La valigia del "Migrante". Per viaggiare a Cosmopolis

Autore: 
Vittorio Pieroni - Antonia Santos Fermino
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2010
Numero pagine: 
202
Codice: 
978-88-95640-34-1

Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della formazione professionale iniziale secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto finale

Autore: 
Guglielmo Malizia - Dario Nicoli - Vittorio Pieroni
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2002
Numero pagine: 
178
Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della formazione professionale iniziale secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP RAPPORTO FINALE (Giugno 2002) A cura di Guglielmo MALIZIA - Dario NICOLI - Vittorio PIERONI rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 1 Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@pcn.net rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 2 3 SOMMARIO SIGLE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 INTRODUZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 CAPITOLO 1 IL PROGETTO DI RICERCA E LA SPERIMENTAZIONE DEL I ANNO (D. Nicoli - G. Malizia - V. Pieroni - A. Loiacono - D. Antonietti). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 CAPITOLO 2 I DATI QUANTITATIVI (G. Malizia - V. Pieroni) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 CAPITOLO 3 RAPPORTO SULLE “BUONE PRASSI” (D. Nicoli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91 CAPITOLO 4 OSSERVAZIONI CONCLUSIVE (G. Malizia - D. Nicoli - V. Pieroni) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 153 INDICE DELLE TAVOLE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 173 INDICE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 175 rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 3 rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 4 5 SIGLE CNOS-FAP: Centro Nazionale Opere Salesiane – Formazione Aggiorna- mento Professionale CIOFS/FP: Centro Italiano Opere Femminili Salesiane / Formazione Professionale ENAC: Ente Nazionale Canossiane ESIP/ASFAP: Ente Somasco Istruzione Professionale – Padri Somaschi ECFoP: Ente Cattolico Formazione Professionale AFGP: Associazione Formazione Giovanni Piamarta ELFAP: Ente Lombardo Formazione Aggiornamento Professionale FP: Formazione Professionale FPI: Formazione Professionale Iniziale CFP: Centro di Formazione Professionale ATI: Associazione Temporanea d’Impresa FOR: Formazione Orientamento e Reinserimento ECDL: European Computer Driving Licence IPSIA: Istituto Professionale di Stato per l’Industria e l’Artigianato rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 5 rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 6 7 INTRODUZIONE Sulla base dell’articolo 68 della legge n. 144 del 17 maggio 1999 e dell’Accor- do Stato-Regioni del 2 marzo 2000, le sedi nazionali del CNOS-FAP e del CIOFS/FP hanno elaborato un progetto di formazione professionale iniziale. Per monitorare l’attuazione di tale progetto, è stata avviata una ricerca-azione che mira a raccogliere dati sull’effettiva realizzazione di quanto previsto, al fine di tarare e ridefinire il progetto iniziale. Il lavoro ha coinvolto i CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP che operano su tut- to il territorio nazionale e, limitatamente alla Lombardia, altri 5 enti. In totale, i Cen- tri coinvolti sono 65 nel I anno della sperimentazione (2000-01) e 70 nel secondo (2001-02) (cfr. Tavv. 1-3). Nel biennio sono aumentati i CFP del CIOFS/FP da 20 a 32 e del CNOS-FAP da 32 a 34. Tav. 1 - Elenco sedi CIOFS/FP che hanno partecipato ai due anni di sperimentazione del progetto di FPI ENTE REGIONE SEDE / CENTRO I ANNO A.F. 2000/01 II ANNO A.F. 2001/02 Alessandria X Chieri X Cumiana X Nizza X Novara X Perosa X Torino - Auxilium X Torino - Madre Mazzarello X Torino - Agnelli X Tortona X Piemonte Vercelli X Milano X X Cinisello X X Cesano Maderno X X Lombardia Pavia X X Padova X X Veneto Conegliano X Liguria Genova X Colleferro X X Ladispoli X X Ostia X X Roma - Ateneo X X Roma - Togliatti X X Lazio Roma - Ginori X X Acireale X X Barcellona X X Bronte X X Gela X Messina X X Modica X X Palermo X Palagonia X Pietraperzia X X CIOFS/FP Sicilia S. Agata di Militello X X rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 7 8 Tav. 2 - Elenco sedi CNOS-FAP che hanno partecipato ai due anni di sperimentazione del progetto di FPI ENTE REGIONE SEDE / CENTRO I ANNO A.F. 2000/01 II ANNO A.F. 2001/02 Liguria GE - Quarto X X Verona X X Schio X X Veneto VE - Mestre X Bologna X Faenza X Emilia Romagna Forlì X X RM – T. Gerini X X RM - Borgo R. D. Bosco X X Lazio RM - Pio XI X X Gela X X Ragusa X X CT - Salette X X Palermo X X CT - Barriera X X Sicilia Misterbianco Serra Lineri X X Bosa X Budoni X Lanusei X X Sassari X Selargius X X Suelli X X Tiana X Sardegna Tortolì X Alessandria X X Bra X X Castelnuovo D. Bosco X X Fossano X X TO-Rebaudengo X X TO- Valdocco X X S. Benigno Canavese X X Vercelli X X Piemonte Vigliano Biellese X X Milano X X Sesto S. Giovanni X X CNOS-FAP Lombardia Brescia X X Tav. 3 - Elenco sedi “ALTRI ENTI” che hanno partecipato ai due anni di sperimentazione del progetto di FPI REGIONE ENTE SEDE / CENTRO I ANNO A.F. 2000/01 II ANNO A.F. 2001/02 ESIP-ASFAP Albate X AFGP Milano X X ENAC Milano X Monza X X Carate X X ECFoP Desio X X Abbiategrasso X San Giuliano X Mortara X Lodi X Pavia X Belloni X Brugherio X Merate X Lombardia FONDAZIONE "L. CLERICI" Parabiago X rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 8 9 Al contrario, dai 15 iniziali, nel secondo anno della sperimentazione, solo 4 Centri degli altri enti hanno inviato le informazioni relative al monitoraggio; pur essendo, di fatto, continuata la sperimentazione, l’incertezza delle risorse economi- che non ha permesso di pianificare in tempo utile l’azione di monitoraggio e, di conseguenza, sono pervenuti solo pochi dati frammentari che non è stato possibile, né conveniente, elaborare. Il presente rapporto risulta dall’analisi dei dati emersi dal I (2000-01) e dal II (2001-02) anno di monitoraggio della sperimentazione del progetto di formazione professionale iniziale elaborato dal CNOS-FAP e del CIOFS/FP. Il lavoro si articola in quattro capitoli. Nel primo, è descritto il progetto di monitoraggio; nel secondo e nel terzo, è ri- portato quanto emerso dall’analisi dei dati quantitativi (capitolo 2) e qualitativi (ca- pitolo 3) dei due anni di sperimentazione; il quarto capitolo tenta di offrire un vi- sione complessiva dei risultati della ricerca-azione in una prospettiva di futuro. Quanto emerge dalla presente rilevazione sulle prassi dell’obbligo formativo conferma l’importanza di una FP dotata di un proprio statuto peculiare, inserita in un complessivo sistema formativo articolato ed aperto, in grado di rappresentare un sottosistema educativo, dotato di obiettivi di pari dignità rispetto a quelli dell’istru- zione e con questo interrelato con possibilità di passaggi, al fine di offrire ai giova- ni l’opportunità di acquisire una “Qualifica professionale”. Nella ricerca azione di supporto alla sperimentazione della formazione profes- sionale iniziale, infatti, si sono composte in maniera sinergica l’istanza educativa, che è peculiare della FPI in quanto ha come destinatario il minore, il raccordo orga- nico con il sistema economico-produttivo, da cui riceve indicazioni e proposte sui fabbisogni professionali del territorio, la personalizzazione del percorso (attuata so- prattutto attraverso alcune azioni di sistema quali l’accoglienza, l’orientamento e l’accompagnamento al lavoro) e il raccordo con il sistema di istruzione. rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 9 rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 10 11 PRIMO CAPITOLO IL PROGETTO DI RICERCA (Dario NICOLI - Guglielmo MALIZIA - Vittorio PIERONI ANGELA LOIACONO - Daniela ANTONIETTI) 1. INTRODUZIONE La presente ricerca-azione intende contribuire allo sviluppo della formazione professionale contestualmente e in sinergia con la riforma in corso del sistema edu- cativo di istruzione e di formazione. Più specificamente, l’innovazione, a cui l’in- dagine si è collegata dal momento del suo avvio nel 2000, è costituita dall’introdu- zione dell’obbligo formativo fino a 18 anni di età: questa ha riconosciuto la possi- bilità (attraverso la legge 144/99, art. 68) di assolvere tale obbligo in percorsi anche integrati di istruzione e formazione: 1) nel sistema di istruzione scolastica; 2) nel sistema di formazione professionale di competenza regionale; 3) nell’esercizio dell’apprendistato. Dopo i 15 anni, quindi, i giovani possono scegliere tra il sistema di istruzione e quello di formazione, articolato in un percorso di formazione professionale a tempo pieno o nell’esercizio dell’apprendistato. Ciò significa che la formazione professio- nale ha acquisito, nella attuale normativa, una propria dignità e peculiarità. Le è stato riconosciuto lo statuto di “sistema formativo specifico” in rete con quello del- l’istruzione e in stretto contatto con il mondo del lavoro. Le strategie e le metodo- logie acquistano una loro caratterizzazione: punto di riferimento è la costruzione concreta del progetto professionale e culturale dei destinatari mediante l’attivazione di laboratori e itinerari dove vengono ipotizzate e sperimentate competenze con re- lativi supporti tecnici e culturali. L’offerta formativa mira inoltre a dare l’avvio a ve- ri e propri “centri attivi” dove possono essere ricercate, recuperate e scoperte abili- tà tecniche, tecnico artigianali, culturali e ipotizzati nuovi prodotti nei vari settori dell’economia moderna. I destinatari sono ragazzi e ragazze che hanno particolare propensione all’ope- ratività, al concreto, alla sperimentazione applicata. Il sistema formativo tenta, va- lorizzando e migliorando le esperienze e il know how di cui dispone, di offrire op- portunità a quella fascia di giovani caratterizzati da stili cognitivi che, per essere at- tivati, hanno bisogno di verificare e costruire concretamente il percorso professio- nale e culturale. Il salto di qualità che si è prodotto con l’introduzione dell’obbligo formativo fi- no ai 18 anni è avvenuto più in linea di principio che nella realtà, perché le conse- guenze positive di tale innovazione sono state praticamente annullate dagli effetti combinati delle leggi 9/99 e 30/2000. Infatti, la decisione di far iniziare la FP un an- rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 11 12 no dopo la scelta della scuola secondaria superiore ha messo in pericolo la pari di- gnità del canale della FP e ha prodotto un impatto negativo sulla formazione dei giovani. I primi risultati delle ricerche sull'attuazione del nuovo obbligo di istruzio- ne stanno ponendo in risalto che la legge 9/99 ha gravemente danneggiato gli ado- lescenti, soprattutto i più svantaggiati e in difficoltà, obbligandoli ad iscriversi ad una scuola che li costringe a un parcheggio di un anno o li tiene lontano dalla for- mazione professionale. Inoltre, va tenuto presente che allo stato attuale i drop-out della terza media sono oltre 35.000 ogni anno e certamente non si potrebbe pensare di obbligarli per altri due anni ad un percorso scolastico. Un contributo positivo alla pari dignità può venire dalla proposta di legge de- lega Moratti. Questa sembra rispondere in maniera soddisfacente alle esigenze di formazione degli adolescenti e dei giovani che hanno “l’intelligenza nelle mani”, prevedendo un percorso graduale e continuo di formazione professionale, parallelo a quello scolastico e universitario, dai 14 ai 21 anni. Comunque, tale risultato posi- tivo è tutt’altro che scontato per cui, nel prosieguo del rapporto, si cercherà di deli- neare, anche sulla base delle indicazioni della ricerca, le condizioni per cui esso possa prodursi. 2. LE CARATTERISTICHE DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE INIZIALE Certamente la FPI è destinata ad essere profondamente innovata dalla legge de- lega Moratti e dai successivi decreti delegati. Tuttavia, dato che tale riforma ha ot- tenuto unicamente l’approvazione del Senato, non parleremo di essa, ma ci limite- remo qui di seguito a presentare solo quanto dispongono in materia di formazione professionale iniziale la legge 144/99 e l’Accordo Stato-Regioni del 2000, che era- no le normative di riferimento della nostra indagine al momento del suo avvio (e che, d’altra parte, la riforma, che sta per diventare legge, non intende annullare o ri- baltare, ma piuttosto mira a svilupparne tutte le potenzialità). 2.1. Caratteristiche del percorso di FPI dettate dalla legge 144/99 In rapporto a quanto indicato dall’art. 68 della legge 144/99, il nuovo percorso di formazione iniziale deve: 1) essere rivolto a giovani che hanno assolto l’obbligo di istruzione nelle modali- tà della normativa vigente; 2) essere caratterizzato in senso formativo e non addestrativo, tale da favorire una piena e completa formazione della persona dotandola di una adeguata base cul- turale; 3) essere finalizzato alla acquisizione (con durata di almeno 2.400 ore complessi- ve) di una qualifica professionale spendibile nel mercato del lavoro e quindi secondo un approccio progettuale per competenze e non di tipo scolastico; 4) svilupparsi tramite una programmazione modulare per cicli con certificazioni rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 12 13 che costituiscono titolo valido per il passaggio al ciclo successivo e credito for- mativo per accedere all’istruzione superiore ed all’apprendistato; 5) prediligere una metodologia attiva volta a valorizzare e sviluppare esperienze concrete della vita giovanile e del mondo lavorativo; 6) essere strutturato nell’ambito di un sistema regionale organico secondo i crite- ri della qualità, che comprenda metodologie comuni in tema di coordinamento, progettazione, standard formativi, sistema informativo, valutazione, gestione dei crediti e dei passaggi tra i diversi canali dell’obbligo formativo. 2.2. Caratteristiche del percorso di FPI dettate dall’Accordo Stato-Regioni del 2000 Alla luce dell’Accordo Stato-Regioni del 2 marzo 2000, per il percorso di FPI si prevedono inoltre: 1) moduli di accoglienza comprensivi di un servizio per l’accertamento di cono- scenze, capacità e competenze acquisite e per il riconoscimento di eventuali crediti formativi, da predisporre in fase di ingresso ed in ogni momento in cui si attivino passerelle; 2) misure di accompagnamento volte a favorire l’inserimento professionale dei giovani tenendo conto delle peculiarità occupazionali locali; 3) percorsi formativi personalizzati – anche con moduli e servizi di sostegno ad hoc – che tengano conto della specificità del soggetto con particolare riferi- mento alle esigenze dei soggetti portatori di handicap; 4) passerelle per coloro che provengono dal sistema della scuola secondaria supe- riore o dal canale dell’apprendistato e viceversa, da predisporre in ogni mo- mento del percorso formativo; 5) moduli propedeutici che consentano di perseguire la formazione qualificante secondo modalità che prevedano una fase di rimotivazione ed un apprendimen- to per esperienze da parte di giovani soggetti a obbligo formativo che abban- donano il percorso scolastico e formativo e che non siano impegnati in alcun rapporto di lavoro o di apprendistato; 6) un’offerta formativa che preveda iniziative di specializzazione susseguenti in coerenza con il principio della continuità formativa; 7) sistemi di valutazione della qualità dell’offerta formativa erogata e percepita nei suoi esiti da parte degli organismi formativi; 8) un approccio concordato ad ogni livello (nazionale, regionale/provinciale) in tema di indirizzo e coordinamento della sperimentazione. 3. LA SPERIMENTAZIONE DEL CNOS-FAP E DEL CIOFS/FP Sulla base delle indicazioni legislative, il CNOS-FAP e il CIOFS/FP hanno da- to vita ad un progetto sperimentale a carattere nazionale le cui finalità generali so- no: rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 13 14 1) realizzare progressivamente una sperimentazione riguardante il percorso del- l’obbligo formativo nel sistema della formazione professionale regionale; 2) creare un’esperienza formativa che, a partire dalla FPI, sappia potenziare l’in- tero sistema della formazione professionale; 3) sperimentare, nell’ambito della FPI, un modello CNOS-FAP e CIOFS/FP di in- dicatori della qualità formativa, da estendere progressivamente all’intero siste- ma formativo; 4) sperimentare, nell’ambito della FPI, un modello di accreditamento interno, da estendere progressivamente anche alla formazione superiore e alla formazione continua, fino a delineare il modello di accreditamento del “Centro polifunzio- nale dei servizi formativi”. Il percorso proposto, inoltre, tiene conto delle seguenti esigenze: - stabilire un collegamento organico tra l’obbligo formativo e l’obbligo scola- stico; - puntualizzare le prassi dell’orientamento, della valutazione e dell’azione di tutoring; - definire gli standard professionali nazionali delle qualifiche e dei percorsi di specializzazione. Alla prima rilevazione, effettuata il 15/10/2000, i percorsi strutturati avviati dal CNOS-FAP e dal CIOFS/FP nell’ambito dell’obbligo formativo sono risultati 130 per 2.255 allievi; la sperimentazione dell’intero impianto progettuale è stata attiva- ta su 110 corsi per 1.915 allievi. Tuttavia, nelle 16 regioni in cui sono presenti i due enti, si sono avviate altre sperimentazioni, se pure parziali, degli standard indivi- duati in riferimento alle figure professionali, al modello formativo, alla certificazio- ne delle acquisizioni in vista del riconoscimento dei crediti formativi. Nasce dunque l’esigenza di dare vita ad un’azione di monitoraggio su una fi- liera così rilevante della nuova formazione professionale. 4. IL MONITORAGGIO DEI PERCORSI SPERIMENTALI Il monitoraggio consiste in un “intervento svolto lungo l’iter del percorso for- mativo mediante il quale è possibile avere la percezione di come l’iniziativa si sta sviluppando in itinere sotto il profilo del perseguimento degli obiettivi formativi e dei riscontri qualitativi”1. 4.1. Obiettivi del monitoraggio Il monitoraggio ha l’obiettivo di rilevare e valutare i seguenti aspetti: 1) il modello formativo (articolazione per saperi, competenze e capacità); 2) l’articolazione dell’intervento in riferimento alle diverse tipologie di utenza; 1 Cfr. CIOFS-FP/CNOS-FAP, Progetto Formazione Professionale Iniziale. Linea guida, Roma, Manoscritto, 2000, p. 14. rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 14 15 3) l’impostazione dell’area culturale-scientifica; 4) l’impostazione dell’area professionale, sia comune sia specifica, con riferimen- to alle figure professionali indicate con relativi competenze e standard; 5) l’impianto didattico (didattica attiva ed induttiva, centralità dell’esperienza dei soggetti e delle competenze) e gli strumenti adottati; 6) gli interventi di personalizzazione (orientamento, recuperi/approfondimenti, al- ternanza, accompagnamento); 7) le modalità di rilevazione degli apprendimenti e della maturazione degli allievi; 8) le modalità di adattamento al territorio (relazioni con le amministrazioni loca- li, con la scuola, le imprese, con gli altri CFP); 9) il modello organizzativo adottato nella prospettiva della qualità e della flessibi- lità; 10) gli standard di competenza del personale impegnato nel percorso; 11) le risposte delle amministrazioni locali al progetto. 4.2. Elementi qualificanti del monitoraggio Gli elementi qualificanti del monitoraggio possono essere riassunti nel modo seguente: 1) La formazione viene intesa come strumento che contribuisce alla soluzioni dei problemi e alla soddisfazione degli utenti. 2) L'ottica dell'"orientamento al cliente" è adottata per: a) l'attivazione di un sistema di ascolto e di risposta alle attese; b) la conoscenza e la valorizzazione del potenziale individuale; c) l'attenzione alle differenze individuali; d) lo sviluppo dell'autonomia personale; e) il coinvolgimento/partecipazione sistematica alle attività; f) l'attivazione di un sistema di accertamento della soddisfazione; g) l’attivazione di un processo di costruzione del proprio progetto professionale. 3) Ogni attività è: a) intesa come processo; b) definita nell'input e nell'output; c) coerente negli obiettivi rispetto al quadro di attività progettuali in cui si col- loca; d) ispirata ad eventuali schemi concettuali di riferimento, formalizzati e dispo- nibili; e) controllata periodicamente nel suo funzionamento e nei risultati; f) sviluppata in spazi/ambienti adeguati. 4) La sperimentazione mira a modelli d'intervento che siano: a) pertinenti; b) integrabili; c) trasferibili; d) capitalizzabili. rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 15 16 5) La sperimentazione mira a modelli "flessibili" che consentano di: a) personalizzare i percorsi formativi; b) lavorare per obiettivi formalizzati; c) adottare metodologie diversificate e orientate all'esperienza. 6) Si intende attivare un sistema di attori in cui siano: a) definiti i ruoli ed i compiti; b) determinate le "transazioni" tra gli attori (servizi); c) stabilite le modalità di partecipazione/coordinamento; d) fissate le competenze richieste e utilizzate in modo integrato; e) distribuiti gli impegni secondo modalità formalizzate. 7) Si intende attivare un sistema di controllo-valutazione: a) dei processi; b) dei risultati intermedi, finali e di impatto; c) della soddisfazione degli attori; d) formalizzato; e) socializzabile/trasferibile anche ad altri contesti. 5. METODOLOGIA DI INTERVENTO La metodologia che si è inteso adottare circa il monitoraggio è stata quella del- la ricerca azione; in tal modo, si voleva accompagnare tutto il percorso di attuazio- ne delle sperimentazioni cercando di valorizzare massimamente il materiale prodot- to dalle équipe dei formatori e intervenendo in una prospettiva di “secondo livello” che consentisse: 1) la conoscenza e la comparabilità delle esperienze alla luce di categorie comuni (gli 11 aspetti indicati al paragrafo 4.1.); 2) la rilevazione delle tappe del percorso e dei relativi esiti; 3) l’efficacia e l’efficienza del processo; 4) l’individuazione delle aree di criticità e delle soluzioni adottate; 5) la sostenibilità del modello e le condizioni di riproducibilità. Tutti coloro che hanno dato vita alle sperimentazioni secondo il modello del CNOS-FAP e del CIOFS/FP potevano candidarsi per il monitoraggio sulla base del- la metodologia standard e della disponibilità di un coordinatore del monitoraggio. Al termine della sperimentazione è stata anche prevista la presentazione un rap- porto finale2 con indicazioni circa gli esiti, la validazione del modello e la sua as- sunzione come riferimento standard. Gli strumenti con cui si intende operare sono: schede; griglie; dossier (cfr. Tav. 1). Di seguito, presentiamo ciascuno degli strumenti previsti. 2 Corrisponde al presente rapporto. rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 16 17 5.1. Schede Le schede di raccolta dati vengono compilate dai referenti dell’obbligo forma- tivo e servono da supporto alle griglie di cui al punto 5.2. Le schede previste sono le seguenti. 1) “Scheda del CFP” (n. 01) Con questo strumento si ottengono informazioni su: a) l’importanza della FPI nel proprio CFP; b) il modello di FPI adottato; c) la realizzazione o meno del sistema qualità all’interno del Centro. È stata compilata solo nel 2000-01 perché al II anno si sono aggiunti solo po- chi Centri. 2) “Scheda del progetto” (n. 02) Questo strumento consente di rilevare gli elementi qualificanti il progetto di FPI che ciascun Centro sta realizzando. Si ottengono informazioni su: a) le azioni di accoglienza, orientamento, accompagnamento; b) lo stage; c) lo standard di apprendimento; d) l’articolazione delle aree dei saperi di base, delle competenze professionali, delle capacità personali; e) la ripartizione del monte ore complessivo. È stata compilata solo nel 2000-01 perché il progetto di FPI di ciascun Centro è rimasto sostanzialmente invariato nei due anni. Anno formativo di utilizzo Tipologia strumento Strumenti utilizzati 2000-01 2001-02 1) Schede di raccolta dati • Scheda del CFP (n. 01) • Scheda progetto (n. 02) • Scheda destinatari (n. 04) • Scheda gradimento allievi (n. 06) • Scheda flussi allievi (n. 08) • Scheda sintetica del progetto formativo (n. 09) • Scheda gradimento formatori (n. 11) X X X X X X X X X X X 2) Griglie di monitoraggio • Check-list per la valutazione in itinere dell’attuazione dell’azione formativa (n. 05/I) • Check-list per la valutazione del secondo anno dell’attuazione delle azioni formative (n. 05/II) • Griglia di monitoraggio finale della attuazione dell’azione formativa (n. 07) • Griglia per la raccolta di modelli di interazione scuola/FP nell’obbligo di istruzione (n. 10) X X X X X 3) Dossier delle procedure e degli strumenti • Dossier delle procedure e degli strumenti (n. 03) X X Tav. 1 - Strumenti utilizzati rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 17 18 3) “Scheda destinatari” (n. 04) Lo strumento in esame è volto a raccogliere dati sull’utenza del CFP e più in particolare, su: a) la situazione scolastico/formativa; b) la provenienza; c) l’età; d) il sesso; e) l’eventuale segnalazione ufficiale di disagio; f) l’eventuale segnalazione ufficiale di handicap; g) la preparazione culturale di base; h) le attività differenziate svolte durante l’obbligo di istruzione. È stata compilata nel 2000-01 e nel 2001-02 e in entrambi i casi solo per gli al- lievi che frequentavano il I anno. 4) “Scheda gradimento allievi” (n. 06) Lo strumento in esame è un questionario rivolto agli allievi con l’obiettivo di ri- levare il loro livello di soddisfazione rispetto alla proposta di FPI cui stanno prendendo parte. In particolare, si chiede il loro parere su: a) i contenuti; b) i formatori; c) i metodi; d) l’organizzazione; e) l’apprendimento; f) i tempi. È stata somministrata nel 2000-01 agli allievi del I anno e nel 2001-02 agli al- lievi del I e del II anno e ha subito nel biennio qualche ritocco migliorativo. 5) “Scheda flussi allievi” (n. 08) Questa scheda ha lo scopo di raccogliere dati sul “movimento” degli allievi del Centro, sia nel corso del I che del II anno; consente, cioè, di avere informazioni su: a) il numero degli iscritti; b) il numero dei ritirati e per quale motivo; c) il numero degli aggiunti in itinere e loro provenienza. È stata compilata nel 2000-01 per gli allievi del I anno e nel 2001-02 per gli al- lievi del I e del II anno. 6) “Scheda sintetica del progetto formativo” (n. 09) La scheda sintetica ha l’obiettivo di raccogliere una serie di informazioni circa le modalità concrete con cui si è realizzato il progetto di FPI, tenendo presenti le si- tuazioni locali e le concrete difficoltà. Più in particolare si sono richiesti dati su: a) la durata del percorso; b) i rapporti con le famiglie e le imprese; c) le azioni di personalizzazione; rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 18 19 d) le azioni di accoglienza, di orientamento e il bilancio personale; e) la gestione crediti e passerelle; f) i recuperi e gli approfondimenti; g) le misure di accompagnamento all’inserimento lavorativo; h) la modularità, le metodologie didattiche e la valutazione; i) il libretto personale e la certificazione; l) il finanziamento dei corsi del primo anno. È stata compilata sia nel 2000-01 che nel 2001-02, sia per i primi anni che per il secondo, in quanto la realizzazione del progetto formativo di ciascuno Cen- tro poteva avere un andamento diverso nei due anni. 7) “Scheda gradimento formatori” (n. 11) Lo strumento in esame è un questionario rivolto ai formatori con l’obiettivo di rilevare il loro livello di soddisfazione rispetto alla esperienza di FPI cui hanno contribuito in prima persona. In particolare, oltre a raccogliere le informazioni di base sul curricolo formati- vo e professionale degli intervistati, si chiede il loro parere su: a) gli allievi; b) il personale formativo; c) il progetto di FPI; d) l’organizzazione; e) gli apprendimenti; f) i tempi g) la loro soddisfazione e le attese di futuro. È stata somministrata solo nel 2001-02 perché l’esigenza è emersa solo dopo il I anno della sperimentazione. 5.2. Griglie Le griglie di raccolta dati vengono compilate dai referenti della FPI e mirano a rilevare il grado di avanzamento e di successo delle singole iniziative formative. Le griglie previste sono le seguenti. 1) “Check-list per la valutazione in itinere dell’attuazione dell’azione forma- tiva” (n. 05/I) Lo strumento consente di ottenere valutazioni su: a) la partecipazione degli utenti; b) l’orientamento degli utenti; c) l’esecuzione del progetto formativo e la gestione degli interventi di modifica; d) la qualità della docenza e della didattica; e) il clima dei rapporti in aula e fuori; f) l’adeguatezza dell’organizzazione. È stata compilata sia nel 2000-01 che nel 2001-02 per la valutazione della spe- rimentazione con il I anno della FPI. rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 19 20 2) “Check-list per la valutazione del II anno dell’attuazione dell’azione for- mativa” (n. 05/II) Lo strumento è analogo alla scheda 5/I con la sola variante dell’assenza della sezione sull’orientamento, dato che questo è concentrato nel I anno. È stata compilata solo nel 2001-02 per la valutazione della sperimentazione con il II anno della FPI. 3) “Scheda di monitoraggio finale dell’attuazione dell’azione formativa” (n. 07) Lo strumento è finalizzato alla valutazione complessiva dell’azione formativa realizzata e raccoglie valutazioni su: a) la rispondenza agli standard di qualifica: b) la qualità della progettazione; c) il perseguimento degli obiettivi del progetto; d) la certificazione; e) la restituzione e il follow-up. È stata compilata solo nel 2001-02 per la valutazione globale del biennio della sperimentazione della FPI. 4) “Griglia per la raccolta di modelli di interazione scuola/FP nell’obbligo di istruzione” (n. 10) La griglia mira a delineare un quadro delle diverse esperienze di interazione scuola/FP, raccogliendo informazioni su: a) gli istituti scolastici con cui si realizza l’integrazione; b) la tipologia di interventi svolti dal CFP; c) la cultura dell’interazione che ne emerge; d) le modalità di attivazione dell’integrazione/interazione; e) lo strumento giuridico dell’integrazione/interazione; f) i costi; g) la certificazione dei crediti. È stata compilata solo nel 2001-02. 5.3. Dossier delle procedure e degli strumenti Il dossier (“Scheda n. 03”) è una raccolta dei documenti che attestano le pro- cedure e gli strumenti adottati dalle varie équipe e curate dai referenti dell’obbligo formativo; essi saranno oggetto di una valutazione da parte di esperti i quali elabo- reranno una lista di “buone prassi” che verranno indicate come riferimento gene- rale. In dettaglio, i materiali richiesti ai Centri sono i seguenti: a) delibera regionale/provinciale di riferimento; b) modulo di accoglienza; c) modalità di orientamento / accompagnamento in itinere (recupero e appro- fondimento); rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 20 21 d) materiali formativi per: - l’analisi dei crediti e delle competenze; - la gestione dei saperi; - la gestione delle competenze professionali comuni; - la gestione delle competenze professionali specifiche; - la gestione delle capacità personali; - la gestione dello stage; e) strumenti per le valutazioni di fine ciclo e la valutazione finale; f) strumenti per la certificazione; g) modello del “Libretto personale”. La scheda è stata utilizzata per la raccolta degli strumenti sia nel 2000-01, che nel 2001-02. 6. CRONOGRAMMA DEL MONITORAGGIO Il piano di lavoro prevede le seguenti fasi di intervento. 6.1. Cronogramma del monitoraggio del I e II ciclo (I anno) Il monitoraggio del I anno di sperimentazione va dal gennaio 2001 al luglio dello stesso anno, e si articola come mostra la tavola 2. Al termine del I anno di intervento si prevede di realizzare un seminario al qua- le dovrebbero partecipare, oltre al gruppo di ricerca allargato e a quello esecutivo, anche i responsabili della formazione iniziale di tutti i CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP. In tale riunione, si valuterà la validità del lavoro effettuato e si concor- deranno le linee per il suo proseguimento. Tav. 2 - Cronogramma del I anno di monitoraggio Fase Contenuti Strumenti Tempi 1) Avvio del monitoraggio Presentazione Ricostruzione interventi Metodologia di lavoro Questioni aperte Progetto di “ricerca / azione” Gennaio 2001 2) Monitoraggio di: ƒ accoglienza ƒ orientamento ƒ formazione iniziale Metodologia Esiti Questioni aperte - Scheda CFP - Scheda progetto - Scheda destinatari - Scheda gradimento - Dossier Febbraio 2001 3) Monitoraggio dei passaggi di ciclo e delle valutazioni Metodologia Esiti Questioni aperte - Scheda gradimento - Griglia per la valutazione in itinere - Dossier Giugno/luglio 2001 6.2. Cronogramma del monitoraggio del III e IV ciclo (II anno) Il monitoraggio del II anno inizia nel novembre 2001 e termina nel luglio 2002 (cfr. Tav. 3). rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 21 22 6.3. Cronogramma effettivo Giunti al termine della sperimentazione, è opportuno presentare lo svolgimen- to reale separatamente per i due anni (2000-01 e 2001-02). 6.3.1. Il 1° anno della sperimentazione (2000-01) Il monitoraggio è stato avviato regolarmente alla metà del mese di gennaio del 2001 e nei giorni 9 e 10 febbraio si è realizzato il primo seminario con la partecipa- zione del gruppo di ricerca allargato e dei referenti dell’obbligo formativo: esso ha permesso di verificare l’inizio della sperimentazione con particolare riferimento al- le azioni di accoglienza e di orientamento, di mettere a punto un calendario più par- ticolareggiato e meglio rispondente alle situazioni locali, di incominciare a rivedere gli strumenti di valutazione e di iniziare a risolvere i problemi delle aree dei saperi di base, delle competenze e delle capacità e della loro valutazione. Il gruppo di ricerca allargato si è riunito regolarmente cinque volte e ha esami- nato le questioni che si presentavano di volta in volta, prospettando indicazioni per il loro superamento. Una tematica che si è ripresentata in ogni incontro ha riguarda- to la revisione degli strumenti di indagine e la redazione di nuovi. Tutti sono stati adattati alle esigenze emergenti e ne sono stati aggiunti quattro: la check-list per la valutazione del 2° anno dell’attuazione delle azioni formative (n. 05/II), la scheda sintetica del progetto formativo (n. 09), la griglia per la raccolta dei modelli di inte- razione scuola/FP nell’obbligo di istruzione (n. 10), la scheda gradimento formato- ri (n. 11). In ogni riunione sono state date, discusse e decise linee di azione per la fa- se seguente. L’aspetto più problematico è consistito nei ritardi nella raccolta delle informa- zioni. Solo alla fine del 2001, si è riusciti a ottenerne la maggior parte e anche a ta- le data è mancato un certo numero di check-list per la valutazione in itinere (n. 05/I) e di schede sui flussi (n. 08). Su questo problema deve aver influito l’assenza di una tradizione di documentazione sistematica delle azioni formative; probabilmente è stato anche eccessivo il numero di strumenti di cui è stata richiesta la compilazione per cui, per il 2° anno di sperimentazione, si è deciso di semplificare la documenta- zione. Tav. 3 - Cronogramma del II anno di monitoraggio Fase Contenuti Strumenti Tempi 1) Monitoraggio dell’avvio del III ciclo Metodologia Esiti Questioni aperte - Dossier Novembre 2001 2) Monitoraggio dei passaggi di ciclo Metodologia Esiti Questioni aperte - Dossier - Scheda gradimento Marzo 2002 3) Monitoraggio della valutazione finale Metodologie Esiti Questioni aperte - Dossier - Scheda gradimento - Griglia per la valutazione finale dell’azione formativa Luglio 2002 rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 22 23 Il 20 settembre, si è tenuto il secondo seminario per la valutazione del 1° anno della sperimentazione. I ricercatori hanno effettuato una prima lettura dei materiali arrivati che, però, non erano completi per cui la consegna del rapporto sul 1° anno è stata rimandata al gennaio 2002. 6.3.2. Il 2° anno della sperimentazione (2001-02) Il progetto del 2° anno della sperimentazione è stato approvato dal gruppo di ri- cerca allargato nella riunione del 19 ottobre del 2001 e di conseguenza si è proce- duto alla sua attuazione. Al tempo stesso, sono stati completati gli adempimenti relativi al 1° anno della sperimentazione che hanno occupato un periodo notevole di tempo tra il novembre 2001 e il gennaio 2002. Anzitutto, si è dovuta terminare la raccolta dei dati e proce- dere alla loro elaborazione definitiva; successivamente, sono stati preparati due rap- porti sul 1° anno della sperimentazione: uno relativo all’Italia e uno specifico ri- guardante la Lombardia; ambedue sono stati oggetto di un attento esame da parte del gruppo di ricerca. Il secondo rapporto (relativo alla sola Lombardia) è stato presen- tato a Milano, il 18 gennaio, con un convegno specifico che ha radunato un numero consistente di operatori, esperti e amministratori del settore. Con la riunione del gruppo di ricerca allargato, che si è svolta l’11 gennaio, il processo di monitoraggio ha ricevuto un impulso decisivo. È stata fissata in modo definitivo la lista degli strumenti da utilizzare: nel 2° anno della sperimentazione, vengono utilizzate le schede gradimento allievi (n. 06), flussi allievi (n. 08), quella sintetica del progetto formativo (n. 09) e gradimento formatori (n. 11), la check-list per la valutazione del secondo anno dell’attuazione delle azioni formative (n. 05/II), le griglie di monitoraggio finale dell’attuazione delle azioni formative (n. 07) e per la raccolta di modelli di interazione scuola/FP nell’obbligo di istruzione (n. 10) e il dossier delle buone prassi (n. 03). Nel nuovo 1° anno, che inizia con il 2001-02 (sia perché tale monitoraggio non era richiesto dal progetto iniziale della ricerca-azione, sia per evitare un sovraccari- co di lavoro per i CFP coinvolti che avevano trovato eccessiva la documentazione ri- chiesta nel 1° anno della sperimentazione, come è stato osservato sopra), ci si limi- ta ad utilizzare gli strumenti essenziali per un primo follow-up e cioè le schede de- stinatari (n. 04), gradimento allievi (n. 06) e flussi allievi (n. 08), la check-list per la valutazione in itinere dell’attuazione dell’azione formativa (n. 05/I), la scheda sin- tetica del progetto formativo (n. 09) e il dossier delle buone prassi (n. 03). Di conseguenza viene anche avviata nel trimestre febbraio-aprile la raccolta graduale dei documenti; prima, però, si procede a una accurata revisione di tutti gli strumenti di monitoraggio e, in particolare, alla elaborazione della scheda gradi- mento formatori (n. 11). Nel medesimo periodo, sono messe a punto due ipotesi, una di revisione degli standard, dei saperi di base e della prova finale e un’altra di indice delle linee-gui- da del progetto di FPI. Le due proposte appena citate vengono esaminate nella riunione del gruppo al- rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 23 24 largato di ricerca del 14 aprile, mentre nel successivo incontro del 10 luglio sono discusse le ipotesi di programmazione e di validazione degli standard finali e di orientamenti per la revisione delle linee-guida. Tuttavia, l’impegno più consistente del periodo maggio-ottobre è costituito dal- la applicazione e dalla raccolta degli strumenti di monitoraggio e anche in questo ca- so ci si è trovati di fronte a notevoli ritardi. In proposito, va precisato che nel se- condo anno della sperimentazione sono venute a mancare le informazioni relative agli enti della Lombardia diversi dal CNOS-FAP e dal CIOFS/FP. Infatti, l’incer- tezza delle risorse economiche non ha permesso di pianificare in tempo utile l’azio- ne di monitoraggio e di conseguenza sono pervenuti solo pochi dati frammentari per cui non è stato possibile, né conveniente, elaborarli. La riunione del gruppo allargato di ricerca, che si è svolta il 7 novembre, ha messo a punto il programma degli adempimenti finali della indagine. Il mese di no- vembre viene dedicato alla raccolta degli ultimi strumenti e alla elaborazione defi- nitiva dei dati. È stato approvato lo schema del rapporto finale che ricalca quello dell’anno precedente, mettendo insieme per ogni tematica i dati del 1° e del 2° an- no; la redazione viene prevista per la fine di dicembre. Si è anche programmata una socializzazione dei risultati della ricerca-azione per la prima metà di febbraio 2003. E’ stata rimandata al 2003 la decisione su un eventuale proseguo della sperimenta- zione attraverso: 1) un follow-up degli allievi che concludono il percorso di FPI nel 2002 (allievi iscritti nel 2000 e monitorati per due anni) volto a conoscere la situazione di co- loro che hanno conseguito la qualifica e di quanti si sono ritirati, se cioè: sono in cerca di occupazione; continuano la formazione; sono passati alla scuola; hanno trovato un’occupazione; 2) un monitoraggio del 2° anno degli allievi coinvolti nella sperimentazione nel corso del 1° anno (allievi iscritti nel 2001, che hanno preso parte alla seconda sperimentazione). 7. ORGANIZZAZIONE DELLA RICERCA: COMITATO Di seguito, presentiamo il comitato di ricerca, specificando compiti e nomi del- le persone coinvolte. 1) Direttore della ricerca Guglielmo MALIZIA (Università Pontificia Salesiana di Roma) 2) Gruppo di ricerca Guglielmo MALIZIA (Università Pontificia Salesiana di Roma) Dario NICOLI (Università Cattolica di Brescia) Vittorio PIERONI (Centro Studi Scuola Cattolica della CEI) rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 24 25 3) Gruppo di ricerca allargato Guglielmo MALIZIA (Università Pontificia Salesiana di Roma) Dario NICOLI (Università Cattolica di Brescia) Lauretta VALENTE (CIOFS/FP Sede Nazionale) Angela ELICIO (CIOFS/FP Sede Nazionale) Mario TONINI (CNOS-FAP Sede Nazionale) Angela LOIACONO (CIOFS/FP Sede Nazionale) Vittorio PIERONI (Centro Studi Scuola Cattolica della CEI) Daniela ANTONIETTI (CNOS-FAP Sede Nazionale) 4) Revisione del volume Angela LOIACONO (CIOFS/FP Sede Nazionale) Daniela ANTONIETTI (CNOS-FAP Sede Nazionale) 5) Gruppo esecutivo Referenti nazionali del CNOS-FAP e del CIOFS/FP Direttori e referenti obbligo formativo dei CFP coinvolti nella sperimentazione 6) Elaborazione dati Albino RONCO (CED - Università Pontificia Salesiana di Roma) rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 25 rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 26 27 SECONDO CAPITOLO I DATI QUANTITATIVI (Guglielmo MALIZIA - Vittorio PIERONI) Sulla base delle schede che sono state utilizzate nel primo e nel secondo anno della sperimentazione per raccogliere soprattutto dati quantitativi, cercheremo anzi- tutto di descrivere le caratteristiche sia dei CFP coinvolti nella ricerca-azione, sia de- gli allievi che frequentano la FPI, sia dei loro formatori. La quarta sezione sarà de- dicata ad analizzare la valutazione che è stata effettuata dagli allievi, dai formatori e dai referenti della FPI. Nelle conclusioni tenteremo di raccogliere in sintesi i ri- sultati più significativi. Sin dall’inizio, facciamo notare che il numero dei Centri e delle diverse com- ponenti (allievi, formatori, referenti) che hanno risposto varia da scheda a scheda perché non tutti i CFP né tutte le componenti hanno risposto a tutte le schede e in egual numero e anche perché il loro utilizzo è avvenuto in momenti diversi dell’an- no formativo. Inoltre, come è già stato evidenziato nel cap. 11, la differenza più con- sistente si è verificata tra il 1° (2000-01) e il 2° anno (2001-02) della sperimenta- zione dato che i CFP della Lombardia appartenenti ad enti diversi dal CNOS-FAP e dal CIOFS/FP che avevano partecipato alla ricerca-azione nel 2000-01 non hanno continuato la sperimentazione nel 2001-02. Da ultimo si fa presente che nelle tavo- le inserite nell’introduzione al volume sono riportati gli enti e i Centri che hanno partecipato alla sperimentazione, con l’indicazione dell’anno in cui hanno inviato materiali oggetto di questo rapporto. 1. LE CARATTERISTICHE DEI CFP In questa parte presentiamo indicazioni relative alla distribuzione dei Centri (per tipo di ente e per circoscrizione territoriale), al modello di FPI iniziale adotta- to, al ricorso o meno al sistema qualità. I dati si riferiscono al 2000-01: infatti, è sembrato inutile utilizzare di nuovo nel 2001-02 le stesse schede ai medesimi CFP e in relazione a informazioni che non potevano essere cambiate sostanzialmente tra i due anni; in proposito, va di nuovo ricordato che nel 2001-02 sono venuti me- no i Centri della Lombardia appartenenti a enti diversi dal CNOS-FAP e dal CIOFS/FP. 1 A cui si rimanda per ulteriori informazioni. rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 27 28 1.1. Distribuzione dei Centri per tipo di ente I Centri sono 73 in tutto e si ripartono quasi alla pari tra CNOS-FAP e CIOFS/FP, 30 (41.1%) l'uno e 28 (38.4%) l'altro, mentre i CFP degli altri enti costi- tuiscono un quinto del totale (15 o 20.5%) (cfr. Tav. 1). Considerati in relazione alla distribuzione del totale, i CFP del CNOS-FAP so- no sovrarappresentati al centro (46.7%) e sottorappresentati al sud (31.3%); il CIOFS/FP aggiunge una sottorappresentazione al nord (21.4%) alla sovrarappre- sentazione al centro (53.3%) e al sud (68.8%), mentre gli altri enti sono concentrati nell'Italia settentrionale e più specificamente nella Lombardia. Se si fa riferimento ai singoli sottocampioni, i Centri del CNOS-FAP sono in tutto 30 e costituiscono il gruppo più numeroso. Essi risultano distribuiti tra il 60% al nord, un quarto quasi al Centro (23.3%) e meno di un quinto al sud (16.7%). Le regioni coinvolte sono 8: al primo posto il Piemonte con 9 CFP, seguito a una certa distanza dalle due isole (Sicilia con 5 e Sardegna con 4), mentre rimangono note- volmente staccate l'Emilia Romagna, il Lazio e la Lombardia con 3 ciascuna, il Ve- neto con 2 e la Liguria con 1. I CFP del CIOFS/FP vengono al secondo posto come numero, 28. Essi risulta- no distribuiti in modo più omogeneo tra le circoscrizioni geografiche: un terzo qua- si nell'Italia settentrionale (32.1%), il 30% circa in quella centrale (28.6%) e intor- no al 40% (39.3%) nel meridione. Le regioni coinvolte sono 6, 2 in meno rispetto al CNOS-FAP: in questo caso al primo posto viene la Sicilia con 11, seguita a una cer- ta distanza dal Lazio con 7 e dalla Lombardia con 6, mentre rimangono notevol- mente staccate il Veneto con 2 e l'Emilia Romagna e la Sardegna con 1. I CFP degli altri enti sono 15 e risultano concentrati in Lombardia (cfr. Tav. 1). Il gruppo più consistente (9 pari al 12.3 del totale e al 60% del sottocampione in esame) è costituito da Centri della Fondazione Clerici; inoltre, degli altri 6 (che so- no l’8.2% del totale e il 40% del sottocampione) 3 appartengono all'ECFoP, 1 al- l'AFGP, 1 dell'ENAC e 1 all'ESIP/ASFAP. Sono sparsi in 14 comuni, in generale non capoluogo di provincia: soltanto a Milano ve ne sono 2. Totale Nord Centro Sud Enti VA % VA % VA % VA % CNOS-FAP 30 41.1 18 42.9 7 46.7 5 31.3 CIOFS/FP 28 38.4 9 21.4 8 53.3 11 68.8 Altri enti 15 20.5 15 35.7 0 0.0 0 0.0 Totale 73 100.0 42 57.5 15 20.5 16 21.9 Tav. 1 - Distribuzione dei Centri per tipo di ente (Scheda n. 1; in VA e %) 1.2. Distribuzione dei Centri per circoscrizione Sul piano territoriale, il 60% quasi dei CFP (57.5%, pari a 42 Centri) è situato al nord e intorno a un quinto al centro (20.5%=15) o al sud (21.9%=16) (cfr. Tav. 2). Tenuto conto della distribuzione dei dati del totale, l'Italia settentrionale si ca- rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 28 29 ratterizza per una sottorappresentazione dei CFP del CIOFS/FP (32.1%) e, ovvia- mente, una sovrarappresentazione degli altri enti (100.0%), quella centrale per una sovrarappresentazione del CIOFS/FP (28.6%) e il meridione sempre per una sovra- rappresentazione del CIOFS/FP (39.3%) e, inoltre, per una sottorappresentazione del CNOS-FAP (16.7%); come è stato ricordato più volte, al centro e al sud manca- no CFP degli altri enti. 2 Cioè a riproporre sostanzialmente i contenuti dei corsi così come venivano impartiti nella pre- cedente FP di primo livello, ripensandone però la progettazione didattica. Tav. 2 - Distribuzione dei Centri per circoscrizione territoriale (Scheda n. 1; in VA e %) Totale CNOS-FAP CIOFS/FP Altri enti Circoscrizioni VA % VA % VA % VA % Nord 42 57.5 18 60.0 9 32.1 15 100.0 Centro 15 20.5 7 23.3 8 28.6 0 0.0 Sud 16 21.9 5 16.7 11 39.3 0 0.0 Totale 73 100.0 30 41.1 28 38.4 15 20.5 1.3. Modello di FPI seguito nella ricerca-azione Nell'impostare la sperimentazione la grande maggioranza dei CFP ha adattato il modello del CNOS-FAP e del CIOFS/FP alle esigenze locali (52=71.2%), mentre è solo il 15.1% (=11) che ha seguito integralmente tale proposta (cfr. Tav. 3). Meno del 10% ha assunto l'impostazione della regione (5=6.8%) o si è limitato a riproget- tare i corsi di base (5=6.8%)2. Tenuto conto dei dati globali appena elencati, il ri- corso alla formula CNOS-FAP - CIOFS/FP adattata è più frequente tra gli altri enti (86.7%) e ciò è dovuto al fatto che è seguita da tutti i Centri della Fondazione Cle- rici, mentre di per sé sarebbe diffusa in misura inferiore negli enti diversi da tale Fondazione (66.7%); inoltre, essa è meno comune nel CNOS-FAP (66.7%) e nel CIOFS/FP (67.9). Ancora, l'adozione integrale dell'impostazione appena ricordata è maggiormente presente nel CIOFS/FP (28.6%) e meno nel CNOS-FAP (10%) e manca del tutto tra gli altri enti; l'assunzione del modello regionale si riscontra esclusivamente nel CNOS-FAP (16.7%); la riprogettazione dei corsi di base risulta più comune fra gli altri enti (33.3% e si tratta di quelli diversi dalla Fondazione Cle- rici) e meno nel CIOFS/FP, mentre i Centri del CNOS-FAP si situano sui dati del to- tale (6.7%). Territorialmente e sempre in relazione ai risultati globali, l'utilizzazione del modello CNOS-FAP - CIOFS/FP adattato è esclusivo al sud (100%) e meno comu- ne al centro (46.7%); il ricorso a tale modello in modo integrale è caratteristico del- l'Italia centrale (53.3%), è quasi assente nel settentrione e manca del tutto nel meri- dione; l'adozione del modello regionale si riscontra esclusivamente nel nord (11.9%) come anche la riprogettazione dei corsi di base (11.9%). Se si considerano soltanto i CFP del CNOS-FAP, il ricorso alla formula CNOS- rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 29 30 FAP – CIOFS/FP adattata è esclusivo (100%) nelle regioni della Liguria, del Lazio, della Sicilia e della Sardegna, mentre riguarda 1 Centro su 2 del Veneto ed è mino- ritario in Piemonte (44.4%), in Lombardia e in Emilia Romagna (33.3% in entram- bi i casi). L'adozione integrale dell'impostazione è limitata a 2 CFP su 3 della Lom- bardia e all'altro del Veneto. L'assunzione del modello regionale riguarda 3 Centri del Piemonte (33.3%) e 2 dell'Emilia Romagna (66.7%). La riprogettazione dei cor- si di base è circoscritta a 2 CFP del Piemonte (22.2%). Tav. 3 - Modello adottato nell'impostazione della sperimentazione (Scheda n. 1, sezione B; in VA e %) Ente Circoscrizioni Totale Cnos-Fap Ciofs/Fp Altri enti Nord Centro Sud Modello VA % VA % VA % VA % VA % VA % VA % 1) 5 6.8 2 6.7 1 3.6 2 13.3 5 11.9 0 0.0 0 0.0 2) 11 15.1 3 10.0 8 28.6 0 0.0 3 7.1 8 53.3 0 0.0 3) 52 71.2 20 66.7 19 67.9 13 86.7 29 69.0 7 46.7 16 100.0 4) 5 6.8 5 16.7 0 0.0 0 0.0 5 11.9 0 0.0 0 0.0 Totale 73 100.0 30 41.1 28 38.4 15 20.5 42 57.5 15 20.5 16 21.9 Legenda 1) Riprogettazione dei corsi di base 2) Adozione integrale del modello CNOS-FAP - CIOFS/FP 3) Adattamento del modello CNOS-FAP - CIOFS/FP 4) Adozione del modello regionale Passando al CIOFS/FP, l'utilizzazione del modello CNOS-FAP - CIOFS/FP adattato è esclusiva (100%) in Lombardia, Veneto e Sicilia. Il ricorso a questa im- postazione in modo integrale riguarda tutti i CFP del Lazio e della Sardegna e la ri- progettazione dei corsi di base si riscontra unicamente nell'unico Centro dell'Emilia Romagna. Nessun CFP ha assunto il modello regionale. Quanto agli altri enti, l'adozione del modello CNOS-FAP - CIOFS/FP adattato è la modalità quasi esclusiva (86.7%), mentre i restanti 2 Centri si sono limitati a ri- progettare i corsi di base e sono enti diversi dalla Fondazione Clerici. Riguardo alle ore di formazione, la FPI ha una importanza “centrale” nel 90% dei CFP (87.7%=64), mentre solo nel 12.3% (=9) si presenta come “residuale”. Quest'ultimo gruppo è concentrato nel CIOFS/FP di cui costituisce un terzo quasi (32.1%): più in particolare, si tratta di 9 CFP che si trovano tutti in Sicilia dove rap- presentano l’81.8% dei CFP dell'ente. Sul piano territoriale, solo nel sud si riscon- trano Centri che dichiarano una importanza residuale, Centri che costituiscono più della metà dei CFP di tale circoscrizione territoriale (56.3%). 1.4. Adozione del sistema qualità Oltre l'80% dei CFP (=59) ha adottato il sistema qualità, mentre un quinto qua- si (19.2% = 14) risponde negativamente (cfr. Tav. 4). Tutti i Centri del CIOFS/FP hanno effettuato l'opzione della qualità totale e qua- si tutti CFP degli altri enti (93.3% = 14) meno uno, appartenente agli enti diversi rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 30 31 dalla Fondazione Clerici, mentre quelli del CNOS-FAP sono divisi pressoché a me- tà: 17 o 56.7% hanno assunto tale modello e 13 o il 43.3% non hanno compiuto an- cora tale scelta. L'adozione del sistema qualità è percentualmente più diffusa al nord (85.7% = 36), mentre al contrario le risposte negative sono proporzionalmente più comuni al centro (33.3% = 5). Tav. 4 - Adozione o meno del sistema qualità (Scheda n. 1, sezione C; in VA e %) Ente Circoscrizioni Totale Cnos-Fap Ciofs/Fp Altri enti Nord Centro Sud Adozione o meno qualità VA % VA % VA % VA % VA % VA % VA % Sì 59 80.8 17 56.7 28 100.0 14 93.3 36 85.7 10 66.7 13 81.3 No 14 19.2 13 43.3 0 0.0 1 6.7 6 14.3 5 33.3 3 18.8 Totale 73 100.0 30 41.1 28 38.4 15 20.5 42 57.5 15 20.5 16 21.9 Tra quanti hanno scelto la qualità totale, oltre l'80% (84.7% = 50) si sono orien- tati alle ISO 9001 mentre per il 15.3% (9) il processo di adozione è in corso. Questi ultimi appartengono alla Fondazione Clerici; al contrario, tutti i Centri del CNOS- FAP e del CIOFS/FP seguono le ISO 9001. Sul piano territoriale, l'Italia centrale e quella meridionale menzionano solo le ISO 9001, mentre il processo di certificazione è in atto esclusivamente al nord (25% = 9), dove però sono grandemente maggioritarie (75% = 27) le ISO 9001. Passando ai singoli enti, tutti i CFP del CNOS-FAP hanno adottato il sistema qualità in Piemonte e in Veneto e i due terzi nel Lazio, mentre nessuno ha fatto que- sta scelta nella Sardegna e in Liguria (dove è uno solo) e i due terzi in Emilia Ro- magna. Come si è detto sopra, i Centri che hanno optato per la qualità totale hanno scelto le ISO 9001. Tutto il CIOFS/FP ha adottato il sistema qualità, nella modalità ISO 9001. I CFP degli altri enti hanno optato per il sistema qualità tutti tranne uno, ma la certificazione è ancora in corso nei due terzi circa dei casi (64.3% e si tratta dei 9 CFP della Fondazione Clerici), mentre la parte restante (5 Centri) sta seguendo le ISO 9001. 2. CARATTERISTICHE DEGLI ALLIEVI Si tratta di due campioni di allievi del 1° anno, uno del 2000-01 e l’altro del 2001-02, che sono stati intervistati con la scheda 4: non abbiamo applicato questo strumento a quanti hanno frequentato il 2° anno nel 2001-02 perché avevano già ri- sposto l’anno precedente e le informazioni non potevano essere cambiate tra i due anni. Facciamo notare che i dati del 2000-01 si limitano al CNOS-FAP e al rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 31 32 CIOFS/FP e non si estendono agli altri enti presenti in Lombardia perché altrimen- ti sarebbe stato falsato il confronto con il 2001-023. In particolare, ci soffermeremo sui seguenti punti: il campione; i sottocampioni (singoli enti); dati territoriali; sesso; età; situazione scolastica; provenienza; situazio- ni di disagio o handicap; preparazione culturale di base; attività differenziate svolte. 2.1. Il campione generale Tra il 2000-01 e il 2001-02 gli iscritti al 1° anno della sperimentazione sono cresciuti di 234, pari all’8%, passando da 2.915 a 3.149 (cfr. Tav. 5): il dato attesta del successo dell’iniziativa. Tuttavia, tale variazione non è distribuita in maniera uniforme sul territorio nazionale: l’aumento è massimo al nord (+14.7%) e si porta sul valore del totale nel centro (+8.1%), mentre al sud si registra una leggera dimi- nuzione (-0.6%). 3 Cfr. il cap. 1. I dati comprensivi degli allievi degli altri enti sono stati commentati nel rapporto del 1° anno della sperimentazione: cfr. G. MALIZIA - D. NICOLI - V. PIERONI (Edd.), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della formazione professionale iniziale secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto del I anno. Roma, Manoscritto, 2002, pp. 25-33. Totale Nord Centro Sud VA % VA % VA % VA % Enti 00-01 01-02 00-01 01-02 00-01 01-02 00-01 01-02 00-01 01-02 00-01 01-02 00-01 01-02 00-01 01-02 Cnos-Fap 2.109 2.461 72.3 78.2 696 801 69.3 69.5 799 923 75.6 80.4 614 737 71.9 86.8 Ciofs/Fp 806 688 27.7 21.8 308 351 30.7 30.5 258 225 24.4 19.6 240 112 28.1 13.2 Totale 2.915 3.149 100.0 100.0 1.004 1.152 34.4 36.6 1.057 1.148 36.3 36.5 854 849 29.3 27.0 * Esclusi gli allievi degli enti diversi dal CNOS-FAP e dal CIOFS/FP che però hanno partecipato solo nel 2000-01. Tav. 5 - Distribuzione degli allievi del 1° anno* per tipo di ente (Scheda n. 4; in VA e %) Anche la distribuzione tra gli enti cambia nel biennio. Nel 2000-01 gli allievi del CNOS-FAP costituiscono il 72.3% e quelli del CIOFS/FP oltre un quarto (27.7%), mentre nel 2001-02 i primi diventano il 78.2% e i secondi poco più di un quinto (21.8%). 2.2. I sottocampioni Se si fa riferimento ai singoli sottocampioni, gli allievi del 1° anno del CNOS- FAP sono cresciuti tra il 2000-01 e il 2001-02 di 352, pari al 16.7%, passando da 2.109 a 2.461 (Cfr. Tav. 5). Essi sono distribuiti fra un terzo nell’Italia settentriona- le, un 40% circa nell’Italia centrale e un 30% nell’Italia meridionale: la ripartizione non ha subito sostanziali cambiamenti nel biennio. Le regioni coinvolte vedono nel 2000-01 al primo posto il Lazio e la Sicilia con il 30% circa ciascuna (29.1%), seguite a notevole distanza dal Piemonte (17%), mentre le altre presentano percentuali ancora più basse: Sardegna, 8.8%; Lombar- dia, 7.5%; Emilia Romagna, 7.4%; Liguria e Veneto, 2.2% ciascuna. Nel 2001-02, rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 32 33 la Sicilia conserva il primato sempre con il 30% circa (29.1%), mentre si abbassano in maniera consistente la percentuale e la posizione del Lazio e salgono quelle di Sardegna e Lombardia. Al secondo posto si colloca il Piemonte (17.4%) con uno scarto consistente rispetto alla prima; esso è seguito dalla Sardegna (16.7%), dal Lazio (14.8%) e dalla Lombardia (13%). Rimangono molto distaccati: l’Abruzzo (4.8%), la Liguria (2.1%) e l’Umbria (1.2%). Va, inoltre, notato che tra i due anni vengono meno i dati relativi a tre regioni (Emilia Romagna, Liguria e Veneto) e si aggiungono quelli di due (Abruzzo e Umbria). Gli allievi del 1° anno dei Centri del CIOFS/FP ammontavano a 806 nel 2000- 01 e a 688 nel 2001-02 e pertanto registrano nel biennio un calo di 118 iscritti alla sperimentazione, pari al 14.7%. Nel tempo, cambia anche la distribuzione territo- riale: cresce la partecipazione del nord in percentuale (dal 38% al 51%) e in valori assoluti (da 308 a 351 allievi); al centro rimane stabile la percentuale sui dati del to- tale, un terzo circa ( 32% e 32.7% rispettivamente), mentre si osserva una leggera diminuzione nei valori assoluti (da 258 a 225); il vero calo si verifica al sud con la percentuale che scende dal 29.8% al 16.3% mentre il numero degli iscritti si dimez- za da 240 a 112. Tav. 6 - Distribuzione degli allievi del 1° anno* per circoscrizione territoriale (Scheda n. 4; in VA e %) Totale CNOS-FAP CIOFS/FP VA % VA % VA % Circo- scri- zioni 00-01 01-02 00-01 01-02 00-01 01-02 00-01 01-02 00-01 01-02 00-01 01-02 Nord 1.004 1.152 34.4 36.6 696 801 33.0 32.5 308 351 38.2 51.0 Centro 1.057 1.148 36.3 36.5 799 923 37.9 37.5 258 225 32.0 327 Sud 854 849 29.3 27.0 614 737 29.1 29.9 240 112 29.8 16.3 Totale 2.915 3.149 100.0 100.0 2.109 2.461 72.3 78.2 806 688 27.7 21.8 * Esclusi gli allievi degli enti diversi dal CNOS-FAP e dal CIOFS/FP che però hanno partecipato solo nel 2000-01. Tra le regioni, i primi posti nel 2000-01 sono occupati con il 30% circa dal La- zio (30%), dalla Sicilia (29.8%) e dalla Lombardia (27.7%); le altre sono nettamen- te staccate con il Veneto all'8.7%, la Sardegna al 2% e l'Emilia Romagna all'1.9%. Nel 2001-02 il Lazio mantiene il primato e con il suo 32.7% accresce leggermente la sua posizione, mentre si abbassano le percentuali e le posizioni della Sicilia (16.3%) e della Lombardia (12.8%). Al secondo posto si inserisce il Piemonte (26%), che mancava nel 2000-01. Il Veneto conserva sostanzialmente le posizioni (9.4%), mentre più distaccata è la Liguria. Tra i due anni vengono meno i dati rela- tivi a due regioni (Emilia Romagna e Sardegna) e si aggiungono quelli di due (Li- guria e Piemonte). 2.3. La distribuzione territoriale Passando al livello territoriale, nel 2001-02 il 36.6% degli allievi risiede al nord, il 36.5% (29.4%) nel centro e più di un quarto (27%) al sud (cfr. Tav. 6). Nel rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 33 34 tempo la distribuzione in base alle tradizionali circoscrizioni amministrative è ri- masta pressoché invariata tranne che per una leggera crescita percentuale nel set- tentrione (da 34.4% a 36.6%) e una lieve diminuzione nel meridione (da 29.3% a 27%). Tav. 7 - Distribuzione degli allievi del 1° anno* per sesso ed età (Scheda n. 4, sezioni C e D; in %) Ente Circoscrizioni Totale CNOS-FAP CIOFS/FP Nord Centro Sud 00-01 01-02 00-01 01-02 00-01 01-02 00-01 01-02 00-01 01-02 00-01 01-02 Sesso NR 0.5 0.6 0.7 0.8 0.0 0.1 0.0 1.7 1.3 0.0 0.0 0.0 M 70.7 71.9 88.6 85.0 23.9 24.9 72.7 64.5 78.1 77.6 59.3 74.2 F 28.8 27.5 10.7 14.2 76.1 75.0 27.3 33.8 20.5 22.4 40.7 25.8 Età NR 1.1 1.0 1.1 0.7 0.9 2.2 0.2 1.6 2.0 0.7 0.9 0.6 15 anni 33.7 31.3 34.2 32.0 32.1 28.8 43.3 44.2 33.1 30.1 23.0 15.5 16 anni 39.0 39.9 40.6 40.6 34.9 37.6 39.5 34.8 37.3 38.7 40.6 48.6 17 anni 17.1 19.2 15.5 19.4 21.3 18.5 10.9 12.7 18.7 24.2 22.4 21.2 Oltre 17 9.2 8.5 8.5 7.3 10.8 12.9 6.1 6.7 8.9 6.4 13.1 14.0 * Esclusi gli allievi degli enti diversi dal CNOS-FAP e dal CIOFS/FP che però hanno partecipato solo nel 2000-01. Tenuto conto della ripartizione dei dati del totale, il nord si caratterizza per la sovrarappresentazione del CIOFS/FP, soprattutto nel 2001-02, e una leggera sotto- rappresentazione del CNOS-FAP nel 2001-02. Al centro, si nota una leggera sotto- rappresentazione del CIOFS/FP, che, però, diventa consistente al sud. 2.4. Il sesso e l’ età Nel 2000-01, gli iscritti al 1° anno della sperimentazione erano per il 70.7% maschi e per il 28.8% femmine e, nel 2001-02, la proporzione è rispettivamente 71.9% e 27.5% (cfr. Tav. 7). Nel tempo non si notano variazioni sostanziali quanto alla ripartizione percentuale se non un leggero aumento dei primi e una corrispon- dente lieve diminuzione delle femmine. Sempre nel 2001-02, la percentuale dei ma- schi è più elevata rispetto al dato del totale nel CNOS-FAP, nell’Italia centrale e in quella meridionale, mentre è inferiore nel settentrione; rispetto agli iscritti al 1° an- no nel 2000-01, tale percentuale cresce al sud e diminuisce al nord e leggermente nel CNOS-FAP. A loro volta, le femmine che hanno iniziato nel 2001-02 presenta- no tassi maggiori di partecipazione rispetto ai dati del totale nel CIOFS/FP e nel settentrione e minori nel CNOS-FAP e nel centro; nel biennio, invece, cresce la lo- ro percentuale nel CNOS-FAP e nel nord e diminuisce nel sud. Il 71.2% degli iscritti al 1° anno nel 2001-02 ha 15 (31.3%) o 16 anni (39.9%) di età, in altre parole, la grande maggioranza sono allievi regolari (cfr. Tav. 7); gli ir- regolari sono poco più di un quarto (27.7%) di cui il 19.2% sono diciassettenni e l'8.5% si colloca oltre i 17 anni. Tra il 2000-01 e il 2001-02 diminuisce leggermen- rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 34 35 te la percentuale dei quindicenni (da 33.7% a 31.3%) e sale lievemente quella dei di- ciassettenni (da 17.1% a 19.2%), ma se si confrontano tra loro i gruppi di età, 15- 16, e 17 e oltre, gli spostamenti sono ancora minori a motivo di effetti compensato- ri che provengono dai sedicenni e dagli ultra diciassettenni, per cui anche se si ri- scontra una crescita degli irregolari, questa è molta modesta (da 26.3% a 26.7%). Passando poi a dati disaggregati, la percentuale dei regolari risulta più elevata delle cifre del totale nell’Italia settentrionale (82.8% rispetto a 72.7% nel 2000-01 e 79% in paragone al 71.2% nel 2001-02), mentre quella degli irregolari è più alta nel CIOFS/FP (rispettivamente: 32.1% e 26.3%; 31.4% e 27.7%) e nel meridione (35.5%; 35.2%). 2.5. La situazione scolastico-formativa Sia nel 2000-01 che nel 2001-02, la grande maggioranza degli iscritti al 1° an- no della sperimentazione (70.1 e 68.1%) si trova in una situazione di difficoltà dal punto di vista scolastico in quanto semplicemente prosciolti dall'obbligo: non han- no cioè conseguito la promozione al secondo anno della scuola secondaria superio- re e si sono potuti iscrivere alla FPI perché al compimento del quindicesimo anno di età hanno dimostrato di aver osservato per almeno 9 anni le norme sull'obbligo sco- lastico (cfr. Tav. 8). Neppure un quinto (18% e 19.1%) si trova nella condizione di obbligo adempiuto, cioè ha conseguito la promozione al 2° anno della superiore. Il leggero calo nel biennio del primo gruppo e il lieve aumento del secondo non of- frono un fondamento adeguato per poter parlare di un cambiamento sostanziale nel tempo dell’andamento dei dati. Quasi nessuno è allievo evasore dall'obbligo scola- stico o formativo (4.2% e 2%): il dato è positivo, ma non può annullare la proble- maticità del 70% che accede con appena l’obbligo prosciolto. Non sono invece mol- to positive le percentuali quasi insignificanti di iscritti con “passerella” dalla scuo- la secondaria (ossia hanno frequentato previamente almeno un anno della seconda- ria successivo al primo) (0.5% e 0.3%) o con passerella dal lavoro (cioè che si tro- vavano precedentemente nell'apprendistato o svolgevano un lavoro) (0.1% e 0.3%) perché tali cifre stanno a testimoniare la scarsa forza di attrazione della FPI al di fuori del mondo della istruzione e della formazione. Se si passa ai singoli tipi di ente, nel CNOS-FAP le uniche variazioni nel tem- po riguardano la percentuale degli allievi con l'obbligo prosciolto che passa dal 71.2% al 65.7% e quella delle non risposte che aumenta dal 5.4% al 9.2%. Quanto al CIOFS/FP, la porzione degli iscritti al 1° anno con l'obbligo prosciolto sale nel biennio dal 67% al 76.9% come anche quella dell’obbligo adempiuto (dal 14.3% al 18.3%); al tempo stesso, però, cala notevolmente quella degli evasori (dal 12.9% al 4.5%) e scompaiono quelle delle passerelle e delle altre situazioni. Venendo alle differenti circoscrizioni geografiche, nel biennio considerato la percentuale degli iscritti al 1° anno con l’obbligo adempiuto risulta più elevata nel settentrione e cresce anche nel tempo; contemporaneamente aumenta anche quella dell’obbligo prosciolto. Tra il 2000-01 e il 2001-02 si abbassa nell’Italia centrale la rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 35 36 porzione con l’obbligo prosciolto, ma al tempo stesso cala quella dell’obbligo adem- piuto: probabilmente la cifra eccessivamente gonfiata di non risposte potrebbe spie- gare almeno in parte questo andamento. Nel meridione il biennio vede una riduzio- ne degli iscritti al 1° anno con l’obbligo prosciolto e un aumento di quelli con l’ob- bligo adempiuto per cui la percentuale di questi ultimi nel 2001-02 supera in misu- ra consistente il dato del totale. Nell’insieme si può dire che le tendenze fondamentali, riscontrate nei totali, non subiscono, a livello né di tipi di enti né di circoscrizioni geografiche, variazio- ni tali da ribaltare l’andamento generale dei dati. Pertanto, si può concludere che nonostante gli sforzi compiuti per porre su un piede di parità il sottosistema di istru- zione e quello di formazione, la FP continua a essere considerato un canale di serie B sia perché per effetto della modalità con cui è avvenuta l'elevazione dell'obbligo scolastico la secondaria superiore ha assunto il monopolio dell'orientamento del post-obbligo e cerca di trattenere tutti gli studenti che la frequentano tranne i mar- ginali, sia in quanto non è ancora cambiata nell'immaginario collettivo la percezio- ne della FP. Tav. 8 - Situazione scolastico-formativa degli allievi del 1° anno* (Scheda n. 4, sezione A; in %) Ente Circoscrizioni Totale CNOS-FAP CIOFS/FP Nord Centro Sud Situazione scolastico-formativa 00-01 01-02 00-01 01-02 00-01 01-02 00-01 01-02 00-01 01-02 00-01 01-02 NR 3.9 7.2 5.4 9.2 0.0 0.0 8.7 1.1 2.6 18.6 0.0 0.1 Obbligo adempiuto 18.0 19.1 19.4 19.3 14.3 18.3 22.7 24.6 18.5 7.4 11.8 27.3 Obbligo prosciolto 70.1 68.1 71.2 65.7 67.4 76.9 62.5 72.7 72.6 63.9 76.0 67.7 Evasore 4.2 2.0 0.9 1.3 12.9 4.5 1.8 0.1 1.6 2.6 10.2 3.9 Passerella dalla secondaria 0.5 0.3 0.2 0.3 1.4 0.0 1.0 0.6 0.2 0.0 0.4 0.1 Passerella dal lavoro 0.1 0.3 0.0 0.4 0.5 0.0 0.3 0.1 0.0 0.7 0.1 0.0 Altro 3.1 3.0 4.0 3.8 3.6 0.0 3.9 0.8 4.6 6.8 1.6 0.8 Totale 100.0 100.0 72.3 78.2 27.7 21.6 34.4 36.6 36.3 36.5 29.3 27.0 * Esclusi gli allievi degli enti diversi dal CNOS-FAP e dal CIOFS/FP che però hanno partecipato solo nel 2000-01. 2.6. La provenienza Il 59% degli iscritti al 1° anno della sperimentazione nel 2001-02 proviene dal- la scuola superiore e più di un quarto dalla scuola media (26%); se si aggiunge l’1.8% che segnala di provenire dalla FP, si può concludere che quasi il 90% (86.3%) degli allievi della FP proviene dal sistema di istruzione e di formazione. Rispetto agli allievi che hanno iniziato nel 2000-01, sono in crescita la percen- tuale globale (che era allora 70.3%) e quella relativa alla secondaria superiore (41%), mentre diminuisce quella della FP (4.8%). Seguono, a notevole distanza, la famiglia e gli amici (5%) e in questo caso si vuole probabilmente far riferimento al- la loro funzione orientante più che alla provenienza fisica; va notato che la relativa percentuale era notevolmente più elevata nel 2000-01 (19%). Cifre marginali indi- cano i servizi sociali e di orientamento (1.5% e 3.8% nell’anno precedente) o quel- rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 36 37 li dell'impiego (0.3% e 0.9% rispettivamente) e l’andamento non cambia nel tempo: sono dati che stanno a testimoniare il funzionamento sempre molto carente di que- ste agenzie. Nel 2001-02, la provenienza dalla scuola superiore è più elevata nel CIOFS/FP (66.2%), ma non era così nel 2000-01 dove risultava leggermente inferiore al dato del totale (37.1%). L’andamento cambia invece nella scuola media dove il CIOFS/FP registra percentuali più basse (19.1%, nel 2000-01 e 20.5% nel 2001- 02). Sempre nel CIOFS/FP il passaparola della famiglia e degli amici pareva conta- re di più relativamente al 2000-01 (24.7%), ma non è più così nel 2001-02 dove sembra scomparire completamente; al contrario, nel CNOS-FAP il dato (16.8%) è più basso di quello del totale nel 2000-01 e più elevato (16.4%) nel 2001-02. Sul piano geografico, la provenienza dalla secondaria superiore è rilevante so- prattutto nell’Italia settentrionale (66.2%), ma meno in quella centrale (51.5%), mentre rimane sul dato del totale nel meridione (59.4%); nel tempo si conferma l’andamento più elevato del nord (59.5% nel 2000-01) mentre sempre nel 2000-01 era il centro a collocarsi sul dato del totale (40%) e il sud ad esserne al di sotto (20.6%). Nel 2001-02 la scuola media riscontra percentuali più alte nell’Italia cen- trale (37.5%), più basse nel meridione (14.3%) e sul dato del totale nel settentrione (23.3%); nel 2000-01 tali cifre erano invece inferiori al centro (14.3%) e più eleva- te al nord (34.2%). Inoltre, nel sud conta di più la famiglia e il dato è vero in en- trambi gli anni (34.5% nel 2000-01 e 18.5% nel 2001-02). 2.7. La certificazione di disagio e/o handicap Per la gran maggioranza degli iscritti al 1° anno nel 2001-02 (90.4%) non vi è stata alcuna segnalazione ufficiale di disagio; questa si è avuta solo nell’1.9% dei casi, ma va evidenziato che il 7.6% non risponde e il dato non è di facile lettura. Nel biennio, la situazione di normalità si è resa ancor più diffusa perché nel 2000-01 i dati erano rispettivamente 67.9%, 15.6% e 16.5%. Questa condizione cresce nel CNOS-FAP (96.5%), mentre diminuisce nel CIOFS/FP (68.8%) e nel settentrione (86.1%); tuttavia, anche in tale caso l’andamento era diverso nel 2000-01 con dati più elevati nel CIOFS/FP (79.8%) e più bassi nel meridione (36.1%) e leggermente nel CNOS-FAP (63.3%). Il 90% quasi degli iscritti al 1° anno nel 2001-02 (89.4%) non ha ricevuto al- cuna segnalazione ufficiale di handicap, mentre questa si è avuta solo per l’1.7%: inoltre, si registra una percentuale di non risposte che si avvicina al 10% (9%) ed an- che in questo caso è problematico tentare una interpretazione. Nel biennio, la con- dizione di assenza di handicap è aumentata perché nel 2000-01 i dati erano rispetti- vamente 76.7%, 2% e 21.3%. La situazione di normalità è più diffusa nel CNOS- FAP (96%) e nell’Italia centrale (95.2%), ma lo è di meno nel CIOFS/FP (65.6%) e nel nord (81.8%); anche in tale caso l’andamento era diverso nel 2000-01 con dati più elevati nel CIOFS/FP (81.1%) e nel nord (85.5%) e più bassi nel meridione (62.9%). rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 37 38 2.8. La preparazione culturale di base In base alla valutazione riportata nella documentazione scolastica, oltre l'80% (82.2%) degli iscritti al 1° anno nel 2001-02 ha una preparazione culturale di base appena sufficiente, il 10.4% l'ha buona e percentuali insignificanti possono vantar- ne una distinta (1.7%) od ottima (0.3%) (cfr. Tav. 9). Anche gli allievi che hanno ini- ziato nel 2000-01 presentavano in genere gli stessi dati (rispettivamente 81.5%, 10.5%, 2.1% e 0.8%). Analoga stabilità nel tempo si riscontra sostanzialmente a livello di circoscri- zioni geografiche. Va solo osservato che nel biennio le percentuali dei sufficienti dell’Italia settentrionale e centrale vengono a collocarsi sul dato del totale, rispetti- vamente diminuendo e crescendo; inoltre, nel meridione tale percentuale tende ad aumentare tra il 2000-01 e il 2001-02. Se si passa ai singoli enti, il CNOS-FAP si situa in genere sui dati del totale. Riguardo al CIOFS/FP diminuisce nel tempo la percentuale di quanti hanno otte- nuto una valutazione sufficiente e aumenta quella di chi ha ottenuto una valutazio- ne buona. Tav. 9 - Preparazione culturale di base degli allievi del 1° anno* (Scheda n. 4, sezione H; in %) Ente Circoscrizioni Totale CNOS-FAP CIOFS/FP Nord Centro Sud Preparazione culturale di base 00-01 01-02 00-01 01-02 00-01 01-02 00-01 01-02 00-01 01-02 00-01 01-02 NR 4.8 3.9 5.2 3.9 3.7 4.1 0.4 2.6 8.4 6.7 8.9 1.9 Sufficiente 81.5 82.2 81.7 82.9 81.3 79.7 85.9 81.3 77.2 81.4 81.9 84.7 Buona 10.5 11.0 10.4 10.4 10.7 13.4 10.8 11.8 10.3 11.1 10.3 9.8 Distinta 2.1 1.6 1.8 1.7 3.0 1.3 2.2 1.6 1.6 0.5 2.7 2.9 Ottima 0.8 0.6 0.5 0.3 1.4 1.6 0.4 0.9 1.6 0.2 0.4 0.7 Altro (insufficiente) 0.3 0.7 0.5 0.9 0.0 0.0 0.4 1.8 0.6 0.1 0.0 0.0 Totale 100.0 100.0 72.3 78.2 27.7 21.6 34.4 36.6 36.3 36.5 29.3 27.0 * Esclusi gli allievi degli enti diversi dal CNOS-FAP e dal CIOFS/FP che però hanno partecipato solo nel 2000-01. 2.9. Le attività differenziate Percentuali minime degli allievi del 1° anno hanno svolto attività differenziate durante l'ultimo anno dell'obbligo di istruzione a testimonianza dell'inutilità per que- sti ragazzi del prolungamento di un anno della loro permanenza nella scuola. Altro dato preoccupante è che tale andamento non cambia sostanzialmente nel tempo. Venendo ai particolari, il 5.6% degli iscritti al 1° anno nel 2001-02 (4.5% nel 2000-01) ha realizzato percorsi formativi integrati con un CFP e nel nord tale per- centuale si raddoppia all'11.9% come d’altra parte era avvenuto nel 2000-01 dove an- zi si era quasi triplicata (12.6%). Inoltre, l'1.5% in ambedue gli anni considerati ha effettuato esperienze personalizzate (stage, attività opzionali e di orientamento per gli alunni la cui integrazione presenta difficoltà per ragioni culturali, sociali e linguisti- che); lo 0.4% (0.5%) ha partecipato a iniziative sperimentali di assolvimento del- l'obbligo organizzate con un Centro di FP; lo 0.9% (0.6%) ha seguito un piano edu- rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 38 39 cativo individualizzato per studenti in situazione di handicap; lo 0.1% (1.7%) ha fre- quentato moduli di passaggio ad altro indirizzo della secondaria superiore; sempre, lo 0.1% (0.2%) ha usufruito di un percorso abbreviato per crediti formativi. In questo caso non si notano differenze significative tra gli enti. 2.10. I flussi degli allievi In questo paragrafo vengono presi in considerazione: a) i flussi che si sono verificati durante il 1° anno (2000-01), il 2° anno (2001-02) e tra il 1° e il 2° anno (2000-01 e 2001-02) della sperimentazione; b) le motivazioni sottese ai ritiri; c) la provenienza dei nuovi aggiunti; d) il numero di quanti hanno portato a termine tutta la sperimentazione o il 1° an- no della seconda sperimentazione. 2.10.1. I flussi nei due anni della sperimentazione In base alla scheda 8, gli iscritti nel 2000-01 ammontavano inizialmente a 2.3914 (cfr. Tav. 10, sezione a): – appartenevano a 57 Centri, di cui 25 (43.9%) del CNOS-FAP e 32 (56.1%) del CIOFS/FP; 26 (45.6%) del nord, 10 (17.5%) del centro e 21 (36.8%) del sud; – si distribuivano tra 1.588 (66.4%) del CNOS-FAP e 803 (33.6%) del CIOFS/FP; – risiedevano 944 (39.5%) nel settentrione, 646 (27%) nel centro e 801 (33.5%) nel meridione. Al termine dell’anno, erano rimasti complessivamente in 2.037 (cfr. Tav. 10, se- zione a), di cui 1.377 (67.6%) del CNOS-FAP e 660 (32.4%) del CIOFS/FP; 864 (42.4%) del nord, 509 (25%) delle regioni centrali, 664 (32.6%) del sud/isole. A sua volta, il 2° anno della prima sperimentazione è iniziato nel 2001-02 con complessivi 1.918 allievi, appartenenti a 44 Centri (cfr. Tav. 10, sezione b). La loro distribuzione in base ai due enti e alle circoscrizioni geografiche presenta il seguen- te andamento: – 1.307 (68.1%) sono iscritti in 23 Centri (52.3%) del CNOS-FAP e 611 (31.9%) in 24 Centri (47.7%) del CIOFS/FP; – 699 (36.4%) appartengono a 18 Centri (40.9%) del nord; 622 (32.4%) a 10 Centri (22.7%) delle regioni centrali; 597 (31.1%) a 16 Centri (36.4%) del sud. Infine, il 1° anno (2001-02) della seconda sperimentazione si caratterizza per i seguenti flussi: 4 Il dato è diverso da quello riportato nella sezione 2.1 e le ragioni della variazione sono state in- dicate all’inizio del capitolo. Facciamo subito notare che questa osservazione vale anche per le altre differenze che si potranno riscontrare tra questa sezione e le precedenti 1 e 2. Tenuto conto di queste diversità nei dati, i risultati vanno presi più come indicativi di tendenze, che non come precisi descrit- tori dell’andamento della sperimentazione. rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 39 40 – gli allievi che hanno iniziato sono stati 2.290: questi appartengono a 46 Centri di cui 26 del CNOS-FAP (56.5%) e 33 (43.5%) del CIOFS/FP e che si trovano in 26 (56.5%) al nord, 11 (23.9%) al centro e 9 (19.6%) al sud; inoltre si distribui- scono tra 1.827 (79.8%) del CNOS-FAP e 463 (20.2%) del CIOFS/FP e tra 889 (38.8%) del settentrione, 783 (34.2%) del centro e 618 (27%) del meridione; – gli allievi che hanno terminato ammontano a 2.0565 e si ripartono tra 1.665 (79.8%) del CNOS-FAP e 391 (19%) del CIOFS/FP e tra 815 (39.6%) del nord, 694 (33.8%) del centro e 547 (26.6%) del sud. 1) Confronto tra primo (2000/01) e secondo anno (2001/2002) Il confronto tra coloro che hanno “portato a termine” il 1° anno della prima sperimentazione (cfr. Tav. 10, sezione a) e quelli che si sono iscritti al 2° anno sempre della prima sperimentazione (cfr. Tav. 10, sezione b) presenta le se- guenti caratteristiche: - stando ai totali, al 2° anno si sono iscritti 119 allievi in meno rispetto a quel- li che avevano portato a termine il 1° anno (da 2.037 sono scesi a 1.918, pari a –5.8%); ciò si è verificato in concomitanza con la diminuzione dei Centri in cui è avvenuta l’applicazione della scheda 8 da 57 a 19); - per quanto riguarda la distribuzione interna agli enti, nel CNOS-FAP sono venuti a mancare 70 utenti (da 1.377 a 1.307, ossia -5.1% rispetto a coloro che avevano portato a termine il 1° anno) e contemporaneamente il numero degli enti è sceso di 2 unità (dagli iniziali 25 a 23); nel CIOFS/FP sebbene sia minore la quota degli allievi che sono venuti a mancare (-49, da 660 a 611), in realtà il loro numero è percentualmente superiore (-7.4%) e contempora- neamente i Centri da 24 sono saliti a 33; - per quanto riguarda la distribuzione per circoscrizioni, troviamo che al nord sono diminuiti 165 allievi (da 864 a 699, pari a -19.1%) e contemporanea- mente 8 Centri; così pure al sud la diminuzione riguarda sia i Centri (-5) che la relativa popolazione degli allievi (-67, da 664 a 597, pari a -10%); vice- versa nelle regioni centrali si rileva un incremento di 113 allievi (da 509 a 622, pari a +22.2%), mentre il numero dei Centri è rimasto invariato (10). 2) Confronto tra i due primi anni (2000/01 e 2001/02) Il paragone tra coloro che hanno “iniziato” il 1° anno nel 2001-02 (cfr. Tav. 10, sezione c) e quelli del 1° anno nel 2000-01 (cfr. Tav. 10, sezione a) si caratte- rizza invece per i seguenti andamenti: - per quanto riguarda i dati complessivi, la popolazione degli iscritti al 1° anno della seconda sperimentazione è diminuita di 101 unità (2.290, rispetto ai 2.391 del 1° anno della prima sperimentazione, pari a - 4.2%); contempora- neamente sono diminuiti di 11 (da 57 a 46) anche i Centri che hanno inteso (ri)iniziare una seconda sperimentazione; 5 La distribuzione per Centri non ha subito variazioni rispetto all’inizio dell’anno. rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 40 41 - nella distribuzione per enti, il CNOS-FAP è aumentato di 1 Centro (da 25 a 26) e contemporaneamente ha fatto riscontrare un incremento del 15.1% del- la popolazione degli allievi (+239, da 1.588 a 1.827); viceversa, il CIOFS/FP ha ridotto di 340 unità i propri iscritti (da 803 a 463, pari a - 42.3%) ma con- temporaneamente sono aumentati i Centri (da 24 a 33); - nella distribuzione per circoscrizioni, le perdite riguardano ancora i Centri del nord i quali, sebbene siano rimasti lo stesso numero (26) si sono trovati con 55 iscritti in meno (da 944 a 889, pari a - 5.8%); e quelli del sud, con meno 183 utenti (da 801 a 618, pari a - 22.8%) e con 12 Centri in meno; mentre an- cora una volta nelle regioni centrali si nota un aumento dei Centri (+1), ma soprattutto degli utenti (+137, da 646 a 783), con un incremento del 21.2%. Tav. 10 - Flussi degli allievi (Scheda n. 8; in VA) Ente Circoscrizioni 1) Iscritti al 1° anno della prima sperimentazione (2000-01) Totale Cnos-fap Ciofs/Fp Nord Centro Sud N. Centri 57 25 32 26 10 21 N. Allievi: Iniziato 2391 1588 803 944 646 801 Ritirati 457 276 181 133 141 183 Aggiunti 107 69 38 55 4 48 Portato a termine 2037 1377 660 864 509 664 Ente Circoscrizioni b) Iscritti al 2° anno della prima sperimentazione (2001-02) Totale Cnos-Fap Ciofs/Fp Nord Centro Sud N. Centri 44 23 21 18 10 16 N. Allievi: Iniziato 1918 1307 611 699 622 597 Ritirati 192 94 98 27 94 71 Aggiunti 40 29 11 9 18 13 Portato a termine 1774 1254 520 683 541 550 Ente Circoscrizioni c) Iscritti al 1° anno della seconda sperimentazione (2001-02) Totale Cnos-Fap Ciofs/Fp Nord Centro Sud N. Centri 46 26 20 26 11 9 N. Allievi: Iniziato 2290 1827 463 889 783 618 Ritirati 352 254 98 126 139 87 Aggiunti 110 84 26 55 39 16 Portato a termine 2056 1665 391 815 694 547 2.10.2. Gli allievi ritirati e le motivazioni In questa parte riportiamo dati sui ritiri degli allievi e sulle motivazioni addot- te in proposito. 1) I ritiri Nel 2° anno della sperimentazione (cfr. Tav. 10, sezione b) si sono ritirati in tut- to 192 allievi, pari al 10% degli iscritti; dal confronto con la Tav. 10, sezione a, si evince che le perdite si sono ridotte quasi della metà: infatti nel 1° anno del- la prima sperimentazione sono state 457 (=19.8%); passando al confronto tra gli enti, nel CNOS-FAP sono scesi da 276 (=17.4%) del 1° anno a 94 (=7.2%) del 2°, e nel CIOFS/FP rispettivamente da 181 (=22.5%) a 98 (=16%); tra le circo- scrizioni, al nord i ritiri sono decisamente scesi da 133 (=14.1%) del 1° anno a 27 (=3.9%) del 2°, al centro sono passati da 141 (=21.8%) a 94 (=15.1%) e al sud da 183 (=30.6% ) a 71 (=11.9%). rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 41 42 Dal confronto tra le sezioni a e c della Tav. 10 si evince che anche nel 1° anno della seconda sperimentazione i ritiri sono risultati più contenuti, scendendo dal 19.8% al 15.4% (=352); nella distribuzione per enti si rileva che nel CNOS- FAP sono passati dal 17.4% al 13.9% (=254), mentre sono rimasti pressappoco la stessa aliquota nel CIOFS/FP (22.5% e 21.2%=98); tra le circoscrizioni si no- ta la medesima percentuale al nord (14.1% e 14.2%=126), una lieve flessione nelle regioni del centro (21.8% e 17.7%=139), mentre al sud la quota dei ritiri si è più che dimezzata (30.6% e 14.1%=87). 2) Le motivazioni addotte Nei confronti dei 1906 allievi che si sono ritirati durante il 2° anno della speri- mentazione, tali motivazioni riguardano (cfr. Tav. 11, sezione b): in 78 casi (41.1% dei ritiri e 4.1% degli iscritti iniziali), l’aver nel frattempo trovato un la- voro (si tratta di una maggioranza di maschi appartenenti per lo più al CNOS- FAP e alle regioni centro-meridionali); segue il ritiro per inattività (43 casi, 22.6% dei ritiri e 2.2% degli iscritti iniziali) e per altre ragioni (47, 24.7% e 2.4% rispettivamente; motivazioni di varia natura a cui non è estranea quella re- lativa alla “disaffezione” agli studi) ragioni tutte che caratterizzano i soggetti già individuati sopra; mentre i ritiri per passare ad altre scuole o CFP riguarda- no - i primi - 15 allievi (7.9% e 0.8%) e - i secondi - 7 (3.7% e 0.4%). Il con- fronto con il 1° anno della prima sperimentazione (cfr. Tav. 11, sezione a) av- viene esattamente sulle stesse voci (lavoro=116 casi, 27% e 4.8%; inattivi- tà=120, 28% e 5%; altra motivazione=128, 29.8% e 5.3%) ed anche i soggetti ritirati si caratterizzano per le stesse connotazioni (maschi, del CNOS-FAP, del- le regioni centro-meridionali); a loro volta, 65 soggetti, pari al 15%, si sono ri- tirati per frequentare altre scuole (39, 9.1% e 1.6%) o CFP (26, 6.1% e 1.1%). Le motivazioni addotte dai 183 allievi che si sono ritirati durante il 1° anno del- la seconda sperimentazione (cfr. Tav. 11, sezione c) concentrano oltre la metà delle segnalazioni su fattori di inattività (109, 31.2% e 4.8%) e su ragioni altre (91, 26.1% e 4%) (in ambedue i casi si distinguono ancora una volta i maschi del CNOS-FAP e le regioni centro-meridionali); seguono i motivi di lavoro (79, 22.6% e 3.4%); mentre i ritiri per frequentare altre scuole/CFP riguardano - i primi - 46 casi (13.2% e 2%) e - i secondi - 24 (6.9% e 1%). Il confronto con il 1° anno della prima sperimentazione (cfr. Tav. 11, sezione a) ripropone una quota maggioritaria di motivazioni del primo tipo (inattività + ”altro”), mentre sono in diminuzione le ragioni dettate da lavoro (da 27% a 22.6%), e aumenta- no dal 15.2% al 20.1% quelle relative al passaggio ad altre scuole/CFP. Que- st’ultimo dato non può che richiamare l’attenzione sulla congruenza dell’offer- ta formativa nel venire incontro alla domanda dell’utenza. 6 Questo dato differisce da quello appena menzionato (192) perché è basato su voci della scheda 8 diverse da quelle da cui è stato tratto il precedente. La medesima ragione spiega le differenze che si riscontrano riguardo ad altre cifre. rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 42 43 2.10.3. Gli allievi aggiunti e le loro motivazioni In questa parte riportiamo dati sugli allievi che si sono iscritti a corso avviato e sulla loro provenienza. 1) Gli allievi aggiunti Nel 2° anno della prima sperimentazione si sono aggiunti 42 allievi (cfr. Tav. 10, sezione b), pari al 2.3% di coloro che nello stesso periodo non si sono riti- rati; il confronto con l’aumento ottenuto durante il 1° anno chiaramente gioca a sfavore (5.5%; cfr. Tav. 10, sezione a), ma la differenza in meno si può spiega- re facilmente trattandosi del prosieguo di un’attività pluriennale dove rimane più difficile inserirsi in programmi già avviati da tempo. Nella distribuzione per enti, le aggiunte sono diminuite, nel CNOS-FAP, dal 5.3% del 1° anno al 2.4% del 2° e, nel CIOFS/FP, dal 6.1% al 2.1%; a livello di circoscrizioni scen- dono, al nord, dal 6.8% all’1.3%, e al sud dal 7.8% al 2.5%, mentre si rileva un incremento dallo 0.8% al 3.4% nelle regioni centrali. Nel 1° anno della seconda sperimentazione, le aggiunte hanno riguardato 110 allievi (=5.7%; cfr. Tav. 10, sezione c), con un incremento di + 3.4 punti per- centuali rispetto al 1° anno della prima sperimentazione. Nel CNOS-FAP, si no- ta un aumento identico a quello del 1° anno (+5.3%), mentre nel CIOFS/FP si è registrato l’incremento di un punto percentuale (dal 6.1% al 7.1%); tra le cir- coscrizioni l’aumento ha riguardato unicamente il nord (dal 6.8% al 7.2%), mentre al centro si è scesi dal 7.8% al 6.1% e al sud dal 3.4% al 3%. 2) La provenienza degli allievi aggiunti Tra coloro che si sono aggiunti durante il 2° anno della sperimentazione due su tre (66.7%; cfr. Tav. 10, sezione b) provengono dalla scuola, uno su cinque (19%) da un altro CFP (in entrambi i casi quasi tutti maschi, del CNOS-FAP), 4.5% dall’apprendistato e 9.5% da altri percorsi; nessuno da condizioni di inat- tività. A questo riguardo si può dire che, rispetto al 1° anno della prima speri- mentazione, siamo di fronte ad un salto di qualità: nell’anno precedente infatti il 55.6% proveniva dalla scuola (per lo più maschi, del CNOS-FAP, del nord), il 27.3% da condizioni di inattività e 13.2% da altri percorsi (il sud); nessuno dall’apprendistato e soltanto 2 utenti da altri CFP. Invece il 1° anno della seconda sperimentazione (2001-02) (cfr. Tav. 10, sezio- ne c) ripropone un andamento del tutto simile a quello del 1° anno della prima, ossia: anche in questo caso la maggioranza arriva dalla scuola (44.4%), ma pressappoco una stessa aliquota (46.6%) si caratterizza per provenire da condi- zioni di inattività (25.5%) e da altro percorso (21.1%) (anche in questo caso per lo più maschi, del CNOS-FAP, del nord), 2 utenti da altri CFP e 1 dall’appren- distato. E comunque l’andamento complessivo dei confronti su tutti gli anni presi in considerazione, in particolare per quanto riguarda il rapporto allievi ritirati/ag- giunti, permette di attribuire all’onda lunga della sperimentazione un indubita- rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 43 44 bile successo in quanto le perdite a lungo andare si sono ridotte già a partire dal secondo anno, mentre nel 1° anno della seconda sperimentazione oltre alla di- minuzione delle perdite sono contemporaneamente aumentati, rispetto al 1° an- no della prima sperimentazione, i soggetti che si sono aggiunti. Tali aggiunte a loro volta convalidano, seppure indirettamente, l’utilità di un tale intervento sperimentale in quanto stanno a testimoniare la doppia funzione, di “tampone” a condizioni di inattività (soprattutto nelle aree più svantaggiate rispetto ai pro- cessi occupazionali – il sud), e di “riparazione/riorientamento” rispetto a pro- cessi formativo-educativi avviati da altre scuole/CFP. Tav. 11 - Le motivazioni degli allievi ritirati/aggiunti (Scheda n. 8; in VA) Ente Circoscrizioni Totale Cnos-Fap Ciofs/Fp Nord Centro Sud a) 1° anno della prima sperimentazione (2000-01) M F M+F M F M+F M F M+F M F M+F M F M+F M F M+F Ritirati 277 151 429 229 17 246 48 134 183 88 42 131 89 26 115 100 83 183 Per lavoro 87 28 116 79 5 84 8 23 32 21 5 27 38 4 42 28 19 47 Per altro corso CFP 16 10 26 10 -- 10 6 10 16 6 7 13 9 -- 9 1 3 4 Per altra scuola 27 12 39 24 -- 24 3 12 15 6 5 11 12 4 16 9 3 12 Per inattività 80 40 120 73 8 81 7 32 39 43 7 50 12 3 15 25 30 55 Altro 67 61 128 43 4 47 24 57 81 12 18 30 18 15 33 37 28 65 Aggiunti 75 31 106 66 3 69 9 28 37 45 10 55 1 1 2 29 20 49 Dalla scuola 48 11 59 42 -- 42 6 11 17 33 7 40 1 -- 1 14 4 18 Da altro CFP 2 2 4 2 -- 2 -- 2 2 2 -- 2 -- 1 1 -- 1 1 Da lavoro/apprendistato -- -- -- -- -- -- -- -- -- -- -- -- -- -- -- -- -- -- Dall’inattività 12 12 29 9 -- 14 3 12 15 9 3 12 -- -- -- 3 9 17 Altro 13 6 14 13 3 11 -- 3 3 1 -- 1 -- -- -- 12 6 13 Enti Circoscrizioni Totale Cnos-Fap Ciofs/Fp Nord Centro Sud b) 2° anno della prima sperimentazione (2001-02) M F M+F M F M+F M F M+F M F M+F M F M+F M F M+F Ritirati 125 65 190 91 1 92 34 64 98 24 3 27 63 31 94 38 31 69 Per lavoro 56 22 78 42 -- 42 14 22 36 13 1 14 21 9 30 22 12 34 Per altro corso CFP 3 4 7 2 -- 2 1 4 5 1 -- 1 1 -- 1 1 4 5 Per altra scuola 8 7 15 7 -- 7 1 7 8 1 1 2 2 2 4 5 4 9 Per inattività 26 17 43 20 1 21 6 16 22 1 -- 1 23 9 32 2 8 10 Altro 32 15 47 20 -- 20 12 15 27 8 1 9 16 11 27 8 3 11 Aggiunti 31 11 42 29 -- 29 2 11 13 9 3 12 10 8 18 12 -- 12 Dalla scuola 22 6 28 22 -- 22 -- 6 6 7 3 10 5 3 8 10 -- 10 Da altro CFP 7 1 8 6 -- 6 1 1 2 2 -- 2 4 1 5 1 -- 1 Da lavoro/apprendistato 2 -- 2 1 -- 1 1 -- 1 -- -- -- 1 -- 1 1 -- 1 Dall’inattività -- -- -- -- -- -- -- -- -- -- -- -- -- -- -- -- -- -- Altro -- 4 4 -- -- -- -- 4 4 -- -- -- -- 4 4 -- -- -- Enti Circoscrizioni Totale Cnos-Fap Ciofs/Fp Nord Centro Sud c) 1° anno della seconda sperimentazione (2001-02) M F M+F M F M+F M F M+F M F M+F M F M+F M F M+F Ritirati 256 94 349 220 29 248 36 65 101 75 51 126 111 26 137 70 17 87 Per lavoro 56 23 79 44 5 49 12 18 30 21 11 32 19 4 23 16 8 24 Per altro corso CFP 18 6 24 17 2 19 1 4 5 7 4 11 1 2 3 10 -- 10 Per altra scuola 39 7 46 39 3 42 -- 4 4 13 2 15 7 5 12 19 - 19 Per inattività 74 35 109 64 11 75 10 24 34 15 16 31 45 13 58 14 6 20 Altro 69 23 91 56 8 63 13 15 28 19 18 37 39 2 41 11 3 13 Aggiunti 61 39 90 52 22 64 9 17 26 37 16 53 20 18 30 4 5 7 Dalla scuola 27 17 40 26 9 31 1 8 9 24 9 33 2 4 6 1 4 1 Da altro CFP 2 2 6 1 2 5 1 -- 1 1 1 2 1 -- 1 -- 1 3 Da lavoro/apprendistato 1 1 2 1 -- 1 -- 1 1 -- 1 1 -- -- -- 1 -- 1 Dall’inattività 15 8 23 9 2 11 6 6 12 8 4 12 7 4 11 -- -- -- Altro 16 11 19 15 9 16 1 2 3 4 1 5 10 10 12 2 -- 2 2.10.4. Quanti hanno portato a termine gli anni formativi In questo paragrafo sintetizziamo i dati sugli allievi che hanno concluso il 2° anno e su quelli che hanno concluso il 1°. rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 44 45 1) Allievi che hanno concluso il 2° anno (2000-2002) Alla fine del 2° anno gli allievi che hanno portato a termine la prima sperimen- tazione assommano complessivamente a 1.774, pari al 92.5% di coloro che ave- vano iniziato il 2° anno ed al 74.2% di coloro che si sono iscritti fin dall’inizio alla sperimentazione (cfr. sezioni a e b della Tav. 10); ciò sta a significare di conseguenza che tre allievi su quattro hanno superato la prova nell’arco di tem- po dei due anni. Tali quote, tuttavia, se “ripulite” di coloro che nell’arco dei due anni si sono ritirati e aggiunti, portano a ritenere che il numero effettivo di co- loro che hanno seguito la sperimentazione in tutte le sue fasi nell’arco di tem- po dei due anni riguardi circa i due terzi degli utenti (66.7%). Inoltre il con- fronto tra i due anni conferma, coerentemente a quanto costatato in precedenza, che gli abbandoni sono avvenuti soprattutto durante il primo anno, portato a termine dall’85.2% degli iscritti iniziali, mentre una maggiore determinazione, rispetto alla meta finale, va attribuita a coloro che hanno iniziato e quindi por- tato a termine il 2°. a) Distribuzione per enti Se si considera la distribuzione per enti, nel CNOS-FAP ha portato a termi- ne la sperimentazione il 95.9% degli iscritti al 2° anno ed il 79% di coloro che si sono iscritti fin dall’inizio; mentre, se “ripulita”, la quota effettiva di coloro che hanno seguito la sperimentazione in tutte le sue fasi nell’arco di tempo dei due anni si aggira attorno al 70%. Nel CIOFS/FP la sperimenta- zione è stata portata a termine dall’85.1% degli iscritti al 2° anno e dal 64.5% degli iscritti iniziali; dal canto suo la quota “ripulita” si attesta attorno al 60%. b) Distribuzione per circoscrizioni Nella ripartizione per circoscrizioni, al nord ha portato a termine la speri- mentazione il 97.7% degli iscritti al 2° anno ed il 72.4% degli iscritti inizia- li, mentre la quota “ripulita” si aggira attorno al 76%; nelle regioni centrali abbiamo rispettivamente l’87% di allievi che hanno portato a termine la spe- rimentazione nel 2° anno e l’83.7% fin dall’inizio; infine nel sud il 92.1% ed il 68.7%; rispettivamente; in entrambi i casi la quota “ripulita” si aggira at- torno al 60%. 2) Allievi che hanno concluso il 1° anno (2001/02) Nel 1° anno della seconda sperimentazione, gli allievi che l’hanno portata a termine assommano complessivamente a 2.056 (cfr. Tav. 10, sezione c), pari al 90% degli iscritti iniziali, mentre la quota “ripulita” scende all’80%; nella dis- tribuzione per enti, nel CNOS-FAP l’ha portata a termine il 91.1% (=1665) de- gli iscritti iniziali (la quota “ripulita” scende all’81.5%) e nel CIOFS/FP l’84.4% (=391; la quota “ripulita” scende al 73.2%); tra le circoscrizioni, il nord si attesta al 91.7% (=815; la quota “ripulita” scende al 79.6%), il centro all’88.6% (=694; la quota “ripulita” scende al 77.3%) ed il sud all’88.5% (=547; la quota “ripulita” scende all’83.3%). rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 45 46 Dal confronto tra le sezioni a e c della Tav. 10, si rileva uno scarto di circa 5 punti percentuali a favore del 1° anno della seconda sperimentazione (90%, contro l’85.2% del 1° anno della prima sperimentazione), ciò che conferma e/o conferisce all’ondata lunga della sperimentazione un “effetto-credibilità”. Inol- tre nel confrontare i dati disaggregati dei due primi anni si rileva il seguente an- damento: nel CNOS-FAP si è passati dall’86.7% del 1° anno della prima speri- mentazione al 91.1% del 1° anno della seconda; nel CIOFS/FP, dall’82.2% all’84.4%, rispettivamente; al nord, dal 91.5% al 91.7%; al centro, dal 78.8% all’88.6%; al sud, dall’82.9% all’88.5%. L’andamento d’insieme dei dati permette di osservare quindi che le perdite lun- go i due anni di sperimentazione appaiono contenute e che almeno due su tre di coloro che si sono iscritti fin dall’inizio sono stati in grado poi di portarla a ter- mine. 3. CARATTERISTICHE DEI FORMATORI Nel secondo anno (2001-02) è stato somministrato ai formatori impegnati nei corsi di obbligo formativo un questionario di gradimento. Di conseguenza, si è po- tuto raccogliere una serie di informazioni su questo gruppo di attori della sperimen- tazione, colmando una lacuna che si era avuta nel rapporto del 2000-01. 3.1. Il campione generale I formatori coinvolti nella FPI sperimentale sono 553 e si ripartono tra 398 del CNOS-FAP (72%) e 155 del CIOFS/FP (28%) (cfr. Tav. 12). Visti in rapporto alla ripartizione dei dati del totale, i formatori del CNOS-FAP (72%) sono sovrarappresentati al centro (84.2%) e sottorappresentati al sud (58.5%). L’andamento opposto si verifica per il CIOFS/FP (15.8% e 41.5% in paragone alla percentuale del 28% sul totale). 