazione lavoro(cfr. dopo la spiegazione della “over-education”).il secondo recupero riguarda la funzione culturale oggettiva della scuola. Se-condo la teoria della riproduzione culturale, la scuola/FP inculca nei ceti subalterni 49 la cultura dominante che sarebbe arbitraria. Al contrario, secondo la teoria della ri-produzione contraddittoria o della resistenza la cultura scolastica e formativa non ètutta cultura di classe e, inoltre, i giovani dei ceti operai non sempre sono allievidocili e sottomessi. 1.5.2. La funzione contro-funzionale della scuola/FPSecondo Offe, nella società capitalista si assisterebbe al potenziamento dellefunzioni extra-produttive o riproduttive della scuola (1974; Benadusi, 1984; JerezMir, 2003; Besozzi, 2006; Fischer, 2007; Ballantine e Spade, 2008). Più in partico-lare, si tratterebbe anzitutto dell’integrazione sociale che trasmetterebbe le disposi-zioni positive per far accettare il mondo del lavoro così com’è con tutte le sue ca-renze; in secondo luogo si fa riferimento alla funzione di legittimazione del sistemapolitico attraverso, tra l’altro, l’educazione civica; inoltre, va anche sottolineato chenella medesima direzione si muove la crescente sostituzione delle agenzie socialitradizionali in crisi (famiglia, Chiese…) con la scuola/FP.Tuttavia, il sistema di istruzione e di formazione non si limita al ruolo appenaprecisato, ma svolge anche funzioni produttive. infatti, esso da una parte rispondealla domanda tecnica di forza lavoro, fornendo conoscenze e competenze professio-nali, e dall’altra presenta una funzione nuova che tende a divenire prevalente: tra-smettere delle meta-capacità (capacità di raccogliere le informazioni rilevanti, orga-nizzarle, integrarle nella propria vita e renderle produttive di altre informazioni).Offe aggiunge anche un terzo ambito che riguarda il ruolo contro-funzionaledella scuola/FP. Esso comprende il caso della “over-education” o “sovra-educa-zione”, quando la presenza troppo abbondante di una forza lavoro con un livello diistruzione superiore a quello richiesto dal mercato provoca la disoccupazione gio-vanile. Tale situazione determina tensioni nei luoghi di studio e di lavoro e mili-tanza sindacale e politica perché coinvolge giovani più coscienti dei propri diritti epiù disponibili a difenderli; la conflittualità che ne deriva può convincere le autoritàa democratizzare ulteriormente le strutture sociali ed educative. Un altro caso èquello dell’acquisizione di meta-capacità che rende le persone meno disponibili adaccettare una struttura gerarchica e autoritaria quale sarebbe quella del modo diproduzione capitalista. 1.5.3. Bowles e Gintis: i principi di corrispondenza e di contraddizioneil punto di partenza della loro riflessione va ricercato in relazione all’insuc-cesso delle riforme scolastiche negli Stati Uniti (Bowles e Gintis, 1978, 1979,1982; Karabel and Halsey, 1977; Benadusi, 1984; Capello, Dei e Rossi, 1982;Halsey et alii, 1997; Morgagni e Russo, 1997; Sadovnik, 2002; Jerez Mir, 2003;Besozzi, 2006; Fischer, 2007; Ballantine e Spade, 2008). Gli obiettivi che il movi-mento progressista si era posto agli inizi del secolo XX riguardo all’istruzione ealla formazione erano i seguenti: realizzare l’eguaglianza delle opportunità educa- 50 tive; assicurare una formazione onnilaterale; educare alla partecipazione. Essi,però, ancora alla metà del secolo XX non si potevano considerare realizzati perchéle disparità permanevano, l’azione della scuola/FP era limitata allo sviluppo degliaspetti cognitivi e a livello socio-politico dominava la passività, piuttosto che ilprotagonismo dal basso.le ragioni di questa situazione andrebbero ricercate nel fatto che il sistema diistruzione e di formazione nel capitalismo tende a riprodurre la società, cioè cheesso costituisce uno strumento di corrispondenza, in quanto è funzionale all’orga-nizzazione totalitaria e diseguale dell’economia. Ne segue che la democratizza-zione dell’economia diventa una condizione della riforma educativa.Dopo questa prima affermazione, i due autori nord-americani continuano laloro riflessione sul ruolo della scuola/FP per concludere che esso non si esauriscecon il principio di corrispondenza, ma comprende anche quello di contraddizione.il motivo è che il sistema di istruzione e di formazione è funzionale pure agli idealidemocratici per cui la loro realizzazione diviene un obiettivo possibile e utile dellariforma educativa. A questo punto conviene ritornare sui due principi per offrirequalche ulteriore particolare.a. Il principio di corrispondenzal’ipotesi è che la legittimazione e la riproduzione della divisione gerarchicadel lavoro vengono assicurate dalla corrispondenza tra i rapporti sociali di produ-zione e i rapporti sociali nella scuola e nella famiglia. l’organizzazione economicacostituisce il motore principale dei dinamismi sociali sul piano strutturale, mentrela scuola/FP svolge un ruolo preponderante sul piano culturale. in altre parole ilfattore che determina le caratteristiche delle relazioni sociali nel mondo del lavoroè il modo di produzione, ma la loro accettazione dipende dalla socializzazione chesi compie nelle istituzioni scolastiche e formative e all’interno dei rapporti fami-liari. Comunque, la validità dell’ipotesi dipende dalla possibilità di dimostrare chela corrispondenza presupposta tra, da una parte, le relazioni nel sistema economicoe, dall’altra, quelle nella scuola e nella famiglia esista veramente: è quanto Bowlese Gintis hanno cercato di fare – a mio parere offrendo conferme molto parziali – eche si tenterà di descrivere qui di seguito.Per quanto riguarda la corrispondenza tra la scuola/FP e la fabbrica capitali-sta, i due sociologi nord-americani osservano che la prima sarebbe un’organizza-zione burocratica come la seconda perché si struttura sulla base di una gerarchia diautorità, presenta una stratificazione per capacità, età, sesso, e la motivazione allasua frequenza è fondata non sull’interesse allo studio, ma sulla ricerca di ricompen-se esterne, quali i titoli di studio, in linea con quanto accade nel lavoro che trova lasua giustificazione nello stipendio e non nel piacere che può derivare dall’eserciziodi una occupazione. Tuttavia, a queste argomentazioni sono state rivolte varie criti-che: la gerarchia nella scuola/FP è molto ridotta e il dirigente è più spesso un “pri-mus inter pares” rispetto ai docenti; la divisione degli allievi per sesso non viene ge-neralmente più praticata, la distribuzione per età è richiesta dalle dinamiche evolu- 51 tive dei giovani e le ricerche sui valori degli studenti non escludono le motivazionilegate al piacere dello studio (Malizia et alii, 2007; Donati e Bellesi, 2007).Un’altra prova sarebbe offerta dall’ipotesi che i tratti della personalità chepredirebbero il successo nella scuola/FP e nell’impresa sono gli stessi, ma tale as-sunto non può contare su evidenze empiriche adeguate. le caratteristiche generalidella personalità che assicurerebbero la riuscita nella scuola/FP e in fabbrica sareb-bero, secondo Bowles e Gintis, l’osservanza delle regole e la diligenza nel lavoro,l’interiorizzazione dei valori della società capitalista e la sensibilità alle ricompenseesterne. A loro volta i tratti che garantirerebbero il successo a scuola e in fabbricasecondo la posizione nella gerarchia scolastica/formativa o del lavoro si identifi-cherebbero nei seguenti: quanto al caso della collocazione sociale ai livelli piùbassi, essi andrebbero ricercati nell’obbedienza a cui preparerebbe la scuola del-l’obbligo; nel caso delle posizioni intermedie vengono segnalate la fidatezza e laprevedibilità a cui formerebbero gli istituti tecnici e la istruzione e formazione pro-fessionale; riguardo alla collocazione sociale elevata, giocherebbe un ruolo centralela capacità di autonomia esercitata in un quadro determinato di valori, a cui edu-cherebbero l’università e i corsi pre-universitari della secondaria superiore. le ipo-tesi sono certamente suggestive ma, come ho osservato sopra, le prove empiricherisultano modeste.Passando alla corrispondenza tra la famiglia e la fabbrica capitalista, Bowlese Gintis sostengono che la struttura del potere sarebbe fondata in ambedue le strut-ture sociali sul sesso e sull’età, per cui sarebbero sempre i maschi e gli anziani acomandare. in contrario è stato obiettato che la situazione sta cambiando rapida-mente e che soprattutto la parità di genere rappresenta una meta che appare ognivolta più vicina. i due sociologi nord-americani hanno portato a sostegno del loroassunto anche la diversità secondo la classe sociale dei valori e delle pratiche edu-cative nelle famiglie: quelle di status socio-economico basso educherebbero i lorofigli all’obbedienza, all’onestà, alla conformità e alla pulizia che sarebbero glistessi valori che assicurano il successo agli operai nella fabbrica; al contrario, le fa-miglie di condizione elevata insisterebbero sulla curiosità, sull’autocontrollo, sullafelicità e sull’autoeducazione che coinciderebbero con le doti che consentono difare carriera ai livelli medi e superiori nel mondo del lavoro capitalista.Alla fine di questa fase di riflessione, Bowles e Gintis si sono resi conto che ilprincipio di corrispondenza non era sufficiente per spiegare tutte le specificità delsistema di istruzione e di formazione nella società attuale. infatti, esso sottovalutale contraddizioni tra scuola/FP e modo di produzione capitalista, mentre lo svi-luppo della prima è in parte opposto alle dinamiche del secondo. in proposito, sa-rebbe sufficiente pensare ai casi in cui si registra uno scarto tra qualifiche formativee mondo del lavoro o tra i valori del sistema di istruzione e di formazione e diquello occupazionale o tra le caratteristiche della personalità che sono formate nelprimo e quelle che assicurano il successo nel secondo. la ragione di questa sotto-valutazione andrebbe ricercata nello schema marxista “struttura/sovrastruttura” per 52 cui non sarebbe possibile ammettere per principio che la scuola/FP (la sovrastrut-tura) possa entrare in una contraddizione sostanziale con il modo di produzioneeconomico (la struttura), contribuendo al suo cambiamento. Pertanto, Bowles eGintis hanno ritenuto opportuno aggiungere a quello di corrispondenza il principiodi contraddizione.b. Il principio di contraddizioneNella società attuale risultano presenti e operanti tre luoghi – o aree o sottosi-stemi – che svolgerebbero un ruolo centrale nelle dinamiche in atto. Uno è quellodella produzione capitalista che è contraddistinto fondamentalmente dalla proprietàprivata dei mezzi di produzione e dal libero mercato; un altro consiste nella fami-glia patriarcale, dominata dai rapporti di parentela e dalla prevalenza dei maschisulle donne; il terzo è costituito dallo Stato liberal-democratico che comprende nonsolo gli apparati burocratici, ma anche attribuisce notevole potere al popolo in baseai valori di eguaglianza e di partecipazione. Secondo i due sociologi, tra i luoghinon è possibile né la deduzione di uno dall’altro, né la riduzione dell’uno all’altro;soprattutto, nessuno è determinante in ultima istanza come pensa il neo-marxismo.Da ciò discende la tesi di Bowles e Gintis secondo la quale le contraddizionitra i luoghi fondano il protagonismo del sistema educativo e le sue potenzialità dicambiamento. in proposito si deve far riferimento ai due principi dinamici della de-limitazione strutturale e del trasporto delle pratiche da un luogo all’altro. inco-mincio con il primo: esso significa che al tempo stesso si può avere evoluzione inun luogo e riproduzione negli altri; un esempio al riguardo è offerto negli StatiUniti dall’introduzione dell’emancipazione politica delle donne e dei negri duranteil XiX secolo a cui, però, si è accompagnata finora una situazione di disparità delledonne e dei negri nell’impresa, anche se attualmente risulta molto ridotta e in fasedi graduale scomparsa. l’altro principio dinamico può essere esemplificato dalcaso proprio della gestione democratica della scuola/FP che sarebbe stata introdottaper effetto del trasferimento di pratiche partecipative dal mondo della politica al si-stema educativo di istruzione e di formazione.Entro tale quadro teorico non si può negare che la scuola/FP sia anche un prin-cipio di contraddizione. Essa, infatti, oltre che contribuire alla riproduzione delladivisione gerarchica del lavoro, appartiene al luogo “Stato liberal-democratico” edè influenzata dai valori di eguaglianza e di partecipazione che lo contraddistin-guono. Pertanto, la democratizzazione del sistema di istruzione e di formazione di-viene un obiettivo autonomo di riforma e riguarda:– anzitutto le relazioni sociali della scuola/FP e vuol dire una partecipazione piùampia degli insegnanti e dei genitori alla gestione e l’allargamento della possi-bilità di scelta degli allievi;– in secondo luogo i curricoli e richiede di evidenziare nei programmi le con-traddizioni tra democrazia e processi capitalistici di produzione e di sottoli-neare la priorità dei diritti della persona sui diritti di proprietà o di parentela. 53 1.5.4. La teoria della resistenzala riproduzione contraddittoria ha anche rivalutato la cultura scolastica nelsenso di riconoscere che questa non è tutta cultura di classe (Willis, 1981; Bena-dusi, 1984; Capello, Dei e Rossi, 1982; Halsey et alii, 1997; Morgagni e Russo,1997; Sadovnik, 2002; Besozzi, 2006; Fischer, 2007; Ballantine e Hammack,2009). infatti, l’elaborazione della cultura, benché sia caratterizzata da rapporti diproduzione, non è certamente ad essi riducibile; per esempio, la redazione di unlibro non si esaurisce nelle questioni economiche o pubblicitarie ad essa connesse.in pratica da sempre il sistema di istruzione e di formazione ha dato e dà sostegno anuove culture e a nuove aggregazioni sociali; in proposito è sufficiente citare ilcaso delle scuole cattoliche degli Stati Uniti che hanno sostenuto l’ascesa degliemigranti irlandesi e non solo. inoltre, la cultura scolastica comprende elementi chefuoriescono dai rapporti di classe; in altre parole ci sono contenuti, come la DivinaCommedia, la filosofia di Aristotele o l’arte di Michelangiolo che non si esauri-scono nella cultura dominante, ma hanno un nucleo veritativo che va insegnato atutti. Da ultimo, l’elaborazione della cultura va concepita come un processo di suc-cessive trasformazioni, piuttosto che come un deposito di pacchetti di informa-zioni; per esempio, nel passaggio dal libro di testo allo studente tramite l’inse-gnante si registra un processo di successive rielaborazioni.in senso stretto, la teoria della resistenza prende l’avvio dai risultati della ri-cerca di Willis sugli allievi di una scuola comprensiva progressista, situata in unazona industriale del Regno Unito (1981). Dall’indagine emerge che essi si articola-vano in due gruppi:– i “lads”, cioè i duri, i ribelli, i disobbedienti, che mostravano di condividereuna cultura anti-scolastica nel senso che rifiutavano i valori scolastici, pur pro-gressisti, come quelli di solidarietà, progresso, ed eguaglianza; respingevanogli ideali tipici di una istruzione e formazione avanzate, come per esempiol’importanza in sé dello studio; si sforzavano di conseguire il controllo infor-male dell’ambiente scolastico; condividevano valori contrari ai dominantiquali l’anti-intellettualismo, il lavoro manuale, la praticità, la virilità e la vio-lenza; manifestavano una forte solidarietà di gruppo; non si vergognavano deiloro insuccessi scolastici;– gli “ear’ roles”, cioè gli obbedienti, che, invece, rivelavano di aver interioriz-zato la cultura scolastica, avendone appreso i valori e i contenuti di conoscenzee di competenze per cui erano riusciti a percorrere con successo gli iter educa-tivi previsti.Cerchiamo ora di approfondire cosa questi risultati significano in relazione allafunzione riproduttiva della scuola. i “lads” si dimostrano capaci di scoprire l’incon-sistenza degli ideali scolastici: per esempio che non c’è eguaglianza per tutti attra-verso il sistema di istruzione e di formazione nel senso che un numero più o menogrande di giovani non ottengono titoli superiori, per cui, sulla base di questo svela- 54 mento degli inganni perpetrati dalla scuola/FP, i “lads” lasciano la scuola appenaterminato l’obbligo di istruzione; tuttavia, operando tali scelte, finiscono per ripro-durre l’ordine ingiusto esistente in quanto rimangono nella condizione dei loro ge-nitori. in altre parole, pur contribuendo a recuperare un ruolo attivo dei giovani deiceti operai per cui il loro comportamento mette in discussione la tesi della riprodu-zione culturale che la scuola/FP inculcherebbe negli studenti degli strati subalternila cultura dominante, essi realizzano con i loro atteggiamenti una contraddizione sì,che però è riproduttiva.A loro volta, gli “ear’ roles” riproducono la cultura dominante perché ne hannointeriorizzato i contenuti. Essi, però, non si fermano a questo traguardo, ma inten-dono anche realizzare i valori di tale cultura, incominciando dall’eguaglianza chepretendono sia attuata nei loro confronti e dei membri dei ceti subalterni; di conse-guenza, diventano potenzialmente pericolosi perché mettono in discussione la so-cietà capitalista. in altre parole, i loro atteggiamenti costituiscono una forma di ri-produzione sì, ma contraddittoria.Ci si è chiesto se la riproduzione che segue al comportamento dei “lads” siauna conseguenza necessaria dei meccanismi della società capitalista. Se fosse così,la riforma educativa sarebbe inutile nel senso che non li aiuterebbe a salire nellagerarchia sociale, ma li manterrebbe nella condizione dei loro padri. Altri – e a mioparere più correttamente – basandosi sulla lenta, ma sicura ascesa degli studentimeritevoli delle classi basse, parlano di una conseguenza accidentale e contingente,legata cioè alle carenze attuali delle politiche sociali. Se questo è vero, la riformadel sistema di istruzione e di formazione è possibile e può contribuire all’eleva-zione degli strati subalterni a condizione che la cultura operaia non si chiuda in sestessa, rifiutando di condividere gli ideali progressisti, come nel caso dei “lads”, eche i cambiamenti della scuola/FP siano veramente capaci anche sul piano opera-tivo di realizzare una reale mobilità sociale.in conclusione, non si può negare che la teoria in questione sia riuscita a supe-rare i limiti della riproduzione culturale. È invece più discutibile se sia stata capacedi offrire una visione equilibrata del ruolo e delle funzioni del sistema di istruzionee di formazione nelle società post-industriali. 1.6. il neo-weberianesimo Prima di scendere nei dettagli di questa scuola di riflessione sociologica, è op-portuno richiamarne in sintesi la concezione della società e della scuola (Weber,2003-2006 e 2006; Collins, 1980; Barbagli, 1978a e b; Benadusi, 1984; Capello,Dei e Rossi, 1982; Morgagni e Russo, 1997; Milanesi, 1997; Crespi, 2002; Sa-dovnik, 2002; Besozzi, 2006; Schizzerotto e Barone, 2006; Fischer, 2007; Ballan-tine e Spade, 2008; Poggi e Sciortino, 2008; Ballantine e Hammack, 2009; Ribolzi,2012). la prima si situa all’opposto di quella funzionalista e, infatti, il centro del-l’attenzione non è dato, come in quest’ultima, dal sistema sociale ma dal gruppo 55 e/o dall’organizzazione in relazione ad altri gruppi od organizzazioni. i processisono caratterizzati dalla lotta – e non dalla collaborazione come nel funziona-lismo – fra gli individui entro le organizzazioni o fra le organizzazioni per la realiz-zazione dei loro obiettivi. in tale situazione di conflitto come è possibile assicurarela sopravvivenza del sistema? l’integrazione sociale è garantita non dalla socializ-zazione ai valori comuni, ma nei gruppi dalla convergenza degli interessi e dallacultura comune e fra i gruppi dal dominio di un gruppo e la sottomissione deglialtri, resi possibili dalla presenza di un apparato coercitivo e dal principio di legitti-mità. in sostanza, i modi di aggregazione degli individui sarebbero tre: due nellasocietà, sulla base degli interessi economici o culturali, e sarebbero le classi e i ceti;uno in relazione allo Stato per l’azione dell’apparato di dominio e consisterebberonei partiti. il cambiamento non dipende dalla devianza, come nel funzionalismo,ma dal conflitto tra i gruppi e le organizzazioni per il perseguimento dei loro inte-ressi. la stratificazione sociale non è un meccanismo necessario per assicurare ilfunzionamento della società, non è richiesta dalle esigenze oggettive di quest’ul-tima, ma è il risultato dei rapporti di forza tra i gruppi.Per ragioni di chiarezza preciso subito quale è la concezione della scuola/FP.in sintesi, essa viene pensata come luogo-strumento di apprendimento e soprattuttodi lotta: per il potere, la ricchezza e lo status; per l’acquisizione di competenze tec-niche; per la trasmissione della cultura di ceto e per l’integrazione in un ceto e ilsuo prestigio; per la formazione della burocrazia e per il potere tra e dentro le orga-nizzazioni formali. Tuttavia, sulle funzioni del sistema di istruzione e di forma-zione tornerò più ampiamente in seguito nella seconda sezione; la prima sarà in-vece dedicata a una valutazione del funzionalismo, la terza a un approfondimentodi un aspetto della concezione neo-weberiana circa la scuola/FP, la teoria cioè delmercato culturale e la quarta sezione a un bilancio generale. 1.6.1. Analisi critica della teoria tecno-funzionalistaNegli Stati Uniti, come negli altri Paesi sviluppati, la scuola/FP ha assunto unaimportanza centrale dopo la seconda guerra mondiale (Collins, 1978a e 1980; Be-nadusi, 1984; Capello, Dei e Rossi, 1982; Morgagni e Russo, 1997; Milanesi,1997; Crespi, 2002; Sadovnik, 2002; Besozzi, 2006; Schizzerotto e Barone, 2006;Fischer, 2007; Ballantine e Spade, 2008; Ballantine e Hammack, 2009; Ribolzi,2012). Ciò risulta tra l’altro dai seguenti dati: l’istruzione e la formazione sono lacondizione previa per essere assunto in qualsiasi lavoro; esiste una correlazione po-sitiva tra la loro durata e il successo professionale; quest’ultimo è diverso secondoil prestigio della scuola/FP che si è frequentata. Al tempo stesso, però, non bisognadimenticare che lo status socio-economico influisce notevolmente sulla riuscitascolastica e formativa e nel mondo del lavoro, per cui la scuola/FP non si può con-siderare come l’unico fattore del successo delle persone.Secondo la teoria tecno-funzionalista l’enorme espansione dei sistemi di istru-zione e di formazione che si è verificata dopo la seconda guerra mondiale andrebbe 56 attribuita al ritmo incalzante del progresso tecnologico. infatti, la sua crescita com-porterebbe più lavori specializzati e questi a loro volta richiedono più competenzeper svolgere le varie occupazioni. Siccome è la scuola/FP che fornisce le compe-tenze come, tra l’altro, risulta dal fatto che i lavoratori più istruiti e formati sonoanche i più produttivi e i meglio pagati, la conclusione è che a uno sviluppo tecno-logico sempre più rapido si accompagna una domanda crescente di competenze equindi un’espansione continua della scuola/FP.il neo-weberianesimo e in particolare Collins non si fanno convincere daquesta spiegazione e la criticano punto per punto. il progresso tecnologico noncomporterebbe in maniera generalizzata un aumento dei lavori specializzati: solouna percentuale minoritaria dell’innalzamento del livello d’istruzione e di forma-zione della forza lavoro sarebbe addebitabile allo sviluppo delle nuove tecnologie.Neppure sembrerebbe convincere l’assunto secondo cui la crescita di occupazionispecialistiche richieda più competenze per il lavoro, perché non sarebbe infre-quente il caso di una manodopera troppo istruitaPer questa scuola di pensiero è anche discutibile che la scuola/FP fornisca lecompetenze. infatti, dell’assunto che i lavoratori più istruiti sono veramente i piùproduttivi esistono solo prove indirette globali che si basano sul dato che l’apportodell’istruzione corrisponderebbe alla parte del PNl non spiegata da capitale e la-voro. in aggiunta, ci sarebbero delle obiezioni più sostanziali: la tesi dei tecno-fun-zionalisti non distingue tra gli apporti dell’istruzione/formazione, dell’esperienza dilavoro, della sua organizzazione e delle motivazioni del soggetto, mentre tale di-stinzione, se fatta, porterebbe a un forte ridimensionamento dell’impatto dell’istru-zione e della formazione; inoltre, è stato osservato che lo stipendio misura i beniprodotti non l’educazione ricevuta.Né vale dire, da parte sempre dei tecno-funzionalisti, che nei Paesi in cui si ri-scontra un maggiore sviluppo economico si registra anche una crescita degli iscrittialla scuola/FP. infatti, qual è la direzione nella causalità? Un paese è più riccoperché ha più studenti o, piuttosto, bisognerebbe dire che ha più studenti perché èpiù ricco? inoltre, si notano variazioni di iscritti tra Stati con sviluppo economicoequivalente, un andamento che sembrerebbe dire che la correlazione tra le due va-riabili, crescita economica ed espansione della scuola/FP, non è poi molto stretta.Delle tesi dei tecno-funzionalisti al riguardo, i neo-weberiani sembrano accettaresolo l’assunto che la ‘universalizzazione della scuola elementare deve precedere losviluppo economico e, più esattamente, il passaggio da un modello di produzioneagricolo a uno industriale richiede l’introduzione previa di una istruzione primariadi massa.Nonostante ciò, a loro parere le competenze generalmente non si imparano ascuola: gli operai le apprenderebbero sul lavoro e casualmente e i lavoratori intel-lettuali più sul lavoro che non a scuola. È stato osservato in contrario che l’appren-dimento sul lavoro è possibile ordinariamente solo perché a monte, nella scuola enell’università, sono state acquisite le competenze di base di differente livello. 57 Secondo i neo-weberiani e in particolare Collins la crescita di livello dei titolidi istruzione e di formazione richiesti per le varie occupazioni non dipenderebbenecessariamente dal progresso tecnologico. Sono d’accordo, se questo assuntovuole negare che lo sviluppo della scuola/FP sia condizionato unicamente dalla dif-fusione crescente delle tecnologie; non mi sembra, invece, condivisibile il volerescludere completamente l’incidenza del progresso tecnologico sulla recente espan-sione dei sistemi di istruzione e di formazione, tenendo anche presente che attual-mente viviamo in un sistema sociale che viene definito come “società della cono-scenza”.Ad essere criticati non sono solo gli assunti dei tecno-funzionalisti sul rapportotra istruzione ed economia, ma anche la loro concezione della stratificazione so-ciale. il presupposto principale dell’interpretazione funzionalista era che le esi-genze della società determinano un numero fisso di posti di lavoro e una richiestaprecisa di competenze, il cui valore sociale è diverso, per cui le posizioni sociali sidistribuiscono su una gerarchia che sarebbe oggettiva. Secondo i neo-weberiani latesi dei tecno-funzionalisti non spiegherebbe l’influsso dei fattori ascritti – indipen-denti cioè dalla volontà e dal merito degli attori sociali, come età, sesso, razza – sulsuccesso professionale; a loro parere, invece, il numero delle occupazioni e le lorocompetenze non sono fissati in assoluto, ma trovano la loro ragion d’essere nei rap-porti di forza tra i gruppi; pertanto, nella stratificazione non ci sarebbe nulla di og-gettivo, ma sarebbe condizionata dal potere reciproco degli attori sociali e delleloro aggregazioni.A questo punto è opportuno scendere più nei particolari. Secondo i neo-webe-riani, la società costituisce un luogo di lotta tra i ceti per appropriarsi delle risorsenecessarie per la vita che però sono scarse. i ceti, come le classi, le chiese e leetnie, sono le unità di base del sistema: costituiscono gruppi di status con una cul-tura comune; il numero e la gerarchia non sono determinabili a priori; si sovrap-pongono parzialmente in quanto, per esempio, i membri di una chiesa possono pro-venire da più classi sociali e a loro volta queste sono composte da persone di di-verse chiese; l’origine non è solo economica come nel marxismo, ma le aggrega-zioni possono dipendere anche da legami basati sul potere e sulla cultura.Nelle società complesse, come l’attuale, il conflitto tra i diversi ceti ha luogomolto più frequentemente dentro le organizzazioni che tra le organizzazioni e inparticolare nella selezione per l’accesso ad esse e nella mobilità al loro interno. Se-condo i neo-weberiani, la dirigenza recluterebbe i dirigenti dal proprio ceto e i di-pendenti dai ceti subordinati che accettano la superiorità del ceto della dirigenza;inoltre, ciascun ceto cerca di allargare la propria presenza nell’organizzazione doveopera.in questa linea, l’istruzione e la formazione andrebbero concepite principal-mente come cultura di ceto, come uno “status symbol” – una specie di distintivo, sipotrebbe dire – segno dell’appartenenza a un gruppo. Pertanto, la finalità primadella scuola/FP consisterebbe nella trasmissione di tale cultura e non principal- 58 mente delle competenze, e di conseguenza il controllo sull’istruzione e sulla forma-zione diviene uno strumento di dominio sulle organizzazioni.Collins ha cercato di offrire una verifica empirica della teoria del conflitto: ten-terò di percorrere i passaggi principali della sua riflessione, fornendo anche dellevalutazioni dei vari assunti. Prove delle affermazioni generali si troverebbero so-prattutto in tre proposizioni. Certamente non si può negare che nella società esistonodiverse culture di ceto; è sufficiente riflettere sulla varietà di chiese, nazioni, etnieche si riscontra dappertutto. Dentro le organizzazioni le occupazioni tendono a dis-tribuirsi secondo i ceti nel senso che, per esempio, negli Stati Uniti e non solo ibianchi si riscontrano in proporzioni maggiori nei posti di comando rispetto ai negrio i maschi in paragone alle donne; tuttavia, anche se molto gradualmente, tale situa-zione va evolvendo verso un riequilibrio tra le varie posizioni. in terzo luogo, ai va-ri livelli delle organizzazioni sono chiaramente visibili i conflitti per il potere tra lepersone; al tempo stesso non si può non ammettere che si riscontra tanta collabora-zione e che il lavoro di gruppo assume un ruolo sempre più diffuso e importante.Scendendo ancor più sul particolare, Collins ha inteso verificare il legame traistruzione/formazione e gerarchia professionale. l’ipotesi che viene sostenuta èche il sistema educativo non svolgerebbe il ruolo di preparare persone competentiper le imprese, quanto quello di consentire a queste ultime di selezionare attraversoi titoli scolastici e formativi le persone socializzate alla cultura di ceto dominante, idirigenti alla cultura di élite e i subordinati a una cultura di rispetto, come si è giàanticipato sopra. infatti, secondo i neo-weberiani la scuola/FP educherebbe allacultura dominante e al rispetto per essa. la prima ragione che viene portata a so-stegno di questa affermazione è che la scuola pubblica è stata istituita per educarela massa alla sottomissione e le élite alla leadership; a mio parere, questa proposi-zione non descrive tutto il quadro dei compiti espletati in quanto è innegabile che ilsistema di istruzione e di formazione ha svolto e svolge anche un ruolo di eleva-zione delle classi popolari. in secondo luogo, se è vero che i livelli, i tipi e le se-zioni della scuola/FP trasmettono culture diverse in relazione ai ceti che li frequen-tano principalmente, tuttavia si può osservare che essi insegnano pure un minimodi valori comuni a tutta la società.la seconda parte del ragionamento a sostegno della tesi appena richiamata èche in corrispondenza all’assunto di Collins secondo cui la scuola/FP inculche-rebbe la cultura dominante e il rispetto di essa, i datori di lavoro userebbero l’istru-zione e la formazione come strumento di selezione culturale nelle assunzioni. in-fatti, esse sarebbero utilizzate non come attestazione delle competenze del candi-dato, ma come segno del carattere e del comportamento dei ceti medi o come stru-mento di controllo normativo al posto degli incentivi o delle sanzioni; a sua volta,la laurea verrebbe presa in considerazione soprattutto come indice delle motiva-zioni e dell’esperienza sociale del candidato e non delle abilità professionali posse-dute. Tuttavia, anche queste sono spiegazioni solo parzialmente verificate che nonescludono del tutto che i datori di lavoro si servano dei titoli di studio per verificare 59 le competenze dei candidati ai vari posti di lavoro. Concludendo, in questa lungadimostrazione ci si troverebbe di fronte a prove dimostrate solo in parte e quindi lacorrelazione tra istruzione/formazione e cultura di ceto non può essere consideratol’unico fattore interpretativo della selezione e della mobilità nelle organizzazioni.la seconda prova riguarda l’influsso della scuola/FP sul successo professio-nale: la tesi è che l’istruzione e la formazione sono tanto più influenti sulla riuscitanel lavoro quanto più rispondono alla cultura del ceto che controlla le assunzioni enon quanto più cresce il livello tecnologico del Paese. infatti, a giudizio dei neo-weberiani esisterebbero due tipi di stratificazione culturale che si corrispondono,uno nel sistema educativo e l’altro nel mondo del lavoro, e che dimostrerebberol’assunto appena enunciato.Per esempio, negli Stati Uniti si riscontra una evidente gerarchia tra le scuole:tra le secondarie le prime posizioni sono occupate dalle “prep. schools” (scuolepreparatorie), istituzioni private ed esclusive, a cui sono iscritti i cosiddetti “wasps”(white anglosaxon protestants = bianchi anglosassoni protestanti), i discendenticioè dei primi coloni arrivati nel Paese, in altre parole i membri delle attuali élites,mentre le scuole pubbliche, cattoliche e per i negri sono frequentate dagli allievidei ceti più bassi e si trovano nelle collocazioni successive della scala; tra le uni-versità si riscontra la medesima articolazione con le università private e quelle prin-cipali di Stato che si situano al vertice e sono frequentate dai “wasps”, cioè dalleélites, mentre sui gradini inferiori vi sarebbero le università cattoliche o per i negria cui è iscritta la gran massa degli studenti appartenenti alle altre classi.A questa stratificazione di natura socio-culturale tra le istituzioni formativecorrisponderebbe un’analoga gerarchia fra le imprese e nella loro amministrazione:le società per azioni a diffusione nazionale o internazionale sono dirette dai“wasps”, cioè dai membri della classe dirigente, che vengono da un percorso edu-cativo nelle scuole e nelle università di maggiore prestigio, mentre quelle locali daimembri delle minoranze che hanno frequentato scuole e università che occupanocollocazioni più basse; lo stesso andamento si riscontra riguardo alle pubbliche am-ministrazioni (nazionali gestite dai membri della classe dirigente e locali dalle mi-noranze) e agli studi dei professionisti (quelli associati, gestiti dai membri dellaclasse dirigente e quelli individuali, dalle minoranze).in conclusione, si riscontrerebbe una rilevante corrispondenza tra culturadella scuola/FP e cultura dei datori di lavoro: infatti, le società per azioni e le pub-bliche amministrazioni più importanti richiedono i livelli più elevati d’istruzione edi formazione nelle assunzioni dei dirigenti; inoltre, gli avvocati delle università diélites lavorano nelle grandi organizzazioni legali e i laureati delle scuole di specia-lizzazione occupano le posizioni professionali migliori.i funzionalisti non hanno mancato di ribattere a queste argomentazioni, di-cendo che le scuole più prestigiose assicurano il successo degli studenti perché pre-parano meglio e le imprese più importanti chiedono una istruzione elevata perchégarantisce persone preparate. A loro volta, i neo-weberiani non hanno mancato di 60 ribadire che l’interesse principale dei datori di lavoro sarebbe per la socializzazioneai valori dominanti. A mio parere questa riposta spiega soltanto una parte del pro-blema e la giustificazione va ricercata in tutte e due le posizioni e anche negli ap-porti di altre scuole di pensiero. 1.6.2. La teoria generale delle funzioni educativeincomincio con il precisare le posizioni del neo-weberianesimo rispetto allealtre teorie (Collins, 1978ab e 1980; Benadusi, 1984; Capello, Dei e Rossi, 1982;Morgagni e Russo, 1997; Milanesi, 1997; Sadovnik, 2002; Besozzi, 2006; Schizze-rotto e Barone, 2006; Fischer, 2007; Ballantine e Spade, 2008; Ballantine e Ham-mack, 2009; Ribolzi, 2012). Anzitutto, riguardo al funzionalismo secondo il quale ilruolo principale della scuola/FP sarebbe di realizzare l’integrazione sociale e l’ac-quisizione delle competenze. Per il neo-weberianesimo, questa interpretazione sa-rebbe corretta ma generica, in quanto non offre indicazioni che servano a spiegarele caratteristiche specifiche di ogni sistema educativoCon il marxismo la scuola di pensiero sotto analisi condivide l’assunto che l’e-ducazione è uno strumento di lotta per il dominio; al tempo stesso lo critica per ilsuo riduzionismo. infatti, Collins non ritiene che il conflitto abbia un’origine soloeconomica e che riguardi solo le classi che sarebbero di natura unicamente socio-economica.Per i neo-weberiani, l’educazione è certamente un mezzo di lotta per il do-minio tra i gruppi, come per il marxismo; essi, però, si distinguono per il fatto che ifattori del conflitto non sarebbero solo economici, ma anche culturali, sociali e po-litici. Con il funzionalismo, essi condividono l’assunto che l’educazione è uno stru-mento di integrazione, ma si differenziano per l’affermazione secondo cui l’inte-grazione riguarderebbe i gruppi e non l’intera società.Passando ora a precisare quali siano i compiti della scuola/FP secondo i neo-weberiani, si può dire anzitutto che essa costituisce non solo uno strumento per tra-smettere le competenze tecniche, ma anche e principalmente una componente dellalotta per acquisirle. il funzionalismo tecnico viene criticato correttamente perchéconsidera la formazione delle competenze come l’unica funzione della scuola/FP;si ha però l’impressione che Collins arrivi all’altro estremo nel senso di escluderladai compiti del sistema di istruzione e di formazione. in questa linea, egli ritieneche l’apprendimento delle competenze tecniche avverrebbe generalmente in ma-niera informale e non in un contesto formalizzato come quello scolastico; a nostroparere ciò può essere vero solo in una società agricola, ma non in una società com-plessa come l’attuale. Comunque, egli ammetterebbe che alcune competenze si ap-prenderebbero a scuola, però senza formalizzazione, e farebbe il caso soprattuttodella scuola di base; in contrario si può osservare che anche nella scuola di base ènecessaria una certa formalizzazione con valutazioni, esami, regolamenti. Per ineo-weberiani, si ricorrerebbe a una struttura formale nelle scuole superiori o nelleuniversità solo quando ciò è richiesto da un’organizzazione professionale potente, 61 come per esempio i ragionieri, i medici, gli avvocati o gli ingegneri, che vuole di-fendere i suoi privilegi; tuttavia, a mio parere, la formazione di base elevata, comequella che viene data nelle scuole superiori e nelle università, richiede per sua na-tura una struttura che faciliti lo svolgimento delle operazioni complesse relative aprocessi di insegnamento/apprendimento di livello elevato e che ne certifichi inmaniera affidabile il valore.Un altro compito dell’istruzione e della formazione va identificato nel trasmet-tere una cultura di ceto e principalmente nel fornire un mezzo di lotta per l’integra-zione culturale e per difendere il prestigio di determinati ceti. Storicamente questasarebbe stata la funzione principale e consisterebbe nella preparazione a cerimoniee a rituali in vista dell’identificazione con un determinato gruppo; tuttavia, a mioparere, la cultura generale insegnata nella scuola/FP non si può confondere con l’e-tichetta, ma include dei contenuti, come per esempio i capolavori della letteratura,dell’arte figurativa, della riflessione filosofica e della scienza di ciascun Paese, chepossiedono una valenza oggettiva. Secondo i neo-weberiani, tale cultura sarebbediversa secondo i ceti: ciò è vero, ma non si possono negare neppure aspetti co-muni a tutti e affermazioni solide sul piano veritativo. inoltre, mancherebbe di for-malizzazione perché sarebbe trasmessa in contesti di libertà e spontaneità comequelli familiari; in contrario, si può osservare che i licei dei gesuiti insegnavano lacultura di ceto ed erano notevolmente formalizzati.in terzo luogo, l’istruzione e la formazione sarebbero uno strumento per la for-mazione della burocrazia ed un mezzo di lotta per il potere.Ricordo che la burocrazia era concepita da Weber in modo del tutto positivo inquanto a suo parere rappresentava un grande progresso rispetto al regime patrimo-niale, vigente nelle monarchie assolute dell’Europa fino al XiX secolo, che consi-derava lo Stato come proprietà personale del sovrano (Hatch, 2009; Poggi e Scior-tino, 2008; Scott, 1994). il balzo in avanti veniva identificato nelle seguenti caratte-ristiche: la regolamentazione sulla base di norme generali e astratte invece del ca-priccio del sovrano; l’impersonalità dei ruoli che assicura il loro funzionamento in-dipendentemente da chi li occupa; la limitazione dei poteri in base alla specializza-zione delle competenze di ciascun ufficio al posto dell’assolutismo regio; l’esi-stenza di una gerarchia come forma di controllo contro ogni arbitrio, sicché quandosi riceve un torto da un funzionario è sempre possibile ricorrere all’autorità che oc-cupa una posizione superiore; l’accesso e la carriera vincolati a concorsi ed esamicome strumento per scegliere i migliori.A loro volta, i neo-weberiani ne forniscono un’immagine spostata sul nega-tivo, cadendo a mio parere nell’eccesso opposto. la burocratizzazione delle societàmoderne andrebbe intesa come una forma di controllo impersonale delle classi do-minanti sulle classi subalterne; secondo me, tuttavia, non si può negare che essa co-stituisca una modello utile di organizzazione quando si ha a che fare con grandi nu-meri. la presenza di norme generali e astratte assicurerebbe solo una parvenza diimparzialità perché di fatto tali norme si ispirano alla cultura delle classi dominanti; 62 in contrario, si può osservare che, come ho messo in evidenza sopra in relazionealla teoria della riproduzione culturale, la cosiddetta cultura delle classi dominantinon è tutta arbitraria, ma presenta anche un contenuto veritativo importante. l’im-personalità dei ruoli non sarebbe uno strumento per garantire un’amministrazioneefficiente, ma servirebbe unicamente a impedire alle classi subalterne di appro-priarsi dei ruoli nello Stato come proprietà privata, mettendo in pericolo il poteredelle classi dominanti; in ogni caso, l’impossibilità di privatizzare i ruoli pubblicicostituisce una maggiore garanzia di rispetto del bene comune nell’azione di go-verno. Sempre secondo i neo-weberiani, la limitazione dei poteri in base alla spe-cializzazione delle funzioni non è tanto una garanzia per le classi subalterne quantoper quelle dominanti perché nessuno può divenire così potente da sfidarle; in con-trario, va messo in risalto che tale limitazione si traduce anche in un vincolo per leclassi dominanti stesse. la gerarchia sarebbe uno strumento per assicurare la lealtàdei subalterni perché si sale nella gerarchia solo se si dimostra la propria lealtàverso i capi; nello stesso tempo, però, andrebbe evidenziato che nell’attuale societàdel cambio si tende sempre di più a premiare l’originalità e la creatività. Gli esamidi accesso alla burocrazia e per la promozione al suo interno servirebbero per ga-rantire una parvenza di imparzialità, ma il successo dipenderebbe dall’assimila-zione della cultura dominante; però, quest’ultima, almeno quella che viene tra-smessa nella scuola/FP, è sempre meno unica e unitaria e sempre più una multicul-tura e anche meglio una intercultura.in proposito, l’esempio che viene offerto è quello della istruzione di massa ob-bligatoria introdotta dai moderni stati burocratici.Per il marxismo sarebbe uno strumento in mano agli imprenditori per preparareuna forza di lavoro disciplinata e la prova verrebbe offerta dalla socializzazioneacritica ai valori capitalistici che si riscontrerebbe nelle elementari, nelle scuolecioè che sono frequentate dalla massa dei figli degli operai. Tuttavia, questa inter-pretazione spiega solo in parte le dinamiche coinvolte in quanto, per esempio, nontiene conto che l’istruzione obbligatoria varia anche notevolmente tra i Paesi capi-talisti per cui la funzionalità al capitale è al massimo uno dei fattori esplicativi.Per i neo-weberiani l’introduzione dell’obbligo di istruzione è uno strumentodi controllo sui ceti che costituiscono una possibile minaccia per lo Stato. A loroparere, Danimarca, Prussia, Giappone avrebbero introdotto l’obbligo prima dellosviluppo industriale per ragioni politico-militari; in particolare, per far accettare laleva obbligatoria ai contadini perché, costretti ad andare a scuola, avrebbero impa-rato l’amor patrio e non si sarebbero opposti quando il sovrano avrebbe richiamatoi propri figli per la guerra. questa spiegazione però non vale per gli Stati Uniti chehanno introdotto l’obbligo in concomitanza con l’industrializzazione per cui daquesto punto di vista c’è del vero anche nell’ipotesi marxista.in conclusione, la preparazione di una forza di lavoro obbediente è certamenteun motivo, come anche influiscono le ragioni politico-militari e la burocratizzazio-ne delle imprese, un fenomeno che però ha aiutato a consolidare l’istituto dell’ob- 63 bligo piuttosto che a introdurlo. queste spiegazioni, nonostante la loro parte di ve-rità, tuttavia presentano a mio parere una carenza seria: non tengono conto che il di-ritto all’educazione è un diritto umano fondamentale e tale ragione ha esercitato unpeso crescente nel riconoscimento e nell’allungamento dell’obbligo di istruzione. 1.6.3. Una teoria del mercato culturalei sociologi dell’educazione hanno sentito il fascino della semplicità dell’appli-cazione della teoria del mercato in economia e hanno cercato di estenderne la va-lenza interpretativa ad altri campi come la scuola/FP (Collins, 1978a e 1980; Bena-dusi, 1984; Capello, Dei e Rossi, 1982; Morgagni e Russo, 1997; Ballantine eSpade, 2008; Ballantine e Hammack, 2009). Secondo i neo-weberiani, i tipi d’istru-zione e di formazione e i relativi fattori di sviluppo sono diversi e molteplici e ciòrisulta da una esame anche solo superficiale della scuola/FP in cui, per esempio, alivello secondario coesistono i licei, l’istruzione tecnica e l’istruzione e Forma-zione Professionale. A loro parere, la burocratizzazione sarebbe lo strumento prin-cipale di fusione tra le varie forme e anche in questo caso la scuola di pensierosotto esame tende al riduzionismo, ignorando anche altri fattori come per esempiola domanda di maggiore eguaglianza.il mercato culturale consisterebbe in una interazione tra domanda e offerta diistruzione e di formazione tramite una moneta. Più in particolare, la moneta sa-rebbe la cultura dei ceti dominanti. A sua volta, l’offerta di beni culturali dipende-rebbe: dalla struttura del sistema scolastico, cioè da aspetti come il numero deglistudenti, dei professori, della scuole; dal tipo di sviluppo economico, in quanto peresempio una società agricola non ha bisogno di livelli di istruzione molto elevati ediffusi; dalle caratteristiche della stratificazione sociale, nel senso che una societàdi guerrieri non ha bisogno di molti letterati per cui la gerarchia dipende dalle com-petenze militari e non dai titoli di studio.in secondo luogo, la domanda di beni culturali sarebbe condizionata in gene-rale: dal numero, dal potere e dalle risorse degli individui e dei gruppi interessatiall’istruzione e alla formazione; dal peso e dall’ampiezza dell’opposizione politicaai ceti dominanti perché più cresce l’opposizione e maggiore è l’interesse delleclassi dominanti di utilizzare l’istruzione e la formazione come strumenti di con-trollo. Più nello specifico, la richiesta di istruzione formale dipenderebbe dalla do-manda di formazione professionale e di istruzione di ceto perché gli ordini profes-sionali e i ceti superiori cercano di garantire le proprie posizioni, rendendo difficile,mediante la formalizzazione della scuola/FP (selezione nelle iscrizioni, voti, esami,regolamenti…) l’accesso di altri alle professioni e alle culture di ceto.Entro tale quadro, il fenomeno dell’inflazione dei titoli educativi (cioè dellacrescita nel numero e del declino nel valore) troverebbe una spiegazione coerente.Se il valore dei titoli dell’istruzione e della formazione sul mercato del lavoro di-pende dal rapporto istruzione/ricompense (persone istruite/posti di lavoro), la loroinflazione si verifica sia quando cresce il numero dei titoli e il numero delle occu- 64 pazioni rimane eguale, sia quando aumenta il numero dei titoli e al tempo stesso siriduce la selezione scolastica. A sua volta, l’inflazione si risolverebbe mediante:– la mobilitazione politica degli ordini professionali o delle classi dominanti perottenere più selezione scolastica;– la riduzione delle iscrizioni a scuola/FP;– il crollo della moneta, come nel caso dei Paesi dell’Est alla caduta del muro diBerlino quando la cultura marxista ha cessato di essere la cultura delle classidominanti. 1.6.4. Osservazioni conclusivel’oggetto della lotta continua che caratterizza la vita della società è la con-quista dei beni disponibili, in particolare la ricchezza, il potere e il prestigio. Sitratta di risorse non abbondanti, per cui quando un gruppo o ceto cerca di impos-sessarsi di una quantità superiore di questi beni, si determina una reazione imme-diata da parte degli altri. la lotta ha luogo principalmente attraverso le orga-nizzazioni e nelle società complesse si svolge all’interno delle organizzazioni piùche tra le organizzazioni. Pertanto, la scuola non è solo un’agenzia per la trasmis-sione delle competenze tecniche, della cultura di ceto e del potere, ma anche unacomponente della lotta per il conseguimento di tali beni.le posizioni neo-weberiane presentano punti di contatto con il marxismo, masoprattutto notevoli differenze. Ambedue ritengono che l’educazione sia uno stru-mento di lotta per il dominio, tra le sole classi per il marxismo, più in generale tra igruppi per il neo-weberianesimo. Per il primo le strutture economiche svolgono unruolo determinante, mentre per il secondo le origini della lotta non sono principal-mente economiche, ma anche culturali e politiche. inoltre, il neo-weberianesimo ri-tiene che l’educazione sia uno strumento di integrazione nei gruppi in quanto ac-cresce la coesione interna e ne aumenta la legittimazione.Collins critica la teoria tecno-funzionalista secondo la quale l’enorme espan-sione del sistema scolastico degli anni ’50 e ’60 sarebbe da attribuirsi al ritmo ac-celerato del progresso tecnologico che richiederebbe un livello sempre più elevatodi competenze per la medesima occupazione e allargherebbe continuamente l’areadei lavori specializzati. È vero che per il neo-weberianesimo una delle funzioni delsistema dell’istruzione e della formazione consiste nell’essere strumento per l’ap-prendimento di competenze tecniche e componente nella lotta per la loro acquisi-zione. Tuttavia, questo apprendimento avverrebbe in maniera informale nell’adde-stramento sul lavoro o nell’educazione in famiglia o in una scuola priva di proce-dure formali come quella di base. la formazione verrebbe impartita in una strutturaformale solo quando i membri di una professione avrebbero acquisito un notevolepotere e si sarebbero dati una forte organizzazione, come le corporazioni professio-nali nel medioevo. Collins sembra però dimenticare che l’esperienza lavorativa èproficua solo se il lavoratore ha acquisito una Formazione Professionale di base 65 che può essere fornita unicamente dalla scuola/FP; anche lo studio universitariopare richiesto dal livello di sofisticazione che hanno raggiunto ormai i saperi. Più ingenerale la critica neo-weberiana del tecno-funzionalismo, se è valida nel metterein evidenza la unilateralità dell’approccio solo economico, finisce per arrivare al-l’estremo opposto di negare la correlazione tra sistema scolastico e produttivo.Collins rifiuta anche la teoria della riproduzione per la sua natura immobili-stica e meccanica. il sistema formativo nel lungo periodo, con la sua evoluzionefatta non solo di crescita, ma anche di crisi, incide in modo significativo sullo svi-luppo della politica, dell’economia e del sociale.Con questo non si può dire che egli accetti un ruolo del tutto positivo dellascuola alla maniera funzionalista. Per Collins la scolarizzazione di massa è spreco,cioè non si giustificherebbe per il riferimento ad esigenze oggettive di qualifica-zione, ma costituirebbe uno sviluppo patologico finalizzato ad espandere un’eco-nomia improduttiva che serve solo a garantire lavoro e potere ai ceti istruiti.inoltre, soprattutto all’inizio, l’obbligo di istruzione sarebbe stato introdotto comestrumento di controllo dei ceti che costituivano una possibile minaccia per lo Stato.in terzo luogo, l’istruzione servirebbe come un mezzo di selezione per l’accessoalle organizzazioni ai fini di accertare la cultura sociale dei candidati più che le lorocompetenze, nel senso che la dirigenza recluterebbe i dirigenti dal proprio ceto e idipendenti dai ceti subordinati che, però, hanno interiorizzato una cultura di ri-spetto nei confronti del proprio ceto.Si tratta di critiche che hanno un fondamento di verità, ma che non riguardanotutti i compiti della scuola. Si è parlato già sopra nella sezione sulla riproduzionecontraddittoria del ruolo positivo della “over-education”. Soprattutto, è Collinsstesso a sottolineare una funzione positiva quando parla dell’istruzione come diuno strumento di lotta in mano ai ceti emergenti per legittimare, tramite i titoli con-seguiti, la loro emancipazione. 1.7. l’approccio interazionista-fenomenologico e il post-moderno questo tipo di impostazione non si presenta come una teoria unitaria e com-patta, ma piuttosto va considerata come un complesso composito di idee, riscontra-bili in un vasto ventaglio di studi (Morgagni e Russo, 1997; Milanesi, 1997; Crespi,2002; Sadovnik, 2002; Besozzi, 1993 e 2006; Schizzerotto e Barone, 2006; Fischer,2007; Ballantine e Spade, 2008; Poggi e Sciortino, 2008; Ballantine e Hammack,2009). Nell’analisi che segue cercherò di dare un certo ordine a tanta ricchezza dispunti, affrontando in particolare tre tematiche: anzitutto fornirò una visione gene-rale dell’approccio; mi soffermerò su alcuni concetti fondamentali che riguardanoil mondo della scuola/FP; per passare all’approfondimento di un tema tipico di taleapproccio, quello delle relazioni insegnanti-studenti; per terminare con un riferi-mento alle nuove forme culturali del post-moderno. 66 1.7.1. Sintesi dell’approcciola tesi fondamentale può essere sintetizzata come segue: la persona costruisceattivamente la realtà sociale e, quindi, i comportamenti che pone in essere non pos-sono essere ridotti al prodotto deterministico delle dinamiche sociali, ma sonofrutto pure del suo agire libero, anche se in interazione con le forze operanti nelcontesto (Morgagni e Russo, 1997; Woods, 1997; Crespi, 2002; Besozzi, 1993 e2006; Schizzerotto e Barone, 2006; Ballantine e Spade, 2008; Poggi e Sciortino,2008; Ballantine e Hammack, 2009). questo dinamismo degli attori sociali si fondasulla capacità sia di produrre simboli, cioè di rappresentarsi le cose mediante segniconvenzionali che stanno al loro posto sia di attribuire un significato ai simbolil’unità di analisi non è la società intera come nel funzionalismo o i gruppicome nel neo-marxismo o nella riproduzione o nel neo-weberianesimo, ma piut-tosto l’interazione, cioè la relazione attraverso la quale due soggetti si rapportanoreciprocamente. Pertanto, il processo comunicativo viene ad occupare un postocentrale nell’analisi sociologica.Passando poi ai processi di socializzazione che qui interessano particolar-mente, il punto di partenza è la “realtà della vita quotidiana”, cioè la realtà di sensocomune che noi consideriamo un qualcosa di scontato. Nella socializzazione pri-maria, il bambino interiorizza tale realtà in forma di modelli utili per operare nelsuo contesto e la sua conoscenza si presenta generalmente come irriflessa e limi-tata. l’apprendimento si compie attraverso l’imitazione dell’adulto e l’identifica-zione con lui; non si tratta di una crescita deterministica, ma lo sviluppo si compieattraverso una dialettica tra l’identificazione negli altri e l’autoidentificazione, trauna identità attribuita dall’esterno e quella fatta propria dal bambino.A sua volta, il processo di socializzazione secondaria si caratterizza per unaproblematizzazione dell’esperienza già compiuta, anche se questa rimane la primareale immagine della vita, e la scoperta che il mondo dei propri genitori non è l’u-nico può implicare anche una crisi importante. in ogni caso, la costruzione del pro-prio mondo sociale ha luogo sulla base della realtà di senso comune, acquisita nellafase precedente, e si avvale della capacità della persona di conservare e trasformareattraverso un processo interattivo le strutture oggettive precedentemente interioriz-zate. Pertanto, la realtà conserva la sua forza di penetrazione nel soggetto che all’i-nizio l’accetta così com’è, ma che poi, attraverso lo sviluppo della capacità rifles-siva, la scopre come relativa e suscettibile di essere continuamente ricreata per cuila fa oggetto delle sue ricostruzioni.Cercherò ora di approfondire gli assunti principali e per noi più rilevanti(Woods, 1997; Besozzi, 2006; Ballantine e Spade, 2008; Ballantine e Hammack,2009). l’idea fondamentale è quella di persona, intesa come responsabile del pro-prio operato e costruttrice dei propri significati. le cose possono assumere unsenso differente per più individui e assurgere a simboli diversi della realtà: questiultimi si possono definire come stimoli con un significato e un valore acquisito. lepersone si rapportano fra di loro mediante simboli e in particolare attraverso quel- 67 l’insieme di simboli per eccellenza che è il linguaggio. l’interazione consente diacquisire un numero molto grande di simboli e il suo funzionamento è facilitatoquando il significato dei simboli è accettato da molte persone; alcuni di essi risul-tano comuni, per cui le nostre reazioni nei loro confronti sembrano assumere unanatura quasi istintiva.l’elaborazione di significati e di simboli da parte della persona sarebbe possi-bile solo in quanto essa possiede un “Sé”. questo si articola secondo due dimen-sioni: una prima è costituita dall’“io” soggettivo che è l’attore della costruzione so-ciale; una seconda consiste in un “Me” oggettivo, che rappresenta ciò che è visibileda parte degli altri e che io stesso posso guardare dall’esterno, situandomi nella col-locazione che essi hanno e, quindi, assumendo il loro ruolo. Si tratta di un concettomolto importante nella prospettiva della socializzazione che deve mirare tra l’altroad aiutare i bambini ad uscire dal loro egoismo e a divenire capaci di prendere inconsiderazione il punto di vista degli altri.Un’altra applicazione importante del medesimo assunto riguarda il processo disocializzazione delle norme morali. Con il tempo, le osservazioni delle proprie atti-vità secondo la prospettiva di altri soggetti specifici consentono di stabilire dei col-legamenti tra le varie percezioni. Ciò permette di costruire il concetto di “altro ge-neralizzato” che fa da legame tra il comportamento singolo e la società. in altre pa-role, si riesce ad elaborare credenze generalizzate, norme e valori in base ai qualiesaminare il proprio comportamento e se stessi. Ciascuno degli attori può diventareun sé completo o meglio una persona sociale solo se riesce ad assimilare le attesepresenti nell’altro generalizzato e così risulta capace di assumere l’atteggiamentosociale del gruppo di cui è membro.Se è la persona che costruisce attivamente la realtà sociale, allora le interpreta-zioni non possono essere spiegate semplicemente facendo ricorso alle spiegazioniriscontrabili nella cultura, ma costituiscono anche il prodotto dei dinamismi inte-riori dell’individuo. Esse svolgono un ruolo centrale anche nella valutazione dei ri-sultati che non può essere affidata solo alla condizione obiettiva della situazione,ma che necessita anche delle percezioni degli interessati. Una dialettica simile si ri-scontra a proposito delle azioni, nel senso che si osserva una interazione continuatra l’“io” e il “me”, una condizione di flusso o processo, un avvicendamento di fasi;in altre parole non può essere definita come la conseguenza puntuale di una deci-sione univoca.Ciò non implica una situazione di variabilità continua: le interpretazioni pos-sono possedere una formulazione stabile e offrire una base su cui le azioni orien-tano la loro operatività. Un certo numero di loro assume una posizione chiave e siimpone sulle altre, dando vita alle differenti culture da cui possono originarsi a lorovolta nuove interpretazioni. Tutto ciò si può coagulare in ruoli, intesi non comequalcosa di imposto dall’alto, ma come attività costruite in conformità all’azionedelle persone.Un cenno va fatto anche alle metodologie di ricerca che l’approccio interazio- 68 nista-fenomenologico generalmente utilizza nei suoi studi. in sostanza si tratta distrumenti di natura qualitativa come l’osservazione, le interviste in profondità, l’e-same di documenti rilevanti, l’analisi delle videoregistrazioni. le ragioni di questascelta sono di tre tipi: tali tecniche permettono contatti informali con gli attori so-ciali oggetto di investigazione, in particolare con i docenti e gli allievi; inoltre, con-sentono di partecipare direttamente alle interazioni e specificamente a quelle scola-stico-formative; da ultimo, favoriscono una descrizione dettagliata della vita ordi-naria, in particolare quello che qui interessa di più, dell’andamento quotidiano dellascuola/FP.in conclusione, ogni società è il frutto delle interazioni tra gli attori che ope-rano in essa; al tempo stesso, è possibile rovesciare questo assunto e affermare chela persona è il risultato del sistema sociale che la precede e le sopravvive e che leha permesso di sviluppare e conservare una sua identità. questo spiega non solocome mai i comportamenti si rivelino totalmente originali in non molti casi, maanche perché l’individuo non sia mai totalmente prigioniero dei condizionamenticulturali e strutturali e, invece, gli rimangano sempre aperte opportunità di cambia-mento. 1.7.2. L’approccio interazionista-fenomenologico e la scuola/FP: considerazionigeneraliSecondo l’approccio in questione la sociologia tradizionale presenterebbe lascuola/FP in maniera idealizzata, cioè come un sistema astratto di ruoli, tra i qualiesisterebbe una interdipendenza armonica, dovuta alla complementarità di funzionitra docenti e studenti; inoltre, essa si occuperebbe solo dei processi in entrata e inuscita dalla scuola/FP (Morgagni e Russo, 1997; Woods, 1997 soprattutto; Crespi,2002; Sadovnik, 2002; Schizzerotto e Barone, 2006; Ballantine e Spade, 2008;Poggi e Sciortino, 2008; Ballantine e Hammack, 2009). Al contrario, l’interpreta-zione interazionista-fenomenologica concepisce il sistema di istruzione e di forma-zione come un’area di scontro tra gli interessi divergenti di docenti e studenti. lafinalità è di capire le attività quotidiane della classe attraverso la loro descrizione.Pertanto diversamente dalla sociologia tradizionale l’approccio in questione con-centra l’attenzione sui processi che avvengono all’interno della scuola/FP.A livello di sistema educativo di istruzione e di formazione gli ambiti princi-pali di attenzione possono essere identificati nel contesto, le prospettive, la cultura,le strategie, la negoziazione e le carriere. Come si può notare, essi si pongono tuttia livello micro.incominciando dal contesto, una prima distinzione riguarda l’area di facciata equelle nascoste. la prima coincide con l’ufficialità e si connette a tutto ciò cheesprime ed è richiesto dal proprio ruolo formale. le aree nascoste sono quelle incui le persone si muovono con più autenticità e spontaneità e cercano di difendersidalle imposizioni del contesto fino ad arrivare a contraddire l’ufficialità stessa.Nelle scuole la sala insegnanti e il cortile possono costituire luoghi significativi per 69 cogliere questo mondo nascosto di impressioni, percezioni, opinioni, sentimenti,valutazioni; sarebbe però erroneo limitare l’analisi sociologica a queste aree, tra-scurando quelle di facciata che condizionano anch’esse il comportamento degli at-tori. Un altro aspetto importante del contesto che viene approfondito dall’approcciointerazionista-fenomenologico è costituito dalla situazione. questa non forniscesoltanto la scena o l’ambiente in cui si svolgono le azioni degli attori sociali, ma lerende possibili e influisce sul loro corso. in ogni caso essa va interpretata e le inter-pretazioni possono essere diverse a seconda delle persone coinvolte che talora pos-sono anche cercare di orientare le valutazioni altrui attraverso forme più o menoscoperte di manipolazione degli elementi in gioco. Di conseguenza, è importante ladefinizione delle situazioni rispetto alla quale bisogna tener conto della natura co-struita, e non data, delle situazioni: il sociologo dovrà evitare di considerarle scon-tate e cercherà di analizzarle accuratamente per scoprire come sono state costruite.Un’altra categoria importante è quella delle prospettive. Esse costituiscono unaspecie di filtro o di codice interpretativo che studenti, insegnanti, dirigenti e geni-tori utilizzano per comprendere la realtà, in particolare quella scolastico-formativa.Esse consentono di costruire il contesto, di definire la situazione, di identificare ecollocare gli altri, in una parola di dare senso al mondo. Più precisamente la pro-spettiva circoscrive un complesso articolato di idee e di azioni che servono alla per-sona come quadro di riferimento quando deve affrontare situazioni problematiche;pertanto, le risposte alle difficoltà incontrate risultano ragionevolmente connessecon le prospettive.queste si originano soprattutto quando gli attori devono prendere delle deci-sioni: in tali casi spesso avviene che le prospettive precedenti non lascino alcunospazio, o comunque molto poco, ad alternative. Tuttavia, la persona può essere sol-lecitata da tale situazione di ristrettezza per costruire nuovi orizzonti di azione chesi possono anche consolidare nell’elaborazione di nuove prospettive.A monte delle prospettive si collocano le culture che ne costituiscono il fonda-mento ultimo per cui le prime non esistono da sole o in sé e per sé, ma derivanodalle seconde. Esse si creano quando gli attori sociali si ritrovano insieme per fina-lità comuni e danno origine a forme specifiche di vita come modalità di azione, dicomunicazione e di conversazione, norme e regole di comportamento, valori e cre-denze. Ognuno di noi cresce all’interno di queste culture e talora può anche credereche si tratti di un modo di vita naturale, soprattutto quando lo accompagna dallaprima età della sua esistenza.Gli attori apprendono le culture attraverso i processi di socializzazione. in pro-posito può capitare che si subisca uno shock come quando si è confrontati conmondi totalmente nuovi: a riguardo vengono citati i casi dei bambini che incomin-ciano a frequentare la scuola o degli insegnanti alle prime armi nel loro ruolo. ladifficoltà nasce anche dal fatto che non è questione solo di apprendere nuove cono-scenze e abilità, ma bisogna appunto interiorizzare una nuova cultura con i suoi va- 70 lori e le sue regole, le sue scale di priorità, gli argomenti di conversazione permessie quelli proibiti, le strategie per cavarsela, le gerarchie di potere, la quantità di la-voro accettabile, le attività del tempo libero, le carriere specifiche.in merito alla cultura studentesca, vanno segnalati due diversi orientamenti.Anzitutto, si possono ricordare gli studiosi che insistono sulla sua omogeneità e ciòsarebbe dovuto alla influenza costrittiva delle istituzioni formative. Altri, e più cor-rettamente in base a dati di esperienza, sottolineano la presenza di più culture al-l’interno delle scuole che sarebbero elaborate da gruppi di allievi.Un quarto ambito d’attenzione in tema di istruzione e di formazione è rappre-sentato dalle strategie. queste indicano le metodologie per conseguire quegli obiet-tivi che insegnanti e allievi si sono posti tenendo conto delle prospettive attinte dalquadro culturale di riferimento. Di fatto si tratta di un ambito in cui è possibile chele intenzioni individuali si scontrino con i vincoli esterni.Così un docente può trovare nella sua azione educativa vari ostacoli quali peresempio la scarsità di risorse, la numerosità delle classi, i problemi di apprendi-mento di alcuni studenti, la mancanza di collegialità nella scuola; in tale situazionedovrà elaborare un suo progetto per cercare di superarli. Ma predisporre delle stra-tegie non è un’operazione facile e ci si può trovare nuovamente di fronte alla di-stinzione tra zone di facciata e zone nascoste in quanto gli obiettivi espliciti pos-sono costituire solo una parte delle metodologie ed essere di fatto al servizio di fi-nalità nascoste o ci possono essere altri scopi all’interno degli scopi manifesti inattesa di condizioni più favorevoli per la loro realizzazione. in ogni caso quantopiù elevate sono le finalità che si vogliono raggiungere tanto più complessa dovràessere la strategia e maggiormente esposta a rischi. inoltre, va tenuto presente chela scuola/FP è una istituzione che richiede strategie complesse perché si mira arealizzare grandi mete ideali e in quanto il divario tra queste e la pratica è consi-stente.Riguardo agli allievi, le prospettive che li animano possono essere anche moltodifferenti e ciò potrebbe fare emergere orientamenti notevolmente diversi riguardoalla scuola/FP. Ne segue che tale varietà di situazioni tenderà a sollecitare gli stu-denti ad elaborare e a porre in essere una molteplicità di strategie per risolvere leeventuali problematiche.la relazione tra culture, prospettive e strategie fa emergere anche il concetto disubcultura. quando all’interno di una istituzione scolastico-formativa un gruppo diattori sociali si propone delle mete comuni, tende anche a sviluppare prospettive estrategie comuni. Se questo andamento si consolida nel lungo periodo, si vengonosenz’altro a creare le condizioni perché possa emergere in quel contesto una sub-cultura. Un altro concetto da tenere presente è anche quello di cultura latente che sisviluppa al di fuori del gruppo di appartenenza, ma a cui i membri possono attin-gere per attivare strategie anche più efficaci di quelle nel gruppo di riferimento.Prospettive e strategie non esauriscono tutta l’attività di docenti e studentinella quale, invece, occuperebbe una collocazione predominante il processo di ne- 71 goziazione che consente ad ognuno di massimizzare i propri interessi. Esso puòsvolgersi in maniera pacifica e aperta e portare ad accordi vantaggiosi per tutti gliattori coinvolti. in altri casi le negoziazioni possono assumere un andamento con-flittuale come quando i diversi attori tentano di imporre la propria visione dellarealtà o intervengono rancori e sentimenti negativi, oppure la preoccupazione prin-cipale non è soltanto quella di massimizzare i propri interessi, ma anche di mini-mizzare quelli degli altri.A questo punto entra in gioco la considerazione dei poteri che si confrontanonel concreto delle situazioni. Da tale angolo di visuale le collocazioni reciproche egli status relativi di docenti e allievi si configurano in maniera molto diversa. iprimi determinano lo scenario di riferimento, le regole del gioco e le finalità daraggiungere; a loro volta, i secondi anche se sono obbligati ad accettare come am-bito di confronto quello deciso dai primi, tuttavia possono far valere la forza deinumeri e le strategie di recupero che trovano nella propria subcultura.la negoziazione non avverrebbe in forme anarchiche, ma segue regole di na-tura informale che il sociologo deve cercare di cogliere. le istanze che entrano ingioco possono apparire come devianti rispetto alle posizioni ufficiali o in questoconfronto vengono ritenute come prive di rilevanza. Se ci si pone dalla parte degliallievi, è possibile (e anche necessario sul piano dell’analisi scientifica) identificaredei significati che dal loro punto di vista sono di tutto rispetto e che, comunque,non andrebbero ignorati. «“Ridere”, “lavorare”, “fare i lavativi”, “far confusione”sono dunque cose importanti per la comprensione reale della vita scolastica, forsele più importanti, dal punto di vista degli allievi; mentre invece, dal punto di vistadell’insegnante, sono rilevanti anche i momenti di relax rubati nella sala insegnantie gli intervalli della giornata» (Woods, 1997, p. 252).Passando ora all’ultimo ambito, il sesto, la carriera, essa può essere definitacome una «successione di lavori collegati tra loro, che si susseguono in una gerar-chia di prestigio, attraverso cui le persone si muovono in una sequenza ordinaria eprevedibile» (Wilensky citato in Woods, 1997, p. 252). l’approccio interazionista-fenomenologico concentra l’attenzione soprattutto su due dimensioni l’impegno el’identità. il primo si colloca tra i requisiti istituzionali e l’esperienza personale. ilproblema è trovare un punto di incontro fra due situazioni: le società che si struttu-rano per rispondere alle esigenze di sistema secondo i principi della razionalitàstrumentale; gli attori individuali che possono reagire non solo logicamente e posi-tivamente, ma anche emotivamente e negativamente alle istanze organizzative. Diqui il bisogno che i requisiti istituzionali vengano accolti da tutti in maniera con-sensuale, in modo che si diventi cittadini impegnati, attivi, affezionati, fedeli e ob-bedienti. l’impegno è direttamente connesso con l’identità. le persone, da unaparte, derivano tutto un insieme di caratteristiche dai ruoli esistenti nella società e,dall’altra, si sforzano di diventare qualcosa di particolare, relativamente differentedagli altri, in modo da poter uscire dall’anonimato e suscitare ammirazione, ri-spetto e affetto. Nella loro attività educativa i docenti cercano di orientare la cre- 72 scita degli allievi nelle due direzioni, promuovendo lo sviluppo sia della individua-lità e dell’autonomia sia della osservanza e della collaborazione.in tale quadro le persone tendono a proiettare un’immagine desiderabile delproprio sé. Da questo punto di vista può accadere che esse tendano a sviluppare im-magini diverse a seconda dei contesti. in ogni caso, per alcuni studiosi dell’ap-proccio interazionista-fenomenologico l’azione educativa della scuola che incide-rebbe maggiormente nella costruzione del sé avrebbe luogo non durante le lezioni etramite i programmi ufficiali, ma negli interstizi, cioè negli intervalli, nelle ricrea-zioni, nei pasti, e nelle aree nascoste come il cortile e i corridoi. Altri interpreti cor-reggono in parte questa opinione, dando maggiore importanza agli aspetti istituzio-nali e sistematici. 1.7.3. L’interazione in classe: una tematica da approfondireSiccome occupa una collocazione centrale nei processi interni alla scuola/FP,essa merita una considerazione specifica. Un primo assunto in proposito è che percapire l’interazione in classe non ci si può limitare al punto di vista dell’adulto, inparticolare del docente, ma bisogna tenere conto anche di quello degli allievi (Mor-gagni e Russo, 1997; Woods, 1997; Sadovnik, 2002; Schizzerotto e Barone, 2006;Ballantine e Spade, 2008; Ballantine e Hammack, 2009). questi non possono es-sere descritti come soggetti immaturi, irrazionali, carenti di cultura e incapaci di re-lazionarsi agli altri unicamente per il motivo che non sono necessariamente d’ac-cordo con le concezioni di vita degli insegnanti; al contrario, essi sono in grado diutilizzare un ampio ventaglio di idee, di valori, di regole, di simboli.la focalizzazione eccessiva sul punto di vista dell’adulto spiegherebbe comemai la socializzazione scolastica e formativa presenti un carattere autoritario. inquesto contesto, gli allievi tendono a considerare le lezioni un’attività alienante eripetitiva, apprezzano maggiormente le forme espressive della vita scolastica, cioèle soddisfazioni che vengono loro dal coinvolgimento con i colleghi nei gruppi dipari della scuola/CFP di riferimento, rispetto alla partecipazione ai processi di ap-prendimento, cercano di sottrarsi allo svolgimento ordinario delle lezioni, orien-tando la loro attenzione verso aspetti più gratificanti e, talora, giungono fino a rifiu-tare le attività didattiche, violando persino la disciplina.A loro volta, i docenti interpretano la resistenza degli allievi come una mi-naccia al loro ruolo; pertanto, elaborano un complesso di tecniche per assicurarel’ordine in classe e lo utilizzano a questo fine e, inoltre, cercano di concordare traloro un insieme di regole informali per tutelare la propria immagine. questa posi-zione sovraordinata degli insegnanti renderebbe necessariamente asimmetriche lerelazioni con gli studenti non solo sul piano dei comportamenti, ma anche su quellocomunicativo. Da questo punto di vista essi tendono a condurre in modo alquantodirettivo gli scambi verbali per cui, quando organizzano forme di dialogo con glistudenti adottano un itinerario che prevede una conclusione predeterminata verso laquale cercano di orientare in tutti i modi gli interventi degli allievi. 73 Benché l’autorità degli insegnanti sia indubbiamente notevole, non va tuttaviascambiata con un potere assoluto: infatti, gli studenti possiedono risorse importantiper negoziare dei compromessi con i docenti e dispongono di varie strategie per ri-durre l’asimmetria della relazione nei loro confronti. la conseguenza di questa si-tuazione è che gli insegnanti non si possono mai considerare sicuri, ma devono ri-conquistare la loro autorità giorno per giorno.Secondo la sociologia tradizionale a scuola/FP si imparano conoscenze e com-petenze teoriche e tecnico-pratiche e orientamenti ideali di comportamento. la po-sizione dell’interazionismo-fenomenologico è notevolmente diversa. infatti, i do-centi non formerebbero una categoria omogenea di professionisti sia sul piano delleconcezioni pedagogiche e didattiche, sia su quello degli ideali e dei valori, per cuitendono a insegnare contenuti contrastanti, se non contradditori, e che di conse-guenza esercitano un influsso molto limitato sugli studenti. Gli unici messaggi chetrasmetterebbero in maniera omogenea e convincente, sarebbero le norme di carat-tere pragmatico e situazionale che presiedono alle relazioni sociali, in particolarequelle che riguardano le forme più adeguate di agire in classe e di rapportarsi con idocenti e i propri compagni. in altre parole essi apprenderebbero: che nel contestoscolastico-formativo esistono attese precise riguardo ai comportamenti degli attoriivi operanti; che esse possono essere eluse, facendo ricorso a varie tecniche; chemanifestando un accordo apparente verso l’autorità, è possibile ottenere beneficinotevoli; che per conseguirli sono disponibili parecchie strategie.Un’ulteriore differenza tra la sociologia tradizionale e l’approccio interazio-nista-fenomenologico riguarda la concezione di socializzazione. Per la prima essaconsiste nel fatto che la scuola/FP trasmetterebbe i valori comuni su cui si basa lacoesione sociale; al contrario, per il secondo, ciò che conta da questo punto di vistaè la formazione a rapportarsi con il gruppo dei pari e con i superiori.in questo quadro teorico, va riportata la posizione dell’approccio in esame ri-guardo all’ipotesi della esistenza in ogni scuola/CFP di un curricolo nascosto. Se-condo l’interazionismo-fenomenologico, esso conviverebbe con quello formale deiprogrammi e comprenderebbe la domanda di comportamenti impliciti che le scuo-le/CFP indirizzano agli studenti. l’esito favorevole del percorso degli allievi dipen-derebbe tra l’altro dalla capacità di corrispondere con successo a queste richieste.Un ultimo punto riguarda le interpretazioni che essi offrono delle disegua-glianze di opportunità scolastico-formative secondo la classe sociale. Una primaspiegazione sottolinea i preconcetti dei docenti che si rapporterebbero diversa-mente agli allievi in base al loro background familiare. il pregiudizio verso quellidi condizione socio-culturale ed economica bassa dipenderebbe dalla sfiducia nelleloro capacità di apprendimento e queste attese sfavorevoli peserebbero negativa-mente sulla loro riuscita in quanto scatterebbe la logica della profezia che si auto-adempie.Per contrasto, conviene passare a considerare i meccanismi attraverso i quali ipreconcetti degli insegnanti faciliterebbero il successo degli allievi con un back- 74 ground familiare elevato. A parere degli studiosi dell’interazionismo-fenomenolo-gico, i docenti fornirebbero maggiore supporto agli studenti più bravi da cui siaspettano di conseguire soddisfazioni più grandi sul piano professionale. in se-condo luogo, le attese più positive degli insegnanti nei confronti degli studenti distatus più elevato vengono loro trasmesse e inciderebbero favorevolmente sul loropercorso formativo. A parità di conoscenze e di competenze i docenti darebbero va-lutazioni più elevate agli studenti rispetto ai quali nutrono maggiore fiducia. incontrario, bisogna riconoscere che mancano prove empiriche convincenti che i do-centi prestino una considerazione inferiore agli studenti meno capaci.Un’altra spiegazione sottolinea l’incidenza del gruppo dei pari. Gli studentidella classe operaia tenderebbero ad associarsi e a creare contro-culture antagonisterispetto alla cultura scolastica e riuscirebbero a convincere i propri compagni a nonimpegnarsi negli studi. Anche in questo caso mancherebbero prove empiriche che ilgruppo dei pari abbia una incidenza apprezzabile sul rapporto tra retroterra socio-culturale ed economico e successo scolastico-formativo.A modo di conclusione, si può tentare di redigere un bilancio finale. Global-mente si può affermare sul lato positivo che l’approccio interazionista-fenomenolo-gico recupera il protagonismo del soggetto, l’importanza dell’interazione e dellacomunicazione, il ruolo positivo della scuola/FP, la rilevanza della microsociologia.quanto a possibili punti discutibili, va evidenziato che esso rischia l’iper-relati-vismo (tutto si costruisce, non c’è nulla di dato) e la sottovalutazione della macro-struttura.Passando agli studi sulla scuola/FP, va riconosciuto che essi hanno dato un ap-porto importante alla sociologia dell’istruzione e della formazione in quanto hannoconsentito di prendere maggiormente coscienza della rilevanza dei processi che av-vengono in classe e delle interazioni tra docenti e studenti. Al tempo stesso vannoricordate alcune ipotesi meno convincenti come quella dell’autoritarismo dei do-centi o quella della natura asimmetrica della relazione docenti/studenti che è da uncerto punto di vista non superabile, in quanto nel processo di apprendimento non sipuò non riconoscere al docente un ruolo centrale, almeno su lato del servizio del-l’insegnamento, e perché l’apprendimento richiede una disciplina personale.questo però non significa che le relazioni tra docenti e studenti siano sempre ispi-rate a comportamenti direttivi da parte dei primi.Un’altra debolezza è riscontrabile nell’interpretazione della socializzazionescolastico-formativa. in società multiculturali e individualistiche come le attuali lascuola/FP incontra notevoli difficoltà a trasmettere concezioni strutturate e condi-vise di valori. Tuttavia, questo non vuol dire che la scuola insegni solo routinecomportamentali, ma la sua offerta formativa comprende anche competenze cogni-tive e criteri di orientamento morale.quanto alla questione delle disparità educative, gli studi sull’interazione sononel giusto quando mettono in risalto la centralità del docente e delle culture pre-senti in classe ed evidenziano le difficoltà delle famiglie di condizione socio-cultu- 75 rale ed economica bassa nel trasmettere codici linguistici, motivazioni e atteggia-menti che riescono ad assicurare ai loro figli il successo scolastico-formativo. Altempo stesso, le posizioni dell’interazionismo-fenomenologico sembrano non te-nere sufficiente conto delle variazioni delle opportunità culturali, sociali ed econo-miche in base alla classe e della diminuzione in atto dei pregiudizi verso gli stu-denti degli strati meno abbienti tra gli insegnanti. 1.7.4. Nuove forme culturali tra modernità e post-modernitàl’approccio interazionista-fenomenologico si situa nel quadro della transizioneculturale in atto tra modernità e post-modernità. la fine della seconda guerra mon-diale ha portato in Occidente (ma in varia misura nel mondo intero) ad esaltare l’i-deale di vita democratico, secondo la prospettiva illuministica occidentale, passatanell’opinione pubblica come “modernità”: la vita privata e pubblica sono state im-prontate secondo i canoni della scienza e della tecnica (Malizia e Nanni, 2010;Nanni, 2000; Malizia e Nanni, 2004). Tutto è stato visto e valutato alla luce dellarazionalità scientifica e tecnica, anche la vita religiosa. i prodotti industriali, realiz-zati su scala mondiale e venduti al mercato come beni di consumo (radio, televi-sione, auto, lavatrici, frigoriferi, lavastoviglie e in tempi più recenti computer e te-lefonini) hanno cambiato la vita quotidiana e i menage familiari in tutto il mondo.il loro possesso è in cima ai desideri di tutti, ricchi e poveri, in Occidente e in tuttele altre parti del mondo.E, tuttavia, dagli anni Settanta in poi queste stesse idealità hanno incominciatoa mostrare tutti i loro limiti (Vattimo, 1985; Taylor, 1994; Malizia e Nanni, 2010).Si è avuto un significativo spostamento dal politico al personale, dall’ideologico al-l’antropologico e poi dagli anni Ottanta all’ecologico. Sono entrate in crisi sia leideologie dello sviluppo illimitato sia quelle del cambio politico-strutturale: dopo ilfascismo e il nazismo, è finito anche il comunismo stalinista (la caduta del muro diBerlino e la fine dell’URSS ne sono due figure illuminanti). E lo stesso capita-lismo, che pure sembra il più capace di adattamento alle novità dei mutamenti sto-rici, è ciclicamente soggetto a crisi e offre i fianchi a periodiche contestazioni. E sisviluppa solo a spese di larghe fasce e luoghi di esclusione e con la riproduzione didislivelli di sviluppo tra Paesi ricchi e Paesi poveri, tra il Nord e il Sud del pianeta(e spesso all’interno degli stessi Paesi del sovrasviluppo).le grandi narrazioni “metafisiche”, i grandi miti dell’Occidente – come hascritto lyotard – non riescono più a difendere le loro pretese di assolutezza, di uni-cità ed egemonia veritativa, cioè di guida vera e ideale per tutti (1981).Ad un pensiero prevalentemente analitico, logico, dimostrativo si viene a con-trapporre (o a preferire) un pensiero più narrativo, più espositivo; alle concettualiz-zazioni generali si controbilanciano le molte forme dell’autobiografia, del saggioesplorativo attento alle sfumature, alle contaminazioni cognitive, ai giochi lingui-stici, alle ibridazioni dei punti di vista. l’assolutezza della scienza lascia il passo amodi di vedere e di esprimersi più “ermeneutici”(cioè insieme più soggettivi, più 76 interpretativi, più comprensivi). Si parlò per questo, negli anni Ottanta del secoloscorso di “pensiero debole” (Vattimo e Rovatti, 1983). Alle grandi ideologie, sullascena delle idee di moda, sono succedute i molti racconti, le più disparate offerte diconoscenza e di saperi. la perdita delle totalità significative spesso diventa defini-tiva. Frequentemente il frammento non si compone ulteriormente e scade nellaframmentazione irrelata (Augé, 1993; Pera, 1995; Mari, 1995).la secolarizzazione religiosa (cioè una vita sociale senza religione), più checome “logica conseguenza” del trionfo della scienza e dello sviluppo tecnologico,si è attuata a livello pratico, vale a dire nel senso che le menti e i cuori della gentesi sono rivolti più che altro al consumismo, al benessere e al divertimento ma,d’altro canto, ha provocato o comunque è stata controbilanciata da un ritorno difiamma del sacro, della magia, dei riti, di nuove forme di religiosità e da quella dif-fusa tendenza ad una religiosità soggettivistica e cosmica, che nelle società del so-prasviluppo o comunque in via di sviluppo ha avuto la sua classica espressione neimovimenti della New Age, della Next Age, nel ricorso a “guru”, a forme di pratichetra il religioso e la cura di sé. Si è parlato in Occidente di neopaganesimo e di poli-teismo post-cristiano, ma anche di mercato del sacro, di fiera dei misteri, di nuovipercorsi di religiosità e di mistica e di nuove denominazioni religiose (Volli, 1992;Terrin, 1992).Ciò non ha solo posto problemi alle religioni ufficiali, ma dice quanto l’atten-zione alla buona qualità della vita, al mondo delle emozioni e dell’affettivitàchiede di essere presa in considerazione in quanto non esaudita né dalle agenzietradizionali di senso (chiese, partiti, politica, scienza, tecnica), né da quella che èstata detta la “speranza tecnologica” (Nanni, 2000).Certamente lo statuto del sapere e del conoscere si è trasformato. Agli studidella mente e della logica c’è da affiancare quelli sull’intelligenza emotiva, dei bi-sogni, del desiderio. in questo clima si comprende come la coscienza della parzia-lità di ogni affermazione e della sua inevitabile configurazione storica e culturalevada bilanciata con la irriducibile pretesa di verità e certezza che ognuno viene adavere quando fa un percorso conoscitivo. il problema dell’identità va “composto”con quello della molteplicità, del pluralismo, della complessità, senza per forzaavere la sensazione teorica e pratica di cadute nel relativismo, nell’incertezza enella confusione “babelica” (a cui segue solo lo scetticismo) o nella perdita dell’i-dentità personale e etnico-culturale (Malizia e Nanni, 2010; Morin, 1995; Nanni,2000; Malizia e Nanni, 2004).questi movimenti dei processi storici dell’Occidente vengono a combinarsi e ascontrarsi con gli spostamenti delle popolazioni per i motivi più svariati, da quellidi tipo economico a cui si è accennato, a quelli di tipo politico, culturale, turistico,dando luogo al fenomeno della multicultura (o, per meglio dire, a società cultural-mente plurali) (Malizia e Nanni, 2010; Nanni, 2000; Malizia, Pieroni e Santos Fer-mino). Ciò viene a caratterizzare sempre più la vita interna delle nazioni e il quadrointernazionale (seppure non senza forme di difesa nazionalistica o localistica o con- 77 fessionale che possono arrivare alle forme del terrorismo o quanto meno alla nega-zione della possibilità pratica di un pluralismo religioso).in effetti si viene ad avere non solo la compresenza sullo stesso territorio dipersone o gruppi, diversi geneticamente, ma anche la coabitazione delle differenzeculturali, religiose, dei modi vita. il vortice “virtuale” della vicinanza ravvicinata edelle informazioni di eventi a subitaneo tempo reale, innescato dal sistema dellacomunicazione sociale e dalle nuove forme della telematica (internet, e-mail), ac-crescono notevolmente la portata del fenomeno.Ben presto non solo si hanno forme di “meticciamento” genetico, ma anche et-nico, culturale, religioso. Ma si vengono ad avere (o ad accrescere) grossi problemidi integrazione culturale e sociale a livello nazionale e internazionale.il pluralismo viene invocato e richiesto (prima ancora che vissuto concreta-mente) a tutti i livelli dell’esistenza intersoggettiva e sociale. Ma al contempo siviene spesso a mettere in crisi i tradizionali modelli di uomo, di cultura e di svi-luppo. le difficoltà attuali economico-politiche pongono in questione anche lamessa in atto di forme di dialogo interculturale che, senza scadere nel relativismoculturale e valoriale, permettano di dar luogo a dinamiche di arricchimento e di in-novazione non solo genetica ma anche appunto culturale, valoriale, religiosa.Certamente si pone in modo nuovo la questione della “cittadinanza”, il sensodell’appartenenza sociale, nazionale, religiosa, l’impegno di promozione umana ela partecipazione allo sviluppo mondiale (Malizia e Nanni, 2010; Orsi, 1998;Niemi, 1999; Birzea, 2000; Chistolini, 2006).Molti sperano che i diritti umani, nelle loro diversificate Dichiarazioni, purnate sotto il segno della compromissione politica storica internazionale, possanoessere visti come le “chiavi” dell’intercultura”, nel senso che in quanto acconsentitida tutti, vengono ad essere il “tramite” tra ciò che accomuna e ciò che differenzia,tra ciò che unisce e ciò che divide tra persone, gruppi, popoli, nazioni, nella pro-spettiva di una mondialità e di una umanità “comune” per quanto differenziata. Maoltre a una interculturalità a livello orizzontale, tra gruppi sociali etnicamente, cul-turalmente, religiosamente diversi, c’è da promuovere anche una interculturalità ditipo longitudinale, tra generazioni, al fine di bilanciare la distanza generazionalecon il dialogo intergenerazionale. Peraltro, ciò richiede di pensare a modelli di svi-luppo sostenibile in tempi lunghi oltre l’attuale congiuntura storica (dove la genera-zione adulta sembra trascinare nella propria crisi tutte le altre fasce generazionalidella popolazione mondiale).Entro questo quadro, gli approcci teorici alla sociologia dell’istruzione e dellaformazione tendono a spostare l’attenzione dal piano macro al micro, da una impo-stazione realista ad una relativista e a interessarsi della vita quotidiana (Giroux,1991; Popkewitz, 1998 e 2008; Sadovnik, 2002; Ballantine e Spade, 2008; Ballan-tine e Hammack, 2009; Ribolzi, 2012). il neofunzionalismo mira a coniugare l’or-todossia parsonsiana con paradigmi anche opposti: in particolare, ha accettato le in-terpretazioni conflittuali e ha riconosciuto la centralità delle diseguaglianze struttu- 78 rali. le teorie critiche hanno attaccato il carattere repressivo della cultura e dellasocietà occidentale, mettendo in evidenza soprattutto le distorsioni prodotte nellacoscienza e l’oppressione sessuale. Nelle versioni post-strutturalista e post-mo-derna esse hanno affermato la natura frammentata della realtà sociale, la superioritàdel paradosso, della diversità, dell’ambiguità e del caso, l’attenzione al contesto lo-cale. le posizioni interpretative si sono mosse o nel senso del rifiuto di ogni teoriatotalizzante e dell’accettazione di una pluralità di metodi o nella direzione della va-lorizzazione della coscienza, della creatività e dell’emozionalità. 79 Parte seconda 2. Le tematiche principali Nell’introduzione ho già accennato che, dopo aver delineato nella prima partele teorie principali, nella seconda mi occuperò dei nodi più rilevanti che la socio-logia dell’istruzione e della formazione ha affrontato (Ardigò, 1966; Barbagli,1978a; Milanesi, 1997; Morgagni e Russo, 1997; Benadusi, 1984; Fourquin, 1997;Sadovnik, 2002; Benadusi, Censi e Fabretti, 2004; Besozzi, 2006; Fischer, 2007;Ballantine e Spade, 2008; Ballantine e Hammack, 2009; Arum, Beattie e Ford,2011; Ribolzi, 2012). il primo, anche in ordine temporale, è quello dei rapporti conla stratificazione sociale e l’interrogativo di fondo è se la scuola/FP riesca a ridurrele diseguaglianze oppure contribuisca a riprodurle sostanzialmente così come sonopresenti nel sistema sociale. Un altro problema nodale riguarda le relazioni con ilsistema politico e ci si può chiedere se l’istruzione e la formazione riescano a edu-care cittadini consapevoli e partecipi, capaci di un atteggiamento critico-costruttivoverso l’autorità politica, o si limitano a preparare sudditi sottomessi e passivi neiconfronti del potere. Un terzo interrogativo può essere sintetizzato nel dilemma: unPaese è ricco perché è istruito o è istruito perché è ricco? l’ultima sezione si sof-ferma sulla scuola stessa, analizzandola nella sua duplice dimensione di organizza-zione formale e di sistema sociale e approfondendo da un punto di vista sociolo-gico la situazione del suo motore principale, la professione docente. 2.1. istruzione, formazione e stratificazione sociale Nelle società complesse e multiculturali nelle quali viviamo, l’educazione staassumendo una posizione centrale. Gli studi a medio e a lungo termine coincidonoin generale su una previsione: l’avvio del terzo millennio si caratterizza per unavera esplosione delle conoscenze in tutti i campi; in altre parole, ricerca, sapere eformazione assurgono a fondamento del sistema sociale e non sono più soltanto fat-tori di sviluppo (Malizia, 2008b). in questo quadro diviene cruciale l’acquisizionedi una preparazione culturale e professionale elevata e della capacità di autoforma-zione continua. Pertanto, i sistemi educativi si pongono con sempre maggiore chia-rezza l’obiettivo di portare la totalità dei giovani al livello più alto di competenza.Tale finalità si scontra, tra l’altro, con l’inquietante fenomeno dell’insuccesso sco-lastico e formativo e della sua distribuzione diseguale nella popolazione giovanilesecondo caratteristiche ascritte come la classe sociale, il sesso o l’origine etnica. 80 il problema appena evocato trascende i limiti non solo di una singola Nazione,ma anche di un gruppo di Nazioni, per assumere una portata mondiale (Sadovnik,2002; Antikainen e Torres, 2003; Besozzi, 2006; Fischer, 2007; Ballantine e Spade,2008; Ballantine e Hammack, 2009; Arum, Beattie e Ford, 2011; Ribolzi, 2012).Nel prosieguo offrirò al riguardo alcuni dati che si riferiscono soprattutto all’italia,ma non solo; successivamente cercherò di definire il concetto di eguaglianza delleopportunità scolastiche e formative; in terza battuta, presenterò sia la teoria delladeprivazione culturale che nell’ambito della sociologia dell’istruzione e della for-mazione è la più antica spiegazione delle disparità e anche la più nota, sia il dibat-tito che, innescato da alcune grandi inchieste empiriche, ha messo in discussionetale interpretazione; la quarta sezione è dedicata ai tentativi che altre teorie hannoeffettuato per chiarire il nodo problematico in questione; nella quinta parte esami-nerò le variabili microstrutturali della disparità sociali nelle opportunità scolastichee formative, mentre nella breve conclusione finale richiamerò quegli orientamentiche ora sembrano prevalenti. 2.1.1. Dati e tendenzeTra i punti deboli della situazione italiana in questo ambito, emerge quellodella percentuale di abbandono scolastico e formativo della coorte 18-24 anni chenel 2010 si colloca al 18,8% rispetto al 14,1% dell’Unione Europea (istat, 2012;Censis, 2011). inoltre, se la percentuale si abbassa al 16,2% nel Centro-Nord, essasi eleva al 22,3% nel Sud e nelle isole e raggiunge un quarto del gruppo di età cor-rispondente nelle isole dove si tocca il 25,6%. questo andamento è ancora piùpreoccupante se lo si collega con il basso livello di qualificazione della popola-zione tra i 25 e i 46 anni che registra solo un 52,3% in possesso di un titolo di istru-zione secondaria superiore, ossia quasi 20 punti percentuali in meno rispetto allamedia europea e 40 in paragone dai Paesi più avanzati in questo settore (Giancola,2008; Duru-Bellat e Suchaut, 2008).Negativo è anche il quadro della dispersione formativa. in proposito, si può ri-chiamare il nodo problematico costituito dai 120 mila soggetti del gruppo di età 14-17 anni che si trovano in tale situazione: essi rappresentano più del 5% del com-plesso dei giovani nel condizione del diritto-dovere. Per la precisione occorrerebbetener conto della grande maggioranza degli apprendisti in situazione del diritto-do-vere in quanto anche loro non frequentano percorsi formativi: pertanto, il rapportoisfol stima in ben 150-155 mila i giovani che non sono iscritti in nessun percorsoformativo formalizzato (2008). inoltre, la percentuale di quanti sono nella condi-zione di evasione dal diritto-dovere, che a livello nazionale si colloca al 5,1%, di-viene l’8% nel Meridione, mentre scende al 4,1% nel Centro, al 3,9% nel Nord-Ovest ed è veramente marginale nel Nord-Est (0,6%). infine, i due terzi di coloroche si trovano in una situazione di dispersione abitano nell’italia Meridionale.Scendendo più nei particolari, si può dire che il problema della dispersione hasubito un cambiamento significativo nelle decadi recenti, in quanto a una riduzione 81 consistente degli abbandoni, in particolare nella secondaria di 1° grado, ha corri-sposto una crescita delle bocciature (Besozzi, 2009; Ministero della Pubblica istru-zione, 2008). le percentuali relative a quest’ultimo fenomeno si collocano al 3,2%nella media, ma salgono a ben 14,2% nella secondaria di 2° grado. inoltre, latransi zione da un livello del sistema a un altro costituisce un altro serio problemanel senso che i bocciati in prima media rappresentano il 4% del totale e la percen-tuale si alza al 18,9% nella prima classe della secondaria di 2° grado. Da ultimo,l’insuccesso risulta particolarmente preoccupante negli istituti professionali con il23,8% di non ammessi all’anno successivo e nei tecnici con il 17,8%.Dal punto di vista della tematica di questo articolo è anche importante richia-mare altri due dati che si riferiscono alla situazione dell’eguaglianza e della mobi-lità nel nostro Paese (Abravanel, 2008; Salvia, 2009; Checchi, 2006; Siniscalco,2008). Globalmente va osservato che l’italia anche in questo caso si presenta in unagrave condizione problematica perché mette insieme alta diseguaglianza e bassamobilità. È bene comunque procedere con ordine.il rapporto che le Nazioni Unite pubblicano sulle risorse umane evidenzia chetra i Paesi dell’Occidente l’italia si distingue per un triste primato nel senso che,subito dopo gli Stati Uniti e il Regno Unito, viene lei nella classifica per livello didisparità sociale (Human Development Report, 2006; Abravanel, 2008). Nel nostroPaese il rapporto tra il reddito del 10% più ricco e quello del 10% più povero sicolloca all’11,6%: come si è già anticipato sopra, esso è inferiore a quello degliStati Uniti e del Regno Unito che raggiungono rispettivamente il 15,9% e il 13,8%;tuttavia, tale tasso è più elevato di quello della Francia (9,1%), della Germania(6,9%), della Svezia (5,2%) e del Giappone (4,5%). Anche l’applicazione di unaltro indice, il Gini1, porta alle medesime conclusioni in quanto nell’ordine si tro-vano gli Stati Uniti (40,8) al primo posto, seguiti da italia e Regno Unito alla pari(36), mentre altri Stati dell’Europa mostrano delle cifre inferiori (per esempio Ger-mania 28 e Danimarca 24).i risultati riguardo alla mobilità sociale non sono certamente migliori per cuil’italia viene ad occupare una delle posizioni più basse nel panorama dei Paesiavanzati (Abravanel, 2008). indubbiamente, negli anni ’60 nel periodo del “boomeconomico” si è realizzato in italia un cambio epocale in quanto da società agricolasi è trasformata in una industriale, dando luogo a una forte mobilità strutturale.questo andamento non ha prodotto gli effetti aspettati perché le posizioni relativesono rimaste sostanzialmente inalterate, per cui si può dire che in generale ciascunoè rimasto al proprio posto. E i dati lo confermano perché per esempio la probabilitàper i figli di operai nell’industria di giungere ad una posizione di responsabilità èdel 13,3% rispetto 14% della Francia, al 15,3% dell’inghilterra, al 19,4% dellaSvezia e al 20,6% degli Stati Uniti. in altre parole, nel nostro Paese le famiglie 1 l’indice Gini serve a misurare le disparità per cui più tale indice è alto e più grande è la dise-guaglianza. 82 delle classi sociali superiori si dimostrano particolarmente efficaci nel difendere ipropri figli da sbocchi sociali poco vantaggiosi. Anche dal punto di vista della mo-bilità intragenerazionale (le variazioni del reddito durante il corso della vita), oltreche di quella intergenerazionale (il confronto tra il reddito dell’individuo e quellodella sua famiglia), la situazione non è migliore: infatti, le probabilità di raggiun-gere posizioni di responsabilità partendo dalla condizione di operaio sono del3,2%, ma salgono al 10,6% nell’inghilterra, all’11% in Francia, al 12,8% negliStati Uniti e al 14,3% nella Svezia.Dall’esame dei dati e delle tendenze è possibile proporre una prima conclu-sione (Besozzi, 2009). Nel ripensare la relazione tra eguaglianza, merito e suc-cesso, bisogna liberare il campo dall’equivoco che per realizzare l’eguaglianza nonsi debba tener conto delle diversità tra le persone. infatti, dietro questa imposta-zione si trova una concezione inadeguata di eguaglianza che la identifica con l’uni-formità e quindi non è accettabile anche perché l’applicazione in concreto di questavisione non porta all’eliminazione delle disparità che tendono a conservarsi benchésotto nuove forme. in proposito è sufficiente richiamare i dati sulla frequenza deivari tipi di secondaria superiore e trovare confermata una stretta relazione tra strati-ficazione sociale, scelte e risultati perché i diversi indirizzi accolgono studenti ilcui retroterra familiare è correlato con il prestigio sociale della scuola a cui sonoiscritti. in tale quadro non si può non concordare con la seguente osservazione: «Fi-nora, la risposta agli abbandoni è stata “più scuola”, ma questo equivarrebbe a daread un malato dosi maggiori di una medicina che ha già dimostrato di non fare ef-fetto; più recentemente, si è pensato a “scuola diversa” (con i soliti rischi ideologicidi percepire le diversità come disuguaglianze in una scala gerarchica) ma, a mioparere, la risposta giusta sarebbe una “non scuola” […]» (Ribolzi, 2009, p. 98). in questo contesto, va notato che, sebbene l’influsso dei fattori economicitenda a ridursi, tuttavia, nelle ultime decadi si è accentuata quella del retroterraculturale della famiglia, in particolare del titolo di studio dei genitori. Pertanto, sipuò affermare che la diversa condizione economica e in particolare culturale checaratterizza gli studenti tende a incidere fortemente sul merito di ciascun allievoper cui in italia il sistema educativo continua a svolgere un ruolo di riproduzionedel capitale culturale che ogni alunno si porta in classe. 2.1.2. Eguaglianza delle opportunità scolastiche e formativeil modello di organizzazione che ha dominato nei Paesi sviluppati fino alla se-conda guerra mondiale è dato dalla politica della scuola a 2 o 3 vie parallele, cia-scuna adatta ai bisogni di una diversa classe sociale (Besozzi, 2009; Malizia, 1973,1991 e 2009). in pratica si aveva da una parte la scuola elementare per la massadegli operai, mentre per gli studenti della classe dirigente erano predisposti l’inse-gnamento secondario umanistico e l’università. Nel tipo puro della struttura inesame, l’élite accedeva all’insegnamento secondario umanistico mediante la scuolapreparatoria privata, per cui tra la scuola per la massa degli operai e per la classe 83 dirigente non esisteva alcun punto di contatto. la terza via venne progettata per laclasse che era incominciata ad emergere alla fine del secolo XiX e che compren-deva gli impiegati e i dirigenti di piccole imprese: per i loro figli la formazione ele-mentare venne allungata con l’aggiunta dell’insegnamento secondario breve.la concezione cosiddetta liberale dell’eguaglianza delle opportunità è natacome reazione alla politica delineata precedentemente e ha dominato nel campoteorico e delle realizzazioni pratiche fino a tutti gli anni ’60 del secolo scorso (Be-sozzi, 2009; Malizia, 1973, 1991 e 2009). Sul piano psicologico essa parte dai pre-supposti dell’innatismo: ogni uomo possiede dalla nascita certe doti, qualità e atti-tudini che rimangono relativamente costanti e che possono essere individuate consufficiente precisione nella prima età. Un altro assunto è costituito dall’ideale meri-tocratico della società secondo cui il criterio di selezione per la classe dirigente nonè più la nascita, le ricchezze o le relazioni personali, ma è rappresentato dai meritidell’individuo, più precisamente dalle sue prestazioni scolastiche in quanto misu-rate da criteri ritenuti oggettivi, come test di intelligenza, di profitto e voti. Sul piano delle politiche di istruzione e di formazione, l’impostazione liberalepuò essere sintetizzata nei termini seguenti: la scuola/FP deve assicurare a tuttil’accesso alle risorse educative e deve offrire sempre a tutti un trattamento identicoindipendentemente dalla classe sociale. Suo compito è di rimuovere i condiziona-menti esterni economici e geografici i quali si frappongono a che gli studenti dibassa estrazione familiare possano sfruttare adeguatamente le loro qualità innate ecosì salire la scala della gerarchia sociale. in breve la concezione in esame attri-buiva all’istruzione e alla formazione un ruolo relativamente passivo: la sua fun-zione è di mettere a disposizione di tutti gli allievi eguali occasioni per svilupparele proprie capacità, ma grava sullo studente e in parte sulla sua famiglia l’obbligodi trarre il massimo vantaggio dalle possibilità offerte. le politiche dell’eguaglianza e del merito corrispondenti alla concezione inesame sono sostanzialmente due: espansione del numero degli iscritti e la scuolaunitaria articolata. la prima strategia può essere sintetizzata in due proposizioni:istruzione elementare e secondaria per tutti; istruzione superiore accessibile a tuttisulla base del merito. in proposito, la ricerca ha dimostrato che una crescita quanti-tativa del sistema educativo, anche notevole, avvantaggia gli studenti degli am-bienti privilegiati, mentre la proporzione degli alunni della classe sociale inferioresul totale degli iscritti rimane pressoché inalterata. Solo quando le famiglie deglistrati superiori e medi hanno usufruito dei nuovi posti alunno in maniera piena equel dato tipo di insegnamento è offerto praticamente a tutti, allora gli allievi svan-taggiati possono trarre beneficio dall’espansione del numero degli iscritti. A questopunto, tuttavia, la incidenza dell’origine sociale può essere ristabilita mediante l’a-dozione di un’organizzazione scolastica selettiva.la seconda strategia che corrisponde alla concezione liberale è data dallascuola unitaria articolata, o “comprehensive” o a tronco comune con opzioni, odorizzontale, con cui si è tentato di ovviare alle difficoltà ricordate sopra. È organiz- 84 zata in base ai seguenti principi: eliminazione della selezione nell’ammissione allasecondaria e di ogni selezione precoce; una medesima scuola per gli alunni dellostesso gruppo di età e non vari tipi di scuola; un curricolo comune a tutti gli alunni.Benché la politica della scuola unitaria articolata sia stata adottata in molti Paesi,tuttavia il modo in cui è stata realizzata spesso contiene dei meccanismi di sele-zione coperta. Per esempio ricerche compiute negli Stati Uniti hanno dimostratoche tale modello, in quanto si limita ad assicurare un trattamento identico per tutti,non riesce a garantire ai diversi gruppi sociali eguali possibilità di riuscita nellavita. Per tutta la durata della scuola a tronco comune con opzioni, l’ambiente so-ciale gioca un ruolo secondario, ma appena riappare la selezione o per l’universitào per il lavoro, gli studenti provenienti da gruppi privilegiati tornano ad essere fa-voriti. A riprova di queste affermazioni si può citare il Rapporto Coleman (Colemanet alii, 1966; Besozzi, 2009), di cui parlerò più ampiamente in seguito. Negli StatiUniti, a circa 645.000 alunni tra i 6 e i 17 anni sono stati somministrati test di pro-fitto e in tutte le prove applicate i punteggi medi degli alunni bianchi erano sostan-zialmente superiori a quelli degli alunni delle minoranze; questi risultati significa-vano che al termine della scuola unitaria articolata, quale esistente negli Stati Uniti,gli studenti degli ambienti privilegiati mantengono in media il loro vantaggio, intermini di possibilità di riuscita nella vita, sugli allievi dei gruppi minoritari. la seconda concezione cosiddetta “sociologica” o “radicale” dell’eguaglianzadelle opportunità scolastiche e formative è emersa da una considerazione critica deirisultati delle politiche della posizione “liberale” (Besozzi, 2009; Malizia, 1973,1991 e 2009). Essa ritiene che non sia sufficiente garantire a tutti l’accesso allascuola, ma che sia necessario assicurare l’eguaglianza dei risultati al termine delprocesso di insegnamento-apprendimento in modo che le possibilità di riuscitanella vita siano distribuite in maniera comparabile tra allievi di gruppi sociali di-versi. inoltre, non bastano scuole eguali per tutti, cioè che le scuole dei poveri ab-biamo le medesime risorse di quelle dei ricchi, ma si richiedono scuole egualmenteefficaci tali cioè da compensare le differenze tra allievi di origine sociale diversa.l’eguaglianza delle possibilità nell’istruzione non significa eguaglianza di tratta-mento, ma eguale possibilità di essere trattato in maniera diversa per poter realiz-zare le proprie capacità. la concezione “radicale” attribuisce alla scuola un ruolopiù attivo per cui, stando ai suoi sostenitori, la responsabilità dell’insuccesso dell’a-lunno ricade sul sistema educativo più che sullo studente e/o la sua famiglia. Altempo stessa essa respinge il mito illuminista che la scuola possa tutto: la scuolanon può da sola risolvere i problemi dell’ineguaglianza, se al tempo stesso nonvengono previsti interventi decisi sulle cause dello svantaggio che esistono nellasocietà, al di fuori della scuola. le principali politiche corrispondenti alla concezione “sociologica” o “radi-cale” sono soprattutto le seguenti tre: l’istruzione di tipo compensativo per ovviareal ritardo nello sviluppo di cui soffrono i figli delle famiglie povere; la scuola uni- 85 taria articolata resa più efficiente mediante l’introduzione di alcune innovazioni;l’educazione in alternanza o ricorrente, intesa ad assicurare a tutti la possibilità diriprendere la propria formazione in età adulta. il quadro di riferimento di questi tretipi di intervento è dato dalla strategia globale dell’educazione permanente, la qualeprende le mosse dall’idea di una società integralmente educativa in cui le funzionidell’insegnare e dell’apprendere non sono più il monopolio di una istituzione, lascuola, di una specifica categoria professionale, gli insegnanti, e di una particolareetà, la giovinezza, ma l’educazione è intesa come un processo che si estende allavita umana nella sua interezza e in cui interviene tutta la società. A partire dagli anni ’80 si è gradualmente realizzato un allargamento del prin-cipio dell’eguaglianza delle opportunità educative, caratterizzato prevalentementedai tratti della quantità, dell’uniformità e dell’unicità, fino a comprendere gliaspetti della qualità, della differenziazione e della personalizzazione. Pertanto, nonbasta assicurare l’accesso di tutti all’istruzione e l’eguaglianza dei risultati fra i varistrati sociali, ma è necessario garantire il diritto a un’istruzione di qualità (Besozzi,2009; Malizia, 1991, 2008 e 2009). Nella stessa prospettiva si dovrà anche contemperare unità e diversità, tutelaed eccellenza. Ambedue i poli esprimono esigenze valide e rilevanti: da una partela difesa dei più deboli, la giustizia e l’oggettività e dall’altra la qualità, l’efficienzae la personalizzazione. la composizione non è impossibile, ma di fatto nel passatoanche recente si è preferito rifugiarsi nell’uniformità di comportamenti e di tratta-menti. l’uniformità però non garantisce l’eguaglianza delle opportunità e la prote-zione delle fasce più deboli. ignorando le differenze, vengono lasciate intatte ledise guaglianze esistenti di fatto e, inoltre, risulta alla fine premiata la mediocrità dichi non fa niente oltre il minimo. A maggior ragione l’uniformità non assicura laqualità perché non riesce a utilizzare la vivacità diffusa alla base come stimolo espinta all’innovazione del sistema.Un altro orientamento è consistito nel potenziamento della scuola come istitu-zione della comunità. la riduzione e l’eliminazione delle diseguaglianze di oppor-tunità non possono essere realizzate senza il coinvolgimento dei gruppi che sof-frono direttamente dell’impatto della disparità. Pertanto, è imprescindibile che glistrati emarginati partecipino alla gestione delle singole unità scolastiche o forma-tive, assumendo un ruolo attivo nella loro conduzione e, in particolare, nella lottaalle diseguaglianze. la scuola deve divenire veramente scuola di tutta la comunità,cioè essere per la comunità e della comunità, come al tempo stesso la comunità èper la scuola e della scuola. Da una parte, la scuola andrà orientata alla formazionedei singoli membri della comunità e alla crescita civile dell’intera comunità; diconseguenza può contare sulla collaborazione della comunità per realizzare le suefinalità. Contemporaneamente, la comunità mette a disposizione della scuola le suerisorse e prende parte democraticamente e responsabilmente alla sua vita e ge-stione. il concetto di eguaglianza delle opportunità educative mentre si è esteso e di- 86 versificato sul piano dei contenuti, ha dato vita in riferimento ai soggetti tutelati aprincipi autonomi. in proposito si può ricordare, anzitutto, quello dell’eguaglianzatra i sessi. in generale, se è vero che l’eguaglianza formale tra l’uomo e la donna èstata sostanzialmente raggiunta, non si può dire lo stesso per l’eguaglianza delleopportunità, rispetto alla quale gli sforzi compiuti non hanno portato a risultati pie-namente soddisfacenti. Un altro principio che è legato strettamente all’eguaglianzadelle opportunità è rappresentato dall’educazione interculturale. Esso consiste nellamessa in rapporto delle culture, nella comunicazione reciproca, nella interfeconda-zione, mentre esclude l’assimilazione. Rientra nello stesso quadro il principio dellaintegrazione dei disabili nella scuola ordinaria, che può essere enunciato nei se-guenti termini: rispondere ai bisogni di tutti gli alunni e di ciascuno; dare rispostedifferenziate perché gli alunni sono diversi; fornirle generalmente all’interno dellascuola ordinaria. 2.1.3. La teoria della deprivazione culturale e le grandi inchieste degli anni ’60-’70Nelle sezioni precedenti ho mostrato che le disparità di opportunità formativecostituiscono un nodo problematico di tutti i sistemi educativi e ho cercato di chia-rire il significato che l’eguaglianza può assumere in questo campo. Nel prosieguo,invece, concentrerò l’attenzione sulle spiegazioni di questo fenomeno preoccupanteche minaccia da vicino la realizzazione di un diritto fondamentale della personaumana. a. La deprivazione culturale (anni ’50-’60)la teoria principale che è stata avanzata per prima è senz’altro quella della de-privazione o dello svantaggio culturale che è stata elaborata nell’ambito della pro-spettiva funzionalista (Barbagli, 1978; Benadusi, 1984; Malizia e Chistolini, 1985;Morgagni e Russo, 1997; Sadovnik, 2002; Besozzi, 2006; Fischer, 2007; Ballantinee Spade, 2008; Ballantine e Hammack, 2009; Arum, Beattie e Ford, 2011; Ribolzi,2012). Secondo questo approccio, le maggiori difficoltà di riuscita che incontranogli allievi dei ceti bassi sarebbero da attribuire a tratti culturali negativi dell’am-bien te familiare: tali studenti risulterebbero, infatti, privi dei valori, delle aspira-zioni e di quella ricchezza di conoscenze extrascolastiche che costituiscono la ra-gione profonda del suc cesso dei loro compagni degli strati medi o alti. Alla scuola,invece, potrebbero essere addossate solo responsabilità marginali e il suo ruoloconsisterebbe nel rimediare alle carenze della fami glia.Alcuni funzionalisti hanno tentato di ridimensionare la teoria in questione, ri-cercando le cause a monte della diversità tra le classi negli orientamenti di valore enel comportamento verso i figli, indagando cioè sul modo con cui le opportunità ele esperienze di vita di ciascuno strato sociale orientano le persone verso differentivisioni del mondo. la mancanza di sicu rezza e le minori possibilità di carriera pro-prie dei lavori manuali tendono a deprimere le attese dell’operaio; il senso di impo-tenza nel cambiare le sue condizioni lo spinge a ritenere che il mondo sia dominato 87 da forze cieche le quali superano ogni controllo umano; l’inferiore status socialedel lavoro non spe cializzato abbassa la stima che il lavoratore nutre verso se stesso.in questa situazione se è vero che l’insuccesso scolasti co dei giovani dei ceti bassidipende da tratti culturali negati vi dell’ambiente familiare, è anche vero che la mo-desta cultura degli strati sociali inferiori non va rapportata a una presunta responsa-bilità delle classi meno abbienti, ma è da attribuirsi alle strutture ingiuste della so-cietà.Più acutamente è stato osservato da altri funzionalisti che si può parlare di unacultura inferiore delle classi operaie non in senso assoluto, ma solo in relazione al-l’attuale situazione del sistema sociale che è dominato da determinati ceti e dallaloro cultura. in tale contesto la funzione della scuola non consisterebbe nel farsiagenzia di indottrinamento né della cultura capitalista né della nuova cultura prole-taria; al contra rio essa dovrebbe presentarsi come mediatrice tra le due culture innome della verità e della scientificità.b. Il Rapporto Coleman (1966) Alla fine degli anni ’60 la teoria della deprivazione cultu rale è stata messa indiscussione sul piano teorico e della ri cerca empirica. Fra le indagini che per primehanno espresso forti critiche all’interpretazione appena menzionata, va ricordatoanzitutto il Rapporto Coleman (Coleman et alii, 1965; Mali zia e Chistolini, 1985;Morgagni e Russo, 1997; Sadovnik, 2002; Besozzi, 2006; Fischer, 2007; Ballantinee Spade, 2008; Ballantine e Hammack, 2009; Arum, Beattie e Ford, 2011; Ribolzi,2012). Si tratta di un’indagine che era stata commissionata dal governo federaledegli Stati Uniti per giustificare un massiccio intervento nell’educazione al fine dipotenziare quan titativamente ed elevare qualitativamente il livello della forma zioneofferta agli studenti delle minoranze etniche. Ci si atten deva pertanto che la ricercaavrebbe verificato sul piano empiri co due affermazioni largamente condivise nelmondo pedagogico statunitense, e cioè: che le risorse – corpo docente, attrezzatu ree mezzi finanziari – delle scuole frequentate dai gruppi raz ziali minoritari erano in-feriori a quelle dei bianchi e che tale disparità spiegava l’insuccesso degli allievi dicolore.Contrariamente alle aspettative il Rapporto Coleman non è riuscito a provarele due ipotesi. Anzitutto, lo scarto tra le scuole dei bianchi e dei negri, benché leg-germente favorevole alla prime, risultava assai ridotto e si rivelava inferiore anchealle differenze territoriali – Nord/Sud, aree metropolitane e non – tra le scuole.quanto poi alla relazione tra successo e risorse, va premesso per una migliore com-prensione dei dati che nel quadro della ricerca sono stati somministrati test di pro-fitto a 645.000 alunni tra i 6 e i 17 anni che frequentavano le classi 1a, 3a, 6a, 9a, 12adi 4.000 scuole: come si è già ricordato sopra, in tutte le prove applicate i punteggimedi degli alunni bianchi sono sempre risultati sostanzialmente superiori a quellidegli allievi delle minoranze, rispetto ai quali si è anche constatato un abbassa-mento progressivo dei livelli di riuscita tra il 1° e il 12° anno di corso. Secondo la 88 ricerca, la proporzione maggiore delle differenze riscontrata nei test a favore deglialunni bianchi rispetto ai compagni negri sarebbe da attribuirsi alla diversa apparte-nenza di classe degli allievi; occupava il posto immediatamente successivo nellaspiegazione del divario la composizione sociale del corpo studentesco, mentre eser-citerebbero una scarsa incidenza i fattori scolastici quali le caratteristiche degli in-segnanti, le attrezzature o le spese per alunno. Coerentemente con i risultati dell’in-dagine il Rap porto Coleman raccomandava, come strategia principale per ridurre ledisparità nell’istruzione, l’integrazione delle scuole su basi razziali; al contrario,venivano espressi seri dubbi circa l’ef ficacia di politiche rivolte ad accrescere le ri-sorse scolasti che.Venendo ora a una valutazione, va riconosciuto al Rapporto il merito di riaffer-mare l’esistenza di una stretta connessione tra il successo scolastico e l’origine so-ciale dell’allievo e di mettere in discussione la fiducia quasi magica che si nutrivanei confronti dell’azione della scuola/FP. Esso ha posto anche le basi della conce-zione “sociologica” o “radicale” dell’eguaglianza delle opportunità di cui ho par-lato sopra. Piuttosto discutibili appaio no, invece, le conclusioni relative all’irrilevanza deifattori scolastici sulla riuscita degli allievi. È stato osservato che la ricerca si è ser-vita delle caratteristiche più superficiali e visibili della scuola per misurarne l’effi-cacia e, pertanto, non è riuscita a cogliere gli aspetti qualitativamente più impor-tanti del suo funzionamento interno. le mancate risposte da parte delle scuolehanno raggiunto una percentuale molto elevata, che nella secondaria superioretocca il 40%, e soprattutto i rifiuti non sarebbero distribuiti a caso: una porzionecospicua delle scuole del centro delle grandi citta, le meno dotate cioè di risorse,non avrebbero partecipato alla ricerca, mentre sarebbero sovrarappresentate lescuole delle aree suburbane, notoriamente meglio attrezzate. le spese per alunnosono state calcolate su base distrettuale invece che di scuola e le medie, elaboratein riferimento a un territorio comprensoriale, possono aver livellato le differenzetra le scuole, che variano invece secondo le caratteristiche sociali della comunità,per cui appare ridimensionato l’effetto delle spese per alunno sulla riuscita scola-stica degli allievi. È stato anche rilevato il contrasto esistente tra i risultati del Rap-porto Coleman e varie ricerche anteriori e successive a proposito dell’incidenza deifattori scolastici. inoltre, sono state contestate le affermazioni del Rapporto sull’im-portanza del corpo studentesco: le scuole nelle quali si è realizzata l’integrazionerazziale non costituirebbero un campione rappresentativo, ma si sarebbe verificatoun fenomeno di scelta reciproca tra genitori e studenti della maggioranza e delleminranze che renderebbe non generalizzabili i risultati. c. La ricerca di C. Jencks et alii (1972)Ancora più radicali del Rapporto Coleman si rivelano le conclusioni della ri-cerca di Jencks et alii che ha riesaminato i risulta ti delle più importanti indagini so-ciologiche, economiche e psicologiche sull’argomento per tentare una misurazione 89 più completa e precisa dell’influsso della scuola e della famiglia: non solo l’istru-zio ne, ma anche l’origine sociale presenterebbe un impatto molto limitato sulle va-riazioni di reddito e sulle diseguaglianze sociali (Jencks et alii, 1973; Barbagli,1978; Benadusi, 1984; Malizia e Chistolini, 1985; Morgagni e Russo, 1997; Bal-lantine e Spade, 2008; Ballantine e Hammack, 2009; Arum, Beattie e Ford, 2011).Viene ribadito in accordo con il Rapporto Coleman che, anche se le differenze qua-litative tra le scuole venissero ridotte, non si riuscirebbe a diminuire sostanzial-mente le diseguaglianze dei risultati nei test di modo che l’adozione di politichecompensative a favore dei ragazzi svantaggiati non servirebbe a migliorare il loroprofitto. la causa principale delle diseguaglianze economiche non risiederebbeneppure nella diversità delle capacità intellettuali, perché la differenza di reddito tradue individui presi a caso sarebbe tre volte più grande dello scarto fra due personeil cui quoziente intellettuale differisce di 17 punti – che è il divario abituale tra dueindividui scelti a caso. inoltre, non si può affermare che l’origine sociale sia deci-siva. Anzitutto, la povertà non sarebbe primariamente ereditaria: infatti, una fami-glia il cui reddito si situa al di sotto della media trasmetterebbe ai propri figli soloun terzo del proprio svantaggio, per cui molti genitori poco abbienti contano tra ifigli persone con reddito elevato e viceversa. in secondo luogo, se tra due individuipresi a caso il reddito differiva in media 6.200 dollari nel 1968, fra due fratelli lacifra non risulterebbe molto diversa, più precisamente sarebbe di 5.600 dollari; per-tanto, ammesso pure che i dislivelli nell’origine sociale venissero ridotti alle diffe-renze osservate tra fratelli, non si riuscirebbe per ciò stesso a realizzare un’egua-glianza reale nella vita. «la ineguaglianza non è essenzialmente ereditaria; essa siricrea in ogni generazione» (Bane e Jencks, 1978, p. 342). la riuscita di una per-sona sareb be dovuta a un complesso di fattori diversi dal quoziente intel lettuale,dalla posizione di classe e dalla formazione ricevuta; tali condizionamenti di cuinon si conoscerebbe la natura vengono indicati globalmente con la parola “luck”,fortuna, caso.Dato che la riforma della scuola/FP non sembra destinata ad esercitare alcuninflusso sulle diseguaglianze sociali, gli unici obiettivi realistici che le si possonoassegnare, sarebbero di non recar danno alla società e, a breve termine, di renderepiù felice la vita degli alunni, degli insegnanti e dei genitori. Più generalmente, sic-come le diversità genetiche, le differenze psicologiche e culturali tra le famiglie ele disparità nella qualità delle scuole non paiono condizionare in maniera rilevantele diseguaglianze nei redditi, qualora si voglia realmente realizzare la parità sulpiano socio-economico, bisognerà intervenire direttamente nel mercato del lavoroper ridurre le differenze nelle retribuzioni, rendere le imposte più progressive, for-nire gratuitamente i servizi pubblici ai meno abbienti e prevedere una rotazionenegli impieghil’opera di Jencks segna una tappa significativa nello sviluppo della ricerca so-ciologica applicata all’educazione. Essa ha contribuito a far crollare la convinzionemolto pericolosa, accettata dei politici e dal grande pubblico e radicata nella tradi- 90 zione americana, che i problemi della società possono essere adeguatamente risolticon il ricorso alla riforma della scuola senza dover procedere a in novazioni socialipiù profonde. in secondo luogo, viene offerto un quadro statistico delle relazioniesistenti tra famiglia, scuola e occupazione che rappresenta un punto di riferimentoimportante per la ricerca. Un terzo merito di Jencks consiste nell’aver stimolato lostudio e il dibattito sul concetto di eguaglianza.Nonostante i molteplici elemen ti positivi, sono presenti nella ricerca dei gravilimiti. Per dimostrare la marginalità dell’influsso della scuola sulla stra tificazionesociale, Jencks ricorre a una scelta accurata dei risultati più negativi delle prece-denti indagini e si serve del confronto – sfavorevole all’educazione – tra la quantitàdi variazioni nella riuscita scolastica spiegata dall’istruzione e la percentuale chenon viene causata dal sistema formativo: tuttavia, una parte di tale differenze èspiegata dalla scuola e non è poca! Un’altra carenza del libro dipende dal fatto cheesso trascura il peso del complesso delle variabili strutturali per chiudersi nella pro-spettiva del singolo o delle due variabili direttamente relazionate: l’attribuzione alla“fortuna” del peso maggiore nel determinare le disparità sociali ha senso in quantoJencks si pone dall’angolo di visuale del singolo – per esempio il rapporto tra edu-cazione e posizione professionale – ma può cessare di esserlo qualora si faccia rife-rimento alla struttura sociale – nel caso considerato, al cambiamento della strutturaoccupazionale che ha sconvolto le relazioni tra istruzione/formazione e mondo dellavoro. in terzo luogo, non sembra sostenibile l’assunto che si possa intervenire suuna variabile e circoscrivere gli effetti del cambiamento alla variabile che dipendedirettamente dalla prima, senza che il mutamento incida sulla totalità delle relazioniche costituiscono l’insieme considerato. Probabilmente non è corretto affermareche l’eliminazione delle disparità negli anni di scolarizzazione ridurrebbe le diffe-renze nel reddito al massimo del 21%, in quanto sulla base dei dati del censimentodel 1940 le diseguaglianze nel livello di istruzione determinavano il 21% appenadelle diversità di reddito tra maschi del gruppo di età 35-44 anni. Se, infatti, si riu-scisse a garantire a tutti lo stesso numero di anni di istruzione, è immaginabile cheverrebbe messo in crisi il ruolo che la scuola svolge di legittimare le disparità retri-butive, facendo interiorizzare agli studenti che non riescono un senso di incompe-tenza, di incapacità e di accettazione del loro posto marginale nella società; èchiaro che gli effetti dell’eguaglianza introdotta nell’educazione inciderebbero inmaniera sostanziale sulla stratificazione della società. Più in generale si può osser-vare che uno dei limiti maggiori dell’opera consiste nel non aver approfondito l’a-nalisi del funzionamento interno della scuola, degli atteggia menti e dei valori daquesta trasmessi, cioè di tutte le caratte ristiche del sistema di insegnamento che piùpesantemente influiscono nella riproduzione della struttura sociale.Osservazioni critiche sono state avanzate a riguardo delle argomentazioni dicui Jencks si serve per negare l’impatto della condizione di classe sulle disegua-glianze sociali. il reddito, per esempio, non sarebbe stato depurato degli effettidelle variazioni dovute all’età, alla residenza e al numero di ore effettivamente la- 91 vorate che sono le cause normali delle sue differenziazioni; probabilmente, qualorasi tenesse conto solo della parte residua delle variazioni del reddito, l’incidenzadella posizione sociale risulterebbe maggiore di quella indicata da Jencks. le cate-gorie socio-economiche definite in base al livello di istruzione e di formazione e al-l’origine familiare sembrano troppo ampie per cui le variazioni di reddito tra i com-ponenti del medesimo gruppo vengono ad essere collegate alla stessa appartenenzadi classe. quanto all’esempio dei fratelli, va notato che la stima del loro redditopresenta un errore standard di 25.624 dollari sicché la constatazione, basata sull’os-servazione personale, che i fratelli godono di redditi molto più simili nel loro am-montare che persone non legate da tale vincolo di parentela, può vantare un fonda-mento altrettanto solido delle affermazioni di Jencks.d. Il paradosso di Boudon (1973)in breve la sua tesi si può esprime nel seguente assunto: la scuola/FP diventapiù eguale, mentre la società rimane diseguale (Boudon, 1973; Barbagli, 1978; Be-nadusi, 1984; Malizia e Chistolini, 1985; Morgagni e Russo, 1997; Besozzi, 2006;Ribolzi, 2012). Nei decenni passati, la democratizzazione del sistema educativo haprogredito nel senso che l’accesso dei giovani è grandemente cresciuto coinvol-gendo tutte le classi sociali, anche se permangono ancora diseguaglianze soprat-tutto di fronte all’istruzione superiore. Nonostante ciò, la democratizzazione dellascuola non ha aumentato la mobilità sociale, né ha ridotto le disparità economiche.la conclusione di Boudon è che l’eguaglianza può essere realizzata, solo riducendole disparità economiche.il paradosso appena enunciato sarebbe effetto di un processo di compensa-zione. Nel confronto tra gli anni ’60 e ’70, un numero maggiore di giovani di statussocio-economico basso ha conseguito la laurea e per questa via è pervenuto a unacondizione di classe più elevata; al tempo stesso essi impediscono di raggiungereuna collocazione sociale alta ai giovani di origine familiare modesta con titolo distudio medio o basso che prima arrivavano alle posizioni di vertice per la via delsuccesso professionale. Pertanto, più cresce l’accesso all’istruzione, più si demo-cratizza la scuola, più aumenta la mobilità sociale attraverso l’istruzione, ma con-temporaneamente diminuisce la mobilità per altra via e, quindi, si verifica un ef-fetto di compensazione tra le due vie (l’istruzione e il lavoro svolto) per cui si de-termina una stagnazione della mobilità sociale.questa tesi-paradosso è stata criticata da due punti di vista. la stagnazione di-pende dalla supposta stabilità della struttura sociale nel tempo, andamento che ètutto da dimostrare; inoltre, il modello matematico utilizzato da Boudon non ri-sponde alla realtà che è in continuo movimento. 2.1.4. Interpretazioni teoriche più recentile interpretazioni che seguono sono tributarie della riflessione che è stata sti-molata anche dai risultati delle ricerche appena citate. Esse riprendono il pensiero 92 delle varie scuole che hanno segnato, dopo il funzionalismo, l’evoluzione della so-ciologia dell’istruzione e della formazione e lo applicano al nodo problematico deirapporti tra scuola/FP e stratificazione sociale. incomincio con le interpretazioni neo-marxiste (Althusser, 1978; Karabel eHalsey, 1977; Barbagli, 1978b; Benadusi, 1984; Capello, Dei e Rossi, 1982; Mor-gagni e Russo, 1997; Besozzi, 2006; Schizzerotto e Barone, 2006; Fischer, 2007;Ribolzi, 2012) e, rinviando per i particolari a quanto detto nella prima parte, moltobrevemente ricordo che secondo Althusser la scuola è l’apparato ideologico diStato che eserciterebbe la funzione di attribuire agli studenti una posi zione nella so-cietà corrispondente allo status socio-economico della propria famiglia. Sopra hoanche cercato di prendere posizione in merito alle interpretazioni contenute inquesto approccio, mettendo in risalto i punti validi e le criticità emerse: sottolineosolo che, sebbene lo studioso francese sia riuscito a identificare alcuni dei processiprincipali che la scuola/FP svolge nella perpetuazione delle ingiuste strutture di po-tere del sistema sociale capitalista, tuttavia, certamente la scuola non può essere de-scritta solo come una istituzione totalmente asservita agli interessi della classe do-minante e incapace di realizzare riforme reali.Sempre all’interno delle spiegazioni neo-marxiste, va presa in considerazionequella elaborata da Baudelot ed Establet, secondo la quale il successo della scuolacapitalista nel perpetuare la gerarchia sociale sarebbe da attribuirsi alla presenzanel sistema educativo di due reti di scolarizzazione: la rete primario-professionale(PP) e la rete secondario-superiore (SS), frequentate da studenti appartenenti aclassi diverse e organizzate in vista della preparazione a impieghi di differente pre-stigio (Baudelot e Establet, 1971; Malizia e Chistolini, 1985; Malizia, 1990 e1994). le due reti insegnerebbero la stessa cultura borghese, ma con modalità di-verse al fine di fabbricare due prodotti ideologici differenti: la rete PP trasmette-rebbe un sottoprodotto culturale di SS, un corpo compatto di idee borghesi semplicie il virus della promozione individuale, con la finalità della sottomissione del pro-letariato in quanto questo viene privato di adeguati strumenti di analisi e distolto,per mezzo di un ripiegamento individualistico, dall’interessarsi alla situazione glo-bale di oppressione della sua classe; la rete SS, invece, diffonderebbe la culturaborghese in tutta la sua ricchezza con l’obiettivo di rendere gli studenti dei ceti su-periori interpreti attivi dell’ideologia dominante. la selezione dei due gruppi per lediverse reti avverrebbe nelle elementari per mezzo del linguaggio usato a scuolache è il linguaggio degli alunni dei ceti dominanti i quali, di conseguenza, risultanograndemente avvantaggiati nell’apprendimento; al contrario, gli studenti delleclassi subalterne, il cui linguaggio non presenta i caratteri di astrazione, universa-lità e complessità stilistica propri del linguaggio scolastico, si trovano in difficoltàe rischiano di essere condannati alla rete di prestigio inferiore.l’interpretazione dei due sociologi francesi presenta una fondamentale caren-za: non tiene conto che i sistemi scolastici dei Paesi comunisti si articolano spessosecondo il modello delle due reti di scolarizzazione (per esempio, in Unione Sovie- 93 tica, accanto alla scuola secondaria politecnica persistevano scuole tecnico-profes-sionali), mentre si riscontrano società capitaliste dove la secondaria superiore è or-ganizzata in base allo schema onnicomprensivo dell’unificazione delle vie paralle-le, licei, magistrali, istituti tecnici e professionali (per esempio i Paesi scandinavi).Tuttavia, si deve riconoscere a Budelot e a Establet il merito di aver scoperto alcunicondizionamenti importanti delle disparità sociali presenti nei processi scolastici.in diretta connessione con il neo-marxismo, va ricordata la teoria della ripro-duzione culturale (Bourdieu e Passeron, 1971 e 1972; Karabel e Halsey, 1977; Bar-bagli, 1978b; Benadusi 1984; Morgagni e Russo, 1997; Sadovnik, 2002; Besozzi,2006; Schizzerotto e Barone, 2006; Fischer, 2007; Ballantine e Hammack, 2009;Ribolzi, 2012). in particolare, come si è visto più ampiamente sopra, Bourdieu ePasseron hanno avanzato due spiegazioni: la prima fa riferimento a due fattoriquali, da una parte, la diversa eredità culturale che ciascun giovane riceve dalla suafamiglia e, dall’altra, la falsa neutralità della scuola che trattando formalmente tuttigli allievi come eguali perpetua le disparità sociali, senza dover ricorrere a un’a-perta discriminazione in favore delle classi dominanti; la seconda chiama in causala teoria della scuola come agenzia di riproduzione sociale con i suoi quattro capi-saldi: riproduzione, legittimazione, autonomia relativa e habitus di classe. Mentrerinvio alla prima parte di questo volume dove è stata presentata una valutazionepuntuale di tali posizioni, ricordo che la spiegazione della neutralità della scuolatende ad essere ormai superata perché gli insegnanti sono in genere consapevolidella necessità di offrire un sostegno agli studenti delle classi sociali svantaggiate,anche se non sono sempre capaci di farlo in maniera efficace; quanto alla secondainterpretazione, va ribadito che la funzione di riproduzione e di legittimazione nonesaurisce certamente i compiti della scuola/FP. la teoria dei codici linguistici, elaborata da Bernstein e che è stata illustratasopra, ha avuto il grande merito di ristabilire l’equilibrio nelle responsabilità del-l’insuccesso degli alunni dei ceti bassi, svolgendo una critica serrata della teoriadella deprivazione culturale (Bernstein, 1974, 2000; Karabel e Halsey, 1977; Bena-dusi, 1984; Morgagni e Russo, 1997; Jerez Mir, 2003; Besozzi, 2006; Fischer,2007; Ballantine e Hammack, 2009; Frandji e Vitale, 2010). inoltre, egli è riuscitoad attirare l’attenzione dei sociologi sull’importanza dei fattori microstrutturalinella spiegazione delle diseguaglianze di opportunità a scuola e nella FP. Passando poi alla teoria della riproduzione contraddittoria, Bowles e Gintisfanno ricorso al principio di corrispondenza fra i rapporti sociali del mondo produt-tivo capitalista e quelli esistenti nel sistema educativo per spiegare la funzione ri-produttiva della scuola/FP, ma al tempo stesso superano il pessimismo radicale delneo-marxismo e della riproduzione culturale mediante il principio di contraddi-zione per cui è possibile un rinnovamento del sistema di istruzione e di formazionenel senso di una maggiore eguaglianza di opportunità (Bowles e Gintis, 1978,1979, 1982; Karabel and Halsey, 1977; Benadusi, 1984; Capello, Dei e Rossi,1982; Halsey et alii, 1997; Jerez Mir, 2003; Besozzi, 2006; Fischer, 2007; Ballan- 94 tine e Spade, 2008; Ribolzi, 2012). Pertanto, la scuola/FP non solo può costituireun meccanismo di perpetuazione della stratificazione, ma può anche contribuire alcambiamento delle posizioni sociali, assicurando una maggiore equità. le interpretazioni neo-weberiane fanno notare che, se è vero da una parte cheesiste una correlazione tra durata dell’istruzione e successo professionale, dall’altranon si può negare che lo status socio-culturale ed economico della persona in-fluisce sulla riuscita scolastica, formativa e professionale (Collins, 1978a e 1980;Benadusi, 1984; Capello, Dei e Rossi, 1982; Morgagni e Russo, 1997; Sadovnik,2002; Besozzi, 2006; Schizzerotto e Barone, 2006; Fischer, 2007; Ballantine eSpade, 2008; Ballantine e Hammack, 2009; Ribolzi, 2012). il sistema educativonon svolgerebbe il ruolo di preparare persone competenti per le imprese, quantoquello di consentire a queste ultime di scegliere attraverso i titoli scolastici e for-mativi le persone socializzate alla cultura di ceto dominante, i dirigenti alla culturadi élite e i subordinati a una cultura di rispetto: in altre parole, il sistema di istru-zione e di formazione costituisce uno strumento per selezionare le persone al la-voro in base ai valori interiorizzati. Tuttavia, le interpretazioni neo-weberiane,anche se da una parte denunciano la funzione del sistema educativo come stru-mento di dominio sull’organizzazione e di control lo sui ceti emergenti, dall’altra lovedono pure come un mezzo di lotta per salire nella gerarchia sociale. Da ultimo, l’approccio interazionista-fenomenologico colma un vuoto nella ri-flessione precedente, concentrando l’attenzione sui processi che avvengono all’in-terno della scuola/FP. qui mi limito a richiamare in sintesi le osservazioni che hopresentato sopra in tema di diseguaglianze di opportunità educative (Morgagni eRusso, 1997; Woods, 1997; Sadovnik, 2002; Schizzerotto e Barone, 2006 soprat-tutto; Ballantine e Spade, 2008; Ballantine e Hammack, 2009). Gli studi sull’intera-zione sono nel giusto quando mettono in risalto la centralità del docente e delle cul-ture presenti in classe ed evidenziano le difficoltà delle famiglie di condizionesocio-culturale ed economica bassa nel trasmettere codici linguistici, motivazioni eatteggiamenti che riescano ad assicurare ai loro figli il successo scolastico-forma-tivo. Al tempo stesso, le posizioni dell’interazionismo-fenomenologico sembranonon tenere sufficiente conto delle variazioni delle opportunità culturali, sociali edeconomiche in base alla classe e della diminuzione in atto dei pregiudizi verso glistudenti degli strati meno abbienti tra gli insegnanti. 2.1.5. I fattori microstrutturali dell’insuccessoFin dagli anni ’60 la riflessione sociologica sull’insuccesso ha posto l’accentosu determinate variabili sia del funzionamento interno della scuola sia dei condi-zionamenti di natura familiare (Husen, 1972; Barbagli, 1978b; Milanesi, 1997;Morgagni e Russo, 1997; Malizia, 1990 e 1994; Fourquin, 1997; Sadovnik, 2002;Besozzi, 2006; Fischer, 2007; Ballantine e Spade, 2008; Ballantine e Hammack,2009; Arum, Beattie e Ford, 2011; Ribolzi, 2012). Riguardo al primo dei gruppi difattori è stato osservato che quanto più le differenziazioni all’interno di un sistema 95 educativo sono precoci, tanto maggiore è l’incidenza dell’origine sociale sulla riu-scita o meno negli studi. le forme di selezione scolastica che più influirebberosulla distribuzione diseguale dell’insuccesso secondo il ceto di appartenenza sareb-bero le seguenti: l’esame di ammissione all’insegnamento secondario di tipo uma-nistico-scientifico tra i 10 e i 12 anni; la previsione della possibilità di bocciare gliallievi al termine dell’anno, costringendoli di conseguenza alla ripetenza qualoraintendano proseguire gli studi; la divisione del medesimo livello scolastico in variistituti, o sezioni diverse di un medesimo istituto, ciascuno con un prestigio socialedifferente, ovviamente quando interviene troppo presto nel percorso scolastico eformativo dell’allievo, mentre la diversificazione è la strategia principale, almeno alivello di secondaria superiore, perché consente di valorizzare tutti i talenti e,quindi, di ridurre il fenomeno dell’insuccesso2; lo “streaming” o raggruppamentoomogeneo degli studenti che consiste nel distribuire gli allievi di un dato anno in“streams” o classi di alunni dotati del medesimo livello di abilità o intelligenza.Altri studi hanno richiamato l’attenzione sul ruolo del corpo docente, in parti-colare sull’interazione tra l’approvazione dell’insegnante, l’immagine di sé dell’al-lievo e il successo scolastico. A parità di altre condizioni, l’atteggiamento incorag-giante dell’insegnante sembra esercitare un’incidenza importante. questi risultatiacquistano un significato rilevante ai fini del tema in discussione, se si tiene contoche gli insegnanti in virtù della loro adesione ai valori della classe media tendonoad assumere un atteggiamento di inconscia discriminazione verso gli allievi deglistrati sociali più bassi, benché si tratti di fenomeni che sembrano sempre meno dif-fusi.Altro fattore scolastico da tenere in considerazione sarebbe costituito dallacomposizione sociale del corpo studentesco di un determinato istituto. Secondo al-cune ricerche gli alunni di tutte le provenienze tenderebbero ad avere un esito mi-gliore in scuole frequentate in prevalenza da studenti del ceto medio. Bisogna peròprecisare che tale risultato è stato contestato da altri studiosi.Si è anche affermato che la scuola offrirebbe un vantaggio supplementare aglistudenti delle classi superiori perché il sistema dei valori, le tradizioni, la cultura ei programmi sono molto vicini a quelli dei ceti privilegiati. Essa presupporrebbecome innati atteggiamenti che l’élite apprende per osmosi naturale, mentre possonoessere acquisiti dai giovani di estrazione sociale inferiore solo con difficoltà e attra-verso un lungo tirocinio.Un punto controverso è costituito dall’incidenza che la qualità degli insegnantie delle attrezzature eserciterebbero sulla riuscita scolastica. Sul primo fattore, si re-gistra in anni recenti una convergenza sempre più ampia riguardo alla sua rilevanzain positivo e in negativo. 2 inoltre, la possibilità offerta a tutti di riprendere gli studi nel corso della vita in attuazione deiprincipi dell’educazione permanente può togliere ogni definitività alle scelte prese nell’adolescenzasotto l’eventuale influsso di condizionamenti sociali negativi, permettendo di correggerle. 96 Accanto ai differenti aspetti del sistema formativo, l’altro gruppo di cause cheinfluisce sul successo degli studenti consiste in quel complesso di fattori che vasotto il nome della condizione di classe dell’allievo. Fino al 1945 la povertà eraconsiderata come la causa principale dell’insuccesso degli studenti di origine ope-raia o contadina. Dopo la seconda guerra mondiale l’aumento del benessere mate-riale e la sua diffusione più equilibrata nei Paesi sviluppati hanno spinto i sociologia ridimensionare l’importanza delle condizioni materiali.Maggiore interesse è stato dimostrato dagli studiosi per le variazioni nei si-stemi di valore in base alla classe sociale. Numerose ricerche in proposito conclu-devano che i genitori delle classi inferiori presentavano livelli di aspirazione mo-desti circa il futuro dei loro figli; adesso si ritiene che anche le attese delle famigliedei ceti bassi nei confronti dei loro figli siano elevate come tra i genitori di estra-zione sociale alta, tuttavia le prime non sarebbero egualmente capaci di trasmetterlecon la stessa efficacia.Non solo esistono delle differenze nei valori tra famiglie della classe operaia emedia, ma sembra che siano diversi i metodi usati nell’educazione dei bambini. ilricorso più frequente alle punizioni fisiche, l’insistenza sull’ordine e sulla disci-plina, la tendenza a reagire alle conseguenze immediate dell’azione del bambinopiuttosto che a esaminare le motivazioni, la preoccupazione per le caratteristicheche assicurano la rispettabilità, tutte componenti che definirebbero il metodo deigenitori degli ambienti operai, non pare che favoriscano il sorgere di una forte mo-tivazione a riuscire o di un alto livello di apprezzamento del successo, né che pre-parino ad assumere responsabilità o a iniziare innovazioni, in breve ad affrontare iproblemi tipici delle professioni intermedie e superiori. È stato, inoltre, osservatoche lo sviluppo intellettuale dei bambini sarebbe ostacolato da tipi di controllo fa-miliare che lascerebbero poco margine alla scelta personale offrendo, invece, solu-zioni già prestabilite.Un’attenzione sempre maggiore è stata prestata all’influsso sul successo scola-stico dell’ambiente linguistico in cui vivono gli allievi di estrazione sociale bassa.in ogni caso, su questo punto si rimanda alla teoria dei codici di Bernstein. 2.1.6. Conclusioni: due orientamenti prevalentiMi sembra che attualmente due sono le direzioni principali della riflessione edella ricerca in questo campo (Malizia, 1990 e 1994; Sadovnik, 2002; Besozzi,2006; Fischer, 2007; Ballantine e Spade, 2008; Ballantine e Hammack, 2009; Arum,Beattie e Ford, 2011; Ribolzi, 2012). Una afferma l’esistenza di una relazione indi-retta a determinate condizioni tra scuola/FP ed eguaglianza: il rapporto può passareattraverso un cambiamento in senso egualitario della struttura professionale (aboli-zione del lavoro manuale per effetto dello sviluppo della tecnologia propiziato dallacrescita dell’istruzione) o attraverso una domanda politica di democratizzazionedella società mediante una coscientizzazione popolare ad opera della scuola/FP edato che di solito il personale più istruito è anche quello più militante. Un’altra stra- 97 da è quella della rivisitazione della teoria della deprivazione culturale per cui: i fat-tori decisivi dell’insuccesso sono l’origine socio-culturale; le carenze della scuola;a sua volta, la demotivazione soggettiva viene considerata come un riflesso dei con-dizionamenti sociali e il risultato di processi psicologici. in questo caso, la ricercaempirica è diretta soprattutto a individuare i fattori micro e il loro funzionamento. 2.2. istruzione, formazione e politica Mi è sembrato opportuno articolare questa sezione in due parti. la prima esa-mina le teorie che hanno tentato di offrire delle interpretazioni generali circa i rap-porti tra il sistema educativo e la politica; la seconda è focalizzata sull’incidenza disingole dimensioni del mondo dell’istruzione e della formazione. 2.2.1. Considerazioni generalile ricerche di ispirazione funzionalista, soprattutto di area nord-americana,condividono largamente due presupposti teorici: l’influsso della scuola sulla socia-lizzazione-educazione politica è molto forte e i processi attraverso i quali si rea-lizza tale incidenza sono suscettibili di qualche forma di controllo intenzionale(Karabel e Halsey, 1977; istituto di Sociologia Fse-Ups, 1978; Barbagli, 1978b;Milanesi, 1997; Morgagni e Russo, 1997; Halsey et alii, 1997; Sadovnik, 2002; Be-sozzi, 2006; Fischer, 2007; Ballantine e Spade, 2008; Arum, Beattie e Ford, 2011).Tuttavia, queste affermazioni non sembrano trovare una con ferma adeguata nei datidelle ricerche empiriche.Se si fa riferimento ai processi di “output”, cioè ai processi attraverso i qualil’insegnamento trasmette informazioni e valori politici agli allievi, la scuola/FP in-dubbiamente svolge una funzione educativa, ma l’effetto totale della sua azionenon appare così penetrante come ci si potrebbe aspettare a prima vista. l’insuffi-cienza viene rivelata dalle conclusioni più importanti delle investigazioni condottecirca l’incidenza dei vari aspetti del sistema educativo sulla maturazione politica,risultati che si possono sintetizzare nelle seguenti proposizioni: i corsi e i curricolida soli non sembrano esercitare alcun influsso; tuttavia, vivificati da un insegnantecompetente e da un ambiente educativo ricco di stimoli possono offrire un qualchecontributo all’educazione politica; esistono scarse prove che gli insegnanti trasmet-tano esplicitamente i loro valori politici in classe; dai dati si può desumere qualcheindica zione circa la presenza di una educazione politica indiretta, che avrebbeluogo per il tramite, soprattutto, dell’atmosfera democratica o autoritaria dellascuola.A parziale spiegazione della scarsità di prove empiriche circa la rilevanza dellascuola nell’educazione politica si deve tenere presente che il potenziale politico delsistema di istruzione e di formazione è stato esplorato in maniera limitata. Nelle in-dagini condotte negli Stati Uniti ci si è soffermati molto sull’educazione ai valori 98 che godono un largo consenso nella comunità na zionale, di solito sulla formazionealla tradizionale partecipazione democra tica: il riferimento a valori comunementeaccettati rende difficile verificare il peso dei fattori scolastici in rapporto ad altreagenzie di socializzazione, in particolare alla famiglia il cui intervento è antece-dente nel tempo. Poca attenzione, invece, è stata prestata alla trasmissione dei prin-cipi costituzio nali di natura sostanziale, contenutistica, non strumentale, diversicioè dalla partecipazione che è mezzo per conseguire determinati obiettivi finali; altempo stesso, la ricerca ha trascurato di analizzare gli orientamenti politici contro-versi nel Paese, siano essi di natura governativa o partitica.Passando ad esaminare i processi di “input”, i processi cioè attraverso i quali simira a esercitare un controllo sulla educazione politica operata dalla scuola/FP, unaprima osservazione si impone: negli Stati Uniti varie agenzie e forze sociali lottanotra loro per conquistare il potere su uno strumento così efficace, almeno apparente-mente, per la fabbricazione del consenso. inoltre, sembra che le modalità di reclu-tamento dei docenti, in quanto implichino una selezione sociale e un controlloideologico, influisco no sul tipo di insegnante e sui contenuti del suo insegnamento.Alcune forme di preparazione dei docenti, come la frequenza di corsi sociologici, lirende rebbero più sensibili ai problemi e ai programmi dei partiti e, perciò, più dis-ponibili a proporne i valori. infine, la comunità locale pare esercitare una qualcheincidenza indiretta attraverso pressioni sugli insegnanti per indurli a conformarsialla cultura politica prevalente nella zona.Un secondo grande gruppo di interpretazioni è offerto dalle posizioni neo-mar-xiste (Althusser, 1978; Karabel e Halsey, 1977; istituto di Sociologia Fse-Ups,1978; Barbagli, 1978b; Benadusi, 1984; Capello, Dei e Rossi, 1982; Halsey et alii,1997; Morgagni e Russo, 1997; Sadovnik, 2002; Besozzi, 2006; Schizzerotto e Ba-rone, 2006; Fischer, 2007; Ribolzi, 2012). Come si visto sopra, per Althusser loStato capitalista abbraccerebbe due gruppi di istituzioni: uno che costituirebbe l’ap-parato repressivo e comprenderebbe organismi come il governo, l’amministrazione,l’esercito, la polizia, i tribunali e le prigioni; l’altro che sarebbe formato dai cosid-detti apparati ideologici, istituzioni cioè come la famiglia, la scuola, e i mass-media, che svolgerebbero la funzione di diffondere l’ideologia delle classi domi-nanti. Mentre l’apparato repressivo assicurerebbe attraverso la pace sociale le con-dizioni esterne del mantenimento delle strutture capitaliste, gli apparati ideologicirappresente rebbero il fattore determinante della loro permanenza in quanto plasme-reb bero le menti e le volontà ad accoglierle come naturali e giuste. Secondo Al-thusser, il sistema di istruzione e di formazione sarebbe l’apparato ideologico chesvolgerebbe il ruolo centrale nella riproduzione dei rapporti di produ zione, cioè nelfar accettare da parte delle nuove generazioni l’attuale in giusta distribuzione delpotere nella società. le tesi del sociologo francese sono state valutate nella prima parte; qui ricordosolo due osservazioni critiche. Anche nei Paesi comunisti il sistema educativo svol-geva un compito di mante nimento della stratificazione sociale al servizio, non più 99 della classe capitali sta, ma della nuova classe formata dai membri della burocraziadel partito e dello Stato. in secondo luogo, l’azione della scuola non può esseretutta definita come indottrinamento, adattamento o integrazione al sistema: l’inse-gnamento è anche educazione, cioè processo di elaborazione critica mirante a for-mare nell’educando un’autonoma capacità di assumere una propria opzione o atteg-giamento politico. Un ultimo filone di riflessioni si riscontra nelle ricerche ispirate alle posizionipost-materialiste e a questo proposito prendo le mosse dai risultati di una ricercaitalina circa gli atteggiamenti fon damentali della personalità giovanile secondo iquali «il tipo umano medio appare scarsamente sensibile ai problemi della vita so-ciale, con una conce zione competitiva e non collaborativa, che rende assai difficilela solidarietà e l’impegno comune, con spiccate caratteristiche autoritarie, conser-vatrici, tradizionaliste e politicamente poco sensibile» (Tullio-Altan, 1972, p. 21 e1974; Tullio-Altan e Marradi, 1976; Vettorato, 2008; inglehart e Baker, 2000; in-glehart, 1977). Tale conclusione di carattere globale non esclude, però, la presenzadi minoranze attive, mature, cariche di tensioni innovative, identificabili soprattuttoattraverso i seguenti tratti caratteristici: un più elevato livello socio-economicodella famiglia di provenienza, un alto grado di scolarizzazione e l’unione del lavoroallo studio.L’origine sociale costituirebbe il fattore più influente sulla personalità di basedel giovane; inoltre, tra la professione e il titolo di studio paterni e il reddito globa-le della famiglia, il livello di istruzione sembrerebbe esercitare l’in cidenza positivapiù forte. Un altro risultato mette in evidenza che i figli delle famiglie meno abbien-ti appaiono meno aperti dei soggetti mediamente agiati, per cui complessivamenteil gruppo dei giovani più maturi sarebbe costituito da persone di ceto medio, di am-biente impiegatizio e di reddito medio. Anche la scolarizzazione, quando sia eleva-ta, rappresenta un fattore valido nella for mazione di personalità socialmente sensi-bili. Esistono, però, delle notevoli diversità tra gli studenti secondo il tipo di indi-rizzo frequentato: il liceo classico e lo scientifico sembrano esercitare un influssopositivo, mentre gli istituti magistrali e tecnico professionali appaiono il punto piùdebole della secondaria superiore. quanto alla combinazione scuola-lavoro, il suoforte influsso si spiegherebbe per il fatto che lo studente-lavoratore possiede lecompetenze culturali per l’analisi e al tempo stesso gode di un’esperienza diretta dilavoro su cui riflettere criticamente. Al contrario, l’esperienza di lavoro da sola agi-rebbe negativamente sulla struttura della personalità perché il lavoratore non sareb-be in grado di prendere adeguatamente co scienza della sua situazione di alienazio-ne, essendo egli privo di strumenti concettuali idonei; d’altro lato, lo studente nonlavoratore sarebbe dotato delle abilità critiche necessarie, ma difficilmente le po-trebbe utilizzare in concreto perché non è inserito nella struttura produttiva.Per fornire una giustifica zione più profonda e globale della maturità socio-po-litica più elevata dimo strata dai giovani dei ceti medi e medio-alti rispetto ai lorocoetanei di provenienza operaia si è ricorso alla teoria della gerarchia dei bisogni 100 di Maslow. Alcuni bisogni umani godrebbero di un carattere di priorità in rapportoad altri, la cui soddisfazione sarebbe perciò condizionata dal previo appagamentodei primi. Ad ogni tappa dell’evoluzione di un sistema economico si produrrebberodei bisogni conformi al grado di svi luppo: questi bisogni rinvierebbero a una seriedi valori che ne costituireb bero il modello di soddisfazione. Per esempio, il bisognodi sicurezza si esprime nei valori acquisitivi: il successo economico, il denaro, ilprestigio legato alle ricchezze, l’ordine sociale e il lavoro inteso esclusivamentecome dovere. invece, il bisogno di autorealizzazione e di partecipazione si manife -sta nei valori cosiddetti “post-borghesi o post-materialisti” dell’accettazione posi-tiva dell’alte rità, della compassione, della solidarietà e della libertà. questi valoripossono emergere a livello storico e collettivo solo se vengano soddisfatti in prece-denza i bisogni di sicurezza che occupano un posto previo nella gerarchia.in definitiva, la prevalenza dei valori acquisitivi nei ceti operai e nelle nazionimeno sviluppate e la diffusione dei valori “post-borghesi o post-materialisti” nelleclassi agiate e negli Stati economicamente più progrediti si spiegherebbero per ilfatto che le categorie operaie e gli Stati meno avanzati non hanno conseguito il tra-guardo della sicurezza economica nella misura in cui ciò è avvenuto per i giovaniprovenienti da famiglie benestanti e per i Paesi alto-industriali. Tut tavia, se lo svi-luppo economico sembra essere la condizione necessaria dell’affermarsi dei nuovivalori, non ne sarebbe la condizione sufficiente; senza adeguati strumenti culturalinon appare possibile una presa di coscienza delle condizioni sociali alienanti dellavita moderna.Giunti al termine della panoramica degli orientamenti prevalenti circa le rela-zioni tra la scuola/FP, considerata globalmente, e l’educa zione politica, sembra op-portuno tentare una sintesi delle posizioni presentate. Probabilmente l’influssodella scuola/FP sull’educazione politica riveste un’importanza secondaria rispettoad altre agenzie di socializzazione. Se si passa ad ana lizzare la natura dell’azionedella scuola sembra che la funzione prevalente sia quella di rendere conformi, diinculcare valutazioni favorevoli al sistema, di creare un senso di appartenenza e difedeltà ad esso. Pur con le gravi carenze appena elencate, non si può negare che lascuola/FP svolga una vera educazione politica, possa condurre il giovane a una par-tecipazione politica libera e cosciente e a una maturità politica. 2.2.2. L’incidenza dei singoli fattori scolastici e formativiDopo aver richiamato le conclusioni principali circa l’in flusso della scuolaglobalmente considerata sull’educazione politica, passo a valutare l’incidenza deivari elementi del sistema di istruzione e di formazione presi ad uno ad uno (Ka-rabel e Halsey, 1977; istituto di Sociologia Fse-Ups, 1978; Barbagli, 1978b; Mila-nesi, 1997; Morgagni e Russo, 1997; Halsey et alii, 1997; Sadovnik, 2002; Be-sozzi, 2006; Fischer, 2007; Ballantine e Spade, 2008; Arum, Beattie e Ford, 2011).Per quanto riguarda gli insegnanti un primo aspetto da esaminare è dato dalla loroorigine sociale: in generale appartengono ai ceti medi e superiori o alla frazione 101 della classe operaia socialmente mobile. Per provenienza familia re diretta (il primocaso), o per effetto di una “socializzazione anticipatrice” (la seconda tra le cate-gorie sociali appena citate che, trovandosi in una fase di mobilità, condivide gliideali del ceto a cui vorrebbe appartenere ancor prima di aver completato l’ascesa),la cultura politica degli insegnanti tende ad ispirarsi prevalentemente ai valori delleclassi medie. la concezione della politica dei ceti medi sarebbe anzitutto “ideali-stica”, cioè la politica dovrebbe mirare ad assicurare il bene comune, a perseguiregli interessi dell’in tera comunità nazionale, mentre le sarebbe estranea la preoccu-pa zione per gli interessi dei gruppi e dei singoli; un’altra nota distintiva verrebbeofferta dalla “consensualità” per cui si tenderebbe ad escludere dalla sfera del poli-tico i conflitti sociali, le lotte tra gruppi contrapposti. Anche il tipo di formazione ricevuta influirebbe sul ruolo dell’insegnante. in-fatti, la scelta durante gli studi universita ri della frequenza di discipline dellescienze sociali e il conseguimento di un titolo elevato (per esempio un master dopola laurea magistrale), accrescerebbero la politi cizzazione del docente nel senso chesi accompagnerebbero a una tendenza più accentuata a discutere in classe questionipolitiche controverse, a sostenere valori politici oggetto di dibattito, ad impegnarsinella militanza attiva. inoltre, quanto più è carente la forma zione scientifica perl’insegnamento, tanto minore è la capacità di cogliere l’interdipendenza tra la poli-tica, la struttura sociale e il conflitto di interessi materiali organizzati.quanto al ruolo del docente come diffusore di valori espli citamente politici,viene denunciato il pericolo di un insegna mento che sottolinei l’obbedienza inveceche la partecipazione, eviti di trattare questioni politiche discutibili e discusse e nonfornisca gli strumenti per una disamina critica e aperta dei problemi sociali piùscottanti. la conseguenza sarebbe che gli allievi non apprendono le competenzenecessarie per una partecipazione poli tica efficace e concepirebbero il ruolo del cit-tadino in termini di obbedienza alle leggi piuttosto che di coinvolgimento nei pro-cessi decisionali. Uno dei canali privilegiati attraverso il quale l’insegnante svolge il ruolo didiffusore di valori esplicitamente politici è costituito dall’educazione civica. Ri-cerche effettuate in proposito metterebbero in evidenza che i docenti, invece di uti-lizzare concetti storico-sociali concreti, tenderebbero ad usare in prevalenza cate-gorie naturalistiche, astratte e statiche, che si fondano su una visione immutabiledella natura umana. inoltre, gli insegnanti rivelavano una concezione politica tipicadei ceti medi, caratterizzata da una visione idealizzata e consensuale della societàed accettavano il principio della neutralità politica nel senso di escludere nei limitidal possibile la trattazione in classe di temi controversi. l’effetto totale di un’edu-cazione civica imparti ta con le modalità descritte risultava estremamente negativo:gli allievi possedevano una mentalità conservatrice, dimostravano scarsa capacitàdi giudizio politico, non sapevano cogliere le cause strutturali dei comportamenti edei problemi politici, apparivano sforniti delle competenze per un’analisi critica erazionale dei rapporti politici. 102 l’insegnante interviene anche indirettamente come trasmetti tore di una culturache, pur non potendosi definire politica, ha un certo rapporto con l’azione politica,svolgendo un ruolo di fattore predisponente o inibente, a parità di altre condizioni.Con la sua azione pedagogica il docente contribuisce a plasmare l’atteggiamentodel giovane verso l’eguaglianza, la cooperazione, l’obbedienza, il cambiamento, ilsuccesso, la competitività, valori tutti che hanno una risonanza profonda nel mondodegli atteggiamenti politici. Un insegnante che accentui indebitamente il ruolodella scienza e della tecnologia nella risoluzione dei problemi umani, tenderà a for-mare nei suoi alunni una mentalità tecnocratica poco favorevole a servirsi dell’a-zione politica per definire le questioni della convivenza sociale. D’altra parte, l’in-sistenza sulla collaborazione può contribuire all’emergere di atteggiamenti solidari-stici, capaci di trasferirsi facilmente sul piano politico come disponibilità alla parte-cipazione nei proces si decisionali a tutti i livelli.Venendo, poi, a delle aree disciplinari più precise, si può ricordare l’incidenzanegativa sulla maturazione politica dei giovani di un insegnamento della storia cheoffra un’immagine personalizzata degli eventi. Gli avvenimenti sono consideraticome l’effetto delle imprese di grandi uomini e le loro motivazioni e caratteri sticheassurgono alla dignità di cause della storia. Una tale concezione favorisce un atteg-giamento passivo nei confronti dell’autorità e una deresponsabilizzazione dalla ge-stione della società, dato che sono i grandi uomini a fare la storia e non le masse ol’uomo della strada; contribuisce a creare un’immagine della società di tipo eli-tario; facilita la formazione di orien tamenti conservatori e autoritari; e non forniscele categorie necessarie per cogliere le interdipendenze strutturali esistenti nelmondo socio-politico. Anche un insegnamento della geografia che ignori i grandiproblemi dell’umanità nel suo rapporto con l’ambiente, nascondendoli dietro un’a-settica elencazione nozionistica di dati, non è certamente il più raccomandabile invista di un’educazione politica realistica e critica dei giovani.Un aspetto del sistema scolastico che è senz’altro comple mentare al tema degliinsegnanti è costituito dai metodi didatti ci. Una prima osservazione generale si puòformulare nei termini seguenti: una didattica che non tenga conto delle differenzedi varia natura, culturali, sociali, individuali, esistenti fra gli alunni, che cioè nonponga in essere interventi personalizzati, tende probabilmente a favorire l’elimina-zione di tutti gli studenti che non si adeguano a un’ipotetica norma, di solito coinci-dente con i valori della classe media, e ad alimentare nei giovani emarginati unsenso di impotenza in tutti i settori della vita, compreso il politico. Sembra, inoltre,che il clima auto ritario o democratico della classe eserciti un impatto notevole: esi-stono, infatti, prove che un ambiente scolastico partecipativo e attivo contribuiscaad una formazione politica più critica e militante, per cui da questo punto di vista lascelta delle strategie dell’apprendimento cooperativo potrebbe favorire la matura-zione politica degli allievi.Carenze gravi sono riscontrabili anche a livello di currico li, programmi e sus-sidi didattici. in particolare sarebbe trascu rabile l’influsso dei curricoli tradizionali 103 di educazione civica sulla formazione politica, tranne che nei confronti degli stu-den ti che non sono stati già introdotti nelle loro famiglie alle idee e ai valori politicitrasmessi a scuola, come nel caso dei negri negli Stati Uniti. i motivi della scarsaincidenza andreb bero ricercati nella ripetitività, mancanza di profondità, gene ricità,assenza di questioni controverse, monotonia, mancato coinvolgimento degli stu-denti. le conclusioni sono diverse e l’influsso del curricolo di educazione civica ri-sulta efficace e positivo quando sono proposte questioni sociali scottanti e vengonodiscusse con spirito critico.la sociologia dell’istruzione e della formazione ha messo in risalto i legamiesistenti tra determinati tipi di selezione scolastica e la distribuzione del potere nellasocietà. Un sistema di insegnamento che preveda una selezione esplicita precocerealizzata attraverso un fitto sbar ramento di esami è funzionale a delle strutture rigi-de di strati ficazione sociale: da una parte esso assicura la riproduzione di una éliteassai ristretta e dall’altra riesce a mantenere le masse lontano dal potere instillandoin esse la convinzione della loro relativa incompetenza a dirigere la società dati glievidenti e generalizzati insuccessi scolastici. Effetti negativi possono avere ancheforme di selezione occulta, realizzata cioè in base ai valori della classe dominante.Una valutazione di segno positivo si riferisce alla gestione sociale dellascuola. il riconoscimento di poteri reali a tutte le componenti scolastiche e la parte-cipazione intensa delle medesime ai processi decisionali accrescerebbe in tutti imembri della comunità scolastica la fiducia di poter intervenire effica cemente nellavita politica. Si è già accennato, parlando dei metodi didattici, al diverso influsso,positivo o negativo, del clima democratico o autoritario della classe. 2.3. istruzione, formazione ed economia Nonostante l’attuale grave crisi economica e occupazionale, rimane come pun-to stabile di riferimento per tutti nel mare tempestoso dei mercati la convinzione chel’istruzione e la formazione rappresentano risorse fondamentali per lo sviluppo per-sonale e sociale, a livello nazionale e a quello internazionale. Allo stesso tempo, vaperò precisato che quando si cerca di approfondire il tema sul piano scientifico, cisi accorge che la relazione non è così evidente e che non mancano perplessità e dub-bi, anche fondati, sull’entità e sulla natura positiva di tale rapporto.questa sezione è distribuita in quattro articolazioni principali. le prime tre ri-chiamano le teorie più significative che cercano di spiegare i rapporti tra istruzione,formazione ed economia; a sua volta, la quarta tratta più specificamente delle rela-zioni fra scuola/FP e mondo del lavoro. 2.3.1. L’affermarsi della teoria del capitale umano negli anni ’60il punto di partenza è costituito dalla teoria del capitale umano che è nata tra lafine degli anni ’50 e l’inizio del ’60 nel quadro sia dell’interpretazione funzionalisti- 104 ca, secondo la quale lo sviluppo dell’istruzione e della formazione dipendeva dallamodernizzazione economica e dalla diversificazione istituzionale e sociale che nederiva, sia della tesi della scuola economica neoclassica che affermava la centralitàantropologica del problema del lavoro per cui l’uomo sarebbe il suo lavoro. inoltre,essa ha costituito una risposta agli interrogativi emersi da più parti circa l’efficienzadelle massicce spese effettuate in quel periodo per finanziare l’espansione enormedel sistema scolastico (lodigiani, 1999 e 2007; Bertagna, 2002 e 2006; Fischer,1998, 2003 e 2007; Halsey et alii, 1998; Guerrieri e Padovan, 2009; Fortis, 2009). la tesi fondamentale che viene sostenuta è che l’educazione non rappresentasoltanto un bene di consumo, ma va considerata anche come un investimento pro-duttivo sia per il singolo in quanto estende le sue opportunità professionali, sia perla società poiché prepara la forza lavoro necessaria per lo sviluppo economico. inaltre parole, istruzione e formazione sono considerate modalità differenti di accu-mulazione del capitale, il “capitale umano” cioè, il più importante per la crescitaeconomica e sociale, e pertanto costituiscono risorse strumentali di natura fonda-mentale al servizio del sistema economico e della sua espansione. Pertanto, l’ana-lisi della domanda di lavoro espressa dal mercato di lavoro costituisce la base dellapianificazione di una offerta formativa che corrisponda alle istanze manifestatedalla imprese. Per questa sua impostazione la teoria del capitale umano è stata defi-nita un modello “domandista” dei rapporti tra istruzione e formazione da una partee sviluppo socio-economico dall’altra (Bertagna, 2002 e 2006).Va aggiunto che tale interpretazione è stata largamente utilizzata nei Paesi svi-luppati per giustificare la democratizzazione dei sistemi educativi. infatti, l’allarga-mento dell’accesso all’istruzione e alla formazione, elevando il livello delle com-petenze dei lavoratori, doveva contribuire allo sviluppo del sistema produttivo e lariduzione della selezione poteva far argine a due sprechi: dei talenti, in quantomolti giovani di origine sociale modesta, brillanti, ma privi del retroterra culturaletipico di una famiglia dei ceti medi, rimanevano bloccati da esami prematuri e se-veri ed erano impediti di dare alla cre scita del Paese il loro apporto qualificato;delle risorse, poiché le ripetenze facevano spendere il doppio per percorrere unanno di scuola e con gli abbandoni l’investimento era totalmente perso. Durantetutti gli anni ’60 l’applicazione è stata ampia anche nei Paesi in via di sviluppo.Particolare successo ha registrato la spiegazione del sottosviluppo: la rapida ripresadei Paesi sviluppati dopo la seconda guerra mondiale, nonostante le gravi perdite dicapitali fisici, sarebbe dovuta alla presenza di una forte riserva di capitale umano;di conseguenza, il sotto sviluppo sarebbe da attribuirsi al fatto che le popolazionidel terzo mondo, pur disponendo di abbondanti materie prime, mancherebberodelle competenze necessarie per utilizzare tecniche di produzione più avanzate. Alla fine degli anni ’60 la crisi economica ha messo in di scussione la relazionepositiva che la teoria del capitale umano ipotizzava tra istruzione/formazione edeconomia: il sistema educativo era cresciuto in maniera imponente, ma nel mondoproduttivo si regi stravano segni sempre più preoccupanti di disoccupazione intel - 105 lettuale, di stagnazione e di dequalificazione. infatti, l’intensificazione nelle im-prese dell’organizzazione scientifica del lavoro aveva consentito un uso più razio-nale della forza lavoro già assunta, riducendo in maniera consistente il bisogno diassumere altra manodopera qualificata. Se era aumentato il terziario avanzato cherichiedeva competenze molto elevate, era contemporaneamente cresciuto un ter-ziario dequalificato che rendeva controproducente una istruzione e una formazionedi livello alto. inoltre, l’affermarsi dell’organizzazione fordista e della grande fab-brica centralizzata e gerarchica aveva comportato la separazione tra concezione edesecuzione e una parcellazione e dequalificazione del lavoro che consisteva semprepiù nella ripetizione di azioni elementari. Nella società industriale, e a maggior ragione in quella post-industriale, la do-manda di istruzione e di formazione risultava tutt’altro che chiara e distinta; al con-trario essa si presentava complessa in quanto legata alla condizione di classe, allasituazione familiare, alle reti di relazioni sociali, alle tradizioni locali, ai tratti dipersonalità, al background educativo di ogni soggetto. Un discorso analogo va ripe-tuto per la domanda socio-economica di lavoro. i due fattori mettevano in discus-sione la validità di ogni politica formativa di piano che andasse oltre il breve ter-mine e l’indicazione di linee generali di sviluppo (Bertagna, 2002 e 2006). Nellostesso senso la rapidità dell’evoluzione socio-economica comportava il rischio chele terminalità scolastiche (titoli di studio) o professionali (qualifiche) risultasserogià superate nel momento stesso in cui veniva introdotto il curricolo che preparavaal loro conseguimento. Pertanto, le competenze finali dei percorsi di istruzione e diformazione risultavano sempre meno connesse agli aspetti tecnico-specialistici,mentre tendevano a relazionarsi maggiormente con le dimensioni educative e cultu-rali generali dei giovani.A tutto ciò si aggiungeva la contestazione del ’68 che rifiutava ogni asservi-mento della scuola alle esigen ze del capitalismo, sia nel senso della subordinazionealla strut tura professionale sia nel senso della riproduzione della strut tura socialeesistente. Da questo punto di vista una critica convincente si appunta sul fatto chela teoria del capitale umano trascura le ragioni strutturali della povertà siano esse lasituazione di classe o lo scambio diseguale, cioè l’attuale ingiusto ordine econo-mico nazionale e internazionale. Nonostante ciò, non si può certamente negare che esista un vantaggio indivi-duale e sociale a investire nell’istruzione e che il capitale umano costituisca la ri-sorsa più importante per la crescita economica. Al tempo stesso non è possibile af-fermare che siano sufficienti le dinamiche del mondo produttivo per assicurare losviluppo qualitativo e quantitativo del sistema educativo dell’istruzione e della for-mazione. 2.3.2. Le posizioni critiche degli anni ’70in seguito sono state elaborate altre teorie, ma nessuna ha ottenuto un consensogenerale (lodigiani, 1999 e 2007; Bertagna, 2002 e 2006; Fischer, 1998, 2003 e 106 2007; Halsey et alii, 1998; Guerrieri e Padovan, 2009; Fortis, 2009). Per esempio leinterpretazioni conflittualiste sostengono che la scelta dei percorsi di istruzione e diformazione non è condizionata principalmente dalle esigenze della società indu-striale, ma dagli interessi delle élite, e il sistema educativo si limita puramente aconformarsi ai bisogni dell’economia capitalista, esercitando un ruolo di controllodelle masse e fornendo abiti comportamentali invece che abilità cognitive. in parti-colare, secondo Bowles e Gintis la scuola sarebbe apprezzata dal mondo produttivocapitalista non tanto per le conoscenze e le competen ze che fornisce, quanto perchéforma i tratti della personalità che consentono un inserimento docile nelle gerar-chie industriali e nelle burocrazie. infatti, le qualità del carattere che assicu rano ilsuccesso nell’istruzione e nella formazione sarebbero le stesse che identi ficano ilbuon lavoratore; tali ipotesi, però, hanno trovato nella ricerca empirica solo mo-desti riscontri (Bowles e Gintis, 1978, 1979 e 1982). Alla teoria dei tratti della personalità, va avvicinata quella dell’istruzione comecultura di ceto di Collins secondo la quale il ruolo dell’istruzione e della forma-zione non consisterebbe nell’insegnare conoscenze e abilità tecniche, ma piuttostonel trasmettere il linguaggio, le buone maniere, gli stili di vita e i valori di un deter-minato gruppo (1978a e b, 1980). inoltre, viene negata o ridimensionata la valenzadel sistema educativo in funzione della preparazione professionale che, invece, sirealizzerebbe esclusivamente o principalmente nel luogo stesso del lavoro. la pre-parazione richiesta per le differenti occupazioni non dipenderebbe dalle esigenzedel sistema produttivo, ma dai rapporti di forza tra i ceti in un determinato mo-mento storico. Pertanto, il titolo posseduto non vale come attestazione delle abilitàtecniche acquisite quanto dei valori interiorizza ti. infatti, la dirigenza diun’organiz zazione sceglierebbe i dirigenti dal proprio ceto e i dipendenti dai cetisubordinati che, però, hanno interiorizzato una cultura di rispetto nei confronti delceto dominante. Anche in questo caso si tratta di affermazioni che mancano di unsostegno univoco e convincente sul piano empirico; inoltre, lo stesso Collins am-met te che la scolarizzazione elementare di massa sarebbe un prere quisito neces-sario per il decollo industriale di un Paese; in aggiunta, l’esperienza di lavoro nonpare sufficiente per far apprendere saperi e competenze a quel livello di sofistica-zione che questi hanno ormai toccato.Altri studiosi hanno elaborato la teoria credenzialista (o dell’inflazione dei ti-toli di studio) secondo la quale tra istru zione/formazione ed economia non sussiste-rebbe alcun rapporto e i titoli di studio costituirebbero unicamente delle credenzialiper presentarsi sul mercato del lavoro (Passeron, 1982). l’aumento del livello deititoli richiesti per l’assunzione ai vari posti di lavoro non potrebbe essere attribuitoal ritmo incalzante del progresso scientifico e tecnologico, ma dipenderebbe da unecces so di manodopera istruita per cui lo stesso titolo di studio non assicurerebbepiù l’accesso alla medesima occupazione del passato ma a una di livello più basso,avendo perso di valore, essendosi cioè inflazionato; in altre parole, l’elevazionedelle qualificazioni per l’inserimento occupazionale servirebbe come un mecca- 107 nismo di filtro per regolare in maniera ordinata l’accesso al mondo del lavoro diuna manodopera troppo istruita/formata. in contrario sembra accertato che l’istru-zione di base di massa precede lo sviluppo industriale; inoltre, se la teoria creden-zialista fosse esatta, non si capirebbe come mai gli imprenditori continuino a corri-spondere stipendi più alti ai lavoratori più istruiti/formati e non si sia cercato dipredisporre meccanismi di filtro meno costosi del sistema educativo.la tesi del parcheggio si situa all’estremo opposto rispetto alla teoria del capi-tale umano e parla di un rapporto negativo (Barbagli et alii, 1973). Nei periodi didisoccupazione si registrerebbe una crescita degli iscritti al sistema formativo: perevitare gli effetti negativi della mancanza di lavoro si entrerebbe nella scuola comein un parcheggio in attesa di uscirne al momento propizio. Al contrario, nelle fasi dipiena occupazione gli allievi del sistema educa tivo rimarrebbero stabili o diminui-rebbero. Di fatto, però, il rapporto negativo non è sempre vero: negli Stati Uniti l’e-span sione dell’istruzione superiore dopo la seconda guerra mondiale è avvenuta inun periodo di piena occupazione.A loro volta, gli economisti istituzionalisti hanno sostenuto che il mercato dellavoro è segmentato (Doeringer e Piore, 1971). Esso si articolerebbe in uno pri-mario e in uno secondario: il primo sarebbe contraddistinto da alti stipendi, stabilitàdel lavoro, buone condizioni occupazionali e opportunità di promozione; invece, ilmercato di lavoro secondario presenterebbe tratti opposti quali remunerazioni mo-deste, precarietà, difficile situazione di lavoro e poche possibilità di carriera. ilmercato di lavoro primario sarebbe formato dai mercati interni delle grandi aziendee delle burocrazie pubbliche che tendono a privilegiare la promozione di propri di-pendenti rispetto al ricorso al mercato di lavoro esterno quando si tratta di ricoprireposizioni che si sono rese libere. Pertanto, i lavoratori dei mercati interni non sonoesposti alla competizione dal di fuori e i soggetti più istruiti/formati continuano adessere pagati meglio, a prescindere dalla loro produttività.Nel complesso, in base alle teorie critiche delle posizioni del capitale umano ilsistema educativo finisce con il perdere qualsiasi finalità esplicita di formazioneprofessionale. Certamente esso assume con maggiore chiarezza il ruolo di serviziosociale nel senso che è chiamato a garantire a tutti i cittadini un bene, impegnan-dosi a combattere ogni disparità e ad assicurare l’eguaglianza delle opportunità in-dipendentemente dal sesso, dalla razza, dalla lingua, dalla religione e dalle condi-zioni personali e sociali. Al tempo stesso viene però teorizzata la deprofessionaliz-zazione dell’istruzione e della formazione, mentre si preferisce affidare alle im-prese o ad agenzie extrascolastiche la funzione di qualificazione iniziale e continuadella forza lavoro. indubbiamente anche negli anni ’70 si ritiene che il sistema edu-cativo possa offrire un contributo significativo alla lotta alla disoccupazione, manon perché faciliti un uso efficace della forza lavoro, ma in quanto riduce la pres-sione dell’offerta potenziale di lavoro sul mercato, svolgendo, come si è ricordatosopra, una funzione di parcheggio. inoltre, l’espansione dell’istruzione e della for-mazione separata dalle necessità dell’economia porta a due gravi conseguenze: la 108 dequalificazione della scuola secondaria superiore e l’aumento della disoccupa-zione intellettuale.Al termine di questa disamina delle due prime fasi della riflessione sui rapportitra sistema educativo e produttivo, pare possibile avanzare la seguente conclusionesintetica in riferimento alle teorie finora analizzate. la tesi del capitale umano sot-tolinea l’importanza dell’istruzione e della formazione, ma trascura le carenze sto-riche del processo di accumulazione capitalista. A loro volta le teorie radicali sonomolto consapevoli di tali limiti, ma non danno adeguato conto della funzione eco-nomica del sistema educativo. 