3.2. I sottocampioni Se si fa riferimento ai singoli sottocampioni, i formatori del CNOS-FAP so- no, come detto, 398 (o 72% del totale) e costituiscono il gruppo quantitativa- mente più consistente (cfr. Tav. 12). Essi risultano distribuiti fra oltre il 40% (41.5%) al nord, un 40% circa al centro (38.7%) e meno di un quinto al sud (24.4%) (cfr. Tav. 13). I formatori del CIOFS/FP sono 155, pari al 28% del totale (cfr. Tav. 12). Essi si ripartono fra il 45.2% nell'Italia settentrionale, neppure un quinto (18.7%) in quella centrale e il 36.1% nel meridione (cfr. Tav. 13). rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 46 47 3.3. La distribuzione territoriale Passando al livello territoriale, il 42.5% dei formatori risiede al nord, un terzo (33.1%) nel centro e un quarto quasi (24.4%) al sud (cfr. Tav. 13). Tenuto conto della distribuzione dei dati del totale (42.5%, 33.1% e 24.4%), il nord si caratterizza per una leggera sovrarappresentazione dei formatori del CIOFS/FP (45.2%), il centro per la sovrappresentazione del CNOS-FAP (38.7%) e per la sottorappresentazione del CIOFS/FP (18.7%) e il sud per la sottorappresenta- zione del CNOS-FAP (19.8%) e per la sovrarappresentazione del CIOFS/FP (36.1%). Tav. 12 - Distribuzione dei formatori per tipo di ente (anno 2001-02; Scheda n. 11; in VA e %) Totale Nord Centro Sud Ente VA % VA % VA % VA % Cnos-Fap 398 72.0 165 70.2 154 84.2 79 58.5 Ciofs/Fp 155 28.0 70 29.8 29 15.8 56 41.5 Totale 553 100.0 235 42.5 183 33.1 135 24.4 Tav. 13 - Distribuzione dei formatori per circoscrizione (anno 2001-02; Scheda n. 11; in VA e %) Totale CNOS-FAP CIOFS/FP Circoscrizioni VA % VA % VA % Nord 235 42.5 165 41.5 70 45.2 Centro 183 33.1 154 38.7 29 18.7 Sud 135 24.4 79 19.8 56 36.1 Totale 553 100.0 398 72.0 155 28.0 3.4. Il sesso e l’età I 553 formatori della sperimentazione sono per il 52.4% (290) maschi e per il 43.2% (239) femmine (cfr. Tav. 14). La percentuale dei primi cresce nel CNOS-FAP, mentre scende nel CIOFS/FP; a loro volta le seconde diminuiscono nel CNOS-FAP e leggermente nell’Italia centrale, mentre crescono nel CIOFS/FP. In ogni caso il rapporto tra i sessi è molto più equilibrato tra i formatori che non tra gli allievi, sia tra quelli iscritti al 1° anno nel 2000-01 (maschi: 70.7%; femmine: 28.8%), sia tra quelli che hanno frequentato il 1° anno nel 2001-02 (71.9% e 27.5% rispettivamen- te). I formatori coinvolti nella sperimentazione sono relativamente giovani: la me- tà quasi (45.9%) ha un’età non superiore ai 30 anni (16.8%) o comunque non supe- riore ai 40 (29.1%); poco più di un quarto (25.7%) si colloca tra i 41 e i 50; meno di un quinto si situa oltre i 50 (19.3%) (cfr. Tav. 14). La fascia compresa nei 40 anni cresce nel CIOFS/FP e nel settentrione, mentre diminuisce nel meridione dove au- menta invece quella tra i 41 e i 50 e sopra i 50; a sua volta nell’Italia centrale si no- ta una percentuale consistentemente più elevata di non risposte, 15.3%. rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 47 48 3.5. La professionalità dei formatori La metà dei formatori (50.6%) possiede un diploma e a questi si può aggiunge- re un altro 7.6% che ha ottenuto una qualifica professionale (cfr. Tav. 15). Oltre un terzo (35.1%) può vantare una laurea, mentre solo due (0.2%) dispongono unica- mente della licenza media. In aggiunta, il 2% non risponde e il 4.3% ha offerto al- tre indicazioni. La percentuale dei laureati cresce nel CIOFS/FP e diminuisce nel CNOS-FAP e nel meridione; a loro volta, i diplomati aumentano al sud e calano nel CIOFS/FP. Tav. 14 - Distribuzione dei formatori per sesso ed età (anno 2001-02; Scheda n. 11; in %) Ente Circoscrizioni Distribuzione Totale CNOS-FAP CIOFS/FP Nord Centro Sud Per sesso: NR M F 4.3 43.2 52.4 5.5 27.1 67.3 1.3 84.5 14.2 2.6 44.7 52.8 8.7 39.3 51.9 1.5 45.9 52.6 Per età: NR Fino a 30 anni 31-40 anni 41-50 anni oltre 50 anni 9.0 16.8 29.1 25.7 19.3 11.8 16.6 28.1 24.1 19.3 19 17.4 31.6 29.7 19.4 4.3 20.0 30.6 28.1 17.0 15.3 19.1 29.5 16.9 19.1 8.9 8.1 25.9 33.3 23.7 Totale 100.0 72.0 28.0 42.5 33.1 24.4 Tav. 15 - Distribuzione dei formatori per titolo di studio (anno 2001-02; Scheda n. 11; in %) Ente Circoscrizioni Titolo di studio Totale CNOS-FAP CIOFS/FP Nord Centro Sud NR 2.0 2.8 0.0 2.1 3.3 0.0 Licenza media 0.4 0.5 0.0 0.4 0.5 0.0 Qualifica professionale 7.6 9.0 3.9 8.5 6.0 8.1 Diploma 50.6 52.8 45.2 48.5 47.5 58.5 Laurea 35.1 30.4 47.1 36.2 38.3 28.9 Altro 4.3 4.5 3.9 4.3 4.4 4.4 Totale 100.0 72.0 28.0 42.5 33.1 24.4 Il 29.3% dei formatori è iscritto in un albo professionale, i due terzi quasi (65.6%) rispondono negativamente e il 5.1% non si pronuncia. La percentuale degli iscritti cresce nel meridione dove supera il 60% (61.5%) e nel CIOFS/FP, mentre scende ad appena il 10.6% nell’Italia settentrionale. Prima di insegnare nella formazione professionale iniziale, oltre un terzo (34.9%) era studente e nel CIOFS/FP la percentuale cresce al 40.6%, mentre meno di un quinto (15.5%) era insegnante. Solo il 30.4% ritiene che era occupato in un settore coerente con quello in cui lavora nella formazione professionale iniziale e in questo caso è il CNOS-FAP a sottolineare maggiormente questa corrispondenza (34.5%), mentre solo il 20% del personale del CIOFS/FP era in tale situazione. rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 48 49 Oltre un quinto (21.9%) insegna da 2 anni o meno nella formazione professio- nale iniziale e la metà circa (46.6%) da non più di 10. Un altro quarto circa (23.3%) si colloca tra gli 11 e i 20 e più di un quarto (26.4%) oltre i 20. La percentuale di quanti insegnano da appena 2 anni cresce nel centro (37.7%) dove al tempo stesso si riscontra una porzione più alta che non nel totale di formatori che si collocano ol- tre i 25 anni. Al contrario, l’anzianità di docenza risulta più elevata nel meridione. Tav. 16 - Motivi per cui si insegna nell’obbligo formativo* (anno 2001-02; Scheda n. 11; in %) Ente Circoscrizioni Motivi Totale Cnos-Fap Ciofs/Fp Nord Centro Sud NR 1.1 1.5 0.0 0.9 1.6 0.7 Interesse specifico per la FP 53.5 54.8 50.3 56.2 52.5 50.4 Opportunità di lavoro 38.2 38.2 38.1 34.9 46.4 32.6 Interesse generico per la FP 23.3 23.6 22.6 19.1 23.5 30.4 Impossibilità di svolgere altre attività 1.4 1.3 1.9 1.7 1.1 1.5 Altro 4.7 4.8 4.5 5.5 5.5 2.2 * I totali di colonna possono superare il 100% dato che erano ammesse più risposte. Più della metà dei formatori (53.5%) insegna nel corso di obbligo formativo a motivo dell’interesse specifico che sente nei confronti della FP; a questi si aggiun- ge quasi un quarto (23.5%) che dimostra un interesse generico per la FP (cfr. Tav. 16). Il 40% circa (38.2%) ha scelto la sperimentazione anche o solo perché offriva una opportunità di lavoro. In ogni caso unicamente una percentuale del tutto margi- nale (1.4%) si è orientato in questa direzione perché non gli era possibile accedere ad altre attività, cioè per ripiego. Tav. 17 - Tipi di incarico nel corso di obbligo formativo* (anno 2001-02; Scheda n. 11; in %) Ente Circoscrizioni Incarichi Totale Cnos-Fap Ciofs/Fp Nord Centro Sud NR 1.4 1.3 1.9 1.3 1.6 1.5 Formatore-docente di area tecnica e di laboratorio 52.3 56.0 42.6 55.3 46.4 54.8 Formatore-docente di area comune 45.4 40.5 58.1 43.0 54.6 37.0 Tutor 15.9 14.3 20.0 20.0 13.7 11.9 Coordinatore 9.9 9.0 12.3 16.2 2.7 8.9 Orientatore 5.2 4.8 6.5 8.1 4.4 1.5 Docente di sostegno 5.2 4.0 8.4 8.9 3.3 1.5 Altro 6.0 7.5 1.9 6.4 6.6 4.4 * I totali di colonna possono superare il 100% dato che erano ammesse più risposte. Venendo poi ai dati disaggregati, la porzioni di quanti scelgono di insegnare nel corso di obbligo formativo per interesse cresce al sud, mentre al centro aumen- ta quella dei formatori che lo fanno per opportunità di lavoro; inoltre al nord e al sud quest’ultima percentuale è più bassa. La metà circa (47.6%) dei formatori insegna nell’area professionale, un quarto rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 49 50 quasi (24.6%) in quella culturale, intorno a un quinto in quella dell’accoglienza, orientamento, stage (21%) o in quella scientifica (19.2%) e neppure il 10% (7.2%) in quella delle capacità personali. La percentuale di quanti sono impegnati nell’area professionale cresce nel settentrione e diminuisce nel meridione; inoltre, quella del- l’accoglienza, dell’orientamento e dello stage aumenta nel CIOFS/FP. L’incarico più comune che gli intervistati ricoprono nel corso di obbligo for- mativo è quello di formatore, o di area tecnica e di laboratorio (52.3%), o di area co- mune (45.4%): il primo è più diffuso nel CNOS-FAP e meno nel CIOFS/FP e nel- l’Italia centrale, il secondo maggiormente nel CIOFS/FP e nell’Italia centrale e in misura inferiore al totale nel CNOS-FAP e nel meridione (cfr. Tav. 17). Il 15.9% svolge il ruolo di tutor, meno del 10% quello di coordinatore (9.9%), il 5.2% di orientatore o di docente di sostegno e il 6% fa altro: i dati evidenziano un’articola- zione non molto sviluppata delle figure professionali nel CNOS-FAP e nel CIOFS/FP. La presenza dei tutor è più diffusa nel CIOFS/FP e nel nord e meno nel sud, quella di coordinatore maggiormente nel CIOFS/FP e nel nord e in misura in- feriore del totale nel centro, quella dell’orientatore meno al sud e quella del docen- te di sostegno meno nel centro e nel sud. 4. VALUTAZIONE DELLA SPERIMENTAZIONE Per realizzare questo bilancio complessivo ci serviremo delle percezioni di tre gruppi di protagonisti della sperimentazione: gli allievi, i formatori e i referenti del- la FPI. Ai primi e ai secondi è stato chiesto il gradimento, mentre il terzo gruppo è stato invitato a esprimere una valutazione su tutti gli aspetti della sperimentazione, a partire da una documentazione oggettiva. 4.1. Il gradimento degli allievi Il “Questionario di gradimento” è stato somministrato nel 2000-01 agli iscritti al 1° anno e nel 2001-02 agli iscritti al 2° e agli iscritti al 1°, che hanno cioè inizia- to l’obbligo formativo nel 2001-02. In entrambi gli anni è stato utilizzato sostan- zialmente il medesimo strumento per tutti e tre i campioni: l’unica differenza ha ri- guardato il fatto che le domande nel 2000-01 erano sintetizzate in una o più parole- chiave, mentre nel 2001-02 si è preferito esprimerle con periodi compiuti. 1) Risultati sul gradimento nell’anno 2000/01 Nel 2000-01 hanno risposto 2.369 soggetti, cioè l’81.3% del totale degli iscrit- ti al 1° anno della sperimentazione dell’obbligo formativo che ha avuto luogo nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP (2.915)7. Più in particolare essi si dis- 7 Per la scelta di non prendere in considerazione gli allievi degli altri enti; cfr. l’inizio del para- grafo 2 di questo capitolo. rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 50 51 tribuiscono per tipi di enti tra il 69.1% del CNOS-FAP (1.636, pari al 77.6% del totale degli iscritti al 1° anno di questo campione) e il 30.9% del CIOFS/FP (733 e 90.9% rispettivamente), e per circoscrizioni geografiche tra il 34.2% al nord (810, 80.7%), il 31.3% al centro (741, 70.1%) e il 34.5% al sud (818, 95.6%). Tav. 18 - Gradimento degli allievi: anni formativi 2000-01 e 2001-02 (Scheda n. 6; in M) Enti Circoscrizioni Totale CNOS-FAP CIOFS/FP Nord Centro Sud Aspetti del CFP 1°* 1°** 2°* 1°* 1°** 2°* 1°* 1°** 2°* 1°* 1°** 2°* 1°* 1°** 2°* 1°* 1°** 2°* 1 – CONTENUTI+ Chiarezza 3.10 3.15 3.03 3.07 3.13 3.01 3.20 3.20 3.09 3.19 3.17 3.05 3.08 3.08 3.03 2.99 3.19 3.00 Rilevanza 3.31 3.02 3.25 3.25 3.04 3.26 3.36 2.97 3.21 3.34 2.92 3.25 3.22 3.10 3.17 3.43 3.05 3.33 Vicinanza alla realtà 2.95 3.30 2.94 2.94 3.35 2.89 3.10 3.18 3.07 3.02 3.24 2.95 2.83 3.28 2.87 3.04 3.37 3.02 Interesse 3.24 3.38 3.15 3.15 3.40 3.18 3.25 3.34 3.10 3.27 3.35 3.17 3.19 3.32 3.07 3.27 3.47 3.24 2 – COMPETENZE FORMATORI+ Conoscono 3.51 3.41 3.49 3.41 3.55 3.40 3.57 3.53 3.47 3.36 3.48 3.29 Sanno fare 3.41 3.47 3.31 3.39 3.41 3.28 3.45 3.69 3.37 3.50 3.49 3.40 3.35 3.41 3.28 3.35 3.49 3.23 Sono chiari 3.16 3.03 3.13 2.95 3.26 3.21 3.24 3.08 3.10 2.98 3.12 3.01 Spiegano con esempi concreti 3.23 3.24 3.16 3.22 3.22 3.10 3.26 3.30 3.29 3.27 3.25 3.16 3.15 3.21 3.06 3.30 3.27 3.27 Utilizzano esperienze che conosci 2.82 3.23 2.83 2.75 3.20 2.73 2.99 3.30 3.00 3.02 3.28 3.07 2.74 3.13 2.75 2.68 3.29 2.66 3 – METODI+ Coinvolgimento 2.90 2.79 2.86 2.73 3.00 3.00 2.91 2.82 2.90 2.77 2.86 2.76 Concentrazione 2.76 3.09 2.65 2.72 3.07 2.60 2.88 3.12 2.88 2.80 3.05 2.71 2.69 3.16 2.57 2.83 3.06 2.68 Collaborazione 3.07 2.99 2.98 3.05 2.95 2.93 3.14 3.07 3.14 3.14 3.10 3.02 3.03 2.89 2.96 3.02 2.96 2.94 4 – ORGANIZZAZIONE+ Tempi 2.94 2.99 2.77 2.91 2.95 2.73 3.02 3.07 2.86 3.07 3.10 2.88 2.80 2.89 2.72 2.93 2.96 2.67 Spazi 3.13 3.26 3.01 3.11 3.13 2.95 3.22 3.55 3.17 3.27 3.45 3.15 3.04 3.21 2.94 3.07 3.12 2.91 Strumenti 3.31 3.39 3.23 3.26 3.29 3.13 3.44 3.61 3.44 3.49 3.59 3.39 3.17 3.41 3.14 3.22 3.18 3.09 5 – APPRENDIMENTI+ Conoscenze generali 3.33 3.06 3.26 3.32 3.11 3.28 3.35 2.95 3.24 3.32 2.93 3.21 3.30 3.13 3.28 3.40 3.13 3.32 Conoscenze tecnico- professionali 3.40 3.12 3.35 3.43 3.12 3.38 3.30 3.13 3.29 3.42 3.07 3.40 3.39 3.16 3.31 3.39 3.15 3.33 Capacità operative 3.34 3.33 3.34 3.36 3.35 3.34 3.28 3.30 3.33 3.40 3.39 3.44 3.30 3.33 3.26 3.32 3.29 3.29 Spendibilità 3.45 3.19 3.29 3.46 3.16 3.30 3.42 3.25 3.28 3.43 3.27 3.37 3.42 3.15 3.20 3.54 3.14 3.30 6 – TEMPI*** Teoria 2.17 2.09 2.27 2.15 1.90 1.96 2.22 2.27 2.18 2.00 2.07 1.95 Laboratorio 2.90 2.72 3.13 2.92 2.20 2.28 2.76 2.72 2.94 2.64 3.09 2.84 Stage 2.73 2.64 2.85 2.79 2.33 2.32 2.79 2.75 2.69 2.49 2.76 2.66 Orientamento 2.36 2.32 2.41 2.33 2.21 2.30 2.42 2.47 2.31 2.17 2.36 2.30 Accoglienza 2.60 2.48 2.74 2.59 2.21 2.27 2.50 2.57 2.57 2.27 2.82 2.62 Accompagnam. 2.53 2.44 2.64 2.48 2.23 2.36 2.56 2.61 2.47 2.32 2.60 2.41 7 – SODDISFAZIONE+ Giudizio complessivo 3.39 3.39 3.25 3.38 3.23 3.25 3.41 3.44 3.24 3.38 3.43 3.29 3.40 3.23 3.22 3.39 3.22 3.22 Legenda 1°* iscritti al 1° anno nel 2001-02 1°** iscritti al 1° anno nel 2000-01 2°* iscritti al 2° anno nel 2001-02 + la scala di valutazione comprende 4 livelli: 1=per niente; 2=poco (nel 2000-01 in parte); 3=abbastanza; 4=molto *** questa sezione di domande manca nel questionario applicato nel 2000-01e la scala di valutazione comprende i seguenti livelli: 1=insufficiente; 2=eccessivo; 3= adeguato; 4=ottimale rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 51 52 2) Risultati sul gradimento nell’anno 2001/02 Passando al 2001-02, del totale degli iscritti al 1° anno nell’anno in questione hanno risposto 2.109 soggetti, cioè il 67% del numero complessivo (3.149); più specificamente essi si ripartono per tipi di enti tra il 74.5%% del CNOS-FAP (1.572, pari al 63.9% del totale degli iscritti al 1° anno di questo campione) e il 25.5% del CIOFS/FP (537 e 78.1% rispettivamente), e per circoscrizioni geo- grafiche tra il 39.6% al nord (835, 72.5%), il 39.1% al centro (825, 71.9%) e il 21.3% al sud (449, 52.9%). Quanto poi agli iscritti al 2° anno nel 2001-02 hanno risposto 1.643 soggetti, cioè l’85.7% del numero complessivo (1.918; cfr. Tav. 10, sezione b); in parti- colare essi si distribuiscono per tipi di enti tra il 69.8% del CNOS-FAP (1.147, pari all’87.8% del totale degli iscritti al 2° anno di questo campione) e il 30.2% del CIOFS/FP (496 e 81.2% rispettivamente), e per circoscrizioni geografiche tra il 40.2% al nord (661, 94.6%), il 33% al centro (543, 87.3%) e il 26.7% al sud (439, 73.5%). 4.1.1. I contenuti Globalmente si può dire che i contenuti hanno risposto “abbastanza” alle atte- se degli allievi e in numero consistente di casi l’apprezzamento è andato anche ol- tre (cfr. Tav. 18). È solo in tema di vicinanza alla realtà che la media scende legger- mente al di sotto tra gli iscritti del 2001-02, sia al 1° anno (M=2.95) che al 2° anno (M=2.94) della sperimentazione. Gli allievi che hanno frequentato il biennio completo risultano più positivi nel 2000-01 che non nel 2001-02 riguardo a tre su quattro degli aspetti considerati: l’interesse, dove si registra un abbassamento della media da 3.38 a 3.15, la vici- nanza alla realtà da 3.30 a 2.94 e la chiarezza da 3.15 a 3.03. Nel tempo cresce, in- vece, l’apprezzamento della importanza degli argomenti trattati, passando da 3.02 a 3.25. Lo stesso andamento si riscontra anche a livello geografico e nel confronto tra gli enti: di più specifico si può osservare che la valutazione della vicinanza dei contenuti alla realtà tra gli iscritti al 2° anno del CIOFS/FP è più elevata che non il dato del totale, ma era più bassa l’anno precedente e che gli iscritti al 1° anno nel 2000-01 del nord apprezzavano di meno del dato della media la rilevanza degli ar- gomenti trattati. Gli iscritti al 1° anno nel 2000-01 esprimono valutazioni più positive che non gli iscritti al 1° anno nel 2001-02, anche in questo caso in riferimento a tre su quat- tro degli aspetti esaminati: l’interesse, riguardo al quale la media scende da 3.38 a 3.24, la vicinanza alla realtà con un calo da 3.30 a 2.95 e la chiarezza che registra il passaggio da 3.15 a 3.10; l’unica eccezione è costituita dall’importanza che conse- gue un 3.02 nel 2000-01 e un 3.31 nel 2001-02. Tendenze analoghe si registrano sia fra le circoscrizioni geografiche che fra gli enti. Le uniche eccezioni si riscontrano a proposito della chiarezza la cui media è eguale o pressoché tale tra i due anni nel CIOFS/FP, al nord e al centro; passando ai particolari, si nota che l’apprezzamento per la vicinanza alla realtà è più alto tra gli iscritti al 1° anno nel 2001-02 del rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 52 53 CIOFS/FP che non nella media del totale e la valutazione positiva della importanza è più elevata al sud e meno al centro. 4.1.2. I formatori Anche riguardo alle competenze dei formatori il giudizio è sull' “abbastanza” e almeno in tre casi si colloca del tutto o quasi tra “molto” e “abbastanza” (cfr. Tav. 18). Soltanto in tema di utilizzo nell’insegnamento di esperienze conosciute dall’al- lievo la media scende al di sotto dell’ “abbastanza” sia tra gli iscritti al 1° anno nel 2001-02 (M=2.82), sia tra gli iscritti al 2°, sempre nel 2001-02 (M=2.83). Gli allievi che hanno frequentato il biennio completo risultano più positivi nel 2000-01 che non nel 2001-02 riguardo a tutti gli aspetti considerati: è vero che sol- tanto su una alternativa (l’utilizzo nell’insegnamento di esperienze conosciute dal- l’allievo) si costata una coincidenza sostanziale di formulazione nei questionari somministrati nei due anni, mentre nelle altre alternative le parole chiave usate nel 2000-01 sono state tradotte in due domande. Se si fa riferimento al totale degli iscrit- ti al 2° anno nel 2001-02, questi sembrano apprezzare tra “molto” e “abbastanza” (M=3.41) le conoscenze che i formatori possiedono riguardo agli argomenti trattati, oltre la “sufficienza” (M=3.31) le loro competenze didattiche, in misura “sufficien- te” il ricorso ad esempi concreti (M=3.16) e la chiarezza (M=3.03), e appena al di sotto della “sufficienza” (M=2.83) l’utilizzo di esperienze che l’allievo conosce. Lo stesso ordine di valutazioni si riscontra anche a livello geografico e nel confronto tra gli enti. Sempre con riferimento agli iscritti al 2° anno nel 2001-02, i più positivi so- no gli allievi dell’Italia settentrionale che apprezzano, con medie superiori a quelle del totale, le conoscenze, le competenze didattiche, la chiarezza e il ricorso dei for- matori all’esperienza, mentre lo sono di meno gli iscritti dell’Italia centrale riguar- do all’utilizzo di esempi della vita reale e dell’esperienza e gli allievi dell’Italia me- ridionale circa le conoscenze e il ricorso all’esperienza; al tempo stesso questi ulti- mi apprezzano di più della media del totale l’utilizzazione da parte dei formatori di esempi concreti. Gli iscritti al 2° anno nel 2001-02 che frequentano i CFP del CIOFS/FP esprimono giudizi più positivi sulla chiarezza e sulla valorizzazione del- l’esperienza mentre quelli del CNOS-FAP si dimostrano più critici riguardo all’ul- timo aspetto dell’insegnamento appena ricordato. Gli iscritti al 1° anno nel 2000-01 tendono a esprimere valutazioni più positive che non gli iscritti al 1° anno nel 2001-02, tranne che in tema di conoscenze e com- petenze in cui i dati sono comparabili: anche in questo caso va ripetuta la precisa- zione fatta sopra e cioè che soltanto su una alternativa (l’utilizzo nell’insegnamen- to di esperienze conosciute dall’allievo) si costata una coincidenza sostanziale di formulazione nei questionari applicati nei due anni, mentre nelle altre alternative le parole chiave usate nel 2000-01 sono state tradotte in due domande. Se si fa riferi- mento al totale degli iscritti al 1° anno nel 2001-02, questi sembrano apprezzare tra “molto” e “abbastanza” (M=3.51) le conoscenze che i formatori possiedono riguar- do agli argomenti trattati e le loro competenze didattiche (M=3.41), in misura “suf- ficiente” il ricorso ad esempi concreti (M=3.25) e la chiarezza (M=3.16), e appena rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 53 54 al di sotto della “sufficienza” (M=2.83) l’utilizzo di esperienze che l’allievo cono- sce. Lo stesso ordine di valutazioni si riscontra anche a livello geografico e nel con- fronto tra gli enti. Sempre con riferimento agli iscritti al 1° anno nel 2001-02, i più positivi tendono ad essere gli allievi dell’Italia settentrionale, mentre lo sono di me- no gli iscritti dell’Italia centrale. Inoltre, gli iscritti al 1° anno nel 2001-02 che fre- quentano i CFP del CIOFS/FP esprimono giudizi più favorevoli sulla chiarezza e sulla valorizzazione dell’esperienza. 4.1.3. I metodi La valutazione complessiva dei metodi è appena “sufficiente” o si colloca un poco al di sotto della “sufficienza” (cfr. Tav. 18). In particolare, la valutazione ten- de a coincidere con l’ “abbastanza” quanto alla collaborazione tra i formatori (M=2.99, 2.98 e 3.07), mentre si abbassa riguardo al modo in cui le lezioni riesco- no a coinvolgere gli allievi (M=2.79 e 2.90), o ad aiutarli a restare attenti (M=2.65 e 2.76); in riferimento agli ultimi due aspetti il giudizio degli iscritti al 1° anno nel 2000-01 è leggermente superiore (M=3.09), ma non dobbiamo dimenticare che in questo caso un parola chiave è stata tradotta in due domande. Va anche ricordato che nel questionario di gradimento del 2000-01 erano presenti due alternative che sono scomparse nello strumento del 2001-02: si tratta dell’equilibrio tra teoria e pratica, per cui il giudizio coincideva con l’ “abbastanza” (M=3.06), e dell'equilibrio tra la- voro individuale e di gruppo, per cui la valutazione si collocava al di sotto della “sufficienza” (M=2.74). Gli allievi che hanno frequentato il biennio completo risultano più positivi nel 2000-01 che non nel 2001-02 riguardo al coinvolgimento e alla concentrazione, mentre le medie sono sostanzialmente eguali circa la collaborazione tra i formatori: è vero che soltanto su un’alternativa (la collaborazione tra i formatori) si costata una coincidenza sostanziale di formulazione nei questionari applicati nei due anni, mentre nelle altre due alternative le parole chiave usate nel 2000-01 sono state tra- dotte in due domande. Se si fa riferimento al totale degli iscritti al 2° anno nel 2001- 02, questi sembrano apprezzare “abbastanza” (M=2.98) la collaborazione tra i for- matori, in misura al di sotto della “sufficienza” (M=2.79) il modo i cui le lezioni co- involgono gli allievi e tra “abbastanza” e “poco” (M=2.65) il modo in cui l’inse- gnamento aiuta a restare attenti e concentrati. Lo stesso ordine di valutazioni si ri- scontra anche a livello geografico e nel confronto tra gli enti. Sempre con riferi- mento agli iscritti al 2° anno nel 2001-02, i più positivi sono gli allievi che frequen- tano i CFP del CIOFS/FP. Gli iscritti al 1° anno nel 2000-01 tendono a esprimere valutazioni più positive che non gli iscritti al 1° anno nel 2001-02 riguardo al coinvolgimento e alla con- centrazione e meno circa la collaborazione tra formatori: anche in questo caso va ri- petuta la precisazione fatta sopra e cioè che soltanto su una alternativa (la collabo- razione tra formatori) si costata una coincidenza sostanziale di formulazione nei questionari somministrati nei due anni, mentre nelle altre alternative le parole chia- ve usate nel 2000-01 sono state tradotte in due domande. Se si fa riferimento al to- rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 54 55 tale degli iscritti al 1° anno nel 2001-02, questi sembrano apprezzare “abbastanza” (M=3.07) la collaborazione tra i formatori, in misura al di sotto della “sufficienza” il modo in cui le lezioni coinvolgono gli allievi (M=2.90) e il modo in cui l’inse- gnamento aiuta a restare attenti e concentrati (M=2.76). Lo stesso ordine di valuta- zioni si riscontra anche a livello geografico e nel confronto tra gli enti. Sempre con riferimento agli iscritti al 2° anno nel 2001-02, i più positivi sono gli allievi che fre- quentano i CFP del CIOFS/FP. 4.1.4. L’organizzazione e i tempi La valutazione dell'organizzazione del corso si situa globalmente sull' “abba- stanza” (cfr. Tav. 18). È soltanto riguardo alla distribuzione dei tempi che il giudizio scende al di sotto tra gli iscritti del 2001-02 sia al 1° anno (M=2.90) che al 2° anno (M=2.79). Gli allievi che hanno frequentato il biennio completo risultano più positivi nel 2000-01 che non nel 2001-02 su tutti degli aspetti considerati: utilizzazione degli strumenti che il Centro mette a disposizione, dove si registra un abbassamento del- la media da 3.39 a 3.23, adeguatezza degli spazi del CFP da 3.26 a 3.01 e distribu- zione dei tempi da 2.99 a 2.77. Lo stesso andamento si riscontra anche a livello geo- grafico e nel confronto tra gli enti: di particolare si può osservare che le valutazioni degli allievi del CNOS-FAP e soprattutto degli iscritti dell’Italia meridionale tendo- no ad essere inferiori a quelle del totale, mentre l’inverso si verifica a riguardo del CIOFS/FP e del settentrione. Gli iscritti al 1° anno nel 2000-01 esprimono valutazioni più positive che non gli iscritti al 1° anno nel 2001-02, anche se in due aspetti su tre le differenze sono leggere: più in particolare si tratta della disponibilità di strumenti, rispetto alla qua- le la media scende da 3.39 a 3.31, l’utilizzazione degli spazi con un calo da 3.26 a 3.13 e la distribuzione dei tempi che registra il passaggio da 2.99 a 2.94. Tendenze analoghe si registrano sia fra le circoscrizioni geografiche che fra gli enti. Andando più sullo specifico, le valutazioni degli allievi del CIOFS/FP e del settentrione ten- dono ad essere più positive di quelle del totale, mentre un andamento inverso si ri- scontra fra gli iscritti del centro (ad eccezione della disponibilità di strumenti nel 2000-01), fra quelli del sud (tranne che la distribuzione dei tempi) e fra quelli del CNOS-FAP limitatamente all’uso degli spazi nel 2000-01 e alla disponibilità degli strumenti in entrambi gli anni considerati. In questo ambito rientrano anche i risultati di una nuova batteria di domande che è stata aggiunta al questionario di gradimento nel 2001-02 per approfondire il giudizio degli allievi in tema di organizzazione dei tempi. Nel complesso, la loro va- lutazione considera questi ultimi “eccessivi” o vede gli inchiestati divisi tra quelli che li ritengono “eccessivi” e quanti li stimano “adeguati”, mentre in alcuni casi il giudizio si avvicina all’ “adeguato” senza mai coincidere con esso. Sia dagli iscritti al 2° anno nel 2001-02, sia dagli allievi che hanno frequentato il 1° sempre nel 2001-02 sono considerati “eccessivi” i tempi dedicati alla teoria (M=2.09 e M=2.17 rispettivamente) e quelli destinati all’orientamento (M=2.32 e M=2.36). Entrambi i rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 55 56 campioni appaiono divisi tra “eccessivo” e “adeguato” circa i tempi dedicati all’ac- compagnamento (M=2.44 e M=2.43 rispettivamente) e all’accoglienza (M=2.48 e M=2.60). Tendono, invece, all’“adeguato” le valutazioni in tema di laboratorio (M=2.72 e M=2.90) e di stage (M=2.64 e M=2.73). Se si passa ai dati disaggregati, tra gli iscritti al CNOS-FAP, in particolare tra quelli che frequentano il 1° anno nel 2001-02, si fa in generale più marcata la ten- denza a ritenere adeguati i tempi soprattutto del laboratorio e dello stage; pure nel meridione le valutazioni dei tempi di laboratorio, stage, accoglienza e accompagna- mento sono maggiormente orientati sull’“adeguato”. Tutt’altro è invece l’andamen- to tra gli allievi del CIOFS/FP che globalmente mostrano di considerare “eccessivi” pressoché tutti i tempi e anche gli iscritti del centro sottolineano maggiormente del totale il giudizio di “eccessivi” e meno quello di “adeguati”. A loro volta, gli iscrit- ti del settentrione tendono a situarsi sui dati del totale e per quanto riguarda i tempi dell’orientamento si presentano divisi tra chi è per la valutazione di “eccessivi” e chi è per quella di “adeguati”, mentre le medie complessive erano più spostate verso il giudizio di “adeguati”. 4.1.5. Gli apprendimenti Gli apprendimenti ottengono un giudizio decisamente “abbastanza” positivo che in due casi si colloca quasi tra “molto” e “abbastanza”: spendibilità (M=3.45) e conoscenze tecnico-professionali (M=3.40) tra gli iscritti al 1° anno nel 2001-02 (cfr. Tav. 18). Soltanto in tema di conoscenze generali la media coincide pressoché con l’ “abbastanza”, ma unicamente tra gli iscritti al 1° anno nel 2000-01 (M=3.06). Gli allievi che hanno frequentato il biennio completo risultano questa volta più positivi nel 2001-02, che non nel 2000-01, come dimostra la crescita nel tempo in tre dei quattro apprendimenti considerati: nelle conoscenze tecnico-professionale, dove si registra un aumento della media da 3.12 a 3.35, nella spendibilità di quanto è stato appreso da 3.19 a 3.39 e nelle conoscenze generali da 3.06 a 3.26, mentre ri- guardo alle capacità operative le cifre rimangono pressoché stabili (M=3.33 nel 2000-01 e M=3.34 nel 2001-02). Anche la gerarchia fra i vari aspetti cambia nel tempo: nel 2000-01 l’ordine vedeva al primo posto le capacità operative (M=3.33), seguite dalla spendibilità (M=3.12), dalle conoscenze tecnico-professionali (M=3.19) e dalle conoscenze generali (M=3.06); al contrario, nel 2001-02 il prima- to spetta alle conoscenze tecnico professionali (M=3.35), che dalla terza posizione passano alla prima, ma le capacità operative si collocano quasi a pari merito (M=3.34), mentre la spendibilità scende al terzo posto (M=3.29) e le conoscenze ge- nerali rimangono al quarto (M=3.26). Lo stesso andamento si riscontra nella mag- gior parte dei casi anche a livello geografico e nel confronto tra gli enti: tra l’altro fanno eccezione la riduzione nel tempo dell’apprezzamento delle capacità operative al centro che scende dal 3.33 del 2000-01 al 3.26 del 2001-02, l’ascesa al secondo posto dal terzo delle conoscenze tecnico-professionali tra gli allievi del 1° anno del centro e del sud e la salita al primo posto delle capacità operative tra gli allievi del 2° anno del nord e del CIOFS/FP. rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 56 57 Un’altra novità nell’andamento dei dati riguarda gli iscritti al 1° anno nel 2001- 02 che in questo caso esprimono valutazioni più positive che non gli iscritti al 1° anno nel 2000-01 in tre dei quattro apprendimenti considerati: nella spendibilità di quanto è stato appreso dove si registra un aumento della media da 3.19 nel 2000-01 a 3.45 nel 2001-02, nelle conoscenze tecnico-professionale, da 3.12 a 3.40, e nelle conoscenze generali, da 3.06 a 3.33, mentre riguardo alle capacità operative le cifre rimangono pressoché stabili (M=3.33 nel 2000-01 e M=3.34 nel 2001-02). Anche l’ordine fra i vari aspetti muta nel tempo: come si è visto sopra, tra gli iscritti al 1° anno nel 2000-01 l’ordine vedeva al primo posto le capacità operative (M=3.33), se- guite dalla spendibilità (M=3.19), dalle conoscenze tecnico-professionali (M=3.12) e dalle conoscenze generali (M=3.06); al contrario, tra gli iscritti al 1° anno nel 2001-02 il primato spetta alla spendibilità (M=3.45), le conoscenze tecnico-profes- sionali occupano la seconda posizione (M=3.40), le capacità operative sono nella terza (M=3.4) e le conoscenze generali si trovano nella quarta (M=3.33). Lo stesso andamento si riscontra nella maggior parte dei casi anche a livello geografico e nel confronto tra gli enti: l’unica eccezione è stata richiamata sopra e riguarda l’ascesa al secondo posto dal terzo delle conoscenze tecnico-professionali tra gli iscritti del 1° anno nel 2000-01 del centro e del sud. 4.1.6. Giudizio complessivo Globalmente gli allievi sono “abbastanza” soddisfatti del corso di FPI che stan- no frequentando (cfr. Tav. 18). Anzi gli iscritti al 1° anno sia del 2000-01 sia del 2001-02 danno delle valutazioni che tendono a situarsi tra “molto” e “abbastanza” (M= 3.39 in entrambi i casi). È vero che gli allievi che hanno frequentato il biennio completo risultano più positivi nel 2000-01 che non nel 2001-02, cioè che nel tem- po l’apprezzamento tende ad abbassarsi, passando da una media di 3.39 a una di 3.25, ma la differenza è minima e potrebbe essere il segno di una maggiore criticità acquisita dagli allievi proprio per effetto del processo di insegnamento-apprendi- mento a cui hanno preso parte. Quanto ai dati disaggregati, non si notano differenze di rilievo. Le uniche ri- guardano gli iscritti al 1° anno nel 2000-01 e le loro valutazioni aumentano nel CIOFS/FP e al nord e si abbassano nel CNOS-FAP, nel centro e nel sud. 4.2. Il gradimento dei formatori Globalmente i formatori si dimostrano “abbastanza” soddisfatti riguardo al servizio formativo che essi e il Centro prestano nei confronti degli allievi, anche se lo sono di meno quanto alla rispondenza di questi ultimi alle loro attese (cfr. Tav. 19). Essi dimostrano un interesse elevato (M=3.68) per le questioni e le pro- blematiche che i giovani iscritti alla FPI pongono loro, ritengono che questi pos- sano trarre “molto” o “abbastanza” giovamento (M=3.55) dal corso di obbligo formativo nel suo insieme e almeno “abbastanza” (M=3.36) dal loro insegna- mento. La loro valutazione scende invece al di sotto della “sufficienza” (M=2.86), rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 57 58 anche se di poco, quanto alla corrispondenza degli allievi alle loro aspettative. Passando ai dati disaggregati, si nota che i formatori del CIOFS/FP sono più po- sitivi e tendenzialmente, sebbene meno, quelli del settentrione, mentre gli iscritti dell’Italia centrale risultano più critici e, seppure in misura inferiore, anche quel- li del meridione. Pure gli apprendimenti ricevono un giudizio “abbastanza” positivo, anche se leggermente inferiore al precedente (cfr. Tav. 19). L’apprezzamento maggiore è at- tribuito con la stessa media, 3.39, all’acquisizione sia delle conoscenze tecnico-pro- fessionali, sia delle competenze ad utilizzare i saperi appresi nella vita professiona- le. Valutazioni solo di poco inferiori vengono riservate alle capacità operative (M=3.27) e alle conoscenze generali (M=3.19). I giudizi risultano più favorevoli tra i formatori del CIOFS/FP e del nord (tranne che per le conoscenze generali in cui il dato si situa su quello del totale). Al contrario, gli apprezzamenti si abbassano al sud e al centro eccetto che nel caso delle conoscenze generali e nel CNOS-FAP riguar- do alle conoscenze generali e alle capacità operative. Quanto al personale il giudizio è decisamente sull’ “abbastanza” (cfr. Tav. 19). Le valutazioni più elevate, tra “molto” e “abbastanza”, vengono date alla prepara- zione sul piano tecnico-professionale (M=3.47) e alla capacità di sviluppare una re- lazione amichevole e promozionale con gli allievi (M=3.40). Il giudizio si abbassa, ma di poco, quanto alla preparazione a livello di contenuti (M=3.35), mentre si av- vicina alla “sufficienza” riguardo alla capacità di sviluppare una didattica attiva e coinvolgente (M=3.16). In questo caso, i più soddisfatti sono i formatori del CIOFS/FP e del nord; invece il gradimento è minore nel CNOS-FAP e nell’Italia centrale. L’apprezzamento complessivo del progetto formativo è “sufficiente” riguardo a due aspetti e vi si avvicina nel terzo (cfr. Tav. 19). Coincidono sostanzialmente con l’ “abbastanza” i giudizi sulla sua adeguatezza sul piano professionale (M=3.14) e su quello contenutistico (M=3.13), mentre la valutazione in rapporto agli allievi del corso si colloca un poco al di sotto della “sufficienza” (M=2.86). In generale il gra- dimento è più elevato tra i formatori del CIOFS/FP e del settentrione, mentre lo è di meno tra quelli del meridione. La valutazione dell’ organizzazione si situa globalmente sull’ “abbastanza” (cfr. Tav. 19). La disponibilità di strumenti riceve il maggiore apprezzamento (M=3.15), seguita dalla utilizzazione degli spazi (M=3.14) e dalla distribuzione dei tempi (M=2.99). I formatori del CIOFS/FP esprimono giudizi più favorevoli e anche quel- li dell’Italia settentrionale tranne che per la distribuzione dei tempi in cui sono so- stanzialmente sui dati del totale. Al contrario, le valutazioni appaiono maggiormen- te critiche nel CNOS-FAP, nell’Italia centrale e in quella meridionale, con l’ecce- zione negli ultimi due casi della distribuzione dei tempi dove le medie coincidono pressoché con quelle del totale. In questo ambito, rientrano anche i risultati di una batteria di domande che mi- ra ad approfondire il giudizio dei formatori su un punto specifico, quello dell’orga- nizzazione dei tempi (cfr. Tav. 19). Nel complesso, la loro valutazione considera rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 58 59 questi ultimi appena “adeguati” e in un caso vede gli inchiestati divisi tra quelli che li ritengono “eccessivi” e quanti li stimano “adeguati”. Risultano appena “adeguati” i tempi relativi allo stage (M=2.90), all’accoglienza (M=2.89), al laboratorio (M=2.87), all’accompagnamento (M=2.81) e alla teoria (M=2.75). Al contrario, in tema di orientamento, il gruppo dei formatori tende a spaccarsi tra coloro che li con- siderano “adeguati” e quelli che li stimano “eccessivi” (M=2.65). Le valutazioni dei formatori del CIOFS/FP si situano tutte sull’ “adeguato”, nel settentrione e nel me- ridione risultano grosso modo coincidenti con i dati del totale, nel centro appaiono meno adeguate e nel CNOS-FAP si presentano meno adeguate e aumentano a tre i casi della divisione tra “adeguati” ed “eccessivi” (i tempi dedicati all’accompagna- mento e alla teoria oltre che all’orientamento). Tav. 19 - Gradimento dei formatori (anno 2001-02; Scheda n. 11; in M) Ente Circoscrizioni Aspetti del CFP Totale Cnos-Fap Ciofs/Fp Nord Centro Sud Allievi* - interesse dei formatori per le problematiche degli allievi - utilità del corso per gli allievi - utilità dell’insegnamento/servizio dei formatori per gli allievi - loro rispondenza alle aspettative dei formatori 3.68 3.55 3.36 2.86 3.64 3.52 3.32 2.83 3.78 3.63 3.47 2.94 3.72 3.63 3.36 2.95 3.66 3.50 3.31 2.77 3.63 3.48 3.42 2.83 Personale formativo* - preparazione sul piano tecnico-professionale - capacità di sviluppare una relazione amichevole con gli allievi - preparazione sul piano dei contenuti - capacità di sviluppare una didattica attiva 3.47 3.40 3.35 3.16 3.41 3.27 3.25 3.01 3.62 3.72 3.59 3.55 3.59 3.47 3.45 3.22 3.37 3.30 3.26 3.04 3.39 3.41 3.29 3.22 Progetto formativo* - adeguatezza sul piano professionale - adeguatezza sul piano contenutistico - adeguatezza in rapporto agli allievi del corso 3.14 3.13 2.86 3.10 3.06 2.82 3.25 3.29 2.94 3.20 3.19 2.97 3.11 3.10 2.78 3.09 3.05 2.76 Organizzazione dei corsi* - disponibilità degli strumenti - utilizzazione degli spazi - distribuzione dei tempi 3.15 3.14 2.99 2.98 3.00 2.84 3.59 3.51 3.36 3.35 3.26 3.01 2.96 3.06 2.97 3.05 3.05 2.97 Apprendimento* - conoscenze tecnico-professionali - utilizzazione nelle vita professionale - capacità operative - conoscenze generali 3.39 3.39 3.27 3.19 3.35 3.36 3.22 3.12 3.47 3.47 3.38 3.38 3.49 3.47 3.38 3.19 3.33 3.35 3.21 3.17 3.28 3.29 3.16 3.23 Adeguatezza dei tempi dedicati a**: - Stage - Accoglienza - Laboratorio - Accompagnamento - Teoria - Orientamento 2.90 2.89 2.87 2.81 2.75 2.65 2.73 2.75 2.79 2.59 2.68 2.43 3.32 3.24 3.07 3.34 2.92 3.18 2.96 2.95 2.92 2.82 2.72 2.62 2.80 2.76 2.82 2.77 2.79 2.72 2.93 2.96 2.85 2.84 2.73 2.61 Soddisfazione e futuro* - Giudizio complessivo sulla esperienza del corso 3.29 3.23 3.45 3.29 3.39 3.15 Legenda * La scala di valutazione comprende 4 livelli: 1=per niente; 2=poco; 3=abbastanza; 4=molto ** La scala di valutazione comprende i seguenti livelli: 1=insufficiente; 2=eccessivo; 3= adeguato; 4=ottimale rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 59 60 Complessivamente i formatori sono “abbastanza” soddisfatti della esperienza del corso (M=3.29). I giudizi sono più favorevoli nel CIOFS/FP e al centro e meno nel CNOS-FAP e al sud. Pertanto, la quasi totalità degli intervistati (84.3%) sareb- be disponibile a consigliare questo stesso lavoro ad un suo amico o amica e solo il 13.4% esprime un parere negativo e il 2.4% non risponde: anche in questo caso i più positivi sono i formatori del CIOFS/FP (89.7%). Sulla stessa linea, quasi l’80% (78.1%) ritiene di continuare nel prossimo futuro questa esperienza; a sua volta il 6.9% vorrebbe proseguire nelle funzioni attuali, ma in un altro tipo di corso, mentre poco più del 10% (12.2%) vorrebbe modificarle entro il corso (3.3%) o fuori del corso (9.9%) e il 2.5% fuori dal CFP. I più entusiasti rimangono i formatori del CIOFS/FP che nell’85.2% vogliono continuare la presente esperienza. 4.3. La valutazione in itinere dell’attuazione delle azioni formative da parte dei referenti della FPI La scheda per la valutazione in itinere dell’attuazione delle azioni formative (scheda 5) è stata utilizzata, sostanzialmente nella stessa formulazione, sia nel pri- mo (2000-01; scheda 5/I) che nel 2° anno (2001-02; scheda 5/II) della sperimenta- zione. Essa si suddivide in 6 aree di valutazione: 1) la partecipazione degli utenti; 2) le attività di orientamento (non rilevate nel 2° anno della prima sperimentazio- ne); 3) l’esecuzione del progetto formativo e la gestione degli interventi di modifica; 4) la qualità della docenza e della didattica; 5) il clima dei rapporti in aula e fuori; 6) l’adeguatezza dell’organizzazione. Ognuno di questi ambiti si articola a sua volta in più indicatori, da sottoporre a rispettiva verifica grazie alla presenza o meno di documenti/strumenti di rileva- zione. Per quanto riguarda il 2° anno della prima sperimentazione, la scheda è stata compilata in 46 Centri, così suddivisi: a) in base agli enti: 22 del CNOS-FAP (di cui 11 al nord, 5 al centro e 6 al sud/iso- le), e 24 del CIOFS/FP (di cui 6 al nord, 5 al centro e 13 al sud/isole); b) per circoscrizioni geografiche: 17 al nord (di cui 8 in Piemonte - tutti del CNOS-FAP), 10 al centro e 19 al sud/isole (di cui 18 in Sicilia - 6 del CNOS- FAP e 13 del CIOFS/FP). Il confronto con il 1° anno della prima sperimentazione porta a rilevare un ca- lo di 8 Centri: - 5 nel CNOS-FAP (da 27 a 22, di cui –3 al nord) e –3 nel CIOFS/FP (da 27 a 24); -6 nelle regioni del nord (da 23 a 17, di cui –3 in Lombardia), -3 nel centro (da 13 a 10), mentre al sud i Centri sono aumentati di 1 (da 18 a 19). Per quanto riguarda invece il 1° anno della seconda sperimentazione, i Centri coinvolti sono risaliti a 52, così distribuiti: rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 60 61 a) 27 del CNOS-FAP (di cui 13 al nord, 8 al centro e 6 al sud) e 25 del CIOFS/FP (di cui 15 al nord, 5 al centro e 5 al sud); b) 28 al nord (di cui 19 in Piemonte e 7 in Lombardia), 13 al centro (di cui 8 nel Lazio) e 11 al sud (tutti in Sicilia)8. Il confronto con il 1° anno della prima sperimentazione si presta ai seguenti ri- levamenti: a) rispetto ai 46 CFP del 2° anno della sperimentazione, si è ripristinato un nume- ro pressappoco uguale di Centri coinvolti: erano 54 nel 1° anno della prima sperimentazione e sono tornati ad essere 52 nel 1° anno della seconda; b) un tale aumento tuttavia ha riguardato essenzialmente quei “selettori” che du- rante il 2° anno della prima sperimentazione erano venuti meno, ossia il CNOS- FAP e, tra le regioni del nord, la Lombardia; mentre nel CIOFS/FP e al centro- sud la situazione è rimasta pressappoco stabile. 4.3.1. La partecipazione degli utenti Attraverso una prima area di questa scheda si è inteso valutare la partecipazione degli utenti alle attività formative, analizzando l’assiduità della loro frequenza, la re- lativa registrazione e la qualità delle motivazioni addotte in caso di ritiro (cfr. Tav. 20). 4.3.1.1. Frequenza di registrazione delle presenze dell’utenza Relativamente al 2° anno della prima sperimentazione, la registrazione delle presenze degli utenti è stata fatta sempre, o quasi sempre, dappertutto (97.8%); si ri- levano valori leggermente più bassi nei CFP del sud. Il confronto con il 1° anno della prima sperimentazione porta a notare che nel 2° anno si è fatta ancor più at- tenzione a questa metodologia di rilevamento. Questa esperienza sembra aver avuto una ricaduta positiva anche sul 1° anno della seconda sperimentazione, dal momento che si rilevano valori vicini al 100%; tuttavia lasciano ancora un po’ a desiderare in merito i CFP del sud. In tutti gli anni considerati, la registrazione delle presenze dell’utenza è stata fatta ovunque con l’apposito registro e in un terzo circa dei Centri attraverso i “fo- gli di presenza”; in quest’ultimo caso, l’utilizzo è avvenuto soprattutto nel CNOS- FAP e nelle regioni centrali. 4.3.1.2. Frequenza dell’utenza alle attività della sperimentazione Nel 2° anno della prima sperimentazione la frequenza è stata valutata “abba- stanza” assidua in oltre la metà dei Centri (54.3% - M=2.44) e “molto” tra i rima- nenti (43.5%); tale valutazione risulta più elevata nel CNOS-FAP (M=2.64) e al nord (M=2.71), mentre scende nel CIOFS/FP (M=2.26), nelle regioni centrali (M=2.30) e al sud (M=2.28). Rispetto al 1° anno si registra un lieve calo, in parti- colare nel CNOS-FAP (M= da 2.65 a 2.64) e al nord (M= da 2.78 a 2.71), vicever- sa un leggero aumento si riscontra nel CIOFS/FP (M= da 2.24 a 2.26) e soprattutto 8 La Sardegna (con 4 Centri) è stata classificata tra le regioni del centro Italia. rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 61 62 Ta v. 20 - P art eci pa zio ne de gli ut en ti ( Sc he da n. 5, se zio ne 5. 1; in % e i n M ) Ar ea To tal i CN OS -F AP CI OF S/F P No rd Ce nt ro Su d Va lor i I* 2° ** I ** * I* 2° ** I* ** I* 2° ** I ** * I* 2° ** I* ** I* 2° ** I* ** I* 2° ** I ** * 5.1 .1. La fr eq ue nza di re gis tra zio ne de lle pr ese nze de ll’ ute nza è sta ta fat ta: Ab ba sta nz a fre qu en tem en te 1.9 -- -- -- -- -- 3.7 -- -- -- -- -- -- -- -- 5.6 -- -- Se mp re o q ua si 92 .6 97 .8 98 .1 96 .3 10 0.0 1 00 .0 88 .9 95 .8 96 .0 10 0.0 1 00 .0 10 0.0 7 6.9 1 00 .0 10 0.0 9 4.4 9 4.7 9 0.9 M 2 .98 3 .00 3 .00 3 .00 3.0 0 3.0 0 2.9 6 3.0 0 3.0 0 3.0 0 3.0 0 3.0 0 3.0 0 3.0 0 3.0 0 2.9 4 3.0 0 3.0 0 5.1 .2. La fr eq ue nza de ll’ ute nza è ris ult ata as sid ua : Po co 7.4 -- -- 3.7 -- -- 11 .1 -- -- 4.3 -- -- 7.7 -- - 11 .1 -- -- Ab ba sta nz a 37 .0 54 .3 58 .8 25 .9 36 .4 55 .6 48 .1 70 .8 56 .0 13 .0 29 .4 42 .9 38 .5 70 .0 92 .3 66 .7 68 .4 45 .5 Mo lto 50 .0 43 .5 42 .3 66 .7 63 .6 44 .4 33 .3 25 .0 40 .0 82 .6 70 .6 57 .1 30 .8 30 .0 7.7 22 .2 26 .3 45 .5 M 2 .45 2 .44 2 .43 2 .65 2.6 4 2.4 4 2.2 4 2.2 6 2.4 2 2.7 8 2.7 1 2.5 7 2.3 0 2.3 0 2.0 8 2.1 1 2.2 8 2.5 0 5.1 .3. Le m oti va zio ni de i r itir i s on o s tat e: Ina de gu ate /as sen ti 18 .5 6.5 7.7 11 .1 4.5 11 .1 25 .9 8.3 4.0 4.3 11 .8 14 .3 15 .4 -- -- 38 .9 5.3 -- Ad eg ua te in pa rte 40 .7 34 .8 46 .2 44 .4 31 .8 44 .4 37 .0 37 .5 48 .0 39 .1 11 .8 32 .1 38 .5 80 .0 84 .6 44 .4 31 .6 36 .4 Pie na me nte ad eg ua te 31 .5 41 .3 40 .4 33 .3 45 .5 40 .7 29 .6 37 .5 40 .0 52 .2 58 .8 46 .4 15 .4 10 .0 15 .4 16 .7 42 .1 54 .5 5.1. Partecipazione degli utenti M 2 .14 2 .42 2 .35 2 .25 2.5 0 2.3 1 2.0 4 2.3 5 2.3 9 2.5 0 2.5 7 2.3 5 2.0 0 2.1 1 2.1 5 1.7 8 2.4 7 2.6 0 Le ge nd a * 1° an no de lla pr im a s pe rim en taz ion e ( 20 00 -01 ) ** 2° an no de lla pr im a s pe rim en taz ion e ( 20 01 -02 ) ** * 1° an no de lla se co nd a s pe rim en taz ion e ( 20 01 -02 ) rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 62 63 al sud (M= da 2.11 a 2.28), mentre nelle regioni centrali la valutazione è rimasta la stessa (M=2.30). Nel 1° anno della seconda sperimentazione, la valutazione complessiva rima- ne pressappoco sugli stessi livelli (M=2.43). Nel confronto con il 1° anno della pri- ma sperimentazione sui dati disaggregati si rileva invece che nel CNOS-FAP si è no- tevolmente abbassato il livello di valutazione (M= da 2.65 a 2.44) e contempora- neamente si è alzato nel CIOFS/FP (M= da 2.24 a 2.42); così pure tra le circoscri- zioni sono diminuite le valutazioni tra i CFP del nord (M= da 2.78 a 2.57) e del cen- tro (M= da 2.30 a 2.08), mentre sono salite nel sud (M= da 2.11 a 2.50). Il confronto tra le due sperimentazioni starebbe quindi ad indicare che mentre nel CNOS-FAP e al nord gli utenti hanno mostrato inizialmente una maggiore de- terminazione nel partecipare alle attività, ma successivamente sembrano essere an- dati incontro ad un calo motivazionale, stando all’assiduità di frequenza, nel CIOFS/FP e al sud si è fatto il percorso inverso, ossia nel tempo gli utenti si sono sentiti sempre più attratti e/o motivati a partecipare. Anche nel rilevare la frequenza degli utenti alle attività della sperimentazione si osserva un andamento del tutto simile al precedente, ossia: lungo i due anni è stato utilizzato dappertutto il registro; a cui si sono aggiunti, in circa un terzo dei CFP, i “fogli di presenza” e nel 20-25% i “fogli di dimissioni”; in entrambi i casi si distin- guono, come sopra, il CNOS-FAP e le regioni del centro. 4.3.1.3. Motivazioni dei ritiri Contestualmente anche le motivazioni sottese ai ritiri si sono dimostrate sempre più adeguate. Nel confronto tra il 1° e il 2° anno della prima sperimentazione, in- fatti, sono passate complessivamente da M=2.14 a 2.42; un tale adeguamento si è verificato dappertutto: ha riguardato in misura abbastanza simile tanto il CNOS- FAP (M= da 2.25 a 2.50) che il CIOFS/FP (M= da 2.04 a 2.35) e, tra le circoscri- zioni, è avvenuto soprattutto tra i Centri del sud (M= da 1.78 a 2.47). Anche in questo caso il miglioramento che si è verificato lungo la prima speri- mentazione ha avuto un’indubbia ricaduta sul 1° anno della seconda. Il confronto con il 1° anno della prima sperimentazione, infatti, segna il passaggio da M=2.14 a 2.35; tra i dati disaggregati una maggiore adeguatezza si rileva nel CIOFS/FP (M= da 2.04 a 2.39) e in particolare al sud (M= da 1.78 a 2.60), mentre tali motivazioni sono diminuite al nord (M= da 2.50 a 2.35). L’unico strumento di rilevamento utilizzato in questo caso è il “documento di dimissione”, segnalato in circa il 70% dei CFP coinvolti in entrambe le sperimenta- zioni, pochissimi sono ricorsi ad “altri” strumenti e una quota attorno al 25% non ha risposto. In conclusione, questa prima scheda permette di costatare un progressivo mi- glioramento nell’arco di tempo dei due anni e, di conseguenza, di ritenere sostan- zialmente che l’esperienza ha registrato un buon successo nello svolgimento della sperimentazione al fine di raccogliere quelle informazioni che sarebbero servite a fa- re da “termometro” per la partecipazione degli utenti. rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 63 64 4.3.2. Le attività di orientamento Attraverso l’area sulle attività di orientamento si è inteso verificare la rispon- denza ai bisogni dell’utenza del sistema informativo, dei programmi, degli strumenti utilizzati per rilevare la situazione di partenza degli utenti e quelli redatti per l’au- toformazione (cfr. Tav. 21). Va osservato tuttavia che quest’area non è stata intro- dotta nella griglia di valutazione in itinere del 2° anno della prima sperimentazione, in quanto le attività di orientamento erano previste solo nel 1°. Di conseguenza, an- che il confronto avverrà tra i primi anni delle due sperimentazioni. 4.3.2.1. Rispondenza del sistema informativo di base ai bisogni dell’utenza Rispetto al 1° anno della prima sperimentazione, nel 1° anno della seconda il sistema di informazione è stato trovato ancor più rispondente, al punto da avvici- narsi al “molto” (M=2.23 e 2.43, rispettivamente); a questo riguardo un sensibile miglioramento è avvenuto tra le fila del CIOFS/FP (M=2.28 e 2.50) e al nord (M=2.13 e 2.54); nel CNOS-FAP (M=2.19 e 2.37) e al sud (M=2.17 e 2.30) tale progresso è stato più contenuto; mentre tra le regioni del centro si registra addirittu- ra una inversione di marcia (M=2.55 e 2.31). Nel rilevare la rispondenza, in oltre il 90% dei CFP di entrambi gli anni si è fat- to ricorso al “servizio segreteria”, quindi anche allo “sportello informativo” e al “li- bretto personale”; nei confronti di questi ultimi due documenti si è verificato un maggior ricorso nella seconda sperimentazione. 4.3.2.2. Programmi realizzati dall’azione di orientamento Durante il 1° anno della seconda sperimentazione, in una metà esatta dei Cen- tri (50%) sono stati realizzati due programmi su tre e in oltre un terzo (36.5%) tutti e tre; rispetto al 1° anno della prima si registra un indubbio, seppure modesto, mi- glioramento nell’attivazione di tali programmi (M=2.28 e 2.20, rispettivamente); dai dati disaggregati esso appare più evidente ancora una volta tra i Centri del CIOFS/FP (M=2.29, in precedenza 2.18) e più contenuto nel CNOS-FAP (M=2.27 e 2.22); nella distribuzione per circoscrizioni l’aumento dei programmi riguarda cir- ca la metà dei Centri delle regioni del nord (M=2.46, in precedenza 2.39) e oltre un terzo di quelli delle regioni centrali (M=2.17, in precedenza 2.09); mentre al sud i Centri che hanno attivato due programmi su tre sono circa due terzi (63.6%), in con- trotendenza con la precedente sperimentazione (M=1.90 e 2.00). Dei tre programmi, nel 90% circa dei Centri di entrambi gli anni è stato utiliz- zato quello relativo all’”accoglienza”, nell’80% l’“orientamento”, mentre il “bilan- cio di competenze” è passato dal 24.1% del 1° anno della prima sperimentazione al 36.5% del 1° anno della seconda. 4.3.2.3. Rilevamento della situazione di partenza degli utenti In oltre la metà dei Centri coinvolti nel 1° anno della seconda sperimentazione, il rilevamento della situazione di partenza degli utenti è stato effettuato con più do- cumenti (53.8%) e rispetto alla precedente si rileva anche in questo caso un sostan- rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 64 65 Ta v. 21 - O rie nta me nto de gli al lie vi (Sc he da n. 5, se zio ne 5. 2; in % e i n M ) Ar ea To tal i CN OS -F AP CI OF S/F P No rd Ce nt ro Su d Va lor i I* 2° ** I ** * I* 2° ** I ** * I* 2° ** I ** * I* 2° ** I ** * I* 2° ** I ** * I* 2° ** I ** * 5.2 .1. Ri spo nd en za de l s ist em a i nfo rm ati vo di ba se ai bis og ni de ll’ ute nza : Po ca 3.7 -- 1.9 3.7 -- 3.7 3.7 -- -- -- -- -- -- -- 7.7 11 .1 -- -- Ab ba sta nz a 66 .7 -- 51 .9 74 .1 -- 55 .6 59 .3 -- 48 .0 87 .0 -- 46 .4 38 .5 -- 53 .8 61 .1 -- 63 .6 Mo lta 25 .9 -- 44 .2 22 .2 -- 40 .7 29 .6 -- 48 .0 13 .0 -- 53 .6 46 .2 -- 38 .5 27 .8 -- 27 .3 M 2 .23 -- 2.4 3 2.1 9 -- 2.3 7 2.2 8 -- 2.5 0 2.1 3 -- 2.5 4 2.5 5 -- 2.3 1 2.1 7 -- 2.3 0 5.2 .2. Pr og ram mi re ali zza ti d all ’az ion e d i o rie nta me nto : Un o s u t re 7.4 -- 9.6 18 .4 -- 14 .8 -- -- 4.0 -- -- -- 7.7 -- 23 .1 16 .7 -- 18 .2 Du e s u t re 57 .4 -- 50 .0 48 .1 -- 40 .7 66 .7 -- 60 .0 60 .9 -- 53 .6 61 .5 -- 30 .8 50 .0 -- 63 .6 Tu tti e t re 25 .9 -- 36 .5 37 .0 -- 40 .7 14 .8 -- 32 .0 39 .1 -- 46 .4 15 .4 -- 38 .5 16 .7 -- 9.1 M 2 .20 -- 2.2 8 2.2 2 -- 2.2 7 2.1 8 -- 2.2 9 2.3 9 -- 2.4 6 2.0 9 -- 2.1 7 2.0 0 -- 1.9 0 5.2 .3. La si tua zio ne di pa rte nza de gli ut en ti è st ata ri lev ata : No 11 .1 -- 15 .4 14 .8 -- 25 .9 7.4 -- 4.0 8.7 -- 10 .7 7.7 -- 15 .4 16 .7 -- 27 .3 Co n d oc . s u ap pre nd im en to 57 .4 -- 26 .9 59 .3 -- 37 .0 55 .6 -- 16 .0 69 .6 -- 25 .0 30 .8 -- 23 .1 61 .1 -- 36 .4 Co n p iù do cu me nti 27 .8 -- 53 .8 25 .9 -- 33 .3 29 .6 -- 76 .0 21 .7 -- 64 .3 46 .2 -- 53 .8 22 .2 -- 27 .3 M 2 .17 -- 2.4 0 2.1 1 -- 2.0 8 2.2 4 -- 2.7 5 2.1 3 -- 2.5 4 2.4 5 -- 2.4 2 2.0 6 -- 2.0 0 5.2 .4. Pe r l ’au tof orm az ion e è st ato re da tto : Ne ssu n str um en to 64 .8 -- 53 .8 77 .8 -- 66 .7 51 .9 -- 40 .0 82 .6 -- 35 .7 46 .2 -- 76 .9 55 .6 -- 72 .7 Pia no la vo ro pe rso na liz za to 16 .7 -- 25 .0 11 .1 -- 22 .2 22 .2 -- 28 .0 8.7 -- 39 .3 23 .1 -- 7.7 22 .2 -- 9.1 Al tri su pp ort i 9.3 -- 17 .3 3.7 -- 7.4 14 .8 -- 28 .0 4.3 -- 25 .0 15 .4 -- 7.7 11 .1 -- 9.1 5.2. Orientamento degli allievi / utenti M 1 .39 -- 1.6 2 1.2 0 -- 1.3 8 1.5 8 -- 1.8 8 1.1 8 -- 1.8 9 1.6 4 -- 1.2 5 1.5 0 -- 1.3 0 Le ge nd a * 1° an no de lla pr im a s pe rim en taz ion e ( 20 00 -01 ) ** Do ma nd e n on pr ese nti ne lla gr igl ia de l 2 ° a nn o d ell a p rim a s pe rim en taz ion e ( 20 01 -02 ) ** * 1° an no de lla se co nd a s pe rim en taz ion e ( 20 01 -02 ) o rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 65 66 ziale incremento delle attività di orientamento (M=2.40 e 2.17, rispettivamente). Nella distribuzione per enti tale crescita va attribuita esclusivamente al CIOFS/FP, dove oltre tre Centri su quattro si sono attivati in tal senso (76%; il confronto tra le due sperimentazioni è di M=2.75 e 2.24, rispettivamente); mentre nel CNOS-FAP il 25.9% non ha utilizzato alcun documento e rispetto all’andamento complessivo si registra una inversione di marcia nel confronto tra le due sperimentazioni (M=2.08 e 2.11). Tra le circoscrizioni l’opposto andamento dei dati presenta i seguenti schiera- menti: nell’utilizzo di più documenti un più sensibile aumento è avvenuto al nord (M=2.54, in precedenza 2.13) e riguarda due Centri su tre (64.3%); nelle regioni centrali è aumentato il numero dei Centri che hanno utilizzato più documenti (da 46.2% a 53.8%) e parallelamente anche quelli che hanno abbandonato tale usanza (da 7.7% a 15.4%), per cui complessivamente nel confronto tra le due sperimenta- zioni in queste regioni si è rimasti pressappoco sugli stessi livelli (M=2.45 e 2.42); mentre al sud si registra un lieve calo (M= da 2.06 a 2.00) dovuto all’aumento dei Centri che non hanno registrato la situazione di partenza degli utenti (da 16.7% a 27.3%). Per rilevare la situazione di partenza degli utenti nel 70% dei CFP di entrambi gli anni sono state utilizzate le “prove d’ingresso” e in circa la metà “documenti di apprendimento”; in entrambi i casi e gli anni si distingue il CIOFS/FP. 4.3.2.4. Redazione di strumenti per l’autoformazione Infine anche per quanto riguarda la redazione di strumenti destinati all’autofor- mazione il confronto tra i due anni della sperimentazione conferma complessiva- mente un netto miglioramento nella seconda (M=1.62, in precedenza 1.39), dove cir- ca la metà dei Centri ha attivato uno o più strumenti (passando dal 26 al 42.3%); il paragone tra gli enti permette di rilevare in entrambi un calo di circa 10 punti per- centuale dei Centri che non hanno redatto alcun strumento; mentre tra quelli che l’- hanno compilato, nel CIOFS/FP si è passati dal 36% al 56% (M=1.88, in preceden- za 1.58) e nel CNOS-FAP dal 14.8% al 29.6% (M=1.38, in precedenza 1.20); tra le circoscrizioni un tale aumento va attribuito esclusivamente ai Centri del nord (M=1.89, in precedenza 1.18), mentre si registra un netto calo al centro (M=1.25, in precedenza 1.64) e in parte anche al sud (M=1.30, in precedenza 1.50). Il 60% circa dei CFP di entrambi gli anni non ha risposto in merito agli stru- menti redatti per “l’autoformazione”; attorno al 25% ha segnalato i “supporti” e il “piano di lavoro personalizzato”, quest’ultimo ancor più segnalato nella seconda sperimentazione. Se si prescinde dagli ultimi due dati, di cui andrebbero ricercate in loco ade- guate motivazioni circa il ritiro da queste attività, nel complesso si può sostenere che le attività di orientamento promosse nel 1° anno della prima sperimentazione hanno fatto da apripista nel migliorare la performance nella successiva, in particolare per l’attenzione data alla produzione e/o redazione di quegli strumenti/programmi che potessero essere di aiuto nell’orientare l’utenza. rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 66 67 4.3.3. Esecuzione del progetto formativo e gestione degli interventi di modifica Attraverso l’area denominata “esecuzione del progetto formativo e gestione de- gli interventi di modifica”, si è inteso valutare se le attività realizzate risultano con- formi al progetto formativo approvato dalla Regione o Provincia, quali modifiche hanno provocato gli interventi in itinere sul progetto, come queste sono state valu- tate, quale sia stata l’efficacia degli interventi di recupero e approfondimento, chi e quanti sono stati a vario titolo coinvolti nella valutazione del progetto formativo e se gli esiti della valutazione hanno migliorato il percorso formativo (cfr. Tav. 22). 4.3.3.1. Conformità al progetto educativo delle attività realizzate Nel 2° anno della prima sperimentazione la conformità delle attività realizzate al progetto educativo è risultata “piena” nell’80.4% dei Centri (M=2.80), ma già nel 1° anno tre su quattro avevano riportato una stessa valutazione (M=2.75); il con- fronto sui due anni premia quelli del CIOFS/FP (M= da 2.76 a 2.83) e quelli delle regioni centrali (M= da 2.64 a 2.80); nel CNOS-FAP e al nord si rilevano minori vantaggi in quanto tale conformità era già presente fin dal primo anno nell’80-90% dei Centri, mentre al sud si è rimasti sugli stessi livelli (M=2.72). Nel 1° anno della seconda sperimentazione la conformità è “piena” in oltre tre Centri su quattro e la media risulta ancora più elevata (da 2.75 a 2.82) in quanto so- no venute a mancare valutazioni negative; il confronto con il 1° anno della prima sperimentazione anche in questo caso porta ad evidenziare un miglioramento più so- stenuto tra le fila del CIOFS/FP (M= da 2.76 a 2.86) e del centro (M= da 2.64 a 2.77); quote più ridimensionate hanno riguardato il CNOS-FAP (M= da 2.74 a 2.78) ed il nord (M= da 2.83 a 2.89), grazie sempre ad un elevato livello di conformità presente fin dall’inizio; invece al sud si rileva un andamento in controtendenza (M= da 2.72 a 2.67). Nell’85% circa dei CFP coinvolti in entrambe le sperimentazioni la coerenza è stata rapportata, in eguale misura, al “progetto generale”, al “piano didattico-forma- tivo” e all’utilizzo di “strumenti/esercitazioni”. 4.3.3.2. Interventi di modifica provocati in itinere sul progetto Nel 2° anno della prima sperimentazione appena un Centro su cinque ha se- gnalato la presenza di modifiche (19.6%) e in qualche raro caso anche di “riaggiu- stamenti” al progetto, mentre tre su quattro non hanno avuto bisogno di apportare modifiche e un tale andamento rispecchia sostanzialmente quello del 1° anno (M=1.24 e 1.29, rispettivamente); nel CNOS-FAP e al nord si rilevano identici va- lori in calo (M= da 1.25 del 1° anno a 1.18 del 2°), a significare minore necessità di apportare modifiche; al centro la tendenza è ancor più accentuata (M= da 1.45 a 1.30), mentre nell’arco di tempo dei due anni una tale esigenza è stata avvertita al sud (M= da1.24 a 1.28). Il 1° anno della seconda sperimentazione presenta l’esigenza di apportare un maggior numero di modifiche e, in parte, riaggiustamenti in circa un terzo dei Cen- tri (30.7%); il confronto con il 1° anno della prima sperimentazione è di M=1.36 e rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 67 68 Ta v. 22 - E sec uzi on e d el pro ge tto fo rm ati vo e ge sti on e d eg li i nte rve nti di m od ific a ( Sc he da n. 5, se zio ne 5. 3; in % e i n M ) Ar ea To tal i CN OS -F AP CI OF S/F P No rd Ce ntr o Su d Va lor i I* 2° ** I* ** I* 2° ** I* ** I* 2° ** I* ** I* 2° ** I* ** I* 2° ** I* ** I* 2° ** I* ** 5.3 .1. Ri sp ett o a l p ro ge tto fo rm ati vo , le at tiv ità re ali zza te ris ult an o c on for mi : Sc ars am en te 3,. 7 2.2 -- 7.4 4.5 -- -- -- -- 4.3 -- -- 7.7 -- -- -- 5.3 -- In pa rte 16 .7 15 .2 17 .3 11 .1 13 .6 22 .2 22 .2 16 .7 12 .0 8.7 11 .8 10 .7 15 .4 20 .0 23 .1 27 .8 15 .8 27 .3 Pie na me nte 75 .9 80 .4 76 .9 81 .5 81 .8 77 .8 70 .4 79 .2 76 .0 87 .0 88 .2 85 .7 61 .5 80 .0 76 .9 72 .2 73 .7 54 .5 M 2.7 5 2.8 0 2.8 2 2.7 4 2.7 7 2.7 8 2.7 6 2.8 3 2.8 6 2.8 3 2.8 8 2.8 9 2.6 4 2.8 0 2.7 7 2.7 2 2.7 2 2.6 7 5.3 .2. G li i nte rve nti in iti ne re su l p ro ge tto ha nn o p ro vo ca to: Ne ssu na m od ifi ca 70 .4 76 .1 65 .4 74 .1 81 .8 74 .1 66 .7 70 .8 56 .0 73 .9 82 .4 60 .7 53 .8 70 .0 61 .5 77 .8 73 .7 81 .8 Va rie m od ifi ch e 11 .1 19 .6 26 .9 7.4 18 .2 22 .2 14 .8 20 .8 32 .0 4.3 17 .6 28 .6 23 .1 30 .0 30 .5 11 .1 15 .8 9.1 Ri ag giu sta nd o o gn i v olt a 7.4 2.2 3.8 7.4 -- 3.7 7.4 4.2 4.0 8.7 -- 7.1 7.7 -- -- 5.6 5.3 -- M 1.2 9 1.2 4 1.3 6 1.2 5 1.1 8 1.3 0 1.3 3 1.3 0 1.4 3 1.2 5 1.1 8 1.4 4 1.4 5 1.3 0 1.3 8 1.2 4 1.2 8 1.1 0 5.3 .3. La va lut az ion e d eg li i nte rve nti di m od ific a i n i tin ere de l p ro ge tto è sta ta fat ta: M ai o q ua si 53 .7 45 .7 42 .3 59 .3 45 .5 40 .7 48 .1 45 .8 44 .0 56 .5 52 .9 42 .9 38 .5 50 .0 30 .8 61 .1 36 .8 54 .5 Qu alc he vo lta 14 .8 19 .6 23 .1 14 .8 31 .8 29 .6 14 .8 8.3 16 .0 13 .0 35 .3 32 .1 15 .4 20 .0 23 .1 16 .7 5.3 -- Sp ess o 14 .8 21 .7 15 .4 3.7 9.1 11 .1 25 .9 33 .3 20 .0 4.3 5.9 7.1 30 .8 30 .0 38 .5 16 .7 31 .6 9.1 M 1.5 3 1.7 3 1.6 7 1.2 9 1.5 8 1.6 4 1.7 5 1.8 6 1.7 0 1.2 9 1.5 0 1.5 7 1.9 1 1.8 0 2.0 8 1.5 3 1.9 3 1.2 9 5.3 .4. Ef fic ac ia de lle az ion i d i r ec up ero e ap pr ofo nd im en to Ne ssu na az ion e 11 .1 10 .9 7.7 11 .1 18 .2 14 .8 11 .1 4.2 -- 8.7 17 .6 -- -- 10 .0 23 .1 22 .2 5.3 9.1 Sc ars am en te eff ica ci 13 .0 4.3 3.8 25 .9 9.1 7.4 -- -- -- 8.7 5.9 3.6 15 .4 -- -- 16 .7 5.3 9.1 Ef fic ac i in pa rte 38 .9 37 .0 42 .3 37 .0 36 .4 37 .0 40 .7 37 .5 48 .0 39 .1 23 .5 39 .3 30 .8 60 .0 46 .2 44 .4 36 .8 45 .5 Pie na me nte ef fic ac i 16 .7 32 .6 34 .6 18 .5 22 .7 33 .3 14 .8 41 .7 36 .0 8.7 35 .3 50 .0 38 .5 30 .0 30 .8 11 .1 31 .6 -- No n n ec ess ari e 11 .1 10 .9 3.8 -- 9.1 7.4 22 .2 12 .5 -- 26 .1 11 .8 3.6 -- -- -- -- 15 .8 9.1 M 2.0 4 2.3 0 2.2 5 1.6 8 1.9 5 2.1 1 2.4 2 2.6 1 2.4 3 2.3 8 2.1 9 2.5 6 2.2 7 2.1 0 1.8 5 1.4 7 2.5 0 1.8 8 5.3 .5. C oin vo lgi me nto ne lla va lut az ion e d el pr og ett o f or ma tiv o No n v alu taz ion e 5.6 6.5 7.7 3.7 13 .6 7.4 7.4 -- 8.0 4.3 11 .8 10 .7 -- 10 .0 7.7 11 .1 -- -- So lo op era tor i 27 .8 30 .4 26 .9 44 .4 31 .8 33 .3 11 .1 29 .2 20 .0 13 .0 17 .6 17 .9 38 .5 20 .0 23 .1 38 .9 47 .4 54 .5 Op era tor i + 1 ca teg ori a 24 .1 32 .6 46 .2 25 .9 31 .8 44 .4 22 .2 33 .3 48 .0 26 .1 29 .4 50 .0 15 .4 50 .0 61 .5 27 .8 26 .3 18 .2 Op era tor i + 2 c ate go rie 38 .9 23 .9 11 .5 25 .9 22 .7 14 .8 51 .9 25 .0 8.0 56 .5 41 .2 17 .9 30 .8 20 .0 7.7 22 .2 10 .5 -- M 2.0 0 1.7 9 1.6 7 1.7 4 1.6 4 1.6 7 2.2 8 1.9 5 1.6 7 2.3 5 2.0 0 1.7 8 1.9 1 1.8 0 1.6 9 1.6 1 1.5 6 1.2 5 5.3 .6. Va lor izz az ion e d eg li e sit i d ell a v alu taz ion e a i fi ni de l m igl ior am en to de l p erc or so No n c on sid era ti 20 .4 21 .7 23 .1 33 .3 36 .4 33 .3 7.4 8.3 12 .0 17 .4 17 .6 21 .4 15 .4 30 .0 15 .4 27 .8 21 .1 36 .4 So lo alc un i 24 .1 32 .6 28 .8 33 .3 36 .4 29 .6 14 .8 29 .2 28 .0 21 .7 52 .9 35 .7 53 .8 30 .0 23 .1 5.6 15 .8 18 .2 Tu tti o q ua si 46 .3 39 .1 38 .5 29 .6 18 .2 33 .3 63 .0 58 .3 44 .0 60 .9 17 .6 32 .1 15 .4 40 .0 61 .5 50 .0 57 .9 27 .3 5.3. Esecuzione del progetto formativo e gestione degli interventi di modifica M 2.2 9 2.1 9 2.1 7 1.9 6 1.8 0 2.0 0 2.6 5 2.5 2 2.3 8 2.4 3 2.0 0 2.1 2 2.0 0 2.1 0 2.4 6 2.2 7 2.3 9 1.8 9 Le ge nd a * 1° an no de lla pr im a s pe rim en taz ion e ( 20 00 -01 ) ** 2° an no de lla pr im a s pe rim en taz ion e ( 20 01 -02 ) ** * 1° an no de lla se co nd a s pe rim en taz ion e ( 20 01 -02 ) rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 68 69 1.29, rispettivamente; tale esigenza è stata avvertita particolarmente tra le fila del CIOFS/FP (M=1.43, in precedenza 1.33) e al nord (M=1.44, in precedenza 1.25), mentre al sud è venuta meno (M=1.10, in precedenza 1.24). 4.3.3.3. Valutazione degli interventi di modifica in itinere del progetto Nel 2° anno della prima sperimentazione, la valutazione degli interventi di mo- difica in itinere del progetto è stata fatta “spesso” soltanto in un CFP su cinque (21.7%), tuttavia rispetto al 1° (dove in più della metà dei Centri non è stata mai fat- ta) si può dire che si è avuto un lieve miglioramento (M=1.73 e 1.53, rispettivamen- te); un incremento delle valutazioni ha riguardato particolarmente il CNOS-FAP (M=1.58, in precedenza 1.29) ed il sud (M=1.93, in precedenza 1.53) e meno il CIOFS/FP (M=1.86, in precedenza 1.75) ed il centro (M=1.80, in precedenza 1.91) in quanto già nel 1° anno presentavano un più alto numero di CFP (tra un quarto e un terzo) impegnati alla valutazione in itinere degli interventi di modifica sul progetto. Anche nel 1° anno della seconda sperimentazione si registra un miglioramen- to a questo riguardo, sebbene contenuto, rispetto al 1° anno della prima (M=1.76 e 1.53, rispettivamente); ad esso hanno contribuito particolarmente i CFP delle regio- ni centrali, dove l’attività di valutazione è presente in circa due su tre (61.6%; M=2.08), mentre al sud è stata fatta dal 9.1% (M=1.29, in precedenza 1.53); e co- munque resta una maggioranza di Centri che non realizzano questa attività (attorno al 50%), per cui si può affermare che nell’arco della sperimentazione non si sono re- gistrati sostanziali cambiamenti al riguardo. Nel biennio, circa tre CFP su quattro non hanno risposto in merito agli stru- menti utilizzati per la valutazione degli interventi di modifica, mentre la rimanente quota (uno su quattro) ha segnalato i “verbali di verifica” (con particolare riferi- mento alle regioni del centro). 4.3.3.4. Efficacia delle azioni di recupero e approfondimento In riferimento all’efficacia delle azioni di recupero e approfondimento, anzitut- to bisogna dire che in entrambi gli anni della prima sperimentazione il 20% circa delle segnalazioni riguardano (in egual misura) o l’assenza, o la non necessità di ta- li azioni (11.1% nel 1° anno e 10.9% nel 2° - il CNOS-FAP e il nord si distinguono per segnalarne l’assenza durante il 2° anno, mentre il CIOFS/FP, il nord ed il sud per la non necessità durante il 1°). Tra le azioni realizzate, sempre nel confronto tra i due anni, si rileva un netto miglioramento in fatto di efficacia nel 2° anno della prima sperimentazione, sebbe- ne la valutazione media si collochi comunque sul livello della “parzialità” (M= da 2.04 del 1° a 2.30 del 2°); la “piena efficacia” riguarda decisamente le azioni rea- lizzate nel 41.7% dei CFP del CIOFS/FP (M=2.61, in precedenza 2.43) e in un ter- zo circa di quelli delle regioni centro-meridionali. Nel 1° anno della seconda sperimentazione si nota anzitutto una netta diminu- zione (e, nel CIOFS/FP, perfino della scomparsa) delle segnalazioni relative alla mancata o non necessaria realizzazione delle azioni di recupero/approfondimento e, rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 69 70 viceversa, un generale aumento di quelle valutate “pienamente efficaci” (34.6%; M= da 2.04 del 1° anno della prima sperimentazione a 2.25 della seconda); sostan- ziali miglioramenti sono avvenuti nel CNOS-FAP (M=1.68 e 2.11, rispettivamente) e meno nel CIOFS/FP dove invece le azioni si sono dimostrate efficaci fin dall’ini- zio (M=2.42 e 2.43, rispettivamente); tra le circoscrizioni un salto di qualità è stato realizzato nel 50% dei CFP del nord (M=2.38 e 2.56, rispettivamente). In merito agli strumenti utilizzati per rilevare l’efficacia delle azioni di recupe- ro si rileva un progressivo miglioramento nel tempo: intanto diminuiscono di circa 10 punti percentuale (dal 37% del 1° anno della prima sperimentazione al 28% del 2° anno e del 1° anno della seconda); contestualmente aumentano (da 40 a circa il 60%) i Centri che hanno fatto uso dei relativi “documenti delle azioni correttive”, mentre rimangono uno stesso numero (attorno al 45%) quelli che si sono serviti dei “verbali degli incontri”. 4.3.3.5. Coinvolgimento degli operatori, allievi, famiglie e partner vari A riguardo del coinvolgimento di operatori, allievi, famiglie e partner vari, è necessario premettere che in entrambi gli anni della prima sperimentazione le valu- tazioni non sono state effettuate in un ridotto numero di CFP (5-6% - con particola- re riferimento al CNOS-FAP e al nord); inoltre esse sono state realizzate per lo più dagli operatori, con qualche apertura ad altre categorie; e comunque il confronto sull’andamento del primo biennio porta ad evidenziare un progressivo restringi- mento del cerchio degli addetti alla valutazione (M=2.00 del 1° anno e 1.79 del 2°); tra i dati disaggregati un tale restringimento riguarda particolarmente il CIOFS/FP (M= da 2.28 a 1.95, rispettivamente) e il nord (M= da 2.35 a 2.00). Nel 1° anno della seconda sperimentazione si restringe ancor di più la parteci- pazione ai processi valutativi (M=1.67, in precedenza 2.00), con particolare riferi- mento al CIOFS/FP (M=1.67, in precedenza 2.28), al nord (M=1.78, in precedenza 2.35) e al sud (M=1.25, in precedenza 1.61). Per rilevare il coinvolgimento delle diverse categorie, in ambedue gli anni nell’80-90% dei Centri si è fatto ricorso (in particolare nel CNOS-FAP) al “proget- to formativo” e in una metà degli stessi ai “verbali degli organismi di lavoro” (in questo si distinguono soprattutto i CFP del CIOFS/FP). Per quanto riguarda il coinvolgimento dei vari attori nella valutazione del pro- getto formativo, l’andamento d’insieme nell’arco di tempo considerato lascia intra- vedere la preferenza a relegare le valutazioni nel ristretto cerchio degli operatori, senza allargarsi troppo verso altre categorie. 4.3.3.6. Valorizzazione degli esiti della valutazione in rapporto al migliora- mento del percorso Nel tentativo di apportare miglioramenti al percorso formativo, sono stati valoriz- zati gli esiti delle valutazioni, ma solo in parte e i dati sono in diminuzione nel tempo. Nel 2° anno della prima sperimentazione si nota infatti un primo calo (M=2.19, in precedenza 2.29), dovuto soprattutto ad un “cedimento” che si è provocato tra i rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 70 71 CFP del nord, dove si rileva che nel 1° anno il 60.9% ha saputo valorizzare tutti gli esiti delle valutazioni, mentre nel 2° anno la quota degli stessi è scesa al 17.6% (M=2.43 e 2.00, rispettivamente); va notato invece un leggero aumento che riguar- da oltre il 50% dei CFP del sud (M=2.27 e 2.39). Il 1° anno della seconda sperimentazione porta a rilevare un ulteriore calo (M=2.17, in precedenza 2.29) di cui sono protagonisti, oltre ai CFP del nord (M= da 2.43 a 2.12), anche quelli del sud (M= da 2.27 a 1.89) e in parte anche quelli del CIOFS/FP (M= da 2.65 a 2.38); in compenso un salto di qualità al riguardo è stato effettuato dai CFP delle regioni centrali (M=2.46, in precedenza 2.00), dove si regi- stra che circa i due terzi mettono a profitto tutti o quasi gli esiti ottenuti con le va- lutazioni effettuate. Al fine di valorizzare tali risultati, da parte del 60-70% dei CFP (con particola- re riferimento a quelli del CIOFS/FP) è stato attribuita una maggiore credibilità al “progetto di dettaglio formativo” e in un altro 20-30% dei casi ai “documenti di adeguamento del progetto formativo”. L’andamento complessivo dei dati di questa area porta a ritenere che, se rap- portati alla “conformità” al progetto, fanno ritenere che sostanzialmente si può es- sere ottimisti circa il buon esito delle sperimentazioni avviate. Se invece restringia- mo l’ottica sugli interventi di modifica e sulle azioni di recupero, sembra che ad es- si nell’arco di tempo considerato si sia data via via importanza minore, con tutta probabilità perché ritenuti sempre meno necessari. 4.3.4. Qualità della docenza e della didattica Attraverso l’area sulla qualità della docenza e della didattica si è inteso valuta- re la corrispondenza tra i requisiti del personale operativo e quelli richiesti dal pro- getto formativo, quanto efficace è risultato il coordinamento tra le diverse figure/ruoli, con quale frequenza è stato fatto il riesame delle azioni in corso e se le metodologie didattico-formative adottate corrispondono effettivamente a quelle in- dicate dal progetto (cfr. Tav. 23). 4.3.4.1. Corrispondenza tra i requisiti del personale e quelli richiesti dal pro- getto formativo Nel 2° anno della prima sperimentazione la corrispondenza tra i requisiti del per- sonale e quelli richiesti dal progetto formativo è stata considerata “piena” nella quasi totalità dei Centri (89.1%); nessuno ha riportato valutazioni negative ed il confronto con il 1° anno porta a rilevare un notevole passo in avanti al riguardo (M= da 2.65 a 2.91) tra tutte le categorie considerate, ma in particolare al nord (M= da 2.57 a 2.94). Anche nel 1° anno della seconda sperimentazione si rileva un elevato livello di corrispondenza (M=2.88), soprattutto se confrontato al 1° anno della prima (M=2.65); in questo caso, un maggiore profitto va attribuito al CIOFS/FP (M= da2.56 a 2.91). Per rilevare la corrispondenza, lungo i due anni, in quasi tutti i Centri coinvol- ti nella sperimentazione si è ricorso all’uso di entrambi gli strumenti previsti, ossia: rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 71 72 Ta v. 23 - Q ua lità de lla do cen za e d ell a d ida ttic a ( Sc he da n. 5, se zio ne 5. 4;i n % e in M) Ar ea Va lor i To tal i CN OS -F AP CI OF S/F P No rd Ce nt ro Su d I* 2° ** I ** * I* 2° ** I ** * I* 2° ** I ** * I* 2° ** I ** * I* 2° ** I ** * I* 2° ** I ** * 5.4 .1. La co rri spo nd en za tra re qu isi ti p ers on ali e qu ell i d el pro ge tto fo rm ati vo è sta ta: Su ffi cie nte 33 .3 8.7 11 .5 25 .9 4.5 14 .8 40 .7 12 .5 8.0 43 .5 5.9 10 .7 7.7 -- 15 .4 38 .9 15 .8 9.1 Pie na 63 .0 89 .1 84 .6 74 .1 95 .5 85 .2 51 .9 83 .3 84 .0 56 .5 94 .1 85 .7 76 .9 10 0.0 8 4.6 6 1.1 7 8.9 8 1.8 M 2 .65 2 .91 2 .88 2 .74 2 .95 2 .85 2 .56 2 .87 2 .91 2 .57 2 .94 2 .89 2 .91 3.0 0 2.8 5 2.6 1 2.8 3 2.9 0 5.4 .2. Il co ord ina me nto de lle di ve rse fig ure /ru oli è ris ult ato : Po co eff ica ce 7.4 2.2 1.9 11 .1 4.5 3.7 3.7 -- -- -- -- -- 15 .4 -- -- 11 .1 5.3 9.1 Ab ba sta nz a eff ica ce 48 .1 45 .7 44 .2 48 .1 72 .7 63 .0 48 .1 20 .8 24 .0 60 .9 52 .9 42 .9 38 .5 60 .0 53 .8 38 .9 31 .6 36 .4 Pie na me nte eff ica ce 38 .9 50 .0 50 .0 37 .0 22 .7 33 .3 40 .7 75 .0 68 .0 39 .1 47 .1 53 .6 30 .8 40 .0 46 .2 44 .4 57 .9 45 .5 M 2 .33 2 .49 2 .50 2 .27 2 .18 2 .30 2 .40 2 .78 2 .74 2 .39 2 .47 2 .56 2 .18 2.4 0 2.4 6 2.3 5 2.5 6 2.4 0 5.4 .3. Il rie sam e d ell ’az ion e i n c ors o è st ato fa tto : M ai o qu asi 9.3 10 .9 9.6 7.4 13 .6 14 .8 11 .1 8.3 4.0 -- 11 .8 10 .7 7.7 -- -- 22 .2 15 .8 18 .2 Qu alc he vo lta 48 .1 50 .0 38 .5 59 .3 59 .1 48 .1 37 .0 41 .7 28 .0 73 .9 58 .8 32 .1 23 .1 50 .0 46 .2 33 .3 42 .1 45 .5 Se mp re 37 .0 37 .0 40 .4 33 .3 27 .3 37 .0 40 .7 45 .8 44 .0 26 .1 29 .4 42 .9 53 .8 50 .0 53 .8 38 .9 36 .8 18 .2 M 2 .29 2 .27 2 .35 2 .26 2 .14 2 .22 2 .33 2 .39 2 .53 2 .26 2 .18 2 .38 2 .55 2.5 0 2.5 4 2.1 8 2.2 2 2.0 0 5.4 .4. La co rri spo nd en za al pro ge tto de lle m eto do log ie did att ico -fo rm ati ve è ris ult ata : Ba ssa 5.6 2.2 3.8 11 .1 4.5 7.4 -- -- -- 8.7 5.9 7.1 7.7 -- -- -- -- -- Su ffi cie nte 57 .4 54 .3 50 .0 74 .1 77 .3 70 .4 40 .7 33 .3 28 .0 52 .2 52 .9 32 .1 46 .2 70 .0 76 .9 72 .2 47 .4 63 .6 Pie na 29 .6 37 .0 36 .5 11 .1 18 .2 22 .2 48 .1 54 .2 52 .0 39 .1 41 .2 46 .4 23 .1 30 .0 23 .1 22 .2 36 .8 27 .3 5.4. Qualità della docenza e della didattica M 2 .26 2 .37 2 .36 2 .00 2 .14 2 .15 2 .54 2 .62 2 .65 2 .30 2 .35 2 .46 2 .20 2.3 0 2.2 3 2.2 4 2.4 4 2.3 0 Le ge nd a * 1° an no de lla pr im a s pe rim en taz ion e ( 20 00 -01 ) ** 2° an no de lla pr im a s pe rim en taz ion e ( 20 01 -02 ) ** * 1° an no de lla se co nd a s pe rim en taz ion e ( 20 01 -02 ) rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 72 73 l’”archivio dei ‘curricula’”, adottato tra il 90 ed il 100% dei Centri, e le “schede dei formatori” (nell’80-90% - in questo prevalgono, nei due anni della prima sperimen- tazione, i CFP del CIOFS/FP). 4.3.4.2. Coordinamento tra le diverse figure/ruoli Il coordinamento tra le diverse figure/ruoli è risultato “pienamente efficace” in almeno la metà dei Centri che hanno partecipato al 2° anno della prima sperimen- tazione e “abbastanza” nell’altra metà; una tale efficacia è notevolmente aumentata rispetto al 1° anno (M= da 2.33 a 2.49), soprattutto nel CIOFS/FP (M= da 2.40 a 2.78) e nelle regioni del centro (M= da 2.18 a 2.40) e del sud (M= da 2.35 a 2.56), mentre appare in controtendenza nel CNOS-FAP (M= da 2.27 a 2.18). Il 1° anno della seconda sperimentazione fa registrare una pari prestazione, os- sia il 50% dei Centri sono risultati “pienamente efficaci (M=2.50) ed è sempre il CIOFS/FP a riportare i risultati più elevati nel modo di coordinarsi tra le varie figure operative (M=2.74); e comunque si rileva al riguardo un generale miglioramento dap- pertutto, a significare che la precedente sperimentazione ha fatto da guida in merito. Per valutare l’efficacia del coordinamento si è fatto ricorso a tre strumenti, uti- lizzati quasi dappertutto lungo il biennio, ossia: l’”organigramma” (dal 72.2% del 1° anno della prima sperimentazione ad oltre il 90% negli anni successivi), il “crono- gramma delle attività” ed i “verbali delle riunioni” (nell’80% dei CFP, soprattutto del CIOFS/FP). 4.3.4.3. Riesame dell’azione In merito al riesame dell’azione non si rilevano né successi e neppure miglio- ramenti tra i due anni della prima sperimentazione: già fin del 1° anno appena un terzo dei Centri attuava il riesame, la metà qualche volta e il 10% mai, e un tale an- damento è rimasto sostanzialmente inalterato anche nel 2° anno, con qualche varia- zione in peggio tra i dati disaggregati (con particolare riferimento ai Centri del CNOS-FAP e del nord). La situazione appare migliore nel 1° anno della seconda sperimentazione, do- ve il numero dei Centri che effettuano “sempre” il riesame è leggermente superiore a quello che lo compiono “qualche volta” (40.4 e 38.5%, rispettivamente), mentre un 10% continua a non farlo “mai” (soprattutto al sud); ad alzare il livello di pre- stazioni sono ancora i Centri del CIOFS/FP (M=2.53, in precedenza 2.33) e in par- te anche quelli del nord (M=2.38, in precedenza 2.26). Per la rilevazione lungo i tre anni si è fatto uso, nel 60-70% dei Centri, dei “ver- bali delle riunioni” indette appositamente per il riesame delle azioni e, in un altro 50%, dei “documenti per la revisione dei piani didattici”. 4.3.4.4. Corrispondenza al progetto delle metodologie didattico-formative Nel 2° anno della prima sperimentazione la corrispondenza delle metodologie didattico formative al progetto è stata considerata “sufficiente” in oltre la metà dei Centri (54.3%) e “piena” in più di un terzo (37%), lasciando intravedere nell’insie- rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 73 74 me degli anni un certo miglioramento (M= da 2.26 a 2.37), in particolare tra le fila del CNOS-FAP (M= da 2.00 a 2.14). Nel 1° anno della seconda sperimentazione si ripropone un identico andamen- to (M=2.36) ed il confronto continua a privilegiare il CNOS-FAP (M= da 2.00 a 2.15) ed i Centri del nord (M= da 2.30 a 2.46). Per rilevare la corrispondenza, la maggioranza dei Centri (attorno al 70%, in particolare nel CIOFS/FP) ha utilizzato le “verifiche” effettuate da appositi gruppi di lavoro, una metà circa gli “stati di avanzamento” del progetto, mentre i “documen- ti di revisione dei piani didattici” sono stati presi in considerazione dal 20-25%. Se si prescinde dal bisogno di “riesaminare” l’azione (in genere ritenuto non necessario), le valutazioni riportate in quest’area attestano della meticolosità con cui si è inteso perseguire la “corrispondenza” ai vari punti del progetto. 4.3.5. Il clima dei rapporti in aula e fuori Nell’area relativa al clima dei rapporti in aula e fuori, si è previsto di valutare, come indicato nel titolo, la collaborazione/coinvolgimento degli utenti nelle attivi- tà/iniziative dentro e fuori l’aula (cfr. Tav. 24). 4.3.5.1. Collaborazione degli utenti al clima d’aula Fin dal 1° anno della prima sperimentazione, la collaborazione degli utenti al clima d’aula è stata considerata “piena” in oltre la metà dei CFP e “parziale” in po- co più di un terzo, e un identico andamento si ripropone anche nel 2°, per cui anche la media non subisce sostanziali variazioni (M=2.57 e 2.56, rispettivamente); tra i dati disaggregati si rileva invece un andamento in meglio tra le fila del CNOS-FAP (M= da 2.46 a 2.55) e in peggio nel CIOFS/FP (M= da 2.68 a 2.57) e al centro (M= da 2.64 a 2.60). Da parte degli utenti nel 1° anno della seconda sperimentazione, una tale colla- borazione è stata ulteriormente incrementata (M=2.60, in precedenza 2.57), con il contributo soprattutto dei CFP del sud (M=2.82, in precedenza 2.56). Nel valutare il clima d’aula, nella quasi totalità dei Centri coinvolti nella speri- mentazione è stato utilizzato il “Questionario gradimento utenti”; un ampio consen- so (attorno al 70%) è andato anche al “piano didattico-formativo”. 4.3.5.2. Coinvolgimento degli utenti nelle iniziative del CFP Nei due anni della prima sperimentazione anche il coinvolgimento degli uten- ti nelle iniziative del CFP si attesta nel complesso sugli stessi livelli (M=2.57 nel 1° e 2.59 nel 2°), ma con un andamento più differenziato rispetto ai valori della scala: “pieno” in circa i due terzi dei CFP, “sufficiente” tra il 25-30% e “scarso” attorno al 5%; tra i dati disaggregati si rileva un incremento nel CNOS-FAP (M= da 2.42 a 2.50) e una lieve flessione nel CIOFS/FP (M= da 2-72 a 2.68). Nel 1° anno della seconda sperimentazione il coinvolgimento appare nel com- plesso più accentuato (M=2.63, in precedenza 2.57), con particolare riferimento ai CFP del CNOS-FAP (M=2.63, in precedenza 2.42) e delle regioni del centro (M=2.62, in precedenza 2.45). rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 74 75 Ta v. 24 - I l c lim a d ei rap po rti in au la e f uo ri (Sc he da n. 5, se zio ne 5. 5; in % e i n M ) Ar ea Va lor i To tal i CN OS -F AP CI OF S/F P No rd Ce nt ro Su d I* 2° ** I ** * I* 2° ** I ** * I* 2° ** I ** * I* 2° ** I ** * I* 2° ** I ** * I* 2° ** I ** * 5.5 .1. La co lla bo raz ion e d eg li u ten ti a l c lim a d ’au la è r isu lta ta: Sc ars a 1.9 2.2 -- -- -- -- 3.7 4.2 -- -- -- -- -- -- -- 5.6 5.3 -- Pa rzi ale 37 .0 39 .1 40 .4 51 .9 45 .5 44 .4 22 .2 33 .3 36 .0 43 .5 41 .2 42 .9 30 .8 60 .0 53 .8 33 .3 26 .3 18 .2 Pie na 55 .6 56 .5 59 .6 44 .4 54 .5 55 .6 66 .7 58 .3 64 .0 52 .2 58 .8 57 .1 53 .8 40 .0 46 .2 61 .1 63 .2 81 .8 M 2 .57 2 .56 2 .60 2 .46 2 .55 2 .56 2 .68 2 .57 2 .64 2 .55 2 .59 2 .57 2 .64 2 .40 2 .46 2 .56 2 .61 2 .82 5.5 .2. Il co inv olg im en to de gli ut en ti n ell e a ttiv ità de l C en tro è sta to: Sc ars o 7.4 4.3 3.8 11 .1 4.5 3.7 3.7 4.2 4.0 4.3 -- -- 15 .4 -- 7.7 5.6 10 .5 9.1 Su ffi cie nte 2 5.9 3 0.4 2 8.8 3 3.3 4 0.9 2 9.6 1 8.5 2 0.8 2 8.0 3 4.8 4 1.2 3 9.3 1 5.4 5 0.0 2 3.1 2 2.2 1 0.5 9.1 Pie no 61 .1 60 .9 67 .3 51 .9 54 .5 66 .7 70 .4 66 .7 68 .0 56 .5 52 .9 60 .7 53 .8 50 .0 69 .2 72 .2 73 .7 81 .8 5.5. Clima dei rapporti in aula e fuori M 2 .57 2 .59 2 .63 2 .42 2 .50 2 .63 2 .72 2 .68 2 .64 2 .55 2 .56 2 .61 2 .45 2 .50 2 .62 2 .67 2 .67 2 .73 Le ge nd a * 1° an no de lla pr im a s pe rim en taz ion e ( 20 00 -01 ) ** 2° an no de lla pr im a s pe rim en taz ion e ( 20 01 -02 ) ** * 1° an no de lla se co nd a s pe rim en taz ion e ( 20 01 -02 ) rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 75 76 Per valutare il clima fuori dell’aula sono stati presi in considerazione, sebbene in diversa misura, tutti e cinque gli strumenti elencati nella scheda. Tre di essi ri- guardano tra l’80 % (del 1° anno) fino quasi al 100% (dei successivi) dei CFP: le “attività religiose”, i “momenti di aggregazione programmati” e le “opportunità per incontrarsi”; dei rimanenti, il 50-60% dei CFP ha segnalato gli “organismi di parte- cipazione”, mentre il ricorso all’associazionismo è stato segnalato da uno su cinque (soprattutto dai CFP del CNOS-FAP). Anche in merito alla collaborazione degli utenti e al loro coinvolgimento nelle differenti iniziative del Centro, con particolare riferimento ai momenti di aggrega- zione e alla partecipazione alle attività religiose, le valutazioni nel complesso sono risultate particolarmente elevate ed in progressiva crescita nell’arco dei tre anni (cfr. Tav. 25). 4.3.6. Adeguatezza dell’organizzazione L’ultima area della scheda 5/I ha preso in considerazione la funzione organiz- zativa nei suoi differenti aspetti: l’attivazione delle funzioni previste nel progetto, l’adeguatezza degli ambienti alle attività del progetto, la conformità alle norme vi- genti del sistema di sicurezza e delle modalità di trattamento dati degli allievi, l’ef- ficacia delle azioni direttive e di coordinamento, l’efficacia delle funzioni di sup- porto all’utenza e ai formatori (cfr Tav. 25). 4.3.6.1. Attivazione delle funzioni previste dal progetto Nel 2° anno della prima sperimentazione, “molte” delle funzioni previste dal progetto sono state attivate in più di due Centri su tre (67.4%), mentre nel 1° anno erano la metà; il confronto sulle medie (da 2.55 a 2.69) attesta del passaggio di qua- lità nell’adeguare le funzioni al progetto; lungo i due anni, un aumento più sostan- ziale si è verificato nel CIOFS/FP (M= da 2.67 a 2.78) e nelle regioni centrali (M= da 2.27 a 2.60) e del sud (M= da 2.44 a 2.72). Nel 1° anno della seconda sperimentazione questa attività presenta un leggero calo (M=2.65), seppure in netto miglioramento se confrontata con i risultati del 1° an- no della prima sperimentazione (M=2.55); si distinguono ancora i CFP del CIOFS/FP (M=2.75), mentre il CNOS-FAP rimane al di sotto della media generale (M=2.56). L’attivazione delle funzioni è stata rilevata unicamente con i “documenti di for- malizzazione degli incarichi”, con una percentuale che va dal 74.1% del 1° anno della prima sperimentazione, all’80% circa del 2° anno della prima e del 1° della se- conda. I rimanenti referenti non hanno risposto. 4.3.6.2. Adeguatezza degli ambienti rispetto alle attività del progetto Durante il 1° anno della prima sperimentazione le aule, i laboratori ed altri am- bienti ancora sono stati valutati “pienamente adeguati” in oltre tre CFP su quattro (77.8%), mentre nel 2° anno scendono ad un rapporto di due su tre (67.4%); il con- fronto tra le medie (2.84 e 2.68, rispettivamente) attesta di un’inversione di marcia che ha coinvolto quasi tutti i Centri, senza particolari distinzioni per enti e circo- scrizioni. L’andamento dei dati sembrerebbe attestare di sopravvenute esigenze rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 76 77 Ta v. 25 - A de gu ate zza de ll’o rga niz zaz ion e ( Sc he da n. 5, se zio ne 5. 6; in % e i n M ) Ar ea Va lor i To tal i CN OS -F AP CI OF S/F P No rd Ce ntr o Su d I* 2° ** I* ** I* 2° ** I* ** I* 2° ** I* ** I* 2° ** I* ** I* 2° ** I* ** I* 2° ** I* ** 5.6 .1. Le fu nz ion i d el pr og ett o f or ma tiv o s on o s tat e a ttiv ate : Ne ssu na 5.6 -- -- 11 .1 -- -- -- -- -- -- -- -- 15 .4 -- -- 5.6 -- -- Va rie 29 .6 30 .4 34 .6 29 .6 40 .9 44 .4 29 .6 20 .8 24 .0 21 .7 29 .4 21 .4 30 .8 40 .0 61 .5 38 .9 26 .3 36 .4 M olt e 55 .6 67 .4 63 .5 51 .9 59 .1 55 .6 59 .3 75 .0 72 .0 73 .9 70 .6 78 .6 38 .5 60 .0 38 .5 44 .4 68 .4 54 .5 M 2.5 5 2.6 9 2.6 5 2.4 4 2.5 9 2.5 6 2.6 7 2.7 8 2.7 5 2.7 7 2.7 1 2.7 9 2.2 7 2.6 0 2.3 8 2.4 4 2.7 2 2.6 0 5.6 .2. Ri sp ett o a lle at tiv ità de l p ro ge tto fo rm ati vo , g li a mb iti so no ri su lta ti a de gu ati : Po co 1.9 2.2 1.9 3.7 4.5 3.7 -- -- -- -- -- -- 7.7 10 .0 7.7 -- -- -- Ab ba sta nz a 11 .1 26 .1 25 .0 11 .1 27 .3 22 .2 11 .1 25 .0 28 .0 4.3 17 .6 17 .9 15 .4 40 .0 38 .5 16 .7 26 .3 27 .3 Pie na me nte 77 .8 67 .4 69 .2 74 .1 63 .6 70 .4 81 .5 70 .8 68 .0 91 .3 82 .4 82 .1 53 .8 50 .0 53 .8 77 .8 63 .2 54 .5 M 2.8 4 2.6 8 2.7 0 2.7 9 2.6 2 2.6 9 2.8 8 2.7 4 2.7 1 2.9 5 2.8 2 2.8 2 2.6 0 2.4 0 2.4 6 2.8 2 2.7 1 2.6 7 5.6 .3. Ri sp ett o a lle no rm e v ige nti , il si ste ma si cu rez za è ris ult ato co nfo rm e Sc ars am en te 1.9 2.2 -- 3.7 4.5 -- -- -- -- 4.3 5.9 -- -- -- -- -- -- -- In pa rte 18 .5 32 .6 36 .5 29 .6 36 .4 44 .4 7.4 29 .2 28 .0 8.7 35 .3 21 .4 53 .8 60 .0 76 .9 5.6 15 .8 27 .3 Pie na me nte 72 .2 63 .0 57 .7 59 .3 59 .1 48 .1 85 .2 66 .7 68 .0 82 .6 58 .8 75 .0 30 .8 40 .0 15 .4 88 .9 78 .9 63 .6 M 2.7 6 2.6 2 2.6 1 2.6 0 2.5 5 2.5 2 2.9 2 2.7 0 2.7 1 2.8 2 2.5 3 2.7 8 2.3 6 2.4 0 2.1 7 2.9 4 2.8 3 2.7 0 5.6 .4. Ri sp ett o a lle no rm e v ige nti , il tr att am en to da ti d eg li a llie vi è r isu lta to co nfo rm e: So lo in pa rte 3.7 10 .9 11 .5 -- 22 .7 22 .2 7.4 -- -- -- 17 .6 14 .3 -- 10 .0 7.7 11 .1 5.3 9.1 Pie na me nte 87 .0 87 .0 84 .6 88 .9 77 .3 74 .1 85 .2 95 .8 96 .0 95 .7 82 .4 82 .1 76 .9 90 .0 92 .3 83 .3 89 .5 81 .8 M 2.9 6 2.8 9 2.8 8 3.0 0 2.7 7 2.7 7 2.9 2 3.0 0 3.0 0 3.0 0 2.8 2 2.8 5 3.0 0 2.9 0 2.9 2 2.8 8 2.9 4 2.9 0 5.6 .5. N ell ’at tua zio ne de l p ro ge tto le fu nz ion i d ire ttiv e e di co or din am en to, so no st ate : Di sc ars o a iut o 3.7 2.2 -- 7.4 4.5 -- -- -- -- 4.3 5.9 -- 7.7 -- -- -- -- -- Ab ba sta nz a d i a iut o 31 .5 34 .8 38 .5 37 .0 45 .5 59 .3 25 .9 25 .0 16 .0 30 .4 29 .4 35 .7 15 .4 60 .0 53 .8 44 .4 26 .3 27 .3 Di gr an de ai uto 55 .6 60 .9 57 .7 48 .1 50 .0 40 .7 63 .0 70 .8 76 .0 60 .9 64 .7 60 .7 53 .8 40 .0 46 .2 50 .0 68 .4 63 .6 M 2.5 7 2.6 0 2.6 0 2.4 4 2.4 5 2.4 1 2.7 1 2.7 4 2.8 3 2.5 0 2.5 9 2.6 3 2.6 0 2.4 0 2.4 6 2.5 3 2.7 2 2.7 0 5.6 .6. N ell ’in sie me de lle fu nz ion i, i l s up po rto al l’u ten za è ris ult ato ef fic ac e: Po co ef fic ac i 1.9 -- -- 3.7 -- -- -- -- -- -- -- -- -- -- -- 5.6 -- -- In pa rte ef fic ac i 14 .8 17 .4 17 .3 25 .9 31 .8 29 .6 3.7 4.2 4.0 21 .7 23 .5 21 .4 15 .4 20 .0 7.7 5.6 10 .5 18 .2 Pie na me nte ef fic ac i 72 .2 80 .4 80 .8 59 .3 68 .2 70 .4 85 .2 91 .7 92 .0 73 .9 76 .5 78 .6 53 .8 80 .0 93 .2 83 .3 84 .2 72 .7 M 2.7 9 2.8 2 2.8 2 2.6 3 2.6 8 2.7 0 2.9 6 2.9 6 2.9 6 2.7 7 2.7 6 2.7 9 2.7 8 2.8 0 2.9 2 2.8 2 2.8 9 2.8 0 5.6 .7. N ell ’in sie me de lle az ion i, i l s up po rto ai fo rm ato ri è r isu lta to eff ica ce : Po co ef fic ac i 1.9 2.2 1.9 3.7 4.5 3.7 -- -- -- -- -- -- 7.7 -- -- -- 5.3 9.1 In pa rte ef fic ac i 18 .5 21 .7 25 .0 37 .0 36 .4 37 .0 -- 8.3 12 .0 30 .4 41 .2 28 .6 15 .4 10 .0 23 .1 5.6 10 .5 18 .2 Pie na me nte ef fic ac i 64 .8 73 .9 69 .2 48 .1 59 .1 59 .3 81 .5 87 .5 80 .0 65 .2 58 .8 67 .9 53 .8 90 .0 76 .9 72 .2 78 .9 63 .6 5.6. Adeguatezza della organizzazione M 2.7 4 2.7 3 2.7 0 2.5 0 2.5 5 2.5 6 3.0 0 2.9 1 2.8 7 2.6 8 2.5 9 2.7 0 2.6 0 2.9 0 2.7 7 2.9 3 2.7 8 2.6 0 Le ge nd a * 1° an no de lla pr im a s pe rim en taz ion e ( 20 00 -01 ) ** 2° an no de lla pr im a s pe rim en taz ion e ( 20 01 -02 ) ** * 1° an no de lla se co nd a s pe rim en taz ion e ( 20 01 -02 ) rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 77 78 parallelamente allo stato di avanzamento del progetto; in pratica, mentre certi fatto- ri logistici di ordine spazio-temporale nel 1° anno potevano sembrare sufficienti, nel 2° risultavano già meno adeguati rispetto allo svolgimento delle attività di spe- rimentazione, per cui si è avvertita la necessità di una maggiore adeguatezza: un da- to di cui bisognerà tener conto nel prosieguo. Nel 1° anno della seconda sperimentazione il disagio dovuto a fattori di inade- guatezza permane e/o si ripropone grosso modo con le stesse accentuazioni riporta- te sopra: in pratica un Centro su quattro non ritiene gli ambiti utilizzati per la speri- mentazione “pienamente adeguati” ed il confronto con il 1° anno della prima conti- nua ad essere penalizzante dappertutto (M=2.70, in precedenza 2.84). Il computo delle aule, dei laboratori e di altri ambienti attraverso cui è stato va- lutato il grado di adeguatezza è stato riportato soltanto nel 1° anno della prima spe- rimentazione. 4.3.6.3. Conformità alle norme vigenti del sistema sicurezza La conformità alle norme vigenti del sistema di sicurezza rientra tra i fattori che attestano della qualità di un sistema; nel confronto tra i due anni della prima speri- mentazione, ancora una volta, purtroppo, si rileva una mancata applicazione da par- te di circa il 10% di Centri del 2° anno (M= da 2.76 a 2.62); tale gap si fa evidente soprattutto nel CIOFS/FP (M=2.70, in precedenza 2.92) e al nord (M=2.53, in pre- cedenza 2.82), mentre al centro si rileva un miglioramento di circa 10 punti percen- tuale (M=2.40, in precedenza 2.36). Nel 1° anno della seconda sperimentazione aumentano ancor più i CFP che di- chiarano di non essere conformi alle norme in fatto di sistema di sicurezza (36.5%, nel 1° anno della prima erano il 18.5%; M=2.61 e 2.76, rispettivamente), e il “cedi- mento” sembra riguardare in particolare quelli delle regioni centrali, dove si segna- la che almeno tre su quattro risultano conformi solo “in parte” (M=2.17, a fronte di una media generale che è di 2.61). La conformità è stata rilevata unicamente attraverso il “piano per la sicurezza” segnalato, nel 1° anno della prima sperimentazione, dall’83.3% dei Centri, mentre negli anni successivi si attesta attorno al 90%; in tutti e tre gli anni si distinguono il CIOFS/FP e le regioni del nord e del sud. 4.3.6.4. Conformità alle norme vigenti del trattamento dati degli allievi Per ciò che concerne conformità alle norme vigenti del trattamento dati degli allievi, la percentuale dei CFP che hanno attivato “pienamente” questa funzione nei due anni della prima sperimentazione è rimasta la stessa (87%), ma nel frat- tempo sono aumentati quelli “parzialmente” conformi e di conseguenza il con- fronto penalizza ancora una volta lo stato di avanzamento del progetto (M=2.89, in precedenza 2.96). Una minore conformità ha riguardato il CNOS-FAP (scesa da M=3.00 a 2.77), il nord (M= da 3.00 a 2.82) e il centro (M= da 3.00 a 2.90); men- tre l’aumento è avvenuto nel CIOFS/FP (M= da 2.92 a 3.00) e al sud (M= da 2.88 a 2.94). rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 78 79 Il 1° anno della seconda sperimentazione non presenta particolari andamenti, in quanto rimane sia in generale che tra i dati disaggregati sugli stessi livelli del 1° an- no della prima. Si è potuto rilevare il trattamento dati degli allievi attraverso l’apposito modu- lo per la raccolta e l’elaborazione dei dati, utilizzato dal 90% circa dei CFP in tutti e tre gli anni. 4.3.6.5. Aiuto offerto all’attuazione del progetto dalle funzioni direttive e di coordinamento Nei due anni della prima sperimentazione sono passati dal 55% al 60% i CFP che hanno ricevuto un forte sostegno dalle funzioni direttive e di coordinamento per l’attuazione del progetto (attestato anche dalle medie=2.57 e 2.60, rispettivamente), con particolare riferimento al nord (M= da 2.50 a 2.59) e al sud (M= da 2.53 a 2.72), mentre è in controtendenza il centro (M= da 2.60 a 2.40). Il 1° anno della seconda sperimentazione presenta gli stessi valori (M=2.60), ma tra i dati disaggregati il CNOS-FAP ed il centro si collocano ben al di sotto del- la media (2.41 e 2.46, rispettivamente), e il CIOFS/FP ed il sud si distinguono per le quotazioni più elevate (M=2.83 e 2.70, rispettivamente). L’efficacia delle funzioni direttive e di coordinamento è stata documentata at- traverso l’utilizzo congiunto e in egual misura di tre strumenti lungo gli anni consi- derati: “il progetto”, “l’organigramma” ed i “verbali degli incontri”; con la diffe- renza che mentre nel 1° anno della prima sperimentazione ha riguardato l’80% cir- ca dei CFP, negli anni successivi si è avuto un aumento del 10% di quelli che ne hanno fatto uso. 4.3.6.6. Efficacia delle funzioni di supporto offerte all’utenza (segreteria, orientamento, ecc.) Nel confronto tra i due anni della prima sperimentazione si rileva un aumento di circa 8 punti percentuale tra i Centri che hanno offerto “pieno” supporto all’u- tenza, fino a raggiungere quota 80% nel 2° anno (M= da 2.79 a 2.82), con partico- lare riferimento al CIOFS/FP dove raggiungono il 91.7% (M=2.96). Rimangono ancora l’80% i Centri che nel 1° anno della seconda sperimenta- zione hanno usufruito di un supporto “pieno”; il confronto con il 1° anno della pri- ma è a vantaggio soprattutto dei CFP delle regioni centrali, passati nel frattempo dal 53.8 al 93.2% (M= da 2.78 a 2.92). L’efficacia di tali funzioni è stata valutata in tutti gli anni attraverso la presen- za o meno della pianificazione: – delle “funzioni” stesse, passata dal 74.1% dei Centri del 1° anno della prima sperimentazione, all’80.4% del 2° anno, all’86.5% del 1° della seconda speri- mentazione; – dei “servizi”, che dopo aver visto un aumento dei Centri che la praticano (dal 75.9% del 1° anno della prima sperimentazione all’87% del 2°), successiva- mente si è assestata all’86.5%; rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 79 80 – dei “tempi di segreteria”, che ha coinvolto l’80% circa dei Centri della prima sperimentazione e successivamente è passata all’86.5%. 4.3.6.7. Efficacia delle funzioni di supporto offerte ai formatori (strumenti, formazione, ecc.) Anche nel caso dell’efficacia delle funzioni di supporto offerte ai formatori, si rileva uno scarto di circa 10 punti percentuali in più dei CFP dove l’efficacia è ri- sultata “piena” passando, nell’arco di tempo dei due anni della prima sperimenta- zione, dal 64.8% al 73.9%, anche in questo caso grazie al contributo delle regioni centrali (dal 53.8% al 90%; M= da 2.60 a 2.90). Nel 1° anno della seconda sperimentazione si rileva un leggero aumento, ri- spetto a quelli del 1° anno della prima (dal 64.8% al 69.2%), da attribuire sempre ai CFP delle regioni centrali, seppure più modesto (dal 53.8% al 76.9%). L’efficacia di tali funzioni ha riguardato prioritariamente la “formazione dei formatori”, segnalata nel 72.2% dei Centri del 1° anno della prima sperimentazione e passata al 90% negli anni successivi; e i “verbali delle riunioni per valutare le fun- zioni attivate a supporto del personale”, i quali, tuttavia, lungo gli anni presi in con- siderazione, sono stati segnalati in circa la metà dei Centri. In pratica, se si prescinde da alcune funzioni (con particolare riferimento a quel- le direttive e di sostegno all’utenza), nei confronti di tutte le altre si rileva nel bien- nio un progressivo allentamento e/o abbassamento della guardia, in particolare per quanto riguarda fattori di adeguatezza e conformità alle norme vigenti. 