2.3.3. A partire dagli anni ’80 la nuova centralità dell’istruzione e della formazioneNegli anni ’80 e soprattutto ’90 ritorna la fiducia nell’istruzione e nella forma-zione su base, però, nuova nel senso che trova giustificazione in un contesto diffe-rente e in altri paradigmi interpretativi (lodigiani, 1999 e 2007; Bertagna, 2002 e2006; Fischer, 1998, 2003 e 2007; Halsey et alii, 1998; Guerrieri e Padovan, 2009;Fortis, 2009). Diversamente da quanto si affermava nella decade ’70, l’elevazionedel livello educativo della popolazione viene ritenuta uno strumento per combatterela disoccupazione. Si registrano anche il ripristino del profilo professionalizzantedell’istruzione e della formazione e la crescente valorizzazione della seconda,perché si pensa possano contribuire in maniera significativa all’incontro tra la do-manda e l’offerta di lavoro.Su questo mutamento di prospettiva hanno influito, anzitutto, i cambiamentiche si sono verificati a livello economico, produttivo e occupazionale. in propositosi può ricordare il mutamento che è intervenuto nella composizione della forza la-voro: il comparto industriale si è ridimensionato, mentre si è assistito a una espan-sione consistente di quello terziario. Tale andamento si spiega principalmentecome conseguenza dell’introduzione e della diffusione delle nuove tecnologie del-l’informazione: ciò ha comportato, tra l’altro, una nuova centralità del sapere e unampliamento dei contenuti professionali del lavoro che si sono riflettuti sui livellidi qualificazione per l’entrata nel mondo del lavoro, determinando un loro innalza-mento. Al tempo stesso si affermano nuovi modelli organizzativi detti “postfor-disti” che si contraddistinguono per le caratteristiche della flessibilità e della qua-lità, e questi paradigmi produttivi tendono a mettere al centro le risorse umane. Setutti sono d’accordo che tali trasformazioni a livello economico, produttivo e oc-cupazionale esigono un lavoro più qualificato, l’unanimità viene meno quando sitratta di precisare se tale processo investa tutte le categorie di lavoratori: nonmanca, infatti, chi sostiene la tesi della polarizzazione secondo la quale la nuovadomanda di lavoro discriminerebbe in maniera netta tra quanti possono contaresulle necessarie competenze e quanti, invece, non le possiedono, determinando unaumento delle disuguaglianze e della forbice delle professionalità tra una ristrettaélite di “ingegneri della conoscenza” e una massa di persone destinate a lavori de-qualificati. Nonostante questa differenza di pareri, l’accordo ritorna nel sottoli- 109 neare che l’istruzione e la formazione sono necessarie per acquisire le conoscenze,le abilità e le competenze richieste per lavorare nei processi trasformati dallenuove tecnologie, pena l’esclusione dal mercato del lavoro o la collocazione nei li-velli più bassi.Tra i fattori del mutamento nell’approccio all’istruzione e alla formazione chesi pongono sul lato del contesto piuttosto che della riflessione, vanno ricordate ledinamiche connesse con l’affermarsi della globalizzazione. l’espansione che ha ca-ratterizzato l’economia tra la fine della seconda guerra mondiale sino alla crisi pe-trolifera del 1973 ha ricevuto un contributo importante dalla chiusura nazionalisticadei Paesi nel senso che gran parte dell’attività produttiva si realizzava entro i con-fini dello Stato in uno spazio protetto da controlli sul movimento dei capitali, deibeni e dei servizi. Con l’avvento della globalizzazione il panorama cambia, la con-correnza si sposta sui mercati internazionali e l’affermarsi dei paesi di nuova indu-strializzazione, come per esempio la Corea del Sud, Singapore, la Tailandia.Taiwan e ultimamente la Cina, l’india, il Brasile e il Sud Africa dà vita a una com-petizione che pone seri problemi alle nazioni a economia avanzata perché i primipossono contare su una produzione di massa a basso costo. Pertanto, i secondi ven-gono a trovarsi di fronte a una alternativa non facile: una strategia consiste nel cer-care di vincere il confronto, collocandosi allo stesso livello, cioè procedendo a tra-sferire le attività economiche in Paesi dove il costo del lavoro sia basso; l’altra ipo-tesi tende a concentrare le attività economiche nei comparti caratterizzati da livellielevati di conoscenza, ricerca e innovazione in cui la competizione dei Paesi in viadi sviluppo non è temibile. Siccome i costi sociali della prima strategia sono troppoelevati, le nazioni ad economia avanzata adottano la seconda, puntando sulla fab-bricazione di un ventaglio di beni e servizi la cui competitività si basi meno sulprezzo e più sulla qualità. questa opzione richiede a monte la presenza nella forzalavoro di una professionalità sempre più elevata che rende di nuovo centrale l’inve-stimento in istruzione e formazione.Sul ritorno della fiducia nell’istruzione e nella formazione ha anche influito ilprogresso che si è realizzato a livello teorico. infatti, sono stati abbandonati i mo-delli che si fondavano su una visione unitaria, omogenea e atomistica del mercato,su una concezione lineare e irreversibile delle sue direzioni di sviluppo e sulla na-tura dominante e strutturante della domanda. Emerge, invece, un paradigma espli-cativo pluricausale che cerca di collegare i cambiamenti che si sono verificati nelladomanda di lavoro per effetto dell’avvento delle nuove tecnologie dell’informa-zione e della ristrutturazione dei processi produttivi e dell’organizzazione indu-striale, con i mutamenti che sono intervenuti nell’offerta di lavoro che si presentasempre più scolarizzata e femminilizzata. in altre parole, al modello “domandista” del capitale umano si sostituiscequello “interattivo”. le relazioni tra istruzione e formazione da una parte e crescitaeconomica dall’altra non si possono basare solo sulla domanda di lavoro, ma bi-sogna parimenti prendere in attenta considerazione la qualità dell’offerta. l’im- 110 pianto e la qualità delle attività imprenditoriali non possono prescindere dalla pre-senza in loco delle necessarie competenze per svolgerle. Assicurare più e miglioreistruzione e formazione a tutti e, soprattutto, a quanti sono disoccupati o sottoccu-pati, benché possa comportare nel breve termine spese consistenti, tuttavia è segnodi una visione strategica che nel lungo periodo offre dei ritorni ben superiori aglisvantaggi del momento. l’analisi della domanda di lavoro possiede una rilevanzacentrale per la definizione delle politiche educative; però, sarebbe errato da partedelle imprese perseguire una politica autoreferenziale, ma devono anch’esse met-tersi al servizio dell’istruzione e della formazione delle persone e tener conto deivalori che queste esprimono. Si richiede, pertanto, un monitoraggio costante delleistanze della domanda e dell’offerta per giungere ad elaborare strategie concertate,mentre ogni politica a senso unico da parte del sistema economico sarebbe necessa-riamente perdente. Gli interventi del governo sul lavoro non possono consistere inuna semplice presa d’atto dei dati economici, ma devono prendere in attenta consi-derazione le correlazioni tra le dinamiche dello sviluppo e i bisogni dei singoli edei gruppi. in questo contesto il modello “interazionista” non rifiuta il meglio diquello “domandista”, ma provvede a integrarlo. L’intervento pubblico non è più focalizzato come nel passato sul sostegno alladomanda aggregata da parte dello Stato secondo la tradizionale impostazione key-nesiana, ma mira a favorire in una prospettiva di natura promozionale l’incontro tradomanda e offerta e ad aiutare le persone che nel mercato del lavoro si trovano inuna condizione di debolezza come giovani, donne, cassintegrati, disoccupati dilungo periodo, extracomunitari. Tenuto conto anche della natura eterogenea, dis-continua e segmentata del mercato del lavoro, viene predisposto un ampio venta-glio di misure di politica attiva rivolte a rispondere in maniera flessibile alla com-plessità della domanda e dell’offerta: tra esse assume una posizione centrale la For-mazione Professionale. infatti, la garanzia del lavoro non coincide più con il postofisso assicurato a vita, ma consiste in una gamma di dispostivi mirati ad elevare illivello di istruzione e di formazione del soggetto e l’efficienza del mercato del la-voro, affinché il lavoratore possa beneficiare del massimo di possibilità nei percorsidi mobilità tra una impresa e l’altra e nell’alternanza tra formazione e lavoro.le indicazioni che vengono dalla letteratura più recente circa l’incidenza del-l’istruzione e della formazione sullo sviluppo economico attestano un superamentodelle posizioni più negative del passato e il raggiungimento di una prima sintesi(lodigiani, 1999 e 2007). Tuttavia, la relazione è tutt’altro che semplice e diretta:in altre parole non esistono automatismi per cui si possa affermare che qualsiasi in-vestimento nel sistema educativo conduca necessariamente ai risultati voluti e, per-tanto, non sono da escludere casi di eccessiva fiducia nelle strategie dell’istruzionee della formazione o di una scelta di modalità sbagliate di intervento. Al tempostesso va affermato che non è pensabile per un Paese realizzare una politica per losviluppo senza il sostegno di una popolazione adeguatamente formata, in partico-lare se si tiene conto dell’attuale fase di esplosione delle conoscenze e di espan- 111 sione della tecnologia. Pertanto, si può dire che l’educazione è il fattore principaledello sviluppo a condizione che la sua traduzione in un progetto concreto corri-sponda alle esigenze proprie di ciascun Paese.l’attuale recupero della centralità del capitale umano e della relazione traistruzione e formazione da una parte e lavoro dall’altra non è più interpretabile insenso meccanicistico e automatico. infatti, si è ormai pienamente consapevoli deglistretti rapporti che intercorrono tra sistemi educativo, produttivo ed occupazionale.l’interpenetrazione che si registra tra sfera sociale e sfera economica, il radica-mento dell’economia nella società portano a una prospettiva multidimensionaledello sviluppo che fonda la presenza di molteplici e differenziati itinerari di crescitail cui successo è condizionato dalle interazioni specifiche che si creano in un deter-minato contesto tra variabili di diversa natura. in questo quadro l’investimento inistruzione e formazione non viene più visto solo come una scelta individuale effet-tuata in nome di una razionalità esclusivamente strumentale, ma è interpretato inun’ottica più complessa che prende in considerazione vari altri fattori quali i mer-cati di lavoro particolari come quelli “interni”, la contrattazione tra organizzazionidatoriali e sindacali, la disparità nella distribuzione delle ricchezze, il quadro istitu-zionale in cui le scelte si collocano. la valenza dell’investimento in istruzione e informazione non viene più calcolata sulla base soltanto dell’aumento del reddito, maanche in termini di crescita di occupabilità del lavoratore e di adeguamento alle esi-genze delle imprese e alle innovazioni tecnologiche e organizzative.questo non significa che non rimangano dei problemi importanti da affrontare.Anche oggi un livello alto di istruzione e di formazione facilita il reperimento diuna occupazione, ma non offre alcuna sicurezza che la si trovi veramente e, soprat-tutto, che corrisponda al titolo posseduto. quest’ultimo è raggiunto da fenomeni disvalutazione e di inflazione che comportano una crescita continua verso l’alto delgrado di istruzione formale necessario per inserirsi nel mercato del lavoro, mentretendono a marginalizzare chi vi entra con credenziali educative deboli. A loro voltaqueste sono sempre più un segno formale del livello di qualifica raggiunto, mentresempre di meno riescono a svolgere una funzione di filtro delle persone più capacio a indicare le conoscenze e le competenze realmente possedute. È anche entrato incrisi il monopolio del sistema di istruzione come unico canale di trasmissione deisaperi e di formazione.Tuttavia, il limite maggiore del modello “interattivo” risiede altrove (Ber-tagna, 2002 e 2006). Pur presentando un insieme di vantaggi rispetto a quello “do-mandista”, di cui supera l’autoreferenzialità del sistema economico e valorizza, in-vece, le connessioni di quest’ultimo con il sistema educativo, il ruolo dell’istru-zione e della Formazione Professionale iniziali e ricorrenti, l’attenzione alle attitu-dini dei singoli, la sensibilità sociale, l’imparare ad apprendere, la concertazione ela negoziazione, tuttavia non incide se non marginalmente sull’assunto principaledel modello “domandista” secondo il quale il significato e il bene di ciascuno ven-gono a coincidere con l’utile e il produttivo. l’occupabilità del soggetto assurge a 112 valore fondamentale e nessuno può discostarsi sostanzialmente dal modello diuomo o di donna che lo sviluppo economico di un certo periodo storico richiede. Diversa è la portata e l’incidenza di un modello “personalista” che pone alcentro la persona e non il sistema economico o le imprese o l’occupabilità. inquesto caso è la persona che diviene il fine a cui vengono subordinati la crescita e iprocessi di istruzione/formazione. Pertanto, lo sviluppo non ha senso se dovesse le-dere anche un solo soggetto. l’istruzione e la formazione non hanno valore in sestesse, ma in quanto sono considerate da ciascuno uno strumento significativo perperfezionarsi e divenire migliore. inoltre, esse non si giustificano in quanto esi-genze oggettive del tempo, ma perché le persone vi riconoscono un’esperienza chele fa crescere. livelli anche molto elevati di crescita economica e una estrema dif-fusione dell’istruzione e della formazione non sono sufficienti se al tempo stessonon rendono più persona ogni persona. Non è accettabile che la realizzazione del-l’uomo si riduca al suo lavoro: il percorso da porre in essere è, invece, quello op-posto di rendere il lavoro, l’occupabilità e l’economia strumenti per sviluppare alpieno ogni persona e tutta la persona. 2.3.4. Rapporti tra scuola e mondo del lavoroTali rapporti si giocano anzitutto a livello di socializza zione lavorativa, cioèdel processo attraverso il quale la perso na acquisisce la propria identità professio-nale (Barbagli, 1978b; Ribolzi, 1988 e 1993; Milanesi, 1997; Morgagni e Russo,1997; Halsey et alii, 1997; Besozzi, 2006; Fischer, 2007). Nella situazione attualequesto si qualifica per due caratteristiche principali: è un processo continuo checomporta cambiamenti e sviluppi per cui non si può parlare di una identità sostan-zial mente raggiunta nella fase iniziale della vita e non più modifi cabile; inoltre,nella società post-industriale, percorsa da rapide trasformazioni, un altro aspettofondamentale va identifi cato nella disponibilità al cambio.Prima degli anni ’70 era opinione comune che la famiglia e la scuola esercita-vano un’incidenza notevole sulla formazione dell’identità professionale che, tral’altro, avveniva sostan zialmente nella prima infanzia. Ora le posizioni sono più ar-tico late. Anzitutto, il ruolo maggiore sarebbe svolto dal primo lavoro e dalleagenzie di socializzazione emergenti come i mass media. la scuola e la famigliahanno ridotto la loro incidenza, anche se questa non è scomparsa; la ragione dellaperdita di influenza andrebbe ricercata nell’incapacità delle due istituzioni di antici-pare concretamente i futuri ruoli lavorativi a causa della separazione tra il luogo diabitazione della famiglia e quello del lavoro e a motivo del carattere astratto delleinfor mazioni che la scuola fornisce circa le occupazioni.la socializzazione lavorativa implica la formazione di un’immagine globaledel mondo del lavoro e di un insieme di aspettative riguardanti il proprio lavoropersonale; a sua volta, il sistema produttivo coltiva determinate attese nei confrontidi coloro che intendono inserirsi al proprio interno. L’aspettativa più diffusa tra igiovani nei confronti della istruzione/formazione è che un grado elevato della me- 113 desima garantisca un lavoro non manuale qualificato. Come si sa, tale attesa siscontra con la realtà dura della disoccupazione intellettuale; nonostante ciò, l’istru-zione/formazione rimane una condizione necessaria per l’accesso a posizioni ele-vate anche se non sufficiente. inoltre, si ha l’impressione che sia in atto una revi-sione della cultura del lavoro nel mondo giovanile; quest’ultima appare sempre piùcaratterizzata: dalla perdita di centralità dell’etica del lavoro e da una maggiore at-tenzione agli affetti, ai rapporti con le persone, agli inte ressi individuali, rispetto allavoro, come elementi su cui fondarsi per dare un senso alla vita.quanto alle attese del sistema produttivo, va anzitutto segnalato un cambia-mento di fondo che si è verificato negli anni ’80: si è passati, infatti, da una sfi-ducia generalizzata nei confronti del sistema educativo alla convinzione di un rap-porto positivo tra il potenziamento della qualità dell’insegnamento, dei pro grammie dell’apprendimento e lo sviluppo economico e sociale. Nel mondo imprendito-riale si è creata una convergenza sull’assunto che nei prossimi decenni si assisterà auna esplosione delle conoscenze e a una grande diffusione del sapere scientifico:pertanto, la formazione di risorse umane soprattutto di eccellenza è destinata a di-ventare un nodo essen ziale delle politiche di sviluppo delle società post-industriali.Un’altra tendenza che si riscontra consiste nell’importanza crescente che viene dataalla socializzazione ai valori, alla formazione culturale di base, rispetto alla prepa-razione tecnica. Va poi sottolineato che è venuta meno la stabilità delle esigenzeformative delle imprese per cui è difficile determinare la doman da del mercato dellavoro.in conclusione quale è il ruolo che si prospetta per la scuola/FP nella transi-zione alla vita attiva? Certamente essa ha perduto la posizione centrale e monopo-listica che aveva avuto in passato e la sua azione va inserita in un quadro di educa-zione permanente. la sua funzione continuerà ad includere, anche se in misura di-versa secondo il tipo di offerta, sia la formazione generale sia la trasmissione dicompetenze tecniche. inoltre, tutta l’educazione impartita dovrà assumere una va-lenza orientativa, nel senso che bisognerà elabora re un percorso di maturazione incui i vari aspetti rilevanti – interessi, attitudini, valori, capacità, conoscenze, com-petenze della persona e esigenze del mondo produttivo – si chiariscono piano pianoal giovane e lo aiutano a delineare un iter in sintonia con le finalità che egli libera-mente intende conseguire. in ogni caso la scuola/FP rimane un fattore positivo inquanto incide su tutti gli attributi che si richiedono a un lavoratore. 2.4. la professione docente e la scuola come organizzazione Se gli allievi occupano il centro dei nostri sistemi educativi di istruzione e diformazione, gli insegnanti ne costituiscono il motore principale. Dato il loro ruoloparticolarmente importante, la problematica che li riguarda è veramente immensa:comunque, mi limiterò agli aspetti che rientrano nella dimensione sociologica e 114 specificamente di sociologia dell’istruzione e della formazione. Pertanto, la sezionesarà articolata in due parti principali: una dedicata all’evoluzione della professionedocente e l’altra più centrata sull’attualità. 2.4.1. L’evoluzione della professione docenteAnche in un’ottica sociologica, essi occupano un posto centrale nel processo diinsegnamento-apprendimento (Banks, 1976; Barbagli, 1978b; Milanesi, 1997;Morgagni e Russo, 1997; Sadovnik, 2002; Besozzi, 2006; Fischer, 2007; Ballantinee Spade, 2008; Ballantine e Hammack, 2009; Arum, Beattie e Ford, 2011; Ribolzi,1998, 1993, 2002, 2012). Da un punto di vista sociologico la definizione del lororuolo comprende due aspetti: l’intenzionalità, cioè è insegnante chi svolge intenzio-nalmente un’attività educativa, e la professionalità, nel senso che il docente esercitale sue funzioni in maniera specializzata. inoltre, nelle società moderne essi operanoin organizzazioni formali, unifunzionali, strategiche, cioè in scuole, come ho spie-gato nell’introduzione. Nelle società stati che essi si presentano come trasmettitoridella cultura dominante, mentre in quelle dinamiche l’insegnante diviene un media-tore e un elaboratore di cultura. i suoi compiti principali sul piano sociologico sonola socializzazione (far interiorizzare la cultura) e la selezione (preparare per i variruoli e assegnare i medesimi); c’è chi contesta la seconda funzione, perché un inse-gnante dovrebbe tenere aperti tutti gli orizzonti per i propri allievi senza chiudernealcuni, ma è anche vero che a partire da una certa età essi hanno bisogno – e lo de-siderano anche – di prepararsi e di appassionarsi per una specifica attività profes-sionale: comunque, la selezione è sempre più umana a scuola che non nella vitadove può trasformarsi in una competizione senza esclusione di colpi.Anche se comunemente viene considerata in termini di unità, è una categoriaprofessionale molto differenziata in base a vari criteri: livello scolastico-formativo,tipo e sezione di scuola/FP; caratteri stiche giuridiche del gestore; qualificazione;stipendio; status; origine sociale. la ragione storico-sociale della diversificazio nepiù importante tra insegnanti elementari e secondari va ricer cata nella distinzionetra l’educazione per i poveri e per l’éli te. Comunque, dopo la seconda guerra mon-diale si costata una generale tendenza a portare la formazione dei maestri a livellodell’istruzione superiore e più in generale a una unificazione sempre maggioredella professione, anche se i docenti universitari tendono a distinguersi come unacategoria a parte da quelli della scuola. quanto alla origine sociale, gli insegnanti tradizionalmente provengono inmodo prevalente dalle famiglie di lavoratori non manuali e quelli che appartengonoal mondo operaio vengono di solito dagli strati più elevati. Tuttavia, va evidenziatoche in anni più recenti si è registrato un abbassamento dell’origine sociale. quantoai docenti universitari, l’estrazione dai ceti medi è ancora più accentuata; al tempostesso, l’enorme espansione dell’istruzione ha portato a un decremento della loroorigine sociale che, infatti, è inferiore a quella delle categorie professionali similari. lo status personale, a sua volta, si situa a un livello intermedio che è più basso 115 di quello delle professioni tradizionali dei medici e degli avvocati. i fattori che in-fluiscono negativamente sono: il peso storico della doppia tradizione elementare esecondaria; la femminilizzazione della professione docente; l’enorme crescitaquantitativa per cui non è possibile assicurare redditi elevati a un numero cosìgrande di persone; la relativa generici tà del ruolo docente; il controllo dello Statosull’accesso alla professione; la presenza consistente in parecchi Paesi di insegnantinon qualificati.Sociologicamente una professione è caratterizzata dai se guenti tratti: tempilunghi di formazione specializzata; un codice etico; il controllo sulle ammissioni daparte della professione stessa; l’esistenza di un corpus determinato di conoscenze;la priorità del servizio al cliente sull’utilità personale; l’autonomia nell’eserciziopro fessionale. Se si applica tale definizione alla classe insegnan te, si nota la pre-senza di quattro caratteristiche su sei: manca no il controllo della professione sul-l’ammissione e l’autonomia. Pertanto, si parla di semi-professione o di status pro-fessionale o si riserva il termine di professionista solo ai docenti universi tari.le ultime considerazioni hanno introdotto il tema dell’inse gnante nella strut-tura di autorità della scuola/FP. Da tale punto di vista non si può negare che que-st’ultima è anche una burocrazia: ciò significa che essa presenta in sé le caratteri-stiche tipiche proprie di tale organizzazione quali – come si è visto sopra – la rego-lamentazione sulla base di norme generali e astratte, invece del capriccio del so-vrano; l’impersonalità dei ruoli che assicura il loro funzionamento indipendente-mente da chi li occupa; la limitazione dei poteri, in base alla specializzazione dellecompetenze di ciascun ufficio al posto dell’assolutismo regio; l’esistenza di una ge-rarchia come forma di controllo contro ogni arbitrio, poiché quando si riceve untorto da un funzionario è sempre possibile ricorrere all’autorità che occupa una po-sizione superiore; l’accesso e la carriera vincolati a concorsi ed esami come stru-mento per scegliere i migliori. infatti, la scuola/FP utilizza personale specializzato,garantisce un minimo di standardizzazione, presenta una struttura gerarchica e assi-cura imparzialità ed eguaglianza. Ricordo che i fattori principali della burocratizza-zione della scuola vanno identificati nei seguenti aspetti: lo sviluppo demograficoche ha comportato una crescita esponenziale degli studenti e la burocrazia è l’orga-nizzazione tipica per gestire i grandi numeri; la mobilità degli allievi che implica lapresenza degli stessi requisiti di base su tutto il territorio nazionale; la ricerca del-l’eguaglianza che richiede parità di livelli essenziali di prestazioni nell’intero si-stema educativo; l’urbanizzazione che con la concentrazione di grandi masse nellecittà ripropone lo stesso bisogno di prima sulla gestione dei grandi numeri; la cre-scita dei saperi e la burocrazia è considerata un modello più scientifico di organiz-zazione di quello prevalente nelle monarchie assolute dell’Europa tra i secoli Xii eXViii; la rilevanza economica della scuola che pone l’urgenza di una razionalizza-zione delle attività.A partire dagli anni ’80 si è affermata anche una tendenza opposta alla deburo-cratizzazione della scuola/FP. la relativa domanda emerge per l’azione congiunta 116 di due fattori principali: da una parte, le istanze della standardizzazione, che signi-fica prevalenza di criteri universali e astratti, sono entrate in conflitto con quelledella personalizzazione che, invece, tiene conto anche e principalmente delle carat-teristiche particolari e specifiche di ognuno; dall’altra, la struttura gerarchia del-l’autorità tipica della burocrazia si è scontrata con la domanda dal basso di auto-nomia e di partecipazione. Con riferimento specifico al ruolo docente, va tenutopresente che nella burocrazia l’autorità si fonda sulla posizione del funzionarionella gerarchia e richiede l’obbedienza agli ordini dell’autorità superiore in quantotale, indipendentemente dalla natura di ciò che viene comandato, mentre nell’eser-cizio di una professione essa si basa sulla competenza e rispetta l’autonomia deicollaboratoriin generale, si può dire che i docenti non sembrano esercitare molta incidenzasu parecchie decisioni importanti. qual è la percezione degli insegnanti in propo-sito? le attese di partecipazione sono più diffuse dell’esercizio reale della parteci -pazione e molti insegnanti dimostrano una certa riluttanza nei confronti del parteci-pazione perché ciò significa assumersi delle responsabilità. Essi sperimenterebberoun maggiore senso di potere nelle scuole con più alto livello di burocratiz zazioneperché hanno l’impressione che in tali situazioni i loro diritti siano più chiaramentedefiniti e tutelati. in ogni caso i problemi di autorità sono maggiori nelle istituzionieducative in cui gli insegnanti dimostrano una coscienza più acuta dei valori pro-fessionali e in quelle più grandi, complesse e standardizzate. inoltre, per i docentispesso è più importante la percezione che non la partecipazione.quanto ai rapporti con la leadership, va premesso che dirigente efficace sa-rebbe quello che da una parte gestisce con efficienza i rapporti con i membri delgruppo, le strutture, i canali di comunicazione e le procedure e che dall’altra ispirala sua condotta relazionale ad amicizia, fiducia reciproca, rispetto e calore. le fun-zioni principali della direzione consisterebbero nell’assicurare il raggiungimentodegli obiettivi e nel promuovere il mantenimento del gruppo. Si distinguono tre tipidi leader, anche se nella realtà si riscontra un conti nuum piuttosto che delle riparti-zioni nette: nomotetico che dà priorità alle esigenze dell’organizzazione rispetto aibisogni del gruppo; ideografico che attribuisce il primato alle relazioni interperso-nali; transaziona le, che ricerca un equilibrio tra i due tipi di esigenze. le ricercheempiriche rilevano una correlazione fra stili ammini strativi, soddisfazione dell’in-segnante, sue prestazioni e riu scita degli allievi, benché la direzione della causalitàtenda a presentarsi più in forme circolari che lineari.Per quanto riguarda il tema dell’insegnante nella classe, va ricordata la man-canza di correlazione tra i giudizi degli ammini stratori (basati sulla disciplina e ilconformismo) e le valuta zioni degli allievi (fondate sulla capacità di accoglienza ela permissività). Nello studio degli stili di insegnamento è stato utilizzato il quadroteorico di lippitt (tre tipi di leadership, democratica, autoritaria e “laissez-faire”)ed è stato ritradotto in stili centrati sull’insegnamento, sull’al lievo o su ambedue.Va poi tenuto presente l’influsso della personalità degli allievi sulle loro reazioni 117 agli stili e ai metodi di insegnamen to: gli alunni con carattere indipendente e conforte motivazione a riuscire preferirebbero il massimo di autonomia nei loro studi;gli allievi che dimostrano un pensiero convergente si orientano a favore dell’ordinenella classe; gli alunni con un elevato grado di dipendenza si attendono un contestodi calore affettivo.l’origine sociale esercita un influsso sulle relazioni insegnante-allievo. i do-centi sembrano preferire gli studenti dei ceti medi e tendono a considerare pocogratificante l’insegnamen to agli alunni di origine sociale bassa. Appare, invece,meno provata la discriminazione esplicita nei confronti degli studenti di statussocio-economico basso. Come si è visto sopra, altri studi hanno richiamato l’attenzione sull’atteggia-mento approvante o meno dei docenti sul successo scolastico. A parità di altre con-dizioni, tale atteggiamento pare incidere in maniera significativa. questo anda-mento assume un valore rilevante ai fini del tema in discussione se si tiene contoche, come ho appena osservato, gli insegnanti in virtù della loro adesione ai valoridella classe media tendono ad assumere un atteggiamento di inconscia discrimina-zione verso gli allievi degli strati sociali più bassi, benché si tratti di fenomeni chepaiono sempre meno diffusi. 2.4.2. Le problematiche attualiin anni recenti il tema degli insegnanti e della loro formazione ha assunto,come mai prima d’ora, una collocazione centrale nelle preoccupazioni sociali inmateria educativa (Torres, 1996; Sadovnik, 2002; Bindé, 2002; Halperin e Ratteree,2003; Silvestre Oramas, 2003; Besozzi, 2006; Fischer, 2007; Ballantine e Spade,2008; Ballantine e Hammack, 2009; Arum, Beattie e Ford, 2011; Ribolzi, 2012). leloro funzioni si stanno moltiplicando in maniera esponenziale e si va da compitidiagnostici a una didattica centrata sullo studente, all’integrazione sistematica e cri-tica nell’insegnamento degli apporti dell’educazione non-formale e informale, al-l’attenzione per gli alunni delle minoranze e in genere per gli studenti svantaggiati,alla collaborazione con i colleghi e le altre componenti della comunità educante edi quella locale. Un buon punto di partenza per l’analisi della situazione può essere offertodalla distinzione tra “informazione” e “conoscenza”. la prima consiste in fatti,commenti, opinioni, espressi con parole, immagini e suoni, e può essere conser-vata, diffusa, trasmessa, venduta e comprata. la conoscenza è, invece, il risultatodella ricostruzione delle informazioni da parte di una persona secondo la sua storiae il suo contesto di vita e deve essere acquisita ed elaborata. Allo stesso modo sipuò distinguere tra la società dell’informazione, basata sullo sviluppo tecnologico,caratterizzata da disparità, in particolare riguardo all’uso delle Tecnologie dell’in-formazione e della Comunicazione (Tic), e in cui l’informazione è un bene econo-mico, e la società della conoscenza che presenta un orizzonte più ampio, compren-sivo delle dimensioni sociali, etiche e politiche, e in cui l’accesso all’informazione 118 dovrebbe risultare universale ed equo. Al suo interno la conoscenza costituisce unfattore di innovazione verso l’instaurazione di maggiore giustizia, solidarietà, de-mocrazia e pace, e la comunicazione avviene secondo un’impostazione non più pi-ramidale ma orizzontale e paritaria quale quella della rete. i due modelli sociali siriflettono nel sistema educativo e rinviano a una nuova pedagogia, a una nuova di-dattica, a una nuova professione docente e a un nuovo tipo di formazione degli in-segnanti.Non c’è dubbio che gli insegnanti svolgano un ruolo cruciale nella scuolacome supporto all’esperienza di apprendimento di giovani e adulti e come attoriprincipali della realizzazione delle riforme. Pertanto, i docenti vanno preparati a ri-spondere adeguatamente alle sfide della società dell’informazione e della cono-scenza, a contribuire in prima persona alla sua evoluzione, a formare gli studenti adivenire soggetti attivi del loro apprendimento permanente e cittadini impegnatinello sviluppo del proprio Paese: è chiaro che gli insegnanti non possono proporsitali mete singolarmente, ma devono cooperare tra di loro e con le altre parti interes-sate.Prima però di affrontare il tema della formazione è bene approfondire come ilruolo dei docenti è cambiato negli ultimi decenni del secolo scorso: certamentel’innovazione principale che si è registrata in proposito, è rappresentata dall’evolu-zione dal monopolio alla mediazione (Goble e Porter, 1977; Faure et alii, 1972;Avalos, 1991; Cresson e Flynn, 1995; Delors et alii, 1996; Rapporto mondiale sul-l’educazione 2000, 2000).Secondo la concezione tradizionale l’insegnante detiene il monopolio delle co-noscenze, le trasmette a chi non le ha e cessa dalla sua funzione quando l’allievo haappreso tutto ciò che sa l’insegnante. questo presuppone a monte che le cono-scenze abbiano una natura fissa, finita e quantitativamente misurabile, cioè chel’apprendimento consiste nel deposito e nell’accumulazione di saperi, e che tra do-cente e allievo si riscontra un dislivello di conoscenze che viene colmato dal tra-vaso di nozioni dal primo al secondo; una volta compiuto tale trasferimento, l’edu-cando o si inserisce nella vita pratica o passa ad un altro insegnante che ne sa piùdel primo.inoltre, la condizione dell’insegnante si basa sul fatto di possedere maggioricognizioni di altri, in specie dei propri allievi. questo significa che ogni docenteesige uno status superiore a quello del collega del livello precedente e che il suostatus aumenta con l’elevarsi dell’età dello studente. Da ultimo, il titolo di studioviene inteso come una misura della lunghezza della formazione e della capacità diriprodurre dei modelli, piuttosto che come indice delle conoscenze e delle compe-tenze acquisite.Alla fine degli anni ’60 il modello del monopolio è entrato in crisi soprattuttoper l’effetto di due fattori. in primo luogo, va ricordata l’espansione enorme delleconoscenze, per cui nessuno può vantare il monopolio dei saperi in un determinatosettore di studio. il secondo fattore consiste nell’esplosione delle aspettative di 119 eguaglianza che rende sempre meno accettabile l’esistenza di una gerarchia rigidadi status tra le diverse categorie di insegnanti.la prima risposta alla crisi è consistita in un tentativo di modernizzare il mo-dello del monopolio attraverso delle correzioni che però non ne hanno cambiato lasostanza. in altre parole, per gli insegnanti si sono aggiunti ulteriori compiti (peresempio la trasmissione di nuove conoscenze) invece di attribuire loro un nuovoruolo e sono stati introdotti altri pacchetti di conoscenze da trasmettere, soprattuttoutili a consentire agli allievi di affrontare con successo le esigenze del mercato dellavoro, che però sono state concepite nei vecchi termini di immutabilità e di fini-tezza. Chiaramente tale risposta era del tutto insufficiente a superare i problemiposti dalla emergenza dei fattori citati sopra.la soluzione è venuta dal riconoscimento agli insegnanti di un nuovo ruolo,quello della mediazione. in altre parole, il docente si interpone tra l’educando e lamassa delle informazioni frammentarie, prive di ordine e tra loro spesso contra-stanti che tendono a sommergerlo, per aiutarlo a integrarle in un quadro coerente diconoscenze. il compito di trasmettere le conoscenze perde la priorità, anche se noncessa di conservare la sua rilevanza; al contrario, diviene essenziale il compito diformare nell’educando la capacità di individuare, verificare e assimilare le cono-scenze e le competenze che gli consentiranno di formulare e realizzare gli obiettividelle sue azioni sulla base di una valutazione realistica della situazione in cui vive enel rispetto degli interessi collettivi e dei diritti altrui. Ne consegue che il docentenon è più tanto o principalmente la fonte delle informazioni, ma il suo ruolo con-siste, anzitutto, nel guidare alle fonti delle conoscenze e nel predisporre le occa-sioni di apprendimento.in questo contesto, la condizione insegnante deve caratterizzarsi per la sua na-tura cooperativa. la collaborazione non va ricercata e attuata solo all’interno delleistituzioni, ma anche tra le scuole, le famiglie, le imprese, le strutture culturali e so-ciali. la cooperazione, a sua volta, costituisce sia una risorsa per trovare soluzionea problemi sempre più complessi, sia la strada più semplice per aprirsi alla realtàcircostante e alle prassi proprie del contesto che gli insegnanti devono saper analiz-zare in vista di una riflessione che arricchisca con l’esperienza la loro azione edu-cativa.in aggiunta, la condizione docente dovrebbe caratterizzarsi per la sua mobilità.Gli insegnanti vanno incoraggiati a prendere parte a progetti nazionali e internazio-nali, a lavorare e studiare, per ragioni di maturazione sul piano conoscitivo e dellecompetenze, in altri Paesi che dovrebbero riconoscere loro uno status adeguato,come pure la loro nazione di origine. Viene anche raccomandata la mobilità tra li-velli scolastici e verso altre professionalità educative.il cambiamento sostanziale nel ruolo del docente appena descritto ha compor-tato necessariamente una nuova definizione delle sue competenze pedagogiche.in connessione con quanto si è evidenziato sopra riguardo alla natura coopera-tiva del ruolo insegnante, la prima competenza va identificata nel saper lavorare 120 con gli altri. la professione docente dovrebbe essere basata sui valori dell’inclu-sione sociale e mirare alla valorizzazione del potenziale di ogni alunno. Da questopunto di vista è necessario che i docenti possiedano una buona conoscenza dellefasi e dei meccanismi dello sviluppo della personalità giovanile e sappiano domi-nare le strategie che consentano loro di stabilire relazioni feconde con gli studenti.in secondo luogo viene la padronanza del sapere, della tecnologia e della in-formazione. la loro formazione dovrebbe attrezzare gli insegnanti ad accedere,analizzare, validare, riflettere e trasmettere una vasta gamma di conoscenze, con-sentendo loro un uso effettivo delle Tic. le competenze didattiche di cui dispon-gono permetteranno agli insegnanti di predisporre e gestire le condizioni per un ap-prendimento efficace e di scegliere le strategie più valide per realizzare in modosoddisfacente il processo di insegnamento. inoltre, dovrebbero essere capaci di so-stenere e guidare gli alunni nell’uso delle reti, dove essi possono trovare le infor-mazioni, e nella realizzazione di un apprendimento per tutta la vita.Gli insegnanti disporranno anche delle competenze per operare nella e con lasocietà. Essi dovrebbero essere capaci di promuovere mobilità e cooperazione e in-coraggiare il rispetto e la comprensione interculturale. È anche necessario che sianoconsapevoli della dimensione etica della società della conoscenza e che sappianousare le strategie della coesione sociale e dell’inclusione. Dovrebbero anche dis-porre delle competenze per operare efficacemente nella comunità locale con tutte leparti interessate.Venendo a competenze più circoscritte, anzitutto vanno citate quelle diagno-stiche, cioè le abilità di valutare le esigenze formative dell’educando. Più in parti-colare si tratta di individuare le capacità dell’educando, di paragonarle con i tra-guardi da raggiungere, di prevedere le reazioni dello studente e di definire gli osta-coli che egli può incontrare.in aggiunta, viene la competenza nel dare risposte corrispondenti ai bisogni.Ciò implica, anzitutto, la scelta dei mezzi più adeguati di comunicazione delle co-noscenze e delle competenze. Tutto questo richiede a monte la conoscenza delle di-scipline, la padronanza delle metodologie in vista dell’apprendimento e la consape-volezza della situazione psicologica e sociale dell’educando. Al tempo stesso nonva sottovalutata la risposta ai bisogni di ordine e di disciplina degli allievi per evi-tare che un’eccessiva condiscendenza dell’insegnante porti al rifiuto del docente daparte dell’alunno.importanza centrale hanno anche le competenze di valutazione. in sintonia conil ruolo pubblico affidato alla scuola, la valutazione deve certificare il progressodell’educando e del cambiamento che si è prodotto in lui. Si tratterà, inoltre, di por-tare l’educando all’autovalutazione che è la sola che può incidere sostanzialmentesui comportamenti degli educandi. Altrettanto significative sono le capacità di relazioni interpersonali. in partico-lare, si tratta di saper usare sensibilità e tatto con gli allievi non solo nelle comuni-cazioni verbali, ma soprattutto in quelle non verbali. inoltre, bisogna mostrare com- 121 prensione, rispetto e collaborazione con i genitori, gli altri insegnanti e il personalenon docente.Al docente si richiede in aggiunta di possedere le competenze necessarie persviluppare il curricolo. Egli deve essere in grado di organizzarlo in una sequenzalogica di unità contenutistiche, in funzione dei meccanismi psicologici di apprendi-mento dell’educando e in modo da comprendere anche l’esperienza extrascolastica.All’insegnante si domanda pure di dimostrare responsabilità sociale. questa asua volta comprende vari aspetti: la capacità di identificare gli effetti negativi del-l’ambiente e di rimediare agli influssi sfavorevoli; la capacità di predisporre con-testi favorevoli allo sviluppo dell’educando; una presa di posizione attiva sui pro-blemi filosofici, politici e morali, evitando ogni forma di neutralità, senza però im-porre le proprie convinzioni.il nuovo ruolo e le nuove competenze esigono pure una professione docentealtamente qualificata. Tutti gli insegnanti dovrebbero conseguire un titolo di istru-zione superiore. Più in particolare, essi dovrebbero poter padroneggiare un’area di-sciplinare ampia, le metodologie educative più avanzate, le abilità e le competenzeper guidare e sostenere gli alunni e una comprensione adeguata della dimensionesociale e culturale dell’educazione.inoltre, bisognerà collocare tale professione nel contesto dell’apprendimentoper tutta la vita. Pertanto, oltre a ottenere un titolo superiore, essi dovrebbero dis-porre delle opportunità di proseguire gli studi per tutta la vita, allo scopo di svilup-pare le proprie competenze e accrescere le possibilità di avanzamento nella car-riera. Essi vanno adeguatamente sostenuti in questo impegno per cui le istituzioninelle quali operano dovranno valorizzare la formazione permanente, incoraggiandoi docenti a partecipare attivamente allo sviluppo professionale mediante una rifles-sione costante e attenta sulla loro pratica, l’aggiornamento continuo, il rinnova-mento graduale del loro insegnamento, la partecipazione ad attività di ricercaazione e l’impegno nell’innovazione a livello di singola scuola e di sistema. questadedizione all’apprendimento per tutta la vita andrebbe anche riconosciuta a tutti ilivelli, non solo economico e di carriera, ma anche professionale, sociale e perso-nale. 123 Conclusioni generali Società della conoscenza, economia e sistemi educativi in una situazione di crisi le tecnologie dell’informazione, informatiche e telematiche, hanno provocatonell’ultimo decennio uno scenario di radicale transizione sociale verso nuove formedi vita e di organizzazione che ha fatto parlare di “società della conoscenza”(Cresson e Flynn, 1995; Malizia, 2008b; Malizia e Nanni, 2010). i micro-proces-sori stanno inducendo sotto i nostri occhi una rivoluzione globale dagli esiti nonancora chiari e scontati, che si estendono non solo alla produzione e alla comunica-zione sociale, ma anche ai modi di vita e dell’esistenza individuale, familiare, so-ciale, mondiale. Si sono accresciute enormemente le opportunità di accedere all’in-formazione e al sapere, ma d’altra parte si richiedono adattamenti e competenzenuove che, se mancano, possono provocare emarginazione ed esclusione sociale.Sul lato strutturale, si può dire che si è compiuto il passaggio da un modelloindustriale di economia ad uno post-industriale (Gosetti, 2011a e b; Minardi, 1999;Malizia, 2008b; Malizia e Nanni, 2010). il primo pone l’accento su una concezionequantitativa della crescita (“trarre più dal più”), sul volume della produzione, suuna impostazione lineare, atomistica, gerarchica, dualistica e manipolativa del la-voro e della sua organizzazione; il secondo sottolinea la qualità e l’intensità dellosviluppo (“ottenere più dal meno”), il valore della produzione, la natura simbolica,interattiva, conte stuale, partecipativa, autonoma e intellettuale dell’attività occupa-zionale e della sua strutturazione. il mondo delle aziende è dominato da impresepiccole, flessibili, dinamicizzate dalla risorsa “conoscenza”, capaci di produrre unavasta gamma di beni e servizi che sono molto spesso immateriali. Sul lato negativo, le grandi imprese riducono le loro attività: le funzioni pro-duttive di base sono conservate, mentre i servizi di supporto vengono affidati aditte o a persone esterne; per questa via, la grande industria è riuscita a ridurre laforza lavoro in maniera anche molto drastica. il passaggio al post-industriale si ac-compagna anche ad un aumento dei fenomeni di precarizzazione e di de-regola-zione del lavoro che mettono in crisi il sistema tradizionale di relazioni sociali. Nelcontempo la globalizzazione e l’informatizzazione contribuiscono ad aumentare ladisoccupazione o sotto-occupazione che, a differenza della prima e della secondarivoluzione industriale, non riesce più ad essere interamente assorbita dai settoriemergenti (il quaternario). Di conseguenza i nostri sistemi sociali non riescono ad 124 assicurare a tutti un accesso equo alla prosperità, a modalità decisionali democra-tiche e allo sviluppo socio-culturale personale. la sostituzione del lavoro con capitale – da cui i vari casi di disoccupazionetecnologica – è un fenomeno antico che si manifesta a partire almeno dalla rivolu-zione industriale. Ma oggi esso assume connotazioni diverse per due ragioni.Primo, tale processo investe anche le attività immateriali (cioè terziarie) dove lavo-rano i “colletti bianchi”, quelli cioè occupati negli uffici. Secondo, il capitale chesostituisce il lavoro non è rappresentato da macchine qualsiasi, ma dalle tecnologiedell’informazione e della comunicazione. il passaggio alla società della conoscenza trasforma il senso e il modo di lavo-rare, nascono nuove professioni, vecchi mestieri cambiano configurazione, altriscompaiono definitivamente. Si diversificano i mestieri, e prima ancora le tipologiee le forme giuridiche dei rapporti occupazionali. C’è un’indubbia “intellettualizza-zione” del lavoro. È richiesta la flessibilità e la mobilità occupazionale e la poliva-lenza della cultura professionale. l’avvento dell’industrializzazione ha profondamente mutato il ruolo e lostatus del lavoro (Rullani, 2011; Bagnara, 2010; Panara, 2010). Anzitutto, quest’ul-timo si è gradualmente trasformato in lavoro cognitivo man mano che i cosiddettilavori di “fatica” sono stati assunti dalle macchine, alimentate da energia artificiale.in secondo luogo è in atto un altro processo per cui il lavoro cognitivo di naturaesecutiva viene progressivamente assorbito dall’automazione delle macchine,mentre contemporaneamente si sta diffondendo un’altra modalità di lavoro, il la-voro intelligente, che risulta sempre più necessario se si vuole orientare e svilup-pare la complessità presente nella società della conoscenza. Di fatto, il lavoro ese-cutivo non è stato ancora superato, ma costituisce un nodo problematico serio neiPaesi ricchi dove, in seguito alla meccanizzazione e all’apertura dei mercati verso iPaesi “low cost” – che invece se ne servono come forza portante della loro cre-scita – esso tende a perdere valore in maniera inarrestabile. in questa situazione ilavoratori del Nord del mondo dovranno impegnarsi ad elevare il livello della pro-pria occupazione da esecutivo a innovativo; si tratta però di un salto di qualità tut-t’altro che facile e semplice perché richiede conoscenza di processi complessi, au-tonomia e coraggio di investire a rischio. Un’altra opportunità che sta emergendo difronte al fenomeno della fuga all’estero del lavoro esecutivo e della sua sostitu-zione con le macchine è offerta dalla crescita del lavoro adattivo che si differenziadagli altri due perché mira ad adeguare le prestazioni standard alle esigenze deivari contesti o delle singole persone.il lavoro cognitivo sta assumendo pertanto tre configurazioni tra loro profon-damente diverse. Anzitutto viene il lavoro creativo o intelligente che in modo inno-vativo adegua i processi meccanici ad un contesto complesso o riesce a dar vita anuovi ambienti. Esso caratterizza i cosiddetti lavoratori della conoscenza chestanno aumentando per numero e per importanza sospinti dalle dinamiche della so-cietà attuale che impongono di affrontare quotidianamente situazioni di comples- 125 sità, diversità, incertezza e cambiamento accelerato. in secondo luogo va menzio-nato il lavoro esecutivo che diversamente dal precedente applica e replica cono-scenze riproducibili come le macchine e svolge mansioni soggette alle prescrizionicontenute in programmi. Gli operai delle imprese industriali e gli impiegati delleburocrazie pubbliche, pur continuando ad essere presenti nei Paesi sviluppati, tut-tavia vedono ridurre il proprio numero e indebolirsi la loro posizione sia perchésono facilmente sostituibili, sia anche per il confronto competitivo con i lavori“low cost” offerti nel Sud del mondo. il lavoro adattivo abbraccia quelle attivitàtradizionali come la badante, l’idraulico, il cameriere, il riparatore, in cui è neces-sario adeguare ai diversi ambienti macchine o procedure che non sono in grado dirispondere ai problemi in maniera soddisfacente. Ci troviamo di fronte a una cate-goria di occupazioni che è destinata ad aumentare, in particolare nel campo dei ser-vizi, ma i relativi stipendi si collocano a livelli bassi perché soffrono della concor-renza di sostituti “low cost” locali quali immigrati e disoccupati. in tutti e tre i casiil successo può essere assicurato dalla presenza delle tre caratteristiche a cui si ègià accennato sopra; l’autonomia delle scelte, l’intelligenza della situazione e dellealternative, l’assunzione di una parte di rischio.la recente crisi del credito e la finanza “creativa” hanno comportato un’inter-ruzione nella crescita economica (Banca d’italia, 2009a e b; Fortis, 2009; Gover-nare l’economia globale, 2009; Guerrieri e Padoan, 2009). È soprattutto il sistemafinanziario che si è trovato in grosse difficoltà: «le banche hanno elargito prestitiin quantità elevate ai clienti poco solvibili […] Hanno allettato i mutuatari con po-litiche di marketing aggressive. Con l’aumento dei tassi e lo scoppio della bolla im-mobiliare si è innescata la crisi» (Crisi globale identità locale, 2009, p. 41; D’Apicee Ferreri, 2009). Gli effetti non si sono fatti attendere e sono seguite anzitutto labancarotta di varie grandi, medie e piccole imprese, tra cui banche famose, la cre-scita delle disoccupazione e una maggiore diffusione di situazioni di estrema po-vertà. inoltre, i prezzi delle merci hanno incominciato a salire a fronte di famigliesempre più impoverite dalla riduzione del reddito complessivo dei loro compo-nenti. i governi si sono trovati nel pericolo di vedere diminuito il gettito delle tassee di essere obbligati a ridurre le spese, incominciando come sempre proprio daquelle sociali.Passando sul lato del sistema formativo, tra i punti di debolezza di quest’ul-timo va, in particolare, segnalata la discrepanza, in termini non solo di conoscenzee di competenze, ma spesso anche di attitudine e di approccio, che continua a per-manere (ed anzi tende ad aggravarsi) tra le richieste del mercato del lavoro e l’in-sieme delle capacità offerte in uscita dal sistema formativo. il problema è che initalia questo divario e questa mancanza di convergenza sono frutto della separa-zione culturale e di esperienza fra i due mondi e generano, di conseguenza, nonsolo crescenti difficoltà di inserimento dei giovani nel mondo produttivo ma ancheuna sempre minore possibilità, da parte del sapere tecnico e scientifico, di entrarenei processi produttivi e di incidere su di essi. 126 Per rispondere al meglio alle nuove esigenze si dovrà pensare a una nuova fi-gura di lavoratore che non solo possieda i necessari requisiti tecnici, ma anchenuovi saperi di base (informatica-informazione, inglese, economia, organizza-zione), capacità personali (comunicazione e relazione, lavoro cooperativo, appren-dimento continuo) e anche vere e proprie virtù del lavoro (affrontare l’incertezza,risolvere problemi, sviluppare soluzioni creative). in questo contesto sembrano del tutto insufficienti sia l’interpretazione trionfa-lista e ingenua che del ruolo del sistema di istruzione e di formazione ha dato ilfunzionalismo, sia il pessimismo radicale delle teorie neo-marxista e della riprodu-zione (Sadovnik, 2002; Antikainen e Torres, 2003; Besozzi, 2006; Fischer, 2007;Ballantine e Spade, 2008; Ballantine e Hammack, 2009; Ribolzi, 2012). Per ilprimo, infatti, come si sa, la scuola/FP è solo positività in quanto: è perfettamentefunzionale alla trasformazione delle capacità in competenze e allo sviluppo econo-mico, risulta un valido strumento di promozione sociale e contribuisce adeguata-mente all’integrazione delle nuove generazioni nella società e alla coesione di que-st’ultima. Per la teoria marxista e della riproduzione, al contrario, la scuola/FP èsolo: sovrastruttura e apparato ideologico di Stato in quanto trasmette l’ideologia ela fa accettare, e non fattore di cambiamento, ma frutto del cambiamento che av-viene nel modo di produzione; agenzia di riproduzione sociale, nel senso che per-petua l’ingiusta distribuzione delle ricchezze e del potere nella società; strumentodi corrispondenza tra le pratiche sociali dell’educazione e quelle del mondo produt-tivo, per cui convince ad accettare acriticamente le storture del capitalismo; irrifor-mabile se prima non avviene una riforma delle strutture sociali; uno strumento dilotta tra i gruppi e non di apprendimento; una forma di spreco perché si può impa-rare tutto sul mondo del lavoro; determinata da fattori macro-sociali che sfuggonoal controllo dei singoli.Per una corretta interpretazione sociologica della scuola può aiutare un ap-proccio multidimensionale che cerca di integrare con gli aspetti negativi elencatisopra quelli positivi evidenziati dalla riproduzione contraddittoria, dalla concezioneneo-weberiana e dall’interazionismo fenomenologico. in base alle loro conclusionisi può dire che la scuola/FP è anche: dotata di autonomia relativa rispetto alle dina-miche sociali; strumento di contraddizione che svolge una funzione contro-funzio-nale rispetto alle diseguaglianze sociali; riformabile anche nella società capitalista;mezzo di elevazione delle classi subalterne in quanto fornisce ai loro figli i titoli distudio per l’accesso alla classe dirigente; in grado di trasmettere competenze e cul-tura con una valenza di emancipazione e di liberazione; costruita sull’interazionedegli attori sociali e non solo determinata dalla dinamiche macro-sociali.Pertanto, la conclusione confortante è che scuola/FP può esercitare un impattopositivo sulla società, anche se a determinate condizioni, che però sono quelle chene possono assicurare un efficace servizio all’educazione dei giovani, in particolaredi quelli più svantaggiati. 127 Bibliografia ABRAVANEl R., Meritocrazia. quattro proposte concrete per valorizzare il talento e rendere il nostropaese più ricco e più giusto, Milano, Garzanti, 2008.AlEXANDER J.C., Teoria sociologica e mutamento sociale, Milano, Franco Angeli, 1990.AlTHUSSER l., Ideologia e apparati ideologici di Stato, in BARBAGli M. 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La teoria della deprivazione culturale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151.2. il neo-marxismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161.2.1. Gli assunti riconducibili a Marx . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161.2.2. Il neo-marxismo, Althusser e gli apparati ideologici di Stato . . . . . . . 171.3. la teoria della riproduzione culturale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 191.3.1. Dall’analisi sincronica alla interpretazione diacronica . . . . . . . . . . . . 201.3.2. L’ideologia dei doni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 221.3.3. La scuola come agenzia di riproduzione sociale . . . . . . . . . . . . . . . . . 251.3.4. La teoria della pratica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 331.3.5. Per una pedagogia razionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 361.4. Basil Bernstein e la nuova sociologia dell’educazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 391.4.1. I codici linguistici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 391.4.2. I codici educativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 401.4.3. Codici educativi e pedagogie visibili e invisibili . . . . . . . . . . . . . . . . . 431.4.4. I codici produttivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 451.4.5. La nuova sociologia dell’educazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 461.5. la teoria della riproduzione contraddittoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 481.5.1. Osservazioni generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 481.5.2. La funzione contro-funzionale della scuola/FP . . . . . . . . . . . . . . . . . . 491.5.3. Bowles e Gintis: i principi di corrispondenza e di contraddizione . . . 491.5.4. La teoria della resistenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 531.6. il neo-weberianesimo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 541.6.1. Analisi critica della teoria tecno-funzionalista . . . . . . . . . . . . . . . . . . 551.6.2. La teoria generale delle funzioni educative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 601.6.3. Una teoria del mercato culturale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 631.6.4. Osservazioni conclusive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 641.7. l’approccio interazionista-fenomenologico e il post-moderno . . . . . . . . . . . . 65 1.7.1. Sintesi dell’approccio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 661.7.2. L’approccio interazionista-fenomenologico e la scuola/FP: conside-razioni generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 681.7.3. L’interazione in classe: una tematica da approfondire . . . . . . . . . . . . 721.7.4. Nuove forme culturali tra modernità e post-modernità . . . . . . . . . . . . 75 134 PARTE SECONDA2. le tematiche principali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 792.1. istruzione e stratificazione sociale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 792.1.1. Dati e tendenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 802.1.2. Eguaglianza delle opportunità scolastiche e formative . . . . . . . . . . . . 822.1.3. La teoria della deprivazione culturale e le grandi inchieste degli anni’60-’70 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 862.1.4. Interpretazioni teoriche più recenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 912.1.5. I fattori microstrutturali dell’insuccesso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 942.1.6. Conclusioni: due orientamenti prevalenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 962.2. istruzione, formazione e politica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 972.2.1. Considerazioni generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 972.2.2. L’incidenza dei singoli fattori scolastici e formativi . . . . . . . . . . . . . . 1002.3. istruzione, formazione ed economia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1032.3.1. L’affermarsi della teoria del capitale umano negli anni ’60 . . . . . . . . 1032.3.2. Le posizioni critiche degli anni ’70 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1052.3.3. A partire dagli anni ’80 la nuova centralità dell’istruzione e dellaformazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1082.3.4. Rapporti tra scuola e mondo del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1122.4. la professione docente e la scuola come organizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . 1132.4.1. L’evoluzione della professione docente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1142.4.2. Le problematiche attuali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117 CONClUSiONi GENERAlisocietà della conoscenza, economia e sistemi educativi in una situazione di crisi 123 Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 127 135 Pubblicazioni nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE” ISSN 1972-3032 Sezione “Studi” 2002 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimenta- zione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto finale, 2002 2003 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XIV seminario di formazione europea. La formazione professio- nale per lo sviluppo del territorio. Castel Brando (Treviso), 9-11 settembre 2002, 2003 CIOFS/FP SICILIA (a cura di), Vademecum. Strumento di lavoro per l’erogazione dei servizi orientativi, 2003 MALIZIA G. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto sul follow-up, 2003 2004 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XV seminario di formazione europea. Il sistema dell’istruzione e formazione professionale nel contesto della riforma. Significato e percorsi, 2004 CIOFS/FP SICILIA (a cura di), Opportunità occupazionali e sviluppo turistico dei territori di Catania, Noto, Modica, 2004 CNOS-FAP (a cura di), Gli editoriali di “Rassegna CNOS” 1996-2004. Il servizio di don Stefano Colombo in un periodo di riforme, 2004 MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. (a cura di), Le parole chiave della forma- zione professionale, 2004 RUTA G., Etica della persona e del lavoro, 2004 2005 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XVI seminario di formazione europea. La formazione professio- nale fino alla formazione superiore. Per uno sviluppo in verticale di pari dignità, 2005 D’AGOSTINO S. - MASCIO G. - NICOLI D., Monitoraggio delle politiche regionali in tema di istruzione e formazione professionale, 2005 PIERONI V. - MALIZIA G. (a cura di), Percorsi/progetti formativi “destrutturati”. Linee guida per l’inclusione socio-lavorativa di giovani svantaggiati, 2005 2006 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XVII seminario di formazione europea. Il territorio e il sistema di istruzione e formazione professionale. L’interazione istituzionale per la preparazione delle giovani generazioni all’inserimento lavorativo in rapporto agli obiettivi di Lisbona, 2006 NICOLI D. - MALIZIA G. - PIERONI V., Monitoraggio delle sperimentazioni dei nuovi percorsi di istruzione e formazione professionale nell’anno formativo 2004-2005, 2006 2007 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XVIII seminario di formazione europea. Standard formativi nell’istruzione e nella formazione professionale. Roma, 7-9 settembre 2006, 2007 COLASANTO M. - LODIGIANI R. (a cura di), Il ruolo della formazione in un sistema di welfare attivo, 2007 DONATI C. - BELLESI L., Giovani e percorsi professionalizzanti: un gap da colmare? Rapporto finale, 2007 MALIZIA G. (coord.) - ANTONIETTI D. - TONINI M. (a cura di), Le parole chiave della forma- zione professionale. II edizione, 2007 MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP della Sicilia. Rapporto di ricerca, 2007 MALIZIA G. - PIERONI V., Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP del Lazio. Rapporto di ricerca, 2007 136 MALIZIA G. et alii, Diritto-dovere all’istruzione e alla formazione e anagrafe formativa. Pro- blemi e prospettive, 2007 MALIZIA G. et alii, Stili di vita di allievi/e dei percorsi formativi del diritto-dovere, 2007 NICOLI D. - FRANCHINI R., L’educazione degli adolescenti e dei giovani. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2007 NICOLI D., La rete formativa nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP, 2007 PELLEREY M., Processi formativi e dimensione spirituale e morale della persona. Dare senso e prospettiva al proprio impegno nell’apprendere lungo tutto l’arco della vita, 2007 RUTA G., Etica della persona e del lavoro, Ristampa 2007 2008 CIOFS/FP, Atti del XIX seminario di formazione europea. Competenze del cittadino europeo a confronto, 2008 COLASANTO M. (a cura di), Il punto sulla formazione professionale in Italia in rapporto agli obiettivi di Lisbona, 2008 DONATI C. - BELLESI L., Ma davvero la formazione professionale non serve più? Indagine conoscitiva sul mondo imprenditoriale, 2008 MALIZIA G., Politiche educative di istruzione e di formazione. La dimensione internazionale, 2008 MALIZIA G. - PIERONI V., Follow-up della transizione al lavoro degli allievi/e dei percorsi triennali sperimentali di IeFP, 2008 PELLEREY M., Studio sull’intera filiera formativa professionalizzante alla luce delle strategie di Lisbona a partire dalla formazione superiore non accademica. Rapporto finale, 2008 2009 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1977, vol. 1, 2009 DONATI C. - BELLESI L., Verso una prospettiva di lungo periodo per il sistema della formazione professionale. Il ruolo della rete formativa. Rapporto finale, 2009 NICOLI D., I sistemi di istruzione e formazione professionale (VET) in Europa, 2009 2010 PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., La valigia del “migrante”. Per viaggiare a Cosmopolis, 2010 PRELLEZO J.M., Scuole Professionali Salesiane. Momenti della loro storia (1853-1953), 2010 CNOS-FAP (a cura di), Don Bosco, i Salesiani, l’Italia in 150 anni di storia, 2010 2011 ROSSI G. (a cura di), “Fare gli italiani” con l’educazione. L’apporto di don Bosco e dei Sale- siani, in 150 anni di storia, 2011 GHERGO F., Storia della Formazione Professionale in Italia 1947-1997, vol. 2 Sezione “Progetti” 2003 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La promozione delle capacità personali. Teoria e prassi, 2003 CIOFS/FP (a cura di), Un modello per la gestione dei servizi di orientamento, 2003 CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), L’accoglienza nei percorsi formativo-orientativi. Un ap- proccio metodologico e proposte di strumenti, 2003 CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), Le competenze orientative. Un approccio metodologico e proposte di strumenti, 2003 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione delle unità didattiche, 2003 COMOGLIO M. (a cura di), Prova di valutazione per la qualifica: addetto ai servizi di impresa. Prototipo realizzato dal gruppo di lavoro CIOFS/FP, 2003 FONTANA S. - TACCONI G. - VISENTIN M., Etica e deontologia dell’operatore della FP, 2003 GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo, 2003 MARSILII E., Guida per l’accompagnamento al lavoro dipendente, 2003 TACCONI G. (a cura di), Insieme per un nuovo progetto di formazione, 2003 VALENTE L. - ANTONIETTI D., Quale professione? Strumento di lavoro sulle professioni e sui percorsi formativi, 2003 137 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale alimentazione, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale commerciale e delle vendite, 2004 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione delle unità didattiche, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale estetica, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale sociale e sanitaria, 2004 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale tessile e moda, 2004 CIOFS/FP BASILICATA, L’orientamento nello zaino. Percorso nella scuola media inferiore. Diffusione di una buona pratica, 2004 CIOFS/FP CAMPANIA (a cura di), ORION tra orientamento e network, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale elettrica e elettronica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale grafica e multimediale, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale meccanica, 2004 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale turistica e alberghiera, 2004 NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema del - l’istruzione e della formazione professionale, 2004 NICOLI D. (a cura di), Sintesi delle linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, 2004 2005 CIOFS-FP SICILIA (a cura di), Operatore Servizi Turistici in rete. Rivisitando il progetto: le buone prassi. Progettazione, Ricerca, Orientamento, Nuova Imprenditorialità, Inseri- mento Lavorativo, 2005 CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personaliz- zati. Comunità professionale legno e arredamento, 2005 CNOS-FAP (a cura di), Proposta di esame per il conseguimento della qualifica professionale. Percorsi triennali di Istruzione formazione Professionale, 2005 NICOLI D. (a cura di), Il diploma di istruzione e formazione professionale. Una proposta per il percorso quadriennale, 2005 POLÀČEK K., Guida e strumenti di orientamento. Metodi, norme ed applicazioni, 2005 VALENTE L. (a cura di), Sperimentazione di percorsi orientativi personalizzati, 2005 2006 BECCIU M. - COLASANTI A.R., La corresponsabilità CFP-famiglia: i genitori nei CFP. Espe- rienza triennale nei CFP CNOS-FAP (2004-2006), 2006 CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione dei sussidi, II edizione, 2006 2007 D’AGOSTINO S., Apprendistato nei percorsi di diritto-dovere, 2007 GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo. Una proposta di percorsi per la creazione di impresa. II edizione, 2007 MARSILII E., Dalla ricerca al rapporto di lavoro. Opportunità, regole e strategie, 2007 NICOLI D. - TACCONI G., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello sta to dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. I volume, 2007 138 RUTA G. (a cura di), Vivere in... 1. L’identità. Percorso di cultura etica e religiosa, 2007 RUTA G. (a cura di), Vivere... Linee guida per i formatori di cultura etica e religiosa nei per- corsi di Istruzione e Formazione Professionale, 2007 2008 BALDI C. - LOCAPUTO M., L’esperienza di formazioni formatori nel progetto integrazione 2003. La riflessività dell’operatore come via per la prevenzione e la cura educativa degli allievi della FPI, 2008 CIOFS/FP (a cura di), Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2008 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A., Individuazione e raccolta di buone prassi mirate all’accoglienza, formazione e integrazione degli immigrati, 2008 NICOLI D., Linee guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2008 NICOLI D., Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Ricognizione dello stato dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP. II volume, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere con... 2. La relazione. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 RUTA G. (a cura di), Vivere per... 3. Il progetto. Percorso di cultura etica e religiosa, 2008 2009 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale meccanica, 2009 MALIZIA G. - PIERONI V., Accompagnamento al lavoro degli allievi qualificati nei percorsi triennali del diritto-dovere, 2009 2010 BAY M. - GRĄDZIEL D. - PELLEREY M. (a cura di), Promuovere la crescita nelle competenze strategiche che hanno le loro radici spirituali nelle dimensioni morali e spirituali della persona. Rapporto di ricerca, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale grafica e multimediale, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale elettrica ed elettronica, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale automotive, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per l’orientamento nella Federazione CNOS-FAP, 2010 CNOS-FAP (a cura di), Linea guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale. Comunità professionale turistico-alberghiera, 2010 2011 MALIZIA G. - PIERONI V. - SANTOS FERMINO A. (a cura di), “Cittadini si diventa”. Il contributo dei Salesiani (SDB) e delle Suore Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) nell’educare stu- denti/allievi delle loro Scuole/CFP in Italia a essere “onesti cittadini”, 2011 TACCONI G., In pratica. 1. La didattica dei docenti di area matematica e scientifico-tecnolo- gica nell’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 TACCONI G., In pratica. 2. La didattica dei docenti di area linguistica e storico sociale nel- l’Istruzione e Formazione Professionale, 2011 MANTEGAZZA R., Educare alla costituzione, 2011 NICOLI D., La valutazione formativa nella prospettiva dell’educazione. Una comparazione tra casi internazionali e nazionali, 2011 BECCIU M. - COLASANTI A.R., Il fenomeno del bullismo. Linee guida ispirate al sistema pre- ventivo di Don Bosco per la prevenzione e il trattamento del bullismo, 2011 Sezione “Esperienze” 2003 CIOFS/FP PUGLIA (a cura di), ORION. Operare per l’orientamento. Un approccio metodolo- gico condiviso e proposte di strumenti, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 1. Guida per l’accoglienza, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 2. Guida per l’accompagnamento in itinere, 2003 139 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 3. Guida per l’accompagnamento finale, 2003 CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 4. Guida per la gestione dello stage, 2003 2005 CIOFS/FP SICILIA, Operatore servizi turistici in rete. Rivisitando il progetto: le buone prassi. Progettazione, ricerca, orientamento, nuova imprenditorialità, inserimento lavorativo, 2005 TONIOLO S., La cura della personalità dell’allievo. Una proposta di intervento per il coordi- natore delle attività educative del CFP, 2005 2006 ALFANO A., Un progetto alternativo al carcere per i minori a rischio. I sussidi utilizzati nel Centro polifunzionale diurno di Roma, 2006 CIOFS-FP LIGURIA (a cura di), Linee guida per l’orientamento nei corsi polisettoriali (fascia 16-17 anni). L’esperienza realizzata in Liguria dal 2004 al 2006, 2006 COMOGLIO M. (a cura di), Il portfolio nella formazione professionale. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2006 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V., Una formazione di successo. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali triennali di istruzione e formazione professionale in Piemonte 2002-2006. Rapporto finale, 2006 2007 NICOLI D. - COMOGLIO M., Una formazione efficace. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali di Istruzione e Formazione professionale in Piemonte 2002-2006, 2007 2008 CNOS-FAP (a cura di), Educazione della persona nei CFP. Una bussola per orientarsi tra buone pratiche e modelli di vita, 2008 2010 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edi- zione 2010, 2010 2011 CNOS-FAP (a cura di), Il Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali, Edi- zione 2011, 2011 Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@donbosco.it Luglio 2012

La valutazione formativa nella prospettiva dell'educazione. Una comparazione tra casi internazionali e nazionali

Autore: 
Dario Nicoli
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2011
Numero pagine: 
253
Codice: 
978-88-95640-47-1
Dario Nicoli LAVALUTAZIONE FORMATIVANELLA PROSPETTIVADELL’EDUCAZIONEUna comparazionetra casi internazionali e nazionali Anno 2011 Coordinamento scientifico:Dario Nicoli (Università cattolica di Brescia) Hanno collaborato:Matteo D’ANDREA: Segretario Nazionale settore Automotive.Dalila DRAzzA: Sede Nazionale cNoS-FAP – Ufficio Metodologico-Tecnico-Didattico.FiAT GRoUPAutomobiles.Comunità professionale AUTOMOTIVE: Angelo AliqUò, Gianni BUFFA, Roberto cAVAGlià, EgidiociRiGliANo, luciano cliNco, Domenico FERRANDo, Paolo GRoPPElli, Nicola MERli, RobertoPARTATA, lorenzo PiRoTTA, Antonio PoRzio, Roberto SARToREllo, Fabio SAViNo, GiampaoloSiNToNi, Dario RUBERi. ©2011 By Sede Nazionale del cNoS-FAP(centro Nazionale opere Salesiane - Formazione Aggiornamento Professionale)Via Appia Antica, 78 – 00179 RomaTel.: 06 5137884 – Fax 06 5137028E-mail: cnosfap.nazionale@cnos-fap.it – http: www.cnos-fap.it SOMMARIO Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 Glossario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 Parte prima: COMPARAZIONE INTERNAZIONALESette casi di studio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 211. canada - québec . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 212. Danimarca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 273. Finlandia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 334. Francia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 375. Polonia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 436. Svezia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 507. Svizzera - canton Ticino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56Una riflessione di sintesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 631. canada - québec . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 632. Danimarca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 643. Finlandia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 654. Francia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 655. Polonia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 666. Svezia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 667. Svizzera - canton Ticino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68Il contesto europeo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 711. EqF . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 712. EURoPASS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 753. ocSE PiSA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80 Parte seconda: IL CASO ITALIANOLa realtà nazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 851. invalsi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 862. il libretto formativo del cittadino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 883. certificazione delle competenze nel primo ciclo degli studi . . . . . . . . . . . . . 954. l’equivoco dei voti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 975. certificazione delle competenze per l’obbligo di istruzione . . . . . . . . . . . . . 97Le Regioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1031. Emilia Romagna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1052. Veneto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1133. Piemonte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1194. Toscana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 126 3 Modelli scolastici locali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1331. lombardia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1332. iTiS Malignani di Udine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139Una riflessione di sintesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1551. Emilia Romagna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1552. Veneto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1553. Piemonte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1564. Toscana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1565. lombardia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1576. istituto Malignani di Udine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 157 Parte terza: LA PROPOSTADue modelli a confronto: educativo-culturale e prestazionale . . . . . . . . . . . . 161Un nuovo patto educativo tra scuola e giovani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1651. competenza e saperi disciplinari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1662. Valutazione formativa, dare voti e certificare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1673. Ruolo attribuito agli studenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 168Il caso italiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1711. la falsa alternativa tra contenuti e competenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 172La proposta: una valutazione attendibile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 173Per una certificazione “onesta” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 177Il metodo di valutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 179Esempio di progettazione per competenze: l’autoriparatore . . . . . . . . . . . . . . . 183Metodologia di valutazione dell’Unità di apprendimento . . . . . . . . . . . . . . . . . 197La prova esperta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2051. Esempio di prova esperta per il terzo anno di auriparatore . . . . . . . . . . . . . . 2072. Esempio di prova di valutazione delle competenze degli assi culturali . . . . . 215Certificazione delle competenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 233 Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 241 Indice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 245 4 5 Introduzione Una delle principali novità proprie della presente stagione riformatrice di ispi-razione europea, che vede il passaggio da un sistema per programmi ad un sistemaper curricola centrati su risultati di apprendimento (knowledge outcome), è costi-tuito dalla tematica della valutazione, che rappresenta uno dei momenti chiavedella nuova responsabilità delle istituzioni pubbliche riferite al sistema, alle istitu-zioni, agli apprendimenti.il cambiamento in atto nel campo della valutazione nei contesti scolastici eformativi è riassumibile nel passaggio dall’insegnamento all’apprendimento: “sitratta di accertare non ciò che lo studente sa, ma ciò che sa fare con ciò che sa” fon-dato su una prestazione reale e adeguata dell’apprendimento (Wiggins 1993).Mentre nei sistemi educativi strutturati per programmi ed obiettivi, l’approcciovalutativo dominante enfatizza il criterio dell’oggettività, ovvero della capacità diriscontrare nell’allievo, in modo indipendente dal soggetto che valuta e dal contestoin cui si colloca l’azione, il grado di possesso di un determinato sapere disciplinare,la valutazione nei sistemi educativi strutturati per risultati di apprendimento sottoforma di competenze mira all’attendibilità, ovvero l’azione valutativa non si esau-risce nei test, ma punta a riscontri reali dell’apprendimento sotto forma di compiti-problemi che sfidano l’allievo a mobilitare le proprie risorse e capacità al fine diperseguire un risultato valido.ciò richiede di avvicinare il lavoro scolastico e formativo al mondo reale, per-seguendo situazioni di apprendimento che consentano agli allievi di acquisire unavera padronanza accertabile e certificabile in modo esplicito.la competenza è definita nell’EqF (quadro europeo dei titoli e delle certifica-zioni) come la «comprovata capacità di utilizzare conoscenze, abilità e capacitàpersonali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello svi-luppo professionale e personale. Nel contesto del Quadro europeo delle qualifichele competenze sono descritte in termini di responsabilità e autonomia» (Unione eu-ropea 2008).il lungo dibattito che ha portato alla definizione di competenza proposta dal-l’EqF ha evidenziato, tra l’altro, quattro aspetti che conviene richiamare:1. le competenze non sono esse stesse dei saperi, dei saper-fare o delle attitudini,ma mobilitano, integrano, orchestrano tali risorse.2. questa mobilitazione è pertinente solo in situazione; ogni situazione costi-tuisce un caso a se stante, se può essere trattata per analogia con altre già situa-zioni, già incontrate. 6 3. l’esercizio della competenza passa attraverso operazioni mentali complesse,sottese da schemi di pensiero, quelli che permettono di determinare (più omeno coscientemente e rapidamente) e di realizzare (più o meno efficace-mente) un’azione relativamente adatta alla situazione.4. le competenze professionali si costruiscono, in formazione, ma anche secondola navigazione quotidiana di un esperto, da una situazione di lavoro ad un’altra(le Boterf 1994).Perrenoud (2002) individua tre elementi che sono fondamentali per la descri-zione di una competenza:• i tipi di situazione di cui essa dà una certa padronanza;• le risorse che mobilita, saperi teorici e metodologici, attitudini, saper-fare ecompetenze più specifiche, schemi motori, schemi di percezione, di valuta-zione, di anticipazione, di decisione;• la natura degli schemi di pensiero che permettono la sollecitazione, la mobili-tazione e l’orchestrazione di risorse pertinenti, in situazione complessa e intempo reale.Un tale sistema richiede l’adozione di un modello rigoroso e fondato di valuta-zione, convalida e riconoscimento dei risultati di apprendimento delle competenzee dei saperi, in modo da porre in luce le relative evidenze della competenza ed i re-lativi livelli di padronanza da parte della persona che ne è titolare.Siamo nel pieno del paradigma del costruttivismo pedagogico (Varisco 2002),secondo cui vi è apprendimento autentico quando l’allievo è in grado di costruire ilproprio processo di apprendimento tramite scoperta, conquista, attribuzione disenso e di utilità al sapere acquisito.Una delle principali novità proprie della presente stagione riformatrice di ispi-razione europea, che vede il passaggio da un sistema per programmi ad un sistemaper curricola centrati su risultati di apprendimento (knowledge outcome), è costi-tuito pertanto dalla tematica della valutazione, che rappresenta uno dei momentichiave della nuova responsabilità delle istituzioni pubbliche riferite al sistema, alleistituzioni, agli apprendimenti.A differenza della valutazione di conoscenze ed abilità, la valutazione di unacompetenza richiede l’analisi della dimensione da valutare, la scelta di criteri di va-lutazione, gli strumenti di valutazione, i livelli di prestazione.Tale approccio necessita di un quadro di dimensioni che possono essere riferite:• allo schema cognitivo (collegare situazioni, fatti, impostare la risoluzione diproblemi, creare collegamenti, eseguire confronti, sintetizzare…);• allo schema operativo (applicazione di regole grammaticali, di sequenze dioperazioni…);• allo schema sociale (gestione di relazioni, della comunicazione, lavoro coope-rativo, assunzione di responsabilità);• allo schema della riflessione e della trasferibilità (metacognizione). 7 le nuove pratiche di valutazione sono distinguibili in tre livelli:• le attività di monitoraggio comparativo del tipo ocse-Pisa;• le attività di valutazione sia formativa sia rilevanti per il rilascio dei titoli distudio rappresentate da invalsi;• le attività di valutazione sostenute da Regioni e Province autonome proprie deipercorsi di istruzione e Formazione professionale, dove si esplica la compe-tenza esclusiva di tali enti in modo innovativo rispetto alle tradizionali com-missioni e prove anche nell’ambito valutativo. Ocse Pisa interviene nei sistemi educativi al fine di accertare con periodicitàtriennale i risultati dei sistemi scolastici in un quadro comparato, con l’obiettivo diverificare in che misura i giovani prossimi alla fine della scuola dell’obbligo ab-biano acquisito alcune competenze giudicate essenziali per svolgere un ruolo con-sapevole e attivo nella società e per continuare ad apprendere per tutta la vita. l’in-dagine accerta il possesso di competenze funzionali negli ambiti della lettura, dellamatematica e delle scienze e di alcune competenze trasversali in gioco nel ragiona-mento analitico e nell’apprendimento.l’attenzione non si focalizza tanto sulla padronanza di determinati contenuticurricolari, ma piuttosto sulla misura in cui gli studenti sono in grado di utilizzareconoscenze e capacità apprese, anche e principalmente a scuola, per affrontare e ri-solvere problemi e compiti che si incontrano nella vita reale.il modello proposto ha avuto l’effetto di influenzare i modelli di valutazionereali, anche perché comporta comparazioni che segnalano il livello di preparazionedei ragazzi dei diversi paesi. circa Invalsi, occorre riferirsi in particolare alla Direttiva n. 76 del 6 Agosto2009 che, ai punti 5 e 6 recita:“5. provvedere alla valutazione dei livelli di apprendimento degli studenti aconclusione dei percorsi della scuola secondaria superiore, utilizzando le provescritte dei relativi esami di Stato secondo criteri e modalità che ne consentano lacomparabilità a livello internazionale;6. formulare proposte per l’introduzione di prove nazionali riguardanti gliesami di Stato conclusivi dei corsi di istruzione secondaria di II grado”.Se le prove invalsi tendono sempre più ad essere inserite nel processo di valu-tazione degli apprendimenti legati al rilascio di un titolo di studio, ciò crea una du-plice funzione per questo istituto che svolge nel contempo anche una valutazione disistema orientata al suo miglioramento continuativo tramite l’azione dell’accompa-gnamento alle istituzioni scolastiche e formative. circa le Regioni e le Province autonome, sono in atto una molteplicità di ini-ziative, fondate su approcci e modalità piuttosto dissimili tra di loro, miranti a rile-vare negli allievi dei percorsi di ieFP il grado di padronanza delle competenze tec- 8 nico-professionali connesse alle qualifiche ed ai diplomi iFP, tale da poter giustifi-care il rilascio dei titoli previsti.il lavoro di ricerca svolto conferma quanto sta emergendo nella letteratura spe-cialistica in tema di ricerca sociale e programmazione dei sistemi educativi e for-mativi. ci si riferisce alla difficoltà di verificare il valore o “bontà”e, quindi, di pre-dire la trasferibilità in termini di efficacia di un modello presso un nuovo contestodi applicazione.Anche disponendo di indicatori relativi alla capacità del modello di promuo-vere cambiamenti duraturi, di creare reti e sinergie, di produrre innovazioni rispettoall’esistente, di innescare processi virtuosi e di incidere nella customer satisfaction,non è sempre semplice stabilire se un modello realizzato in un contesto sia in gradodi riproporre i medesimi effetti positivi in un altro.Probabilmente lo stato della ricerca e anche delle pratiche di innovazione intema di apprendimento per competenze sono ancora ad un livello troppo precoceper consentire confronti risolutivi tra realtà diverse.consapevoli di questo, si è ritenuto di elaborare due idealtipi di modelli valuta-tivi emergenti dalla ricerca:– uno di natura educativa e culturale;– uno di natura prestazionale riferito quasi esclusivamente all’ambito tecnico-professionale.È sembrato, nel confronto fra questi due approcci, di preferire il secondo, poi-ché consente di valorizzare taluni elementi del primo, collocandoli entro un orizzon-te più consono alla natura del compito della scuola e delle istituzioni formative.Di conseguenza, la redazione della parte terza del volume (la proposta di unmodello gestibile) è stata centrata su:• la definizione di un modello di didattica per competenze che valorizzi l’auto-nomia e la responsabilità dello studente nella costruzione della propria forma-zione;• la definizione di un curricolum fortemente integrato, che superi la frammenta-zione tipica delle discipline per perseguire un “sapere agito”, in cui la personasia in grado di mobilitare conoscenze, abilità, capacità personali, sociali e me-todologiche per gestire situazioni e risolvere problemi concreti in tutti i con-testi d’esperienza;• la valorizzazione delle sinergie che partono dal territorio, dalle reti di scuole,dalle intese con le rappresentanze del mondo del lavoro per la costruzione diun modello condiviso “dal basso”, che si fonda sulla condivisione dei lin-guaggi e delle pratiche didattiche;• la definizione di un modello in grado di garantire la comunicabilità dei risultatidi apprendimento tra diversi ordini di scuola, tra canali diversi di istruzione eformazione, tra mondo dell’istruzione e della formazione e mondo del lavoro. 9 Glossario Abilità. “Indicano le capacità di applicare conoscenze e di utilizzare know-how per portare a termine compiti e risolvere problemi. Nel contesto del Quadroeuropeo delle qualifiche le abilità sono descritte come cognitive (comprendentil’uso del pensiero logico, intuitivo e creativo) e pratiche (comprendenti l’abilitàmanuale e l’uso di metodi, materiali, strumenti)” (EQF).Destrezza nello svolgere un’attività intellettuale o pratica. Essa è sempre associa-ta ad una conoscenza e si acquisisce tramite imitazione e ripetizione. l’abilità rappre-senta – assieme alla conoscenza – una risorsa di cui la persona competente dispone eche mette in opera (“mobilizza”) di fronte ad un compito in un preciso contesto.Accreditamento. Attestazione formale, effettuata dalla parte seconda (orga-nismo committente), che attesta la soddisfazione da parte dell’organismo formativodi una serie di requisiti relativi alla struttura organizzativa e gestionale, nonché aiprodotti/servizi da essa offerti.Alternanza formativa. Strategia metodologica che consente – in riferimentoal singolo allievo – di realizzare un percorso formativo coerente e compiuto nelquale si integrano reciprocamente attività formative di aula, di laboratorio ed espe-rienze svolte nella concreta realtà dell’organizzazione di lavoro e di impresa. l’al-ternanza formativa è autentica, quando le diverse modalità formative che “si alter-nano” vengono a comporre un percorso unico e continuo avente al centro la per-sona in formazione in riferimento al profilo educativo, culturale e professionale edin stretta relazione con il contesto in cui opera la figura professionale di riferi-mento. Tale percorso trae inizio da un progetto formativo definito congiuntamentedai due attori in gioco (l’organismo di formazione e l’impresa) e si sviluppa attra-verso una cura continua che prevede monitoraggio, verifica ed eventualmente cor-rezione e miglioramento lungo tutto il cammino formativo.Apprendista. Persona protagonista dell’apprendimento di un mestiere entroun’impresa formativa. Egli è non solo utente, ma co-protagonista del processo for-mativo secondo un approccio integrato che ne sollecita il coinvolgimento sulla basedi compiti-problemi caratteristici del lavoro.Area Professionale. l’espressione “area professionale” – altrimenti definitacome “comunità professionale” oppure “gruppo professionale” ed, in parte, “comu-nità di pratiche” – indica la tendenza da parte di figure lavorative sottoposte al pro-cesso di cognitivizzazione ad aggregarsi in modo da evidenziare la propria peculia- 10 rità culturale, organizzativa, professionale, al fine di affermare una specificità ten-denzialmente rilevante anche dal punto di vista della rappresentanza, della tutela edella formazione.Attitudine. capacità globale di una persona ad apprendere le competenze ne-cessarie per svolgere una determinata categoria di compiti con particolare riferi-mento a quelli di natura professionale. comprende anche la capacità di acquisire lerisorse necessarie (abilità, conoscenze) a tale scopo.Attività/situazione di apprendimento. Esperienza disegnata dal team dei for-matori nella quale l’allievo, confrontandosi con problemi di cui coglie il senso el’utilità, si pone in modo attivo alla ricerca di una soluzione in grado di soddisfare irequisiti del problema stesso, sormontando gli ostacoli che via via incontra, mobili-tando in tal modo un processo di apprendimento autonomo, personale, autentico.l’attività o situazione di apprendimento non è un progetto predefinito, ma laproposizione – il più possibile vicina al contesto reale – di un compito sfidante chetrae origine dalle rappresentazioni che gli allievi si danno delle attività proposte e listimola alla costruzione di un cammino che consenta loro di giungere alla piena ri-uscita dell’azione intrapresa.Bilancio di competenze. Prassi formativa complessa con l’obiettivo di per-mettere (soprattutto) a dei lavoratori di analizzare le proprie competenze professio-nali e personali, così come le proprie attitudini e motivazioni, allo scopo di definireun progetto professionale e, ove necessario, un progetto di formazione. Si tratta,quindi, di una modalità di riconoscimento delle competenze di cui la persona è por-tatrice, in assenza di titoli formali (certificati, diplomi o attestati), acquisiti tramiteesperienza diretta. Tale dispositivo, di origine francese, ha lo scopo di certificaretali competenze e, quindi, di renderle evidenti socialmente e contrattualmente,specie in riferimento a giovani ed adulti a bassa scolarità.Capacità personali. caratteristiche della persona possedute su base innata eappresa che riguardano i suoi repertori di base: cognitivo, affettivo – motivazionale,socio – interpersonale. Esse riflettono i valori ed i contenuti propri dell’educazioneche la persona vive specie nell’età evolutiva; si riferiscono, quindi, alla famiglia diappartenenza, alle agenzie educative e formative, ma anche ai legami significativiindividuali e di gruppo. Esse rappresentano le potenzialità dell’allievo che richiedo-no di essere riconosciute (innanzitutto a favore del destinatario stesso) e attualizza-te. Tali capacità, raramente coltivate in modo formale dalle istituzioni formative, so-no attualmente considerate preziose per l’adattamento personale, interpersonale,scolastico e professionale.Certificazione di qualità. Documento, solitamente rilasciato da un’autoritàterza (rispetto al finanziatore e all’erogatore), attraverso il quale si attesta che l’or-ganizzazione formativa ha posto in atto tutte le azioni tese a rilevare la corrispon-denza delle azioni svolte con gli standard dichiarati. Esistono diversi dispositivi di 11 certificazione: la più nota è la norma iSo 9000, ma esistono pure certificazioni as-sociative. Solitamente la certificazione richiede un lavoro preparatorio e di consoli-damento delle pratiche riferite al sistema qualità e, quindi, un audit.Certificazione formativa. Documento che attesta l’avvenuta acquisizione daparte dell’utente della formazione delle capacità, delle conoscenze, delle abilità edelle competenze previsti nel progetto formativo. Tale documento è rilasciato dal-l’organismo erogatore e può essere:• un diploma o un certificato di valore legale (qualifica, diploma di formazione,diploma di formazione superiore);• un certificato riferito ai crediti formativi acquisiti;• un attestato di frequenza e/o profitto.Competenza. “Capacità dimostrata di utilizzare le conoscenze, le abilità e leattitudini personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio enello sviluppo professionale e/o personale. Nel sistema europeo EQF, le compe-tenze sono descritte in termini di responsabilità e autonomia” (EQF).caratteristica della persona, mediante la quale essa è in grado di affrontare ef-ficacemente un’area di problemi connessi ad un particolare ruolo o funzione. Pertale motivo, sarebbe preferibile parlare di persona “competente” piuttosto che dicompetenza. Essa viene dimostrata dalla persona tramite performance rese in unpreciso contesto organizzativo di fronte a “giudici” rappresentati da esponenti delmondo professionale di riferimento. la persona competente è in grado di mobili-tare le risorse possedute (capacità, conoscenze, abilità), al fine di condurre ad unasua soluzione un compito-problema. la competenza non è, pertanto, riducibile né aun sapere, né a ciò che si è acquisito con la formazione. Essa richiede necessaria-mente una prova concreta, nella quale il titolare si impegni in modo autonomo e re-sponsabile. Vi possono essere competenze culturali, sociali, professionali. questeultime possono essere intese come competenze in senso proprio, poiché mobilitanoun’interazione organica tra soggetti (centro di formazione, persona, impresa) e pre-vedono una precisa prova professionale definita come “capolavoro”.Compito professionale. Nell’analisi del lavoro, tale espressione indica la si-tuazione-problema che sfida la professionalità del lavoratore, a fronte della qualeegli mobilita le sue risorse (capacità, conoscenze, abilità e competenze), al fine digiungere ad un risultato soddisfacente. Nel fare ciò, il lavoratore elabora una stra-tegia di soluzione dello stesso problema che risulta per tale natura contestuale enon standardizzata. la descrizione delle famiglie/figure professionali sulla base dicompiti siffatti aiuta a superare il riduttivismo delle “mansioni”, poiché pone ilruolo lavorativo entro la ricca dinamica di richieste e sollecitazioni che lo caratte-rizza; inoltre, evita il meccanicismo poiché consente di impostare il processo diformazione sulla base di una metodologia aperta che consente di porre la personain una posizione autonoma, attiva e responsabile, in vista della soluzione di pro-blemi complessi attinenti al suo campo di competenza. 12 Comunità professionale. Aggregato – coincidente volta per volta con il set-tore (es.: meccanico) o il processo (es.: aziendale e amministrativo) – di più figure,ruoli o denominazioni che hanno in comune una cultura distintiva composta di va-lori e di saperi peculiari, la collocazione organizzativa, i percorsi professionali, lecompetenze chiave. le ulteriori articolazioni in figure professionali sono definiteall’interno di tali aggregazioni più ampie, mantenendo la dimensione di “culturaprofessionale” comune.Conoscenze. “Risultato dell’assimilazione di informazioni attraverso l’ap-prendimento. Le conoscenze sono un insieme di fatti, principi, teorie e pratiche re-lative a un settore di studio o di lavoro. Nel contesto del Quadro europeo dellequalifiche le conoscenze sono descritte come teoriche e/o pratiche” (EQF).insieme di nozioni strutturate in una materia/disciplina o area culturale. Pos-sono riguardare teorie, modelli, sistemi di azione. ogni ambito di sapere com-prende nozioni, concetti, nessi, regole. i saperi sono – al pari delle abilità – cogni-zioni che occorre acquisire per poter porre in atto una competenza (di cui sono unodegli ingredienti).Coordinatore tutor. Figura indispensabile in ogni azione di istruzione e for-mazione professionale che ha il compito di guidare l’équipe dei formatori coinvolti,presiedere alle fasi di progettazione e programmazione (piano formativo persona-lizzato), coordinare le attività, facilitare i processi di apprendimento e sostenere ilmiglioramento continuo dell’attività formativa e didattica. Spetta al tutor la curadel Portfolio delle competenze individuali.Credito formativo. Documento che attesta il possesso di un determinato re-quisito (sapere, abilità) da parte della persona, che questa può far valere in un per-corso formativo, in modo da svolgere soltanto i moduli formativi mancanti per ilraggiungimento di una determinata meta formativa, oppure in un percorso di inseri-mento lavorativo, in modo da accelerare l’acquisizione di una qualifica.Didattica attiva. insieme articolato di metodologie di insegnamento che pon-gono l’utente come soggetto attivo e non passivo del proprio processo di apprendi-mento. ci si riferisce ad un ampio repertorio di metodologie didattiche che tenta disuperare quelle modalità tradizionali basate sull’ascolto (per esempio la lezionefrontale) o sull’osservazione ed imitazione (per esempio l’affiancamento addestra-tivo). Alcuni esempi di didattica attiva: la simulazione operativa; l’analisi e la riso-luzione di casi/problemi, il lavoro di progetto i lavori e le esercitazioni di gruppo; ilgioco psico-pedagogico.Difficoltà di apprendimento. Particolari condizioni che ostacolano il pro-cesso di apprendimento della persona. Esse possono riferirsi a caratteristiche didat-tico-formative (percorso, metodologia didattica, relazioni), oppure orientative (pro-getto personale e suoi aspetti). Tali condizioni richiedono la necessità di delineare ilquadro di riferimento tra cui si collocano gli aspetti personali (motivazione, prere- 13 quisiti, integrità psico-fisica), del contesto di vita (famiglia, ambiente, gruppo) esociali (tipo di “capitale sociale” di cui la persona è portatrice).Diritto-dovere di istruzione e formazione. “Prerogativa di ogni cittadino me-diante la quale la Repubblica assicura a tutti il diritto all’istruzione e alla forma-zione, per almeno 12 anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualificaentro il diciottesimo anno di età, nel senso di favorire pari opportunità di raggiun-gere elevati livelli culturali e di sviluppare le capacità e le competenze, attraversoconoscenze e abilità, generali e specifiche, coerenti con le attitudini e le scelte per-sonali, adeguate all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro, anchecon riguardo alle dimensioni locali, nazionale ed europea” (art. 2, legge 53/2003).A fronte di tale offerta, ogni cittadino ha il dovere di partecipare alle attività forma-tive più idonee, mirando ad accrescere il proprio bagaglio di acquisizioni in unaprospettiva di formazione competente.EQF - European Qualification Framework. Dispositivo di lettura e conver-sione che consente di mettere in relazione, entro una struttura a otto livelli, i diversititoli (qualifiche, diplomi, certificati ecc.) rilasciati nei Paesi membri, confrontandogli esiti dell’apprendimento.Si tratta di una meta-struttura rispetto alla quale gli Stati membri sono chiamati arileggere i propri sistemi educativi, in modo da garantire un collegamento tra di essi.l’EqF illustra in modo univoco i risultati dell’apprendimento; pone al centro del-l’apprendimento le competenze; propone una relazione attiva tra competenze, abilità econoscenze; valorizza i risultati di apprendimento formali, non formali ed informali.Evidenza (della competenza). Prestazione reale ed adeguata che, assieme allealtre definite entro la rubrica di riferimento, attesta l’effettiva capacità del soggettonel saper fronteggiare compiti e problemi significativi e necessari, per poter esseregiudicato competente.Individualizzazione. Soluzione radicalmente differente da quella della perso-nalizzazione: se lì l’orientamento al percorso soggettivo si svolge mantenendo ilgruppo di apprendimento, l’individualizzazione del percorso formativo si realizzarompendo i riferimenti tra individuo e gruppo. la formazione è individualizzata,quando si svolge in un rapporto 1:1 tra docente/formatore e allievo/utente. ciò con-sente di rompere i vincoli spazio-temporali oltre che psicologici e cognitivi che ilgruppo porta con sé (anche se in tal modo vengono meno i fattori di facilitazionedel processo di apprendimento che pure il gruppo-classe porta con sé). Solitamente,la formazione individualizzata si svolge in presenza di sistemi anche parzialmentedi autoapprendimento, spesso con l’ausilio di supporti informatici. ciò rende possi-bile anche la formazione a distanza.Inserimento professionale. inserirsi professionalmente significa trovare unaposizione sancita socialmente nel sistema economico. È realizzato nell’impresa, nelluogo di produzione (di beni o di servizi, anche pubblici). la qualità di questo inse- 14 rimento dipende dal valore delle interazioni tra la persona e l’impresa: esse portanola prima a valorizzare le proprie competenze per operare al suo interno in modo ef-ficace e dotato di senso.Istruzione e formazione professionale. l’insieme dei percorsi del secondo ciclodegli studi che presentano un carattere professionalizzante. Si distingue dai percorsi li-ceali in base al criterio che sottende il carattere dei percorsi. in tal senso, se i licei pre-sentano il carattere di “istruzione” nel senso che forniscono allo studente una visioneculturale generale in forza della quale egli può successivamente completare gli studi insede universitaria o di formazione superiore, i centri e gli istituti di istruzione e for-mazione professionale mirano a dotare la persona di requisiti di competenza tali daconsentirle di immettersi nel mercato del lavoro e delle professioni.Linea guida. Documento che fissa finalità, obiettivi e procedure di una speci-fica organizzazione di servizi. Solitamente la linea guida viene elaborata in un con-testo di gestione della qualità oppure in attività innovative.Orientamento. Prassi educativa attiva volta a favorire la capacità del soggettodi risolvere il problema del suo avvenire professionale, facilitandogli l’assolvi-mento dei compiti vocazionali relativi alla conoscenza di sé (potenzialità attitudi-nali, capacità, interessi e valori), alla conoscenza del mondo del lavoro e delle pro-fessioni, alla formulazione di progetti di vita e di lavoro e alla loro valutazione infunzione della decisione di scelta di un progetto e del modo migliore di realizzarlo.Non si limita ad un atto puntuale d’intervento nei momenti decisionali, ma rappre-senta un processo educativo che si accompagna allo sviluppo evolutivo dell’indi-viduo in consonanza con il progressivo variare e arricchimento del concetto di sé inriferimento alle transizioni importanti del suo percorso di vita/di lavoro.Percorso formativo. Rappresenta il cammino di apprendimento che l’allievopersegue, avendo come riferimento il raggiungimento del successo formativo. Essoprevede la centralità della persona, una visione relazionale della formazione comeazione generatrice di senso e di valore, l’utilizzo di approcci e di metodiche coe-renti con l’opzione antropologica di fondo e, quindi, in grado di sviluppare una for-mazione personalizzata, contestuale, autentica.Personalizzazione. Riferimento del percorso educativo-formativo alla speci-fica realtà personale dell’allievo. Personalizzare significa delineare differenti per-corsi di trasferimento-acquisizione delle conoscenze, abilità e competenze, in basealle caratteristiche personali degli allievi: stili di apprendimento, metodi di studio,caratteristiche peculiari. la personalizzazione avviene, comunque, nell’ambito diun gruppo di allievi che condividono un medesimo percorso di apprendimento,fatte salve le necessarie attività di individualizzazione.Piano dell’offerta formativa. Documento alla base della attività del centro diistruzione e formazione professionale che indica: missione dell’organismo, stra- 15 tegia formativa e partnership, target e territorio di riferimento, offerta di forma-zione e di servizi, criteri metodologici, stili professionali e politica della qualità.l’offerta formativa in particolare comprende:– orientamento;– formazione iniziale (qualifica + diploma di formazione);– formazione superiore (diploma di formazione superiore);– formazione speciale;– servizi formativi.Portfolio delle competenze individuali. Raccolta significativa dei lavori del-l’allievo che racconta la storia del suo impegno, del suo progresso o del suo rendi-mento. Tramite esso è possibile capire la storia della crescita e dello sviluppo diuna persona, corredandola con materiali che permettono di comprendere “che cosaè avvenuto” dal momento della presa in carico della persona fino al momento dellapartenza, passando per le varie fasi di cui si compone il percorso formativo.il portfolio è concordato e definito nell’ambito del centro; esso comprende,comunque, i seguenti ambiti: anagrafico, orientativo, formativo e valutativo, certi-ficativo. Esso è composto da una parte essenziale – corrispondente al “libretto for-mativo” – da consegnare alla persona ed agli eventuali interlocutori (sistema edu-cativo, sistema lavorativo e professionale) e dagli allegati conservati presso ilcentro.Professionalità. insieme di competenze e risorse che consentono alla personadi risolvere in modo soddisfacente i problemi di un particolare ambito di lavoro.Non è solo qualcosa di esterno, ma è un vero e proprio “vestito” che modella lapersonalità. la professionalità richiede una partecipazione interiore; essa “viene dadentro” e si esprime in una passione per il proprio lavoro, nella curiosità e nel desi-derio di apprendere e migliorare continuamente.Profilo educativo culturale e professionale (Pecup). il Pecup dello studentealla fine del percorso di qualificazione professionale costituisce la «bussola» per ladeterminazione sia degli «obiettivi generali del processo formativo» sia degli«obiettivi specifici di apprendimento» (art. 8 del Dpr. 275/99) che saranno conte-nuti nelle Indicazioni regionali per i PSP dei singoli istituti/centri. il carattere «dilimite ideale» del Profilo è, quindi, esplicito. È compito delle Indicazioni regionali,prima, e, dopo, soprattutto dei Piani di Studio Personalizzati (redatti da ognigruppo di docenti coordinati dal tutor all’interno del quadro tracciato dal Pianodell’offerta formativa (Pof) di ogni istituzione di iFP) disporre l’adattamento delProfilo alle differenti situazioni ambientali e personali, e specificarne i percorsi ed ilivelli di approfondimento.Rubrica delle competenze. Matrice che consente di identificare, per una spe-cifica macro-competenza oggetto di formazione e valutazione, il legame che si in-staura tra le sue componenti: 16 – le conoscenze ed abilità essenziali mobilitate dal soggetto nel corso dell’a-zione di apprendimento;– le evidenze, ovvero le prestazioni reali, significative e necessarie che costitui-scono il riferimento valutativo periodico e finale;– i livelli di padronanza (EqF) che consentono di collocare la prestazione delsoggetto entro una scala ordinale;– i compiti che indicano le attività suggerite per la gestione del processo didat-tico.Situazione di apprendimento (didattica attiva). Esperienza formativa che ilteam dei formatori è chiamato a “creare” e che ponga l’allievo, nel confronto conproblemi di cui coglie il senso, di porsi in modo attivo alla ricerca di una soluzioneadeguata, superando gli ostacoli che via via incontra, mobilitando in tal modo unprocesso di apprendimento autonomo, personale, autentico. Tale processo è cen-trato sull’azione; tanto che si può affermare che la conoscenza passa necessaria-mente per l’azione per poi giungere ad una piena formalizzazione attraverso il lin-guaggio. Tale metodologia mira a perseguire una visione unitaria della cultura apartire dall’esperienza, evitando la meccanica trascrizione degli obiettivi generalidel processo formativo e degli obiettivi specifici di apprendimento in chiave di di-dattica disciplinare. Risulta, quindi, prevalente l’attività di laboratorio rispetto aquella di aula.Standard. Descrittore di un fenomeno che consente di sviluppare un confrontoed un giudizio di appropriatezza, pertinenza, adeguatezza, idoneità.• Professionali: elenco delle caratteristiche di una figura/famiglia professionale(denominazione, classificazione, riferimenti normativi, profilo, contesti diesercizio, compiti, criteri di qualità…) che ne consentono l’individuazione uni-voca.• Organizzativi: caratteristiche delle strutture erogative, riferite ai livelli essen-ziali delle prestazioni (lep), che forniscono i criteri base dell’accreditamentonecessario per poter gestire servizi di istruzione e formazione compatibili conl’ordinamento, anche al fine del rilascio del titolo e dell’assunzione di un ruoloistituzionale corrispondente.• Formativi: descrittori dei risultati di apprendimento (RdA) ovvero delle com-petenze, articolate in abilità e conoscenze, e delle prestazioni o evidenze e lorolivelli EqF, che consentono di progettare e gestire uno specifico percorso for-mativo.• Valutativi: livelli di padronanza delle competenze e dei saperi che consentonodi esprimere un giudizio circa la capacità del soggetto titolare nel sapere icompiti-problemi dell’ambito di riferimento. Tra questi livelli occorre indicareil fattore di soglia della padronanza stessa che può variare da competenza acompetenza a seconda della loro rilevanza nell’ambito del profilo professio-nale. 17 Successo formativo. Risultato dell’attività educativa mediante la quale la per-sona è in grado di trasformare le proprie capacità – attitudini, atteggiamenti, ri-sorse, vocazione – in vere e proprie competenze, al fine di ottenere, comunque, unrisultato soddisfacente in termini di conseguimento di una qualifica professionalecoerente con i principali sistemi di classificazione disponibili, garanzia di un sup-porto all’inserimento lavorativo; possibilità di una prosecuzione della formazionenell’ambito dell’anno di diploma di formazione come pure nell’ambito della For-mazione professionale superiore ed eventualmente nella prosecuzione nell’istru-zione e nell’Università.Sviluppo professionale. concezione derivante da un modello teorico di ori-gine canadese (ADVP - Attivazione dello Sviluppo Vocazionale Personale) se-condo cui il soggetto organizza il suo progetto personale di vita e di lavoro in baseall’immagine che ha di se stesso nei vari stadi del suo sviluppo; il che gli permettedi acquisire la maturità professionale necessaria a formulare una sintesi delle varieesperienze maturate nel decorso evolutivo, tale da renderlo capace di tradurre l’im-magine di sé in termini professionali. Secondo questa concezione, le scelte profes-sionali vengono elaborate lungo un processo evolutivo segnato da stadi e caratteriz-zato da compiti che l’individuo deve assolvere per pervenire a scelte soddisfacentiper sé e per la società, in una sequenza di comportamenti vocazionali e di decisioniche gradualmente tessono la trama dello sviluppo della carriera individuale.Unità di apprendimento. Struttura di base dell’azione formativa; insieme di oc-casioni di apprendimento che consentono all’allievo di entrare in un rapporto perso-nale con il sapere, affrontando compiti che conducono a prodotti di cui egli possa an-dare orgoglioso e che costituiscono oggetto di una valutazione più attendibile. Possia-mo avere UdAad ampiezza massima (tutti i formatori), media (alcuni) o minima (asseculturale). Essa prevede sempre compiti reali (o simulati) e relativi prodotti che i de-stinatari sono chiamati a realizzare ed indica le risorse (capacità, conoscenze, abilità)che egli è chiesto di mobilitare per diventare competente. ogni UdAdeve sempre mi-rare almeno una competenza tra quelle presenti nel repertorio di riferimento.Validazione. Processo mediante il quale una procedura o uno strumento ven-gono giudicati dotati di validità da una serie di soggetti in gioco e, di conseguenza,vengono adottati nei processi reali. la validazione può essere:– scientifica, quando uno o più esperti qualificati ne affermano la fondatezza teo-rica e metodologica in riferimento allo stato dell’arte;– funzionale, quando la procedura, dopo una fase di applicazione, è dichiarata ingrado di rispondere ai requisiti di praticabilità e gestibilità;– di rete, quando i vari attori in gioco (stakeholder) decidono liberamente diadottarla nelle pratiche ordinarie.Valutazione. Giudizio tramite il quale si attribuisce un valore ad un fenomeno(ad esempio: un processo operativo, un dispositivo finanziario, un progetto, un si- 18 stema), confrontato solitamente con una scala nominale per livelli di prestazione.Se è riferita ad una persona, si parla di valutazione della padronanza delle compe-tenze e dei saperi.quest’ultima valutazione di una persona può essere formativa, se svolta lungoil percorso e tendente a trarre da essa elementi utili per rendere consapevole il sog-getto della sua situazione e per definire nel modo migliore il prosieguo del cam-mino, apportando i necessari correttivi e miglioramenti; oppure finale, se svolta altermine dello stesso tramite una prova esperta volta a mettere a fuoco il grado dipadronanza complessivo raggiunto, necessariamente multicompetenza e interdisci-plinare.Negli ultimi tempi si assiste ad un superamento del paradigma valutativo fon-dato su algoritmi, in particolare quello finalizzato al criterio dell’oggettività, che do-vrebbe garantire l’indipendenza degli esiti dall’attore, che gestisce la valutazione, edal contesto in cui si svolge tramite un nuovo paradigma centrato sull’attendibilità,che concentra l’analisi della padronanza su prove reali ed adeguate, tramite le qualiil soggetto si confronta con compiti e problemi significativi, poiché riflettono leesperienze reali e sono legati ad una motivazione personale. quest’ultimo approccioviene detto anche “valutazione autentica”. Parte prima:COMPARAZIONE INTERNAZIONALE 21 Sette casi di studio 1. CANADA - QUéBEC 1.1. Il sistema educativo in canada, conformemente alla sua costituzione, il sistema educativo è sottola responsabilità delle singole province e dei territori. Esiste una leggera differen-ziazione tra le province, fatta eccezione per il québec, che ha un diverso sistema diistruzione consistente in École primaire, École secondaire et College d’enseigne-ment general et professionel (CEGEP). il sistema si avvale, inoltre, di una compa-razione tra sistema pubblico e privato sia di lingua francofona sia di lingua anglo-fona.Tale sistema educativo comprende quattro ordini di insegnamento, gratuitofino al college, a tempo pieno e/o parziale:1. la primaria che comprende anche la materna2. la secondaria3. il college4. l’insegnamento universitario.Già a partire dagli anni ’80 il québec ha avviato un processo di rinnovamentodell’istruzione, finalizzato all’aumento di accesso e di successo scolastico piùampio, unito a standard di qualità elevati. Fino agli anni ’90 i curricola strutturatiper obiettivi avevano offerto livelli qualitativi molto alti e un’efficacia provata dairisultati, perché avevano promosso lo sviluppo di abilità e comportamenti impron-tati al saper fare e saper essere. Tuttavia, la moltitudine degli obiettivi e la loroframmentazione hanno anche determinato un approccio analitico all’apprendi-mento e all’insegnamento; così il québec ha avviato una riforma pensata e discussanegli anni (dal 1994 fino all’inizio del XXi sec. con gruppi di lavoro per profili,commissione degli Stati generali, politica educativa dello Stato), nella quale sonoemersi i fondamenti e i fattori imprescindibili: l’integrazione tra conoscenze e lacapacità di trasferirle in contesti nuovi e da contesti ad altri. Perciò, i punti cardinedel nuovo sistema per competenze focalizzano1: 1 http://www.gouv.qc.ca/portail/québec/international/italie/québec/mode_de_vie/education/systeme_scolaire/ 22 • lo sviluppo per/delle competenze;• lo sviluppo della cittadinanza impegnata, “attiva” diremmo noi, e dei lavora-tori competenti. A questo proposito, gli standard da raggiungere presuppon-gono la costruzione di una comunità integrata; per cittadinanza attiva non siintende un percorso forzato, inserito nelle discipline, ma integrata nelle atti-vità, così come l’acquisizione della democrazia, della promozione dei valori,dell’inserimento nel mondo del lavoro;• lo sviluppo dell’autonomia;• lo sviluppo e la formazione dell’adattabilità ad un mondo in cui le conoscenzesi moltiplicano velocemente;• il presupposto del cambiamento come processo permanente;• il valore e il significato dell’interdipendenza dei problemi.il piano di rinnovamento mira all’innalzamento del tasso di accesso agli studi edel tasso dei diplomati e all’innalzamento degli standard di qualità (già tra i mi-gliori al mondo). qualsiasi sia stato il percorso svolto, gli studenti escono dallascuola secondaria con un diploma o una valutazione che attestano:• padronanza delle conoscenze di base;• l’apprendimento permanente;• il riconoscimento ufficiale delle competenze acquisite;• la facilitazione del passaggio a ulteriori livelli di istruzione e ritorno a scuola oad altri ambienti di formazione (art. 36 legge istruzione pubblica del québec).la struttura dei percorsi formativi è centrata sugli apprendimenti essenzialicon l’utilizzo sia della pedagogia differenziata sia della formazione comune chetende a differenziarsi nella scuola di ii grado, soprattutto con la qualificazione allavoro. inoltre, è prevista una forte interconnessione tra programmi per cicli scola-stici (dalla primaria alla secondaria), programmi intesi come linee direttrici del si-stema educativo, non come contenuti da perseguire a prescindere dalle situazioniscolastiche e individuali. la connessione tra cicli non è data dall’accumulo di co-noscenze, che di ciclo in ciclo sono le stesse, ma più numerose; si tratta, invece,della costruzione progressiva di competenze sempre più complesse con la scoperta,l’acquisizione dell’autonomia, ecc. Si tratta di un progetto di sviluppo collettivo(famiglie, scuola, territorio, studenti, imprese, ecc.) che vede al centro lo studente.l’organizzazione scolastica, la metodologia e la didattica vanno in questa dire-zione. inoltre, esso mira all’integrazione delle discipline orientata sulle grandi pro-blematiche della vita contemporanea, all’esplicitazione di apprendimenti trasversaliche superano le frontiere disciplinari, alla valorizzazione delle competenze profes-sionali di tutti gli attori della scuola.È molto avvertito il tema della differenziazione degli itinerari scolastici attra-verso tre percorsi:1. Formazione generale, con accesso al college e da qui all’Università.2. Formazione generale applicata con accesso al college e da qui all’Università. 23 3. Formazione professionale, con metodologia dell’alternanza scuola lavoro, masenza escludere la possibilità di accedere al college e all’Università. la forma-zione professionale si divide in due componenti: preparatoria al lavoro, finaliz-zata all’acquisizione di un mestiere semi-specializzato.l’insegnamento è strutturato per cicli biennali nei primi 8 anni di formazione,con sei anni di scuola primaria (tre cicli di due anni) e due del primo ciclo di scuolasecondaria affine alla scuola primaria che mira alla formazione comune di tutti glialunni e a un inquadramento sistematico. il secondo ciclo di scuola secondaria èstrutturato su tre anni e ogni anno propone la scelta fra tre percorsi, cioè inizia laformazione diversificata: formazione generale e formazione generale applicata(teorica e pratica), formazione professionale indirizzata all’occupazione, molta au-tonomia con progetti di integrazione e/o progetto personale di orientamento.Agli allievi è offerta la possibilità di scelta fra diverse opzioni: tirocinio in am-biente di lavoro, passerelle tra percorsi; il sistema stesso vuole garantire la flessibi-lità così da poter rispondere alle trasformazioni socio-culturali oltre che all’evolu-zione dei giovani e le differenze sempre più marcate tra loro (ad esempio, presenzadi handicap, minoranze, situazioni particolari, scarso impegno, motivazione).Per assicurare il funzionamento di un sistema piuttosto complesso e che garan-tisce per tutti cittadinanza attiva e inserimento nel mondo del lavoro, diventa fon-damentale la collegialità dei docenti per assicurare i passaggi tra percorsi (passe-relle ma solo a certe condizioni), le competenze, la continuità e la comparabilità deirisultati degli apprendimenti. inoltre, le commissioni scolastiche stabiliscono 4 pro-grammi:1. di servizi di sostegno2. di servizi per la vita scolastica3. di servizi di aiuto per l’alunno4. di promozione e di prevenzionesvolti in continuità con il servizio di insegnamento per favorire lo sviluppo dellecompetenze.Si vede, pertanto, come il sistema educativo non venga disegnato in modo auto-referenziale e strutturato “una volta per tutte”, ma prenda in considerazione il back-ground sociale, economico, familiare, etnico degli allievi non in quanto elementi didiversità e, quindi, di emarginazione come capita spesso, ma in quanto elementi didiversità. Proprio questa sottolinea l’identità degli studenti e la loro peculiarità oltreche il futuro ruolo socio-economico e di cittadini nello Stato; dalla diversità vienetracciato un livello di partenza obiettivo da cui iniziare per raggiungere dei risultatidi qualità, certificabili, valutabili tali da favorire l’integrazione e le abilità/capacitàdello studente. Non è un caso che i percorsi personalizzati di studio non siano l’ec-cezione, ma la regola. l’importanza di prendere in considerazione il background so-cio culturale va incontro anche a metodologie innovative e, soprattutto, allo svilup-po di competenze non generalizzate, ma individuali. inoltre, le scuole che partono 24 da livelli diversi di background possono valutare ed essere valutate con criteri og-gettivi nei risultati degli apprendimenti raggiunti e definire anche standard alti. 1.2. Le competenze del secondo ciclo di istruzionele competenze, così come sono intese, hanno carattere non disciplinare, bensìtrasversale in ragione del loro carattere generale e per il fatto che appartengono atutte le fasi dei cicli scolastici e trascendono i profili disciplinari: personali-sociali cooperare, valorizzare le proprie attitudini intellettuali  utilizzare le informazioni, risolvere i problemi, esercitare ilsenso critico, mettere in pratica il pensiero critico metodologiche utilizzare un metodo di lavoro efficace, utilizzare le tecnichedi informazione e di comunicazione comunicative in modo appropriato ed efficace.Per la formazione generale, le competenze sono inserite non come corsi e/oprogetti, ma all’interno delle diverse discipline: comunicazione dei mass media,cittadinanza, star bene, benessere, salute, sviluppo, orientamento.Ma sono rilevanti anche le competenze centrate sulla formazione del lavoro:sviluppo del lavoro, sviluppo della persona, arti, sociale, matematica, scienza e tec-nica, linguaggi. 1.3. La valutazioneil Ministero dell’istruzione del québec ha adottato nel 2003 una politica cheattribuisce alla valutazione due grandi funzioni: valutazione per l’apprendi-mento e certificazione delle competenze.1.3.1. La valutazione per l’apprendimentoÈ fondamentale osservare che la valutazione non rappresenta un fine in sé: l’a-lunno non impara per esser valutato, è valutato per imparare meglio. la valutazioneè concepita come un mezzo che aiuta l’alunno ad apprendere e l’insegnante a gui-darlo nel suo sviluppo, che permette di meglio calibrare le decisioni e gli interventiche regolano gli apprendimenti, nel quotidiano come nei momenti più strategici.i campi generali di formazione non sono oggetto di valutazione formale, costi-tuiscono nondimeno la trama di molteplici situazioni d’apprendimento e di valuta-zione e si trovano, così, ad esser considerati più o meno direttamente nella valuta-zione stessa delle competenze.Per i diversi campi di apprendimento, si richiede che ogni alunno mostri un li-vello di competenza e conoscenza sufficiente, così come specificato nei pro-grammi disciplinari e precisato nelle scale dei livelli di competenza. quanto allecompetenze trasversali, esse devono esser prese in considerazione nei bilanci difine ciclo. 25 Nel processo descritto, un ruolo essenziale e affidato al giudizio professionaledegli insegnanti e ciò sia nella valutazione per l’apprendimento che in quella dicertificazione delle competenze. Per assicurare l’equità di tali decisioni, gli inse-gnanti devono fare in modo che la loro valutazione sia rigorosa e trasparente, il chesignifica che essi devono pianificare le condizioni della valutazione, utilizzare stru-menti adeguati, fornire sufficienti informazioni e interpretarle in modo coerentecon il Programma di formazione. le competenze, i criteri di valutazione, i risultatiattesi di fine ciclo, così come i contenuti disciplinari, sono i punti di riferimentofondamentali di tale lavoro.la valutazione s’iscrive, innanzitutto, nell’approccio per competenze, eriguarda di conseguenza i traguardi di formazione costituiti dalle competenze disci-plinari e trasversali.il Programma di formazione fa riferimento a diverse teorie dell’apprendimentoche hanno, però, tutte in comune il riconoscimento del ruolo determinate di coluiche apprende nella costruzione delle competenze e delle conoscenze. Tra questeteorie, il cognitivismo, il costruttivismo e il socio-costruttivismo offrono punti divista particolarmente illuminanti.Se spetta al Ministero fissare gli orientamenti del sistema educativo, competeall’azione della scuola definirne le modalità di realizzazione. la semplice logicapermette di comprendere che la trasmissione di conoscenze da memorizzare nonpuò bastare. Si deve ricorrere anche a pratiche che facciano appello ai processi co-gnitivi superiori, che sono costituiti dalle attività intellettuali d’analisi, di sintesi edi valutazione. la questione non è, dunque, di sapere a che scuola di pensiero ri-farsi, ma di concepire un ambiente educativo e delle situazioni d’apprendimentoche favoriscano la formazione del pensiero e lo sviluppo di competenze.Al concetto di differenziazione viene, dunque, ad aggiungersi quello di diversi-ficazione, due termini apparentati, ma ai quali il Programma di formazione dà defi-nizioni specifiche. il termine “differenziazione” fa riferimento alle pratiche peda-gogiche che permettono di tener conto dell’eterogeneità degli alunni di un gruppo-classe sul piano delle acquisizioni, degli stili d’apprendimento e degli interessi. iltermine “diversificazione” si riferisce a diversi percorsi e diverse opzioni discipli-nari.Per realizzare una simile missione, gli interventi della scuola dovranno, innan-zitutto, basarsi su due tipi di pratica professionale: la pratica di sostegno agli alunninello sviluppo delle competenze e la pratica di collegialità tra gli operatori scolas-tici. Esempi di valutazione: 1. la valutazione trimestrale. Per la valutazione trimestrale l’insegnante (o un’é-quipe di insegnanti) definisce il livello di sviluppo delle competenze in base alseguente schema: 26 2. la valutazione di fine ciclo. la valutazione finale di un ciclo si basa sui risul-tati del programma, in base alle Scale dei livelli di competenza dell’istruzionesecondaria, così strutturate: Si presenta di seguito l’articolazione della scala tramite item esplicativi dellapadronanza degli studenti: 1.3.2. La certificazione delle competenzeAl termine di un ciclo, la valutazione ha lo scopo di situare il livello di svi-luppo delle competenze raggiunto dall’alunno. Essa s’iscrive, quindi, in una fun-zione di certificazione delle competenze ed è effettuata in rapporto agli obiettiviprevisti dal Programma di formazione. Permette di fare un bilancio degli apprendi-menti, dal quale partire per scegliere insieme all’alunno ciò che più gli conviene: lascelta del percorso più adeguato, misure specifiche di sostegno, aggiustamento delpiano d’intervento, ecc.Nel secondo ciclo della secondaria, l’obbligo di produrre un bilancio annualedel progresso negli apprendimenti permette di convalidare le scelte relative allematerie opzionali, ai diversi percorsi e di rispettare i vincoli relativi al possesso dideterminati requisiti per la prosecuzione degli studi secondari. liVEllo SVilUPPo DEllA coMPETENzA5 Supera il livello stabilito4 consegue il livello stabilito3 Si avvicina al livello stabilito2 È al di sotto del livello stabilito1 È molto al di sotto del livello stabilitoNc Non è classificabile questo trimestre liVEllo Sviluppo della competenza5 oTTiMA Supera tutte le aspettative4 DiSTiNTA Raggiunge bene gli obiettivi posti3 SUFFiciENTE Raggiunge gli obiettivi minimi2 iNSUFFiciENTE È al di sotto del livello minimo1 MolTo iNSUFFiciENTE È molto al di sotto del livello minimo Ottima: Lo studente dimostra di avere grande familiarità con la competenza e inparecchi casi supera tutti i risultati attesi.Distinta: Lo studente dimostra di possedere le competenze al livello richiesto.Sufficiente: Lo studente dimostra di possedere qualche competenza, ma non tutti gli elementidella competenza. Benché il livello raggiunto si accettabile, un po’ di aiuto glipermetterà di conseguire la piena sufficienza.Insufficiente: Lo studente è ancora al primo stadio di sviluppo di questa competenza. Sarànecessario molto aiuto per raggiungere il livello richiesto di competenza.Molto insufficiente: Non si vede nessuna acquisizione della competenza. Occorre un aiuto continua-tivo e uno sforzo costante da parte dello studente per poter progredire. 27 la valutazione delle competenze è anche alla base della sanzione conclusivadegli studi; è a partire dai giudizi sull’acquisizione delle competenze che sarà presala decisione di rilasciare il titolo ufficiale che sancisce l’avvenuta formazione. i ri-sultati di tale valutazione saranno utili anche per decidere l’ammissione dello stu-dente a successivi livelli di formazione, fra cui il college. Sitografia http://ospitiweb.indire.it/adi/canada/caq_210_scelta.htmhttp://www.gouv.qc.ca/portail/québec/international/italie/québec/mode_de_vie/education/systeme_scolaire/http://www.mels.gouv.qc.ca/scolaire/educqc/systemeScolaire/http://www.ceec.gouv.qc.ca/http://www.ceec.gouv.qc.ca/publications/oRiENTATioN-Doc/Evaluationinstitutionnelle.pdf 2. DANIMARCA 2.1. Sistema educativol’obbligo in Danimarca giunge fino all’età di 16 anni; ma lo studente non èobbligato a frequentare un’istituzione scolastica. È, infatti, l’istruzione ad essereobbligatoria, non il fatto di andare o meno a scuola. la famiglia può scegliere dimandare un bambino ad una scuola privata oppure farlo istruire a casa. la maggiorparte dei giovani tra i 7 e i 16 anni (circa l’89%) frequentano la scuola pubblica perun periodo minimo di 9 anni, mentre il decimo anno è opzionale.Malgrado l’istruzione prescolastica non sia obbligatoria, la maggior parte deibambini danesi se ne avvantaggia, così come negli altri paesi dell’area scandinava,dove la maggior parte delle donne lavora fuori casa.la scuola dell’obbligo in Danimarca è nota con il nome di Folkeskole, tra-mite la quale si persegue la crescita individuale di ogni allievo, lo sviluppo di unapersonalità indipendente e matura e la preparazione di ognuno ad essere membrodi una società basata sulla libertà, sull’uguaglianza e sulla democrazia. la Folke-skole permette agli allievi di rimanere insieme allo stesso gruppo per tutta la du-rata del corso di studi, condividendo così le stesse esperienze con persone prove-nienti da tutti gli ambienti sociali. inoltre, gli studenti sono seguiti da uno stessoinsegnante (generalmente l’insegnante della lingua materna) per tutta la duratadei 9 anni.ogni gruppo-classe contiene una media di 19 studenti e il numero massimonon può superare le 28 unità. Negli ultimi tempi si è potuta notare una tendenza al- 28 l’aumento, soprattutto nella zona di copenaghen, dove la media è di 23. questo de-riva anche dal maggior numero di bambini nati recentemente che entrano a farparte della scuola dell’obbligo.il sistema scolastico danese è da sempre decentralizzato e tutte le decisioniconcernenti i contenuti educativi vengono prese a livello locale (comunale, inquesto caso). Negli ultimi anni questa forma di autonomia si è ulteriormente raffor-zata: ogni istituto ha un comitato scolastico formato da un gruppo di genitori (nor-malmente da 5 a 7), due insegnanti, due studenti e il preside. questo consente aigenitori e agli studenti di avere una notevole influenza sul funzionamento dellascuola. in tal modo, la collaborazione fra scuole e famiglie risulta essere uno deipunti essenziali della scuola dell’obbligo e le famiglie hanno il diritto di essere re-golarmente informate dei progressi dei loro figli.le linee guida del Ministero hanno solo titolo di raccomandazioni, dato che lescuole possono fissare esse stesse i loro programmi di studio: comunque, la mag-gior parte delle scuole si adegua alle decisioni ministeriali in materia.Alla fine dell’istruzione obbligatoria, gli studenti possono sostenere esami for-mali fino a un massimo di 10 materie. il Ministero dell’istruzione stabilisce gliesami scritti, mentre gli insegnanti sono responsabili delle prove orali.la valutazione è di tipo continuo e il passaggio alla classe successiva è auto-matico. il progresso generale dell’alunno in ogni materia, ma senza alcuna indica-zione di voto, viene comunicato ai genitori almeno 2 volte l’anno fino al 7° anno.Dall’8° anno, viene dato un voto nelle materie in cui può essere sostenuto l’esamefinale. Tutti gli studenti ricevono il certificato finale che riporta le materie, i voti ot-tenuti ed eventuali risultati dell’esame.la scuola superiore (16-19 anni) è divisa in: Scuola secondaria superiore(Upper secondary education) ed istruzione e formazione professionale (Vocatio-nally oriented education and training).2.1.1. Scuola secondaria superiorein Danimarca ci sono 4 programmi di istruzione secondaria superiore generalecon esami che abilitano al terzo grado di istruzione, l’Università:• il Gymnasium, che è un corso triennale di tipo accademico a cui si può acce-dere dopo il 9° anno della Folkeskole.• HF (Hojere Forberedelseskursus). questo biennio è solitamente presente nelGymnasium.• HTX (Hojere Teknisk Eksamen - esame tecnico superiore) 16-19 anni.• HHX (Hojere Handelseksamen - esame commerciale superiore) 16-19 anni.HF è un corso generale di 2 anni a cui si può accedere dopo il 10° anno dellaFolkeskole, che porta al Højere Forberedelseseksamen per proseguire poi a livellodi istruzione superiore. A questo corso possono accedere anche gli adulti in pos-sesso dei requisiti. 29 i corsi HTX e HHX e il Gymnasium sono corsi triennali cui si può accederedopo il 9° anno della Folkeskole, che prevedono un esame finale e che permettonodi accedere all’istruzione superiore (universitaria) e al mondo del lavoro.l’ammissione al Gymnasium dipende dai risultati riportati sul certificato finaledella Folkeskole e dalla raccomandazione del personale insegnante. Per accedere aicorsi HF è necessario avere completato anche il 10° anno opzionale dell’istruzioneobbligatoria.il Dipartimento dell’istruzione secondaria superiore del Ministero dell’istru-zione definisce il curriculum di insegnamento per il Gymnasium e l’HF, ma gli in-segnanti decidono relativamente ai libri di testo e ai metodi di insegnamento. ilGymnasium è distinto in un indirizzo linguistico ed uno matematico, che preve-dono materie comuni a tutti gli studenti e materie di indirizzo.Gli studenti che rimangono nella Folkeskole per il 10° anno opzionale possonosostenere esami in 5 materie. Gli esami finali del Gymnasium sono in 10 materie. ilDipartimento ministeriale dell’istruzione secondaria superiore di tipo generale defi-nisce gli esami scritti le cui prove vengono valutate da esaminatori esterni nominatidal Ministero dell’istruzione.Gli studenti, che superano l’esame, ottengono un certificato con i voti ottenutiin tutte le materie e i voti relativi al lavoro svolto durante l’anno.2.1.2. VET Vocational Education and TrainingÈ un percorso a indirizzo professionale per giovani e adulti che hanno termi-nato la scuola dell’obbligo. Vi è in questo programma alternanza di scuola e lavoro:lo studente deve stipulare un accordo con una società di formazione approvata dalleparti sociali (una confederazione di rappresentanti dei datori di lavoro e dipen-denti), al fine di realizzare il programma principale.ci sono circa 125 programmi di istruzione e formazione, ciascuno dei qualipuò portare a una serie di specializzazioni professionali. l’obiettivo della forma-zione professionale e dei programmi di formazione è quello di motivare i giovani acompletare un programma di formazione che li può qualificare per l’occupazione e,allo stesso tempo, tener conto delle esigenze del mercato del lavoro.coloro che hanno completato il VET possono immediatamente lavorare sianell’industria sia nel commercio. questo è lo scopo del programma.oltre alla formazione professionale di base e i programmi di formazione, gliistituti interessati offrono anche programmi di istruzione: l’istruzione professionalesecondaria superiore (Higher commercial - Esame HHX e maggiore l’esame tec-nico - HTX) e istruzione e formazione continua per gli adulti (c - VET chiamatoAMU - Adult formazione professionale) che consentono l’ammissione alla TertiaryEducation, l’Università. la maggior parte degli istituti professionali cooperano conaltre scuole al fine di offrire corsi a breve termine di istruzione superiore.l’istruzione terziaria (Tertiary Education) o Higher education o sistema del-l’Alta Formazione, si divide in tre categorie: 30 – l’alta formazione a breve ciclo, che include fra le altre cose la formazione ac-cademica professionale (vocational academy education);– l’alta formazione a medio ciclo, che include i programmi universitari di bac-calaureato e professionali (university bachelor programmes, the professionalbachelor programmes) e altri programmi a medio ciclo, insieme con– l’alta formazione a lungo ciclo, inclusi i programmi di master e di dottorato.Non ci sono ostacoli per la progressione nel curricolum perché alla base dellafilosofia di istruzione non c’è l’istituzione, ma la formazione della persona perchépossa trovare il suo posto nella vita. il sistema prevede molta agilità nella struttura.Fondamentale resta la formazione non necessariamente formale. ogni attività chesvolge la persona è considerata importante e viene riconosciuta nei vari livelli diformazione. il curriculum vitae è una sorta di portfolio che certifica le competenzee accompagna la persona per tutta la vita e in qualsiasi momento può essere arric-chito da nuove esperienze, spendibili poi nel processo di formazione e di lavoro. 2.2. Sistema di certificazioneEsistono quattro tipi di certificazione:1) i diplomi finali ottenuti in seguito ad un esame al termine di un ciclo di studi.lo studente, tuttavia, non è obbligato a sostenere l’esame finale, in quanto essoè funzionale solamente all’eventuale proseguimento degli studi in un livello diistruzione superiore.2) Un certificato che attesta le conoscenze e competenze acquisite in singole ma-terie con la valutazione relativa. Esso può essere rilasciato dall’ente formatorein seguito ad un esame o anche solo sulla base di una valutazione globale dellavoro, svolto durante il periodo scolastico.3) il riconoscimento della formazione pregressa.4) chi desidera intraprendere da adulto un percorso formativo o di studio, oppuresta cercando di cambiare lavoro, o necessita di una qualifica formale, può farsiriconoscere le competenze acquisite non solo attraverso l’istruzione formale,ma anche nel lavoro o nel tempo libero.il punto di partenza è costituito da un’autocertificazione, il My CompetencePortfolio2 che permette, attraverso una serie di passaggi successivi, di registrare ilproprio cV e tutto quanto può servire per definire il quadro formativo e delle com-petenze acquisite dal soggetto. la documentazione a sostegno di quanto viene di-chiarato nell’autocertificazione può essere la più varia: attestati di corsi di forma-zione pubblici o privati; descrizione del proprio lavoro e delle abilità e competenzenecessarie per svolgerlo; documentazione che descrive le mansioni e le qualificherelative al lavoro svolto; esempi di prodotti di lavoro, i processi, la fiducia, lo svi- 2 http://www.minkompetencemappe.dk/Default.aspx 31 luppo e altro ancora; testimonianze da datori di lavoro, rappresentanti sindacali ecolleghi; descrizione del contenuto tecnico/campo di applicazione, corsi serali,istruzione di base, soggiorni all’estero; pareri del lavoro di associazioni e scuola;descrizione dei compiti e delle attività eseguite nel tempo libero in club o organiz-zazioni varie. la compilazione del modello (prodotto dal Ministero dell’istruzione)non è obbligatoria, è solo un aiuto per chi desidera vedere riconosciuta formal-mente la propria formazione pregressa.Una volta raccolta tutta la documentazione necessaria, il richiedente fa do-manda presso l’istituzione in cui intende proseguire la propria formazione. Attra-verso un colloquio introduttivo con un incaricato del settore, vengono individuatele conoscenze e competenze possedute, sia utilizzando le certificazioni e gli atte-stati presentati, sia attraverso eventuali test o prove pratiche. il tutto è regolamen-tato da alcuni decreti recenti dello Stato danese. in questo modo è possibile co-struire percorsi di formazione individuale.la Danimarca aderisce al sistema Europass e prevede, pertanto, la possibilitàdi ottenere i tre certificati Europass: Supplemento al Certificato, Supplemento alDiploma e Mobilità (gli altri due certificati Europass, il curriculum vitae europeo eil Passaporto europeo delle lingue sono compilati individualmente).le certificazioni vengono rilasciate dagli enti formatori/scuole all’interno dellequali è avvenuto il percorso formativo. È compito del Ministero dell’istruzione sta-bilire i percorsi formativi, formulare i contenuti delle materie di studio, riconoscereformalmente gli enti formatori e proporre i testi d’esame per i diplomi. Nel casodella formazione professionale, i percorsi formativi vengono stabiliti di concertocon un’agenzia del Ministero del lavoro, ma la certificazione finale è di compe-tenza del Ministero dell’istruzione.l’ente certificatore del punto 4) è l’Agenzia Danese per l’istruzione interna-zionale afferente al Ministero della Scienza, Tecnologia e innovazione. Trattandosidi un sistema europeo, i modelli e le procedure sono quelli comuni agli altri Paesi.le autorità competenti al rilascio dei Supplementi al certificato e al Diploma sonole stesse che rilasciano i titoli originali.Per quanto riguarda il sistema di certificazione al termine della scuola dell’ob-bligo e della secondaria, non è ancora stata stabilita un’equivalenza con le racco-mandazioni europee dei livelli 1-4 dell’EqF. la certificazione, pertanto, riguardaprincipalmente le conoscenze e, nel caso di percorsi di istruzione professionale, leabilità possedute verificabili e misurabili attraverso i sistemi di misurazione speci-fici (esami, prove pratiche, tesine, progetti elaborati dagli studenti ecc.).il Qualifications Framework for Danish Higher Education è il sistema di rife-rimento di tipo nazionale per la classificazione delle competenze relativamente al-l’istruzione terziaria (vale a dire di livello accademico o perlomeno post-secon-dario) sia istituzionale che per adulti. Esso è costruito secondo i principi dell’EqF.conseguentemente, i livelli di qualificazione 5-8 del sistema danese corrispondonoai livelli 5-8 dell’EqF. le istituzioni responsabili dell’istruzione terziaria usano gli 32 EcTS (European credit Transfer System) per misurare le attività di studio. Adesempio 60 EcTS corrispondono ad un anno di studio a tempo pieno. Dal 2002 èobbligatorio per le istituzioni accademiche rilasciare il Supplemento al diploma ininglese.l’Agenzia Danese per la Valutazione garantisce l’equivalenza tra il quadro diriferimento europeo e il sistema adottato nel Paese (cfr. DANiSH EVAlUATioN iNSTi-TUTE, Self-certification, 2009).Anche il My competence Portfolio è organizzato secondo la ripartizione cono-scenze, abilità, competenze. le prime due sono più specificamente relative a ciòche uno sa o sa fare nello specifico campo di lavoro che gli è proprio, mentre lecompetenze sono analiticamente descritte in termini di: collaborazione e pianifica-zione, studio e risoluzione dei problemi, comunicazione e presentazione, abilitàmatematiche e informatiche, lingue straniere.circa l’oggetto-performance che attesta che la persona possiede le compe-tenze, ciò dipende dalla natura di queste: quelle che derivano da un apprendimentoformale, che hanno a che fare col saper fare in senso professionale o che riguar-dano la conoscenza e la capacità di mettere in pratica conoscenze teoriche possonoessere verificate da una prova pratica, un test o un esame, a meno che non siano giàstate certificate mediante un documento rilasciato da un organismo riconosciuto (adesempio una scuola). Per altre, di tipo più generale, si accetta quanto dichiarato dalsoggetto.le diverse certificazioni sono spendibili sia nel mercato del lavoro che nel si-stema di formazione per giovani e adulti, sia nazionale che europeo. in particolare,si sottolinea l’importanza della certificazione della formazione pregressa che, comesi è detto, può servire ad abbreviare il corso di studi o evitare di frequentare deicorsi formali di qualificazione o riqualificazione professionale. Sitografia DANiSH AGENcy FoR iNTERNATioNAl EDUcATioN - MiNiSTRy oF SciENcE TEcHNoloGy AND iNNoVA-TioN, Qualifications Framework for Danish Higher Education, http://en.iu.dk/transparency/qualifications-frameworks/qF_DK_HE_261009.pdfDANiSH AGENcy FoR iNTERNATioNAl EDUcATioN - MiNiSTRy oF SciENcE TEcHNoloGy AND iNNoVA-TioN, http://en.iu.dk/recognition/how-to-apply-for-recognition/competence-assessmentDANiSH EVAlUATioN iNSTiTUTE, Self-certification, Verification of compatibility of the Danish Nationalqualifications Framework for Higher Education with the Framework for qualifications of theEuropean Higher Education Area, 2009 http://en.iu.dk/transparency/qualifications-frameworks/Self-certification_DK.pdf http://www.indire.it/eurydice/content/index.php?action=read_cnt&id_cnt=7610Bilancio delle competenze http://en.iu.dk/transparency/qualifications-frameworks/Self-certification_DK.pdfAutodiagnosi http://www.minkompetencemappe.dk/content.aspx 33 3. FINLANDIA 3.1. Il sistema di istruzionein Finlandia la formazione iniziale è svolta principalmente in istituti Statalicon l’obiettivo di garantire il diritto di istruzione a tutti, indipendentemente dallaloro residenza, condizione economica o lingua. l’istruzione viene considerata lachiave per la competitività internazionale e la prosperità nazionale.Verso la fine degli anni ’80 sono stati ridefiniti gli obiettivi dell’istruzione, alfine di innalzare il livello educativo generale, in virtù del fatto che la Finlandiadeve puntare sulla qualità delle proprie risorse umane, non avendo a disposizionerisorse naturali. ciò tramite un sistema in cui i giovani possono abbinare studi ditipo generale e professionale o scegliere uno dei due tipi. il livello di formazioneprofessionale post secondaria viene elevato attraverso un sistema di istituti di istru-zione professionale superiore sul modello della “Fachhochschule” tedesca, in cuiuna parte essenziale dell’attività è rappresentata dalla ricerca scientifica per appro-fondire la conoscenza del lavoro.il cambiamento della politica educativa che enfatizza una maggiore individua-lità, flessibilità, opzionalità e responsabilità locale ha prodotto un incremento del-l’offerta formativa nel paese. Si sono, quindi, profilati due trend: l’espansione dellaformazione in apprendistato; l’introduzione di esami professionali basati sulle com-petenze sul modello delle NVq (National Vocational qualification) del RegnoUnito.il sistema finlandese comprende la formazione generale e la formazione pro-fessionale che vengono sviluppate separatamente in base ai principi della “scuolaedificante” da un lato e della scuola per il mercato del lavoro dall’altro. l’offerta diformazione per il mercato del lavoro destinata agli adulti si basa esclusivamentesulla domanda ed il marketing.Dal 1994 viene introdotto nel Paese il sistema di qualifiche basate sulle com-petenze (cBq) che avvia il processo di definizione dei piani, programmi e quantifi-cazione delle qualifiche professionali da promuovere nel paese. Nel 1999 alcuniAtti e Decreti sull’Educazione Professionale degli Adulti regolano l’intero sistemadelle qualifiche basate sulle competenze che, da allora, vengono annualmente revi-sionate dai comitati locali e nazionali di settore.Nell’ambito della formazione professionale, a partire dagli anni ’70 l’offertaformativa si è strettamente vincolata all’esigenza di manodopera qualificata. Si èaccentuato quindi il ruolo di pianificazione quantitativa che, in precedenza, era se-parata dai contenuti formativi. in questo modo l’offerta formativa ed educativa haassunto un forte controllo centralizzato. i programmi vengono approvati dal go-verno. Sono 3 i livelli previsti:1. Qualifiche professionali (livello base): possono essere recepite come quali-fiche basate sulle competenze. 34 2. Ulteriori qualifiche professionali: dimostrano le abilità professionali richiestedei lavoratori specializzati.3. Qualifiche professionali specialistiche: dimostrano una padronanza dei com-piti più impegnativi nel settore.la struttura delle qualifiche è revisionata annualmente sulla base dei cambia-menti della vita lavorativa e sulla base del feedback proveniente dal mondo del la-voro. Attualmente ci sono 373 qualifiche (di cui 191 ulteriori qualifiche professio-nali e 130 qualifiche professionali specialistiche) incluse nella struttura.i lavoratori possono dimostrare il possesso delle competenze professionali edottenere il certificato di qualifica a seguito del superamento del test di competenzaprevisto ed elaborato dai “comitati delle qualifiche”. il certificato di qualifica èottenuto a superamento di tutti i moduli previsti dalla qualifica, tuttavia il candidatopuò richiedere un certificato per ogni modulo superato.Gli adulti possono quindi dimostrare la loro professionalità attraverso i Test,indipendentemente da come e dove hanno acquisito le abilità. Partecipare ai testper le competenze non richiede un tirocinio formale, anche se molti di questi parte-cipano ad attività preparatorie per colmare alcune lacune relative ad abilità profes-sionali sviluppate al lavoro o per accrescere le loro abilità professionali. Si è osser-vato che per garantire il superamento al test per competenze è consigliabile la par-tecipazione a queste attività preparatorie, proprio perché la compilazione del test ri-chiede anche il possesso di nozioni di tipo teorico. 3.2. Modello di didattica per competenzeil National Board of Education pubblica per ogni qualifica la descrizione delleabilità professionali richieste, gli oggetti di studio in termini di competenze e con-tenuti di studio “principali/chiave”. il programma di studio è articolato in Voca-tional studies (studi professionali), core subjects e Free-choice studies (studi ascelta libera). Nel complesso dei monte crediti formativi, il peso maggiore è dete-nuto dagli studi professionali.Ecco il quadro di composizione degli studi:Studi professionali (Vocational studies): sono moduli formativi di base ingrado di sviluppare competenze di base della professione. questi forniscono le basiper la valutazione e la dimostrazione del possesso di abilità. Sono strutturati in:• Basic studies: dipendono dal tipo di qualifica e dal settore entro il quale la qua-lifica si inserisce.• Specialisation studies: sono ambiti specialistici della qualifica.• on-the-job learning: si tratta di attività svolte in contesto lavorativo e collegatead un progetto di apprendimento.Core Studies: hanno lo scopo di fornire abilità e conoscenze a studenti di cuiavranno bisogno nel lavoro, in ulteriori studi e come cittadini. questi studi preve- 35 dono opzioni di studio che possono sostituire il livello secondario generale dellascuola secondaria (esempio: prima lingua nazionale, seconda lingua nazionale,lingua straniera, fisica e chimica, arte e cultura, ecc.).Free-choice studies: alcune qualifiche prevedono anche specificità (studi op-zionali) che possono essere collegate a bisogni locali o regionali.Final Project: questi percorsi possono anche prevedere un progetto finale.Un valore aggiunto del modello formativo viene assegnato a “on-the-job lear-ning” che consente di fare una valutazione direttamente in un contesto lavorativo eall’interno di un processo lavorativo coerente con il curricula della qualifica di rife-rimento. la responsabilità di questa attività resta, comunque, dell’Ente “educativo”che stabilisce e formalizza un contratto di “formazione” con l’imprenditore.lo studente, quindi, non stabilisce un rapporto di lavoro con l’impresa, equindi mantiene il suo status di studente ed i benefit sociali. l’imprenditore perquesta attività non riceve alcun compenso. questa azione può anche essere svoltaall’estero purché venga garantito un’appropriata supervisione. il progetto di “on-the-job learning” viene pianificato ed implementato assieme dai formatori, dagliistruttori in azienda e dagli studenti e assieme viene svolta anche la valutazione. 3.3. Modalità di valutazionela valutazione delle competenze, valida per il rilascio del certificato di quali-fica, viene effettuata attraverso la somministrazione di un test di competenze, svi-luppato in accordo tra docenti e operatori del mondo del lavoro.la valutazione delle proprie competenze può essere richiesta da qualsiasi per-sona ed è indipendente dal luogo e contesto, presso il quale la persona ha svilup-pato la propria professionalità.Generalmente la partecipazione al test non richiede alcun percorso formale diaccesso, anche se viene consigliato proprio per recuperare le competenze di tipoteorico più propriamente afferibili nei percorsi scolastici.qualora la persona acceda ad un training preparatorio, a seguito di un’azioneconsulenziale, viene definito un piano di studi individualizzato e la struttura educa-tiva, che predispone il piano e organizza il training, fornisce allo studente tutto ilmateriale didattico previsto.la certificazione prevista a seguito del test di competenza può essere comples-siva su tutto il percorso che lo studente ha sviluppato oppure essere specifica perogni modulo formativo frequentato.i piani di studio sono formalizzati ed approvati dal Ministero dell’Educazione edella cultura finlandese. l’assegnazione dei crediti per quanto riguarda gli studi pro-fessionali è diversamente articolata in funzione della qualifica ed in alcuni casi anchein funzione di specificità locali o regionali. la nuova riforma in Finlandia, infatti, at-tribuisce una discrezionalità nell’organizzazione di piani di formazione a livello deicomuni, proprio per rispondere in maniera puntuale alle reali esigenze del territorio. 36 le abilità, le competenze e le conoscenze degli studenti ed il loro progresso so-no valutate tutte durante ed al termine del percorso educativo e formativo. È inco-raggiata l’autovalutazione da parte dello studente come parte integrante del proces-so di apprendimento. l’apprendimento on the job e la dimostrazione del possesso diabilità sono sviluppate all’interno del contesto lavorativo da docenti e istruttori.Tutti i moduli formativi sono valutati, nel test, su una scala a 5 punti.le prove che attestano il possesso delle abilità professionali sono sviluppate incooperazione fra il mondo della scuola (docenti) ed il mondo del lavoro (istruttori).ogni organizzazione educativa è responsabile della fase di valutazione ed assegnaad un gruppo l’implementazione, il monitoraggio della prova di possesso delle abi-lità professionali.questa prove di dimostrazione del possesso di abilità professionali hanno loscopo anche di assicurare la qualità del sistema educativo e formativo in coopera-zione con il mondo del lavoro ed inoltre è un utile riscontro funzionale per lo svi-luppo di nuovi programmi di istruzione: Vocational studies 90 creditiExtensive basic studiesSpecialisation studiesOn-the-job learningcore studies 20 creditiFree-choice studies 10 creditiTot. 120 creditiStudi professionali (Vocational studies): articolato in altre voci di competenzeapporta 90 crediti alla valutazione della qualifica. l’apporto che le categorie sottoriportate danno ai crediti complessivi possono essere estremamente differenti infunzione del settore e della qualifica di riferimento:– Basic studies: il valore può oscillare tra 20 e 40 crediti.– Specialisation studies: il valore può oscillare tra 20 e 60 crediti.– on-the-job learning: concorre al valore complessivo con 20 crediti.Core Studies: assegnano 20 crediti.Free-choice studies: assegnano 10 crediti.Final Project: può fornire un aggiunta di credito minimo di 2 punti. Sitografia Structure of Education and Training System in Europe - Finland 2009/010 Edition http://eacea.ec.eu-ropa.eu/education/eurydice/documents/eurybase/structures/041_Fi_EN.pdfcompetence-based qualification - Gennaio 2008 http://www.oph.fi/english/publications/2008/compe-tence-based_qualifications_1st_january_2008competence Framework for VET Professions http://www.oph.fi/english/publications/2009/compe-tence_framework_for_VET_professions 37 4. FRANCIA 4.1. Sistema educativo franceseil sistema educativo francese è diviso in diversi livelli: enseignement maternel,primaire, secondaire, professionel, apprentissage e supérieur (scuola materna, pri-maria, secondaria, professionale, di apprendistato e superiore). Va inclusa nell’e-lenco anche la formation continue (formazione continua).la scuola è obbligatoria dai 6 ai 16 anni di età (Réforme Berthoin, 1959).Una norma varata nel febbraio 2006, e molto discussa negli ambienti educativie intellettuali, prevede che vi siano anche gli “apprendisti junior”, ragazzi che ini-ziano l’apprendistato a 14 anni, anticipandone l’ingresso di un anno.l’insegnamento al collège dura 4 anni e interessa gli alunni dai 12 ai 16 anni,nelle classi sesta, quinta, quarta e terza. la sesta corrisponde al ciclo d’adaptation(di adattamento), la quinta e la quarta al ciclo central, la terza al ciclo d’orientation(di orientamento). il collège si conclude con un esame finale, a seguito del qualeviene rilasciato il diploma finale, Diplôme national du brevet, rilasciato agli allieviche hanno acquisito le conoscenze generali.l’istruzione è obbligatoria fino a 16 anni, ma questa età non corrisponde allafine di un ciclo: generalmente l’istruzione continua al lycée. il passaggio a un lycéeavviene indipendentemente dai risultati del diploma di Brevet.Dopo i 16 anni gli alunni francesi hanno due possibilità: frequentare un lycéegénéral et technologique (liceo generale e tecnologico) oppure iscriversi a un lycéeprofessionnel (liceo professionale). Entrambi terminano con l’esame per il bacca-lauréat3 (esame e titolo di studio corrispondente alla maturità italiana).Nel lycée général et technologique il percorso degli studi dura 3 anni e si svi-luppa nelle classi seconda, prima e terminale.la classe seconda, da sola, costituisce il ciclo de détermination, in cui si pre-para la scelta di baccalauréat, altresì detta la série. Gli alunni frequentano disci-pline comuni e scelgono due materie de détermination (di indirizzo) e una opzionefacoltativa. Alla fine della seconda queste scelte aiutano i ragazzi a optare per unbaccalauréat général o technologique (maturità generale o tecnologica). Esistonoanche classi di seconda che preparano ai BT- brevets de technicien (cfr. lycée pro-fessionel).le classi prima e terminale corrispondono al ciclo terminal, in cui gli alunniscelgono certe discipline che determinano la specializzazione del loro baccalau-réat. Alla fine dei tre anni gli alunni sostengono l’esame per il baccalauréat gé- 3 il baccalauréat è il primo diploma dell’istruzione superiore e anche il primo grado universi-tario. il diploma di baccalauréat général ou technologique porta al proseguimento degli studi nellaformazione superiore, all’università, alle classi preparatorie per les grandes écoles, alle sezioni ditechniciens supérieurs (tecnici superiori) e agli instituts universitaires de tecnologie (istituti universi-tari di tecnologia). 38 néral o technologique, primo diploma di studi superiori. l’esame comporta anchedelle prove anticipate alla fine della classe prima.la voie technologique (percorso, canale tecnologico) prepara agli studi supe-riori tecnologici della durata di 2 anni o più.il baccalauréat technologique prevede 7 categorie, 7 indirizzi: scienze e tecno-logie di laboratorio; scienze e tecnologie industriali; scienze e tecnologie della ge-stione; scienze e tecnologie sanitarie e sociali; tecniche della musica e della danza;industria alberghiera; scienze e tecnologie agrarie e naturali.Al lycée professionel le discipline tecnologiche e professionali rappresentanodal 40% al 60% del curricolum complessivo e vengono trattate in classe e, secondole specializzazioni, in officina, in un laboratorio o in cantiere. le materie di inse-gnamento generale (francese, matematica, storia-geografia, scienze, inglese) sonougualmente di fondamentale importanza.Dopo la classe terza del collège i ragazzi che frequentano il lycée professionnelpossono preparare:– un baccalauréat professionnel - Bac Pro (maturità a indirizzo professionale);– un C.A.P., certificat d’aptitude professionelle (certificato di attitudine profes-sionale);– uno dei quattro brevetti di studi professionali B.E.P., Brevet d’études professio-nelles, mantenuti invariati nel corso dell’attuale anno scolastico 2009/2010.il baccalauréat professionnel si prepara in tre anni dopo la classe terza del collè-ge. Attesta l’attitudine a esercitare un’attività professionale altamente qualificata inuna delle 75 specializzazioni proposte dall’offerta formativa. Gli alunni frequentanouna classe seconda, una prima e una terminale professionale. Anche se l’inserimentonella realtà lavorativa resta l’obiettivo prioritario degli studenti di baccalauréat pro-fessionnel, negli ultimi anni il proseguimento degli studi nel B.T.S - Brevet de Techni-cien Supérieur4 (Brevetto di Tecnico Superiore) tende a aumentare. Parte integrantedel corso per il Bac Pro sono almeno 16 settimane di stage presso una impresa.il C.A.P. si prepara in due anni dopo la classe terza e dà accesso a un mestierespecifico, sia come operaio sia come impiegato qualificato, e ha per obiettivo prin-cipale l’entrata diretta nel mondo del lavoro. Esistono circa 200 specializzazioni diC.A.P.il Brevet d’études professionelles è stato rinnovato negli ultimi anni e nel liceoprofessionale la preparazione al B.E.P. è integrata oggi con il percorso in tre annidel Bac Pro. All’inizio del corrente anno scolastico, tuttavia, sono stati mantenuti,in via provvisoria, ancora quattro percorsi in due anni: servizi sanitari e sociali;guida e servizi del trasporto su strada; ristorazione e industria alberghiera; ottica eocchialeria. 4 il B.T.S. è un diploma superiore breve che si prepara in due anni dopo aver sostenuto l’esameBAc, corrisponde alla c.d. Formazione Superiore di iii livello: BAc + 2. 39 Sono facilitate le passerelle tra l’istruzione professionale e l’istruzione gene-rale e tecnologica e tra il C.A.P. e il baccalauréat professionnel. questo ancheperché la maggior parte dei licei francesi prevede l’offerta di entrambi gli indirizzi.Gli istituti che hanno ricevuto il marchio di qualità “lycée des métiers” (liceodei mestieri) propongono percorsi di formazione in diversi settori professionali. co-stituiscono degli indirizzi di eccellenza che possono portare fino al livello Bac + 35.i licei dei mestieri riuniscono diversi tipi di formazione: formazione scolare iniziale,formazione in apprendistato, formazione continua e anche il riconoscimento degliapprendimenti informali: V.A.E. - Validation des acquis de l’expérience.questi licei preparano anche ai diplomi tecnologici e professionali: C.A.P.,B.E.P., baccalauréat professionnel, baccalauréat technologique, mention complé-mentaire (votazione complementare), B.T.S. e licenza professionale.queste scuole sviluppano strette relazioni con il mondo professionale e con ipartenariati locali. 4.2. Lo zoccolo comune ed il libretto delle competenzela Francia ha interpretato quella Raccomandazione europea nell’ambito della“Legge sull’orientamento e sul programma per l’avvenire della scuola” del23.04.2005 sotto forma di “zoccolo comune di conoscenze e competenze” (Socle)approvato il 12 luglio 2006.questo si riferisce alla scolarità obbligatoria, riprende sette delle otto compe-tenze chiave (non è ripresa “imparare ad imparare”) ed indica la base necessaria eindispensabile per l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita. È interessante ilmodo in cui in Francia è stato definito il piano di certificazione dello “zoccolo co-mune” che prevede tre livelli di intervento, collocati nel percorso degli studi:1. grado 1 dello zoccolo: fine seconda primaria (solo Padronanza della linguafrancese, Principali elementi di matematica, competenze sociali e civiche);2. grado 2 dello zoccolo: fine quinta primaria (tutte le 7 competenze);3. grado 3 dello zoccolo: fine scuola secondaria di 1° grado o fine scolarità obbli-gatoria (a 16 anni) (tutte 7 le competenze).la padronanza finale dello zoccolo nella grande maggioranza dei casi è certifi-cata all’ultimo anno della scuola secondaria di 1° grado (a 15 anni), anche se è rife-rita all’obbligo scolastico che si conclude a 16 anni. in questo modo, l’acquisizionedelle competenze dello zoccolo comune è progressiva.il libretto è la raccolta degli attestati che certificano le conoscenze e le compe-tenze dello zoccolo comune acquisite nei tre gradi del percorso degli studi.quindi, siamo di fronte non solo ad un certificato, ma ad un vero e proprio li-bretto che contiene documenti definiti attestati, ovvero lo “strumento istituzionale 5 Formazione superiore di iii livello: dopo l’esame di baccalauréat, che corrisponde al iV livellodi formazione superiore. 40 di raccolta delle certificazioni delle competenze dello zoccolo comune”. questo èinteso come un “collettore dei successi degli alunni”. Serve al loro orientamento at-tivo in funzione delle loro effettive acquisizioni.Alla scuola primaria, il libretto personale delle competenze fa parte della pa-gella. È compilato al secondo e quinto anno del ciclo. Sia in seconda che in quinta,i risultati degli alunni sono trasmessi alla famiglia e alla fine del quinto anno il li-bretto è consegnato al genitore o a chi ne fa le veci e alla scuola secondaria di 1°grado dove l’alunno si iscrive.Alla fine della scuola secondaria di 1° grado (15 anni) o alla fine dell’istru-zione obbligatoria (16 anni), il libretto personale delle competenze è redatto algrado 3. la compilazione è collegiale e necessita di un lavoro comune fra i profes-sori della classe in accordo con il docente che ha la responsabilità principale dellaclasse e con il capo d’istituto che alla fine convalida l’attestato di certificazione.la certificazione è anche uno strumento di comunicazione con le famiglie;rende conto ai genitori in modo istituzionale degli apprendimenti dei loro figli ri-spetto a determinate competenze, in precise fasi della scolarità. Nell’ambito deldialogo con i genitori, vengono consegnate alle famiglie anche schede intermediedi valutazione ogni volta che questo si renda necessario. quando l’alunno cambiaistituto le certificazioni sono trasmesse alla nuova scuola.la struttura linguistica della competenza prevede tre segmenti:• La competenza: (per esempio la competenza 1 = la padronanza della linguafrancese).• Il campo: per esempio nella competenza 1 (padronanza della lingua francese)sono campi leggere, scrivere, parlare ecc.• L’item: rappresenta la declinazione di un campo; per esempio, per il campoleggere, adattare il modo di leggere alla natura del testo proposto e all’obiet-tivo da conseguire, estrapolare per iscritto o oralmente l’essenziale di un testoletto …Nell’ambito dei materiali di supporto, il Ministero dell’Educazione propone un“Vocabolario comune per la redazione della certificazione dello zoccolo”, struttu-rato per campi e item, che rappresenta il punto di riferimento essenziale, ed obbli-gatorio, per ogni scuola nel definire le competenze da formare, valutare e quindicertificare.l’attestato delle conoscenze e competenze dello zoccolo comune al grado 3 siarticola in 7 competenze che comprendono 26 campi divisi a loro volta in centinaiadi item.il libretto personale delle competenze include anche i seguenti attestati certifi-cativi rilasciati durante la scolarità obbligatoria: attestati scolastici della sicurezzastradale di 1° e 2° livello, attestato di “Prevenzione e soccorso civici di livello 1”.la legge di orientamento indica che “lo zoccolo non si sostituisce ai pro-grammi della scuola primaria e secondaria di 1° grado, e non ne è neppure un con- 41 densato. (…) lo zoccolo definisce ciò che nessuno può ignorare alla fine della sco-larità obbligatoria pena la sua marginalizzazione”.Viene a questo proposito affermata la “complementarità tra approccio discipli-nare e approccio pedagogico trasversale”.ciò deriva dal concetto di competenza adottato: padroneggiare lo zoccolo co-mune significa “essere capace di mobilitare e utilizzare ciò che si è appreso in si-tuazioni e compiti complessi, a scuola, poi nella vita adulta; possedere strumenti in-dispensabili per continuare la propria formazione lungo tutto l’arco della vita inmodo da partecipare all’evolversi della società ed essere in grado di capire legrandi sfide dell’umanità, la diversità delle culture e l’universalità dei diritti del-l’Uomo così come la necessità dello sviluppo e le esigenze della salvaguardia delpianeta”.l’apprendimento si costruisce attraverso tre strategie di valutazione in tre mo-menti-chiave:1. all’inizio la valutazione diagnostica;2. in corso d’opera la valutazione formativa;3. alla fine la valutazione sommativa o finale che fa parte della certificazione fi-nale.la valutazione è un elemento fondamentale del processo educativo con un’at-tenzione particolare per la valutazione formativa. Essa deve riferirsi a competenzechiaramente esplicitate, coerenti con il livello considerato (come si fa per la valuta-zione delle lingue o del B2i - valutazione relativa all’utilizzo delle Tic). Per ognicompetenza occorre prevedere la valutazione della progressiva acquisizione dellozoccolo, sia alla fine di ogni ciclo sia in ciascuno dei tre gradi.le valutazioni fanno parte delle azioni pedagogiche e servono a mettere in evi-denza le carenze così da permettere di porvi rimedio, danno consapevolezza dellecompetenze non padroneggiate e aiutano così ad orientare i dispositivi di aiuto adesempio i PPRE (Programme Personnalisé de Réussite Éducative, Programma Per-sonalizzato per il SuccessoEducativo, introdotto con la legge del 2005), indicanoall’alunno i suoi punti deboli, lo coinvolgono nei suoi percorsi di apprendimento.la valutazione di una competenza si differenzia nettamente dalla verifica diuna capacità che si applica a una situazione già nota, così da poter mettere a fuocola padronanza della competenza quando l’alunno si trova di fronte a un problemanuovo. Per fare ciò deve necessariamente svolgersi in varie situazioni e contesti;inoltre, molto spesso, una stessa competenza deve essere valutata da insegnanti di-versi.Per ognuna delle sette competenze, c’è una tabella di riferimento che forniscele indicazioni di ciò che deve essere valutato. Dei vademecum offrono aiuto per va-lutare e per assicurarsi che la valutazione verta veramente sulle competenze.È quindi centrale, nel metodo francese, il compito complesso; questo non è uninsieme di micro competenze, ma mira a sostenere nell’alunno la capacità di utiliz- 42 zare i propri apprendimenti in situazioni e compiti complessi a scuola, poi nellavita. i francesi hanno riflettuto a lungo sul fatto che, durante le diverse indaginiPiSA, i loro alunni riescono molto correttamente a compiere compiti semplici, maincontrano difficoltà, quando si tratta di svolgere un compito “complesso” che ri-chiede il coinvolgimento di diversi compiti semplici non esplicitamente indicati, edin particolare quando il contesto non permette di identificare il campo disciplinareinteressato o quando è “nascosto” in un caso concreto della vita quotidiana.Molto importante è la differenza tra valutare e dare voti. la valutazione cercadi definire lo stato degli apprendimenti in relazione agli obiettivi specifici prefis-sati. Essa si traduce in un giudizio di valore dato alla produzione dell’alunno. Peresprimere questo valore, si possono utilizzare diversi codici: un giudizio, una let-tera, un colore, un voto numerico. Dare un voto numerico consiste nella traduzionein cifra della produzione dell’alunno. il voto di un compito, per esempio, è il risul-tato della somma dei punti attribuiti all’alunno in funzione del punteggio fissato peril conseguimento di ciascun obbiettivo di apprendimento valutato. il voto conta perle valutazioni finali e certificative, ma la media dei voti non rende conto delle com-petenze acquisite.Valutare e dare il voto sono, dunque, due cose che vanno tenute distinte, cosìcome vanno tenute distinte dalla certificazione delle competenze che è solo binaria:una competenza può essere solo dichiarata acquisita o non acquisita.Siccome il libretto appartiene agli alunni, nella valutazione essi sono coinvoltiin modo che ne capiscano il funzionamento, il valore e le sfide proposte, tramitestrumenti di controllo della propria valutazione. Prima di tutto occorre renderli con-sapevoli dei dispositivi applicativi dello zoccolo; inoltre, vanno messi in grado dicapire i risultati attesi; ancora, vanno fatti partecipi attivamente della loro valuta-zione, ovvero “conoscere le proprie potenzialità, saper auto valutarsi” - un itemdella competenza 7 del grado 3.Uno dei vantaggi del libretto presso lo studente consiste nell’aiutarlo a co-struire il proprio percorso di formazione e di orientamento, nella prospettiva del-l’inserimento nel mondo del lavoro. Va ricordato che in Francia l’indicazioneorientativa della scuola ha valore vincolante, tant’è vero che è sancita la possibilitàdi ricorso da parte della famiglia avverso a tale indicazione.questa pratica viene integrata nell’itinerario di scoperta dei mestieri e dei per-corsi formativi e nel capitolo orientamento del progetto dell’istituzione scolastica.la Francia ha previsto, ai fini della certificazione delle competenze dello zoc-colo comune, due grandi famiglie dei supporti:1. Le certificazioni, ovvero il libretto personale delle competenze dello zoccolo,uno strumento dei docenti e del capo d’istituto per certificare gli apprendi-menti, acquisiti in ciascuna delle sette competenze, prima di essere consegnatoai genitori. il libretto personale delle competenze è composto dall’insiemedelle certificazioni di padronanza delle conoscenze e competenze dello zoc-colo comune. 43 2. I portfoli o raccoglitori tra cui vanno ricordati il libretto sperimentale dellecompetenze, il passaporto di orientamento e formazione, i portfoli di espe-rienze e competenze, il raccoglitore Web Onisep. Tutti sono gestiti dal soggettoa cui appartengono: l’alunno, lo studente, l’adulto. questi strumenti, che costi-tuiscono un supporto all’orientamento nei periodi di transizione, permettono di“registrare” e di “ritrovare” facilmente acquisizioni personali: diplomi, titoli,certificazioni, attestati, prove, ecc. relativi a diversi ambiti (scolastici, universi-tari, impegni vari nella comunità o nella famiglia, ecc.); produzioni o lavorirealizzati in occasione di esperienze o di scoperte dei mestieri o dei percorsiformativi. il “libretto sperimentale delle competenze” rappresenta una praticain atto dal 2010-2011 e realizzata da un gruppo di scuole; esso sostituisce il“passaporto di orientamento e formazione”. Sitografia www.education.gouv.fr, sito del Ministero dell’Educazione Nazionale Francese;http://eduscol.education.fr, sito d’informazioni per il personale educativo;www.educnet.education.fr, sito di risorse pedagogiche;www.cidu.de, sito tedesco in lingua francese sul sistema scolastico transalpino;www.france-examen.com, sito d’informazioni sugli esami;www.ecoledecommerce.com, motore di ricerca per la formazione universitaria;www.lyc-talon.ac-reims.fr, sito del liceo Jean Talon;www.lyc-monnet-lqly.ac-versailles.fr, sito del liceo Jean Monnet;www.libergier.net, sito del liceo Hugues libergier;www.eurydice.org, analisi dei sistemi educativi nazionali;www.indire.it, sito dell’Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell’Autonomia Scolastica, ex iNDiRE;www.creteil.iufm.fr, iUFM de l’académie de créteil “le système éducatif public français”. 5. POLONIA 5.1. Il sistema educativo polacco nella recente riformail periodo di trasformazione politica, iniziato nel 1989 con la caduta del Murodi Berlino, ha portato in Polonia all’emanazione di nuove leggi che hanno costi-tuito le basi per un grande rinnovamento anche nel campo dell’istruzione. le nuovenormative hanno prodotto un incremento delle scuole non statali, notevoli cambia-menti nelle modalità di accesso alla scuola secondaria superiore e un enorme au-mento del numero degli studenti frequentanti le istituzioni scolastiche post secon-darie.il sistema scolastico polacco è basato sulle seguenti fonti normative: la legge 7settembre 1991, relativa alla riforma del sistema educativo, e la legge 8 gennaio 1999, 44 con successive integrazioni, tra cui quelle del 2002 e del 2003 sull’istruzione secon-daria superiore, e quella del 2009, inerente in particolare la revisione dei curricola.il documento di Riforma del 2009 fa riferimento diretto alle otto competenzechiave individuate nelle Raccomandazioni del Parlamento Europeo del 18 dicembre2006, definendole l’obiettivo educativo prioritario. la decisione di operare percompetenze viene giustificata prima di tutto con la necessità e la volontà forte daparte del sistema educativo nazionale di adeguarsi agli standard educativi europei,ma anche con il fatto che, nelle prove ocSE PiSA, gli studenti polacchi ottengonorisultati soddisfacenti solo nell’area linguistica, mentre in matematica e in scienze sihanno esiti al di sotto della media degli altri Paesi6. Tali prove, basate proprio sullaverifica dell’acquisizione di competenze, risultano, infatti, particolarmente osticheper i candidati di quegli stati, i cui sistemi scolastici sono ancora prevalentementeancorati all’apprendimento di contenuti. in particolare, il difetto principale del siste-ma educativo polacco appare essere l’insufficiente sviluppo delle capacità di pensie-ro critico ed indipendente degli studenti e il loro scarso spirito di iniziativa.Ma già nel 2006 era stato avviato il “life Skills for Employability” dellaPcyF (la fondazione internazionale per la gioventù polacca), un programma chepromuoveva esplicitamente l’insegnamento basato sullo sviluppo di competenze emirante a formare gli alunni degli istituti tecnici e professionali nelle seguenti areedi competenza:– lo sviluppo personale, inteso come la capacità di valutare in modo appropriatoi propri obiettivi e le proprie risorse;– la risoluzione di problemi, consistente nel possesso di capacità di raggiungereun accordo e di gestire il conflitto;– lo sviluppo di abilità legate alla professione, intese come capacità di lavorare ingruppo e di avere un’etica professionale; capacità di autovalutazione e disponi-bilità ad assumersi rischi; progettazione e gestione efficaci del tempo e del denaro.questo progetto fa sempre confluire le competenze acquisite verso un prodottoconcreto e tangibile, privilegiando l’azione significativa ed utile in quanto calata insituazioni di apprendimento reale. ciò permette di motivare e di coinvolgere pro-fondamente gli alunni, creando l’occasione per esperienze scolastiche memorabilied uniche, specie per gli studenti iscritti ai professionali, in genere poco interessatiall’apprendimento della parte teorica delle discipline di studio. 5.2. Il sistema scolastico polacco5.2.1. Educazione pre-scolarequesto livello di istruzione è considerato il primo stadio del sistema educativoe riguarda i bambini dai tre ai sei anni. Dall’anno scolastico 2004-2005 il terzo ed 6 Key competences in Europe: opening doors for lifelong learner - Poland, www.case-research.eu/upload/publikacja_plik/27191519_cNR_87_final.pdf 45 ultimo anno di tale livello è stato reso obbligatorio dal Ministero dell’istruzione e,in base all’ultima Riforma approvata nel 2009, è stato anticipato all’età di cinqueanni a partire dal 2011.5.2.2. Istruzione obbligatorial’istruzione obbligatoria copre l’istruzione primaria (szkola podstawowa),della durata di sei anni, e l’istruzione secondaria inferiore (gimnazjum), della du-rata di tre anni. È suddivisa in tre cicli: il primo, dai sette ai dieci anni, il secondodai dieci ai tredici anni e il terzo dai tredici ai sedici anni. con il sedicesimo anno sicompleta l’obbligo scolastico: non quello formativo però, che dal 1997 è stato ele-vato al diciottesimo anno di età e può essere assolto anche con una frequenza sco-lastica a tempo parziale o con modalità di formazione extrascolastiche. in base allaRiforma approvata nel 2009, a partire dal 2012 gli alunni dovranno obbligatoria-mente iniziare la scuola primaria all’età di sei anni. Prima di tale anno, i genitoriche lo desiderino hanno facoltà di mandare a scuola i loro figli già a sei anni e leistituzioni scolastiche sono obbligate ad accettarne l’iscrizione7.Tutti gli alunni hanno diritto di frequentare la scuola dell’obbligo gratuita-mente. Per la scuola primaria l’unico criterio di ammissione è l’età, cioè l’avercompiuto i sette anni (sei dal 2012) durante l’anno solare, in cui inizia l’istruzioneobbligatoria. Per l’accesso all’istruzione secondaria inferiore, l’unico requisito è diavere completato la scuola primaria, superando l’esame finale.i curricola di base dell’istruzione obbligatoria, definiti dal Ministero dell’i-struzione nel 2002 e riformati nel 2009, sono gli stessi per tutti gli studenti. i duelivelli della scuola primaria prevedono una diversa organizzazione curricolare.Nel primo livello (dal primo al terzo anno) è previsto un insegnamento integratoche copre la maggior parte dell’orario scolastico e che è finalizzato a creare unpassaggio graduale dall’istruzione pre-primaria a quella primaria. Al secondo li-vello (dal quarto al sesto anno), c’è una suddivisione per blocchi di materie: areaumanistica, scientifica e tecnologica. oltre ai blocchi di materie, il programmaministeriale prevede che siano attivati anche alcuni “percorsi educativi” che de-vono essere sviluppati sia a livello interdisciplinare, sia all’interno di alcune sin-gole materie tradizionali. lo scopo di tali percorsi, presenti in tutti i livelli diistruzione, è di incoraggiare la cooperazione tra docenti e di fare in modo che essie i loro studenti siano portati a pensare in termini interdisciplinari. i principalipercorsi educativi per la scuola primaria sono: educazione alla salute, educazioneecologica, educazione alla lettura e ai media, educazione alla società (quest’ul-tima comprende: educazione alla vita familiare, patrimonio culturale della re-gione, educazione civile e alla patria). 7 National summary sheets on education systems in Europe and ongoing reforms - Poland (Sep-tember 2009), www.eurydice.org.pl/files/poland.pdf 46 5.3. Valutazione e certificazionela valutazione delle conoscenze e delle abilità, nelle verifiche svolte nel corsodell’anno scolastico, non è standardizzata e rimane totalmente a discrezione degli in-segnanti. le valutazioni vengono effettuate sulla base di test orali e scritti, inerenti ilprogramma svolto. i risultati ottenuti alla fine di ciascun semestre devono essere ap-provati dal consiglio degli insegnanti di ogni scuola. Gli alunni che risultano insuffi-cienti in una materia hanno il diritto di recuperarla, sostenendo una verifica supple-mentare; nel caso di lacune riferite a più discipline, l’anno deve essere ripetuto.A partire dall’anno scolastico 2001-2002, è stato introdotto un nuovo sistemadi valutazione esterna di fine ciclo, basato su esami e test standardizzati, da svol-gere obbligatoriamente al termine della scuola primaria e del gymnazium. Tutti itest sono organizzati e formulati da otto commissioni d’Esame Regionali (oKE),con sede nelle rispettive regioni ed istituite nel 1999, supportate e supervisionatedalla commissione d’Esame centrale (cKE) che ha sede a Varsavia ed è stata co-stituita dal Parlamento nel 1998. Alla fine della scuola primaria (13 anni), nel mesedi aprile, viene svolto un test obbligatorio, che permette agli alunni di accede algimnazjum. Tale esame non ha funzione selettiva, ma fornisce informazioni sui li-velli di apprendimento raggiunti dagli studenti sia alle loro famiglie, sia alla scuoladi provenienza, sia alla secondaria di primo grado cui decideranno di iscriversi.Alla fine della scuola secondaria inferiore (16 anni), sempre nel mese di aprile,viene svolto un esame generale obbligatorio, i cui risultati sono riportati sul certifi-cato rilasciato al termine del gimnazjum. Tale prova valuta le abilità, le conoscenzee le capacità acquisite nell’ambito umanistico (lingua polacca, storia, educazionecivica e arte), in quello scientifico (matematica, biologia, chimica, geografia, fisicae astronomia) e, a partire dall’anno scolastico 2008-2009, anche le competenzenella lingua straniera (tale test è tarato sul livello A1 del quadro Europeo comunedi Riferimento per le lingue). i risultati delle prove, sommati alla valutazione fi-nale del rendimento complessivo dell’alunno, determinano la sua ammissione allascuola secondaria superiore. 5.4. Istruzione secondaria superiorel’istruzione secondaria superiore copre la fascia di età dai sedici ai diciotto odiciannove/venti anni. il settore secondario è stato riformato negli anni scolastici2002-2003 e 2004-2005 con l’introduzione delle seguenti tipologie di istituti:– Liceum ogòlnokszalcqpce: scuola secondaria superiore di tipo generale delladurata di tre anni (16-19 anni);– Liceum profilowane: scuola secondaria superiore specializzata della durata ditre anni (16-19 anni);– Technikum: scuola secondaria tecnica della durata di quattro anni (16-20 anni);– Zasadnica szkola zawodowa: scuola professionale di base della durata di dueo, più raramente, tre anni (16-18/19 anni); 47 – Uzupelniajpqce liceum ogolnoksztalcace: scuola secondaria generale supple-mentare, introdotta nell’anno scolastico 2004-2005, che offre due anni di istru-zione per gli studenti tra i 18 e i 20 anni che hanno concluso la scuola profes-sionale biennale;– Technikum uzupelniajqpce: scuola secondaria professionale supplementare, in-trodotta a partire dall’anno scolastico 2004-2005, che offre tre anni di istru-zione professionale per gli studenti tra i 18 e i 21 anni che hanno concluso lascuola professionale biennale.i curricola dell’istruzione secondaria superiore, definiti dal Ministro dell’istru-zione, sono divisi per discipline. Tutti gli studenti, comunque, devono seguire i“percorsi educativi” a carattere interdisciplinare previsti per questo livello di studi:educazione alla salute, educazione ambientale, educazione filosofica, educazionealla lettura e ai media, educazione religiosa, difesa civile, educazione europea ededucazione alla vita familiare. 5.5. Titoli di studio e loro valorel’organismo di valutazione regionale oKE rilascia agli alunni del Technikumche si sottopongono all’esame di qualifica professionale un diploma di tecnico peril settore di riferimento che dà sia accesso diretto al mondo del lavoro, sia la possi-bilità di continuare gli studi nell’istruzione post-secondaria (ad esempio nel Poli-tecnico). coloro che non intendono svolgere tale esame, che è facoltativo, ricevonoun attestato finale, rilasciato dalla scuola sulla base dei risultati scolastici conse-guiti. Gli alunni che intendono proseguire gli studi a livello universitario devonosostenere l’esame di maturità (Matura) che, altrimenti, è anch’esso facoltativo.l’oKE rilascia il diploma di qualifica professionale anche agli studenti dellascuola professionale biennale che desiderano sostenere l’esame esterno nazionalefacoltativo. Tale qualifica permette loro l’accesso al Uzupelniajpqce liceum ogol-noksztalcace, la scuola secondaria generale supplementare biennale. in alternativa,questi possono proseguire gli studi anche nel Technikum uzupelniajqpce, la scuolasecondaria professionale supplementare, di durata triennale.Gli alunni che decidono di non proseguire gli studi ricevono un attestato finaleda parte della scuola che permette loro di accede al mondo del lavoro, poiché con ilcompimento dei diciotto anni è assolto anche l’obbligo formativo. le scuole pro-fessionali di base non danno accesso all’esame Matura e questo le rende assimila-bili ai cFP, più che agli istituti professionali italiani.Sia nella scuola professionale di base che nel Technikum, oltre alle disciplinesingole, il dirigente scolastico è responsabile dell’inclusione nel curricolum di al-cuni “percorsi educativi” a carattere interdisciplinare, introdotti dal Ministero del-l’istruzione in tutti gli ordini e gradi di scuola nel 2002: educazione alla salute,educazione ambientale, educazione filosofica, educazione alla lettura e all’uso re-sponsabile dei media, educazione religiosa, difesa civile, educazione europea ed 48 educazione alla vita familiare. i docenti delle varie discipline devono svilupparli al-l’interno della loro materia oppure insegnarli in moduli interdisciplinari. lo scopoprincipale della loro introduzione è quello di incoraggiare la cooperazione tra do-centi e fare in modo che essi e i loro studenti siano portati a pensare in termini in-terdisciplinari, recuperando l’unitarietà della cultura che rischia di essere perdutanella specializzazione disciplinare.Nella maggior parte delle scuole, le modalità più innovative di gestione dellalezione si riscontrano, in particolare, proprio nelle attività modulari relative ai per-corsi educativi interdisciplinari: in questi casi, due o più docenti programmano in-sieme l’attività e la propongono in classe utilizzando metodologie che prevedonol’assunzione di un ruolo attivo e propositivo da parte degli studenti: lavoro digruppo, peer tutoring oppure apprendimento cooperativo. il successo di tali me-todi, sia in termini di accrescimento dell’interesse, sia di miglioramento dei risultatida parte degli studenti, ha portato alcuni docenti a trasferire tale didattica modulare,fortemente sostenuta dal Ministero, anche all’interno delle discipline tradizionali,tra cui in particolare quelle di indirizzo.Nell’organizzazione modulare sono attivati percorsi di apprendimento percompetenze di carattere sia disciplinare, sia trasversale. in particolare, le compe-tenze la cui acquisizione è ritenuta fondamentale sono:– comunicare in modo appropriato ed efficace;– ricercare, gestire ed utilizzare informazioni;– risolvere problemi;– esercitare il pensiero critico e la riflessione sull’azione compiuta;– avvalersi delle tecniche di informazione in modo adeguato;– trasferire le tecniche acquisite da un ambito di lavoro ad un altro.come si può notare, nell’elenco sono presenti competenze di tipo cognitivo,socio-relazionale, metacognitivo e tecnico pratico: sono, quindi, considerate tutte ledimensioni della competenza. Grazie a questo tipo di percorsi, lo studente risulta ingenere maggiormente motivato ed ottiene risultati migliori, anche in termini di sod-disfazione personale, perché viene coinvolto in attività che sente pensate apposita-mente per lui e tarate sulle sue effettive capacità personali iniziali. inoltre, non sisente travolto da una quantità di contenuti percepita come insostenibile, perché gliviene spiegato lo scopo delle varie attività ed è chiarito fin dall’inizio anche il ri-sultato che ci si aspetta egli raggiunga. 5.6. Modello valutativo e certificativoPer quanto riguarda la valutazione in corso d’anno, essa viene svolta attraversoprove scritte ed orali non standardizzate e formulate dai singoli docenti che sono re-sponsabili in toto della valutazione degli studenti loro affidati. Sono previste ancheprove pratiche nelle materie che si avvalgono dei laboratori e la valutazione desuntaconcorre alla determinazione del voto complessivo nella specifica disciplina. 