4.4. Monitoraggio finale dell’attuazione dell’azione formativa da parte dei re- ferenti della FPI Attraverso la scheda volta al monitoraggio finale dell’attuazione dell’azione formativa (n. 7), si è inteso valutare complessivamente (ossia nell’insieme della du- rata dei due anni) la sperimentazione, realizzata a partire dal 2000. Di conseguenza, ad essa hanno risposto unicamente quei Centri dove la sperimentazione è stata av- viata nel 2000 e portata a termine nel 2002. Lo strumento comprende 5 aree di monitoraggio/valutazione: 1) la rispondenza agli standard di qualifica; 2) la qualità della progettazione in rapporto ai criteri di coerenza, congruenza, ef- ficacia, efficienza, effetto moltiplicatore; 3) il perseguimento degli obiettivi posti dal progetto; 4) la presenza di un dispositivo di certificazione degli esiti adeguato al contesto professionale; 5 la ricaduta in termini di restituzione e follow-up. Alla scheda hanno risposto 43 Centri: 23 del CNOS-FAP (53.5%) e 20 del CIOFS/FP (46.5%); 17 al nord (39.5%, di cui 11 del CNOS-FAP), 13 al centro (30.2%, di cui 7 del CIOFS/FP del Lazio) e 13 al sud (30.2%, tutti della Sicilia, 6 del CNOS-FAP e 7 del CIOFS/FP). rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 80 81 9 Molto=1, di conseguenza più è bassa la media e più positiva è la valutazione. Ente Circoscrizioni Totale Cnos-Fap Ciofs/Fp Nord Centro Sud 7.1.1. La raccolta dei dati circa gli standard di qualifica è risultata adeguata: NR 14.0 8.7 20.0 -- 38.5 7.7 Molto 30.2 30.4 30.0 29.4 30.8 30.8 Abbastanza 39.5 39.1 40.0 41.2 15.4 61.5 Poco 14.0 17.4 10.0 23.5 15.4 -- Per nulla 2.3 4.3 -- 5.9 -- -- M 1.86 1.95 1.75 2.06 1.75 1.67 7.1.2. Nella realizzazione della sperimentazione la Regione/Provincia sono state coinvolte: NR 14.0 8.7 20.0 -- 38.5 7.7 Molto 14.0 21.7 5.0 17.6 -- 23.1 Abbastanza 34.9 39.1 30.0 52.9 23.1 23.1 Poco 30.2 30.4 30.0 23.5 30.8 38.5 Per nulla 7.0 -- 15.0 5.9 7.7 7.7 M 2.35 2.10 2.69 2.18 2.75 2.33 7.1.3.1.. Nell’elaborazione dei profili/competenze i committenti (Regione/Provincia) sono stati coinvolti: NR 16.3 8.7 25.0 -- 38.5 15.4 Molto 20.9 39.1 -- 29.4 7.7 23.1 Abbastanza 23.3 13.0 35.0 29.4 23.1 15.4 Poco 14.0 21.7 5.0 11.8 15.4 15.4 Per nulla 25.6 17.4 35.0 29.4 15.4 30.8 M 2.53 2.19 3.00 2.41 2.63 2.64 7.1.3.2. Nell’elaborazione dei profili/competenze i partners (imprese) sono stati coinvolti: NR 14.0 4.3 25.0 -- 30.8 15.4 Molto 4.7 4.3 5.0 5.9 7.7 -- Abbastanza 30.2 34.8 25.0 47.1 15.4 23.1 Poco 25.6 43.5 5.0 29.4 7.7 38.5 Per nulla 25.6 13.0 40.0 17.6 38.5 23.1 M 2.84 2.68 3.07 2.59 3.11 3.00 7.1.4. Gli standard corrispondono alla progettazione formativa: NR 20.9 13.0 30.0 11.8 38.5 15.4 Molto 23.3 26.1 20.0 35.3 -- 30.8 Abbastanza 55.8 60.9 50.0 52.9 61.5 53.8 M 1.71 1.70 1.71 1.60 2.00 1.64 Tav. 26 - Rispondenza agli standard di qualifica (Scheda n. 7, sezione 7.1.; in % e in M) 4.4.1. La rispondenza agli standard di qualifica La raccolta dei dati circa gli standard di qualifica (scheda 7, sezione 7.1.1.) nel- l’insieme è stata valutata “abbastanza” adeguata (M=1.86)9, in particolare nel CIOFS/FP (M=1.75) e nelle regioni centro-meridionali (M=1.75 e 1.67, rispettiva- mente), mentre una maggiore (seppure lieve) inadeguatezza si riscontra nel CNOS- FAP e al nord (cfr. Tav. 26). Viceversa, le valutazioni relative al coinvolgimento nella sperimentazione dei vari attori sociali presentano dappertutto quozienti bassi/scarsi di partecipazione; in particolare: – le Regioni/Province (scheda 7, sezione 7.1.2.) in genere sono risultate “poco” coinvolte nella sperimentazione (M=2.35), soprattutto nel CIOFS/FP (M=2.69) e nelle regioni del centro (M=2.75); rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 81 82 – si è rivelato ancora minore il coinvolgimento nell’elaborazione dei profili/com- petenze da parte delle Regioni/Province (M=2.53; scheda 7, sezione 7.1.3.1.) e soprattutto delle imprese (M=2.83; scheda 7, sezione 7.1.3.2.); in entrambe le valutazioni si distinguono, per aver maggiormente accentuato il mancato coin- volgimento, il CIOFS/FP e le regioni del centro-sud. Al contrario la rispondenza degli standard alla progettazione formativa (sche- da 7, sezione 7.1.4) è risultata dappertutto tra molto e abbastanza adeguata (M=1.71); nessun Centro ha dato giudizi negativi e tuttavia 9 di essi (20.9%) non hanno fornito alcuna valutazione in merito. A questo riguardo va notato che un certo comportamento assenteista da parte del 14-20% dei CFP ha riguardato pressoché tutte le valutazioni di questa prima area. E comunque, se si prescinde dallo scarso coinvolgimento dei vari partners nel- l’elaborare i profili/competenze per la realizzazione della sperimentazione, in gene- re gli standard di qualifica sono risultati dappertutto “abbastanza” rispondenti alla progettazione formativa ed il 60-80% dei Centri (con particolare riferimento al CIOFS/FP) ha potuto documentare tale rispondenza attraverso appositi strumenti di rilevamento. 4.4.2. Qualità della progettazione Per valutare i risultati in termini di qualità della progettazione, si è fatto riferi- mento alla concretezza degli obiettivi in operazioni pratiche, alla congruenza con le caratteristiche del contesto territoriale, all’adeguatezza delle metodologie agli esiti formativo-professionalizzanti e ai bisogni degli allievi, ed infine all’adeguatezza delle risorse (cfr. Tav. 27). Nel primo caso, tanto la concretezza degli obiettivi (M=1.81; scheda 7, sezione 7.2.1.1.) come la loro traducibilità in operazioni pratiche (M=1.79; scheda 7, sezio- ne 7.2.1.2.) sono risultate nel 40-50% dei CFP “abbastanza” adeguati e nel 20-30% anche “molto”, con particolare riferimento, in entrambi i casi, al CIOFS/FP (M=1.68 e 1.69, rispettivamente); e tuttavia va osservato che sulla fattibilità pesa l’assenza di 9 Centri (suddivisi in parti simili tra i due enti). In 42 CFP su 43, la concretezza è stata rilevata attraverso “prove di valutazione degli allievi” e in 19 attraverso la “re- lazione dei tutor”; mentre l’avvenuta traduzione degli obiettivi in operazioni prati- che ha trovato riscontro in oltre tre Centri su quattro attraverso i “verbali delle veri- fiche in itinere”. Rispetto alle caratteristiche del contesto territoriale ed organizzativo di riferi- mento degli utenti (scheda 7, sezione 7.2.2.), l’impianto didattico del progetto è ri- sultato pure “abbastanza” congruente in circa la metà dei Centri (46.5%) e “molto” in un terzo (32.6%; M=1.88), in particolare nel CNOS-FAP (M=1.65) e al nord (M=1.53); nel frattempo sono aumentate le valutazioni negative da parte soprattut- to di 7 Centri (per lo più del CIOFS/FP, delle regioni centro-meridionali). Tale con- gruenza è stata rilevata, nel 90-100% dei CFP, attraverso la “valutazione aziendale” e dello “stage”. rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 82 83 In relazione agli esiti formativi e professionalizzanti (scheda 7, sezione 7.2.3.), le metodologie di insegnamento/apprendimento sono risultate in circa due Centri su tre “abbastanza” adeguate (67.4%) e “molto” nella restante quota (25.6%; M=1.79); si mettono in evidenza il CIOFS/FP (M=1.74), il nord (M=1.71) ed il sud (M=1.76). Nell’80-90% dei CFP l’adeguatezza è stata rilevata attraverso il “progetto di detta- glio” e la “pianificazione didattica”. Nel confronto con i bisogni individuali degli allievi (scheda 7, sezione 7.2.4.), la metodologia didattica di personalizzazione e di autoformazione presenta valori medi più bassi ma pur sempre sul livello dell’”abbastanza” (M=2.07); ciò va attri- Tav. 27 - Qualità della progettazione in rapporto ai criteri di coerenza, congruenza, efficacia, efficienza, effetto moltiplicatore (Scheda n. 7, sezione 7.2; in % e in M) Ente Circoscrizioni Totale Cnos-Fap Ciofs/Fp Nord Centro Sud 7.2.1.1.Gli obiettivi del progetto erano realistici? NR 2.3 -- 5.0 -- -- 7.7 Molto 27.9 26.1 30.0 41.2 7.7 30.8 Abbastanza 40.5 56.5 65.0 52.9 76.9 53.8 Poco 9.3 17.4 -- 5.9 15.4 7.7 M 1.81 1.91 1.68 1.65 2.08 1.75 7.2.1.2. Gli obiettivi del progetto erano traducibili in operazioni pratiche? NR 20.9 23.7 20.0 23.5 23.1 15.4 Molto 20.9 17.4 25.0 23.5 7.7 30.8 Abbastanza 53.5 52.2 55.0 47.1 69.2 46.2 Poco 4.7 8.7 -- 5.9 -- 7.7 M 1.79 1.89 1.69 1.77 1.90 1.75 7.2.2. Congruenza dell’impianto didattico alle caratteristiche del contesto territoriale NR 2.3 -- 5.0 -- -- 7.7 Molto 32.6 39.1 25.0 52.9 7.7 30.8 Abbastanza 46.5 56.5 35.0 41.2 53.8 46.2 Poco 16.3 4.3 30.0 5.9 30.5 7.7 Per nulla 2.3 -- 5.0 -- -- 7.7 M 1.88 1.65 2.16 1.53 2.31 1.92 7.2.3. Adeguatezza delle metodologie di insegnamento agli esiti formativi e professionalizzanti NR 2.3 -- 5.0 -- -- 7.7 Molto 25.6 21.7 30.0 35.3 7.7 30.8 Abbastanza 67.4 75.9 60.0 58.8 84.6 61.5 Poco 4.7 4.3 5.0 5.9 7.7 -- M 1.79 1.83 1.74 1.71 2.00 1.67 7.2.4. Adeguatezza delle metodologie didattiche ai bisogni degli allievi NR 2.3 -- 5.0 -- -- 7.7 Molto 11.6 17.4 5.0 5.9 15.4 15.4 Abbastanza 69.8 60.9 80.0 76.5 61.5 69.2 Poco 14.0 17.4 10.0 17.6 23.1 -- Per nulla 2.3 4.3 -- -- -- 7.7 M 2.07 2.09 2.05 2.12 2.08 2.00 7.2.5. Adeguatezza delle risorse al progetto di dettaglio e al piano didattico NR 2.3 -- 5.0 -- - 7.7 Molto 34.9 34.8 35.0 58.8 -- 38.5 Abbastanza 55.8 36.5 55.0 35.3 100.0 38.5 Poco 4.7 8.7 -- -- -- 15.4 Per nulla 2.3 -- 5.0 5.9 -- -- M 1.74 1.74 1.74 1.53 2.00 1.75 rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 83 84 buito al fatto che in 7 Centri (quasi tutti del CNOS-FAP) sono stati riportate valuta- zioni basse in merito. In coerenza con l’andamento precedente, la rilevazione del- l’adeguatezza è stata effettuata soltanto in due Centri su tre (67.4% - soprattutto del CIOFS/FP). Infine l’adeguatezza delle risorse (umane, economiche e strumentali), previste nel progetto di dettaglio e nel piano didattico (scheda 7, sezione 7.2.5.), è stata va- lutata anch’essa sul livello dell’”abbastanza” in oltre la metà dei CFP (55.8%) e “molto” nel 34.9% (M=1.74); a questo proposito risultano particolarmente soddi- sfacenti le risorse dei CFP del nord (M=1.53). Tali dato sono stati rilevati nel 70- 80% dei Centri attraverso il “progetto di dettaglio” e la “pianificazione didattica” e appena in un terzo degli stessi attraverso i “documenti sullo stato di avanzamento del progetto”. E comunque, la “qualità della progettazione” in genere è risultata quindi “abba- stanza” ben valutata in rapporto ai differenti parametri utilizzati, ossia per quanto ri- guarda la concretezza degli obiettivi e la loro traducibilità in operazioni pratiche, la congruenza del progetto con le caratteristiche del contesto territoriale, l’efficienza e l’efficacia delle metodologie e delle risorse; anche i documenti previsti per effettuare tale valutazione sono stati quasi tutti utilizzati in una netta maggioranza dei Centri. 4.4.3. Valutazione degli obiettivi posti dal progetto Per quanto riguarda il livello di apprendimento e di maturazione (scheda 7, se- zione 7.3.1.), gli obiettivi previsti dal progetto sono stati raggiunti “molto” in un quarto dei CFP (25.6%) e in più della metà “abbastanza” (58.1%); in pratica hanno riguardato l’85% dei Centri (M=1.88), in particolare al nord; mentre i CFP che han- no riportato scarse valutazioni si trovano per lo più nelle regioni centrali (cfr. Tav. 28). Per il conseguimento di tali obiettivi nel 70-80% dei Centri si è fatto ricorso a verifiche/valutazioni relative al “progetto formativo” e al “piano didattico”. A sua volta, la congruenza tra gli obiettivi di apprendimento e di maturazione con le esigenze delle organizzazioni in cui gli allievi sono coinvolti per gli stage/ti- rocini (scheda 7, sezione 7.3.2.) ha riguardato “molto” un terzo circa dei CFP (30.2%) e “abbastanza” gli altri due terzi (62.8%); in totale è risultato congruente ol- tre il 90% di tali Centri (M=1.73), con particolare riferimento a quelli del CNOS- FAP e del nord; si registra un solo caso di mancato raggiungimento. Per rilevare ta- le corrispondenza, si è fatto ricorso a vari documenti, utilizzati tutti dall’80-90% dei CFP: il più usato è stato il “contratto tra il CFP e le imprese” (95-3%), cui ha fatto seguito la “valutazione in itinere” (90.7%) e quella relativa al “grado di soddisfa- zione delle imprese” (88.4%), per terminare con la “valutazione ex-post” (79.1%). Pressappoco sugli stessi livelli e in uguale proporzione (un terzo “molto” e due terzi “abbastanza”) si registra il grado di soddisfazione degli utenti in merito all’at- tività formativa (M=1.67; scheda 7, sezione 7.3.3.), in particolare tra i CFP del nord (M=1.47); mentre quelli delle regioni centrali si collocano tutti sul livello dell’”ab- bastanza”. Tale gradimento è stato misurato dappertutto attraverso l’apposito “que- stionario” e in una metà dei Centri attraverso la “relazione dei tutor”. rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 84 85 A loro volta, nei confronti degli esiti dell’attività formativa sono rimasti più soddisfatti i partners (ossia le imprese: M=1.49; scheda 7, sezione 7.3.4.2.) che i committenti (ossia le Regioni/Province: M=1.53; scheda 7, sezione 7.3.4.1.); su que- ste schede tuttavia si osserva un 20-25% circa di mancate risposte (da parte soprat- tutto del CIOFS/FP) ed inoltre il livello di soddisfazione appare più elevato, per quanto riguarda i partners, tra le fila del CIOFS/FP e del sud (M=1.43 e 1.44, ri- Tav. 28 - Valutazione degli obiettivi posti dal progetto (Scheda n. 7, sezione 7.3.; in % e in M) Ente Circoscrizioni Totale Cnos-Fap Ciofs/Fp Nord Centro Sud 7.3.1. Gli obiettivi di apprendimento previsti sono stati raggiunti: NR 2.3 -- 5.6 -- -- 7.7 Molto 25.6 26.1 25.0 47.1 7.7 15.4 Abbastanza 58.1 65.2 50.0 47.1 53.8 76.9 Poco 14.0 8.7 20.0 5.9 38.5 -- M 1.88 1.83 1.95 1.59 2.31 1.83 7.3.2. Gli obiettivi di apprendimento sono risultati congruenti con gli stage/tirocini: NR 4.7 4.3 5.0 -- 7.7 7.7 Molto 30.2 34.8 25.0 47.1 15.4 23.1 Abbastanza 62.8 60.9 65.0 52.9 76.9 61.5 Per nulla 2.3 -- 5.0 -- -- 7.7 M 1.73 1.64 1.84 1.53 1.83 1.92 7.3.3. Gli utenti sono soddisfatti dell’attività formativa: NR 2.3 -- 5.0 -- -- 7.7 Molto 34.9 34.8 35.0 58.8 -- 38.5 Abbastanza 60.5 65.2 55.0 35.3 100.0 53.8 Poco 2.3 -- 5.0 5.9 -- -- M 1.67 1.65 1.68 1.47 2.00 1.58 7.3.4.1. I committenti sono soddisfatti degli esiti dell’attività formativa: NR 25.6 4.3 50.0 17.6 46.2 15.4 Molto 34.9 56.5 10.0 41.2 23.1 38.5 Abbastanza 39.5 39.1 40.0 41.2 30.8 46.2 M 1.53 1.41 1.80 1.50 1.57 1.55 7.3.4. I partners sono soddisfatti degli esiti dell’attività formativa NR 18.6 8.7 30.0 5.9 23.1 30.8 Molto 44.2 47.8 40.0 52.9 38.5 38.5 Abbastanza 34.9 39.1 30.0 35.3 38.5 30.8 Poco 2.3 4.3 -- 5.9 -- -- M 1.49 1.52 1.43 1.50 1.50 1.44 7.3.5. Gli interventi in itinere di modifica del progetto sono stati gestiti apportando: NR 18.6 4.3 35.0 23.5 23.1 7.7 Nessuna modifica 65.1 65.2 65.0 52.9 53.8 92.3 Varie modifiche 14.0 26.1 -- 17.6 23.1 -- Riaggiustando il tiro ogni volta 2.3 4.3 -- 5.9 -- -- 7.3.6. La valutazione degli interventi di modifica in itinere del progetto è stata fatta: NR 25.6 8.7 45.0 29.4 23.1 23.1 Mai o quasi 48.8 47.8 50.0 41.2 46.2 61.5 Qualche volta 23.3 39.1 5.0 29.4 30.8 7.7 Spesso 2.3 4.3 -- -- -- 7.7 M 1.38 1.52 1.09 1.42 1.40 1.30 7.3.7. Le azioni di recupero/approfondimento sono state: NR 7.0 4.3 10.0 11.8 -- 7.7 Scarsamente efficaci (nessun recupero) 16.3 17.4 15.0 17.6 23.1 7.7 Efficaci solo in parte (nella metà dei casi) 39.5 47.8 30.0 52.9 30.8 30.8 Pienamente efficaci (recuperati tutti o…) 25.6 13.0 40.0 11.8 38.5 30.8 Non sono state fatte 9.3 13.0 5.0 5.9 7.7 15.4 Non sono state necessarie 2.3 4.3 -- -- -- 7.7 rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 85 86 spettivamente), mentre nei confronti dei committenti prevale il CNOS-FAP ed il nord (M=1.41 e 1.50, rispettivamente). L’apprezzamento da parte dei committenti è stato documentato da parte di due CFP su tre attraverso la “raccolta di segnalazioni positive pervenute” (62.8%), e quello dei partners attraverso la “valutazione del gra- do di soddisfazione delle imprese del territorio” (79.1%). In due Centri su tre non è stata apportata alcuna modifica in itinere al progetto (65.1%; scheda 7, sezione 7.3.5.); mentre varie modifiche risultano essere state fatte in 6 Centri (tutti del CNOS-FAP), e da parte di altri 8 (di cui 7 del CIOFS/FP) non è stata data risposta; in un solo caso si è avvertito il bisogno di “riaggiustare il tiro”. Al tempo stesso, si osserva che la valutazione degli interventi di modifica in iti- nere del progetto non è stata fatta “mai o quasi” in circa la metà dei Centri (48.8%; scheda 7, sezione 7.3.6.); tra i rimanenti, una decina di CFP (quasi tutti del CNOS- FAP), tale valutazione è stata fatta “qualche volta” (23.3%), mentre da parte di un’altrettanta aliquota non è stata data risposta (25.6% - quasi tutti del CIOFS/FP); in ultima analisi, nei confronti di questa attività la media (1.38) attesta di una gene- ralizzata disattenzione (con particolare riferimento al CIOFS/FP e alle regioni del sud). Coerentemente all’andamento precedente, soltanto 6 CFP segnalano che tale valutazione è stata effettuata attraverso i “verbali di verifica”. La piena efficacia delle azioni di recupero/approfondimento è stata segnalata soltanto da parte di 11 Centri (di cui 8 del CIOFS/FP; scheda 7, sezione 7.3.7.); nel- la più parte di essi la valutazione è risultata di parziale efficacia (17 Centri, di cui 11 del CNOS-FAP) o scarsa (7); in altri 4 non è stata fatta e in 1 non è stata necessaria (si distingue anche qui il CNOS-FAP). Meno della metà dei Centri (46.5%) hanno rilevato tale efficacia utilizzando sia i “verbali degli incontri relativi alle azioni di re- cupero/approfondimento” che i “documenti delle azioni correttive”. In ultima analisi si può sostenere che attorno ad un terzo dei CFP coinvolti nel- la sperimentazione ha “pienamente” conseguito gli obiettivi posti dal progetto e gli altri due terzi si considerano “abbastanza” soddisfatti dei risultati raggiunti. Un tale successo viene in parte documentato dalle scarse segnalazioni in merito alla neces- sità di apportare modifiche al progetto, ma soprattutto dal gradimento degli utenti, dei committenti e delle imprese. Nella stessa linea va il dato del ricorso a numerosi strumenti per la verifica. 4.4.4. Presenza di un dispositivo di certificazione degli esiti adeguato al con- testo professionale Il tipo di attestato rilasciato (scheda 7, sezione 7.4.1.) riguarda, in 38 Centri, la qualifica (88.4%); segue l’attestato di frequenza (in 19 CFP=44.2%, di cui 13 del CNOS-FAP e 10 del nord), il libretto formativo (in 14=32.6%) e l’attestato di ac- quisizione di crediti (6=14%, tutti del CNOS-FAP); solo in 3 Centri (tutti del CNOS-FAP) non esiste alcun tipo di certificato e/o attestato relativo alle compe- tenze acquisite (cfr. Tav. 29). Il valore attribuito da parte dei differenti attori sociali a tali attestati/certifica- zioni presenta il seguente andamento (scheda 7, sezioni 7.4.2.a-e): rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 86 87 – l’attestato di qualifica, il più rilasciato secondo quanto emerso sopra, è anche quello che viene più riconosciuto, in particolare dagli enti pubblici (segnalato dall’88.4% dei Centri), dalle imprese (81.4%) ed anche dalle agenzie formati- ve (76.7%) e un po’ meno dalle scuole (60.5%); si distinguono dappertutto i CFP del CNOS-FAP e delle regioni del centro; – segue l’attestato di frequenza, riconosciuto in particolare dagli enti pubblici (44.2%) e dalle agenzie formative (39.5%), e meno dalle imprese (32.6%) e dalle scuole (25.6%); in genere tale riconoscimento è stato ancora una volta più segnalato all’interno del CNOS-FAP; Tav. 29 - Presenza di un dispositivo di certificazione degli esiti adeguato al contesto professionale (Scheda n. 7, sezione 7.4.; in % e in M) Ente Circoscrizioni Totale Cnos-Fap Ciofs/Fp Nord Centro Sud 7.4.1. Tipo di certificati/attestati relativi alle competenze acquisite NR 2.5 -- 5.9 -- -- 8.3 Di frequenza 45.0 56.5 29.4 58.8 36.4 33.3 Di acquisizione crediti 15.0 26.1 -- 17.6 18.2 8.3 Di qualifica 90.0 100.0 76.5 100.0 100.0 66.7 Libretto formativo 35.0 34.8 35.3 35.3 -- 66.7 Non esiste 7.5 13.0 -- 11.8 -- 8.3 7.4.2/a - Attestati rilasciati dal CFP, riconosciuti dagli enti pubblici NR 4.7 -- 10.0 -- -- 15.4 Attestato di frequenza 44.2 47.8 40.0 47.1 53.8 30.8 Attestato di acquisizione di crediti 14.0 26.1 -- 17.6 15.4 7.7 Attestato di qualifica 88.4 100.0 75.0 100.0 100.0 61.5 Libretto formativo 14.0 13.0 15.0 5.9 7.7 30.8 7.4.2/b - Attestati rilasciati dal CFP, riconosciuti dalle imprese NR 14.0 4.3 25.0 11.8 7.7 23.1 Attestato di frequenza 32.6 43.5 20.0 41.2 23.1 30.8 Attestato di acquisizione di crediti 11.6 21.7 -- 11.8 15.4 7.7 Attestato di qualifica 81.4 95.7 65.0 80.2 92.3 61.5 Libretto formativo 14.0 17.4 10.0 5.9 7.7 30.8 7.4.2/c - Attestati rilasciati dal CFP, riconosciuti dalle scuole NR 30.2 21.7 40.0 35.3 30.8 23.1 Attestato di frequenza 25.6 26.1 25.0 23.5 30.8 23.1 Attestato di acquisizione di crediti 25.6 39.1 10.0 35.3 30.8 7.7 Attestato di qualifica 60.5 73.9 45.0 58.8 69.2 53.8 Libretto formativo 14.0 13.0 15.0 5.9 7.7 30.8 7.4.2/d - Attestati rilasciati dal CFP, riconosciuti dalle agenzie formative NR 18.6 8.7 30.0 23.5 7.7 23.1 Attestato di frequenza 39.5 43.5 35.0 41.2 46.2 30.8 Attestato di acquisizione di crediti 16.3 30.4 -- 23.5 15.4 7.7 Attestato di qualifica 76.7 91.3 60.0 76.5 92.3 61.5 Libretto formativo 11.6 13.0 10.0 5.9 7.7 23.1 7.4.2/e - Attestati rilasciati dal CFP, riconosciuti da altri NR 88.4 87.0 90.0 94.1 84.6 84.6 Attestato di frequenza 2.3 4.3 -- 5.9 -- -- Attestato di acquisizione di crediti 2.3 4.3 -- -- 7.7 -- Attestato di qualifica 9.3 8.7 10.0 -- 15.4 15.4 Libretto formativo 2.3 -- 5.0 -- -- 7.7 rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 87 88 – l’acquisizione dei crediti trova riconoscimento soprattutto nelle scuole (25.6%) mentre viene scarsamente segnalato in rapporto alle agenzie formative (16.3%), agli enti pubblici (14% - segnalati unicamente dal CNOS-FAP) e alle imprese (11.6%); – mentre l’uso del libretto formativo appare poco riconosciuto da parte di presso- ché tutti gli attori sociali (segnalato tra il 2% e un massimo di 14% dei CFP); quei pochi che lo riconoscono sono stati segnalati soprattutto dai CFP delle re- gioni del sud (tra il 20 e il 30%); – infine va notato che un numero variabile di Centri, in gran parte del CIOFS/FP, non ha risposto in merito al riconoscimento dei dispositivi di certificazione da parte soprattutto delle scuole (40%), ma anche delle imprese (25%) e delle agenzie formative (30%). In conclusione è l’attestato di qualifica a godere di maggiore credibilità dap- pertutto e da parte dei differenti attori sociali, pubblici e privati; l’attestato di fre- quenza, seppure più riconosciuto al nord, trova tuttavia consensi in appena la metà dei CFP e da parte soprattutto degli enti pubblici e meno dalle scuole e dalle impre- se; dal canto loro sia il libretto formativo che l’acquisizione dei crediti appaiono dappertutto poco riconosciuti e/o poco convalidati/accreditati. 4.4.5. Restituzione e follow-up La pubblicizzazione dei risultati della sperimentazione (scheda 7, sezione 7.5.1) è stata fatta unicamente in 14 Centri (non hanno risposto i due terzi): in 8, attraver- so seminari intermedi (tutti del CNOS-FAP), e in altri 6 (di cui 5 del CNOS-FAP) attraverso seminari finali; dalla loro somma si evince che in alcuni Centri sono sta- te realizzate entrambe le attività seminariali (cfr. Tav. 30). Tav. 30 - Seminari di pubblicizzazione dei risultati (Scheda n. 7, sezione 7.5.1.; in % e in M) Ente Circoscrizioni Totale Cnos-Fap Ciofs/Fp Nord Centro Sud NR 76.7 60.9 95.0 70.6 69.2 92.3 Intermedi 18.6 34.8 -- 17.6 30.8 7.7 Finali 14.0 21.7 5.0 17.6 23.1 -- La partecipazione a tali seminari (scheda 7, sezione 7.5.1.1.), sia per quanto ri- guarda quelli intermedi che quelli finali, in genere non c’è stata (da parte di oltre i due terzi dei CFP non è stata data risposta) o comunque è stata segnalata in poche unità; qualche indicazione in più ha riguardato gli allievi ed i genitori (soprattutto del CNOS-FAP), e viceversa sono state fatte notare assenze soprattutto tra le im- prese e gli enti pubblici (in particolare nelle regioni del centro-sud). Le linee per il rilancio e la diffusione dell’attività progettuale (scheda 7, sezio- ne 7.5.2. e Tav. 5, sezione b) sono state trovate abbastanza adeguate solo in 11 Cen- rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 88 89 tri (25.6%); in più della metà degli stessi (23, di cui 15 del CNOS-FAP) non è stata prevista alcuna azione di orientamento e la rimanente quota non ha dato risposta (9, di cui 7 del CIOFS/FP). Tale dato è stato rilevato per lo più attraverso rilevazioni fi- nali o ex-post e in minima parte attraverso altre documentazioni (su utenti, commit- tenti, CFP) (cfr. Tav. 31). 10 Cfr. cap. 1 del presente rapporto. Tav. 31 - Adeguatezza delle linee per il rilancio e la diffusione dell’attività progettuale (Scheda n. 7, sezione 7.5.2.; in % e in M) Ente Circoscrizioni Totale Cnos-Fap Ciofs/Fp Nord Centro Sud NR 20.9 8.7 35.0 17.6 23.1 23.1 Non è stata prevista alcuna linea 53.5 65.2 40.0 47.1 53.8 61.5 Linee abbastanza adeguate 25.6 26.1 25.0 35.3 23.1 15.4 5. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE SUI DATI QUANTITATIVI Si è ritenuto opportuno concentrare le conclusioni della ricerca, sia della pre- sente indagine quantitativa sia della successiva investigazione qualitativa, nel capi- tolo finale perché le singole osservazioni assumono un significato più adeguato se situate nel quadro dei risultati di tutto lo studio e anche perché si sono volute evita- re possibili ripetizioni. Pertanto, qui ci limiteremo ad alcune considerazioni di ca- rattere molto generale. Una prima osservazione riguarda gli aspetti strettamente quantitativi: da questo punto di vista la ricerca ha raggiunto un numero ragguardevole di strutture e di sog- getti. In particolare, i Centri coinvolti sono 73 nel I anno della sperimentazione (2000-01) e (come si è messo in evidenza nell’introduzione al rapporto), anche quando nel II (2001-02) vengono meno i dati degli enti della Lombardia diversi dal CIOFS/FP e CNOS-FAP10, i CFP oggetto della ricerca rimangono 70. Per quanto riguardi gli allievi del CIOFS/FP e del CNOS-FAP, gli iscritti al I anno sono aumentati tra il 2000-01 e il 2001-02 dell’8%, salendo da 2.915 a 3.149. Anche il numero dei formatori è senz’altro consistente e proporzionato, 553 nel 2001-02. Pertanto, nonostante le variazioni registrate nel biennio, le cifre sono tali da offrire una base quantitativa adeguata ai risultati della indagine. Un dato meno positivo è costituito dai flussi degli allievi: la percentuale di quanti hanno lasciato il corso dell’obbligo formativo nel biennio è consistente. Tut- tavia, le cifre si ridimensionano alquanto se si vanno a considerare le ragioni del- l’uscita dalla FPI. In breve, il vero abbandono, quello cioè per inattività (che con- siste nel lasciare ogni forma di impegno rivolto a sviluppare le proprie capacità rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 89 90 nella istruzione e nella formazione, o a metterle a frutto nel lavoro), è inferiore al 10% nel I anno e al 5% nel II. Si tratta di cifre che non si possono trascurare e ri- chiedono interventi adeguati; non si possono però considerare particolarmente pro- blematiche. Se passiamo poi a prendere in considerazione le percezioni degli interessati cir- ca l’andamento della sperimentazione, emerge un trend comune. Il gradimento de- gli allievi, la soddisfazione dei formatori, i giudizi in itinere e finali dei referenti del- la FPI si collocano complessivamente sull’“abbastanza” e in un certo numero di ca- si si sono avvicinati al “molto” senza però mai coincidervi. Il risultato è significati- vo, tuttavia non è totalmente soddisfacente per enti che dovrebbero fornire una for- mazione di eccellenza. rapportoA.qxd 21/03/2003 8.56 Pagina 90 91 TERZO CAPITOLO RAPPORTO SULLE BUONE PRASSI (Dario NICOLI) 1. INTRODUZIONE Prima di passare all’analisi di quanto emerso a proposito degli aspetti qualitati- vi della sperimentazione, ci soffermiamo su alcuni principi metodologici di riferi- mento e sull’impostazione utilizzata per analizzare le “buone prassi”. 1.1. I principi metodologici di riferimento La sperimentazione qui documentata riguardante l’obbligo formativo si riferi- sce prevalentemente al biennio 2000-2002 ed in secondo luogo alle iniziative di in- terazione/integrazione con le scuole, una delle quali (CNOS-FAP Sicilia) riguarda l’assolvimento dell’obbligo scolastico nella formazione professionale. Circa il bien- nio, in tale periodo abbiamo riscontrato percorsi completi (si tratta della maggio- ranza delle esperienze individuate), percorsi annuali svoltisi nel corso del primo an- no di applicazione e percorsi annuali svoltisi nel secondo anno di applicazione del- la sperimentazione stessa. Abbiamo così potuto ricostruire le metodologie adottate, che rappresentano il punto centrale relativamente alla peculiarità dell’approccio della formazione pro- fessionale, in riferimento alle indicazioni previste dalla normativa relativa all’ob- bligo formativo. Infatti, l’art. 68 della legge 144/1999 impone di confrontare il percorso di for- mazione professionale da un lato con il percorso scolastico e dall’altro con quello dell’apprendistato. Ciò introduce la necessità di: – specificare meglio le diverse tipologie di acquisizioni previste, – introdurre una struttura modulare volta alla valorizzazione come pure alla cer- tificazione dei crediti formativi, con l’attivazione delle passerelle necessarie al completamento dei percorsi tra un sistema e l’altro – delineare una continuità verticale (specializzazione, formazione superiore). Si tratta di una sfida inedita, per un sistema che si è sempre pensato come un percorso a sé stante, avente come unico esito l’inserimento nel mondo del lavoro ed in sostanza senza alcun valore di credito per il prosieguo del cammino formativo1. La novità introdotta dalla normativa sull’obbligo formativo ha imposto l’uscita del 1 In realtà, la legge quadro 845/78 aveva previsto, all’articolo 11, un sistema di rientri scolastici, peraltro rimasto sostanzialmente inattuato. rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 91 92 sistema di FP da uno stato di minorità e la necessità di pensarsi “in grande” ovvero di definirsi come un sistema di pari dignità rispetto a quello scolastico, con esso in- terrelato, ma non subalterno. Allo stesso tempo, l’obbligo formativo prevede la mo- dalità di formazione e la modalità dell’apprendistato cui sono connessi moduli for- mativi ad hoc. I principi metodologici di riferimento che ci hanno guidato nel lavoro di rile- vazione ed analisi delle buone prassi sono i seguenti. a) Orientamento: si tratta di una modalità educativa permanente di aiuto all’auto- valorizzazione della persona in funzione di una scelta professionale soddisfa- cente, dello sviluppo promozionale e dell’armonia sociale, in un clima di adat- tamento dinamico alla realtà sociale e professionale che cambia. All’orienta- mento inteso come processo educativo unitario concorrono differenti apporti: vocazionale, formativo, personale e professionale. I servizi di orientamento comprendono attività di informazione, formazione e consulenza sia in forma individuale sia di gruppo. b) Successo formativo: la formazione professionale non ha come scopo la selezio- ne dei giovani sulla base di un’offerta formativa predeterminata ed uguale per tutti, bensì quello di offrire a ciascuno il massimo di opportunità di raggiunge- re il più alto livello di padronanza delle competenze al quale possa arrivare. L’eguaglianza di opportunità, non va intesa come eguaglianza dei risultati da raggiungere, di “saperi” da possedere “solidamente”, ma implica il diritto di ciascuno di avere, appunto, l’opportunità di sviluppare al massimo le proprie capacità, e quindi un’attenzione prioritaria alle caratteristiche di ciascuno, che sono, in partenza, sempre più “diverse”. Questo assunto deve ispirare un’attivi- tà di formazione che tenda alla realizzazione delle potenzialità del soggetto, in coerenza con le sue esigenze e caratteristiche, aiutandolo ad elaborare un suo progetto personale di inserimento sociale e lavorativo. c) Percorso formativo personalizzato: occorre garantire a ciascun utente un percorso formativo coerente con le proprie caratteristiche e necessità. Ciò si- gnifica: – riconoscere il bagaglio personale: ogni persona, all’inizio di un percorso, è portatrice di un bagaglio di capacità ed apprendimenti (conoscenze, abilità, competenze) che deve essere analizzato, riconosciuto e valorizzato. Il rico- noscimento di tale bagaglio si traduce in “crediti” formativi spendibili nei percorsi formativi e di lavoro; – la reversibilità delle scelte: ogni persona che ha intrapreso un percorso (scuo- la, formazione, lavoro) ha il diritto di interromperlo e di proseguire in un al- tro senza per questo dover “ricominciare da capo”. Con il meccanismo dei passaggi e dei LARSA (Laboratori di Recupero e Sostegno degli Apprendi- menti) si potranno disegnare ingressi intermedi che consentono di valorizza- re gli apprendimenti acquisiti e di raggiungere i nuovi obiettivi; rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 92 93 – la continuità formativa: ogni cammino formativo deve poter essere aperto a sviluppi successivi, potenzialmente fino ai livelli più elevati della scala for- mativo-professionale (quadro, tecnico-superiore). d) Metodologia didattica: L’approccio peculiare della formazione professionale prevede una metodologia formativa basata su compiti reali, didattica attiva, un processo di apprendimento dall’esperienza anche tramite tirocinio/stage forma- tivo in stretta collaborazione con le imprese del settore di riferimento; esso pre- senta una rilevanza orientativa, in modo da sviluppare nella persona la consa- pevolezza circa le sue prerogative, il progetto personale, il percorso intrapreso. Carattere fondamentale della metodologia formativa è l’integrazione tra cono- scenze, abilità e capacità, al fine di delineare vere e proprie competenze che si collocano lungo il percorso secondo una logica non meccanica, ma olistica2. La proposta formativa valorizza l’esperienza concreta, si basa su una relazione amichevole, personalizzata, è centrata sull’acquisizione di competenze utili e sulla attribuzione di senso agli apprendimenti proposti; essa appare particolar- mente adatta specie per coloro che presentano uno stile di apprendimento che privilegia l’intelligenza pratica, esperienziale, intuitiva, per scoperta e narra- zione. e) Valutazione autentica: si intende con tale espressione la possibilità di verifica- re non solo ciò che un alunno sa, ma ciò che “sa fare con ciò che sa” fondata su una prestazione reale e adeguata dell’apprendimento che risulta così significa- tivo, poiché riflette le esperienze di apprendimento reale ed è legato ad una mo- tivazione personale. In tale approccio, lo scopo di classificazione e di selezione non è prioritario, ma lo è la promozione di tutti offrendo opportunità al fine di compiere prestazioni di qualità. Ciò comprende l’autovalutazione ed il miglio- ramento del processo di insegnamento/apprendimento. Si tratta pertanto di una valutazione educativa. Lo strumento privilegiato della valutazione è costituito dal “portfolio delle competenze individuali”, ovvero una raccolta significativa dei lavori dell’allie- vo che racconta la storia del suo impegno, del suo progresso o del suo rendi- mento: si tratta pertanto di materiali che documentano ad altri una serie di pre- stazioni eseguite nel tempo e di cui l’allievo è orgoglioso. Dal punto di vista va- lutativo, il portfolio rappresenta lo strumento che consente di uscire da una con- cezione tradizionale della valutazione - basata sulla verifica del grado di ap- prendimento da parte dell’allievo della conoscenza trasmessa dall’insegnante, 2 La “prospettiva olistica” – che presenta una certa prevalenza nell’attuale stadio di riflessione – si allontana in modo deciso dall’orizzonte tayloristico dell’analisi del lavoro e dell’organizzazione per sfuggire alle ristrettezze di un approccio tecnico-operativo che punta ad enumerare le performance ed a classificarle entro schemi avulsi dal contesto di riferimento e indifferenti alle caratteristiche ed in- tenzioni del soggetto. rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 93 94 sulla scorta di un sistema di giudizio selettivo centrato essenzialmente sul me- todo “carta e penna” ovvero controllando e verificando la “riproduzione” della conoscenza tramite risposte fondate sul ricordo di fatti isolati – per aderire ad una prospettiva “autentica” che prevede una verifica non solo di ciò che un al- lievo sa, ma di ciò che “sa fare con ciò che sa” fondata su una serie di presta- zioni reali e adeguate dell’apprendimento che risulta così significativo, poiché riflette le esperienze formative svolte ed è legato ad una precisa motivazione personale. 1.2. Impostazione di analisi delle buone prassi Il presente rapporto si fonda su informazioni ottenute attraverso tre strumenti: 1) Scheda sintetica del progetto formativo (Scheda n. 09) 2) Dossier delle procedure e degli strumenti (Scheda n. 03) 3) Scheda di interazione/integrazione con le scuole nell’obbligo di istruzione (Scheda n. 10). Il primo strumento (Scheda n. 09) ha l’obiettivo di raccogliere una serie di in- formazioni circa le modalità concrete con cui si è realizzato il progetto di FPI, te- nendo presenti le situazioni locali e le concrete difficoltà incontrate. Nella gran par- te dei casi, queste ultime sono connesse alle normative locali (regionali e provin- ciali) che talvolta tendono ad adottare un modello (anche solo tramite il vincolo del formulario di presentazione dei progetti) che impone l’adozione di una metodologia specifica. Si pensi – ad esempio – al modello ISFOL delle unità formative capita- lizzabili, che spesso viene acquisito in termini puramente nominalistici, divenendo in realtà una formulazione diversa riferita alla classica ripartizione delle acquisizio- ni in sapere, saper fare e saper essere (si veda più avanti). Si ricorda che non tutte le Regioni (ed anche Province) hanno consentito la piena applicazione del progetto CIOFS/FP e CNOS-FAP; alcune di esse hanno adottato un proprio dispositivo, che ha finito per omologare anche l’attività dei Centri. Anche in questo caso, i referenti per l’obbligo formativo hanno cercato di mediare le rispettive esigenze, ragione per cui la modalità adattiva appare quella prevalente. Il secondo strumento (Scheda n. 03) è una raccolta dei documenti che attestano le buone prassi, riferite a procedure e strumenti adottati dalle varie équipe e curate dai referenti dell’obbligo formativo3. Notevole è il materiale raccolto, segno di una vitalità anche precedente all’in- troduzione dell’obbligo formativo ed all’elaborazione del progetto nazionale CIOFS/FP – CNOS-FAP. Va precisato che il concetto di “buone prassi” è qui utilizzato in senso generi- co. Ciò significa che non si tratta di prassi rispetto alle quali sia stato attivato un pro- cesso di valutazione comparativa (nel qual caso saremmo di fronte a “migliori pras- si“ o eccellenza), bensì di metodologie che si sono dimostrate capaci di rispondere 3 Per ulteriori particolari, cfr. cap. 1, paragrafo 5. rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 94 95 agli obiettivi per cui sono state elaborate, oltre che coerenti con l’impostazione pro- gettuale di fondo. In tal senso, per ogni ambito di riferimento possiamo ritrovare diverse prassi; alcune di queste potranno essere particolarmente utili per la revisione del progetto, come pure per la creazione di ulteriori metodologie di supporto (si veda ad esempio il tema della valutazione e la proposta del centro risorse didattiche). Il materiale raccolto è presentato sotto forma di schede che presentano la docu- mentazione ricevuta e tracciano alcune note essenziali per la sua comprensione e collocazione nel contesto del monitoraggio. Il terzo strumento (Scheda n. 10) si riferisce alle iniziative di interazione/inte- grazione tra CFP e scuole, in ambito di obbligo scolastico. Essa mira a rilevare le di- verse esperienze di interazione che si realizzano tra scuola e FP nella fase termina- le del percorso dell’obbligo di istruzione. Tale rilevazione è svolta a partire dal Cen- tro di formazione professionale e coinvolge sia la scuola media inferiore (ultimo anno) sia la scuola media superiore (primo anno). La ricerca si è riferita al gruppo di regioni che hanno preso parte alla speri- mentazione nazionale. Nel corso del cammino di monitoraggio, si sono però ag- giunte altre realtà che svolgono attività con metodologie differenti, sia pure con ri- ferimenti al progetto nazionale. Il totale dei casi indagati in questo ambito è 43, mentre per 1 di loro non sono pervenuti strumenti informativi adeguati (CNOS-FAP Veneto). Si tratta di una for- ma di classificazione che tiene conto dei “modelli formativi” ovvero del grado di maggiore o minore omogeneità delle soluzioni metodologiche adottate. Ragione per cui alcuni Centri sono stati raggruppati, mentre per altri si è reso opportuno distin- guerli per singole sedi, mostrando queste una forte tendenza all’autonomia metodo- logica. Emergono infatti a questo proposito due osservazioni preliminari: a) Il mondo della formazione professionale appare molto ricco di varietà e di ca- pacità di adattamento ai contesti ed ai soggetti; tale elemento che pure rappre- senta un pregio, può anche portare alla estrema frammentazione degli approc- ci, oltre che alla difficoltà di delineare un quadro comparativo di insieme. b) Nel quadro dei due enti principali qui indagati, emerge una notevole differenza: mentre il CNOS-FAP presenta una forte tendenza all’autonomia delle singole sedi4, il CIOFS/FP manifesta invece la tendenza a delineare un approccio omo- geneo almeno dal punto di vista dell’impostazione generale. Infine, va segnalato come diverse regioni (e province) hanno avuto un riflesso per così dire “ritardato” rispetto alle novità legislative in tema di obbligo formativo. Di conseguenza, si sono potuti rilevare indirizzi e comportamenti più conformi alla natura della legge durante il cammino di applicazione del primo anno di sperimen- 4 Anche se a partire dal progetto sull’obbligo formativo tale tendenza pare modificata alla ricer- ca di un approccio metodologico omogeneo di ente. rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 95 96 tazione. Ci piace credere che ciò sia accaduto anche alla luce degli stimoli prove- nienti dal nostro progetto che, essendo stato offerto liberamente a tutti, non si è li- mitato ad essere un progetto solo salesiano, ma un materiale disponibile per qualifi- care l’intero settore. 2. PROGETTO FORMATIVO BIENNALE In questa parte, presentiamo i dati raccolti utilizzando la “Scheda sintetica del progetto formativo”. Come si diceva nell’introduzione, tali dati verranno presentati mediante una se- rie di tabelle, distinte in base alle seguenti voci: 1) Durata complessiva del percorso 2) Coinvolgimento delle famiglie 3) Coinvolgimento delle imprese 4) Personalizzazione 5) Accoglienza, orientamento e bilancio 6) Gestione crediti e passerelle 7) Recuperi e approfondimenti, accompagnamento e modularità 8) Schema acquisizioni e metodologie di programmazione didattica 9) Valutazione 10) Libretto personale e certificazione 11) Costi. 2.1. Durata complessiva del corso La durata complessiva dei corsi varia da 900 a 1.200 ore, con una differenza di ben il 33% delle ore (cfr. Tav. 1). Lo stage varia da 144 a 800 ore: una differenza cospicua, che non si può spie- gare solo alla luce delle differenze di settori e figure professionali. Uno stage trop- po breve tende ad impoverire la dimensione di “competenza” propria del progetto, mentre uno stage eccessivamente lungo rischia di svolgersi prevalentemente nella linea delle abilità professionali trascinando l’intervento nel campo dell’addestra- mento. Circa le azioni di personalizzazione, si può riscontrare la loro effettiva attua- zione, sia pure con le diverse quantificazioni orarie. Si tratta per lo più di acco- glienza, orientamento e bilancio personale, oltre ai recuperi ed agli approfondimen- ti, come potremo confermare successivamente. 2.2. Coinvolgimento delle famiglie Il coinvolgimento delle famiglie, in genere, avviene all’atto dell’iscrizione co- me pure per gli incontri periodici (cfr. Tav. 2). Solitamente tale coinvolgimento pre- senta quindi un aspetto essenziale, centrato sul colloquio di orientamento iniziale e rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 96 97 5 Note comuni a tutte le tabelle: 1)Abruzzo (Vasto) si riferisce al primo anno, iniziato nel 2001 2)CIOFS/FP (province di Torino, Milano e Varese) e CNOS-FAP Sardegna sono unificati in base a valori medi: si tratta di realtà abbastanza omogenee, diversamente da altre che – pur essendo contigue per ente o territorio – appaiono piuttosto differenti. 3) Il segno – indica che il referente non ha risposto; il segno X indica che viene segnalata l’e- sistenza dell’attività, ma non viene fornita alcuna indicazione in merito. 6 Le cifre indicate sono sintetiche, l’articolazione precisa è: 3 corsi di 1.200 ore; 3 corsi di 1.050 ore; 10 corsi di 900 ore annuali. Tav. 1 - Durata complessiva del corso5 REGIONE / CITTÀ ENTE DURATA CORSO… …DI CUI ORE STAGE DURATA AZIONI DI PERSONALIZZAZIONE I anno II anno I anno II anno I anno II anno ABRUZZO - Vasto CNOS-FAP 1200 1200 250 210 194 170 EMILIA R. - Reggio Emilia CIOFS-FP 900 900 216 248 111 2 EMILIA ROMAGNA CNOS-FAP 970 1.000 400 400 50 30 LAZIO CIOFS-FP 1200 1200 100 200 300 200 LAZIO - RM - Borgo CNOS-FAP 1050 1050 120 160 150 150 LAZIO - RM - Pio XI CNOS-FAP 1200 1200 200 200 - - LIGURIA - Genova CIOFS-FP 1000 1000 120 200 86 75 LIGURIA - Genova CNOS-FAP 1000 1000 - * 288 70 20 LOMBARDIA AFGP 1200 1200 96 392 - - LOMBARDIA ASFAP 1050 1050 160 240 45 25 LOMBARDIA CANOSSA 1200 1200 120 120 - - LOMBARDIA - Milano CIOFS-FP 1050 1050 0-120 210-240 100 40 LOMBARDIA - Pavia CIOFS-FP 1050 1050 100 210 100-130 40-65 LOMBARDIA - Varese CIOFS-FP 1050 1050 100 210 130 65 LOMBARDIA - Brescia CNOS-FAP 1200 1200 160 160 - - LOMBARDIA - Milano CNOS-FAP 1200 1200 40 160 184 150 LOMBARDIA - Sesto CNOS-FAP 1200 1200 139 240 98 50 LOMBARDIA - Monza ECFoP 1200 1200 150 350 150 70 LOMBARDIA - Desio ECFoP 1200 1200 150 350 150 70 LOMBARDIA - Carate ECFoP 1200 1200 150 - 150 70 LOMBARDIA F. CLERICI 1200 1200 240 360 ** PIEMONTE - Torino CIOFS-FP 1200 1200 - 400 170 165 PIEMONTE - Alessandria CIOFS-FP 1200 1200 - 400 170 125 PIEMONTE - Asti CIOFS-FP 1200 1200 - 400 - 40 PIEMONTE - Novara CIOFS-FP 1200 1200 - 400 170 165 PIEMONTE - Vercelli CIOFS-FP 1200 1200 - 400 170 165 PIEMONTE - Alessandria CNOS-FAP 1200 1200 - 400 150 25 PIEMONTE - Bra CNOS-FAP 1200 1200 - 400 80 30 PIEMONTE - Colle CNOS-FAP 1200 1200 - 400 20 50 PIEMONTE - Fossano CNOS-FAP 1200 1200 - 400 60 20 PIEMONTE - S.Benigno CNOS-FAP 1200 1200 - - Accoglienza - orientamento Accoglienza - orientamento PIEMONTE - TO Rebaudengo CNOS-FAP 1200 1200 - 400 30 20 PIEMONTE - TO Valdocco CNOS-FAP 1200 1200 - 360 192 148 PIEMONTE - Vercelli CNOS-FAP 1200 1200 - 400 277 PIEMONTE - Vigliano CNOS-FAP 1200 1200 - 400 50 25 SARDEGNA CIOFS-FP 950 1200 - 80 35 30 SARDEGNA CNOS-FAP 950 1200 30 130 110 20 SICILIA1 CIOFS-FP 900-1200 900-1200 120 120 80 90 SICILIA CNOS-FAP 1200 1200 200 180 260 80 UMBRIA - Foligno CIOFS-FP 1200 1200 288 360 150 - VENETO - Tv, Conegliano CIOFS-FP 1050 1050 - 144 105 30 VENETO - Padova CIOFS-FP 1050 1050 40 - 130 35 VENETO CNOS-FAP * Il segno meno (-) indica che il referente non ha risposto. ** La mancata risposta indica una negazione 6 rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 97 98 sugli incontri periodici di comunicazione dei risultati delle verifiche (si tratta me- diamente di 2-3 incontri l’anno). Nella maggioranza dei casi, si può parlare quindi di comunicazione, piuttosto che di un vero e proprio coinvolgimento delle famiglie. Ma non sono poche le esperienze che mirano ad una partecipazione più ampia delle famiglie degli adolescenti in obbligo formativo; in tali casi si riscontra la pre- senza di uno stile che dura nel tempo e che ha potuto essere approfondito nell’am- bito dell’esperienza relativa all’obbligo formativo. Tav. 2 - Coinvolgimento delle famiglie REGIONE CITTÀ ENTE PROPOSTA ISCRIZIONE INCONTRI PERIODICI PROGRAMMAZIONE VERIFICA / MIGLIORAMENTO ALTRO ABRUZZO Vasto CNOS- FAP - Colloquio di pre-iscrizione 3 incontri annuali di formazione genitori - Incontri con docenti - EMILIA ROMAGNA Reggio Emilia CIOFS-FP - Presentazione del progetto - - - Stipula del patto formativo EMILIA ROMAGNA CNOS- FAP - Approfondimento motivazioni Incontri trimestrali Discussione orari, visite, scelta aziende Azioni di miglioramento - LAZIO CIOFS-FP - - Incontri periodici - Colloqui individuali Spettacoli, riunioni, celebrazioni LAZIO RM - Borgo CNOS- FAP - Colloquio Situazione formativa - - - LAZIO RM - Pio XI CNOS- FAP - X X - Open house, ricorrenze, inaugurazioni, ecc. LIGURIA Genova CIOFS-FP - Incontri individuali Incontri individuali - - - LIGURIA Genova CNOS- FAP - Visita Istituto, presentazione progetto - - Incontri formativi sull’educazione dei figli - LOMBARDIA AFGP - Colloquio anamnestico e rilevazione dati socioanagrafici - alleanza educativa Colloqui per monitoraggio andamento formativo figli - - - LOMBARDIA ASFAP - Colloquio col direttore Inizio anno e inizio stage - - - LOMBARDIA Canossa - Modulo iscrizione Incontri periodici - - - LOMBARDIA Milano CIOFS-FP - Presentazione proposta e struttura Incontri su adolescenti e relazioni familiari - X Festa di fine anno LOMBARDIA Pavia CIOFS-FP - Contratto formativo Assemblea Assemblea Colloqui individuali - LOMBARDIA Varese CIOFS-FP - Colloqui Incontri - Questionari di reazione - LOMBARDIA Brescia CNOS- FAP - Direzione Tre incontri generali e colloqui con formatori - - - LOMBARDIA Milano CNOS- FAP Colloqui con Direttore e visita del Centro Incontri assembleari e individuali - - Scuola genitori su temi educativi LOMBARDIA Sesto CNOS- FAP Presentazione pagellina e confronto generale Colloqui individuali di chiarimento LOMBARDIA Monza ECFoP - - Informazioni sul percorso formativo - - - segue rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 98 99 REGIONE CITTÀ ENTE PROPOSTA ISCRIZIONE INCONTRI PERIODICI PROGRAMMAZIONE VERIFICA / MIGLIORAMENTO ALTRO LOMBARDIA Desio ECFoP Presentazione del corso Spiegazione percorso Momenti formativi - Incontri periodici - LOMBARDIA Carate ECFoP Informazione orientamento e supporto Colloqui individuali - - - - LOMBARDIA F. Clerici - Colloquio 2 incontri l’anno + altri se necessario Partecipazione a momenti di programmazione Partecipazione a momenti di verifica / miglioramento Incontro di fine ciclo per il coinvolgimento della famiglia PIEMONTE Torino CIOFS-FP - Seminario orientativo Colloquio con formatori - - - PIEMONTE Alessandria CIOFS-FP - Iscrizione Incontri - Condivisione obiettivi di recupero e rafforzamento - PIEMONTE Asti CIOFS-FP - Colloqui Colloqui - - - PIEMONTE Novara CIOFS-FP - Colloquio Presentazione e colloqui - - - PIEMONTE Vercelli CIOFS-FP - Colloquio Presentazione e colloqui - - - PIEMONTE Alessandria CNOS- FAP - Colloquio iniziale Consegna schede - - - PIEMONTE Bra CNOS- FAP - Colloquio individuale Serate formative - Questionario soddisfazione corso - PIEMONTE Colle CNOS- FAP - - Riunioni periodiche Rappresentanti genitori Rappresentanti genitori - PIEMONTE Fossano CNOS- FAP - Colloquio con il direttore Incontri periodici In occasione del consiglio d’istituto Verifica soddisfazione con utilizzo della scheda qualità specifica Momenti di riflessione su temi sociali, conferenze, feste PIEMONTE S.Benigno CNOS- FAP - X X - - - PIEMONTE TO Rebaudengo CNOS- FAP - Conferma accettazione del progetto Consegna schede valutazione - - - PIEMONTE TO Valdocco CNOS- FAP - Incontri individuali Valutazioni con i formatori - - - PIEMONTE Vercelli CNOS- FAP - Colloquio personale con il Direttore, Patto Formativo Colloquio con insegnanti – valutazione - - - PIEMONTE Vigliano CNOS- FAP - X X - X - SARDEGNA CIOF-FP - Presenza di allievo e genitore Riunioni con genitori Pianificazione comune dei tempi Colloqui individuali - SARDEGNA CNOS- FAP Incontri di presentazione della proposta Patto formativo Incontri individuali - Incontri di verifica - SICILIA CIOFS-FP - Presentazione Almeno a fine ciclo - Incontri con ogni famiglia in presenza dell’allievo Feste e incontri formativi SICILIA CNOS- FAP - Colloquio iniziale Colloqui in itinere - - - UMBRIA Foligno CIOFS-FP Incontri ex ante e in itinere Accoglienza - - Incontri di monitoraggio - VENETO TV, Conegliano CIOFS-FP - Presenza al momento dell’informazione e dell’iscrizione Partecipazione ai momenti di incontro periodici - - - VENETO Padova CIOFS-FP - - Valutazione in itinere e orientamento - Questionario di valutazione - VENETO CNOS- FAP segue rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 99 100 2.3. Coinvolgimento delle imprese Le più frequenti modalità di coinvolgimento delle imprese riguardano l’orga- nizzazione degli stage e la loro valutazione, che coinvolge – in forma piuttosto es- senziale – la figura del tutor aziendale (cfr. Tav. 3). Il grado di impegno di quest’ul- timo può anche estendersi alla progettazione e alla collaborazione nel corso dell’a- zione formativa, anche se ciò accade in pochi casi. In sostanza, siamo di fronte ad un impegno delle imprese che mira alla soddi- sfazione delle esigenze organizzative e – sia pure in modo limitato – formative con- nesse alla pratica dell’alternanza. In tali situazioni, l’aspetto formativo viene dele- gato all’équipe degli operatori del CFP. Non sono peraltro limitate le realtà in cui le stesse imprese si rendono presenti al fine di poter reperire ex allievi con le caratteristiche utili al loro coinvolgimento en- tro la propria organizzazione. Ciò è segno della possibilità di delineare una stretta connessione tra CFP e contesto socio-economico territoriale, che procede da un livel- lo essenziale – volto al reperimento di opportunità di stage – ma che prosegue verso una forma di vera e propria partnership nella cura dei percorsi di ingresso al lavoro. Tav. 3 - Coinvolgimento delle imprese Regione Città Ente Stage Progettazione Valutazione Assunzione Altro ABRUZZO Vasto CNOS- FAP Incontri per singola impresa - - Dichiarazione disponibilità - EMILIA ROMAGNA Reggio Emilia CIOFS-FP Progetto di stage Valutazione da parte del tutor EMILIA ROMAGNA CNOS- FAP Tutor aziendale - Partecipazione alle commissioni di esame Colloquio ente- impresa di idoneità allievo - LAZIO CIOFS-FP Progetto, contratto, valutazione - Questionario - - LAZIO RM - Borgo CNOS- FAP Organizzazione logistica - - Verifica e valutazione congiunta - LAZIO RM - Pio XI CNOS- FAP X Open house, tavole rotonde, inaugurazioni, ecc. LIGURIA Genova CIOFS-FP Valutazione e proposte da parte delle azione - - - - LIGURIA CNOS- FAP Contatti e visite periodiche Tipologia di lavoro, figura professionale richiesta - Contatti telefonici, banca dati stage, referenti stage LOMBARDIA AFGP Stipula convenzione, monitoraggio andamento stage e valutazione Richieste di candidature - - - LOMBARDIA ASFAP Dialogo col tutor aziendale - - Le aziende telefonano - LOMBARDIA CANOSSA Contatti da parte dei tutor - Valutazione congruenza competenze LOMBARDIA Milano CIOFS-FP Contatti telefonici, visite, invio progetto, schede valutazione - - - Solo per alcuni LOMBARDIA Pavia CIOFS-FP Contatti, accordi - - - - LOMBARDIA Varese CIOFS-FP Contatti telefonici - - Proposte di assunzione - segue rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 100 101 Regione Città Ente Stage Progettazione Valutazione Assunzione Altro LOMBARDIA Brescia CNOS- FAP No primo anno II e III anno: schede di gradimento, osservazione e valutazione - Contatto diretto con il Centro - LOMBARDIA Milano CNOS- FAP Progettazione tirocinio, accompagnamento e valutazione - Valutazione tirocinio Disponibilità all’assunzione dell’allievo in tirocinio - LOMBARDIA Sesto CNOS- FAP Tutor di centro e di impresa - - - - LOMBARDIA Monza ECFoP Stipula contratto formativo - - - - LOMBARDIA Desio ECFoP Progetto di orientamento e tirocinio - - - - LOMBARDIA Carate ECFoP Presentazione progetto e monitoraggio Incontri e verifiche su figure professionali richieste - - - LOMBARDIA Fondazione Clerici Partnership effettiva indirettamente Valutazione dello stage - - PIEMONTE Torino CIOFS-FP - - - - - PIEMONTE Alessandria CIOFS-FP Contatto e progetto di stage - - - - PIEMONTE Asti CIOFS-FP - - - - - PIEMONTE Novara CIOFS-FP - - - - - PIEMONTE Vercelli CIOFS-FP - - - - - PIEMONTE Alessandria CNOS- FAP Accoglienza, tutoraggio e valutazione - - - - PIEMONTE Bra CNOS- FAP Accoglienza degli allievi e loro formazione tecnica Loro lettera richiesta/gradimento corso - Disponibilità ad assumere i qualificati - PIEMONTE Colle CNOS- FAP Incontri con tutor aziendali e schede Contatti informali Schede finali di valutazione stage - - PIEMONTE Fossano CNOS- FAP Convenzione Analisi fabbisogni Valutazione Banca dati richieste aziende e comunicazione ad ex allievi - PIEMONTE S. Benigno CNOS- FAP X - - X - PIEMONTE TO Rebaudengo CNOS- FAP Collaborazione nella realizzazione e valutazione - - - - PIEMONTE TO Valdocco CNOS- FAP Contatti individuali sul progetto - - - - PIEMONTE Vercelli CNOS- FAP Progettazione e collaborazione - - - - PIEMONTE Vigliano CNOS- FAP X - X - - SARDEGNA CIOFS-FP - - - - - SARDEGNA CNOS- FAP Incontri di presentazione, attuazione, verifica e valutazione - - - - SICILIA CIOFS-FP X - - - - SICILIA CNOS- FAP Elaborazione progetto stage - - Contatti e curricula allievi UMBRIA Foligno CIOFS-FP X - - - - VENETO TV, Conegliano CIOFS-FP - - - - - VENETO Padova CIOFS-FP Interviste circa le figure professionali - - - - VENETO CNOS- FAP 7 7 L’estensore ha inteso il riferimento al I anno, nel quale non è previsto lo stage. segue rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 101 102 2.4. Azioni di personalizzazione Il tema della personalizzazione pare entrato nella metodologia operativa dei Centri, in riferimento a tutti gli allievi, salvo pochi casi di interventi rivolti solo ai soggetti in difficoltà di apprendimento (cfr. Tav. 4). La platea degli organismi indagati prevede una grande maggioranza di sogget- ti che presentano una libera disponibilità a proposito della modalità di finanziamen- to delle azioni di personalizzazione. Le attività specificate si caratterizzano per interventi di recupero ed approfon- dimento, orientamento e sostegno ai disabili. Si può ritenere peraltro – anche confrontando questo dato con altre indicazioni emergenti dalla ricerca – che una prassi molto diffusa è quella rappresentata dal- l’accoglienza e dall’orientamento. Vi sono però diversi CFP che non offrono nessuna indicazione in merito alla personalizzazione, nonostante nella prima tavola risulti che a tale prassi è stata de- stinato un numero preciso di ore. La personalizzazione rappresenta in generale una sorta di adattamento della me- todologia di classe alle peculiarità dei singoli, in particolare di chi fa più fatica a se- guire l’andamento generale. Da qui l’intento di correggere ed integrare l’approccio di gruppo classe con quello personale. Ma emerge anche un’area rilevante di orga- nismi che intendono la personalizzazione non unicamente nel senso di una didatti- ca gestita in forma flessibile, bensì come una strategia pedagogica che tende al su- peramento della spessa nozione di curricolo. In tal senso, pare emergere una linea di superamento della didattica curricolare verso una metodologia integrata tra le di- verse aree formative, in una prospettiva di interdisciplinarietà e di concorso delle “risorse” didattiche (conoscenze, abilità e capacità) nella acquisizione di vere e pro- prie competenze. Anche se la linea prevalente prevede una forte accentuazione delle attività re- lative ad accoglienza, orientamento ed accompagnamento continuo lungo tutto l’i- ter formativo. Tav. 4 - Personalizzazione REGIONE CITTÀ ENTE FINANZIAMENTO MONTE ORE A LIBERA DISPOSIZIONE MONTE ORE CON CONTENUTO PREFISSATO Ore Azioni Ore Azioni ABRUZZO Vasto CNOS- FAP 320 Recupero, counselling, passerelle EMILIA ROMAGNA Reggio Emilia CIOFS-FP 35 Accoglienza orientativa permanente EMILIA ROMAGNA CNOS- FAP 450 Solo per allievi deboli e con deficit di opportunità (handicap segnalati) LAZIO CIOFS-FP 250 Contestualizzazione e adeguamento al target LAZIO RM - Borgo CNOS- FAP 250 Accoglienza, orientamento, contestualizzazione LAZIO RM - Pio XI CNOS- FAP - - - - segue rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 102 103 REGIONE CITTÀ ENTE FINANZIAMENTO MONTE ORE A LIBERA DISPOSIZIONE MONTE ORE CON CONTENUTO PREFISSATO LIGURIA Genova CIOFS-FP 186 Indagine conoscitiva, accoglienza, recuperi/approfondimenti LIGURIA CNOS- FAP 70 (I) 30 (II) Accoglienza, orientamento, bilancio personale, recupero e approfondimento LOMBARDIA AFGP X Recupero, approfondimento, accoglienza, orientamento LOMBARDIA ASFAP - - - - LOMBARDIA CANOSSA - - - - LOMBARDIA Milano CIOFS-FP 100 Personalizzazione LOMBARDIA Pavia CIOFS-FP 100 Recuperi, potenziamento, colloqui e uscite LOMBARDIA Varese CIOFS-FP 100 Recuperi, potenziamento, colloqui LOMBARDIA Brescia CNOS- FAP 100 Recuperi, sostegni e accompagnamento 150 - LOMBARDIA Milano CNOS- FAP 100 ca. Recupero e approfondimento LOMBARDIA Sesto CNOS- FAP 98 Recuperi ed approfondimenti LOMBARDIA Monza ECFoP X Sostegno disabili LOMBARDIA Desio ECFoP - - - - LOMBARDIA Carate ECFoP X Entro le 1200 ore (vedi progetto didattico - formativo) LOMBARDIA F. Clerici La regione finanzia il corso di 1200 ore, entro cui la Fondazione propone a tutti gli allievi 2-3 gruppi di formazione individualizzata per il recupero, secondo i fabbisogni dei singoli PIEMONTE Torino CIOFS-FP Vengono determinate in funzione sia del finanziamento sia dei bisogni formativi dell’utente PIEMONTE Alessandria CIOFS-FP Vengono determinate in funzione sia del finanziamento sia dei bisogni formativi dell’utente PIEMONTE Asti CIOFS-FP Vengono determinate in funzione sia del finanziamento sia dei bisogni formativi dell’utente PIEMONTE Novara CIOFS-FP Vengono determinate in funzione sia del finanziamento sia dei bisogni formativi dell’utente PIEMONTE Vercelli CIOFS-FP Vengono determinate in funzione sia del finanziamento sia dei bisogni formativi dell’utente PIEMONTE Alessandria CNOS- FAP - - - - PIEMONTE Bra CNOS- FAP X - PIEMONTE Colle CNOS- FAP - - - - PIEMONTE Fossano CNOS- FAP - - - - PIEMONTE S. Benigno CNOS- FAP - - - - PIEMONTE TO - Rebaudengo CNOS- FAP - - - - PIEMONTE TO - Valdocco CNOS- FAP - - - - PIEMONTE Vercelli CNOS- FAP 277 Accoglienza / Orientamento PIEMONTE Vigliano CNOS- FAP 25 Accoglienza e Approfondimento/Sostegno SARDEGNA CIOFS-FP - - - - SARDEGNA CNOS- FAP - - - - SICILIA CIOFS-FP 100 (nel monte ore del progetto) Recupero e approfondimento SICILIA CNOS- FAP 20 (I) 20 (II) Accoglienza, informazione, orientamento segue segue rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 103 104 2.5. Azioni di accoglienza, orientamento e bilancio La fase di accoglienza è gestita in buona parte dei casi secondo una modalità che definiamo di adattamento o di elaborazione propria da parte dell’ente/Centro (cfr. Tav. 5). L’orientamento viene svolto nella maggior parte dei casi sia prima del corso (in integrazione con le scuole medie inferiori e superiori), sia come percorso integrato con quello formativo. Raramente l’orientamento si limita alla semplice presentazio- ne iniziale del profilo e delle sue componenti. Ciò significa che l’approccio orienta- tivo appare in forma matura, e che possiamo già essere nella condizione di affron- tare il passaggio dall’orientamento interno a quello esterno, rivolto a tutti gli utenti, non solo a quelli che si rivolgono al CFP per il proprio percorso formativo. Il bilancio vede ancora numerosi vuoti, anche se nella maggior parte degli orga- nismi indagati si tratta di una prassi sicuramente prevista, e molte volte già in atto. Trattandosi di adolescenti senza un significativo bagaglio di esperienze lavora- tive, il bilancio viene realizzato in forma integrata da un lato con la rilevazione dei prerequisiti al fine di attuare moduli di recupero/approfondimento, e dall’altro nel- la prospettiva della formazione delle capacità personali spesso integrata con l’o- rientamento permanente. REGIONE CITTÀ ENTE FINANZIAMENTO MONTE ORE A LIBERA DISPOSIZIONE MONTE ORE CON CONTENUTO PREFISSATO UMBRIA Foligno CIOFS-FP Le ore sono richieste con progetto individualizzato e variano a seconda delle necessità degli allievi (compresenza in laboratorio, didattica integrata) VENETO TV, Conegliano CIOFS-FP 30 h min. Nella voce “orientamento” VENETO Padova CIOFS-FP 40 Orientamento VENETO CNOS- FAP - - - - REGIONE CITTÀ ENTE ACCOGLIENZA ORIENTAMENTO BILANCIO Progetto nazionale Diversamente Prima Presentazione Percorso integrato Come Quando ABRUZZO Vasto CNOS- FAP X X Schede strutturate Fase iniziale EMILIA R. Reggio Emilia CIOFS-FP 13 ore X - - EMILIA R. CNOS- FAP In parte In parte X - 30 h Dossier personale Primo mese LAZIO CIOFS-FP X X - - LAZIO RM - Borgo CNOS- FAP - Test conoscitivi - X - - - LAZIO RM - Pio XI CNOS- FAP 50 ore nei primi corsi X X - - - LIGURIA Genova CIOFS-FP X X Indagine conoscitiva Avvio Tav. 5 - Accoglienza, orientamento e bilancio 8 Il progetto è gestito in ATI con altri 3 enti della provincia. 8 segue segue rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 104 105 REGIONE CITTÀ ENTE ACCOGLIENZA ORIENTAMENTO BILANCIO LIGURIA CNOS- FAP X X - X Intervento della psicologa Inizio I anno Inizio II anno (nuovi ingressi) LOMBARDIA AFGP - Progetto accoglienza CONFAP Lombardia X - X Valutazione orientativa e prove di ingresso Inizio LOMBARDIA ASFAP Direttore - - - - - LOMBARDIA CANOSSA Solo 15 ore - X X X Colloquio conoscitivo Pre-iscrizione LOMBARDIA Milano CIOFS-FP X - - - X - - LOMBARDIA Pavia CIOFS-FP X - X - X Come percorso formativo Nell’ambito dell’orientame nto LOMBARDIA Varese CIOFS-FP Presentazione e test d’ingresso X - X - - LOMBARDIA Brescia CNOS- FAP In parte In parte X - - Incontro + scheda auto- compilata Prime 2 settimane LOMBARDIA Milano CNOS- FAP X X X X Colloqui e valutazione saperi/ competenze Ogni bimestre salvo situazioni particolari LOMBARDIA Sesto CNOS- FAP X X - X Sviluppo delle capacità personali e bilancio Inizio corsi LOMBARDIA Monza ECFoP ELFAP Fondazione Clerici X - X - - LOMBARDIA Desio ECFoP X X Con schede Inizio e fine percorso LOMBARDIA Carate ECFoP X - - X Colloqui individuali Periodicamente LOMBARDIA F. Clerici Progetto Fondazione X - - PIEMONTE Torino CIOFS-FP X - - - X - - PIEMONTE Alessandria CIOFS-FP X - - - X - - PIEMONTE Asti CIOFS-FP X - - - X - - PIEMONTE Novara CIOFS-FP X - - - X - - PIEMONTE Vercelli CIOFS-FP X - - - X - - PIEMONTE Alessandria CNOS- FAP X - - X - - - PIEMONTE Bra CNOS- FAP X Progetto CNOS Piemonte - - X - - PIEMONTE Colle CNOS- FAP X Manuale CNOS Piemonte - - X - - PIEMONTE Fossano CNOS- FAP X Progetto CNOS Piemonte X - X - - PIEMONTE S. Benigno CNOS- FAP x - X - X Incontri individuali Momenti specifici PIEMONTE TO Rebaudengo CNOS- FAP - - - - X - - PIEMONTE TO Valdocco CNOS- FAP - - - - X - - PIEMONTE Vercelli CNOS- FAP X - - - X - - PIEMONTE Vigliano CNOS- FAP X - - - X - - SARDEGNA CIOFS-FP Presentazione progetto X - X - - SARDEGNA CNOS- FAP X - - - X - - segue segue rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 105 106 2.6. Gestione crediti e passerelle La gestione dei crediti e delle passerelle rappresenta la vera delusione dell’ap- plicazione della normativa sull’obbligo formativo (cfr. Tav. 6). Di fatto, sono po- chissime le scuole che hanno cercato questa forma di collaborazione, mentre nella gran parte dei casi le passerelle paiono essere esclusivamente “verso il basso”, ov- vero riguardano adolescenti con problemi di apprendimento di cui la scuola cerca di “liberarsi” dopo averli rivendicati. Si può dire perciò che i Centri indagati hanno predisposto le necessarie meto- dologie (ciò risulta dalla prima domanda di questo ambito, che chiedeva appunto se era stata prevista tale procedura), ma che da questo punto di vista sono rimasti inat- tivi a causa della mancata applicazione di una prassi collaborativa paritaria specie da parte degli istituti superiori. Infine, come mostra la tavola 6, è desolante la situazione relativa all’apprendi- stato. Si conferma ancora una volta la natura ambigua della formazione per gli ap- prendisti, che anche nel suo dettato legislativo non procede attraverso una conside- razione positiva degli apprendimenti previsti, bensì si propone come “costo” da sop- portare (da parte di adolescenti ed imprese) per poter usufruire degli sgravi fiscali. 9 Non per tutti i corsi era previsto come azione del progetto. REGIONE CITTÀ ENTE ACCOGLIENZA ORIENTAMENTO BILANCIO SICILIA CIOFS-FP Presentazione percorso - X X Metodologie del Centro Inizio e fine ciclo SICILIA CNOS- FAP Colloqui, segreteria e sportello X - X - - UMBRIA Foligno CIOFS-FP Solo per i giovani che si sono iscritti in itinere, in quanto azione non finanziata - - X In itinere Manuale Cnos VENETO TV, Conegliano CIOFS-FP In parte, in rapporto al minor numero di ore Modulo all’interno del progetto Con orientatore / psicologo per gruppi e singoli In orario scolastico e pomeridiano VENETO Padova CIOFS-FP - Progetto ad hoc del Centro - - X - - VENETO CNOS- FAP 9 Tav. 6 - Gestione crediti e passerelle REGIONE CITTÀ ENTE GESTIONE CREDITI GESTIONE PASSERELLE Ingresso Uscita Scuola Lavoro / apprendistato ABRUZZO Vasto CNOS- FAP Commissione ad hoc Da sperimentare - - EMILIA ROMAGNA Reggio Emilia CIOFS-FP Accertamento competenze acquisite UFC con prove di verifica - - EMILIA ROMAGNA CNOS- FAP - - - - LAZIO CIOFS-FP - - - - LAZIO RM - Borgo CNOS- FAP - - - - segue segue rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 106 107 10 Soprattutto debiti su area operativa, rari i crediti. 11 Soprattutto debiti su area operativa, rari i crediti. REGIONE CITTÀ ENTE GESTIONE CREDITI GESTIONE PASSERELLE LAZIO RM - Pio XI CNOS- FAP La promozione al III anno di scuola superiore consente l’iscrizione al II di qualifica Riconoscimento della qualifica di specializzazione per inserimento al III o IV anno di IP coerente, previo esame integrativo - - LIGURIA Genova CIOFS-FP - - - - LIGURIA CNOS- FAP - Certificazione dei crediti formativi - - LOMBARDIA AFGP Analisi titoli e valutazione competenze dichiarate Per chi vuole tornare a scuola Accordi istituzionali tra i due sistemi formativi - LOMBARDIA ASFAP - - Da IPSIA a CFP con modulo tecnico - LOMBARDIA CANOSSA - - - - LOMBARDIA Milano CIOFS-FP Scheda di valutazione e personalizzazione - Caso aziendale per acquisizione delle competenze - LOMBARDIA Pavia CIOFS-FP - - - - LOMBARDIA Varese CIOFS-FP X - - - LOMBARDIA Brescia CNOS- FAP Non formalizzati da nostro IT Non formalizzati da nostro IT Non ancora: sì negli anni precedenti verso IPSIA - LOMBARDIA Milano CNOS- FAP Abbuono di 2 cicli ad allievi provenienti dal percorso integrato Passaggio del ciclo Da scuola a FP - LOMBARDIA Sesto CNOS- FAP - - - - LOMBARDIA Monza ECFoP - - - - LOMBARDIA Desio ECFoP X - Momenti di confronto e moduli di recupero - LOMBARDIA Carate ECFoP X Indicazione dei crediti nel libretto personale - - LOMBARDIA Fondazione Clerici Solo 4 casi, con utilizzo delle ore di personalizzazione per l’inserimento - 4 casi dalla scuola - PIEMONTE Torino CIOFS-FP La gestione del credito è normata dagli standard regionali ed è, quindi, la Regione che le riconosce PIEMONTE Alessandria CIOFS-FP La gestione del credito è normata dagli standard regionali ed è, quindi, la Regione che le riconosce PIEMONTE Asti CIOFS-FP La gestione del credito è normata dagli standard regionali ed è, quindi, la Regione che le riconosce PIEMONTE Novara CIOFS-FP La gestione del credito è normata dagli standard regionali ed è, quindi, la Regione che le riconosce PIEMONTE Vercelli CIOFS-FP La gestione del credito è normata dagli standard regionali ed è, quindi, la Regione che le riconosce PIEMONTE Alessandria CNOS- FAP Modulo formativo - Dalla scuola superiore - PIEMONTE Bra CNOS- FAP - - - - PIEMONTE Colle CNOS- FAP - - - - PIEMONTE Fossano CNOS- FAP Riconoscimento delle competenze acquisite Certificato che descrive abilità e competenze Inserimento in istituto con percorso concordato - 10 11 segue segue rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 107 108 2.7. Azioni di recupero, approfondimento, accompagnamento e modularità Anche l’analisi delle risposte su recuperi ed approfondimenti è fonte di soddi- sfazione (cfr. Tav. 7). Si registrano infatti iniziative in quasi tutti gli organismi che hanno fornito dati, con tre differenti accentuazioni: a) attività svolte a ridosso del- l’inizio dei corsi; b) attività che si intersecano in modo flessibile con la struttura modulare dei corsi; c) attività che prevedono un monte orario fisso settimanale (so- lo un caso). Si può ritenere che, anche in riferimento alle metodologie personalizzate che vengono qui adottate, da quest’area potranno giungere stimoli importanti per il su- peramento della didattica ordinaria o curricolare. Anche l’accompagnamento (specie in relazione al futuro inserimento lavorati- vo) e la modularità rappresentano prassi diffuse nella grande maggioranza dei casi, anche se occorrerebbe approfondire meglio i modelli operativi cui questa espressio- ne viene connessa (“a blocco”, integrati, interdisciplinari, per compiti e competen- ze, ecc.) vista la varietà delle espressioni che spesso finiscono per confondere mo- dularità con flessibilità, propedeuticità, pianificazione di unità formative che posso- no rimanere tra di loro separati. REGIONE CITTÀ ENTE GESTIONE CREDITI GESTIONE PASSERELLE PIEMONTE S. Benigno CNOS- FAP Assegnazione crediti ad personam Attestazione crediti e competenze acquisite Inserimento dopo il 2° ciclo - PIEMONTE TO Rebaudengo CNOS- FAP - - - - PIEMONTE TO Valdocco CNOS- FAP - - - - PIEMONTE Vercelli CNOS- FAP Mod. C2 Assegnazione crediti ad personam Certificazione competenze Corsi di integrazione - PIEMONTE Vigliano CNOS- FAP Valutazione globale e capacità personale - Dalla scuola - SARDEGNA CIOFS-FP - - - - SARDEGNA CNOS- FAP - - - - SICILIA CIOFS-FP - Su scheda personale allievo (in attesa del libretto) - - SICILIA CNOS- FAP Prevista ma non attuata Prevista ma non attuata - - UMBRIA Foligno CIOFS-FP Riconoscimento percorsi - - - VENETO TV, Conegliano CIOFS-FP In modo informale - Si rilasciano dichiarazioni recanti le valutazioni conseguite per aree - VENETO Padova CIOFS-FP - - - - VENETO CNOS- FAP segue rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 108 109 REGIONE / CITTÀ ENTE RECUPERI APPROFONDIMENTI ACCOMPAGNAMENTO MODULARITÀ Fasi Come Fasi Come ABRUZZO Vasto CNOS- FAP I e II ciclo Recupero extraorario - - Laboratorio di inserimento lavorativo Modello nazionale EMILIA ROMAGNA Reggio Emilia CIOFS-FP - - - - - - EMILIA ROMAGNA CNOS- FAP I anno Percorsi individuali per allievi con deficit di opportunità - - Colloqui ente/azienda Individuazione allievi Allievi/azienda Sostegno allievi inseriti Come da progetto LAZIO CIOFS-FP A ridosso della valutazione Progetti ad hoc A ridosso della valutazione Progetti ad hoc Azioni individualizzate da parte del formatore/orientatore A seconda dei CFP LAZIO RM - Borgo CNOS- FAP Varie Recupero deficit con lezioni personalizzate a piccoli gruppi Varie Piccoli gruppi Colloqui con aziende dello stage No LAZIO RM - Pio XI CNOS- FAP Varie Monte ore per ogni area di intervento Varie Informatica e tecnologia grafica Presentazione allievi su richiesta No LIGURIA Genova CIOFS-FP Dopo la verifica Recupero debiti Dopo la verifica Gruppi di interesse Tirocini aziendali extra-qualifica Modello articolato in macro-fasi LIGURIA CNOS- FAP - - - - - X LOMBARDIA AFGP Varie Varie Ciclo formativo, poi UFC LOMBARDIA ASFAP - - Durante l’anno Visite azienda e SMAU Presentazione dello studente Secondo la programmazione regionale LOMBARDIA CANOSSA Prima degli esami Gruppo B: recupero Prima degli esami Gruppo A: approfondimento - X LOMBARDIA Milano CIOFS-FP Tutto il percorso Gestione moduli personalizzati Tutto il percorso Gestione moduli personalizzati Si è ancora al primo anno Inserimento graduale di saperi di base e professionali LOMBARDIA Pavia CIOFS-FP Durante il percorso e dopo la valutazione Personalizzazione - - Nelle ore di orientamento Scansione temporale in base a priorità didattiche LOMBARDIA Varese CIOFS-FP Fine ciclo Momenti personalizzati e/o di gruppo Durante tutto l’anno - Esperti, informagiovani, agenzie Propedeuticità LOMBARDIA Brescia CNOS- FAP Varie Continuo e generalizzato recupero (pochissimi allievi, alta demotivazione) - - - X LOMBARDIA Milano CNOS- FAP Inizio anno Autonomia di ogni docente Varie Docenza frontale Contatti con le imprese Solo alcune unità formative attuate attraverso moduli LOMBARDIA Sesto CNOS- FAP 4 fasi Piccoli gruppi per aree Terza fase Argomenti tecnici particolari Ufficio apposito per l’inserimento lavorativo Aree formative LOMBARDIA Monza ECFoP Varie Unità didattiche per Varie Unità didattiche per - UFC LOMBARDIA Desio ECFoP Inizio e termine 1 ciclo e dopo lo stage Procedure interdisciplinari Inizio e termine I ciclo e dopo lo stage Procedure interdisciplinari Al termine del II anno Attraverso UFC Tav. 7 - Recuperi, approfondimenti, accompagnamento e modularità segue rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 109 110 REGIONE / CITTÀ ENTE RECUPERI APPROFONDIMENTI ACCOMPAGNAMENTO MODULARITÀ Fasi Come Fasi Come LOMBARDIA Carate ECFoP Iniziale, intermedia e finale Moduli formativi specifici Iniziale, intermedia e finale Moduli formativi specifici - - LOMBARDIA Fondazione Clerici Durante l’attività di personaliz. ne Inglese, lingua italiana e competenze professionali specifiche - - - Percorso per unità formative, organizzate per aree formative, come da progetto PIEMONTE Torino CIOFS-FP Atelier pedagogico Atelier pedagogico Nel secondo anno 40 ore Sviluppo operativo del percorso e tabella di comparazione PIEMONTE Alessandria CIOFS-FP 2a metà 1° anno Atelier pedagogico 2 a metà 1° anno Atelier pedagogico - - PIEMONTE Asti CIOFS-FP Atelier pedagogico Febbraio - marzo Atelier pedagogico Nel secondo anno 40 ore Sviluppo operativo del percorso e tabella di comparazione PIEMONTE Novara CIOFS-FP Atelier pedagogico Febbraio - marzo Atelier pedagogico Nel secondo anno 40 ore Sviluppo operativo del percorso e tabella di comparazione PIEMONTE Vercelli CIOFS-FP Dopo le verifiche Recupero competenze di base Dopo le verifiche Laboratori tematici Nel secondo anno 40 ore Sviluppo operativo del percorso e tabella di comparazione PIEMONTE Alessandria CNOS- FAP Dopo 2/3 anno Recuperi personalizzati con docente - - Presentazione al datore di lavoro - PIEMONTE Bra CNOS- FAP - - - - Azioni di counselling per la preparazione stage - PIEMONTE Colle CNOS- FAP - - - - Incontri con testimoni privilegiati, manuale accompagnamento finale - PIEMONTE Fossano CNOS- FAP - - - - - Suddivisione del percorso in 4 moduli PIEMONTE S. Benigno CNOS- FAP - - - - Orientamento al lavoro - PIEMONTE TO Rebaudengo CNOS- FAP - - - - Collegamento e filtro tra aziende e ex allievi in cerca di lavoro - PIEMONTE TO Valdocco CNOS- FAP X In itinere X In itinere - - PIEMONTE Vercelli CNOS- FAP - - - - Discussione e relazione sullo stage - PIEMONTE Vigliano CNOS- FAP 2 ore settimanali Secondo le esigenze 2 ore settimanali Secondo le esigenze - - SARDEGNA CIOFS-FP - - - - - - SARDEGNA CNOS- FAP Fase intermedia Piccoli gruppi - - Incontri con imprese, visite ad Informagiovani UFC SICILIA CIOFS-FP Metà o fine modulo Accordo di équipe Nelle fasi di recupero Su proposta del Collegio e degli allievi - Moduli orizzontali che si intersecano SICILIA CNOS- FAP Fine I ciclo Piccoli gruppi / individualizzati Fine II ciclo A livello di corso Sportello multifunzionale In parte UMBRIA Foligno CIOFS-FP Ogni formatore ha previsto momenti di recupero all’interno delle singole unità formative - - Borse lavoro in convenzione con i Comuni Ogni 300 ore si effettua un monitoraggio VENETO TV, Conegliano CIOFS-FP Dicembre Piccoli gruppi, per le aree necessitanti Dicembre Piccoli gruppi, per i rimanenti allievi (emigrazione in Brasile) Sarà al secondo anno - VENETO Padova CIOFS-FP Ingresso fine 1 ciclo Matematica e inglese Fine 1 ciclo Produzione materiale pubblicitario Attività estiva in azienda - VENETO CNOS- FAP segue rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 110 111 2.8. Schema acquisizioni e metodologie di programmazione didattica Lo schema prevalente è quello CIOFS/FP e CNOS-FAP (Cfr. Tav. 8); risulta an- che una significativa presenza (12 casi) di organismi che adottano la classificazione ISFOL, ma non si tratterebbe né di un’adesione al modello delle unità formative ca- pitalizzabili (che vengono infatti citate una sola volta in tutta la documentazione in- dagata) e neppure di una scelta, quanto della conseguenza delle programmazioni re- gionali/provinciali che (in mancanza d’altro), hanno ritenuto di applicare agli ado- lescenti in obbligo formativo uno schema che era stato pensato per i moduli profes- sionalizzanti per adulti12. In effetti, volendo interpretare i senso sintetico i modelli formativi adottati, pa- re emergere una persistenza della tripartizione classica tra sapere, saper fare e saper essere, una logica ben diversa da quella granulare prospettata dall’ISFOL che si ri- ferisce ad una concezione basata su compiti operativi. La metodologia di programmazione didattica più diffusa è quella mista (aree di- stinte ed interdisciplinarietà), segno di una certa capacità nel valorizzare gli stru- menti a disposizione a seconda delle necessità degli utenti e della fase del processo formativo in cui si applicano. Non sono pochi i Centri che utilizzano la metodologia della simulazione (ben 23 casi, quasi sempre riferiti al CIOFS/FP), mentre l’approccio per centri di inte- resse – comparso solo ultimamente come antidoto alla didattica per materie – è pre- sente in sette casi. In sostanza, l’ambito della didattica appare in movimento verso una logica più aperta, integrata, più orientata alle competenze e quindi alla padronanza della sin- gola persona in senso responsabile ed attivo, valorizzando le diverse metodologie disponibili a seconda dei soggetti e del contesto. 12 Infatti, nel momento in cui l’ISFOL elaborava questo modello era prevalente l’idea di una FP breve, flessibile, non per adolescenti. L’obbligo formativo non era neppure presente nelle intenzioni del legislatore. Tav. 8 - Schema acquisizioni e metodologie di programmazione didattica REGIONE CITTÀ ENTE SCHEMA METODOLOGIE Aree distinte Interdisciplinari Simulazione Centri d’interesse Altro ABRUZZO Vasto CNOS- FAP CIOSF-FP / CNOS-FAP X - - - - EMILIA ROMAGNA Reggio Emilia CIOFS-FP ISFOL - X X - - EMILIA ROMAGNA CNOS- FAP ISFOL - X X - - LAZIO CIOFS-FP CIOSF-FP / CNOS-FAP X X X - - LAZIO RM - Borgo CNOS- FAP ISFOL X X - - - segue rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 111 112 REGIONE CITTÀ ENTE SCHEMA METODOLOGIE Aree distinte Interdisciplinari Simulazione Centri d’interesse Altro LAZIO RM - Pio XI CNOS- FAP CIOSF-FP / CNOS-FAP adattato X X - - - LIGURIA Genova CIOFS-FP Ad hoc: obiettivi comportamentali, tecnico professionali, esercitazioni pratiche X X X - - LIGURIA CNOS- FAP CIOSF-FP / CNOS-FAP X X - - - LOMBARDIA AFGP CIOSF-FP / CNOS-FAP - X - X - LOMBARDIA ASFAP ISFOL X X X - - LOMBARDIA CANOSSA CIOSF-FP / CNOS-FAP X X - X - LOMBARDIA Milano CIOFS-FP CIOSF-FP / CNOS-FAP - X X - - LOMBARDIA Pavia CIOFS-FP CIOSF-FP / CNOS-FAP - - X - - LOMBARDIA Varese CIOFS-FP CIOSF-FP / CNOS-FAP - X - - - LOMBARDIA Brescia CNOS- FAP CIOSF-FP / CNOS-FAP X - - - LOMBARDIA Milano CNOS- FAP CIOSF-FP / CNOS-FAP X X X - - LOMBARDIA Sesto CNOS- FAP CIOSF-FP / CNOS-FAP X X X - - LOMBARDIA Monza ECFoP ISFOL X X X - - LOMBARDIA Desio ECFoP CIOSF-FP / CNOS-FAP X - - - UFC LOMBARDIA Carate ECFoP CIOSF-FP / CNOS-FAP X X X - - LOMBARDIA F. Clerici CIOSF-FP / CNOS-FAP - X X - - PIEMONTE Torino CIOFS-FP ISFOL - X X X - PIEMONTE Alessandria CIOFS-FP CIOSF-FP / CNOS-FAP X X X - - PIEMONTE Asti CIOFS-FP ISFOL - X X X - PIEMONTE Novara CIOFS-FP ISFOL - X X X - PIEMONTE Vercelli CIOFS-FP ISFOL - X X X - PIEMONTE Alessandria CNOS- FAP ISFOL Ente: personalizzazione del processo formativo PIEMONTE Bra CNOS- FAP CIOSF-FP / CNOS-FAP X X - - - PIEMONTE Colle CNOS- FAP ISFOL X X - - - PIEMONTE Fossano CNOS- FAP Regione Piemonte X - - - - PIEMONTE S. Benigno CNOS- FAP CIOSF-FP / CNOS-FAP X - - - - PIEMONTE TO Rebaudengo CNOS- FAP ISFOL X - - - - PIEMONTE TO Valdocco CNOS- FAP CIOSF-FP / CNOS-FAP - X - - - PIEMONTE Vercelli CNOS- FAP CIOSF-FP / CNOS-FAP X - - - - PIEMONTE Vigliano CNOS- FAP ISFOL - - - - - SARDEGNA CIOFS-FP CIOSF-FP / CNOS-FAP - X X - Metodologie attive segue segue rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 112 113 2.9. Valutazione Le modalità di valutazione poste in atto mettono in evidenza soprattutto l’uti- lizzo di tre tipologie di strumenti (cfr. Tav. 9): – i test, i questionari ed i colloqui per l’area dei saperi – le prove pratiche per l’area delle competenze – le simulazioni e i casi di studio. L’area delle capacità personali/competenze trasversali prevede un profilo valu- tativo ancora incerto. Da segnalare il riferimento alle procedure della qualità, che fanno così la loro comparsa nel monitoraggio. L’analisi delle buone prassi ci consente di approfondire meglio questi aspetti; il tema della valutazione diventa – accanto a quello della didattica – uno dei punti su cui pare necessario impegnare maggiormente le energie nel prossimo futuro. REGIONE CITTÀ ENTE SCHEMA METODOLOGIE SARDEGNA CNOS- FAP CIOSF-FP / CNOS-FAP - X X - - SICILIA CIOFS-FP CIOSF-FP / CNOS-FAP adattato - X X - - SICILIA CNOS- FAP CIOSF-FP / CNOS-FAP X X X - - UMBRIA Foligno CIOFS-FP CIOSF-FP / CNOS-FAP - X X - - VENETO TV, Conegliano CIOFS-FP CIOSF-FP / CNOS-FAP adattato X Nel II anno X - VENETO Padova CIOFS-FP CIOSF-FP / CNOS-FAP - X X - - VENETO CNOS- FAP - - - - - 13 Tav. 9 - Valutazione REGIONE CITTÀ ENTE CIOFS/FP - CNOS-FAP ISFOL Saperi Capacità Competenze Di base Tecnico/ pratiche Trasversali ABRUZZO Vasto CNOS- FAP Prove di verifica valutazioni Prove di verifica valutazioni Prove di verifica valutazioni EMILIA R. Reggio Emilia CIOFS -FP Simulazioni, verifiche oggettive Simulazioni, verifiche oggettive, discussioni e recupero dell’errore Verifiche oggettive e laboratorio teatrale EMILIA R. CNOS- FAP Test Prove di verifica Test Valutazione di simulazioni Autovalutazione Test LAZIO CIOFS -FP Indicazioni per le prove finali Indicazioni per le prove finali Indicazioni per le prove finali LAZIO RM - Borgo CNOS- FAP Verifiche fine ciclo Verifiche fine ciclo Non svolte LAZIO RM - Pio XI CNOS- FAP La valutazione è quella tradizionale: test, prove 13 Adattato al formulario della Regione segue segue rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 113 114 14 La Fondazione è un ente certificato, quindi applica le procedure e gli strumenti previsti nel si- stema di qualità (valutazione degli apprendimenti, soddisfazione dei partecipanti, valutazione com- plessiva dell’esperienza formativa), coinvolgendo sia gli allievi sia i formatori. REGIONE CITTÀ ENTE CIOFS/FP - CNOS-FAP ISFOL Saperi Capacità Competenze Di base Tecnico/ pratiche Trasversali LIGURIA Genova CIOFS -FP Obiettivi comportamentali (partecipazione, disponibilità, puntualità, disciplina) Tecnico-professionali (espressione, apprendimento, applicazione, motivazione) Esercitazioni pratiche (qualità, metodo, tempi) Prove scritte, orali, test, questionari, simulazioni di casi aziendali, prove strutturate LIGURIA CNOS- FAP - - - - - - LOMBARDIA AFGP Colloqui, test Osservazione sistematica Prove complessive interdisciplinari, valorizzazione stage LOMBARDIA ASFAP Test di ingresso e verifiche orali/scritte Realizzazione impianti Entro gli elaborati tecnici LOMBARDIA CANOSSA Prove individuali intermedie e di fine ciclo Valutazione globale a cura del consiglio di corso Valutazione di fine ciclo e valutazione tutor stage LOMBARDIA Milano CIOFS -FP Verifica individuale Accordi interdisciplinari Prove multidisciplinari – casi aziendali LOMBARDIA Pavia CIOFS -FP Test e prove di verifica Test e prove di verifica Test e prove di verifica LOMBARDIA Varese CIOFS -FP - Caso aziendale (simulazione) - LOMBARDIA Brescia CNOS- FAP Compiti, lavori di gruppo, test Performance operative Analisi documenti, progetti… LOMBARDIA Milano CNOS- FAP Test, prove di verifica, valutazione dialogica, autovalutazione Test, questionari, interviste, autovalutazione Prove pratiche LOMBARDIA Sesto CNOS- FAP Test, colloqui - Test, prove pratiche, colloqui LOMBARDIA Monza ECFoP Test, verifiche, elaborati di gruppo Test, verifiche, elaborati di gruppo Test, verifiche, elaborati di gruppo LOMBARDIA Desio ECFoP Test con domande aperte e chiuse Test con domande aperte e chiuse Test con domande aperte e chiuse LOMBARDIA Carate ECFoP Test Test Prove di verifica LOMBARDIA F. Clerici Test, questionari, colloqui (secondo le aree specifiche) Test, questionari, colloqui Test, questionari 1 PIEMONTE Torino CIOFS -FP Test, questionario, giochi, griglie Simulazione e griglie di valutazione Agenda di auto- monitoraggio PIEMONTE Alessandria CIOFS -FP Colloqui e test Laboratorio di simulazione Casi, simulazioni e laboratori PIEMONTE Asti CIOFS -FP Test, questionario, giochi, griglie Simulazione e griglie di valutazione Agenda di auto- monitoraggio PIEMONTE Novara CIOFS -FP Test, questionario, giochi, griglie Simulazione e griglie di valutazione Agenda di auto- monitoraggio 14 segue segue rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 114 115 REGIONE CITTÀ ENTE CIOFS/FP - CNOS-FAP ISFOL Saperi Capacità Competenze Di base Tecnico/ pratiche Trasversali PIEMONTE Vercelli CIOFS -FP Test, questionario, giochi, griglie Simulazione e griglie di valutazione Agenda di automonitoraggio PIEMONTE Alessandria CNOS- FAP Prove scritte e orali Prove pratiche e scritte Osservazione da parte dei docenti PIEMONTE Bra CNOS- FAP Verifiche in itinere; test di valutazione Prove teorico- pratiche Verifica interdisciplinare PIEMONTE Colle CNOS- FAP Verifiche scritte e orali Verifiche, esercitazioni e casi studio - PIEMONTE Fossano CNOS- FAP Valutazione del percorso effettuato e distinzione nella valutazione finale tra parte tecnico-pratica e tecnico-professionale PIEMONTE S. Benigno CNOS- FAP Test e casi pratici Test e casi pratici Test e casi pratici PIEMONTE TO Rebaudengo CNOS- FAP Test / Prove di verifica Test / Prove di verifica Test / Prove di verifica PIEMONTE TO Valdocco CNOS- FAP Prove di verifica Prove di verifica Prove di verifica PIEMONTE Vercelli CNOS- FAP Test, prove di verifica Prove pratiche di verifica Prove pratiche e teoriche di verifica PIEMONTE Vigliano CNOS- FAP Verifiche scritte e orali Verifiche pratiche, scritte e orali Verifiche scritte e orali SARDEGNA CIOFS -FP Questionari, test, colloqui - Prove pratiche, colloquio, prove scritte SARDEGNA CNOS- FAP Prove orali e prove scritte Esercitazioni pratiche Prove orali e prove scritte, esercitazioni pratiche SICILIA CIOFS -FP Prove personali, simulazioni, lavori di gruppo SICILIA CNOS- FAP Test Lista di osservazione Prove di verifica, test, autovalutazione UMBRIA Foligno CIOFS -FP Vengono adottate le linee guida del progetto VENETO TV, Conegliano CIOFS -FP Procedure qualità Procedure qualità Procedure qualità VENETO Padova CIOFS -FP - - - - - - VENETO CNOS- FAP 2.10. Libretto personale e certificazione Analizzando i dati, sorge l’impressione che il tema del libretto personale sia stato normalmente rinviato più avanti, per fare spazio a tematiche più urgenti, spe- cie quelle che prevedono un deciso impatto organizzativo (cfr. Tav. 10). I Centri stanno per affrontare questa tematica, anche se non compare ancora una linea chiara in tale direzione che pure vede la produzione di due prototipi spe- rimentali per ognuno degli enti salesiani coinvolti. Circa l’oggetto della certificazione, vi è una netta prevalenza della qualifica, al più integrata con quella mista qualifica/competenza (così come viene proposta nel progetto CIOFS/FP e CNOS-FAP). segue rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 115 116 Ciò significa che: – viene confermata la centralità della qualifica in tema di certificazione della for- mazione professionale, – sono prevalenti i percorsi biennali “integri” con ingressi molteplici, fasi di ac- coglienza e recupero, ma successivamente gruppi classe omogenei mirati al “successo formativo” ovvero alla qualifica. In altri termini, non sembra presente la modalità formativa “frantumata” o com- positiva che pone al centro della attività formativa non il corso, ma i moduli e deli- nea il percorso di acquisizione della qualifica come una somma di certificazioni di competenza. Si riscontra in altri termini il carattere “istituzionale” dei corsi di formazione, situazione che contribuisce ad accreditare la necessità di una riforma in grado di da- re stabilità e consistenza ad un sistema su cui ancora si dirigono sforzi tesi alla sua frantumazione. 15 Nel retro dell’ “Attestato di Qualifica”, vengono indicate le competenze acquisite dall’allievo durante l’intero percorso formativo. 16 Schede di valutazione personale per ogni valutazione collegiale periodica. Tav. 10 - Libretto personale e certificazione REGIONE / CITTÀ ENTE LIBRETTO PERSONALE CERTIFICAZIONE Progetto Regione Provincia Qualifica Competenze Qualifica e competenze ABRUZZO Vasto CNOS-FAP X X EMILIA ROMAGNA Reggio Emilia CIOFS-FP - - - X EMILIA ROMAGNA CNOS-FAP - - - X X Dichiarazione di competenze per i non qualificati LAZIO CIOFS-FP X X LAZIO RM - Borgo CNOS-FAP - - - X LAZIO RM - Gerini CNOS-FAP - - - X X LAZIO RM - Pio XI CNOS-FAP X LIGURIA Genova CIOFS-FP X X LIGURIA CNOS-FAP X X X LOMBARDIA AFGP Dal prossimo anno con alcune modifiche X LOMBARDIA ASFAP - - - X LOMBARDIA CANOSSA - - - - - - LOMBARDIA Milano CIOFS-FP Lo stiamo elaborando, con revisioni X LOMBARDIA Pavia CIOFS-FP X X LOMBARDIA Varese CIOFS-FP - - - X 15 16 segue rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 116 117 17 Il libretto è stato elaborato, ma non utilizzato. REGIONE / CITTÀ ENTE LIBRETTO PERSONALE CERTIFICAZIONE Progetto Regione Provincia Qualifica Competenze Qualifica e competenze LOMBARDIA Brescia CNOS-FAP L’argomento è stato trattato con i formatori, ma non ancora definito X LOMBARDIA Milano CNOS-FAP Adattamento X LOMBARDIA Sesto CNOS-FAP X X LOMBARDIA Monza ECFoP Elaborato dall’ente X LOMBARDIA Desio ECFoP Elaborato dall’ente X LOMBARDIA Carate ECFoP Elaborato dall’ente X LOMBARDIA F. CLERICI Proprio della Fondazione (modello in via di definizione) X PIEMONTE Torino CIOFS-FP - - - X PIEMONTE Alessandria CIOFS-FP Revisione del libretto del progetto CIOFS-FP / CNOS-FAP X PIEMONTE Asti CIOFS-FP - - - X PIEMONTE Novara CIOFS-FP - - - X PIEMONTE Vercelli CIOFS-FP - - - X PIEMONTE Alessandria CNOS-FAP - - - X PIEMONTE Bra CNOS-FAP - - - X PIEMONTE Colle CNOS-FAP - - - X PIEMONTE Fossano CNOS-FAP Dal centro di formazione professionale X PIEMONTE S. Benigno CNOS-FAP - - - X PIEMONTE TO Rebaudengo CNOS-FAP - - - X PIEMONTE TO Valdocco CNOS-FAP - - - X PIEMONTE Vercelli CNOS-FAP Elaborato dall’ente - - X PIEMONTE Vigliano CNOS-FAP - - - X SARDEGNA CIOFS-FP X X SARDEGNA CNOS-FAP - - - X SICILIA CIOFS-FP Sperimentazione CIOFS-FP X X SICILIA CNOS-FAP X X X UMBRIA Foligno CIOFS-FP X X X VENETO TV, Conegliano CIOFS-FP Elaborato dai Centri, in bozza X VENETO Padova CIOFS-FP VENETO CNOS-FAP 17 segue rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 117 118 2.11. Costi Di fronte a dati tanto vari (da £. 6.788 a £. 25.000 di valore OFA), non pare pos- sibile alcun commento, se non quello che sollecita una normativa comune a livello nazionale che eviti situazioni tanto diversificate (cfr. Tav. 11). Si segnala che le cifre più elevate si riferiscono non all’unità ora/allievo, ma al- l’ora erogata (quindi andrebbe perlomeno divisa per 12-15 allievi). Tav. 11 - Costi 3. INTERAZIONE SCUOLA - FP NELL’OBBLIGO DI ISTRUZIONE In questo paragrafo approfondiamo un aspetto particolare dell’iniziativa dei CFP, ovvero le diverse esperienze di interazione che si realizzano tra scuola e FP nella fase terminale del percorso dell’obbligo di istruzione ed in preparazione del- rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 118 119 l’obbligo formativo (ma in taluni casi in forma strettamente connessa a questo). Ta- le rilevazione è svolta a partire dal Centro di formazione professionale e coinvolge sia la scuola media inferiore (ultimo anno) sia la scuola media superiore (primo an- no). Ciò a norma del decreto 9 agosto 1999, n. 323 ovvero il regolamento recante norme per l’attuazione dell’art.1 della legge 20 gennaio 1999, n. 9, contenente dis- posizioni urgenti per l’elevamento dell’obbligo di istruzione che, com’è noto, pre- vede le seguenti fattispecie di intervento: • Art. 6, Interazione fra istruzione e formazione professionale • Art. 7, Iniziative sperimentali tra istituzioni scolastiche e centri di formazione professionale. Tale rilevazione si colloca pertanto in stretta relazione nei confronti del moni- toraggio circa l’attuazione dell’art. 68 della legge del 1999, n. 144, che introduce l’obbligo formativo. In tal senso, si vuole verificare il tipo di relazioni che si in- staurano tra FP e scuola nel delicato passaggio dall’obbligo di istruzione all’obbli- go formativo. Questa analisi ci consente di svolgere una riflessione sull’orientamento, la pre- senza nei curricoli scolastici di tematiche connesse alla cultura del lavoro, il rap- porto esistente tra processi di apprendimento e indicazioni orientative. Circa que- st’ultimo aspetto, ci si potrà imbattere in differenti concezioni del rapporto tra scuo- la e FP: su un estremo infatti potremo trovare una visione residuale di quest’ultima, percepita come “estrema chance” per coloro che presentano difficoltà di apprendi- mento nella scuola, mentre all’opposto possiamo trovare una visione “vocazionale” che attribuisce pari dignità a scuola e formazione in riferimento al progetto di vita personale dell’allievo. Nella nostra analisi consideriamo solo i casi documentati; si tratta di un insie- me significativo di esperienze, che peraltro non esaurisce questa categoria di inter- vento, visto che le iniziative conosciute sono molto più numerose di quelle docu- mentate. 3.1. Partnership Il primo aspetto indagato riguarda i rapporti di partnership tra scuole e Centri di formazione. Dalla tavola 12, ricaviamo un quadro delle relazioni più comuni che prevedono la prevalenza di collaborazione con gli Istituti tecnici e simili, seguiti in misura minore (circa la metà dei primi) dagli Istituti professionali. I Licei e simili sono scarsamente indicati (come vedremo, si tratta di integrazioni riferite allo svol- gimento di moduli formativi ad hoc, quali l’informatica). Le scuole medie inferiori sono rappresentate con pari intensità rispetto agli Istituti professionali. La prevalenza di relazioni con gli Istituti tecnici indica che con questo tipo di scuola vi è un rapporto di maggiore complementarietà, mentre con gli Istituti pro- fessionali si ipotizza una relazione di maggiore similarità. Con i primi, infatti, si rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 119 120 svolgono maggiori scambi, sia nel senso dell’orientamento e delle passerelle, sia in quello dello svolgimento di moduli formativi. E’ poi prevalente la collaborazione con Istituti statali, segno che i CFP (che so- no emanazione di enti di ispirazione cristiana) non trovano difficoltà a svolgere in- terazioni con la rete scolastica presente sul territorio. Nel caso degli Istituti tecnici non statali, siamo probabilmente di fronte al cosiddetto “modello salesiano”, che si presenta come un insieme organico di opportunità educative e formative nell’ambi- to dell’oratorio, in una logica personalizzata in grado di attraversare le differenti at- tività previste. 18 26 interventi di cui vengono riportati i dati totali e le modalità tipiche. 19 32 interventi di cui vengono riportati i dati totali e le modalità tipiche. Tav. 12 - Partnership ISTITUTI PARTNER Scuola media superiore REGIONE / CITTÀ ENTE Scuola media inferiore Istituti professionali Istituti tecnici Licei Altro s s ns s EMILIA R. - Reggio Emilia CIOFS-FP ns LAZIO - RM Borgo CNOS-FAP s / ns s s LAZIO – RM Gerini CNOS-FAP s s s LIGURIA - Genova Indicate solo le attività 2001 (erano altrettante nel 2000) CNOS-FAP s ns ns LOMBARDIA - Milano CNOS-FAP ns ns LOMBARDIA Sesto CNOS-FAP ns LOMBARDIA ECFoP s s s PIEMONTE CIOFS-FP s / (1 solo ns) s s SICILIA CIOFS-FP ns SICILIA CNOS-FAP s TOSCANA CNOS-FAP Allievi provenienti da varie scuole VENETO - Tv Conegliano CIOFS-FP s VENETO - Verona CNOS-FAP ns Legenda s = statali ns = non statali 19 18 3.2. Tipologie di intervento Nella gran parte dei casi, siamo di fronte ad interventi parziali, più o meno in- tegrati, che si riferiscono ad una varietà di iniziative (cfr. Tavv. 13-15). rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 120 121 3.2.1. Orientamento La modalità “orientamento” prevede in prevalenza le seguenti attività: 1) Incontri informativi 2) Moduli brevi di gruppo 3) Colloquio individuale 4) Visita guidata 5) Incontri con testimoni 6) Stage orientativo. Tav. 13 - Tipologia di intervento svolto dal CFP - Orientamento ORIENTAMENTO Riferimento prevalente N° allievi totale Durata per ciascun allievo REGIONE / CITTÀ ENTE Tipologia di intervento classe singoli classe singoli classe singoli 1,3 Rafforzamento delle scelte 1 3 110 4 27 1-20 1,3 Rafforzamento delle scelte 1 3 140 48 1,5 1-20 1,3,4 1,4 3 56 8 2 1 1,3 1 3 210 40 2 1 EMILIA ROMAGNA Reggio Emilia CIOFS-FP 1,4,5 1,4,5 52 2-4 LAZIO RM - Borgo CNOS-FAP 1,2,3 1,2 3 400 10 6-24 2 LAZIO RM - Gerini CNOS-FAP 1,2,3,4,5,6 1,2,4,5,6 3 Variabile a seconda della necessità 1,2,3 1,2,3 30 2-30 1,2,3 1,2,3 27 2-30 1,2,3 1,2,3 30 2-30 LIGURIA Genova CNOS-FAP 1,2,3 1,2,3 30 2-30 1,4,5 1,4,5 270 1,2,3,4,5 1,2,4,5 3 240 LOMBARDIA Milano CNOS-FAP 1,2,3,4,5 1,2,4,5 3 126 1,2,3 1,3 2 132 66 1-30 1 LOMBARDIA Sesto CNOS-FAP LOMBARDIA ECFoP 1,2,3,4,6 1 2,3,4,6 75 580 0,20.2 0,50-30 PIEMONTE Torino CNOS-FAP 1,2,3,4,5,6 laboratori orientativi 1 2,3,4,5,6 904 1.143 0,20-2 0,5-80 SICILIA CIOFS-FP SICILIA CNOS-FAP Si tratta del progetto F.S.O.S. (Formazione Sperimentale Assolvimento Obbligo Scolastico) previsto dalla circolare regionale e finanziati interamente dalla Regione Siciliana. La sperimentazione è attualmente in corso per il terzo anno consecutivo con ottimi risultati TOSCANA CNOS-FAP VENETO Tv, Conegliano CIOFS-FP 1,3 scuole distretto 32 0,50-1 VENETO Verona CNOS-FAP 1,2,3,4 1,2,4 3 5/6 per classe 2 Legenda 1) Incontri informativi 2) Moduli brevi di gruppo 3) Colloquio individuale 4) Visita guidata 5) Incontri con testimoni 6) Stage orientativo Tutte le tipologie indicate sono rappresentate, con prevalenza per gli incontri in- formativi, i moduli di gruppo, il colloquio individuale, la visita guidata ovvero tut- rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 121 122 to ciò che consente di svolgere un primo percorso di orientamento che prelude ad un passaggio dello studente nella formazione professionale. Tali interventi sono svolti sia in riferimento alla classe sia ai singoli, con preferenza di interventi informativi per le classi mentre le altre iniziative vengono riferite ad utenti ben individuati. I nu- meri di tali iniziative appaiono abbastanza ampi: spesso si ha l’impressione che il Centro di formazione venga richiesto per svolgere una vera e propria azione di orientamento per tutto l’ambito riguardante il lavoro e la sua cultura. La durata è molto varia: si va da una porzione di ora, fino anche a moduli con- sistenti che impegnano anche 80 ore di attività orientativa e formativa. La situazione dei diversi Centri è sintetizzata nella tavola 13. 3.2.2. Cultura del lavoro La modalità “cultura del lavoro” prevede in prevalenza le seguenti attività: 1) Moduli di inquadramento 2) Conoscenza del mondo/mercato del lavoro 3) Moduli formativi pre-professionalizzanti Anche qui tutte le tipologie sono attive, con una certa prevalenza per i moduli che mirano alla conoscenza del mondo/mercato del lavoro, segno che ci troviamo di fronte ad una valorizzazione del CFP per lo svolgimento di attività necessarie alla formazione degli studenti, ma per le quali la scuola non pare adeguatamente attrez- zata. Si rivela una sorta di delega che indica l’esistenza di una propensione a con- cepire la cultura del lavoro come una componente secondaria, in un certo qual mo- do esterna al curricolo ed alla proposta formativa della scuola stessa. Prevale il rife- rimento ai singoli studenti, che si spiega se consideriamo la natura strettamente for- mativa degli interventi proposti. Circa la durata, si riscontra anche qui una varietà di tempi, che vanno da un minimo di 2 ad un massimo di 193 ore. Vi è una sola esperienza sperimentale, quella della Toscana, che riguarda mo- duli formativi pere l’acquisizione del patentino ECDL. La tavola 14 sintetizza la situazione descritta. 3.2.3. Utenti specifici La modalità “utenti specifici” prevede in prevalenza le attività per: 1) Portatori di handicap 2) Persone con difficoltà di apprendimento 3) Extracomunitari. Qui troviamo pochi interventi, in particolare nella Lombardia che vede coin- volti 328 ragazzi. In un solo caso è previsto un corso di lingua italiana per studenti extracomunitari delle scuole. Finora abbiamo trattato di moduli parziali. Solo il caso del CNOS-FAP di Ca- tania risulta particolare e nel contempo sperimentale. Si tratta del progetto F.S.O.S. (Formazione Sperimentale Assolvimento Obbligo Scolastico) previsto dalla circo- lare Regionale e finanziato interamente dalla Regione Siciliana. La sperimentazio- ne è attualmente in corso per il terzo anno consecutivo; il suo esito è considerato ot- rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 122 123 timo dai realizzatori. L’intervento formativo risponde alle esigenze di offrire ai gio- vani, iscritti al CFP, che non hanno assolto l’obbligo scolastico, o ancora non ne so- no stati prosciolti, la possibilità di acquisire conoscenze, capacità e competenze di base per supportare la scelta del successivo percorso di istruzione scolastica o di formazione professionale secondo le indicazioni degli artt. 6 e 7 del decreto 9 ago- sto 1999, n. 323, del Ministro della Pubblica Istruzione. In modo particolare si in- tende dare risposte alla domanda piuttosto elevata, presente nel contesto territoria- le, di assolvimento dell’obbligo scolastico percorrendo il canale formativo orien- tante e pre-professionalizzante offerto dalla interazione fra il Centro di Formazione Professionale e l’Istituto di Istruzione Superiore. Tale canale offre all’allievo l’op- 20 Informatica di base, diritto lavoro e sindacale, ricerca attiva lavoro, informatica applicata. Tav. 14 - Tipologia di intervento svolto dal CFP - Cultura del lavoro CULTURA DEL LAVORO Riferimento prevalente N° allievi totale Durata media in ore per ciascun allievo REGIONE / CITTÀ ENTE Tipologia di intervento classe singoli classe singoli classe singoli 1,2,3 2 1,3 110 16 8 20-160 1,2,3 2 1,3 140 18 8 20-193 2,3 2 3 28 8 2 160 EMILIA R. Reggio Emilia CIOFS- FP 2,3 2 3 210 5 7 160 LAZIO RM Borgo CNOS- FAP 3 3 200 30 LAZIO RM Gerini CNOS- FAP 1,2 Durante tutto l’anno 2 2 10 2 LIGURIA Genova CNOS- FAP 2 2 10 2 1,2 120 1,2 64 LOMBARDIA Milano CNOS- FAP 3 3 66 30 3 3 125 LOMBARDIA Sesto CNOS- FAP 170 LOMBARDIA ECFoP 1,2,3 pari opportunità bilancio 1,2,3 1,2,3 417 499 3-60 2-92 PIEMONTE CNOS- FAP 3 3 21 4,8 SICILIA CIOFS- FP Progetto F.S.O.S. (Formazione Sperimentale Assolvimento Obbligo Scolastico) SICILIA CNOS- FAP Patente ECDL X 30 80 Inglese e informatica (speriment.) X 10 180 TOSCANA CNOS- FAP 3 VENETO TV Conegliano CIOFS- FP 1,2,3 VENETO Verona CNOS- FAP Legenda 1) Moduli di inquadramento 2) Conoscenza del mondo/mercato del lavoro 20 rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 123 124 portunità di orientarsi rispetto alle future scelte con un approccio pre-professionale e con metodo prevalentemente induttivo, rispondendo ai propri bisogni e potenzia- lità. I destinatari dell’intervento, dunque, sono i minori che hanno concluso la scuo- la media inferiore e che intendono assolvere l’obbligo scolastico attraverso il cana- le formativo offerto dalla interazione tra il Centro di Formazione Professionale e l’I- stituto di Istruzione Superiore, secondo quanto previsto dagli artt. 6 e 7 del citato de- creto. Il modello formativo adottato prevede un’impostazione modulare finalizzata a fornire ai destinatari saperi, competenze e capacità che consentano loro di: 1) potenziare il proprio bagaglio culturale, 2) acquisire una qualifica spendibile nel mercato del lavoro, 3) acquisire crediti che consentano l’eventuale passaggio tramite passerelle alla scuola secondaria. A conclusione di ciascun ciclo, sono certificate le acquisizioni dei destinatari con valore di titolo di accesso ai cicli successivi e credito per il passaggio a cicli di- versi, o per la transizione nel sistema di istruzione, o nell’esercizio dell’apprendi- stato. Tav. 15 - Tipologia di intervento svolto dal CFP – Utenti specifici UTENTI SPECIFICI REGIONE / CITTÀ ENTE Tipologia di intervento Riferimento prevalente N° allievi totale Durata media per ciascun allievo classe singoli classe singoli classe singoli 1 1 193 EMILIA ROMAGNA Reggio Emilia CIOFS-FP LAZIO RM - Borgo CNOS-FAP LAZIO RM - Gerini CNOS-FAP LIGURIA Genova CNOS-FAP LOMBARDIA Milano CNOS-FAP LOMBARDIA Sesto CNOS-FAP LOMBARDIA ECFoP 2,3 2,3 328 1-30 PIEMONTE CNOS-FAP 1 1 27 10-80 SICILIA CIOFS-FP SICILIA CNOS-FAP Progetto F.S.O.S. (Formazione Sperimentale Assolvimento Obbligo Scolastico) TOSCANA CNOS-FaP VENETO - Tv, Conegliano CIOFS-FP 3 Lingua italiana presso CTP, 9 h. settimanali VENETO Verona CNOS-FAP 2, 3 Legenda 1) Portatori di handicap 2) Persone con difficoltà di apprendimento 3) Extracomunitari rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 124 125 Circa la valutazione formativa si sviluppano operazioni che consentono di ve- rificare la corrispondenza delle varie fasi del ciclo della formazione ai requisiti sta- biliti. Per questo motivo si distingue fra tre momenti: – ex ante, mediante la quale si verifica la correttezza del progetto formativo e la rispondenza della figura professionale, la presenza nei candidati dei pre-requi- siti minimi fondamentali, la presenza delle risorse necessarie all’espletamento dell’azione, – in itinere, che prende la forma di monitoraggio delle attività in svolgimento per consentire la “correzione del tiro”, specie in presenza di problemi e di esiti inat- tesi, – finale ed ex post, mirate a verificare l’effettivo raggiungimento degli obiettivi (minimi) richiesti, compreso l’impatto sulla persona e sull’organizzazione. Al termine dell’intervento formativo, l’allievo acquisisce conoscenze capacità e competenze di base tali da supportare la scelta del successivo percorso di istru- zione scolastica o di formazione professionale. Circa gli aspetti formali, dalla convenzione si deduce che titolare dell’assolvi- mento dell’obbligo scolastico e della relativa certificazione è l’Istituto e pertanto è tenuto all’acquisizione delle domande di iscrizione. Perciò le iscrizioni effettuate presso il CFP sono trasferite, d’intesa con le famiglie degli alunni interessati, alla se- greteria dell’Istituto stesso. La sede di svolgimento delle attività di formazione pre- viste è il Centro di Formazione Professionale. Tra l’Istituto ed il CFP viene istituito un gruppo di progetto presieduto dal Preside dell’Istituto, o suo delegato, e compo- sto dal Direttore del CFP, o suo delegato, e da due docenti dell’Istituto e due docen- ti del CFP, con il compito di definire gli obiettivi finali relativi all’area delle com- petenze di base, delle competenze trasversali, gli eventuali moduli per garantire il passaggio ad altri indirizzi; modalità, tempi di verifica, il monte ore complessivo e delle singole discipline. Al Preside dell’Istituto, o al suo delegato, è affidata l’attivi- tà di coordinamento del progetto ed il compito di presiedere le verifiche intermedie e finali. Il Preside e il Direttore del CFP attraverso il loro staff di tutor svolgono compiti di tutoraggio al fine di monitorare l’andamento del percorso con verifiche in itinere. Le valutazioni intermedie e finali sono effettuate dal consiglio di classe del CFP integrato dal gruppo di progetto. Al termine dell’anno formativo l’Istituto cer- tifica l’assolvimento dell’obbligo scolastico, secondo quanto previsto dalla legge 9/99. Il Consiglio di classe integrato, in sede di scrutini finali, dà una valutazione globale di ogni singolo allievo, dalla quale possono scaturire le seguenti successive opzioni da parte degli alunni: a) promozione, nel caso di raggiungimento degli obiettivi minimi previsti dal gruppo di progetto, con possibilità di frequenza della seconda classe dell’I.P.S.I.A. o passaggio ad altro indirizzo, usufruendo dei crediti formativi acquisiti anche attraverso moduli integrativi e secondo le modalità previste dal- la legge; b) semplice “certificazione” di avere assolto l’obbligo scolastico. rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 125 126 Colpisce il fatto che in Sicilia si svolge già da tre anni un’esperienza che solo a partire dal 2002 è stata realizzata in altre Regioni d’Italia, sulla base del protocollo sperimentale tra queste e Ministero dell’istruzione università e ricerca e Ministero delle politiche sociali. 3.3. Modello di interazione/integrazione Vediamo ora quale modalità di interazione/integrazione viene adottata nelle esperienze registrate (Cfr. Tav. 16). Tra le varie modalità previste, prevale quella che persegue il successo formativo degli allievi, in coerenza con le proprie caratte- ristiche e decisioni. Ciò significa che gli interventi indagati rivelano la ricerca di col- laborazione dalla scuola al CFP non per motivi prettamente strumentali, ma al fine di trovare una adeguata collocazione per allievi rispetto ai quali si è posta in atto un’attenzione personale volta alla piena espressione delle loro peculiarità (anche se il segnale originario può essere rappresentato dalla difficoltà di apprendimento). Successivamente, troviamo la modalità dell’orientamento generico per tutti, per comprendere il quale disponiamo di esemplificazioni esaurienti (CNOS-FAP Mila- no): 1) Per tutti gli alunni: incontro di informazione su: profili professionali, sbocchi occupazionali, attività del Centro relativamente alla didattica, agli spazi, all’in- tegrazione e al recupero, all’animazione, alle attività extra scolastiche, al rap- porto con le famiglie (50 minuti – presentazione PowerPoint). I ragazzi (divisi in tre gruppi) sono stati accompagnati in una visita guidata nei tre laboratori del Centro (grafica, meccanica, elettromeccanica; 30 minuti per ogni laboratorio) dove hanno osservato le relative principali fasi di lavorazione. Gli allievi han- no poi avuto la possibilità di incontrare i responsabili dei laboratori (20 minu- ti). Il Centro si propone di ampliare le conoscenze degli studenti relativamente al mondo del lavoro, di incrementare il grado di consapevolezza rispetto al signi- ficato e al ruolo che svolgeranno nella loro vita, di analizzare aspettative e aspi- razioni rispetto al futuro lavorativo, di far conoscere l’evoluzione del mercato del lavoro, con particolare riferimento alle specificità produttive del territorio, oltre che le principali caratteristiche delle figure professionali significative in ri- ferimento ai settori di interesse. Attraverso schede, questionari, filmati, appro- fondimenti e discussioni (lavoro individuale e di gruppo), si cerca di favorire negli alunni la consapevolezza rispetto alle proprie rappresentazioni, ai signifi- cati e ai valori del lavoro e di analizzare le loro aspettative e aspirazioni rispet- to al futuro lavorativo. Sono, in particolare, le visite guidate presso laboratori e aziende presenti sul territorio a far crescere negli studenti la conoscenza della realtà produttiva di settore e delle sue applicazioni, oltre che aiutare a rendere più familiare il linguaggio proprio del mondo del lavoro. Ore corso: 20. 2) Per alunni decisi a inserirsi nella formazione professionale, ma vincolati al- l’assolvimento dell’obbligo scolastico nel canale dell’istruzione, si propone un rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 126 127 percorso formativo integrato in convenzione con il Centro di formazione pro- fessionale accreditato dalla Regione e operante nel medesimo plesso scolastico. Il modello didattico-organizzativo si propone di prevenire e recuperare la dis- persione scolastica mediante strategie per il sostegno della motivazione, la chia- rificazione degli interessi e delle attitudini, il recupero dello svantaggio cultu- rale. Per adempiere all’obbligo formativo restano possibili tre percorsi: la pro- secuzione nell’Istituto Tecnico Industriale, il passaggio alla Formazione Pro- fessionale, l’ingresso nell’apprendistato. Utilizzando l’autonomia didattica-or- ganizzativa la classe si articola, a rotazione, in tre gruppi che si alternano nei tre settori: meccanico, elettrico, grafico. L’ampliamento dell’area delle discipline ha finalità di orientamento. Il percorso si articola nella conoscenza della realtà produttiva del settore e delle sue applicazioni più vicine allo studente stesso, nel rendere familiare il linguaggio proprio del mondo del lavoro, nello sviluppare la capacità di affrontare un problema da punti di vista differenti. L’allievo è 21 In alcuni casi l’intervento dipende fortemente dalla volontà della famiglia. Tav. 16 - Cultura e modalità dell’interazione-integrazione CULTURA DELL’INTERAZIONE MODALITÀ * STRUMENTO GIURIDICO ** REGIONE / CITTÀ ENTE Orientamento generico per tutti Solo per alunni in difficoltà Prospettiva del successo formativo EMILIA ROMAGNA Reggio Emilia CIOFS-FP X 1 1 LAZIO RM - Borgo CNOS-FAP La scuola invia il ragazzo per chiedere informazioni su come integrarsi nel centro 2, 3, 4 LAZIO RM - Gerini CNOS-FAP Non abbiamo attuato nessun tipo di interazione istituzionalizzata. solo contatti con le scuole statali che ci conoscono e sanno come operiamo, ci permette di avviare i nostri allievi al diploma di stato. Non abbiamo attuato passerelle se non per alcuni allievi e previo contatto con la scuola interessata LIGURIA Genova CNOS-FAP X 5 2 LOMBARDIA Milano CNOS-FAP X 1 1 LOMBARDIA Sesto CNOS-FAP X 1, 2, 3, 4 1, 2 LOMBARDIA ECFoP X X molto prevalente X 1, 4 2 PIEMONTE CNOS-FAP X 1 solo caso X diffuso X prevalente 1 prevalente 2, 4 (1 caso) 1, 2 SICILIA CIOFS-FP X 1, 3, 4 1, 2 SICILIA CNOS-FAP Progetto F.S.O.S. (Formazione Sperimentale Assolvimento Obbligo Scolastico) TOSCANA CNOS-FAP Si realizza l’interazione con singoli allievi di diverse scuole 3, 5 1 VENETO - Tv, Conegliano CIOFS-FP 1, 2 protocollo di intesa VENETO - Verona CNOS-FAP X 2, 4 1, 2 * Legenda: ** Legenda: 1) Richiesta scuole 1) Delibere regionali/provinciali 2) Richiesta CFP 2) Convenzione diretta scuola – FP 3) Richiesta allievi 4) Richiesta famiglie 5) Progetto ente locale 21 rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 127 128 condotto a valorizzare la realtà produttiva del territorio, le figure professionali di riferimento e gli sbocchi occupazionali. Orientamento integrato – cultura del lavoro: 66 ore; orientamento integrato – laboratorio: 198 ore. La modalità che prevede il ricorso al CFP in presenza di alunni in difficoltà di apprendimento che si intendono “dirottare” verso la formazione professionale è for- temente presente in Lombardia ed in parte in Piemonte, Regioni dalle quali provie- ne la maggioranza dei casi indagati. A questo proposito, andrebbe collegata tale mo- dalità con quella che prevede il successo formativo, visto che il destino di tali stu- denti presso la scuola di provenienza pare essere appunto l’insuccesso. In prevalenza la richiesta origina dalla scuola, ma non mancano interventi del CFP, delle famiglie, degli stessi ragazzi e della Provincia. Lo strumento prevalente è la delibera regionale o provinciale, cui fa seguito la convenzione tra gli organismi coinvolti. 3.4. Finanziamento e certificazione Nella maggioranza dei casi (si ricorda che Lombardia e Piemonte presentano il numero più rilevante di casi indagati), il finanziamento è totalmente di fonte regio- nale o provinciale. Vi è anche un finanziamento misto dove in genere (tranne un so- lo caso) la scuola partecipa con una cifra minoritaria (Cfr. Tav. 17). La natura degli interventi viene rivelata con chiarezza dalle indicazioni riferite alla certificazione finale: queste prevedono una forte prevalenza di destinazioni presso la formazione professionale, mentre appare limitato il percorso di prosecu- zione di studi scolastici. Ciò segnala che si tratta in realtà di “passaggi” di studenti che non presentano i requisiti per la prosecuzione degli studi nella scuola e che quin- di vengono instradati nel percorso formativo-professionale mediante modalità di in- terazione ed integrazione tra i due organismi coinvolti. Da notare la totale assenza di riferimento all’apprendistato, ulteriore segnale della debolezza strutturale di questo percorso di cui non viene percepito il valore formativo. 4. ANALISI DELLE PRASSI Per la nostra analisi, attraverso la scheda “Dossier delle procedure e degli stru- menti”, abbiamo raccolto la seguente documentazione: 1) Delibera regionale/provinciale sull’obbligo formativo e documento di approva- zione delle attività 2) Modulo di accoglienza 3) Modalità di orientamento / accompagnamento in itinere (recupero e approfon- dimento) 4) Materiali formativi per l’analisi dei crediti e delle competenze 5) Materiali formativi per la gestione dei saperi rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 128 129 6) Materiali formativi per la gestione delle competenze professionali trasversali 7) Materiali formativi per la gestione delle competenze professionali specifiche 8) Materiali formativi per la gestione delle capacità personali 9) Materiali formativi per la gestione dello stage 10) Strumenti per le valutazioni di fine ciclo e la valutazione finale 11) Strumenti per la certificazione 12) Esempio di compilazione del libretto personale Dal momento che non tutti i Centri hanno mandato tutto il materiale richiesto, e dato che nostro interesse è focalizzare la situazione sul territorio nazionale, di se- guito, presentiamo la nostra analisi delle prassi articolando l’esposizione in base al- le diverse regioni che stanno prendendo parte al progetto. Per alcuni materiali, abbiamo avuto anche il contributo delle sedi nazionali; 22 Il progetto è totalmente finanziato dalla Regione, su proposta del CFP. E’ finalizzato al conse- guimento di crediti formativi utilizzabili in ambito scolastico e per l’inserimento lavorativo. 23 La famiglia può venire rimborsata del contributo economico richiesto, dal buono regionale per il diritto allo studio. Tale contributo, se non cambiano i termini della situazione, l’anno prossimo, do- vrà essere portato a L. 750.000. FONTE FINANZIAMENTO (%) CERTIFICAZIONE REGIONE / CITTÀ ENTE Scuola Regione Provincia Nella FP Nell’appren- distato Ad altre scuole 35 65 X X 50 50 X X 45 55 X X 100 X X EMILIA ROMAGNA Reggio Emilia CIOFS-FP 50 50 LAZIO - RM Borgo CNOS-FAP LAZIO - RM Gerini CNOS-FAP X X X LIGURIA Genova CNOS-FAP X 100 X LOMBARDIA Milano CNOS-FAP 100 X 100 LOMBARDIA Sesto CNOS-FAP 100 LOMBARDIA ECFoP X PIEMONTE CNOS-FAP Rarissimo Prevalente Talvolta Nella gran parte dei casi non è prevista certificazione SICILIA CIOFS-FP 100 Certificazione dei crediti formativi SICILIA CNOS-FAP Progetto F.S.O.S. (Formazione Sperimentale Assolvimento Obbligo Scolastico) TOSCANA CNOS-FAP 100 Patente europea (ECDL) Certificato di acquisizione competenze informatiche e di lingua inglese VENETO - Tv, Conegliano CIOFS-FP 85 15 VENETO - Verona CNOS-FAP CFP: 21% Regione: 74% Famiglie: 5% X X Tav. 17 - Finanziamento e certificazione 22 23 rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 129 130 pertanto, prima di presentare i materiali delle diverse regioni, ci soffermiamo sui materiali delle sedi nazionali CIOFS-FP e CNOS-FAP. Così come nella presentazione dei dati relativi alle schede sintetiche, anche in questo caso ci avvaliamo dell’ausilio di tabelle. 4.1. Prassi proposte dalle sedi nazionali In questa parte, presentiamo alcuni strumenti elaborati dalle sedi nazionali CIOFS/FP e CNOS-FAP. In particolare, si focalizzano il “libretto formativo”, la “prova finale”, le “pro- cedure di qualità - servizi orientativi” e le “procedure di qualità - obbligo formati- vo” del CIOFS/FP; la “guida alla prova professionale”, “progetti di accreditamento della sede formativa e orientativa” ed il “Centro risorse educative per l’apprendi- mento” del CNOS-FAP. Coordinamento Nazionale CIOFS/FP 1) LIBRETTO FORMATIVO Natura del documento Il libretto formativo è uno strumento pensato per ciascun allievo, con una sezione introduttiva di presentazione (obiettivi, criteri, compilazione, valore, schema) ed il libretto vero e proprio che pre- senta le seguenti sezioni: a) Orientamento b) Profilo professionale c) Personalizzazione del percorso d) Certificazioni finali. Note Il libretto è uno strumento che può consentire all’allievo di seguire meglio la sua formazione e cioè può facilitare: a) la conoscenza e la comprensione dei percorsi b) il confronto con le aspirazioni personali c) il confronto con le possibilità e le attitudini personali d) il confronto e la costruzione del proprio giudizio personale con quello dei formatori e della fa- miglia e) il controllo del percorso formativo e del proprio progresso di apprendimento f) il controllo delle variazioni dei propri obiettivi formativi g) il controllo della documentazione che consente la compilazione del libretto. Si tratta di una nuova versione rispetto a quella presente nel materiale sperimentale, che presenta un’impostazione più puntuale dei diversi passaggi del percorso, anche se vi sono alcune modifiche linguistiche (si introduce il termine “discipline”, non vengono citate le “capacità personali”). 2) PROVA FINALE Natura del documento Si tratta del prototipo di prova finale riferito alla figura di “addetto ai servizi di impresa” realizzata dalla sede nazionale con la supervisione del prof. M. Comoglio dell’Università Pontificia Salesiana di Roma. Note La prova professionale si basa sullo studio di un modello valutativo in grado di verificare il livello di competenza acquisito, di abilità che caratterizzano la professione in considerazione e la redazio- rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 130 131 ne del prototipo della prova di qualifica a fine percorso. Si adotta il modello teorico denominato va- lutazione autentica per la ricerca di criteri di prestazione per la costruzione delle rubriche di riferi- mento. La valutazione verte unicamente su “ciò che uno studente sa fare con ciò che sa” durante una performance analoga al mondo reale. Gli utenti della FP infatti imparano, comprendono e possono essere meglio valutati quando si trovano di fronte a situazioni vere. Il processo valutativo attivato dal prototipo coinvolge i due livelli fondamentali della attività uma- na: • il livello della “persona” per cui la valutazione è intesa come metodologia in vista di obiettivi formativi personali che rendono più complessa l’operazione valutativa; • le abilità e il livello di competenza conseguito la cui performance è di più agevole verifica e va- lutazione. In questo caso gli standard di riferimento presentano caratteristiche più agevolmente derubricabili e misurabili. Il prototipo richiede ai destinatari una prestazione in grado di soddisfare i requisiti professionali at- tinenti al ruolo e alle mansioni previste dalla qualifica. Fa riferimento ad un processo che prevede la sequenza classica dell’analisi dei dati, dell’elaborazione del compito, del controllo e del recupe- ro delle anomalie secondo criteri di autonomia, efficacia, efficienza e durata (tempo utilizzato). Il prototipo valorizza la dimensione dell’autovalutazione sia nei confronti degli allievi sia dei do- centi. 3) PROCEDURA QUALITÀ - SERVIZI DI ORIENTAMENTO Natura del documento Si tratta della procedura relativa all’orientamento, inserita nel manuale delle procedure per la ge- stione del sistema qualità. Il materiale, di conseguenza, si specifica nei seguenti aspetti: a) sistema dei servizi e delle procedure b) sistema cliente c) caratteristiche e tipologie del servizio (informazione, consulenza, azioni di sostegno) d) flusso e percorso. Note Siamo di fronte ad un modello di gestione della qualità non limitato ad una sede erogativa, ma se- condo la logica dell’ “accreditamento interno” ovvero tendente a creare modalità comuni di impo- stazione e gestione dei processi. Ciò si somma alla completezza dei servizi indicati, che consentono di sviluppare alle sedi operative un dispositivo adeguato alle nuove necessità. Il metodo di lavoro è piuttosto impegnativo ed ha portato a definire criteri e decisioni al fine di con- sentire alle varie sedi locali un momento informativo di più ampio respiro rispetto alle sole tabelle e flussi definiti, e che costituiscono il riferimento per la realizzazione dei servizi di orientamento. La logica del coinvolgimento e della formulazione di criteri metodologici condivisi è la condizione di una adesione alle indicazioni proposte. 4) PROCEDURA QUALITÀ - OBBLIGO FORMATIVO Natura del documento E’ la bozza di procedura prevista per l’obbligo formativo. Essa è organizzata nel modo proprio del- la gestione della qualità: a) riferimenti b) scopo e campo di applicazione c) generalità d) tabella delle caratteristiche del servizio e) tabella dei documenti di riferimento f) flusso delle attività g) archiviazione dei documenti h) allegati rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 131 132 Sede Nazionale – CNOS-FAP 1) GUIDA ALLA PROVA PROFESSIONALE Natura del documento La guida si divide in: 1) Impostazione metodologica: comprende una presentazione, la definizione di prova professiona- le, la sua collocazione, la spiegazione circa il credito formativo ed il certificato di professiona- lità, natura e struttura della prova, rapporto tra percorso e prova, misurazione e valutazione (con criteri), costruzione delle prove e proposta 2) Allegati: sono rappresentati dal referenziale formativo, quadro riassuntivo di valutazione delle acquisizioni, scheda di valutazione finale, metodologia di costruzione della prova finale 3) Proposta di prove: comprende il compito tecnico-operativo, la prova scritta ed il colloquio. Note Si tratta di uno strumento-guida che consente agli operatori di elaborare le prove finali dei propri corsi, sulla base di un metodo coerente con l’impostazione dell’impianto sperimentale, e potendo usufruire di strumenti operativi. Da notare la scheda di valutazione che consente di impostare – partendo dalla prova finale – una me- todologia di valutazione anche per la fasi precedenti (fine biennio, fine ciclo, moduli). 2) ACCREDITAMENTO DELLA SEDE FORMATIVA Natura del documento Il documento descrive il processo di accreditamento effettivo che l’ente ha deciso di realizzare, fi- nalizzato a verificare il possesso dei requisiti prestabiliti e condivisi da tutti i CFP appartenenti alla Federazione CNOS FAP. Il documento consta di tre parti: a) il “modello di accreditamento interno” preventivamente discusso e condiviso b) la “guida all’uso del modello” di accreditamento interno c) la proposta di un “dossier documenti” per la rilevazione dei dati Note Si tratta di un processo che coinvolge tutti i CFP della Federazione CNOS FAP nelle seguenti mo- dalità: Fase iniziale: condivisione del modello di accreditamento interno con ai vari livelli della Federa- zione Fase organizzativa per l’avvio dell’accreditamento: - costituzione di un gruppo nazionale per la promozione dell’accreditamento interno - costituzione di un comitato qualità Fase operativa: - autovalutazione del CFP per la verifica del soddisfacimento dei requisiti di accreditamento in- terno per la FPI supportata dal gruppo nazionale - effettuazione dell’accreditamento interno dei CFP del CNOS FAP Fase conclusiva: valutazione del progetto di accreditamento interno. Note Anche in questo caso siamo di fronte ad un modello di qualità dell’intera rete CIOFS-FP, e non so- lo di un organismo erogativo. Si tratta pertanto di una procedura comune, che rielabora il progetto obbligo formativo nel linguaggio della gestione della qualità. Vengono posti in evidenza, pertanto, i temi dell’orientamento e riconoscimento dei crediti formativi, l’erogazione formativa, la valuta- zione e la certificazione ed ogni altro elemento qualificante del progetto sperimentale. rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 132 133 3) ACCREDITAMENTO DELLA SEDE ORIENTATIVA Natura del documento Il documento propone a tutti i CFP della Federazione CNOS FAP un modello di accreditamento del- le sedi orientative secondo la normativa vigente. Il documento consta di tre parti: - Linee guida per la sperimentazione dei servizi di orientamento - Il manuale delle procedure (allegato I) - Il modello di accreditamento delle sedi orientative (allegato II) Note Con il presente documento la Sede Nazionale CNOS FAP intende sostenere i CFP della Federazio- ne nell’attivazione di una sede orientativa in possesso dei requisiti richiesti dalla normativa vigente e secondo la logica dell’accreditamento interno seguito per la sede formativa. 4) CENTRO RISORSE EDUCATIVE PER L’APPRENDIMENTO (CREA) Natura del documento Si tratta di un fascicolo di presentazione del Centro risorse con collegate alcune unità formative sperimentali, riferite solitamente all’area comune. E’ un progetto sperimentale della Sede naziona- le in stretto legame con la sede regionale del Piemonte, che coinvolge diversi progettisti e formato- ri dei Centri. Note Tre sono le modalità di attuazione dell’autoformazione ipotizzate attraverso il CREA: 1) attività di autoapprendimento a supporto della didattica d’aula (didattica attiva); 2) attività di autoapprendimento ulteriori rispetto alla didattica d’aula (moduli di recupero, grup- pi di discussione, news group, spazio caffè); 3) modalità di apprendimento sostitutive della didattica d’aula, anche se non completamente (ap- prendimento multimediale interattivo). Il CREA può essere valorizzato: • nel lavoro di gruppo o individuale animato dal formatore: il formatore utilizza il CREA in modo integrativo rispetto alla didattica dell’aula, svolgendovi attività individuali o di gruppo da lui stesso animate, in coerenza con la propria programmazio- ne didattica; • nei piccoli gruppi assistiti su richiesta del formatore: il tutor dell’autoformazione assiste gli utenti di uno o più percorsi formativi dietro richiesta dei loro formatori, al fine di svolgere attività didattiche di vario tipo, tra cui esercitazioni, recuperi ed approfondimenti; • nel lavoro individuale su materiali di apprendimento: la singola persona realizza un proprio percorso di formazione sulla base di un progetto autode- finito, avvalendosi sia delle risorse del CREA che dell’assistenza del tutor; • nella formazione a distanza (FAD): aiutato dal tutor - formatore, l’allievo può svolgere percorsi di formazione a distanza su pro- grammi di studio prestabiliti, in linea di massima in integrazione con momenti di incontro di- retto e/o di formazione in presenza. 4.2. Prassi proposte dall’Emilia Romagna Le prassi dell’Emilia Romagna elencate di seguito sono: a) “Vademecum per la realizzazione dell’obbligo formativo” (CIOFS/FP) b) “Strumenti per la realizzazione dell’obbligo formativo” (CIOFS/FP) c) “Strumenti per l’accoglienza” (CNOS/FAP) rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 133 134 Forlì - CNOS-FAP STRUMENTI PER LA REALIZZAZIONE DEL NUOVO OBBLIGO FORMATIVO Natura del documento Vi sono: a) relazioni sulle varie attività svolte b) dossier personale c) aspettative e patto formativo d) progetto individualizzato Itaca e) libretto personale f) pianificazione del servizio formativo g) materiali per lo stage. Note L’approccio adottato è coerente con il dispositivo di legge e risente del notevole investimento posto in atto dalla Regione Emilia Romagna. Il materiale è molto interessante. Occorre verificare il rapporto tra Itaca e NOF. Occorre verificare il rapporto tra certificazioni di singole competenze e di qualifica. Bibbiano - CIOFS/FP VADEMECUM – GUIDA PER LA REALIZZAZIONE DEL NUOVO OBBLIGO FORMATIVO (NOF)24 Natura del documento Si tratta del progetto sperimentale regionale in attuazione dell’obbligo formativo. Esso si presenta come raccolta di approcci metodologici, soluzioni e orientamenti didattici che caratterizzano il mo- dello di NOF adottato dalla Regione. Vengono analizzate 19 aree tematiche intense come performance strategiche che il nuovo modello deve garantire. Note L’approccio adottato è coerente con il dispositivo di legge; esso mette in gioco tutto il ventaglio di indicazioni metodologiche previste, compresa la tematica dell’orientamento e dell’accoglienza, del- la personalizzazione e dell’apprendimento / certificazione delle competenze. Siamo di fronte ad una serie di consigli ed indicazioni metodologiche che la Regione propone agli organismi formativi, per loro natura non supportati da strumenti e materiali operativi. 24 Viene stranamente definito “nuovo”, anche se si tratta della sua prima introduzione nel nostro Paese. rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 134 135 Lazio - CIOFS/FP PROGRAMMAZIONE Natura del documento Il dossier presenta la delibera regionale (che ha la struttura del progetto formativo generale) e le schede di programmazione di dettaglio nel formato coerente con il sistema qualità adottato. Note Il modello CIOFS-FP presenta una forte impostazione orientata alla qualità, di tipo non nominali- stico, né puramente funzionale, ma in una logica coerente con la natura delle attività orientative e formative che si svolgono nel Centro. Inoltre è un modello comune (o perlomeno compatibile) a tutte le realtà CIOFS-FP nazionali. ACCOGLIENZA/ ORIENTAMENTO: PROGRAMMA DI DETTAGLIO Natura del documento Il documento presenta le caratteristiche di uno strumento di programmazione di attività formative non di docenza, finalizzato a delineare la metodologia di gestione del modulo di accoglienza ed orientamento. Dopo la spiegazione degli elementi generali, si delinea la programmazione di dettaglio, che preve- de i seguenti passaggi: a) prima accoglienza b) dal saper fare all’essere competente. Bologna - CNOS-FAP STRUMENTI PER L’ACCOGLIENZA Natura del documento Vi sono i seguenti strumenti: a) Schema accoglienza - orientamento b) I Salesiani c) L’intervista d) Tutoring e Visita aziendale f) Visita tecnica g) Scheda informativa sul corso h) Test i) Varie UFC l) Verifica per passerella in ingresso m) Verifica accoglienza. Note Tutto il modulo di accoglienza è ben articolato, metodologicamente completo; è presente l’appro- fondimento sulla proposta Salesiana. 4.3. Prassi proposte dal Lazio Le prassi del Lazio elencate di seguito sono: a) “Programmazione didattica” (CIOFS/FP) b) “Accoglienza - orientamento: programma di dettaglio” (CIOFS/FP) c) “Dispensa per l’insegnamento della matematica” (CIOFS/FP) d) “Strumenti per la valutazione di fine ciclo” (CIOFS/FP) e) “Accoglienza” (CNOS-FAP) f) “Valutazione didattica” (CNOS-FAP) rapportoB.qxd 26/03/2003 7.27 Pagina 135 136 Roma (Borgo Ragazzi Don Bosco) - CNOS-FAP ACCOGLIENZA Natura del documento Il dossier presenta diverse schede e strumenti in forma essenziale: a) prima accoglienza b) scheda informativa c) accoglienza/orientamento d) informazione/orientamento e) recupero/approfondimento f) materiali per l’analisi dei crediti e delle competenze. Note Si conferma il forte interesse per le fasi di ingresso del percorso formativo. In particolare, si segnala lo sforzo riferito all’analisi dei crediti e delle competenze, con la presen- tazione di test di verifica per materie. Note Si tratta di una metodologia definita secondo le modalità proposte dalla strumentazione di progetto, con un’attenzione particolare a scandire questa fase formativa in termini operativi, cercando di fa- vorire l’acquisizione previa di un “atteggiamento competente” che supera la prospettiva del “saper fare” e coinvolge tutti gli aspetti della persona. 3) DISPENSA PER L’INSEGNAMENTO DELLA MATEMATICA Natura del documento La dispensa, reperibile sul sito http://digilander.libero.it/ciofscolleferro/, è composta dalle seguenti parti: - i numeri - le potenze - le equazioni - la logica - i sistemi lineari - monomi e polinomi - i radicali - le coordinate cartesiane - la statistica. Note Lo strumento didattico è impostato in forma amichevole, interattiva, con una struttura semplice ba- sata su una spiegazione e sugli esercizi corrispondenti. Il vantaggio di questa impostazione è costituito dalla reperibilità in rete dei materiali e dalla sem- plicità della lettura e gestione dei materiali. STRUMENTI PER LA VALUTAZIONE (DI FINE CICLO E FINALE) Natura del documento Il fascicolo contiene: a) le prove di valutazione del corso “Addetto ai servizi di impresa- indirizzo turismo” applicate al termine del I anno (modello sperimentale CIOFS/FP e CNOS-FAP) b) le prove di valutazione del II anno (modello regionale, precedente). Note Vi è una breve introduzione con la descrizione sommaria del corso, per aiutare l’allievo. La prova è finalizzata a verificare la capacità dell’esaminando nell’utilizzare i saperi di base acqui- siti. E’ strutturata sulla base di obiettivi, condizioni di somministrazione (dati, materiali, strumenti, durata) ed allegati. Inoltre si presenta la griglia di correzione per ogni strumento proposto. rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 136 137 Roma (Pio XI) - CNOS-FAP ACCOGLIENZA Natura del documento Il dossier presenta due relazioni: 1) accoglienza 2) attività sportiva. Note Si conferma il forte interesse per le fasi di ingresso del percorso formativo. Da segnalare l’iniziativa sportiva (“Mens sana…”) sostenuta dalla Regione Lazio e della durata di 60 ore svolte nella prima parte dell’anno al sabato mattino, attività seguita da tutti i docenti. Roma (T. Gerini) - CNOS-FAP ACCOGLIENZA Natura del documento Il dossier presenta diverse schede: a) accoglienza b) informazione/orientamento c) recupero/approfondimento e prove di ingresso. Note Si conferma ancora il forte interesse per le fasi di ingresso del percorso formativo. Da segnalare l’iniziativa di recupero ed approfondimento, per una durata complessiva di 70 ore nel I anno, realizzata in due fasi: 1) 40 ore nel modulo accoglienza/orientamento 2) 30 ore di supporto all’attività didattica, in tre periodi, per settori tecnologici. VALUTAZIONE DIDATTICA Natura del documento La metodologia di valutazione prevede le seguenti schede: a) valutazione del percorso di stage b soddisfazione degli utenti c) valutazioni intermedie e di fine ciclo d) valutazione del comportamento sociale. Note Il materiale consiste in schede ordinate a seconda degli oggetti e delle fasi di valutazione. In particolare, la valutazione del percorso di stage prevede l’analisi della mansione svolta e l’auto- valutazione da parte dell’utente. La scheda di rilevamento del livello di soddisfazione è uno stru- mento molto articolato e puntuale in riferimento ai diversi aspetti dell’esperienza formativa. La scheda sui comportamenti si presenta come una griglia di osservazione basata su livelli di compor- tamento predefinito. 4.4. Prassi proposte dalla Liguria Le prassi della Liguria (che, per quanto riguarda il CNOS-FAP, comprende an- che la Toscana) elencate di seguito sono: a) “Strumenti per la valutazione finale” (CIOFS/FP) b) “Dossier dei corsi” (CNOS-FAP) c) “Gestione attività formativa” (CNOS-FAP) rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 137 138 Liguria (e Toscana) - CNOS-FAP DOSSIER DEI CORSI Natura del documento Il dossier si compone di materiali formativi per la gestione di; a) saperi di base; b) competenze professionali trasversali; c) competenze professionali specifiche. d) capacità personali Note I materiali si presentano sotto forma di schede per l’attività didattica da consegnare agli allievi. Vi è anche la specificazione dei testi in dotazione dei singoli allievi (inglese, diritto ed economia, ita- liano, educazione civica e sociale, elettrotecnica ed elettronica) e di consultazione da parte degli stessi, compresi gli strumenti di supporto (quotidiani e riviste, appunti vari). Si nota una notevole cura nell’elaborare materiali adeguati all’utenza ed al corso in oggetto, con at- tenzione in particolare per l’area tecnico-professionale, rispetto alla quale spesso mancano riferi- menti bibliografici e strumenti di facile reperibilità come accade invece per la cosiddetta area co- mune. Liguria - CIOFS/FP STRUMENTI PER LA VALUTAZIONE FINALE Natura del documento Il documento si compone di diverse prove di valutazione finale riferite a corsi differenti, così spe- cificate: a) corso servizio turistico-alberghiero (tre versioni): moduli di tecnica turistica ed alberghiera, in- formatica, inglese, gestione commerciale; b) corso operatore d’ufficio addetto alle attività amministrativa (una versione): moduli di contabi- lità, inglese, cultura professionale (segretariato), informatica; c) corso per segretari trilingue (tre versioni): moduli di inglese commerciale, tedesco commercia- le, francese commerciale, informatica, segretariato; d) corso per tecnico ambientale (una versione): moduli di energia e risorse ambientali, innovazio- ni tecniche e sistemi informatici per la gestione del territorio, ecologia e ambiente, biologia e igiene ambientale, legislazione e normative comunitarie nazionali e regionali. Note Le prove presentano un’impostazione metodologica basata su una performance sintetica, caratte- rizzata dalla simulazione di un lavoro reale relativo all’attività professionale di riferimento del corso. Lo strumento proposto fornisce: a) istruzioni generali (inquadramento) b) istruzioni operative (articolazione della prova e indicazioni per la sua realizzazione) c) criteri di valutazione d) sotto-prove (distinte, a loro volta, in quadro di riferimento e indicazioni specifiche con allega- ti). Si nota, pertanto, un’attenzione sistematica alla cura della prova finale, secondo un’impostazione coerente con le caratteristiche metodologiche della formazione professionale. rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 138 139 Lombardia – AFGP ACCOGLIENZA E STRUMENTI DIDATTICI Natura del documento I materiali forniti riguardano: a) il processo di accoglienza, orientamento e accompagnamento in itinere b) la scheda sull’analisi dei casi. Note Al centro dell’attenzione vi è il processo di inizio dell’attività formativa. Ciò è segno che l’innova- zione tende a procedere per fasi, per poi interessare l’attività didattica vera e propria. Genova - Quarto - CNOS-FAP GESTIONE ATTIVITÀ FORMATIVA Natura del documento Il dossier presenta molti documenti: a) istruzioni per la progettazione esecutiva a cura della Provincia di Genova b) orientamento e sportello giovani c) scheda valutazione della qualità dei corsi d) questionari e test per discipline e) libretto personale di certificazione professionale (Provincia di Genova) f) prove di esame finale g) strumento per la valutazione di fine ciclo h) certificazione dei crediti e delle competenze professionali acquisite i) dossier per corsi con relazioni relative a stage, programmazione didattica, valutazione, materia- le didattico consegnato ad ogni allievo (es.: cultura generale). Note Si segnala l’iniziativa “Sportello giovani”. Si tratta di un intervento che va oltre la semplice attivi- tà di accoglienza e orientamento, e si configura per un servizio ad hoc, rivolto a tutta la popolazio- ne di adolescenti e giovani del territorio. I soggetti coinvolti sono i minori, le famiglie e i formato- ri. La metodologia è ben definita, sulla base di una programmazione. Colpisce poi la grande attenzione alla realizzazione di dossier per corso, come pure per il materiale di supporto, segnatamente quello consegnato ad ogni allievo. Si nota una cultura della programma- zione didattica formalizzata e della valutazione, entro una attenzione reale all’utenza. 4.5. Prassi proposte dalla Lombardia Le prassi della Lombardia elencate di seguito sono: a) “Accoglienza e strumenti didattici” (AFGP) b) “Strumenti formativi e didattici” (CIOFS/FP) c) “Materiali formativi per la gestione dei saperi” (CIOFS/FP) d) “Schede accoglienza / capacità personali” (CNOS-FAP) e) “Strumenti di valutazione (CNOS-FAP) f) “Programmazione didattica” (CNOS-FAP) g) “Libretto personale” (CNOS-FAP) h) “Modulo accoglienza” (Fondazione Clerici) rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 139 140 Lombardia - CIOFS/FP STRUMENTI FORMATIVI E DIDATTICI Natura del documento Due sono i materiali forniti: a) libretto formativo personale b) dispense varie (tecnica aziendale, elementi di matematica e calcolo computistico, pubblica am- ministrazione, scienze della natura). Note Il libretto formativo personale si presenta come uno strumento completo, ben elaborato, realizzato sulla falsariga del modello progettuale CIOFS/FP e CNOS-FAP, adatto a molte modalità di gestio- ne con differenti utenze. Le dispense consistono in manuali per gli allievi, completi di schemi, strumenti di supporto e di ve- rifica. Tali dispense, che sono il risultato di uno sforzo teso ad elaborare materiali corrispondenti al- le caratteristiche degli utenti, si prestano ottimamente ad una traduzione anche in forma di didatti- ca attiva. MATERIALI FORMATIVI PER LA GESTIONE DEI SAPERI Natura del documento I materiali si riferiscono a: a) area delle scienze umane: etica della persona b) scheda tirocinio personalizzata c) scheda di valutazione. Note Lo strumento per l’area delle scienze umane rappresenta la scheda sintetica conforme al progetto, qui utilizzata sotto forma di documentazione dell’attività svolta. La scheda tirocinio personalizzato consente di registrare in modo puntuale le attività svolte dall’al- lievo. La scheda di valutazione rappresenta una interessante applicazione del dispositivo sperimentale, di- stinguendo le capacità personali dai saperi e dalle competenze con specificazione delle voci di cui si compongono e dei momenti di valutazione lungo tutto l’iter del corso. In tale ambito, particolare attenzione viene rivolta ai moduli di recupero (saperi, abilità tecnico- operative, lingua italiana per studenti stranieri) e di approfondimento (specie le capacità personali: creatività e tecnologia, comunicazione, educazione alla salute). Il servizio di orientamento viene finalizzato alla formazione e al lavoro ed è elaborato sotto forma di procedure, sulla base delle differenti caratteristiche del servizio che si rivolge alle persone e al CFP, prevedendo pure uno sportello aperto. Le fasi previste sono: informazione, conoscenza, prescrizioni, iscrizione, presentazione all’équipe dei formatori. Da segnalare la scheda circa l’analisi dei casi, una metodologia che è utile al fine di introdurre esperienze formative reali in luogo di lezioni frontali, perlomeno in alcuni momenti cruciali del- l’attività. rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 140 141 Sesto San Giovanni - CNOS-FAP PROGRAMMAZIONE DIDATTICA Natura del documento I materiali forniti riguardano: a) il processo di accoglienza, orientamento e analisi requisiti, corredato da schede relative a giochi, simulazioni, incontri di gruppo b) prove di ingresso c) esercitazioni tecniche d) attività di recupero e) dossier gestione capacità personali f) programma visite tecniche g) libretto formativo, corredato da documenti applicativi. Brescia - CNOS-FAP SCHEDE ACCOGLIENZA/CAPACITÀ PERSONALI Natura del documento Il dossier prende il nome di “Scuola lavoro – progetto orientamento”. Si tratta di esempi di materiali utilizzati in tema di accoglienza e di gestione delle capacità personali. L’indice prevede i seguenti moduli: a) Modulo 1: Uno sguardo su te stesso (come sei? che cosa sai fare? come sarai?) b) Modulo 2: Un mondo che cambia (la globalizzazione, l’Europa e l’Italia di fronte alla globaliz- zazione, la flessibilità, il mercato del lavoro) c) Modulo 3: Il lavoro che cambia (il lavoro dipendente, come cambia il lavoro dipendente nell’e- poca della flessibilità). Note Il documento presenta, in forma completa ed approfondita, l’impianto delle capacità personali, de- clinate in chiave educativo-formativa e intrecciate con l’area dei saperi. Si tratta di un esempio ben riuscito della programmazione interdisciplinare e per centri di interesse. STRUMENTI VALUTAZIONE (TEST DI INGRESSO, VERIFICHE IN ITINERE, PROVE FINALI – PERFORMANCE) Natura del documento Gli strumenti previsti sono: a) verifiche di fine ciclo (area dei saperi e delle competenze professionali) b) test di ingresso (saperi) c) prove finali sotto forma di performance d) schede di certificazione (saperi, capacità personali, competenze) e) esempio di libretto formativo compilato. Note La strumentazione prodotta è composta da due tipologie di materiali: a) gli strumenti di supporto alla valutazione che consistono in una raccolta di materiali utili a tale scopo; b) le schede di valutazione rappresentano uno sforzo di attuazione di quanto previsto nel progetto CIOFS/FP e CNOS-FAP, in riferimento ai diversi oggetti e alle differenti scadenze in cui tale va- lutazione si attua. L’esempio di libretto formativo testimonia uno sforzo teso ad applicare la strumentazione prodotta a un caso formativo specifico. rapportoB.qxd 26/03/2003 7.27 Pagina 141 142 Lombardia - ENAC PROGRAMMAZIONE DIDATTICA Natura del documento I materiali forniti riguardano: a) il processo di accoglienza e orientamento b) un quadro generale delle acquisizioni e il piano per la programmazione didattica c) la scheda di valutazione del tirocinio in azienda. Note Gli strumenti rivelano una buona capacità di progettazione e gestione dell’attività formativa e di- dattica. In particolare, va sottolineata la presenza di un intento di fondo a carattere unitario che regge le di- verse fasi del percorso e una metodologia essenziale di intervento. Milano - CNOS-FAP PROGRAMMAZIONE DIDATTICA Natura del documento I materiali forniti riguardano: a) il processo di accoglienza e orientamento b) considerazioni sui contenuti delle UFC c) questionari e prove di ingresso d) libretto formativo personale e) dossier gestione capacità personali. Note Per il centro di Milano vale quanto già osservato per Sesto San Giovanni. In particolare, vogliamo approfondire il dossier gestione capacità personali per ciò che concerne lo sforzo teso ad individuare una metodologia di rilevazione e valutazione di quest’area tanto impor- tante quanto poco analizzata in modo formale. Lo strumento si presenta come una lista di compor- tamenti che sostengono l’attività dei docenti. Inoltre, vengono suggeriti strumenti per attuare l’os- servazione e la valutazione. Note Ciò che colpisce nella documentazione fornita è innanzitutto l’insieme dei materiali prodotti, che denotano passione educativa, attenzione alle innovazioni, capacità di tradurre gli stimoli adattando- li alla realtà concreta. In particolare, appare interessante il dossier sulle capacità personali, che rivela l’intento di favorire il coinvolgimento attivo degli allievi in un quadro di impegno e di formazione effettiva. E’ rimarcabile anche il libretto formativo, soprattutto perché il materiale consente di cogliere l’im- pegno applicativo su un gruppo reale di utenti. LIBRETTO FORMATIVO Natura del documento Si tratta della proposta di libretto formativo compilato in riferimento ad un caso di allievo reale. Note Il libretto aiuta a ricostruire con precisione il percorso formativo della persona, il bagaglio di ac- quisizioni, le esperienze che le hanno procurate. Esso rappresenta una forma semplificata del modello previsto dal progetto nazionale; si concentra infatti in modo particolare sul patto/progetto formativo relativo alla figura professionale, al piano formativo necessario al suo completamento, al percorso svolto ed alla certificazione finale. rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 142 143 Piemonte - CIOFS-FP STRUTTURA DI CORSO INTEGRATO TRIENNALE - OPERATORE MARKETING- SERVIZI ALL’IMPRESA Natura del documento Si tratta di una progettazione modulare per il triennio della scuola superiore, ovvero 160 ore per an- no per un totale di 480 ore di corso, volta a far acquisire agli studenti i requisiti riferiti ad una figu- ra professionale coerente con l’indirizzo di studi. Nel nostro caso, si tratta dell’operatore marketing – servizi all’impresa. Note Il documento propone un esempio di progettazione comune, tesa ad offrire a tutta la classe un ven- taglio di scelte più ampio e articolato possibile, utilizzando il 15% del monte ore annuo previsto nel- l’ambito della flessibilità. Il progetto si basa sull’approccio ISFOL di competenze (di base, trasversali, professionali), specifi- cate per aree e componenti. Si propone una metodologia che conclude con un unico esame finale valido per i due percorsi (di- ploma, qualifica) congiuntamente. Occorre segnalare che la programmazione risulta dall’elenco delle competenze, e non dalla defini- zione del percorso della persona. Inoltre, non è previsto lo stage. Lombardia - FONDAZIONE CLERICI MODULO DI ACCOGLIENZA Natura del documento Il dossier rappresenta un dispositivo completo per la gestione del processo di accoglienza all’inter- no dei Centri di formazione professionale. Si tratta di una materiale articolato, suddiviso per fasi, che consente di perseguire i differenti obiet- tivi di tale fase formativa (accoglienza); precisamente: a) conoscenza degli allievi b) conoscenza del contesto e della proposta formativa c) chiarificazione degli obiettivi del corso, delle metodologie e delle prassi operative d) definizione di un patto formativo che consenta di procedere alla fase di erogazione formativa ve- ra e propria. Note Il modello di accoglienza proposto non può essere considerato semplicemente come una fase, ma ri- flette l’idea della “cura” o personalizzazione dell’azione formativa. Ciò significa che l’accoglienza non è intesa come elemento giustapposto alla didattica, ma evidenzia un atteggiamento di attenzio- ne e cura che si protrae lungo tutto l’iter della formazione. In tal senso, si tratta dell’avvio di un metodo di accompagnamento che si intreccia a sua volta con l’orientamento, oltre che con le diverse fasi di erogazione formativa. 4.6. Prassi proposte dal Piemonte Le prassi del Piemonte elencate di seguito sono: a) “Struttura di un corso triennale” (CIOFS/FP) b) “Pacchetto di posizionamento” (CIOFS/FP) c) “Materiali formativi per la gestione dello stage” (CIOFS/FP) d) “Gestione formativa e programmazione didattica” (CNOS-FAP) e) “Libretto formativo” (CNOS-FAP) rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 143 144 Piemonte - CNOS-FAP GESTIONE FORMATIVA E PROGRAMMAZIONE DIDATTICA Natura del documento I materiali forniti riguardano relazioni centrate su diversi ambiti: a) prove di valutazione finale b) dossier accoglienza e accompagnamento iniziale c) dossier accompagnamento in itinere (fronteggiare le difficoltà, verificare il cammino e proget- tare) d) progetto stage e) dossier accompagnamento finale f) progetto personalizzazione (con unità didattiche innovative, piattaforma Maestra, centro risor- se). Note Le prove di valutazione finale riflettono il notevole impegno che la Regione ha dedicato da anni agli standard e alla loro qualità. Di conseguenza, gli strumenti evidenziati sono di notevole valore. Circa l’ulteriore ambito di materiali, va detto che il CNOS-FAP Piemonte si presenta non tanto con strumenti, quanto con un disegno innovativo sistematico teso a diffondere la personalizza- zione formativa, la cura della didattica in chiave induttiva e per centri di interesse, la valorizza- zione degli strumenti informatici e telematici al fine di ampliare le opportunità di apprendimen- to e di relazione. I dossier sono dei tentativi di notevole pregio tesi a riscrivere i materiali nazionali del progetto in una chiave più accessibile, con un corredo di strumenti pensati appositamente per l’obbligo for- mativo. PACCHETTO DI POSIZIONAMENTO Natura del documento Questo documento rappresenta una metodologia che viene adottata di ogni fase del percorso, e mi- ra a delineare l’intervento formativo nel senso della personalizzazione. Note La struttura del documento prevede: 1) Posizionamento inteso come “accertamento prerequisiti d’ingresso” di ogni singolo utente 2) Post-posizionamento inteso come accompagnamento, sostegno nell’azione di resoconto e risa- namento delle conoscenze già acquisite attraverso un potenziamento del metodo di studio 3) Potenziamento delle conoscenze/disciplinari di base e competenze trasversali acquisite (1° an- no) attraverso la didattica laboratoriale e/o metodologie innovative quali: l’atelier pedagogico per rafforzare l’autonomia organizzativa ed esecutiva e delle competenze tecnico specifiche (2° anno) attraverso la metodologia della “simulazione d’impresa” 4) Riposizionamento finalizzato ad incrementare la consapevolezza e la corresponsabilità nei con- fronti del proprio percorso di apprendimento ed ottenere risultati positivi ed incentivanti. MATERIALI FORMATIVI PER LA GESTIONE DELLO STAGE Natura del documento Si tratta di una scheda che definisce il modulo stage attraverso la specificazione di contenuti, mo- dalità di inserimento, monitoraggio, organizzazione. Note E’ fortemente accentuato l’utilizzo dello stage al fine di monitorare e sviluppare le competenze re- lative al profilo professionale. Lo stage è effettivamente personalizzato. In particolare, viene sviluppato il momento del monito- raggio, che consente la possibilità di intervenire lungo il percorso dello stage stesso per adeguarlo all’effettivo fabbisogno formativo dell’allievo. rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 144 147 Sicilia - CNOS-FAP GESTIONE FORMATIVA E PROGRAMMAZIONE DIDATTICA Natura del documento I materiali forniti riguardano relazioni centrate su diversi ambiti: a) profilo individualizzato b) profilo psico-attitudinale c) progetto formativo esecutivo d) moduli di orientamento ed accoglienza e) sportello multifunzionale FOR - CNOS-FAP Note La fase di ingresso conferma ancora di essere oggetto di uno sforzo diffuso di innovazione. Vi è un notevole intreccio di opportunità e di relazioni da un lato con il mondo degli adolescenti, dall’altro con l’ambito dei saperi, infine con il mondo del lavoro. Gli strumenti proposti consentono di visio- nare una cura costante dell’armonia tra questi aspetti. GESTIONE FORMATIVA E STRUMENTI DIDATTICI Natura del documento I materiali forniti riguardano relazioni centrate su diversi ambiti: a) accoglienza e orientamento corredato da strumenti b) questionari di ingresso e gradimento c) gestione stage d) strumenti didattici personalizzati ed elaborati degli alunni e) strumenti di verifica finale f) test di ingresso g) dispense per gli alunni (cultura storico-sociale, budget, lingua italiana, amministrazione, chimi- ca, sicurezza, diritto del lavoro, organizzazione aziendale, economia di base, comunicazione aziendale). Note Una formazione basata sull’attenzione educativa rappresenta la chiave di riferimento dei materiali proposti. Vi è un notevole intreccio di opportunità e di relazioni da un lato con il mondo degli ado- lescenti, dall’altro con l’ambito dei saperi, infine con il mondo del lavoro. Gli strumenti proposti consentono di rilevare una cura costante dell’armonia tra questi aspetti. Particolare importanza è da attribuire all’impegno volto all’elaborazione di dispense didattiche per gli allievi, costruite secondo uno schema essenziale e comunicativo. Si tratta di una buona base per realizzare – su alcuni di questi ambiti – anche unità formative attive. STRUMENTI PER LA VALUTAZIONE (DI FINE CICLO E FINALE) Natura del documento Il dossier si compone di diverse schede: a) scheda personale b) valutazione in itinere c questionario di reazione dei partecipanti ed elaborazione statistica d) valutazione finale. Note Si tratta di un dispositivo completo di valutazione, che consente di accompagnare l’allievo lungo tutto il percorso, con una modalità in un primo tempo di contratto, poi di accompagnamento, infine di giudizio. Gli strumenti sono conformi al progetto nazionale. In particolare la scheda personale è distinta in sa- peri, capacità e competenze. Si nota una cura della comunicazione con gli allievi, oltre al loro coinvolgimento nel momento va- lutativo. rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 147 148 Note Dai materiali, emerge la volontà di iniziare un cammino di modularizzazione e di personalizzazio- ne dei percorsi, iniziando dalle prime fasi. Una attenzione particolare va riservata allo sportello FOR che ha l’intento di sostenere le pratiche di accoglienza, orientamento, accompagnamento, ma anche di selezione, uniformando gli sforzi dei vari Centri CNOS-FAP della regione. MATERIALI DIDATTICI Natura del documento I materiali forniti riguardano diverse aree disciplinari ( inglese, economia, diritto del lavoro, orga- nizzazione aziendale, informatica, elettronica, tecnologia meccanica) e di laboratorio (autoripara- zione, officina meccanica). Note Si tratta di dispense ben impostate, secondo una logica disciplinare – i primi – e di relazione tra tec- nologia e pratica – i secondi riferiti ai laboratori. Molto apprezzabile, a questo riguardo, l’imposta- zione didattica che rileva una elaborazione accurata dei materiali con specificazione di obiettivi, contenuti, specificazioni ed esempi. In particolare si nota la serie di esercitazioni di officina mecca- nica. LIBRETTO PERSONALE Natura del documento Il documento rappresenta un libretto di natura pedagogica, con una struttura completa, compren- dente: a) carta dei valori b) dati personali c) orientamento d) bilancio delle risorse e) referenziale formativo f) percorso delle acquisizioni g) stage e project work h) certificazioni finali i) continuità formativa. Note Si tratta di un modello di notevole rilievo, poiché riesce ad inserire le varie componenti dell’espe- rienza formativa dell’allievo innanzitutto in un quadro pedagogico di fondo, ed inoltre in una logi- ca che mantiene equilibro tra le componenti dell’azione ed il percorso personale del soggetto. Inol- tre esso apre al portfolio attraverso la documentazione delle esperienze formative più rilevanti (sta- ge e project work). E’ una nuova versione rispetto al libretto personale proposto dal progetto nazionale, che migliora l’impianto generale e lo colloca in una prospettiva organica, completa, pur se impegnativa. SCHEDE DI VALUTAZIONE Natura del documento I materiali forniti riguardano l’intero impianto della valutazione distinto nelle diverse fasi e moda- lità: a) percorso formativo b ciclo formativo c) unità formativa d) ammissione esami e) finale individuale. Note Dai materiali, emerge un impianto organico di valutazione, in una logica di personalizzazione del percorso formativo, connesso al libretto formativo sopra riportato. rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 148 149 Veneto - CIOFS/FP MATERIALI FORMATIVI PER LA GESTIONE DELLE COMPETENZE PROFESSIONALI TRASVERSALI Natura del documento Si tratta di schede essenziali nelle quali vengono specificate le modalità di gestione dei moduli di: a) prevenzione e sicurezza (sensibilizzazione) b) sistema qualità (sensibilizzazione). Le schede comprendono anche una tabella di valutazione degli allievi di un corso. Note La struttura delle schede è quella del progetto sperimentale; può essere gestita come portfolio (ma facilmente trasformabile in individuale), con specificazione di obiettivi, risultato atteso, contenuti, prerequisiti, modalità formativa, modalità di valutazione, durata, valutazione, annotazioni. Veneto - CIOFS/FP GESTIONE FORMATIVA E PROGRAMMAZIONE DIDATTICA Natura del documento I materiali forniti riguardano relazioni centrate su diversi ambiti: a) moduli di orientamento e accoglienza b) personalizzazione c) relazione fine corso d) libretto personale e) unità didattiche (scienza della natura, scienza della materia, sistema azienda, logica matemati- ca, il galateo, corrispondenza commerciale, diritto del lavoro, qualità e sicurezza, cultura stori- co-sociale, internet) f) progetti formativi esecutivi. Note Si conferma una cultura CIOFS/FP tesa ad una gestione sistematica e metodologicamente adeguata dell’intero processo formativo, con attenzione rilevante all’attività didattica. Il processo di personalizzazione è oramai una realtà acquisita, mentre gli sforzi si stanno dirigendo verso il perfezionamento delle pratiche e la loro costante cura fin nei dettagli. Pochi enti dispongono di una documentazione autoprodotta così ricca e sistematica. La metodologia adottata distingue le aree formative (saperi di base, competenze professionali, ca- pacità personali, stage), prevede un profilo iniziale, un orientamento in itinere, un profilo finale. L’unità formativa comprende sia la valutazione sia l’eventuale recupero o approfondimento previ- sto (ed effettuato). Circa la valutazione finale, vi è il coinvolgimento pieno dell’équipe dei formatori e della commis- sione di accertamento finale. 4.9. Prassi proposte dal Veneto Le prassi del Veneto elencate di seguito sono: a) “ Gestione formativa e programmazione didattica ” (CIOFS/FP) b) “Materiali formativi per la gestione delle competenze professionali trasversali” (CIOFS/FP) c) “Strumenti per la valutazione” (CIOFS/FP) rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 149 150 5. UNA RIFLESSIONE DI SINTESI Nella sintesi dei dati emersi si fa riferimento ai principi metodologici indicati all’inizio del capitolo. a) Orientamento: nella gran parte dei casi si è riscontrata una presenza rilevante di prassi connesse al processo di orientamento, inteso non solo come un momen- to a sé stante, ma come una modalità educativa permanente di aiuto all’autova- lorizzazione della persona in funzione dello sviluppo promozionale delle suo capacità e del suo progetto in vista di una scelta professionale soddisfacente e di un inserimento sociale positivo, come adattamento dinamico alla realtà so- ciale e professionale che cambia. Tutti i diversi apporti all’orientamento sono stati mobilitati nelle prassi indicate, come pure è stata attivata una varietà di ser- vizi tra cui l’informazione, la formazione e la consulenza, sia in forma indivi- duale sia di gruppo. b) Successo formativo: questo principio prevede una impostazione metodologica pluralistica, con offerta di percorsi multipli di intervento. Tale obiettivo è stato in parte confermato dalle prassi analizzate, specie per ciò che concerne i moduli di recupero, potenziamento ed approfondimento che rappresentano la principa- le innovazione in ordine a questo principio metodologico. Va però segnalata la prevalenza nella gran parte dei casi un modello “di corso” teso a delineare un gruppo-classe omogeneo, che consenta un approccio didattico meno problema- tico e più organico. In particolare, solo in pochi casi si sviluppano moduli de- strutturati, in grado di venire incontro alle problematiche di giovani che pre- sentano caratteristiche non compatibili con il corso stesso oppure che eviden- ziano un percorso particolarmente accidentato. Si tratta di attività formative che rompono l’organicità del corso e che si riferiscono all’individuo in quanto por- STRUMENTI PER LA VALUTAZIONE (DI FINE CICLO E FINALE) Natura del documento I documenti presenti nel fascicolo sono numerosi e riferiti a vari corsi e moduli: a) scheda informativa del corso b) scheda di valutazione ex ante c) questionario di reazione dei partecipanti d) schede di valutazione in itinere e) valutazione finale f) criteri di valutazione Note Lo schema di valutazione adottato è quello previsto dal progetto, con la distinzione in saperi, com- petenze e capacità. Emerge l’intento di accompagnare il percorso dell’allievo attraverso una siste- matica comunicazione circa il suo rendimento, con un intervento che viene visto sia sotto forma di accompagnamento, sia di valutazione vera e propria. E’ presente una logica della comunicazione all’allievo finalizzata alla partecipazione e all’assun- zione di responsabilità, in una prospettiva che è assimilabile a quella del portfolio. rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 150 151 tatore di un progetto e di uno stile peculiare, non componibile in un gruppo omogeneo. c) Percorso formativo personalizzato: molte prassi rilevate confermano la scelta di fondo della personalizzazione, specie quelle che mirano al riconoscimento del bagaglio personale di ciascuno, con valorizzazione degli eventuali crediti for- mativi rilevati. Su questo punto si è riscontrato un impegno progettuale da par- te degli organismi indagati, anche se non sempre l’attuazione ha visto una vera e propria logica di lavoro di rete con le scuole e gli organismi responsabili del- le politiche del lavoro. Lo stesso dicasi per le passerelle ed i laboratori di trans- izione, che sono mancati in generale, tranne che nella modalità solita di “”ces- sione” da parte delle scuole ai CFP (in modo spesso non formalizzato) degli alunni più problematici e turbolenti. Il nodo della continuità formativa è quin- di ancora aperto per ciò che concerne l’ingresso, ma anche per la prosecuzione successiva, visto che i corsi biennali non presentano sbocchi diretti in percorsi di diploma ed ulteriori (ciò che invece la normativa in fieri propone in modo strutturato ed istituzionale). d) Metodologia didattica: si sono riscontrati molti elementi propri dell’approccio peculiare della formazione professionale, con particolare riferimento alla didat- tica attiva ovvero una metodologia formativa basata su compiti reali, un pro- cesso di apprendimento fondato sull’esperienza con forte enfasi sulla modalità dello stage formativo in stretta collaborazione con le imprese del settore di ri- ferimento, ma anche con la metodologia della simulazione di impresa; si nota anche lo sforzo teso alla l’integrazione tra conoscenze, abilità e capacità, al fi- ne di delineare competenze che si costruiscono in riferimento alle caratteristi- che del settore come pure delle persone. Prevale un atteggiamento metodologi- co aperto, flessibile, olistico, anche se non mancano modelli di derivazione del- l’approccio delle unità formative capitalizzabili, poco compatibili con questa logica. Molta attenzione viene rivolta sia alla relazione amichevole, persona- lizzata, come pure sulla ricerca di un patto formativo che enfatizza l’utilità del- le acquisizioni. e) Valutazione autentica: si tratta del tema che presenta la maggiore carenza, sia in senso strutturato, sia nella strumentazione che prevedrebbe come modello il portfolio delle competenze (fa eccezione il modello nazionale CIOFS/FP). La questione della valutazione è strettamente connessa a quella della metodologia didattica. Va riconosciuta nella formazione professionale una difficoltà parti- colare nell’affrontare tale tematica, e ciò deriva dal fatto che essa prevede una sorta di “portfolio pratico” non definito esplicitamente in chiave metodologica: quello del laboratorio professionale. Inoltre, il processo formativo è concepito spesso nella tradizionale tripartizione dei saperi (sapere, saper fare, saper es- sere), che anche nella sua versione delle competenze (di base, tecnico-profes- sionali e trasversali), inizia dalle parti per ricostruire il tutto, ed inoltre prede- rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 151 152 termina le relazioni tra capacità, conoscenze ed abilità per condurre alle com- petenze. Ciò comporta da un lato una particolare difficoltà nell’approccio in- terdisciplinare, e dall’altro una rigidità didattica che limita la costruzione con- testuale e personalizzata delle competenze. Infine va considerata nella forma- zione professionale l’enfasi sulla certificazione e sul libretto formativo piutto- sto che sul portfolio. Quello della valutazione autentica è quindi un tema sul quale molto occorre ancora fare, ma esso trascina con sé la necessità di una ri- elaborazione dell’impianto didattico che deve essere maggiormente fondato su prestazioni reali e adeguate in modo da puntare ad un apprendimento signifi- cativo legato ad esperienze formative che muovono da una precisa motivazio- ne personale. rapportoB.qxd 21/03/2003 8.54 Pagina 152 153 QUARTO CAPITOLO OSSERVAZIONI CONCLUSIVE (Guglielmo MALIZIA - Dario NICOLI - Vittorio PIERONI) L’ultimo capitolo del rapporto intende, anzitutto, offrire in un unico quadro si- nottico i principali risultati dei due anni (2000-01 e 2001-02) della sperimentazione della FPI, che sono scaturiti dall’analisi dei dati quantitativi e dall’esame degli aspetti qualitativi della ricerca-azione. In secondo luogo, in queste conclusioni, si intende cominciare a indicare alcu- ne linee di azione che, in prospettiva, possano contribuire a potenziare l’efficienza e l’efficacia della FPI del CNOS-FAP e del CIOFS/FP e, più in generale, di tutta la FP. 1. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE SUI RISULTATI A LIVELLO QUANTITATIVO Presentiamo qui di seguito le principali conclusioni emerse dalla disamina ef- fettuata nel capitolo relativo all’analisi dei dati quantitativi emersi dal progetto spe- rimentale (cap. 2). In particolare, sintetizzeremo i dati: generali, sulle caratteristiche degli allievi, sui flussi degli allievi, sui formatori, sul gradimento allievi e formato- ri, sulla valutazione dei referenti per l’obbligo formativo. 1) Dati generali I dati generali si riferiscono a: Centri, territorio, importanza della FP iniziale, modello di FP iniziale adottato, adozione del sistema qualità. a) Centri I Centri dell’inizio della sperimentazione sono 73 in tutto e si distribuisco- no quasi alla pari tra CNOS-FAP e CIOFS/FP, 41.1% l'uno e 38.4% l'altro, mentre i CFP degli altri enti costituiscono un quinto del totale (20.5%), si ri- partono tra 9 della Fondazione Clerici e 6 di enti diversi dalla Fondazione e sono concentrati nella Lombardia. Inoltre, anche quando nel II anno (2001- 02) vengono meno i dati degli enti della Lombardia diversi dal CIOFS/FP e CNOS-FAP1, i CFP oggetto della ricerca rimangono 70. b) Territorio Sul piano territoriale, il 60% quasi dei CFP (57.5% pari a 42 Centri) è si- tuato al nord e intorno a un quinto al centro (20.5% o 15), o al sud (21.9% o 16). 1 Cfr. cap. 1 del rapporto. rapportoC.qxd 21/03/2003 9.03 Pagina 153 154 c) Importanza della FPI Quanto a ore di formazione, la FPI ha una importanza centrale nel 90% dei CFP (87.7% o 64), mentre solo nel 12.3% (o 9 in valori assoluti) si presen- ta come residuale. d) Modello di FPI adottato Nell'impostare la sperimentazione, la grande maggioranza dei CFP (71.2%) ha adattato il modello del CNOS-FAP e del CIOFS/FP alle esigenze locali, mentre è solo il 15.1% che ha seguito integralmente tale proposta: questo andamento è in parte problematico perché rende difficile una valutazione sperimentale del modello CNOS-FAP - CIOFS/FP integrale. Meno del 10% ha assunto l'impostazione della Regione (6.8%), o si è limitato a riprogetta- re i corsi di base (6.8%). Tenuto conto dei dati globali appena elencati, il ri- corso alla formula CNOS-FAP - CIOFS/FP adattata è più frequente tra gli altri enti (86.7%) e meno nel CNOS-FAP (66.7%) e nel CIOFS/FP (67.9); l'adozione integrale dell'impostazione appena ricordata è maggiormente dif- fusa nel CIOFS/FP (28.6%) e meno nel CNOS-FAP (10%) e manca del tut- to tra gli altri enti; l'assunzione del modello regionale si riscontra esclusiva- mente nel CNOS-FAP (16.7%); la riprogettazione dei corsi di base risulta più comune fra gli altri enti (13.3%) e meno nel CIOFS/FP, mentre i Centri del CNOS-FAP si situano sui dati del totale (6.7%). Territorialmente e sempre in relazione ai risultati globali, l'utilizzazione del modello CNOS-FAP - CIOFS/FP adattato è esclusivo al sud (100%) e meno comune al centro (46.7%); il ricorso a questa impostazione in modo inte- grale è caratteristico dell'Italia centrale (53.3%), è quasi assente nel setten- trione e manca del tutto nel meridione; l'adozione del modello regionale si riscontra esclusivamente nel nord (11.9%) come anche la riprogettazione dei corsi di base. e) Adozione sistema qualità Oltre l'80% dei CFP (81.8% o 59 in valori assoluti) ha adottato il “sistema qualità”, mentre quasi un quinto dei Centri (19.2% o 14) risponde negativa- mente. Tutti i Centri del CIOFS/FP hanno effettuato l'opzione della qualità totale e quasi tutti CFP (meno 1) degli altri enti (93.3% o 14), mentre quel- li del CNOS-FAP sono divisi pressoché a metà: 17 (56.7%) hanno assunto tale modello e 13 (43.3%) non hanno compiuto ancora tale scelta. E’ un pun- to su cui il CNOS-FAP dovrà intervenire presto per delineare un modello omogeneo di gestione e certificazione di qualità. L'adozione del sistema qualità è percentualmente più diffusa al nord (85.7% o 36), mentre le risposte negative sono proporzionalmente più comuni al centro (33.3% o 5). 2) Dati sugli allievi Tra il 2000-01 e il 2001-02, gli iscritti al 1° anno della sperimentazione sono cresciuti di 234, pari all’8%, passando da 2.915 a 3.149: il dato attesta del successo rapportoC.qxd 21/03/2003 9.03 Pagina 154 155 dell’iniziativa. Tuttavia, tale variazione non è distribuita in maniera uniforme sul territorio nazionale: l’aumento è massimo al nord (+14.7%) e si porta sul valore del totale nel centro (+8.1%), mentre al sud si registra una leggera diminuzione (-0.6%). a) Dati in base all’ente Anche la distribuzione tra gli enti cambia nel biennio. Nel 2000-01, gli al- lievi del CNOS-FAP costituiscono il 72.3% e quelli del CIOFS/FP oltre un quarto del totale (27.7%), mentre nel 2001-02 i primi diventano il 78.2% e i secondi poco più di un quinto (21.8%). Se si fa riferimento ai singoli sotto- campioni (il 1° anno 2000-01 e il 1° nel 2001-02), si può osservare che, tra il 2000-01 e il 2001-02, gli allievi del 1° anno del CNOS-FAP sono cresciu- ti di 352 unità (16.7%), passando da 2.109 a 2.461; gli allievi del 1° anno dei Centri del CIOFS/FP ammontavano a 806 nel 2000-01 e a 688 nel 2001-02, pertanto, nel biennio, registrano un calo di 118 iscritti alla sperimentazione (decremento del 14.7%). b) Dati in base al territorio Passando al livello territoriale, nel 2001-02, il 36.6% degli allievi risiede al nord, il 36.5% (29.4%) nel centro e più di un quarto (27%) al sud. Nel tempo, la distribuzione in base alle tradizionali circoscrizioni è rimasta pressoché in- variata, tranne che per una leggera crescita percentuale nel settentrione (da 34.4% a 36.6%) e una lieve diminuzione nel meridione (da 29.3% a 27%). c) Dati sul sesso Nel 2000-01 gli iscritti al 1° anno della sperimentazione erano per il 70.7% (2.062) maschi e per il 28.8% (839%) femmine e nel 2001-02 la proporzio- ne è rispettivamente 71.9% (2.264) e 27.5% (865). Nel tempo, a parte la cre- scita in valori assoluti già segnalata sopra, non si notano variazioni sostan- ziali nella ripartizione percentuale, se non un leggero aumento dei primi e una corrispondente lieve diminuzione delle seconde. Nel biennio, il tasso di partecipazione dei maschi cresce al sud e diminuisce al nord e leggermente nel CNOS-FAP e in corrispondenza quello delle femmine aumenta nel CNOS-FAP e nel nord e cala nel sud. d) Dati sull’età Il 71.2% degli iscritti al 1° anno nel 2001-02 ha 15 (31.3%) o 16 anni (39.9%) di età: in altre parole, la grande maggioranza sono allievi regolari e nel tempo la situazione rimane sostanzialmente invariata. Per quanto riguar- da i dati disaggregati, la percentuale dei regolari risulta più elevata delle ci- fre del totale nell’Italia settentrionale, mentre quella degli irregolari è più al- ta nel CIOFS/FP e nel meridione. e) Dati sulla situazione scolastico formativa Sia nel 2000-01 che nel 2001-02, la grande maggioranza degli iscritti al 1° anno della sperimentazione (70.1% e 68.1%) si trova in una situazione di difficoltà dal punto di vista scolastico in quanto semplicemente “prosciolti dall'obbligo”: non hanno cioè conseguito la promozione al secondo anno della scuola secondaria superiore e si sono potuti iscrivere alla FPI perché al rapportoC.qxd 21/03/2003 9.03 Pagina 155 156 compimento del quindicesimo anno di età hanno dimostrato di aver osser- vato per almeno 9 anni le norme sull'obbligo scolastico. Neppure un quinto degli allievi (18 e 19.1%) si trova nella condizione di “obbligo adempiuto”, cioè ha conseguito la promozione al secondo anno della superiore. Il leggero calo nel biennio del primo gruppo e il lieve au- mento del secondo non offrono un fondamento adeguato per poter parlare di un cambiamento sostanziale nel tempo dell’andamento dei dati. Quasi nessuno è allievo “evasore” dall'obbligo scolastico o formativo (4.2 e 2%): il dato è positivo, ma non può annullare la problematicità del 70% de- gli allievi che accede alla FP con appena l’obbligo prosciolto. Non sono invece molto positive le percentuali (quasi insignificanti) di iscrit- ti con “passerella dalla scuola secondaria” (ossia hanno frequentato previa- mente almeno un anno della secondaria successivo al primo) (0.5% e 0.3%), o con “passerella dal lavoro” (cioè che si trovavano precedentemente nel- l'apprendistato o svolgevano un lavoro; 0.1% e 0.3%) perché tali cifre stan- no a testimoniare la scarsa forza di attrazione della FPI al di fuori del mon- do della istruzione e della formazione. In sintesi, nonostante gli sforzi compiuti per porre su un piede di parità il sottosistema di istruzione e quello di formazione, la FP continua a essere considerata un canale di serie B sia perché, per effetto della modalità con cui è avvenuta l'elevazione dell'obbligo scolastico, la secondaria superiore ha assunto il monopolio dell'orientamento del post-obbligo e cerca di trattene- re tutti gli studenti che la frequentano tranne i marginali, sia in quanto non è ancora cambiata nell'immaginario collettivo la percezione della FP. f) Dati sulla provenienza Il 59% degli iscritti al 1° anno della sperimentazione nel 2001-02 proviene dalla scuola superiore e più di un quarto circa dalla media (26%); se si ag- giunge l’1.8% che segnala la FP come luogo di provenienza, si può conclu- dere che è il sistema di istruzione e di formazione che contribuisce alla FPI quasi nel 90% (86.3%) dei casi. Rispetto agli allievi che hanno iniziato nel 2000-01, sono in crescita la per- centuale globale (che era allora il 70.3%) e quella relativa alla secondaria su- periore (41%), mentre diminuisce quella della FP (4.8%). Seguono, a note- vole distanza, la famiglia e gli amici (5%); va notato che la relativa percen- tuale era notevolmente più elevata nel 2000-01 (19%). Cifre marginali indi- cano come luogo di provenienza degli allievi della FP i servizi sociali e di orientamento (1.5% e 3.8% nell’anno precedente) o quelli dell'impiego (0.3% e 0.9% rispettivamente) e l’andamento non cambia nel tempo: sono dati che stanno a testimoniare il funzionamento sempre molto carente di queste agenzie. g) Dati su segnalazioni di disagio o handicap Per la gran maggioranza degli iscritti al 1° anno nel 2001-02 (90.4%), non vi è stata alcuna segnalazione ufficiale di disagio; questa si è avuta solo rapportoC.qxd 21/03/2003 9.03 Pagina 156 157 nell’1.9% dei casi, ma va evidenziato che il 7.6% non risponde e il dato non è di facile lettura. Nel biennio, la situazione di normalità si è resa ancor più diffusa perché nel 2000-01 i dati erano rispettivamente 67.9%, 15.6% e 16.5%. Quasi il 90% (89.4%) degli iscritti al 1° anno nel 2001-02, non ha ricevuto alcuna segnalazione ufficiale di handicap, mentre questa si è avuta solo per l’1.7%: inoltre, si registra una percentuale di non risposte che si avvicina al 10% (9%) ed anche in questo caso è problematico tentare una interpreta- zione. h) Dati sulla preparazione culturale di base In base alla valutazione riportata nella documentazione scolastica, oltre l'80% (82.2%) degli iscritti al 1° anno nel 2001-02 ha una preparazione cul- turale di base appena “sufficiente”, il 10.4% l'ha “buona” e percentuali insi- gnificanti possono vantarne una “distinta” (1.7%) od “ottima” (0.3%). Gli allievi che hanno iniziato nel 2000-01 presentavano dati analoghi. i) Dati sulle attività differenziali svolte Percentuali minime degli allievi del 1° anno hanno svolto attività differen- ziate durante l'ultimo anno dell'obbligo di istruzione, a testimonianza dell'i- nutilità, per questi ragazzi, del prolungamento di un anno della loro perma- nenza nella scuola. Altro dato preoccupante è che tale andamento non cam- bia sostanzialmente nel tempo. 3) Dati sui flussi Passando ad esaminare i flussi degli allievi, va anzitutto sottolineato che, tenuto conto delle diversità nei dati tra la scheda 8 e altre schede, e tra le voci della stessa scheda 8 (dovute al fatto che, come si è osservato all’inizio del capitolo 2, non tutti i CFP né tutte le componenti hanno risposto a tutte le schede e in eguale numero e an- che perché la compilazione delle schede è avvenuta in momenti diversi per i diversi Centri), i risultati vanno presi più come indicativi di tendenze che non come precisi descrittori dell’andamento della sperimentazione. a) Ritiri dopo il 1° anno (iscritti nel 2000) Se si considerano gli allievi che hanno completato la sperimentazione, tra gli iscritti al 1° anno nel 2000-01, i “ritirati” sono il 17.9%2 e gli “aggiunti” il 4.4%. La porzione di quanti hanno lasciato la FPI già nel 1° anno (“ritirati”) è sen- z’altro consistente; tuttavia, il fenomeno si ridimensiona alquanto se si van- no ad esaminare i motivi dell’uscita dalla FPI. Infatti, nel 7.6% dei casi de- gli iscritti all’inizio del 1° anno, il ritiro è dovuto a un riorientamento verso un altro corso della FP, o verso una scuola, o all'inserimento nel mondo del 2 Si è preferito il dato della Tav. 11 del cap. 2 piuttosto di quello della Tav. 10 perché più compa- rabile con le motivazioni dei ritiri. La stessa considerazione vale anche per le altre percentuali di ritiri e di aggiunte. rapportoC.qxd 21/03/2003 9.03 Pagina 157 158 lavoro. Invece, il vero e proprio abbandono, quello per “inattività” (che con- siste nel lasciare ogni forma di impegno rivolto a sviluppare le proprie ca- pacità nella istruzione o nella formazione, o a metterle a frutto nel lavoro), non riguarda tutti i “ritirati”, ma solo il 5% degli iscritti all'inizio del 1° an- no. Questa certamente è una percentuale non trascurabile, ma non così gra- ve come il 17.9% del totale dei ”ritirati”. Inoltre, nel dato sui “ritiri” sono in- seriti anche quanti (5.3%) hanno indicato un “altro motivo” (diverso da “ri- orientamento” o “inattività”): per cui, la cifra massima dei veri abbandoni si situa al di sotto del 10.3%. b) Ritiri dopo il 2° anno (iscritti nel 2000) Se poi si passa agli allievi che hanno frequentato il 2° anno della sperimen- tazione nel 2001-02, i “ritirati” sono in totale il 9.9% degli iscritti iniziali al 2° anno: quelli per “riorientamento” costituiscono il 5.3%, quelli per “inat- tività” il 2.2% e quelli per “altri motivi” il 2.4%. La cifra massima dei veri abbandoni si situa al di sotto del 4.6%. c) Ritiri dopo il 1° anno (iscritti nel 2001) Se si considerano gli iscritti al 1° anno della sperimentazione nel 2001-02, i “ritirati” ammontano complessivamente al 15.2%, quelli per “riorientamen- to” al 6.4%%, quelli per “inattività” al 4.8% e quelli per “altri motivi” al 4%. La cifra massima dei veri abbandoni si situa al di sotto dell’8.8%. d) Riflessione sui dati relativi ai flussi In sintesi, il vero abbandono è inferiore al 10% dei casi, nel 1° anno, e al 5%, nel 2° anno. Le cifre non sono drammatiche, ma rimangono significati- ve e devono spingere a trovare le strategie per rendere solo fisiologiche le uscite prima della conclusione. In ogni caso, l’andamento complessivo dei flussi, in particolare per quanto riguarda il rapporto allievi ritirati/aggiunti, permette di attribuire alla speri- mentazione un indubitabile successo in quanto le perdite, a lungo andare, si sono ridotte già a partire dal 2° anno, mentre, nel 1° della seconda speri- mentazione, oltre alla diminuzione delle perdite, sono contemporaneamente aumentati, rispetto al 1° anno della prima sperimentazione, i soggetti che si sono aggiunti. Tali aggiunte, a loro volta, convalidano, seppure indiretta- mente, l’utilità di un tale intervento sperimentale in quanto stanno a testi- moniare la doppia funzione di “tampone” a condizioni di inattività (soprat- tutto nelle aree più svantaggiate rispetto ai processi occupazionali – il sud) e di “riparazione/riorientamento” rispetto a processi formativo-educativi av- viati da altre scuole/CFP. 4) Dati sui formatori Nel 2001-02, i formatori coinvolti nella FPI sperimentale sono 553 e si riparto- no tra 398 del CNOS-FAP (72%) e 155 del CIOFS/FP (28%). Passando al livello territoriale, il 42.5% dei formatori risiede al nord, un terzo (33.1%) nel centro e un quarto quasi (24.4%) al sud; tale ripartizione differisce da rapportoC.qxd 21/03/2003 9.03 Pagina 158 159 quella degli iscritti al 1° anno sia nel 2000-01, sia nel 2001-02 nel settentrione e nel meridione. I 553 formatori della sperimentazione sono per il 52.4% “maschi” e per il 43.2% “femmine” e, nonostante la maggioranza dei primi, il rapporto tra i sessi è molto più equilibrato tra i formatori che non tra gli allievi. Inoltre, essi sono relativamente “giovani”: la metà quasi (45.9%) ha un’età non superiore ai 30 anni (16.8%) o comunque non superiore ai 40 (29.1%) e più di un quarto (25.7%) si colloca tra i 41 e i 50 anni. Quest’ultimo dato spiega come mai la loro “anzianità di servizio” sia breve. In- fatti, oltre un quinto (21.9%) insegna da 2 anni o meno nella FPI e la metà circa (46.6%) da non più di 10; un altro quarto circa (23.3%) si colloca tra gli 11 e i 20 an- ni e più di un quarto (26.4%) oltre i 20. Il “titolo di studio” ancora maggioritario è il diploma (50.7%) e a questo grup- po si può aggiungere un altro 7.6% che ha ottenuto una qualifica professionale; in aggiunta, oltre un terzo (35.1%) può vantare una laurea, mentre solo lo 0.2% dispo- ne unicamente della licenza media. Il 30% circa (29.3%) dei formatori è iscritto in un “albo professionale”, mentre quasi i due terzi (65.6%) rispondono negativamente. Prima di insegnare nella formazione professionale iniziale, oltre un terzo dei formatori (34.9%) era studente, mentre meno di un quinto (15.5%) era insegnante; solo il 30.4% ritiene di essere stato precedentemente occupato in un settore coeren- te con quello in cui lavora attualmente (la FPI). Più della metà dei formatori (53.5%) insegna nel corso di obbligo formativo a motivo dell’interesse specifico che sente nei confronti della FP; a questi si aggiun- ge quasi un quarto (23.5%) che dimostra un interesse generico per la FP. Il 40% cir- ca (38.2%) ha scelto la FP anche, o solo, perché offriva una opportunità di lavoro. In ogni caso, unicamente una percentuale del tutto marginale (1.4%) si è orientata in questa direzione per ripiego, perché non le era possibile accedere ad altre attività. 5) Dati sul gradimento allievi Il gradimento degli allievi si situa globalmente sull’“abbastanza” e, in un certo numero di casi, è andato pure oltre (anche se non si arriva al “molto”, ci si avvicina ad esso in modo sostanziale). Il dato, pur positivo, non può essere considerato del tutto soddisfacente da enti che vorrebbero offrire una formazione di eccellenza. Gli aspetti più carenti sono il modo con cui le lezioni riescono ad aiutare gli al- lievi a restare attenti e a coinvolgerli e la gestione dei tempi: nel complesso la valu- tazione degli allievi considera questi ultimi “eccessivi” o vede gli inchiestati divisi tra quelli che li ritengono “eccessivi” e quanti li stimano “adeguati” (in alcuni casi, il giudizio si avvicina all’“adeguato” senza mai coincidere con esso). Il giudizio, invece, tende verso l’“eccellenza” riguardo ai formatori che cono- scono le cose di cui parlano e le sanno anche fare, alla spendibilità concreta degli ap- prendimenti fuori del Centro e all’acquisizione di conoscenze tecnico-professionali. rapportoC.qxd 21/03/2003 9.03 Pagina 159 160 Generalmente, gli allievi che hanno frequentato il biennio completo risultano più positivi nel 2000-01 che non nel 2001-02 e gli iscritti al 1° anno nel 2000-01 tendono a esprimere valutazioni più positive che non gli iscritti al 1° anno nel 2001- 02: l’unica eccezione, ma significativa, a questa tendenza, riguarda il tema degli ap- prendimenti. 6) Dati sul gradimento formatori A sua volta, la soddisfazione dei formatori, si colloca complessivamente sull’ “abbastanza” e, in un certo numero di casi, si è spinta oltre, ma mai in modo da co- incidere, almeno sostanzialmente con il “molto”. Indubbiamente si tratta di un risultato positivo, ma non tale da venire incontro in modo pieno alle aspettative degli enti. Gli aspetti più carenti sono la corrispondenza degli allievi alle attese dei formato- ri, l’adeguatezza del progetto formativo in rapporto agli allievi e la gestione dei tempi. Il giudizio, invece, tende verso l'“eccellenza” riguardo all’interesse dei forma- tori per le problematiche degli allievi e alla utilità dei corsi, alla preparazione dei colleghi sul piano tecnico-professionale e alla capacità di sviluppare una relazione amichevole con gli allievi. Venendo ai dati disaggregati, i formatori dell’Italia set- tentrionale tendono a dare delle valutazioni più positive che non quelli del centro e del meridione. 7) Dati sulla valutazione in itinere dei referenti I referenti della FPI hanno effettuato una valutazione in itinere dei due anni della sperimentazione in relazione a sei aree di attività: partecipazione degli utenti, attività di orientamento, progetto e direttive regionali, qualità della docenza e della didattica, clima dei rapporti, organizzazione. a) Partecipazione utenti Per quanto riguarda la partecipazione degli utenti, la registrazione delle pre- senze è stata effettuata sempre e quasi dappertutto e l’attenzione a tale do- cumentazione è anche cresciuta nel tempo. A sua volta, la frequenza degli al- lievi alle attività di sperimentazione è risultata “abbastanza assidua” in oltre la metà dei Centri e “molto assidua” tra i rimanenti e l’andamento si è man- tenuto pressoché costante nel tempo. Negli anni considerati, le motivazioni sottese ai ritiri si sono dimostrate sem- pre più adeguate, ovvero giustificate da un progetto personale. b) Attività di orientamento Nel caso delle attività di orientamento, la valutazione riguardava esclusiva- mente i due primi anni. Nel tempo, il sistema informativo di base è stato trovato ancor più rispon- dente ai bisogni degli allievi e delle famiglie. Dei programmi di orienta- mento in ingresso previsti, ne sono stati realizzati due su tre nella metà dei CFP e tutti e tre in oltre un terzo dei Centri e, anche in questo caso, si è re- gistrato un miglioramento tra il 1° anno della prima sperimentazione e il 1° della seconda. rapportoC.qxd 21/03/2003 9.03 Pagina 160 161 Il rilevamento della situazione di partenza degli utenti è stato effettuato in oltre la metà dei Centri con più documenti e in un quarto con un solo stru- mento; anche in questo caso si riscontra un progresso nel tempo. Anche la redazione di strumenti per l’autoformazione ha registrato un mi- glioramento con la metà dei CFP che ha attivato uno o più di tali documenti. c) Progetto FPI sperimentale e direttive Regionali La coerenza delle attività realizzate con il progetto formativo effettivamen- te approvato dalla Regione o Provincia è risultata piena nel 75-80% dei Cen- tri e, nel biennio, tale dato è in crescita. Se invece si concentra l’attenzione sugli interventi di modifica e sulle azioni di recupero, sembra che ad essi, nell’arco di tempo considerato, si sia data via via importanza minore, con tutta probabilità perché ritenuti sempre meno necessari. Per quanto poi ri- guarda la partecipazione dei vari attori alla valutazione del progetto forma- tivo, si registra la tendenza a limitarla agli operatori, senza allargarsi troppo verso altre categorie. Non è neppure molto positivo che gli esiti delle valu- tazioni siano stati valorizzati solo in parte per apportare miglioramenti al percorso formativo, e i dati siano in diminuzione nel tempo. d) Qualità docenza e didattica Passando all’area della qualità della docenza e della didattica, la corrispon- denza tra i requisiti del personale e quelli del progetto formativo è piena nel- la quasi totalità dei Centri e pure la conformità delle metodologie didattico- formative, anche se non così soddisfacente, tuttavia è valutata come “com- pleta” in un terzo dei CFP e “sufficiente” in oltre la metà: in ambedue i ca- si, si riscontra un miglioramento nel tempo. A sua volta, il coordinamento tra le diverse figure e ruoli è valutato come “pienamente efficace” nel 50% dei Centri e “abbastanza” nell’altro 50% e anche in questo caso si nota un notevole progresso nel biennio della speri- mentazione. Meno positivo è invece l’andamento riguardo al riesame delle azioni in cor- so in quanto, in appena un terzo dei CFP, questo è “frequente”, nella metà si compie “qualche volta” e nel 10% “mai”. e) Clima dei rapporti La quinta area di valutazione riguardava il clima dei rapporti in aula e fuo- ri. La collaborazione degli utenti e il loro coinvolgimento nelle differenti iniziative del Centro, con particolare riferimento ai momenti di aggregazio- ne e alla partecipazione alle attività religiose, hanno ottenuto nel complesso valutazioni particolarmente elevate ed in progressiva crescita nel biennio f) Organizzazione Nella sesta area, riguardante l’organizzazione, sono cresciute nel tempo sia l’attivazione delle funzioni previste dal progetto che sono diventate tutte operative nei due terzi dei Centri, sia l’efficacia delle funzioni direttive e di coordinamento che sono risultate di grande aiuto nel 60% dei casi e di sup- porto all’utenza che è stata piena nel 70%. rapportoC.qxd 21/03/2003 9.03 Pagina 161 162 Al contrario, l’adeguatezza degli ambienti, la conformità alle norme vigen- ti del sistema sicurezza e delle modalità di trattamento dati degli allievi han- no subito un arretramento nel biennio, anche se in tutti e tre casi rimane più che maggioritaria la percentuale dei CFP in cui gli esiti sono stati positivi. 8) Dati sulla valutazione finale dei referenti Al termine del biennio di sperimentazione, ai referenti per l’obbligo formativo è stato chiesto di esprimere un parere su: standard di qualifica, qualità della proget- tazione, conseguimento degli obiettivi, dispositivo di certificazione, socializzazione delle attività realizzate. a) Valutazione sugli standard di qualifica Sulla base dei giudizi che i referenti della FPI hanno dato al termine dei due anni di sperimentazione, va evidenziato che in genere gli standard di quali- fica sono risultati dappertutto “abbastanza” rispondenti alla progettazione formativa e che il 60-80% dei Centri ha potuto documentare tale conformi- tà attraverso appositi strumenti di rilevamento. Meno bene è andata invece per la partecipazione dei committenti (regione e provincia) e dei partner (im- prese) nella elaborazione dei profili professionali e delle relative competen- ze, che hanno conseguito una valutazione che si situa tra “abbastanza” e “poco”. b) Valutazione sulla qualità della progettazione La qualità della progettazione ha ricevuto un giudizio più uniforme. Infatti, nel complesso ha ottenuto una valutazione almeno di “abbastanza” in rela- zione a tutti i criteri previsti, ossia: la concretezza degli obiettivi, la loro tra- ducibilità in operazioni pratiche, la corrispondenza dell’impianto didattico con le caratteristiche del contesto, l’adeguatezza delle metodologie rispetto agli esiti formativi e professionali e ai bisogni individuali e quella delle ri- sorse. c) Valutazione sul conseguimento degli obiettivi Circa un terzo dei CFP coinvolti nella sperimentazione ha pienamente con- seguito gli obiettivi previsti dal progetto formativo e gli altri due terzi si ri- tengono abbastanza soddisfatti degli esiti conseguiti. Tale successo viene in parte confermato dalle scarse segnalazioni in merito alla necessità di appor- tare modifiche al progetto, ma soprattutto dal gradimento degli utenti, dei committenti e dei partner. d) Valutazione sul dispositivo di certificazione In genere, nei Centri esiste un dispositivo di certificazione degli esiti. L’ “attestato di qualifica” è il certificato rilasciato più comunemente e quel- lo che riscuote maggiore credibilità da parte dei differenti attori sociali, pub- blici e privati. L’ “attestato di frequenza”, seppure più riconosciuto al nord, tuttavia è uti- lizzato in appena la metà dei CFP; esso trova consensi soprattutto da parte degli enti pubblici e meno dalle scuole e dalle imprese. rapportoC.qxd 21/03/2003 9.03 Pagina 162 165 sione diseguale del ruolo dei due sistemi dove la FP è percepita come una sorta di “chance minore” per chi non è in grado di perseguire con successo il percorso sco- lastico. Ciò è dimostrato dal fatto che nella grandissima parte dei casi la cultura del lavoro viene inserita nei curricoli di chi è orientato alla professione in tempi brevi, ma non per coloro che la perseguono nei tempi medio-lunghi, ovvero ogni studente di qualsiasi percorso scolastico. In questo senso, le esperienze di interazione/inte- grazione rilevate sono da intendere essenzialmente come ruolo sussidiario alla scuo- la ed agli organismi territoriali al fine di svolgere un compito di orientamento e di istruzione nei confronti di quella vasta fascia di popolazione che – per l’obbligo for- mativo – si rivolge verso il canale della formazione professionale e dell’apprendi- stato. Circa quest’ultimo canale, gli esiti del monitoraggio appaiono più che scon- fortanti per la sua debolezza intrinseca e per la fragilità dell’impianto formativo pre- visto. Di fatto, tale canale non è concepito come un’opportunità formativa, ma sem- plicemente come un obbligo; mentre – al di là della denominazione – il percorso di formazione professionale è visto più come opportunità e come investimento per i di- versi attori coinvolti. 