49 il valore circa la padronanza dello studente è indicato con una scala numericada uno a sei8:1 = insufficiente;2 = accettabile;3 = soddisfacente;4 = buono;5 = molto buono;6 = ottimo.Sono ammessi alla classe successiva o agli esami finali coloro che ottengonouna valutazione almeno accettabile (il voto 2) in tutte le materie. Uno studente in-sufficiente in una disciplina è promosso con riserva ed è tenuto a recuperare svol-gendo un test supplementare che, se non superato, comporta la non ammissione allaclasse successiva. chi presenta un numero maggiore di insufficienze deve ripeterel’anno.Gli studenti del Technikum che intendono proseguire gli studi a livello univer-sitario devono sostenere l’esame di maturità (Matura), esterno a partire dal 2006(in precedenza era gestito esclusivamente dai docenti interni). Tale esame, cui nonpossono accedere gli studenti della scuola professionale di base, è formato da unaparte scritta, preparata dall’organismo di valutazione centrale cKE di Varsavia, eda una orale, predisposta e valutata da tre docenti, di cui uno esterno alla scuola.Al termine del secondo anno della scuola professionale di base e del quartoanno del Technikum gli studenti possono sostenere un esame di qualifica professio-nale che dal 2006 è anch’esso esterno, cioè preparato dall’ente centrale di valuta-zione (cKE) e condotto da uno degli otto organismi regionali (oKE) deputati allavalutazione esterna. l’esame permette di valutare se l’alunno ha acquisito il livellodi abilità e di conoscenza specificato negli standard previsti dal Ministero per undeterminato profilo professionale.l’esame di qualifica professionale non è obbligatorio: chi decide di non soste-nerlo, riceve un attestato finale, rilasciato dalla singola scuola sulla base dei risul-tati scolastici conseguiti.Al diploma di qualifica professionale è allegato il certificato Europass, compi-lato dalle singole scuole, che contiene anche l’elenco delle competenze acquisitedagli studenti nel loro corso di studi, senza specificazione del livello di acquisi-zione.in Polonia è molto sentito anche il problema della realizzazione di un quadroNazionale delle qualifiche, cui il Ministero ha iniziato a lavorare nell’agosto 2008e che dovrebbe essere approntato per l’anno 2011, da collegare proprio con l’Euro-pean Qualification Framework, in modo da rendere i titoli di studio confrontabilicon quelli degli altri Paesi europei. È da leggere in questa prospettiva anche l’ab- 8 The System of Education in Poland, www.eurydice.org.pl/files/the_system_2008.pdf 50 bassamento dell’età per l’accesso alla scuola primaria dai sette ai sei anni, in mododa anticipare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, che risulta particolar-mente ritardato nell’attuale sistema formativo.Uno dei principali obiettivi del lavoro iniziato nell’agosto 2008 è quello didare il via ad una ricognizione delle qualifiche e delle competenze presenti nell’at-tuale sistema di istruzione e di formazione in Polonia. questa necessità confermache l’approccio basato sugli esiti di apprendimento (learning outcomes) ha ricevutofinora un’attenzione piuttosto limitata all’interno del sistema educativo del Paese9.il lavoro intrapreso sugli standard di qualifica nazionale per le qualifiche professio-nali e i nuovi curricola nazionali per la scuola secondaria dovrebbero puntare versoun approccio basato proprio sui risultati di apprendimento, permettendo così di de-finire anche un sistema di certificazione delle competenze finora non presente. Sitografia www.case-research.eu/upload/publikacja_plik/27191519_cNR_87_final.pdfwww.eurydice.org.pl/files/poland.pdfwww.cedefop.europa.eu/EN/news/15131.aspxwww.cedefop.europa.eu/etv/information_resources/NationalVet/Thematic/criteria_reply.aspwww.eurydice.org.pl/files/the_system_2008.pdfhttp://eacea.ec.europa.eu/ressources/eurydice/pdf/047DN/047_Pl_EN.pdfwww.men.gov.pl 6. SVEZIA 6.1. Il sistema educativo6.1.1. L’istruzione obbligatoriain Svezia l’obbligo a tempo pieno ha una durata di nove anni per bambini dietà compresa tra 7 e 16 anni. i bambini possono però iniziare la scuola all’età di 6anni se i genitori lo desiderano e se il comune di residenza può offrire tale possibi-lità. il 1° luglio 1995 è stato varato un nuovo programma d’insegnamento, connuovi programmi dei corsi e orari scolastici che valgono per tutta la scuola dell’ob-bligo. i programmi dei corsi indicano gli obiettivi da raggiungere alla fine delquinto e del nono anno scolastico. i progressi degli allievi vengono ponderati tra-mite una valutazione permanente. Di regola, gli allievi vengono promossi alla 9 questo è confermato anche nello studio del cedefop, The Shift to Learning Outcomes: Policiesand Practices in Europe, 2009, reperibile sul sito www.cedefop.europa.eu/etv/information_resources/Bookshop/publication_details.asp?pub_id=525 51 classe successiva, ma l’insegnante può, con l’accordo dei genitori, decidere di nonpromuovere un alunno alla classe successiva.A decorrere dal semestre autunnale del 1995 è stato introdotto un sistema diassegnazione di voti in rapporto con gli obiettivi e con le conoscenze acquisite. Apartire dall’ottavo anno vengono assegnati giudizi di triplice livello: sufficiente,buono, ottimo. Alla fine della carriera scolastica di un allievo viene assegnato unvoto conclusivo. Tale voto viene assegnato al termine della scuola dell’obbligo, op-pure ancora prima se l’allievo soddisfa i requisiti del nono anno.6.1.2. Istruzione secondaria superioreil ginnasio impartisce un’istruzione agli allievi di età compresa tra 16 e 19anni. i ginnasi possono essere gestiti dai comuni, dai consigli regionali o da entiprivati. Nel nuovo ordinamento introdotto nel 1992, tutta l’istruzione viene orga-nizzata nel contesto di 16 programmi nazionali. Tutti i programmi del ginnasiocomprendono le stesse otto materie fondamentali. Viene, inoltre, impartita un’istru-zione specifica in speciali materie.Tutti i giovani che hanno terminato la scuola dell’obbligo hanno il diritto diiscriversi al ginnasio. Per poter seguire un programma nazionale gli allievi devonoindicare il programma di studi desiderato, e se il comune di residenza non può of-frir loro tale programma hanno il diritto di presentare domanda in un altro comune.in questo nuovo ginnasio basato sui corsi gli allievi ricevono voti per i varicorsi, a mano a mano che questi ultimi vengono superati. Naturalmente, se neces-sario, gli allievi possono ricevere una trascrizione dei voti riportati nei corsi e sehanno ricevuto un voto insufficiente in uno o più corsi, gli allievi possono ripeterequesti ultimi. Sussiste inoltre la possibilità di ripetere un intero anno scolastico.Nell’ambito della riforma scolastica, che dovrebbe essere avviata nel 201110, èprevista l’introduzione di due differenti esami, l’uno di ammissione all’università,l’altro di ammissione alla formazione professionale. Saranno ammessi alle proved’esame gli studenti in possesso del certificato finale di scuola secondaria superioreche comprende 2500 crediti; è consentita una soglia minima di 2250 crediti.6.1.3. Istruzione superiore a livello universitario e non-universitariol’istruzione superiore in Svezia è suddivisa nelle seguenti tappe: formazionedi base, formazione di perfezionamento e formazione alla ricerca. lo scopo princi-pale della riforma del 1993 era quello di conferire alle istituzioni accademichemaggiori poteri in materia di decisioni relative a programmi di studio e a norme lo-cali di ammissione. Gli studi universitari durano almeno due anni per il diploma discuola superiore, almeno tre anni per il kandidatexamen e almeno 4 anni per il ma- 10 il 13 maggio 2009 il governo svedese ha approvato un disegno di legge (Govt. Bill 08/09:199)di riforma della scuola secondaria, sottoposto successivamente al Parlamento (Riksdag). l’avvio dellariforma è previsto nell’autunno 2011. 52 gisterexamen. la formazione professionale di livello superiore dura da 2 a 5 anni emezzo. Alcune formazioni comportano esperienze di lavoro pratico in un relativosettore dell’industria o nel settore pubblico.Vi sono due tipi di esami: esame generico ed esame professionale. quest’ul-timo vale, soprattutto, per le professioni che richiedono un riconoscimento ufficiale(per esempio, la medicina). 6.2. Modello di curricolumil curricolum svedese, strutturato per competenze e riconducibile al modelloformativo dell’Unione Europea, è regolato a livello nazionale e gestito a livello lo-cale dalle singole istituzioni scolastiche con l’apporto delle municipalità.il curricolum nazionale è normato dal Ministero dell’Educazione svedese attra-verso l’Education Act11, nel quale sono stabilite la struttura, le finalità e gli ordinamen-ti delle scuole di ogni ordine e grado, le linee generali dell’istruzione obbligatoria, del-la scuola secondaria, delle scuole per disabili, dell’educazione per gli adulti, dell’inse-gnamento della lingua svedese agli stranieri, le norme per le scuole private (indipen-dent), i ruoli e le responsabilità delle amministrazioni locali, regionali e municipali.Nel curricolum nazionale sono definiti gli indirizzi di studio, i corsi delle ma-terie fondamentali (core subjects), i corsi caratterizzanti ciascun indirizzo, il nu-mero di crediti da conseguire a conclusione degli studi, i punteggi da conseguirenei corsi comuni, nei corsi specifici d’indirizzo e nei corsi opzionali.le municipalità sono responsabili della distribuzione delle risorse finanziarie allescuole che operano all’interno del territorio comunale. la dimensione locale del si-stema scolastico svedese è estesa a tre livelli: amministrazione, rendicontazione/va-lutazione e formazione. A livello amministrativo, ogni consiglio comunale designauno o più consigli direttivi per amministrare le scuole nazionali. il consiglio muni-cipale adotta un piano scolastico locale che indicherà com’è strutturato e gestito il si-stema scolastico a livello comunale. il piano scolastico dovrà in particolare definirequali misure il comune intende mettere in atto per raggiungere gli obiettivi nazionali.la municipalità è tenuta a rivedere e valutare continuamente il piano12. i comuni, d’in-tesa con le contee, realizzano l’offerta formativa, in modo tale che lo studente possaessere ammesso a determinati indirizzi del curricolum nazionale.i consigli di contea possono elaborare un’offerta formativa locale13, all’internodegli indirizzi nazionali, adottando un proprio Syllabus e relativi criteri di valuta-zione nei seguenti ambiti: l’utilizzo delle risorse naturali, l’agricoltura, la pesca,l’economia forestale e la salute. 11 http://www.regeringen.se/content/1/c6/02/15/38/1532b277.pdf12 Education Act, Ch. 1-2.13 Nella riforma è prevista una drastica riduzione dell’offerta formativa locale: i corsi istituiti alivello locale saranno aboliti e le scuole potranno attivare l’offerta formativa solo dopo l’approvazioneministeriale, tramite dell’Agenzia nazionale dell’educazione (Skolverket). 53 Particolare attenzione meritano i programmi dei 17 indirizzi di studio e dellesingole discipline, nei quali sono chiaramente delineati i profili di competenze, glistandard e i livelli di performance attesi.le competenze che sostanziano il profilo dello studente formato – delineato alpunto The responsabillity of the school del programma di ciascun indirizzo – sonorinvenibili nei programmi disciplinari al punto Goals. lo sfondo integratore di taleprofilo si genera dalla sintesi tra le competenze date dalle discipline fondamentalicomuni e dalle discipline specifiche.6.2.1. La personalizzazione del curricolum attraverso il Project worklo studente viene coinvolto nel curricolum a livello sia gestionale, sia proget-tuale.ciascun indirizzo di studi offre la possibilità di gestione autonoma di una partedel curricolum allo studente che può scegliere, tramite opzioni individuali, corsiper un totale di 300 crediti su 2500.lo studente viene coinvolto anche a livello progettuale, in quanto realizza unprogetto individuale pluridisciplinare (Project work), introdotto dal 2000 e previstoin tutti gli indirizzi di studio, per un credito di 100 punti. il Project work favoriscela personalizzazione del curricolum, in quanto è lo studente a scegliere il tema sulquale svilupperà il proprio lavoro di indagine, documentazione, programmazione eproduzione.il modello, le finalità e l’operatività sono definiti dall’Agenzia nazionale perl’educazione. Project work significa che lo studente risolve un problema o indagaun’area di problematicità all’interno di un ambito cognitivo fondamentale nell’indi-rizzo o nell’orientamento di studi che ha scelto. lo studente spiegherà come risol-vere tale problema, il tipo di lavoro, le conoscenze e i materiali necessari14. Partico-lare valenza formativa è data dal prodotto finale.le finalità di tale elaborazione individuale sono intrinseche ed estrinseche alsistema educativo. intrinsecamente il Project work si pone come passaggio conclu-sivo del percorso formativo, poiché implementa la consapevolezza dell’organicitàdelle conoscenze e delle competenze acquisite e contribuisce a far sì che l’educa-zione e lo studio siano percepiti non tanto come una sequenza di discipline e mo-duli, bensì come un tutto coeso. Estrinsecamente il Project work è propedeuticoalla professione, poiché le forme di lavoro orientate al progetto, la capacità di lavo-rare assieme ad altri e di essere intraprendenti, attivando iniziative personali, sonocompetenze richieste dai datori di lavoro15. 14 http://www3.skolverket.se/ki03/info.aspx?sprak=SV&id=PA&skolform=21&ar=0910&in-fotyp=1715 http://www3.skolverket.se/ki/eng/project_work.pdf - il link rinvia alla pubblicazione Projectwork. Syllabuses, grading criteria and commentaries dell’Agenzia nazionale svedese per l’educa-zione che contiene una descrizione dei contenuti e dei metodi del progetto individuale pluridiscipli-nare e che costituisce anche un agile ed esauriente guida per i docenti. 54 in tutte le fasi del suo lavoro lo studente è assistito da un docente supervisore,che è anche valutatore. Ai docenti sono offerti materiali specifici per l’approfondi-mento disciplinare e supporti metodologici.All’interno del curricolum il Project work è definito, così come i corsi (Co-urses) riconducibili alle discipline, in termini di finalità (Aims), di modello (Thenature of project work), di competenze (The goals of project work), e di criteri divalutazione (Grading criteria). 6.3. Modello valutativoin Svezia il sistema di valutazione dell’istruzione fu introdotto già nel 1940 at-traverso la somministrazione di test a livello nazionale e prosegue fino ad oggi conmodalità via via aggiornate ed implementate.il sistema nazionale di test è mirato a far sì che gli studenti incrementino il li-vello di raggiungimento degli obiettivi di apprendimento; fornire esemplificazionidi obiettivi e criteri di misurazione dell’apprendimento (linee guida per la valuta-zione); coadiuvare nella formulazione misurazioni attendibili ed oggettive (assi-stenza nella misurazione); identificare i punti di forza e le criticità degli studenti(funzione diagnostica); indicare, sulla base delle risultanze dei test, il livello di rag-giungimento degli obiettivi (monitoraggio).Tale valutazione ha la funzione da un lato di migliorare la qualità dell’insegna-mento-apprendimento “assessment for learning”, dall’altro di monitorare i risultati“assessment of learning”. i test nazionali sono non tanto controlli ed esami nelsenso tradizionale del termine, bensì strumenti di supporto per i docenti. Nellascuola secondaria superiore, così come nella scuola dell’obbligo, i test riguardano icorsi/moduli fondamentali degli indirizzi di studio, Svedese (o Svedese come se-conda lingua), inglese e Matematica.la conduzione dei test nazionali è obbligatoria per i docenti, mentre gli stu-denti non sono obbligati a sostenerli, la maggioranza, tuttavia, li effettua.i docenti che valutano le prove dei loro studenti, sono responsabili individual-mente della valutazione, ma possono consultarsi in merito con altri colleghi. leprove nazionali sono attrezzate di linee guida e di criteri di misurazione per i valu-tatori, elaborati con la collaborazione dei docenti.in aggiunta ai test nazionali, distribuiti su supporto cartaceo alle scuole, esisteuna banca dati accessibile tramite internet di test nell’area scientifica (chimica, Fi-sica e Biologia) e nelle lingue moderne (Tedesco, Francese e Spagnolo). Esiste,inoltre, materiale prevalentemente interattivo per alcuni indirizzi professionaliz-zanti. il docente può scegliere secondo molteplici parametri, ad esempio secondodomini (meccanica, costruzioni, ecc.), tipi di prova (scelta multipla, quesiti a ri-sposta aperta o chiusa). Anche questo materiale è corredato da criteri di misura-zione e linee guida per la valutazione.Per essere ammesso alla scuola secondaria superiore, lo studente deve conse-guire nella scuola dell’obbligo voti a partire dalla sufficienza nelle discipline fon- 55 damentali del curricolum: Svedese (o Svedese come seconda lingua), inglese e Ma-tematica.Nella riforma prevista per l’autunno 2011 il punteggio è distribuito sui livelliA, B, c, D, E, F. A-E indicano i livelli di competenza per gli obiettivi raggiunti. Findica che la competenza non è stata raggiunta. 6.4. Modello certificativola certificazione finale della scuola secondaria superiore registra i corsi/mo-duli seguiti, le relative votazioni e il numero di crediti acquisiti.Per ciascun indirizzo di studio il totale dei punti di credito ammonta a 2500(dei quali 950 riguardano corsi di area curricolare comune e il Project work, 1250corsi specifici d’indirizzo e 300 corsi opzionali), il che equivale all’incirca a 30corsi/moduli, dei quali 8 appartengono all’area curricolare comune, i restanti al-l’area d’indirizzo e a quella opzionale. così come il curricolum, il modello certifi-cativo è riconducibile al sistema formativo europeo previsto dal processo di Bo-logna. Sitografia http://www3.skolverket.se/ki03/front.aspx Agenzia nazionale svedese per l’educazione. questa partedel sito contiene le finalità degli indirizzi di studio, i programmi delle singole materie in essicompresi. Sono, inoltre, disponibili nominativi - link delle scuole. Lingua: inglese (in parte) esvedese.http://www3.skolverket.se/ki03/info.aspx?sprak=SV&id=PA&skolform=21&ar=0910&infotyp=17Agenzia nazionale svedese per l’educazione. questa parte delinea, all’interno dei programmidella scuola superiore, le finalità del progetto individuale pluridisciplinare che gli alunni devonoelaborare in tutti gli indirizzi della scuola secondaria.http://www3.skolverket.se/ki/eng/project_work.pdf Agenzia nazionale svedese per l’educazione. illink rinvia a una descrizione dei contenuti e metodi del progetto individuale pluridisciplinare. Èuna guida per i docenti.http://www.regeringen.se/content/1/c6/02/15/38/1532b277.pdf link all’interno del sito del governosvedese, riguarda l’Education Act, del Ministero dell’Educazione svedese, una specie di “testounico” nel quale sono stabilite le linee generali dell’istruzione obbligatoria, della scuola secon-daria, delle scuole per disabili, dell’educazione per gli adulti, dell’insegnamento della linguasvedese agli stranieri, i ruoli e le responsabilità delle amministrazioni locali (Municipalities, co-unties).http://www.saco.se/templates/ocupationStandardPage.aspx?id=4078&epslanguage=SV Sito per l’o-rientamento professionale e la ricerca occupazionale della SAco sindacato confederale e delleassociazioni professionali.http://www.lararforbundet.se/web/lfort.nsf/lookupDokument/00692A56?openDocument Sito per laformazione dei docenti. Promuove e documenta iniziative e convegni per l’applicazione dellanuova scala di valutazione del ministero dell’educazione svedese.https://www.praktikplatsen.se Praktikplatsen.se collegamento tra scuola e lavoro. offre informazionie contatti per stage, visite di studio e altri contatti professionali per le scuole primarie, le scuolesecondarie e l’educazione degli adulti. Fornisce anche indirizzi delle scuole. 56 7. SVIZZERA - CANTON TICINO 7.1. La formazione scolasticain Svizzera la responsabilità principale per la formazione e la cultura è deicantoni, i quali coordinano il loro operato a livello nazionale attraverso la confe-renza svizzera dei direttori cantonali della pubblica educazione (cDPE), compostadai 26 direttori cantonali della pubblica educazione. la collaborazione all’internodella cDPE si basa su accordi intercantonali giuridicamente vincolanti (concor-dati). la cDPE opera in modo sussidiario e lavora nei settori che non possono es-sere coperti dalle regioni o dai cantoni.il sistema dell’istruzione del canton Ticino è regolato dalla legge cantonaledel 1° febbraio 1990 sulla Scuola, integrata da uno specifico Regolamento di appli-cazione, che prevede i seguenti gradi scolastici:a. la scuola dell’infanzia;b. la scuola elementare;c. la scuola media;d. le scuole post obbligatorie.la scuola elementare e la scuola media sono scuole obbligatorie.le scuole post obbligatorie comprendono i seguenti ordini:a. le scuole medie superiori;b. le scuole professionali.in questi anni è in corso l’armonizzazione della Scuola obbligatoria tra i di-versi cantoni attraverso il cosiddetti “concordato HarmoS”. Esso è un accordo acarattere normativo tra i cantoni ai sensi dell’art. 48 della costituzione federale. Sulpiano giuridico ha lo stesso statuto del concordato scolastico del 1970 e degli ac-cordi intercantonali sul riconoscimento dei diplomi (1993) e sul finanziamentodelle scuole universitarie (1997, rispettivamente 1998).il concordato porta da 9 anni ad 11 anni la durata dell’obbligo scolastico, anti-cipandolo a 4 anni e quindi includendo in esso gli ultimi 2 anni della scuola dell’in-fanzia. Articola l’obbligo in un primo grado elementare della durata di 8 anni e ingrado secondario i° della durata di 8 anni. Stabilisce che nel corso della scuola ob-bligatoria gli allievi devono acquisire la formazione di base che permette loro d’ac-cedere ai cicli di formazione professionale o di formazione generale del grado se-condario ii° grado. Definisce poi gli obiettivi formativi della formazione di base intermini di competenze nei settori delle lingue, della matematica e delle scienze na-turali, delle scienze umane e sociali, della musica, delle arti visive e arti applicate,del movimento e della salute.i principi base del concordato sono la sussidiarietà, per il quale i compiti sonoeseguiti a un livello superiore della collettività pubblica solo nella misura in cuil’obiettivo non può essere altrimenti perseguito, e il criterio della mobilità nazio- 57 nale e internazionale della popolazione, per il quale tutto ciò che sul piano scola-stico è di ostacolo alla mobilità deve essere eliminato.inoltre, vengono fissati standard nazionali di formazione, di due tipi:a. standard di prestazione basati, per ogni settore disciplinare, su un quadro di ri-ferimento comprensivo dei livelli di competenza;b. standard che determinano dei contenuti di formazione o delle condizioni per laloro attuazione nell’insegnamento.la legge sulla Scuola Superiore prevede un sistema composto da cinque licei eda una scuola di commercio e fissa per tutti una durata di quattro anni.il cantone Ticino sulla base delle indicazioni dell’ordinanza confederale hamesso a punto nel 2008 un proprio regolamento, in cui fissa per i propri liceiquattro indirizzi: il primo che ha come opzione specifica il Greco (vicino al liceoclassico italiano); il secondo ha come opzione specifica il latino, il Francese, il Te-desco, l’inglese e lo Spagnolo (vicino al liceo linguistico italiano); il terzo ha comeopzione specifica la fisica e applicazioni della matematica, Biologia e chimica (vi-cino al liceo scientifico italiano); il quarto ha come opzione specifica Economia eDiritto.Per la scuola cantonale di commercio la legge del canton Ticino fissa come fi-nalità la formazione culturale e professionale dei giovani intenzionati ad esercitareun’attività in un’azienda o in un’amministrazione, a completare la loro formazionein scuole o corsi superiori di indirizzo commerciale o ad avviarsi a studi universi-tari. l’attività di questa scuola interessa sia l’ambito dell’istruzione che quello dellaformazione professionale in quanto l’attestato di maturità che essa rilascia consentesia l’accesso all’università che direttamente al mondo del lavoro. 7.2. La formazione professionaleDiversamente che per la formazione scolastica, la costituzione svizzera all’art.63 stabilisce che la confederazione emana prescrizioni in materia di formazioneprofessionale e promuove in questo settore la diversità e la permeabilità dell’of-ferta.in Svizzera il sistema della formazione professionale è strettamente intrecciatacon il sistema dell’istruzione, poiché consente ad un giovane in uscita dalla scuoladell’obbligo di percorrere un percorso lavorativo, durante il quale riceve sia unaformazione professionale pratica sia una formazione scolastica in cultura generale ein conoscenze professionali. ciò gli consente, se vuole, di rientrare nel sistema del-l’istruzione e di percorrerlo fino all’università.le qualifiche professionali presenti nel modo del lavoro sono codificate a li-vello confederale e il loro riconoscimento avviene attraverso un esame gestito dal-l’ente pubblico. complessivamente le professioni codificate sono quasi 600.il sistema della formazione professionale è regolato dalla legge federale sullaformazione professionale del 13 dicembre 2002. Essa disciplina: 58 • la formazione professionale di base, compresa la maturità professionale;• la formazione professionale superiore;• la formazione professionale continua;• le procedure di qualificazione, gli attestati, i certificati e i titoli;• la formazione dei responsabili della formazione professionale;• le competenze e i principi in materia di orientamento professionale, negli studie nella carriera;• la partecipazione della confederazione alle spese della formazione professio-nale.All’incirca due terzi dei giovani svizzeri alla fine della scuola obbligatoriascelgono di seguire un percorso di formazione professionale di base. questa forma-zione permette di combinare teoria e pratica e non da ultimo di entrare rapidamentein contatto con la realtà del mondo del lavoro.la formazione professionale di base può avvenire o in azienda attraverso ilcontratto di tirocinio (apprendistato), oppure in una scuola a tempo pieno ed ha unadurata dai due ai quattro anni, a seconda della professione oggetto della formazionee del tipo di sbocco finale che, per una durata di due anni, è il certificato federaledi formazione pratica, mentre per una durata dai tre ai quattro anni è l’Attestato fe-derale di capacità.la formazione professionale di base si conclude con un esame effettuato al ter-mine del tirocinio attraverso il quale si consegue, in rapporto alla durata del tiro-cinio stesso, o il certificato di formazione pratica o l’Attestato federale di capacitàper la professione in cui si è svolto il tirocinio.Una volta in possesso dell’Attestato professionale di capacità il giovane, fre-quentando corsi di approfondimento di cultura generale e di conoscenze professio-nali, può conseguire l’Attestato federale di maturità professionale che è un titolo distudio riconosciuto dalla confederazione.i detentori di una maturità professionale possono, infatti, iscriversi a unascuola universitaria professionale (SUP) nel ramo affine alla professione imparatasenza di norma dover sostenere ulteriori esami, a meno che la singola scuola nonprescriva nel proprio ordinamento condizioni supplementari di accesso, qualistage, esami di graduatoria, ecc. Superando, poi, l’esame complementare al terminedi un corso di preparazione della durata di un anno scolastico a tempo pieno, pos-sono iscriversi anche ad altre università svizzere. 7.3. Valore dei titoli di studiol’attestato liceale di maturità è rilasciato dal Dipartimento dell’educazione,della cultura e dello sport (DEcS) del cantone Ticino agli studenti che hanno supe-rato l’esame al termine del quarto anno.l’attestato liceale di maturità consente l’accesso alle Università cantonali e fe-derali, non abilita, invece, a nessuna delle professioni riconosciute. 59 l’attestato di maturità commerciale cantonale è rilasciato dal Dipartimentodell’educazione, della cultura e dello sport (DEcS) del cantone Ticino agli studentiche hanno superato l’esame al termine del quarto anno.l’attestato di maturità commerciale cantonale consente sia l’accesso diretto allavoro, in quanto, essendo conferito in conformità alla legislazione federale in ma-teria di formazione professionale, è riconosciuto come diploma di impiegato dicommercio qualificato, permettendo sia l’iscrizione a scuole o corsi superiori di in-dirizzo commerciale sia di avviarsi a studi universitari.l’attestato federale di capacità (AFc) è rilasciato dalla Divisione della forma-zione professionale del cantone Ticino agli apprendisti che hanno superato l’esamefinale di tirocinio.l’attestato federale di capacità consente di entrare nel mondo del lavoro conuna qualifica riconosciuta, consente poi di accedere ai corsi per il conseguimentodella maturità professionale, che autorizza l’accesso alle Scuole universitarie pro-fessionali e con corsi integrativi anche ad altre università. 7.4. Modello didatticoNei licei l’allievo ha l’opportunità di costruire gradualmente il proprio curri-colum di studio, sulla base delle proprie motivazioni, dei propri interessi e in fun-zione delle prospettive di formazione successiva.i programmi didattici contengono indicazioni su come il docente deve svilup-pare l’attività didattica per far acquisire ai corsisti le competenze indicate. Si trattadi indicazioni logicamente abbastanza sommarie che, tuttavia, stimolano il docentead impostare la lezione in forma interattiva con gli studenti. il regolamento deglistudi liceali specifica poi che i settori di studio vanno intesi come ambiti di colla-borazione interdisciplinare, tanto che prevede che al termine dell’anno ci sia unavalutazione unica, concordata tra i docenti delle discipline comprese in un settore.Nella formazione professionale l’apprendimento avviene sia in ambito lavora-tivo, in affiancamento con personale esperto e in momenti formativi formali attuatiin azienda, sia in ambito scolastico attraverso la frequenza alle scuole professionali.Esso può poi proseguire attraverso il successivo rientro nel sistema scolastico, cherende possibile approfondire ed ampliare le conoscenze culturali e professionali.il sistema quindi consente al giovane, che intraprende questo percorso forma-tivo, sia di costruirsi al momento dell’ingresso un personale curricolum, attraversola scelta della professione, la costruzione in accordo con l’azienda del propriopiano formativo, la selezione di materie specifiche e complementari nelle scuoleprofessionali, sia di aggiornarlo e modificarlo nel tempo, in relazione al maturaredelle sue scelte professionali, ai suoi interessi, all’evolversi del mercato del lavoro.Nella gestione del suo curricolum il giovane può utilizzare i servizi di orienta-mento del cantone.il cantone poi svolge funzioni di controllo sulla formazione impartita dall’a-zienda durante il periodo di tirocinio. 60 7.5. Il modello valutativola valutazione scolastica degli allievi, sia nell’ambito dell’istruzione che inquello della formazione professionale, viene effettuata secondo precise disposizioniemanate dagli uffici cantonali responsabili.le disposizioni stabiliscono che l’esame non deve essere inteso unicamentecome un’ulteriore fase selettiva, ma come un momento in cui l’allievo può dimo-strare di aver raggiunto gli obiettivi previsti dal piano di studio e, di conseguenza,di essere pronto per entrare nel mondo del lavoro, oppure di poter seguire un’ulte-riore formazione. l’allievo potrà presentare delle lacune, ma l’apprezzamento neisuoi confronti sarà espresso non tanto sulle anomalie, ma sulle sue capacità di uti-lizzare coerentemente tutto il suo patrimonio di formazione.Gli esami devono valutare le prestazioni degli allievi sulla base degli obiettiviessenziali e imprescindibili definiti nei piani di studio per ogni disciplina. Deve,cioè, essere valutato l’uso in situazioni concrete delle conoscenze e delle abilità(sapere e saper-fare) che sono state oggetto di apprendimento.Pertanto, per ogni disciplina sono definite:– le competenze da valutare;– le evidenze da far produrre ad ogni allievo che gli consentono di dimostrare ilpossesso delle competenze oggetto di verifica;– i criteri, correlati alle competenze, con cui valutare le prestazioni dell’allievo.la definizione delle prove d’esame è lasciata ai docenti delle diverse disciplinesotto la supervisione degli esperti di materia.invece, durante il periodo di tirocinio, previsto nella formazione professionale,l’apprendimento è valutato a scadenze regolari dal maestro di tirocinio. Egli valutasia gli atteggiamenti sul lavoro del giovane sia l’incremento della sua professiona-lità nelle lavorazioni su cui si svolge il tirocinio.la valutazione è trasmessa al Dipartimento della formazione professionale,che in caso di presenze di criticità interviene per risolverle. 7.6. La validazione degli apprendimenti dell’esperienzaSi tratta di un progetto finalizzato a riconoscere ad un numero sempre più fre-quente di percorsi formativi non lineari, non formalizzati, destrutturati, una speci-fica certificazione delle qualifiche conseguite attraverso le attestazioni ufficiali. Sirivolge alla popolazione adulta ma la metodologia adottata può essere trasferitaanche sulla formazione professionale secondaria e terziaria.questa metodologia è comune a tutto il sistema della formazione professionalesvizzera, che prende il nome di “Validation des acquis”, in cui viene definito il mo-dello per il riconoscimento di altre procedure di validazione, partendo dalla consta-tazione che si può arrivare a costruire una professionalità seguendo strade diffe-renti, che possono prevedere offerte formative strutturate e formalizzate da un lato, 61 ovvero percorsi più individualizzati on the job, o anche in contesti informali e nonformali dall’altro lato.l’obiettivo finale è quello di garantire uniformità e qualità nella predisposi-zione delle modalità, delle metodologie di intervento, dei servizi offerti. Attual-mente il processo di elaborazione del progetto sta attraversando una fase pilota, e apartire dal 2007 si è cominciato a sperimentare altre procedure di validazione.il modello prevede un’articolazione flessibile che consente di certificare lecompetenze effettivamente acquisite, ma anche di effettuare un bilancio a 360 gradiindicando anche le competenze mancanti e le possibili formazioni complementari.così concepita la metodologia supera i confini della mera certificazione formale dicompetenze ai fini dell’acquisizione di un’attestazione ufficiale, e si caratterizzaanche in termini di counseling e supporto alla definizione di un progetto personaledi formazione e professionalizzazione. Sitografia Portale svizzero dell’orientamento scolastico e professionale: http://www.orientamento.ch/dyn/ 1047.aspxSito didattico della scuola ticinese (Scuoladecs): http://www.orientamento.ch/dyn/1047.aspxFormazione professionale: http://www.bbt.admin.ch/Formazione professionale e disoccupazione giovanile: http://www4.ti.ch/decs/dfp/fp-dg/in-generale/Divisione della formazione professionale del canton Ticino: http://www4.ti.ch/?id=3284Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport (DEcS): http://www4.ti.ch/decs/ 63 Una riflessione di sintesi 1. CANADA - QUéBEC il québec è stato uno dei primi paesi in assoluto ad adottare i curricola percompetenze, dopo un lungo percorso e dibattito pedagogico avviato fin dagli anni’90. Dal 2000, la riforma scolastica introdotta nel paese prevede l’adozione di verie propri “curricola per competenze”, ponendo di fatto al centro dell’attenzione deidocenti non solo gli apprendimenti strumentali, ma soprattutto la formazione delpensiero e lo sviluppo dell’autonomia da parte dell’allievo. ciò introduce fra l’altrouna prospettiva di “transfer degli apprendimenti”, inteso come sviluppo delle capa-cità di riutilizzare efficacemente gli apprendimenti acquisiti, adattandoli a nuovicontesti, che risulta particolarmente interessante dal punto di vista comparativo.l’approccio per competenze che sta alla base del sistema di istruzione e forma-zione nel québec mira a consentire agli allievi la costruzione di una visione delmondo, dell’identità e lo sviluppo dell’autonomia: possono essere così definite, insintesi, le tre finalità del Programma di Formazione, il punto di riferimento per laformazione dei giovani, dalla scuola dell’infanzia fino alla conclusione della secon-daria.Tali finalità sono rese esplicite e concretizzate attraverso le competenze tra-sversali e disciplinari. la combinazione di tutti questi elementi costituisce il profiloformativo dell’allievo. ciò allo scopo di consentire agli allievi l’acquisizione di co-noscenze di base e, nel contempo, quella di creare i presupposti per consentire lorodi continuare ad apprendere per tutta la vita, attraverso il collegamento con un si-stema di riconoscimento ufficiale delle competenze acquisite in qualunque contesto(formale, non formale ed informale), da tempo esistente in québec ed in altre pro-vincie del canada. il percorso formativo strutturato per competenze deve, dunque,iscriversi in questo percorso di sviluppo continuo e mettere in evidenza il camminofatto da ognuno.È attivo da tempo un contesto politico-istituzionale che favorisce la part-nership tra i diversi attori dello sviluppo locale, con particolare riferimento alla for-mazione delle risorse umane ed all’occupazione. Esiste, infatti, una ricca tradizionedi collaborazione tra imprese, scuole, e istituzioni pubbliche.l’approccio alla valutazione nel sistema previsto dal qUEB prevede, in sin-tesi, che essa sia rivolta alle competenze curricolari, favorisca la valutazione auten-tica in base alle prestazioni in contesti reali, faciliti la responsabilità condivisa perla valutazione (insegnanti, coetanei, auto, altri adulti). 64 Per quanto riguarda i campi generali di formazione, essi non devono essereformalmente valutati. l’istituto scolastico ha, piuttosto, l’obbligo di assicurare chedi essi sia tenuto conto in maniera integrata. Per i campi di apprendimento, si ri-chiede che ogni allievo mostri un livello di conoscenza sufficiente, così come spe-cificato nei programmi disciplinari e precisato nelle scale di livelli di competenza.quanto alla valutazione delle competenze trasversali, esse devono essere oggetto diregolamento specifico a cura dell’istituto ed essere prese in considerazione nei bi-lanci di fine ciclo.È avvertita l’esigenza di valutare annualmente lo sviluppo delle competenze,rispettando allo stesso tempo il carattere continuo degli apprendimenti fondamen-tali nell’arco di tutto il ciclo. 2. DANIMARCA in Danimarca chiunque può trovare una qualche forma di istruzione che siadatta alla sua specifica situazione: il giovane o l’adulto, che per motivi diversi nonha completato il percorso formativo obbligatorio, può accedere alle Continuationschools o ai programmi di Istruzione degli adulti non professionale.Molte sono le opportunità per chi desidera migliorare la propria professionalitào imparare una nuova professione, grazie ai programmi offerti nell’ambito dellaformazione professionale degli adulti; offerte formative caratterizzate da percorsiformativi speciali e individuali sono possibili per persone portatrici di handicap oche manifestano difficoltà di apprendimento, nonché per gli stranieri o i rifugiatiche vogliano trovare una collocazione all’interno della società e del mercato del la-voro danese; infine, lo Stato, fedele al proprio credo sull’importanza dell’istruzionediffusa e continua, sostiene tutte le modalità di istruzione non-formale, delle qualiesiste un ampio ventaglio di possibilità.la persona che desidera intraprendere un percorso formativo in età adulta(dopo i 18 anni) è aiutato nella scelta da un guidance counsellor che valuta le com-petenze formali e non formali possedute e costruisce il percorso più adatto al sog-getto richiedente.il sistema d’istruzione danese consente a ciascuno in qualunque momentodella vita di trovare spazio per accrescere la propria formazione o accedere a per-corsi formativi nuovi. Esso prevede una forte integrazione e penetrazione tra ilmondo dell’istruzione e il mondo del lavoro. qualsiasi lavoro ha una sua dignità e,perciò, richiede non improvvisazione ma adeguata formazione. questa formazionenon si limita alla professionalizzazione, ma è attenta all’individuo come compo-nente della comunità.È rilevante il modello di autocertificazione per il riconoscimento della forma-zione pregressa. il modello di autocertificazione potrebbe diventare l’occasione peraggregare i vari soggetti della formazione attorno a un condiviso processo forma- 65 tivo. la persona avrebbe così la possibilità di veder riconosciute le sue competenzee la formazione pregressa in più settori formativi, spenderli in un modello di flessi-bilità e mobilità lavorativa senza perdere nulla o arricchire le proprie conoscenzeper un miglioramento della propria attività professionale. 3. FINLANDIA l’esperienza finlandese nasce dal presupposto che la formazione e l’educa-zione scolastica debbano essere garantite a tutti i cittadini. la centralizzazione delsistema finlandese ha standardizzato i curricula formativi in base a due principalitipologie: percorso di studi generale e percorso di studi professionale. Nel corsodegli anni nasce una stretta collaborazione, anche formale, tra il mondo dellascuola e quello dell’imprenditoria e del business. i percorsi formativi sono elaboratiin collaborazione e vengono strutturati programmi formativi che vengono elaboratied approvati in prima istanza dai due sistemi e successivamente direttamente dal-l’amministrazione centrale. questa strutturazione, alla quale viene anche collegatoun sistema di valutazione e riconoscimento delle competenze (attraverso l’elabora-zione di test di competenza) ha un margine di programmazione a livello locale perrispondere in maniera più puntuale alle reali necessità del territorio nel quale lascuola opera. la collaborazione fra sistema scolastico e sistema delle imprese siconcretizza anche nell’attivazione di tirocini formativi che l’allievo svolge (semprenel suo ruolo di studente) all’interno di aziende e questo viene realizzato per ri-spondere a due esigenze: da una parte fornire allo studente un’opportunità di ope-rare direttamente in un contesto produttivo nel quale implementare e svilupparecompetenze e abilità professionali, dall’altra per supportare le scuole nel garantireagli studenti la possibilità di operare con strumenti, attrezzature all’avanguardia,che le scuole non possono garantire, a causa dell’evoluzione tecnologica.inoltre va evidenziato anche la possibilità per qualsiasi lavoratore di aver rico-nosciute formalmente le proprie competenze attenendo un certificato di qualificadopo aver sostenuto una sessione di test di competenze. Per facilitare sia il ricorsoa questa opportunità, sia per supportare il lavoratore nell’acquisizione delle compe-tenze professionali, esiste un sistema di consulenza che aiuta la persona a focaliz-zare il proprio percorso di conoscenza ed a rafforzarlo con conoscenze anche teo-riche attraverso la partecipazione ad un tirocinio formativo. 4. FRANCIA il sistema francese, pur nella sua complessità, rappresenta un fattore positivopoiché consente di collocare le varie componenti entro un tutto organico, dotatoanche di dinamicità e mutevolezza nel tempo. 66 Tale sistema educativo e formativo è fortemente strutturato e nasce da unaforte integrazione e collaborazione fra le istituzioni pubbliche, gli organismi forma-tivi e scolastici ed il contesto produttivo ed economico. la necessità di fornire al si-stema paese risorse umane qualificate ha portato ad un’organizzazione e sviluppodei curricula formativi basati sulle competenze professionali che il contesto produt-tivo richiede. questa organizzazione ha condotto all’elaborazione di un archivio direpertori professionali nei quali vengono declinate in maniera estremamente detta-gliata competenze, conoscenze, ambiti lavorativi, ecc. caratteristici di una profes-sione. questo repertorio, che viene aggiornato sistematicamente ogni 5 anni daparte di apposite commissioni eterogenee, è la base per lo sviluppo dei curriculaformativi e per il riconoscimento delle competenze degli alunni e/o dei lavoratori.Molto interessante è – in prospettiva comparativa con la realtà italiana – il re-pertorio RoME la cui stesura avviene grazie al contributo di équipe di tecnici, unaper ogni Regione, con l’obiettivo di creare una classificazione finalizzata a favorirel’incontro tra domanda ed offerta di lavoro. la sua specificità pratica emerge anchedalla descrizione delle oltre 10.000 professioni nelle quali sono definite non solo icomportamenti che la persona deve avere nello svolgimento della professione, maanche le competenze e le conoscenze necessarie. il RoME è diventato la base deldialogo con le imprese ed un aiuto prezioso per chi cerca lavoro e deve conoscere iprofili delle professioni e la relativa formazione da seguire.Molto interessante è l’esperienza legata all’introduzione, con la legge sull’o-rientamento, del libretto delle competenze che rappresenta un notevole fattore diconfronto con la realtà italiana.Uno dei vantaggi del libretto presso lo studente consiste nell’aiutarlo a co-struire il proprio percorso di formazione e di orientamento, nella prospettiva del-l’inserimento nel mondo del lavoro. Va ricordato che in Francia l’indicazioneorientativa della scuola ha valore vincolante, tant’è vero che è sancita la possibilitàdi ricorso da parte della famiglia avverso a tale indicazione.questa pratica viene integrata nell’itinerario di scoperta dei mestieri e dei per-corsi formativi e nel capitolo orientamento del progetto dell’istituzione scolastica.il liceo professionale è direttamente interessato alla realizzazione del librettopersonale delle competenze, in particolare alla certificazione della padronanza delleconoscenze e competenze al termine del grado 3 dello zoccolo comune.Alcuni licei professionali accolgono, infatti, nelle loro classi degli studenti del-l’ultimo anno delle medie che da loro svolgono il modulo di scoperta professionaledi 6 ore. 5. POLONIA il caso della Polonia è stato scelto perché rappresenta un esempio interessantedi come un sistema di area ex URSS, centrato sul primato dell’istruzione tecnica, si 67 confronta con le prospettive dell’Unione europea, proponendo in particolare solu-zioni utili in tema di organizzazione dell’offerta formativa.la dinamica del sistema formativo polacco unisce in sé il retaggio positivo delpassato, ovvero il rigore scientifico e tecnico, la concretezza, l’affidabilità dellescuole e delle università, con i nuovi orientamenti derivanti dalle politiche europeein tema di competenze chiave di cittadinanza, sistema dei titoli e delle qualifiche,framework di certificazione delle competenze e delle esperienze dei cittadini.questa dinamica, che non fa piazza pulita della tradizione scolastica del Paese,comporta un approccio progressivo, meditato e verificato alle nuove metodologie eprospettive. ciò consente un avanzamento graduale, ma più solido nella direzionedesiderata, senza ingenerare tensioni di natura ideologica e dibattiti apodittici suldestino dell’istruzione.Sintomatico è il processo di innovazione metodologica, che mette in gioco tra-dizioni didattiche consolidate. È il caso del programma “life Skills for Employabi-lity” del 2006, operante negli istituti tecnici e professionali, che punta allo sviluppopersonale, inteso come la capacità di valutare in modo appropriato i propri obiettivie le proprie risorse; inoltre, alla risoluzione di problemi, con il possesso di capacitàdi raggiungere un accordo e di gestire il conflitto; allo sviluppo di abilità legate allaprofessione, intese come capacità di lavorare in gruppo e di avere un’etica profes-sionale; a sostenere le capacità di autovalutazione e disponibilità ad assumersi ri-schi; infine, alla progettazione e gestione efficaci del tempo e del denaro.il modo concreto e cooperativo in cui viene affrontata la didattica per compe-tenze permette di motivare e di coinvolgere appieno gli alunni, che in tal modopossono riscontrare il legame tra le componenti teoriche del curricolum ed il loroutilizzo pratico e reale.l’accumulo di esperienze di questa natura porta alla necessità di un quadroconcettuale unitario con un linguaggio condiviso entro cui collocare tali buone pra-tiche, così da garantire un riferimento unitario e nel contempo la valorizzazionedelle peculiarità dei singoli percorsi.ciò potrebbe fornire una consistenza ed un significato immediatamente riferi-bile alla realtà allo stesso concetto di competenza che sul piano teorico è caratteriz-zato da una estrema polisemia di significati e che nel contesto polacco è sovrappo-nibile ad altri concetti come “qualifica”, “abilità” o perfino “autorità”. 6. SVEZIA il sistema formativo svedese rappresenta un esempio di percorso “istituzio-nale” di costruzione, acquisizione, documentazione e certificazione delle compe-tenze: l’offerta formativa comprende 17 indirizzi di studio, il curricolum di ogni in-dirizzo è articolato in corsi/moduli che danno accesso a crediti, per ciascun corsosono indicate le competenze da raggiungere e i relativi standard. 68 Semplice, essenziale, leggero come una casa di vetro, il modello svedese offreinteressanti prospettive di trasferibilità in altri sistemi formativi, poiché le fasi disviluppo delle competenze, dalla progettazione, alla valutazione e alla certifica-zione, sono delineate attraverso indicatori e descrittori concreti, concisi e nitidi,quindi agevolmente visibili e condivisibili dai soggetti coinvolti, sia formatori cheformandi.il sistema formativo svedese offre un esempio di percorso “istituzionale” dicostruzione, acquisizione, documentazione e certificazione delle competenze. ilmodello della scuola secondaria si presenta come una struttura trasparente e leg-gera – una specie di casa di vetro – che lascia agevolmente vedere il percorso disviluppo delle competenze, che si può così sintetizzare:– il programma dell’indirizzo di studi traccia il profilo formativo in uscita, espli-citandone le competenze;– i programmi dei corsi declinano il profilo formativo in competenze specifiche,applicate agli ambiti disciplinari, esplicitate in indicatori “didattici” (Goals -The school should aim to ensure that pupils) per la scuola/il docente che pro-getta e gestisce l’apprendimento, in indicatori di “apprendimento” (Goals thatpupils should have attained on completion of the course) che descrivono laprestazione dello studente “competente”, ovvero che ha acquisito la compe-tenza prevista dal corso;– infine, i criteri di valutazione (Grading criteria) descrivono lo standard dellacompetenza acquisita, a diversi livelli.Una siffatta “declinazione” delle competenze in indicatori e descrittori, condi-visa e diffusa in tutti gli ambiti del sapere, favorirebbe un’agile costruzione dellerubriche di competenza e delle unità formative d’apprendimento che ne discen-dono. il Project work, con la sua componente operativa di personalizzazione delcurricolum mirata ad un prodotto finale, costituisce un modello di riferimento perl’elaborazione del task che conclude le unità d’apprendimento e che documental’acquisizione della competenza, anche ai fini dell’attestazione o certificazione. 7. SVIZZERA - CANTON TICINO Nel sistema formativo del cantone Ticino è di particolare interesse l’articola-zione nei compiti di indirizzo, di programmazione didattica e di gestione tra il po-tere centrale federale e il potere cantonale, che oltretutto è diversa tra il sistemascolastico e quello della formazione professionale. Mentre nel primo il cantone hala piena e totale responsabilità e può accettare o meno gli indirizzi proposti dal po-tere federale, tanto che non esiste una legge federale sulla scuola, ma solo tanteleggi quanti sono i cantoni, nel secondo il rapporto è rovesciato e il cantone ap-plica le decisioni federali, adattandole alla sua realtà economica. 69 Altro elemento importante è l’istituzionalizzazione della possibilità di rientronel sistema scolastico di chi ha compiuto esperienze di lavoro più o meno intrec-ciate con attività formativa, che può arrivare a conseguire anche titoli universitari.la didattica per competenze è ormai estesa a tutti i tipi di scuole e sono incorso di definizione, iniziando dalla scuola dell’obbligo, i relativi standard forma-tivi. ciò è reso possibile dalla presenza sia a livello federale che a livello cantonaledalla presenza di centri per l’innovazione didattica strettamente collegati con leuniversità.È di notevole rilevanza la modalità di valutazione relativa ai percorsi di forma-zione professionale sulla base del profilo professionale definito secondo i seguenticontenuti: campo di lavoro, chi sono i gruppi target, gli interlocutori, i clienti, lecompetenze operative professionali, l’esercizio della professione (autonomia, crea-tività/innovazione, ambiente di lavoro, condizioni di lavoro), il contributo dellaprofessione a favore di società, economia, ambiente e cultura.le competenze operative si riferiscono ai tre luoghi di formazione (la forma-zione presso le aziende formatrici, la formazione/insegnamento scolare presso lescuole professionali e quella intra-imprese). con la nuova legge Federale del13/12/2002 (legge sulla formazione professionale, lFPr) entrata in vigoreall’1/1/2004, le procedure di valutazione si focalizzano non solo sulle competenzeprofessionali, ma anche sulle competenze metodologiche, sociali e personali e a se-guire le competenze interdisciplinari. queste competenze comprendono peresempio, le tecniche di lavoro, le strategie di apprendimento, il pensiero sistemico(competenze metodologiche), la capacità di comunicare e gestire i conflitti, la resi-stenza allo stress (competenze sociali e personali). le competenze interdisciplinarisono richieste dal mondo del lavoro e devono avere una più grande importanzanella formazione. Pertanto, nelle procedure di valutazione e qualificazione il legis-latore ha volontariamente accordato un margine di manovra per la scelta delleforme di esame: è possibile adattare le procedure di qualificazione alle particolaritàdel settore o della professione.Nel processo di valutazione sono coinvolti i cantoni e le organizzazioni delmondo del lavoro.la validazione degli apprendimenti acquisiti è una procedura individuale strut-turata che consente di integrare le più svariate prestazioni di formazione, di atte-stare competenze operative e di cultura generale e di conseguire, se possibile, un ti-tolo formale.in Svizzera la validazione degli apprendimenti acquisiti rappresenta un com-plemento alla formazione formale: si tratta di un’offerta rivolta specialmente adadulti che desiderano conseguire un primo titolo di livello secondario. Al momentodell’avvio della procedura è presupposta un’esperienza professionale di almenocinque anni; nelle singole ordinanze sulla formazione professionale possono esseredefinite ulteriori condizioni di ammissione.la Svizzera da questo punto di vista rappresenta un campione di notevole inte- 70 resse sia per l’impegno profuso nell’ultimo decennio dalle istituzioni scolasticheper passare da una programmazione didattica “per contenuti” ad una programma-zione “per competenze”, sia per il positivo intreccio nell’ambito della formazionetecnico-professionale tra scuola, formazione professionale e mondo del lavoro, siaper l’articolazione non dirigistica nella dinamica dei rapporti istituzionali ed opera-tivi tra i livelli confederale e cantonale, sia, infine, per l’apertura alla sperimenta-zione didattica tanto da essere prevista nella legge scolastica e dai regolamenti at-tuativi e che può essere promossa sia dall’alto e cioè dalle istituzioni ma anche dagruppi di docenti. 71 Il contesto europeo Presentiamo in questo capitolo tre degli elementi rilevanti in tema di compe-tenze nel contesto europeo: EqF, Europass ed il sistema di monitoraggio ocSE-Pisa che, pur essendo applicato ad un’area più vasta di paesi, è particolarmente si-gnificativo in Europa per gli influssi derivanti sul piano del dibattito circa l’effi-cacia dei sistemi educativi e la tematica della valutazione degli apprendimenti. 1. EQF l’EqF1, in inglese European qualification Framework, è un dispositivo di tra-duzione – una griglia di conversione e lettura – che consente di mettere in relazionee posizionare, in una struttura a otto livelli, i diversi titoli (qualifiche, diplomi, cer-tificati ecc.) rilasciati nei Paesi membri; il confronto si basa sugli esiti dell’appren-dimento.Si tratta di una meta-struttura rispetto alla quale, su base volontaria, gli Statimembri sono chiamati a rileggere i propri sistemi di istruzione e formazione, inmodo tale che ci sia un collegamento tra i singoli sistemi nazionali di riferimentoper i titoli e le qualifiche e il quadro europeo EqF.l’EqF non è, quindi, né una duplicazione a livello europeo dei sistemi nazio-nali, né tanto meno un tentativo di imporre un’omogeneizzazione dei titoli e dellequalifiche a livello europeo.la sua rilevanza si riferisce ai seguenti punti:1. Illustra in modo univoco i risultati dell’apprendimento. EqF facilita e potenziala libera circolazione (mobilità) delle persone nello spazio comune europeo.Per questo è necessario disporre di un quadro comune di riferimento che renda“trasparenti” cioè comprensibili formalmente e semanticamente i risultati diapprendimento finali di ciascun titolo/certificato.2. Pone al centro dell’apprendimento le competenze. la competenza non è piùintesa come nel passato come una somma di componenti (sapere, saper fare esaper essere), ma come una padronanza della persona dimostrata nell’azione: 1 Risoluzione legislativa del Parlamento Europeo del 24 ottobre 2007 sulla proposta di racco-mandazione del Parlamento Europeo e del consiglio sulla costituzione del quadro europeo delle qua-lifiche e dei Titoli per l’apprendimento permanente (coM(2006)0479 – c6-0294/2006 –2006/0163(coD)). 72 essa indica la “capacità dimostrata di utilizzare le conoscenze, le abilità e le at-titudini personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studioe nello sviluppo professionale e/o personale. Nel qEq, le competenze sono de-scritte in termini di responsabilità e autonomia”.3. Propone una relazione “attiva” tra competenze, abilità e conoscenze. la pro-spettiva della competenza non coglie la persona come “possessore” di saperiinerti, ma richiede ad essa di esibire evidenze tali da dimostrare non solo chesa o sa fare, ma che sa agire e reagire sapendo mobilitare in modo pertinenteed appropriato ciò che sa e sa fare.4. Valorizza allo stesso tempo i risultati di apprendimento formali, non formali edinformali. Essendo basato sugli esiti dell’apprendimento (learning outcomes),articolati in otto diversi livelli, EqF è applicabile a tutte le qualifiche ottenuteattraverso percorsi formativi formali, non formali ed informali. inoltre si pro-pone come un riferimento del percorso di accrescimento delle competenzelungo tutto il corso della vita.Anche se solo su base volontaria gli Stati Membri possono regolamentare lemodalità ed, in particolare, stabiliscono a quale livello sono inseribili i diversi titolie certificazioni. Per l’italia questa diventa un’occasione indispensabile per porreordine alla congerie normativa e contrattualistica in tema di titoli e certificazioni.l’EqF fornisce, infatti, l’opportunità di rappresentare ogni esito di apprendimentonella prospettiva della competenza realizzando, così la condizione basilare per unsistema educativo-formativo veramente unitario, in grado di dialogare efficace-mente con il contesto economico, del lavoro e delle professioni.l’applicazione di EqF richiede un’ampia fiducia reciproca tra organismi diformazione e tra operatori. la qualità è un presupposto per ottenere e dare fiducia.Essa deve essere garantita da scelte politiche e procedure di gestione interne edesterne in grado di collegare gli elementi del contesto, gli input, la dimensione deiprocessi e gli output.certamente, un tale sistema richiede l’adozione di un modello rigoroso e fon-dato di certificazione delle competenze e dei saperi, in modo da porre in luce leevidenze della competenza ed i livelli di padronanza da parte della persona che ne ètitolare.Ecco il dispositivo così come elaborato nella prima versione (è, infatti, incorso una sua revisione): 73 Descrittori che definiscono i livelli del Quadro Europeo delle Qualifiche 2 Ndt: in francese: … compiti in un ambito di lavoro o di studio Livello 1Gli esiti di apprendimentorilevanti per il livello 1sono:Livello 2Gli esiti di apprendimentorilevanti per il livello 2sono: Livello 3Gli esiti di apprendimentorilevanti per il livello 3sono: Livello 4Gli esiti di apprendimentorilevanti per il livello 4sono: Livello 5*Gli esiti di apprendimentorilevanti per il livello 5 so-no: conoscenzeNel QEQ, le conoscenze sonodescritte come teoriche e/opratiche • conoscenze generali dibase • conoscenze pratiche di ba-se in un ambito di lavoro odi studio • conoscenze di fatti, princi-pi, processi e concetti gene-rali, in un ambito di lavoroo di studio • conoscenze pratiche e teo-riche in ampi contesti in unambito di lavoro o di studio • conoscenze pratiche e teo-riche ampie e specializzatein un ambito di lavoro o distudio e consapevolezzadei limiti di quelle cono-scenze AbilitàNel QEQ, le abilità sono de-scritte come cognitive (usodel pensiero logico, intuitivoe creativo) e pratiche (che im-plicano la destrezza manualee l’uso di metodi, materiali,attrezzature e strumenti)• abilità di base necessarieper svolgere compiti sem-plici • abilità cognitive e pratichedi base necessarie per uti-lizzare le informazioni rile-vanti al fine di svolgerecompiti e risolvere proble-mi di routine utilizzando re-gole e strumenti semplici• una gamma di abilità co-gnitive e pratiche necessa-rie per svolgere compiti erisolvere problemi selezio-nando e applicando metodi,strumenti, materiali e infor-mazioni di base• una gamma di abilità co-gnitive e pratiche necessa-rie per creare soluzioni aproblemi specifici in unambito di lavoro o di studio • un’ampia gamma di abilitàcognitive e pratiche neces-sarie per sviluppare solu-zioni creative a problemiastratti competenzeNel QEQ, la competenza èdescritta in termini di re-sponsabilità e autonomia. • lavorare o studiare sotto su-pervisione diretta in uncontesto strutturato • lavorare o studiare sotto su-pervisione diretta con unacerta autonomia • assumersi la responsabilitàdello svolgimento di com-piti sul lavoro e nello stu-dio2• adattare il proprio compor-tamento alle circostanzeper risolvere problemi• autogestirsi all’interno dilinee guida in contesti di la-voro o di studio solitamenteprevedibili, ma soggetti alcambiamento• supervisionare il lavoro diroutine di altre persone, as-sumendosi una certa re-sponsabilità per la valuta-zione e il miglioramentodelle attività di lavoro o distudio• gestire e supervisionare incontesti di attività di lavoroo di studio soggetti a cam-biamenti imprevedibili• valutare e migliorare le pre-stazioni di se stessi e deglialtri ciascuno degli 8 livelli è definito da una serie di descrittori che indicano gli esiti diapprendimento rilevanti per le qualifiche di quel livello in qualsiasi sistema di qualifiche 74 – compatibilità con il quadro delle qualifiche dell’Area Europea dell’istruzioneSuperioreil quadro delle qualifiche dell’Area Europea dell’istruzione Superiore pro-pone descrittori per i cicli. i descrittori di ciascun ciclo forniscono una definizionegenerica degli esiti e delle abilità attesi rispetto alle qualifiche che rappresentano laconclusione di quel ciclo. * il descrittore per il ciclo breve di istruzione superiore (all’interno o collegato al primo ciclo), elabo-rato dalla iniziativa congiunta di qualità quale parte del processo di Bologna, corrisponde agli esiti diapprendimento per il livello 5 del qEq.** il descrittore per il primo ciclo del quadro delle qualifiche dell’Area Europea dell’istruzione Su-periore corrisponde agli esiti di apprendimento per il livello 6 del qEq.*** il descrittore per il secondo ciclo del quadro delle qualifiche dell’Area Europea dell’istruzioneSuperiore corrisponde agli esiti di apprendimento per il livello 7 del qEq.**** il descrittore per il terzo ciclo del quadro delle qualifiche dell’Area Europea dell’istruzione Su-periore corrisponde agli esiti di apprendimento per il livello 8 del q. 3 Ndt: in francese, conoscenze approfondite4 Ndt: in francese, .. processi in un ambito di lavoro o di studio all’avanguardia, compresa la ri-cerca Livello 6**Gli esiti di apprendimentorilevanti per il livello 6sono: Livello 7***Gli esiti di apprendimentorilevanti per il livello 7sono: Livello 8****Gli esiti di apprendimentorilevanti per il livello 8sono: • conoscenze avanzate3 in unambito di lavoro o di studio,che richiedono una com-prensione critica di teorie eprincipi • conoscenze altamente spe-cializzate, alcune delle qua-li costituiscono l’avanguar-dia delle conoscenze in unambito di lavoro o di stu-dio, quale base del pensierooriginale• consapevolezza critica deiproblemi legati alle cono-scenze in un ambito e all’in-terfaccia tra ambiti diversi• conoscenze al livello piùavanzato di un ambito di la-voro o di studio e all’inter-faccia tra ambiti diversi • abilità avanzate, che dimo-strano padronanza e inno-vazione, necessarie per ri-solvere problemi comples-si e imprevedibili in un am-bito specializzato di lavoroo di studio • abilità di problem solvingspecializzate, necessarie perla ricerca e/o l’innovazioneal fine di sviluppare nuoveconoscenze e procedure eper integrare conoscenzeprovenienti da ambiti di-versi • le abilità e le tecniche piùavanzate e specializzate,comprese la sintesi e la valu-tazione, necessarie per risol-vere problemi critici nella ri-cerca e/o nell’innovazione eper ampliare e ridefinire leconoscenze e le praticheprofessionali esistenti • gestire attività o progettitecnici o professionali com-plessi, assumendosi la re-sponsabilità della presa didecisioni in contesti di la-voro o di studio imprevedi-bili• assumersi la responsabilitàdi gestire lo sviluppo pro-fessionale di singoli indivi-dui e di gruppi• gestire e trasformare conte-sti di lavoro e di studio com-plessi e imprevedibili, cherichiedono approcci strate-gici nuovi• assumersi la responsabilitàdi contribuire alle cono-scenze e alle pratiche pro-fessionali e/o di valutare leprestazioni strategiche digruppi• dimostrare un grado eleva-to di autorità, innovazione,autonomia, integrità scien-tifica o professionale e unimpegno sostenuto verso losviluppo di nuove idee oprocessi all’avanguardia incontesti di lavoro o di stu-dio4, tra cui la ricerca 75 2. EUROPASS EURoPASS5 è il primo strumento operativo in cui si sostanzia il quadro unicoeuropeo per la trasparenza delle competenze e delle qualifiche. Si tratta di un port-folio di 5 documenti pensato per facilitare la mobilità geografica e professionaledei cittadini europei mediante la valorizzazione del patrimonio di esperienze e co-noscenze teoriche e pratiche acquisite nel tempo.i documenti contenuti nel portfolio Europass, chiamati anche “dispositivi eu-ropei per la trasparenza”, sono stati realizzati tra il 1996 e il 2002 dalla commis-sione europea, dal consiglio d’Europa, dall’Unesco e in collaborazione con gliStati membri, con lo scopo di accompagnare i titoli e le certificazioni rilasciate a li-vello nazionale. i dispositivi di trasparenza contengono informazioni che si aggiun-gono a quelle contenute nei titoli ufficiali rilasciati a livello nazionale, rendendoneil contenuto più leggibile e più spendibile in ambito professionale e/o di studio.Essi sono:• Europass Curriculum Vitae (ex curriculum Vitae Europeo): è un formato stan-dard di curriculum Vitae che consente di uniformare la presentazione dei titolidi studio, delle esperienze lavorative e delle competenze individuali. È un do-cumento prodotto in autocompilazione.• Europass Passaporto delle Lingue (parte del Portfolio Europeo delle lingue):è uno strumento che accompagna l’individuo nel percorso di apprendimentodelle lingue straniere lungo tutto l’arco della vita. È un documento prodotto inautocompilazione.• Europass Mobilità (ex Europass formazione): è un documento individuale checonferisce trasparenza e visibilità ai periodi apprendimento all’estero ed è rila-sciato dai National Europass center nazionali.• Europass Certificate Supplement: è un documento che accompagna e integra ilcertificato/titolo/diploma d’istruzione o formazione professionali, e fornisceinformazioni riguardo il contenuto del percorso formativo, il livello della qua-lifica e le competenze acquisite.• Europass Diploma Supplement: è un documento integrativo del titolo ufficialeconseguito al termine di un corso di studi superiore (accademico o non accade-mico), e fornisce una descrizione della natura, del livello, del contenuto e degliesiti di tali percorsi.Tale elenco, tuttavia, non è esaustivo poiché in futuro potrebbero entrare a farparte del portfolio ulteriori strumenti finalizzati alla trasparenza delle qualifiche edelle competenze.in particolare, Europass certificate Supplement è rilasciato ai possessori di undiploma/qualifica/certificato d’istruzione e formazione professionale; traduce le in- 5 cfr. www.europass-italia.it; http://www.europass.cedefop.europa.eu/ 76 formazioni essenziali relative al certificato ufficiale, agevolandone la compren-sione, specie da parte di datori di lavoro o enti al di fuori del paese che lo ha rila-sciato. le informazioni che compaiono nel Supplemento sono fornite dagli enti cer-tificatori interessati.l’Europass Supplemento al certificato non sostituisce il certificato originale;non è un sistema automatico che garantisce il riconoscimento dei titoli.È erogato dalle autorità che rilasciano il certificato originale. in ogni Paesesono state definite o adottate modalità specifiche: alcuni Paesi hanno istituito co-siddetti inventari nazionali degli Europass Supplementi al certificato disponibilionline sui siti di appositi Punti Nazionali di Riferimento e scaricabili anche diretta-mente dai beneficiari finali; in altri Paesi è invece necessario contattare il Punto na-zionale di riferimento per conoscere le modalità specifiche per ottenere un Euro-pass certificate Supplement6.A tre anni dalla sua nascita Europass si conferma strumento indispensabile allamessa in trasparenza dei titoli, qualifiche e competenze maturate dagli individui alfine di renderle più comprensibili e utilizzabili nella mobilità geografica ma anchenella transizione tra i contesti di apprendimento e il mercato del lavoro dei diversiPaesi Europei.È ciò che emerge dal rapporto della prima valutazione esterna sui primi treanni di vita dell’iniziativa. questa considerazione è ampiamente provata anche dairecenti dati che sono stati rilevati circa il ricorso agli strumenti compresi nel port-folio Europass, all’utilizzo che di essi è stato fatto e agli effetti che questi hannoprodotto in termini di mobilità geografica e professionale, impiego lavorativo e/oproseguimento degli studi.il successo e la diffusione di Europass sono dovuti principalmente alla pre-senza in ogni Paese di un centro Nazionale Europass (NEc) e alle sue moltepliciattività di promozione del portfolio. lo stesso sviluppo futuro degli strumenti di-pende fortemente dalle iniziative messe a punto dal NEc a livello nazionale e nel-l’ambito del contesto europeo, nonché dalla qualità dei legami di cooperazione chenel tempo si sono andati costituendo a vari gradi e livelli con coloro che operanonei sistemi di istruzione e formazione professionale, nell’incontro domanda offertadi lavoro e nei servizi per l’orientamento.l’operatività del NEc si è resa possibile grazie al contributo del Portale Euro-pass che ha permesso in breve tempo un’ampia conoscenza, presso il grande pub-blico, delle politiche europee di trasparenza a favore e sostegno della mobilità e ladiffusione degli strumenti per la loro applicazione. Secondo i dati forniti dal ce-defop le visite al Portale Europass europeo sono state sino ad oggi 11,5 milioni egli accessi circa 18mila al giorno; inoltre i curriculum Vitae Europass generati o 6 Per l’italia: www.nrpitalia.it 77 scaricati tramite tale Portale sono ad oggi circa 6,4 milioni e l’italia è in assoluto alprimo posto per numero di download.Nella dimensione operativa e gestionale dei diversi documenti Europass, leprincipali criticità si concentrano sui due Supplementi: l’Europass certificate Sup-plement (EcS) e l’Europass Diploma Supplement (EDS). i due documenti, intesi atradurre e rendere leggibili i titoli professionali nel primo caso e quelli superiori/ac-cademici nel secondo, non hanno ancora raggiunto un grado di utilizzo e di appli-cazione accettabile nel complesso dei Paesi europei. questa situazione ha comecausa la generale “resistenza” e difficoltà dei sistemi educativi e formativi europeinel collegare il rilascio dei propri titoli e qualifiche a categorie concettuali e aprassi operative diverse dalle proprie, oppure, come accade nel nostro Paese, a con-siderare i dispositivi europei di volta in volta come concorrenti o supplenti deipropri sistemi di certificazione. questa considerazione conferma la portata dellasfida rappresentata dall’European qualification Framework. Nel nostro Paese, adesempio, la scarsa applicazione del certificate Supplement ha un suo limite, oltreche nei costi effettivi che comporta, anche nell’esigenza di creare pratiche omo-genee tra i diversi sistemi di qualifiche regionali e quelli nazionali dell’istruzionetecnica e professionale.Europass, in conclusione, offre al cittadino un effettivo servizio a supporto del-l’attuazione e valorizzazione della mobilità transnazionale. Tuttavia, è comune lasensazione che il potenziale di Europass non sia del tutto emerso e che ancoramolto può essere fatto per accrescere gli effetti positivi che questi strumenti sono ingrado di sortire a beneficio della collettività e della moderna società della cono-scenza.infatti, la leggibilità e validità dei titoli e delle qualifiche ottenuti, oltre che daformati comuni, dovranno essere sostenuti dall’uso di categorie e linguaggi comuni(ad esempio, learning outcomes, credit units) e dal riferimento agli 8 livelli di qua-lificazione. il prossimo raccordo tra Europass e le disposizioni previste per l’ade-sione all’European qualification Framework, nonché al sistema EcVET, raccordoche entrambe le Raccomandazioni prefigurano completato entro il 2012, rappresen-terà certamente una sfida ma anche un’opportunità di dare forma e sostanza adreale sistema di apprendimento Europeo. Si allega il formato del certificato Europass. 78 79 80 3. OCSE - PISA ocse Pisa7 interviene nei sistemi educativi al fine di accertare con periodicitàtriennale i risultati dei sistemi scolastici in un quadro comparato, non con l’obiet-tivo di verificare la padronanza delle conoscenze, bensì di rilevare in che misura igiovani quindicenni, prossimi alla fine della scuola dell’obbligo, abbiano acquisitoalcune competenze giudicate essenziali per svolgere un ruolo consapevole e attivonella società e per continuare ad apprendere per tutta la vita.l’indagine accerta il possesso di competenze funzionali negli ambiti della let-tura, della matematica e delle scienze e di alcune competenze trasversali in gioconel ragionamento analitico e nell’apprendimento.l’attenzione non si focalizza tanto sulla padronanza di determinati contenuticurricolari, ma piuttosto sulla misura in cui gli studenti sono in grado di utilizzareconoscenze e capacità apprese anche e principalmente a scuola per affrontare e ri-solvere problemi e compiti che si incontrano nella vita reale. Mostriamo, come esempio, una prova di lettura del progetto 2006: GRAFFITI Sono furibonda: è la quarta volta che il muro della scuola viene pulito e ridipinto per cancellare i graf-fiti. La creatività è da ammirare, ma bisognerebbe trovare canali di espressione che non causino ulte-riori costi alla società.Perché rovinare la reputazione dei giovani dipingendo graffiti dove è proibito? Gli artisti di professionenon appendono i loro dipinti lungo le strade! Al contrario, cercano fondi e diventano famosi allestendomostre legalmente autorizzate.Secondo me gli edifici, le recinzioni e le panchine nei parchi sono opere d’arte in sé. È davvero assurdorovinare l’architettura con i graffiti e, peggio ancora, il metodo con cui vengono realizzati distrugge lostrato di ozono.Davvero non riesco a capire perché questi artisti criminali si diano tanto da fare, visto che le loro“opere d’arte” vengono cancellate sistematicamente.Olga Sui gusti non si discute. La società è invasa dalla comunicazione dei messaggi pubblicitari. Simboli disocietà, nomi di negozi. Grandi poster invadono i lati delle strade. Sono tollerabili? Sì, per la maggiorparte. E i graffiti, sono tollerabili? Alcuni dicono di sì, altri no.Chi paga il prezzo dei graffiti? In fin dei conti, chi paga il prezzo degli annunci pubblicitari? Giusto. Ilconsumatore.Chi ha affisso i tabelloni, ha forse chiesto il vostro permesso? No. Allora perché chi dipinge graffiti do-vrebbe farlo? Il proprio nome, i nomi delle bande e delle grandi opere pubbliche: non è solo una que-stione di comunicazione?Pensiamo ai vestiti a strisce e quadri apparsi nei negozi qualche anno fa. E all’abbigliamento da sci. Imotivi e i colori sono stati presi in prestito direttamente dai variopinti muri di cemento. È piuttosto cu-rioso che questi motivi e colori vengano accettati ed ammirati, mentre i graffiti dello stesso stile sonoconsiderati orrendi.Tempi duri per l’arte.Sofia 7 http://www.invalsi.it/invalsi/ri/pisa2012.php?page=pisa2012_it_00 81 Segnaliamo le tecniche di consegna del compito e di elaborazione delle do-mande, con specificazione del tipo di capacità sollecitata: non si chiede il conte-nuto, ma si sollecitano alcune riflessioni sui testi proposti: “Queste due lettere sonostate prese da Internet e riguardano i graffiti. I graffiti sono scritte o dipinti fatti il-legalmente sui muri o da altre parti. Fai riferimento alle lettere per rispondere alledomande”.la prima domanda è così definita: “Perché Sofia fa riferimento alla pubbli-cità?”; nel testo metodologico si aggiunge opportunamente una spiegazione sul tipodi capacità sollecitata ed il livello di riferimento: “Interpretare il testo - livello 3:questo compito richiede allo studente di inferire una relazione di tipo analogico tradue fenomeni trattati nel testo”.le risposte positive sono più di una e quindi non vi è una semplificazione delcompito così da poter essere corretto facilmente:Punteggio 1– Riconosce che viene fatto un paragone tra i graffiti e le affissioni pubblici-tarie. La risposta è coerente con l’idea che la pubblicità è una forma legale digraffiti.oppure– Riconosce che far riferimento alla pubblicità è una strategia per difendere igraffiti.ogni sessione di prove perfeziona il metodo rispetto a quella precedente. ilprogetto PiSA 2009 rappresenta la quarta fase del Programme for international Stu-dent Assessment; esso si fonda sul concetto di “reading literacy” (“competenza inlettura”), che si riferisce alla comprensione, all’utilizzo e alla riflessione su testiscritti al fine di raggiungere i propri obiettivi, di sviluppare le proprie conoscenze ele proprie potenzialità e di svolgere un ruolo attivo nella società. la “reading lite-racy” non è più considerata un’abilità che si acquisisce unicamente nell’infanzia,durante i primi anni di scuola, ma piuttosto come un insieme di conoscenze, abilitàe strategie in continua evoluzione, che gli individui sviluppano nel corso della vita,attraverso le interazioni con i pari e con i gruppi più ampi di cui fanno parte.la prossima rilevazione ocSE Pisa utilizzerà tre strumenti:– prova per la rilevazione delle competenze degli studenti;– questionario studente;– questionario scuola.Verranno somministrati agli studenti del campione anche quesiti relativi allecompetenze funzionali di matematica e di scienze già utilizzati nelle precedenti fasidi PiSA. l’analisi delle risposte degli studenti a tali quesiti consentirà non soltantodi stabilire possibili relazioni tra le diverse competenze indagate, ma anche di indi-viduare le eventuali differenze nelle prestazioni degli studenti in una dimensionediacronica. 82 PiSA 2009 prevede anche alcune opzioni internazionali:1. somministrazione informatizzata delle prove;2. rilevazione sulla familiarità con le Tic;3. rilevazione sul coinvolgimento dei genitori nello sviluppo della “reading lite-racy” dei propri figli.il modello proposto ha avuto l’effetto di influenzare le modalità di valutazioneadottate nei vari sistemi, anche perché comporta comparazioni che segnalano il li-vello di preparazione dei ragazzi dei diversi paesi.Anche per questo motivo, si tratta di un importante fattore di stimolo:• alla riflessione circa il rendimento degli studenti di ogni Paese indagato e,quindi, dei relativi sistemi educativi;• all’innovazione delle metodologie di valutazione, soprattutto in direzione delpassaggio dal focus dei contenuti al focus delle capacità d’uso e di ragiona-mento/trasferimento, oltre che del superamento dello schema sequenzialeunico (stimolo chiuso/risposta chiusa) e l’apertura a soluzioni molteplici consi-derate equivalenti dal punto di vista della loro positività.Non si può chiedere ad ocSE-Pisa di rappresentare un sostituto delle prove divalutazione disciplinari, ma costituisce, comunque, un esempio di come si possanomettere a fuoco le capacità degli studenti non tanto nel ripetere i contenuti, ma nelqualificare il proprio profilo di cittadinanza. Parte seconda:IL CASO ITALIANO 85 La realtà nazionale in italia1, la tematica valutativa – con particolare riferimento agli apprendi-menti ed alle maturazioni degli allievi, oggetto privilegiato della presente ricerca –ha assunto una rilevanza particolare specie a partire dall’introduzione del nuovo or-dinamento del sistema educativo che, con la legge 53/03, presenta un profilo moltoimpegnativo assieme alla tematica della certificazione delle competenze e dei sa-peri.questa norma generale sancisce il passaggio dal sistema centrato sui pro-grammi, ad un sistema centrato su traguardi formativi o risultati di apprendimento.Si entra in tal modo in un contesto totalmente differente dal precedente, nel quale iltema della valutazione risulta di enorme rilevanza sia per la rilevazione degli ap-prendimenti sia per l’analisi dei rendimenti delle istituzioni erogative e dello stessosistema.Viene in particolare istituito il “Servizio nazionale di valutazione del sistemascolastico” (Art. 1). l’art. 3 dispone la “Valutazione degli apprendimenti e dellaqualità del sistema educativo di istruzione e di formazione”. con i decreti di cui al-l’articolo 1 sono dettate le norme generali sulla valutazione del sistema educativodi istruzione e di formazione e degli apprendimenti degli studenti, con l’osservanzadei seguenti principi e criteri direttivi:a) la valutazione, periodica e annuale, degli apprendimenti e del comportamentodegli studenti del sistema educativo di istruzione e di formazione, e la certifi-cazione delle competenze da essi acquisite, sono affidate ai docenti delle istitu-zioni di istruzione e formazione frequentate; agli stessi docenti è affidata la va-lutazione dei periodi didattici ai fini del passaggio al periodo successivo; il mi-glioramento dei processi di apprendimento e della relativa valutazione, nonchéla continuità didattica, sono assicurati anche attraverso una congrua perma-nenza dei docenti nella sede di titolarità;b) ai fini del progressivo miglioramento e dell’armonizzazione della qualità delsistema di istruzione e di formazione, l’istituto nazionale per la valutazione delsistema di istruzione effettua verifiche periodiche e sistematiche sulle cono-scenze e abilità degli studenti e sulla qualità complessiva dell’offerta formativadelle istituzioni scolastiche e formative; in funzione dei predetti compiti ven-gono rideterminate le funzioni e la struttura del predetto istituto; 1 Vedi Dossier competenze: www.wikicompetenze.it 86 c) l’esame di Stato conclusivo dei cicli di istruzione considera e valuta le compe-tenze acquisite dagli studenti nel corso e al termine del ciclo e si svolge suprove organizzate dalle commissioni d’esame e su prove predisposte e gestitedall’istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione, sulla basedegli obiettivi specifici di apprendimento del corso ed in relazione alle disci-pline di insegnamento dell’ultimo anno.l’art. 4, circa l’alternanza scuola-lavoro, dispone di “indicare le modalità dicertificazione dell’esito positivo del tirocinio e di valutazione dei crediti formativiacquisiti dallo studente”.circa la certificazione:d) nel secondo ciclo, esercitazioni pratiche, esperienze formative e stage realiz-zati in italia o all’estero anche con periodi di inserimento nelle realtà culturali,sociali, produttive, professionali e dei servizi, sono riconosciuti con specifichecertificazioni di competenza rilasciate dalle istituzioni scolastiche e formative;(art. 2).occorre dire che in tema di certificazione il caso italiano corre sul filo tra unavolontà di applicazione seria e rigorosa di questo dispositivo a favore dei giovani, ela tendenza a trattare tale impegno assunto a livello europeo come un puro adempi-mento amministrativo da assolvere senza investimenti e, quindi, da trattare comeun sottoprodotto dei voti disciplinari.È molto rilevante, a questo proposito, la natura e l’evoluzione dei compiti del-l’invalsi, che si trova sul crinale tra una funzione di monitoraggio e assistenza eduna funzione di intervento diretto nei processi valutativi degli studenti. 1. INVALSI con la legge 53/03 è stato istituito l’invalsi – istituto nazionale per la valuta-zione del sistema di istruzione – con il compito di effettuare verifiche periodiche esistematiche sulle conoscenze ed abilità degli studenti e sulla qualità complessivadell’offerta formativa delle istituzioni scolastiche, allo scopo di fornire a ogniscuola uno strumento di diagnosi per migliorare il proprio lavoro.la rilevanza strategica dell’attività dell’istituto nazionale ha indotto, più volte,il legislatore ad intervenire per potenziare la qualificazione scientifica dell’invalsi,attribuendo allo stesso ulteriori compiti e prevedendo, con la legge 25 ottobre 2007,n.176, l’emanazione di un’apposita direttiva annuale, da parte del Ministro dell’i-struzione, per l’individuazione degli obiettivi relativi alla valutazione esterna con-dotta dal Servizio nazionale di valutazione sul sistema scolastico e sui livelli di ap-prendimento degli studenti.la rilevazione degli apprendimenti degli studenti per l’anno scolastico 2010-11 nell’ambito del Servizio Nazionale di Valutazione (SNV) è stata svolta in conti- 87 nuità con quanto previsto dalla direttiva triennale n.74 del 15.09.2008. in partico-lare, la rilevazione ha riguardato gli studenti della seconda e quinta classe dellascuola primaria, della prima e terza classe della scuola secondaria di primo grado edella seconda classe della scuola secondaria di secondo grado. Per la terza classe siè tenuto conto della valutazione degli apprendimenti cui sono sottoposti gli studentiin occasione della Prova nazionale dell’esame di Stato del primo ciclo.le prove sono state costruite a partire dai quadri di riferimento elaborati dagruppi di esperti provenienti dal mondo della scuola e dell’università e sottoposte auna prova preliminare sul campo.invalsi fornisce la garanzia sull’attendibilità dei dati. l’utilità per la singolascuola di partecipare al progetto si fonda, infatti, sulla possibilità di poter effettuareconfronti con quanto accade negli altri istituti, al netto delle differenze di contesto edi altri fattori esterni all’attività della scuola stessa. È perciò fondamentale che cia-scun partecipante al progetto ritenga credibili e affidabili i dati complessivi con cuiconfrontare i propri. Per garantire questa affidabilità e credibilità, è stato predi-sposto un piano di verifica della somministrazione che prevede sia l’invio di osser-vatori in un campione di scuole per accertare la corretta applicazione del protocollodi somministrazione sia l’utilizzo di metodi statistici che permettono di individuarecomportamenti in contrasto con il corretto svolgimento della rilevazione.il MiUR ha richiesto espressamente che la misurazione degli apprendimentisia effettuata obbligatoriamente per tutti gli studenti delle classi individuate dalladirettiva n. 67/10. Perciò, tutte le seconde e quinte classi della scuola primaria, tuttele prime classi della scuola secondaria di primo grado e tutte le seconde classi dellascuola secondaria di secondo grado sono coinvolte nella rilevazione, ad eccezionedelle classi dei corsi serali e di quelle operanti nell’ambito dell’educazione degliadulti.Un elemento di novità rispetto all’edizione del SNV 2009-10 è rappresentatodall’estensione della rilevazione anche a tutte le seconde classi dei licei, degli isti-tuti tecnici e professionali pubblici, statali e non statali, operanti sul territorio na-zionale.iNVAlSi provvede anche a restituire alle istituzioni scolastiche che hanno par-tecipato all’indagine dell’a.s. 2009-10 i risultati, articolati domanda per domandacon riferimenti a livello regionale e a livello nazionale2.È, inoltre, in corso la preparazione delle prove al fine di provvedere alla valu-tazione dei livelli di apprendimento degli studenti a conclusione dei percorsi dellascuola secondaria superiore, utilizzando le prove scritte dei relativi esami di Statosecondo criteri e modalità che ne consentano la comparabilità a livello internazio-nale. 2 i risultati sono disponibili ai seguenti indirizzi:- http://www.invalsi.it/download/rapporti/snv2010/Rapporto_SNV_09_10.pdf;- http://www.invalsi.it/download/rapporti/es1_0910/Rapporto_Prova_nazionale_2009_2010.pdf. 88 il quadro emergente delinea un sistema di valutazione ad importanza semprecrescente; in tal modo, esso mira a più scopi:1. diffondere una cultura della valutazione “attendibile” presso le istituzioni scola-stiche, vista la limitatezza metodologica ed anche deontologica in tale ambito;2. rilevare e confrontare i livelli di apprendimento degli studenti allo scopo dimonitorare la “produttività” del sistema educativo;3. fornire ad ogni scuola uno strumento di diagnosi per migliorare il proprio lavo-ro;4. fornire al legislatore ed alle autorità scolastiche (ma anche agli enti locali oltreche ai vari stakeholder) indicazioni utili, al fine di delineare politiche educa-tive riferite alle effettive caratteristiche del sistema.la numerosità e rilevanza di tali scopi si spiega anche alla luce del grande ri-tardo che il nostro sistema educativo presenta rispetto alle esperienze di altri paesidi riferimento, sia nel contesto comunitario che all’esterno di questo.invalsi si trova di fronte, pertanto, una strada piuttosto impegnativa ed, inoltre,segnata da criticità impreviste, come la pratica dei “suggerimenti” degli insegnanti,una novità assoluta nell’ambito dei paesi ocse.Ma il punto di maggiore criticità è rappresentato dal progressivo passaggio delruolo di questo istituto dalla funzione di monitoraggio del sistema, alla funzione dimisurazione degli apprendimenti al fine della valutazione e, quindi, del voto conpeso significativo da apportare in pagella. Si tratta di un’evoluzione per certi versinecessaria, ma essa viene accelerata e resa più consistente sul piano istituzionale, indirezione di una forte accentuazione della funzione di agenzia di produzione diprove nazionali e di giudice dell’apprendimento degli studenti.in tal modo, entra a far parte del sistema in modo rilevante un’istituzione dedi-cata alla valutazione in senso stretto, con finalità non formativa né di incrementodella cultura valutativa presso gli insegnanti e le scuole, bensì di misurazione delleperformance degli allievi e di produzione dei voti. 2. IL LIBRETTO FORMATIVO DEL CITTADINO il decreto legislativo 226 del 2005, che detta le “norme generali ed i livelli es-senziali delle prestazioni sul secondo ciclo del sistema educativo di istruzione eformazione”, all’articolo 20 tratta specificatamente dei livelli essenziali della valu-tazione e certificazione delle competenze:«1. Le Regioni assicurano, quali livelli essenziali riferiti alla valutazione e certifi-cazione delle competenze:a) che gli apprendimenti e il comportamento degli studenti siano oggetto divalutazione collegiale e di certificazione, periodica e annuale, da parte deidocenti e degli esperti, di cui all’articolo 19; 89 b) che a tutti gli studenti iscritti ai percorsi sia rilasciata certificazione perio-dica e annuale delle competenze, che documenti il livello di raggiungi-mento degli obiettivi formativi;c) che, previo superamento di appositi esami, lo studente consegua la quali-fica di operatore professionale con riferimento alla relativa figura profes-sionale, a conclusione dei percorsi di durata triennale, ovvero il diplomaprofessionale di tecnico, a conclusione dei percorsi di durata almeno qua-driennale;c-bis) che, ai fini della continuità dei percorsi, di cui all’articolo 1, comma 13,il titolo conclusivo dei percorsi di istruzione e formazione tecnica superiore(IFTS) assuma la denominazione di “diploma professionale di tecnico su-periore”;d) che nelle commissioni per gli esami di cui alla lettera c) sia assicurata lapresenza dei docenti e degli esperti di cui all’articolo 19;e) che le competenze certificate siano registrate sul “libretto formativo delcittadino” di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n.276.2. Ai fini della valutazione annuale e dell’ammissione agli esami è necessaria lafrequenza di almeno tre quarti della durata del percorso».il libretto è uno strumento pensato per raccogliere, sintetizzare e documentarele diverse esperienze di apprendimento dei cittadini lavoratori, nonché le compe-tenze da essi comunque acquisite: nella scuola, nella formazione, nel lavoro, nellavita quotidiana. ciò al fine di migliorare la leggibilità e la spendibilità delle compe-tenze e l’occupabilità delle persone. il libretto Formativo è stato definito in unasede istituzionale nazionale (con il DEcRETo interministeriale del 10 ottobre2005) e viene gestito e rilasciato a cura delle Regioni e Province Autonome nel-l’ambito delle loro esclusive competenze in materia di formazione professionale ecertificazione delle competenze. Attualmente il libretto Formativo sarà introdottoin via sperimentale solo in alcune Regioni. Tale sperimentazione si è svolta nel-l’arco del 2006 con modalità di applicazione differenziate nelle singole Regioni,ma secondo un piano di lavoro comune e condiviso.il libretto Formativo rappresenta lo strumento chiave per la trasparenza del-l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita. i concetti di lifelong e lifewide lear-ning sottolineano la necessità, per gli individui, di potersi formare, valorizzare leproprie esperienze e apprendere in modo continuo esercitando i propri diritti di cit-tadinanza e di sviluppo professionale. oggi è, infatti, fondamentale saper utilizzaregli strumenti e i linguaggi della società dell’informazione, ma anche saper leggerela realtà, affrontare percorsi formativi e lavorativi differenziati, sapersi orientare emuovere nella vita e nel lavoro. in questo contesto il libretto formativo si ponecome strumento di documentazione trasparente e formalizzata di dati, informa-zioni, certificazioni, utilizzabile dall’individuo nel suo percorso di apprendimento,crescita e mobilità professionale. questa concezione del libretto è coerente con le 90 strategie e le azioni dell’Unione Europea finalizzate alla trasparenza delle compe-tenze e alla mobilità delle persone tanto che il libretto può essere considerato ilcorrispettivo italiano di EURoPASS. Se, infatti, Europass rappresenta il passaportodelle qualifiche e delle competenze che favorisce la “portabilità” delle stesse in Eu-ropa, il libretto rappresenta la carta d’identità per muoversi sia sul territorio nazio-nale, sia attraverso le diverse esperienze di apprendimento e lavoro. il libretto,inoltre, si pone in coerenza e sinergia con la Borsa continua del lavoro per favo-rire l’incontro domanda-offerta di lavoro. il libretto è, dunque, utile e fruibile dalmercato del lavoro e dal sistema dell’education, ma è primariamente uno strumentodi valorizzazione della persona, che volontariamente sceglie di utilizzarlo, nonchériconoscibile dalle istituzioni per la garanzia e la tutela dei soggetti.il libretto formativo, rappresenta, per la persona, uno strumento di comunica-zione che risponde a tre obiettivi principali:• fornire informazioni sul soggetto e sul suo curriculum di apprendimento for-male, non formale e informale, per la ricerca di un lavoro, per la mobilità pro-fessionale e per il passaggio da un sistema formativo all’altro;• rendere riconoscibili e trasparenti le competenze comunque acquisite e soste-nere in questo modo l’occupabilità e lo sviluppo professionale;• aiutare gli individui a mantenere la consapevolezza del proprio bagaglio cultu-rale e professionale anche al fine di orientare le scelte e i progetti futuri.Per il mercato del lavoro e per il sistema delle imprese, il libretto formativo,rappresenta uno strumento di informazione, finalizzato a:• evidenziare in modo omogeneo ed attendibile il percorso formativo e profes-sionale del soggetto, dando visibilità al patrimonio complessivo della personae ai suoi punti di forza;• facilitare la riconoscibilità di professionalità e competenze individuali all’in-terno di un percorso di inserimento (ad esempio, nei contratti di apprendistato)e mobilità lavorativa (ad esempio, nelle varie forme di contratto flessibile).Per le istituzioni locali e per il sistema dell’education (istruzione e formazioneprofessionale), il libretto formativo rappresenta uno strumento di garanzia finaliz-zato a:• formalizzare e definire standard minimi di un servizio utile alla concreta valo-rizzazione delle esperienze e competenze della singola persona espresse in unquadro sintetico in funzione di una loro migliore spendibilità;• garantire – anche in una dimensione europea – la trasparenza e la leggibilitàdelle informazioni e dei dati formativi e professionali della persona, anche at-traverso la condivisione di un linguaggio istituzionale delle competenze;• garantire la visibilità delle competenze e delle esperienze maturate dagli indi-vidui in una logica di mobilità geografica e professionale e di apprendimentosu tutto l’arco della vita. 91 Pur essendo utile ai diversi attori sociali, il libretto formativo si pone princi-palmente come uno strumento che ha carattere di servizio e di volontarietà per ilcittadino. in ragione di ciò, responsabile della manutenzione del libretto è essen-zialmente l’individuo che ne è titolare e che, con l’ausilio dei servizi di orienta-mento o formazione preposti, potrà gradualmente aggiornarlo, ampliarlo e miglio-rarlo.la previsione della realizzazione di un “libretto formativo” era già contenutain vari provvedimenti normativi nazionali (Accordo Stato-Regioni del 18 febbraio2000, DM 174/2001 sulla certificazione delle competenze). il D.lgs. 276/2003 at-tuativo della legge Biagi conferma e integra quanto previsto dai precedenti prov-vedimenti, avviando il percorso di definizione e condivisione socio-istituzionaledel libretto Formativo. Al termine di questo percorso il libretto Formativo del cit-tadino è stato approvato ufficialmente con il Decreto interministeriale del 10 ot-tobre 2005: “Approvazione del modello di libretto formativo del cittadino, ai sensidel decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, articolo 2, comma 1, lettera i”.in realtà, il percorso del libretto formativo del cittadino si è perso, a parte al-cuni richiami di legge che continuano a ricordarlo. Esso è stato da un lato messo inombra dal certificato Europass che viene più spesso citato direttamente ed alterna-tivamente a questo; inoltre l’accentuazione posta sul tema della certificazione degliapprendimenti ha in qualche modo soppiantato l’interesse per il libretto, che puremantiene una sua validità, specie per il fatto di richiedere, nell’ambito delle compe-tenze acquisite nei percorsi di studi, specifiche “evidenze documentali a supportodell’avvenuta acquisizione delle competenze descritte”, come previsto dal formatoche presentiamo di seguito. liBRETTo FoRMATiVoDEl ciTTADiNo RILASCIATO DA … (soggetto abilitato/autorizzato)NELLA REGIONE/PROVINCIA….. DATA DI PRIMO RILASCIO…….DATA DI ULTIMO AGGIORNAMENTO………… 92 SEZIONE 1 (*) Da ripetersi per ogni esperienza citata. 