2.4. Osservazioni sugli strumenti utilizzati Circa gli strumenti, le prassi rilevate presentano un forte addensamento intorno ai temi seguenti: a) accoglienza; b) orientamento; c) recuperi ed approfondimenti; d) programmazione didattica; e) gestione dello stage; f) valutazione. I materiali rilevati sono per lo più coerenti con l’impianto progettuale, e rivela- no inoltre una notevole vitalità degli organismi i quali hanno potuto mostrare, nel biennio di sperimentazione, talune metodologie su cui vi era stato investimento an- che negli anni precedenti. Vi è la necessità di sviluppare su questi temi un confron- to più serrato anche al fine di alimentare investimenti più rilevanti verso strumenti innovativi quali l’ “Atelier pedagogico” ed il “Centro risorse educative per l’ap- prendimento”. Questi rappresentano strutture di supporto alla didattica (d’aula, al- ternativa all’aula, mista), necessari in ogni Centro di formazione, dove concentrare le risorse che consentono di dare vita a processi di formazione basati su una strate- gia attiva, che miri a obiettivi coerenti. 2.5. Osservazioni critiche Il quadro delle esperienze rilevate in riferimento alla distinzione territoriale pre- senta un quadro complesso, non più corrispondente al vecchio stereotipo che vede- va l’assenza di un serio impegno formativo al sud e nelle isole. In effetti, abbiamo potuto riscontrare un notevole investimento formativo so- prattutto in queste ultime, mentre rimane confermata la debolezza di iniziative nel mezzogiorno d’Italia. Ad esempio, in Sardegna si assiste ad una nuova stagione per la formazione professionale, segnata dalla comparsa di modelli progettuali innova- tivi (cui ha contribuito grandemente il progetto sperimentale che qui viene monito- rato), di una nuova generazione di operatori, di metodologie, di reti operative tra at- rapportoC.qxd 21/03/2003 9.03 Pagina 165 166 tori istituzionali, economici e sociali. Nel contempo, in Sicilia appaiono esperienze che rivelano una volontà di qualificazione del sistema di orientamento e formazio- ne professionale, mentre si segnala un’esperienza importante: il progetto F.S.O.S. (Formazione Sperimentale Assolvimento Obbligo Scolastico) previsto dalla circo- lare Regionale e finanziato interamente dalla Regione Siciliana che anticipa la spe- rimentazione regionale sostenuta dal Ministero dell’istruzione università e ricerca e dal Ministero delle Politiche sociali. Appare di conseguenza logico il raccordo tra percorso biennale dell’obbligo formativo ed esperienze sperimentali volte a definire nuovi modelli formativi co- erenti con la normativa in via di approvazione. Tali esperienze costituiscono la fase successiva a quella qui monitorata, verso una piena nobilitazione della formazione professionale non più intesa come attività addestrativa che mira unicamente all’ac- quisizione di abilità manuali, ma concepita come una proposta dotata di valenze cul- turali, pedagogiche, sociali e professionali. 3. INDICAZIONI PROSPETTICHE DELLA SPERIMENTAZIONE Concludiamo sintetizzando una serie di indicazioni che emergono dalla ricerca realizzata sia in termini di rilevazione dello status quo, sia di suggerimenti per ren- dere più funzionale il progetto sperimentato. 3.1. Punti chiave rilevati Gli esiti della rilevazione ci consentono di evidenziare alcuni punti chiave del- l’impegno dei Centri indagati: a) l’esigenza del rispetto dell’età evolutiva degli alunni nella fase dell’obbligo formativo; b) l’attenzione alla continuità tra i cicli, che favorisca il superamento della dis- persione, e la necessità di una corretta impostazione dell’orientamento; c) la necessità di predisporre le condizioni per un’effettiva scelta, da parte degli alunni, dei percorsi di scuola o di formazione professionale, che abbiano pari dignità culturale, educativa e professionale, a partire dal termine della scuola secondaria di I grado, con inizio dal 14° anno di età, analogamente a quanto av- viene in quasi tutti i Paesi europei; d) la richiesta che venga superata la legge n. 9/1999, che è risultata dannosa per gli adolescenti e per il percorso scolastico e che, stante ormai l’obbligo forma- tivo, risulta superflua. 3.2. Suggerimenti emersi I suggerimenti per il miglioramento del progetto e della sua attuazione possono essere sintetizzati nei seguenti punti. rapportoC.qxd 21/03/2003 9.03 Pagina 166 167 1) Non accontentarsi della sufficienza, ma puntare decisamente a realizzare l’ec- cellenza nella FPI. 2 Far convergere le innovazioni metodologica, pedagogica e didattica verso l’ac- quisizione dell’obiettivo istituzionale della qualifica professionale riconosciuta. 3) Potenziare l’innovazione nella modularità, nella didattica e nella valutazione. In particolare, si tratterà di operare nelle seguenti direzioni che, pur tenute in con- siderazione dai Centri, non lo sono però in maniera pienamente soddisfacente: a) valorizzare la metodologia peculiare della FP di natura induttiva, basata sul- l’esperienza ed il coinvolgimento; b) permettere una “centralità dell’utente-destinatario” già a partire dalle fasi di accoglienza e di orientamento, quest’ultimo inteso anche nel senso di ac- compagnamento lungo tutto il percorso; c) ridurre la frammentazione delle aree disciplinari e di laboratorio e puntare ad una integrazione delle stesse sviluppando in tal modo una formazione trans-disciplinare (ciò significa che si persegue un progetto comune a tutta l’équipe, centrato sulla crescita della persona-utente e sull’integrazione dei saperi al fine di valorizzarne le potenzialità); d) stimolare una metodologia di apprendimento basata su “centri di interesse” (personale, sociale, lavorativo-professionale); e) superare la didattica per discipline/materie ed incrementare processi di ap- prendimento che creino connessioni e legami significativi tra aree di inte- resse e saperi, abilità e competenze; f) valorizzare le esperienze dei destinatari e del territorio di riferimento; g) trovare strade alternative per l’apprendimento di saperi di base e di compe- tenze professionali trasversali; h) diversificare la proposta formativa inserendo moduli di recupero, per colo- ro che presentano difficoltà e lacune, e di approfondimento, per coloro che intendano andare oltre gli obiettivi standard; i) valorizzare lo stage come esperienza fortemente personalizzata. 4) Rafforzare la partecipazione delle famiglie in modo da arrivare a una vera cor- responsabilità all’interno della comunità formativa. 5) Coinvolgere le imprese non solo quanto al soddisfacimento delle esigenze or- ganizzative, ma anche e soprattutto quanto alla realizzazione di quelle formati- ve, nella prospettiva dell’alternanza scuola-formazione / lavoro. 6) Potenziare l’efficienza e l’efficacia degli interventi a favore degli allievi dell’I- talia settentrionale che, nei confronti del progetto sperimentale, manifestano un gradimento inferiore rispetto ai loro compagni del sud e del centro. 7) Delineare una modalità di valorizzazione stabile dei materiali didattici sotto for- ma di “Centro risorse educative per l’apprendimento” (come suggeriscono i ri- sultati dell’analisi degli strumenti). 8) Ovviare ai ritardi nella raccolta delle informazioni, cercando di creare una tra- dizione di documentazione sistematica delle azioni formative e riducendo il nu- mero degli strumenti di cui è stata chiesta la compilazione. rapportoC.qxd 21/03/2003 9.03 Pagina 167 168 Come già sottolineato nell’introduzione, il presente lavoro ribadisce l’impor- tanza della FP come percorso alternativo alla scuola, al pari di questa capace di ac- compagnare gli allievi verso il conseguimento di obiettivi educativo-formativi e, quindi, all’acquisizione di una “Qualifica professionale”. Il Disegno di legge di riordino dei cicli (Disegno di legge n. 1306, approvato al Senato il 13 novembre 2002 e, al momento in cui scriviamo, in via di approvazione alla Camera) sembra accogliere questa istanza nel prefigurare un percorso per i ra- gazzi che, a partire dai 14 anni, si inseriscono nel sistema di istruzione e formazio- ne professionale e, dopo tre anni, acquisiscono una “Qualifica professionale”, dopo quattro anni un “Diploma professionale” e, attraverso corsi triennali di formazione tecnica superiore, un “Diploma professionale superiore”, in una prospettiva di cre- scita professionale verso ruoli tecnici di responsabilità3. L’art. 2, comma 1, lettere h - i, del citato Disegno di legge, infatti recita: h) […] ferma restando la competenza regionale in materia di formazione e istruzione pro- fessionale, i percorsi del sistema dell'istruzione e della formazione professionale realizzano profili educativi, culturali e professionali, ai quali conseguono titoli e qualifiche professionali di differente livello, valevoli su tutto il territorio nazionale se rispondenti ai livelli essenziali di prestazione di cui alla lettera c); le modalità di accertamento di tale rispondenza, anche ai fini della spendibilità dei predetti titoli e qualifiche nell'Unione europea, sono definite con il rego- lamento di cui all'articolo 7, comma 1, lettera c); i titoli e le qualifiche costituiscono condizio- ne per l'accesso all'istruzione e formazione tecnica superiore, fatto salvo quanto previsto dal- l'articolo 69 della legge 17 maggio 1999, n. 144; i titoli e le qualifiche conseguiti al termine dei percorsi del sistema dell'istruzione e della formazione professionale di durata almeno qua- driennale consentono di sostenere l'esame di Stato, utile anche ai fini degli accessi all'univer- sità e all'alta formazione artistica, musicale e coreutica, previa frequenza di apposito corso an- nuale, realizzato d'intesa con le università e con l'alta formazione artistica, musicale e coreuti- ca, e ferma restando la possibilità di sostenere, come privatista, l'esame di Stato anche senza ta- le frequenza; i) è assicurata e assistita la possibilità di cambiare indirizzo all'interno del sistema dei li- cei, nonché di passare dal sistema dei licei al sistema dell'istruzione e della formazione pro- fessionale, e viceversa, mediante apposite iniziative didattiche, finalizzate all'acquisizione di una preparazione adeguata alla nuova scelta; la frequenza positiva di qualsiasi segmento del se- condo ciclo comporta l'acquisizione di crediti certificati che possono essere fatti valere, anche ai fini della ripresa degli studi eventualmente interrotti, nei passaggi tra i diversi percorsi di cui alle lettere g) e h); nel secondo ciclo, esercitazioni pratiche, esperienze formative e stage rea- lizzati in Italia o all'estero anche con periodi di inserimento nelle realtà culturali, sociali, pro- duttive, professionali e dei servizi, sono riconosciuti con specifiche certificazioni di compe- tenza rilasciate dalle istituzioni scolastiche e formative; i licei e le istituzioni formative del si- stema dell'istruzione e della formazione professionale, d'intesa rispettivamente con le univer- sità, con le istituzioni dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica e con il sistema del- l'istruzione e formazione tecnica superiore, stabiliscono, con riferimento all'ultimo anno del percorso di studi, specifiche modalità per l'approfondimento delle conoscenze e delle abilità ri- chieste per l'accesso ai corsi di studio universitari, dell'alta formazione, ed ai percorsi dell'i- struzione e formazione tecnica superiore[…]. 3 Cfr. su queste tematiche CIOFS/FP – CNOS-FAP, Dall’obbligo scolastico al diritto di tutti al- la formazione: i nuovi traguardi della Formazione Professionale, Roma, Tipografia Istituto Salesiano Pio XI, 2002. rapportoC.qxd 21/03/2003 9.03 Pagina 168 169 Ciò era previsto in buona misura nel “Rapporto finale del gruppo ristretto di la- voro costituito con D.M. 18 luglio 2001, n. 672” (cosiddetto “Rapporto Bertagna”) che affermava la “natura pedagogica, l’identità curricolare e la fisionomia istituzio- nale di un percorso graduale e continuo di istruzione/formazione secondaria e supe- riore parallelo a quello di istruzione secondaria e superiore, dai 14 ai 21 anni, con esso integrato a livello di funzioni di sistema e ad esso pari in dignità culturale ed educativa, abilitato a rilasciare tre titoli di studio corrispondenti a standard naziona- li concertati in sede nazionale (Qualifica, Diploma di formazione secondario, Di- ploma professionale superiore)”4. Il progetto di riforma, mentre fa propria la riflessione critica circa l’attuazione della legge 9/19995, apre lo spazio per un disegno organico del sistema di FP nel no- stro Paese, delineando percorsi dotati di un impianto strutturale in grado di assicu- rare a questi stabilità, gradualità, continuità, apertura verso la formazione tecnica su- periore e continua. 4 Cfr. Rapporto del gruppo ristretto di lavoro costituito con D.M. n. 672 del 18 luglio 2001, in “Annali dell’Istruzione”, 47 (2001), n. 1-2, p. 4. 5 Si veda il documento FORMA, “La formazione professionale nella proposta di nuova articola- zione dei cicli” del novembre 2001, là dove afferma la necessità di “assorbire l’obbligo scolastico en- tro la nozione più valida di diritto/obbligo formativo fino ai 18 anni. E’ ormai chiaro come la gestione del prolungamento dell'istruzione nelle sedi scolastiche fino al 15° anno abbia penalizzato gli adole- scenti coinvolti, soprattutto i più svantaggiati ed in difficoltà”. Inoltre, e più ampiamente, cfr. CIOFS/FP – CNOS-FAP, o.c., 2002. rapportoC.qxd 21/03/2003 9.03 Pagina 169 rapportoC.qxd 26/03/2003 7.32 Pagina 170 171 BIBLIOGRAFIA AA.VV, Il posto della competenza. Persone, organizzazioni, sistemi formativi, Franco Angeli, Milano, 2001. AA.VV., Médiations éducatives et aides à l’autoformation, in «Les sciences de l’éducation», vol. 29/96, n° 1-2, Caen. AFNOR, La qualité en formation professionnelle - qualité et efficacité des organisations, Paris, 1997. BERTAGNA G., La scuola tra “theoría”, “téchne” ed “apprendistato”, in «Orientamenti Pedagogici», in corso di pubblicazione. BLÄTTNER F., Storia della pedagogia, Armando, Roma, 1989. BOCCA G., Pedagogia del lavoro. Itinerari, La Scuola, Brescia, 1998. BOLDIZZONI D. - MANZOLINI L., (curr.), Creare valore con le risorse umane. La forma dei nuovi para- digmi nella direzione del personale, Guerini & Associati, Milano, 2000. 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I dati quantitativi Tav. 1 Distribuzione dei Centri per tipo di ente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 Tav. 2 Distribuzione dei Centri per circoscrizione territoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 Tav. 3 Modello adottato nell’impostazione della sperimentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30 Tav. 4 Adozione o meno del sistema qualità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31 Tav. 5 Distribuzione degli allievi del I anno per tipo di ente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 Tav. 6 Distribuzione degli allievi del I anno per circoscrizione territoriale . . . . . . . . . . . . . 33 Tav. 7 Distribuzione degli allievi del I anno per sesso ed età . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34 Tav. 8 Situazione scolastico – formativa degli allievi del I anno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36 Tav. 9 Preparazione culturale di base degli allievi del I anno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38 Tav. 10 Flussi degli allievi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 Tav. 11 Le motivazioni degli allievi ritirati/aggiunti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44 Tav. 12 Distribuzione dei formatori per tipo di ente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47 Tav. 13 Distribuzione dei formatori per circoscrizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47 Tav. 14 Distribuzione dei formatori per sesso ed età . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48 Tav. 15 Distribuzione dei formatori per titolo di studio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48 Tav. 16 Motivi per cui si insegna nell'obbligo formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 Tav. 17 Tipi di incarico nel corso di obbligo formativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 Tav. 18 Gradimento degli allievi: anni formativi 2000-01 e 2001-02 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51 Tav. 19 Gradimento dei formatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59 Tav. 20 Partecipazione degli utenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62 Tav. 21 Orientamento degli allievi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65 Tav. 22 Esecuzione del progetto formativo e gestione degli interventi di modifica . . . . . . . . . 68 Tav. 23 Qualità della docenza e della didattica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72 Tav. 24 Il clima dei rapporti in aula e fuori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75 Tav. 25 Adeguatezza dell'organizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77 Tav. 26 Rispondenza agli standard di qualifica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81 Tav. 27 Qualità della progettazione in rapporto ai criteri di coerenza, congruenza, efficacia, efficienza, effetto moltiplicatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83 rapportoC.qxd 21/03/2003 9.03 Pagina 173 174 Tav. 28 Valutazione degli obiettivi posti dal progetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85 Tav. 29 Presenza di un dispositivo di certificazione degli esiti al contesto professionale . . . . 87 Tav. 30 Seminari di pubblicizzazione dei risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88 Tav. 31 Adeguatezza delle linee per il rilancio e la diffusione dell'attività progettuale . . . . . . 89 Capitolo 3 - Rapporto sulle buone prassi Tav. 1 Durata complessiva del corso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97 Tav. 2 Coinvolgimento delle famiglie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98 Tav. 3 Coinvolgimento delle imprese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 100 Tav. 4 Personalizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102 Tav. 5 Accoglienza, orientamento e bilancio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104 Tav. 6 Gestione crediti e passerelle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106 Tav. 7 Recuperi, approfondimenti, accompagnamento e modularità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109 Tav. 8 Schema acquisizioni e metodologie di programmazione didattica . . . . . . . . . . . . . . . 111 Tav. 9 Valutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113 Tav. 10 Libretto personale e certificazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 116 Tav. 11 Costi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 118 Tav. 12 Partnership . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 120 Tav. 13 Tipologia di intervento svolto dal CFP - Orientamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 121 Tav. 14 Tipologia di intervento svolto dal CFP - Cultura del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 123 Tav. 15 Tipologia di intervento svolto dal CFP - Utenti specifici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 124 Tav. 16 Cultura e modalità dell'interazione-integrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 127 Tav. 17 Finanziamento e certificazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 129 rapportoC.qxd 21/03/2003 9.03 Pagina 174 175 INDICE SOMMARIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 SIGLE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 INTRODUZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 Capitolo 1 IL PROGETTO DI RICERCA D. Nicoli - G. Malizia - V. Pieroni - A. Loiacono - D. Antonietti 1. Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 2. Le caratteristiche della formazione professionale iniziale . . . . . . . . . . . . . . . 12 2.1. Caratteristiche del percorso di FPI dettate dalla legge 144/99 . . . . . . . . 12 2.2. Caratteristiche del percorso di FPI dettate dall’Accordo Stato-Regioni del 2000 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 3. La sperimentazione del CNOS-FAP e del CIOFS/FP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 4. Il monitoraggio dei percorsi sperimentali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 4.1. Obiettivi del monitoraggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 4.2. Elementi qualificanti del monitoraggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 5. Metodologia di intervento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16 5.1. Schede . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 5.2. Griglie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 5.3. Dossier delle procedure e degli strumenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20 6. Cronogramma del monitoraggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 6.1. Cronogramma del monitoraggio del I e II ciclo (I anno) . . . . . . . . . . . . . 21 6.2. Cronogramma del monitoraggio del III e IV ciclo (II anno) . . . . . . . . . . . 21 6.3. Cronogramma effettivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22 6.3.1. Il 1° anno della sperimentazione (2000-01) . . . . . . . . . . . . . . . . . 22 6.3.2. Il 2° anno della sperimentazione (2001-02) . . . . . . . . . . . . . . . . . 23 7. Organizzazione della ricerca: comitato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24 rapportoC.qxd 26/03/2003 7.32 Pagina 175 176 Capitolo 2 I DATI QUANTITATIVI G. Malizia - V. Pieroni 1. Le caratteristiche dei CFP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 1.1. Distribuzione dei Centri per tipo di ente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 1.2. Distribuzione dei Centri per circoscrizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 1.3. Modello di FPI seguito nella ricerca-azione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 1.4. Adozione del sistema qualità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30 2. Caratteristiche degli allievi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31 2.1. Il campione generale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 2.2. I sottocampioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 2.3. La distribuzione territoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 2.4. Il sesso e l’ età . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34 2.5. La situazione scolastico-formativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35 2.6. La provenienza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36 2.7. La certificazione di disagio e/o handicap . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37 2.8. La preparazione culturale di base . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38 2.9. Le attività differenziate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38 2.10. I flussi degli allievi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39 2.10.1. I flussi nei due anni della sperimentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . 39 2.10.2. Gli allievi ritirati e le motivazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 2.10.3. Gli allievi aggiunti e le loro motivazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 2.10.4. Quanti hanno portato a termine gli anni formativi . . . . . . . . . . . . 44 3. Caratteristiche dei formatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46 3.1. Il campione generale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46 3.2. I sottocampioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46 3.3. La distribuzione territoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47 3.4. Il sesso e l’età . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47 3.5. La professionalità dei formatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48 4. Valutazione della sperimentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50 4.1. Il gradimento degli allievi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50 4.1.1. I contenuti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52 4.1.2. I formatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53 4.1.3. I metodi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54 4.1.4. L’organizzazione e i tempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 4.1.5. Gli apprendimenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56 4.1.6. Giudizio complessivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57 4.2. Il gradimento dei formatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57 4.3. La valutazione in itinere dell’attuazione delle azioni formative da parte dei referenti della FPI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60 4.3.1. La partecipazione degli utenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61 4.3.2. Le attività di orientamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64 rapportoC.qxd 21/03/2003 9.03 Pagina 176 177 4.3.3. Esecuzione del progetto formativo e gestione degli interventi di modifica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67 4.3.4. Qualità della docenza e della didattica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71 4.3.5. Il clima dei rapporti in aula e fuori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74 4.3.6. Adeguatezza dell’organizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76 4.4. Monitoraggio finale dell’attuazione dell’azione formativa da parte dei referenti della FPI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80 4.4.1. La rispondenza agli standard di qualifica . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81 4.4.2. Qualità della progettazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82 4.4.3. Valutazione degli obiettivi posti dal progetto . . . . . . . . . . . . . . . . 84 4.4.4. Presenza di un dispositivo di certificazione degli esiti adeguato al contesto professionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86 4.4.5. Restituzione e follow-up . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88 5. Osservazioni conclusive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89 Capitolo 3 RAPPORTO SULLE BUONE PRASSI D. Nicoli 1. Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91 1.1. I principi metodologici di riferimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91 1.2. Impostazione di analisi delle buone prassi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 94 2. Progetto formativo biennale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96 2.1. Durata complessiva del corso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96 2.2. Coinvolgimento delle famiglie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96 2.3. Coinvolgimento delle imprese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 100 2.4. Azioni di personalizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102 2.5. Azioni di accoglienza, orientamento e bilancio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104 2.6. Gestione crediti e passerelle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106 2.7. Azioni di recupero, approfondimento, accompagnamento e modularità . . . . 108 2.8. Schema acquisizioni e metodologie di programmazione didattica . . . . . . 111 2.9. Valutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113 2.10. Libretto personale e certificazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115 2.11. Costi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 118 3. Interazione scuola – FP nell’obbligo di istruzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 118 3.1. Partnership . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119 3.2. Tipologie di intervento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 120 3.2.1. Orientamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 121 3.2.2. Cultura del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 122 3.2.3. Utenti specifici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 122 3.3. Modello di interazione/integrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 126 3.4. Finanziamento e certificazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 128 rapportoC.qxd 21/03/2003 9.03 Pagina 177 178 4. Analisi delle prassi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 128 4.1. Prassi proposte dalle sedi nazionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 130 4.2. Prassi proposte dall’Emilia Romagna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133 4.3. Prassi proposte dal Lazio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135 4.4. Prassi proposte dalla Liguria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137 4.5. Prassi proposte dalla Lombardia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139 4.6. Prassi proposte dal Piemonte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 143 4.7. Prassi proposte dalla Sardegna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 145 4.8. Prassi proposte dalla Sicilia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 146 4.9. Prassi proposte dal Veneto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 149 5. Una riflessione di sintesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 150 Capitolo 4 OSSERVAZIONI CONCLUSIVE G. Malizia - D. Nicoli - V. Pieroni 1. Osservazioni conclusive sui risultati a livello quantitativo . . . . . . . . . . . . . . . 153 2. Osservazioni conclusive sulle “buone prassi” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 163 2.1. Osservazioni sull’impianto progettuale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 163 2.2. Osservazioni sull’approccio metodologico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 164 2.3. Osservazioni sulla cultura dell’interazione/integrazione . . . . . . . . . . . . . 164 2.4. Osservazioni sugli strumenti utilizzati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 165 2.5. Osservazioni critiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 165 3. Indicazioni prospettiche della sperimentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 166 3.1. Punti chiave rilevati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 166 3.2. Suggerimenti emersi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 166 BIBLIOGRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 171 INDICE DELLE TAVOLE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 173 INDICE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 175 rapportoC.qxd 21/03/2003 9.03 Pagina 178 rapportoC.qxd 21/03/2003 9.03 Pagina 179 rapportoC.qxd 21/03/2003 9.03 Pagina 180

Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della formazione professionale iniziale secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto sul follow up

Autore: 
Guglielmo Malizia - Vittorio Pieroni
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2003
Numero pagine: 
125
Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della formazione professionale iniziale secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP RAPPORTO SUL FOLLOW-UP (Giugno 2003) A cura di Guglielmo MALIZIA - Vittorio PIERONI follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 1 Tipolitografia Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@pcn.net Finito di stampare: giugno 2003 follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 2 3 SOMMARIO SIGLE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 INTRODUZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 Parte I - IL QUADRO TEORICO DI RIFERIMENTO CAPITOLO 1 LA TRANSIZIONE DELLA FORMAZIONE AL LAVORO. LO SCENARIO (G. Malizia - V. Pieroni - A. Loiacono - D. Antonietti). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 Parte II - L’INDAGINE SUL CAMPO CAPITOLO 2 IL PROGETTO DI RICERCA, LA METODOLOGIA E IL PIANO DI CAMPIONATURA (G. Malizia - V. Pieroni) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39 CAPITOLO 3 GLI EX-ALLIEVI CHE HANNO PORTATO A TERMINE LA FPI (G. Malizia - V. Pieroni) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 CAPITOLO 4 GLI EX-ALLIEVI CHE SI SONO RITIRATI DURANTE LA FPI (G. Malizia - V. Pieroni) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67 Parte III - SINTESI CONCLUSIVA, BIBLIOGRAFIA, APPENDICI CAPITOLO 5 SINTESI DEI RISULTATI DELLA SPERIMENTAZIONE. SUGGERIMENTI E PROVOCAZIONI (G. Malizia - V. Pieroni) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87 follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 3 4 BIBLIOGRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105 APPENDICI APPENDICE 1 - Le griglie utilizzate da ciascun Ente per il campionamento 111 APPENDICE 2 - Gli strumenti di rilevamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113 INDICE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 123 follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 4 5 SIGLE CFP: Centro di Formazione Professionale FPI: Formazione Professionale Iniziale M: Media follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 5 follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 6 7 INTRODUZIONE Sulla base dell’articolo 68 della legge n. 144 del 17 maggio 1999 e dell’Accor- do Stato - Regioni del 2 marzo 2000, le sedi nazionali del CNOS-FAP e del CIOFS/FP hanno elaborato nel 2000 un progetto di FPI. Per monitorare la sua at- tuazione, è stata avviata una ricerca-azione che mirava a raccogliere dati sull’effet- tiva realizzazione di quanto previsto, al fine di tarare e ridefinire la proposta inizia- le. L’investigazione è terminata nel giugno 2002 e i risultati sono stati presentati nel rapporto conclusivo (Malizia, Nicoli e Pieroni, 2002b). Quanto emergeva dalla rilevazione sulle prassi dell’obbligo formativo ha con- fermato l’importanza di una formazione professionale dotata di un proprio statuto peculiare, inserita in un complessivo sistema formativo articolato ed aperto, in gra- do di rappresentare un sottosistema educativo, dotato di obiettivi di pari dignità ri- spetto a quelli dell’istruzione e con questo interrelato con possibilità di passaggi, al fine di offrire ai giovani l’opportunità di acquisire una “qualifica professionale”. Nella ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI, infatti, si sono com- poste in maniera sinergica l’istanza educativa, che è peculiare della FPI in quanto ha come destinatario il minore, il raccordo organico con il sistema economico-produt- tivo, da cui riceve indicazioni e proposte sui fabbisogni professionali del territorio, la personalizzazione del percorso (attuata soprattutto attraverso alcune azioni di si- stema quali l’accoglienza, l’orientamento e l’accompagnamento al lavoro) e il rac- cordo con il sistema di istruzione. L’indagine di cui si dà relazione nel presente rapporto si è svolta nel primo se- mestre del 2003. Essa non è un sottoprogetto del progetto biennale perché non era stato previsto nell’impostazione iniziale. Tuttavia, è legata sostanzialmente ad esso perché ne tenta una valutazione al di fuori delle mura dei Centri nel concreto del mondo del lavoro. Tra gli aspetti più significativi sottesi alla ricerca-azione biennale in merito al modello sperimentale CNOS-FAP e CIOFS-FP di FPI, un passaggio cruciale, ai fi- ni della verifica del successo dell’intervento, consisteva indubbiamente nel monito- raggio della transizione degli utenti dalla FPI al sistema produttivo. Tale “inseri- mento”, mentre per un verso gioca da elemento di controllo del processo formativo connesso alla formazione iniziale e all’orientamento, intesi come fattori mirati a va- lorizzare la vocazione peculiare di ogni singolo utente della FPI, dall’altro permet- te di realizzare una interazione feconda tra formazione professionale e mondo del la- voro in tema di formazione iniziale. Più in particolare la presente indagine si è proposta i seguenti obiettivi: a) verificare l’esito finale degli allievi della sperimentazione della FPI nella trans- izione al mondo del lavoro o ad altro tipo di istruzione/formazione b) tenendo conto dei risultati della verifica, individuare eventuali ulteriori bisogni follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 7 8 formativi dei giovani intervistati al fine di un perfezionamento della loro pro- fessionalità; c) contribuire a valutare il successo della FPI erogata sulla base dell’analisi degli esiti degli allievi; d) avanzare proposte per potenziare il programma sperimentale di FPI dal punto di vista dell’inserimento e dell’accompagnamento al mercato del lavoro. Il presente rapporto si articola in cinque capitoli. Il primo pone le premesse teo- riche della ricerca, analizza i dati sulla transizione dei giovani dal sistema educativo al mondo del lavoro in Italia e descrive i cambiamenti che la riforma Moratti ha in- trodotto con particolare riferimento al tema centrale del rapporto. Il secondo presen- ta il progetto dell’investigazione nel quadro della sperimentazione della FPI e illustra lo svolgimento della indagine. Il terzo e il quarto capitolo analizzano i risultati del- l’indagine in riferimento rispettivamente agli allievi che hanno terminato il biennio della sperimentazione e a quelli che si sono ritirati prima. Il quinto capitolo tenta di offrire un visione complessiva dei risultati della investigazione in una prospettiva di futuro e al termine viene offerta una bibliografia sintetica delle opere principali uti- lizzate nella ricerca, mentre in appendice sono allegati gli strumenti di indagine. In sintesi i principali risultati dell’indagine possono essere riassunti nei seguenti tre punti. 1) La situazione dei soggetti intervistati al momento del rilevamento Dei 492 ex-allievi del campione “A” che hanno portato termine i due anni della sperimentazione: – hanno ottenuto la qualifica in 437, pari all’88.8% del totale, mentre ammonta- no a 55 (11.2%) quelli che non hanno ottenuto tale titolo o non hanno risposto. Quest’ultimo dato non è del tutto soddisfacente e richiede un impegno ulterio- re per potenziare le strategie della pedagogia del successo formativo nella FPI; tuttavia, esso è senz’altro migliore di quello riscontrato nel 2001-02 relativa- mente al secondo anno degli istituti professionali con il 20% di non ammessi agli scrutini o degli istituti tecnici con il 13.1% (Sugamiele, 2003, p. 238); – inoltre, sempre di questo gruppo 159 (32.3%) al momento dell’inchiesta erano già inseriti nel sistema produttivo e tra essi il numero dei lavoratori in posses- so della qualifica riguardava 131, cioè la più gran parte (82.4%); 193 (il 39.2%) avevano ripreso a studiare; e altri 140 (il 28.5%) erano rimasti disoccupati o erano ancora inoccupati. A loro volta tra i 110 ex-allievi del campione “B” che si sono ritirati: – 52 (il 47.3% di questo gruppo) avevano trovato lavoro; – 15 (il 13.6%) avevano ripreso a studiare; – 43 (il 39.1%) erano rimasti disoccupati o erano ancora inoccupati. 2) Valutazione positiva della sperimentazione della FPI Il lato veramente positivo emerso dalle fila di coloro che hanno portato a ter- follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 8 9 mine la sperimentazione viene dai dati relativi alla valutazione del corso, da cui so- no usciti rimanendo quasi all’unanimità soddisfatti, indipendentemente dal fatto poi di aver trovato o meno un’occupazione o di aver continuato la loro formazione. Tra coloro che si sono ritirati, solo 38 pari al 34.5% di questo gruppo motiva- no l’abbandono perché insoddisfatti del corso e per contrasti con il CFP. Tale dato porta di conseguenza a ritenere che nella maggior parte dei casi la conduzione del- la sperimentazione non può essere messa in discussione per l’ insuccesso di quanti hanno abbandonato. Questo tuttavia non esime dall’accogliere critiche e proposte di miglioramento. In particolare sono stati suggeriti alcuni “piccoli ritocchi” nell’organizzazione della sperimentazione, riferiti particolarmente all’introduzione dell’informatica e dell’in- glese a livello elevato e alla progettazione di un terzo anno, finalizzato al consegui- mento di una specializzazione. Riguardo poi all’orientamento si possono citare la coerenza almeno parziale tra la qualifica ottenuta e l’occupazione che viene indica- ta dal 70% degli ex-allievi che hanno trovato un lavoro dopo aver terminato il bien- nio della sperimentazione. È anche positivo che il 40% circa di chi ha concluso la sperimentazione abbia deciso di proseguire gli studi per ottenere un titolo superiore, una specializzazione e/o un approfondimento delle proprie competenze. In questo caso la sperimentazio- ne è servita in ogni modo ad innescare il desiderio di traguardi più ambiziosi sia in termini formativi che professionali. E comunque il bisogno di ulteriore formazione è scaturito anche dalle fila di un certo numero di lavoratori, grazie proprio all’esperienza in atto, e perfino da un ter- zo degli inoccupati/disoccupati i quali però, diversamente dagli altri, si caratteriz- zano per la presenza di alcune condizioni di svantaggio (in particolare la mancanza di altre opportunità formative nelle Regioni del sud) nonostante la dichiarata volon- tà a riprendere gli studi. Le condizioni problematiche soprattutto nel Mezzogiorno, in linea con i dati nazionali sulla occupazione e legate al contesto sociale ed economico, oltre a de- nunciare le responsabilità, a livello di governo, di enti locali e di imprese, inducono a prevedere uno studio più accurato del mercato del lavoro locale per una program- mazione il più possibile legata al territorio. Il mancato aggancio tra il sistema formativo e quello del mercato del lavoro è dovuto alla compresenza di più variabili riguardanti segmenti deboli della popola- zione e lo stato di inoccupazione/disoccupazione (femmine + terziario + età avan- zata). Infatti, la mancata corrispondenza tra la formazione/qualifica conseguita e il lavoro svolto – corrispondente al 30% circa di coloro che hanno terminato la speri- mentazione e lavorano – riguarda soprattutto il terziario. Per quanto concerne l’orientamento, risulta un momento formativo meno segnalato dagli intervistati rispetto ad altri aspetti (indicazione rilevata dal quesito n. 2 della scheda n. 2 dello strumento proposto). È possibile leggere tale dato come indicativo di due fattori: – l’azione orientativa, pur non percepita importante in forma autonoma dalle al- follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 9 10 tre azioni, ha raggiunto la finalità che le è propria di accompagnamento del pro- cesso di definizione del progetto professionale e di organizzazione dell’iter for- mativo sullo stesso; – lo strumento di rilevazione può essere migliorato. 3) Luci e ombre della transizione al mondo del lavoro Se si attribuisce alle modalità di assunzione/contrattazione un fattore di “rico- noscimento” da parte del sistema produttivo del valore della sperimentazione e/o della qualifica conseguita (e, quindi, del “prodotto” scaturito dal sistema formativo, per stare in tema), in realtà i dati del monitoraggio spingono a parlare di un certo “atteggiamento predatorio” delle imprese piuttosto che di “rispetto” verso la risorsa- uomo messa a disposizione del mercato del lavoro attraverso l’intervento sperimen- tale. Tale valutazione deriva dal constatare che un terzo circa dei lavoratori non è stato regolarmente assunto. Sul lato positivo va sottolineato che la soddisfazione per il lavoro da parte de- gli occupati che hanno terminato il corso di FPI si situa tra molto e abbastanza. Inol- tre, più del 70% degli ex-allievi di questo gruppo sono entrati nel sistema produtti- vo entro tre mesi dal termine della sperimentazione. Da ultimo, intorno ai due terzi degli occupati che hanno terminato il corso di FPI sottolinea la funzionalità delle competenze professionali apprese nella FPI per l’esercizio della varie mansioni e un terzo quella dello stage. follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 10 Parte I - IL QUADRO TEORICO DI RIFERIMENTO follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 11 follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 12 13 CAPITOLO PRIMO LA TRANSIZIONE DALLA FORMAZIONE AL LAVORO. LO SCENARIO (Guglielmo MALIZIA) Il capitolo è articolato in quattro sezioni principali. La prima tenta di delineare in sintesi lo scenario di fondo, sociale, culturale ed economico, in cui si colloca l’e- voluzione attuale dei sistemi educativi, mentre la seconda richiama le teorie più si- gnificative che cercano di spiegare i rapporti tra istruzione, formazione ed economia e la terza analizza i dati sulla transizione dei giovani dal sistema educativo al mon- do del lavoro in Italia. Siccome uno dei poli di questa transizione, l’istruzione e la formazione, è nel nostro Paese in fase di profonda trasformazione per effetto della legge Moratti, n.53/2003, la quarta sezione descrive sia i cambiamenti che tale ri- forma ha introdotto con particolare riferimento al tema centrale del capitolo, sia le prospettive che si delineano in tema di orientamento e di accompagnamento alle scelte di vita e professionali. 1. SOCIETÀ DELLA CONOSCENZA E SISTEMI EDUCATIVI: QUALI ORIENTAMENTI Nell’interpretare i sistemi formativi rimane difficile ancora oggi discostarsi da una concezione che li relega ad una visione d’insieme di servizi e di attività quasi mai coordinate, offerte ai singoli e alle istituzioni formative (FP, scuola, altre orga- nizzazioni…) nel quadro di azioni mirate al conseguimento degli obiettivi propri delle politiche occupazionali (Malizia e Nanni, 2002c; Malizia, Nicoli e Pieroni, 2002a). Si avverte quindi sempre più l’urgenza di ripensare e riformulare i progetti connessi a tali attività, non soltanto nel tentativo di superare la dispersione e la fram- mentarietà, quanto soprattutto per reimpostarle all’interno di un quadro concettuale e sistemico in grado, per un verso, di produrre strategie innovative d’intervento fa- cendo leva su una riscoperta, maturata e rivalutata “vocazione formativa” e, dall’al- tro, per venire incontro ai sempre più rapidi cambiamenti nel campo culturale e del- le high tech sottese ai processi produttivi. Negli ultimi anni, infatti, nei confronti di questo sistema che ha operato per lo più a compartimenti-stagni, si è arrivati a ritenere che mentre da una parte l’offerta va di- versificata e differenziata il più ampiamente possibile, tenendo conto della nuova uten- za che la società del cambio sta facendo emergere, della forte domanda di formazione, informazione e consulenza proveniente dal mondo delle imprese e dalle organizzazio- ni formative e soprattutto delle trasformazioni produttive che assumono ritmi sempre più rapidi, dall’altra essa va organizzata secondo una linea progettuale, integrale, si- nergica, cadenzata nel tempo e dotata di un iter procedurale per tappe evolutive. follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 13 14 Scaturisce da qui l’urgenza di approfondire lo studio del fenomeno con l’inten- to di prefigurare un ipotetico modello mirato a “ri-orientare” tali sistemi. Per conse- guire tale obiettivo una delle “leve del cambio” va individuata anche nel tentativo di ridefinire i nuovi scenari occupazionali e il ruolo che al loro interno ha l’intero si- stema formativo e orientativo. Il Libro Bianco su istruzione e formazione della Commissione Europea afferma che “la società del futuro sarà una società che saprà investire nell’intelligenza, una so- cietà in cui si insegna e si apprende, in cui ciascun individuo saprà costruire la pro- pria qualifica. In altri termini una società conoscitiva” (Cresson e Flynn, 1995, p. 22). Sul piano economico lo scenario appare dominato da sei dinamiche principali: il passaggio graduale da un’economia di scala ad una della flessibilità, la progressi- va terziarizzazione dei processi, l’avvento delle nuove tecnologie, la globalizzazio- ne dei processi, l’emergere del concetto di qualità totale, la transizione da un mo- dello meccanico di organizzazione e di gestione ad uno organico (Giovine, 1998). Sul piano formativo, i macrofattori che influiscono più significativamente su questa trasformazione sono tre: la nascita della società dell’informazione, lo svilup- po della civiltà scientifica e tecnica e la mondializzazione dell’economia. Tali cam- biamenti hanno accresciuto le opportunità di accesso al sapere, ma al tempo stesso hanno richiesto sempre nuove e più ampie competenze, al punto che il passaggio al- la “società della conoscenza” ha cambiato il senso ed il modo stesso di lavorare fa- vorendo il nascere di nuove professioni. L’evoluzione rapida e continua del mondo del lavoro e la conseguente ricaduta che essa ha nella trasformazione delle professioni inducono a risalire ai fattori di fondo. Il mondo è globalizzato nella sua dimensione produttiva: flessibilità e capa- cità di gestione del cambiamento rappresentano veri e propri imperativi categorici per rimanere all’interno del mercato la cui produzione supera le categorie spazio- temporali per adottare paradigmi organizzativi basati sulla rapidità, razionalità e ca- pacità di adattamento. Le nuove tecnologie hanno infranto i confini tra settori pro- duttivi, attività, modalità gestionali; il dialogo in tempo reale è reso possibile al di là di ogni distanza geografica, linguistico-culturale e organizzativa. Al tempo stesso però si è di fronte a situazioni complesse e contraddittorie: a fronte di una maggiore flessibilità contrattuale aumenta il rischio di forme di lavoro precario per l’effetto perverso provocato dall’accumulo di professionalità dequalifi- cate o inficiate da mancata o insufficiente padronanza delle nuove tecnologie: “In definitiva sempre più la competitività è collegata alla adattabilità, alla capacità di ri- spondere sollecitamente alle richieste ed alle sfide che provengono da un contesto esterno sempre più vasto: da qui l’appuntamento determinante con l’era dell’inno- vazione, dell’agilità, della comunicazione digitale, dell’impresa virtuale. Se da un lato si aprono opportunità per chi sa cogliere le nuove opportunità ed adattarsi, dal- l’altro aumentano proporzionalmente i rischi per chi rimane legato a vecchie impo- stazioni. Si può, in altre parole, parlare di una accelerazione del processo di sele- zione darwiniana nella quale il più adatto, cioè il più flessibile e innovativo, soprav- vive” (Goglio, 2000, 66). follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 14 15 Dal canto suo il progresso tecnologico offre molteplici possibilità di esplora- zione del mondo del lavoro rendendo accessibile sempre più materiale informativo e formativo da mettere a disposizione degli utenti da parte delle organizzazioni edu- cative, dei centri di orientamento, delle imprese e dei servizi di sportello. L’obietti- vo ultimo è quello di migliorare l’offerta tramite l’investimento in risorse e capitale umano. Più specificamente, come fa notare Van Esbroeck (1998) con tali mezzi il soggetto in formazione può fare la sua personale esplorazione e trovare indicazioni utili sulle diverse opportunità lavorative e sui requisiti occupazionali. Gli stessi mez- zi gli danno la possibilità di confrontare le abilità e i valori in rapporto alla profes- sione scelta, e può esplorare l’ambiente lavorativo raccogliendo informazioni sul- l’organizzazione del mondo del lavoro in vista dell’esercizio di una professionalità. Per il lavoratore, ma in particolare per il soggetto in formazione che si appresta ad entrare nel mercato del lavoro, si pone quindi l’urgenza di superare la mentalità di “un’unica professione” per tutta la vita per acquisire una cultura progettuale nei confronti di un percorso professionale e formativo in continua ridifinizione attra- verso proposte e supporti orientativi. Dal canto loro le istituzioni di istruzione e di formazione devono spostare sempre più l’attenzione su interventi orientativi a sup- porto della formulazione e del riadeguamento del progetto personale. Si delinea co- sì la necessità di uno stretto intreccio tra agenzie formative, strutture di orientamen- to e politiche del lavoro nella logica di una rete di servizi a sostegno del cittadino lungo l’intero arco della vita. Più in particolare occorre investire soprattutto in strategie mirate ad una politi- ca dell’alternanza, all’introduzione di sistemi educativi, policentrici e coordinati, all’attuazione di una formazione continua raccordata con lo sviluppo locale. Tra esse, il sistema dell’alternanza dà la possibilità di spezzare la sequenza del- l’educazione in modo da completare parte o parti della formazione in diversi tem- pi/fasi della vita attiva. Relativamente all’età giovanile, le modalità di realizzazione dell’alternanza vengono individuate prevalentemente nei contratti di formazione-la- voro, nell’apprendistato, o in forme varie di stage in grado di combinare una for- mazione polivalente con competenze specifiche acquisite sui luoghi di lavoro. Dal canto suo la formazione dovrà essere fondata su una pedagogia che si qualifichi per lo sviluppo e il recupero delle potenzialità degli utenti sia per una programmazione per obiettivi basata su percorsi formativi flessibili sia per una partecipazione attiva delle imprese, delle associazioni di categoria e della comunità locale, così da pro- vocare il passaggio da un sistema formativo “autocentrato” ad uno “policentrico”, ossia sistemico e al tempo stesso rispettoso dell’autonomia delle singole istituzioni di istruzione e di formazione e della sussidiarietà orizzontale e verticale, in modo da rispondere ai nuovi bisogni di competenze indotti dalla competizione tecnologica. Il centro dell’attenzione si sposta di conseguenza sulle risorse umane, sull’in- vestimento nella forza lavoro, dove lo sviluppo delle abilità/competenze personali e di quelle organizzative dell’azienda diventano componenti alla pari del processo di crescita della stessa, secondo un principio in base al quale l’impresa va considerata ed opera come un sistema di apprendimento. Tutto questo si colloca nell’ottica di of- follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 15 16 frire maggiori opportunità formative a quei segmenti deboli che presentano partico- lari difficoltà di inserimento sociale e lavorativo, spesso minorenni che vivono in si- tuazioni di svantaggio di varia estrazione: privi di un titolo valido per svolgere una professione, drop-out, inoccupati, extracomunitari. 2. ISTRUZIONE ED ECONOMIA È convinzione diffusa che l’istruzione e la formazione rappresentano risorse fondamentali per lo sviluppo personale e sociale, a livello nazionale e a quello in- ternazionale. Quando però si cerca di approfondire il tema sul piano scientifico, ci si accorge che la relazione non è così evidente e che non mancano perplessità e dub- bi, anche fondati, sulla entità e sulla natura positiva di tale rapporto. 2.1. L’affermarsi della teoria del capitale umano negli anni ‘60 Il punto di partenza è costituito dalla teoria del capitale umano che è nata tra la fi- ne degli anni ‘50 e l’inizio del ‘60 nel quadro sia della interpretazione funzionalistica, secondo la quale lo sviluppo dell’istruzione e della formazione dipendeva dalla mo- dernizzazione economica e dalla diversificazione istituzionale e sociale che ne deriva, sia della tesi della scuola economica neoclassica che affermava la centralità antropo- logica del problema del lavoro per cui l’uomo sarebbe il suo lavoro. Inoltre, essa ha co- stituito una risposta agli interrogativi emersi da più parti circa l’efficienza delle mas- sicce spese effettuate in quel periodo per finanziare l’espansione enorme del sistema scolastico (Lodigiani, 1999; Bertagna, 2002; Fischer, 1998; Halsey et alii, 1998). La tesi fondamentale che viene sostenuta è che l’istruzione non rappresenta sol- tanto un bene di consumo, ma va considerata anche come un investimento produtti- vo sia per il singolo in quanto estende le sue opportunità professionali, sia per la so- cietà poiché prepara la forza lavoro necessaria per lo sviluppo economico. L’istru- zione e la formazione professionale sono considerate una modalità differente di ac- cumulazione del capitale, il “capitale umano” cioè, il più importante per la crescita economica e sociale, e pertanto costituiscono risorse strumentali di natura fonda- mentale al servizio del sistema economico e della sua espansione. Pertanto, l’anali- si della domanda di lavoro espressa dal mercato di lavoro costituisce la base della pianificazione di una offerta formativa che corrisponda alle istanze manifestate dal- la imprese. Per questa sua impostazione la teoria del capitale umano è stata definita un modello “domandista” dei rapporti tra istruzione e formazione professionale da una parte e sviluppo socio-economico dall’altra (Bertagna, 2002). Va aggiunto che tale interpretazione è stata largamente utilizzata nei Paesi svi- luppati per giustificare la democratizzazione dei sistemi educativi. Infatti, l’allarga- mento dell’accesso all’istruzione e alla formazione, elevando il livello delle compe- tenze dei lavoratori, doveva contribuire allo sviluppo del sistema produttivo e la ri- duzione della selezione poteva far argine a due sprechi: dei talenti, in quanto molti follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 16 17 giovani di origine sociale modesta, brillanti, ma privi del retroterra culturale tipico di una famiglia dei ceti medi, rimanevano bloccati da esami prematuri e severi ed erano impediti di dare alla crescita del Paese il loro apporto qualificato; delle risor- se, poiché le ripetenze facevano spendere il doppio per percorrere un anno di scuo- la e con gli abbandoni l’investimento era totalmente perso. Durante tutti gli anni ‘60 l’applicazione è stata ampia anche nei Paesi in via di sviluppo. Particolare successo ha registrato la spiegazione del sottosviluppo: la rapida ripresa dei Paesi sviluppati dopo la seconda guerra mondiale, nonostante le gravi perdite di capitali fisici, sa- rebbe dovuta alla presenza di una forte riserva di capitale umano; di conseguenza, il sottosviluppo sarebbe da attribuirsi al fatto che le popolazioni del terzo mondo, pur disponendo di abbondanti materie prime, mancherebbero delle competenze neces- sarie per utilizzare tecniche di produzione più avanzate. Alla fine degli anni ‘60, la crisi economica ha messo in discussione la relazio- ne positiva che la teoria del capitale umano ipotizzava tra istruzione ed economia: il sistema educativo era cresciuto in maniera imponente, ma nel mondo produttivo si registravano segni sempre più preoccupanti di disoccupazione intellettuale, di sta- gnazione e di dequalificazione. Infatti, l’intensificazione nelle imprese dell’organiz- zazione scientifica del lavoro aveva consentito un uso più razionale alla forza lavo- ro già assunta, riducendo in maniera consistente il bisogno di assumere altra mano- dopera qualificata. Se era aumentato il terziario avanzato che richiedeva competen- ze molto elevate, era contemporaneamente cresciuto un terziario dequalificato che rendeva controproducente una istruzione e una formazione professionale di livello alto. Inoltre, l’affermarsi dell’organizzazione fordista e della grande fabbrica cen- tralizzata e gerarchica aveva comportato la separazione tra concezione ed esecuzio- ne e una parcellazione e dequalificazione del lavoro che consisteva sempre più nel- la ripetizione di azioni elementari. Nella società industriale, e a maggior ragione in quella post-industriale, la do- manda di istruzione e di formazione risultava tutt’altro che chiara e distinta; al con- trario essa si presentava complessa in quanto legata alla condizione di classe, alla si- tuazione familiare, alle reti di relazioni sociali, alle tradizioni locali, ai tratti di per- sonalità, al background educativo di ogni soggetto. Un discorso analogo va ripetuto per la domanda socio-economica di lavoro. I due fattori mettevano in discussione la validità di ogni politica formativa di piano che andasse oltre il breve termine e l’in- dicazione di linee generali di sviluppo (Bertagna, 2002). Nello stesso senso la rapi- dità dell’evoluzione socio-economica comportava il rischio che le terminalità scola- stiche (titoli di studio) o professionali (qualifiche) risultassero già superate nel mo- mento stesso in cui veniva introdotto il curricolo che preparava al loro conseguimen- to. Pertanto, le competenze finali dei percorsi di istruzione e di formazione risultava- no sempre meno connesse agli aspetti tecnico-specialistici, mentre tendevano a rela- zionarsi maggiormente con le dimensioni educative e culturali generali dei giovani. A tutto ciò si aggiungeva la contestazione del ‘68 che rifiutava ogni asservi- mento della scuola alle esigenze del capitalismo, sia nel senso della subordinazione alla struttura professionale sia nel senso della riproduzione della struttura sociale follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 17 18 esistente. Da questo punto di vista una critica convincente si appunta sul fatto che la teoria del capitale umano trascura le ragioni strutturali della povertà siano esse la si- tuazione di classe o lo scambio diseguale, cioè l’attuale ingiusto ordine economico nazionale e internazionale. Nonostante ciò, non si può certamente negare che esista un vantaggio indivi- duale e sociale a investire nell’istruzione e che il capitale umano costituisca la risorsa più importante per la crescita economica. Al tempo stesso non è possibile affermare che siano sufficienti le dinamiche del mondo produttivo per assicurare lo sviluppo qualitativo e quantitativo del sistema educativo dell’istruzione e della formazione. 2.2. Le posizioni critiche degli anni ‘70 In seguito sono state elaborate altre teorie, ma nessuna ha ottenuto un consen- so generale (Lodigiani, 1999; Bertagna, 2002; Fischer, 1998; Halsey et alii, 1998). Per esempio le interpretazioni conflittualiste sostengono che la scelta dei percorsi di istruzione e di formazione non è condizionata principalmente dalle esigenze della società industriale, ma dagli interessi delle élite, e il sistema educativo si limita pu- ramente a conformarsi ai bisogni dell’economia capitalista, esercitando un ruolo di controllo delle masse e fornendo abiti comportamentali invece che abilità cognitive. In particolare, secondo Bowles e Gintis la scuola sarebbe apprezzata dal mondo pro- duttivo capitalista non tanto per le conoscenze e le competenze che fornisce, quan- to perché forma i tratti della personalità che consentono un inserimento docile nel- le gerarchie industriali e nelle burocrazie. Infatti, le qualità del carattere che assicu- rano il successo nell’istruzione sarebbero le stesse che identificano il buon lavora- tore; ovviamente tale corrispondenza si differenzia a secondo della posizione nel si- stema scolastico e in quello produttivo per cui ai livelli bassi del primo, equivalenti alla condizione operaia nel secondo, la formazione è volta alla sottomissione, nei li- velli intermedi si sviluppa la serietà del carattere in vista dello svolgimento dei ruo- li di quadro intermedio e in quelli superiori per la preparazione della classe dirigen- te si stimolano la creatività e l’autonomia. Tali ipotesi, però, hanno trovato nella ri- cerca empirica solo modesti riscontri (Bowles e Gintis 1979; Fischer, 1998). Alla teoria dei tratti della personalità, va avvicinata quella dell’istruzione come cultura di ceto di Collins (1980) secondo la quale il ruolo dell’istruzione e della for- mazione non consisterebbe nell’insegnare conoscenze e abilità tecniche, ma piutto- sto nel trasmettere il linguaggio, le buone maniere, gli stili di vita e i valori di un de- terminato gruppo (Fischer, 1998). Inoltre, viene negata o ridimensionata la valenza del sistema educativo in funzione della preparazione professionale che invece si rea- lizzerebbe esclusivamente o principalmente nel luogo stesso del lavoro. Il mondo produttivo non avrebbe bisogno di molte occupazioni altamente qualificate, come si afferma comunemente, e un qualche riscontro in questo senso verrebbe dagli Stati Uniti dove durante la prima metà del secolo XX soltanto il 15% dell’innalzamento del livello di istruzione della forza lavoro si potrebbe far risalire a cambiamenti nel- la struttura professionale. La preparazione richiesta per i differenti lavori non di- follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 18 19 penderebbe dalle esigenze del sistema produttivo, ma dai rapporti di forza tra i ceti in un determinato momento storico. Pertanto, il titolo di istruzione posseduto non vale come attestazione delle abilità tecniche acquisite quanto dei valori interiorizza- ti. Infatti, la dirigenza di una organizzazione sceglierebbe i dirigenti dal proprio ce- to e i dipendenti dai ceti subordinati che, però, hanno interiorizzato una cultura di ri- spetto nei confronti del ceto dominante. Anche in questo caso si tratta di afferma- zioni che mancano di un sostegno univoco e convincente sul piano empirico; inol- tre, lo stesso Collins ammette che la scolarizzazione elementare di massa sarebbe un prerequisito necessario per il decollo industriale di un paese; in aggiunta, l’espe- rienza di lavoro non pare sufficiente per far apprendere saperi e competenze a quel livello di sofisticazione che questi hanno ormai toccato. Altri studiosi hanno elaborato la teoria credenzialista (o dell’inflazione dei ti- toli di studio) secondo la quale tra istruzione/formazione ed economia non sussiste- rebbe alcun rapporto e i titoli di studio costituirebbero unicamente delle credenziali per presentarsi sul mercato del lavoro (Passeron, 1982; Fischer, 1998). L’aumento del livello dei titoli richiesti per l’assunzione ai vari posti di lavoro non potrebbe es- sere attribuito al ritmo incalzante del progresso scientifico e tecnologico, ma dipen- derebbe da un eccesso di manodopera istruita per cui lo stesso titolo di studio non assicurerebbe più l’accesso alla medesima occupazione del passato ma a una di li- vello più basso, avendo perso di valore, essendosi cioè inflazionato; in altre parole, l’elevazione delle qualificazioni per l’inserimento occupazionale servirebbe come un meccanismo di filtro per regolare in maniera ordinata l’accesso al mondo del la- voro di una manodopera troppo istruita/formata. In contrario sembra accertato che l’istruzione di base di massa precede lo sviluppo industriale; inoltre, se la teoria cre- denzialista fosse esatta, non si capirebbe come mai gli imprenditori continuino a corrispondere stipendi più alti ai lavoratori più istruiti/formati e non si sia cercato di predisporre meccanismi di filtro meno costosi del sistema educativo. La tesi del parcheggio si situa all’estremo opposto rispetto alla teoria del capi- tale umano e parla di un rapporto negativo (Barbagli et alii, 1973). Nei periodi di disoccupazione si registrerebbe una crescita degli iscritti al sistema formativo: per evitare gli effetti negativi della mancanza di lavoro si entrerebbe nella scuola come in un parcheggio in attesa di uscirne al momento propizio. Al contrario nelle fasi di piena occupazione gli effettivi del sistema educativo rimarrebbero stabili o diminui- rebbero. Di fatto però il rapporto negativo non è sempre vero: negli Stati Uniti l’espansione dell’istruzione superiore dopo la seconda guerra mondiale è avvenuta in un periodo di piena occupazione. A loro volta, gli economisti istituzionalisti hanno sostenuto che il mercato del lavoro è segmentato (Doeringer e Piore, 1971; Fischer, 1998). Esso si articolerebbe in uno primario e in uno secondario: il primo sarebbe contraddistinto da alti stipen- di, stabilità del lavoro, buone condizioni occupazionali e opportunità di promozio- ne; invece, il mercato di lavoro secondario presenterebbe tratti opposti quali remu- nerazioni modeste, precarietà, difficile situazione di lavoro e poche possibilità di carriera. Il mercato di lavoro primario sarebbe formato dai mercati interni delle follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 19 20 grandi aziende e delle burocrazie pubbliche che tendono a privilegiare la promozio- ne di propri dipendenti rispetto al ricorso al mercato di lavoro esterno quando si tratta di ricoprire posizioni che si sono rese libere. Pertanto, i lavoratori dei mercati interni non sono esposti alla competizione dal di fuori e i soggetti più istruiti/formati continuano ad essere pagati meglio, a prescindere dalla loro produttività. Nel complesso, in base alle teorie critiche delle posizioni del capitale umano il sistema educativo finisce con il perdere qualsiasi finalità esplicita di formazione pro- fessionale. Certamente esso assume con maggiore chiarezza il ruolo di servizio so- ciale nel senso che è chiamato a garantire a tutti i cittadini un bene, impegnandosi a combattere ogni disparità e ad assicurare l’eguaglianza delle opportunità indipen- dentemente dal sesso, dalla razza, dalla lingua, dalla religione e dalle condizioni personali e sociali. Al tempo stesso viene però teorizzata la deprofessionalizzazione dell’istruzione e della formazione, mentre si preferisce affidare alle imprese o ad agenzie extrascolastiche la funzione di qualificazione iniziale e continua della forza lavoro. Indubbiamente anche negli anni ‘70 si ritiene che il sistema educativo possa offrire un contributo significativo alla lotta alla disoccupazione, ma non perché fa- ciliti un uso efficace della forza lavoro, ma in quanto riduce la pressione dell’offer- ta potenziale di lavoro sul mercato, svolgendo, come si è ricordato sopra, una fun- zione di parcheggio. Inoltre, l’espansione dell’istruzione e della formazione separa- ta dalle necessità dell’economia porta a due gravi conseguenze: la dequalificazione della scuola secondaria superiore e l’aumento della disoccupazione intellettuale. Al termine di questa disamina delle due prime fasi della riflessione sui rappor- ti tra sistema educativo e produttivo, ci pare possibile avanzare la seguente conclu- sione sintetica in riferimento alle teorie finora analizzate. La tesi del capitale uma- na sottolinea l’importanza dell’istruzione e della formazione, ma trascura le caren- ze storiche del processo di accumulazione capitalista. A loro volta le teorie radicali sono molto consapevoli di tali limiti, ma non danno adeguato conto della funzione economica del sistema educativo. 2.3. A partire dagli anni ‘80: la nuova centralità dell’istruzione e della formazione Negli anni ‘80 e soprattutto ‘90 ritorna la fiducia nell’istruzione e nella forma- zione su base, però, nuova nel senso che trova giustificazione in un contesto diffe- rente e in altri paradigmi interpretativi (Lodigiani, 1999; Bertagna, 2002; Fischer, 1998; Halsey et alii, 1998). Diversamente da quanto si affermava nella decade ‘70, la elevazione del livello educativo della popolazione viene ritenuta uno strumento per combattere la disoccupazione. Si registrano anche il ripristino del profilo pro- fessionalizzante dell’istruzione e della formazione e la crescente valorizzazione del- la seconda perché si pensa possano contribuire in maniera significativa all’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro. Su questo mutamento di prospettiva hanno influito anzitutto i cambiamenti che si sono verificati a livello economico, produttivo e occupazionale. In proposito si può ricordare il mutamento che è intervenuto nella composizione della forza lavoro: follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 20 21 il comparto industriale si è ridimensionato, mentre si è assistito a una espansione consistente di quello terziario. Tale andamento si spiega principalmente come con- seguenza dell’introduzione e della diffusione delle nuove tecnologie dell’informa- zione: ciò ha comportato tra l’altro una nuova centralità del sapere e un ampliamen- to dei contenuti professionali del lavoro che si sono riflettuti sui livelli di qualifica- zione per l’entrata nel mondo del lavoro, determinando un loro innalzamento. Al tempo stesso si affermano nuovi modelli organizzativi detti “postfordisti” che si contraddistinguono per le caratteristiche della flessibilità e della qualità e questi paradigmi produttivi tendono a mettere al centro le risorse umane. Se tutti sono d’accordo che tali trasformazioni a livello economico, produttivo e occupazionale esigono un lavoro più qualificato, l’unanimità viene meno quando si tratta di preci- sare se tale processo investa tutte le categorie di lavoratori: non manca infatti chi so- stiene la tesi della polarizzazione secondo la quale la nuova domanda di lavoro dis- criminerebbe in maniera netta tra quanti possono contare sulle necessarie compe- tenze e quanti invece non le possiedono, determinando un aumento delle disugua- glianze e della forbice delle professionalità tra una ristretta élite di “ingegneri della conoscenza” e una massa di persone destinate a lavori dequalificati. Nonostante que- sta differenza di pareri, l’accordo ritorna nel sottolineare che l’istruzione e la for- mazione sono necessarie per acquisire le conoscenze, le abilità e le competenze ri- chieste per lavorare nei processi trasformati dalle nuove tecnologie, pena l’esclusio- ne dal mercato del lavoro o la collocazione nel livelli più bassi. Tra i fattori del mutamento nell’approccio all’istruzione e alla formazione che si pongono sul lato del contesto piuttosto della riflessione, vanno ricordate le dina- miche connesse con l’affermarsi della globalizzazione. L’espansione che ha carat- terizzato l’economia tra la fine della seconda guerra mondiale sino alla crisi petro- lifera del 1973 ha ricevuto un contributo importante dalla chiusura nazionalistica dei Paesi nel senso che gran parte dell’attività produttiva si realizzava entro i con- fini dello Stato in uno spazio protetto da controlli sul movimento dei capitali, dei beni e dei servizi (Halsey et alii, 1998). Con l’avvento della globalizzazione il pa- norama cambia, la concorrenza si sposta sui mercati internazionali e l’affermarsi dei Paesi di nuova industrializzazione, come per esempio la Corea del Sud, Singa- pore, la Tailandia e Taiwan, dà vita a una competizione che pone seri problemi alle nazioni a economia avanzata perché i primi possono contare su una produzione di massa a basso costo. Pertanto, i secondi vengono a trovarsi di fronte a una alterna- tiva non facile: una strategia consiste nel cercare di vincere il confronto, collocan- dosi allo stesso livello, cioè procedendo a trasferire le attività economiche in Paesi dove il costo del lavoro sia basso; l’altra ipotesi tende a concentrare le attività eco- nomiche nei comparti caratterizzati da livelli elevati di conoscenza, ricerca e inno- vazione in cui la competizione dei Paesi in via di sviluppo non è temibile. Siccome i costi sociali della prima strategia sono troppo elevati, le nazioni ad economia avanzata adottano la seconda, puntando sulla fabbricazione di un ventaglio di beni e servizi la cui competitività si basi meno sul prezzo e più sulla qualità. Questa op- zione richiede a monte la presenza nella forza lavoro di una professionalità sempre follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 21 22 più elevata che rende di nuovo centrale l’investimento in istruzione e formazione. Sul ritorno della fiducia nell’istruzione e nella formazione ha anche influito il progresso che si è realizzato a livello teorico. Infatti, sono stati abbandonati i mo- delli che si fondavano su una visione unitaria, omogenea e atomistica del mercato, su una concezione lineare e irreversibile delle sue direzioni di sviluppo e sulla natu- ra dominante e strutturante della domanda. Emerge invece un paradigma esplicati- vo pluricausale che cerca di collegare i cambiamenti che si sono verificati nella do- manda di lavoro per effetto dell’avvento delle nuove tecnologie dell’informazione e della ristrutturazione dei processi produttivi e dell’organizzazione industriale, con i mutamenti che sono intervenuti nella offerta di lavoro che si presenta sempre più scolarizzata e femminilizzata. In altre parole al modello “domandista” del capitale umano si sostituisce quel- lo “interattivo” (Bertagna, 2002). Le relazioni tra istruzione e formazione da una parte e crescita economica dall’altra non si può basare solo sulla domanda di lavo- ro, ma bisogna parimenti prendere in considerazione attenta la qualità dell’offerta. L’impianto e la qualità delle attività imprenditoriali non possono prescindere dalla presenza in loco delle necessarie competenze per svolgerle. Assicurare più e mi- gliore istruzione e formazione a tutti e soprattutto a quanti sono disoccupati o sot- toccupati, benché possa comportare nel breve termine spese consistenti, tuttavia è segno di una visione strategica che nel lungo periodo offre dei ritorni ben superiori agli svantaggi del momento. L’analisi della domanda di lavoro possiede una rile- vanza centrale per la definizione delle politiche educative; però, sarebbe errato da parte delle imprese perseguire una politica autoreferenziale, ma devono anch’esse mettersi al servizio della istruzione e della formazione delle persone e tener conto dei valori che queste esprimono. Si richiede pertanto un monitoraggio costante del- le istanze della domanda e dell’offerta per giungere ad elaborare strategie concerta- te, mentre ogni politica a senso unico da parte del sistema economico sarebbe ne- cessariamente perdente. Gli interventi del governo sul lavoro non possono consiste- re in una semplice presa d’atto dei dati economici, ma devono prendere in conside- razione attenta le correlazioni tra le dinamiche dello sviluppo e i bisogni dei singo- li e dei gruppi. In questo contesto il modello “interazionista” non rifiuta il meglio di quello “domandista”, ma provvede a integrarlo. L’intervento pubblico non è più focalizzato come nel passato sul sostegno alla domanda aggregata da parte dello Stato secondo la tradizionale impostazione key- nesiana, ma mira a favorire in una prospettiva di natura promozionale l’incontro tra domanda e offerta e ad aiutare le persone che nel mercato del lavoro si trovano in una condizione di debolezza come giovani, donne, cassintegrati, disoccupati di lun- go periodo, extracomunitari (Lodigiani, 1999). Tenuto conto anche della natura ete- rogenea, discontinua e segmentata del mercato del lavoro, viene predisposto un am- pio ventaglio di misure di politica attiva rivolte a rispondere in maniera flessibile al- la complessità della domanda e dell’offerta: tra esse assume una posizione centrale la formazione professionale. Infatti, la garanzia del lavoro non coincide più con il posto fisso assicurato a vita, ma consiste in una gamma di dispostivi mirati ad ele- follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 22 23 vare il livello di istruzione e di formazione del soggetto e l’efficienza del mercato del lavoro affinché il lavoratore possa beneficiare del massimo di possibilità nei per- corsi di mobilità tra una impresa e l’altra e nell’alternanza tra formazione e lavoro. Le indicazioni che vengono dalla letteratura più recente circa l’incidenza del- l’istruzione e della formazione sullo sviluppo economico attestano un superamento delle posizioni più negative del passato e il raggiungimento di una prima sintesi (Lo- digiani, 1999; Saha e Fägerlind, 1994). Tuttavia, la relazione è tutt’altro che sem- plice e diretta: in altre parole non esistono automatismi per cui si possa affermare che qualsiasi investimento nel sistema educativo conduca necessariamente ai risul- tati voluti e, pertanto, non sono da escludere casi di eccessiva fiducia nelle strategie dell’istruzione e della formazione o di una scelta di modalità sbagliate di interven- to. Al tempo stesso va affermato che non è pensabile per un Paese realizzare una po- litica per lo sviluppo senza il sostegno di una popolazione adeguatamente formata, in particolare se si tiene conto dell’attuale fase di esplosione delle conoscenze e di espansione della tecnologia. Pertanto, si può dire che l’educazione è il fattore prin- cipale dello sviluppo a condizione che la sua traduzione in un progetto concreto cor- risponda alle esigenze proprie di ciascun Paese. L’attuale recupero della centralità del capitale umano e della relazione tra istru- zione e formazione da una parte e istruzione dall’altra non è più interpretabile in senso meccanicistico e automatico. Infatti, si è ormai pienamente consapevoli degli stretti rapporti che intercorrono tra sistemi educativo, produttivo ed occupazionale. L’interpenetrazione che si registra tra sfera sociale e sfera economica, il radicamen- to dell’economia nella società portano a una prospettiva multidimensionale dello sviluppo che fonda la presenza di molteplici e differenziati itinerari di crescita il cui successo è condizionato dalle interazioni specifiche che si creano in un determinato contesto tra variabili di diversa natura. In questo quadro l’investimento in istruzione e formazione non viene più visto solo come una scelta individuale effettuata in no- me di una razionalità esclusivamente strumentale, ma è interpretato in un’ottica più complessa che prende in considerazioni vari altri fattori quali i mercati di lavoro particolari come quelli “interni”, la contrattazione tra organizzazioni datoriali e sin- dacali, la disparità nella distribuzione delle ricchezze, il quadro istituzionale in cui le scelte si collocano. La valenza dell’investimento in istruzione e in formazione non viene più calcolata sulla base soltanto dell’aumento del reddito, ma anche in ter- mini di crescita di occupabilità del lavoratore e di adeguamento alle esigenze delle imprese e alle innovazioni tecnologiche e organizzative. Questo non significa che non rimangano dei problemi importanti da affrontare. Anche oggi un livello alto di istruzione e di formazione facilita il reperimento di una occupazione, ma non offre alcuna sicurezza che la si trovi veramente e soprattutto che corrisponda al titolo posseduto. Quest’ultimo è raggiunto da fenomeni di svalutazione e di inflazione che comportano una crescita continua verso l’alto del grado di istruzio- ne formale necessario per inserirsi nel mercato del lavoro, mentre tendono a margina- lizzare chi vi entra con credenziali educative deboli. A loro volta queste sono sempre più un segno formale del livello di qualifica raggiunto, mentre sempre di meno riesco- follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 23 24 no a svolgere una funzione di filtro delle persone più capaci o a indicare le conoscen- ze e le competenze realmente possedute. È anche entrato in crisi il monopolio del si- stema di istruzione come unico canale di trasmissione dei saperi e di formazione. Tuttavia il limite maggiore del modello “interattivo” risiede altrove (Bertagna, 2002). Pur presentando un insieme di vantaggi rispetto a quello “domandista” di cui supera l’autoreferenzialità del sistema economico, e valorizza invece le connessioni di quest’ultimo con il sistema educativo, il ruolo dell’istruzione e della formazione professionale iniziali e ricorrenti, l’attenzione alle attitudini dei singoli, la sensibili- tà sociale, l’imparare ad apprendere, la concertazione e la negoziazione, tuttavia non incide se non marginalmente sull’assunto principale del modello “domandista” se- condo il quale il significato e il bene di ciascuno vengono a coincidere con l’utile e il produttivo. L’occupabilità del soggetto assurge a valore fondamentale e nessuno può discostarsi sostanzialmente dal modello di uomo o di donna che lo sviluppo economico di un certo periodo storico richiede. Diversa è la portata e l’incidenza di un modello “personalista” che ponga al cen- tro la persona e non il sistema economico o le imprese o l’occupabilità. In questo ca- so è la persona che diviene il fine a cui vengono subordinati la crescita e i processi di istruzione/formazione. Pertanto, lo sviluppo non ha senso se dovesse ledere anche un solo soggetto. L’istruzione e la formazione non hanno valore in se stesse, ma in quanto sono considerate da ciascuno uno strumento significativo per perfezionarsi e divenire migliore. Inoltre esse non si giustificano in quanto esigenze oggettive del tempo, ma perché le persone vi riconoscono un’esperienza che le fa crescere. Livel- li anche molto elevati di crescita economica e una estrema diffusione dell’istruzione e della formazione non sono sufficienti se al tempo stesso non rendono più persona ogni persona. Non è accettabile che la realizzazione dell’uomo si riduca al suo lavo- ro: il percorso da realizzare è invece quello opposto di rendere il lavoro, l’occupabi- lità e l’economia strumenti per sviluppare al pieno ogni persona e tutta la persona. 3. LA TRANSIZIONE DAL SISTEMA EDUCATIVO AL LAVORO IN ITALIA Per una migliore comprensione dei dati relativi all’inserimento professionale dei giovani, si è ritenuto opportuno richiamare l’andamento dei principali aggregati del mercato del lavoro. In altre parole verranno descritte sinteticamente le tendenze in atto circa le forze lavoro, l’occupazione e la disoccupazione e saranno presentate alcune stime in tema di lavoro non regolare. 3.1. Le dinamiche del mercato del lavoro in Italia Nel 2002 l’occupazione ha continuato ad aumentare, consolidando anche gli andamenti positivi che si erano osservati negli ultimi anni (Isfol, 2002a - Cfr. Tav. 1). Infatti, tra il 2001 e il 2002 si registra una crescita degli occupati di 383 mila sog- getti, pari all’1.8% per cui il tasso di occupazione è salito al 55.2%. Va inoltre sot- tolineato che il sud e il centro hanno approfittato in misura più elevata dell’aumen- follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 24 25 to in quanto hanno fatto rilevare una crescita dell’1.9%, mentre il nord-ovest si col- loca all’1.7% e il nord-est all’1.8%. Se si fa riferimento alla distribuzione per sesso, sono le donne a beneficiare maggiormente dell’andamento positivo. Esse infatti registrano una crescita nell’oc- cupazione del 2.3%, mentre i maschi si fermano all’1.5%. Quanto all’età, gli occupati adulti, quelli cioè che hanno 45 anni e oltre, au- mentano del 3.2%, mentre tra i più giovani compresi tra i 15 e i 24 si nota una di- minuzione del 3.6%. Tra le donne la riduzione è superiore, collocandosi a -7%, co- me è anche maggiore la crescita dell’occupazione femminile nei gruppi di età più elevati: questo sta a significare che la presenza più consistente delle donne nel mer- cato del lavoro dipende principalmente da una loro permanenza più lunga nel mon- do del lavoro piuttosto che da nuove entrate in giovane età. Se invece si considera il titolo di studio, il gruppo più numeroso è costituito dai diplomati della scuola secondaria, il 40.9%. Seguono i licenziati della media che rappresentano più di un terzo, il 35.1%. Ai due estremi si collocano con percentua- li simili, da una parte, quanti possono vantare un titolo universitario, il 13%, e dal- l’altra chi possiede appena una licenza elementare e chi non può contare su nessun titolo di studio, l’11%. Se si fa riferimento contemporaneamente al titolo di studio e al genere, emerge che la porzione di occupate con titolo universitario è maggiore di quella degli uomini, che raggiungono l’11.3% rispetto al 15.8% delle prime: il dato riflette il livello più elevato della scolarizzazione femminile. Tav. 1 - Variazioni degli occupati tra aprile 2001 e aprile 2002: totali, per categorie e per circoscrizioni geografiche (in %) Passando poi ai dati sulla disoccupazione, l’andamento del 2002 risulta sen- z’altro positivo (Isfol, 2002a – Cfr. Tav. 2). Infatti, diminuisce il numero delle per- sone in cerca di occupazione di 62 mila unità pari al 2.7% de soggetti che si trova- no in questa situazione. Al tempo stesso anche il tasso di disoccupazione registra un calo di quasi mezzo punto percentuale, scendendo dal 9.6% al 9.2%. Fonte: Isfol 2002 follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 25 26 La riduzione del numero delle persone in cerca di occupazione risulta particolar- mente consistente nel nord-est (-9.8%) e nel centro (-7.8%). L’unica circoscrizione del Paese che registra un andamento opposto è rappresentata dal nord-ovest: in questo caso si osserva un aumento dell’1%. Quanto poi al tasso di disoccupazione, il sud migliora la sua situazione in quanto la riduzione è superiore al dato medio nazionale, lo 0.5% rispetto allo 0.4; nonostante ciò, il valore rimane molto alto, collocandosi al 18.5%. Diversa è la situazione delle circoscrizioni settentrionali che ormai presen- tano percentuali frizionali, nord-est 3.6% e nord-ovest 4.5%; più alto, anche se mol- to lontano dai livelli del Mezzogiorno, è il tasso di disoccupazione del centro, 6.8%. La disoccupazione è diminuita sia tra gli uomini che fra le donne. Tuttavia, per- mangono differenze tra i sessi nel senso che le seconde hanno beneficiato di meno del calo: infatti, il loro tasso si colloca al 12.6%, mentre quello dei maschi è appena del 7%. Dal punto di vista territoriale sono le donne del nord-est che si sono avvan- taggiate maggiormente con la riduzione più alta; quanto agli uomini, è nel centro do- ve si è verificata la riduzione più notevole. Il gruppo di età che ha beneficato maggiormente del calo generale delle persone in cerca di occupazione è costituito proprio dai giovani tra i 15 e i 24 anni (-6.9%); a sua volta, il loro tasso di disoccupazione è sceso al 27.1%. Se a questo andamento si aggiunge quello ricordato sopra circa la diminuzione dell’occupazione in questo grup- po, si può arrivare alla conclusione che la loro entrata nel mondo del lavoro tende a protrarsi nel tempo, mentre si allunga il tempo della loro permanenza nella inattività. Inoltre, si registrano notevoli differenze sul piano territoriale nei tassi di disoccupa- zione. Il nord-est presenta valori che si collocano pressoché nella media (7.3%), men- tre il sud si caratterizza per una percentuale molto elevata, ben il 48.5%. Tra i due estremi troviamo il nord-ovest e il centro che però rivelano una notevole differenza: il primo si colloca al 13.9% e il secondo sale al 22.6%. Le donne con 45 anni e oltre risultano in controtendenza nel nord-ovest, nel centro e nel sud in quanto registrano un aumento della loro percentuale nella ricerca del lavoro; quanto ai maschi, il peg- gioramento è limitato al gruppo 25-44 nel nord-ovest e a quello oltre i 45 nel nord-est. Tav. 2 - Variazioni de disoccupati tra aprile 2002 e aprile 2001: totali, per categorie e per circoscrizioni geografiche (in %) Fonte: Isfol 2002 follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 26 27 La disoccupazione colpisce soprattutto i licenziati della media e i diplomati del- la secondaria: ognuno di questi due gruppi conta per il 40% circa del totale delle persone in cerca di prima occupazione. Quanti possiedono solo la licenza elementa- re o non possono vantare alcun titolo di studio, costituiscono il 13.2%, mentre i lau- reati sono il 7.5%. In questo caso, il calo rispetto all’anno precedente riguarda in mi- sura più sensibile le persone munite di diploma superiore. La disoccupazione colpi- sce maggiormente gli uomini che le donne quando si tratta di soggetti in possesso di licenza media o elementare, mentre il fenomeno opposto si registra nel caso di un ti- tolo di studio superiore. Nel tempo diminuisce anche la disoccupazione di lunga durata che passa dal 6.2% al 5.6%. I gruppi che maggiormente risentono degli effetti di questa situazio- ne sono costituiti dalle donne che presentano un tasso del 7.7% e quanti vivono nel sud per i quali il dato è il doppio di quello nazionale, 12.5%. Ai fini di questa ricerca è opportuno anche soffermarsi sulla composizione dell’occupazione per tipologia contrattuale. Mentre si osserva una crescita del- l’occupazione dipendente (+2.4%), quella autonoma registra una situazione di stasi (+0.1%). Per la prima volta dal 1993 si assiste a una riduzione degli occupati a tempo parziale (-3.5%); al contrario l’aumento di quelli a tempo pieno è con- sistente e tocca il 3.5%. Se si fa riferimento alla flessibilità della durata contrattua- le, gli occupati a termine possono vantare la percentuale maggiore di crescita, il 6%; però, in valori assoluti chi guadagna di più è il gruppo degli occupati a tempo indeterminato. Per quanto riguarda i diversi comparti, sono quelli dei servizi e del commercio che registrano la crescita più consistente: 2.5% e 2.6% rispettivamente. Continua, in- vece, il calo degli occupati nell’agricoltura, mentre l’industria e le costruzioni pre- sentano un aumento simile, 1.3% e 1.4% rispettivamente. Le ultime considerazioni generali riguardano la stima degli occupati non rego- lari (Isfol, 2002a). Nel 1999 la loro consistenza era valutata dall’Istat in 5.468.200 posizioni lavorative, pari al 18.6% degli occupati. Il comparto che utilizza gli occu- pati non regolari in misura superiore agli altri settori è rappresentato dai servizi (72.6% del totale); nell’agricoltura la percentuale risulta più che dimezzata, 30.4%, ma sempre elevata tenuto conto del basso numero dei lavoratori del settore; nelle co- struzioni il tasso è del 15.9%, mentre tocca appena il 5.7% quello dell’industria in senso stretto. La circoscrizione territoriale che registra la percentuale più elevata, ol- tre un terzo (36.7%), è il sud, seguito dal nord-ovest, un quarto quasi (24.1%), dal centro, più di un quinto (22.3%) e dal nord-est, meno di un quinto (16.9%). Infine, per quanto riguarda il lavoro minorile, risultava nel 2000 che sul dato complessivo di 6.581 minori impiegati nelle imprese che in quell’anno erano state oggetto di ispezione, il 29% erano non regolari; in proposito le violazioni più gravi erano co- stituite dal mancato rispetto dell’età minima di assunzione e dall’occupazione in la- vori proibiti dalla legge. follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 27 Sul lato negativo emerge che i giovanissimi (15-19 anni) continuano a caratte- rizzarsi per la percentuale più alta, oltre un terzo (34.9%) (cfr Tav. 3). Al tempo stes- so va osservato che è proprio questo gruppo di età che presenta la riduzione mag- giore nel tasso di disoccupazione, ben 3.3%, passando dal 38.2% del 2000 al 34.9% del 2001. Nella classe 20-24 la percentuale supera un quarto, il 26.5%, e il calo nel biennio si colloca al 2.7%. I 25-29enni registrano un tasso di disoccupazione del 15.8% e la differenza tra gli anni considerati è dell’1.7%; quanto al gruppo 30-34 i dati sono rispettivamente il 9.7% e lo 0.6%. L’andamento generale fa pensare a un rapporto diretto tra bassi livelli di istruzione/formazione e una transizione al mondo del lavoro più problematica. Un altro dato positivo può essere visto nella riduzione generalizzata su tutto il territorio nazionale del tasso di disoccupazione giovanile (cfr. Tav. 3). L’eccezione è costituita solo dal gruppo di età 15-19 residente nell’Italia Centrale tra cui si os- serva una crescita dell’1.7%. Al contrario il Meridione registra, come le altre circo- scrizioni, una diminuzione in tutte le classi di età che però non riduce le differenze rispetto al resto dell’Italia che rimangono sempre elevate a svantaggio del sud. Se al contrario si fa riferimento ai valori assoluti dei soggetti in cerca di prima occupazione (Cfr. Tav. 4), il gruppo più numeroso di quanti si trovano in questa si- tuazione tende a spostarsi verso le classi di età più elevate. Nel 2001 tale ammontare cresce dai 172.000 delle coorte 15-19 ai 499.000 dei 20-24enni agli 856.000 degli ul- tra 25enni. Questo andamento è il risultato soprattutto di due dinamiche: il crescente calo demografico e l’incremento costante della tendenza a continuare gli studi. 28 3.2. L’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro Il panorama generale dei dati degli ultimi due anni che ci offre il più recente rap- porto dell’Isfol in materia si presenta più positivo e dinamico che non quello del periodo precedente (Isfol, 2002a). Infatti, il tasso di disoccupazione del gruppo di età 15-34, che nel 1999 aveva toccato la cifra del 19.6%, si è ridotto nel 2001 al 16.5%. Tav. 3 - Tassi di disoccupazione giovanile, per età e circoscrizione geografica (anni 2000 e 2001; in %) Fonte: Isfol 2002 follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 28 Legenda: VA = Valori assoluti Fonte: Isfol 2002 29 Tav. 4 - Persone in cerca di prima occupazione per titolo di studio (anni 1999-2001; in % e VA in migliaia) Se si prende come punto di riferimento il titolo di studio, emerge che il totale delle persone in cerca di prima occupazione è composto principalmente da due grup- pi che grosso modo si equivalgono: coloro che hanno ottenuto la maturità, il 40.6% della popolazione interessata, e quanti possiedono solo la licenza, 36.9% (cfr. Tav. 4). A questi si aggiunge un 11% che ha conseguito un titolo universitario, dottorato/li- cenza 9.7% e diploma 1.3%; inoltre, il 5.4% può vantare una qualifica o licenza che non permette l’accesso all’università e il 6.2% non possiede alcun titolo o al massi- mo la licenza elementare. Nel tempo si notano alcune leggere variazioni: aumento dei titoli universitari; riduzione della condizione più negativa (licenza elementare/nessun titolo); crescita della licenza media; diminuzione della qualifica professionale, non- ostante nel complesso la sua valenza occupazionale, come si vedrà immediatamente dopo, sia equivalente a quella del diploma della secondaria superiore, riduzione che probabilmente è frutto delle politiche regionali, che avevano puntato alla sua integra- zione con la scuola, e della riforma Berlinguer che solo a parole aveva affermato l’e- quivalenza della FP con i licei, mentre nella realtà l’aveva mantenuta in una condi- zione di svantaggio in seguito all’innalzamento dell’obbligo scolastico a 15 anni e al- lo spostamento della scelta della FP dopo il primo anno del liceo. La diminuzione del tasso di disoccupazione si riflette favorevolmente sui tem- pi medi di attesa per la prima occupazione che tra il 1999 e il 2001 scendono da 43 a 36 (cfr. Tav. 5). L’andamento è comune a tutto il Paese, anche se il sud continua a soffrire di una condizione di svantaggio in quanto l’inserimento professionale ri- chiede più del doppio che nel nord (42 mesi contro 20). Quanto incide il titolo di studio nella transizione al mondo del lavoro? I tempi di attesa più lunghi si riscontrano nei possessori di quelli bassi: licenza media e i mesi sono 38 nel 2001; licenza elementare o nessun titolo con 40 mesi (cfr. Tav. 5); ma anche per gli altri la situazione è difficile. I diplomati si collocano sulla media nazionale, 36, mentre le posizioni più favorevoli sono occupate da chi può contare su un dottorato/laurea (26 e nel nord il dato scende a 13 mesi, ma nel sud è di 33) o su un diploma universitario (27). Anche i qualificati della FP o dell’istruzione pro- fessionale si situano al di sotto della media con 32 mesi, evidenziando come il loro titolo presenti potenzialità sul piano occupazionale pari a quelle della maturità. So- no dati che mostrano con chiarezza le problematiche che i giovanissimi incontrano follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 29 Fonte: Isfol 2002 Poco meno del 60% (57.2%) degli occupati del gruppo di età 15-30 può contare su un contratto di lavoro a tempo indeterminato, mentre meno di un quinto è impiegato a tempo determinato (cfr. Tav. 6). Comunque riguardo al lavoro dipendente non si no- tano diversità significative tra le classi di età a parte il contratto di apprendistato per il quale, però, la legge determina i limiti di età per le assunzioni. A loro volta le forme di lavoro di atipico riguardano quasi unicamente i giovani di 21 anni e oltre. I soggetti che lavorano in nero costituiscono il 5.4% degli occupati: tuttavia, in proposito si registra- no delle differenze significative tra i gruppi età in quanto fino a 20 anni tale situazione presenta una certa consistenza, mentre successivamente diventa residuale in paragone 30 al momento dell’inserimento nel sistema produttivo a ridosso dell’ottenimento del titolo di studio; in particolare essi mettono in risalto che la condizione più difficile riguarda i giovani che non hanno conseguito titoli o ne posseggono solo di bassi. Dall’analisi si può trarre anche un’ulteriore conclusione e cioè che i diversi titoli di studio vengono a costituire sempre più un fattore decisivo nell’inserimento nel sistema produttivo. Tav. 5 - Tempo medio di attesa (mesi) per la prima occupazione secondo il titolo di studio e la circoscrizione geografica (anni 1999-2001; valori assoluti in mesi) Tav. 6 - Tipologia del rapporto di lavoro in base alla classe di età (2002; in %) * Non permettono l’accesso all’università Fonte: Isfol 2002 follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 30 31 a forme di collaborazione (occasionali o coordinate e continuative) e del contratto di formazione-lavoro. La diffusione delle modalità di lavoro flessibile si ripercuote nega- tivamente sul conseguimento dell’indipendenza economica dalla famiglia di origine: in- fatti, solo il 72.7% dei giovani occupati è in grado di mantenersi con lo stipendio che riceve senza dover ricorrere a integrazioni da parte dei genitori. 3.3. Le tendenze principali sul piano qualitativo Secondo il 36° Rapporto del Censis (2002), in questi ultimi anni il mercato del lavoro è stato investito da profonde trasformazioni che hanno reso sempre più sfu- mata la separazione tra lavoro dipendente e autonomo. Tale fenomeno sembra avere radici soprattutto nei processi di progressiva flessibilizzazione delle modalità di erogazione delle prestazioni e, contestualmente, nell’introduzione di logiche organizzative in grado di sostenere le sfide di competitività indotte dal fenomeno della globalizzazione. All’interno di queste dinamiche, ha preso consistenza la tendenza a premiare il bagaglio di competenze di cui ciascun è portatore al posto di una crescita professio- nale riconducibile a rigidi schemi di inquadramento formale (per anzianità, per li- velli…). In un contesto così altamente competitivo, rivestono quindi un ruolo deter- minante oggi più che mai i sistemi di aggiornamento, riqualificazione, formazione permanente. Ciò è tanto più vero a fronte di una rapida evoluzione di complesse e diversificate domande di svolgimento di ruoli e compiti professionali che richiedo- no al lavoratore una crescente capacità di “savoir faire” e di imparare cose sempre nuove per lo svolgimento di incarichi complessi e non standardizzabili. Un esempio di queste innovazioni che caratterizzano il mercato del lavoro del terzo millennio viene dall’introduzione del “team work”, una logica che implica l’a- dozione di nuove modalità organizzative che fanno perno sull’autoresponsabilizza- zione del lavoratore e sul suo coinvolgimento partecipato nel lavoro e che, a livello individuale, si traducono in una crescente autonomia nella strutturazione dei tempi, spazi, luoghi e contenuti del lavoro. È all’interno di questo contesto evolutivo che l’organizzazione del lavoro sub- isce una radicale revisione: non è più la presenza costante e in loco (fabbrica, azien- da, ufficio…) che garantisce efficacia al sistema produttivo; il tempo di lavoro sem- pre più difficilmente può essere imbrigliato in rigide formule contrattuali mentre, contestualmente, emerge la “modularizzazione” degli orari in base alle esigenze aziendali (stagionalità, tempi di consegna…). Con l’introduzione del telelavoro si fa largo la concezione di un lavoro che può essere svolto anche senza avere un luogo fis- so, preciso; un fenomeno che entro il 2005 si prevede che in Europa interesserà cir- ca l’11% della forza-lavoro. La rivoluzione post-industriale non può non interessare anche la trasformazio- ne stessa dei sistemi retributivi attraverso il passaggio dalla contrattazione collettiva a quella individuale e a tutte le formule di integrazione retributiva come la parteci- pazione agli utili dell’azienda. follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 31 32 Tra le nuove generazioni, valori come l’autonomia e l’autoresponsabilità nel lavoro vengono ormai assunti come obiettivo primario, facendo registrare una pro- gressiva crescita della domanda di lavoro indipendente, della richiesta di valorizza- re la dimensione individuale, della tendenza a non attribuire al lavoro una dimen- sione totalizzante della propria esistenza (“il lavoro non è tutto”), ma a considerare piuttosto che alla propria realizzazione contribuisce in pari misura e forse ancora più la gestione di tempi-spazi personalizzati (il tempo libero, hobbies…). Inoltre è sempre più diffuso, tra le giovani generazioni, la ricerca nell’attività la- vorativa di formule di flessibilità: contratti a termine, di formazione-lavoro, di appren- distato, interinale, di collaborazione coordinata e continuativa, borse di studio… Tutte modalità che hanno portato a far risaltare un nuovo modo di concepire e di guardare al lavoro, visto appunto come spazio in cui potersi realizzare in autonomia e indipenden- za, senza dover sottostare a regole e/o dover subire controlli e imposizioni. Nel corso di questo processo di cambiamento le aziende, da sempre fortemen- te improntate sul modello fordista, vanno alla ricerca di nuovi percorsi organizzati- vi, di nuove espressioni, di nuovi ruoli e strumenti di rappresentanza, nell’intento di meglio cogliere/interpretare le tendenze del mercato. Volendo contestualizzare il fenomeno a partire dalla situazione italiana, nel pe- riodo che va dal 2001 al terzo trimestre del 2002 il mercato del lavoro in Italia ha mantenuto un andamento complessivamente positivo, confermando una progressiva seppure lenta espansione. Protagoniste dell’aumento dell’occupazione sono le don- ne, favorite in particolare dalle possibilità offerte dal part-time. Tuttavia mentre l’oc- cupazione al nord ed al centro si attesta su livelli europei, nel Mezzogiorno si os- serva il permanere di uno stato di arretratezza a causa di un tasso di disoccupazione giovanile ancora troppo elevato 1. 4. ISTRUZIONE E FORMAZIONE DOPO LA RIFORMA MORATTI Nella riforma Moratti (legge n. 53/2003) sembra si possa riscontrare l’adozione senza remore del modello “personalistico” dei rapporti tra istruzione e formazione professionale da una parte e sviluppo socio-economico dall’altra (Bertagna, 2002; Malizia e Nanni, 2002a, 2002c, 2003): i motivi sono vari e si cercherà di focalizzar- li sinteticamente nel prosieguo. In aggiunta saranno richiamati in sintesi i compiti orientativi e di accompagnamento all’inserimento lavorativo dei sistemi educativi. 4.1. Il modello “personalistico” in atto Anzitutto, la legge parte da una definizione alta delle mete della riforma che si fonda sulla centralità della persona che apprende e sul rispetto dei ritmi dell’età evolutiva e delle differenze e dell’identità di ciascuno. Tutto ciò avviene nel quadro della promozione dell’apprendimento in tutto l’arco della vita, nel senso che, come 1 Cfr. sopra sezione n. 3. follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 32 33 è sottolineato dal rapporto Delors (Delors et alii, 1996), al centro non c’è più il pro- cesso di insegnamento e il docente, ma l’alunno e l’esigenza di renderlo capace di autoformazione. E l’intervento riguarda tanto le dimensioni diacronica (l’intera esi- stenza) e sincronica (il formale, il non formale e l’informale), quanto la promozio- ne di tutta la persona, perché dovrà favorire non solo la formazione culturale, pro- fessionale ed emozionale, ma anche quella spirituale e morale e lo sviluppo della co- scienza storica e di appartenenza alla comunità locale, alla comunità nazionale ed al- la civiltà europea. Una seconda ragione si può vedere nella normativa che assicura a tutti i cittadi- ni il diritto all’istruzione e alla formazione, per almeno 12 anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età. In altre parole, la legge si muove nella linea della tendenza che è emersa recentemente in Europa al superamento del concetto stesso di obbligo scolastico. Dal punto di vista storico questa strategia ha esercitato una funzione essenziale nel passaggio da una scuola per pochi a una per tutti, ma al presente sembra costituire piuttosto un impedimen- to alla piena realizzazione dei diritti di cittadinanza. In una società complessa come l’attuale la focalizzazione scolasticistica perde di senso perché ciò che conta è il ri- sultato e la sua qualità e non i percorsi con cui si ottengono, che possono essere i più vari. Inoltre, l’istruzione e la formazione, prima che dei doveri, sono dei diritti del- la persona e vanno assicurate a tutti in modo pieno. Pertanto, le varie istituzioni che le garantiscono devono operare in rete, in una prospettiva di solidarietà cooperativa e di parità piuttosto che come alternative tra loro escludentisi. Anche l’iniziativa di introdurre un percorso graduale e continuo di formazione professionale parallelo a quello scolastico e universitario dai 14 ai 21 anni, che porti all’acquisizione di qualifiche e titoli è in piena linea con il modello “persona- listico”. Infatti, la formazione professionale non può più essere concepita come un addestramento finalizzato esclusivamente all’insegnamento di destrezze manuali, né la distinzione con l’istruzione va vista nel fatto che questa si focalizza nell’acquisi- zione di saperi in qualche misura astratti rispetto al contesto, mentre quella si occu- pa della loro realizzazione nel mercato del lavoro o nel fatto che l’oggetto è diffe- rente, essendo la cultura del lavoro quello proprio della formazione professionale, perché anche la scuola si interessa di cultura del lavoro. La formazione professionale non è qualcosa di marginale o di terminale, ma rappresenta un principio pedagogi- co capace di rispondere alle esigenze del pieno sviluppo della persona secondo un approccio specifico fondato sull’esperienza reale e sulla riflessione in ordine alla prassi che permette di intervenire nel processo di costruzione dell’identità persona- le. Questo tuttavia non significa che sia la stessa cosa dell’istruzione: conoscere con l’obiettivo principale di agire, costruire e produrre non può essere confuso con il co- noscere e agire con l’intento prioritario di conoscere. Nel quadro del modello “personalistico”, l’istruzione e la formazione non co- stituiscono due itinerari separati e gerarchizzati, il primo di serie A e il secondo di se- rie B. La concezione secondo la quale prima viene l’istruzione e per una durata la più lunga possibile in quanto realizzante e liberante, e successivamente la formazione, follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 33 34 purché il più avanti nella carriera dell’allievo perché a rischio di unilateralismo e di perpetuazione della marginalità sociale, risulta priva di fondamento. I due percorsi so- no modalità alla pari dell’educazione, forme diverse di apprendimento e di svilup- po della personalità, occasioni di realizzazioni di autentiche vocazioni specifiche. L’opzione tra istruzione e formazione si presenta pertanto come l’attuazione pienamente legittima di stili diversi di apprendimento e di progetti personali di vita. Tra l’altro molte sono le ragioni che militano a favore della scelta a 14 anni tra scuola e formazione professionale. Anzitutto, la psicologia evolutiva ha messo in risalto come lo stadio 10-14 an- ni costituisca una fase della vita con una sua identità specifica, nella quale matura progressivamente la capacità di scelta consapevole. Inoltre, non va dimenticato che allo stato attuale i drop-out della terza media sono oltre 35.000 ogni anno e certamente non si potrebbe pensare di obbligarli per altri due anni ad un percorso scolastico. L’indagine effettuata dall’ISTAT in occasione degli Stati Generali mette in evi- denza come la gran parte dei genitori e dei docenti e oltre il 40% degli studenti so- no d’accordo con la scelta dei due percorsi a 14 anni (Buratta e Sabbadini, 2001). Da ultimo, le ricerche sull’attuazione del nuovo obbligo di istruzione stanno ponendo in risalto che la legge n. 9/1999 ha gravemente danneggiato gli adolescen- ti, soprattutto i più svantaggiati e in difficoltà, obbligandoli ad iscriversi ad una scuo- la che li costringe a un parcheggio di un anno o li tiene lontano dalla formazione professionale, sebbene l’obiettivo della legge 30/2000 fosse quello di introdurre un canale paritario di formazione professionale per togliere l’Italia dalla posizione di fanalino di coda in cui si trova a questo proposito (Malizia, Nicoli e Pieroni, 2002b). Anche l’analisi comparativa non offre argomenti ai critici del provvedimento. Riportiamo alla lettera le conclusioni che Reguzzoni ha condotto recentemente sul tema: “Non si può dire che l’Italia dando la possibilità di formazione professionale prima dei 15 anni, sarebbe fuori degli ordinamenti europei, perché appare che in Europa esistono tutte le combinazioni possibili di formazione per i giovani di quel- la età” (2002, p. 645). Un’altra ragione si può trovare nel nuovo scenario normativo che si è creato con la legge costituzionale n.3/2001 e che è stato recepito dalla riforma Moratti: si tratta del passaggio da un modello basato sui poteri esclusivi dello Stato ad uno che mette in relazione in maniera integrata tre diverse competenze: quella dello Stato, quella delle Regioni e degli Enti territoriali e quella delle istituzioni scolastiche au- tonome. In base a questa impostazione, come si sa, lo Stato ha competenza esclusi- va per quanto riguarda le norme generali sull’istruzione e i livelli essenziali delle prestazioni; lo Stato e le Regioni hanno competenza concorrente sull’istruzione, fat- ta salva l’autonomia delle scuole; a loro volta le Regioni hanno competenza esclu- siva sull’istruzione e sulla formazione professionale. Il motivo della riforma va ri- cercato nella volontà del Costituente che Stato e Regioni, da una parte, e Regioni ed Enti territoriali con le istituzioni scolastiche, dall’altra, cooperino insieme e, pur nel rispetto dei poteri propri di ciascuno, predispongano una politica formativa al servi- follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 34 35 zio dei giovani e delle famiglie che risponda alle esigenze del territorio e al tempo stesso non perda unitarietà e coordinamento. “Sarebbe paradossale che il costituente avesse disposto questa innovazione per spostare dal servizio alla persona e alla sua educazione al servizio al lavoro e al- l’occupazione la vecchia istruzione professionale statale e quella parte di istruzione tecnica statale con caratteri immediatamente professionali. E ancora di più, con il ri- chiamo alla legislazione concorrente, che avesse voluto procedere a una dislocazio- ne analoga perfino con l’istruzione liceale, togliendole il suo tradizionale spessore umanistico per convertirla ai valori mercantili della tecnocrazia economica. È più rispettoso immaginare che il costituente sia stato invece animato dall’in- tendimento opposto: valorizzare il carattere educativo della formazione professio- nale e, con essa, dell’istruzione professionale, tecnica e liceale, creando le condi- zioni istituzionali, oltre che culturali e pedagogiche, per una loro osmosi e radican- dole tutte, maggiormente, come è peraltro ragionevole, nel territorio, a servizio del- la crescita della persona” (Bertagna, 2002, p. 14). 4.2. Il compito dei sistemi educativi di orientare e accompagnare alle scelte di vita e professionali L’obiettivo di potenziare i sistemi educativi sul piano dell’orientamento compor- ta la riformulazione e l’adozione di alcune “linee-guida fondanti”, in base alle quali: 1) Il percorso educativo dovrà essere finalizzato al conseguimento di una “maturi- tà orientativa” globale della personalità, tale da consentire a ogni soggetto di im- parare a decidere, scegliere, inserirsi, socializzare, lottare per il cambiamento. 2) L’azione formativa dovrà caratterizzarsi, per essere personalizzata e collettiva al tempo stesso: – personalizzata, poiché è la persona che sta al centro dell’intervento, quale principale attore; – collettiva, perché deve coinvolgere il complesso dei differenti gruppi sociali con i quali interagisce il “soggetto-attore” al centro dell’intervento. 3) Dal canto suo il processo educativo-formativo si qualificherà per un’osmosi delle dimensioni: – integrale, cioè in grado di interessare tutta la persona nella sua complessità; – interattiva, in quanto si pone nei confronti del destinatario dell’intervento co- me tra i diversi protagonisti dello stesso; – trasversale, nel senso che richiede l’apporto di tutte le parti in causa; – permanente, cioè in grado di portare la persona a maturare scelte per tutto il resto della vita; – creativa, ossia non massificante e autoreferenziale; – funzionale non solo a un momento critico o difficile, ma alla definizione di un progetto di vita (Malizia, Nicoli e Pieroni, 2002a). In questa prospettiva i progetti formativi finalizzati all’orientamento e all’ac- follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 35 36 compagnamento al lavoro diventano un elemento centrale di mediazione, costitui- scono un “anello” di interconnessione tra il singolo utente (qualunque sia la catego- ria di appartenenza), il sistema delle istituzioni educative e le istanze del mondo economico e produttivo. Rappresentano in ultima analisi una “leva del cambio” del sistema sociale. Per i soggetti in età evolutiva, in particolare, ciò significa uno specifico impe- gno formativo alle scelte, quale parte integrante del processo educativo in generale, in vista del raggiungimento di una certa maturità professionale e dello sviluppo di attitudini, interessi e valori necessari per far fronte al cambiamento che avviene nel mondo dell’occupazione. Inoltre, per la collettività presa nel suo insieme si richiede l’acquisizione di una mentalità attenta alla “trasversalità”, ossia a un “lavo- ro di rete” collaborativo, in un’ottica di superamento di cementati confini di appar- tenenza. Tutto questo suppone al tempo stesso un’azione coordinata che permetta l’integrazione, in forma articolata, tra destinatari del servizio, sistema educativo, mondo del lavoro, presenza delle amministrazioni locali e investimento nelle risor- se del territorio. All’interno di queste strategie anche le attività di orientamento e accompagna- mento al lavoro si presentano come un processo ampio e complesso che coinvolge il singolo e la collettività. È la risultante dello sforzo incrociato di molteplici istitu- zioni educative ed agenzie sociali (formazione professionale, scuola, università, fa- miglia, gruppi, associazioni, aziende, ...), di svariate figure professionali e di diver- se parti sociali, politiche ed economiche in gioco. Ciò suppone un’azione coordina- ta che permetta l’interazione, in un sistema triadico articolato, tra mercato del lavo- ro, formazione/istruzione e soggetti destinatari del servizio. follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 36 Parte II - L’INDAGINE SUL CAMPO follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 37 follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 38 39 CAPITOLO SECONDO IL PROGETTO DI RICERCA, LA METODOLOGIA E IL PIANO DI CAMPIONATURA (Guglielmo MALIZIA - Vittorio PIERONI) La presente rilevazione, che fa parte di un più ampio progetto di indagine, av- viato nel 2000, intende contribuire allo sviluppo della formazione professionale con- testualmente e in sinergia con la riforma in corso del sistema educativo di istruzio- ne e di formazione. Più specificamente, l’innovazione, a cui il progetto complessi- vo si è collegato al momento del suo inizio nel 2000, era costituita dall’introduzio- ne dell’obbligo formativo fino a 18 anni di età che aveva riconosciuto alla forma- zione professionale lo statuto di “sistema formativo specifico” in rete con quello dell’istruzione e in stretto contatto con il mondo del lavoro. Tuttavia, il salto di qua- lità che si è prodotto nella legislazione sulla formazione professionale è avvenuto più in linea di principio che nella realtà, perché le conseguenze positive dell’inno- vazione introdotta con la legge n. 144/49 sono state praticamente annullate dagli ef- fetti combinati delle leggi n. 9/99 e n. 30/2000. Una ripresa del processo di riforma può venire senz’altro dall’approvazione del- la legge delega Moratti, n. 53/2003. Questa sembra da una parte riconoscere pari di- gnità formativa alla formazione professionale e dall’altra rispondere in maniera sod- disfacente alle esigenze di formazione degli adolescenti e dei giovani che hanno “l’in- telligenza nelle mani”, prevedendo un percorso graduale e continuo di formazione professionale, parallelo a quello scolastico e universitario, dai 14 ai 21 anni. Comun- que, tale risultato positivo è tutt’altro che scontato non solo per le resistenze all’inno- vazione che si manifestano in vari modi, ma anche perché la riforma Moratti è una leg- ge di principi e ha bisogno di decreti attuativi adeguati per essere messa in pratica. Di qui l’importanza di verificare i risultati della sperimentazione della FPI, realizza- ta nel 2000-02, nel momento della transizione al mondo del lavoro o della prosecu- zione della formazione, come ha tentato di fare il presente progetto di “follow-up”. 1. IL PROGETTO GENERALE DELLA RICERCA Sulla base delle indicazioni legislative, nel 2000 il CNOS-FAP e il CIOFS-FP hanno dato vita ad un progetto sperimentale a carattere nazionale le cui finalità generali erano 1: 1) realizzare progressivamente una sperimentazione riguardante il percorso del- 1 Il presente paragrafo è ripreso da quanto già pubblicato per presentare la ricerca del CNOS-FAP e CIOFS/FP; cfr. MALIZIA G. - D. NICOLI - V. PIERONI, 2002b, 14-16. follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 39 40 l’obbligo formativo nel sistema della formazione professionale regionale; 2) creare un’esperienza formativa che, a partire dalla FPI, sapesse potenziare l’intero sistema della formazione professionale; 3) sperimentare, nell’ambito della FPI, un modello CNOS-FAP e CIOFS-FP di in- dicatori della qualità formativa, da estendere progressivamente all’intero siste- ma formativo; 4) sperimentare, nell’ambito della FPI, un modello di accreditamento interno, da estendere progressivamente anche alla formazione superiore e alla formazione continua, fino a delineare il modello di accreditamento del “Centro polifunzio- nale dei servizi formativi”. Il percorso proposto, inoltre, teneva conto delle seguenti esigenze: – stabilire un collegamento organico tra l’obbligo formativo e l’obbligo scolastico; – puntualizzare le prassi dell’orientamento, della valutazione e dell’azione di tutoring; – definire gli standard professionali nazionali delle qualifiche e dei percorsi di specializzazione. Alla prima rilevazione, effettuata il 15/10/2000, i percorsi strutturati avviati dal CNOS-FAP e dal CIOFS-FP nell’ambito dell’obbligo formativo sono risultati 130 per 2.255 allievi; la sperimentazione dell’intero impianto progettuale è stata attiva- ta su 110 corsi per 1.915 allievi. Tuttavia, nelle 16 Regioni in cui sono presenti i due Enti, si sono avviate altre sperimentazioni, seppure parziali, degli standard indivi- duati in riferimento alle figure professionali, al modello formativo, alla certificazio- ne delle acquisizioni in vista del riconoscimento dei crediti formativi. Nasceva dun- que l’esigenza di dare vita ad un’azione di monitoraggio su una filiera così rilevan- te della nuova formazione professionale. 1.1. Il monitoraggio dei percorsi sperimentali Il monitoraggio consiste in un intervento svolto lungo l’iter del percorso for- mativo mediante il quale è possibile avere la percezione di come l’iniziativa si sta sviluppando in itinere sotto il profilo del perseguimento degli obiettivi formativi e dei riscontri qualitativi (CIOFS-FP/CNOS-FAP, 2000). 1.1.1. Obiettivi del monitoraggio Il monitoraggio aveva l’obiettivo di rilevare e valutare i seguenti aspetti: 1) il modello formativo (articolazione per saperi, competenze e capacità); 2) l’articolazione dell’intervento in riferimento alle diverse tipologie di utenza; 3) l’impostazione dell’area culturale-scientifica; 4) l’impostazione dell’area professionale, sia comune sia specifica, con riferimen- to alle figure professionali indicate con relativi competenze e standard; 5) l’impianto didattico (didattica attiva ed induttiva, centralità dell’esperienza dei soggetti e delle competenze) e gli strumenti adottati; follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 40 41 6) gli interventi di personalizzazione (orientamento, recuperi/approfondimenti, al- ternanza, accompagnamento); 7) le modalità di rilevazione degli apprendimenti e della maturazione degli allievi; 8) le modalità di adattamento al territorio (relazioni con le amministrazioni locali, con la scuola, le imprese, con gli altri CFP); 9) il modello organizzativo adottato nella prospettiva della qualità e della flessibi- lità; 10) gli standard di competenza del personale impegnato nel percorso; 11) le risposte delle amministrazioni locali al progetto. 1.1.2. Elementi qualificanti del monitoraggio Gli elementi qualificanti del monitoraggio possono essere riassunti nel modo seguente: 1) La formazione viene intesa come uno strumento che contribuisce alla soluzio- ni dei problemi e alla soddisfazione degli utenti. 2) L’ottica dell’“orientamento al cliente” è adottata per: a) l’attivazione di un sistema di ascolto e di risposta alle attese; b) la conoscenza e la valorizzazione del potenziale individuale; c) l’attenzione alle differenze individuali; d) lo sviluppo dell’autonomia personale; e) il coinvolgimento/partecipazione sistematica alle attività; f) l’attivazione di un sistema di accertamento della soddisfazione; g) l’attivazione di un processo di costruzione del proprio progetto professionale. 3) Ogni attività è: a) intesa come processo; b) definita nell’input e nell’output; c) coerente negli obiettivi rispetto al quadro di attività progettuali in cui si colloca; d) ispirata ad eventuali schemi concettuali di riferimento, formalizzati e dispo- nibili; e) controllata periodicamente nel suo funzionamento e nei risultati; f) sviluppata in spazi/ambienti adeguati. 4) La sperimentazione mira a modelli d’intervento che siano: a) pertinenti; b) integrabili; c) trasferibili; d) capitalizzabili. 5) La sperimentazione mira a modelli “flessibili” che consentano di: a) personalizzare i percorsi formativi; b) lavorare per obiettivi formalizzati; c) adottare metodologie diversificate e orientate all’esperienza. 6) Si intende attivare un sistema di attori in cui siano: a) definiti i ruoli ed i compiti; b) determinate le “transazioni” tra gli attori (servizi); follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 41 42 c) stabilite le modalità di partecipazione/coordinamento; d) fissate le competenze richieste e utilizzate in modo integrato; e) distribuiti gli impegni secondo modalità formalizzate. 7) Si intende attivare un sistema di controllo-valutazione: a) dei processi; b) dei risultati intermedi, finali e di impatto; c) della soddisfazione degli attori; d) formalizzato; e) socializzabile/trasferibile anche ad altri contesti. 1.2. La metodologia d’intervento La metodologia che si è inteso adottare circa il monitoraggio è stata quella del- la ricerca azione; in tal modo, si voleva accompagnare tutto il percorso di attuazio- ne delle sperimentazioni cercando di valorizzare massimamente il materiale prodot- to dalle équipe dei formatori e intervenendo in una prospettiva di “secondo livello” che consentisse: 1) la conoscenza e la comparabilità delle esperienze alla luce di categorie comuni (gli 11 aspetti indicati al paragrafo 1.1.); 2) la rilevazione delle tappe del percorso e dei relativi esiti; 3) l’efficacia e l’efficienza del processo; 4) l’individuazione delle aree di criticità e delle soluzioni adottate; 5) la sostenibilità del modello e le condizioni di riproducibilità. Tutti coloro che hanno dato vita alle sperimentazioni secondo il modello del CNOS-FAP e del CIOFS-FP potevano candidarsi per il monitoraggio sulla base del- la metodologia standard e della disponibilità di un coordinatore del monitoraggio. Al termine della sperimentazione era stata anche prevista la presentazione un rapporto finale con indicazioni circa gli esiti, la validazione del modello e la sua as- sunzione come riferimento standard (Malizia, Nicoli e Pieroni, 2002b, 14-16). 2. IL “FOLLOW-UP”: MONITORAGGIO DELLA TRANSIZIONE FPI MONDO DEL LAVORO La presente indagine non è un sottoprogetto del progetto biennale perché non era stato previsto nell’impostazione iniziale. Tuttavia, è legato sostanzialmente ad esso in quanto ne tenta una valutazione al di fuori delle mura dei Centri nel con- creto del mondo del lavoro. 2.1. Gli obiettivi dell’indagine Tra gli aspetti della ricerca-azione del 2000 sul modello sperimentale CNOS- FAP e CIOFS-FP di FPI, un passaggio cruciale ai fini della verifica del successo del- follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 42 43 l’intervento consiste nel monitoraggio della transizione degli allievi al sistema pro- duttivo. Tale “inserimento”, mentre per un verso gioca da elemento di controllo dei processi formativi realizzati dalla FPI e in specie dall’orientamento, intesi come strategie mirate a valorizzare la vocazione peculiare di ogni singolo utente della FPI, dall’altro permette di verificare l’interazione tra FPI e mondo del lavoro. In partico- lare, la presente indagine consente di verificare il grado di coerenza tra la mappa dei saperi di base, delle competenze professionali e delle capacità appresi durante i cor- si oggetto di sperimentazione e le attività professionali svolte attualmente o le scel- te effettuate di continuazione della istruzione/formazione. E per “orientare” i propri interventi in risposta ai bisogni formativi diversifica- ti dei giovani, le Sedi Nazionali dei due Enti, CNOS-FAP e CIOFS-FP, attraverso la presente indagine, come anticipato nell’introduzione, si sono proposti i seguenti obiettivi: a) verificare l’esito finale degli allievi della sperimentazione della FPI nella trans- izione al mondo del lavoro o ad altro tipo di istruzione/formazione sulla base dei seguenti parametri: – “quanti” hanno portato a termine i due anni di corso e “quanti” invece non vi sono riusciti e per quali ragioni; – “quanti” al termine della FPI hanno trovato un’occupazione e “quanti” inve- ce sono inoccupati o disoccupati e per quali motivi; – “quanti” alla conclusione della sperimentazione hanno proseguito la loro istruzione/formazione e secondo quale “percorso”; – il “tempo” trascorso tra l’uscita dal CFP ed il reperimento del lavoro; – “come” è stato trovato il lavoro e la “corrispondenza” o meno tra la qualifica ottenuta e la professione svolta; – il livello di soddisfazione per il corso frequentato e proposte di miglioramen- ti da apportare; b) tenendo conto dei risultati della verifica, individuare eventuali ulteriori bisogni formativi dei giovani intervistati al fine di un perfezionamento della loro pro- fessionalità; c) contribuire a valutare il successo della FPI erogata sulla base dell’analisi degli esiti degli allievi; d) avanzare proposte per potenziare il programma sperimentale di FPI dal punto di vista dell’inserimento e dell’accompagnamento al mercato del lavoro. 2.2. Il cronogramma delle attività di ricerca-azione Il progetto prevedeva come termine ultimo della consegna del rapporto di ri- cerca la fine di giugno 2003. Mantenendo fissa questa data, le diverse fasi sottese al- l’intervento sono state così distribuite nel tempo a disposizione, circa 6 mesi: – nel periodo gennaio-febbraio 2003 si sono eseguite le seguenti attività: sono stati preparati il quadro teorico di riferimento e le ipotesi; quindi si è proceduto ad elaborare il piano di campionatura e gli strumenti di rilevamento, ossia due questio- follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 43 44 nari da applicare ai distinti campioni di chi ha portato a termine la sperimentazione (“A”) oppure di quelli che non l’hanno conclusa (“B”), e di conseguenza ognuno di essi comprendeva due distinte schede, a seconda della posizione occupazionale o meno. In particolare, queste operazioni hanno comportato varie riunioni dell’équipe scientifica, al fine di mettere a punto in maniera mirata messa gli strumenti del rile- vamento e di realizzare una scelta attenta dei CFP dove svolgere l’indagine; – nel periodo marzo-aprile si è provveduto ad intervistare gli ex-allievi come da disposizione campionaria. Tale fase si è dimostrata più complessa del previsto a causa soprattutto della difficoltà di reperimento non solo di coloro che si sono riti- rati durante il biennio ma anche dei qualificati, in considerazione dei loro impegni di lavoro o di studio; ciò ha comportato dispendio non solo di tempo e di energie ma anche di risorse finanziarie per i numerosi contatti telefonici e gli spostamenti da effettuare; – una volta che i questionari sono rientrati in sede, i relativi dati sono stati cari- cati su un supporto informatico e quindi elaborati statisticamente; tutto questo ha com- portato circa quindici giorni di lavoro, che si è svolto nella prima metà di maggio; – il periodo successivo, fino alla consegna del rapporto di ricerca nei tempi fissati (metà maggio - fine giugno), è stato impiegato nella interpretazione e stesura del rapporto, le cui differenti sezioni sono state redatte dai vari membri dell’équipe di ricerca. 2.3. Il piano di campionatura Il progetto d’indagine prevedeva di coinvolgere, a campione, tutti coloro che, avendo frequentato la prima sperimentazione della FPI (2000-01/2001-02), sono an- dati incontro a differenti esiti. E proprio per rappresentare le differenti categorie di ex-allievi, il piano di campionatura era stato elaborato in modo da raggiungerne due distinti gruppi: – il campione “A”, in rappresentanza di tutti quelli che hanno portato a termi- ne il biennio nel 2002, indipendentemente dall’aver ottenuto o meno la quali- fica o di essersi aggiunti a corso avviato; – il campione “B”, in rappresentanza di coloro che si sono ritirati durante il biennio, per qualsiasi ragione. La numerosità del campione “A” è stata fissata in 4472 ex-allievi, pari al 25.2% di quanti hanno concluso la prima sperimentazione nel 2001-02 (1774) (Malizia, Nicoli e Pieroni, 2002, p.41). Tale percentuale risulta del tutto adeguata per assicu- rare la rappresentatività dell’universo ed è stata sostanzialmente rispettata nella som- ministrazione dei questionari in quanto sono stati raggiunti ben 492 soggetti, benché non sempre sia stata osservata la distribuzione interna del campione, come si vedrà successivamente (cfr. Tav. 1). Per quanto riguarda poi il campione “B”, tenendo pre- sente che tra gli iscritti al secondo anno della sperimentazione nel 2001-02 i ritirati 2 447 e non 450 per rispettare la proporzione tra Enti, Regioni e CFP. follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 44 45 erano 192 (ibidem) e che bisognava assicurare un campione globale e sottocampio- ni per Enti che fossero statisticamente significativi, si è fissato in 156 3 il numero dei soggetti da intervistare. Successivamente, a ciascun Ente sono state attribuite quote proporzionali di ex-allievi a cui somministrare i questionari nelle Regioni della spe- rimentazione, suddivise tra quelle del Nord (Piemonte 4, Lombardia, Veneto, Emilia- Romagna), del Centro (Lazio) e del Sud/Isole (Sicilia e Sardegna), quote che a loro volta sono state distribuite tra “titolari” e “riserve” 5. La scelta dei soggetti da intervistare per il campione “A” è stata effettuata con il metodo sistematico attenendosi ai seguenti criteri: – si è partiti dalla lista di tutti gli allievi che hanno portato a termine i corsi bien- nali della FPI nel 2002; – si è diviso il totale degli allievi per il numero dei soggetti che il piano di cam- pionatura ha stabilito per ciascun Centro, ottenendo in questo modo il “numero d’intervallo”; – a questo punto si è partiti da un numero a caso della lista, procedendo in una delle due direzioni (in avanti oppure indietro…), contando tanti soggetti quan- ti sono quelli previsti dal “numero d’intervallo” e quindi è stato scelto il primo; se ne sono contati altrettanti, e quindi il secondo, e così via fino a completa- mento del numero previsto (al termine della lista si è ricominciato da capo)6. Quanto al campione “B”, tenuto conto delle difficoltà a raggiungere soggetti che avevano lasciato il Centro senza completare il corso, si è deciso di tentare di in- tervistare tutti quelli che risultavano ritirati in base alle liste degli iscritti al secondo anno della sperimentazione del 2001-02. Una volta selezionati i soggetti dei campioni “A” e “B” e rispettive riserve si è proceduto ad effettuare le interviste utilizzando 2 diversi tipi di questionario7: – uno per il campione “A”, ossia per coloro che hanno portato a termine il corso, suddiviso a sua volta tra la “scheda 1” (per coloro che erano già inse- riti in contesti produttivi) e la “scheda 2” (per coloro che al momento dell’in- chiesta non erano ancora riusciti a trovare lavoro oppure si erano iscritti ad altri corsi); – e uno per il campione “B”, per coloro che NON hanno portato a termine il corso, anch’esso suddiviso tra coloro che erano riusciti a trovare lavoro (“sche- da 3”) e chi no oppure si erano iscritti ad altri corsi (“scheda 4”). 3 156 e non 150 per la ragione richiamata alla nota precedente. 4 In questa Regione era presente solo il CNOS-FAP, in quanto il CIOFS-FP è partito con la sperimentazione nell’anno 2001 mentre la nostra indagine riguarda solo le sperimentazioni avviate nel 2000. 5 Cfr. in Appendice 1e griglie utilizzate da ciascun Ente per la campionatura. 6 Se il CFP ha al proprio interno presentava più settori, si divideva ciascun gruppo-campione per altrettanti settori, in modo che venissero tutti rappresentati secondo la loro consistenza. 7 Cfr. in Appendice 2 i questionari utilizzati per il monitoraggio. follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 45 46 Tav.1 - Distribuzione degli ex-allievi per campioni “A” e “B”, per Enti e Regioni di appartenenza e confronto tra dati attesi e osservati Il confronto tra i dati attesi e quelli osservati (ossia i soggetti effettivamente co- involti nell’indagine), suddivisi a loro volta tra i due Enti e per le due tipologie di campioni, presenta il seguente andamento: a) nel campione “A” era previsto di effettuare complessivamente 300 interviste nel CNOS-FAP e 147 nel CIOFS-FP e ne sono state realizzate 305 e 187, ri- spettivamente; al vaglio del “Chi2” non si rilevano differenze significative tra i dati attesi/osservati di entrambi gli Enti circa le circoscrizioni geografiche; un’osservazione particolare riguarda l’assenza delle 3 interviste di ex-allievi del CIOFS-FP previste in Emilia-Romagna; b) nel campione “B” invece il “Chi2” ha rilevato la presenza di una differenza signi- ficativa tra i dati dei due Enti, dal momento che nel CNOS-FAP sono state realiz- zate appena metà delle interviste previste (48 su 100), mentre nel CIOFS-FP si è leg- germente ecceduto (62 sulle 56 previste); andamento da attribuire indubbiamente ad una maggiore difficoltà a reperire ex-allievi maschi che per ragioni di varia na- tura (tra cui è possibile una certa componente di risentimento) non hanno portato a termine la sperimentazione; tale differenza tuttavia non esiste se si prende in con- siderazione la distribuzione per circoscrizioni geografiche; va segnalata infine l’as- senza, delle 2 interviste di ex-allievi del CIOFS-FP previste in Emilia-Romagna. Se si prescinde dal sottodimensionamento degli ex-allievi maschi tra le fila del CNOS-FAP , per un certo verso anche prevedibile date le difficoltà maggiori di re- perimento, l’andamento d’insieme attesta tuttavia di una rispondenza complessiva- mente almeno sufficiente tra dati attesi e osservati, ad indicare la piena rappresenta- tività dei risultati ottenuti su cui verteranno le analisi dell’inchiesta. 2.4. La situazione dei soggetti campionati al momento del rilevamento Tra i 492 soggetti del campione “A”, cioè degli ex allievi che hanno portato a termine la sperimentazione: – 159 (il 32.3% di questo gruppo) al momento dell’inchiesta erano già inseriti follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 46 47 nel sistema produttivo, tuttavia tra essi il numero dei lavoratori in possesso del- la qualifica riguardava soltanto 131; – 193 (il 39.2%) avevano ripreso a studiare; – e altri 140 (il 28.5%) erano rimasti disoccupati o ancora inoccupati. A loro volta tra i 110 del campione “B”, cioè tra gli ex-allievi che si sono ritirati: – 52 (il 47.3% di questo gruppo) avevano trovato lavoro; – 15 (il 13.6%) avevano ripreso a studiare; – 43 (il 39.1%) erano rimasti disoccupati o ancora inoccupati. follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 47 follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 48 49 CAPITOLO TERZO GLI EX-ALLIEVI CHE HANNO PORTATO A TERMINE LA FPI (Guglielmo MALIZIA - Vittorio PIERONI) Come anticipato nel capitolo precedente, gli ex-allievi coinvolti nell’indagine e che hanno portato a termine i due anni del corso di FPI assommano complessiva- mente a 492: essi costituiscono il campione “A”. Di questo gruppo di intervistati in un primo momento si analizzeranno le variabili di status che li caratterizzano, per poi passare alla successiva divisione tra quanti hanno compilato la scheda n. 1 (coloro che al momento dell’inchiesta erano già inseriti nel sistema produttivo) e quanti la scheda n. 2 (gli inoccupati/disoccupati o coloro che hanno ripreso a studiare). 1. IDENTIKIT DEGLI EX-ALLIEVI CHE HANNO PORTATO A TERMINE IL CORSO DI FPI A prescindere dalla suddivisione tra chi ha risposto alla scheda 1 e 2, e quindi tra chi ha trovato lavoro (159) o meno (333), i 492 ex-allievi risultano distribuiti in modi diversi sulla base di una serie di variabili quali l’Ente dove è stata frequentata la FPI, la circoscrizione geografica, il sesso, l’età, il settore del corso. Gli ex-allievi si ripartono tra CNOS-FAP e CIOFS-FP in proporzione di circa due terzi a un terzo (rispettivamente il 62% = 305 e il 38% = 187) secondo le seguenti caratteristiche (cfr. Tav. 1): – quelli del CNOS-FAP nel 90% dei casi sono maschi e in altrettanta misura han- no frequentato corsi di FPI nel settore secondario, hanno per lo più un’età infe- riore ai 18 anni e sono abbastanza proporzionalmente distribuiti fra le tre circo- scrizioni geografiche; – quelli del CIOFS-FP si caratterizzano per le variabili opposte, ossia per la pre- dominanza delle ragazze, della frequenza di corsi nel terziario e dell’età supe- riore ai 18 anni; – infine va osservato che mentre tra gli ex-allievi che hanno trovato lavoro al ter- mine del corso e chi invece è rimasto inoccupato/disoccupato si registrano quo- te abbastanza simili all’interno dei due Enti, fra quanti hanno ripreso a studiare si osserva un divario che favorisce il CNOS-FAP (75.6 contro il 24.4% del CIOFS-FP). follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 49 50 Nella distribuzione per Regioni, il primato numerico va alla Sicilia con 141 intervistati (28.7%), che tuttavia manifesta al tempo stesso una più alta quota di ex-allievi che sono rimasti disoccupati al termine del corso (83, ossia il 59.3% di quest’ultimo gruppo); seguono, tra le più numerose, la Lombardia (90 = 18.3%), il Lazio (88=17.9%) ed il Piemonte (71=14.4%), il quale si caratterizza per avere tra le proprie fila unicamente i maschi, del settore secondario. Al contrario nella distri- buzione per zone geografiche si rileva, al nord, una leggera prevalenza di maschi, unitamente al settore secondario, dei più giovani e di chi ha ripreso a studiare; mentre al sud prevalgono le femmine, e quindi il terziario, i disoccupati e l’età dai 19 anni in poi (cfr. Tav. 2). Tav. 2 - Gli ex-allievi che hanno concluso la FPI per zone geografiche (base = 492) La suddivisione per sesso si avvicina e rispecchia assai da vicino ovviamente quella per Enti: 61.2% maschi e 37.6% femmine (cfr. Tav. 3), riproponendo le ca- ratteristiche individuate in precedenza. Tav. 3 - Gli ex-allievi che hanno concluso la FPI in base al sesso (base = 492) L’età divide gli intervistati in due gruppi abbastanza simili, tra un 51% che ha fino a 18 anni e la quota residua, il 47.8%, che ne ha 19 o più (cfr. Tav. 4); la note- vole consistenza del secondo gruppo potrebbe stupire, trattandosi ex-allievi di corsi per l’obbligo formativo, ma non bisogna dimenticare che i giovani in questione han- no incominciato il corso di FPI nel 2000, cioè tre anni prima. La coorte più giovane si caratterizza per una quota maggioritaria di maschi, del secondario, concentrati nelle Regioni del nord, e di soggetti che hanno ripreso a studiare. Al contrario, nel Tav. 1 - Gli ex-allievi che hanno concluso la FPI in base agli Enti di appartenenza (base = 492) follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 50 51 gruppo dell’età più elevata prevalgono, coerentemente a quanto evidenziato in pre- cedenza, le femmine, il terziario ed il centro-sud; sebbene i disoccupati siano parti- colarmente presenti in questa fascia, al tempo stesso si nota anche che essa contie- ne almeno una metà di coloro che hanno trovato lavoro. Tav. 4 - Gli ex-allievi che hanno concluso la FPI in base all’età (base = 492) Secondo quanto anticipato, non tutti i 492 ex-allievi che hanno portato a termine i due anni del corso hanno poi conseguito la qualifica; in ogni caso, essi ammontano a 437, cioè la più gran parte in quanto risultano l’88.8% di questo gruppo (cfr. Tav. 5). I qualificati si caratterizzano per essere distribuiti in misura abbastanza proporzio- nale tra le principali variabili di status in base alle quali analizziamo il campione; dei rimanenti, 12 (il 2.4% - quasi tutti maschi) hanno apertamente dichiarato il proprio insuccesso (quasi tutti del settore secondario, con particolare riferimento alla mec- canica), mentre altri 43 non hanno dato risposta (l’8.7% - in maggioranza femmine, con 19 e più anni, del settore terziario). Tav. 5 - Gli ex-allievi che hanno concluso la FPI in base al conseguimento della qualifica (base = 492) Dei 437 che hanno conseguito la qualifica, il 59.5% (quasi tutti maschi, più giovani, concentrati nelle Regioni del nord) ha seguito corsi nel settore secondario, con particolare riferimento al meccanico (27.7%) ed elettromeccanico (20.4%), mentre essi sono scarsamente presenti nel grafico (7.3%) e nell’artigianato (4.1%) (cfr. Tav. 6). La quota residua si è qualificata nel settore terziario (39.6% - quasi tutte femmine, con 19 anni e più, del centro-sud), frequentando quasi esclusivamente cor- si di servizi all’impresa (156 su 173). La porzione rimanente, ossia quei 55 che pur avendo portato a termine il cor- so non hanno conseguito la qualifica e/o non hanno risposto in merito, ripropone la distribuzione tra una maggioranza di iscritti al settore meccanico e una minoranza nei corsi finalizzati ai servizi all’impresa. follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 51 52 La messa a confronto tra la qualifica ottenuta nelle due macrotipologie di settori e la condizione occupazionale degli ex-allievi al momento dell’indagine permettono di rilevare che: – entrambi i settori hanno permesso l’ingresso immediato o in tempo brevi nel si- stema produttivo a un terzo circa dei corsisti, più esattamente al 28.8% del set- tore secondario e al 31.2% del terziario; – le rimanenti quote di ex-allievi si caratterizzano proprio in base alla diversa ap- partenenza al settore di qualifica: nel secondario il 52.3% ha avvertito il biso- gno di continuare a studiare, mentre nel terziario tale urgenza è stata sentita da poco più di un quinto (23.1%); si può ipotizzare che sulla decisione di conti- nuare la formazione abbia almeno in parte pesato la variabile età, dal momento che quella più giovane è correlata al secondario, mentre nel terziario prevalgo- no i 19enni in su; nel terziario invece quasi la metà degli ex-allievi (45.7%) è ri- masto inoccupato o comunque ha dichiarato di essere disoccupato al momento dell’inchiesta, fenomeno che tra le fila del secondario riguarda meno di un quinto degli intervistati (18.8%); in questo caso un peso maggiore potrebbe es- sere esercitato dalla differente condizione che attraversa il Paese da nord a sud, dove per “sud” si intende la prevalenza di un’utenza femminile e quindi anche di corsi nel terziario) (cfr. Tav. 6). L’ultima delle variabili comuni ai 492 arrivati al termine dei due anni di speri- mentazione riguarda, a completamento di quanto anticipato sopra, la condizione de- gli intervistati al momento dell’inchiesta (cfr. Tav. 7): – il 32.3% (159) ha già trovato lavoro; questo gruppo appare abbastanza equa- mente distribuito all’interno delle variabili sesso, età, zona geografica, settore di qualifica; – il 39.2% (193) ha ripreso a studiare; si mettono in evidenza, come anticipato, i maschi, l’età fino ai 18 anni, il nord, il settore secondario; – il 28.5% (140) è ancora inoccupato o è rimasto disoccupato; le femmine, l’età di 19 e oltre, il sud, il terziario. Tav. 6 - Gli ex-allievi che hanno concluso la FPI in base al settore di qualifica (base = 437) follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 52 53 2. GLI EX-ALLIEVI CHE AL TERMINE DELLA FPI HANNO TROVATO LAVORO Gli ex-allievi che al termine dei due anni della sperimentazione hanno trovato lavoro assommano complessivamente a 159, in corrispondenza a quanto evidenzia- to in precedenza: si tratta di una quota che rappresenta circa un terzo dell’intero gruppo (32.3%). Prima di inoltrarci nell’analisi delle domande peculiari rivolte a questo gruppo attraverso un’apposita scheda1, ricordiamo che non tutti questi lavo- ratori sono entrati nel sistema produttivo dotati di apposita qualifica; tuttavia, la pos- sedevano in 131 che è l’82.4% degli occupati, cioè della più gran parte di essi. Tav. 8 - Distribuzione degli occupati in base agli Enti di appartenenza (base = 159) Volendo tener conto di alcune peculiari caratteristiche di questo gruppo, i 159 ex-allievi sono così distribuiti per Ente, sesso, età, zone geografiche e settore di qualifica: – nell’appartenenza ai rispettivi Enti (Tav. 8), il 58.5% (=93) ha frequentato i cor- si del CNOS-FAP (con le caratteristiche solite, ossia quasi tutti maschi, del set- tore secondario), mentre il 41.5% (=66) era iscritto ai corsi del CIOFS-FP (qua- si tutte femmine, del terziario); – nella distribuzione tra maschi e femmine il rapporto è di circa di due terzi a un terzo (62.9% e 37.1% rispettivamente); – così pure l’età appare equamente distribuita tra coloro che hanno meno e più di 18 anni (48.4 e 50.9%, rispettivamente); – mentre nella ripartizione per zone la maggioranza dei lavoratori si colloca nelle Regioni del nord (45.9% = 73, in gran parte in Lombardia e Piemonte), Tav. 7 - Gli ex-allievi che hanno concluso la FPI in base alla condizione occupazionale (base = 492) 1 Si ricorda che l’inchiesta era basata su quattro schede, suddivise tra chi ha portato o no a termine i due anni della sperimentazione e queste prime ripartite a loro volta tra chi al termine ha trovato o no lavoro. Nel presente caso la scheda n. 1 riguardava i corsisti che dopo aver portato a ter- mine la sperimentazione al momento dell’inchiesta erano già inseriti nel sistema produttivo. follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 53 54 cui fa seguito il sud (34% = 54, di cui 38 in Sicilia) e quindi viene il centro (20.1% = 32, tutti nel Lazio); – infine nell’analizzare il settore di qualifica troviamo che dei 159 lavoratori, i qualificati sono 131 e presentano le caratteristiche solite, ossia una maggioran- za nel secondario (57.3% = 75, comparto meccanico ed elettromeccanico) e una minoranza nel terziario (41.2% = 54, servizi alle imprese). 2.1. Modalità di realizzazione dell’esperienza lavorativa In considerazione degli obiettivi sottesi al monitoraggio, in primo luogo era im- portante venire a sapere se il tipo di lavoro svolto era coerente con la qualifica otte- nuta attraverso la sperimentazione. A questa domanda hanno risposto tutti i lavora- tori (tranne uno) indipendentemente dall’aver ottenuto o meno la qualifica (confon- dendo presumibilmente l’“ottenuto” con il fatto di aver “frequentato”). Tav. 9 - Coerenza tra la qualifica ottenuta dagli occupati e il lavoro (base = 159) L’andamento della Tav. 9 attesta che il 50% quasi (49.1%) è riuscito a trovare un lavoro rispondente alla qualifica ottenuta e un altro quinto (20.8%) uno parzial- mente tale; i più favoriti sembrano essere stati coloro che hanno frequentato corsi nel settore secondario (quindi meccanici ed elettromeccanici) a cui si è aggiunta, a sostegno forse di maggiore affidamento, l’età più avanzata. A sua volta il 30% circa (29.6%) ha dovuto accontentarsi (almeno temporaneamente) del tipo di lavoro che era disponibile (le Regioni del sud ed il terziario), seppure diverso dalle competen- ze apprese durante i due anni (29.6%). Tav. 10 - Attività svolta (base = 159) follow-up1.qxd 14/01/2004 7:44 Pagina 54 55 Dalla Tav. 10 si evince chiaramente che l’occupazione riguarda per lo più il lavoro dipendente (78.6% = 125 su 159), mentre quello autonomo è ancora una opportunità limitata a pochi (3.1%). Qualcuno ha potuto inserirsi in un’impresa familiare (9.4%) o in una cooperativa (5.7%); in questi casi prevale la componente maschile e la residenza nelle Regioni del nord. Tav. 11 - Qualifica di assunzione degli occupati (base = 159) E comunque risulta ancora più importante, ai fini di quanto sperimentato, il “ri- conoscimento esterno” dato a questi corsi nel momento dell’inserimento occupa- zionale. Infatti, si è potuto constatare che oltre la metà degli occupati è stato assun- ta in qualità di apprendista (55.1% - cfr. Tav. 11) e si tratta ovviamente dei più gio- vani, collocati nel settore secondario; a loro volta, le assunzioni con qualifica di “operaio” riguardano uno su cinque di questi lavoratori (18.2% - prevalgono leg- germente i maschi, il secondario, le Regioni del centro-sud), mentre un numero maggiore ha indicato ancora “altre” modalità, che dallo spoglio delle risposte scrit- te risultano per lo più assunzioni occasionali, quando non al nero (22% - le femmi- ne, il terziario). L’andamento d’insieme attesta inoltre che nella fase dell’assunzio- ne in genere non si fa molto caso alla formazione seguita: in neppure la metà dei contratti si è tenuto conto di una tale coerenza. Tav. 12 - Tipo di contratto degli occupati* (base = 159) Passando alle modalità contrattuali si ripropongono pressappoco gli stessi andamenti (Tav. 12): – gli assunti regolarmente a tempo pieno (40.3%) o parziale (6.3%) nell’insieme raggiungono la metà quasi dei lavoratori; ciò si verifica più al nord che nel re- * I totali di colonna possono superare il 100% perché sono state date più risposte follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 55 56 sto delle Regioni d’Italia, e riguarda più il settore secondario (e, quindi, per lo più i maschi) che il terziario; – ad essi si aggiunge un terzo circa di lavoratori, dotati delle caratteristiche pre- cedenti, che può contare su un contratto di formazione-lavoro (31.4%); – minoranze esigue indicano anche la presenza di contratti occasionali, a termine, periodi di prova o l’inserimento in aziende di famiglia; c’è anche chi ammette di non sapere con che tipo di contratto è stato assunto; – nei confronti di un 35.2% si registra tuttavia la mancanza di una regolare as- sunzione: in questo caso più che l’età ed il settore di qualifica gioca la diversa appartenenza geografica (il centro-sud); quest’ultimo dato mette in evidenza la condizione di un sistema produttivo italiano a due marce con l’Italia Centrale e soprattutto Meridionale che costituiscono certamente il lato su cui si concen- trano maggiormente i malesseri in materia sia occupazionale che contrattuale. La domanda successiva mira a rilevare il tempo trascorso dalla fine dei due an- ni di sperimentazione al reperimento dell’occupazione. I risultati si presentano co- me una ulteriore prova a favore della validità del progetto (cfr. Tav. 13): – circa tre lavoratori su quattro, infatti, hanno trovato lavoro entro tre mesi dal- l’uscita dal sistema di FPI, di cui la più parte (il 42.1%) quasi subito o al mas- simo entro un mese e altri 28.9% nei due mesi successivi; – soltanto meno di un quarto è andato oltre questi tempi (23.9%) In termini di velocità d’ingresso nel mercato del lavoro presentano un leggero vantaggio la componente maschile, la maggiore età ed il settore secondario. Di con- seguenza il breve spazio intercorso attesta, proprio in un periodo di non facile solu- zione del problema dell’occupazione, dell’aggancio diretto che in questo caso ha uni- to la sperimentazione all’occupazione, anche se non sempre e/o non dappertutto so- no state rispettate condizioni di regolarità nell’assunzione e di coerenza con la quali- fica; ma bisogna anche dire che il più delle volte si tratta di variabili strettamente di- pendenti dalle condizioni e dalla mutevolezza del sistema produttivo locale. Tav. 13 - Tempo impiegato da parte degli occupati per trovare lavoro (base = 159 lavoratori) Se poi qualcuno pensasse che l’aggancio diretto tra sperimentazione e occupa- zione sia stato reso più brevemente e/o facilmente realizzabile grazie agli stages ef- fettuati durante i due anni della sperimentazione, i dati della Tav. 14 attestano che ciò si è verificato solamente nel 13.8% dei casi (e prevalentemente al nord). follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 56 57 In realtà veicolo privilegiato all’occupazione si è dimostrato in questi casi l’aiu- to offerto da genitori, parenti e amici (35.8% - modalità che sono più diffuse nelle Regioni del centro-sud, specie nei riguardi dei minori), oppure il fatto di presentar- si direttamente alle aziende, qualifica alla mano (19.5% - il nord, il terziario, con leggera prevalenza della componente femminile). Quasi nella stessa misura esercitano effetti positivi, ai fini del reperimento del- l’occupazione, le segnalazioni provenienti dall’intermediazione del CFP (18.9%), le quali sembrano garantire al tempo stesso una maggiore coerenza tra il lavoro svol- to e la qualifica ottenuta, in particolare nei confronti delle ragazze e di chi ha un’e- tà superiore ai 18 anni. Invece non sembrano avere molto successo e/o costituire un veicolo privilegia- to e sicuro, nella ricerca del lavoro, altre iniziative come l’invio di lettere di presen- tazione (3.8%) o il riferimento ad agenzie private (1.9%), e meno ancora i concorsi (0.6%) o l’iscrizione agli uffici di collocamento (1.3%). Tav. 14 - Come gli occupati hanno trovato il lavoro (base = 159) 2.2. Valutazione dell’esperienza lavorativa rapportata a quella formativa La seconda parte della scheda intendeva recuperare il valore aggiunto dell’e- sperienza fin qui realizzata valutandone, prima, entrambi gli aspetti congiuntamen- te, ossia la formazione ricevuta ed il lavoro svolto e, successivamente, l’influenza esercitata dall’una sull’altro. Tav. 15 - Grado di soddisfazione degli occupati nei confronti del corso frequentato (base = 159) follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 57 58 I due anni della sperimentazione sono stati giudicati all’unanimità molto (56.6%) e abbastanza (40.3%) soddisfacenti (= 96.9%; M = 1.47 - cfr. Tav. 15), in particolare dalla componente femminile (M = 1.31), dai più anziani (M = 1.40), da coloro che hanno frequentato corsi nel terziario (M = 1.37), e in specie da chi ha trovato coerenza tra la formazione ricevuta e le mansioni svolte (M = 1.40); le valu- tazioni negative sono limitate al “poco” e scaturiscono da appena il 3.1%. Certa- mente sarebbe stato interessante venire a sapere proprio da questi ultimi in quali aree dovrebbero essere apportati eventuali miglioramenti. Essendo però il gruppo degli insoddisfatti tanto ridotto, sono emerse ben poche indicazioni che non posso- no essere considerate rappresentative del campione; in ogni caso, esse offrono tre ti- pi di suggerimenti che non vanno a nostro parere sottovalutati: – allungamento della sperimentazione a 3 anni, per ottenere una specializzazione; – aumento del numero dello/degli stage ed estensione della loro durata; – introduzione di un livello più elevato di formazione in informatica e in inglese. Nei confronti del lavoro svolto, il numero dei soddisfatti rimane sostanzial- mente immutato a parte una leggera diminuzione (molto 47.2 + abbastanza 45.9% = 93.1%; M = 1.62 - cfr. Tav. 16), tant’è che assommano ad appena una decina circa (6.9%) le valutazioni negative emesse. In questo caso si dimostrano più positivi i maschi (M = 1.54), gli iscritti ai corsi del secondario (M = 1.55), coloro che hanno trovato una buona corrispondenza tra il lavoro svolto ed i corsi frequentati (M = 1.46) e gli ex-allievi del nord (M = 1.49). Il confronto tra l’andamento dei dati delle due tavole (cfr. Tavv. 15 e 16) permet- te di evidenziare livelli di soddisfazione su fronti opposti, tra le variabili in campo: – i maschi ed il settore secondario esprimono valutazioni leggermente più favo- revoli nei confronti dell’esperienza lavorativa piuttosto che della formazione ri- cevuta; – viceversa le femmine ed il terziario sono più positive nei confronti dei corsi che dell’attuale lavoro; – tra le Regioni, quelle del nord si evidenziano per manifestare in entrambi i casi il consenso più elevato, mentre il centro-sud trova più difficile valutare l’espe- rienza lavorativa nella stessa misura di quella formativa (che invece è stata am- piamente riconosciuta valida dappertutto, senza troppe differenze); – un’altra variabile che ha manifestato i più alti livelli di soddisfazione nei con- fronti di entrambe le esperienze riguarda coloro che hanno potuto sperimentare la coerenza tra la formazione ricevuta e l’attività svolta. follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 58 59 Passando ad analizzare l’influenza positiva esercitata sull’attuale condizione occupazionale da parte dei vari aspetti dell’esperienza formativa, si rileva che ciò che è servito di più nello svolgere il lavoro è stato (cfr. Tav. 17): – in primo luogo l’area pratica o delle competenze professionali, segnalata dai due terzi dei lavoratori (63.5%), con particolare riferimento alla componente femminile, a chi ha trovato un’occupazione coerente agli studi fatti e alle Re- gioni del nord; – a cui fa seguito, seppure indicata da una quota dimezzata ma in stretto collega- mento alla dimensione precedente e per di più connotata dalle medesime carat- teristiche, l’esperienza dello stage (34.6%); – prima ancora che l’orientamento/accompagnamento al lavoro, assai ben poco segnalato (8.2%), vengono l’area delle capacità personali (22%, ancora una vol- ta da parte delle ragazze e del terziario) e l’area teorica o dei saperi di base (19.5%); – infine non va sottovalutato quel 13.2% di risposte “altre” dal cui spoglio emer- ge uno stato di insoddisfazione in quanto il corso non è servito “a niente”. Va osservato che questa valutazione negativa dipende in parte dal fatto di svolgere un lavoro completamento diverso rispetto alla formazione/qualifica ricevuta. A sua volta la frequenza dei percorsi sperimentali della FPI ha esercitato una decisiva influenza per quanto riguarda (cfr. Tav. 18): – anzitutto le competenze richieste per lo svolgimento delle mansioni (82.4%), chiaramente un fattore agevolante che è stato sottolineato soprattutto da chi ave- va trovato un lavoro coerente alla formazione ricevuta nei due anni precedenti, ma anche dai maschi e da chi ha effettuato gli studi nel settore secondario; – un altro vantaggio si è avuto nell’abbreviare i tempi dell’inserimento lavorativo (74.2%) ed è stato segnalato anch’esso da soggetti con le caratteristiche prece- denti; – mentre appena il 40.9% dei lavoratori attribuisce alla partecipazione al corso l’aver ottenuto un buon contratto; in questo caso non si registrano particolari differenze tra le variabili in osservazione, a parte una leggera prevalenza di chi ha trovato coerenza tra formazione ricevuta e lavoro svolto. Tav. 16 - Grado di soddisfazione degli occupati nei confronti dell’attuale lavoro (base = 159) follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 59 60 3. GLI EX-ALLIEVI CHE AL TERMINE DELLA FPI HANNO PROSEGUITO LA FORMAZIONE O NON HANNO TROVATO LAVORO Rispetto alla quota di chi ha portato a termine i due anni della sperimentazione il gruppo di chi ha continuato gli studi (studenti/allievi) o non è occupato (inoccu- pati/disoccupati) comprende oltre i due terzi degli intervistati (67.7%), ed è così suddiviso: – 193 hanno proseguito la formazione (il 39.2% di chi ha portato a termine il cor- so ed il 58% del sottocampione in esame); – altri 140 (28.5% e 42%, rispettivamente) al momento dell’inchiesta erano an- cora inoccupati o già disoccupati. A loro volta tali sottogruppi presentano le seguenti caratteristiche: – quello degli studenti/allievi è composto prevalentemente da maschi (141 su 193), dai più giovani (127), da chi ha frequentato corsi nel settore secondario (138) e dai residenti nelle Regioni del nord (128); 15 di loro non sono riusciti ad ottenere la qualifica; – mentre il sottogruppo degli inoccupati/disoccupati presenta caratteristiche di- verse, ossia una leggera prevalenza di femmine (77 su 140; ma anche i maschi non sono da meno = 60), dei più anziani (92), di corsisti del terziario (90), e so- prattutto di residenti nelle Regioni del sud/isole (107); se nei loro confronti po- trebbe scattare immediatamente l’ipotesi di una stretta relazione tra il loro sta- tus attuale e fattori di insuccesso al termine della sperimentazione, in realtà tro- Tav. 17 - Che cosa, di quanto appreso nel corso, è servito di più agli occupati nel lavoro* (base = 159) Tav. 18 - Incidenza della sperimentazione sulle condizioni di lavoro degli occupati * (base = 159) * I totali di colonna possono superare il 100% dato che erano ammesse più risposte * I totali di colonna possono superare il 100% dato che erano ammesse più risposte follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 60 61 viamo che soltanto 12 sono senza qualifica, per cui i motivi vanno trovati altro- ve, in particolare nell’estrazione, per oltre i tre quarti, dalle Regioni del sud. Tav. 19 - Distribuzione degli studenti e dei non occupati in base agli Enti di appartenenza (base = 333) Passando invece ad analizzare insieme i 333 studenti/allievi e inoccupati/disoc- cupati in base agli Enti di appartenenza, troviamo che: – circa due su tre hanno frequentato i corsi del CNOS-FAP (63.7%) e presentano i tratti soliti, ossia maschi (186 su 212), più giovani (129), del secondario (171), del nord (111); l’altro terzo ha seguito la FPI del CIOFS-FP (36.3%) ed è com- posto ovviamente da una maggioranza di femmine (100 su 121), più anziane (72), del terziario (74), del sud (63) e in parte del centro (26); – la variabile di genere presenta anch’essa una distribuzione tra il 60.4% di ma- schi (201) e il 37.8% (126) di femmine; oltre che per la minore età, il seconda- rio e le Regioni del nord, i primi si caratterizzano per la presenza preponderan- te tra gli studenti/allievi (141 su 193 che compongono quest’ultimo gruppo); mentre le seconde si connotano per una seppur lieve prevalenza tra le fila dei disoccupati e per l’estrazione dal sud; – mentre l’età rivela un maggiore equilibrio tra quelli fino a 18 (174 = 52.3%) e quelli con 19 e più (154 = 46.2%); al tempo stesso tuttavia appare come una variabile discriminante in rapporto al diverso status in cui si trovano i soggetti al momento dell’inchiesta in quanto nel gruppo di coloro che hanno ripreso a studiare i più giovani sono oltre i due terzi (127 su 193), mentre i più anziani compongono oltre i due terzi della quota degli attuali inoccupati/disoccupati (92 su 140); – un andamento abbastanza simile si ritrova anche nella ripartizione di questo sottogruppo tra la frequenza nel settore secondario (187 = 56.2%) o in quello terziario (138 = 41.4%); ancora una volta, infatti, la variabile discriminante va individuata nel fatto che chi ha avvertito l’urgenza di riprendere a studiare è una netta maggioranza di coloro che provengono dal secondario (138 su 193); mentre la maggioranza di chi era iscritta il terziario è inoccupata/disoccupata (90 su 138 al momento dell’inchiesta non studiano né lavorano) e soltanto una minoranza (48 su 138) ha avvertito l’urgenza di rinforzare la propria formazio- ne (cfr. Tav. 19). follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 61 62 Entrando più direttamente in merito alla condizione di questo sottocampione al momento dell’inchiesta, le domande presenti nella scheda n. 2 intendevano rico- struire anche nei loro confronti anzitutto l’iter del dopo-corso per poi riproporre una valutazione complessiva dell’esperienza fin qui condotta. Al termine della FPI questo gruppo ha operato le seguenti scelte (cfr. Tav. 20): – il 60% circa (197 = 59.2%) si è iscritto ad altri corsi (scuole e CFP); questo sot- togruppo si caratterizza per le variabili analizzate precedentemente, esaminan- do il gruppo degli studenti/allievi; – dei rimanenti, circa uno su cinque (65 = 19.5%) si è messo alla ricerca di lavo- ro, senza trovarlo; un gruppetto è rimasto in attesa di migliori opportunità di scelta (8.1%) ed altri ancora hanno tentato esperienze varie (13.2%); in tutti questi casi prevalgono le caratteristiche che fanno capo al gruppo degli inoccu- pati/disoccupati. A questo punto era anche importante, ai fini dell’inchiesta, venire a sapere da coloro che avevano ripreso a studiare a quali corsi si erano iscritti: la maggior parte (148 su 197, il 75.1% di questo gruppo) è andato alla ricerca di corsi di specializza- zione; alcune minoranze hanno intrapreso nuovi corsi di qualifica (25 soggetti) e 21 sono passati alle scuole superiori. Tra chi non si è iscritto ad altri corsi una quota pari ad una cinquantina di sog- getti (il 37.7% di questo gruppo) avverte il bisogno di ulteriore formazione e/o di ri- qualificazione delle proprie competenze professionali, ma finora non lo ha fatto con tutta probabilità a causa di alcune condizioni di svantaggio che spesso si presentano abbastanza intrecciate tra loro (le ragazze, l’età più avanzata, il centro-sud, il terzia- rio). Benché anche questi soggetti ambiscano a frequentare corsi di specializzazio- ne, tuttavia a essi andrebbe bene qualsiasi altra qualifica o tirocinio o patente di mestiere, pur di uscire dalla condizione attuale. Infine va notata la presenza di uno “zoccolo duro” (84 = 25.2%) refrattario ad ogni altro interesse formativo, com- posto da oltre la metà degli inoccupati/disoccupati e che presenta caratteristiche del tutto simili a chi ha espresso il bisogno di ulteriore formazione, ossia femmine, età più avanzata, centro-sud, terziario, a riprova della presenza di “due anime” nel- l’intreccio tra queste variabili. Tornando al gruppo dei non occupati preso nel suo insieme si è chiesto loro, così come è stato fatto con i loro compagni che hanno portato a termine la speri- Tav. 20 - Scelte operate dagli studenti e dai non occupati al termine del corso (base = 333) follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 62 63 mentazione e attualmente lavoratori, di dare una valutazione complessiva del corso frequentato (cfr. Tav. 21). Tav. 21 - Grado di soddisfazione degli studenti e dei non occupati nei confronti della FPI (base = 333) Anche tra gli studenti/allievi e inoccupati/disoccupati si rilevano comunque al- ti consensi (molto+abbastanza soddisfatti) nei confronti della formazione ricevuta dalla quasi totalità del gruppo (321 su 333 = 96.3%; M = 1.56); solo appena una de- cina sono gli insoddisfatti (3.6%). Un più alto grado di consensi scaturisce dalle fila della componente maschile (M = 1.53) e variabili connesse, ossia il settore se- condario (M = 1.50), l’età più bassa (M = 1.50), chi ha ripreso a studiare (M = 1.50). Il confronto con la valutazione emessa dai lavoratori (cfr. Tav. 15) porta a rile- vare tuttavia alcune differenze tra i due gruppi: – anzitutto il gradiente di soddisfazione è rimasto sostanzialmente invariato (M = 1.56 dei non occupati contro M = 1.47 del lavoratori); – inoltre le valutazioni più positive sono scaturite, tra i lavoratori, dal gruppo che fa capo alla componente femminile (terziario ed età più elevata), mentre tra i non lavoratori dalla componente maschile e variabili intrecciate (secondario ed età più bassa); – infine è interessante notare che mentre tra i lavoratori ciò che fa la differenza è la coerenza tra la formazione ricevuta ed il lavoro svolto, tra i non lavoratori questa stessa differenza passa tra chi ha ripreso a studiare e chi è rimasto tutto- ra inoccupato/disoccupato. Di conseguenza se si poteva insinuare che nella ripresa degli studi avesse gio- cato una insufficiente preparazione della sperimentazione, in realtà le più alte valu- tazioni scaturite dalla quasi totalità del gruppo degli studenti/allievi (190 su 193) smentiscono del tutto una tale congettura. In realtà, l’alto consenso nei confronti dei due anni della FPI, ottenuto quasi nella stessa misura dalle diverse componenti (ma- schi e femmine, secondario e terziario…), lascia intendere che la sperimentazione “non si tocca”; in altri termini, le scelte effettuate dopo il corso da chi attualmente si trova su posizioni contrapposte (lavoratori e non, studenti e disoccupati...) non sono direttamente collegabili all’esperienza formativa. follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 63 64 Una ulteriore conferma in tal senso proviene dalla successiva domanda mirata a valutare quegli aspetti del corso che sono sembrati più rispondenti alle proprie at- tese (cfr. Tav. 22): – coerentemente a quanto già emerso dal gruppo dei lavoratori, anche da parte di chi attualmente non lavora, il corso è stato valutato positivamente proprio in base alle competenze professionali che offre (73.9%) e per aver offerta la possibilità di partecipare allo stage (47.4%), e su questo sono d’accordo tutti indistintamente; – seguono, in misura ridimensionata, l’area teorica o dei saperi di base (21.9%), che però è più apprezzata all’interno della componente femminile e del terziario. Come si vede, quindi, anche in merito alle acquisizioni ottenute attraverso il corso non sussistono differenze tra lavoratori e non e tra le diverse componenti del campione, a significare che in fondo i percorsi sperimentali hanno accontentato ge- neralmente tutti, grazie soprattutto alla praticità dell’offerta, indipendentemente poi dalla condizione in cui si trovano gli ex-allievi al termine della FPI. Tav. 23 - Motivi per cui gli studenti e i non occupati non si sono inseriti nel lavoro* (base = 333) Tav. 22 - La FPI in base alla rispondenza alle attese degli studenti e dei non occupati* (base = 333) * I totali di colonna possono superare il 100% dato che erano ammesse più risposte ** I totali di colonna possono superare il 100% dato che erano ammesse più risposte ** Nella più parte dei casi si tratta della decisione personale di proseguire la formazione follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 64 65 Si sono chieste le ragioni specifiche per cui il gruppo degli studenti/allievi e de- gli inoccupati/occupati non è inserito nel lavoro (cfr. Tav. 23): – soltanto un terzo ha fatto conoscere i fattori impedienti, che sono pressoché tut- ti quelli presenti nell’elenco, senza che nessuno però emerga particolarmente: per alcuni si tratta di non corrispondenza del lavoro alle proprie aspirazioni o al- la qualifica conseguita; per altri, soprattutto per coloro che non hanno bisogno di mettersi subito al lavoro, è questione di attendere migliori opportunità o di trovare le conoscenze “giuste”; altri ancora non sono entrati nel mercato del la- voro perché sono in attesa di fare il servizio militare; – oltre due su tre di questo sottocampione hanno fornito giustificazioni “altre” ri- spetto a quelle elencate nella tavola (65.8%, a cui va aggiunto un 6% di non ri- sposte); per comprendere meglio il fenomeno è stato necessario quindi ricorre- re allo spoglio delle risposte aperte, grazie al quale si è potuto costatare che la quasi totalità ha fatto la scelta di proseguire la formazione, rinviando al termi- ne del nuovo corso la ricerca dell’occupazione. Da questo punto di vista va ri- cordato che i CFP del CNOS-FAP che si trovano soprattutto nell’Italia Setten- trionale attivano, dopo il corso biennale, un anno di specializzazione per cui la continuazione della formazione non è determinata dal fatto che non si è trova- to lavoro, ma è una precisa decisione del giovane; – tale opzione appare diversamente motivata in dipendenza soprattutto dalle Regioni di estrazione: gli ex-allievi del nord si richiamano per lo più all’esi- genza di ottenere una specializzazione, “in quanto la qualifica da sola non ba- sta e le imprese in genere richiedono maggiorenni” (sono in vari ad attribuire la causa della mancata assunzione alla minore età) e/o personale dotato di maggior esperienza; per quelli delle Regioni del sud uno dei motivi principali è la man- canza di occupazione localmente oppure, quando la si trova, si tratta di un lavoro mal retribuito o al nero; in entrambi i casi sono in molti a sostenere di aver “pensato subito di rimettersi a studiare”, manifestando espressamente il desiderio di accrescere le proprie competenze professionali; tuttavia c’è anche una minoranza che ammette di non essersi dato ancora da fare a cercare lavoro ed altri che sono ancora in attesa di concorsi, prove o test di assunzione o dei relativi risultati. Alla fine il questionario prevedeva una domanda, provocatoria, ma decisamen- te intenzionata a completare il quadro delle valutazioni attorno all’attività formativa realizzata. In concreto si chiedeva se a parere dell’intervistato, nel caso in cui que- sti avesse disposto di una qualifica differente da quella posseduta, avrebbe potuto es- sere agevolato il reperimento di una occupazione (Tav. 24). follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 65 66 Il 42.9% del sottocampione non risponde e si comprende la ragione in quanto si tratta verosimilmente della più gran parte di coloro che hanno ripreso a studiare (143 su 193). Il 40% circa (37.5%) asserisce che “sarebbe stato lo stesso”; e, in questo ca- so e proprio a sostegno dell’ipotesi precedente, questa risposta scaturisce dalle fila dei soggetti caratterizzati da una serie di svantaggi rispetto all’inserimento nel mon- do del lavoro, ossia le ragazze, i disoccupati e gli inoccupati, il centro-sud, il terzia- rio, i più avanzati in età; ad essi si aggiunge, con le caratteristiche precedenti, un 5.4% che ammette che sarebbe stato ancor “più difficile” trovare un lavoro. Appena il 10.5% ritiene invece il contrario, ossia che con una qualifica diversa adesso si po- tevano considerare già nel mercato del lavoro: posizione condivisa dagli inoccupa- ti/disoccupati e dal sud, con lieve prevalenza di femmine e del terziario. Come si vede, quindi, l’intreccio sud-disoccupazione si presenta con due anime: da una parte sembra relativizzare il tutto, nel senso che qualsiasi attività formativa sia intrapresa viene poi a mancare il corrispettivo nel mercato del lavoro, per cui è inutile andare alle ricerca di ulteriore specializzazione (ciò che invece si è verificato al nord); mentre l’altra anima è costituita da coloro che reclamano una maggiore coerenza, nella progettazione dei corsi, tra l’offerta formativa ed il mer- cato del lavoro locale. Tuttavia, va subito sottolineato che le due posizioni trovano una bene diversa accoglienza tra gli interessati sul piano quantitativo: infatti, la pri- ma ottiene consensi in oltre il 40% del campione degli inoccupati/disoccupati (42.9%), mentre la seconda è condivisa solo dal 10.5%. In conclusione, da qualsia- si punto si voglia guardare la questione, per la più gran parte “la sperimentazione non si tocca!”, come è stato già notato sopra. Tav. 24 - Con una qualifica diversa sarebbe stato più facile trovare lavoro? Il parere degli studenti e dei non occupati (base = 333) follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 66 67 CAPITOLO QUARTO GLI EX-ALLIEVI CHE SI SONO RITIRATI DURANTE LA FPI (Vittorio PIERONI - Guglielmo MALIZIA) Gli ex-allievi che per una qualsiasi ragione si sono ritirati durante i due anni della sperimentazione della FPI assommano complessivamente a 110: essi costitui- scono il campione “B”. Secondo l’impostazione utilizzata nel precedente capitolo, in un primo momento i soggetti sotto esame verranno considerati tutti assieme in base alle principali variabili di status; successivamente si passerà ad analizzare i dati ottenuti attraverso le schede n. 3 (compilata da coloro che al momento dell’in- chiesta erano già inseriti nel sistema produttivo, in tutto 52 pari al 47.3%) e n. 4 (riguardante gli inoccupati/disoccupati, 43 o il 39.2%, e coloro che avevano conti- nuato a studiare, 15 o il 13.6%). 1. IDENTIKIT DEGLI EX-ALLIEVI CHE NON HANNO PORTATO A TERMINE IL CORSO DI FPI A prescindere dalla suddivisione tra chi ha risposto alle schede n. 3 e 4 e, quin- di, tra chi, nonostante l’abbandono, al momento dell’inchiesta aveva già trovato la- voro (52) e chi no (58), i 110 risultano distribuiti in modi diversi sulla base di una serie di variabili relative all’Ente dove è stata frequentata la FPI, la circoscrizione geografica, il sesso, l’età, il settore del corso. Tav. 1 - Distribuzione dei ritirati in base agli Enti di appartenenza (base = 110) Anzitutto la distribuzione tra CNOS-FAP e CIOFS-FP si presenta in questo ca- so abbastanza equilibrata (cfr. Tav. 1): – 48 (43.6%) erano iscritti nei CFP del CNOS-FAP: sono tutti maschi e frequen- tavano corsi nel settore secondario; provengono pressoché da tutte le Regioni, ma ciò che li caratterizza è la quota di coloro che già lavorano (28 = 53.8% di questo gruppo) combinata con l’età più bassa (27 = 48.2%); – gli altri 62 frequentavano corsi nel CIOFS-FP: di essi 42 sono femmine e hanno partecipato a corsi del terziario; ciò che caratterizza questo gruppo è la forte presenza di disoccupati (30 = 69.8), unitamente alla residenza nelle follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 67 68 Regioni del centro-sud (44 = 62%) e ad un lieve prevalere della maggiore età (33 = 61.1%). Nella distribuzione per Regioni, la Sicilia, oltre al primato numerico di chi ha portato a termine il corso, ha anche quello degli abbandoni (31.8%), seguita da La- zio (27.3%) e Lombardia (15.5%); tutte le altre presentano quote al di sotto del 10%; al contrario, se considerati all’interno delle tre circoscrizioni geografiche, i ritiri ap- paiono più equamente distribuiti: il 35.5% al nord, il 27.3% al centro e il 37.3% al sud (cfr. Tav. 2). Tuttavia, ciò che li caratterizza è il riproporsi di due distinti gruppi di ex-allievi sulla base delle caratteristiche già individuate nel capitolo precedente, ossia l’uno formato da maschi, da minorenni, da chi ha frequentato il settore secon- dario, dai lavoratori, e da quanti sono presenti prevalentemente nelle Regioni del nord; e l’altro composto da femmine, dal terziario, da maggiorenni, dagli inoccupa- ti/disoccupati (più qualche studente) e da quanti risiedono soprattutto al sud. Tav. 2 - Distribuzione dei ritirati per zone geografiche (base = 110) La formazione dei due gruppi viene ancor più evidenziata dalla variabile di ge- nere (cfr. Tav. 3). Infatti, i maschi (65 = 59.1%) costituiscono una maggioranza re- lativa tra le Regioni del nord (74.4%) e in parte anche del centro (66.7%), tra i più giovani (62.5%), tra i lavoratori (73.1%) e in parte anche tra gli studenti/allievi (53.3%), tra chi ha frequentato corsi nel secondario (81%); mentre la componente femminile (42 = 38.2%) si presenta più compatta al sud (61%), tra i più anziani (42.6%), tra gli inoccupati/disoccupati (53.5%) e in parte anche tra gli studenti (40%), tra chi ha seguito la FPI del terziario (59.1%). Tav. 3 - Distribuzione dei ritirati in base al sesso (base = 110) L’età ripropone anche in questo caso una equa suddivisione tra chi ha fino a 18 anni (56 = 50.9%) e chi ne ha 19 o più (54 = 49.1%) (cfr. Tav. 4); come si è già os- servato in proposito nel precedente capitolo, la notevole consistenza del secondo gruppo potrebbe stupire, trattandosi ex-allievi di corsi per l’obbligo formativo, ma non bisogna dimenticare che i giovani in questione hanno incominciato il corso del follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 68 69 di FPI nel 2000, cioè tre anni prima. Ognuna delle due fasce poi è connessa con una serie di variabili che le caratterizza coerentemente a quanto finora evidenziato. Tav. 4 - Distribuzione dei ritirati in base all’età (base = 110) I ritiri si sono verificati in più della metà dei casi nei corsi del secondario (58 = 52.7% - cfr. Tav. 5) e meno nel terziario (44 = 40%), mentre non ha risposto il 7.3%. A sua volta il secondario si relaziona, coerentemente a quanto presentato nelle ta- vole precedenti, con una maggiore presenza di maschi (72.3%), di più giovani (57.1%), di lavoratori (61.5%) e in parte di studenti (53.3%), di residenti al nord (59%) e in parte nel centro (53.3%); mentre dal canto suo il terziario, come si sa, si intreccia preferibilmente con la componente femminile (61.9%), con i più anziani (48.1%), con gli inoccupati/disoccupati (48.8%) e con le Regioni del sud (51.2%). Inoltre va notato che nel secondario la quota più consistente di drop-out provie- ne dal settore meccanico (28 su 58 componenti il gruppo) e in parte anche dall’elet- tromeccanico (16), si tratta ovviamente di soli maschi, in gran parte del nord, ed è forse questa la ragione per cui almeno una metà ha trovato subito lavoro. Gli abban- doni nel terziario riguardano quasi esclusivamente i corsi per i servizi alle imprese (40 su 44) ed i componenti del gruppo paiono segnati da una serie di condizioni svan- taggiate (femmine, residenza nella Regioni del sud, inoccupati/disoccupati). Tav. 5 - Distribuzione dei ritirati in base al settore di iscrizione al corso (base = 110) L’ultima delle variabili comuni ai 110 che si sono ritirati lungo i due anni della sperimentazione della FPI riguarda le scelte effettuate dopo aver lasciato di frequentare e il tipo di condizione occupazionale al momento dell’inchiesta. follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 69 70 I dati presenti nella Tav. 6 attestano chiaramente che circa la metà dei ritirati è riuscita ugualmente a trovare lavoro (52 = 47.3%); la rimanente quota si suddivide tra una minoranza che ha ripreso a studiare (15 = 13.6%) ed una maggioranza inoc- cupata o disoccupata (43 = 39.1%). A sua volta il gruppo dei lavoratori è composto prevalentemente da maschi (58.5%), dai più giovani (41.1%), da chi era iscritto a corsi nel secondario (55.2%), dai residenti delle Regioni del nord (59%) e del centro (56.7%). L’altra quota di maggioranza (gli inoccupati/disoccupati) presenta le caratteristiche ormai ben note, ossia il prevalere della componente femminile (54.8%), dei più anziani (42.6%), della partecipazione a corsi del terziario (47.7%), della residenza nelle Regioni del sud (56.1%); mentre l’unica variabile che caratterizza chi ha ripreso a studiare è l’età più bassa (23.2%). 2. I RITIRATI CHE HANNO TROVATO LAVORO Gli ex-allievi che nonostante l’abbandono del corso hanno trovato lavoro sono 52, il 47.3% del gruppo dei ritirati. Inoltre, essi rappresentano circa un quarto di tut- ti gli occupati del campione “A” e di quello “B” (24.6%). A loro volta tutti gli oc- cupati costituiscono il 35% dell’insieme degli intervistati coinvolti nel sondaggio. I 52 lavoratori ritirati presentano caratteristiche peculiari in base ad alcune del- le principali variabili di status. Tav. 7 - Distribuzione dei ritirati che hanno trovato lavoro in base agli Enti (base = 52) Nella suddivisione per Enti ai cui corsi si erano iscritti per frequentare la speri- mentazione, 28 (53.8%) frequentavano i CFP del CNOS-FAP e gli altri 24 (46.2%) del CIOFS-FP; nel primo gruppo oltre alla presenza di soli maschi e del secondario prevalgono i minorenni ed i residenti al nord; nel secondo, composto esclusivamen- Tav. 6 - Distribuzione dei ritirati in base alla condizione occupazionale (base = 110) follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 70 71 te da femmine e dal terziario, si mettono in evidenza i maggiorenni ed i residenti al sud (cfr. Tav. 7). Si tratta di coordinate ormai ben note in quanto formate da varia- bili costantemente relazionate; invece tende ad assumere particolare interesse l’in- crocio dei dati sotteso al bisogno di ulteriore formazione: solo un terzo dei ritirati del CNOS-FAP avverte una tale esigenza (38.9% a fronte del 61.8% che non la sen- tono), mentre tra le fila di quanti hanno abbandonato il CIOFS-FP si registra un at- teggiamento esattamente opposto (61.1 contro il 38.9%). Nella provenienza dalle diverse zone geografiche i lavoratori si presentano più numerosi al nord (23 = 44.2%; Lombardia e Veneto), segue il centro (17 = 32.7%; Lazio) e soltanto 12 (23.1%) provengono dalle Regioni del sud (Sicilia). Circa tre su quattro sono maschi (38 = 73.1%) che si caratterizzano per le solite variabili; al con- trario le femmine che hanno trovato lavoro sono soltanto 13 (25%), quasi tutte di età più avanzata e due su tre frequentavano corsi nel secondario (32 = 61.5%; meccani- co/elettromeccanico) mentre un terzo quelli del terziario (18 = 34.6%; servizi al- l’impresa); l’incrocio con la domanda relativa al bisogno di formazione permette di evidenziare che esso viene particolarmente avvertito dalle più anziane. 2.1. L’esperienza lavorativa E tuttavia, prima ancora di analizzare l’esperienza era importante conoscere le motivazioni che avevano portato questi lavoratori ad abbandonare il corso prima del termine. Su questa domanda si possono fondare infatti due ipotesi, almeno per una certa quota del gruppo: quella di una offerta occupazionale prematura ma al tempo stesso accattivante al punto da ritenerla migliore dell’offerta formativa in atto; op- pure quella dell’insoddisfazione o del contrasto interno con il personale del CFP. Ed effettivamente attraverso la Tav. 8 si evince che la prima ipotesi trova con- ferma in una quota non indifferente di questo gruppo (22 = 42.3%). L’offerta occu- pazionale, prematura ma interessante, è avvenuta soprattutto nelle Regioni del cen- tro (47.1%) e del sud (66.7%) ed ha riguardato prevalentemente le ragazze (69.2%), la maggiore età (58.6%) e il terziario (50%). Dall’insieme di tali componenti si de- duce che queste attuali lavoratrici sono state messe di fronte ad occasioni che capi- tano piuttosto raramente stando nel meridione; data anche l’età, si è preferito co- gliere al volo l’opportunità che si presentava loro. Di esse, tuttavia, una quota nien- te affatto indifferente (38.9%) seppure non dichiari apertamente di essersi pentita della scelta, ammette comunque il bisogno di riqualificare ulteriormente le proprie competenze. L’altra ipotesi presa in considerazione trova riscontro in abbandoni dovuti a contrasti interni con operatori (9.6%) o a alla delusione provata nei confronti del corso (13.5%). Queste motivazioni, tuttavia, sono state espresse solo da circa uno su cinque del gruppo, quasi esclusivamente maschi, del nord. Il fatto stesso che nessuno del gruppo abbia dichiarato di avvertire alcun biso- gno di ulteriore formazione già di per sé attesta la scarsa volontà a partecipare a processi educativi, indipendentemente poi da come siano stati realizzati e/o dalla follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 71 72 loro riuscita. Quest’ultimo dato viene poi enfatizzato dal fatto che nessuno ha se- gnalato il primo item, quello relativo “all’iscrizione ad altra scuola o CFP”. Tav. 8 - Motivazioni dei ritirati che hanno trovato lavoro sottese all’abbandono del corso (base = 52) Sono in pochi ad ammettere un abbandono dovuto a motivazioni indipendenti dalla propria volontà, emergono piuttosto numerose “altre” cause ancora (28.8%) che, attraverso lo spoglio delle risposte aperte fanno risalire al bisogno di andare su- bito a lavorare oppure alla mancata voglia di studiare; per alcuni maschi viene ri- portato a giustificazione il servizio militare. Al tempo stesso è interessante notare come circa una metà di questo sottogruppo (44.4%) soltanto adesso avverta il biso- gno di ulteriore formazione. Questa prima serie di dati giustificativi dell’abbandono sembrerebbero invali- dare quasi del tutto l’ipotesi di fattori attribuibili ai contenuti e alla organizzazione della sperimentazione. Solo una minoranza ha abbandonato per contrasto o insoddi- sfazione, mentre i più hanno trovato opportunità da non perdere e per un terzo circa si è trattato di cause indipendenti dalla propria volontà. A questo punto era importante analizzare l’occupazione svolta dai 52 ex-allie- vi ritirati in base ad alcune variabili quali la posizione nel mondo del lavoro, il tipo di contratto, le modalità con cui si è riusciti a trovarlo. Partiamo anzitutto dall’analizzare la collocazione occupazionale e la disamina ha messo in evidenza i seguenti andamenti (cfr. Tav. 9): – oltre due su tre (34, il 65.4% del gruppo) al momento dell’inchiesta lavorano in qualità di dipendenti: si tratta per lo più di maschi (73.7% = 17 su 34), del nord (78.3%), che si erano iscritti a corsi del settore secondario (71.9%) e di cui una parte evidenzia un bisogno di formazione; – la rimanente quota è frammentata tra un gruppo che si è inserito in un’impresa familiare (15.4%), pochi altri che sono impegnati in una cooperativa (5.8%), un solo soggetto che svolge lavoro autonomo (1.9%) e l’11.5% fa presente altre so- luzioni ancora. follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 72 73 Più della metà dei ritirati è stata assunta con la qualifica di “apprendista” (28 = 53.8%; cfr. Tav. 10) e a uno su quattro (25%) è stata riconosciuta quella di “operaio” e in tutto questo più che il sesso e variabili connesse ha giocato la diversa apparte- nenza alle Regioni del nord e del sud, rispettivamente; non va trascurato poi quel 21.2% di risposte “altre” che si riferiscono a lavori occasionali e al nero. A questo punto è d’obbligo il confronto con il gruppo dei 159 lavoratori che hanno portato a termine il percorso formativo e a sorpresa troviamo che si ripropongono pressappo- co le stesse proporzioni tra apprendisti e operai, indipendentemente dal possesso o meno di una qualifica. Tav. 10 - I ritirati che hanno trovato un’occupazione sono stati assunti come: (base = 52) Un’altra domanda mirava ad analizzare la posizione contrattuale dei 52 lavora- tori che si sono ritirati (cfr. Tav. 11): – oltre la metà dei ritirati (51.9%) è assunta a tempo pieno (23=44.2%) o parzia- le (7.7%). Tali assunzioni sono state effettuate prevalentemente al nord (65.2%) ed hanno riguardato più i maschi che le femmine (50 e 30.8%, rispettivamente) e con i primi sono connesse l’età più bassa (60.9%) ed il settore secondario (53.1%). La più parte non avverte il bisogno di ulteriore formazione (50%), con tutta probabilità a significare che almeno per il momento si accontentano della posizione che hanno trovato; – un quarto è assunto con i contratti di formazione-lavoro (13=25%), stipulati per lo più al nord (47.8%) ed esclusivamente nei confronti dei maschi (34.2%) e del secondario (40.6%); la più gran parte non sembra avvertire il bisogno di ulte- riore formazione; – appena poco più del 10% (11.5%) è stato assunto con contratti a termine e/o sta- gionali (7.7%) o saltuari/occasionali (3.8%); – un altro 10% quasi (9.6%) lavora in aziende familiari, dove normalmente si re- Tav. 9 - Attività svolta dai ritirati che hanno trovato un’occupazione (base = 52) follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 73 74 gistrano lavori privi di contrattazione che però sono assicurati nella continuità dall’iniziativa parentale; – neppure un terzo dichiara lo stato di irregolarità nell’assunzione (17 = 32.7%): fenomeno che viene segnalato prevalentemente nelle Regioni del centro (41.2%) e del sud (50%) e tra i più anziani (41.4%), ma che coinvolge sia i ma- schi che le femmine. In proposito un dato confortante riguarda la richiesta, da parte di un buon numero di questi ex-allievi (44.4% = 8 su 17) di ritornare a ri- qualificare le proprie competenze. Tav. 11 - Tipo di contratto dei ritirati che hanno trovato un’occupazione* (base = 52) Lo scenario sull’intero fronte occupazionale si chiude con la richiesta di venire a sapere come è stato trovato il lavoro o, se del caso, chi ha fatto da intermediario. L’andamento dei dati presentati nella Tav. 12 non lascia spazio ad equivoci; per i ritirati le soluzioni sono state soprattutto di due tipi: – uno su cinque si è inserito nel sistema produttivo grazie all’iniziativa personale (12=23.1%); si tratta sia di maschi che di femmine, senza particolari distinzio- ni tra le variabili rilevanti; – mentre alla maggioranza ciò non è bastato, per cui per avere successo ha dovuto far leva su familiari, amici, insomma sulle persone “che contano” (30=57.7%); anche in questo caso non si rilevano differenze significative tra le variabili in osservazione. Tav. 12 - Canale tramite il quale si è trovato lavoro (base = 52 lavoratori) * I totali di colonna possono superare il 100% perché sono state date più risposte. follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 74 75 Confrontando invece questi dati con quelli dei lavoratori che hanno completa- to la sperimentazione della FPI emergono alcuni andamenti interessanti: mentre la quota di chi è riuscito da solo riguarda pressappoco un quinto di entrambi i gruppi, tra chi ha compiuto tutto il percorso soltanto un terzo ha dovuto ricorrere alle per- sone influenti, contro una quota quasi raddoppiata tra i ritirati; inoltre nel primo gruppo hanno avuto buon gioco anche le segnalazioni del CFP e le aziende dove è stato effettuato lo stage, mentre tra chi ha abbandonato pochissimi hanno potuto usufruire di questi vantaggi. Ulteriori confronti tra i lavoratori di entrambi i gruppi hanno permesso di giun- gere alle seguenti conclusioni: – oltre la metà è stata assunta come apprendista, indipendentemente che siano stati portati a termine o meno i due anni della sperimentazione, e quasi tutti la- vorano come dipendenti, a parte qualche raro inserimento in imprese familiari o cooperative; il lavoro autonomo o non è cercato o non sembra facilmente per- seguibile relativamente al contesto in osservazione; – gli assunti a tempo pieno o parziale sono pressappoco una metà sia tra i pos- sessori di una qualifica ottenuta attraverso il corso che tra i ritirati, e in entram- bi i casi si tratta per lo più dei residenti al nord e del secondario; è interessante notare che, tra i primi, i più svolgono un lavoro non coerente con la formazio- ne ricevuta, mentre tra i ritirati la maggioranza ritiene di non aver bisogno di ul- teriore formazione; – anche tra quanti non sono stati assunti regolarmente si registra un andamento parallelo che riguarda un terzo circa di ciascun gruppo e che in entrambi i casi scaturisce dai residenti del centro-sud; – infine anche nei contratti di formazione-lavoro si rilevano quote abbastanza vi- cine tra i due gruppi di lavoratori, una formula che sembra piuttosto indipen- dente rispetto alla formazione ricevuta. 2.2. Valutazione dell’esperienza formativa alla luce di quella lavorativa Seguendo la stessa impostazione adottata per i lavoratori che avevano portato a termine il corso, anche a questo gruppo si è fatta valutare la propria esperienza for- mativa alla luce di quella lavorativa. Tav. 13 - Sarebbe stato meglio continuare a studiare o andare a lavorare? L’opinione dei ritirati che hanno trovato un’occupazione* (base = 52) follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 75 A questo punto era anche d’obbligo chiedere, sempre al fine di completare il quadro sulla scelta organizzativa del corso, se rispetto a quanto appreso durante il periodo in cui è stato frequentato il corso di FPI, qualcosa è tornata utile per svol- gere l’attuale lavoro (cfr. Tav. 15). 76 Oltre la metà non dimostra nessun pentimento nei confronti della scelta effet- tuata a suo tempo di andare a lavorare (28 = 53.8%; cfr. Tav. 13). Si tratta per lo più di maschi, di residenti nel centro-nord, dei più giovani di età, di chi era iscritto a cor- si del secondario; un terzo di questo sottogruppo tuttavia adesso riceverebbe volen- tieri ulteriore formazione. Invece nell’altra metà, se si prescinde da una ridotta quota che non ha fatto co- noscere precisamente come la pensa (15.9% = altro + non risposte), tutti gli altri (un terzo circa del gruppo = 30.3%) sembrano essersi veramente pentiti di aver abban- donato il corso ed inoltre uno su quattro del gruppo preso nel suo insieme si dichia- ra disposto a iscriversi nuovamente (11.5%) o alla prossima occasione (15.4%); da notare come un tale bisogno scaturisca essenzialmente dai residenti delle Regioni del sud. In considerazione del fatto che a prescindere dai “duri” che non vogliono più sapere di stare tra i banchi di scuola, in fondo in fondo serpeggia anche in una par- te dei lavoratori che si sono ritirati un certo richiamo a “sapere di più” e/o a “conta- re di più” nel contesto operativo, abbiamo provato a completare la domanda nel ten- tativo di verificare se e quanto tra le cause dell’abbandono potrebbe essere preso in considerazione anche un errore di progettazione per aver preferito un corso piutto- sto che un altro, più vicino e pertinente ai bisogni dell’utenza. Appena 8 soggetti su 52 (15.4% - cfr. Tav. 14) ammettono che con una qualifi- ca diversa avrebbero portato a termine il corso. Se si prescinde da un gruppetto che dà “altre” soluzioni al problema (21.1%), in realtà per circa due su tre di questi ex- allievi la scelta non sarebbe stata differente (63.5%). Pertanto sembra che si possa scagionare l’organizzazione da ogni responsabilità per gli abbandoni che si sono ve- rificati durante i due anni della sperimentazione; inoltre la mancanza stessa di dis- criminazione tra le variabili caratterizzanti lo status dei rispondenti attesta di per sé di un atteggiamento abbastanza omogeneo e diffuso tra questi lavoratori. Tav. 14 - Con una qualifica diversa sarebbe stato più facile portare a termine il corso? L’opinione dei ritirati che hanno trovato un’occupazione (base = 52) follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 76 77 È scontato che ad ottenere i più alti consensi è inequivocabilmente l’area prati- ca o delle competenze professionali (46.2%), unitamente allo sviluppo delle capaci- tà personali (17.3%) e agli stage (11.5% - da notare però che nessuno al sud segna- la questi ultimi). Pochissimi, invece, hanno preso in considerazione l’utilità dell’a- rea teorica o dei saperi di base (7.7%). Il confronto con i lavoratori che hanno completato la sperimentazione tuttavia non lascia scampo ad ulteriori interpretazioni 1: anche in questo caso tutti i meriti vengono attribuiti alle competenze professionali acquisite nel corso e agli stage, seb- bene in un quinto dei casi si riconosca l’utilità delle conoscenze teoriche. Siamo giunti così alla domanda finale circa gli atteggiamenti di questo partico- lare gruppo. Ci si chiede: il fatto di trovarsi “scoperti” da qualifiche li induce a ri- flettere sull’opportunità di garantirsi un futuro professionale e di carriera, intrapren- dendo una ulteriore formazione o riqualificazione della propria professione? Tav. 16 - Quanti dei ritirati che hanno trovata un lavoro avvertono il bisogno di formazione (base = 52) L’atteggiamento più diffuso, intravisto tra i dati riportati nelle tavole preceden- ti, purtroppo adesso trova piena ed aperta conferma tra quelli riportati nella Tav. 16: – appena uno su tre infatti avverte il bisogno di porre riparo all’insuccesso prece- dente ed in questa decisione sicuramente ha avuto buon gioco l’esperienza la- vorativa in atto (18 = 34.6%; 12 sono maschi e 11 più anziani); la successiva ri- chiesta rivolta loro affinché specificassero di quale tipo di formazione avrebbe- ro bisogno propone nuovamente l’attivazione di corsi mirati ad ottenere titoli di qualifica, post-diploma e aggiornamento professionale; – dei rimanenti 34 (65.4%) “impermeabili” a qualsiasi altro tipo di formazione, 1 Cfr. la Tav. 16 del capitolo 3. Tav. 15 - Che cosa, di quanto appreso nel corso, è servito di più nell’esperienza lavorativa secondo i ritirati che hanno trovato un’occupazione* (base = 52) * I totali di colonna possono superare il 100% dato che erano ammesse più risposte. follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 77 78 26 sono ancora maschi e 23 appartengono al secondario; costoro rappresentano lo “zoccolo duro” del gruppo, in quanto si sono costantemente dimostrati con- trari ad ogni offerta di ripresa degli studi; ma ciò che li penalizza particolar- mente è la mancanza di orizzonte progettuale e, quindi, di un futuro professio- nale qualificante. 