1. INFORMAZIONI PERSONALI Nome e cognome______________________________________________________codice Fiscale__________________________________Sesso___________________Data di nascita ____/____/____comune (o Stato estero) di nascita_______________________________________________________Provincia__________________________Nazionalità________________________comune di residenza_____________________________________cAP_________Provincia________indirizzo di residenza_________________________________________________________________comune di domicilio____________________________________cAP__________Provincia________indirizzo di domicilio_________________________________________________________________Numero di telefono cellulare__________________________________Numero di Telefono_________________________________________Numero di Fax_____________________________________________indirizzo di posta elettronica__________________________________ 2. ESPERIENZE LAVORATIVE / PROFESSIONALI (*) Tipologia contrattuale_________________________________________________________________ Data di inizio del rapporto di lavoro ____/____/____Data di cessazione del rapporto di lavoro ____/____/____ Mansione svolta (qualifica Sil)_________________________________________________________ Settore economico (codice iSTAT)______________________________________________________ Principali attività svolte___________________________________________________________________________________ Nome del datore di lavoro___________________________________________________________________________________ indirizzo del datore di lavoro___________________________________________________________________________________ 93 (*) Da ripetersi per ogni esperienza citata. (*) Da ripetersi per ogni esperienza citata. 3. TITOLI DI ISTRUZIONE E FORMAZIONE (*) Titolo di studio ______________________________________________________________________- se in apprendistato, indicare se:apprendistato per il diritto dovere apprendistato per l’alta formazione Anno di conseguimento_________________________Nome dell’istituto Scolastico/Ente/Università_______________________________________________Sede dell’istituto Scolastico/Ente/Università________________________________________________votazione conseguita (numeratore/denominatore) _____/_____ cum laude____ultimo anno frequentato (se abbandonato) __________anno di frequenza (se in corso) __________nr. esami sostenuti (se abbandonato o in corso) ________tirocinio/stage  Durata ____________________________ente/azienda ospitante__________________________________________________________________ 4. ESPERIENZE FORMATIVE (*) Titolo attività formativa________________________________________________________________- se ottenuto in apprendistato indicare:apprendistato per il diritto dovere apprendistato professionalizzante apprendistato per l’alta formazione - indicare se ottenuto in contratto di inserimento  Soggetto che ha erogato l’attività formativa________________________________________________ Sede soggetto erogatore (comune o stato estero)____________________________________________ concluso nel _________________________ durata (specificare se in ore/giorni/mesi)___________________________________________________ attestazione/certificazione rilasciata o validata dall’ente pubblico ______________________________ altre attestazioni_____________________________________________________________________ tirocinio/stage  Durata ____________________________ ente/azienda ospitante__________________________________________________________________ 94 (*)in casod icom peten zeacq uisite nell’a mbito diper corsi diapp rendim entof ormal e,spe cifica rel’a rticol azion einr elazio neall etipo logie dicom peten zein- dividu ateda ll’acc ordo inco nferen zaUn ificata del28 .10.20 04:c ompe tenze dibas e,co mpete nzete cnico -profe ssiona lietr asver sali.P erlec ompe tenze dibas ede- rivant idap ercors idiis truzio neef ormaz iones ifarà riferim entoa llear eeind ividua tedal l’Acc ordo inco nferen zaUn ificata del15 .01.04 :Area deili nguag gi,Ar ea tecno logica ,Area scient ifica, Area storic o-soc io-eco nomic a. SEZIO NE2 Comp etenz eacq uisite inpe rcors idia ppren dime nto Tipol ogia (*) Descr izione Cont estod iacq uisizi one Perio dodi acqui sizion eT ipod ievid enze docum ental i (inqu alepe rcors o/situ azion e (anno /iinc ui asup porto dell’a vvenu ta sono state svilup pate sono state svilup pate acqui sizion edell e lecom peten zeind icate) lecom peten zeind icate) comp etenz edes critte 95 3. CERTIFICAZIONE DELLE COMPETENZE NEL PRIMO CICLO DEGLI STUDI in italia il tema della certificazione delle competenze è comparso da diversotempo. Già il DPR n. 275/1999 e il decreto legislativo n. 59/2004 prevedevano lamessa a punto di modelli di certificazione delle competenze a conclusione del iciclo, attualmente ancora in fase sperimentale.la Direzione Generale per gli ordinamenti del Sistema Nazionale di istru-zione, con l’intento di supportare le singole scuole, ha promosso, sul territorio na-zionale, un lavoro cooperativo tra scuole con esperienze di rilievo. ciò ha consen-tito la raccolta di esperienze pregresse e la produzione di nuovi materiali, anchealla luce della recente documentazione nazionale ed europea di riferimento.Allo scopo di aprire a tutte le scuole la riflessione finora svolta, è stato predi-sposto un ambiente Wiki, in cui le scuole possono accedere alle informazioni, pub-blicare le proprie riflessioni e materiali, confrontarsi e collaborare online3.la piattaforma Wiki, che si avvale delle potenzialità del Web 2.0 (interattivitàe produzione in rete), contiene la documentazione di riferimento, contributi diesperti sul tema, riflessioni, percorsi, materiali elaborati dalle scuole, prodotti dellavoro di gruppi disciplinari nel corso di un seminario dedicato, esempi di schemicertificativi proposti dalle scuole.Per le azioni da intraprendere in applicazione della circ. n. 32 del 14 marzo2008 - art. 6 e delle Misure di accompagnamento contenute nella circolare n. 54 del26 maggio 2008 su questo sito le scuole possono trarre spunti, consultare la docu-mentazione di riferimento e gli schemi del documento complessivo di certifica-zione.la riflessione che ha accompagnato il lavoro delle scuole è stata sintetizzatadal Gruppo Tecnico di esperti che ha coordinato l’iniziativa nel documento di sin-tesi pubblicato sul sito sopra citato. con l’occasione se ne ripropongono i passaggiritenuti rilevanti con alcune integrazioni relative agli impegni delle scuole per laconclusione dell’anno scolastico.È necessario distinguere la certificazione dalla valutazione dei risultati.la valutazione è l’espressione di un giudizio che si fonda su elementi fornitidal processo di verifica, la quale, a sua volta, si fonda sugli esiti delle diverse misu-razioni. la valutazione, pertanto, rappresenta l’esito di un itinerario complesso pro-posto dai docenti nel consiglio di classe e dei risultati raggiunti dagli allievi. lacertificazione di una competenza, invece, è la rappresentazione di un saper fare in-tenzionale ed efficace raggiunto dall’allievo che viene descritto in relazione al con-testo di uso in cui è espressa. 3 Per consultare esemplificazioni di schemi utili per la valutazione e per la certificazione di com-petenze d’ambito, si rimanda al sito www.wikicompetenze.it alla voce “contributi esperti” e “ProdottiFiuggi”, per consultare schemi del documento complessivo di certificazione alla voce www.wikicom-petenze.it/6.ESEMPi. 96 Si assume in questa sede che le rappresentazioni di competenza corrispondonoad articolazioni graduali delle competenze stesse; ad esempio, si possono descri-vere competenze elementari esibite in situazioni quotidiane o competenze progres-sivamente più articolate che si riferiscono a contesti la cui complessità richiedel’uso di diverse abilità e conoscenze.la certificazione delle competenze, così proposta, costituisce un documentointegrativo del diploma.Si possono raggiungere esiti di valutazione che non si traducono in certifica-zioni specifiche di competenze. l’assenza di una certificazione, poiché corrispondesoltanto al non raggiungimento di una competenza di livello accettabile, non pre-giudica l’acquisizione del titolo di diploma ed il superamento degli esami.Nella prospettiva della continuità con il biennio della scuola secondaria di se-condo grado, la certificazione delle competenze alla fine del primo ciclo deve es-sere ancorata agli assi culturali che costituiscono il tessuto fondamentale per il con-seguimento delle competenze chiave di cittadinanza previste dal Regolamento del-l’obbligo di istruzione.con riferimento alle misure d’accompagnamento delineate nella c.M. 54 del26 maggio 2008 si rappresenta la necessità che le scuole centrino la propria atten-zione certificativa in primo luogo sulle discipline che rappresentano il core curri-culum individuato a livello europeo e, con riferimento all’italiano e alla matema-tica, testate nella prova scritta a carattere nazionale. Senza il sicuro possesso di talicompetenze anche le successive acquisizioni culturali rischiano di non avere il fon-damento indispensabile per consolidarsi.È necessario, inoltre, garantire l’equilibrio e la correlazione tra conoscenze,abilità e competenze. ciò al fine d’evitare il passaggio da una pratica didatticaorientata alla semplice riproduzione delle conoscenze ad una indicazione genericadi competenze non sostanziata dai necessari presupposti di conoscenze ed abilità.in base alle problematiche esposte nelle relazioni dei Presidenti delle commis-sioni d’esame 2007 e negli incontri con i Dirigenti Scolastici nel 2008, si è sugge-rito il ricorso ad un documento certificativo unico, ma articolato in due parti.1) la prima è firmata dal Dirigente Scolastico, al termine dello scrutinio d’am-missione all’esame, con la certificazione dei livelli di competenza raggiuntidall’allievo e rilevati dal consiglio di classe (ai sensi della legge n. 53/2003,art. 3, comma a).2) la seconda è firmata dal Presidente della commissione che acquisisce la docu-mentazione valutativa e certificativa del consiglio di classe, attesta gli esiti del-l’esame ed evidenzia ulteriori specifiche competenze emerse in situazione d’e-same (ai sensi della legge n. 53/2003, art. 3, comma c).Pare prefigurabile, quindi, la definizione da parte del consiglio di classe dellamappa completa degli apprendimenti attesi con riferimento ai vari ambiti discipli-nari (da inserire nella relazione finale), sulla base della quale ritagliare gli ele- 97 menti informativi di valutazione da inserire nella scheda individuale di valuta-zione.l’attestato delle competenze, espresso nel documento integrativo del diploma,costituisce, pertanto, un valore aggiunto rispetto alla valutazione individuale. 4. L’EQUIVOCO DEI VOTI in italia il MiUR ha posto l’accento sulla valutazione in chiave di monito-raggio (del sistema, della scuola, del singolo alunno), ma senza un’elaborazionedella stessa in chiave formativa. in questo quadro, non ha assolutamente affrontatoil tema dei compiti e, quindi, non si è posto la questione della differenza tra proce-dure esecutive e strategie di soluzione di problemi reali. inoltre, non è stata affron-tata la questione del rapporto tra valutare e dare voti, tranne che con una disposi-zione paradossale, l’art. 2 della l.169 (ex Decreto 137), che dispone, per la scuolaprimaria e secondaria di primo grado, di effettuare la valutazione periodica ed an-nuale degli apprendimenti degli alunni e la certificazione delle competenze da essiacquisite mediante l’attribuzione di voti numerici espressi in decimi. Un vero eproprio ossimoro: certificazione tramite voti equivale a dire “luce oscura”. Tuttociò senza chiarire quali prestazioni, ed a che livelli e gradi corrispondono tali voti.quindi una disposizione amministrativa, piuttosto che formativa, che contraddicequanto stabilito nell’obbligo di istruzione. questa valenza amministrativa motivaanche l’assoluta mancanza di riferimento al coinvolgimento degli studenti nelle at-tività valutative.A ragione, viene affermato che «con la l.169 arriva a conclusione un percorso,iniziato da Berlinguer, di arretramento rispetto alla “scheda di valutazione” inaugu-rata con la l.517 e siamo risospinti all’indietro agli anni 70 et antea»4. 5. CERTIFICAZIONE DELLE COMPETENZE PER L’OBBLIGO DI ISTRUZIONE Un punto rilevante in tema di certificazione delle competenze è costituito dal-l’obbligo di istruzione5.circa la sua natura, viene affermato che l’obbligo di istruzione indica “unabase comune”, alla quale si riferiscono gli ordinamenti del primo e del secondociclo, necessaria a tutti gli studenti per proseguire con successo gli studi, costruireil proprio progetto personale e professionale, per svolgere un ruolo attivo nella so-cietà. Si tratta di un’affermazione impegnativa, che, peraltro, non ha ancora trovato 4 http://www.edscuola.it/archivio/ped/dopo_la_legge_169.htm5 Allegato 1 al Regolamento n. 139 del 22 agosto 2007. 98 riscontro nei vari modelli di certificazione del primo ciclo e della secondaria diprimo grado.circa l’obbligo di istruzione, si afferma che la sua certificazione “è uno stru-mento utile per sostenere e orientare gli studenti nel loro percorso di apprendi-mento sino al conseguimento di un titolo di studio o, almeno, di una qualifica pro-fessionale di durata triennale entro il diciottesimo anno di età”. il modello adottatoè strutturato in modo da rendere sintetica e trasparente la descrizione delle compe-tenze di base acquisite a conclusione del primo biennio della scuola secondaria su-periore, con riferimento agli assi culturali che caratterizzano l’obbligo di istruzione(dei linguaggi; matematico; scientifico-tecnologico e storico-sociale), entro ilquadro di riferimento rappresentato dalle competenze chiave di cittadinanza, inlinea con le indicazioni dell’Unione europea, con particolare riferimento al quadroEuropeo dei titoli e delle qualifiche (EqF).la valutazione delle competenze da certificare in esito all’obbligo di istru-zione, «è espressione dell’autonomia professionale propria della funzione docente,nella sua dimensione sia individuale che collegiale, nonché dell’autonomia didat-tica delle istituzioni scolastiche» (articolo 1, comma 2, del D.P.R. 22 giugno 2009,n. 122) ed è effettuata dai consigli di classe per tutte le competenze elencate nelmodello di certificato, allo scopo di garantirne la confrontabilità.il modello adottato costituisce una prima risposta alle esigenze di trasparenza ecomparabilità dei risultati conseguiti dagli studenti, a seguito della valutazione con-dotta collegialmente dai consigli di classe sulla base delle proposte dei singoli inse-gnanti e dei risultati di misurazioni valide e affidabili.È interessante il punto in cui si afferma che, “allo scopo di evitare l’automaticacorrispondenza tra livelli di competenza e voti numerici, i consigli di classe ren-dono coerenti, nella loro autonomia, i risultati delle predette valutazioni con la va-lutazione finale espressa in decimi di cui all’articolo 1, comma 3, del decreto mini-steriale n. 9/2010 soprarichiamato”.il modello di certificato, che è unico sul territorio nazionale, contiene la schedariguardante competenze di base e relativi livelli raggiunti dallo studente in rela-zione agli assi culturali, con riferimento alle competenze chiave di cittadinanza.la definizione per livelli di competenza è parametrata secondo la scala, indi-cata nel certificato stesso, che si articola in tre livelli: base, intermedio, avanzato.Ai fini della compilazione delle singole voci del modello di certificato, si precisache il raggiungimento delle competenze di base va riferito a più discipline o ambitidisciplinari. questo è un punto decisivo, poiché rende chiara la non sovrapponibi-lità di voti e giudizi relativi alle competenze. inoltre, si definisce il “non raggiungi-mento” che richiede una motivazione da riportare nel verbale del consiglio diclasse, nel quale sono anche indicate le misure proposte per sostenere lo studentenel successivo percorso di apprendimento. 99 100 101 Manca nel certificato dell’obbligo di istruzione – ed è una lacuna decisamenterilevante – l’articolazione delle competenze in evidenze, così come ad esempio fa ilMinistero francese in tema di libretto, per il quale la struttura linguistica della com-petenza prevede tre segmenti:• La competenza: (per esempio, la competenza 1 = la padronanza della linguafrancese).• Il campo: per esempio, nella competenza 1 (padronanza della lingua francese)sono campi leggere, scrivere, parlare ecc.• L’item: rappresenta la declinazione di un campo; per esempio, per il campoleggere, adattare il modo di leggere alla natura del testo proposto e all’obiet-tivo da conseguire, estrapolare per iscritto o oralmente l’essenziale di un testoletto …Nell’ambito dei materiali di supporto, il Ministero dell’Educazione propone un“Vocabolario comune per la redazione della certificazione dello zoccolo”, struttu-rato per campi e item, che rappresenta il punto di riferimento essenziale, ed obbli-gatorio, per ogni scuola nel definire le competenze da formare, valutare e, quindi,certificare.Si propone un esempio legato alla competenza 1 riferita alla padronanza dellalingua francese: COMPETENZA 1 - LA PADRONANZA DELLA LINGUA FRANCESECampo 1: LEGGEREAdattare il proprio modo di leggere alla natura del testo proposto e all’obiettivo prefissato.Utilizzare le proprie capacità di ragionamento, le proprie conoscenze della lingua, sapersi rife-rire a degli strumenti appropriati per leggere meglio.iTEM Estrapolare, per iscritto o oralmente, l’essenziale da un testo letto.comprendere un testo a partire dai suoi elementi espliciti e dagli elementi impliciti necessari.Manifestare la propria comprensione di testi diversi con vari mezzi.Campo 2: SCRIVERERiprodurre un documento senza errori con una presentazione adeguata.Scrivere in modo leggibile un testo, dettato o spontaneo rispettando l’ortografia e la gramma-tica.iTEM Redigere un testo breve, coerente e punteggiato, in risposta ad una domanda o a partire daconsegne date.Utilizzare le proprie capacità di ragionamento, le proprie conoscenze della lingua, sapersi rife-rire a strumenti vari per migliorare il proprio testo.Campo 3: PARLARERiprodurre un discorso, rendere conto di un lavoro a un pubblico designato.Sviluppare una data argomentazione davanti a un pubblico.iTEM Adeguare le proprie parole alla situazione comunicativa.Partecipare a un dibattito, a uno scambio verbale. 102 l’attestato delle conoscenze e competenze dello zoccolo comune al grado 3 siarticola in 7 competenze che comprendono 26 campi divisi a loro volta in centinaiadi item.il libretto personale delle competenze include anche i seguenti attestati certifi-cativi rilasciati durante la scolarità obbligatoria:– attestati scolastici della sicurezza stradale di 1° e 2° livello;– attestato di “Prevenzione e soccorso civici di livello 1”;questi attestati non sono indispensabili per il diploma di licenza media.Mentre in Francia esiste un vocabolario comune, ben strutturato, in italia lecompetenze consistono in enunciati generali con scarsa capacità di indicare le pre-stazioni e le loro caratteristiche. in questo modo, ne risulta un vuoto di riferimentiper le scuole, da cui il pericolo del “fai da te”, ma soprattutto del gattopardismo,che in sostanza fa coincidere le prestazioni con le verifiche tradizionali (compitiscritti, interrogazioni e test) e, quindi, con i voti, togliendo in tal modo ogni valorealla certificazione. 103 Le Regioni le Regioni e le Province autonome, nell’ambito della loro competenza esclu-siva in materia di istruzione e formazione professionale, gestiscono gli esami di va-lutazione finale dei percorsi di qualifica e di diploma quadriennale e ne rilasciano ititoli. in forza di questo, esse da un lato fissano i requisiti ed i formati per la pre-sentazione dei candidati e, nel contempo, possono riconoscere acquisizioni infor-mali e non formali attribuendo ad esse il valore di credito formativo in funzionedell’accesso a tali prove.occorre riconoscere che i comportamenti delle Regioni e Province autonomesono molto differenziati e riflettono impostazioni che si pongono, da un lato tra l’e-stremo della “prova di qualifica” tradizionale, centrata essenzialmente sulla provaprofessionale e su una “infarinatura di cultura generale, e dall’altro sul crinale deimodelli focalizzati sulle competenze e su un impianto più conforme all’imposta-zione europea in materia.Dal punto di vista dell’approccio, tali istituzioni si muovono entro tre modelligenerali di certificazione.Nell’ambito della valutazione (e, quindi, della certificazione) delle compe-tenze, non si riscontra la presenza di un solo approccio; tre paiono essere le tipo-logie di modelli disponibili:1. Unità formative capitalizzabili (Ufc) o modello compositivo.2. Prove standard di valutazione (modello accertativo).3. linee guida e rubriche (modello costruttivista e collaborativo). 1) Unità formative capitalizzabili o modello compositivo1Come si persegue l’attendibilità della valutazionel’attendibilità si fonda sulla corrispondenza tra traguardi per competenze e crediti formativi riferiti atutti i compiti su cui è stata scomposta ogni competenza e verificati tramite prove a corredo dei repertoridi competenze per Ufc.Metodologia utilizzatala competenza viene scomposta in un certo numero di unità, ognuna delle quali è strutturata con un percor-so ed una prova standard. ogni unità corrisponde ad un compito tipico posto nel campo della competenza.Compiti dell’autorità pubblica e dei soggetti valutativil’autorità pubblica emana indicazioni su traguardi, standard e certificazioni, corredate da repertori dicompetenze e dizionari di unità formative capitalizzabili ognuna corredata da strumenti didattici e provedi valutazione. 1 iTAliA FoRMA, Costruire Unità formative capitalizzabili (U.F.C.), http://www.certiskills.net/Vproduct/cD1/it/doc/modello/costruire-UFc.pdf 104 Commenti sul modelloPropone un meccanismo rigido, dà sicurezza agli operatori ed alle autorità del sistema, ma produce mec-canicismo (la competenza è in sostanza una somma di parti, una sorta di neo-taylorismo) e scarsa valo-rizzazione del contesto. il candidato si trova di fronte ad un percorso obbligato centrato sulla rigida se-quenza di compiti che deve necessariamente seguire per poter giungere alla certificazione. 2) Prove standard di valutazione o modello accertativo2Come si persegue l’attendibilità della valutazionel’attendibilità si fonda sulla rigorosità delle prove-capolavori strutturate, definite in forma standard (ga-rantendo il loro carattere complesso), riferite a tutte le competenze traguardo e distribuite lungo tutto ilpercorso formativo.Metodologia utilizzataPer ogni competenza viene elaborata una prova-capolavoro, in grado di sollecitare nella persona la mo-bilitazione delle risorse necessarie alla formulazione del giudizio di padronanza. Tale prova è costruitacome compito-problema e conduce ad un prodotto significativo e valido. la valutazione si svolge sullabase di rubriche specifiche e di griglie fornite dal soggetto regolatore del sistema, spesso presente con unrappresentante nella commissione di valutazione.Compiti dell’autorità pubblica e dei soggetti valutativil’autorità pubblica emana indicazioni su traguardi, standard e certificazioni con repertori di competenzecorredati da prove standard che si rinnovano di volta in volta, istituisce inoltre un soggetto tecnico rego-latore del sistema di valutazione.Commenti sul modelloquesto modello propone un meccanismo flessibile, consente autonomia alle istituzioni erogative, di-stingue tra apprendimento e valutazione, nella sua forma più compiuta prevede una struttura per sessioniplurime lungo l’anno che consentono ai candidati di procedere in avanti quando sia stata accertata la lorocompetenza e di poter ripetere le prove di valutazione entro scadenze ravvicinate.Richiede agli operatori un impegno maggiore rispetto al modello delle Ufc. È compatibile col modellodelle linee guida e rubriche (c). 3) Linee guida e rubriche o modello costruttivista e collaborativo3Come si persegue l’attendibilità della valutazionel’attendibilità si fonda su un’intesa tra soggetti della rete (intesa centrata su linguaggio e procedure) ingrado di assicurare la coerenza tra pluralità dei percorsi (contestuali) e rigorosità delle valutazioni, sullabase di riferimenti standard condivisi (indicatori, livelli e gradi).Metodologia utilizzataPer ogni competenza viene elaborata una rubrica che ne articola gli indicatori (evidenze concrete, osser-vabili e valutabili) e che propone i comportamenti tipici per ogni livello standard (EqF), mentre i gradidi padronanza sono definiti tramite una rubrica olistica, valida per tutte le competenze.le istituzioni erogative – unite da patti di rete – hanno il compito di elaborare griglie che consentano dicogliere tutti i fattori in gioco e procedere ad un giudizio attendibile.Compiti dell’autorità pubblica e dei soggetti valutativil’autorità pubblica emana indicazioni su traguardi e regole/formati per la certificazione. Standard e li-velli/gradi vengono definiti dalle reti di organismi formativi, sulla base di linee guida, formazione e cer-tificazione/abilitazione degli operatori. 2 iNVAlSi, Quadro di Riferimento (QdR) per le prove di valutazione, http://www.invalsi.it/snv0809/index.php?action=documentazione3 GRUPPo NAzioNAlE PER lA qUAliTà DEllA iSTRUzioNE E FoRMAzioNE PRoFESSioNAlE, Lineaguida per i percorsi di istruzione e formazione professionale, paper, Roma, ottobre 2008. 105 Commenti sul modelloMeccanismo molto flessibile che consente di valorizzare al meglio le opportunità contestuali, di perso-nalizzare i percorsi, di dare consistenza reale ai prodotti e di attivare processi di conquista piuttosto chedi mera riproduzione della conoscenza, fornendo quindi un’opportunità di vera collaborazione con lepersone coinvolte.Richiede maggiore competenza e deontologia professionale negli operatori. È compatibile col modellodelle prove standard (2). Presentiamo ora alcuni casi regionali che presentano modelli generalmente ditipo misto: l’Emilia Romagna indica un incrocio tra l’approccio per Ufc e quelloper evidenze riferite a rubriche; il Veneto ha dato vita ad un progetto di sistemadelle competenze tramite il coinvolgimento di tutti gli attori scolastici, formativi,associativi; il Piemonte ha elaborato un proprio modello notevolmente complesso,che si muove nell’incrocio tra Ufc e prove di valutazione strutturate; infine, la To-scana sposa decisamente il modello frammentario per Ufc. 1. EMILIA ROMAGNA 1.1. Il sistema regionale di formalizzazione e certificazione delle competenzeil Sistema Regionale di Formalizzazione e certificazione delle competenze(SRFc) adottato in Emilia Romagna riguarda le competenze riferibili al SistemaRegionale delle qualifiche. Esso:• assume e traduce in concreto quanto sancito dalla l.R. 12/03, e rispetto aquesto, per migliorare le linee di miglioramento del sistema, prevede il coin-volgimento delle Parti Sociali e delle Province;• si pone in continuità con quanto definito dalla Regione nell’ambito del SistemaRegionale delle qualifiche e degli Standard formativi;• tiene conto dell’assetto normativo nazionale e degli orientamenti comunitari;• costituisce un’elaborazione originale della Regione fondata sulle esperienzesvolte nel territorio regionale, sulle indicazioni espresse dalle Parti Sociali esul confronto svolto con i soggetti del sistema formativo.il SRFc si colloca in un quadro normativo e regolamentare regionale, nazio-nale e comunitario, di cui assume vincoli e orientamenti. Esso persegue finalità de-lineate a partire, oltre che dai riferimenti normativi, dagli orientamenti in propositodefiniti e condivisi. Gli oggetti su cui si focalizza costituiscono il primo ambito diconcretizzazione di tali orientamenti. 1.2. Obiettivi e orientamentila formalizzazione e certificazione delle competenze ne consente il loro rico-noscimento: 106 – nel sistema dell’istruzione-formazione professionale come crediti formativi, inbase a disposizioni o eventuali accordi che saranno sviluppati tra le compo-nenti del sistema;– nel mondo del lavoro “… secondo gli orientamenti e le scelte che le parti, nel-l’esercizio della loro autonomia, intenderanno effettuare” (D.G. 936/2004).la formalizzazione e certificazione delle competenze facilita la costruzione dipercorsi di sviluppo professionale che le persone, individualmente o con il supportodi appositi servizi, possono definire a partire dalla messa in trasparenza delle com-petenze possedute e dal confronto tra queste competenze e gli standard del SistemaRegionale delle qualifiche di riferimento (Repertorio delle qualifiche e relativeUnità di competenza).la certificazione delle competenze costituisce un diritto delle persone, comedefinito dalla l.R. 12/03 e come più volte esplicitato dagli orientamenti comunitari.la realtà emiliano-romagnola è caratterizzata da una diffusa partecipazione dipersone (e tra queste, di adulti) a percorsi formativi, così come sollecitato dagliorientamenti europei alla Long life learning e da una elevata qualità del sistemaproduttivo, che chiede e produce competenze professionali distintive.in tale quadro si pone la necessità di attuare dispositivi che mettano in traspa-renza le competenze e ne attestino l’effettivo possesso da parte delle persone, se-condo procedure rigorose, trasparenti, condivise.la formalizzazione e certificazione delle competenze è rilevante per coloroche partecipano a percorsi formativi, alla conclusione dei quali possono riceveredocumenti che riportano le competenze apprese.È, inoltre, rilevante per coloro che, sul mercato del lavoro, presentano fisio-nomie professionali ed esperienziali differenti e che possono veder valorizzate lecompetenze acquisite attraverso i diversi e individuali percorsi lavorativi e/o infor-mali e/o di apprendimento formale.il processo di formalizzazione e certificazione delle competenze ha in esito ilconferimento di documenti formali e, come sopra indicato, riguarda un numeroampio e crescente di persone.Per assicurare che quanto in esito al processo attesti l’effettivo possesso dicompetenze da parte delle persone, conferendo, così, a ciascuno un documento va-lido, è necessario che il processo sia realizzato in modo rigoroso in ogni sua parte eche i soggetti attuatori del processo, definiti e regolati dalla Regione, siano in gradodi assicurare correttezza e competenza.inoltre, per garantire l’esercizio effettivo del diritto da parte di un numeroampio e crescente di persone, è necessario che il processo preveda possibilità di ac-compagnamento delle persone alla costruzione del percorso che porta all’acquisi-zione dei documenti rilasciati e che i soggetti operino con attenzione al singolo,alle sue condizioni e alle sue richieste.la struttura del processo di Formalizzazione e certificazione delle competenze 107 e i soggetti che ne assicurano l’attuazione sono definiti in funzione degli orienta-menti sopra indicati. 1.3. Gli oggetti della formalizzazione e della certificazioneoggetto della “Formalizzazione” e della “certificazione” sono le competenzecomunque acquisite dalle persone.le competenze comunque acquisite comprendono sia le competenze appresein percorsi formativi, sia le competenze apprese in percorsi professionali, attraversol’esperienza maturata in contesti lavorativi e/o informali e/o in situazioni di appren-dimento formale.la Formalizzazione e certificazione delle competenze si effettua in riferi-mento a Standard professionali: le competenze oggetto di questo processo sonopertanto rilevate, misurate e valutate rispetto a quelle presenti nel repertorio del Si-stema regionale delle qualifiche.Gli standard professionali sono aggiornati periodicamente secondo i criteri e lemodalità previste nella procedura sorgente del Sistema regionale delle qualifiche(SRq).Nel caso in cui le competenze corrispondano ad una o più Uc o all’insiemedelle Uc che compongono una qualifica, alla persona viene rilasciato un Certifi-cato di Unità di competenza o una Qualifica; nel caso, invece, in cui le competenzecorrispondano parzialmente ad una o più Uc, alla persona viene rilasciata unaScheda conoscenze e capacità.il processo di Formalizzazione e certificazione delle competenze interessa:• persone iscritte e che hanno partecipato ad un percorso formativo che preveda,in esito, il rilascio di un documento di formalizzazione e certificazione;• persone con esperienza maturata in contesti lavorativi e/o informali e/o con at-testazioni conseguite in situazioni di apprendimento formale, interessate ad ot-tenere un documento di formalizzazione e certificazione. 1.4. I soggetti impegnati nell’attuazionela Regione, a fronte della configurazione che assumerà la domanda di forma-lizzazione e certificazione delle competenze e che sarà rilevata da un apposito mo-nitoraggio, definirà, in accordo con le parti sociali, il profilo del sistema di attua-zione ed autorizzerà i soggetti a farne parte purché in possesso dei requisiti definiti.l’attuazione del processo precedentemente descritto è attribuita, in prima ap-plicazione, ai soggetti accreditati del sistema formativo, titolati per legge (l.R.12/03) a svolgere questa funzione e investiti istituzionalmente del compito di pro-durre saperi professionali.in raccordo con le Amministrazioni provinciali potranno essere valutate inizia-tive di attivazione del processo di formalizzazione delle competenze presso i ser-vizi per l’impiego, in risposta a specifiche richieste di cittadini. 108 Possono gestire il processo anche enti non accreditati che abbiano sviluppatoun’attività formativa correlata agli standard del SRq ed ottenuto dalla Regione odalle Province una specifica autorizzazione alla “formalizzazione e certificazionedelle competenze” in esito a tale attività (l.R. 12/03, art. 34).i Soggetti accreditati rappresentano, nel territorio, luoghi conosciuti, identifi-cati con tipologie di formazione o di competenze, strutturalmente in grado di ope-rare in logica di servizio. inoltre, per le persone che provengono da percorsi forma-tivi, sono soggetti in grado di assicurare rapidità e semplicità di accesso e fruizionedella certificazione.questi enti, che svolgono attività formative finalizzate al conferimento di certi-ficati (competenze o qualifica) realizzano, oltre a queste attività, le seguenti fasi:accoglimento della richiesta; formalizzazione delle conoscenze e delle capacità;certificazione delle competenze. Realizzano, inoltre, le attività di consulenza indi-viduale necessarie a supportare le persone, in particolare quelle che vengono dalmondo del lavoro, nella costruzione del percorso che porta alla formalizzazione ealla certificazione delle competenze.la realizzazione del processo di Formalizzazione e certificazione delle compe-tenze è affidata a due diversi ruoli, distinti per funzioni, competenze, responsabilità.il ruolo che rappresenta il riferimento procedurale e organizzativo per l’attuazio-ne dell’intero processo è rappresentato dal Responsabile della formalizzazione e cer-tificazione delle competenze. Già previsto dall’attuale sistema di accreditamento, ha laresponsabilità di assicurare che l’intero processo venga realizzato nel rispetto delleprocedure previste e con attenzione alle esigenze e alle caratteristiche delle persone.il Responsabile della formalizzazione e certificazione delle competenze possie-de competenze tecnico-professionali relative alla gestione del processo, alla relazio-ne con l’utente, alle norme e alle procedure amministrative pertinenti. le sue com-petenze sono definite secondo gli standard del SRq e coerentemente certificate. isoggetti formativi nominano il proprio Responsabile e lo comunicano alla Regioneche lo inserisce in uno specifico elenco regionale. la presenza del Responsabile co-stituisce requisito per l’autorizzazione da parte della Regione allo svolgimento delleattività previste dal processo di Formalizzazione e certificazione delle competenze.Gli esperti che effettuano la valutazione delle competenze sono di due tipi:• un primo tipo di esperti si caratterizza per possedere competenze riferibili adaree professionali (ed eventualmente a specifiche qualifiche) maturate nel si-stema del lavoro o delle professioni;• un secondo tipo di esperti è costituito da persone che possiedono competenzeriferibili ai processi valutativi. Si tratta di esperti che hanno maturato le com-petenze nell’ambito del sistema formativo e operano, di norma, presso il centroche gestisce il processo di formalizzazione e certificazione delle competenze.l’esperto di processi valutativi effettua l’accertamento tramite evidenze per cuisi avvarrà, se necessario, del supporto di un esperto di area professionale. 109 Una commissione composta di esperti di area professionale/qualifica e di unesperto di processi valutativi effettua l’accertamento tramite esame.Gli esperti svolgono una funzione per conto della Regione e sono responsabilidella corretta applicazione delle procedure previste per l’accertamento tramite evi-denze e l’accertamento tramite esame.in riferimento al SRFc la Regione svolge una funzione di indirizzo, regola-zione, monitoraggio e supporto all’applicazione del sistema.la Regione indirizza il sistema, nel senso che ne definisce le caratteristiche emodalità di funzionamento.Regola il sistema, autorizzando gli enti allo svolgimento delle attività, stabi-lendo i criteri per la costituzione degli elenchi regionali dei componenti delle com-missioni, gli standard di riferimento e le modalità della sua alimentazione (Reper-torio Uc RER), il format minimo di alcuni strumenti utilizzati nel processo di cer-tificazione e le relative modalità di revisione, il format dei documenti rilasciati e lerelative modalità di revisione.Monitora il funzionamento del sistema e in particolare effettua statistiche sulfunzionamento del sistema, realizza audit periodici, realizza controlli a campione,acquisisce reclami inerenti disfunzioni, assume provvedimenti finalizzati a garan-tire la correttezza.Supporta l’applicazione del sistema mediante lo sviluppo di azioni finalizzateall’apprendimento di una cultura regionale condivisa sulla certificazione e inizia-tive finalizzate alla qualificazione di alcune figure-chiave del sistema (Responsabilidella formalizzazione e certificazione, esperti).la Regione, inoltre, assicura la registrazione, archiviazione e riproducibilitàdelle informazioni rilevanti ai fini di utilizzo da parte del cittadino delle schede edei certificati rilasciati.in fase di prima applicazione le funzioni sopra indicate sono svolte dalla Re-gione; successivamente, specifiche funzioni potranno essere delegate alle Provincesecondo quanto verrà a proposito stabilito.il SRFc prevede due forme di accertamento, che prevedono attività e risultatidifferenti: l’accertamento tramite evidenze e l’accertamento tramite esame. 1.5. L’accertamento tramite evidenzele evidenze sono delle prove di conoscenza e capacità esercitate, rapportabiliagli standard del SRq. Esse si connotano in modo diverso a seconda che siano stateacquisite in esito ai percorsi formativi oppure attraverso l’esperienza (maturata incontesti lavorativi e/o informali e/o con attestazioni rilasciate in esito a percorsi diapprendimento formali).l’accertamento tramite evidenze è una fase del processo di formalizzazione ecertificazione delle competenze propedeutica alla formalizzazione delle compe-tenze su scheda ed all’accertamento tramite esame.Si tratta di una fase che, indipendentemente dal fatto che riguardi persone che 110 provengano da un percorso formativo di cui vanno accertate le competenze in esitooppure persone di cui vanno accertate le competenze acquisite attraverso espe-rienza maturata in contesti lavorativi e/o informali e/o attestazioni conseguite in si-tuazioni di apprendimento formale, è sempre presente nel processo.Ai fini dell’accertamento le evidenze vengono riportate in un dossier delle evi-denze da percorso formativo, prodotto dal soggetto gestore dell’intervento utiliz-zando un apposito format allo scopo predisposto; nel dossier sono indicate le evi-denze rapportabili agli standard previsti dal SRq (prove di verifica che permettonodi apprezzare gli apprendimenti previsti in esito al modulo o unità formativa messein diretta relazione con gli standard di riferimento del percorso formativo costituitidal SRq).il dossier delle evidenze da esperienza è prodotto dalla persona interessata allaformalizzazione e certificazione delle competenze con il supporto previsto nellafase di consulenza individuale; nel dossier, anche in questo caso avente un formatappositamente predisposto, sono indicate le evidenze rapportabili agli standard pre-visti dal SRq rispetto a cui è richiesta la formalizzazione e certificazione dellecompetenze. 1.6. L’accertamento tramite esamel’accertamento delle competenze tramite esame è affidato ad una commissioneappositamente costituita. la commissione è la stessa sia nel caso di certificazionedi competenze acquisite in esito ai percorsi formativi, sia di competenze altrimentiacquisite attraverso esperienza maturata in contesti lavorativi e/o informali e/o atte-stazioni conseguite in situazioni di apprendimento formale.inoltre, ha la stessa configurazione e segue le stesse regole di funzionamentosia che accerti tramite esame le competenze riferite a singole Uc, sia che accertiquelle riferite a qualifiche.la commissione è composta da tre commissari, di cui due esterni ed uno in-terno all’ente autorizzato. i componenti della commissione sono nominati dal Re-sponsabile della formalizzazione e certificazione delle competenze dell’ente auto-rizzato. i commissari esterni, aventi competenze riferibili ad aree professionali/qua-lifiche, sono individuati secondo una procedura trasparente all’interno di un elencoregionale appositamente costituito e decretato.il commissario interno, avente competenze relative ai processi valutativi, è in-dividuato tra le risorse dell’ente.l’ammissione, sia per coloro che provengono dal percorso formativo sia percoloro che provengono dall’esperienza lavorativa, avviene sulla base delle cono-scenze e capacità accertate attraverso le evidenze e riportate nella scheda relativa.Tale scheda costituisce requisito per la partecipazione all’esame.il responsabile della certificazione individua, secondo una modalità traspa-rente, possibilmente assistita da strumenti informatici, i commissari esterni, contat-tandoli, verificandone la disponibilità, convocandoli per le riunioni preparatorie 111 alla sessione d’esame; contestualmente il Responsabile individua il commissariointerno con competenze relative ai processi valutativi.la commissione si riunisce in prima convocazione, nomina il proprio Presi-dente e ne informa il Responsabile della formalizzazione e certificazione; questiformalizza la nomina della commissione e del Presidente e invia la comunicazioneall’amministrazione competente per piano.l’amministrazione ha a disposizione dieci giorni lavorativi per recepire la for-malizzazione; scaduto questo periodo, in base al principio del silenzio-assenso, lacommissione può ritenersi autorizzata a procedere nei suoi lavori.Gli esami consistono in prove pratiche che devono riflettere una simulazionelavorativa professionale, integrate da colloqui orali. l’oggetto delle prove praticheconcerne attività osservabili e valutabili ai fini dell’accertamento di una o più Uc odella qualifica.i colloqui sono centrati sulle modalità di svolgimento delle prove pratiche, inparticolare nei casi in cui il processo di lavoro, oggetto delle prove, presenti aspettiprevalentemente cognitivi e impliciti e, quindi, possa rivelarsi opportuno richiederela verbalizzazione/esplicitazione di alcune attività realizzate e/o la motivazione didecisioni prese.Possono essere valutate le competenze collegate ad una stessa Uc o ad un in-sieme di Uc anche con prove aventi diversi oggetti purché siano tra loro equiva-lenti, in termini di complessità, applicando, in fase di progettazione delle prove,metacriteri di riferimento definiti allo scopo.Sulla base di quanto rilevato, la commissione individua l’oggetto delle provedi esame ed i criteri per definire l’accettabilità della prestazione. oggetto e criteridevono essere adeguati ad accertare le competenze dei candidati, indipendente-mente dalla loro provenienza e in coerenza con gli standard rappresentati dal SRq.la commissione affida la progettazione di dettaglio delle prove (almeno due bat-terie omogenee tra loro) al commissario avente competenze nei processi valutativi;esamina, in una successiva sessione, le prove progettate, le modifica e/o le approva.l’esame si conclude con una valutazione di idoneità al conseguimento, a se-conda dei casi, della certificazione di competenze o di qualifica.Nel caso di valutazione di mancata idoneità al conseguimento della certifica-zione delle competenze, alle persone viene rilasciata la Scheda relativa alle cono-scenze e capacità.Nel caso di valutazione di mancata idoneità al conseguimento della qualificaalle persone possono essere conferiti, se le relative competenze sono state accer-tate, uno o più certificati di competenze. 1.7. Il sistema regionale delle qualifiche (SRQ)la Regione, nell’intento di consentire alle persone il riconoscimento e l’uti-lizzo delle competenze comunque acquisite in attuazione della legge Regionale n.12/2003, “Norme per l’uguaglianza delle opportunità di accesso al sapere, per 112 ognuno e per tutto l’arco della vita, attraverso il rafforzamento dell’istruzione edella formazione professionale, anche in integrazione tra loro”, ha completamenteridefinito il proprio sistema di qualifiche regionali, i relativi standard formativi, icriteri, le modalità e le procedure per il riconoscimento e la certificazione dellecompetenze.il Sistema Regionale delle qualifiche è il risultato di un’analisi approfonditadel sistema professionale del territorio regionale, condotto di concerto con le partisociali allo scopo di ricomporre un Repertorio di qualifiche che prendesse a riferi-mento figure significative per il tessuto economico-produttivo della Regione. Alnuovo sistema corrispondono nuove modalità di certificazione che prendono inesame le competenze acquisite sia in contesti di apprendimento formale (percorsiformativi) sia in contesti non formali (esperienza lavorativa).la centralità posta sul concetto di standard professionale e un adeguato ser-vizio di formalizzazione e certificazione delle competenze consentono, quindi, diintendere la qualifica non più come titolo formativo, bensì come titolo professio-nale formale: attribuibile alla singola persona; assegnato attraverso un processo re-golamentato dalla Regione; acquisibile con un atto unico o con la somma di certifi-cazioni parziali, ottenibili attraverso percorsi di apprendimento diversi, in momentidifferenti della vita; registrabile nel “libretto formativo del cittadino”.È possibile integrare ed aggiornare il Repertorio delle qualifiche regionali at-traverso un monitoraggio costante ed una specifica procedura sorgente che con-sente di mantenerlo adeguato e rispondente alle dinamiche socio-economiche eproduttive del territorio regionale.le competenze riconducibili al SRq sono, allo stesso tempo, esercitate edesercitabili sul lavoro, formate e formabili nel sistema della istruzione-formazione,acquisite ed acquisibili dalle persone nelle situazioni e nei percorsi formativi e/oprofessionali e/o sociali e/o individuali. la prospettiva è l’integrazione tra istru-zione-formazione-lavoro.la qualifica professionale regionale:1. è un titolo professionale e formale attribuito alla persona. È un titolo professio-nale (non un titolo formativo), nel senso che qualifica professionalmente unapersona per le attività professionali esercitate-esercitabili nel mondo del la-voro. È un titolo formale, nel senso che certifica ufficialmente il possesso daparte di una persona degli standard di competenza minimi caratterizzanti la fi-gura professionale del SRq ed è regolato da atti ufficiali-pubblici-istituzionali;2. certifica il possesso di competenze comunque e ovunque acquisite. le compe-tenze sono dimensione costitutiva e fondante della qualifica che attesta compe-tenze (e non curricula o percorsi formativi) comunque e ovunque apprese in si-tuazioni e contesti formativi e/o professionali e/o sociali e individuali;3. è assegnata attraverso un processo regolamentato dalla Regione, il Sistema re-gionale di Formalizzazione e certificazione (SRFc). È un processo dispostoper dare affidabilità, trasparenza, spendibilità, riconoscibilità agli attestati rila- 113 sciati, che prevede un accertamento tramite evidenze seguito da un accerta-mento tramite esame;4. è acquisibile attraverso:- un atto unico di certificazione, relativo all’insieme delle competenze della fi-gura. l’atto unico rilascia il certificato di qualifica Professionale,- a somma di certificazioni parziali, che si possono ottenere attraverso percorsidi apprendimento diversi (all’interno di sistemi di istruzione-formazione-la-voro), in momenti differenti della vita. le certificazioni parziali rilascianocertificati di Unità di competenza, che rispondono all’esigenza di attestareapprendimenti parziali, capitalizzabili per il conseguimento del certificato diqualifica.la qualifica viene registrata nel libretto formativo individuale, così come i ti-toli e le altre certificazioni conseguite ai sensi dell’art. 6 della l.R. 12/2003. 2. VENETO 2.1. L’azione di sistema“Riconoscere e certificare le competenze” è un’iniziativa che coinvolge 47progetti, tramite la quale la Regione del Veneto promuove interventi sperimentali,preceduti da un’azione di ricerca, volti ad individuare processi, linguaggi e stru-menti utili alla costruzione di un sistema regionale di riconoscimento, validazione ecertificazione delle competenze comunque acquisite dal cittadino. la necessità dicertificare non solo titoli di studio, ma anche e soprattutto le competenze acquisitedalla persona in contesti diversi (lavoro e vita quotidiana) da quelli tradizionali(scuola e università) è richiamata anche nel “Rapporto sul futuro della formazionein italia”, curato dalla commissione istituita dal Ministero del lavoro e delle Poli-tiche Sociali e dalle più recenti raccomandazioni europee.Sono impegnati nella realizzazione dei progetti oltre 500 soggetti tra titolari epartner e 1200 operatori del sistema istruzione Formazione lavoro. Nella fase direalizzazione della sperimentazione sono coinvolti oltre 4500 persone tra studentidel secondo ciclo, allievi di percorsi universitari e master, adulti occupati, inoccu-pati e disoccupati. Due sono tipi di progetti:– linea A - Descrizione dei risultati di apprendimento in ambiti formali di ap-prendimento.– linea B - Riconoscimento e certificazione delle competenze in ambiti non for-mali e informali di apprendimento.Nell’ambito di questa importante iniziativa, si stanno sviluppando vari mo-delli, che tendono a convergere verso un approccio comune, pur se differenziato. 114 Presentiamo alcuni elaborati e, poi, uno schema di riferimento per la convergenzadei modelli. 2.2. CESAR - Progetto certificazione delle competenzeil progetto “investiamo per il vostro futuro” si occupa del riconoscimento ecertificazione delle competenze acquisite in ambiente di lavoro dagli occupati incontratto di apprendistato.Esso intende favorire il riconoscimento e la validazione dell’apprendimentonon formale e informale delle competenze acquisite sul posto di lavoro dagli ap-prendisti occupati nell’artigianato e nel terziario, che in particolare svolgono inazienda l’attività formativa professionalizzante (formazione interna assistita). ilcontratto di apprendistato risulta una delle modalità più utilizzate nell’ambito dellamicro e piccola impresa per assumere nuovo personale, senza distinzioni di rilievotra settori e province.i territori provinciali coinvolti sono: Belluno, Padova, Rovigo, Treviso, Ve-nezia, Verona, Vicenza.in fase di sperimentazione del modello e degli strumenti sviluppati sono stati co-involti come destinatari finali i soggetti che hanno bisogno di ottenere una convali-da/certificazione delle competenze acquisite in ambiente di lavoro anche in funzionedell’acquisizione di una qualifica, laddove l’esperienza lavorativa possa essere con-siderata prerequisito di accesso alla formazione prevista in preparazione dell’esame.il progetto ha voluto prendere in esame, a partire dalle raccomandazioni europee edagli obiettivi individuati dal parlamento europeo e dal consiglio dell’Unione euro-pea, i diversi strumenti che costituiscono il quadro di riferimento per la costruzione dimodelli e strumenti di riconoscimento delle competenze comunque acquisite.in particolare saranno presi a riferimento il quadro europeo delle qualifiche(EqF) e la sua declinazione a livello nazionale e gli studi e principi guida diffusi alivello europeo attorno al tema della validazione degli apprendimenti acquisiti inambiti non formali ed informali. Saranno, inoltre, valorizzate buone prassi e capita-lizzati i risultati emersi in precedenti esperienze dei partner di progetto.Gli strumenti e le procedure che saranno individuate e sviluppate dovrannoavere caratteristiche tali da garantire la standardizzazione e la trasferibilità del mo-dello a più sistemi, consentendo, inoltre, di esprimere risultati confrontabili conquanto prodotto negli altri progetti nei quali sono impegnati i partner di progetto.Seminari e workshop saranno realizzati per favorire la cooperazione e la condivi-sione di risultati e prodotti.il progetto si articola in 5 interventi:– Ricerca di buone pratiche per il riconoscimento delle competenze. l’interventoè finalizzato al reperimento delle buone pratiche in tema di riconoscimento ecertificazione delle competenze al fine di definire la base di partenza per lapredisposizione di modelli per la sperimentazione. 115 – Ideazione ed elaborazione di modelli e strumenti e loro sperimentazione. l’in-tervento prevede la progettazione di strumenti di riconoscimento e validazionedelle competenze che verranno sperimentati in situazioni di apprendimentonon formale e informale.– Interventi di accompagnamento. l’intervento ha la finalità di sviluppare lecompetenze dei destinatari diretti sia dal punto di vista degli strumenti e mo-delli da utilizzare che degli elementi che devono caratterizzare una significa-tiva attività di sperimentazione.– Attività di promozione e diffusione dei risultati del progetto. l’intervento hacome obiettivo la promozione delle attività del progetto al fine di darne ampiadiffusione, agevolando così il reperimento dei destinatari finali e di diffon-derne, a conclusione delle attività, i risultati, i prodotti e le buone prassi speri-mentate.– Attività di coordinamento e gestione del progetto. l’intervento fa riferimentoall’esigenza di sviluppare, coordinare le attività di progetto, verificarne l’anda-mento dal punto di vista quantitativo e qualitativo, pianificare e gestire gliaspetti economici e finanziari. 2.3. Metàlogosil progetto è stato gestito da Metàlogos s.c. in partenariato con Unione Re-gione Veneto - confcooperative, Università degli studi di Padova, Provincia di Bel-luno, consorzio impresa Sociale 3 Venezie, irecoop Veneto, SiPAP Veneto - So-cietà italiana Psicologi Area Professionale.le figure che in questo momento il settore sociale e, in particolare, la coopera-zione richiede necessitano di competenze che vanno dalla capacità di gestire l’orga-nizzazione, anche in ambiente complesso e in evoluzione come quello cooperativo,a quella di accudimento.competenze che spesso non costituiscono oggetto di apprendimento formale,ma derivano da esperienze lavorative e più in generale di vita. Esempi sono lo psi-cologo o l’educatore professionale che svolgono funzioni di amministratore/gestoreorganizzativo in realtà eterogenee e complesse; la madre di famiglia che cerca di ri-qualificasi con un corso per oSS per entrare/rientrare nel mondo del lavoro; il vo-lontario con un’esperienza in un SS che vuole trasformare in professione.Figure di questo tipo incontrano difficoltà a ritrovare nelle proprie esperienzepassate elementi che permettano loro di riconoscersi in possesso di competenzeidonee alla nuova attività e per questo necessitano di un’azione di accompagna-mento/riconoscimento delle proprie competenze da parte di un operatore adeguata-mente formato; di esprimere le proprie esperienze con modalità che permettano ilriconoscimento da parte di terzi delle competenze conseguentemente sviluppate; didimostrare/certificare crediti formativi spendibili all’interno dei percorsi formativio di istruzione in cui intendano rientrare/entrare. il Progetto ha affrontato il com-pito attraverso due linee di ricerca: 116 1. la prima, attraverso l’adattamento e la sperimentazione nel contesto coopera-tivo sociale di un sistema di Bilancio e portfolio di competenze4;2. la seconda ha sviluppato e sperimentato uno strumento per la valutazione/auto-valutazione del possesso di una serie di competenze trasversali ritenute rile-vanti per chi opera o intende operare nella cooperazione sociale attuale5. 2.4. La “Rete veneta delle competenze”cinque reti si sono riunite a loro volta in un consorzio denominato “Rete ve-neta delle competenze” coordinata dall’iTiS Barsanti; si tratta di:– iTiS Barsanti di castelfranco Veneto;– iTScT Einaudi di Padova;– iS Ruzza Pendola di Padova;– iS Marco Polo di Verona;– iPSiA Garbin di Schio.il consorzio ha condiviso il medesimo comitato Tecnico Scientifico e lo stessomodello di descrizione, valutazione e certificazione delle competenze.Anche il liceo Brocchi, pur non appartenendo al consorzio, ha seguito un mo-dello molto simile e per certi versi sovrapponibile di descrizione dei risultati di ap-prendimento dei profili liceali.Ai partenariati di rete partecipano circa 150 enti, tra scuole, cFP, associazionidatoriali e professionali, Enti del territorio.Nelle diverse attività è coinvolto quasi un migliaio di docenti delle diverseprovince del Veneto.Per la descrizione dei risultati di apprendimento si sono presi come riferimentoi profili in uscita previsti dai Regolamenti di riordino della scuola secondaria di se-condo grado del 2010.Si è scelto come strumento di descrizione la “rubrica”costituita da tre sezioni:– sezione A: descrizione del percorso formativo in termini di competenze, abilitàe conoscenze. le competenze di riferimento sono quelle previste dal DM139/07 per il biennio e dai Regolamenti del 2010; per i cFP, le competenze co-muni sono quelle del DM 139/07 sull’obbligo di istruzione e quelle dell’Ac-cordo Stato Regioni del 05.02.2009 come competenze di profilo. le abilità e leconoscenze relative alle competenze dei Regolamenti 2010, sono state rico-struite a partire dalle linee Guida per i licei; da documenti di lavoro dellecommissioni Ministeriali per i Tecnici e i Professionali. le competenze co- 4 Documentati nel volume A. SERBATi e A. SURiAN (2011), Bilancio e portfolio delle competenze:percorsi in ambito cooperativo, cleup, Padova.5 oRzES RUDy - AlVARo PRA BAlDi (2011), Sperimentazione di uno strumento per la valutazionedi competenze trasversali nel sociale in situazione esperienziale e lavorativa, cleup, Padova. 117 muni, per tutti gli ordini di scuola, sono state raggruppate nelle otto compe-tenze chiave europee, delle quali sono diventate competenze specifiche.– Sezione B: nella sezione B vengono esplicitate le “evidenze”, ovvero le cate-gorie di performance che esplicitano la competenza agita; i saperi essenziali,ovvero le conoscenze, i contenuti, i concetti che vengono ritenuti irrinuncia-bili; i compiti significativi, ovvero gli esempi di compiti che si possono affi-dare agli allievi perché agiscano in termini di competenza.– Sezione C: i livelli di padronanza della competenza formulata sul modelloEqF. Una breve descrizione rende conto delle conoscenze, delle abilità e delgrado di autonomia e responsabilità con cui vengono agite sui primi quattro li-velli EqF (tre per la formazione professionale). i livelli di padronanza sonostrumento essenziale per la valutazione e certificazione delle competenze.Sono state costruite Unità di apprendimento con focus prevalente sulle compe-tenze comuni e UDA con focus prevalente sulle competenze di profilo. le UDAsono corredate di consegna agli allievi, piano di lavoro, diagramma di Gannt,esempio di griglia per la valutazione delle dimensioni di processo. Nei diversi pro-getti sono state messe a punto “prove esperte” per la valutazione delle competenze,sperimentate realmente nelle classi nella primavera del 2011.Tutti i materiali sono visibili sul sito “Piazza delle competenze”6. 2.5. Schema di riferimento per una possibile convergenzail lavoro di monitoraggio e coordinamento ha portato, in fase intermedia, aduna restituzione delle prassi considerate, contestualizzata sia rispetto all’obiettivodel presente bando, sia rispetto alle linee metodologiche e agli strumenti che via viavenivano indicati dai progetti.le linee guida ed i repertori degli strumenti indicati nei progetti sono stati ana-lizzati al fine di individuare gli elementi ricorrenti, rispetto a: esplicitazione delprocesso, indicazione in merito a repertori e standard di riferimento, individuazionedegli strumenti; ciò nella prospettiva del massimo grado di elementi comuni o, co-munque, compatibili/confrontabili/sovrapponibili.Si indicano gli elementi comuni che consentono di passare dalla logica delleprassi a quella di una linea guida convergente:– Definizione del concetto di competenza; utilizzo di sintassi e format descrittividelle competenze.– Articolazione del processo di certificazione in fasi.– individuazione di strumenti a supporto di ciascuna fase.– Riferimento a repertori di competenze o standard (iSFol, di settore, compe-tenze chiave di cittadinanza, ecc.). 6 http://www.piazzadellecompetenze.net/index.php?title=i_Progetti_FSE_per_la_descrizione,_valutazione_e_certificazione_delle_competenze 118 – indicazione di quali competenze certificare (competenze specifiche di un pro-filo; competenze individuate dalla Riforma quali RdA dei nuovi profili inuscita dagli istituti tecnico/professionali).– individuazione dei soggetti deputati a verificare/validare/certificare le compe-tenze (commissioni; esperti di settore; esperti di valutazione, orientatori, ecc.).– Ruolo dei valutatori (indipendenza; preparazione specifica).– Distinzione di almeno due operazioni: analisi delle evidenze; valutazione dellecompetenze (prove/simulazioni; osservazione diretta sul campo).– Rilascio di un documento di formalizzazione (portfolio/dossier; libretto; cer-tificato).Alla luce di questo, emerge un possibile schema di processo convergente dicertificazione delle competenze formali, informali e non formali: 119 3. PIEMONTE 3.1. Il sistema degli standard formativiGli standard formativi della Regione Piemonte costituiscono quell’insieme diregole che governano la descrizione delle qualifiche in esito ai percorsi di forma-zione professionale, le modalità didattiche di erogazione dei corsi, i requisiti d’ac-cesso e le modalità di certificazione. Essi si riferiscono in sostanza ai modelli percompetenze; con il termine “competenze” si fa riferimento a:– la combinazione di capacità, supportate da saperi, e atte ad attivare strategietecniche e comportamentali;– posseduti dal soggetto in un determinato ambito e ad un determinato livello;competenze, ambiti di riferimento e livelli sono definiti per convenzione e conil proposito di identificare le Unità base di competenza in cui può essere arti-colata e su cui si fonda l’esercizio di una professione e dei diritti di cittadi-nanza;– riconoscibili e certificabili sulla base del riferimento ad un quadro generale diclassificazione delle competenze assunto a livello regionale, con un elevatogrado di coerenza con analoghi strumenti adottati in altre regioni, oltre che alivello nazionale ed europeo;– che possono essere conseguiti durante percorsi formativi di ogni tipo, nellavita sociale ed in quella professionale.Tali competenze si apprendono contestualmente in una serie di “attività” (eanalogamente, viene certificato che la persona sa svolgere quelle attività), declinatein azioni, anche loro supportate da saperi e definite per livelli, riferiti all’autonomianello svolgimento delle medesime.lo schema di riferimento per coniugare attività e competenze, nel sistema pie-montese, è costituito dalla scheda “matrice” all’interno del sistema informativo“collegamenti”.la funzione della scheda è molteplice:• permette di definire attività in termini di azioni, osservabili dall’esterno e didefinire le competenze come un mix, che definisce “il filmato” interno che lapersona si fa, le strategie che attiva e che sono trasferibili, in contesti analoghi,con adeguato aggiornamento e ricontestualizzazione.• Permette, tramite gli incroci compatibili, tra livelli di competenze e livelli diattività, di definire agevolmente i sei livelli europei di certificazione.• Permette:- l’attestazione delle attività da parte del datore di lavoro, con i diversi gradi diautonomia;- l’autocertificazione degli apprendimenti informali, sempre tramite la descri-zione delle attività. infatti, attività ed azioni, in quanto osservabili e corri- 120 spondenti ad un linguaggio comune, non richiedono, per essere descritte, co-noscenze teoriche sull’argomento competenze;- la ricostruzione, da parte di tecnici esperti delle competenze sottese, attesta-bili direttamente o a seguito di specifiche prove mirate.la declinazione delle competenze in capacità e delle attività in azioni:– permette anche una certificazione parziale (di capacità riferite alle competenzee di azioni riferite ad attività) atto a rendere ogni percorso formativo certifica-bile in positivo, anche se non viene raggiunto in pieno il risultato atteso;– permette di predisporre futuri aggiornamenti, sia in termini di attività che intermini di competenze.i singoli incroci tra competenze ed attività costituiscono le Unità di compe-tenza (U.c).la correlazione tra attività e competenze e la declinazione di entrambe, ri-spettivamente in azioni e capacità è anche utile a favorire la personalizzazione deipercorsi formativi; l’introduzione di un sistema di standard di competenza deveprodurre innanzitutto un più alto grado di “diversificazione e flessibilità dei per-corsi formativi al fine di rispondere ai bisogni individuali e sviluppare le attitu-dini individuali” (Presidenza dell’ UE, consiglio informale dei Ministri dell’edu-cazione, 3-4 ottobre 2003); tale utilizzo risulta particolarmente utile sia nei cosid-detti percorsi “destrutturati”, rivolti ad utenze “difficili” che necessitano una per-sonalizzazione del percorso, sia per la stesura del Piano formativo individuale inapprendistato. 3.2. Il sistema informativo della Regione Piemonteil sistema informativo regionale, nel suo complesso, supporta l’intero pro-cesso, la suddivisione in componenti consente di articolare l’intervento su vari li-velli di dominio e di connetterli tra di loro.il sistema collEGAMENTi si riferisce a:• la descrizione dei profili per competenze;• il loro raccordo con i codici iSTAT e iSco e ATEco e, quindi, anche alle ana-lisi su fabbisogni professionali delle aziende;• la predisposizione di percorsi formativi per competenze, aventi in esito i profiliformativi o una loro parte;• l’erogazione delle prove finali di qualifica e delle prove per le singole compe-tenze ed il supporto alla valutazione (anche delle prove pratiche);• la banca dati di competenze e attività, utilizzabili anche:- per la certificazione del non formale e dell’informale,- per la descrizione dei percorsi formativi,- per l’implementazione delle prove di certificazione,- per l’interfaccia con i centri per l’impiego. 121 in quanto sistema dedicato espressamente alle competenze, è utilizzabile datutti gli altri sistemi informativi nel momento in cui entra in gioco l’oggetto compe-tenze.in particolare, per quanto riguarda la formazione professionale, si interfacciacon i sistemi S.iNF.o.D. e liBRA. il motore competenze è una specifica applica-zione dell’interazione dei tre sistemi, che consente, a partire dal nominativo dell’al-lievo, di ricostruire tutte le certificazioni possedute, di raffrontarle con i profili incollegamenti e di rilasciare un’attestazione complessiva riferita ad uno o più profili.Può essere utilizzato anche come motore per l’interazione di sistemi diversi (adesempio, il Sistema informativo lavoro) con il sistema dedicato alle competenze.costituisce il nocciolo dell’informatizzazione del libretto formativo del cittadino.il modello proposto ha lo scopo di concretizzare una prassi operativa e unametodologia di modellamento che consentano di definire un repertorio condiviso (econfrontabile) di competenze funzionali alla gestione di specifiche Attività.le competenze sono definite come descrizioni legate ad oggetti linguistici, percui non possono essere considerate come descrittori assoluti, a-temporali, a-conte-stuali. Sono descrizioni “fatte da un osservatore”, considerato come referente epi-stemologico. Tale assunto presuppone che la realtà sia auto-etero riferita ed in con-tinuo mutamento.la struttura descrittiva delle competenze permette di definire sia le compe-tenze/Attività specifiche di una data professionalità, sia quelle che supportano l’ac-quisizione delle aree trasversali, comuni, di base, relative all’orientamento, alle pariopportunità … che non identificano una specifica professione, ma che consentonodi gestire rapporti lavorativi e non a più ampio spettro.Nel primo caso, nel presente documento, ci si riferisce ai Profili, nel secondosi parlerà di obiettivi, per cui d’ora in avanti verrà adottata la dicitura Profilo/obiettivo.Per poter descrivere un Profilo/obiettivo è necessario delineare cinque caratte-ristiche essenziali:– le Attività (declinate in Azioni) che danno via al flusso operativo specifico delProfilo/obiettivo;– le competenze (declinate in capacità) che concorrono a gestire le Attività;– gli Argomenti che identificano le grandi tematiche cui ci si dovrà riferire;– i Focus di Valutazione che concorrono a certificare le performance attese;– le correlazioni/interazioni tra Attività e competenze (la Matrice).Riassumendo, si può affermare che le competenze possono emergere nel mo-mento in cui un osservatore mette in relazione:– un’Attività da svolgere;– due o più attori che svolgano indipendentemente tale Attività;– strumenti e metodi per l’osservazione e la comparazione delle performance, 122 ma, al contempo, sono intrinsecamente legate a:– specifici saperi capaci di rendere trasferibili le esperienze passate;– valori capaci di offrire uno sfondo di riferimento.inoltre, le competenze:– sono riferibili a specifiche culture;– sono oggetti negoziabili (e quindi, in certa misura, trasferibili e trasmissibili);– hanno gradi diversi di a-contestualità. 3.3. Modello di didattica per competenzela Regione Piemonte non presenta in prima istanza un modello di didattica“regionale”, ma l’impianto così congegnato di standard formativi impone di fattol’approccio descrittivo neurolinguistico adottato all’intero sistema.Tutto ciò assume una prospettiva generale di valore etico-sociale, connessa aidiritti formativi dei cittadini, ma porta con sé come risultato la burocratizzazione(pur se con un linguaggio non più solo amministrativo, ma con una neo-lingua spe-cialistica) del sistema e la riduzione della cultura progettuale degli operatori che di-ventano di fatto compilatori di schemi che dovrebbero rappresentare la realtà del-l’azione didatico-formativa, ma in effetti finiscono per sostituirsi ad essa.Tale normativa va, infatti, nella direzione dell’integrazione dei sistemi dell’i-struzione, formazione professionale e lavoro, nell’ottica di un pluralismo istituzio-nale, con l’obiettivo di garantire al cittadino il diritto all’apprendimento durantetutto l’arco della vita, al lavoro ed allo sviluppo professionale, mette costantementel’accento sul passaggio concettuale della certificazione per competenze.la crescita costante delle competenze individuali è il risultato dell’eserciziopieno ed effettivo dei diritti di cittadinanza e dell’esistenza di adeguati livelli diqualità della vita sociale e professionale.Tale obiettivo presuppone l’attuazione di una politica di integrazione delle po-litiche e dei sistemi dell’istruzione, della formazione e del lavoro.Pertanto, l’asse degli standard formativi viene spostato sul sistema di certifica-zione delle competenze e di riconoscimento dei crediti, quale strumento per “ren-dere certe”, ovvero definite, classificate e riconosciute in maniera e con linguaggiocondiviso tra tutti i sistemi, le competenze acquisite dall’individuo.lo sviluppo del confronto a livello della Regione e il processo di sviluppo delsistema degli standard formativi per competenze ha, infatti, la duplice funzione:• di costituire dei riferimenti certi, anche se evolvibili, a livello regionale:- per il cittadino, che si trova ad attraversare i sistemi di istruzione, forma-zione e lavoro;- per le imprese, che hanno la necessità di poter “leggere” le competenze acqui-site dal lavoratore in un unico linguaggio, per quanto diversi siano i sistemi cheil medesimo lavoratore ha attraversato e riattraversato lungo l’arco della vita; 123 - per gli operatori dei sistemi di istruzione, formazione e lavoro, che devonorispondere al cittadino sia con il rilascio delle certificazioni per competenze(in alternanza per la scuola, in tutti i percorsi per la formazione professio-nale, compresi quelli in apprendistato, nei tirocini formativi e di orienta-mento per quanto riguarda il sistema lavoro), sia con la concessione di cre-diti in ingresso (per quanto riguarda istruzione e formazione) sia con la “let-tura” da parte del sistema delle competenze acquisite dal cittadino, al fine dideterminarne l’occupabilità e/o la necessità di riqualificazione. Per gli opera-tori di tutti e tre i sistemi si tratta, inoltre, di arrivare ad una registrazioneomogenea delle competenze sul libretto formativo del cittadino.• Di contribuire alla definizione del quadro nazionale di riferimento e di abbre-viarne i tempi. 3.4. Modalità di valutazioneil Focus di Valutazione è un vettore che indica ad un valutatore verso quale“evento, comportamento, oggetto” volgere l’attenzione, qualora voglia verificare ilgrado di:– conoscenza/gestione;– comunicazione/condivisione;– progettazione/realizzazione;– verifica/ottimizzazione;– di una o più competenza/capacità, di uno o più Attività/Azione.i Focus di Valutazione sono associati tanto alle Attività quanto alle compe-tenze. Tale attesa descrittiva è stata introdotta con l’obiettivo di rendere “verifica-bile” ogni singola competenza/Attività. Essi sono ordinati rispetto al loro “peso”,espresso in centesimi, in qualità di parametro da considerare per le attività di valu-tazione. Non indicano il “come” fare una verifica, propongono, invece, possibili“oggetti” della verifica.Per definire i Focus di Valutazione è necessario stabilire quale livello di perfor-mance viene considerato per le Attività e quale per le competenze.i livelli di performance riferibili alle Attività sono:– esegue singole operazioni sulla base di istruzioni date;– pianifica ed esegue in autonomia operazioni in vista di un risultato;– agisce monitorando il processo.i livelli di performance riferibili alle competenze sono:– applica saltuariamente;– applica con continuità;– correla ad altre esperienze.Tali livelli possono essere usati tanto separatamente, quanto in relazione tra loro. 124 Nel caso in cui competenze e Attività siano semplici, le capacità e le Azionipotrebbero essere di per sé considerate come dei Focus di Valutazione.Dunque, semplicemente selezionando capacità e Azioni riferite ad un Pro-filo/obiettivo, potrebbero essere definiti i Focus di Valutazione necessari e suffi-cienti per valutare un dato Soggetto in relazione ad un Focus di Valutazione.Nel caso in cui competenze e Attività risultino complesse, si potrebbe tenderealla definizione di Focus di Valutazione che, in qualche modo, siano rappresentatividi insiemi di competenze/Attività o, meglio ancora, che consentano di verificarepossibili interazioni/integrazioni tra differenti capacità/Azioni.il processo di Valutazione presentato è costituito da una serie di prove tra loroindipendenti che si sommano per dar vita all’intero contesto valutativo. la descri-zione dell’attività di modellamento e gestione della Valutazione è organizzata infasi, da svilupparsi in modo sequenziale, ognuna delle quali richiede di essere sod-disfatta. il processo di valutazione è sommariamente riassunto in alcuni “passaggichiave” :– misurare;– verificare;– valutare;– giudicare.Solo nella misura in cui vengono definiti/esplicitati presupposti e criteri, potràessere espressa una valutazione …Solo nella misura in cui vengono definiti/esplicitati strumenti, parametri e tec-niche di misurazione, tale attività potrà essere concretamente sviluppata …Solo nella misura in cui vengono definite/esplicitate metodologie e prassi ope-rative, potrà essere portata a termine una verifica …Solo nel momento in cui vengono valutate le complesse implicazioni relazio-nali attivate da un giudizio, potrà essere valutata l’opportunità di esplicitare/agiretale attività …così contestualizzati i quattro passaggi sono di fatto l’uno propedeutico al-l’altro.A tal proposito, si tiene conto del fatto che passare dal misurare al giudicare si-gnifica passare da decisioni legate (riferibili) a parametri espliciti e quantificabili adecisioni fortemente legate alla soggettività del valutatore e potenzialmente soste-nute da meccanismi proiettivi, non facilmente prevenibili. Per poter chiedere ad unosservatore di compiere una valutazione, è necessario aver verificato che quantoesplicitato relativamente ai quattro livelli enunciati sia:– percepibile;– comprensibile;– condivisibile;– attuabile;– verificabile; 125 per cui, ci si chiede se ciò che si è deciso di misurare, verificare, valutare, giudi-care, è facilmente percepibile, comprensibile, condivisibile, attuabile, verificabile,anche da chi non ha partecipato alla definizione della “prova” e/o anche da chi sarà“soggetto alla/della prova”.l’oggetto da sottoporre all’attenzione dell’osservatore è identificato nel“Focus (l’oggetto) della Valutazione”, esplicitato ed associato alla valutazione, se-guendo le fasi previste.Nel sistema regionale i soggetti che realizzano e gestiscono i percorsi forma-tivi sono responsabili della certificazione, ovvero dell’attestazione dell’avvenutoconseguimento di obiettivi di apprendimento da parte dell’individuo nell’ambitodei percorsi formativi di tipo formale e non formale, rispetto ai quali la Regione,anche a seguito delle intese specifiche con le Parti sociali, definirà criteri e regole,nonché modalità e dispositivi di certificazioni.qualora la certificazione venga rilasciata all’individuo che abbia completatol’intero percorso, essa attesta il conseguimento dell’insieme degli obiettivi di ap-prendimento, per U.c. descritte in base ai livelli previsti dall’intero percorso. Se èprevista, la commissione d’esame diventa una certificazione di parte terza, con rila-scio da parte dell’ente pubblico.qualora essa venga rilasciata all’individuo che ha svolto soltanto parte e partidel percorso, essa attesta il conseguimento dei singoli obiettivi di apprendimentoeventualmente conseguiti.Tali certificazioni costituiscono credito formativo per l’ingresso in altri per-corsi formativi:– quando la certificazione comprende un’intera U.c., costituisce credito per per-corsi che prevedono analoghe U.c., che possono in tal modo essere ridotti;– quando la certificazione non comprende un’intera U.c., la struttura in in-gresso, secondo regole che saranno predefinite negli Accordi di cui sopra, lastruttura in ingresso valuterà il credito da assegnare, comunque in misura infe-riore, o al massimo pari, al credito per l’intera U.c.la certificazione di competenze acquisite nell’ambito di esperienze di tipo in-formale può essere rilasciata su richiesta dell’interessato dagli operatori in possessodi specifiche competenze:– dell’agenzia formativa accreditata, presso cui vengono esaminati i requisiti diingresso e di credito ad un percorso formativo;– dei centri per l’impiego, a seguito di relativo colloquio e bilancio. Anche inquesto caso, la Regione, d’intesa con le Parti sociali, provvederà a definire cri-teri e regole di certificazione, ivi comprese le modalità di attestazione delleesperienze acquisite nell’ambito dei luoghi di lavoro.Anche tali certificazioni possono costituire credito formativo per l’ingresso inpercorsi formativi. 126 la certificazione attestante il conseguimento dell’insieme di U.c. previste peruna figura e/o un profilo professionale attesta che l’individuo è in possesso delleU.c., previste per una determinata figura o profilo professionale.Essa si basa sulle certificazioni per U.c. ottenute dall’individuo nell’ambito didiversi percorsi formativi di tipo formale e non formale e di esperienze di tipo in-formale (rispettivamente rilasciate dai soggetti erogatori o dai Servizi integrati perla certificazione).Si tratta di una certificazione che viene rilasciata su richiesta dell’interessatodalle Amministrazioni provinciali e consente alla persona di presentarsi a qualsiasiesame di qualifica, senza alcun obbligo di frequenza. Sitografia http://www.regione.piemonte.it/formazione/http://www.sisform.piemonte.it/http://extranet.regione.piemonte.it/fp-lavoro/centrorisorse/http://www.ires.piemonte.it/http://extranet.regione.piemonte.it/cgi-bin/fp-lavoro/centrorisorse/infolav/index.pl 4. TOSCANA 4.1. Standard per i processi di riconoscimento e certificazione delle competenzeil sistema regionale per il riconoscimento e la certificazione è costituito da uninsieme di servizi e di soggetti erogatori di tali servizi istituzionalmente preposti a:– supportare la persona in tali processi;– garantire alla persona la spendibilità degli esiti dei processi attivati;– garantire la qualità delle risorse professionali, dei dispositivi e degli strumentipredisposti per la realizzazione dei processi;– garantire la trasparenza delle procedure messe in atto e delle registrazioni e/oattestazioni finali.i diversi processi di riconoscimento e certificazione delle competenze acquisitenell’ambito dei percorsi di apprendimento di tipo formale, non formale e informalesono orientati da un lato alla valorizzazione e dall’altro alla messa in trasparenzadelle competenze degli individui, in relazione ai diversi sistemi di istruzione e for-mazione, al sistema dei servizi per l’impiego ed al sistema delle imprese.Gli standard minimi relativi al sistema regionale di riconoscimento e certifica-zione riguardano: 127 – le diverse tipologie di processi di “attribuzione di valore” alle competenzedelle persone, ed i relativi dispositivi formalizzati in procedure;– la qualità delle risorse anche professionali impegnate nell’erogazione dei ser-vizi previsti dal sistema;– le responsabilità ed i ruoli dei soggetti istituzionalmente preposti ad erogare iservizi;– l’adozione di metodologie e strumenti condivisi e standardizzati per il ricono-scimento e la certificazione delle competenze possedute dagli individui.il rispetto di tali standard assicura l’attuazione dei principi di pari opportunità,della pari dignità e della pari validità degli apprendimenti, indipendentemente daimodi e dai luoghi della loro acquisizione, in linea con i principali indirizzi e leprincipali acquisizioni a livello regionale, nazionale ed europeo in materia di rap-porti tra diritti di cittadinanza, apprendimenti e lavoro.l’articolazione interna degli standard per i processi ed i servizi di riconosci-mento e certificazione deve assicurare l’adeguatezza dei dispositivi rispetto alleesigenze reali e specifiche dei cittadini e dei lavoratori, distinguendo tra:1. l’iter di validazione di competenze acquisite attraverso esperienze non formalie informali, realizzato dal soggetto pubblico e finalizzato a migliorare l’occu-pabilità mediante la messa in trasparenza delle competenze professionali pos-sedute, anche attraverso la loro successiva certificazione;2. l’iter di certificazione di competenze finalizzato al rilascio di attestato di quali-fica o certificato di competenze.Tali processi coinvolgono, con ruoli e funzioni diverse, gli attori della forma-zione e dell’istruzione professionale, quelli dei servizi al lavoro, nonché le impreseche realizzano formazione per i propri dipendenti, e si distinguono in:• descrizione delle competenze;• dichiarazione degli apprendimenti;• validazione delle competenze;• certificazione delle competenze. 4.2. Il processo di descrizione delle competenzecon l’espressione “descrizione delle competenze” si indica nel sistema to-scano il processo formalizzato ed i relativi dispositivi finalizzati a ricostruire emettere in trasparenza le competenze comunque maturate e di cui la persona è inpossesso. Tale descrizione viene realizzata dall’individuo stesso, con il supportometodologico di un operatore qualificato, nell’ambito della rete dei servizi perl’impiego.la descrizione delle competenze costituisce il primo passo per l’eventuale at-tribuzione di un valore d’uso alle stesse in vista di successive azioni di riconosci-mento e certificazione. Essa, tuttavia, produce esiti che non assumono ancora un 128 valore riconosciuto da terzi, ma possono essere propedeutici all’attivazione di altriprocessi (vedi sotto).le principali attività che strutturano il processo di descrizione in tali ambitisono le seguenti:a) definizione consensuale tra l’interessato e l’operatore qualificato delle moda-lità di elaborazione della documentazione di cui alle lettere b) e c);b) elaborazione guidata del curriculum, secondo il formato standard definito a li-vello nazionale;c) individuazione, descrizione e/o elaborazione della documentazione in grado ditestimoniare le esperienze formative e professionali ricostruite (comprese le re-lative evidenze), secondo il formato standard.la descrizione è un’attività che l’individuo intraprende su base esclusivamentevolontaria e si distingue dalla autodescrizione in forza del supporto di un operatorequalificato e della presenza di una procedura formalizzata e standardizzata. 4.3. Il processo di dichiarazione degli apprendimentiil processo di dichiarazione degli apprendimenti viene attivato nell’ambito dipercorsi di formazione “formale” realizzati nel rispetto degli standard regionalicontenuti nel Repertorio Regionale delle Figure Professionali di cui alla Sezione c,e precisamente:– al termine dei percorsi non finalizzati al conseguimento di qualifica professio-nale o di certificato di competenze, oppure– al termine di percorsi finalizzati al conseguimento di qualifica professionale ocertificato di competenze, in caso di interruzione del percorso formativo primadella sua conclusione senza raggiungimento dei requisiti minimi in termini difrequenza, qualora il candidato ne faccia richiesta, oppure– al termine di percorsi finalizzati al conseguimento di qualifica professionale ocertificato di competenze in caso di non superamento dell’esame finale, qua-lora il candidato ne faccia richiesta.la dichiarazione degli apprendimenti, a seguito della conclusione positiva diuna o più unità formative, permette la verifica e l’attestazione dell’effettivo rag-giungimento degli obiettivi di apprendimento cui il percorso è finalizzato, laddovenon è prevista o non è richiesta l’attivazione di un processo di certificazione.la dichiarazione degli apprendimenti è spendibile all’interno del sistema diformazione e istruzione professionale per l’ingresso in altri percorsi. 4.4. Il processo di “validazione delle competenze” acquisite in contesti di tiponon formale e informalecon l’espressione “validazione delle competenze acquisite in contesti non for-mali e informali”, nel sistema regionale si definisce il dispositivo – ed il relativo 129 processo operativo – che consente alle persone di ricostruire e documentare le espe-rienze realizzate in ambiti non formali e di vedere riconosciute le competenze in es-si acquisite, ponendole in relazione con le competenze oggetto dei percorsi formalidi istruzione e formazione e dando luogo a riconoscimenti capitalizzabili in funzio-ne dell’acquisizione di titoli formali. Possono essere oggetto di validazione soltantoquelle competenze che trovano adeguato riscontro negli standard professionali com-presi nel Repertorio Regionale delle Figure professionali nei termini di singole Uni-tà di competenze attinenti alle singole Aree di Attività o intere Figure professionali.Non è prevista la validazione di singole conoscenze e/o capacità.la validazione delle competenze viene attivata dalla persona interessata. Essasi svolge in due fasi distinte:a) una prima fase di ricostruzione dell’esperienza maturata in contesti non for-mali e informali e delle competenze che questa ha consentito di acquisire; talefase viene affrontata dall’individuo con il supporto di operatori in possesso dispecifiche professionalità;b) una seconda fase di vera e propria validazione degli elementi emersi da tale ri-costruzione, da parte dell’amministrazione provinciale competente.Sulla base dell’esito della validazione, il soggetto interessato può:– partecipare ad un percorso formativo di tipo formale, al fine di sviluppare lecompetenze mancanti necessarie all’acquisizione della qualifica; in tal caso, lapartecipazione al percorso potrà essere ridotta alla frequenza delle sole unitàformative relative alle competenze che non sono state validate;– sostenere l’esame per ottenere la certificazione delle competenze emerse dallavalidazione.Nell’ambito dell’esame per la certificazione delle competenze, l’amministra-zione svolge le funzioni di:– controllo della correttezza formale della procedura d’esame attraverso il presi-dente della commissione, il quale è anche responsabile della certificazione edè individuato dall’amministrazione provinciale/regionale che ne accerta lecompetenze;– presidio metodologico delle prove d’esame;– rilascio di certificazioni; le certificazioni, intese come attestazioni dell’esitopositivo di un processo di certificazione, ovvero gli attestati di qualifica e icertificati di competenze sono rilasciati dall’amministrazione responsabiledella realizzazione del processo, indipendentemente dal soggetto che material-mente predispone le attestazioni.l’amministrazione è, inoltre, responsabile:– dell’organizzazione ed erogazione dei servizi di assistenza alla compilazioneed all’aggiornamento del libretto formativo, quale strumento di registrazione 130 delle certificazioni conseguite e di messa in trasparenza delle esperienze di ap-prendimento realizzate in contesti non formali/informali da parte dei singoliindividui;– dell’integrazione e raccordo dei servizi erogati nell’ambito dei Servizi perl’impiego, individuati quali punti di primo contatto della singola persona con ilsistema regionale di riconoscimento e certificazione delle competenze.l’amministrazione regionale provvede alla gestione e all’aggiornamento del-l’elenco regionale degli esperti di valutazione degli apprendimenti e delle compe-tenze.l’amministrazione regionale provvede ad emanare periodicamente un appositoavviso di bando per la presentazione delle richieste di riconoscimento di percorsiformativi da parte dei soggetti interessati. 4.5. L’esame per la verifica delle competenze ed il rilascio di certificazionel’esame per la valutazione e la certificazione delle competenze costituiscequella fase del processo di certificazione finalizzata ad accertare l’effettivo pos-sesso delle competenze, di cui è stata richiesta la certificazione da parte della per-sona che ha presentato l’istanza.l’esame si svolge davanti ad una commissione nominata ed istituita dall’am-ministrazione competente con riferimento ai seguenti contesti:– a conclusione di percorso formativo finanziato o riconosciuto da un’ammini-strazione e finalizzato al rilascio di certificazione (attestato di qualifica, certifi-cato di competenze); in tali percorsi la compilazione della scheda di iscrizioneda parte del partecipante vale come richiesta di certificazione;– richiesta individuale presentata all’amministrazione da singole persone che, aseguito di un processo di validazione dell’esperienza non formale/informale,chiedono di sostenere l’esame per il conseguimento della certificazione dellecompetenze, ovvero attestato di qualifica o certificato di competenze.qualora la sessione d’esame sia finalizzata al rilascio di un attestato di quali-fica, essa deve accertare l’effettivo possesso di tutte le Unità di competenze pre-viste dalla Figura professionale di riferimento.qualora la sessione d’esame sia finalizzata al rilascio di un certificato di com-petenze, essa deve accertare l’effettivo possesso di tutte le Unità di competenzepreviste dalle Aree di Attività di riferimento.Nel caso di esame al termine di un percorso formativo, qualora la persona chesvolge il ruolo di responsabile interno dei processi di valutazione e quella che èstata designata quale Rappresentante interno dell’organismo di formazione in senoalla commissione coincidano, egli non partecipa alla votazione per l’individua-zione ed approvazione delle prove da realizzare.le prove d’esame devono essere finalizzate a verificare il possesso di Unità dicompetenze, ovvero la capacità del candidato di realizzare le performance asso- 131 ciate alle Aree di Attività cui le Unità di competenze oggetto di certificazione sonoriferite; pertanto, le Area di Attività devono essere oggetto di valutazione attraversoprove tecnico-pratiche da cui emergono le relative performance.Gli esiti finali della valutazione sono formalizzati nell’apposito verbale d’e-same che registra lo svolgimento di tutte le sessioni d’esame. Tale verbale, redattosulla base di una modulistica comprensiva di un modello di griglia di valutazioneriferita a ciascuna Area di Attività, è approvato dal Settore regionale competente esottoscritto dal Presidente e da tutti i componenti della commissione.in caso di esame al termine di percorso formativo, il verbale deve essere re-datto in due copie entrambe sottoscritte da tutti i membri della commissione, unadelle quali deve essere custodita dall’organismo formativo tra la documentazionerelativa al progetto formativo.l’acquisizione da parte dell’amministrazione del verbale costituisce condi-zione essenziale per il rilascio delle attestazioni.inoltre, la documentazione relativa allo svolgimento dell’esame, unitamente aquella che registra le altre attività svolte dall’amministrazione nello svolgimentodella sua funzione di controllo di processo, costituiscono uno strumento essenzialeper il monitoraggio della qualità del processo e delle risorse in esso impegnate, e,quindi, per il monitoraggio complessivo dell’efficacia ed efficienza del nuovo si-stema regionale degli standard per il riconoscimento e la certificazione delle com-petenze.in caso di esame per il rilascio di attestato di qualifica, l’esito può essere:a) idoneità alla qualifica: effettivo possesso di tutte le Unità di competenze ca-ratterizzanti la Figura di riferimento;b) idoneità alla certificazione di specifiche Unità di Competenze che compon-gono la qualifica: effettivo possesso delle competenze attinenti soltanto alcunedelle Unità di competenze caratteristiche della figura di riferimento;c) non idoneità: non superamento di nessuna delle prove previste.le attestazioni rilasciate a seguito di ciascun tipo di esito sono:a) attestato di qualifica;b) certificato di competenze relativo alle Unità di competenze di cui il candidatoha dimostrato il possesso;c) nessuna attestazione di certificazione: qualora il candidato sia pervenuto all’e-same finale a seguito di percorso formativo, può richiedere all’organismo for-mativo una dichiarazione degli apprendimenti relativamente al percorsosvolto, da utilizzare come credito formativo nel caso di rientro in formazione.in caso di esame per il rilascio di certificato di competenze, l’esito può essere:a) idoneità alla certificazione delle Unità di Competenze, per le quali è stata ri-chiesta la certificazione: effettivo possesso di tutte le Unità di competenze ri-spetto alle quali si è svolta la verifica; 132 b) idoneità alla certificazione di specifiche Unità di Competenze, tra quelle per lequali è stata richiesta la certificazione: effettivo possesso delle competenze at-tinenti soltanto alcune delle Unità di competenze rispetto alle quali si è svoltala verifica;c) non idoneità: non superamento di nessuna delle prove previste. 4.6. Riconoscimento dei crediti in ingresso ai percorsi formativiAlla persona che al momento dell’ingresso nel percorso formativo possiedacompetenze più articolate o competenze aggiuntive rispetto alla soglia minimaidentificata e comprese tra quelle previste dal profilo professionale, deve essere ga-rantita la possibilità di vedersi riconosciuto il possesso di tali competenze in ter-mini di credito formativo fino ad un massimo del 50% delle ore del percorso. Talepatrimonio, infatti, determina la riduzione della durata del percorso formativo chela persona deve svolgere per il conseguimento della relativa qualifica professio-nale. l’esame finale dovrà essere sostenuto su tutti i contenuti del percorso.Pertanto, è necessario che ciascun soggetto che eroga servizi di formazione nelsistema regionale di offerta di formazione professionale (peraltro a ciò accreditatosulla base della normativa regionale vigente in materia):– preveda e pubblicizzi adeguatamente la possibilità di riconoscimento di creditiin ingresso, specificando la relativa documentazione necessaria;– garantisca il livello di competenza tecnica adeguato delle risorse professionaliche effettuano la valutazione ed il riconoscimento dei crediti;– effettui la valutazione delle competenze al fine del loro riconoscimento qualicrediti rispetto al percorso formativo almeno sulla base della documentazionerichiesta, eventualmente integrandola con un colloquio;– registri l’intera procedura di valutazione mediante apposito verbale;– attesti gli esiti della procedura di riconoscimento dei crediti indicando gli ele-menti informativi minimi individuati nello schema di riferimento approvatodal dirigente del Settore regionale competente, nel rispetto dei contenuti mi-nimi dell’“Attestazione di riconoscimento di crediti in ingresso al percorso diformazione professionale” di cui all’allegato c dell’Accordo siglato in confe-renza Stato-Regioni il 28 ottobre 2004; tale attestazione costituisce la garanziache il soggetto erogatore fornisce rispetto al corretto svolgimento della proce-dura e, al contempo, permette alla persona cui viene rilasciata di vedersi rico-nosciuti i medesimi crediti in caso di passaggio ad altro percorso formativo fi-nalizzato al conseguimento della medesima qualifica. 133 Modelli scolastici locali Presentiamo ora due modelli significativi per il sistema scolastico, realizzati ilprimo dalla Direzione scolastica regionale della lombardia insieme alla Regionelombardia ed il secondo dall’istituto Malignani di Udine. 1. LOMBARDIA 1.1. La certificazione delle competenze in Lombardiail modello qui presentato, riferito al sistema scolastico, deriva da uno studio diAssolombarda, associazione delle imprese industriali e del terziario dell’area mila-nese.Dal 1992 Assolombarda ha collaborato al Progetto qualità della Scuola, unpercorso formativo e di ricerca finalizzato alla realizzazione di azioni innovativevolte alla qualificazione del sistema di istruzione e formazione locale e nazionale,con il concorso sinergico di istituzioni, attori interni al sistema, forze del mondoimprenditoriale e produttivo. ciò è stato possibile grazie anche a una serie di ac-cordi tra Assolombarda, Regione lombardia e Direzione Scolastica Regionale, fi-nalizzati a migliorare la qualità del sistema scolastico.il Progetto qualità delle Scuola si realizza all’interno della rete RequS, la Reteper la qualità della Scuola, che ha sviluppato il modello di gestione delle compe-tenze di Assolombarda, applicandolo contestualmente al modello didattico-forma-tivo presente in italia.la sperimentazione si è inizialmente innestata nei percorsi di alternanza scuolalavoro, per estendersi successivamente nella formazione professionale e in alcuneesperienze sperimentali di diverse scuole secondarie di secondo grado della regionelombardia.le sperimentazioni sono state realizzate in concertazione con Ufficio Scola-stico Regionale, regione lombardia, università e Associazione Assolombarda.il modello di riferimento è descritto da Umberto Vairetti nel volume: Gestire lecompetenze al lavoro e nella formazione, edito da FrancoAngeli. 1.2. Titoli di studio e loro valorecon l’intesa sottoscritta il 13 marzo 2009 tra il Ministro Gelmini e il presi-dente della regione lombardia Formigoni, viene proposto un modello organizza- 134 tivo sperimentale volto a innalzare la qualità del servizio di istruzione e accrescerel’efficacia e l’efficienza della spesa (art. 1, comma 2). il modello si colloca, co-munque, in coerenza con i curricola nazionali.la sperimentazione della Regione lombardia, a cui l’intesa del 13 marzo 2009fa riferimento, si attua sulla base dell’adesione volontaria delle istituzioni scola-stiche al fine di garantire continuità e unitarietà dell’offerta dell’istruzione e forma-zione professionale nell’ambito territoriale della lombardia, a tal scopo a partiredall’a.s. 2009/10 gli istituti professionali possono erogare l’offerta di istruzione eformazione professionale con riferimento all’accordo Stato regioni siglato il 5 feb-braio 2009, facendo riferimento, riguardo i titoli di uscita, al repertorio di RegioneLombardia delle qualifiche e ei diplomi di istruzione e formazione professionaleapprovato con ddg 244, 19 gennaio 2009 (allegato tecnico all’intesa, pag. 1).Nello stesso allegato a pagina 2 è prevista la possibilità di rilasciare un di-ploma professionale tecnico al termine del quarto anno ai sensi dell’art 20 comma1, lettera c) Decreto legislativo 226/ 2005 sempreché compreso nel repertorio na-zionale.A partire dall’a.s. 2010/11 è prevista l’attivazione di un corso di quinto annorealizzato in intesa con le università e l’alta formazione artistica coreutica e musi-cale finalizzato a sostenere l’esame di stato valido anche per l’ammissione all’uni-versità (allegato tecnico all’intesa, pag. 3, 4).il percorso quinquennale potrà completarsi con percorsi ifts e its secondo unalogica di filiera tecnico-scientifica già prevista nella finanziaria del 2007 alloscopo di formare figure professionali che rispondano alla domanda provenientedal mondo dei settori produttivi interessati alle innovazioni tecnologiche.Allo stato attuale i profili nazionali fanno riferimento ai regolamenti recanti la“revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico” pubblicati in data4 febbraio 2010.Sono in fase di pubblicazione le indicazioni nazionali costruite sulla base dellaclassificazione per competenze, abilità e conoscenze. 1.3. Modello di curricolumil modello proposto da Assolombarda è mutuato da una matrice organizzativaaziendalistica che pone al centro del processo di lavoro la prestazione del soggetto.il presupposto fondamentale in questo modello di gestione delle competenze èla valorizzazione delle competenze individuali del soggetto integrato nell’organiz-zazione.infatti, nella società della conoscenza il ruolo centrale è accordato alla dimen-sione conoscitiva, in particolare la conoscenza è diventata l’unica risorsa, anzichéuna tra le tante, così in questa società il lavoratore diventa, da semplice compo-nente dell’ingranaggio, il bene più prezioso.Fondamentale in questa prospettiva diventa il processo di costruzione delle com-petenze, attraverso un apprendimento continuo e mutevole. Nelle teorie di strategia 135 d’impresa e di gestione delle risorse umane si è posta attenzione in questi ultimi annisul valore attribuito alle risorse umane e sulla sinergia esistente tra apprendimento in-dividuale e apprendimento organizzativo. Nellamappa del valore delle risorse umanela prima fase, fondamentale, è la costruzione delle competenze, che sono una poten-zialità all’interno dell’organizzazione.Affinché queste diventino risorsa fruibile, è ne-cessario attivare relazioni significative e che le competenze si traducano in risultativisibili e concreti, cioè vi sia erogazione della prestazione. Perché le competenze e laprestazione diventino patrimonio dell’organizzazione, è necessario che vi sia la valo-rizzazione delle prestazioni, ultimo quadrante della mappa del valore.la mappa del valore pone, quindi, la costituzione delle competenze al primoquadrante, ma risulta essere anche elemento finale rinforzato del processo ciclicoappena descritto.in questo nuovo panorama della gestione delle risorse del XXi secolo,Assolom-barda sperimenta un nuovo approccio alla costruzione della competenza, cercando dicondividere con gli altri attori elementi concettuali, strumenti e linguaggio.il modello teorico si basa sul concetto che la competenza in azienda significa, so-prattutto, capacità di fare e viene misurata dai risultati ottenuti dal lavoro del soggetto.la riflessione parte da un processo che inverte la logica comunemente adot-tata: “occupiamoci innanzitutto di ciò che le persone fanno, poi di cosa devonosaper fare e infine di ciò che devono conoscere, quali capacità e/o attitudini de-vono avere, quali atteggiamenti, comportamenti devono assumere”. ciò a dire, par-tiamo dalla prestazione richiesta per costruire il processo di apprendimento.la competenza risulta essere, infatti, la capacità di applicare una conoscenzain un contesto dato, assumendo comportamenti funzionali al conseguimento del ri-sultato, ricordando che non si dà competenza al di fuori delle prestazioni.qualunque processo, infatti, che sia di lavoro o di apprendimento-insegna-mento, si realizza attraverso una serie di operazioni/procedure, utilizza risorse, ri-chiede di saper gestire relazioni e risolvere problemi. la struttura del processo èrappresentata come: 136 le fasi sono rappresentate dall’insieme delle prestazioni legate alle procedure,ai tempi, alla progettazione gestione, all’organizzazione.i fattori determinano l’insieme delle prestazioni legate all’utilizzo delle risorsee alla considerazione dei vincoli presenti nel processo.i comportamenti rappresentano la dimensione che determina l’insieme delleprestazioni legate alla gestione delle relazioni e alla risoluzione dei problemi.È possibile, secondo Vairetti, individuare un elenco di prestazioni tipo che at-tengono alle diverse dimensioni e che possono essere valide per qualunque tipo diprocesso. infine, le prestazioni tipo possono, secondo l’autore, essere organizzate eraccolte sotto una stessa categoria a seconda della dimensione a cui si riferiscono,arrivando a costruire una matrice di competenze/prestazioni.Sono previste nove competenze declinate in 27 prestazioni tipo.1.3.1. Modello matrice competenze applicato al processo di apprendimento-inse-gnamentole caratteristiche essenziali del modello sono:a) la matrice competenze-processi è uno strumento per classificare le prestazionirese sia nei processi di lavoro che nei percorsi di apprendimento e permette dirilevarne varianti e analogie;b) è così possibile ottenere nei percorsi formativi prestazioni analoghe a quelle ri-chieste per la gestione dei processi di lavoro e ottenere sul lavoro prestazioniin cui è riconoscibile uno specifico apprendimento; su ciò si fonda la possibi-lità di costruire come un continuum lo sviluppo delle competenze individualitra scuola e lavoro;c) dal confronto tra profilo professionale richiesto sul lavoro e profilo formativoeffettivamente garantito dalla scuola è possibile individuare gli aspetti su cuiintervenire per migliorare la preparazione complessiva degli studenti, utiliz-zando di volta in volta i setting e le strategie formative più efficaci; in altri ter-mini, è possibile stabilire gli obiettivi specifici del progetto di alternanza (com-petenze - obiettivo e prestazioni rivelatrici) e scegliere se, in che misura ecome perseguirli mediante l’apprendimento a scuola o sul lavoro;d) le esperienze di lavoro vengono così assunte nella loro valenza formativa e in pa-rallelo l’esperienza scolastica viene valorizzata anche per i suoi aspetti professio-nalizzanti; si sceglierà di sviluppare le prestazioni attraverso la formazione o illavoro in funzione della maggiore efficacia o efficienza delle diverse opzioni;Nella matrice si identificano quattro competenze sequenziali correlate alla di-mensione del processo di produzione (fasi):1. definire obiettivi e risultati attesi;2. pianificare e programmare le attività;3. attuare;4. controllare. 137 Un secondo gruppo di competenze è correlato alla dimensione dei fattori diproduzione:5. gestire le informazioni (acquisire, selezionare, organizzare, restituire, trasfe-rire);6. gestire i mezzi (strumenti e tecnologie);7. gestire le relazioni (risorse professionali, lo scambio).la matrice prevede, infine, le ultime due competenze che riguardano la dimen-sione dei comportamenti funzionali al raggiungimento del risultato:8. self management;9. problem solving.il lavoro di adattamento del modello competenze-processi al processo forma-tivo di apprendimento ha prodotto una specificazione della matrice che aggiungealcune esemplificazioni di prestazioni scolastiche come evidenze delle compe-tenze.il modello analizzato che emerge è, quindi, un modello snello che prevede 9competenze tipo, individuate sulle 3 dimensioni del processo che si evidenziano at-traverso 27 prestazioni tipo. 1.4. Modello valutativoDal 2002 al 2004 il gruppo di lavoro che ha sviluppato il modello Assolom-barda/Requs ha inizialmente sperimentato prove di accertamento delle competenzeinserite in matrice e ritenute strategiche. È stato prima realizzato un percorso di for-mazione biennale che ha coinvolto 60 docenti e una successiva fase di sommini-strazione delle prove di accertamento rivolta a 2400 studenti1.Sono state costruite prove di:– analisi e comprensione del testo;– matematica;– inglese;– informatica;– chimica-fisica;– 2 prove interdisciplinari.le prove sono state costruite al fine di accertare il livello di padronanza di al-cune competenze della mappa/matrice considerate strategiche.la costruzione delle prove da parte dei partecipanti alla sperimentazione ha te-nuto conto dei seguenti criteri: 1 Per maggiori approfondimenti sugli strumenti e sugli esiti della sperimentazione si rimanda alreport di ricerca reperibile sul sito www.requs.it, alla pagina http://www.requs.it/default.asp?pagina=3179 . 138 – presenza di elementi di sollecitazione per la mobilitazione di alcune compe-tenze;– scelta di competenze considerate “non scolastiche” cioè trascurate dall’appren-dimento formale;– assenza di valutazione delle conoscenze ma valutazione del loro utilizzo in si-tuazioni non usuali;– le prove non sono valutative, non producono un giudizio individuale sullo stu-dente ma raccolgono informazioni statistiche sulle maggiori difficoltà riscontrate;– prove destinate a classi terminali e con durata massima di 3 ore.Nel 2008 la Regione lombardia definisce le linee guida relative agli standardprofessionali, il Quadro Regionale degli Standard Professionali (QRSP) del 13 feb-braio 2008, descrive e classifica i profili professionali di istruzione e formazioneprofessionale declinati in competenze, conoscenze e abilità.Nel quadro le competenze sono ricondotte alla struttura del processo e alla suapluridimensionalità. Vi è, inoltre, esplicito riferimento alla performance lavorativa,il cui possesso è necessario ai fini dell’ottenimento della stessa.Accertare la prestazione è quindi il solo modo per riconoscere il possesso diuna competenza.l’accertamento, la valutazione e la certificazione delle competenze portano se-quenzialmente a produrre il bilancio individuale delle competenze, strumento ne-cessario per un piano di sviluppo personale. 1.5. Modello certificativola legge Regione lombardia n.19 del 2007 contiene un esplicito riferimentoa un sistema di certificazione delle competenze acquisite negli ambiti non formali einformali, nonché quelle acquisite in ambiti formali e certificate dalle istituzioniformative e operatori accreditati.il sistema di certificazione è finalizzato a:a) garantire la trasparenza delle competenze acquisite anche al fine della prosecu-zione degli studi;b) favorire l’inserimento, la permanenza e il reingresso nel mondo del lavoro,nonché lo sviluppo professionale;c) assicurare il riconoscimento a livello regionale, nazionale ed europeo dellecompetenze acquisite nei diversi contesti formali, informali o non formali.la certificazione avviene attraverso il rilascio di:a) qualifica di istruzione e formazione professionale di ii livello europeo;b) attestato di competenza di iii livello europeo;c) attestato di competenza di iV livello europeo;d) attestato di competenza a seguito di specializzazione, formazione continua,permanente e abilitante. 139 Solo al comma 10 vi è riferimento alle modalità strumentali di certificazione.le certificazioni sono registrate nel libretto formativo del cittadino di cui al-l’articolo 2 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle de-leghe in materia di occupazione e mercato del lavoro di cui alla l. 14 febbraio 2003,n. 30), utilizzabile dalla persona nel suo percorso di educazione lungo tutto l’arcodella vita e nelle transizioni in ambito formativo e di lavoro2.Per gli ambiti del secondo ciclo e della formazione superiore di iFP, i contenutidella certificazione sono definiti dai profili formativi dell’apposito Repertorio del-l’offerta regionale. Per gli altri ambiti di formazione e per i casi di acquisizionedelle competenze al di fuori di percorsi formativi (sul lavoro o per esperienza divita), i contenuti sono definiti dai profili professionali del quadro Regionale degliStandard Professionali.A livello dell’apprendimento formale è presente un format di certificazioneelaborato dall’irre lombardia finalizzato alla produzione di modelli per il ri-conoscimento dei crediti e la certificazione delle competenze nell’Educazione/istruzione degli adulti, da proporre a dirigenti e docenti EdA al fine di una speri-mentazione degli stessi in sede di scrutinio finale. Sitografia www.regione.lombardia.it cittadini studiare e formarsiqRPS Regione lombardia http: //85.94.199.86/site/index/normativa_riferimentowww.requs.it competenze e innovazione nell’offerta formativawww.irrelombardia.it http: //www.irrelombardia.it/istr_adulti-home/cert-comp_home 2. ITIS MALIGNANI DI UDINE 2.1. Il biennio dell’obbligo di istruzioneil valore del progetto dell’istituto Malignani di Udine consiste nell’aver affron-tato concretamente e con un approccio metodologico rigoroso il tema della certifi-cazione delle competenze dell’obbligo di istruzione.i lavori sono iniziati in collegio docenti e nei dipartimenti con la formazionedi gruppo di lavoro strutturati per assi. i gruppi hanno iniziato a produrre materialedidattico e di valutazione per assi, superando così la logica disciplinare, per sotto-porli poi al collegio, discutere e, soprattutto, condividere la metodologia.Si è deciso di procedere a ritroso rispetto alla didattica tradizionale: definire lecompetenze in uscita in base al profilo e costruire conseguentemente i curricola per 2 legge Regionale 19/07 art. 10. 140 assi, per il biennio dell’obbligo insieme alla riflessione anche rivolta al triennio. illavoro è stato facilitato anche da un progetto europeo leonardo che ha coinvoltovarie scuole e l’università per la costruzione di indicatori e descrittori in uscitaadatti alla trasferibilità europea.i materiali prodotti – di seguito presentati – sono originali come pure le schededi valutazione delle competenze delle prove; invece, la certificazione finale av-viene su modulo prodotto dal ministero (ancora in bozza). Relativamente alleprove, esse vengono somministrate a tutte le classi per garantire i livelli di compe-tenze previste nelle UdA e per dare credibilità alla valutazione e al lavoro stesso;tuttavia, manca la classe di controllo che non è stata prevista ma che potrebbe es-sere interessante introdurre per avere delle controprove sulla didattica per compe-tenze e sugli esiti rispetto alle classi che lavorano in modo tradizionale.Agli studenti viene presentata, come già detto, la didattica per competenze,spiegando il valore delle prove comuni e fornendo gli strumenti per favorire l’auto-valutazione su abilità, contenuti e conoscenze.Per la preparazione dei materiali, le verifiche, i problemi legati alla valuta-zione, i dipartimenti e gli interdipartimenti si trovano una volta al mese; una volta asettimana, invece, i gruppi di lavoro. Durante gli incontri viene discussa l’efficaciadelle attività svolte e anche il problema legato alla valutazione per competenze chespesso non corrisponde a quella disciplinare. Si creano cioè delle forbici tra le duevalutazioni, inevitabili perché tra sviluppo delle competenze e didattica trasmis-siva, i fattori in gioco sono decisamente più complessi. È naturale pertanto che lavalutazione finale sia distinta da quelle delle competenze; a fine anno scolastico lapagella attesta la valutazione per disciplina e il certificato quella delle competenzeper assi. le competenze di cittadinanza sono inserite nelle programmazioni perassi, con priorità relative a quelle più significative e utili alle UdA che sono svolteper assi nello stesso periodo per poi svolgere la verifica.in prospettiva ravvicinata, l’esigenza di lavorare per competenze ha obbligato idocenti a ripensare ai manuali in adozione; perciò attraverso una rete nazionale èstato avviato un progetto per l’elaborazione di ebook adatti alle esigenze. 141 142 143 144 145 146 147 148 149 150 151 VALUTAZIONE DELLE COMPETENZE PER ASSE AlliEVo________________________________________________clASSE_________________________________________________ 152 Asse deilinguaggi Competenza 1Padroneggiare gli strumentiespressivi ed argomentativiindispensabili per gestirel’interazione comunicativaverbale in vari contesti. Competenza 2leggere, comprendere edinterpretare testi scritti di variotipo. Competenza 3Produrre testi di vario tipo inrelazione ai differenti scopicomunicativi. Competenza 4Utilizzare una lingua stranieraper i principali scopicomunicativi ed operativi. Competenza 5Utilizzare gli strumentifondamentaliper una fruizione consapevoledel patrimonio artistico. Esito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova del livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livellocompetenza livello livello livello livello 153 Asse matematico Competenza 6Utilizzare e produrre testimultimediali. Competenza 1Utilizzare le tecniche e leprocedure del calcoloaritmetico ed algebrico,rappresentandole anche sottoforma grafica. Competenza 2confrontare ed analizzarefigure geometriche,individuandoinvarianti e relazioni. Competenza 3individuare le strategieappropriate per la soluzione diproblemi. Competenza 4Analizzare dati e interpretarlisviluppando deduzioni eragionamenti sugli stessi anchecon l’ausilio di appresentazionigrafiche, usando consape-volmente gli strumenti dicalcolo e le potenzialità offerteda applicazioni specifiche ditipo informatico. Esito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova del livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello 154 Asse scientifico-tecnologico Assestorico-sociale Competenza 1osservare, descrivere edanalizzare fenomeniappartenenti alla realtà naturalee artificiale e riconoscere nellesue varie forme i concetti disistema e di complessità. Competenza 2Analizzare qualitativamente equantitativamente fenomenilegati alle trasformazioni dienergia a partiredall’esperienza. Competenza 3Essere consapevole dellepotenzialità e dei limiti delletecnologie nel contestoculturale e sociale in cuivengono applicate. Competenza 1comprendere il cambiamento ela diversità dei tempi storici inuna dimensione diacronicaattraverso il confronto fraepoche e in una dimensionesincronica attraverso ilconfronto fra aree geografichee culturali. Competenza 2collocare l’esperienzapersonale in un sistema diregole fondato sul reciprocoriconoscimento dei dirittigarantiti dalla costituzione, atutela della persona, dellacollettività e dell’ambiente.Competenza 3Riconoscere le caratteristicheessenziali del sistema socioeconomico per orientarsi neltessuto produttivo del proprioterritorio. Esito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova delEsito formativoprova del livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello livello 155 Una riflessione di sintesi 1. EMILIA ROMAGNA la buona pratica riguarda una linea guida per la progettazione, strutturata sottoforma di un piano formativo per unità di apprendimento connesse all’insieme deitraguardi formativi previsti (competenze, abilità e conoscenze). il valore di taleprassi è costituito dall’organicità dell’approccio, così da consentire una coerenzatra il momento progettuale, quello della cura degli apprendimenti e quello della va-lutazione/certificazione. in tal modo, l’unità formativa rappresenta il modo ordi-nario del processo di apprendimento e non una modalità occasionale; ciò consentedi dare consistenza all’intesa nei consigli di classe e ad affrontare in modo più rigo-roso e attendibile il momento della valutazione.Si tratta, però, di un modello precedente al processo di definizione degli stan-dard nazionali, quindi esso deve uscire da una sorta di autoreferenzialità regionaleper confrontarsi con un quadro nazionale ed europeo che non può essere soddi-sfatto unicamente dalla logica del minimo fattore comune, ovvero i compiti con-nessi alle figure professionali, poiché in tal modo si rimarrebbe ancora nello strettoambito delle pratiche neo-addestrative, basate sulle operazioni tecnico-professio-nali, ma non aperte ad un respiro culturale né di cittadinanza. 2. VENETO il progetto del Veneto assume una rilevanza particolare – e per certi versi unicasul piano nazionale – per il fatto di aver evitato di dare vita ad un modello autocra-tico, ma di aver fornito un ambito progettuale e di confronto a tutti gli attori ingioco nel sistema educativo e formativo, del lavoro e delle professioni, tenendoconto delle diverse normative elaborate ed in via di elaborazione, avendo come ri-ferimento la definizione di un sistema di gestione delle competenze condiviso epraticabile.Tramite la dinamica delle reti ed una procedura di coordinamento e di monito-raggio centrale, il progetto ha consentito di definire una sorta di “modello conver-gente”, sulla base del quale è ora possibile pensare ad una linea guida regionalecondivisibile e praticabile nel sistema più ampio. Naturalmente, in questo modo laRegione svolge un ruolo non tanto di amministrazione dei processi certificativiconnessi al sistema di istruzione e formazione professionale, ma più ampiamente 156 fornisce un’animazione del sistema locale affinché, nel rispetto dei ruoli e dellenormative, si possa delineare dal basso un modello convergente che eviti il caos el’inconfrontabiltà. 3. PIEMONTE la Regione Piemonte ha sviluppato un lavoro rilevante in tema di standardformativi e sistema di certificazione delle competenze. È positivo lo sforzo fattonel delineare un modello di riferimento fondato su un approccio culturale ben defi-nito, di matrice neuro-linguistica, e la volontà di giungere ad un modello non li-neare ma a struttura circolare, nel quale siano compresenti le diverse dimensionidel processo della competenza (competenze/capacità; attività/azione). È, nel con-tempo, positiva la costruzione di un sistema omogeneo di strutturazione contenentei traguardi formativi e le prove di valutazione, a cura dell’ente gestore.la soluzione adottata, anche in riferimento alla certificazione dei risultati diapprendimento, appare peraltro eccessivamente autoreferenziale, oltre che com-plessa ed articolata, finendo per appesantire eccessivamente il lavoro dei vari sog-getti compilatori ed inducendo, anche in modo involontario, un’omogeneizzazionedelle pratiche educative e formative, riducendo in tal modo lo spazio dell’auto-nomia e della costruttività dei percorsi formativi. 4. TOSCANA Anche il sistema Toscano per il riconoscimento e la certificazione delle com-petenze comunque acquisite, sulla base della garanzia di leggibilità e trasparenzanei confronti degli altri sistemi regionali e nazionali, presenta un valore significa-tivo, pur trattandosi ancora di una soluzione decisamente autoreferenziale che nonsi pone affatto il problema della connessione con altri modelli e con il contesto na-zionale.il sistema regionale per il riconoscimento e la certificazione delle competenzesi fonda su un insieme di standard condivisi che costituiscono il riferimento regola-tore per l’erogazione dei servizi di formazione e di riconoscimento e certificazionedelle competenze comunque acquisite. Esso si rivolge ai titoli ed alle qualifiche dicompetenza regionale, ma ha l’intento di applicarsi anche al sistema scolastico piùvasto. il sistema Toscano, in particolare, permette di ottenere qualifiche professio-nali anche senza frequentare percorsi formativi, ma riconoscendo dei crediti per ap-prendimenti ottenuti in contesti sia formali che informali o non formali. È un model-lo molto frammentato e, quindi, basato su un approccio operativistico e compositi-vo, che non consente una riflessione di insieme sulla padronanza come capacità dimobilitazione della persona in riferimento all’insieme delle competenze possedute. 157 5. LOMBARDIA il modello della lombardia ha il vantaggio di essere pensato in cooperazionetra Regione e sistema scolastico; inoltre, risulta da una collaborazione con le asso-ciazioni imprenditoriali, garantendo in tal modo un legame solido con la realtà.Esso però segue la stessa pista degli altri modelli regionali, riferibili ad una sta-gione precedente a quella di EqF. lo rivela l’enfasi eccessiva - ed esclusiva - alleevidenze intese come prestazioni tecnico-professionali, quindi operazioni speci-fiche, tendenzialmente autonome dalle altre ed in ogni caso non rielaborate entroun quadro educativo e culturale. in questo modo, la prestazione diventa una sorta ditessera minima del puzzle delle competenze, così che il disegno complessivo non èun tutto unico, ma un reticolo di pezzetti che si congiungono.Dal punto di vista metodologico, si rischia il performativismo secondo cui lacompetenza viene fatta coincidere con la prestazione; inoltre, non compaiono nelmodello i compiti complessi, ma si evidenzia una formazione centrata su routinedate e consolidate. 6. ISTITUTO MALIGNANI DI UDINE il valore dell’esperienza dell’istituto Malignani risiede nella capacità di svilup-pare un dispositivo rigoroso e realistico di valutazione delle competenze relative al-l’obbligo di istruzione, mediante una metodologia innovativa e concreta, la cui ap-plicazione ha portato a riflessioni rilevanti circa l’indirizzo metodologico dell’isti-tuto e le pratiche didattiche e valutative da adottare.Non è, quindi, un’iniziativa pensata in astratto e poi messa in atto in piccolerealtà sperimentali, ma una prassi che, unica nel contesto nazionale, è stata appli-cata all’universo degli studenti del secondo anno. Parte terza:LA PROPOSTA 161 Due modelli a confronto:educativo-culturale e prestazionale la rassegna che abbiamo appena svolto presenta una duplice tipologia di mo-delli:1. i modelli di natura educativa e culturale, con componenti significative di na-tura tecnico-professionale, che concepiscono la competenza come capacità dimobilitazione del soggetto di fronte a compiti tendenzialmente complessi contratti di imprevedibilità. Appartengono a tale impostazione la maggior partedelle esperienze internazionali individuate, oltre al modello Veneto e a quellodell’istituto Malignani di Udine;2. i modelli di natura “prestazionale” che fanno coincidere le competenze con leoperazioni connesse ai compiti di natura prioritariamente professionale e cheprocedono tramite sequenze di routine note e consolidate. Appartengono a taleimpostazione, pur con modalità ed accentuazioni differenti, le altre esperienzenazionali: Piemonte, Toscana, lombardia, Emilia Romagna.Esiste una differenza radicale, e secondo noi non componibile, tra i due ap-procci che consiste nella diversità radicale della preoccupazione di fondo: mentre imodelli educativi e culturali pongono al centro la necessità di formare il cittadinodella società complessa, in grado di mobilitare le diverse risorse a disposizione afronte delle sfide e dei problemi emergenti dalla realtà, i modelli prestazionali sipongono il problema più circoscritto di adattare la gioventù alle richieste dell’im-presa, concepite come routine bell’è fatte che debbono essere apprese una ad una inmodo sequenziale.Anche il quadro culturale risulta decisamente differente: i primi sono collocatientro una prospettiva più ampia, centrata sulla riflessione circa i processi educativinel contesto della società complessa e, quindi, con riferimenti a due visioni fonda-mentali: in primo luogo la visione socio culturale di Vygotskij (1972, 2002, 2006),secondo cui la scuola ed in genere l’educazione nell’attuale contesto debbono ac-centuare maggiormente la formazione delle facoltà psichiche superiori come la ri-flessione, la consapevolezza, il pensiero logico, la capacità analitica nella valuta-zione e acquisizione delle conoscenze, tutte determinate dal linguaggio e dall’eser-cizio operato nella scuola dagli educatori, con forte rilevanza per l’“interdipen-denza positiva” tra gli allievi. in secondo luogo la visione costruttivista di Bruner(1966, 1999, 2002), il quale attribuisce notevole rilevanza alla cultura come fattorein grado di mobilitare il passaggio da un sistema di conoscenze attivo ad uno ico- 162 nico ad uno simbolico, così da aumentare il potere d’azione dell’individuo sullarealtà, permettendogli di amplificare le proprie capacità riflessive anche tramite il“principio di esternalizzazione” che richiama l’importanza di costruire opere chediano evidenza del lavoro mentale realizzato, dando forma oggettiva ai pensieri.i secondi modelli assumono, invece, una prospettiva più delimitata, caratteriz-zata da due ancoraggi prioritari: in primo luogo le teorie comportamentiste (Watson1930, Tolman 1976), che concepiscono il processo di apprendimento come unasuccessione di stimoli forniti al soggetto dall’ambiente, a cui egli risponde concomportamenti appropriati, mettendo in moto un “condizionamento operante” nelcontesto di una “istruzione programmata” caratterizzata da routine di compiti edoperazioni e da un sistema di ricompense e di sanzioni. in secondo essi si colleganoad una letteratura di natura manageriale in riferimento alla formazione delle risorseumane in azienda (costa 2002), senza peraltro riflettere sugli approcci più collega-bili alla tematica dell’“economia della conoscenza” (Rullani 2004), con applica-zioni immediate di tali impostazioni entro il contesto educativo (Vairetti 2009).Di conseguenza, essi divergono circa la posizione della scuola1 nel contestosociale: i primi puntano ad una centralità del ruolo scolastico nell’ambito di uncompito educativo e culturale che appartiene alla comunità sociale più ampia, com-presi i soggetti economici e professionali, mentre i secondi prospettano una sorta didipendenza della scuola dalle richieste prestazionali del sistema economico, sullabase di una rappresentazione neo-tayloristica dei ruoli lavorativi e del rapporto traindividuo e organizzazione.infine, vi è una differenza non di poco conto in rapporto al modo del coinvol-gimento dei giovani: mentre i primi si pongono nella prospettiva di una nuova im-postazione di tale relazione, alla luce della riflessione sui processi di apprendi-mento e sui costumi culturali del nostro tempo, proponendo un approccio amiche-vole in grado di mobilitare le risorse umane degli studenti entro una didattica at-tiva, centrata sul coinvolgimento e la scoperta, i secondi esprimono un approcciopiù ristretto definito da un processo che richiama la tecnologia dell’istruzione e ri-chiede una sequenza di operazioni da mettere in atto sulla base delle richieste pro-venienti dall’esterno, senza una reale mobilitazione delle leve intrinseche che so-stengono l’apprendimento.Si potrebbe dire che mentre i modelli prevalenti nel contesto internazionale simuovono entro una visione positiva dell’educazione, i secondi sono a-educativi e siaccontentano di sequenze di prestazioni conformi ai ruoli sociali costituiti.in questo senso, mentre una parte dei primi modelli – la descrizione dei com-piti professionali sotto forma di prestazioni – può essere ricompresa entro il se-condo approccio, il contrario non può avvenire a causa della ristrettezza di prospet-tiva dei primi. Naturalmente tale assunzione deve essere effettuata con l’accortezza 1 in questo contesto si intende per “scuola” l’insieme delle istituzioni, anche formative, che ope-rano nel sistema educativo. 163 di introdurre anche compiti complessi e multicompetenze e di porre in evidenza glielementi della cultura professionale in quanto componente della cultura di cittadi-nanza che può trovare legami con molti fattori degli assi culturali, ma non necessa-riamente tutti.Per tutti questi motivi, i due modelli si impongono in modo alternativo l’unoverso l’altro.Pare a noi che di fronte a tale alternativa, sia preferibile il primo modelloperché si pone in una prospettiva educativa e culturale, assicurando in tale otticaanche la garanzia di una rigorosa formazione tecnico-professionale degli studenti,ma entro un’impostazione aperta, olistica, saremmo tentati di dire “umana”.la formazione di persone competenti rientra nel più ampio compito educativodella società. Annah Arendt ha espresso nel testo Vita Activa una definizione asso-lutamente convincente circa tale compito: «il fatto che l’uomo sia capace d’azionesignifica che da lui ci si può attendere l’inatteso, che è in grado di compiere ciò cheè infinitamente improbabile. E ciò è possibile solo perché ogni uomo è unico e conla nascita di ciascuno viene al mondo qualcosa di nuovo nella sua unicità» (Arendt1999, p. 29). 165 Un nuovo patto educativo tra scuola e giovani quello che emerge sul piano internazionale, e nel contesto Triveneto1, indica,innanzitutto, che siamo in presenza di una stagione di forte impegno e innovazionein tema non solo di valutazione degli apprendimenti, ma anche di filosofia di fondodei sistemi educativi e di definizione di un nuovo Patto tra scuola e giovani, oltreche del sistema formativo e gli adulti.Non si tratta, quindi, solo di dispositivi amministrativi, ma di una vera e pro-pria ripresa di tensione educativa dei sistemi educativi.questa stagione è messa in evidenza dalla presenza di un modello di proveesterne che non assomigliano ai tradizionali test strutturati sotto forma di batterie diquesiti specie a risposta multipla, ma si strutturano per compiti e problemi orientatialla cittadinanza (Eurdyce 2009). Nel contempo emergono i dispositivi di certifica-zione delle competenze del cittadino, con conseguenze importanti per il processo divalutazione interno alle istituzioni erogative che punta a superare (e per certi versiinglobare) le tradizionali verifiche didattiche per compiti standard ed interrogazionisu quesiti noti, a favore di una modalità di valutazione che metta a fuoco la padro-nanza dello studente non tanto nella ripetizione del sapere, bensì della sua mobilita-zione in situazioni reali ed adeguate. Ma ciò richiama, come abbiamo detto, unanuova impostazione circa la natura del compito della scuola ed il modo in cui si as-sume il rapporto con le giovani generazioni.È possibile affermare, con una certa approssimazione, che siamo di fronte adun “modello emergente” di natura educativa e culturale che si sviluppa intorno aiseguenti tre nodi teorici e metodologici:• il modo in cui è assunto il concetto di competenza ed il rapporto tra questo ed isaperi disciplinari;• il modo in cui viene intesa la doppia natura della valutazione: formativa e per ivoti, ed il rapporto tra questa e la certificazione;• il ruolo attribuito agli studenti nel processo di apprendimento e di maturazioneoltre che di valutazione e, nel contempo, il ruolo delle autonomie locali e del-l’istituzione scolastica nel definire il curricolum e le condizioni della sua rea-lizzazione. 1 Facciamo riferimento anche al progetto della Regione Friuli, ma anche all’esperienza del Tren-tino che presenta tratti di affinità all’approccio qui perseguito. 166 1. COMPETENZA E SAPERI DISCIPLINARI Si tratta del punto nodale della questione intorno al quale si confrontano i si-stemi formativi dei vari paesi analizzati: qual è la differenza tra competenze e sa-peri disciplinari e, nel contempo, quali legami intercorrono tra di loro.Emerge dalla ricerca un modello prevalente che considera le discipline ed i sa-peri connessi come risorse a disposizione degli studenti, il cui possesso è indispen-sabile, al fine di fronteggiare compiti e problemi sempre più complessi man manoprocede il percorso degli studi, e che abilitano la persona ad esercitare le proprieprerogative in un contesto di cittadinanza attiva, autonoma e responsabile.Da qui la centralità delle competenze nel curricolum e, nel contempo, l’in-treccio indispensabile tra queste ed i contenuti disciplinari.questa impostazione è ben evidenziata dal caso del québec per il quale lastruttura dei cicli non è costituita dal processo di accumulo di conoscenze (che, inrealtà, sono le stesse per ogni ciclo, ma più numerose via via che il percorso pro-cede), bensì dalla costruzione progressiva di competenze sempre più complesse fi-nalizzate alla scoperta, all’acquisizione dell’autonomia e responsabilità da partedegli studenti. il sistema, quindi, non è più fondato su programmi, bensì su unaprospettiva esplicitamente educativa e formativa che presenta una dimensione ne-cessariamente collettiva, vedendo coinvolti le famiglie, la scuola, il territorio, glistudenti e le imprese, ecc., che vede al centro lo studente.Si può dire, in altri termini, che il discorso delle competenze rappresenta l’or-dito di un tessuto, la formazione della persona, la cui trama è costituita dai saperidisciplinari, oltre che dalle capacità personali. È in questo modo che il compitodella scuola acquisisce una valenza prioritaria di natura educativa e formativa:– educativa, poiché mira alla piena espressione delle possibilità buone di ognistudente, nessuno escluso, attraverso il confronto con la cultura tramite cui sirende possibile la scoperta della realtà e del proprio mondo personale;– formativa, poiché indirizza il processo educativo entro una forma prevalentecostituita dalla figura del cittadino consapevole, in grado di esercitare la pro-pria presenza nel mondo attraverso l’assunzione autonoma e responsabile deiruoli e, quindi, dei compiti affidati, compresi quelli lavorativi ma non soloquesti, contribuendo in tal modo ad accrescere il bene collettivo.istruzione ed addestramento non sono, quindi, delle finalità, ma modalitàmesse in atto nel processo educativo e formativo.– l’istruzione indica lo sforzo finalizzato ad accrescere le conoscenze possedutedallo studente e si sviluppa mediante differenti tecniche, la più diffusa dellequali è la docenza frontale con relative verifiche, una tecnica che va gestita inmodo puntuale ed appropriato tenuto conto delle condizioni di efficacia chenon sempre sussistono (si pensi alla motivazione, al desiderio di apprendere,all’omogeneità del gruppo-classe, ai tempi …); 167 – l’addestramento indica a sua volta lo sforzo di accrescerne le abilità mediantel’imitazione, la ripetizione dei gesti (fisici e mentali) e l’acquisizione di rou-tine definite da sequenze più o meno rigide di operazioni miranti ad uno scopodefinito.in tale prospettiva, risulta importante il riferimento al lavoro che emerge inogni sistema indagato. Nel caso polacco, ad esempio, il “Life Skills for Employabi-lity” del 2006 prevede tra le diverse aree di competenza anche lo sviluppo di abilitàlegate alla professione intese come capacità di lavorare in gruppo e di avere un’e-tica professionale; capacità di autovalutazione e disponibilità ad assumersi rischi;progettazione e gestione efficaci del tempo e del denaro.il canton Ticino esprime una realtà di influenza tedesca nella quale è forte-mente rilevante la formazione professionale, tanto che circa due terzi dei giovanisvizzeri alla fine della scuola obbligatoria scelgono di seguire un percorso di for-mazione professionale di base che permette di combinare teoria e pratica e di en-trare rapidamente nel mondo del lavoro. 2. VALUTAZIONE FORMATIVA, DARE VOTI E CERTIFICARE Di conseguenza a quanto detto in tema di competenze e saperi disciplinari, sipone in luce la differenza necessaria tra il compito della valutazione formativa, cherisulta prioritario nel lavoro scolastico, ed il processo del “dare voti”, a loro voltadistinti dalla certificazione delle competenze.la Francia esprime bene la differenza tra le due modalità di valutazione: dopoaver affermato che questa rappresenta un elemento fondamentale del processo edu-cativo con un’attenzione particolare per la valutazione formativa, si afferma chevalutare e dare il voto sono due cose che vanno tenute distinte, così come vanno te-nute distinte dalla certificazione delle competenze:– la valutazione formativa cerca di definire lo stato degli apprendimenti in rela-zione agli obiettivi specifici prefissati, ovvero le competenze, e serve a metterein evidenza i successi e, nel contempo, le carenze così da permettere di porvirimedio, dando consapevolezza all’allievo e fornendo indicazioni per il lavorodegli insegnanti;– dare un voto numerico consiste nella traduzione in cifra della produzione spe-cifica e puntuale dell’alunno: il voto di un compito è il risultato della sommadei punti attribuiti all’alunno in funzione del dispositivo fissato per il conse-guimento di ciascun obiettivo di apprendimento valutato.la valutazione di una competenza è, infatti, nettamente distinta dalla verificadi una conoscenza o abilità/capacità che si applica necessariamente ad una situa-zione già nota; la padronanza della competenza viene messa a fuoco e, quindi, ri-sulta possibile valutarla, quando l’alunno si trova di fronte a un problema nuovo 168 ovvero a un compito complesso, le cui caratteristiche prestative non possono essererese tramite una routine bell’è fatta, ma richiedono di mettere in gioco combina-zioni non predeterminabili di risorse (abilità, conoscenze, capacità) da definire tra-mite decisioni successive. Tale processo deve necessariamente svolgersi in situa-zioni e contesti reali o realistici; inoltre, molto spesso, ciò richiede la cooperazionetra insegnanti diversi.il punto della questione risiede nel modo in cui i voti numerici concorrono allevalutazioni finali e certificative: in Francia i primi hanno un peso, che non esau-risce però il giudizio relativo alle competenze, la cui consistenza non può essere af-fermata dalla media dei voti.la certificazione indica l’attestazione del raggiungimento da parte del candi-dato dei traguardi di competenza previsti. Essa può avere una struttura binaria –come nel caso francese – oppure può prevedere una scala con differenti item comenel caso canadese o anche italiano. 3. RUOLO ATTRIBUITO AGLI STUDENTI Ma lo spostamento dell’asse della valutazione sulle competenze porta con séun diverso modo di fare scuola rispetto agli attori in gioco, ciò a favore di un mag-giore coinvolgimento e protagonismo degli studenti, collocati entro una comunitàdi insegnamento ed apprendimento che si esprime nella messa in comune dellecompetenze degli insegnanti e degli altri attori in modo da costruire volta per voltapercorso e situazioni di apprendimento non routinari, ma caratterizzati da novità.le stesse valutazioni, facendo parte delle azioni pedagogiche, coinvolgonol’alunno nei suoi percorsi di apprendimento. A questo proposito possiamo trovaredue soluzioni:1. una nella quale l’alunno viene coinvolto tramite conoscenze degli obiettivi edei metodi, raccolta dei propri prodotti, autovalutazione, mentre il curricolumè, comunque, deciso dalla realtà scolastica;2. l’altra nella quale lo studente è direttamente coinvolto nel percorso degli studipoiché decide il proprio piano in funzione dei corsi possibili e dei crediti ac-quisibili, sapendo che taluni di questi sono indispensabili per conseguire un ti-tolo, ma i tempi dello studio consentono – e suggeriscono – anche di affrontareattività opzionali, tra cui la possibilità di anticipare contenuti della tappa suc-cessiva.circa il primo caso, si ricorda il successo riscontrato presso gli studenti po-lacchi delle attività modulari relative ai percorsi educativi interdisciplinari gestiteinsieme da più docenti, utilizzando metodologie che prevedono l’assunzione di unruolo attivo e propositivo da parte degli studenti: lavoro di gruppo, peer tutoring edapprendimento cooperativo. 169 circa il secondo, tutto l’ambito scandinavo, compresa la Danimarca, puntasulla valorizzazione dell’iniziativa degli studenti nel percorso degli studi.in Finlandia le recenti politiche educative enfatizzano l’individualità, la flessi-bilità, l’opzionalità e la responsabilità locale e ciò ha portato ad un incremento del-l’offerta formativa nel paese. È incoraggiata l’autovalutazione da parte dello stu-dente e ciò rappresenta una dimensione importante del processo di apprendimento.il caso danese propone lo strumento del My Competence Portfolio un’autocer-tificazione nella quale il titolare può registrare il proprio cV e tutto quanto può ser-vire per definire il quadro formativo e delle competenze acquisite sia in chiave for-male che informale e non formale. il percorso degli studi è, quindi, molto flessibilein base alle competenze attestate ed è, inoltre, gestito dallo studente entro un si-stema di corsi obbligatori e facoltativi.È interessante lo strumento del Project Work nel caso svedese tramite cui siapre un’area di fertile impiego delle risorse individuali, intellettuali e operative,nella quale esplicare e far interagire le capacità acquisite sia attraverso l’apprendi-mento a scuola, sia in campi personali d’esperienza.È da notare come la flessibilità e l’opzionalità si leghino strettamente con il de-centramento e la forte responsabilità delle autorità locali in ordine ai programmi edai contenuti degli studi. questi, infatti, presentano un margine anche rilevante diflessibilità e variabilità che procede secondo la logica dell’“equivalenza formativa”per cui le stesse competenze possono essere perseguite mediante compiti e pro-blemi posti in situazioni differenti.in questo modo si coglie il carattere sociale dell’azione della scuola, tramite ilcoinvolgimento collettivo dei vari attori della comunità più vasta, la vera titolaredel compito educativo e formativo. 171 Il caso italiano con il nuovo ordinamento, la scuola si trova ad affrontare un cambio rilevante,centrato su tre questioni cruciali:1. favorire apprendimenti “autentici” presso gli studenti, nell’ambito di una lorotrasformazione coerente con il Pecup, ovvero il traguardo antropologico e cul-turale che disegna il profilo dello studente così come lo si immagina al terminedel percorso degli studi;2. certificare le competenze, ovvero “ciò che lo studente sa fare con ciò che sa”;3. sostenere l’autonomia della scuola come approccio necessario all’elaborazionedi un curricolum appropriato, che valorizzi le risorse del contesto e metta inmoto la capacità progettuale e di lavoro cooperativo dei docenti entro una pro-spettiva di rete e di “regole dell’autonomia”.Si tratta di una prospettiva piuttosto impegnativa, ma indispensabile, se vogliamoche avanzi nella scuola (condizione necessaria perché ciò avvenga anche per gli stu-denti) una cultura dell’autonomia che significa responsabilità educativa, solidarietà trascuole e gli altri attori coinvolti, sussidiarietà nel rapporto con lo Stato e le regioni.il tema della valutazione degli apprendimenti rappresenta il punto più rilevantesul quale si sta giocando molta della partita dell’autonomia delle scuole: il pas-saggio da un ordinamento centrato sui “programmi nazionali” ad un altro che pre-dilige i “risultati di apprendimento” (knowledge outcome) risulta largamente in-compiuto e, quindi, equivoco, nel momento in cui l’autorità pubblica ha omesso diindicare gli standard di apprendimento e di valutazione-certificazione, ovvero lecaratteristiche ed i livelli delle prestazioni attese, affinché si possano rilasciare i ti-toli ed i certificati previsti, limitandosi ad enunciare le competenze-traguardo arti-colate in conoscenze ed abilità. questa mancanza lascia aperto un vuoto che puòessere riempito solo in due modi:• attraverso un controllo centralistico da parte del MiUR delle prove di valuta-zione che finirebbero in tal modo per espropriare le scuole di una loro compe-tenza rilevante e per imporre surrettiziamente (o meglio: per condizionamento“dal fondo”) una didattica tutta funzionale al superamento delle prove stesse;• per mezzo di una assunzione di responsabilità delle scuole autonome, che sullabase di intese di rete decidono di adottare una linea guida univoca in merito alleevidenze delle competenze ed ai loro livelli di accettabilità, alle modalità di defi-nizione delle unità di apprendimento, alle prove esperte ed alle modalità di certi-ficazione. Aggiungendo a ciò la creazione di un network di condivisione di stru-menti, materiali, occasioni di scambio, ricerca, lavoro comune tra scuole. 172 Una scuola autonoma accetta di buon grado di essere valutata da un organismoesterno legittimato a ciò, ma non può consegnare al ruolo sussidiario la valutazioneche – come sappiamo – impegna da vicino le scelte relative alla didattica e all’or-ganizzazione del curricolum. 1. LA FALSA ALTERNATIVA TRA CONTENUTI E COMPETENZE Una questione centrale nel rilancio dell’autorevolezza dell’educazione consistenel rapporto tra contenuti e competenze. il dibattito attuale si sta pericolosamentebloccando entro una falsa alternativa tra i due fattori, evidenziando un’idea astrattadei primi ed una visione puramente funzionale delle seconde. in realtà, le compe-tenze non vanno intese come un sostituto funzionale delle conoscenze, ma comeuna qualità antropologica delle persone, in base alla quale esse sono in grado dimobilitarsi entro la realtà in modo autonomo e responsabile, fronteggiando e por-tando a termine i compiti e problemi da cui sono sfidate.la vera questione è, pertanto, contrastare la decadenza dell’insegnamento a di-sciplinarismo, ovvero l’impoverimento della capacità del sapere di suscitare affezione,di spiegare la realtà e di aiutare l’allievo ad operare in essa con un progetto positivo. ilnodo centrale è, quindi, costituito dalla formazione dei docenti: in gran parte, gli inse-gnamenti dalle scuole medie in su sono impartiti ancora secondo programmi basatisull’epistemologia delle discipline, in un contesto inerte di insegnamento-verifica.Di contro, l’impostazione metodologica più accreditata, sulla base della qualesono stati scritti i regolamenti, è di matrice costruttivista e sociale; essa si basa sulprincipio dell’autenticità degli apprendimenti, della personalizzazione dei percorsie della trasparenza delle attestazioni e delle certificazioni.l’insegnamento nel contesto dell’approccio per competenze, cessa di essereuna “successione di lezioni”, ma procede come “organizzazione e animazione di si-tuazioni di apprendimento”.Per lavorare in modo consapevole sulle competenze è necessario, quindi, ricol-legare ciascuna competenza a un insieme delimitato di problemi e di compiti ed in-ventariare le risorse intellettive (saperi, tecniche, saper-fare, attitudini, competenzepiù specifiche) messe in moto dalla competenza considerata.l’approccio del processo insegnamento/apprendimento per competenze si basasull’analisi dei problemi e delle situazioni da risolvere di volta in volta sul campo enon sui saperi che restano impliciti e legati alle esperienze, interessi e necessità in-dividuali di ciascun esperto.ciò significa che tale processo si realizza in modo costruttivo, tramite unità diapprendimento.inoltre, la competenza è messa in luce tramite compiti-problemi e mobilita inuclei portanti del sapere posti secondo una successione formativa, ovvero attentaal modo in cui gli allievi imparano. 173 La proposta: una valutazione attendibile Possiamo ora avanzare una proposta che trae riscontro nei casi di studio inda-gati e riflette l’opzione educativa e culturale emersa da tale percorso. ciò significache la valutazione viene collocata entro una prospettiva che pone al centro l’inten-zionalità educativa degli insegnanti e delle scuole, finalizzata prioritariamente arendere evidenti le capacità buone degli allievi e a dare loro una forma significativaed utile dal punto di vista sociale, nella prospettiva della cittadinanza.Essa si ancora ad una concezione della competenza non intesa come saperi,saper-fare o attitudini, né intesi singolarmente né come somma di elementi, macome qualità del soggetto che apprende: essa è concepita, quindi, come padro-nanza, una qualità in base alla quale la persona è in grado di mobilitare, integrareed orchestrare tali risorse.questa mobilitazione è pertinente solo entro una situazione reale (o simulata);ogni situazione costituisce un caso a sé stante, anche se può essere trattata per ana-logia con altre situazioni già incontrate. l’esercizio della competenza passa attra-verso operazioni mentali complesse, quelle che permettono di determinare (più omeno coscientemente e rapidamente) e di realizzare (più o meno efficacemente)un’azione relativamente adatta alla situazione.in base a ciò, è incongruo ritenere che la valutazione delle competenze sisvolga attraverso la somma algebrica di voti conseguenti a verifiche aventi per og-getto conoscenze ed abilità, attuate in modo inerte, ovvero slegate da un compito-problema contestualizzato, perché questo modo di procedere non consente di espri-mere un giudizio sulla capacità della persona di mobilitare le risorse a disposizionea fronte di compiti-problema reali, fattore che costituisce il cuore di una valuta-zione attendibile. È, quindi, indispensabile che la valutazione segua una didatticaper competenze; questa è svolta tramite unità di apprendimento, caratterizzate dal-l’insieme di occasioni che consentono allo studente di entrare in un rapporto perso-nale con il sapere, affrontando compiti che conducono a prodotti di cui egli possaandare orgoglioso e che costituiscono oggetto di una valutazione attendibile.Tre sono, pertanto, gli elementi fondamentali per la descrizione di una compe-tenza: i tipi di situazione di cui essa dà una certa padronanza; le risorse che mobi-lita, saperi teorici e metodologici, attitudini, saper-fare e competenze più speci-fiche, schemi motori, schemi di percezione, di valutazione, di anticipazione, di de-cisione; la natura degli schemi di pensiero che permettono la sollecitazione, la mo-bilitazione e l’orchestrazione di risorse pertinenti, in situazione complessa e intempo reale. A differenza della valutazione di conoscenze ed abilità, la valutazione 174 di una competenza richiede l’analisi della dimensione da valutare, la scelta di cri-teri di valutazione, gli strumenti di valutazione, i livelli di prestazione.Tale approccio necessita di un quadro di dimensioni che possono essere riferite:a. allo schema cognitivo (collegare situazioni, fatti, impostare la risoluzione diproblemi, creare collegamenti, eseguire confronti, sintetizzare …);b. allo schema operativo (applicazione di regole grammaticali, di sequenze dioperazioni…);c. allo schema affettivo e relazionale (esprimere motivazione, curiosità, empatia…);d. allo schema sociale (comunicare, lavorare in modo cooperativo, assumere re-sponsabilità…);e. allo schema della metacognizione (riflettere e trasferire).È rilevante in questo tema il riferimento ad EqF – il sistema europeo di classi-ficazione delle competenze – perché illustra in modo univoco i risultati dell’ap-prendimento, pone al centro dell’apprendimento le competenze, propone una rela-zione “attiva” tra competenze, abilità e conoscenze, valorizza allo stesso tempo i ri-sultati di apprendimento formali, non formali ed informali. Un tale sistema richiedel’adozione di un modello rigoroso e fondato di valutazione, convalida il riconosci-mento dei risultati di apprendimento delle competenze e dei saperi, in modo daporre in luce le relative evidenze della competenza ed i relativi livelli di padro-nanza da parte della persona che ne è titolare.Sulla base di quanto detto, si può delineare nel modo seguente il processo divalutazione, distinto in quattro fasi: previa, formativa, finale o accertativa, infineattestativa e certificativa. FASIPrevia Formativa AZIONIPer ogni competenza, meglio se aggregata per area omogenea (utilizzando le 8 com-petenze chiave di cittadinanza europea), occorre svolgere un’istruttoria (tramite unaRubrica della competenza) finalizzata ad individuare:- le evidenze sotto forma di compiti-problema e saperi essenziali connessi;- le dimensioni da valutare;- i criteri e gli strumenti di valutazione;- i livelli di padronanza. ogni azione didattica che sollecita la padronanza nello studente (sia quelle più piccole acarattere disciplinare e di area formativa, sia quelle più ampie interdisciplinari o collo-cate oltre le discipline) viene valutata tramite una griglia unitaria che consenta l’analisi:- dei prodotti intesi in senso proprio (un elaborato, un complessivo tecnologico, unevento …);- dei comportamenti e dei processi posti in atto;- del linguaggio e della padronanza delle teorie sottese. la progressione dello studente nel cammino del “diventare competente” viene docu-mentata tramite l’attestazione delle attività svolte e dei punteggi ottenuti.Sono previste anche verifiche periodiche di padronanza centrate espressamente sulleconoscenze ed abilità.questo modo di procedere consente di suggerire al consiglio di classe gli opportuniinterventi di recupero e di sviluppo degli apprendimenti. 175 la valutazione finale avviene tramite prove pluri-competenze (sempre sullabase delle rubriche di riferimento), collocate in corrispondenza delle scadenze for-mali dei corsi (quando vengono rilasciati titoli di studio) e che consente di rilevarein forma simultanea, sulla base di un compito rilevante, la padronanza di più com-petenze e saperi da parte dei candidati.la prova di valutazione finale o “prova esperta” concorre, assieme alle attivitàdi valutazione di tipo formativo che si svolgono al termine di ogni UdA, di rilevareil patrimonio di saperi e competenze – articolati in abilità, capacità e conoscenze –di una persona, utilizzando una metodologia che consenta di giungere a risultaticerti e validi.l’utilizzo della prova di valutazione finale (prova esperta) richiede necessaria-mente che l’attività di apprendimento venga svolta secondo la metodologia delleUnità di Apprendimento, centrate su compiti e prodotti. infatti, l’insegnamento nonè inteso, nel contesto dell’approccio per competenze, come una “successione di le-zioni”, ma come organizzazione e animazione di situazioni di apprendimento orien-tate ad attivare la varietà delle dimensioni dell’intelligenza: affettivo-relazionale-motivazionale, pratica, cognitiva, riflessivo-metacognitiva e del problem solving,tutte in un continuum dinamico tra loro.la prova esperta si caratterizza per questi aspetti: è un compito aperto e pro-blematico, che richiede allo studente l’attivazione della capacità di stabilire colle-gamenti, di ricavare da fonti diverse e da più codici informazioni anche implicite,di affrontare l’analisi di un caso o di risolvere una situazione problematica e, infine,di giustificare le scelte praticate e il percorso svolto. È, dunque, una manifestazionein itinere della capacità (e della competenza chiave europea) di imparare a impa-rare, espressa in contesti ancora limitati e alla portata dello studente, ma capace diporlo nella condizione di attualizzarne gli atteggiamenti, in modo che possano di-ventare oggetto di valutazione. È un atto individuale, che conclude percorsi neiquali i medesimi atteggiamenti si erano manifestati soprattutto in ambiente coope-rativo. Richiede da parte dei docenti (e la formulazione al plurale è d’obbligo,perché questo tipo di prova è sempre interdisciplinare) l’individuazione anticipatadi criteri di valutazione consoni. Finale oaccertativa Attestativa ecertificativa la valutazione finale avviene tramite prove pluri-competenze collocate in corrispon-denza delle scadenze formali dei corsi (quando vengono rilasciati titoli di studio); essaconsente di rilevare in forma simultanea, sulla base di un compito rilevante, la padro-nanza di più competenze e saperi da parte dei candidati. l’attestazione delle competenze rappresenta la “fotografia” della situazione dello stu-dente, effettuata ad ogni conclusione di una tappa rilevante del percorso (biennio,triennio e quinquennio) ed in ogni caso quando il titolare lo richiede (obbligo di istru-zione, passaggi).la certificazione rappresenta il momento formale in cui il dirigente ed il presidentedella commissione valutativa dichiarano che lo studente ha raggiunto il livello di pa-dronanza previsto per poter ottenere il titolo corrispondente. 177 Per una certificazione “onesta” la certificazione rappresenta un’azione complessa, tesa a soddisfare i seguenticriteri: la comprensibilità del linguaggio, che deve riferirsi – in forma narrativa enon, quindi, con linguaggi stereotipati – a locuzioni e sintagmi che consentano aidiversi attori di visualizzare le competenze; l’attribuibilità delle competenze alsoggetto con specificazione delle evidenze, che consentano di contestualizzare lacompetenza entro processi reali, in cui egli è coinvolto insieme ad altri attori; la va-lidità dei metodi adottati nella valutazione e validazione delle competenze stesse,con specificazione del loro livello di padronanza.Un certificato siffatto necessita di una raccolta dei prodotti più significativirealizzati dalla persona valutata. Si tratta del portfolio, ovvero una raccolta signifi-cativa dei lavori dell’allievo che racconta la storia del suo impegno, del suo rendi-mento e del suo progresso. consente di capire la storia della crescita e dello svi-luppo di una persona, corredandola con materiali che permettono di comprendere“che cosa è avvenuto” lungo il percorso formativo. È elaborato dall’allievo che èchiamato a scegliere i lavori di cui va più orgoglioso, accanto a quelli che, d’intesacon i docenti, risultano significativi al fine di documentare i suoi progressi nell’ap-prendimento. Tra i lavori documentabili vi sono anche quelli realizzati in alter-nanza. Possono essere rilevanti anche gite, tornei, eventi purché gestiti in chiaveformativa.la certificazione – riferita ad ogni studente e svolta dall’intera équipe dei do-centi-formatori – si svolge nei seguenti modi:1. si riportano le competenze indicate in ciascuna delle rubriche e corrispondenteUdA;2. si indicano le situazioni di apprendimento più significative traendole dal port-folio e dall’attività didattica;3. si attribuisce il livello della competenza (se positivo), specificandone il gradoed eventualmente altre informazioni utili, sotto forma di note.la certificazione è onesta, quando il consiglio di classe evita la tentazione di“barare”, trasponendo i voti delle discipline sotto l’elenco delle competenze, ma in-dica effettivamente le prove reali ed adeguate della padronanza dello studente, ov-vero ciò che sa fare con ciò che sa. in questo modo il giudizio risulta fondato ed at-tendibile ed indica la capacità della persona di fronteggiare in modo adeguato icompiti ed i problemi che sono propri del suo ambito di studio, oltre che della citta-dinanza intesa in senso lato. 179 Il metodo di valutazione il focus della competenza è posto sull’evidenza dei compiti/prodotti che ne at-testano concretamente la padronanza da parte degli allievi, valorizzando così ilconcetto di “capolavoro” che viene esteso anche agli assi culturali e alla cittadi-nanza. È il significato del criterio dell’attendibilità: con essa si intende che solo inpresenza di almeno un prodotto reale significativo, svolto personalmente dal desti-natario, è possibile certificare la competenza che in tal modo corrisponde effettiva-mente ad un “saper agire e reagire” in modo appropriato nei confronti delle sfide(compiti, problemi, opportunità) iscritte nell’ambito di riferimento della compe-tenza stessa.Si distingue, pertanto, tra verifica – che riguarda la rilevazione degli apprendi-menti in relazione a conoscenze ed abilità e che viene svolta tramite strumenti con-solidati come l’interrogazione, il test, il compito scritto – e valutazione che, in-vece, consente di esprimere un giudizio fondato circa il grado di padronanza dellapersona relativamente alla competenza –; essa avviene lungo il percorso, ogni voltache si completa una unità di apprendimento significativa, ed alla fine dello stessotramite la prova esperta. in tal modo, viene superato il concetto accumulativo dellavalutazione come somma di prove di verifica e viene posto l’accento sulla capacitàdegli allievi di fronteggiare compiti/problemi, mobilitando le risorse di cui sonodotati o che sono in grado di reperire.la valutazione avviene sia all’interno (anche con l’apporto autovalutativo del-l’allievo), sia all’esterno tramite il coinvolgimento del tutor dell’impresa e diesperti/testimoni coinvolti nelle attività di alternanza formativa.la valutazione procede in due direzioni che rappresentano altrettanti punti divista tramite cui si guarda lo stesso fenomeno, ovvero l’allievo in apprendimento.Essi sono:1) la pagella con i voti per asse culturale/disciplina che riflettono sia le attivitàcomuni sia quelle svolte dal singolo docente, oltre alla condotta che è decisacomunemente dall’équipe;2) la certificazione delle competenze che indica il giudizio di padronanza dell’al-lievo su una scala di tre livelli centrati sui criteri di autonomia, responsabilità,complessità del compito e consapevolezza, in accordo con la metodologiaEqF.la coerenza tra i voti del pagellino e i giudizi per livelli del certificato di com-petenze è garantita dal riferimento agli stessi traguardi formativi e dal “travaso” di 180 voti su registri dei singoli docenti, derivanti dalle attività svolte dagli allievi nelleunità di apprendimento comuni.l’assunzione del modello dell’obbligo di istruzione può comportare una ten-denziale separazione tra gli assi culturali, le aree professionali e l’area della cittadi-nanza: tale pericolo viene facilmente evitato, se si tiene presente l’insieme delleotto competenze di cittadinanza europea, e si assicurano tre attenzioni presentinella metodologia: in primo luogo, dalla definizione da parte dell’équipe formativadel piano formativo di massima unitario che individua i traguardi condivisi da tuttii formatori; inoltre, dall’individuazione di alcune unità di apprendimento comuniscelte per la loro significatività e la loro valenza “mobilitante” l’insieme dei saperiproposti; infine, dal modello di valutazione che vede un apporto di tutti i formatorinon solo nella valutazione delle competenze, ma anche nella definizione di note evoti negli assi culturali, oltre che nel comportamento.Trattandosi di un approccio olistico, si è scelto di porre al centro dello stessoun linguaggio ed una metodologia che consenta di rappresentare le relazioni che in-tercorrono tra compiti, conoscenze ed abilità, oltre che comportamenti e che per-metta di delineare un accordo tra docenti e di condurre ad una certificazione validadelle competenze. ciò è reso attraverso la rubrica, ovvero “matrice” della compe-tenza. Essa consiste in uno strumento in grado di coniugare l’univocità dei riferi-menti e la varietà dei percorsi possibili. inoltre, presenta un insieme ordinato di in-dicazioni metodologiche ed operative a carico dell’équipe di educatori-formatori,finalizzato alla descrizione delle acquisizioni di un soggetto – indicandone il livellodi padronanza – sia attraverso la frequenza ad un percorso formale, sia tramiteesperienze formative non formali ed informali.la rubrica per le competenze rappresenta una matrice che ci consente di iden-tificare, per una specifica competenza oggetto di azione formativa, il legame che siinstaura tra le sue componenti:– Indicatori, ovvero le evidenze (compiti, comportamenti osservabili) che costi-tuiscono il riferimento concreto della competenza.– Gradi di padronanza (basilare, adeguato, eccellente) che il soggetto è in gradodi mostrare nel presidiare quei compiti.la distinzione dei gradi di padronanza è fondata sui seguenti criteri:– Autonomia: caratteristica di chi agisce conducendo da sé il processo di lavoro,pur avvalendosi di indicazioni.– Complessità: caratteristica del compito/problema che lo rende in qualche mi-sura inedito rispetto ai casi precedentemente affrontati.– Consapevolezza: coscienza del senso della propria condotta volta alla solu-zione dei compiti/problema.– Efficacia: capacità della soluzione del compito/problema di soddisfare i requi-siti di risultato richiesti. 181 la rubrica delle competenze, connessa al profilo ed al repertorio, sulla base diuna scelta degli obiettivi formativi rilevanti e significativi per il gruppo classe, per isottogruppi e per le persone che li compongono, consente all’équipe formativa i se-guenti tre utilizzi:– Individuazione delle situazioni di apprendimento consone e rilevanti, oltre cheessenziali, su cui impegnare i componenti dell’équipe ad un lavoro prevalente-mente interdisciplinare;– Verifica e valutazione delle acquisizioni effettivamente agite in modo perti-nente ed efficace da parte degli allievi;– Rielaborazione degli obiettivi e dei percorsi di apprendimento così da indiriz-zare l’azione formativa in modo da valorizzare le acquisizioni e sormontare lecriticità emerse.la rubrica è uno strumento di supporto dell’azione didattica nella logica dellacostruzione del percorso formativo, in modo condiviso tra i docenti che compon-gono l’équipe.È uno strumento che esige un riscontro o validazione, composto di due passi:1) nel momento dell’elaborazione essa richiede una validazione provvisoria, checonsiste nel riflettere sulla sua struttura, sul linguaggio, sul suo carattere evocativoe di facilitazione dell’azione didattica; 2) a seguito della sua applicazione essachiede di essere validata rilevando i riscontri provenienti dal campo in cui si è spe-rimentata così da poter giudicare della sua consistenza e procedere ad una rielabo-razione migliorativa.Si ricorda che anche l’allievo, tramite l’autovalutazione, è chiamato a illustraree, nel contempo, diagnosticare il proprio percorso di studi scegliendo i prodotti dicui va più orgoglioso ed elaborando una scheda (presentazione) in cui espone il ri-sultato ed il percorso seguito, esprime una valutazione ed indica i punti di forza equelli di miglioramento. Perché ciò possa accadere, occorre che nell’atto della con-segna il docente comunichi e spieghi i prodotti attesi, i comportamenti conformi, icriteri di valutazione che intende adottare. l’autovalutazione rappresenta un ele-mento importante della valutazione effettuata dai docenti.i criteri metodologici di una corretta valutazione della competenza sono: Ecco la specificazione dei livelli, tenendo conto dei criteri indicati: BASilAREl’allievo è in grado di affrontarecompiti semplici che porta a ter-mine in modo autonomo e consa-pevole ponendo in atto procedurestandard ed efficaci. ADEGUATol’allievo è in grado di affrontarecompiti complessi per la cui so-luzione efficace pone in atto pro-cedure appropriate, che esegue inmodo autonomo e consapevole. EccEllENTEl’allievo è in grado di affrontarecompiti complessi per la cui so-luzione efficace pone in atto pro-cedure innovative ed originali,che esegue in modo autonomo econ piena consapevolezza deiprocessi attivati e dei principisottostanti. 182 a) presenza di un piano formativo condiviso tra l’équipe dei docenti/consiglio diclasse che preveda varie situazioni di apprendimento (attività, esperienze,azioni); finalizzate in modo intenzionale e programmato a quella specifica pa-dronanza: non ci si può, quindi, mettere a valutare competenze dopo aversvolto un percorso centrato su conoscenze ed abilità fini a se stesse, cercando aposteriori dei legami ipotetici con quella competenza;b) riferimento esplicito e sistematico alle situazioni di apprendimento (attività,esperienze, azioni) che lo studente ha svolto in riferimento alla specifica com-petenza, ricordando che per ogni competenza occorre almeno un prodotto realeelaborato a tale scopo dallo studente, con particolare attenzione all’alternanzaformativa che include la valutazione da parte dei tutor dell’organizzazionepartner;c) analisi delle varie performance dell’allievo (prodotti, comportamenti, rifles-sioni, maturazioni) viste in rapporto ad una griglia di valutazione della compe-tenza che preveda descrittori distinti per livelli espressi in modo da poter es-sere compresi dallo studente e dalla famiglia (sufficiente/basilare; buono/ade-guato; ottimo/eccellente);d) espressione del giudizio di padronanza della competenza dello studente, ricor-dando che questo non può che prevedere livelli positivi; nel caso in cui la pa-dronanza risulti parziale oppure negativa, occorre segnalarlo nelle “note”, uncampo della scheda che consente anche di specificare altri elementi utili allacomprensione della valutazione.in tal modo, per ogni competenza mirata, si ottiene una scheda specifica checonsente di passare alla fase della certificazione nel momento in cui ciò è richiestoo risulti utile e necessario.Tre sono le tappe fondamentali per poter procedere alla valutazione della com-petenza, ognuno delle quali richiede a sua volta azioni specifiche: 1 2 3 TAPPEElaborazione della mappa delle competenze diriferimento delle azioni formative. Elaborazione di una rubrica per ciascuna dellecompetenze previste nella mappa. Elaborazione della metodologia di valutazionedelle unità di apprendimento. AzioNi- individuazione dei requisiti della competenza.- Assunzione degli standard.- Elaborazione della mappa delle competenze.- individuazione della struttura della compe-tenza.- costruzione delle rubriche complete in riferi-mento alla mappa delle competenze.- identificazione dei fattori della valutazione(performance, processo, riflessione, valuta-zione dei “giudici”).- Elaborazione degli strumenti tipo per la valu-tazione dei tre fattori. 183 Esempio di progettazione per competenze:l’autoriparatore Per comprendere il cambio metodologico – la cui valenza è decisamente rile-vante – è necessario approfondire la questione scegliendo un caso di riferimentoconcreto: il profilo professionale di qualifica triennale corrisponde alla figura dell’“Operatore alla riparazione dei veicoli a motore”, ovvero una qualifica triennale,di cui si indicano, in primo luogo, le competenze professionali in esito al percorsoformativo: competenze dell’Operatore alla riparazione dei veicoli a motore 1. Definire e pianificare fasi delle operazioni da compiere sulla base delle istruzioni ricevute e/o delladocumentazione di appoggio (schemi, disegni, procedure, distinte materiali, ecc.) e del sistema di re-lazioni.2. Approntare strumenti, attrezzature e macchinari necessari alle diverse attività sulla base della tipo-logia di materiali da impiegare, delle indicazioni/procedure previste, del risultato atteso.3. Monitorare il funzionamento di strumenti, attrezzature e macchine, curando le attività di manuten-zione ordinaria.4. Predisporre e curare gli spazi di lavoro al fine di assicurare il rispetto delle norme igieniche e di con-trastare affaticamento e malattie professionali.5. collaborare all’accoglienza del cliente e alla raccolta di informazioni per definire lo stato del veicoloa motore.6. collaborare all’individuazione degli interventi da realizzare sul veicolo a motore e alla definizionedei piano di lavoro.7. Effettuare interventi di riparazione e manutenzione dei vari dispositivi, organi e gruppi sulla basedelle consegne, dei dati tecnici e di diagnosi ed effettuare il collaudo della funzionalità/efficienza delveicolo a motore o delle parti riparate/sostituite, nel rispetto delle procedure e norme di sicurezza. Si propone ora il quadro complessivo dei traguardi formativi da perseguire,realizzato aggregando gli standard nazionali entro lo schema delle competenze dicittadinanza europea: 184 Aggregazioni dicompetenzeComunicazionenella madrelingua Comunicazionenelle linguestraniereCompetenzamatematica ecompetenze di basein scienza etecnologia Competenzeprofessionali/di indirizzo Competenzadigitale Impararead imparare Competenze - Padroneggiare gli strumenti espressivi ed argomentativi indispensabili per ge-stire l’interazione comunicativa verbale e non verbale in vari contesti.- leggere, comprendere ed interpretare testi scritti di vario tipo.- Produrre testi di vario tipo in relazione ai diversi scopi comunicativi.- Utilizzare una lingua straniera per i principali scopi comunicativi. - Utilizzare le tecniche e le procedure del calcolo aritmetico ed algebrico, rap-presentandole anche sotto forma grafica.- confrontare ed analizzare figure geometriche, individuando invarianti e rela-zioni.- individuare le strategie appropriate per la soluzione di problemi.- Analizzare dati e interpretarli sviluppando deduzioni e ragionamenti suglistessi, anche con l’ausilio di interpretazioni grafiche, usando consapevol-mente gli strumenti di calcolo e le potenzialità offerte da applicazioni di tipoinformatico.- osservare, descrivere ed analizzare fenomeni, appartenenti alla realtà naturalee artificiale e riconoscere nelle sue varie forme i concetti di sistema e di com-plessità.- Analizzare qualitativamente e quantitativamente fenomeni legati alle trasfor-mazioni di energia a partire dall’esperienza.- Definire e pianificare fasi delle operazioni da compiere sulla base delleistruzioni ricevute e/o della documentazione di appoggio (schemi, disegni,procedure, distinte materiali, ecc.) e del sistema di relazioni.- Approntare strumenti, attrezzature e macchinari necessari alle diverse attivitàsulla base della tipologia di materiali da impiegare, delle indicazioni/proce-dure previste, del risultato atteso.- Monitorare il funzionamento di strumenti, attrezzature e macchine, curando leattività di manutenzione ordinaria.- Predisporre e curare gli spazi di lavoro al fine di assicurare il rispetto dellenorme igieniche e di contrastare affaticamento e malattie professionali.- collaborare all’accoglienza del cliente e alla raccolta di informazioni perdefinire lo stato del veicolo a motore.- collaborare alla individuazione degli interventi da realizzare sul veicolo amotore e alla definizione dei piano di lavoro.- Effettuare interventi di riparazione e manutenzione dei vari dispositivi, organie gruppi sulla base delle consegne, dei dati tecnici e di diagnosi ed effettuareil collaudo della funzionalità/efficienza del veicolo a motore o delle parti ri-parate/sostituite, nel rispetto delle procedure e norme di sicurezza.- Utilizzare e produrre testi multimediali.- Utilizzare gli strumenti informatici e telematici ed essere consapevole dellepotenzialità delle tecnologie rispetto al contesto culturale e sociale in cui ven-gono applicate.- imparare ad imparare. 185 Si presenta ora il piano formativo relativamente alla valenza scientifica, tecnicae professionale, definito tramite unità di apprendimento che richiedono interdisci-plinarietà e finalizzazione a esiti e prodotti dotati di valore, realizzati direttamentedagli studenti. È questo il centro della didattica per compiti reali svolti dagli studen-ti, tramite i quali essi dimostrano non solo di sapere (riconoscere, ripetere, indi-care …), ma di saper agire (scegliere, applicare, realizzare, riflettere, trasferire …)ciò che sanno in vista della soluzione di compiti e problemi.A tale elenco sono da aggiungere le unità di apprendimento a prevalente va-lenza linguistica e storico-sociale, così da mobilitare, nelle esperienze di apprendi-mento proposte agli allievi, tutto il ventaglio delle competenze previste. Competenzesociali e civiche Spirito di iniziativae intraprendenza Consapevolezzaed espressioneculturale - collocare l’esperienza personale in un sistema di regole fondato sul reciprocoriconoscimento dei diritti garantiti dalla costituzione a tutela della persona,della collettività e dell’ambiente.- Adottare comportamenti preventivi a tutela della salute e della sicurezza pro-pria e altrui nei vari contesti domestici, scolastici, sociali e professionali.- identificare e rielaborare (affrontare/fronteggiare) situazioni di rischio poten-ziale per la sicurezza, la salute e l’ambiente nel luogo di lavoro, promuovendol’assunzione di comportamenti corretti e consapevoli di prevenzione.- Riconoscere i tratti caratteristici della cultura italiana ed europea nelle sue ra-dici giudaico-cristiane, riconoscere il valore delle grandi religioni ed il loropatrimonio spirituale, cogliere l’importanza del confronto e della coopera-zione tra culture diverse.- Esprimere un progetto personale di vita e di lavoro come servizio al bene co-mune.- collaborare e partecipare.- Agire in modo autonomo e responsabile.- orientarsi nel tessuto produttivo, economico e professionale del proprio terri-torio; cogliere il valore etico delle scelte economiche e delle loro conse-guenze, orientarsi nel mercato del lavoro.- Gestire gli atti amministrativi fondamentali della vita quotidiana e professio-nale.- Risolvere problemi.- Utilizzare gli strumenti fondamentali per una fruizione consapevole del patri-monio artistico.- comprendere il cambiamento e la diversità dei tempi storici in una dimen-sione diacronica attraverso il confronto fra epoche e in una dimensione sin-cronica attraverso il confronto tra aree geografiche e culturali.- Avere cura del proprio corpo e praticare il moto e lo sport. i° ANNoUDA 1 2 3 TiTolo ElETTRoMAGNETiSMo MoToRE A BENziNAE MoToRE DiESEl SiSTEMi DiAliMENTAzioNE ERAFFREDDAMENTo REAlizzAzioNE DiiMPiANTi ElETTRici coMPETENzE MiRATE Assi culturali:• Analizzare qualitativamente e quantitativa-mente fenomeni legati alle trasformazioni dienergia a partire dall’esperienza.• Produrre testi di vario tipo in relazione aidiversi scopi comunicativi. Area professionale:• Monitorare il funzionamento di strumenti,attrezzature e macchine, curando le attivitàdi manutenzione ordinaria. Cittadinanza:• imparare ad imparare. Assi culturali:• Analizzare qualitativamente e quantitativa-mente fenomeni legati alle trasformazioni dienergia a partire dall’esperienza.• Produrre testi di vario tipo in relazione aidiversi scopi comunicativi. Area professionale:• Definire e pianificare fasi delle operazionida compiere sulla base delle istruzioni rice-vute e/o della documentazione di appoggio(schemi, disegni, procedure, distinte mate-riali, ecc.) e del sistema di relazioni.• Approntare strumenti, attrezzature e macchi-nari necessari alle diverse attività sulla basedella tipologia di materiali da impiegare,delle indicazioni/procedure previste, del ri-sultato atteso.• Monitorare il funzionamento di strumenti,attrezzature e macchine, curando le attivitàdi manutenzione ordinaria. Cittadinanza:• collaborare e partecipare. Assi culturali:• Produrre testi di vario tipo in relazione aidiversi scopi comunicativi. Area professionale:• Monitorare il funzionamento di strumenti,attrezzature e macchine, curando le attivitàdi manutenzione ordinaria. Cittadinanza:• Adottare comportamenti preventivi a tuteladella salute e della sicurezza propria e altruinei vari contesti domestici, scolastici, socialie professionali. oREScUolA/cFP cASA34 6 120 12 100 10 186 187 4 5 6 cAMBio Di VElociTà SiSTEMi DiSicUREzzA ATTiVA oRGANi DiTRASMiSSioNE,DiREzioNE ESoSPENSioNE Assi culturali:• Analizzare qualitativamente e quantitativa-mente fenomeni legati alle trasformazioni dienergia a partire dall’esperienza.• Produrre testi di vario tipo in relazione aidiversi scopi comunicativi. Area professionale:• Definire e pianificare fasi delle operazionida compiere sulla base delle istruzioni rice-vute e/o della documentazione di appoggio(schemi, disegni, procedure, distinte mate-riali, ecc.) e del sistema di relazioni.• Approntare strumenti, attrezzature e macchi-nari necessari alle diverse attività sulla basedella tipologia di materiali da impiegare,delle indicazioni/procedure previste, del ri-sultato atteso.• Monitorare il funzionamento di strumenti,attrezzature e macchine, curando le attivitàdi manutenzione ordinaria Cittadinanza:• collaborare e partecipare. Assi culturali:• osservare, descrivere ed analizzare feno-meni appartenenti alla realtà naturale e arti-ficiale e riconoscere nelle sue varie forme iconcetti di sistema e di complessità. Area professionale:• Definire e pianificare fasi delle operazionida compiere sulla base delle istruzioni rice-vute e/o della documentazione di appoggio(schemi, disegni, procedure, distinte mate-riali, ecc.) e del sistema di relazioni.• Diagnosticare ed intervenire su tutti gli or-gani elettro/elettronici componenti l’auto-veicolo, eseguendo operazioni di diagnosiindividuando eventuali anomalie e operandocon strumentazione diagnosi elettronica. Cittadinanza:• Risolvere problemi. Area professionale:• Monitorare il funzionamento di strumenti,attrezzature e macchine, curando le attivitàdi manutenzione ordinaria. Cittadinanza:• collaborare e partecipare. 30 5 42 5 28 4 188 ii° ANNoUDA 1 2 3 TiTolo iMPiANTi ElETTRiciSU VETTURA REViSioNE DEl MoToRE(BENziNA E DiESEl) iMPiANTi FRENANTi ESoSPENSioNi DEll’AUToSiSTEMi Di SicUREzzAABS E AiR BAG coMPETENzE MiRATE Assi culturali:• Analizzare qualitativamente e quantitativa-mente fenomeni legati alle trasformazioni dienergia a partire dall’esperienza.• Produrre testi di vario tipo in relazione aidiversi scopi comunicativi. Area professionale:• Monitorare il funzionamento di strumenti,attrezzature e macchine, curando le attivitàdi manutenzione ordinaria. Cittadinanza:• imparare ad imparare. Assi culturali:• Analizzare qualitativamente e quantitativa-mente fenomeni legati alle trasformazioni dienergia a partire dall’esperienza.• Produrre testi di vario tipo in relazione aidiversi scopi comunicativi. Area professionale:• Definire e pianificare fasi delle operazionida compiere sulla base delle istruzioni rice-vute e/o della documentazione di appoggio(schemi, disegni, procedure, distinte mate-riali, ecc.) e del sistema di relazioni.• Approntare strumenti, attrezzature e macchi-nari necessari alle diverse attività sulla basedella tipologia di materiali da impiegare,delle indicazioni/procedure previste, del ri-sultato atteso.• Monitorare il funzionamento di strumenti,attrezzature e macchine, curando le attivitàdi manutenzione ordinaria. Cittadinanza:• collaborare e partecipare. Assi culturali:• osservare, descrivere ed analizzare feno-meni appartenenti alla realtà naturale e arti-ficiale e riconoscere nelle sue varie forme iconcetti di sistema e di complessità. Area professionale:• Definire e pianificare fasi delle operazionida compiere sulla base delle istruzioni rice-vute e/o della documentazione di appoggio(schemi, disegni, procedure, distinte mate-riali, ecc.) e del sistema di relazioni. Cittadinanza:• Risolvere problemi. oREScUolA/cFP cASA45 5 55 9 42 5 189 iii° ANNoUDA 1 TiTolo GRUPPo PRoPUlSoRi:ciclo oTTo coMPETENzE MiRATE Assi culturali:• Analizzare qualitativamente e quantitativa-mente fenomeni legati alle trasformazioni dienergia a partire dall’esperienza. Area professionale:• Definire e pianificare fasi delle operazionida compiere sulla base delle istruzioni rice-vute e/o della documentazione di appoggio(schemi, disegni, procedure, distinte mate-riali, ecc.) e del sistema di relazioni.• Approntare strumenti, attrezzature e macchi-nari necessari alle diverse attività sulla basedella tipologia di materiali da impiegare,delle indicazioni/procedure previste, del ri-sultato atteso.• Monitorare il funzionamento di strumenti,attrezzature e macchine, curando le attivitàdi manutenzione ordinaria. Cittadinanza:• collaborare e partecipare. oREScUolA/cFP cASA85 12 4 iNiETToRi A BENziNAiNiETToRi DiESEl Assi culturali:• Analizzare qualitativamente e quantitativa-mente fenomeni legati alle trasformazioni dienergia a partire dall’esperienza. Area professionale:• Definire e pianificare fasi delle operazionida compiere sulla base delle istruzioni rice-vute e/o della documentazione di appoggio(schemi, disegni, procedure, distinte mate-riali, ecc.) e del sistema di relazioni.• Approntare strumenti, attrezzature e macchi-nari necessari alle diverse attività sulla basedella tipologia di materiali da impiegare,delle indicazioni/procedure previste, del ri-sultato atteso.• Monitorare il funzionamento di strumenti,attrezzature e macchine, curando le attivitàdi manutenzione ordinaria. Cittadinanza:• collaborare e partecipare. 60 10 190 Si presenta, di seguito, un esempio di rubrica riferita alla competenza “Pianifi-cazione, predisposizione e monitoraggio di attrezzature, strumenti e macchinaridel comparto meccanico, settore veicoli a motore” che riaggrega in sé le seguenticompetenze specifiche:– definire e pianificare fasi delle operazioni da compiere sulla base delle istru-zioni ricevute e/o della documentazione di appoggio (schemi, disegni, proce-dure, distinte materiali, ecc.) e del sistema di relazioni;– approntare strumenti, attrezzature e macchinari necessari alle diverse attivitàsulla base della tipologia di materiali da impiegare, delle indicazioni/procedurepreviste, del risultato atteso;– monitorare il funzionamento di strumenti, attrezzature e macchinari, curandole attività di manutenzione ordinaria. 2 3 cAMBi AUToMATici iMPiANTiDi cliMATizzAzioNE Assi culturali:• Analizzare qualitativamente e quantitativa-mente fenomeni legati alle trasformazioni dienergia a partire dall’esperienza.Area professionale:• Definire e pianificare fasi delle operazioni dacompiere sulla base delle istruzioni ricevute e/odella documentazione di appoggio (schemi, di-segni, procedure, distinte materiali, ecc.) e delsistema di relazioni.• Approntare strumenti, attrezzature e macchina-ri necessari alle diverse attività sulla base dellatipologia di materiali da impiegare, delle indi-cazioni/procedure previste, del risultato atteso.• Monitorare il funzionamento di strumenti, at-trezzature e macchine, curando le attività dimanutenzione ordinaria.Cittadinanza:• collaborare e partecipare.Assi culturali:• Analizzare qualitativamente e quantitativa-mente fenomeni legati alle trasformazioni dienergia a partire dall’esperienza.Area professionale:• Definire e pianificare fasi delle operazioni dacompiere sulla base delle istruzioni ricevute e/odella documentazione di appoggio (schemi, di-segni, procedure, distinte materiali, ecc.) e delsistema di relazioni.• Approntare strumenti, attrezzature e macchina-ri necessari alle diverse attività sulla base dellatipologia di materiali da impiegare, delle indi-cazioni/procedure previste, del risultato atteso.• Monitorare il funzionamento di strumenti, at-trezzature e macchine, curando le attività dimanutenzione ordinaria.Cittadinanza:collaborare e partecipare 40 5 26 5 CON OSCE NZE ABIL ITÀ 191 Rubri cade lleco mpete nze:P iANi FicA zioN E,PR EDiS PoSi zioN EEM oNiT oRA GGio DiAT TREz zATU RE, STRU MEN TiE MAc cHiN ARiD Elc oMP ARTo MEc cAN icoS ETTo REV Eico liA MoT oRE •Uti lizzar eindi cazio nidi appog gio(s chem i,dise gni,p ro- cedur e,dis tinte mater iali,e cc.)e /oistr uzion iper predi - sporre lediv ersea ttività . •Ap plicar ecrit eridi organ izzaz ione delp roprio lavor o relati viall epec uliari tàde llela voraz ionid aese guire e dell’a mbien telav orativ o/org anizz ativo. •Ap plicar emo dalità dipia nifica zione eorg anizz azion e delle lavor azion inel rispet tode lleno rmed isicu rezza , igiene esalv aguar diaam bienta lespe cifich edis ettore . •Ad ottare proce dured imon itorag gioe verifi cade llaco n- formi tàdel lelav orazio nias uppor todel migli oram ento contin uode glista ndard dirisu ltato. •ind ividu arem ateria li,str umen ti,att rezza ture, macc hine perle divers efasi dilav orazio nesu llaba sedel leind ica- zioni diap poggi o(sch emi, diseg ni,pr ocedu re,di stinte mater iali,e cc.). •Ap plicar epro cedur eete cnich edia ppron tamen tostr u- menti ,attre zzatu re,m acchi ne. •Ap plicar epro cedur edii mpos tazion edei param etrid i funzio name ntom acchi nepe rlela voraz ionid aeseg uire. •Ap plicar elete cnich edim onito raggi oeve rifica rel’im - posta zione eilfu nzion amen todi strum enti,a ttrezz ature, macc hine. •Ad ottare moda litàe comp ortam entip erlam anute nzion e ordin ariad istrum enti,a ttrezz ature, macc hine. •Uti lizzar emet odich eper indivi duare event ualia noma lie difun ziona mento . •No rmati vedi sicure zza,i giene ,salv aguar diaam bienta le diset tore. •Pri ncipa literm inolog ietec niche delse ttore. •Pro cessi ecicl idila voro dell’a utorip arazio ne. •Tec niche dicom unica zione organ izzati va. •Tec niche dipia nifica zione . •Me todie tecnic hedi appro ntame nto/av viodi utens iliat- trezza turee macc hine. •Tip ologi edell eprin cipali attrez zature ,mac chine ,stru - menti ,dels ettore della ripara zione divei colia motor e. •Tip ologi eec aratte ristich edei princ ipali mater ialid el settor edell aripa razion ediv eicoli amot ore. •Pri ncipi, mecc anism iep arame tridi funzi onam ento delle macc hine edel leap parec chiatu repe rlar ipara- zione divei colia motor e. •co mpor tamen tiep ratich enell aman utenz ioneo rdina ria distru menti ,attre zzatu re,m acchi ne. •Pro cedur eete cnich edim onitor aggio . •Pro cedur eete cnich eper l’indi vidua zione elav aluta- zione delm alfunz ionam ento. RISO RSE 192 EVID ENZE inrife rimen toalle attivit àdir iparaz ionee manu tenzio nede isiste mim eccan icied elettro mecc anici delve icolo (acce nsion eeal iment azion e,mo torea benzi na emot ored iesel, camb iodi veloc ità,im pianto frena ntee organ iditr asmis sione direzi onee sospe nsion e),re perire edor ganiz zarel einfo rmazi onie ladoc u- menta zione neces saria all’in terven tocom piland olad istinta delm ateria leda utilizz aree pianif icand olela voraz ionis ullab asede lleno rmed isicu rezza ,igien e esalv aguar diaam bienta le. Scegl ieree predis porre glistr umen ti,im ateria liele attrez zature finali zzati allela voraz ionip revist eeve rifica relal orofu nzion alità; indivi duate event ualia no- malie ,eseg uirne lama nuten zione . CO MPIT I (Esem pio:re alizza zione diun impia ntoel ettrico illumi nazio ne,m ontag giode ll’insi eme piston e-spin otto-b iella): -leg geree comp rende relei ndica zioni dilav oro. -Pian ificar el’int erven tocom piland ocon l’ausi liode icatal oghil adisti ntam ateria li edell eattre zzatu renec essari einri ferim entoa llesin golee divers efasi dilav ora- zione incui vengo nouti lizzat i. -Veri ficare ilrisp ettod ellen orme disicu rezza ,igien eesa lvagu ardia ambie ntale -Pred isporr eeve rifica relea ttrezz ature eglis trume ntine cessa ri. (Esem pio:re alizza zione diun impia ntodi avvia mento diun veico loam otore, esecu zio- nedel losm ontag gio/ri monta ggiod iunm otore endot ermic o): -leg geree comp rende relei ndica zioni dilav oro. -Pian ificar el’int erven tocom piland ocon l’ausi liode icata loghi, inver sione infor- matic a,lad istinta mater ialie delle attrez zature neces sarie inrif erime ntoal lesin - golee divers efasi dilav orazio nein cuive ngono utilizz ati. -Veri ficare ilrisp ettod ellen orme disicu rezza ,igien eesa lvagu ardia ambie ntale. -Pred isporr eeve rifica relea ttrezz ature eglis trume ntine cessa ri. (Esem pio:re alizza zione delca blagg ioele ttrico comp letod iunv eicolo amot ore,e secu- zione diinte rventi sugli organ iditra smiss ione): -leg geree comp rende relei ndica zioni dilav oro. -Pian ificare l’inter vento comp ilando conl’ ausili odiso ftware applic ativim ultima r- caper ladia gnosi diun veico lo,la distin tama teriali edell eattre zzatu renec essari e inrif erime ntoal lesing oleed iverse fasid ilavo razion eincu iveng onou tilizza ti. -Veri ficare ilrisp ettod ellen orme disic urezz a,igie nees alvag uardia ambie ntale. -Pred isporr eeve rifica relea ttrezz ature eglis trume ntine cessa ri. SAPE RIES SENZ IALI •le propr ietàfi siche, mecc anich eetec nolog iched imate riali. •Sa perle ggere edint erpret areun osche mael ettrico . •ic iclidi lavoro relativ iadin terven tidim anute nzion e/ripa razion esu: impia ntoel ettrico esiste mam otore. •At trezza tures pecifi che,c ompo nenti, appar ecchi ature estru menti per l’esec uzion edeic iclidi lavoro . •ca talogh ieriv istete cnich edels ettore . •le norm eanti nfortu nistic he(le gge8 1/08) . •ic iclidi lavoro relativ iadin terven tidim anute nzion e/ripa razion esu: impia ntoel ettrico ,elett ronico esiste mam otore. •Ut ilizzo distru menti inform aticip errep erirei nform azion iutili all’in - terven to. •il rischi oince ndio, rischi ochim ico,b iologi co,ca ncero geno, rischi oru- more erisch ioele ttrico . •le fasid iinter vento relativ eall’u tilizzo diun gener icosi stema didia - gnosi •la gestio nedi unost rumen todia gnost icoge nerico •ic iclidi lavoro relativ iadin terven tidim anute nzion e/ripa razion esu: impia ntoel ettrico ,elett ronico ,siste mam otore edorg anidi trasm ission e •id entifi cazio nede lleco ndizio nidis icurez zaes alubri tàdel l’amb iente dilav orone lrispe ttode gliob blighi dileg ge 193 1 l’allievo, con una supervisionediretta e in un contesto struttu-rato, individua le operazioni dasvolgere compilando in modoelementare la distinta materiali edelle attrezzature necessarie inriferimento alle operazioni dasvolgere, predispone le attrezza-ture e gli strumenti necessari. 