3. I RITIRATI ATTUALMENTE STUDENTI/ALLIEVI O INOCCUPATI/DISOCCUPATI Questo gruppo, costituito da 58 soggetti, rappresenta il 52.7% di chi non ha portato a termine i due anni della sperimentazione e il 14.8% di quanti, indipenden- temente dall’averla completata o meno, non risultano occupati. Inoltre, come per il sottocampione di quanti hanno concluso la FPI ma non lavorano, anche in questo ca- so si registra una suddivisione interna tra chi ha ripreso la formazione (15=25.9%) e chi al momento dell’inchiesta era ancora inoccupato/disoccupato (43=74.1%). Tav. 17 - Distribuzione dei ritirati studenti/inoccupati in base agli Enti di appartenenza (base = 58) Passando ad analizzare i 58 ritirati che non sono occupati alla luce delle princi- pali variabili di status, troviamo che: – nella distribuzione in base agli Enti di appartenenza (cfr. Tav. 17), il rapporto tra CNOS-FAP e CIOFS-FP è di un terzo (20 = 34.5%) e due terzi (38 = 65.5%). Il primo sottogruppo si caratterizza ovviamente per la presenza di soli maschi; inoltre, 18 su 20 erano iscritti a corsi nel settore secondario, soltanto 7 avevano ripreso a studiare, mentre gli altri 13 erano inoccupati o disoccupati. Oltre alla componente femminile e al terziario, ciò che contraddistingue il CIOFS-FP è la concentrazione al sud (21 su 38) e la condizione di inoccupa- zione/disoccupazione (30); – nella ripartizione incrociata tra circoscrizioni geografiche, sesso, settore dei cor- si e status occupazionale, troviamo ancor meglio rappresentata la realtà emersa sopra. Il 50% di questo gruppo è concentrato nelle Regioni del sud ed è com- posto prevalentemente da ragazze (20 su 29), della Sicilia (20 su 29): 23 su 29 sono rimaste inoccupate/disoccupate; 17 erano iscritte a corsi per i servizi al- l’impresa. Dal canto loro i maschi, se si prescinde dalla scontata iscrizione a corsi nel secondario (meccanico/elettromeccanico) e a una prevalente compo- nente di disoccupati (19 su 27), appaiono sparsi pressoché ovunque sul territo- rio nazionale. follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 78 79 Entrando più direttamente in merito allo condizione in cui si sono trovati que- sti 58 ex-allievi al momento dell’inchiesta, anche in tale caso le domande presenti nella scheda n. 4 intendevano ricostruire l’iter del dopo abbandono, per poi arrivare a dare una valutazione complessiva dell’esperienza fin qui condotta. Tav. 18 - Scelte operate dai ritirati studenti/inoccupati dopo aver abbandonato il corso (base = 58) Dopo aver lasciato il corso questo gruppo ha operato le seguenti scelte (cfr. Tav. 18): – la maggioranza relativa (16 = 27.6%) si è messa subito alla ricerca del lavoro, senza però riuscire a trovarlo; nella distribuzione geografica e per sesso appar- tengono pressoché a tutte le categorie, senza particolari discriminazioni, a par- te lo status attuale di inoccupati/disoccupati; – uno su cinque (20.7% - a leggera prevalenza di maschi e della minore età) si è iscritto ad altri corsi che da una successiva domanda è emerso che erano rivol- ti in ugual misura al passaggio alle superiori o alla prosecuzione della forma- zione professionale; – dei rimanenti un gruppo, a prevalenza femminile (9 su 12), del terziario e con- centrato al sud (9 su 12) si è messo in attesa di migliori opportunità; – nella quota niente affatto indifferente di risposte “altre” (31%) vanno ricercate esperienze lavorative andate male. Quasi tutti infatti hanno detto di essersi mes- si subito alla ricerca di lavoro, ma i più non l’hanno trovato; mentre quei pochi che sono riusciti nell’intento in seguito hanno dovuto abbandonarlo a causa di “condizioni inaccettabili”. Inoltre, qualcuno tra i maschi ha giustificato il pro- prio status di inattività in riferimento al servizio militare. Il confronto con il gruppo dei non occupati che però hanno portato a termine il corso è inevitabile e riporta ad analizzare le diverse scelte effettuate in termini so- prattutto di motivazione: – oltre la metà di costoro, infatti, ha deciso di incrementare ulteriormente la pro- pria formazione e competenze iscrivendosi ad altri corsi; dei rimanenti, pochis- simi si sono “seduti” in attesa di migliori opportunità, mentre tra gli inoccupa- ti/disoccupati sono in molti ad avvertire nonostante tutto il bisogno di riqualifi- care le proprie competenze professionali ma ne rimangono impediti da partico- lari condizioni di svantaggio (femmine+sud+terziario); e comunque manifesta- no di avere in campo “risorse/energie” tali da continuare ad operare scelte che prima o poi potranno verificarsi positive, pur di uscire dalla condizione attuale; follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 79 80 – ciò che invece fa la differenza con il gruppo dei ritirati che non sono occupati è lo stato di demotivazione di un quinto che probabilmente era già presente al momento di frequentare il corso e che, dopo averlo abbandonato, ha innescato una serie di scelte negative sommando a catena l’insuccesso ad altri insuccessi (abbandono+inoccupazione/disoccupazione+de-motivazione ad operare altre scelte di studio/lavoro...); è il caso di dire che gran parte di costoro si sono ve- ramente “seduti” o perché scoraggiati o, fantasticando chissà quali altre oppor- tunità, sono in attesa; mentre ciò di cui sono veramente carenti è la “mancanza di futuro”, ossia di quelle risorse/energie che danno la carica per impegnarsi ad andare, nonostante tutto, contro corrente. Rimanendo sempre in tema di motivazioni era interessante conoscere quali fat- tori hanno portato all’abbandono del corso (cfr. Tav. 19): – è difficile in questo caso ricostruire lo scenario degli abbandoni, dal momento che la quota più sostenuta si riferisce ai motivi “altri”; dallo spoglio delle poche risposte scritte, la ragione maggiormente condizionante sembra essere stata la mancata voglia di studiare, a cui si aggiungono varie altre cause come i proble- mi di salute, la lontananza da casa, il cambio di residenza, ecc.; – e tuttavia, se si prescinde dai motivi “altri”, le quote più rilevanti di segnalazioni riguardano una condizione di disagio latente imputabile, per alcuni (15 = 25.9), all’insoddisfazione nei confronti del corso e, per altri, a motivi di contrasto con il personale operativo (11 = 19%); l’insoddisfazione è stata espressa dalle don- ne del sud (12 su 15), di cui soltanto 2 hanno ripreso a studiare, in quanto pro- babilmente refrattarie a qualsiasi iniziativa formativa, mentre il contrasto ri- guarda pochi casi, che però si sono verificati in tutte le circoscrizioni; da nota- re come siano in tutto 4 (6.9%) coloro che motivano l’abbandono per iscriversi ad altre scuole e 4 perché hanno trovato lavoro. La dimensione motivazionale trova ulteriore risalto dal confronto con i 52 riti- rati che lavorano: a determinare la scelta di abbandonare nel loro caso non è stata tanto l’insoddisfazione verso il corso o il contrasto con gli operatori, quanto piutto- sto l’aver trovato un’opportunità occupazionale prematura ma accattivante al tempo stesso, ciò che lascia intendere che se essa non si fosse verificata probabilmente la più parte di costoro avrebbe portato a termine il corso. Invece nel caso di circa la metà dei ritirati non lavoratori l’accento viene messo sulla gestione stessa del corso; sebbene si tratti di una netta minoranza del campione, il dato tuttavia richiama ugualmente a riflettere sui fattori veicolanti questi abbandoni a causa di una gestio- ne non sempre all’altezza della situazione. follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 80 81 L’insoddisfazione verso il corso a sua volta richiama anche nei confronti di que- sto gruppo all’ipotesi se con una qualifica diversa sarebbe stato più facile portare a termine il corso (cfr. Tav. 20). Il dubbio è stato ben presto fugato perché secondo l’80% circa di questi soggetti ciò non avrebbe fatto differenza alcuna; sono in tutto 9 (15.5%) quelli che ammettono che sarebbe stato più facile, tuttavia soltanto 3 di loro hanno ripreso a studiare. Al fine di completare il quadro motivazionale, oltre ai fattori sottesi all’abban- dono, era importante venire a conoscere anche quelli relativi alla mancata occupa- zione (cfr. Tav. 21): – circa la metà ha fornito “altre” giustificazioni rispetto a quelle elencate nell’ap- posita domanda (22 = 44.8%); dallo spoglio delle risposte scritte risulta che a fare da denominatore comune sembra essere stata pure in questo caso la deci- sione di riprendere a studiare, anche perché c’è chi ha preso atto che “chi ha so- lo la scuola dell’obbligo ha poche scelte”; in ogni caso la mancanza di una qua- lifica è stata denunciata dalla gran parte di questo gruppo; incuriosisce il dato di chi ha ammesso di essere agli “arresti domiciliari”, a significare un servizio of- ferto non solo alle fasce più deboli ma anche il tentativo di venire incontro a quelle a rischio di devianza/emarginazione; Tav. 19 - Motivazioni dei ritirati studenti/inoccupati per l’abbandono del corso (base = 58) Tav. 20 - Con una qualifica diversa secondo i ritirati studenti/inoccupati sarebbe stato più facile portare a termine il corso (base = 58) Legenda: 1. per iscrizione ad altra scuola/CFP 2. per un’opportunità di lavoro che poi non si è realizzata 3. perché insoddisfatto del corso 4. per ragioni indipendenti dalla propria volontà 5. per contrasto con il personale del CFP 6. altro + NR follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 81 82 – i rimanenti hanno segnalato tra le cause più comuni la sfortuna (20.7% - le ra- gazze, il sud), la mancanza di un lavoro non corrispondente alle proprie aspira- zioni (15.5%), il non aver bisogno al momento di lavorare (10.3%), il servizio militare da fare (10.3%) e la mancanza delle conoscenze che contano (6.9%). Tav. 21 - Motivi per cui non i ritirati studenti/inoccupati non lavorano* (base = 58) Andamenti e giustificazioni del tutto simili a quelli espressi dal gruppo dei non occupati che però hanno portato a termine la sperimentazione, per cui si può ritene- re che si tratta di un “effetto collaterale”, quello relativo alla mancata occupazione, che poco o niente ha a che fare con il corso. Le ragioni vanno ricercate altrove, nel- la decisione di proseguire gli studi, nella personalità dei soggetti in osservazione e nel sistema produttivo locale. A conferma di quanto espresso sopra sulla demotivazione di una minoranza di questo gruppo nei confronti di qualsiasi attività di studio, viene la domanda circa un avvertito bisogno di ulteriore formazione (cfr. Tav. 22). Tav. 22 - Ritirati studenti / inoccupati che avvertono il bisogno di ulteriore formazione (base = 58) * I totali di colonna possono superare il 100% dato che erano ammesse più risposte. Legenda: 1. non ha trovato un lavoro adatto alle proprie aspirazioni 2. al momento non ha bisogno di lavorare 3. in attesa del servizio militare 4. per mancanza di conoscenze che contano 5. a causa della sfortuna 6. altro + NR Se, tra i ritirati che erano occupati, almeno uno su tre ha percepito l’esigenza di porre riparo all’insuccesso manifestando l’interesse a formarsi ulteriormente, nel gruppo in esame una tale preoccupazione riguarda solo il 17.2%, mentre la metà ha dichiarato apertamente di non volerne sapere (50% - dai 19 anni in poi) e i rimanenti follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 82 83 non hanno risposto (32.8% - i minorenni). In questo caso, quindi, lo “zoccolo duro” impermeabile alla formazione è ancora più consistente. Probabilmente ciò è dovuto al fatto che, non dovendosi confrontare con le mansioni da svolgere, avvertono di meno il bisogno di acquisire sempre nuove competenze. follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 83 follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 84 Parte III - SINTESI CONCLUSIVA, BIBLIOGRAFIA, APPENDICI follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 85 follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 86 87 CAPITOLO QUINTO SINTESI DEI RISULTATI DELLA SPERIMENTAZIONE. SUGGERIMENTI E PROVOCAZIONI (Guglielmo MALIZIA - Vittorio PIERONI) Il capitolo è strutturato in tre sezioni principali. La prima richiama il quadro di riferimento entro il quale si colloca la presenta ricerca-azione, i suoi obiettivi e la sua metodologia; la seconda, più corposa, offre una sintesi dei risultati dei campio- ni “A” e “B” suddivisi tra i sottogruppi più significativi, mentre la terza fornisce una visione trasversale riassuntiva delle conclusioni maggiormente rilevanti, con indica- zioni circa le aree della sperimentazione da potenziare. 1. OBIETTIVI E METODOLOGIA DELL’INDAGINE Le indicazioni che vengono dalla letteratura più recente circa l’incidenza del- l’istruzione e della formazione sullo sviluppo economico attestano un superamento delle posizioni più negative del passato e il raggiungimento di una sintesi. Tuttavia, la relazione è tutt’altro che semplice e diretta: in altre parole non esistono automa- tismi per cui si possa affermare che qualsiasi investimento nel sistema educativo conduca necessariamente ai risultati voluti e, pertanto, non sono da escludere casi di eccessiva fiducia nelle strategie dell’istruzione e della formazione o di una scelta di modalità sbagliate di intervento. Al tempo stesso va affermato che non è pensabile per un Paese realizzare una politica per lo sviluppo senza il sostegno di una popola- zione adeguatamente formata, in particolare se si tiene conto dell’attuale fase di esplosione delle conoscenze e di espansione della tecnologia. Pertanto, si può dire che l’educazione è il fattore principale dello sviluppo a condizione che la sua tradu- zione in un progetto concreto corrisponda alle esigenze proprie di ciascun Paese. L’attuale recupero della centralità del capitale umano e della relazione tra istru- zione e formazione da una parte e istruzione dall’altra è certamente dovuta all’af- fermarsi del paradigma interpretativo cosiddetto “interattivo” (determinante non è solo la domanda di lavoro, ma anche la relazione tra questa e la qualità dell’offerta) rispetto a quello “domandista” della teoria del capitale umano (il fattore decisivo è l’analisi della domanda di lavoro espressa dal mercato). Tuttavia anche il modello interazionista ha i suoi limiti. Esso, pur presentando un insieme di vantaggi rispetto a quello precedente (di cui supera l’autoreferenzialità del sistema economico in quanto valorizza le connessioni di quest’ultimo con il sistema educativo, il ruolo dell’istruzione e della formazione professionale iniziali e ricorrenti, l’attenzione al- le attitudini dei singoli, la sensibilità sociale, l’imparare ad apprendere, la concerta- zione e la negoziazione), tuttavia non incide se non marginalmente sull’assunto prin- follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 87 88 cipale del modello “domandista” secondo il quale il significato e il bene di ciascu- no vengono a coincidere con l’utile e il produttivo. L’occupabilità del soggetto as- surge a valore fondamentale e nessuno può discostarsi sostanzialmente dal modello di uomo o di donna che lo sviluppo economico di un certo periodo storico richiede. Diversa è la portata e l’incidenza di una impostazione “personalista” che pon- ga al centro la persona e non il sistema economico o le imprese o l’occupabilità. In questo caso è la persona che diviene il fine a cui vengono subordinati la crescita e i processi di istruzione/formazione. Pertanto, lo sviluppo non ha senso se dovesse le- dere anche un solo soggetto. L’istruzione e la formazione non hanno valore in se stesse, ma in quanto sono considerate da ciascuno uno strumento significativo per perfezionarsi e rendersi migliore. Inoltre esse non si giustificano in quanto esigenze oggettive del tempo, ma perché le persone vi riconoscono un’esperienza che le fa crescere. Livelli anche molto elevati di crescita economica e una estrema diffusione dell’istruzione e della formazione non sono sufficienti, se al tempo stesso non ren- dono più persona ogni persona. Non è accettabile che la realizzazione dell’uomo si riduca al suo lavoro: il percorso da realizzare è invece quello opposto di rendere il lavoro, l’occupabilità e l’economia strumenti per sviluppare al pieno ogni persona e tutta la persona. Recentemente nel nostro Paese l’occupazione sta aumentando e si consolidano anche gli andamenti positivi che si sono registrati negli ultimi anni. Anche i dati sulla disoccupazione, presentano un andamento senz’altro favorevole. Riguardo poi alla transizione dei giovani al mondo del lavoro il panorama generale degli ul- timi anni in materia si presenta più positivo e dinamico che non quello del periodo precedente. L’analisi dei dati per quanto riguarda il rapporto tra istruzione/formazione e mercato del lavoro conferma le conclusioni derivanti dalla letteratura recente ri- chiamate sopra, su una relazione favorevole che, però, è tutt’altro che semplice e di- retta. Infatti, se è vero che tutti i giovani incontrano serie problematiche al momen- to dell’inserimento nel sistema produttivo a ridosso dell’ottenimento del titolo di studio, tuttavia è anche vero che la condizione più difficile riguarda i giovani che non hanno conseguito titoli o ne posseggono solo di bassi. Pertanto, si può afferma- re che i diversi titoli di studio vengono a costituire sempre più un fattore decisivo nell’inserimento nel sistema produttivo. Va subito precisato in riferimento all’og- getto della presente ricerca che in ogni caso i dati confermano la valenza occupa- zionale delle qualifiche della FP. In questo quadro teorico e fattuale si può affermare che la riforma Moratti (leg- ge n. 53/2003) si caratterizza per l’adozione senza remore del modello “personali- stico” dei rapporti tra istruzione e formazione da una parte e sviluppo socio-econo- mico dall’altra. In proposito va ricordato che all’interno di una impostazione “per- sonalista”, l’istruzione e la formazione non costituiscono due itinerari separati e ge- rarchizzati, il primo di serie A e il secondo di serie B. La concezione secondo la qua- le prima viene l’istruzione e per una durata la più lunga possibile, in quanto realiz- zante e liberante, e successivamente la formazione, purché più avanti nella carriera follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 88 89 dell’allievo in quanto a rischio di unilateralismo e di perpetuazione della marginali- tà sociale, risulta priva di fondamento. I due percorsi sono modalità alla pari del- l’educazione, forme diverse di apprendimento e di sviluppo della personalità, occa- sioni di realizzazioni di autentiche vocazioni specifiche. Tutto questo sembra presente nella riforma Moratti in particolare nella scelta di introdurre un percorso graduale e continuo di formazione professionale parallelo a quello scolastico e universitario dai 14 ai 21 anni, che porti all’acquisizione di qua- lifiche e titoli. Infatti, la formazione professionale non può più essere concepita co- me un addestramento finalizzato esclusivamente all’insegnamento di destrezze ma- nuali, né la distinzione con l’istruzione va vista nel fatto che questa si focalizza nel- l’acquisizione di saperi in qualche misura astratti rispetto al contesto, mentre quella si occupa della loro realizzazione nel mercato del lavoro o nel fatto che l’oggetto è differente, essendo la cultura del lavoro quello proprio della formazione professio- nale, perché anche la scuola si interessa di cultura del lavoro. La formazione pro- fessionale non è qualcosa di marginale o di terminale, ma rappresenta un principio pedagogico capace di rispondere alle esigenze del pieno sviluppo della persona se- condo un approccio specifico fondato sull’esperienza reale e sulla riflessione in or- dine alla prassi che permette di intervenire nel processo di costruzione dell’identità personale. Questo tuttavia non significa che sia la stessa cosa dell’istruzione: cono- scere con l’obiettivo principale di agire, costruire e produrre non può essere confu- so con il conoscere e agire con l’intento prioritario di conoscere. In questa prospettiva i progetti formativi finalizzati all’orientamento e all’ac- compagnamento al lavoro diventano un elemento centrale di mediazione, costitui- scono un “anello” di interconnessione tra il singolo utente (qualunque sia la catego- ria di appartenenza), il sistema delle istituzioni educative e le istanze del mondo economico e produttivo. Rappresentano in ultima analisi una “leva del cambio” del sistema sociale. Per i soggetti in età evolutiva, in particolare, ciò significa uno specifico impe- gno formativo alle scelte, quale parte integrante del processo educativo in generale, in vista del raggiungimento di una certa maturità professionale e dello sviluppo di attitudini, interessi e valori necessari per far fronte al cambiamento che avviene nel mondo dell’occupazione. Inoltre, per la collettività presa nel suo insieme si richie- de l’acquisizione di una mentalità attenta alla “trasversalità”, ossia a un “lavoro di rete” collaborativo, in un’ottica di superamento di cementati confini di appartenen- za. Tutto questo suppone al tempo stesso un’azione coordinata che permetta l’inte- grazione, in forma articolata, tra destinatari del servizio, sistemi educativi pubblici e privati, mondo del lavoro, presenza delle amministrazioni locali e investimento nelle risorse del territorio. All’interno di queste strategie anche le attività di orientamento e accompagna- mento al lavoro si presentano come un processo ampio e complesso che coinvolge il singolo e la collettività. È la risultante dello sforzo incrociato di molteplici istitu- zioni educative ed agenzie sociali (FP, scuola, università, famiglia, gruppi, associa- zioni, aziende, ecc.), di svariate figure professionali e di diverse parti sociali, politi- follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 89 90 che ed economiche in gioco. Ciò suppone un’azione coordinata che permetta l’inte- razione, in un sistema triadico articolato, tra mercato del lavoro, formazione/istru- zione e soggetti destinatari del servizio. La presente rilevazione, che fa parte di un più ampio progetto di indagine, av- viato nel 2000, intende contribuire allo sviluppo della formazione professionale con- testualmente e in sinergia con la riforma in corso del sistema educativo di istruzio- ne e di formazione. Più specificamente, l’innovazione, a cui il progetto complessi- vo si è collegato al momento del suo inizio nel 2000, era costituita dall’introduzio- ne dell’obbligo formativo fino a 18 anni di età che aveva riconosciuto alla forma- zione professionale lo statuto di “sistema formativo specifico” in rete con quello dell’istruzione e in stretto contatto con il mondo del lavoro. Tuttavia, il salto di qua- lità che si è prodotto allora nella legislazione sulla formazione professionale è av- venuto più in linea di principio che nella realtà, perché le conseguenze positive del- l’innovazione introdotta con la legge n. 144/49 sono state praticamente annullate dagli effetti combinati delle leggi n. 9/99 e n. 30/2000. Una ripresa del processo di riforma può venire senz’altro dall’approvazione del- la legge delega Moratti, n. 53/2003. Come si è detto sopra, questa sembra da una parte riconoscere pari dignità formativa alla formazione professionale e dall’altra rispondere in maniera soddisfacente alle esigenze di formazione degli adolescenti e dei giovani che hanno “l’intelligenza nelle mani”, prevedendo un percorso graduale e continuo di formazione professionale, parallelo a quello scolastico e universitario, dai 14 ai 21 anni. Comunque, tale risultato positivo è tutt’altro che scontato non so- lo per le resistenze all’innovazione che si manifestano in vari modi, ma anche per- ché la riforma Moratti è una legge di principi e ha bisogno di decreti attuativi ade- guati per essere messa in pratica. Di qui l’importanza di verificare i risultati della sperimentazione della FPI, realizzata nel 2000-02, nel momento della transizione al mondo del lavoro o della prosecuzione della formazione, come ha tentato di fare il presente progetto di “follow-up”. 2. SINTESI DEI PRINCIPALI RISULTATI EMERSI DAI CAMPIONI “A” E “B” Questa sezione intende fornire una visione complessiva degli orientamenti più significativi che sul piano dei dati è possibile trarre dall’andamento della ricerca- azione. Il filo rosso del discorso è costituito dai campioni “A” e “B” e dalle loro ar- ticolazioni interne. 2.1. Gli ex-allievi che hanno portato a termine i due anni della sperimentazione L’identikit di questo gruppo si caratterizza anzitutto per l’appartenenza ai due Enti, che a loro volta sono all’origine di due catene di variabili intrecciate: – il CNOS-FAP comprende i due terzi del gruppo, caratterizzati dalla prevalente presenza di maschi, di iscritti a corsi del settore secondario e dei più giovani (fi- follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 90 91 no a 18 anni: 70.5%; 177 su 305); variabile quest’ultima che sicuramente ha esercitato una incidenza significativa sulla scelta di continuare a studiare che è stata adottata dalla metà circa di questo sottocampione; – mentre nel CIOFS-FP il gruppo delle variabile connesse con l’appartenenza al- l’Ente è costituita dalla prevalente presenza di femmine, da una età più avanza- ta, dagli iscritti ai corsi del terziario. Al fine di verificare il successo della sperimentazione era opportuno rilevare quanti, tra coloro che avevano portato a termine i due anni del corso, avevano la- sciato il CFP qualifica alla mano: – è senz’altro positivo che l’88.8% di chi ha frequentato l’intero biennio, cioè la più gran parte, abbia conseguito tale titolo; – al tempo stesso va rilevato che 55 (pari all’11.2% del gruppo) non sono riusci- ti a raggiungere tale traguardo1; di essi nonostante tutto 6 (3.8%) avevano già trovato lavoro; – un altro segnale favorevole va identificato nel fatto che al momento del moni- toraggio il 70.7% tra i qualificati lavorava (30%) o aveva proseguito la forma- zione (40.7%), mentre la quota inoccupata/disoccupata ammontava al 29.3%; – il maggior numero dei qualificati proviene dai corsi del comparto secondario, con particolare riferimento alla meccanica ed elettromeccanica, mentre nel ter- ziario si rilevano quasi esclusivamente qualifiche nei servizi alle imprese. Il confronto tra i settori di appartenenza dei qualificati e le loro successive scel- te ha permesso di rilevare che: – entrambi i comparti hanno consentito l’ingresso immediato o in tempi abba- stanza contratti nel sistema produttivo al 30% degli ex-allievi, e più in partico- lare al 28.8% dei qualificati del settore secondario e al 31.2% del terziario; a sua volta il gruppo dei lavoratori appare abbastanza equamente distribuito all’inter- no delle variabili quali sesso, età, zona geografica; – nel secondario il 52.3% ha avvertito il bisogno di continuare a studiare, mentre nel terziario tale urgenza è stata sentita da poco più di un quinto (23.1%); in pratica, tra coloro che hanno ripreso a studiare si mettono in evidenza i maschi, l’età fino ai 18 anni, il nord, il settore secondario; si può ipotizzare che sulla de- cisione di proseguire la formazione abbia almeno in parte pesato la variabile età, dal momento che quella minore è correlata al secondario, mentre nel ter- ziario prevalgono quanti hanno compiuto i 19 anni o più; – nel terziario quasi la metà degli ex-allievi (45.7%) è rimasto inoccupato o co- munque ha dichiarato di essere disoccupato al momento dell’inchiesta, feno- meno che tra le fila del secondario riguarda meno di un quinto degli intervista- ti (18.8%); di fatto tra chi è rimasto ancora inoccupato/disoccupato si trovano 1 O comunque non hanno dato risposta al riguardo. In proposito va precisato che soltanto 12 lo hanno ammesso esplicitamente. follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 91 92 soprattutto le femmine, gli ex-allievi più anziani, il sud, il terziario; in questo caso un peso maggiore potrebbe essere stato esercitato dalla differente condi- zione che attraversa il Paese da nord a sud. 2.1.1. Gli ex-allievi che hanno trovato lavoro alla conclusione del biennio di sperimentazione Si tratta di 159 soggetti e rappresentano un terzo circa (32.3%) del gruppo di chi ha portato a termine la FPI. Non tutti sono riusciti a farlo con successo in quanto 28 (circa uno su cinque degli occupati) non hanno conseguito la qualifica; nonostante ciò, come si è già messo più volte in risalto, essi hanno trovato ugualmente un lavoro. Preso nell’insieme, questo gruppo si presenta abbastanza equamente suddiviso nell’appartenenza ai due Enti. Anche all’interno delle due catene di variabili (sesso/settore) che ad essi si collega si riscontra una distribuzione sufficientemente proporzionata. Il 50% quasi è riuscito a trovare un lavoro rispondente alla qualifica ottenuta e un altro quinto uno parzialmente tale. A sua volta il 30% circa ha dovuto acconten- tarsi (almeno temporaneamente) del tipo di occupazione che era disponibile, seppu- re diverso dalle competenze apprese durante i due anni. L’andamento è abbastanza soddisfacente e rinvia per gli aspetti meno positivi alle responsabilità degli Enti lo- cali anzitutto, ma anche dei Centri, nella programmazione dei corsi in modo che corrispondano in maniera più adeguata alla domanda del territorio. L’80% quasi degli occupati svolge un lavoro dipendente e oltre la metà in qualità di apprendista, mentre un quinto circa come operaio. Gli assunti regolar- mente a tempo pieno o parziale nell’insieme raggiungono quasi la metà dei lavora- tori; ad essi si aggiunge un terzo che può contare su un contratto di formazione-la- voro, mentre minoranze esigue indicano anche la presenza di contratti occasionali, a termine, periodi di prova o l’inserimento in aziende di famiglia; nei confronti di un 35.2% si registra tuttavia la mancanza di una regolare assunzione. L’andamento dei dati mette in evidenza che, pur essendoci stato un buon riconoscimento da parte del sistema delle imprese nei confronti dell’attività formativa e delle qualifiche, tuttavia questo non è stato pieno e tale fenomeno negativo ha riguardato una porzione con- sistente dei lavoratori. In altre parole non sempre si è tenuto conto, soprattutto nel- le regioni del sud, dell’esperienza formativa da cui erano appena usciti questi gio- vani e del “rispetto” dovuto loro in base al titolo conseguito. È senz’altro positivo il dato secondo cui il 71% degli ex-allievi occupati sono entrati nel sistema produttivo entro tre mesi dal termine della sperimentazione. Es- so però va visto anche in relazione alla percentuale di quanti non sono stati regolar- mente assunti e in rapporto a questi ultimi potrebbe anche attestare un atteggiamen- to “predatorio” e privo di scrupoli da parte dei datori di lavoro: questi giovani infat- ti “fanno gola” sul mercato del lavoro per la formazione ricevuta e per il marchio di qualità dell’Ente di estrazione, ma poi li si impiega a proprio uso e consumo con la possibilità anche di liberarsene al momento giusto e/o di riciclarli a seconda delle opportunità. follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 92 93 Al contrario, il lato veramente positivo emerso da questo gruppo viene dalla valutazione della sperimentazione. I due anni del corso di FPI sono stati giudicati quasi all’unanimità, da coloro che l’hanno portata a termine, molto o abbastanza soddisfacenti (96.9%), in particolare dalla componente femminile, dai più anziani, da coloro che hanno frequentato il terziario, e in particolare da chi ha trovato co- erenza tra la formazione ricevuta e le mansioni svolte; le valutazioni negative sono limitate al “poco” e scaturiscono da appena il 3.1% del gruppo degli occupati. Es- sendo il gruppo degli insoddisfatti tanto ridotto, sono emerse ben poche indicazioni circa i cambiamenti da apportare e che, pertanto, non possono essere considerate rappresentative del campione; in ogni caso, esse offrono tre tipi di suggerimenti che non vanno a nostro parere sottovalutati: – allungamento della sperimentazione a 3 anni, per ottenere una specializzazione; – aumento del numero dello/degli stage ed estensione della loro durata; – introduzione di un livello più elevato di formazione in informatica e in inglese. Nei confronti del lavoro svolto, il numero dei soddisfatti rimane sostanzialmente immutato a parte una leggera diminuzione (93.1%), tant’è che assommano ad appena una decina circa le valutazioni negative emesse. In questo caso si dimostrano più positivi i maschi, gli iscritti ai corsi del secondario, coloro che hanno trovato una buo- na corrispondenza tra il lavoro svolto ed i corsi frequentati e gli ex-allievi del nord. Il confronto tra i dati sulla soddisfazione riguardo alla sperimentazione e al la- voro permette di fare alcune precisazioni circa l’andamento dei risultati tra i vari sot- togruppi. I maschi ed il settore secondario esprimono valutazioni leggermente più favorevoli nei confronti dell’esperienza lavorativa piuttosto che della formazione ri- cevuta; viceversa le femmine ed il terziario sono più positive nei confronti dei corsi che dell’attuale lavoro. Tra le Regioni, quelle del nord si evidenziano per manife- stare in entrambi i casi il consenso più elevato, mentre il centro-sud trova più diffi- cile valutare l’esperienza lavorativa nella stessa misura di quella formativa (che in- vece è stata ampiamente riconosciuta valida dappertutto, senza troppe differenze). Un’altra variabile che ha manifestato i più alti livelli di soddisfazione nei confronti di entrambe le esperienze riguarda coloro che hanno potuto sperimentare la coeren- za tra la formazione ricevuta e l’attività svolta. Da ultimo, i dati attestano che ciò che è servito a fare da “trait d’union” tra la soddisfazione provata per il lavoro svolto e la formazione ricevuta nei due anni della sperimentazione è l’influenza positiva esercitata da alcuni aspetti del corso di FPI. In particolare, si tratta dello sviluppo delle abilità professionali e degli stage, che hanno avuto una ricaduta diretta favorevole sull’attuale svolgimento delle mansioni. 2.1.2. Gli ex-allievi che al termine della FPI hanno proseguito la formazione o non hanno trovato lavoro Rispetto alla quota di chi ha portato a termine i due anni della sperimentazione il gruppo di chi ha continuato gli studi (studenti/allievi) o non è occupato (inoccu- pati/disoccupati) comprende oltre i due terzi degli intervistati (67.7%). Più in parti- follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 93 94 colare, i primi sono 193 (il 39.2% di chi ha portato a termine il corso ed il 58% del sottocampione in esame) e i secondi 140 (28.5% e 42%, rispettivamente). A sua volta il sottogruppo degli studenti/allievi è composto prevalentemente da maschi, dai più giovani, da chi ha frequentato corsi nel settore secondario e dai re- sidenti nelle Regioni del nord. Il sottogruppo degli inoccupati/disoccupati presenta caratteristiche diverse, ossia una leggera prevalenza di femmine, dei più anziani, di iscritti al terziario (90), e soprattutto di residenti nelle Regioni del sud/isole. Se nei loro confronti potrebbe scattare immediatamente l’ipotesi di una stretta relazione tra il loro status attuale e fattori di insuccesso al termine della sperimentazione, in realtà troviamo che soltanto 12 sono senza qualifica, per cui le ragioni vanno trova- te altrove, in particolare nella residenza che per oltre i tre quarti di loro si colloca nelle Regioni del sud. Circa due su tre appartengono al CNOS-FAP (63.7%) e l’altro terzo al CIOFS- FP (36.3%); ciascun gruppo è caratterizzato dai soliti tratti specifici quanto al ses- so, alla collocazione geografica e al settore di qualifica. Al tempo stesso i dati dis- aggregati evidenziano status differenziati a seconda dell’età: nel gruppo di coloro che hanno deciso di proseguire la formazione quanti hanno fino a 18 anni sono ol- tre i due terzi; mentre quelli che hanno compiuto almeno 19 anni a loro volta com- pongono oltre i due terzi della quota degli attuali inoccupati/disoccupati. Tra coloro che hanno proseguito la formazione, tre su quattro si sono iscritti a corsi di specializzazione. A questo proposito va ribadito che la maggioranza dei CFP del CNOS-FAP che si trovano nel nord e nel centro, attiva, dopo il corso biennale, un anno di specializzazione per cui la decisione di continuare gli studi costituisce una precisa scelta dell’allievo e non è determinata dal fatto che non si è trovato un lavo- ro. In ogni caso si tratta di un dato di cui bisognerà tener conto nel mettere a regime il sistema di istruzione e di formazione professionale, dal momento che la quota di chi ha ripreso a studiare non è niente affatto indifferente, ma riguarda il 40% di quan- ti hanno portato a termine la sperimentazione. Inoltre, l’andamento ricordato offre elementi per affermare che l’attuazione della riforma Moratti che prevede un corso triennale per il conseguimento della qualifica sta procedendo nella giusta direzione. Tra chi non si è iscritto ad altri corsi una quota pari ad una cinquantina di sog- getti (il 37.7% di questo gruppo) avverte il bisogno di ulteriore formazione e/o di ri- qualificazione delle proprie competenze professionali, ma finora non lo ha fatto con tutta probabilità a causa di alcune condizioni di svantaggio che spesso si presentano abbastanza intrecciate tra loro (le femmine, l’età più avanzata, il centro-sud, il ter- ziario). Benché ambiscano anch’essi a frequentare corsi di specializzazione, a que- sti soggetti tuttavia andrebbe bene qualsiasi altra qualifica o tirocinio o patente di mestiere, pur di uscire dalla condizione attuale. Così come tra i lavoratori, anche tra gli studenti/allievi e inoccupati/disoccupa- ti si rilevano comunque alti consensi nei confronti della formazione ricevuta dalla quasi totalità del gruppo (96.3%); appena una decina gli insoddisfatti. Il confronto con la valutazione emessa dai lavoratori porta a rilevare tuttavia alcune differenze tra i due gruppi: follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 94 95 – anzitutto il gradiente di soddisfazione è rimasto sostanzialmente invariato; – inoltre le valutazioni più positive sono scaturite, tra i lavoratori, dal gruppo che fa capo alla componente femminile, mentre tra i non occupati dalla componen- te maschile e variabili intrecciate; – infine è interessante notare che mentre tra i lavoratori ciò che fa la differenza è la coerenza tra la formazione ricevuta ed il lavoro svolto, tra i non lavoratori questa stessa differenza passa tra chi ha ripreso a studiare e chi è rimasto tutto- ra inoccupato/disoccupato. Di conseguenza, se si poteva insinuare che nella ripresa degli studi avesse gio- cato una insufficiente preparazione fornita dalla sperimentazione, in realtà le più al- te valutazioni scaturite dalla quasi totalità del gruppo degli studenti/allievi (190 su 193) smentiscono del tutto una tale congettura. Pertanto, l’alto consenso nei confronti dei due anni della FPI, ottenuto quasi nella stessa misura dalle diverse componenti (maschi e femmine, secondario e terziario…), lascia intendere che la sperimentazione “non si tocca”; in altri termini, le scelte effettuate dopo il corso da chi attualmente si trova su posizioni contrapposte (lavoratori e non, studenti e dis- occupati...) non sono direttamente collegabili all’esperienza formativa. Una riprova in tal senso viene dal constatare che tutti indistintamente hanno in ugual misura valutato a pieni voti le competenze professionali e le abilità pratiche acquisite mediante il corso. Ciò sta a significare che in fondo la sperimentazione ha accontentato la generalità degli ex-allievi, grazie soprattutto alla praticità dell’offer- ta, indipendentemente poi dal tipo di inserimento successivo alla FPI. Infine un’ulteriore conferma a supporto della validità della sperimentazione vie- ne da un’apposita provocazione mirata a verificare se con una qualifica diversa sa- rebbe stato più facile trovare lavoro. La quasi totalità, se si esclude chi ha prosegui- to la formazione e che correttamente non ha risposto, ritiene che la situazione non sarebbe cambiata. Si sono chieste le ragioni specifiche per cui il gruppo degli studenti/allievi e de- gli inoccupati/occupati non è inserito nel lavoro: – soltanto un terzo ha fatto conoscere i fattori impedienti: per alcuni si tratta di non corrispondenza del lavoro alle proprie aspirazioni o alla qualifica conse- guita; per altri, soprattutto per coloro che non hanno bisogno di mettersi subito al lavoro, è questione di attendere migliori opportunità o di trovare le cono- scenze “giuste”; altri ancora non sono entrati nel mercato del lavoro perché so- no in attesa di fare il servizio militare; – quanto alla restante quota di due terzi, la quasi totalità ha fatto la scelta di pro- seguire la formazione, rinviando al termine del nuovo corso la ricerca dell’oc- cupazione. Tale opzione appare diversamente motivata in dipendenza soprattut- to dalle Regioni di residenza: gli ex-allievi del nord si richiamano per lo più al- l’esigenza di ottenere una specializzazione, in quanto la qualifica da sola non basta e le imprese in genere richiedono maggiorenni e/o personale dotato di maggior esperienza; per quelli delle Regioni del sud uno dei motivi principali è follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 95 96 la mancanza di occupazione localmente oppure, quando la si trova, si tratta di un lavoro mal retribuito o al nero. In entrambi i casi sono in molti a sostenere di aver pensato subito di rimettersi a studiare, manifestando espressamente il desiderio di accrescere le proprie competenze professionali; tuttavia c’è anche una minoranza che ammette di non essersi dato ancora da fare a cercare lavoro ed altri che sono ancora in attesa di concorsi, prove o test di assunzione o dei re- lativi risultati. 2.2. Gli ex-allievi che si sono ritirati lungo i due anni della sperimentazione Gli ex-allievi che per una qualsiasi ragione si sono ritirati durante i due anni della sperimentazione sono stati complessivamente 110, distribuiti in parti simili tra chi al momento del sondaggio aveva conseguito ugualmente un’occupazione (52 soggetti o 47.3%) e chi invece era rimasto ancora inoccupato/disoccupato o aveva ri- preso a studiare (58 o 52.8%). Considerati nell’insieme, i 110 ritirati si caratterizzano anch’essi per due grup- pi di variabili tra loro connesse che fanno capo ai due distinti Enti di appartenenza: – 48 (43.6%) erano iscritti nei CFP del CNOS-FAP: sono tutti maschi e ovvia- mente frequentavano corsi nel settore secondario; provengono pressoché da tut- te le Regioni, ma ciò che li caratterizza è la quota di coloro che già lavorano combinata con una età fino a 18 anni; – gli altri 62 frequentavano corsi nel CIOFS-FP: di essi 42 sono femmine e un’al- trettanta aliquota ha partecipato a corsi del terziario; ciò che distingue questo gruppo è la forte presenza di disoccupati, unitamente alla residenza nelle Re- gioni del centro-sud e ad un lieve prevalere delle età più elevate. I ritiri si sono verificati in più della metà dei casi nei corsi del secondario (58 = 52.7%) e meno nel terziario (44 = 40%). Inoltre va notato che nel secondario la quota più consistente di drop-out proviene dal settore meccanico e in parte anche dall’elettromeccanico; si tratta ovviamente di soli maschi, in gran parte del nord, ed è forse questa la ragione per cui almeno una metà ha trovato subito lavoro. Gli ab- bandoni nel terziario riguardano quasi esclusivamente i corsi per i servizi alle im- prese ed i componenti il gruppo paiono segnati da una serie di condizioni svantag- giate (femmine, residenza nella Regioni del sud, inoccupati/disoccupati). L’andamento di questi dati lascia intuire che nonostante tutto sussistono anco- ra alcune variabili territoriali condizionanti la dinamica dell’attività formativa in funzione occupazionale: chi vive nelle Regioni del nord può permettersi il lusso di abbandonare gli studi, tanto il lavoro lo trova ugualmente, mentre al sud si rischia più facilmente di rimanere ugualmente fuori dal sistema produttivo sia abbando- nando che portando a termine il corso. 2.2.1. I ritirati che hanno trovato lavoro Gli ex-allievi che nonostante l’abbandono del corso hanno trovato lavoro sono 52, il 47.3% del gruppo dei ritirati. Anch’essi si suddividono in parti equivalenti tra follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 96 97 gli Enti e si distinguono per le solite variabili tra loro connesse. Tuttavia, in questo caso ciò che fa la differenza è l’atteggiamento verso la formazione, nei cui confron- ti due maschi su tre presentano un elevato livello di disaffezione, mentre tra le fem- mine la stessa proporzione è a favore. E tuttavia, prima ancora di analizzare l’esperienza era importante conoscere le motivazioni che avevano portato questi lavoratori ad abbandonare il corso prima del termine. Su tale domanda si possono fondare infatti due ipotesi, almeno per una certa quota del gruppo: quella di una offerta occupazionale prematura ma al tempo stesso accattivante al punto da ritenerla migliore dell’offerta formativa in atto; oppure quella dell’insoddisfazione o del contrasto interno con il personale del CFP. Ed effettivamente la prima ipotesi trova conferma nella metà quasi dei lavora- tori. L’offerta occupazionale, prematura ma interessante, è avvenuta soprattutto nel- le Regioni del centro e del sud ed ha riguardato prevalentemente le ragazze, i più an- ziani e il terziario. Dall’insieme di tali componenti si deduce che queste attuali la- voratrici sono state messe di fronte ad occasioni che capitano piuttosto raramente stando nel meridione; data anche l’età, si è preferito cogliere al volo l’opportunità che si presentava loro. Di esse, tuttavia, una quota niente affatto indifferente, sep- pure non dichiari apertamente di essersi pentita della scelta, ammette comunque il bisogno di riqualificare ulteriormente le proprie competenze. L’altra ipotesi presa in considerazione trova riscontro in abbandoni dovuti a contrasti interni con operatori o a alla delusione provata nei confronti del corso. Queste motivazioni, tuttavia, sono state espresse solo da circa uno su cinque del gruppo, quasi esclusivamente maschi, del nord. Sono in pochi ad ammettere un abbandono dovuto a motivazioni indipendenti dalla propria volontà; emergono piuttosto numerose “altre” cause che secondo lo spoglio delle risposte aperte consistono nel bisogno di andare subito a lavorare op- pure nella mancata voglia di studiare; per alcuni maschi viene riportato a giustifica- zione il servizio militare. Al tempo stesso è interessante notare come circa una me- tà di questo sottogruppo soltanto adesso avverta il bisogno di ulteriore formazione. Questa prima serie di dati giustificativi dell’abbandono sembrerebbero invali- dare quasi del tutto l’ipotesi di fattori attribuibili ai contenuti e alla organizzazione della sperimentazione. Solo una minoranza ha lasciato il corso in anticipo per con- trasto o insoddisfazione, mentre i più hanno trovato opportunità da non perdere e per un terzo circa si è trattato di cause indipendenti dalla propria volontà. Passando poi a connotare i vari aspetti dell’esperienza lavorativa, oltre due su tre lavorano in qualità di dipendenti; in aggiunta più della metà è stata assunta con la qualifica di “apprendista” e a uno su quattro (25%) è stata riconosciuta quella di “operaio”. Più della metà è assunto a tempo pieno o parziale, un quarto con i con- tratti di formazione-lavoro, appena poco più del 10% con contratti a termine e/o sta- gionali o saltuari/occasionali, mentre un altro 10% lavora in aziende familiari; nep- pure un terzo dichiara lo stato di irregolarità nell’assunzione. Dal confronto con il gruppo dei lavoratori che hanno portato a termine il percorso formativo, quest’ulti- follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 97 98 mo dato conferma che una parte minoritaria, seppure consistente, del mondo pro- duttivo, prima ancora che al possesso di una qualifica e della qualità della forma- zione ricevuta, bada ad incardinare il nuovo arrivato nelle mansioni e nelle prassi bu- rocratiche meno obbliganti e/o meglio agevolanti l’azienda. In tutto questo più che il sesso e le variabili connesse hanno giocato la diversa estrazione dalle Regioni del nord o del centro-sud. Tali comportamenti inducono in ogni caso a riflettere sull’ur- genza di redigere i progetti finalizzati ad attività formative con la partecipazione at- tiva del mondo delle imprese, così da garantire una sempre migliore ottimizzazione degli investimenti nella risorsa-uomo. A completare il quadro viene poi il dato secondo cui per circa il 60% l’occupa- zione di questa forza-lavoro debole/non qualificata è stata il prodotto di una “con- trattazione clientelare” a livello parentale/amicale. Confrontando invece questi dati con quelli dei lavoratori che hanno completato la sperimentazione della FPI emer- gono alcuni andamenti interessanti: mentre la quota di chi è riuscito da solo riguar- da pressappoco un quinto di entrambi i gruppi, tra chi ha compiuto tutto il percorso soltanto un terzo ha dovuto ricorrere alle persone influenti, contro una quota quasi raddoppiata tra i ritirati; inoltre nel primo gruppo hanno avuto buon gioco anche le segnalazioni del CFP e le aziende dove è stato effettuato lo stage, mentre tra chi ha abbandonato pochissimi hanno potuto usufruire di questi vantaggi. Da ulteriori confronti tra i lavoratori di entrambi i gruppi, emerge che oltre la metà è stata assunta come apprendista, indipendentemente dal fatto che siano stati portati a termine o meno i due anni della sperimentazione, e che quasi tutti lavora- no come dipendenti, a parte qualche raro inserimento in imprese familiari o coope- rative; il lavoro autonomo o non è cercato o non sembra facilmente perseguibile re- lativamente al contesto in osservazione. Gli assunti a tempo pieno o parziale sono pressappoco una metà sia tra i possessori di una qualifica ottenuta attraverso il cor- so che tra i ritirati, e in entrambi i casi si tratta per lo più dei residenti al nord e del secondario; è interessante notare che, tra i primi, i più svolgono un lavoro non co- erente con la formazione ricevuta, mentre tra i ritirati la maggioranza ritiene di non aver bisogno di ulteriore formazione. Anche tra quanti non sono stati assunti rego- larmente si registra un andamento parallelo che riguarda un terzo circa di ciascun gruppo e che in entrambi i casi scaturisce dai residenti del centro-sud. Infine pure nei contratti di formazione-lavoro si rilevano quote abbastanza vicine tra i due grup- pi di lavoratori, una formula che sembra abbastanza indipendente rispetto alla for- mazione ricevuta. Seguendo la stessa impostazione adottata per i lavoratori che avevano portato a termine il corso, anche a questo gruppo si è fatta valutare la propria esperienza for- mativa alla luce di quella lavorativa. Oltre la metà non dimostra nessun pentimento nei confronti della scelta effet- tuata a suo tempo di andare a lavorare. Invece un terzo è dell’opinione opposta ed inoltre uno su quattro del gruppo preso nel suo insieme si dichiara disposto a iscri- versi nuovamente o alla prossima occasione. In sostanza a prescindere dai “duri” che non vogliono più sapere di stare tra i banchi di scuola, in fondo in fondo serpeggia follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 98 99 anche in una parte dei lavoratori che si sono ritirati un certo richiamo a “sapere di più” e/o a “contare di più” nel contesto operativo. E allora prima di chiudere con questo gruppo rimane ancora da chiarire il dub- bio se l’offerta formativa sia stata sempre e/o del tutto indovinata nei confronti dei bisogni di questa utenza o se progettando altri tipi di corso essa avrebbe conseguito un miglior successo. Tale perplessità viene ben presto fugato da almeno due su tre dei lavoratori ritirati, per i quali qualsiasi altro corso non avrebbe ottenuto miglior risultato e quel poco che è stato appreso, soprattutto in termini pratici, è stato sa- pientemente messo a buon frutto nel lavoro, per cui allo stato attuale ci si acconten- ta così. Per il progetto di sperimentazione questo dato non è di poco conto, in quan- to si aggiunge a tutti gli altri che di volta in volta hanno confermato che la proposta di FPI non è stata mai messa in questione e quindi l’insuccesso dovuto agli abban- doni va ricercato altrove, in altri fattori intervenienti. Infine era d’obbligo chiedersi: il fatto di trovarsi a lavorare “scoperti” da titoli di studio non induce questi giovani a riflettere sull’opportunità di garantirsi un futu- ro professionale e di carriera mediante il ricorso ad ulteriori studi? Appena uno su tre avverte il bisogno di porre riparo all’insuccesso precedente, riprendendo nei li- miti del possibile un iter formativo, ed in questa decisione sicuramente ha avuto buon gioco l’esperienza lavorativa in atto. Lo “zoccolo duro” del gruppo, gli “im- permeabili” a qualsiasi tipo di formazione è composto soprattutto da maschi, del se- condario; ciò che li penalizza particolarmente è la mancanza di orizzonte progettua- le e, quindi, di un futuro professionale qualificante. 2.2.2. I ritirati attualmente studenti/allievi o inoccupati/disoccupati Questo gruppo, costituito da 58 soggetti, rappresenta il 52.7% di chi non ha portato a termine i due anni della sperimentazione. Inoltre, come per il sottocam- pione di quanti hanno concluso la FPI ma non lavorano, anche in questo caso si re- gistra una suddivisione interna tra chi ha ripreso la formazione (15 = 25.9%) e chi al momento dell’inchiesta era ancora inoccupato/disoccupato (43 = 74.1%). Nella distribuzione per Enti di appartenenza ciascun gruppo è identificato, co- me sempre, dalle caratteristiche che gli sono peculiari in base al sesso e al settore di iscrizione. L’unica differenza consiste in un rovesciamento delle posizioni rispetto al gruppo dei non occupati che però avevano portato a termine il corso: in questo ca- so, infatti, due su tre appartengono al CIOFS-FP e in terzo al CNOS-FAP. Dopo aver abbandonato il corso, la maggioranza relativa, il 30% quasi, si è messa subito alla ricerca del lavoro, senza però riuscire a trovarlo, uno su cinque (a leggera prevalenza di maschi e dei più giovani) si è iscritto ad altri corsi che erano rivolti in ugual misura al passaggio alle superiori o alla prosecuzione della FP. Un gruppo, a prevalenza femminile, del terziario e concentrato al sud si è messo in at- tesa di migliori opportunità. Inoltre, nella quota niente affatto indifferente di rispo- ste “altre” (31%) vanno ricercate esperienze lavorative andate male: quasi tutti in- fatti hanno detto di essersi messi subito alla ricerca di lavoro, ma i più non l’hanno trovato; mentre quei pochi che sono riusciti nell’intento in seguito hanno dovuto ab- follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 99 100 bandonarlo a causa di “condizioni inaccettabili”; infine, qualcuno tra i maschi ha giustificato il proprio status di inattività con riferimento al servizio militare. Il confronto con il gruppo degli studenti/allievi o inoccupati/disoccupati che pe- rò hanno portato a termine il corso è inevitabile e riporta ad analizzare le diverse scelte effettuate in termini soprattutto di motivazione. Oltre la metà del gruppo appena ricordato, infatti, ha deciso di incrementare ul- teriormente la propria formazione e competenze iscrivendosi ad altri corsi; dei ri- manenti, pochissimi si sono “seduti” in attesa di migliori opportunità, mentre tra gli inoccupati/disoccupati sono in molti ad avvertire nonostante tutto il bisogno di ri- qualificare le proprie competenze professionali ma ne rimangono impediti da parti- colari condizioni di svantaggio (femmine+sud+terziario); e comunque manifestano di avere in campo “risorse/energie” tali da continuare ad operare scelte che prima o poi potranno verificarsi positive, pur di uscire dalla condizione attuale. Ciò che invece fa la differenza con il gruppo dei ritirati che non sono occupati è lo stato di demotivazione di un quinto che probabilmente era già presente al mo- mento di frequentare il corso e che, dopo averlo abbandonato, ha innescato una se- rie di scelte negative sommando a catena l’insuccesso ad altri insuccessi (abbando- no+inoccupazione/disoccupazione+de-motivazione ad operare altre scelte di stu- dio/lavoro, ecc.); è il caso di dire che gran parte di costoro si sono veramente “se- duti” o perché scoraggiati o perché fantasticando chissà di quali altre opportunità si sono messi in attesa; mentre ciò di cui sono veramente carenti è la “mancanza di fu- turo”, ossia di quelle risorse/energie che danno la carica per “darsi da fare”, ad an- dare nonostante tutto contro corrente. Rimanendo sempre in tema di motivazioni era interessante conoscere quali fat- tori hanno portato all’abbandono del corso. È difficile in questo caso ricostruire lo scenario degli abbandoni, dal momento che la quota più sostenuta si riferisce ai mo- tivi “altri”; dallo spoglio delle poche risposte scritte la ragione maggiormente con- dizionante sembra essere stato la mancata voglia di studiare, a cui si aggiungono va- rie altre cause come i problemi di salute, la lontananza da casa, il cambio di resi- denza, ecc. Se si prescinde dalle motivazioni appena citate, le quote più rilevanti di segnalazioni riguardano una condizione di disagio latente imputabile, per alcuni (25.9%), all’insoddisfazione nei confronti del corso e, per altri, a motivi di contra- sto con il personale operativo (19%); l’insoddisfazione è stata espressa dalle donne del sud, di cui soltanto 2 hanno ripreso a studiare, in quanto probabilmente refratta- rie a qualsiasi iniziativa formativa. La dimensione motivazionale trova ulteriore risalto dal confronto con i 52 riti- rati lavoratori: a determinare la scelta di abbandonare nel loro caso non è stata tan- to l’insoddisfazione verso il corso o il contrasto con gli operatori quanto piuttosto l’aver trovato un’opportunità occupazionale prematura ma accattivante al tempo stesso, ciò che lascia intendere che se essa non si fosse verificata probabilmente la più parte di costoro avrebbe portato a termine il corso. Invece nel caso di circa la metà dei ritirati non lavoratori l’accento viene messo sulla gestione stessa del corso; sebbene si tratti di una netta minoranza del campione, il dato tuttavia invita ugual- follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 100 101 mente a riflettere sui fattori veicolanti questi abbandoni a causa di una gestione non sempre all’altezza della situazione. L’insoddisfazione verso il corso a sua volta richiama anche nei confronti di que- sto gruppo all’ipotesi se con una qualifica diversa sarebbe stato più facile portare a termine il corso. Il dubbio è stato ben presto superato perché secondo l’80% circa di questi soggetti ciò non avrebbe fatto differenza alcuna; sono in tutto 9 quelli che ammettono che sarebbe stato più facile, tuttavia soltanto 3 di loro hanno ripreso a studiare. Al fine di completare il quadro motivazionale, oltre ai fattori sottesi all’abbando- no, era importante venire a conoscere anche quelli relativi alla mancata occupazione. Circa la metà ha fornito “altre” giustificazioni rispetto a quelle elencate nell’apposita domanda che pure in questo caso si sono concentrate sulla decisione di riprendere a stu- diare, anche perché c’è chi ha preso atto che “chi ha solo la scuola dell’obbligo ha po- che scelte”; in ogni caso la mancanza di una qualifica è stata denunciata dalla gran par- te di questo gruppo. I rimanenti hanno segnalato tra le cause più comuni la sfortuna e la mancanza di un lavoro non corrispondente alle proprie aspirazioni. Di fatto ci troviamo di fronte ad andamenti e giustificazioni del tutto simili a quelli espressi dal gruppo dei non occupati che però hanno portato a termine la spe- rimentazione, per cui si può ritenere che si tratta di un “effetto collaterale”, quello relativo alla mancata occupazione, che poco o niente ha a che fare con il corso. Le ragioni vanno ricercate altrove, nella decisione di proseguire gli studi, nella perso- nalità dei soggetti in osservazione e nel sistema produttivo locale. A conferma di quanto espresso sopra sulla demotivazione di una minoranza di questo gruppo nei confronti di qualsiasi attività di studio viene la domanda circa un avvertito bisogno di ulteriore formazione. Se tra i ritirati che erano occupati almeno uno su tre ha percepito l’esigenza di porre riparo all’insuccesso manifestando l’in- teresse a formarsi ulteriormente, nel gruppo in esame una tale preoccupazione ri- guarda solo il 17.2%, mentre la metà ha dichiarato apertamente di non volerne sa- pere (50%) e i rimanenti non hanno risposto (32.8%). In questo caso, quindi, lo “zoccolo duro” impermeabile alla formazione è ancora più consistente: probabil- mente ciò è dovuto al fatto che, non dovendosi confrontare con le mansioni da svol- gere, avvertono di meno il bisogno di acquisire nuove competenze. 3. RIFLESSIONI E PROVOCAZIONI A SEGUITO DELLA SPERIMENTAZIONE Il tentativo di voler dare alla sperimentazione una valutazione complessiva e di trarre al tempo stesso utili indicazioni da trasferire eventualmente ad altri conte- sti/iniziative simili, porta a ricomporre il quadro d’insieme dei dati attorno es- senzialmente ai tre piloni portanti dell’inchiesta: la condizione dei soggetti al mo- mento del rilevamento, la qualità della formazione erogata e l’inserimento nel siste- ma produttivo. follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 101 102 3.1. La situazione dei soggetti intervistati al momento del rilevamento Dei 492 ex-allievi del campione “A” che hanno portato termine i due anni della sperimentazione: – hanno ottenuto la qualifica in 437, pari all’88.8% del totale, mentre ammonta- no a 55 (11.2%) quelli che non hanno ottenuto tale titolo o non hanno risposto. Quest’ultimo dato non è del tutto soddisfacente e richiede un impegno ulterio- re per potenziare le strategie della pedagogia del successo formativo nella FPI; tuttavia, esso è senz’altro migliore di quello riscontrato nel 2001-02 relativa- mente al secondo anno degli istituti professionali con il 20% di non ammessi agli scrutini o degli istituti tecnici con il 13.1% (Sugamiele, 2003, p. 238); – inoltre, sempre di questo gruppo 159 (32.3%) al momento dell’inchiesta erano già inseriti nel sistema produttivo e tra essi il numero dei lavoratori in posses- so della qualifica riguardava 131, cioè la più gran parte (82.4%); 193 (il 39.2%) avevano ripreso a studiare; e altri 140 (il 28.5%) erano rimasti disoccupati o erano ancora inoccupati. A loro volta tra i 110 ex-allievi del campione “B” che si sono ritirati: – 52 (il 47.3% di questo gruppo) avevano trovato lavoro; – 15 (il 13.6%) avevano ripreso a studiare; – 43 (il 39.1%) erano rimasti disoccupati o erano ancora inoccupati. 3.2. Valutazione positiva della sperimentazione della FPI Il lato veramente positivo emerso dalle fila di coloro che hanno portato a ter- mine la sperimentazione viene dai dati relativi alla valutazione del corso, da cui so- no usciti rimanendo quasi all’unanimità soddisfatti, indipendentemente dal fatto poi di aver trovato o meno un’occupazione o di aver continuato la loro formazione. Tra coloro che si sono ritirati, solo 38 pari al 34.5% di questo gruppo motiva- no l’abbandono perché insoddisfatti del corso e per contrasti con il CFP. Tale dato porta di conseguenza a ritenere che nella maggior parte dei casi la conduzione del- la sperimentazione non può essere messa in discussione per l’ insuccesso di quanti hanno abbandonato. Questo tuttavia non esime dall’accogliere critiche e proposte di miglioramento. In particolare sono stati suggeriti alcuni “piccoli ritocchi” nell’organizzazione della sperimentazione, riferiti particolarmente all’introduzione dell’informatica e dell’in- glese a livello elevato e alla progettazione di un terzo anno, finalizzato al consegui- mento di una specializzazione. In riferimento all’orientamento si possono citare la coerenza almeno parziale tra la qualifica ottenuta e l’occupazione che viene indicata dal 70% degli ex-allievi che hanno trovato un lavoro dopo aver terminato il biennio della sperimentazione. A questo va aggiunto che le condizioni problematiche soprattutto nel Mezzogiorno, in linea con i dati nazionali sulla occupazione e legate al contesto sociale ed economi- co, oltre a denunciare le responsabilità politiche, a livello di governo, di enti locali follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 102 103 e di imprese, inducono a riflettere per una fase di programmazione il più possibile legata ad uno studio più accurato del mercato del lavoro locale. Il mancato aggancio tra il sistema formativo e quello del mercato del lavoro è consistito infatti, nel for- marsi di una catena intrecciata di variabili riferite a segmenti deboli della popola- zione, in merito soprattutto allo stato di inoccupazione/disoccupazione (femmine+ terziario+età avanzata). In proposito bisogna tenere presente anche la mancata cor- rispondenza tra la formazione/qualifica conseguita ed il lavoro svolto che riguarda nella sua forma estrema di assoluta incoerenza il 30% circa di coloro che hanno ter- minato la sperimentazione e lavorano, con particolare riferimento al terziario. L’indicazione rilevata dall’item n. 2 della scheda n. 2 dello strumento proposto, circa la segnalazione degli aspetti che hanno corrisposto alle attese dell’allievo, ve- de l’orientamento poco segnalato dagli intervistati come momento formativo. Tale dato è possibile leggerlo come indicativo di due fattori: – lo strumento di rilevazione può essere migliorato; – l’azione orientativa, pur non percepita importante in forma autonoma dalle al- tre azioni, ha raggiunto la finalità che le è propria di accompagnamento del pro- cesso di definizione del progetto professionale e di organizzazione dell’iter for- mativo sullo stesso. È anche positivo che il 40% circa di chi ha concluso la sperimentazione abbia deciso di proseguire gli studi per ottenere un titolo superiore, una specializzazione e/o un approfondimento delle proprie competenze. In questo caso la sperimentazio- ne è servita in ogni modo ad innescare il desiderio di traguardi più ambiziosi sia in termini formativi che professionali. E comunque il bisogno di ulteriore formazione è scaturito anche dalle fila di un certo numero di lavoratori, grazie proprio all’esperienza in atto, e perfino da un ter- zo degli inoccupati/disoccupati i quali però, diversamente dagli altri, si caratteriz- zano per la presenza di alcune condizioni di svantaggio (in particolare la mancanza di altre opportunità formative nelle Regioni del sud) nonostante la dichiarata volon- tà a riprendere gli studi. 3.3. Luci e ombre della transizione al mondo del lavoro Se si attribuisce alle modalità di assunzione/contrattazione un fattore di “rico- noscimento” da parte del sistema produttivo del valore della sperimentazione e/o della qualifica conseguita (e, quindi, del “prodotto” scaturito dal sistema formativo, per stare in tema), in realtà i dati del monitoraggio spingono a parlare di un certo “atteggiamento predatorio” delle imprese piuttosto che di “rispetto” verso la risorsa- uomo messa a disposizione del mercato del lavoro attraverso l’intervento sperimen- tale. Tale valutazione deriva dal constatare che un terzo circa dei lavoratori non è stato regolarmente assunto. Sul lato positivo va sottolineato che la soddisfazione per il lavoro da parte de- gli occupati che hanno terminato il corso di FPI si situa tra molto e abbastanza. Inol- follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 103 104 tre, più del 70% degli ex-allievi di questo gruppo sono entrati nel sistema produtti- vo entro tre mesi dal termine della sperimentazione. Da ultimo, intorno ai due terzi degli occupati che hanno terminato il corso di FPI sottolinea la funzionalità delle competenze professionali apprese nella FPI per l’esercizio della varie mansioni e un terzo quella dello stage. In conclusione, a nostro giudizio, • la presente rilevazione ha confermato la sostanziale validità della proposta spe- rimentale di FPI del CNOS-FAP e del CIOFS-FP anche nel momento della transizione degli allievi al mercato del lavoro o a un altro tipo di istruzione o di formazione; • al tempo stesso ha indicato due aree in cui si dovrebbe realizzare un potenzia- mento di tale progetto: 1) le strategie della pedagogia del successo formativo; 2) la programmazione dei corsi più rispondente alla domanda del territorio. follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 104 105 BIBLIOGRAFIA BARBAGLI M. (Ed.), Istruzione legittimazione e conflitto, Bologna, Il Mulino, 1978. BARBAGLI M. et alii, Scuola e mercato del lavoro, Bologna, Il Mulino, 1973. BERNADUSI L., Scuola, riproduzione e mutamento, Firenze, La Nuova Italia, 1984. BERTAGNA G., I rapporti tra istruzione/formazione e sviluppo socio-economico. Quale modello?, Paper, 2002. 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Bosco AT 7 3 2 2 1 Vigliano Biellese BI 7 3 2 2 1 Bra CN 7 3 3 2 1 Fossano CN 8 4 3 2 1 Genova - Quarto GE 7 3 2 2 1 Rebaudengo TO 12 6 4 2 1 S. Benigno Canavese TO 7 3 2 2 1 Valdocco TO 8 4 3 2 1 Vercelli VC 8 4 3 2 2 Brescia BS 8 4 3 2 2 Milano MI 14 7 4 2 2 Sesto S. Giovanni MI 8 4 3 2 3 Schio VI 8 4 3 2 3 Verona VR 8 4 3 2 4 Bologna BO 8 4 3 2 4 Faenza Il Centro è chiuso 4 Forlì FO 8 4 3 2 5 Gela CL 14 7 4 2 5 Barriera CT 15 8 4 2 5 Misterbianco Serra Lineri CT 10 5 4 2 5 Salette CT 10 5 4 2 5 Palermo PA 15 8 4 2 5 Ragusa RA 8 4 2 2 6 Roma - B. Ragazzi D. Bosco RM 10 5 4 2 6 Roma - Gerini RM 24 12 8 4 6 Roma - Pio XI RM 10 5 4 2 7 Selargius CA 20 10 8 4 7 Suelli CA 8 4 2 2 7 Bosa NU 8 4 2 2 7 Lanusei NU 8 4 2 2 TOT 300 148 100 64 CAMPIONE B follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 111 112 Ente CNOS-FAP 2000-2002Ente CNOS-FAP 2000-2002 CAMPIONE A Reg Città Prov Titolari Riserve Titolari Riserve 1 Cesano Maderno MI 10 5 2 1 1 Cinisello Balsamo MI 12 6 2 1 1 Milano MI 8 4 2 1 1 Padova PD 8 4 2 1 1 Pavia PV 3 2 2 1 1 Bibbiano RE 3 2 2 1 1 Tirano SO 3 2 2 1 1 Conegliano Veneto TV 3 2 2 1 1 Castellanza VA 6 3 2 1 2 Colleferro RM 5 2 2 1 2 Ostia RM 8 4 2 1 2 Roma - Via Ateneo RM 8 4 2 1 2 Roma - Via Ginori RM 8 4 2 1 2 Roma - Via Marghera RM 5 2 2 1 2 Roma - Via Togliatti RM 10 5 2 1 3 Gela CL 5 2 2 1 3 Acireale CT 3 2 2 1 3 Bronte CT 5 2 2 1 3 Calatabiano CT 3 2 2 1 3 Palagonia CT 3 2 2 1 3 Pietraperzia EN 3 2 2 1 3 Barcellona ME 3 2 2 1 3 Messina ME 3 2 2 1 3 S. Agata Militello ME 3 2 2 1 3 Palermo PA 10 5 2 1 3 Modica RG 3 2 2 1 3 Pozzallo RG 3 2 2 1 4 Sanluri CA 3 2 2 1 Totale 150 80 56 28 CAMPIONE B follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 112 APPENDICE 2 - Gli strumenti di rilevamento Intervista al campione “A” [coloro che HANNO PORTATO A TERMINE i 2 anni del corso per l’obbligo formativo] Scheda da COMPILARE PRIMA DELL’INTERVISTA A1 - Sesso: ❑ M ❑ F A2 - Età (segnare l’anno di nascita): _________________________________ A3 - CFP frequentato: denominazione ___________________________________________________ sede/Comune ____________________________________________________ A4 - Ha ottenuto la qualifica? SI ❑ (alla A4.1) NO ❑ (alla A4.2) A4.1 - In quale settore? A4.2 - In quale settore di qualifica era iscritto? 1. meccanico ❑ ❑ 2. elettro/elettronico ❑ ❑ 3. grafico ❑ ❑ 4. turistico/alberghiero ❑ ❑ 5. servizi all’impresa ❑ ❑ 6. servizi alla persona ❑ ❑ 7. chimico ❑ ❑ 8. artigianato (specificare) ___________ ❑ ❑ 9. altro (specificare) ________________ ❑ ❑ CONSIGLI PER CONDURRE L’INTERVISTA 1. in genere è sufficiente LEGGERE SOLO LA DOMANDA (scritta in neretto); ove specifi- cato, leggere anche le alternative; 2. cercare di ricondurre le risposte date dell’intervistato alle alternative presenti nella domanda, apponendo una “X” nella casella corrispondente; 3. là dove la risposta non corrisponde affatto alle alternative della domanda, scriverla in “altro”; 4. attenersi alle modalità di risposta (scritte in corsivo sotto la domanda); ove non specificato si intende che va data 1 sola risposta. Presentazione dell’iniziativa e domanda da fare in APERTURA DELL’INTERVISTA: I – “Il CFP dei Salesiani/Salesiane presso il quale hai frequentato il corso per l’obbligo formativo ha interesse a mantenere il contatto con gli allievi per conoscere le scelte effettuate al termine dei 2 anni. L’obiettivo è quello di met- tere a confronto il programma del corso con le scelte fatte successivamente (andare a lavorare, continuare a studiare...), così da verificare la validità della preparazione offerta. Le tue informazioni quindi ci serviranno per migliorare la formazione impartita dal Centro”. II – Chiedere di seguito all’intervistato se, dopo aver frequentato il corso ... 1. ❑ ha trovato LAVORO ➔ (utilizzare la Scheda n. 1) 2. ❑ ha ripreso a STUDIARE ➔ (utilizzare la Scheda n. 2) 3. ❑ è ancora DISOCCUPATO ➔ (utilizzare la Scheda n. 2) (o sta facendo un tirocinio) follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 113 114 SCHEDA n. 1 per chi attualmente LAVORA 1. Attualmente lavori come: (leggere le alternative) 1. ❑ dipendente 2. ❑ autonomo 3. ❑ inserito in una cooperativa (o società) 4. ❑ inserito in un’impresa a conduzione familiare 5. ❑ altro (specificare) _________________________________ 2. Sei stato assunto come: (leggere le alternative) 1. ❑ apprendista 2. ❑ operaio 3. ❑ altro (specificare) _________________________________ 3. Con che tipo di contratto sei stato assunto: (sono possibili più risposte) 1. ❑ regolarmente assunto a tempo pieno 2. ❑ regolarmente assunto a tempo parziale 3. ❑ non regolarmente assunto 4. ❑ assunto nell’azienda di famiglia 5. ❑ con contratto di Formazione - lavoro o di apprendistato 6. ❑ con contratto a termine o stagionale 8. ❑ di tipo saltuario, occasionale 9. ❑ altro (specificare) _________________________________ 4. Hai trovato un’occupazione coerente con la qualifica ottenuta nel corso? 1. ❑ SI 2. ❑ IN PARTE 3. ❑ NO 5. Da quando hai terminato il corso per l’obbligo formativo entro quanto tempo hai trovato lavoro? 1. ❑ entro 1 mese 2. ❑ entro 3 mesi 3. ❑ altro (specificare) _________________________________ 6. Come hai trovato lavoro? 1. ❑ da solo, presentandoti direttamente 2. ❑ attraverso agenzie private 3. ❑ attraverso genitori, parenti, amici 4. ❑ attraverso l’appoggio di persone influenti follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 114 115 5. ❑ per concorso 6. ❑ attraverso l’ufficio di collocamento (o agenzia del lavoro o servizi per l’impiego) 7. ❑ per segnalazione del CFP 8. ❑ attraverso inserto pubblicitario o inviando lettere ad aziende 9. ❑ attraverso l’azienda dove hai svolto lo stage 10. ❑ altro (specificare) _________________________________ 7. Sei soddisfatto del tuo attuale lavoro? 1. ❑ molto 2. ❑ abbastanza 3. ❑ poco 4. ❑ per nulla 8. L’aver partecipato al corso quanto ti ha agevolato: (leggere le alternative) (una risposta per riga) SI NO 1. nell’abbreviare i tempi per trovare lavoro ❑ ❑ 2. nell’ottenere un buon contratto ❑ ❑ 3. nello svolgere con competenza le mansioni affidate ❑ ❑ 4. altro (specificare) _________________________________ 9. Rispetto a quanto hai appreso nel corso, cosa ti è servito di più per il tuo lavoro? (sono possibili più risposte) 1. ❑ area teorica (saperi di base) 2. ❑ area delle capacità personali 3. ❑ area pratica (competenze professionali) 4. ❑ stage 5. ❑ orientamento 6. ❑ altro (specificare) _________________________________ 10. Sei soddisfatto del corso che hai frequentato? 1. ❑ molto 2. ❑ abbastanza 3. ❑ poco* 4. ❑ per nulla* * (per chi ha risposto “poco” o “per nulla” soddisfatto) 10.1. Alla luce della tua attuale esperienza lavorativa, cosa dovrebbe essere migliorato nel corso dell’obbligo formativo? (sono possibili più risposte) 1. ❑ area teorica (saperi di base) 2. ❑ area delle capacità personali 3. ❑ area pratica (competenze professionali) 4. ❑ stage 5. ❑ orientamento 6. ❑ altro (specificare) _________________________________ GRAZIE DELLA COLLABORAZIONE! follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 115 116 1. Cosa hai fatto da quando è terminato il corso per l’obbligo formativo? 1. ❑ ti sei iscritto ad altri corsi (scuole/CFP) per ottenere una migliore formazione (alla dom. 1.1.) 2. ❑ ti sei messo subito a cercare lavoro, senza riuscire a trovarlo (alla dom. 1.2.) 3. ❑ sei rimasto in attesa di migliori opportunità di scelta (alla dom. 1.2.) 4. ❑ stai facendo una esperienza di Tirocinio (alla dom. 1.2.) 5. ❑ altro (specificare) _________________________________ (se si è iscritto ad altri corsi) 1.1. Di quali corsi si tratta? 1. ❑ corsi di specializzazione 2. ❑ nuovo corso di qualifica 3. ❑ passaggio alla scuola superiore 4. ❑ altro (specificare) _________________________________ (per chi non si è iscritto ad altri corsi) 1.2. Attualmente avverti il bisogno di una ulteriore formazione e/o di riqualificare le tue competenze professionali? 1. ❑ SI (alla dom. 1.2.1.) 2. ❑ NO (se SI) 1.2.1. Di che tipo di formazione avresti bisogno? 1. ❑ corso per prendere un’altra qualifica 2. ❑ corso di specializzazione 3. ❑ tirocinio guidato in azienda 4. ❑ corso per l’abilitazione professionale o patente di mestiere 5. ❑ iscrizione alla scuola superiore per avere un diploma 6. ❑ altro (specificare) _________________________________ 2. Quali aspetti del corso che hai frequentato hanno corrisposto di più alle tue attese: (sono possibili più risposte) 1. ❑ area teorica (saperi di base) 2. ❑ area delle capacità personali 3. ❑ area pratica (competenze professionali) 4. ❑ stage 5. ❑ orientamento 6. ❑ altro (specificare) _________________________________ SCHEDA n. 2 per chi attualmente NON LAVORA follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 116 117 3. Complessivamente ti ritieni soddisfatto del corso che hai frequentato? 1. ❑ molto 2. ❑ abbastanza 3. ❑ poco 4. ❑ per nulla 4. Perché non sei riuscito ancora a trovare lavoro? (sono possibili più risposte) 1. ❑ perché non ho trovato un lavoro adatto alle mie aspirazioni 2. ❑ perché non ho trovato un lavoro corrispondente alla qualifica 3. ❑ perché non ho trovato un lavoro che mi consenta di fare carriera 4. ❑ perché le imprese non mi riconoscono la qualifica ottenuta attraverso il corso 5. ❑ perché ho preferito fare un tirocinio per farmi conoscere dall’azienda 6. ❑ perché al momento non ho bisogno di lavorare 7. ❑ perché in attesa del servizio militare 8. ❑ perché in zona non c’è un lavoro rispondente alla qualifica ottenuta attraverso il corso 9. ❑ per la mancanza di conoscenze/amici/familiari “che contano” 10. ❑ a causa della sfortuna 11. ❑ altro (specificare) _________________________________ 5. Ritieni che se avessi scelto una qualifica diversa sarebbe stato più facile trovare lavoro? 1. ❑ sarebbe stato più facile 2. ❑ sarebbe stato lo stesso 3. ❑ sarebbe stato ancora più difficile 4. ❑ altro (specificare) _________________________________ GRAZIE DELLA COLLABORAZIONE! follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 117 Intervista al campione “B” [coloro che si sono ritirati durante il corso per l’obbligo formativo] Scheda da COMPILARE PRIMA DELL’INTERVISTA B1 - Sesso: ❑ M ❑ F B2 - Età (segnare l’anno di nascita): _________________________________ B3 - CFP frequentato: denominazione ___________________________________________________ sede/Comune ____________________________________________________ B4 - In quale settore di qualifica era iscritto? 1. ❑ meccanico 2. ❑ elettro/elettronico 3. ❑ grafico 4. ❑ turistico/alberghiero 5. ❑ servizi all’impresa 6. ❑ servizi alla persona 7. ❑ chimico 8. ❑ artigianato (specificare) _______________________________________ 9. ❑ altro (specificare) ____________________________________________ CONSIGLI PER CONDURRE L’INTERVISTA 1. in genere è sufficiente LEGGERE SOLO LA DOMANDA (scritta in neretto); ove specifi- cato, leggere anche le alternative; 2. cercare di ricondurre le risposte date dell’intervistato alle alternative presenti nella domanda, apponendo una “X” nella casella corrispondente; 3. là dove la risposta non corrisponde affatto alle alternative della domanda, scriverla in “altro”; 4. attenersi alle modalità di risposta (scritte in corsivo sotto la domanda); ove non specificato si intende che va data 1 sola risposta. Presentazione dell’iniziativa e domanda da fare in APERTURA DELL’INTERVISTA: I – “Il CFP dei Salesiani/Salesiane presso il quale hai frequentato il corso per l’obbligo formativo ha interesse a mantenere il contatto con gli allievi per conoscere le scelte effettuate al termine dei 2 anni. L’obiettivo è quello di met- tere a confronto il programma del corso con le scelte fatte successivamente (andare a lavorare, continuare a studiare...), così da verificare la validità della preparazione offerta. Le tue informazioni quindi ci serviranno per migliorare la formazione impartita dal Centro”. II – Chiedere di seguito all’intervistato se, dopo aver frequentato il corso ... 1. ❑ ha trovato LAVORO ➔ (utilizzare la Scheda n. 3) 2. ❑ ha ripreso a STUDIARE ➔ (utilizzare la Scheda n. 4) 3. ❑ è ancora DISOCCUPATO ➔ (utilizzare la Scheda n. 4) (o sta facendo un tirocinio) follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 118 119 1. Perché hai abbandonato il corso per l’obbligo formativo? 1. ❑ per iscriverti ad un’altra scuola o ad un altro CFP 2. ❑ perché nel frattempo hai trovato un’opportunità d’impiego 3. ❑ perché insoddisfatto del corso per l’obbligo formativo 4. ❑ per ragioni indipendenti dalla mia volontà 5. ❑ per contrasto con gli operatori (o altro personale) del CFP 6. ❑ altro (specificare) _______________________________________ 2. Attualmente lavori come: (leggere le alternative) 1. ❑ dipendente 2. ❑ autonomo 3. ❑ inserito in una cooperativa (o società) 4. ❑ inserito in un’impresa a conduzione familiare 5. ❑ altro (specificare) _______________________________________ 3. Come hai trovato lavoro? 1. ❑ da solo, presentandoti direttamente 2. ❑ attraverso agenzie private 3. ❑ attraverso genitori, parenti, amici 4. ❑ attraverso l’appoggio di persone influenti 5. ❑ per concorso 6. ❑ attraverso l’ufficio di collocamento (o agenzia del lavoro o servizi per l’impiego) 7. ❑ per segnalazione del CFP 8. ❑ attraverso inserto pubblicitario o inviando lettere ad aziende 9. ❑ attraverso l’azienda dove hai svolto lo stage 10. ❑ altro (specificare) _______________________________________ 4. Sei stato assunto come: (leggere le alternative) 1. ❑ apprendista 2. ❑ operaio 3. ❑ altro (specificare) _______________________________________ 5. Con che tipo di contratto sei stato assunto: (sono possibili più risposte) 1. ❑ regolarmente assunto a tempo pieno 2. ❑ regolarmente assunto a tempo parziale 3. ❑ non regolarmente assunto 4. ❑ assunto nell’azienda di famiglia 5. ❑ con contratto di Formazione - lavoro o di apprendistato 6. ❑ con contratto a termine o stagionale 8. ❑ di tipo saltuario, occasionale SCHEDA n. 3 per chi, dopo aver abbandonato il corso, attualmente LAVORA follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 119 120 9. ❑ altro (specificare) _______________________________________ 6. Confrontando il programma del corso per l’obbligo formativo e le compe- tenze richieste dall’attuale lavoro, ti sembra che: (leggere le alternative) 1. ❑ è stato meglio andare subito a lavorare 2. ❑ hai fatto male ad abbandonare il corso e adesso sei pentito 3. ❑ potendo tornare indietro ti iscriveresti nuovamente alla corso per l’obbligo formativo 4. ❑ alla prossima occasione ti iscriverai ad un nuovo corso 5. ❑ altro (specificare) _______________________________________ 7. Relativamente a quanto appreso durante il periodo in cui hai frequentato il cor- so per l’obbligo formativo, c’è qualcosa che ti è sembrato utile nel tuo lavoro? (sono possibili più risposte) 1. ❑ area teorica (saperi di base) 2. ❑ area delle capacità personali 3. ❑ area pratica (competenze professionali) 4. ❑ stage 5. ❑ orientamento 6. ❑ altro (specificare) _______________________________________ 8. Attualmente avverti il bisogno di una ulteriore formazione o riqualificazio- ne della tua professione? 1. ❑ SI (alla dom. 8.1.) 2. ❑ NO (se SI) 8.1. Di che tipo di formazione avresti bisogno? 1. ❑ corso per prendere una qualifica 2. ❑ corso serale di aggiornamento professionale 3. ❑ tirocinio guidato in un’altra azienda 4. ❑ corso per l’abilitazione professionale o patente di mestiere 5. ❑ iscrizione alla scuola superiore per avere un diploma 6. ❑ altro (specificare) _______________________________________ 9. Ritieni che se avessi scelto una qualifica diversa sarebbe stato più facile portare a termine il corso? 1. ❑ sarebbe stato più facile 2. ❑ sarebbe stato lo stesso 3. ❑ sarebbe stato ancora più difficile 4. ❑ altro (specificare) _______________________________________ GRAZIE DELLA COLLABORAZIONE! follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 120 121 1. Cosa hai fatto dopo aver lasciato il corso per l’obbligo formativo? 1. ❑ ti sei iscritto ad altri corsi (scuole/CFP) per ottenere una migliore formazione (alla dom. 1.1.) 2. ❑ ti sei messo subito a cercare lavoro, senza riuscire a trovarlo (alla dom. 1.2.) 3. ❑ sei rimasto in attesa di migliori opportunità di scelta (alla dom. 1.2.) 4. ❑ stai facendo una esperienza di tirocinio (alla dom. 1.2.) 5. ❑ altro (specificare) _______________________________________ (se si è iscritto ad altri corsi) 1.1. Di quali corsi si tratta? 1. ❑ un altro corso di formazione professionale 2. ❑ passaggio alla scuola superiore 3. ❑ altro (specificare) _______________________________________ (per chi non si è iscritto ad altri corsi) 1.2. Attualmente avverti il bisogno di una ulteriore formazione e/o di riqualificare le tue competenze professionali? 1. ❑ SI (alla dom. 1.2.1.) 2. ❑ NO (se SI) 1.2.1. Di che tipo di formazione avresti bisogno? 1. ❑ corso per prendere una qualifica 2. ❑ corso serale di aggiornamento professionale 3. ❑ tirocinio guidato in un’altra azienda 4. ❑ corso per l’abilitazione professionale o patente di mestiere 5. ❑ iscrizione alla scuola superiore per avere un diploma 6. ❑ altro (specificare) _______________________________________ 2. Perché hai abbandonato il corso per l’obbligo formativo? 1. ❑ per iscriverti ad un’altra scuola o ad un altro CFP 2. ❑ perché nel frattempo hai trovato un’opportunità d’impiego che però non si è realizzata 3. ❑ perché insoddisfatto del corso per l’obbligo formativo 4. ❑ per ragioni indipendenti dalla mia volontà 5. ❑ per contrasto con gli operatori (o altro personale) del CFP 6. ❑ altro (specificare) _______________________________________ SCHEDA n. 4 per chi, dopo aver abbandonato il corso, attualmente NON LAVORA follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 121 122 3. Ritieni che se avessi scelto una qualifica diversa sarebbe stato più facile portare a termine il corso? 1. ❑ sarebbe stato più facile 2. ❑ sarebbe stato lo stesso 3. ❑ sarebbe stato ancora più difficile 4. ❑ altro (specificare) _______________________________________ 4. Perché non sei riuscito ancora a trovare lavoro? (sono possibili più risposte) 1. ❑ perché non ho trovato un lavoro adatto alle mie aspirazioni 2. ❑ perché non ho trovato un lavoro corrispondente alla qualifica 3. ❑ perché non ho trovato un lavoro che mi consenta di fare carriera 4. ❑ perché le imprese non mi riconoscono la qualifica ottenuta attraverso il corso 5. ❑ perché ho preferito fare un tirocinio per farmi conoscere dall’azienda 6. ❑ perché al momento non ho bisogno di lavorare 7. ❑ perché in attesa del servizio militare 8. ❑ perché in zona non c’è un lavoro rispondente alla qualifica ottenuta attra- verso il corso 9. ❑ per la mancanza di conoscenze/amici/familiari “che contano” 10. ❑ a causa della sfortuna 11. ❑ altro (specificare) _______________________________________ follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 122 123 INDICE SOMMARIO. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 SIGLE. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 INTRODUZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 Parte I – IL QUADRO TEORICO DI RIFERIMENTO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 Capitolo 1 LA TRANSIZIONE DALLA FORMAZIONE AL LAVORO. LO SCENARIO . . . . . . . . . . . . . . . . 13 (Guglielmo Malizia - Vittorio Pieroni) 1. Società della conoscenza e sistemi educativi: quali orientamenti . . . . . . . . . . . 13 2. Istruzione ed economia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16 2.1. L’affermarsi della teoria del capitale umano negli anni ‘60 . . . . . . . . . . . . . 16 2.2. Le posizioni critiche degli anni ‘70 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18 2.3. A partire dagli anni ‘80: la nuova centralità dell’istruzione e della formazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20 3. La transizione dal sistema educativo al lavoro in Italia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24 3.1. Le dinamiche del mercato del lavoro in Italia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24 3.2. L’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 3.3. Le tendenze principali sul piano qualitativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31 4. Istruzione e formazione dopo la Riforma Moratti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 4.1. Il modello “personalistico” in atto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 4.2. Il compito dei sistemi educativi di orientare e accompagnare alle scelte di vita professionali. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35 Parte II – L’INDAGINE SUL CAMPO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37 Capitolo 2 IL PROGETTO DI RICERCA, LA METODOLOGIA E IL PIANO DI CAMPIONATURA . . . . . . . . 39 (Guglielmo Malizia - Vittorio Pieroni) 1. Il progetto generale della ricerca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39 1.1. Il monitoraggio dei percorsi sperimentali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 1.1.1. Obiettivi del monitoraggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 1.1.2. Elementi qualificanti del monitoraggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 1.2. La metodologia d’intervento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42 follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 123 124 2. Il “follow-up”: monitoraggio della transizione FPI mondo del lavoro . . . . . . . 42 2.1. Gli obiettivi dell’indagine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42 2.2. Il cronogramma delle attività di ricerca-azione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 2.3. Il piano di campionatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44 2.4. La situazione dei soggetti campionati al momento del rilevamento . . . . . . . . 46 Capitolo 3 GLI EX-ALLIEVI CHE HANNO PORTATO A TERMINE LA FPI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 (Guglielmo Malizia - Vittorio Pieroni) 1. Identikit degli ex-allievi che hanno portato a termine il corso di FPI . . . . . . . . 49 2. Gli ex-allievi che al termine della FPI hanno trovato lavoro . . . . . . . . . . . . . . . 53 2.1. Modalità di realizzazione dell’esperienza lavorativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54 2.2. Valutazione dell’esperienza lavorativa rapportata a quella formativa. . . . . . 57 3. Gli ex-allievi che al termine della FPI hanno proseguito la formazione o non hanno trovato lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60 Capitolo 4 GLI EX-ALLIEVI CHE SI SONO RITIRATI DURANTE LA FPI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67 (Vittorio Pieroni - Guglielmo Malizia) 1. Identikit degli ex-allievi che non hanno portato a termine il corso di FPI . . . . 67 2. I ritirati che hanno trovato lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70 2.1. L’esperienza lavorativa. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71 2.2. Valutazione dell’esperienza formativa alla luce di quella lavorativa. . . . . . . . 75 3. I ritirati attualmente studenti/allievi o inoccupati/disoccupati . . . . . . . . . . . . . 78 Parte III - SINTESI CONCLUSIVA, BIBLIOGRAFIA, APPENDICI . . . . . . . . . 85 Capitolo 5 SINTESI DEI RISULTATI DELLA SPERIMENTAZIONE. SUGGERIMENTI E PROVOCAZIONI. . . 87 (Guglielmo Malizia - Vittorio Pieroni) 1. Obiettivi e metodologia dell’indagine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87 2. Sintesi dei principali risultati emersi dai campioni “A” e “B” . . . . . . . . . . . . . 90 2.1. Gli ex-allievi che hanno portato a termine la sperimentazione . . . . . . . . . . . 90 2.1.1. Gli ex-allievi che hanno trovato lavoro alla conclusione del biennio di sperimentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92 follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 124 125 2.1.2. Gli ex-allievi che al termine della FPI hanno proseguito la formazione o non hanno trovato lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93 2.2. Gli ex-allievi che si sono ritirati lungo i due anni della sperimentazione . . . 96 2.2.1. I ritirati che hanno trovato lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96 2.2.2. I ritirati attualmente studenti/allievi o inoccupati/disoccupati . . . . . . 99 3. Riflessioni e provocazioni a seguito della sperimentazione . . . . . . . . . . . . . . . . 101 3.1. La situazione dei soggetti intervistati al momento del rilevamento . . . . . . . . 102 3.2. Valutazione positiva della sperimentazione della FPI . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102 3.3. Luci e ombre dalla transizione al mondo del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103 BIBLIOGRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105 APPENDICI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109 Appendice 1 - Le griglie utilizzate da ciascun Ente per il campionamento . . . 111 Appendice 2 - Gli strumenti di rilevamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113 INDICE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 123 follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 125 follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 126 follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 127 follow-up1.qxd 14/01/2004 7:45 Pagina 128

Atti del XIV Seminario di Formazione Europea. La formazione professionale per lo sviluppo del territorio

Autore: 
Sede Nazionale CIOFS/FP
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2003
Numero pagine: 
172