2 l’allievo, – con un certo gradodi autonomia, potendo contaresu una supervisione – pianificain modo essenziale un inter-vento compilando con l’ausiliodei cataloghi la distinta mate-riali e delle attrezzature neces-sarie in riferimento alle attivitàin cui vengono utilizzati, verifi-cando in linea di massima il ri-spetto delle norme di sicurezza,igiene e salvaguardia ambien-tale, predisponendo e verifi-cando le attrezzature e gli stru-menti necessari. 3 l’allievo a partire da input e daindicazioni date e assumendo-sene la responsabilità, facendofronte anche a situazioni e pro-blemi imprevisti, pianifica unintervento compilando con l’au-silio di software applicativi mul-timarca per la diagnosi di unveicolo, la distinta materiali edelle attrezzature necessarie inriferimento alle singole e di-verse fasi di lavorazione in cuivengono utilizzati, verifica il ri-spetto delle norme di sicurezza,igiene e salvaguardia ambien-tale, predispone e verifica le at-trezzature e gli strumenti neces-sari. ora si presenta un esempio di unità di apprendimento riferita all’eletroma-gnetismo, un’attività prevista per il primo anno del corso. l’UdA costituisce lastruttura di base dell’azione formativa; insieme di occasioni di apprendimento checonsentono all’allievo di entrare in un rapporto personale con il sapere, affrontandocompiti che conducono a prodotti di cui egli possa andare orgoglioso e che costitui-scono oggetto di una valutazione più attendibile. Denominazione Compito - prodotto Competenze mirate• assi culturali• professionali• cittadinanza ELETTROMAGNETISMO (Primo anno) 1. Dossier sulle esperienze standard di elettromagnetismo, elettricità incorrente continua e in corrente alternata e dissociazione elettrolitica.2. Relazione individuale.3. Glossario tecnico italiano-inglese.Assi culturali:• Analizzare qualitativamente e quantitativamente fenomeni legatialle trasformazioni di energia a partire dall’esperienza.• Produrre testi di vario tipo in relazione ai diversi scopi comuni-cativi.Area professionale:• Monitorare il funzionamento di strumenti, attrezzature e mac-chine, curando le attività di manutenzione ordinaria.Cittadinanza:• imparare ad imparare. 194 Abilità - comprendere i principali passaggi logici di unadimostrazione.- Progettare un percorso risolutivo strutturato intappe.- Formalizzare il percorso di soluzione di unproblema attraverso modelli algebrici e grafici.- convalidare i risultati conseguiti sia empirica-mente, sia mediante argomentazioni.- Tradurre dal linguaggio naturale al linguaggioalgebrico e viceversa.- Raccogliere dati attraverso l’osservazione di-retta dei fenomeni naturali (fisici, chimici, bio-logici, geologici, ecc.) o degli oggetti artificialio la consultazione di testi e manuali o media.- organizzare e rappresentare i dati raccolti.- individuare, con la guida del docente, una pos-sibile interpretazione dei dati in base a sem-plici modelli.- Presentare i risultati dell’analisi.- Utilizzare classificazioni, generalizzazioni e/oschemi logici per riconoscere il modello di ri-ferimento.- Padroneggiare le strutture della lingua presentinei testi.- Ricercare, acquisire e selezionare informazionigenerali e specifiche in funzione della produ-zione di testi scritti di vario tipo.- Prendere appunti e redigere sintesi e relazioni.- Rielaborare in forma chiara le informazioni.- Produrre testi corretti e coerenti adeguati allediverse situazioni comunicative. - Applicare le tecniche di monitoraggio e verifi-care l’impostazione e il funzionamento di stru-menti, attrezzature, macchine.- Adottare modalità e comportamenti per la ma-nutenzione ordinaria di strumenti, attrezzature,macchine.- Utilizzare metodiche per individuare eventualianomalie di funzionamento. Conoscenze Definizioni e descrizioni di:- forza elettromagnetica,- cariche elettriche,- forze e campi magnetici,- correnti indotte,- trasformatori,- campo elettromagnetico,- conduttori ed isolanti elettrici,- resistenza elettrica,- effetto Joule,- circuiti elettrici in serie ed in parallelo,- legge di ohm. - Principali strutture grammaticali della linguaitaliana.- Elementi di base delle funzioni della lingua.- contesto, scopo e destinatario della comunica-zione.- Principi di organizzazione del discorso descrit-tivo, narrativo, espositivo, argomentativo.- Strutture essenziali dei testi narrativi, esposi-tivi, argomentativi.- Principali connettivi logici.- Varietà lessicali in rapporto ad ambiti e con-testi diversi.- Elementi strutturali di un testo scritto coerentee coeso.- Uso dei dizionari.- Modalità e tecniche delle diverse forme di pro-duzione scritta: riassunto, lettera, relazioni, ecc.- Fasi della produzione scritta: pianificazione,stesura e revisione. - comportamenti e pratiche nella manutenzioneordinaria di strumenti (calibro, micrometro,comparatore, righelli millimetrati), attrezza-ture, macchine.- Procedure e tecniche di monitoraggio.- Procedure e tecniche per l’individuazione e lavalutazione del malfunzionamento. Assi culturali Area professionale 195 - organizzare il proprio apprendimento me-diante una gestione efficace del tempo e delleinformazioni.- Essere consapevoli dei propri bisogni identifi-cando le opportunità disponibili finalizzate adun apprendimento efficace.- Valutare il proprio apprendimento cercandoconsigli, informazioni e sostegno.- Essere capaci di collaborare in gruppo parteci-pando attivamente al raggiungimento dell’o-biettivo finale.- Essere in grado di risolvere problemi nell’ap-prendimento.- Avere un atteggiamento curioso e motivato neiconfronti del proprio apprendimento.- Valorizzazione del sé. - Strategie di autoregolazione e di organizza-zione del tempo, delle priorità, delle risorse.- Metodologie e strumenti di ricerca dell’infor-mazione: bibliografie, schedari, dizionari, in-dici, motori di ricerca, testimonianze, reperti.- Metodologie e strumenti di organizzazionedelle informazioni: sintesi, scalette, grafici, ta-belle, diagrammi, mappe concettuali.- Teorie e regole della memoria, strategie di me-morizzazione.- Stili cognitivi e di apprendimento; strategie distudio.- Strategie di valutazione delle risorse personali.- Modalità di soluzione dei problemi (algorit-mica ed euristica).- Ricostruzione del processo di apprendimento. Cittadinanza Utenti destinatariPrerequisitiFase di applicazioneTempi Esperienze attivate Metodologia Risorse umane• interne• esterne Strumenti Valutazione classi primeModulo di Sicurezza in laboratoriosettembre-novembre34 ore6 ore lavoro domestico- Elettromagnetismo,- elettricità in cc,- elettricità in ca,- dissociazione elettrolitica.osservazione diretta e sulla quantificazione dei fenomeni per dedurrele leggi scientifiche fondamentali.Docente di matematica e scienze.Docente di tecnologia e laboratorio.Docente di lingua italiana.Docente di lingua inglese.Per l’esecuzione delle esperienze speciali sono necessari alcuni compo-nenti opzionali, quali:- Ponte di Wheatstone.- Wattmetro monofase 0,5A, 25V.- Trasformatore monofase 600/1200.- Motore in cc.la valutazione viene svolta sulla base di una griglia unitaria concordatatra i docenti.la valutazione complessiva effettuata servirà ad esprimere il giudiziodi padronanza sulle competenze mirate.la considerazione delle voci pertinenti della griglia di valutazione con-sentirà di indicare voti negli assi culturali coinvolti e nell’area profes-sionale. 197 Metodologia di valutazionedell’Unità di apprendimento il riferimento concreto per la valutazione delle competenze è costituito dall’u-nità di apprendimento. il primo passo per elaborare la metodologia di valutazionedelle unità di apprendimento consiste nell’identificazione dei fattori della valuta-zione.Se è vero che tutte le attività formative debbono tradursi il più possibile inesperienze che consentano di mobilitare le risorse ed i talenti degli allievi in situa-zioni stimolanti e sfidanti, mobilitando ad un tempo la loro intelligenza logico-co-gnitiva, affettiva e relazionale, concreta, solo una parte di queste richiede di esseresvolta secondo un approccio di formazione e valutazione autentica e, quindi, conun apparato metodologicio impegnativo: si tratta delle UdA significative e interdi-sciplinari, che possiedono un valore chiave nel percorso di apprendimento.Tutte le altre attività possono essere svolte secondo un approccio più tradizio-nale, e con una metodologia valutativa più intuitiva e “morbida”1. ciò in forza delfatto che il formatore è una figura professionale dotata a sua volta di competenza edi sensibilità che applica in buona parte del suo lavoro assumendosi la responsabi-lità di ciò che fa, salvo documentare la propria attività in forma adeguata.la valutazione dell’unità di apprendimento significativa e interdisciplinare,mirante ad uno o più prodotti, deve comprendere i seguenti tre fattori, come indi-cato dalla tavola successiva:– la performance (o le performance se sono più di una, come auspicabile, vistoche è utile che vi sia, accanto al prodotto vero e proprio, un glossario dei ter-mini e delle espressioni più importanti, anche in lingua inglese, ed una rela-zione/presentazione che spieghi il percorso, i problemi affrontati e gli esiti) cherappresenta l’elemento visibile e manifesto della competenza;– il processo di mobilitazione delle risorse, che porta la persona ad un comporta-mento competente sapendo comprendere il compito, definire una strategia eseguirla, fronteggiare situazioni critiche e giungere ad un risultato attendibile;– la riflessione sull’azione svolta da parte dell’allievo, tramite la quale egli ponein luce le capacità comunicative ed espressive, la capacità di astrazione, di col-legamento, di spiegazione. 1 PlESSi P., Teorie della valutazione e modelli operativi, la Scuola, Brescia, 2004. 198 Si propone una griglia di valutazione dell’unità di apprendimento, centratasu tutti e tre i seguenti fattori ed elaborata tenendo conto della rispondenza allecompetenze mirate, oltre che alle conoscenze ed abilità in cui queste si articolano. La griglia è individuale e va compilata, per ciascun studente, a cura dei do-centi/formatori coinvolti nello svolgimento dell’Unità di Apprendimento alla fine ditutte le attività previste. La griglia pertanto riassume tutte le dimensioni, oggetto divalutazione, che sono state sollecitate nel corso delle diverse fasi dell’Unità di Ap-prendimento.È, pertanto, organizzata in modo tale da ricomprendere 4 ambiti specifici dicompetenze: una prima area riguarda la corretta realizzazione del prodotto/ser-vizio, la seconda area riguarda il processo di lavoro e di esecuzione del compito, laterza area le competenze di relazione e di uso del linguaggio, la quarta area la di-mensione metacognitiva e, cioè, le competenze relative al governo dei processi diapprendimento, di riflessione e di analisi.Poiché si tratta di uno strumento valutativo riassuntivo, se i docenti/formatorine ravvisano la necessità, possono integrare il sistema valutativo dell’UdA conschede di osservazione, test, schede autovalutative e altro da somministrare du-rante il percorso dell’Unità di apprendimento. Tutti gli elementi raccolti da questistrumenti, somministrati in itinere, dovranno, comunque, confluire nella valuta-zione finale dell’UdA costituita dalla presente griglia.Il team di docenti/formatori, nel corso della progettazione dell’Unità di Ap-prendimento avrà cura di selezionare, tra quelli proposti, gli indicatori coerenticon i compiti e i prodotti progettati. È possibile anche aggiungere nuovi indicatoripurché si rispetti l’organizzazione metodologica generale dello strumento.Nella griglia la valutazione viene espressa in termini di livelli di padronanzaraggiunti; ogni livello è, pertanto, descritto con chiarezza allo studente, alla finedell’UdA, dovrebbero essere chiare le competenze raggiunte e gli ambiti di possi-bile miglioramento. I livelli raggiunti concorrono alla formulazione della valuta-zione intermedia e finale del percorso scolastico annuale; pertanto, il consiglio diclasse assumerà le indicazioni che emergono dalla valutazione della singola UdAcome integrazione nella formulazione dei voti nelle discipline/assi culturali e areeprofessionali, coinvolte nell’UdA e del voto in condotta o nella descrizione del pro-filo dello studente. 199 liv 4 liv 3 liv 2 liv 1 liv 4 liv 3 liv 2liv 1 liv 4 liv 3 liv 2 liv 1 liv 4 liv 3 liv 2 liv 1 il prodotto contiene tutte le parti e le informa-zioni utili e pertinenti a sviluppare la consegna,anche quelle ricavabili da una propria ricercapersonale e le collega tra loro in forma orga-nica.il prodotto contiene tutte le parti e le informa-zioni utili e pertinenti a sviluppare la consegnae le collega tra loro.il prodotto contiene le parti e le informazionidi base pertinenti a sviluppare la consegna.il prodotto presenta lacune circa la comple-tezza e la pertinenza, le parti e le informazioninon sono collegate.il prodotto è eccellente dal punto di vista dellafunzionalità.il prodotto è funzionale secondo i parametri diaccettabilità piena.il prodotto presenta una funzionalità minima.il prodotto presenta lacune che ne rendono in-certa la funzionalità.il prodotto è eccellente dal punto di vista dellacorretta esecuzione.il prodotto è eseguito correttamente secondo iparametri di accettabilità.il prodotto è eseguito in modo sufficientementecorretto.il prodotto presenta lacune relativamente allacorrettezza dell’esecuzione.il periodo necessario per la realizzazione èconforme a quanto indicato e l’allievo ha uti-lizzato in modo efficace il tempo a disposi-zione anche svolgendo attività ulteriori.il periodo necessario per la realizzazione è con-forme a quanto indicato e l’allievo ha utilizzatoin modo efficace il tempo a disposizione.il periodo necessario per la realizzazione è leg-germente più ampio rispetto a quanto indicato el’allievo ha svolto le attività minime richieste.il periodo necessario per la realizzazione èconsiderevolmente più ampio rispetto a quantoindicato e lo studente ha affrontato con superfi-cialità la pianificazione delle attività disper-dendo il tempo a disposizione. INDICATORI(Selezionare solo quelliattinenti all’attività) DESCRITTORI Livelloraggiunto(segnare conuna crocetta) GRIGLIA DI VALUTAZIONE DELLA UDA completezza,pertinenza,organizzazione Funzionalità correttezza Rispetto deitempi Prodotto Processo 200 liv 4 liv 3 liv 2 liv 1 liv 4 liv 3 liv 2 liv 1 liv 4 liv 3 liv 2 liv 1 liv 4 liv 3 liv 2 liv 1 Usa strumenti e tecnologie con precisione, de-strezza e efficienza. Trova soluzione ai pro-blemi tecnici, unendo manualità, spirito praticoa intuizione.Usa strumenti e tecnologie con discreta preci-sione e destrezza. Trova soluzione ad alcuniproblemi tecnici con discreta manualità, spiritopratico e discreta intuizione.Usa strumenti e tecnologie al minimo delleloro potenzialità.Utilizza gli strumenti e le tecnologie in modoassolutamente inadeguato.Ricerca, raccoglie e organizza le informazionicon attenzione al metodo. le sa ritrovare e riu-tilizzare al momento opportuno e interpretaresecondo una chiave di lettura.Ricerca, raccoglie e organizza le informazionicon discreta attenzione al metodo. le sa ritro-vare e riutilizzare al momento opportuno, dàun suo contributo di base all’interpretazionesecondo una chiave di lettura.l’allievo ricerca le informazioni essenziali,raccogliendole e organizzandole in maniera ap-pena adeguata.l’allievo non ricerca le informazioni oppure simuove senza alcun metodo.È completamente autonomo nello svolgere ilcompito, nella scelta degli strumenti e/o delleinformazioni, anche in situazioni nuove. È disupporto agli altri in tutte le situazioni.È autonomo nello svolgere il compito, nellascelta degli strumenti e/o delle informazioni. Èdi supporto agli altri.Ha un’autonomia limitata nello svolgere ilcompito, nella scelta degli strumenti e/o delleinformazioni ed abbisogna spesso di spiega-zioni integrative e di guida.Non è autonomo nello svolgere il compito,nella scelta degli strumenti e/o delle informa-zioni e procede, con fatica, solo se supportato.identifica con chiarezza il problema e le possibilisoluzioni proponendole ai compagni. Sa identifi-care le proposte corrispondenti ad una pluralità diparametri (praticabilità, qualità, sicurezza…).identifica con discreta chiarezza il problema ele possibili soluzioni. È in grado di valutare leproposte di soluzione nella prospettiva dellarealistica praticabilità.identifica gli aspetti più evidenti del problema.Persegue la soluzione più facile.Se da solo, non identifica il problema e nonpropone ipotesi di soluzione. Persegue la solu-zione indicata. INDICATORI(Selezionare solo quelliattinenti all’attività) DESCRITTORI Livelloraggiunto(segnare conuna crocetta)Precisione edestrezzanell’utilizzo deglistrumenti e delletecnologie Ricerca egestione delleinformazioni Autonomia Problem settinge problemsolving Processo 201 liv 4 liv 3 liv 2 liv 1 liv 4 liv 3 liv 2 liv 1 liv 4 liv 3 liv 2 liv 1 liv 4 liv 3 liv 2 liv 1 l’allievo entra in relazione con gli adulti conuno stile aperto e costruttivo.l’allievo si relaziona con gli adulti adottandoun comportamento pienamente corretto.Nelle relazioni con gli adulti l’allievo mani-festa una correttezza essenziale.l’allievo presenta lacune nella cura delle rela-zioni con gli adulti.l’allievo si trova a suo agio di fronte alle crisied è in grado di scegliere tra più strategiequella più adeguata e stimolante dal punto divista degli apprendimenti.l’allievo è in grado di affrontare le crisi conuna strategia di richiesta di aiuto e di inter-vento attivo.Nei confronti delle crisi l’allievo mette in attoalcune strategie minime per tentare di superarele difficoltà.Nei confronti delle crisi l’allievo entra in con-fusione e chiede aiuto agli altri delegando aloro la risposta.l’allievo ha un’ottima comunicazione con ipari, socializza esperienze e saperi interagendoattraverso l’ascolto attivo ed arricchendo-rior-ganizzando le proprie idee in modo dinamico.l’allievo comunica con i pari, socializza espe-rienze e saperi esercitando l’ascolto e conbuona capacità di arricchire-riorganizzare leproprie idee.l’allievo ha una comunicazione essenziale coni pari, socializza alcune esperienze e saperi,non è costante nell’ascolto.l’allievo ha difficoltà a comunicare e ad ascol-tare i pari, è disponibile saltuariamente a socia-lizzare le esperienze.Ha un linguaggio ricco e articolato, usandoanche termini settoriali-tecnici-professionali inmodo pertinente.la padronanza del linguaggio, compresi i ter-mini settoriali-tecnico-professionale da partedell’allievo è soddisfacente.Mostra di possedere un minimo lessico setto-riale-tecnico-professionale.Presenta lacune nel linguaggio settoriale-tecni-co-professionale. INDICATORI(Selezionare solo quelliattinenti all’attività) DESCRITTORI Livelloraggiunto(segnare conuna crocetta)Relazione con iformatorie le altre figureadulte Superamentodelle crisi comunicazioneesocializzazionedi esperienzee conoscenze Uso dellinguaggiosettoriale-tecnico-professionale Relazione,superamentodellecriticità elinguaggio 202 liv 4 liv 3 liv 2 liv 1 liv 4 liv 3 liv 2 liv 1 liv 4 liv 3 liv 2 liv 1 liv 4 liv 3 liv 2 liv 1 Riflette su ciò cha ha imparato e sul proprio la-voro cogliendo appieno il processo personalesvolto, che affronta in modo particolarmentecritico.Riflette su ciò cha ha imparato e sul proprio la-voro cogliendo il processo personale di lavorosvolto, che affronta in modo critico.coglie gli aspetti essenziali di ciò cha ha impa-rato e del proprio lavoro e mostra un certosenso critico.Presenta un atteggiamento operativo e indica so-lo preferenze emotive (mi piace, non mi piace).Ha un’eccellente capacità di trasferire saperi esaper fare in situazioni nuove, con pertinenza,adattandoli e rielaborandoli nel nuovo contesto,individuando collegamenti.Trasferisce saperi e saper fare in situazioni nuo-ve, adattandoli e rielaborandoli nel nuovo conte-sto, individuando collegamenti.Trasferisce i saperi e saper fare essenziali in si-tuazioni nuove e non sempre con pertinenza.Applica saperi e saper fare acquisiti nel medesi-mo contesto, non sviluppando i suoi apprendi-menti.È dotato di una capacità eccellente di cogliere iprocessi culturali, scientifici e tecnologici chesottostanno al lavoro svolto.È in grado di cogliere in modo soddisfacente iprocessi culturali, scientifici e tecnologici chesottostanno al lavoro svolto.coglie i processi culturali, scientifici e tecnolo-gici essenziali che sottostanno al lavoro svolto.individua in modo lacunoso i processi sottostan-ti il lavoro svolto.Elabora nuove connessioni tra pensieri e ogget-ti, innova in modo personale il processo di lavo-ro, realizza produzioni originali.Trova qualche nuova connessione tra pensieri eoggetti e apporta qualche contributo personale alprocesso di lavoro, realizza produzioni abba-stanza originali.l’allievo propone connessioni consuete tra pen-sieri e oggetti, dà scarsi contributi personali e ori-ginali al processo di lavoro e nel prodotto.l’allievo non esprime nel processo di lavoro al-cun elemento di creatività. INDICATORI(Selezionare solo quelliattinenti all’attività) DESCRITTORI Livelloraggiunto(segnare conuna crocetta)consapevolezzariflessivae critica capacità ditrasferire leconoscenzeacquisite capacità dicoglierei processiculturali,scientifici etecnologicisottostanti allavoro svolto creatività Dimensionemeta-cognitiva 203 liv 4 liv 3 liv 2 liv 1 liv 4 liv 3 liv 2 liv 1 l’allievo dimostra di procedere con una co-stante attenzione valutativa del proprio lavoroe mira al suo miglioramento continuativo.l’allievo è in grado di valutare correttamente ilproprio lavoro e di intervenire per le necessariecorrezioni.l’allievo svolge in maniera minimale la valuta-zione del suo lavoro e gli interventi di corre-zione.la valutazione del lavoro avviene in modo la-cunoso.Ha una forte motivazione all’esplorazione e al-l’approfondimento del compito. Si lancia allaricerca di informazioni/alla ricerca di dati edelementi che caratterizzano il problema. Ponedomande.Ha una buona motivazione all’esplorazione eall’approfondimento del compito. Ricerca in-formazioni/dati ed elementi che caratterizzanoil problema.Ha una motivazione minima all’esplorazionedel compito. Solo se sollecitato ricerca infor-mazioni/dati ed elementi che caratterizzano ilproblema.Sembra non avere motivazione all’esplora-zione del compito. INDICATORI(Selezionare solo quelliattinenti all’attività) DESCRITTORI Livelloraggiunto(segnare conuna crocetta)Auto-valutazione curiositàDimensionemeta-cognitiva 205 La prova esperta la prova di valutazione finale, o “prova esperta” è una prova “inter-compe-tenze”, articolata su più dimensioni dell’intelligenza e sulla base di una ampia va-rietà di quesiti, concorre, assieme alle attività di valutazione di tipo formativo chesi svolgono al termine di ogni UdA, a rilevare il grado di padronanza dei saperi edelle competenze mobilitati – articolati in abilità, capacità e conoscenze e indicatinelle rubriche di riferimento – utilizzando una metodologia che consenta di giun-gere a risultati attendibili, ovvero provati, certi e validi.È collocata in corrispondenza delle scadenze formali dei corsi (alla fine di ognianno e quando vengono rilasciati titoli di studio) e consente di rilevare in forma si-multanea, sulla base di un compito significativo e rilevante, la padronanza di piùcompetenze e saperi da parte dei candidati, viste nel loro insieme ovvero della ca-pacità di mobilitazione da parte del soggetto delle risorse (conoscenze, abilità e ca-pacità) possedute, in un quadro di autonomia e responsabilità.il peso indicativo proposto per le due forme di valutazione è il seguente: 45%per le prove esperte, mentre l’altro 55% deriva dalla valutazione formativa deri-vante dall’insieme delle UdA sviluppate, come si rileva dal processo di valutazionee certificazione delle competenze qui di seguito visualizzato: 206 l’utilizzo della prova esperta non può essere indifferente alle metodologie di-dattiche utilizzate durante il percorso formativo: essa, infatti, richiede necessaria-mente che l’attività di apprendimento venga svolta secondo la metodologia costrut-tivistica delle Unità di apprendimento, centrate su compiti e prodotti. infatti, l’inse-gnamento non è inteso, nel contesto dell’approccio per competenze, come una“successione di lezioni”, ma come “organizzazione e animazione di situazioni diapprendimento”.Per lavorare in modo consapevole sulle competenze è necessario quindi:• ricollegare ciascuna competenza a un insieme delimitato di problemi e di com-piti tratti dall’elenco previsto dalle rubriche di riferimento;• inventariare le risorse intellettive (saperi, tecniche, saper-fare, attitudini, com-petenze più specifiche) messe in moto dalla competenza considerata.la prova esperta è fortemente inter-competenze nel senso che coinvolgesempre competenze degli assi culturali, di indirizzo e di cittadinanza1.Al centro della prova vi deve essere un compito-progetto in sé compiuto, evi-tando che sia solo un pretesto per porre domande di verifica.il tipo di compito oggetto della prova esperta è differente rispetto a quellodelle unità di apprendimento, mentre queste ultime sollecitano gli allievi a realiz-zare prodotti compiuti, le prove esperte mobilitano le risorse degli stessi mediantecasi reali, problemi, collaudi, decisioni, soluzioni alternative, incidenti (malfunzio-namenti, reclami, riduzioni di budget...).Nella prova devono essere presenti una molteplicità di quesiti: si/no, a rispostachiusa e a risposta aperta (almeno uno deve prevedere due risposte positive possi-bili), elaborazioni progettuali, schede tecniche e matematiche, testi continui e dis-continui. occorre, pertanto, evitare che vi sia una preponderanza oppure un’esclu-sività di alcuni elaborati rispetto ad altri.Si prevedono cinque fasi tipiche:a. Di gruppo (può essere iniuziale oppure finale).b. individuale con focus linguistico-culturale o con focus matematico.c. individuale con focus pratico e professionale.d. individuale con focus riflessivo.e. individuale per l’eccellenza.le attività ed i relativi indicatori si riferiscono alle seguenti sei dimensioni del-l’intelligenza:• cognitiva,• pratica,• affettiva e relazionale, 1 questa tripartizione è approssimativa ed utile solo in via pratica poiché, in realtà, tutte le com-petenze sono aggregate entro l’elenco delle competenze di cittadinanza europea. 207 • sociale,• meta competenza,• problem solving.È possibile prevedere un quesito ulteriore per monitorare l’eccellenza. 1. ESEMPIO DI PROVA ESPERTA PER IL TERZO ANNO DI AUTORIPARATORE Si presenta, come esempio, la prova esperta elaborata nell’ambito della RetecNoS-FAP operante nel progetto della Regione Veneto, da parte dell’AssociazioneA. Provolo - Ficiap, in riferimento alla figura dell’autoriparatore del terzo anno diqualifica. PROVA ESPERTA Profilo Operatore all’autoriparazioneclasse in sperimentazione 3A / Livello EQF 3cFP/Scuolapartner in sperimentazione Associazione A. Provolo - Ficiap Titolo Progetto Azione di sistema per la progettazione e la sperimentazione di lineeguida, procedure, strumenti a supporto della certificazione dellecompetenze relative agli assi culturali acquisite nei percorsi in ob-bligo di istruzione Capofila Federazione Tipologia documento n P - progettato, in corso di sperimentazioneprogetto CNOS-FAPVeneto n A - applicatoCodice progetto n R - revisionatoData 04/04/2011documentoProgettisti della Mirko FuriaPROVA ESPERTAEsperto per l’accompagnamentoDirettore di progettoCoordinatore di progettoValidazione scientifica 208 1) ScHEDA PER DocENTi TitoloSimulazione caso realePercorso/classe Addetti alla autoriparazione - classe 3 APeriodo Maggio/giugno 2011Durata totale 8hCompetenze mirate Produrre testi a carattere tecnico. Utilizzare strumenti informatici per il trattamento dei testi e la gestione del foglio elettronico.Utilizzare la documentazione tecnica per la ricerca di informazioni necessarie alla realizzazione dell’in-tervento.Eseguire la diagnosi utilizzando i principali strumenti di misura e controllo ed effettuare gli eventuali in-terventi.Valutare lo stato di usura dei vari componenti ed organi meccanici.individuare ed utilizzare gli strumenti idonei per effettuare le operazioni richieste.Eseguire gli interventi necessari per ripristinare la funzionalità su organi motore, trasmissione e impiantoelettrico. Step Durata Attività Compito significativo Peso Dimensioniin ore e prodotto dell’intelligenzaprevalentementesollecitate1 4 h c intervento di riparazione 10 Praticameccanica e autodiagnosi2 1 h B 1 lettera commerciale 10 cognitiva3 1 h B 2 questionario tecnico scientifico 50 cognitiva4 0,5 h D Relazione autovalutazione 10 Sociale5 0,5 h E Testo in lingua inglese 10 cognitiva6 1 h A Verbale lavoro di gruppo 10 Relazionale Modalità di gestione gruppi (composizione, ruoli assegnati, casuali o scelti, riferiti ad una o più classi)Gruppi scelti dai docenti, ruoli scelti dal gruppo Strumenti forniti e/o ammessi: dizionari, atlanti, formulari, calcolatori, prezzari, uso di Internet …Strumentazioni di laboratorio meccanicoStrumenti di diagnosi autronicacalcolatori Logistica: es. laboratori attrezzati con CAD.1 postazioni individuali …. uso dei tempi, degli spazi edelle attrezzaturelaboratorio meccanico, autronico e informatico 209 iNDicAzioNi PER lA coMPilAzioNE DEllA ScHEDA Titolo: la prova deve avere un nomePercorso/classe: indicare il profilo del percorso formativo cui la prova si rife-risce, per esempio Percorso formativo Istituto Tecnico Informatica e Telecomunica-zioni” e l’anno di corso.Periodo: mese dell’anno.Durata totale: ore totali occupate dalla prova.Competenze mirate: la prova esperta è fortemente inter-competenze. indicarequelle fondamentali (chiave, comuni, di indirizzo).Step: fasi/passi in cui si articola la prova esperta.Attività: Si prevedono cinque step tipici:a. Di gruppo. b. individuale con focus linguistico-culturale o con focus matematico.c. individuale con focus pratico e professionale.d. individuale con focus riflessivo.e. individuale per l’eccellenza.Durata in ore: ore previste per ogni step.Compito significativo e prodotto: attività svolta dagli allievi e prodotti chedebbono realizzare.Peso: valore percentuale dello step in vista della valutazione finale. Dimensioni dell’intelligenza prevalentemente sollecitate: le attività ed i re-lativi indicatori si riferiscono alle seguenti sei dimensioni dell’intelligenza (vedimappa della valutazione):f. cognitiva. g. Pratica. h. Affettiva e relazionale. i. Sociale.j. Metacompetenza.k. Problem solving.Indicazioni per la gestione dei gruppi: gli insegnanti indicano agli allievi lacomposizione del gruppo, le modalità di azione, le figure/funzioni previste. Strumenti: descrivono quali mezzi gli allievi hanno a disposizione come sup-porto per la realizzazione della prova. Logistica: offrono eventuali indicazioni rilevanti circa gli spazi e le tecnologiedisponibili. 210 2) coNSEGNA AGli STUDENTi Titolo Competenze mirate StepFase 1 (c )Nell’officina in cui stai lavorando come apprendista arrivano due auto da riparare e consegnare entro ilfine settimana.- il cliente di una delle due auto ti spiega con parole sue come sono andate le cose, cercando di farti ca-pire cosa può essere successo “Ero fermo ad un incrocio e ad un certo punto il motore si è spento senzanessun preavviso. Al tentativo di rimettere in moto l’auto il motore faceva un rumore strano”. Esci con ilcliente e provi ad avviare l’auto, il motore gira libero come se non avesse compressione e tu in quel mo-mento capisci quali sono le cause.Dell’altra auto sul foglio di lavoro c’è scritto:- FiAT Punto 176 75 1.2ikat equipaggiata con impianto gestione motore iAW 08 F 5T con la spia guastiaccesa. il motore si avvia senza problemi, rimane in moto ma il minimo risulta irregolare. Da uncontrollo dei gas di scarico con regime motore al minimo risultano i seguenti dati Hc=500 co=0,05cocorr=0,04 co2=11,5% 02=3% lambda=1,1.Fase 2 (B 1)il titolare dell’officina “car Service” via dei Mandorli, 25 - 37100 Verona, presso la quale stai svolgendoil tuo apprendistato, ti chiede di aiutarlo nella stesura di un sollecito di pagamento di una loro fatturaemessa il 30/03/2010. il pagamento della fattura da sollecitare si riferisce ad un intervento su una Peugeot206, targata cy432zU, di proprietà del sig. Salvo Melotti residente in via cappellini 12, 37100 Verona.Precisa che il pagamento dovrà essere fatto entro una settimana tramite assegno non trasferibile intestatoalla ditta “car Service”. qualora il termine non venga rispettato, verrà applicata una penale del 10%.Fase 3 (B 2) in base alle informazioni contenute sul manuale tecnico della vettura che stai riparando rispondi al que-stionario presente:A) Nel diagramma sottostante sono riportate le curve della coppia e della potenza riferite al motore del-l’autovettura in esame. Rispondi alle domande utilizzando i grafici a disposizione. (Da inserire le ri-sposte multiple) 211 1. quanto vale la potenza massima (in cV e in kW)?2. A quali regimi erogo la massima coppia?3. quanto vale la coppia massima?4. quali sono le prestazioni a 2000 giri/minuto?5. quale coppia sviluppa il motore a 6000 giri/minuto?6. A quale regime il motore eroga 125 kW?7. A quale regime il motore eroga 130 cV?8. A quale regime il motore sviluppa una coppia di 300 Nm?9. A quale regime il motore sviluppa 145 kW?10. A quale regime raggiungo la massima potenza? B) Nel caso in cui non si abbia a disposizione il diagramma coppia-potenza, il motore dell’autovetturadeve esser messo al banco prova per effettuare delle misure.Portandosi ad un regime di 4200 rpm, si calcola una potenza di 150 cV. quanto vale la coppia corri-spondente?Se poi in una successiva condizione di funzionamento la coppia vale 350 Nm e la potenza vale 110kW, a quale regime sono state effettuate queste misure?c) Supponendo che l’autovettura monti un motore con:4 cilindri in lineacilindrata 1500 cm3alesaggio pari a 9 cm,calcola quanto vale la corsa del pistone.D) Prima di riconsegnare l’autovettura al cliente è richiesto di controllare la pressione degli pneumatici.Sul libretto della casa automobilistica è suggerita una pressione di 2,0 bar per gli anteriori e 2,3 barper i posteriori. Se si ha a disposizione uno strumento con i soli kPa come unità di misura, a quanti kPa bisogna gon-fiare gli pneumatici anteriori ed i posteriori?Fase 4 (D)Predisponi una relazione di autovalutazione in base alle seguenti indicazioni:1. qual è secondo te il grado di difficoltà della prova svolta?2. quali sono, a tuo giudizio, le competenze professionali che la prova voleva verificare?3. quali sono state le scelte/decisioni principali che hai dovuto prendere e come le giustifichi?4. Ti sembra di aver raggiunto gli obbiettivi della prova?5. quali sono le correzioni/modifiche che apporteresti per migliorare il risultato del tuo lavoro?Fase 5 (E)Traduzione di un brano tecnico in lingua ingleseFase 6 (A)Redigere un verbale sulla discussione di gruppo, rispettando i ruoli decisi all’interno del gruppo.l’argomento della discussione è: chi tra i diversi elementi del gruppo ha affrontato la prova di labora-torio nel miglior modo.Compiti/ prodotti intervento di riparazione meccanica e autodiagnosilettera commercialequestionario tecnico scientificoRelazione autovalutazioneTesto in lingua ingleseVerbale lavoro di gruppoDurata 8hValutazione Allegati 212 iNDicAzioNi PER lA coMPilAzioNE DEllA ScHEDA la consegna agli studenti deve essere chiara, concreta, essenziale e con lin-guaggio direttamente rivolto agli studenti.Si ricorda che la lettura della consegna costituisce il primo momento di veri-fica della competenza linguistica.Vanno precisati in particolare i compiti ed i prodotti richiesti.È importante indicare il metodo di valutazione cosicché gli allievi sappianocon che punteggi e con quali criteri la prova verrà considerata. indicare poi la natura degli allegati che si forniscono agli allievi. 3) VAlUTAzioNE E RAccolTA DATi METoDoloGiA Di VAlUTAzioNE Attività di gruppol’oggetto della prova è la produzione del verbale della discussione (su schema dato) che dovrà dare contodell’andamento della discussione. il verbale sarà valutato secondo i seguenti parametri:1 = il verbale rappresenta l’esame dei nodi basilari della prova, oppure: 1 = il verbale rappresenta l’esame di qualche nodo della prova e contiene elementi di osservazione delledinamiche2 = il verbale rappresenta l’esame dei nodi significativi della prova, raccoglie i contributi del gruppo edevidenzia le idee assunte3 = il verbale rappresenta l’esame di nodi significativi della prova, raccoglie i contributi di tutto ilgruppo, contiene elementi di osservazione delle dinamiche ed evidenzia le idee valutate e quelle as-sunteil punteggio totale va riportato a 10 Attività individuale con focus linguistico-culturalela prova, costituita da testi continui e non continui, conterrà item diversi che verranno valutati secondo iseguenti criteri, portati a titolo di esempio:item n. 1 = criterio e peso: es.: risposta scelta multipla semplice (SMS), ogni risposta vale 1 puntoitem n. 2 = criterio: es. scelta multipla complessa (SMc): entrambe le riposte corrette, 2 punti; una solacorretta, 1 puntoitem n. 3 = risposta aperta articolata (RAA): costruire il criterio e assegnare un peso nell’economia gene-rale della prova (che vale 22 punti totali). il criterio potrebbe riguardare ad esempio: le conoscenzeespresse (ci sono tutte quelle rilevanti; solo alcune; quali sono accettabili); presenza di legami traconcetti e conoscenze; argomentazioni, riflessioni, giudizi, confronti, esempi…il peso dell’item dipende dalla sua complessità e dalla qualità di dimensioni attivate (conoscenza, rifles-sione, pensiero critico, ecc.). Si prenda ad esempio PiSA. i criteri di correzione vanno resi espliciti que-sito per quesito.ogni item deve avere esplicitati questi elementi:a. tipo di compito: individuare informazioni; individuare il genere testuale; rilevare inferenze; in-terpretare…b. formato dei testi da analizzare: continuo e/o non continuo (si suggerisce, in analogia con leprove ocSE-PiSA, la presenza di entrambe le tipologie e la proposta di almeno una domandache richieda di reperire/inferire e integrare tra loro informazioni da entrambi); formato deltesto/dei testi con cui produrre la risposta: continuo e/o non continuoc. peso dell’item nell’economia generale della provad. criterio di correzioneil risultato derivante dalla somma dei punteggi ponderati va riportato a 22 213 Attività individuale con focus matematicola valutazione del compito con focus matematico si basa sulle seguenti dimensioni di osservazione:a. correttezza formale dei calcoli e logicità del procedimentob. equilibrio nella valutazione di efficienza/efficacia; costi/beneficic. giustificazione delle scelte operate rispetto alle procedure o ai confrontioltre che sul merito delle questioni poste nel problema posto.l’attribuzione del punteggio avviene attribuendo un punteggio da 1 a 3 ai diversi quesiti o problemi pro-posti secondo questi criteri:d. correttezza dei calcoli e logicità del procedimento (punteggio da 1 a 3)1 = il compito matematico è scorretto nel calcolo, logico nel procedimento2 = il compito ha inesattezze nei calcoli, il procedimento è logico e corretto3 = il compito matematico è formalmente corretto nel calcolo e nel procedimento, che è anchelogicamente seguito.e. quesiti o compiti riguardanti il merito del problema proposto: punteggio da 1 a 3 per ciascunquesito/compito;f. Valutazione di efficienza/efficacia, costi/benefici; ecc.: punteggio da 1 a 3g. quesiti sulla giustificazione delle scelte; confronti, ecc.: punteggio da 1 a 3 per ciascun que-sito/compitoil risultato derivante dalla somma dei punteggi parziali va riportato a 23. Attività individuale con focus pratico e professionalele dimensioni di valutazione dell’attività pratico/professionale sono le seguenti:a. proprietà nell’uso del linguaggio tecnico specifico e correttezza della lingua;b. funzionalità del prodotto: funziona, serve all’uso progettato; se si tratta di un progetto, mostratutte le caratteristiche perché il prototipo che ne dovesse derivare funzioni;c. equilibrio efficienza/efficacia; costo/beneficio; prezzo/qualitàd. comunicazione adeguata al target (es. nella comunicazione con cliente)ognuna delle quattro dimensioni viene valutata su una scala da 1(appena sufficiente) a 3(ottimo).l’attribuzione del punteggio totale (30) risulta dalla ponderazione dei punteggi ottenuti nelle quattro di-mensioni, assegnando a ciascuno un coefficiente di ponderazione, che risulta maggiore per la funziona-lità. la funzionalità è anche una caratteristica imprescindibile per l’accettazione della prova. ciò signi-fica che se il prodotto non funziona (non è attribuibile neanche il punteggio 1) il punteggio sarà 0, indi-pendentemente dalla valutazione ottenuta nelle altre tre dimensioni. coefficienti di ponderazione:a. proprietà e correttezza nel linguaggio: coefficiente di ponderazione 2 (Px2);b. funzionalità: coefficiente di ponderazione 3,5 (Px3,5);c. equilibrio costi/benefici, qualità/prezzo, ecc.: coefficiente di ponderazione 2,5 (Px2,5)d. comunicazione: coefficiente di ponderazione 2 (Px2) Per gli esempi di attribuzione del punteggio si vedano le linee guida, così come per i criteri di valuta-zione dello studio di caso.il punteggio ponderato totale in questo modo viene automaticamente riportato a 30 Attività individuale con focus riflessivola ricostruzione/riflessione, attraverso una relazione scritta e orale, viene valutata secondo i seguenti criteri:1 = sono stati richiamati i passaggi basilari della prova 2 = sono stati richiamati i passaggi basilari della prova e giustificate le scelte effettuate per la qualità delprodotto3 = sono stati richiamati i passaggi significativi della prova e giustificate in modo esauriente le scelte ef-fettuate per la qualità del prodottoPer quanto riguarda lo studio di caso, la ricostruzione riflessiva richiederà all’allievo di riproporre letappe significative della sua analisi, anche in termini procedurali e di riportarne la sintesi in una tabella(es. pro-contro; ishikawa…) 214 il punteggio sarà attribuito secondo i seguenti criteri:1 = sono stati valutati alcuni dati utili, anche con informazioni provenienti da fonti diverse; sono statecomparate alcune scelte diverse;2 = sono stati valutati dati utili, evidenziando alcuni collegamenti con fonti provenienti da fonti diverse;sono state comparate scelte diverse che sono state riportate in una tabella di sintesi;3 = sono stati selezionati e valutati i dati utili, evidenziando i collegamenti più significativi anche prove-nienti da fonti diverse; è stata effettuata la comparazione di scelte diverse mettendo in evidenza van-taggi e svantaggi; è stata compilata con chiarezza la tabella di sintesi.il punteggio totale va riportato a 15 Attività individuale per l’eccellenzail riconoscimento di eccellenza viene attribuito secondo un apprezzamento di tipo qualitativo che tieneconto della presenza/assenza nella prova (o mediante una parte aggiuntiva/facoltativa) delle seguenti di-mensioni, al massimo livello:Pertinenza, accuratezza, originalità della soluzione proposta □ si □ nocapacità argomentativa, riflessiva e critica □ si □ noAd esempio, la prova potrebbe contenere una domanda aggiuntiva che richieda di ipotizzare una solu-zione alternativa per un target diverso di clienti o per superare un evento critico imprevisto. ScHEDA Di RAccolTA DATi Nome, cognome Classe Prova Attività di gruppo PUNTEGGi TABUlAzioNE2 Attività individuale con focus linguistico-culturale Attività individuale con focus matematico Attività individuale con focus pratico e professionale Attività individuale con focus riflessivo Attività individuale per l’eccellenza luogo ______________________________________________________________________________Data ________________________________________________________________________________commissione _________________________________________________________________________ 2 codifica tabulazione: 1,2,3 = risposta positiva; 0 = risposta sbagliata; 9 = risposta mancante.Serve per il trattamento elettronico dei dati complessivi del campione a fini statistici. 215 2. ESEMPIO DI PROVADI VALUTAZIONE DELLE COMPETENZE DEGLI ASSI CULTURALI Presentiamo anche un esempio di prova di valutazione degli assi culturali, ela-borata dalla Regione liguria per i percorsi di formazione professionale triennaledell’anno 2010-2011. PROVA MULTIDISCIPLINARE(Lingua e letteratura italiana con Storia ed educazione civica;Lingua inglese; Matematica e Scienze; Informatica) Esame finale III anni di qualifica professionale IFP Durata totale: 4 ore Competenze mirate Comunicazione nella madrelingua• leggere, comprendere ed interpretare testi scritti di vario tipo.• Produrre testi di vario tipo in relazione ai diversi scopi comunicativi. Comunicazione nella lingua inglese• Utilizzare una lingua straniera per i principali scopi comunicativi ed operativi. Competenze sociali e civiche • comprendere il cambiamento e la diversità dei tempi storici in una dimensione diacronica attra-verso il confronto fra epoche e in una dimensione sincronica attraverso il confronto tra aree geo-grafiche e culturali.• collocare l’esperienza personale in un sistema di regole fondato sul reciproco riconoscimentodei diritti garantiti dalla costituzione a tutela della persona, della collettività e dell’ambiente. Competenze di matematica e scienze• Utilizzare le tecniche e le procedure del calcolo aritmetico ed algebrico, rappresentandole anchesotto forma grafica.• osservare e descrivere ed analizzare fenomeni appartenenti alla realtà naturale e artificiale e ri-conoscere nelle sue varie forme i concetti di sistema e di complessità. Competenze di informatica • Utilizzare gli strumenti informatici e telematici ed essere consapevole delle potenzialità delletecnologie rispetto al contesto culturale e sociale in cui vengono applicate. 216 STRUTTURA DELLA PROVA PER STEPStep Durata Ambiti Compito Dimensioniin minuti culturali dell’ intelligenzaprevalentementesollecitatelingua e Rispondere a delle domande relative alla cognitivaletteratura comprensione di due articoli di giornale MetacompetenzaA 90’ italiana con riguardanti la celebrazione del 150° e alla Problem solvingStoria ed conoscenza del periodo storico del educazione Risorgimento.civica il compito è suddiviso in una reading cognitiva(domande a risposta chiusa relative alla MetacompetenzaB 50’ inglese comprensione di un testo in lingua inglese) Problem solvinge in una writing (elaborazione di un testo in lingua inglese).Matematica e Rispondere a quesiti di matematica che cognitivac 50’ scienze implicano capacità di calcolo e di Metacompetenzaragionamento. Problem solvingElaborare una presentazione di power point, cognitivaD 50’ informatica completa di grafici e tabelle, relativa ad Metacompetenzaun’indagine statistica. Problem solving CONSEGNA PER GLI STUDENTIGenerale Titolo: Scopo della prova Verificare la padronanza dei saperi e delle competenze in lingua e letteratura italiana, storia ed educa-zione civica, lingua inglese, matematica e scienze, informatica. Compiti/prodotti distinti per step (e durata) Step A (90’)il compito prevede la lettura e comprensione di due testi – articoli riguardanti la celebrazione del 150° –e quindi la risposta a dieci quesiti. Step B (50’)il compito consiste in una parte di reading (risposta a domande chiuse relative alla comprensione di untesto in lingua inglese) e una parte di writing (elaborazione di un testo in lingua inglese) Step c (50’)il compito richiede di rispondere a quesiti di matematica che implicano capacità di calcolo e di ragiona-mento Step D (50’)il compito richiede di elaborare una presentazione di power point, completa di grafici e tabelle, relativaad un’indagine statistica. 217 Step A: Lingua e letteratura italiana con Storia ed educazione civica(1 di 4) Durata: 90 minuti Compiti/Prodotti Ti chiediamo di leggere attentamente i due testi allegati in tema di 150° dell’Unità d’italia e quindi di ri-spondere ai quesiti ed alle richieste successive:confessiamolo: nessuno di noi, a sera inoltrata, è riuscito a riporre subito il tricolore. l’abbiamo lasciato lì,legato alla ringhiera del terrazzo o fermato sotto i vasi del davanzale, perché questo strano gioco dell’or-goglio nazionale ci ha un po’ preso il cuore. Solitamente ci coinvolge per un gol della Nazionale o per unaregata di luna Rossa, per un gran premio della Ferrari o per un tappone al Tour de France, ma in quei casi ètroppo inquinato dal tifo perché davvero lo si possa considerare tanto nobile. questo 17 marzo è tutto di-verso: nato tra mille difficoltà e duemila diffidenze, osteggiato e deriso dalle più remote piccinerie, è cre-sciuto piano piano dentro di noi, senza che nemmeno ce ne accorgessimo, fino a fiorire rigoglioso in un’in-dimenticabile giornata di vera festa popolare. E lasciamoci andare, per una volta. Non esitiamo ad ammetterlo. Senza timori e senza pudori, è bello direche un giorno di sana retorica fa bene all’umore e pure alla salute. Per qualche ora, ci siamo sentiti tuttimigliori. Meno intossicati, meno acidi, meno lugubri. il tricolore sui palazzoni e sulle villette a schiera, iltricolore sui municipi e sui campanili, il tricolore sulle scuole e sugli asili, il tricolore sui tram e sulle ve-trine, il tricolore sugli zainetti e sui baveri dei nostri vestiti. Sono esplosi botti, si è sentito Mameli in tuttigli stili, ha diretto Muti e hanno cantato i cori alpini. le televisioni hanno dipinto di tricolore i loro loghi,persino le radio più esterofile e giovaniliste hanno inzuppato il biscotto nel simpatico rito della retoricanazionale. che giornata folle e particolare. Mai si era respirato uno spirito così autenticamente e sponta-neamente italiano. certo di feste importanti ne abbiamo altre, ma mai siamo riusciti a sentirle davvero festeuniversali. Si comincia l’8 marzo: tutti siamo ovviamente per le donne, ma ogni volta diventa immanca-bilmente una festa femminista. Poi c’è il 25 aprile: è la liberazione di tutti, ma diventa la festa personale deipartigiani comunisti. quindi il Primo maggio: è la festa di tutti i lavoratori, anche e soprattutto di quelliche lo sognano, ma di fatto è da sempre una festa operaia. E poi il 2 giugno: è una festa bellissima, ricordaquell’idea grandiosa che è una repubblica democratica, ma stranamente si riduce solo ad una parata lungoi Fori imperiali. Tutte feste serie e prestigiose: ma tutte feste di parte. Feste di qualcuno. Feste appaltate,manipolate, privatizzate. Non so bene che cosa sia capitato stavolta. credo che nessuno possa spiegarselo compiutamente. Per laprima volta, davvero, la festa ha coinvolto il popolo e ha rallegrato il popolo. Cristiano Gattil’idea stessa di celebrazione richiede inevitabilmente una certa dose di retorica: non è pensabile festeg-giare una ricorrenza qualsiasi, civile o religiosa, senza un po’ di enfasi. Bisogna però andarci con la manoleggera, fare molta attenzione a non esagerare, perché altrimenti si rischia l’effetto contrario, una reazionedi tipo repulsivo. come con i dolci: piacevoli e anche utili nelle giuste dosi, stucchevoli fino alla nauseaquando se ne mangiano troppi. E l’impressione è con le celebrazioni dei 150 anni dell’unità d’italia ci siastata somministrata una overdose di retorica. così si dà l’impressione che la retorica serva a coprire, conuna mano di vernice tricolore, la sostanza. che colpi di cannone e squilli di fanfare siano dovuti alla sen-sazione che chi ha voluto e organizzato le celebrazioni di quei valori in realtà non si senta sicuro del lororeale radicamento nella società. Tanto che si arriva alla denigrazione e alla condanna senza appello di chinon accetta di associarsi pedissequamente. Mi chiedo, dunque, se non sarebbe stato meglio celebrare questa ricorrenza parlando di più e in terminipiù concreti del Risorgimento: raccontandolo, liberandolo dalla patina di glassa retorica dalla quale è statoricoperto. con lezioni, conferenze spettacoli, concerti, mostre, rassegne. Forse, ad esempio, qualcunoavrebbe potuto ricordare che cavour, vero regista del processo unitario, progettava un’italia federale e chela sua prematura morte permise al re Vittorio Emanuele ii di creare invece uno Stato fortemente e assur-damente centralista, con tutti i guai che ne seguirono. oppure, altro esempio, rivedere il dibattito su Romacapitale, decisione che 150 anni fa non era affatto scontata. Ma chissà, forse, una volta riposte le coccardenei cassetti e spenta l’eco delle fanfare si potrà anche serenamente e costruttivamente parlare perfino diqueste cose. Nelle scuole, alla radio, alla televisione, insomma nel Paese e non solo fra gli storici.Carlo Maria Lomartire 218 Domanda 1: qual è secondo i due autori il modo giusto per celebrare la ricorrenza del 150°? cristiano Gatti____________________________________________________________________________________ carlo Maria lomartire____________________________________________________________________________________ Domanda 2: spiega il significato di “retorica” secondo i due autori. cristiano Gatti____________________________________________________________________________________ carlo Maria lomartire____________________________________________________________________________________ Domanda 3: c’è un legame tra il messaggio e la forma con cui sono stati scritti i due articoli? Se sì, in-dica quale. cristiano Gatti____________________________________________________________________________________ carlo Maria lomartire____________________________________________________________________________________ Domanda 4: che legame c’è tra Giuseppe Mazzini, Goffredo Mameli e Giuseppe Verdi e l’unità d’i-talia?____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ Domanda 5: quale forma di Stato aveva l’italia nel 1860; quando è cambiata e per quale nuova forma?____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ Domanda 6: indica la data originale e la natura delle tre ricorrenze: 8 marzo _________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________25 aprile ________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________2 giugno ________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ Domanda 7: Tra gli italiani è diffuso il sentimento o “orgoglio” nazionale, così come accade ad esempioin Francia o in Germania? Perché?____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ 219 Domanda 8: in cosa consiste il Risorgimento?____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ Domanda 9: indica la differenza tra stato unitario e stato federale.____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ Domanda 10: indica un episodio dell’Unità d’italia accaduto in liguria e due personaggi di origine li-gure che hanno contribuito in modo rilevante all’unificazione. ____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ Valutazione le risposte saranno valutate in base a tre gradi di padronanza: basilare, intermedio, elevato. 220 Step B: Lingua inglese (2 di 4) Durata: 50 minuti Compiti/Prodotti STEP B1 - ReadingLook at the sentences below about a trip to the Andes in Peru.Read the text on the opposite page to decide if each sentence is correct or incorrect.If it is correct, mark A near to each sentence.If it is not correct, mark B near to each sentence. 1 - This tour of Peru begins in the capital city. 2 - There are organised trips in cusco if you want. 3 - you must book all sporting activities before arrival. 4 - The train rides through the mountains. 5 - you need to pay more for the train ride. 6 - All destinations offer a choice of two different hotels. 7 - you can go on a trip the day after your arrival in lima. 8 - There are opportunities to buy local products in the mountains. 9 - in the mountains some musicians will talk about their traditional musical instruments. 10 - There is no time to do any activities on the final full day in lima. Exploring Peru our tour will introduce you to the most beautiful parts of Peru, starting with the capital of thecountry, lima. Here you can visit some excellent museums and eat in world-famous restaurants.you will also visit the mountain city of cusco, which is a magical place with a relaxedatmosphere, colourful markets and a lively nightlife.There are many opportunities for you to explore the city on your own, or you can choose to gosightseeing with our excellent guides. There is also a chance to go hiking, mountain biking, whitewater rafting, horse riding, paragliding and hot-air ballooning. our guides will help you chooseand book your activities after you arrive. From cusco, you can take a train through the mountains of the Andes. This is the high point ofyour tour and we have carefully chosen a route that will allow you to visit local villages and eat inlocal restaurants. There is also a visit to the ancient city of Macchu Picchu. The cost of thismountain trip is included in the price of the tour.Some destinations offer two choices of hotel. The nights in the mountains are spent together inlocal hotels. All our hotels are of the highest quality.Days 1-3 Mid-morning flight from london Heathrow to lima. you will be met on arrival atlima airport and taken to your hotel. Just enough time to eat and sleep, and the nextday you can join a sightseeing trip and spend your time getting to know the capital. 221 Days 4-6 Take an early morning flight to cusco and explore the magical city.Days 7-9 Take an unforgettable train ride through the mountains. Stay in a village and see atypical inca home. There are plenty of beautiful local cloths and pots for sale. listento a traditional Peruvian band, who will give you a demonstration and an explanationof the musical instruments of the Andes. Visit the ancient city of Macchu Picchu.Day 10 Return to cusco for another day to explore the beautiful city. Perhaps try one of theadventure sports on offer.Day 11 Take the morning flight to lima. Visit the famous Gold Museum.Day 12 Return flight to london. STEP B2 - WritingYou’re on holiday. Write a postcard (about 35-45 words) to your best friend. Say:• where you are now and who you are with; • what you are doing at the moment; (say two things)• what the weather is like; • what you do in the evening; (say two things)• what you do to practise your English. Valutazione Della scheda saranno valutati tre aspetti:– Correttezza linguistica – Correttezza dei contenuti – Completezza 222 Step C: (3 di 4) Durata: 50 minuti Compiti/Prodotti Alessandro, Matteo e Davide sono tre amici che, con le loro famiglie, vogliono fare un viaggio e, par-tendo da Udine, vogliono andare a Milano per visitare il museo della Scienza e della tecnica dove hannoappuntamento per una visita guidata alle ore 15,30. Alessandro, che guida una Volkswagen Golf 1660 1.6 GPl, parte alle ore 7,30 anche perché si deve fer-mare per motivi di lavoro a Verona. Domanda 1: Sapendo che la distanza tra Udine e Verona è di 225 Km, e che Alessandro viaggia ad unavelocità media di 90 Km/h a che ora arriverà in città?____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ Domanda 2: A Verona rimane nell’ufficio del catasto per sbrigare delle pratiche per 112 minuti, poi ri-parte in direzione Milano dove arriva alle ore 13,12. Sapendo che la distanza Verona - Milano è di 175Km, calcola a quale velocità media ha viaggiato in questo secondo tratto? i calcoli si possono fare ocome Km al minuto (Km/m) o come metri al secondo (m/s).____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ Matteo invece guida una Fiat Bravo 1600 diesel, sapendo che la distanza Udine - Milano è di 381 Km evolendo arrivare a Milano per le 15,30 sceglie di partire da Udine alle ore 12,00 e viaggia alla velocitàmedia di 32 m/s (115,2 Km/h). Davide a causa di un impegno è costretto a partire alle 12,30 e viaggia con una Volkswagen Golf 16601.6 a benzina, alla velocità di 40 m/s. Domanda 3: Arriveranno in tempo per l’appuntamento? Giustifica la risposta precisando l’ora di arrivodi ciascuno.____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ Domanda 4: lungo il viaggio Davide supererà Matteo?____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ Domanda 5: Data la normativa, Davide rischia di prendere una multa per eccesso di velocità? Perché? ____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ 223 Al momento dell’acquisto della macchina ho chiesto consulenza al venditore sulla scelta fra diesel o ben-zina, sottolineando che i miei km l’anno sono più di 20.000. Mi è stata consigliata la Fiesta 1.2 Benzinaperché, a detta del venditore, ha “consumi bassissimi”.i consumi indicati sul libretto della macchina sono: 12 Km/l in città, 17 Km/l su percorso misto, 20 Km/lsu strada.questi invece i consumi reali: 10Km/l su percorso urbano, 12 Km/l su percorso misto e su strada. Domanda 6: Se io annualmente percorro 2625 Km circa in città e 7854 Km su percorso misto e 10368Km su strada quanto carburante consumo in un anno? ____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ Domanda 7: quanto carburante avrei dovuto invece consumare secondo il venditore?____________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ Valutazione Sarà valutata la competenza matematica basandosi su esecuzione dei compiti, correttezza dei calcoli, lo-gicità dei procedimenti. 224 Step D: (4 di 4) Durata: 50 minuti Compiti/Prodotti leggi il seguente testo e svolgi il compito indicato successivamente: L’uso e l’abuso di alcol in Italia Nel 2010 la quota di popolazione di 11 anni e più che ha consumato almeno una bevanda alcolica durantel’anno è pari al 65,7%, in diminuzione rispetto al 2009 (68,5%); il 26,3% della popolazione (14 milioni126 mila persone) beve alcolici quotidianamente, mentre il 38,4% ha consumato alcol almeno una voltafuori dai pasti.Beve vino il 53,3% delle persone di 11 anni e più, birra il 45,9% e aperitivi alcolici, amari, superalcolicio liquori il 39,9%; beve vino tutti i giorni il 24,1% e birra il 4,3% della popolazione di riferimento.Negli ultimi 10 anni tra i giovani sono aumentati i consumatori occasionali, quelli che bevono fuori pastoe di chi consuma altri alcolici oltre a vino e birra, mentre si sono ridotti i consumatori giornalieri e quelliche bevono solo vino e birra.Nel complesso i comportamenti a rischio nel consumo di alcol (consumo giornaliero non moderato),binge drinking (sei o più bicchieri di bevande alcoliche in un’unica occasione) e consumo di alcol daparte dei ragazzi di 11-15 anni riguardano 8 milioni e 624 mila persone, il 16,1% della popolazione di 11anni e più. Tale quota è stabile nel tempo.la popolazione più a rischio di consumo non moderato è quella anziana: si tratta di 2 milioni e 915 milapersone di 65 anni e più (il 43,5% dei maschi e il 10,6% delle femmine).la popolazione più a rischio di binge drinking è quella giovanile (18-24 anni): si tratta di 698 mila per-sone (il 16,6% dei giovani) con un rapporto tra maschi e femmine pari a tre. questo comportamentospesso si verifica durante momenti di socializzazione. Compito: elabora un power point, con titolo e data a pié di pagina, in cui inserire nei punti appropriati: – Un grafico che indichi il confronto tra il 2009 ed il 2010 circa la quota percentuale di popola-zione con più di 11 anni che ha consumato almeno una bevanda alcolica in un anno;– una tabella con le due popolazioni più a rischio nel consumo non moderato e di binge drinking. Valutazione Della scheda saranno valutati tre aspetti:– Correttezza– Completezza– Estetica 225 INDICAZIONI PER LA CORREZIONE(1 di 4) STEP A: lingua e letteratura italiana con Storia ed educazione civica INDICAZIONI PER LA CORREZIONE D1 (qual è secondo i due autori il modo giusto per celebrare la ricor-renza del 150°?)Punteggio pienocristiano Gatti: l’allievo indica che secondo l’autore la ricorrenza ha un valore simbolico ed affettivo. carlo Maria lomartire: l’allievo indica che secondo l’autore la ricorrenza ha un valore di conoscenzastorica e di confronto.Nessun punteggioAltre risposte. Non risponde. INDICAZIONI PER LA CORREZIONE D2 (spiega il significato di “retorica” secondo i due autori)Punteggio pienocristiano Gatti: retorica indica l’enfasi che deve essere giustamente attribuita a questo avvenimentocosì importante per l’identità nazionale del popolo italiano.carlo Maria lomartire: l’enfasi è un ingrediente indispensabile di questa ricorrenza, ma occorre te-nerlo sotto controllo in modo che non si esageri, altrimenti rischia di coprire la sostanza delle cose. Nessun punteggioAltre risposte Non risponde INDICAZIONI PER LA CORREZIONE D3 (c’è un legame tra il messaggio e la forma con cui sono stati scrittii due articoli? Se sì, indica quale)l’allievo indica l’esistenza di un legame: cristiano Gatti: l’idea che la ricorrenza del 150° presenti un valore simbolico ed affettivo trova ri-scontro nel parlare in prima persona plurale chiedendo il coinvolgimento del lettore, e nel ricorso adespressioni emotive ed enfatiche (“ci ha un po’ preso il cuore”, “ci coinvolge”, “fiorire rigoglioso inun’indimenticabile giornata di vera festa popolare”). il testo non fa leva sul ragionamento (“non sobene che cosa sia capitato stavolta. credo che nessuno possa spiegarselo compiutamente”), ma sul“lasciarsi andare”. carlo Maria lomartire: la forma utilizzata punta al ragionamento, introdotta da una presa di distanzadal tono retorico (“bisogna però andarci con la mano leggera, fare molta attenzione a non esagerare”)e gestita prima in modo impersonale, poi introducendo un quesito “mi chiedo…”), proseguendo con ilporre dubbi e quindi puntando sulla riflessione da parte del lettore, con una chiusura che contrapponeancora le fanfare con il ragionamento. INDICAZIONI PER LA CORREZIONE D4 (che legame c’è tra Giuseppe Mazzini, Goffredo Mameli e Giu-seppe Verdi e l’unità d’italia?)Punteggio pienoGiuseppe Mazzini è stato uno dei pensatori dell’Unità d’italia ed ha anche preso parte a diversi eventiimportanti della sua formazione: quindi è un padre della Patria.Goffredo Mameli ha scritto giovanissimo l’inno nazionale per poi morire pochi mesi dopo a seguitodelle ferite riportate nella difesa della Seconda Repubblica romana.Giuseppe Verdi è un compositore molto sensibile agli ideali del Risorgimento e dell’Unità d’italia,anche se non ha partecipato attivamente alle vicende che l’hanno resa possibile. Entra in Parlamentosoltanto per cinque anni, dal 1861 al 1865, ma poi si dedica esclusivamente alla musica. Nessun punteggioAltre risposte. Non risponde. 226 INDICAZIONI PER LA CORREZIONE D5 (quale forma di Stato aveva l’italia nel 1860; quando è cambiata eper quale nuova forma?)Punteggio pienoNel 1860 l’italia era una Monarchia costituzionale, mentre nel 1946 è divenuta Repubblica democra-tica a seguito del referendum istituzionale.Nessun punteggioAltre risposte. Non risponde. INDICAZIONI PER LA CORREZIONE D6 (indica la data originale e la natura delle tre ricorrenze)Punteggio pieno- 8 marzo: festa (giornata internazionale) della Donna, che viene erroneamente fatta risalire allamorte di centinaia di operaie nel rogo di un’inesistente fabbrica di camicie cotton o cottons avve-nuto nel 1908 a New york (in realtà in quella città, il 25 marzo 1911 nell’incendio della fabbricaTriangle morirono 146 lavoratori, in gran parte giovani donne immigrate dall’Europa).- 25 aprile: festa della liberazione, riferite alla liberazione di Milano e Torino che nel 1945 sonostate liberate dalle truppe nazifasciste di occupazione. - 2 giugno: Festa della Repubblica, poiché il 2 giugno del 1946 si tenne il referendum istituzionaleche diede allo Stato italiano la forma di Repubblica democratica. Nessun punteggioAltre risposte. Non risponde. INDICAZIONI PER LA CORREZIONE D7 (Tra gli italiani è diffuso il sentimento o “orgoglio” nazionale, cosìcome accade ad esempio in Francia o in Germania? Perché?)Punteggio pienoNo, gli italiani non hanno orgoglio nazionale (ad esclusione di quando gioca la Nazionale, ma nonquando giocano le squadre di club in coppe internazionali). ciò è dovuto al fatto che l’italia per moltisecoli è stata divisa in Regni e Principati, Repubbliche, comuni e Signorie, conservando ancora oggiuna identità di territorio piuttosto che di Paese. Nessun punteggioAltre risposte (ad esempio: quelle che fanno riferimento ad una “immaturità civile” degli italiani). Non risponde. INDICAZIONI PER LA CORREZIONE D8 (in cosa consiste il Risorgimento?)Punteggio pienoSi intende per Risorgimento il periodo nel quale la nazione italiana conseguì la propria unità nazio-nale, riunendo in un solo nuovo stato il Regno d’italia ed i precedenti Stati preunitari. Solitamentetale fase viene fatta iniziare con il congresso di Vienna del 1815 per concludere nel febbraio 1871con l’annessione dello Stato Pontificio e lo spostamento della capitale a Roma.È corretto anche indicare come significato di Risorgimento anche il movimento culturale, politico esociale che promosse l’unificazione d’italia, sulla base di ideali romantici e nazionalisti, e che si ma-nifestò dalla fine dell’impero romano fino alla seconda metà del Vi secolo.Nessun punteggioAltre risposte. Non risponde. 227 INDICAZIONI PER LA CORREZIONE D9 (indica la differenza tra stato unitario e stato federale)Punteggio pienoUno Stato è unitario quando è accentrato, ovvero i suoi poteri sono centralizzati negli organi costitu-zionali della capitale con funzioni legislativa, esecutiva e giudiziaria, mentre le autonomie localihanno solo alcune funzioni amministrative (è il caso della Francia).Uno Stato è federale quando nasce da più stati autonomi che gli preesistono ed è l’esito di un’intesatra questi stati sovrani che mettono in comune la politica estera e la difesa affidandole ad un ente su-periore, normalmente una confederazione (è il caso della Svizzera). Nessun punteggioAltre risposte (anche quella che confonde il federalismo con la cosiddetta “devoluzione” che in realtàrappresenta una cessione di competenze dallo Stato centrale alle Autonomie locali, sulla base deiprincipi di responsabilità e di sussidiarietà). Non risponde. INDICAZIONI PER LA CORREZIONE D10 (indica un episodio dell’Unità d’italia accaduto in liguria e duepersonaggi di origine ligure che hanno contribuito in modo rilevante all’unificazione)Punteggio pienoEpisodio: la partenza della spedizione di Garibaldi ed i suoi Mille da quarto nel 1860.Personaggi: erano liguri Giuseppe Mazzini (Genova), Goffredo Mameli (Genova), Michele Novaro(Genova), Nino Bixio (Genova). Vale anche citare Giuseppe Garibaldi, nato a Nizza, che faceva allora parte della liguria.Nessun punteggioAltre risposte.Non risponde. le risposte saranno valutate indicando uno dei seguenti gradi di padronanza: 0 = Non padronanza le risposte sono decisamente scorrette e confuse 1 = Basilare le risposte sono in stretta maggioranza corrette e chiare, con contenuti media-mente elementari 2 = intermedia le risposte sono sostanzialmente corrette e chiare, con contenuti ricchi 3 = Eccellente le risposte sono in grande maggioranza corrette, fondate, ben scritte, con conte-nuti approfonditi 228 VALUTAZIONE E RACCOLTA DATI(2 di 4) STEP B: lingua inglese i risultati sono i seguenti: 1a, 2a, 3b, 4a, 5b, 6b, 7a, 8a, 9a, 10b il testo sarà valutato secondo i seguenti parametri: Correttezza (linguistica e dei contenuti) e completezza 0 = Non padronanza Produce un testo poco chiaro e sostanzialmente scorretto nella forma e nei conte-nuti 1 = Basilare Produce un testo essenzialmente corretto dal punto di vista linguistico su un li-vello minimo di contenuti 2 = intermedia Produce un testo chiaro e corretto dal punto di vista linguistico e contenutistico 3 = Eccellente Produce un testo chiaro, dettagliato e corretto dal punto di vista linguistico oltreche estremamente preciso per contenuti 229 VALUTAZIONE E RACCOLTA DATI(3 di 4) STEP C: Matematica e Scienze INDICAZIONI PER LA CORREZIONE D1 (a che ora Alessandro arriverà a Verona)Punteggio pienoAlessandro arriverà a Verona alle 10.00225 : 90 = 2,5 h7,30 + 2,5 = 10,00 hNessun punteggioAltre risposte Non risponde INDICAZIONI PER LA CORREZIONE D2 (a quale velocità media Alessandro viaggia tra Verona e Milano)Punteggio pienoAlessandro viaggia A 2,1875 Km al minuto (Km/m)10h + 112’ = 11h 52’ 13h 12’ – 11h 52’ = 80’175 : 4 x 3 = 131,25 km/h 131,25 km/h equivalgono a 2,1875 Km/m Nessun punteggioAltre risposte Non risponde INDICAZIONI PER LA CORREZIONE D3 (ora di arrivo a Milano di Matteo e Davide)Punteggio pienoMatteo giunge a Milano alle 15.00 18’ 44’’ (entro le 15h 30’)32 m/s equivalgono a 1,92 km/minuto381 : 1,92 = 198,4375 che equivalgono a 3h 18’ 44’’Davide giunge a Milano alle 15.00 38’ 75’’ (troppo tardi)40 m/s equivalgono a 2,4 km/minute381 : 2,4 = 158,75 che equivalgono a 2h 38’ 75’’ Nessun punteggioAltre risposte Non risponde INDICAZIONI PER LA CORREZIONE D4 (lungo il viaggio Davide supererà Matteo?)Punteggio pienoNo perché giunge a Milano dopo Matteo Nessun punteggioAltre risposte Non risponde 230 INDICAZIONI PER LA CORREZIONE D5 (Davide rischia di prendere una multa per eccesso di velocità)Punteggio pienoSì perché viaggia a 144 km/h ovvero superiore ai 130 km/h di limite, considerando anche gli ulteriori5km di valore di soglia tollerati Nessun punteggioAltre risposte Non risponde INDICAZIONI PER LA CORREZIONE D6 (quanto carburante consumo effettivamente all’anno)Punteggio pienoconsumo 1.781 litri di carburante all’anno 2.625 : 10 = 262,57.854 : 12 = 654,510.368 : 12 = 864,0262,5 + 654,5 + 864,0 = 1.781Nessun punteggioAltre risposte Non risponde INDICAZIONI PER LA CORREZIONE D7 (quanto carburante avrei dovuto consumare all’anno secondo il ri-venditore)Punteggio pienoAvrei dovuto consumare 1.199,15 litri di carburante all’anno 2.625 : 12 = 218,757.854 : 17 = 462,0010.368 : 20 = 518, 40218,75+ 462,00+ 518, 440 = 1.199,15Nessun punteggioAltre risposte Non risponde il testo sarà valutato secondo i seguenti parametri: Competenza matematica0 = Non padronanza il compito matematico non è stato eseguito o risulta non accettabile per carenze eprocedimento confuso e incompleto 1 = Basilare il compito matematico è mediamente corretto nel calcolo, logico nel procedi-mento 2 = intermedia il compito è corretto in quasi tutti i calcoli, il procedimento è logico e corretto 3 = Eccellente il compito matematico è corretto in tutti i calcoli, logico nel procedimento 231 VALUTAZIONE E RACCOLTA DATI(4 di 4) STEP D: informatica il testo sarà valutato secondo i seguenti parametri: Utilizzo degli strumenti informatici0 = Non padronanza il testo è disordinato e scorretto, oltre che poco piacevole 1 = Basilare il testo è svolto con un uso essenziale ed elementare degli strumenti informaticicon un esito poco attraente 2 = intermedia il testo rivela una buona padronanza degli strumenti informatici ed è estetica-mente accettabile 3 = Eccellente il testo è realizzato in modo eccellente dal punto di vista informatico ed è estetica-mente attraente SCHEMA PER LA VALUTAZIONE: GRADI E PUNTEGGIFocus Step Punti Padronanza di ogni Corrispondenza gradi-puntistep Gradi 0 1 2 3non basilare intermedio elevatoraggiuntolingua e letteratura A 70 punti 1-41 42-51 52-61 62-70italiana con Storia ed educazione civicainglese B 40 punti 1-23 24-28 29 -34 35-40Matematica e scienze c 60 punti 1-35 36-44informatica D 30 punti 1-17 18-22 23 -26 27-30 TOTALE (da dividere per 10) 200 VALORE DI SOGLIA: 120/200 SCHEDA DI RACCOLTA DATI Cognome Nome Classe FocUS DEllA VAlUTAzioNE liVEllo EqF PUNTEGGiolingua e letteratura italiana con Storia ed educazione civica iiiinglese iiiMatematica e scienze iiiinformatica iii luogo _______________________________________________________________________________ Data ________________________________________________________________________________ commissione _________________________________________________________________________ 233 Certificazione delle competenze la certificazione delle competenze rappresenta un’azione che mira a descriverein modo sistematico le acquisizioni della persona, preferibilmente sotto forma dicompetenze, e a registrarle in un formato condiviso tra i diversi attori del sistemaeducativo di iFP, compresi i soggetti economici. la certificazione mira, pertanto, aconnotare il documento prodotto in stretto riferimento al merito delle acquisizionidella persona, di cui questa si è dotata attraverso le più diverse esperienze forma-tive (formali, non formali ed informali). la certificazione si riferisce a due categorie di fenomeni: in primo luogo, lecompetenze intese come fattori che qualificano il grado di autonomia e di responsa-bilità della persona a fronte di specifiche categorie di compiti/problema dal rile-vante valore personale, sociale e professionale; nel contempo, essa specifica i sa-peri, ovvero le conoscenze e le abilità/capacità, ovvero le risorse di cui la personasi è impadronita e che ha saputo certamente mobilitare nel lavoro di soluzione deicompiti/problema indicati. Nella certificazione debbono essere evidenziati i livellidi padronanza delle competenze, che possono essere indicati per gradi progressivi:parziale, basilare, adeguato, eccellente.È evidente che la mancata notazione indica che la persona non possiede unapadronanza neppure parziale della competenza indicata.la definizione di certificazione delle competenze si lega necessariamente aduna seconda, quella del credito formativo. questo rappresenta una documentazioneche attribuisce alla persona in possesso di un’acquisizione un valore esigibilepresso un organismo formativo, in vista del raggiungimento di uno specifico titolo.Perché il credito relativo ad un’acquisizione formativa sia effettivamente esigibile,occorre che l’organizzazione ricevente riconosca la certificazione fatta da quella in-viante ed attribuisca a questa certificazione un valore, affinché possa essere dav-vero utilizzata per accedere a (o progredire in) un percorso formativo o lavorativo,senza che alla persona titolare sia imposto di ripetere le attività di apprendimentoriconosciute.Di conseguenza, il credito formativo indica il valore di una certificazione esancisce l’accettazione da parte dell’organismo ricevente della validità della forma-zione impartita all’allievo da altri organismi e viceversa, a condizione che venganosoddisfatte le tre successive condizioni: a) che l’organismo rilasciante sia accreditato secondo le procedure appositamentepreviste e che, in particolare, preveda una funzione organizzativa e personaleadeguati a tale compito e che adotti la metodologia prevista; 234 b) che il credito ed il suo valore sia chiaramente riferito al PEcUP ed alle indica-zioni regionali; c) che contenga le informazioni necessarie ad individuare le attività formative svol-te, le competenze personali e professionali maturate dal titolare, le conoscenze ele abilità che egli ha acquisito e che sono iscritte nelle competenze maturate.il riconoscimento di un credito avviene mediante un processo di bilancio cheprevede anche l’analisi dei materiali di valutazione e di documentazione personaledell’allievo. Tale analisi riguarda la presenza delle condizioni di validità del creditostesso e di norma non prevede una prova di accertamento di tipo valutativo, poichél’attestazione soddisfa già i requisiti di trasparenza necessari. in questo senso, lacertificazione costituisce un atto con cui viene accertato il possesso di una compe-tenza determinata, ovvero il possesso di un credito formativo, ma il cui valore ef-fettivo dipende però dall’organizzazione presso cui viene proposto.certificazione degli apprendimenti e crediti formativi alludono ad un docu-mento che, pur non sostituendosi al titolo di studio, sia nella versione del certificatofinale dei percorsi iFP che in quello del certificato delle competenze che vale e perl’obbligo di istruzione e per ogni attività formativa, si propone come strumento attoad accompagnare la persona nella sua crescita in termini di esperienze e di compe-tenze: si tratta del libretto formativo. Si tratta di EURoPASS, il passaporto dellequalifiche e delle competenze che favorisce la “portabilità” delle stesse in Europa,che assolve alle necessità del libretto personale del lavoratore.l’adozione di una metodologia di certificazione degli apprendimenti non rap-presenta, quindi, unicamente un fenomeno compilativo di natura amministrativa,ma richiama una pratica formativa centrata su competenze che, a sua volta, com-porta il passaggio già indicato da un insegnamento “inerte” ad un insegnamentopiù vitale, superando la mera trasmissione dei contenuti per avviare una pratica dicostruzione degli stessi, così che gli allievi siano protagonisti del loro cammino.Si propone un modello di certificazione attendibile dei saperi e delle competenze,ovvero “sostenute da efficacia dimostrativa e riscontro probatorio”. ciò mira a solle-citare il “saper agire” degli studenti che si esprime nella capacità/padronanza di af-frontare problemi e compiti sfidanti. questo porta ad identificare non più semplici at-tività, ma veri compiti/problemi significativi che conducano a risultati concreti.il metodo di certificazione che si propone è costituito da due documenti: 1. la scheda di certificazione delle competenze che prevede l’elenco delle compe-tenze previste come risultati di apprendimento dall’Autorità di riferimento, or-ganizzate in base allo schema delle 8 competenze di cittadinanza europea, arti-colate nei tre gradi di padronanza previsti: basilare, intermedio, elevato; 2. la scheda di registrazione delle situazioni di apprendimento significative edelle aree disciplinari coinvolte dove si indicano le occasioni di apprendi-mento svolte nel biennio che si riferiscono esplicitamente a quella specificacompetenza. 235 la certificazione delle competenze rappresenta il momento in cui, a seguitodella valutazione, si passa alla loro registrazione entro una scheda che ne indichi illivello di padronanza e le altre informazioni utili alla comprensione del giudizio.Non si tratta di un atto amministrativo che si limiti a mettere dei giudizi a fiancodell’elenco delle competenze, ma è un processo di elevato valore formativo e so-ciale. occorrere pertanto garantire il criterio dell’attendibilità, che a sua volta com-porta di sostenere il giudizio di padronanza con riferimenti precisi, dando ad essoun’efficacia dimostrativa ed un riscontro probatorio.la certificazione finale è indicata dal documento proposto dall’Unione Eu-ropea, “EURoPASS - Supplemento al certificato”1 che consente di specificare lanatura del certificato che viene rilasciato e che indica l’ambito di attività in cui lapersona è risultata competente. Presentiamo di seguito lo strumento di certificazione delle competenze ed ilsupplemento al certificato Europass. 1 http://www.europass-italia.it/Europass/dispositivi/supplcertificato.htm. 236 CERTIFICATO DELLE COMPETENZE Scheda di registrazione delle situazioni di apprendimento significative Allievo _____________________________________________ classe __________anno _____________ MAcRo coMPETENzE EURoPEE ATTiViTà, AzioNi ED ESPERiENzE SiGNiFicATiVE SVolTEComunicazione nella madrelinguaComunicazione nelle lingue straniereCompetenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologiaCompetenza digitaleImparare ad imparareCompetenze sociali e civicheSpirito di iniziativa e intraprendenza (Competenze professionali/di indirizzo)Consapevolezza ed espressione culturale Scheda di certificazione delle competenze Allievo _____________________________________________ classe _________ anno _____________ coMPETENzA liVEllo EqF GRADo DiPADRoNANzA(BASilARE, ADEGUATo, EccEllENTE)NoTEComunicazione nella madrelinguaComunicazione nelle lingue straniereCompetenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologiaCompetenza digitaleImparare ad imparareCompetenze sociali e civicheSpirito di iniziativa e intraprendenza (Competenze professionali/di indirizzo)Consapevolezza ed espressione culturale 237 SUPPLEMENTO AL CERTIFICATO EUROPASS Istituzione certificante Certificatore (cognome e nome) Fonte(patto/accordo di rete, ente superiore, ente di parte terza) Firma Marchio DENOMINAZIONE DEL CERTIFICATO Riferimento(figura professionale, area di competenze, singola competenza…) TRADUZIONE DEL CERTIFICATO Title of the certificate PROFILO PROFESSIONALE DESCRIZIONE DEL PROFILO PROFESSIONALE o del PROFILO DI COMPETENZE oggetto della certificazione(indicare la fonte) il possessore del certificato è in grado di:(indicare le competenze delle indicazioni aggregate secondo l’elenco della cittadinanza europea) Competenze Livello EQF Grado(basilare,intermedio, elevato) 238 EVIDENZE DEL PROFILO(cfr. le rubriche delle competenze) Compiti-problemi e capolavori significativi realizzati VALORE DEL CERTIFICATO iscrizione al corso _________________________________________________continuità formativa credito formativo per il corso ________________________________________Professioni con ingresso libero__________________________________________________________________________________________________________________________________inserimento lavorativo Professioni normate per legge• Assolvimento formazione obbligatoria• Accesso al registro/l’albo• Accesso al concorso pubblicoNorma di legge di riferimento ________________________________________ BASI UFFICIALI DEL CERTIFICATO DenominazioneNome e status dell’istituzione Natura giuridicache ha conferito il certificato Fonte di legittimitàLivello territoriale/settoriale livello del certificato Livello ISCED:(nazionale o internazionale) Livello EQF:Altro: Scala di valutazione Valutazione su base _________soglia di validità Soglia minima _____________ Istruzione e formazione professionale Accesso a studi ulteriori ScuolaUniversità Formazione superiore LeggeNorma di riferimento IndicazioniRegolamentoStandard 239 MODALITÀ RICONOSCIUTE DI ACQUISIZIONE DEL CERTIFICATO Tipologie di Istruzione Percentuale sul percorso Durata (anni/giorni)e formazione professionale totale (VET: Vocational Education and training) Formazione a scuola/al cfp(formale)Formazione sul lavoro/stage(informale)Apprendimento accreditato(non formale) Durata totale certificataRequisiti di accessoinfo aggiuntiveNational Reference Point www.europass-italia.it 241 Bibliografia ARENDT H. 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Canada - Québec . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 211.1. il sistema educativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 211.2. le competenze del secondo ciclo di istruzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 241.3. la valutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 241.3.1. La valutazione per l’apprendimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 241.3.2. La certificazione delle competenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 262. Danimarca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 2.1. Sistema educativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 272.1.1. Scuola secondaria superiore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 282.1.2. VET Vocational Education and Training . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 292.2. Sistema di certificazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 303. Finlandia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 3.1. il sistema di istruzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 3.2. Modello di didattica per competenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 343.3. Modalità di valutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35 4. Francia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37 4.1. Sistema educativo francese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 374.2. lo zoccolo comune ed il libretto delle competenze . . . . . . . . . . . . . . . . . 395. Polonia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 5.1. il sistema educativo polacco nella recente riforma . . . . . . . . . . . . . . . . . . 435.2. il sistema scolastico polacco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 445.2.1. Educazione pre-scolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44 5.2.2. Istruzione obbligatoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45 5.3. Valutazione e certificazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 465.4. istruzione secondaria superiore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 465.5. Titoli di studio e loro valore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 475.6. Modello valutativo e certificativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 486. Svezia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50 6.1. il sistema educativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 506.1.1. L’istruzione obbligatoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 506.1.2. Istruzione secondaria superiore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 516.1.3. Istruzione superiore a livello universitario e non universitario . . . 51 246 6.2. Modello di curricolum . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 526.2.1. La personalizzazione del curricolum attraverso il Project work . . . 536.3. Modello valutativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 546.4. Modello certificativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 557. Svizzera - Canton Ticino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 567.1. la formazione scolastica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56 7.2. la formazione professionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57 7.3. Valore dei titoli di studio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 587.4. Modello didattico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 597.5. il modello valutativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 607.6. la validazione degli apprendimenti dell’esperienza . . . . . . . . . . . . . . . . . 60 UNA RIFLESSIONE DI SINTESI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 631. Canada - Québec . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63 2. Danimarca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 643. Finlandia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65 4. Francia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65 5. Polonia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66 6. Svezia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66 7. Svizzera - Canton Ticino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68 IL CONTESTO EUROPEO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 711. EQF . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 712. EUROPASS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 753. OCSE - PISA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80 Parte seconda:IL CASO ITALIANO LA REALTÀ NAZIONALE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 851. Invalsi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 862. Il libretto formativo del cittadino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88 3. Certificazione delle competenze nel primo ciclo degli studi . . . . . . . . . . . . . 954. L’equivoco dei voti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 975. Certificazione delle competenze per l’obbligo di istruzione . . . . . . . . . . . . . 97 LE REGIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1031. Emilia Romagna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1051.1. il sistema regionale di formalizzazione e certificazione delle competenze 1051.2. obiettivi e orientamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1051.3. Gli oggetti della formalizzazione e della certificazione . . . . . . . . . . . . . . . 1071.4. i soggetti impegnati nell’attuazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1071.5. l’accertamento tramite evidenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1091.6. l’accertamento tramite esame . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1101.7. il sistema regionale delle qualifiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1112. Veneto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1132.1. l’azione di sistema . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1132.2. cESAR - Progetto certificazione delle competenze . . . . . . . . . . . . . . . . . 114 247 2.3. Metàlogos . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1152.4. la “Rete veneta delle competenze” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1162.5. Schema di riferimento per una possibile convergenza . . . . . . . . . . . . . . . . 117 3. Piemonte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119 3.1. il sistema degli standard formativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1193.2. il sistema informativo della Regione Piemonte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 120 3.3. Modello di didattica per competenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1223.4. Modalità di valutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1234. Toscana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1264.1. Standard per i processi di riconoscimento e certificazione delle competenze 126 4.2. il processo di descrizione delle competenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 127 4.3. il processo di dichiarazione degli apprendimenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1284.4. il processo di “validazione delle competenze” acquisite in contesti di tiponon formale e informale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 128 4.5. l’esame per la verifica delle competenze ed il rilascio di certificazione . 130 4.6. Riconoscimento dei crediti in ingresso ai percorsi formativi . . . . . . . . . . . 132 MODELLI SCOLASTICI LOCALI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1331. Lombardia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133 1.1. la certificazione delle competenze in lombardia . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1331.2. Titoli di studio e loro valore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133 1.3. Modello di curricolum . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1341.3.1. Modello matrice competenze applicato al processo di apprendimento-insegnamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1361.4. Modello valutativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1371.5. Modello certificativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1382. ITIS Malignani di Udine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139 2.1. il biennio dell’obbligo di istruzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139 UNA RIFLESSIONE DI SINTESI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1551. Emilia Romagna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1552. Veneto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1553. Piemonte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 156 4. Toscana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1565. Lombardia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1576. Istituto Malignani di Udine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 157 Parte terza:LA PROPOSTA DUE MODELLI A CONFRONTO: EDUCATIVO-CULTURALE E PRESTAZIONALE . . . . . . . . . 161UN NUOVO PATTO EDUCATIVO TRA SCUOLA E GIOVANI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1651. Competenza e saperi disciplinari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1662. Valutazione formativa, dare voti e certificare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 167 3. Ruolo attribuito agli studenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 168 IL CASO ITALIANO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1711. La falsa alternativa tra contenuti e competenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 172 248 LA PROPOSTA: UNA VALUTAZIONE ATTENDIBILE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 173 PER UNA CERTIFICAZIONE “ONESTA” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 177 IL METODO DI VALUTAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 179 ESEMPIO DI PROGETTAZIONE PER COMPETENZE: L’AUTORIPARATORE . . . . . . . . . . . . . 183 METODOLOGIA DI VALUTAZIONE DELL’UNITÀ DI APPRENDIMENTO . . . . . . . . . . . . . . . 197 LA PROVA ESPERTA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2051. Esempio di prova esperta per il terzo di autoriparatore . . . . . . . . . . . . . . . . 2072. Esempio di prova di valutazione delle competenze degli assi culturali . . . . 215 CERTIFICAZIONE DELLE COMPETENZE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 233 BIBLIOGRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 241 249 Pubblicazioni 2002-2011 nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE” ISSN 1972-3032 Sezione “Studi” 2002 MALIZIA G. - NICOLI D. - PIERONI V. (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimenta- zione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto finale, 2002 2003 CIOFS/FP (a cura di), Atti del XIV seminario di formazione europea. La formazione professio- nale per lo sviluppo del territorio. Castel Brando (Treviso), 9-11 settembre 2002, 2003 CIOFS/FP SICILIA (a cura di), Vademecum. Strumento di lavoro per l’erogazione dei servizi orientativi, 2003 MALIZIA G. - PIERONI V. 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