Coordinamento editoriale: Margherita Dal Lago, Angela Elicio, Fabrizia Pittalà, Lauretta Valente Autori: Gabriella Bartolomeo - CGM Bruno Bernardi - Università Ca’ Foscari di Venezia Francesco Borga - Federazione Regionale degli Industriali del Veneto Luigino Bruni - Università L. Bocconi di Milano Margherita Dal Lago - Ente CIOFS Mario Dupuis - Provincia di Padova Angela Elicio - Associazione CIOFS-FP Nazionale Emilio Gandini - Forma Nazionale Piero Garavelli - CIOFS-FP Toscana Irene Gatti - Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Raffaele Grazia - Regione Veneto Stig Hanno - Europaforum Stoccolma Renata Livraghi - Università di Parma Gianclaudio Magra - AGESS S.p.A. Philip O’Connor - Dublin Employment Pact Renato Omacini - Regione Veneto Giampietro Parolin - Università di Venezia Franco Porto - CISL Veneto Pasquale Ransenigo - CNOS-FAP Nazionale Benedetto Rocchi - Università di Firenze Remigio Sangoi - CNOS-FAP Veneto Mario Ulliana - Università Ippolito Pinto di Vittorio Veneto Lauretta Valente - Associazione CIOFS-FP Nazionale Flaviano Zandonai - Consorzio delle Cooperative Sociali Il seminario è stato realizzato con il contributo degli Operatori della Formazione Professionale e rappresentanti del: CIOFS-FP Abruzzo CIOFS-FP Basilicata CIOFS-FP Calabria CIOFS-FP Campania CIOFS-FP Emilia Romagna CIOFS-FP Friuli Venezia Giulia CIOFS-FP Lazio CIOFS-FP Liguria CIOFS-FP Lombardia CIOFS-FP Piemonte CIOFS-FP Puglia CIOFS-FP Sardegna XIV SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA LA FORMAZIONE PROFESSIONALE PER LO SVILUPPO DEL TERRITORIO Impegno di solidarietà sostenibilità partnership compatibilità Sede Nazionale CIOFS-FP ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA CASTEL BRANDO Cison di Valmarino (Treviso) 9-11 settembre 2002 CIOFS/FP Centro Italiano Opere Femminili Salesiane Formazione Professionale Forma Associazione Nazionale Enti di Formazione Professionale INDICE Note introduttive - M. Dal Lago IV Saluti - M. Dal Lago VI Premessa - L. Valente VII Articolazione del seminario X 1 - L’economia della conoscenza e i modelli formativi 2 1.1 Le specifiche di un modello di sviluppo del territorio in rapporto alla mappa delle risorse disponibili e della capacità di innovazione R. Livraghi 3 1.2 Il modello di formazione in rapporto al modello di sviluppo B. Bernardi 10 2 - Lo sviluppo del territorio e il sistema formativo 17 2.1 Le caratteristiche di compatibilità e sostenibilità proprie di un progetto di sviluppo del territorio 18 2.1.1 La delocalizzazione come fattore di sviluppo economico e sociale - F. Borga 18 2.1.2 Ruoli istituzionali e sviluppo sostenibile - R. Grazia 22 2.1.3 L’attenzione delle donne al mondo della formazione professionale - F. Porto 25 2.1.4 L’esperienza di CGM nei progetti di sviluppo del territorio G. Bartolomeo 28 2.2 L’apporto dei percorsi di istruzione e formazione professionale nelle strategie di sviluppo di un sistema territoriale di partecipazione di solidarietà Introduzione - P. Ransenigo 31 2.2.1 Protocolli d’intesa: una sinergia tra Stato ed Enti locali I. Gatti 33 2.2.2 Istruzione e formazione professionale: due sistemi a confronto - R. Omacini 39 2.2.3 La Provincia di Padova e le politiche per l’offerta formativa con particolare attenzione per l’obbligo formativo - M. Dupuis 43 3 - Esperienze a confronto 57 3.1 Esperienze nazionali 57 3.1.1 Quadro di riferimento - presentazione - A. Elicio 58 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 I I 3.1.2 Il progetto di Economia di Comunione - G. Parolin 61 3.1.3 Formazione e sviluppo: un’esperienza di formazione a distanza - R. Sangoi 64 3.1.4 AGESS S.p.A.: un’Agenzia per il territorio - G. Magra 69 3.2 Dall’Europa modelli di formazione e sviluppo Introduzione 76 3.2.1 Come può la formazione professionale sostenere lo sviluppo territoriale? - S. Hanno 78 3.2.2 Qualifiche formative dei giovani provenienti dalle aree svantaggiate di Dublino. I benefici di una strategia territoriale - P. O’Connor 84 4 - Contributo degli esperti coordinatori dei lavori di gruppo Introduzione - E. Gandini 90 4.1 Il valore del territorio, il valore della formazione: prospettive E. Gandini 91 4.2 Sostenibilità, compatibilità e capacità di innovazione nell’ambito del modello di sviluppo territoriale - B. Rocchi 93 4.3 Elementi base per un modello di sviluppo del territorio F. Zandonai 100 4.4 Economia e solidarietà: accoglienza, nel modello di sviluppo territoriale, del progetto personale e della dimensione di appartenenza del cittadino (familiare, sociale, comunitaria) L. Bruni 104 4.5 Aspetti chiave per la costruzione di un modello formativo in risposta alla domanda del cittadino e dello sviluppo del territorio - I. Gatti 108 4.6 Il supporto della rete territoriale al modello formativo dei cittadini e del territorio - P. Garavelli 111 Allegati 117 A.1 La coerenza della riforma universitaria italiana con i problemi posti dalla “economia della conoscenza” - R. Livraghi 118 A.2 Esperienza del CIOFS-FP di Vittorio Veneto - M. Ulliana 132 A.3 Indagine sullo stato di attuazione dei processi di Agenda 21 Locale in Italia - Focus Lab 134 Bibliografia 149 Sitografia 151 I I I ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 I V Note introduttive Un appuntamento storico L’istituzione di un appuntamento annuale sui temi e sul processo di crescita della Comunità Europea costituisce ormai un impegno consolidato dell’Associazione CIOFS–FP. Ha costituito, per l’Associazione, uno degli obiettivi in preparazione al processo di costruzione dell’UE, nel triennio che ha preceduto la firma del trattato di Maastricht, firmato il 7 febbraio del 1992. Il primo Seminario Europa si è tenuto, infatti, nel 1989 (Roma- Sacrofano sul tema “La formazione professionale in prospettiva del ’92”). L’apertura delle frontiere e quindi, la libera circolazione dei cittadini, delle merci, del lavoro, richiedeva, in quel periodo, una particolare attenzione anche a temi quali l’in- serimento lavorativo, particolarmente in rapporto ai giovani. Le iniziative proposte dalla Comunità Europea richiedevano comprensione e studio non solo nel campo economico ma anche nel campo formativo ed educativo, in rap- porto alla preparazione professionale dei cittadini. La professionalità degli operatori della formazione nel nuovo contesto creato dall’Unione Europea richiedeva un contributo particolare come accompagnamento a nuove acquisi- zioni e nuove capacità di risposta alle proposte della Comunità. La peculiarità dell’iniziativa è costituita dalla preparazione e dall’approfondimento di quanto l’Atto dell’Unione avrebbe esplicitamente o implicitamente domandato in rap- porto alla formazione ed al lavoro. Il seminario ha visto una realizzazione itinerante nelle diverse regioni d’Italia con il coinvolgimento ed il supporto delle Associazioni Regionali ed ha celebrato il decenna- le nell’edizione di Genova del ’98. Attraverso le varie edizioni si può cogliere lo svi- luppo dell’iter di aggiornamento e riflessione, che ha consentito il processo di miglio- ramento dell’assetto della formazione professionale dell’organismo promotore ed anche delle altre strutture che sono entrate in dialogo grazie all’iniziativa. Il Seminario Europa 2002 La scelta del tema scaturisce dall’impegno di promozione e di progettazione educati- va e formativa richiesto dall’attuale dibattito su “un canale di F.P.”, cui l’Associazione Nazionale CIOFS–FP ha dato il suo contributo. Il Seminario di Formazione Europea, alla sua XIV edizione, è stato organizzato a par- tire da un’ipotesi: la formazione professionale contribuisce, con apporto significativo ed istituzionale, allo sviluppo di un sistema territoriale fondato sulla partecipazione e V ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 sulla solidarietà, nel rispetto dell’identità locale attraverso: • la lettura attenta della identità e delle risorse; • la riconduzione ad uno ‘sviluppo di sistema’ sostenibile; • la collocazione strategica degli apporti istituzionali della formazione professionale; • la cura e la valorizzazione di tutti i soggetti istituzionali e di tutte le risorse umane in rapporto alle rispettive mansioni, competenze e ruoli; • l’attenzione alle persone come titolari di progetti personali, con responsabilità di partecipazione e di solidarietà e facenti parte di gruppi di riferimento (famiglia, comunità, società…); • la specifica domanda di innovazione. Nella ipotesi si è cercato di coniugare elementi come territorio, sviluppo, sostenibilità e formazione professionale: rapporti non facili, né scontati. La ricerca di un territorio concreto in cui radicare il seminario e con cui confrontarsi è stata laboriosa. Del resto è una tradizione dei Seminari di Formazione Europea con- frontarsi con la prassi, per non disperdere un patrimonio prezioso di esperienze. La scelta della Regione Veneto è stata fatta pensando a: • un preciso modello di sviluppo; • una rete capillare di piccole e medie imprese; • un impegno particolare nel campo della formazione professionale, realizzata dai cen- tri CIOFS-FP particolarmente capaci di interagire con i centri culturali e le imprese del territorio. Anche la sede del seminario è stata scelta come cornice ideale in cui la bellezza, la sto- ria, l’impegno creativo di molti artigiani e di un grande imprenditore come Massimo Colomban si intrecciano; è un esempio di come lo sviluppo vada sempre pensato come sinergia di risorse, nel rispetto dell’ambiente. Le sollecitazioni emerse nei dibattiti, dai contributi, nei lavori di gruppo portano, a livello delle 15 regioni italiane dove opera il CIOFS-FP, un nuovo slancio di ricerca per rintracciare quegli spazi ‘interstiziali’ dove la creatività si incunea per trovare nuova occupabilità e nuova progettualità. L’apporto di alcuni partners europei - che ringraziamo per l’amicizia e la cordialità - ha dato all’incontro nazionale consueto un respiro largo, insieme con la convinzione che chi si impegna nella formazione dei giovani al mondo del lavoro contribuisce effi- cacemente al futuro dell’Europa e del mondo. Margherita Dal Lago Presidente dell’Ente CIOFS ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 V I Saluti Formazione professionale e sviluppo del territorio Sono felice, come rappresentante dell’Ente CIOFS, di salutare le autorità regionali, gli organismi presenti, i rappresentanti di altre associazioni e tutti i partecipanti a questo Seminario, che si svolge quest’anno in una terra che ben conosce la stretta connessio- ne tra territorio - sviluppo - formazione professionale. Chi conosce, almeno un poco, la realtà e la storia del Veneto, non può che ripercorre- re le tappe di una crescita territoriale che coniuga la laboriosità, la creatività, lo spiri- to di iniziativa di una popolazione che ha contribuito a creare una economia micro e macro, che fa oggi parlare di ‘modello del Nord-Est’. Il CIOFS-FP Nazionale, in questi anni, ha lavorato intensamente per innovare il modello formativo, al fine di adeguarlo alle esigenze nuove dei territori, potenziando l’orientamento, rinnovando le qualifiche, incentivando le relazioni con le Istituzioni e gli Enti Pubblici. È uno sforzo che serve a trasferire nei territori regionali e provinciali competenze e professionalità. Le giornate di ricerca e di confronto di questo Seminario metteranno in luce i percorsi fatti e le vie che si aprono: la sinergia tra aziende e formazione pro- fessionale è certamente una strategia operativa da potenziare. Auguriamo ai formatori, che ogni giorno si misurano con la fatica di accompagnare i gio- vani nel loro approccio con il mondo del lavoro, di essere sostenuti dal desiderio di far crescere una società civile consapevole dei diritti e dei doveri della cittadinanza attiva. Auguriamo ai rappresentanti delle Istituzioni di saper difendere il diritto di ogni per- sona a trovare gli strumenti - prima di tutto la possibilità reale di un lavoro - per la propria dignità e sicurezza. Auguriamo agli imprenditori - grandi e meno grandi - di sostenere lo sforzo formati- vo per una maggior professionalità e qualificazione delle persone. La riorganizzazione delle aziende, nella trasformazione tecnologica in atto, apre seg- menti sempre nuovi di lavoro. Noi crediamo che lo sviluppo sostenibile sia possibile solo nel rispetto della persona, del- l’etica, della promozione dei valori della giustizia e della pace. E crediamo che nei nostri ambienti formativi, sui posti di lavoro e là dove si decidono le politiche globali sia possibi- le, così da far crescere, insieme, la speranza nel futuro. Non ci sarà futuro per nessuno se non a partire dalle esigenze fondamentali della persona. Per questo siamo qui, insieme. Con i nostri piccoli semi di solidarietà, che cresceranno non solo nella fertile terra del Veneto, ma in tutta Italia e nel mondo intero. Margherita Dal Lago Presidente dell’Ente CIOFS V I I ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 Premessa Il benvenuto e l’avvio lo faccio non solo a nome del CIOFS-FP che ha così organizza- to questo seminario, ma a nome di CONFAP e di FORMA che sono le associazioni nazionali che lavorano per la F.P. Un altro saluto lo voglio fare a tutti gli operatori della formazione professionale che sono qui da tutta Italia, del CIOFS-FP in particolare, ma anche a tutti gli altri, per- ché il loro lavoro sempre in situazioni precarie, sempre in situazioni di emergenza è prezioso ed ha consentito di costruire una ipotesi di sistema di formazione in Italia. Il ringraziamento va anche a loro, per il lavoro incessante e volontario anche; quindi, sentite che l’organizzazione che vi accoglie per il lavoro e per la formazione è con voi e così vuole darvi una mano, un contributo di formazione. In questi giorni si è concluso il summit di Johannesburg e comunque al momento in cui noi abbiamo avviato il lavoro per la preparazione per la scelta del seminario questo summit non era ancora stato pubblicizzato, quindi la coincidenza è una coincidenza diciamo casuale e probabilmente anche positiva rispetto ai nostri lavori. Non vogliamo però farci condizionare dalle reazioni riguardo a questo summit, ma vogliamo adem- piere al compito assunto in questo seminario e portarlo a termine in rapporto agli impe- gni che ci sono così affidati nella formazione. Il tema proposto non approfondisce un campo delimitato, sufficientemente definito e chiaro, e probabilmente non arriveremo ad avere delle prospettive sufficientemente afferrabili. Sia il tema che la natura del semi- nario non lo consentono. L’obiettivo dei nostri seminari, ed in particolare di questo, è quello di provocare, e mi pare che lo abbia già fatto nel primo round dei saluti, rispet- to alla creazione di nuovi confronti di idee e poi di essere sorgente di iniziative di pro- getti successivi, come di solito i nostri seminari sono sempre stati. Il tema questa volta sia dal punto di vista della riflessione, che da quello operativo, domanda un concorso di molti soggetti. Non è possibile affrontare questo tema da un unico punto di vista e probabilmente Renata Livraghi ci aiuterà a capire meglio questo. E la formazione, che è il nostro punto di attenzione, perché possa essere realmente definita tale, cioè forma- zione nei confronti dei destinatari oggi, oggi più che in altri momenti storici, richiede di integrare in modo fattivo tutte le realtà del territorio. Il territorio si può chiamare fuci- na di formazione e incombe su tutti un po’ il compito della formazione. Ogni volta che ho avuto la fortuna di partecipare qui a Vittorio Veneto alla consegna dei diplomi degli attestati di frequenza e in cui sono state presenti le imprese, che hanno accolto lo stage degli allievi a Vittorio Veneto, mi sono sempre trovata a ricor- dare l’impegno di formazione che le aziende hanno nei confronti dei giovani e il colle- gamento e l’intesa che le aziende è importante abbiano con le istituzioni formative. Quindi la formazione nell’educazione è un compito di ogni organizzazione pubblica e privata che caratterizza il territorio, fermo restando il fatto che poi l’opera di sintesi ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 V I I I di unificazione è affidata senz’altro alle istituzioni a ciò preposte, cioè la scuola, l’u- niversità e la F.P. anche. Da queste poche considerazioni ne consegue, a mio avviso, che l’economia, la politica la configurazione sociale incidano in sinergia nelle pro- spettive future, nelle scelte morali di vita e lavorative dei giovani e che un preciso nuovo compito delle istituzioni formative in particolare della F.P. sia quello di interro- gare il territorio. Diceva Colomban che le istituzioni formative a volte (parlava dell’u- niversità, delle istituzioni scolastiche) si chiudono a guscio, ma è un compito proba- bilmente morale questo della F.P. di interrogare il territorio dove i giovani vanno ad inserirsi. Certamente in rapporto all’accoglienza occupazionale e sociale che il terri- torio stesso riserva, ma anche nei confronti dell’eco-sistema umano che dovrà integra- re le nuove generazioni. Mi è venuta in mente questa denominazione eco-sistema umano, in cui non è compreso solo il fatto della natura, solo le risorse materiali ma anche le risorse umane, tutti i tipi di risorse umane anche quelle risorse residue in un sano eco-sistema umano del territorio. Le risorse residue umane devono poter trovare il posto per vivere e per essere comunque investite anche se sono piccole, e quindi que- sto compito è importante per la formazione. Questo compito di provocare uno stimolo e un confronto è un obiettivo nascosto di questo seminario, di provocare giusta messa a fuoco della formazione, dell’educazione, ma non è possibile se questa messa fuoco della salute del sistema non è fatta anche in altri luoghi. Lo sviluppo del territorio inteso come entità di base, come insieme di caratteristiche sociali, culturali, umane, economiche, geografiche, spirituali, religiose, che conferisco- no al territorio una identità specifica richiede partecipazione, preparazione, formazio- ne, corresponsabilità di tutti i cittadini e di tutte le strutture, richiede strategie, ricer- ca di investimento comune. In tutto ciò la formazione non può essere mai chiamata fuori, deve stare assolutamente dentro, deve dialogare. Questo concetto di territorio, che è un po’ il fuoco del nostro tema, ha suggerito la scelta del Veneto che è stata già ampiamente presentato e motivato da Colomban, e dalle persone che lo hanno prece- duto. Abbiamo prescelto il Veneto come sede per questa realizzazione per vari motivi, sia perché il Veneto costituisce un soggetto di studio per il tipo di sviluppo a livello mondiale, sia perché c’è stato il lavoro, il coraggio, la creatività, l’inventiva, cioè la cura. È vero che i capannoni sono aumentati, però io sento nelle persone l’esigenza della salvaguardia del proprio ambiente; si coglie qui il senso di appartenenza all’am- biente, inteso come proprietà da curare. Questo l’ho colto nel periodo in cui sono venu- ta spesso nel centro di Vittorio Veneto a lavorare. Quindi questo dato ha reso possibile la presenza di un humus che può accogliere, qui si configura l’humus più adatto per dibattere secondo me questo tema. Comunque le domande che ci assillano e che porremo a tutti gli esperti che ci daran- no una mano a questo seminario, agli studiosi agli economisti ai sociologi ai politici e anche agli operatori di formazione professionale che comunque lavoreranno e porte- I X ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 ranno la loro esperienza nei gruppi, sono molte e riguardano la realtà che ci circonda e le risorse. Vogliamo cercare comunque di ragionare su tutto questo e cercare noi, come realtà implicata e coinvolta, delle risposte e comunque delle prospettive, cioè alcuni piccoli flash. Come conciliare la globalizzazione, che è pure una realtà anche bella sotto certi aspetti, e il territorio, il coinvolgimento operativo, la salvaguardia, la ricchezza del territorio? Cos’è il capitale sociale? Che cos’è il capitale economico? Che differenza c’è e qual è quella da privilegiare? Le risorse naturali, le risorse umane, tutte le risorse del territorio in che rapporto sono col bisogno di competitività che l’e- conomia mette a punto? L’eco-sistema naturale e umano e lo sviluppo dell’uomo e del territorio in che rapporto stanno? L’etica, la morale, la dimensione spirituale in che rapporto stanno con lo sviluppo economico puramente detto, che a volte ha il taglio dell’egoismo e del non controllo delle risorse reali, ma dello sfruttamento a volte fino all’esaurimento totale delle risorse? Che rapporto c’è tra questo? Concludo brevemente prima di passare la parola a Renata, e credo di aver motivato sufficientemente la scelta del tema del seminario anche se è un tema parecchio ampio. Il triangolo economia-politica-formazione può lavorare in sinergia, deve comunque trovare le metodologie, le modalità e come dire le tecnologie per lavorare in sinergia. Questa è la motivazione molto generale che ha spinto a scegliere questo tema che è un tema ormai non più procrastinabile dentro la formazione professionale, anche se le risposte non ci sono ancora, se le dobbiamo avviare e stimolare, affinché il tema debba essere affrontato in modo così opportunamente sinergico. E passo la parola a Renata Livraghi che ringrazio. Lauretta Valente Presidente dell’Associazione CIOFS-FP Nazionale ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 X lunedì 9 settembre Il valore del territorio 8,30 Registrazione dei partecipanti 9,00 Benvenuto 9,30 Quadro di riferimento e contesto del seminario LAURETTA VALENTE - Sede Nazionale CIOFS-FP 10,00 RELAZIONE Le specifiche di un modello di sviluppo del territorio in rapporto alla mappa delle risorse disponibili e della capacità di innovazione RENATA LIVRAGHI - Università di Parma Dibattito 12,00 TAVOLA ROTONDA Le caratteristiche di compatibilità e sostenibilità proprie di un progetto di sviluppo del territorio Coordinamento: ANTONELLO SCIALDONE - ISFOL RAFFAELE GRAZIA - F. P. Regione Veneto FRANCA PORTO - CISL Veneto GABRIELLA BARTOLOMEO - Consorzio CGM FRANCESCO BORGA - Unione Industriali Veneto Dibattito 13,30 BUFFET 15,00 Comunicazione: MARIO ULLIANA - CIOFS-FP Vittorio Veneto 15,30 TAVOLA ROTONDA Alcune esperienze nazionali Coordinamento: ANGELA ELICIO - CIOFS-FP GIAMPIETRO PAROLIN - Economia di Comunione REMIGIO SANGOI - CNOS-FAP Verona GIANCLAUDIO MAGRA - AGESS S.p.A. Dibattito X I ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 martedì 10 settembre Il valore della formazione 9,00 RELAZIONE Il modello di formazione in rapporto al modello di sviluppo BRUNO BERNARDI - Univ. Ca’ Foscari Dibattito 11,30 TAVOLA ROTONDA L’apporto dei percorsi di istruzione e formazione professionale nelle strategie di sviluppo di un sistema territoriale di partecipazione e di solidarietà. Coordinamento PASQUALE RANSENIGO - CNOS-FAP IRENE GATTI - MIUR RENATO OMACINI - Istruzione e Formazione Reg. Veneto MARIO DUPUIS - Formazione Professionale Provincia di Padova Dibattito 13,30 BUFFET 15,00 TAVOLA ROTONDA Dall’Europa modelli di formazione e sviluppo a confronto Coordinamento: ANGELA ELICIO - CIOFS-FP PHILIP O’CONNOR - DUBLIN EMPLOYMENT PACT, Irlanda; STIG HANNO - EUROPAFORUM - Stoccolma, Svezia Dibattito 17,00 Presentazione e avvio Lavori di gruppo mercoledì 11 settembre Sintesi e prospettive 9,00 Continuazione dei lavori di gruppo 11,00 Plenaria 12,00 TAVOLA ROTONDA Contributo e sintesi degli esperti coordinatori dei lavori di gruppo Coordinamento: EMILIO GANDINI - Forma Nazionale; BENEDETTO ROCCHI - Università di Firenze; IRENE GATTI - MIUR LUIGINO BRUNI - Economia di comunione FLAVIANO ZANDONAI - Consorzio CGM PIERO GARAVELLI - CIOFS-FP Lettura delle conclusione e prospettive ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 X I I ATTI DEL SEMINARIO 2 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 1 L’ECONOMIA DELLA CONOSCENZA E I MODELLI FORMATIVI A supporto del tema del seminario sono stati scelti alcuni contributi, presentati da Renata Livraghi, docente dell’Università di Parma e da Bruno Bernardi, docente dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. L’intento è di offrire una riflessione sistematica che consenta, nell’ambito della for- mazione professionale, un maggior confronto operativo tra l’elemento formativo e l’e- lemento produttivo. La necessità di tener presente l’analisi e lo sviluppo del territorio richiede, nella strut- turazione dei percorsi formativi, un riferimento costante alla configurazione econo- mica del territorio. 3 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 1.1 Le specifiche di un modello di sviluppo del territorio in rapporto alla mappa delle risorse disponibilie della capacità di innovazione I processi di sviluppo economico Fino a poco tempo fa, alcuni economisti usavano indifferentemente le parole ‘cre- scita economica’ e ‘sviluppo economico’, quasi fossero sinonimi. Di fatto sono due concetti diversi. Grazie ai lavori dell’UNDP (United Nation Development Program) si è cominciato a distinguere in maniera chiara il concetto di crescita economica da quello di svi- luppo economico. Per ‘crescita economica’ si intende la capacità che un sistema economico ha di pro- durre beni e servizi, quindi reddito, misurato, in termini sintetici, dal cosiddetto PIL (prodotto interno lordo). Il concetto di ‘sviluppo economico’ è collegato, invece, a quello di sistema territo- riale o relazionale. In termini di sviluppo, quindi, si considera se il reddito è sufficiente, ossia se il siste- ma economico è in grado di produrre un reddito in relazione alla popolazione che esiste in quel determinato sistema. Conseguentemente è stato individuato un altro metodo di misurazione, il reddito pro capite, che è la quantità di reddito prodotto rispetto al numero delle persone, ovvero quanto deve essere destinato a ciascuno in base alla capacità di produzione. Questo indicatore è tuttora valido nella misurazione di benessere, tuttavia non risolve parecchi problemi: se fossimo in un mondo in cui i redditi venissero distri- buiti equamente avremmo risolto i problemi con la crescita della produzione di beni e servizi; di fatto la realtà è molto diversa. La definizione di ‘sviluppo economico’ in cui mi ritrovo in misura maggiore è quella individuata da Kuznets: si ha ‘sviluppo economico’ quando in un sistema vi è la capa- cità di produrre una quantità sempre maggiore di beni e servizi in maniera continua nel corso del tempo. Tuttavia è necessario anche diversificare la produzione di beni e servizi e produrre beni e servizi nuovi; inoltre, occorre che il sistema sviluppi la capacità di non peg- giorare le condizioni di vita. Possiamo quindi, affermare che lo ‘sviluppo economico’ sia legato alla qualità della vita, ma un ruolo fondamentale assume la capacità di crescita. 4 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 Attualmente il sistema economico continua a crescere ma in misura molto minore rispetto alle previsioni. In alcuni Paesi dell’Asia il tasso di crescita è addirittura dell’8%, mentre in America la situazione non si differenzia molto rispetto a quella italiana (1-2%). Il concetto di ‘sviluppo economico’ è collegato alla capacità di crescita continuativa nel tempo, non troppo condizionata da congiunture e cicli economici e in grado di diversifi- care i prodotti e di produrre beni nuovi e di qualità diversa. Tutto ciò richiede che ci sia il pieno utilizzo delle risorse disponibili e, quindi, la pos- sibilità e la capacità per le persone di partecipare attivamente ai processi di produzio- ne per avere autonomia economica e mantenere la qualità della vita raggiunta. Fattori importanti per lo ‘sviluppo economico’ sono: • il progresso tecnico; • i livelli di formazione e la capacità di apprendere per l’intero arco della vita (lifelong learning); • la capacità di gestione delle risorse umane; • la capacità delle istituzioni di mutare a seguito dei cambiamenti. Molto spesso, infatti, si mutano più facilmente i processi produttivi che le istituzioni, mentre talvolta è difficile mutare i processi produttivi perché le istituzioni e le regole nate in situazioni precedenti sono in contrasto con la situazione economica contingente. Oggi abbiamo un welfare state legato ad un mercato del lavoro rigido, nato in un con- testo molto diverso rispetto al presente. La difesa di questa istituzione non necessaria- mente permette di mantenere la qualità della vita, perché le condizioni del mercato del lavoro sono mutate. Dal 1990 esistono indicatori nuovi rispetto al reddito pro capite. Tali indicatori si stan- no raffinando sempre di più. Tra i nuovi indicatori il più importante è l’indicatore di sviluppo umano, ma da quattro anni è stato istituito un indicatore di povertà umana, lo scorso anno un indice di progresso tecnologico e quest’anno un indicatore nuovissi- mo relativo alla partecipazione democratica. Questi indicatori di sviluppo umano permettono di rilevare e di dimostrare che lo ‘svi- luppo economico’ è dovuto al progresso tecnico, ma soprattutto al fatto che le persone possono scegliere con libertà ed autonomia, in modo tale da poter partecipare attiva- mente e realizzarsi in quel contesto in cui si trovano. L’indicatore di sviluppo umano sintetizza le capacità essenziali che una persona deve avere per poter esercitare la propria libertà e partecipare attivamente al contesto in cui è inserito. Occorre garantire ad ognuno le condizioni essenziali per lo sviluppo, ossia: vivere a lungo ed in buona salute, la capacità di pensiero e di scelta, la capacità professionale, l’istruzione, la capacità di avere reddito in autonomia, di partecipazione al mercato del lavoro per chi è in età attiva e di reddito per chi non ha la possibilità di partecipare attivamente al mercato del lavoro. 5 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 L’indicatore di povertà umana è importante soprattutto per quei sistemi in cui sia l’indicatore di sviluppo umano sia quello di povertà umana sono assai elevati (ad esempio gli Stati Uniti), ma ci sono gruppi di persone che non possono usufruire delle potenzialità del sistema economico. Occorre in questo caso cambiare l’istituzione e rimuovere gli ostacoli che impedi- scono la parità di accesso a tutti alle opportunità offerte dal sistema. In Italia, il reddito pro capite ci colloca al settimo posto tra i paesi del mondo, men- tre rispetto all’indicatore di sviluppo umano ci colloca al ventesimo posto. Questo significa che in Italia lo sviluppo umano è piuttosto basso rispetto ai paesi industrializzati, tuttavia è relativamente basso anche il tasso di povertà umana, grazie alle istituzioni precedenti, al tipo di welfare state, al mercato del lavoro e ai valori culturali. I tassi di disoccupazione elevati indicano la difficoltà di partecipazione della popo- lazione attiva al mercato del lavoro. Il concetto di new economy all’interno di un processo di globalizzazione Lo ‘sviluppo economico’ si sta diffondendo in tutto il mondo, anche se il 13% della popolazione mondiale è a livelli di povertà molto elevati. Nei paesi industrializzati, a partire dagli anni ’90, le modalità individuate per il perseguimento del progresso tecnico hanno subito dei profondi cambiamenti. Gli economisti hanno denominato questo processo new economy, ad indicare un cambiamento assai rilevante. L’avvento della new economy ha portato a rivedere alcuni fattori che gli economisti precedentemente davano per scontato. Alcuni sostengono che stiamo vivendo la quarta fase della rivoluzione industriale: le prime fasi dell’industrializzazione e dell’introduzione di materie prime nei processi di pro- duzione hanno richiesto processi lunghissimi, mentre nella terza e quarta fase i tempi sono stati molto più brevi. Si parla di rivoluzione perché i cambiamenti sono così rilevanti che richiedono modifiche in comportamenti e situazioni che si ritenevano depositate. Nel corso degli anni ’90, si è accelerato il progresso tecnico, soprattutto nel campo del- l’informazione e della comunicazione, ma l’introduzione di nuove tecnologie ha intro- dotto dei cambiamenti radicali anche nei processi produttivi di settori di attività com- pletamente diversa. Mentre nelle prime analisi si distinguevano settori della new economy da settori della old economy, in seguito si è vista un’interrelazione tra i vari settori: è diffici- le parlare di servizi di settore terziario come in passato perché anche l’industria non può più produrre senza servizi all’impresa. La globalizzazione ha contribuito alla mobilità dei fattori produttivi ed il processo 6 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 tecnologico in atto ha facilitato e modificato questa mobilità assumendo forme com- pletamente diverse rispetto al passato. Il processo di globalizzazione porta dei vantaggi rilevanti, ma anche squilibri note- voli, soprattutto tenendo conto degli aspetti locali delle diverse aree di ciascun paese. Ad esempio: fino agli anni ’50 - ‘60, gli Stati Uniti presentavano un tasso di invec- chiamento della popolazione molto maggiore rispetto all’Europa; oggi in Europa, e soprattutto in Italia ed in Germania, il livello di invecchiamento è piuttosto alto, con- tro l’inversione di tendenza negli Stati Uniti, dovuta alla crescita dei tassi di fertilità e all’effetto dell’immigrazione. Questo comporta un processo di sviluppo completamente diverso, perché dove la strut- tura demografica è più giovane aumenta anche la domanda di formazione. D’altra parte, tutte le ricerche mostrano un invecchiamento della popolazione che da un lato presenta una speranza di vita elevata ma dall’altro un tasso di fertilità basso. Il vero problema nella economia italiana risulta essere il tasso di dipendenza economica, dovuto ad un invecchiamento molto elevato e un tasso di inoccupazione altrettanto elevato. Per trovare una soluzione al tasso di dipendenza economica così elevato, è necessario delineare delle politiche che possano aumentare l’occupazione femminile, aumentare la partecipazione dei giovani e facilitare la permanenza nel mercato del lavoro. Il processo di globalizzazione non è riuscito a correggere questi aspetti, ma anzi ha generato degli squilibri, soprattutto a livello di reddito. Si stanno delineando situazioni in cui non ci sono uguali opportunità, con conseguen- ti problemi etici. La knowledge economy Il processo di transizione di effetti del processo tecnico ha innestato il discorso della knowledge society o knowledge economy. Un indicatore molto grezzo di knowledge economy è dato dalla capacità di ricerca e di sviluppo che vi è in un paese, dai livelli di formazione che esistono e dalla formazione continua e permanente, dalla struttura produttiva del paese stesso (per esempio dal peso di alcuni settori dell’attività terziaria). La knowledge economy è diffusa in maniera rilevante negli Stati Uniti e, tra i paesi europei, in Svezia, Norvegia e Danimarca. I paesi che riescono ad avere maggiore ‘sviluppo economico’ ed anche ‘crescita econo- mica’ sono anche i paesi che hanno una knowledge economy molto diffusa. Le conoscenze, le capacità, il sapere hanno sempre generato maggiore capacità di pro- duzione, ma la knowledge economy è differente rispetto al sapere e alle conoscenze. Knowledge economy significa avere la capacità di trovare la soluzione ai problemi, attraverso l’esame della realtà. 7 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 È fondamentale riflettere sul modo in cui si è trovata la soluzione e cercare di gene- ralizzarla in modo che diventi prassi normale nei processi. Il problema della conoscenza è legato ai processi di apprendimento e alla capacità di utilizzare quanto si apprende nella soluzione dei problemi. In termini tecnici si chiama “processo di learning e development”. La conoscenza, quindi, è un bene ed un processo di tipo dinamico. Questo bene entra nei processi di produzione alla stregua degli altri fattori produttivi, quali il lavoro, il capitale materiale, la capacità di organizzazione. La conoscenza è un capitale che può essere definito ‘capitale intangibile’, che si forma attraverso la ricerca, lo sviluppo, i processi di apprendimento, la formazio- ne, la capacità di coordinamento e la capacità intersoggettiva di avere delle rela- zioni stabili e di fiducia, di generare i cosiddetti network. Questo ‘capitale intangibile’ viene immesso in un processo di produzione che pro- duce ulteriore conoscenza. La conoscenza è cresciuta in tutti i paesi industrializzati in modo molto rilevante, soprattutto nel corso dell’ultimo decennio, grazie all’aumento dei livelli di forma- zione e di ricerca, e grazie al processo di globalizzazione e di progresso tecnico nel settore dell’informazione e delle comunicazioni. Per questo di parla solo ora di “economia della conoscenza”, pur essendo sempre esistita; ciò che cambia è che oggi si riesce a conoscere il sapere degli altri. Se la conoscenza è la soluzione dei problemi, bisogna mutare completamente i pro- cessi di apprendimento, incrementando la partecipazione attiva delle persone. A livello internazionale, si rileva che per vivere nei paesi industrializzati occorre avere quindici anni di formazione di base comune a tutti. È dalla formazione di base che si innesta un processo di apprendimento per tutto l’arco della vita. È possibile diversificare questi processi di apprendimento lungo l’arco della vita solo se c’è una buona formazione di base. Per realizzare knowledge economy è necessario considerare la metodologia con cui si insegna il processo, con particolare riferimento ai contenuti inerenti il progresso tecnologico, l’informazione e la comunicazione. La formazione deve essere data per l’intero arco della vita, ma recuperata in ter- mini di formazione di base, altrimenti si rischia di escludere dalla vita sociale una parte rilevante della popolazione. Bisogna attivare la capacità di vivere il cambiamento, l’adattamento, il rischio, il gusto della scoperta, che rientra nei processi di apprendimento. Se si riesce a realizzare knowledge economy, si verificano cambiamenti importan- tissimi in termini di organizzazioni e in termini di contenuti di formazione e del processo di apprendimento. 8 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 La gestione delle differenze territoriali Le differenze territoriali e sociali continuano però, a rimanere. Da qui il concetto di creative society: bisogna tener conto delle differenze e distribuire i frutti in maniera equa, secondo un principio etico, affinché il minimo ci sia per tutti. La conoscenza è un processo individuale che viene stimolato dall’ambiente esterno, dal lavoro di gruppo. È importante fornire gli strumenti perché nel corso dell’intera vita ciascuno possa formarsi, ossia imparare ad imparare. Questo è uno degli effetti più rilevanti dell’economia della conoscenza, oltre alla modi- fica delle organizzazioni nei processi di produzione. Come gestire le differenze territoriali e sociali in questo processo di cambiamento rile- vante? Di fatto si innestano cambiamenti dinamici, e, quindi anche i valori possono essere mutati, ad esempio diviene un valore l’esperienza dell’incontro con il diverso. Confronto tra la riforma universitaria e la knowledge economy Fondamentale in questo contesto è il ruolo degli esperti nella progettazione dei percorsi formativi. In Italia è in atto la riforma universitaria attraverso la quale si richiede ai docenti universitari di insegnare in modo diverso, di fare da tutor e di autovalutarsi. Personalmente sono coinvolta nel progetto CampusOne1, che coinvolge 70 università, 270 corsi universitari, 9 mila docenti e 50 mila studenti e segue la sperimentazione della riforma universitaria. I fondamenti della knowledge economy si ritrovano appunto in questa riforma. Viene richiesto un confronto con l’esterno, con le cosiddette parti interessate, ovvero tutti coloro che sono interessati al prodotto finale del processo formativo (i futuri dato- ri di lavoro dei laureati, i laureati stessi...). Le parti interessate hanno un ruolo rilevante nella delineazione dei contenuti formati- vi, nelle strategie da ottenere per far sì che, con le risorse disponibili, si possano dav- vero realizzare gli obiettivi proposti. Altro aspetto importante della riforma universitaria è il concetto di autovalutazione, imposto per il momento con il processo di accreditamento: grazie all’autonomia finanzia- ria, il ministero sostiene che solo i corsi accreditati saranno destinatari dei finanziamenti. Il progetto CampusOne prevede un processo in cui si devono delineare esigenze obiet- tive di un corso, il sistema organizzativo, le risorse, il processo formativo, la verifica dei risultati, le analisi per prevedere il miglioramento. 1 Per ulteriori approfondimenti sul progetto CampusOne riportiamo in appendice il saggio La coeren- za della riforma universitaria con i problemi posti dalla “economia della conoscenza”, redatto da Renata Livraghi. 9 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 Questo cambiamento organizzativo si pone in relazione alla delineazione della “economia della conoscenza”, che muta anche i comportamenti delle persone, in quanto richiede un lavoro nuovo di tipo cooperativo con i colleghi e di confronto con le parti esterne. Inoltre, richiede che la formazione venga decisa e raccordata a livello di territorio, anche se le università non lavorano solo per il territorio, ma a livello nazionale e, soprattutto, internazionale. Anche il discorso delle pari opportunità diventa importante in questo contesto. La formazione professionale non deve riguardare solo i ragazzi ma anche gli adulti, in un contesto di lifelong learning. La riforma universitaria non deve riguardare solo i giovani, ma anche le persone già inserite nel mercato del lavoro e che tornano alla formazione attraverso master di primo e di secondo livello e i vari corsi di perfezionamento. Le università devono interagire con le parti interessate, che non sono solo le impre- se e i giovani, ma anche i centri di formazione professionale. L’interazione tra università e formazione professionale è un fatto assolutamente nuovo. Renata Livraghi Professore ordinario di Politica Economica Università degli Studi di Parma 1 0 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 1.2 Il modello di formazione in rapporto al modello di sviluppo Le riflessioni emerse nel corso di questo seminario, riguardanti il modello della forma- zione professionale intervengono non in una realtà ‘de iure condendo’, ma in una realtà che è già profondamente strutturata e che, dal punto di vista dell’economia locale, ha già una sua dimensione assolutamente leggibile. Noi dobbiamo prendere atto di ciò che già esiste e provare, in primo luogo, a com- prendere i suoi modi di funzionamento e in seguito ideare alcune modalità attraverso cui interagire con questa realtà. L’obiettivo è rendersi conto della competitività di questo sistema. Il modello che sta emergendo è un modello che ha sempre meno bisogno di esecutori e sempre più bisogno di interpreti. Sempre più spesso ci troviamo in condizioni nelle quali, a qualunque livello di respon- sabilità, viene richiesto un contributo discrezionale, un contributo professionale speci- fico, da parte delle persone coinvolte. Il fatto che si ricerchino competenze sempre più allargate significa non solo un mag- gior livello di responsabilità e una maggiore pienezza nella componente professionale del mestiere, ma anche un maggior livello di rischio. Ai tempi dell’impresa fordista (anni ‘60, ‘70 e ‘80) il rischio era tipicamente un rischio d'impresa. Negli ultimi due decenni, invece, l’originario rischio d’impresa si è scisso in due componenti: uno che resta a livello dell’impresa e uno che si è tra- sferito sui dipendenti, come un rischio specifico di invecchiamento tecnologico, di obsolescenza delle proprie competenze. Le nostre organizzazioni non possono più fare riferimento alla semplice misura del pre- statore d’opera, ma è necessario riferirsi alle persone nella loro interezza. Di questo la formazione professionale deve tenersi al corrente, oggi. Il modello di sviluppo Se identità e organizzazione di rete sono elementi distintivi che si colgono nella lettu- ra del territorio e della sua evoluzione economica e sociale, il vero profilo di criticità sta nei processi innovativi, cioè nella capacità non soltanto di generarli ma soprattut- to di trasferirli al fatto produttivo. Parlo di innovazione non nel senso di ricerca, ma di innovazione come trasferimento tec- nologico, cioè come passaggio di conoscenze, di nozioni dalla fase in cui sono ideati e uti- lizzate dai soggetti al momento in cui sono impiantate presso di noi. Nel mondo della produzione non esiste il fenomeno copiatura, in quanto la copiatura 1 1 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 non sopravvive all’atto di farla. Esiste, piuttosto, la copiatura intelligente: i nostri sistemi, in una certa misura, si sono sviluppati anche attraverso la copiatura di quello che accadeva altrove. Ma è stata una copiatura che ha dato un valore aggiunto. Di conseguenza, i model- li imitativi che sono in grado di sopravvivere nel tempo e di autoalimentarsi sono autentici modelli. L’innovazione di cui parliamo, in questo momento, va intesa anche in questo signi- ficato: innovazione in senso scientifico, trasferimento di tecnologie e adozione di buone pratiche. C’è un filone degli studi organizzativi che si chiama “management dell’unicità”, che si occupa precisamente dei rapporti uno ad uno, all’interno dei percorsi formativi. Mario Dupuis sostiene la necessità di fare una sorta di personal coaching, cioè di gestione personalizzata e diretta del rapporto formativo. Dal punto di vista degli studi organizzativi e della realizzazione che ne viene fatta in molte organizzazioni, questa gestione personalizzata è già un fatto operativo. Dobbiamo copiarlo con intelligenza all’interno dell’università, certamente, ma anche all’interno di altre organizzazioni formative. Una forma di innovazione sociale ed economica importantissima sono stati i pro- cessi di auto-organizzazione competitiva; sono quei processi nei quali le nostre comunità locali ben coese sono riuscite a trasferire in qualità di rapporto produtti- vo la precedente qualità di rapporto umano. È quello che abbiamo definito “auto-organizzazione competitiva”: auto-organizza- zione perché nata dalla consapevolezza precedente delle comunità di questo tipo di comportamenti; competitiva nel senso che è stata messa al servizio di un disegno, in questo caso sociale, ma soprattutto economico. I distretti, quindi, sono il risultato di numerosi fenomeni che vanno dall’affievo- lirsi delle tutele nazionali, centrali, fino alle pressioni derivanti dai fenomeni della globalizzazione. Il problema sta in questo: l’economia contemporanea, per il fatto di avere reso molto più veloci e praticabili i rapporti tra una zona e l’altra, mette in comunica- zione, in confronto e in competizione aree che un tempo erano assai distanti e pra- ticamente non interagenti l’una con l’altra. In altri termini anche il territorio deve essere in grado di competere. L’idea di competizione, che solitamente si associa alle imprese, va estesa anche ai territori. Le opportunità territoriali evidenziate da Mario Dupuis (la creazione di un’anagra- fe territoriale, la capacità e possibilità di intervenire con la propria struttura 24 ore al giorno per tutti quanti i giorni dell’anno sui casi di abbandono e così via), è un modo per rendere il territorio più competitivo rispetto ad altri, più carico di oppor- 1 2 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 tunità per chi vi si vada ad insediare. Ciò ha una connotazione in parte sgradevole, perché impone evidentemente un discor- so di differenziazione, che diventa positivo quando coinvolge il sistema universitario. In futuro, grazie all’autonomia ed ad una buona interpretazione dell’autonomia, verrà messo bene in evidenza qual è l’università di serie A B C e qual è, su specifica attività, l’università che non può neppure essere classificata. Questo fenomeno in Europa sta già avvenendo ed è un grande stimolo al migliora- mento delle università medesime e, allo stesso tempo, è anche una difesa per coloro i quali andranno ad iscriversi all’università. Differenziare, invece di coprire sotto un manto di finta omogeneità, è un processo innovativo. La stessa cosa accade per i territori. Con alcuni problemi da evidenziare. Ci sono imprese, nate in un certo territorio, che ne hanno utilizzato le potenzialità, si sono sviluppate talmente bene da aver raggiunto dimensioni tali da non poter più esse- re sostenute dal territorio stesso. Di conseguenza queste imprese vanno fuori e si ripre- sentano sulla soglia di casa non più sotto forma di indigeni, ma sotto forma di clienti. Questo è un problema enorme ed importante, che si pone non solo all’autorità politi- ca, ma anche a tutti coloro che risiedono in una certa zona. I fenomeni della mondializzazione dell’economia, che si sono sviluppati all’inizio degli anni ‘80, hanno prodotto una forte divaricazione di interessi all’interno di comunità che un tempo erano molto più solidali. E la divaricazione di interessi crea problemi tra quelli che si possono muovere dal territorio, approfittando dell’opportunità che viene data da territori esterni, e quelli che invece, per varie ragioni, in quel territorio sono costretti a rimanere. In questo quadro, il tema dell’innovazione si divide in due grandi aree: l’innovazione come strumento competitivo, come capacità di sopravvivenza conservando le condizioni di benessere del territorio, e innovazione come capacità competitiva, la capacità, cioè, di sopravvivere conservando le condizioni di autonomia e di scelta da parte delle imprese. Nel primo caso innovazione significa agire sugli elementi che producono competenze specifiche del territorio e questo comporta coinvolgere non soltanto, come sembra ovvio e immediato, la politica locale, ma anche tutto il complesso variegato panorama dei corpi sociali intermedi. Nel secondo caso innovazione è quella riferita al microsistema aziendale, cioè a cia- scuna impresa con le sue particolarità. Formazione professionale e rapporti con l’impresa Inquadrare le problematiche della formazione, in particolare della formazione profes- sionale, in maniera soltanto strumentale alla dimensione economica o addirittura di 1 3 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 impresa, diventa riduttivo. In realtà, c’è molto di più. Una quindicina di anni fa, ad un gruppo venne in mente di costituire a Venezia un’associazione che si chiamava “Amici Di Ca’ Bembo” (Ca’ Bembo è il nome del palazzo nel quale risiede il nostro dipartimento di Economia Aziendale). L’obiettivo di questa associazione era quello di radunare un certo numero di finan- ziatori esterni alle iniziative di qualificazione del dipartimento stesso. Queste iniziative di qualificazione, in sostanza, volevano permettere ai giovani più bravi di frequentare una delle prime dieci università nel mondo sulle nostre materie. Di queste, otto università sono negli USA. Nel giro di pochi anni noi abbiamo prodotto una serie di dottori di ricerca nostri, che si erano qualificati presso queste università, frequentando un corso biennale. Questo fatto ha contribuito a far sì che il nostro dipartimento abbandonasse la logi- ca prevalentemente, anche se non esclusivamente, nazionale e acquisisse una logi- ca di intensa cooperazione internazionale. Per un tale processo di qualificazione servivano i soldi per le borse di studio e per questo ci siamo rivolti ad un certo numero di imprenditori veneti, chiedendo loro investimenti per contribuire a far funzionare meglio il prodotto. La strada da percorrere per raggiungere risultati soddisfacenti è ancora lunga. Questo, però, è il quadro nel quale si inserisce anche la valutazione su quale tipo di for- mazione professionale è utile allo sviluppo delle imprese. Non basta fermarsi a ciò che le imprese richiedono, perché molto spesso la domanda è difficile anche da formulare. Nella nostra comune esperienza di formatori, si è visto che la maggiore efficacia nei nostri interventi viene conseguita non quando la scuola lavora con i ragazzi, o quando l’impresa lavora con i ragazzi, ma quando siamo in grado di mettere assie- me, in maniera non fittizia, ma sistematica e coordinata, i rapporti tra il modo pro- duttivo, la formazione professionale, la formazione in generale e infine le persone. Le nostre esperienze fatte nei corsi di IFTS (Istruzione Formazione Tecnico Superiore), con il CIOFS-FP di Vittorio Veneto, ma anche molte altre, si sono basate proprio su una squadra composta da questi tre elementi. Una vera e propria collaborazione, non ignorando che sono collaborazioni difficili da avviare, perché uniscono culture diverse, che fino a pochissimo tempo fa si sono reciprocamente girate le spalle. Ai diversi livelli formativi, i processi efficaci sono quelli focalizzati sulla persona e sulla molteplicità di situazioni e di strumenti di apprendimento. Gli scenari economici e sociali, ai quali abbiamo fatto riferimento, richiedono soprattutto competenze trasversali, rispetto a quelle professionali, non perché le competenze di mestiere valgano meno, ma perché ciò che è decisivo e costituisce il successo stesso della competenza professionale è il suo inserimento in una rete di competenze trasversali, di tipo relazionale, comunicativo e organizzativo. Ciò che contraddistingue l’economia moderna è il riferimento prevalente alla cosid- 1 4 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 detta tecnologia interiorizzata, cioè un saper come fare delle cose, basato su due com- ponenti: conoscenze di mestiere e capacità di relazione. Nei rapporti professionali, la capacità di comunicazione e coinvolgimento è fonda- mentale per raggiungere performance ottimali. Le competenze trasversali, cioè relazionali, organizzative, comunicative, sono indi- spensabili non soltanto per il capo che deve coinvolgere i suoi collaboratori, ma anche per ogni collaboratore che deve relazionarsi con i propri pari, che deve relazionarsi con l’autorità all’interno della struttura. Si tratta in sostanza di trasmettere la capacità di comprendere il funzionamento dell’impresa o dell’organizzazione nella quale si è inse- riti, del ruolo che la persona assume all’interno di questa struttura. Emerge, quindi, la necessità di orientare le persone a comprendere quale sia il loro ruolo all’interno dell’organizzazione. Nella cultura attuale, un altro fattore importante su cui insistere è la capacità di coo- perazione, comunicazione e relazione, la capacità di orientamento all’attività lavorati- va: è importante che la formazione professionale aiuti a diagnosticare e risolvere i pro- blemi e abiliti alla capacità di selezionare le informazioni, che indicano l’esistenza di una criticità, alle capacità legate al soggetto (autonomia, assertività, autocontrollo), alla capacità di apprendere ad apprendere. L’università Ca’ Foscari di Venezia ha seguito un importante progetto di formazione e di ricerca, un progetto pilota nell’ambito del Programma Leonardo, che si occupa pro- prio di trasferimento delle competenze trasversali. Con 25 neo laureati abbiamo fatto un percorso articolato in cinque moduli. Un modulo di auto-apprendimento si chiamava proprio “apprendere ad apprendere”. Interessante è stata la scoperta, da parte nostra, che una delle manchevolezze dell’u- niversità sta nel fatto che non insegna al primo anno come prendere appunti, assiste- re ad una lezione, come fare gli esercizi, come utilizzare il tempo di un professore… Apprendere ad apprendere è soprattutto un fatto importante per noi stessi. La capacità di inserirci in processi di questo genere è assolutamente vitale, non solo per la competitività del sistema, ma anche per l’efficacia delle istituzioni formative. Queste competenze risultano critiche per l’inserimento dei giovani nelle aziende (è dimostrato anche da diversi documenti governativi), in quanto le competenze trasver- sali costituiscono la base su cui si sviluppa poi l’apprendimento, la sistematizzazione e l’esercizio delle competenze di mestiere. Ho cercato, attraverso queste osservazioni, di dare una risposta al quesito: «Quale modello di formazione per il territorio?» Un territorio caratterizzato dai problemi dell’innovazione, intesa anche come trasferi- mento di tecnologie, è un territorio nel quale le dinamiche sociali ed economiche hanno bisogno non soltanto di competenze di mestiere ma anche di competenze trasversali. Di conseguenza, l’investimento sullo sviluppo delle competenze trasversali presso i nostri 1 5 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 allievi diventa una delle priorità del sistema formativo. Vorrei aggiungere qualche altra considerazione riguardante in parte i processi forma- tivi e in parte il modello di sviluppo economico del territorio. Per quanto riguarda i processi formativi, è chiaro che man mano che si allarga la neces- sità di questi interventi, si allarga in maniera ancora più abbondante l’offerta dei servizi. Accanto ad una dimensione specificamente d’aula, esiste anche una dimensione che scaturisce dall’incontro tra le competenze formative e le necessità del gruppo e dei sin- goli ai quali ci si rivolge, che richiedono una grande e specifica attenzione alla proget- tazione didattica. Emerge la necessità di adottare adeguati criteri di valutazione e di certificazione dei percorsi formativi. Esistono delle buone pratiche, che si possono dedurre anche da contesti internazionali, oltre che da quelle sviluppate da noi. Ci sono buone pratiche che devono seguire un certo percorso e altre che, invece, hanno dei profili di maggiore significatività, rispetto alle buone pratiche e che non vanno incoraggiate. Un secondo elemento da evidenziare è quello delle strategie didattiche, delle modalità organizzative per facilitare il sistematico accesso alla formazione, non solo a quella ini- ziale, per i giovani della formazione professionale e anche per i soggetti più adulti. Può essere relativamente più semplice avviare un processo dall’inizio perché ci sono delle attese ed una storia precedente. Può essere invece, molto più difficoltoso avviare un processo già in fase di sviluppo, intervenire, cioè nella formazione di competenze di persone che sono già da tempo inserite in una situazione professionale. Dal punto di vista del sistema produttivo, ci sono considerazioni molto importanti da fare sulla formazione permanente e sulla formazione in alternanza, come elemento attivo e non accessorio per prevenire i fenomeni della obsolescenza organizzativa e tec- nologica, per fare manutenzione sulla qualità organizzativa delle nostre organizzazio- ni (sia le imprese sia il non profit). Questi argomenti meritano di essere setacciati, si collegano a casi, situazioni, progetti effettivamente realizzati e che possono costituire un suggerimento (o in alcuni casi una scorciatoia) per la realizzazione veloce ed efficace di percorsi formativi adeguati. I processi formativi, per esempio, oltre ad essere fatti in aula, possono essere fatti anche altrove. Questo significa che per raccogliere una quantità di persone maggiore, soprattutto nel caso della formazione in alternanza e della formazione permanente, è necessario attrezzare i centri e le persone sul piano dell’uso delle tecnologie per la for- mazione a distanza. Importante, a questo proposito, è il concetto di coaching personale, cioè di attenzione personale diretta da parte di uno o più tutor per processi di apprendimento che siano in parte gestiti come processi di auto-apprendimento, utilizzando software interattivi 1 6 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 e situazioni di aula virtuale. In Italia la formazione a distanza non è ancora del tutto possibile per una banale questione tecnologica: l’inadeguata disponibilità di banda larga. Utilizzare la tecnologia non è una semplice estensione del modo di fare formazio- ne usata fino ad ora, ma è una vera e propria rifondazione del modello formati- vo, che ha bisogno di attenzione e di personale docente in parte diverso da quel- lo utilizzato finora. In altri termini c’è la necessità di una attività di tutorato, per quanto riguarda la formazione-in-linea, molto più evoluto di quanto non sia il tutorato d’aula, che uti- lizziamo per la formazione in presenza. Conclusioni Per concludere richiamo alcuni passaggi fondamentali. 1. È indispensabile sviluppare un intenso processo di collaborazione tra i diversi interlocutori coinvolti nei processi formativi: le persone che entrano nel percorso formativo, a volte le loro famiglie, le organizzazioni produttive, le organizzazio- ne politiche del territorio, le agenzie formative, le università e così via. 2. Un secondo elemento sottolineato è che non si può assolutizzare il modello uni- versitario e adattare in maniera funzionale tutto il resto del percorso. Dobbiamo partire da una capacità di ascolto delle necessità del territorio, delle persone, delle organizzazioni e di conseguenza, fare delle proposte attendibili. Il punto focale è la concentrazione sulle persone e sui loro bisogni. 3. Il terzo aspetto da evidenziare è che occorre non limitarsi alle competenze di mestiere, ma puntare sulla dimensione trasversale delle competenze. 4. Un quarto elemento è la necessità di investire per tempo nelle tecnologie della formazione, perché queste implicano un rapporto diverso (tutto da esplorare nelle sue caratteristiche positive e potenzialmente minacciose) tra formatore e persone inserite nel percorso formativo. 5. Infine, è necessaria una grande sensibilità per cogliere la natura complessa dei pro- cessi di cambiamento. Se la natura dei processi di apprendimento coinvolge tanti diversi soggetti non è sempre facile prevederne gli sviluppi. Dobbiamo quindi metterci in ascolto e in interazione. Insomma si richiede a cia- scuno di noi di porsi in una situazione di umiltà. Bruno Bernardi Professore associato di Economia Aziendale Università Ca’ Foscari di Venezia 1 7 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 2 LO SVILUPPO DEL TERRITORIO E IL SISTEMA FORMATIVO La prospettiva delle due tavole rotonde che presentiamo tiene presenti due aspetti rite- nuti significativi: quello dell’economia e dello sviluppo del territorio e quello del siste- ma formativo, che al territorio deve far riferimento. La scelta della realtà locale del Veneto come sede dei lavori del seminario ha costitui- to il naturale contesto per il dibattito sul tema proposto. La prima tavola rotonda, coordinata da Antonello Scialdone dell’ISFOL, coinvolge gli attori territoriali e dà rilievo alle specifiche esigenze della realtà locale. La seconda tavola rotonda, coordinata da Pasquale Ransenigo del CNOS-FAP, coin- volge alcuni attori su scala nazionale. L’attenzione è posta, in particolar modo, sui processi di innovazione del sistema sco- lastico-formativo italiano. L’intento è di evidenziare nei processi formativi l’esigenza di un rapporto dialettico tra base comune e specificità territoriale. I contributi offerti sono stati di grande stimolo al dibattito ed hanno evidenziato che le criticità sono ancora molte. Una riorganizzazione dell’assetto formativo, che riesca a coniugare le esigenze di una base comune e le specificità territoriali, richiede ancora un forte impegno politico e organizzativo e tempi più lunghi. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 1 8 2.1 Le caratteristiche di compatibilità e sostenibilità proprie di un progetto di sviluppo del territorio 2.1.1 La delocalizzazione come fattore di sviluppo economico e sociale Parliamo di ‘modello di sviluppo’. La parola ‘modello’ applicata alla Regione Veneto è superata. Infatti la realtà del Veneto è, ormai, sufficientemente conosciuta: anche il Nord-Est è stato analizzato nei suoi processi di sviluppo e sono evidenti i motivi per cui sta nascendo, in questi anni, una forte preoccupazione tra gli attori sociali del Veneto. In primo luogo, questa realtà è balzata all’attenzione internazionale quando durante una riunione del G7, più o meno impropriamente, il presidente americano Clinton ha citato il Nord-Est come una delle più significative aree di sviluppo. La stampa mondiale si è interessata al fenomeno, su cui, fino a quel momento, nes- suno, tranne gli addetti ai lavori e qualche appassionato docente universitario, si era mai interrogato. Il dibattito avviato, a metà degli anni ’90 all’interno delle forze pro- duttive e degli industriali in particolar modo, ma anche delle forze politiche, è diven- tato un interrogativo serio. Ma per comprendere perché si parla oggi di ‘miracolo’ è sufficiente ricordare che il Veneto, agli inizi degli anni ’50, era tra le più povere regioni d’Italia, caratterizzata da un conseguente forte processo di emigrazione. Sono infatti, numerosissime le famiglie con parenti in altre zone d’Italia, d’Europa e, molto spesso, anche in America e in Australia. In riferimento all’America, ad esempio, all’inizio di questo secolo, oltre il 30% della popolazione veneta ha lasciato questa regione per paesi del Sud-America. Le recenti iniziative della Regione sull’immigrazione di ritorno è indice di una attenzione e di una sensibilità molto forte verso questi temi proprio a causa dei precedenti storici. Ma è possibile indicare alcuni fattori di sviluppo che caratterizzano la nostra realtà 1) Prima di tutto c’è il fattore famiglia. Qui l’economia è nata come “economia familiare” ed ha trovato il modello di svi- luppo nella famiglia e nell’organizzazione parentale. Si stima che, oggi, ci sia un’impresa ogni 10 famiglie: su 4,5 milioni di abitanti ci sono circa 500 mila imprese, piccole e grandi. 2) Il secondo fattore di sviluppo è proprio l’immigrazione, che ha consentito, dopo la prima fase di drenaggio di risorse, un ritorno di professionalità soprattutto dai paesi maggiormente sviluppati dell’Europa: Francia, Germania e Svizzera. 1 9 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 Tale ritorno di professionalità ha consentito di rinsaldare la micro-impresa legata alla famiglia. Inoltre, l’immigrazione ha consentito, come avviene in questi anni per gli emi- granti ufficiali e non che vengono dall’Est europeo, l’arrivo di consistenti finanziamenti. Si sono perciò integrate professionalità individuali, spirito imprenditoriale legato al concetto di famiglia e forti rimesse economiche. A questi due fattori ne vanno aggiunti altri tre. 1) Forte propensione della popolazione veneta al lavoro con grande attenzione al risparmio a volte estremizzata al punto tale di farla diventare uno pseudo valore. Voglio dire che la classe politica ha lasciato che si avviasse un forte sviluppo senza avviare contemporaneamente una programmazione vincolante. Giuseppe De Rita, presidente del CENSIS, profondo studioso del fenomeno, nel 1985 durante una campagna elettorale, è arrivato ad affermare che tra le fortune del Veneto c’è proprio la mancanza di programmazione. Non è proprio così, naturalmente. 2) La gestione oculata delle amministrazioni comunali. Fino alla fine degli anni ’90, quasi tutti i comuni del Veneto avevano i bilanci in attivo perché gestiti con il buon senso del padre di famiglia; le spese, cioè, venivano controllate. Negli anni ’70, una delle polemiche più aspre riguardava il confronto tra le realtà amministrative venete e quelle romagnole. Un esempio: una cittadina del Veneto orien- tale di 30 mila abitanti, confrontata con una dell’Emilia Romagna con le stesse carat- teristiche di abitanti, aveva un dislivello, “un gap di servizi” molto inferiore a quella dell’Emilia Romagna. Ma la cittadina emilio-romagnola aveva un bilancio fortemente in passivo, ripianato dallo Stato (che a quel tempo colmava i deficit dei comuni), quella veneta, invece, con le sue risorse, era in attivo. Questo significa per noi una politica condotta “con il buon senso di padre di famiglia” da una classe politica che, con intelligenza, ha gettato le basi di questo sviluppo. 3) Il rapporto intelligente e forte con il sindacato. Negli anni ‘70-‘80 si sono verificati in Veneto alcuni grossi processi di ristrutturazio- ne aziendale, con costi sociali non paragonabili a quelli di altre aree forti, come il triangolo Torino-Genova-Milano di quel tempo. Il concetto di mobilità, infatti, l’idea di individuare la risoluzione del problema in pro- spettiva e non nell’immediato era un concetto che le parti sociali hanno sempre rite- nuto fondamentale, facendolo proprio. È necessario, secondo me, riprendere questo concetto (oggi prende il nome di concertazione) perché è uno dei fattori indispensabi- li per consentire di guardare al futuro. Mi rendo conto che oggi ci sono però ripensamenti e timori diversi. La società di oggi, qui da noi, è stata definita dagli studiosi post fordista. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 2 0 Se è vero che il ruolo della grande impresa è, generalmente rilevante nello sviluppo, la grande impresa, qui nel Nord-Est, non ha avuto un grande radicamento. L’esperienza di Porto Marghera, nata agli inizi di questo secolo, non ha creato un pro- cesso culturale, una diffusione imprenditoriale come è avvenuto in altre realtà. Qui si parla di post-fordismo non tanto perché c’è stata un’evoluzione in questo senso, quanto perché la piccola e media impresa è diventata il tessuto fondamentale dello svi- luppo, indipendentemente dalla grande impresa. Neppure i grandi nomi come Benetton hanno assunto la logica della grande impresa for- dista; piuttosto si sono mossi nella logica moderna di un’impresa molto presente sul ter- ritorio e a livello internazionale, in termini molto dinamici. Questo fa sì che vi siano degli altri elementi di timore per il futuro. C’è un confronto possibile. Nel Veneto i servizi al mercato e ai privati sono cresciuti, tra il 1990 e il 2002, del 2,8%, rispetto ad una crescita del comparto industriale dell’1,9%: questo significa che c’è una domanda di servizi molto forte. Tra questi, la domanda di formazione rimane uno degli elementi fondamentali. La formazione professionale nel Veneto ha una presenza che non trova facile riscontro in altre parti d’Italia. Fino a poco tempo fa non era percepita una diminutio di status tra chi, dopo la scuo- la media, affrontava gli istituti professionali e chi invece il percorso curriculare classi- co degli studi. Contava di più l’aspetto della professionalità e dell’occupazione. Molti imprenditori del Veneto sono usciti dalle scuole professionali. Ancora oggi alcu- ne scuole professionali continuano a fare corsi di aggiornamento per piccoli imprendi- tori, mentre alcuni istituti professionali hanno le caratteristiche dei centri di certifica- zione di sistemi produttivi o di prodotto. Oggi, tuttavia, si sta passando da uno svi- luppo quantitativo ad uno sviluppo qualitativo. Uno dei problemi evidenziati nel piano regionale di sviluppo in via di definizione, è che, nel Veneto, non vi sono più spazi fisici per estendersi. La delocalizzazione (siamo stati tra i primi a spostare la produzione in Romania, ma anche in Slovenia, Ungheria e Slovacchia), è un processo che indica non solo la scelta di un mercato in cui i costi sono inferiori, in cui il fisco non è pesante come quello ita- liano, ma evidenzia anche altri due elementi caratteristici del nostro sviluppo: 1) lo sforzo di attestarci, secondo la tradizione dell’imprenditoria del Nord-Est, su teste di ponte di un mercato che si svilupperà verso gli Urali, come è avvenuto nell’Italia degli anni ‘50; 2) l’avvio di una organizzazione industriale di qualità che mantiene qui la progettazio- ne, la finanza, l’organizzazione, la logistica e delocalizza altrove le produzioni diffuse e più costose non facilmente sopportabili nel nostro mercato. 2 1 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 È in questa logica che va analizzato il fenomeno della immigrazione con tutti i pro- blemi connessi. È in questa logica che va determinato e ristudiato il problema della costituzione di una società multietnica. Un recente studio sulla realtà del Veneto, condotto dalla Fondazione Nord-Est costi- tuita qualche anno fa dagli industriali del sistema camerale, per favorire una presen- tazione del territorio meno stereotipata rispetto agli anni passati, ha focalizzato l’at- tenzione sul fatto che nella regione tra 20 anni ci saranno gli stessi abitanti del 1961, quindi 800 mila persone in meno delle attuali. Ciò significa che, per mantenere i livelli attuali, in Veneto ci sarà una domanda di manodopera di 20 mila nuovi lavoratori che, in realtà, mancheranno. A meno che non ci si interroghi in maniera drastica sui processi economici (che non si modificano rapi- damente) e non si ripensi completamente il sistema e il modello di sviluppo. Accenno ad alcuni interrogativi che il momento attuale pone in relazione alla possibi- lità di sviluppo futuro: un rapporto diverso con l’università, una domanda di confron- to con il sistema della finanza e una domanda di partecipazione con il sistema politico. Nessun territorio avrà mai, da solo, la capacità di affrontare le sfide di un’economia globale, di un’economia in fase di cambiamento così rapido. Questo è stato possibile negli anni ‘50-‘60, forse, ma oggi ci vuole un’alleanza forte tra un sistema pubblico efficiente, moderno, e un sistema privato, che abbia un progetto di competitività nel territorio e che miri non soltanto a difendere quello che ha acquisito fino ad oggi, ma intenda far sì che questo territorio rimanga una locomotiva nel Paese. Questa è vera esigenza di solidarietà: voler mantenere le condizioni perché tutti i sog- getti abbiano le stesse opportunità di crescita. Su questi concetti vale la pena di riflettere. Il ruolo della formazione, ad esempio, non è un ruolo esclusivo, ma certamente può accompagnare i molteplici attori presenti sul territorio ad individuare ulteriori ele- menti di sviluppo economico e sociale. Francesco Borga Direttore Generale della Federazione Regionale degli Industriali del Veneto ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 2 2 2.1.2 Ruoli istituzionali e sviluppo sostenibile Ragionare oggi di sviluppo significa riflettere su un insieme di questioni che devono tro- vare necessariamente, con il coinvolgimento di tutti, la capacità di esprimersi in proget- ti definiti. Questo seminario induce ad un confronto tra mondi diversi che già esiste fattivamen- te in questo contesto regionale: parlo, in modo particolare, del confronto tra le cate- gorie economiche e le categorie sindacali. Tuttavia è necessario far sì che il modello di sviluppo definito da Francesco Borga possa diventare un sistema, cioè un ambito nel quale non siano solo le istituzioni pub- bliche ad avere la priorità nei processi di sviluppo, ma sia l’insieme delle realtà pro- duttive ad avere rilevanza sociale. È evidente che, nel contesto formativo-educativo, le realtà e le istituzioni che hanno un ruolo preciso sono quelle pubbliche: lo Stato che ha la volontà di trasferire la capa- cità di decisione agli ambiti locali, le Regioni, e, infine, quel patrimonio straordinario che è rappresentato dagli Enti locali. Altri soggetti sono il mondo sociale dell’impresa e il mondo sindacale, che in qualche modo tutela il diritto dei singoli all’interno dell’impresa, il mondo dell’università, il mondo della formazione. Tutte queste realtà rimangono però ancora troppo legate al passato e trovano difficoltà ad integrarsi. Modificare il ruolo dell’università e della scuola in rapporto al mondo dell’impresa rap- presenta una sfida nuova per lo sviluppo sostenibile di un contesto locale e il contesto locale non è esclusivamente il territorio geografico di un comune o di un comprensorio. Oggi, in un mondo proteso alla globalizzazione, il contesto locale diventa una realtà più ampia, regionale, extraregionale, a volte anche europea. La sfida nuova è esattamente la capacità di cogliere questo straordinario momento. In un contesto territoriale come quello del Veneto, diventa una priorità respingere gli individualismi che fanno parte della nostra storia e della nostra cultura e cercare di trovare un’unione nella programmazione. Tutto ciò si inserisce straordinariamente nell’ambito dei cambiamenti dei ruoli isti- tuzionali. La formazione professionale è stata tra i protagonisti dello sviluppo nella Regione Veneto: i dati ci confermano che la maggioranza degli imprenditori di oggi provengo- no dall’esperienza della F.P.. Ciò significa che questo tipo di educazione-formazione ha favorito in alcune persone la diffusione della cultura d’impresa. Le piccole e medie imprese di oggi spesso derivano da laboratori artigiani, che non hanno ristretto la propria attività produttiva all’interno del contesto regionale del Veneto, ma, proprio per la mancata capacità da parte della Regione di programma- 2 3 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 zione urbanistica degli ambiti produttivi, hanno delocalizzato l’attività produttiva in altri contesti territoriali (ad es. l’Est europeo). Risulta indispensabile, pertanto, pensare al bisogno di cambiare anche l’offerta e la proposta formativa. Le leggi sono mutate: l’anno scorso la modifica ha toccato perfino l’ordinamento costi- tuzionale e, in qualche modo, ha sovvertito i ruoli dell’istituzione. I contesti territoria- li regionali hanno assunto un ruolo più centrale e devono necessariamente relazionar- si con gli altri ambiti delle autonomie locali. È necessario legare questi processi a percorsi di cambiamento nell’ambito formativo e scolastico. La riforma della scuola, per il contesto locale o territoriale del Veneto, assume una grande rilevanza, nel senso che va a rivendicare un ruolo paritetico tra istruzione e for- mazione professionale. In un contesto territoriale dove il mondo della F.P. si è sviluppato, si è consolidato ed ha avuto la capacità di cambiare seguendo i processi di sviluppo produttivo ed economico locali è certamente un passaggio e un riconoscimento positivo. La sfida delle realtà istituzionali regionali è di riuscire a svolgere, in questo momento, una funzione di tipo programmatorio e di coordinamento. La Regione non ha e non dovrà più avere nessun ruolo gestionale, soprattutto negli ambiti che legano gli aspetti formativi al mercato del lavoro, entrambi vitali per un’op- portunità ulteriore di crescita. La Regione ha iniziato questo percorso definendo nel 2000, per la prima volta nella storia formativa di questo contesto regionale, un programma triennale della forma- zione professionale e del lavoro concertato e confrontato con le parti sociali, con il mondo della formazione allargato al mondo della scuola e dell’università, per poter realmente avviare un percorso culturale che consenta di trasformare questo model- lo territoriale locale in sistema. Il mutamento comporta, in ogni sua fase, delle difficoltà. È normale. Difficoltà che esi- stono nella consuetudine e nel modo di essere del mondo della scuola, difficoltà che si estendono quando si cerca una relazione nuova con il mondo dell’università, che non sa relazionarsi con i processi di sviluppo in atto in un contesto territoriale. La Regione diventa una parte della programmazione, una parte della riflessione, ma non può essere una parte disgiunta o prioritaria rispetto a tutto ciò che le sta intorno, soprattutto per i temi che attengono la possibilità formativa, di crescita culturale ed educativa. È necessario liberarsi dall’idea che la scuola, la formazione professionale, l’università esistano come istituzioni, come luoghi a sé stanti. È urgente iniziare a definire una serie infinita di percorsi e opportunità formative che si relazionano esattamente con i bisogni che vengono espressi nel contesto territoriale. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 2 4 Occorre pensare ad organizzare un percorso educativo-formativo che può avere strade diverse non gerarchiche: non deve esistere il percorso di serie A, di serie B o di serie C. Ogni percorso deve poter esistere con le sue capacità, la sua storia. Si deve poter valo- rizzare di più l’aspetto educativo intrinseco a ciascuno. Nella formazione professiona- le, nella scuola e nella università è importante che si insegni anche ad essere cittadini, ad avere consapevolezza del ruolo che si ha nella società, e, all’interno del mercato del lavoro, come lavoratore, dipendente o autonomo che sia, consapevolezza di una par- tecipazione al processo di sviluppo di un contesto territoriale. In una realtà territoriale come quella del Veneto forse questa sfida si può intraprendere. Nell’attività di programmazione triennale (che sarà poi annuale) la Regione sta già in parte assumendo questa sfida. Rimane la volontà che con il tempo si possa far sì che la delocalizzazione non sia più intesa come mera occupazione di un territorio, ma sia piuttosto un percorso di coope- razione e di sviluppo di un altro territorio, trasferimento di conoscenze, di sensibilità e di modi partecipativi di vita, anche in contesti territoriali che un domani saranno integrati all’interno dell’Unione Europea e quindi avranno le stesse regole di gestione di governo che viviamo noi in questo contesto territoriale. Questo può essere sviluppo del futuro. Raffaele Grazia Assessore alle Politiche dell’Occupazione, della Formazione, dell’Organizzazione e delle Autonomie locali della Regione Veneto 2 5 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 2.1.3 L’attenzione delle donne al mondo della formazione professionale Incontro spesso operatori del sistema della formazione professionale nel Veneto, ma sono particolarmente contenta di partecipare a questo convegno promosso dalle Figlie di Maria Ausiliatrice. Ci sono anche donne impegnate nella formazione. Il mio apporto al seminario terrà presente alcune attenzioni del mondo femminile. Il territorio serve se è ancoraggio, se è fonte di identità, di appartenenza, segno di rico- noscibilità per le esperienze comuni e condivise: cultura, identità, risorsa. Il Veneto ha intrapreso un percorso di grande rilievo sociale, economico e persino cultu- rale, che spesso non si coglie. È necessario non cristallizzare questo percorso e produrre analoghi investimenti su di esso, per non rischiare di perdere ciò che si è già conquistato. Il modello a cui si è più volte fatto riferimento, deve essere interpretato in termini dina- mici di continua costruzione, evoluzione. Si deve cercare di farlo crescere, adeguarlo, aggiornarlo, migliorarlo, riconoscendone anche i limiti. Tale modello va considerato come un tassello di un mosaico molto più ampio. Ribadisco che il modello va ripensato continuamente perché ritengo che anche l’e- sperienza sociale, economica e culturale più rilevante se non è capace di interagire e di produrre scambi perde vigore, finisce il suo ciclo virtuoso ed è destinata inevita- bilmente al declino. Limiti e risorse nel modello veneto di sviluppo Per questo provo ad indicare qualche limite del nostro modello di sviluppo, pur tenen- do presenti le prospettive. 1) Un primo limite della Regione Veneto, come sistema di rappresentanza nella politi- ca, nell’imprenditoria, nel sindacato, nell’associazionismo, nella chiesa stessa, è quello di dare scarsa rilevanza alla rappresentazione di sé, non in termini di con- servazione, ma in termini di definizione di processi, di chiarezza negli obiettivi e nei contenuti che intende trasmettere, che vuole consegnare a chi viene dopo. Questo è un nodo cruciale, impegnativo e delicato nel fare impresa, nel fare economia, nel fare società, nel fare sindacato. 2) Un secondo limite che ci portiamo dentro è la paura: paura dell’integrazione, della delocalizzazione. Queste due realtà sono collegate e indispensabili, ma devono essere accompagnate da due azioni importanti: una riqualificazione continua di chi opera qui e la capacità di esportare strumenti che innalzino la possibilità di giustizia sociale laddove si portano le fabbriche e il lavoro. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 2 6 Se non si procede così, anche la delocalizzazione rischia di restare un’operazione pura- mente tecnica e il costo di questa soluzione viene scaricato sui singoli individui, gene- rando disagio, mancanza di consenso o problematicità nel riconoscimento del consenso. L’occupazione delle donne in Veneto è una problematica rilevante: una donna su due lavora in Veneto, non per scelta, ma perché il sistema, le imprese e il sindacato, sono lenti a concepire la flessibilità come risorsa. La flessibilità è ancora considerata più come una forma di precarietà o come sistema di risposta a questioni complesse, alle ristrutturazioni, alle crisi, ai processi di svilup- po quantitativo e qualitativo. L’idea che un soggetto importante come le donne all’in- terno della società possa essere risorsa professionale qualificata, lavorando quattro-sei ore al giorno, è un’idea che nelle imprese, nel sindacato e nella politica non ha ancora trovato la giusta affermazione e il giusto spazio. Cosa fare? Quali sono alcune idee che fondano sul riconoscimento del valore delle isti- tuzioni e su un investimento forte del dialogo sociale? Vicende di ordine generale legate al modello di sviluppo sostenibile, ai flussi incon- trollabili di migrazioni, al terrorismo, alla insicurezza diffusa, rimettono al centro la necessità di investire su alcune questioni. 1. La prima è la politica: in Italia è sempre stata considerata utile solo in un’accezio- ne lobbistica. La politica dovrebbe essere uno strumento capace di regolare la con- vivenza tra le persone in modo democratico. 2. La seconda è la pubblica amministrazione: lo Stato e la Pubblica Amministrazione sono beni insostituibili in una società libera, civile e democratica che voglia pren- dersi cura degli uomini, delle donne, del territorio. È necessario che ci siano risorse destinate all’amministrazione pubblica. 3. La terza e la quarta questione sono collegate: il lavoro rimane e si conferma come il veicolo più potente di possibilità di crescita e di emancipazione dei popoli, dei paesi e dei singoli individui. Per riconoscere questo valore al lavoro, bisogna costruirsi ed affermare un’idea di società plurale, in cui, insieme alla politica e alla Pubblica Amministrazione, i corpi intermedi, i soggetti di rappresentanza delle parti, abbiano uno spazio e una funzione riconosciuti, necessari a perseguire un obiettivo che qualifica la libertà, la democrazia e lo sviluppo, la giustizia sociale. All’interno di questo modello è chiaro il ruolo centrale della formazione. Ruolo della CISL nella riforma del sistema di istruzione e formazione La CISL in Veneto ritiene che la formazione professionale dovrebbe essere riconosciu- ta diritto individuale inalienabile, al pari dell’istruzione. Questo consente di risolvere 2 7 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 anche il problema della scuola, pubblica o privata, vicina o meno all’impresa. Per que- sto indico alcuni punti nevralgici. 1) Uno dei problemi della scuola italiana, al di là della sua qualità e della sua rior- ganizzazione, è quello di essere troppo spesso considerata un parcheggio, voluto dalle famiglie e dal sistema stesso, che disincentiva i ragazzi e le ragazze ad usci- re dalla scuola. Confrontando i dati, è possibile notare che le ragazze completano il percorso scola- stico prima dei ragazzi, perché c’è una motivazione individuale molto forte a misu- rarsi con gli altri. I ragazzi, invece, non vogliono crescere. Questi dati chiamano in causa il sistema, le famiglie, la società, la cultura: la scuola è troppo spesso un par- cheggio che permette di dilazionare le scelte. 2) Un secondo problema da affrontare è la riforma del sistema scolastico: la riorga- nizzazione e riqualificazione del sistema dell’istruzione deve necessariamente fare i conti con il numero dei docenti e la loro riqualificazione. Per far questo, serve un disegno, un investimento sugli insegnanti, servono finan- ziamenti, altrimenti qualsiasi riforma del sistema scolastico è un’illusione. 3) Il rapporto tra qualificazione e riqualificazione e mondo del lavoro va messo sul ta peto. Ad un’età non più giovanile, la perdita di lavoro costituisce un grande problema se manca il collegamento diretto tra la possibilità di acquisire, attraverso la formazio- ne continua, nuovi saperi, nuovi saper fare e la possibilità di ricollocarsi nel mer- cato del lavoro. 4) Irrisolta o mal gestita è anche la polemica tra scuola pubblica e privata: in Italia non è ipotizzabile che si faccia una scuola privata con i finanziamenti pubblici. Infatti dove sono i soggetti privati disponibili ad investire su nicchie di qualità cultu- rale, etica, religiosa o professionale? Lo Stato deve sostenere le esperienze di eccellenza. Deve essere un sistema capace di valorizzare la pluralità, facendo sì che i soggetti più forti investano sulle differenzia- zioni. Così come si sta impostando il problema, invece, sembra che ci sia semplicemente uno spostamento di risorse: è un’operazione fiscale senza respiro culturale. Franca Porto Responsabile del Mercato del Lavoro CISL Veneto ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 2 8 2.1.4 L’esperienza di CGM nei progetti di sviluppo del territorio Premessa Parlare di cosa vuole dire per CGM (Consorzio Nazionale delle Cooperazioni di Solidarietà Sociale Gino Mattarelli) partecipare a progetti di sviluppo del territorio, vuole dire esplicitare l’essenza stessa del consorzio. È proprio nella sua natura, infatti, occuparsi della promozione delle comunità locali primariamente perché ciò fa parte dello scopo di ogni cooperativa sociale, come cita l’art. 1 della legge 381/1991 che regola la cooperazione sociale “Le cooperative socia- li hanno lo scopo di perseguire l’interesse della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini…”. Ma CGM è anche una struttura di terzo livello, un consorzio nazionale che riunisce consorzi provinciali di cooperative sociali (72 consorzi, oltre 1200 cooperative in tutta Italia), una realtà che ha individuato alcuni specifici obiettivi generali che oggi con- traddistinguono il suo operato. In quanto struttura complessa CGM ha ritenuto impor- tante dotarsi, dal 1999, di un Documento Programmatico che esplicita i suoi valori, la mission e gli obiettivi generali. CGM e lo sviluppo locale Il nutrimento culturale di CGM, ciò che sta alla base dell’impegno degli imprenditori sociali che a questa rete appartengono, può essere sintetizzato nei seguenti valori: - la centralità della persona. La persona è figura cardine all’interno delle cooperative e le stesse hanno come fine ultimo il bene della persona stessa; - l’etica dell’azione. L’agire economico delle cooperative è finalizzato all’interesse generale e alla promo- zione umana; - pluralismo economico e democrazia. La forma imprenditoriale a rete garantisce l’esistenza di una società aperta; - l’imprenditorialità. Consente alle persone di appropriarsi della gestione di fatti economici; - la cittadinanza attiva. L’etica dell’azione autonoma dei cittadini responsabili in una comunità solidale. Da questi valori discende la visione di CGM, che ben esprime il senso per ogni coope- rativa sociale dell’operare nel territorio: “con CGM ogni impresa abita un luogo, e attraverso quel luogo abita il mondo e abitando il mondo lo cambia, e cambiandolo lo migliora, e migliorandolo lo riporta nelle mani dell’uomo che è il nostro traguardo”. 2 9 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 È quindi, attraverso l’agire sul territorio, il miglioramento dei luoghi concreti che si realizza la finalità ultima della promozione umana. Da questo assunto discendono alcuni criteri di azione che la rete CGM si è data: 1) la cooperativa sociale è una istituzione della comunità locale; 2) il consorzio territoriale è un soggetto di promozione della rete e protagonista di dif- fusione della stessa a livello locale e nazionale; 3) le organizzazioni intermedie del terzo settore devono avere maggiore spazio; 4) si costituisce una cooperativa ogni 4000 abitanti inserita in un consorzio; 5) si costituisce un consorzio ogni 200.000 abitanti; 6) si sceglie la dimensione comunitaria multistakeholder delle imprese sociali. Facendo riferimento ai suddetti criteri di azione ben si evince la specificità delle coope- rative sociali della rete CGM, che si riconoscono nei tre requisiti di territorialità, spe- cializzazione e piccola dimensione. Tali requisiti sono ritenuti funzionali al persegui- mento della reale promozione umana; sono infatti, considerati lo strumento per la rea- lizzazione di una cooperazione autentica, vicina all’uomo. Alla luce di quanto espresso nei valori e nella visione, la mission di CGM viene espres- sa nella sua scelta di “essere un sistema esperto dell'imprenditoria sociale che tra- ghetta le cooperative verso l'impresa sociale autentica e le imprese sociali verso la rete, per aiutare i cittadini e le loro comunità a raggiungere traguardi di coesione sociale”. È un sistema che vuole essere capace di creare contemporaneamente valore economi- co, valore sociale e valore fiduciario. Come si concretizzano alcune idee Ci si può chiedere: «Come la missione e la strategia si traducono in obiettivi operati- vi?». Tenendo conto dei differenziali esistenti all’interno della sua rete, CGM si pro- pone l’obiettivo di costruire e mantenere un equilibrio dinamico cercando di valoriz- zare al massimo le differenze. Possono essere indicati tre principali obiettivi che, pensando allo sviluppo locale, hanno una discreta rilevanza: 1) consolidare la rete 2) diffondere la rete 3) promuovere la cittadinanza attiva Facendo riferimento a questi tre obiettivi possono essere prese in considerazione alcu- ne esperienze concrete che hanno coinvolto CGM nell’anno 2001 e 2002. 1) Consolidare la rete significa per CGM rinforzare la cultura dell’impresa sociale al fine di mantenere vivi e generativi i valori che stanno alla base dell’agire delle coo- perative sociali. All’interno di questa attività di promozione interna, di consolida- ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 3 0 mento della rete, CGM ha proposto alla sua rete un modello di approccio ad una iniziativa di finanziamento, denominata Progetto Fertilità. Tale progetto nasce da un finanziamento del Ministero del Lavoro e dato in gestione a Sviluppo Italia per la promozione di cooperative sociali. In occasione di tale iniziativa, CGM ha porta- to avanti una modalità interpretativa di tale opportunità che vede primariamente la impostazione di gemellaggi tra territori (Nord-Sud). Sono state quindi, combi- nate delle regioni (Lombardia - Campania - Triveneto - Calabria - Emilia Romagna - Puglia, ecc) e all’interno di queste sono stati predisposti dei gemellaggi tra con- sorzi. In questo modo è stato possibile prospettare, a fianco di ogni progetto di svi- luppo imprenditoriale, anche una più allargata iniziativa di sviluppo locale. 2) Nell’attività di diffusione della rete, si propone di intercettare e attrarre altre reti esi- stenti e di promuovere la cooperazione sociale in aree di criticità. Tutto ciò viene rea- lizzato attraverso la promozione di consorzi e lo spin-off cooperativo e consortile. Pensando ad aree particolarmente critiche, è da sottolineare una iniziativa che ha visto CGM attivo nella promozione del terzo settore nel Sud Italia (Pom Calabria). Essendo la Calabria un territorio dove il terzo settore risulta essere fortemente disgregato e destrutturato, è stato necessario predisporre un’attività di promozione locale particolarmente complessa che consta di azioni tra di loro intrecciate. Nello specifico è stata svolta una capillare azione di ricerca e monitoraggio del terzo set- tore calabrese, finalizzata all’individuazione dei punti di forza e di debolezza delle organizzazioni che lo compongono. Sulla base delle indicazioni emerse è stato atti- vato un percorso formativo per quasi 100 dirigenti di imprese sociali e correlative azioni di consulenza per organizzazioni nascenti o in fase di consolidamento. 3) Nella sua azione di agenzia strategica, molte volte CGM si trova a svolgere azioni di promozione della cittadinanza attiva al fine di sostenere il protagonismo civile ed eco- nomico dei cittadini. Un’attività piuttosto significativa, che ha visto coinvolto CGM questo anno, riguarda la progettazione partecipata del CRES - Centro Regionale per l’Economia Sociale - da attivarsi in Calabria. Tale iniziativa svolta insieme ad Aster-x è consistita nel predisporre forme di parteci- pazione alla progettazione, nel condurre le attività di progettazione e nella elabora- zione dei contenuti emersi. Ciò ha comportato un’azione di sensibilizzazione della comunità locale alla partecipazione ai processi decisionali, nonché una consistente azione culturale sui temi dell’economia sociale e del rapporto che questa può e deve avere con gli altri soggetti dell’economia oltre che con le Pubbliche Amministrazioni. Gabriella Bartolomeo Responsabile Settore Consulenze Consorzio CGM 3 1 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 2.2 L'apporto dei percorsi di istruzione e formazione professionale nelle strategie di sviluppo di un sistema territoriale di partecipazione e di solidarietà Introduzione Esprimo anche a nome della sede nazionale CNOS-FAP un sincero apprezzamento a quanti hanno progettato e organizzato questo XIV Seminario di Formazione Europea non solo per la scelta del tema generale, che pone al centro la formazione professio- nale per lo sviluppo del territorio, ma anche perché, con questa tavola rotonda, si intende evidenziare l'apporto specifico che i percorsi di istruzione e di formazione pro- fessionale possono offrire nelle strategie di sviluppo di un sistema territoriale di parte- cipazione e di solidarietà. In questo contesto, risulta particolarmente significativo - sia sotto il profilo culturale che operativo - dedicare una specifica riflessione sul ruolo che possono e debbono assumere le scelte relative ai percorsi di istruzione e di formazione professionale per lo sviluppo di un sistema territoriale di partecipazione e di solidarietà, soprattutto con riferimento alle riforme introdotte nel sistema educativo italiano con l'istituzione dell'obbligo formativo per tutti i giovani fino al loro 18° anno di età al fine di assicurare loro il conseguimento di un diploma o di una qualifica professionale per entrare da "maggiorenni" nella società e nel mondo del lavoro. Ricondurre a sistema territoriale di partecipazione e di solidarietà gli apporti educati- vi e sociali della scuola, della formazione professionale di competenza regionale e dei soggetti che operano nel territorio risponde non solo alla necessità di assicurare un obiettivo rilevante che caratterizza ogni Stato Membro dell'Unione Europea, ma trova riscontro anche “nell'esigenza nazionale di uscire dall'epoca delle sperimentazioni - in parte anche delle improvvisazioni - per mettere a regime servizi di qualità e consolida- re strategie di intervento politico programmatico” (come ha ben osservato Maria Luisa Pombeni nel suo intervento al "1° Forum Nazionale dell'Orientamento" del novembre 2001, a Genova). Mi sembra che questo impegno strategico sul territorio si possa, oggi, realizzare con maggior determinazione sulla base di un quadro di riferimento istituzionale, legislati- vo e concertativo nuovo, che però deve chiudere la stagione delle incertezze derivate da una serie di motivi riassumibili in tre punti: 1) la mancata volontà politica necessaria per socializzare e attuare il contenuto di legge, di regolamento e di accordi specifici per l'attuazione dell'obbligo formativo, a partire dalla predisposizione dell'anagrafe formativa territoriale, che rilevi le reali ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 3 2 situazioni ed aspirazioni dei soggetti coinvolti in tale obbligo, superando i diffusi rischi di "ideologia" e di "interessi di categoria", che ancora permangono nei con- fronti delle opportunità offerte dal doppio canale o ambiente educativo dell'istruzio- ne e della formazione professionale; 2) lo scarso coinvolgimento della famiglia per una sua partecipazione effettiva ai pro- cessi di riforma, coinvolgimento che non è soltanto di natura "organizzativa", ma sostanziale punto di riferimento ai ruoli peculiari dei genitori con cui devono con- frontarsi gli altri attori sulla scena: ministeri, regioni, province, comuni, partiti, sin- dacati, servizi per l'impiego… ; 3) la difficoltà di avvio e di monitoraggio di sperimentazioni mirate, caratterizzate dalla specificazione dei relativi obiettivi istituzionali da raggiungere e da valutare, sostenute da risorse economiche adeguate e coerenti con l'assetto istituzionale e legislativo di un diritto-dovere formativo fino al diciottesimo anno di età dei giova- ni, che il Paese ha scelto nella piena legittimità del proprio sistema politico e socia- le, pur ricorrendo a risorse finanziarie integrative europee. Ovviamente, siamo tutti consapevoli della complessità del quadro di riferimento appe- na accennato e delle relative difficoltà di attuazione, ma non ci dobbiamo scoraggiare nel ricercare i modi migliori per superarle. Un aiuto in tale determinazione lo chiediamo agli ospiti invitati a questa tavola rotonda, perché non solo sono "addetti ai lavori", ma soprattutto perché svolgono ruoli e funzio- ni specifiche in ordine alle diverse riforme in atto nel sistema di istruzione e di forma- zione professionale, nel rispetto delle relative competenze. A tali competenze essi aggiungono una particolare sensibilità ai problemi educativi e for- mativi dei giovani, condividendo valori e impegni che hanno qualificato i loro rapporti di amicizia e di collaborazione con molti operatori della formazione professionale, ren- dendo così molto familiare anche il mio compito di coordinamento degli interventi sul tema assegnato a questa tavola rotonda, prendendo spunto anche da alcune delle pro- vocazioni indicate nella mia introduzione. Pasquale Ransenigo Responsabile dell’Ufficio socio-politico CNOS-FAP Nazionale 3 3 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 2.2.1 Protocolli d’intesa: una sinergia tra Stato ed Enti locali Riflettere con voi sulla formazione professionale, sul modello di formazione presente nel quadro delle riforme in atto, è per me occasione graditissima, perché è nella F.P. e nella scuola che ho trascorso la mia vita professionale e ad esse ho dedicato il mio impegno civile e sociale. È inoltre, questo in cui mi trovo oggi un luogo privilegiato ed un’occa- sione speciale in cui fare il punto della mia esperienza personale tra i due sistemi e con- dividerla con voi. Negli ultimi sei anni, ho avuto un’esperienza particolarmente significativa, grazie al lavo- ro svolto presso la sede nazionale ENAIP prima e successivamente al MIUR. Nel periodo trascorso in ENAIP, mi sono impegnata nella costruzione di ipotesi di lavo- ro che avvicinassero scuola e formazione professionale. Erano gli anni in cui si andava chiaramente delineando un panorama di innovazio- ne che prevedeva la possibilità di disegnare un’offerta formativa, basata sul dialogo tra formazione professionale e scuola. In particolare mi sono occupata, a seguito delle leggi n. 9/99 e n. 144/99, di questioni afferenti all’elevamento dell’obbligo sco- lastico e dei suoi riflessi sui rapporti tra F.P. e scuola nonché dell’elevamento del- l’obbligo formativo. L’esperienza che ho fatto successivamente e che è ancora in corso, al Ministero dell’Istruzione, è stata per me un’esperienza fondamentale. Ho toccato con mano quanto sia complesso e difficile implementare un cambiamento, coinvolgere in esso gli studenti e gli operatori stessi della scuola, raggiungere le famiglie e renderle pro- tagoniste di questo processo, ma anche quanto tutto ciò rappresenti una necessità non più rinviabile. Le famiglie italiane sono ancora molto lontane dal percepire i propri diritti e dall’e- sercitare la possibilità di scegliere il servizio di formazione e di istruzione offerto ai ragazzi; è molto ridotta la coscienza di poter concorrere anche a definirne obiettivi e modalità di intervento; e - cosa ancora più grave - troppo spesso gli stessi docenti sono quasi incapaci di comprendere quello che sta succedendo e raramente fruiscono di un’informazione completa, coinvolgente, comprensibile. Il percorso che la scuola e la formazione hanno intrapreso e che - sia pure con forti ele- menti di discontinuità - continua a dipanarsi, oggi più che mai riporta la nostra atten- zione ai bisogni della persona; è lo studente il soggetto del percorso formativo e le isti- tuzioni (comuni, province e regioni…) vengono chiamate con forza a rispondere ai fab- bisogni fondamentali, in primo luogo al bisogno di istruzione e formazione. E l’insuc- cesso formativo, il disagio giovanile, la dispersione sono elementi contro cui coordinare e indirizzare azioni di contrasto. È in questa ottica che credo siano da interpretare i protocolli d’intesa firmati dal MIUR e da alcune regioni - Lombardia, Lazio, Piemonte, Molise, Liguria - per l’attuazione ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 3 4 dell’obbligo formativo, in percorsi che consentano anche l’assolvimento dell’obbligo scolastico. Tali sperimentazioni intendono offrire un’alternativa a quegli studenti che al termine della scuola media siano orientati ad un percorso di formazione, che valo- rizzi anche i talenti di tipo pratico, che tenga conto di modalità di apprendimento esperienziali, che valorizzi la dimensione culturale e civile del lavoro. È una proposta che riserva un forte riconoscimento ad opzioni personali, finora non accolte negli ordi- namenti scolastici e che intende mettere a disposizione degli studenti percorsi in cui ciascuna inclinazione personale possa essere riconosciuta, valorizzata, anche attraver- so il conseguimento di una qualifica, oltre che l’assolvimento dell’obbligo scolastico. Anche così si presidia il fenomeno della dispersione che caratterizza in modo partico- lare l’anno di ingresso alle scuole superiori. La dispersione scolastica: il dato su cui riflettere I protocolli d’intesa, precedentemente citati, affrontano un tema - su cui si continua a discutere e ad investire molto, spesso purtroppo con esiti inferiori alle aspettative - che è quello della dispersione scolastica. Certamente il Ministro Moratti ha inteso sperimentare con essi un aspetto fondamen- tale della sua proposta di riforma in discussione al Parlamento. Continuiamo a dimenticare troppo facilmente che in Italia il 30% dei ragazzi non ha un diploma, né una qualifica. Sostenere nei fatti, come si è tentato di fare nella pas- sata legislatura, che l’unico percorso augurabile e idoneo a formare un giovane è quel- lo scolastico e di tipo liceale significa tagliar fuori dal sistema formativo una grossa fetta di giovani, cosa che effettivamente accade e non solo attraverso la fuoriuscita dal sistema scolastico, ma anche in una permanenza in esso sostanzialmente fallimentare per quei giovani, promossi, ma non realmente scolarizzati o formati. Ancora oggi la scuola italiana non dispone nel suo apparato strutturale di un’offerta formativa ade- guata per quegli adolescenti che non si riconoscono in un apprendimento tutto teori- co e lontano dall’esperienza pratica e dal fare. La riforma Moratti affronta questo nodo attraverso il doppio canale, dando testimo- nianza di voler rispondere effettivamente a un fabbisogno delle famiglie e dei ragazzi, finora quasi ignorato e per cui vanno cercate soluzioni vere. Ripercorrendo la storia recente, in occasione dell’elevamento dell’obbligo scolastico con la L. n. 9/99, si è riconfermata quella che già era un’emergenza. Nonostante lo sforzo di pre- disporre - nel regolamento attuativo della legge stessa - soluzioni che consentissero di assolvere l’obbligo scolastico nei percorsi della F.P. iniziale, nei CFP o in forme di integra- zione con la scuola, la L. n. 9/ 99 è stata un’ulteriore occasione di disagio scolastico. 3 5 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 La formazione professionale e le riforme istituzionali: un sistema da ricostruire Se si conosce da vicino la realtà della formazione professionale non si fatica a ricono- scere che il loro livello di qualità non ha nulla da invidiare a quanto prodotto nel mondo dell’istruzione, almeno quello espresso negli enti storici, nelle realtà nelle quali è stato storicamente forte il dibattito sul tema dell’istruzione, oltre che sulla formazio- ne professionale. Per strano che possa apparire, non dobbiamo dimenticare che la pra- tica dell’integrazione ha realizzato una migrazione di competenze (abitudine alla pro- gettualità, valorizzazione dei processi di orientamento, personalizzazione dei percorsi formativi) dalla F.P. verso la scuola, piuttosto che viceversa. Alcuni fattori di debolezza caratterizzano però il mondo della formazione professionale, in particolare nella formazione iniziale: l’incertezza e la precarietà finanziaria che infi- cia la possibilità di “fare sistema”, la ineguale presenza della formazione sia in termini quantitativi che qualitativi sul territorio nazionale ed infine l’assenza di un modello for- mativo condiviso. In relazione a quest’ultimo punto, l’Associazione FORMA fin dal ’99, in occasione del- l’emanazione della L. n. 9 e della L. n. 144, ha lavorato e si è impegnata per propor- re un modello di formazione iniziale. Ha trovato un interlocutore istituzionale sensibi- le nell’Assessorato alla Formazione Professionale della Regione Lazio, allora guidato dal prof. Piero Lucisano, con il quale è stata elaborata e condivisa una prima propo- sta, in seguito sperimentata. Tuttora appare di grande importanza disporre di model- li per il raggiungimento della qualifica di primo livello, qualitativamente elevati e for- temente condivisi dai vari attori della formazione professionale, perché si consolidi il percorso della formazione professionale come uno dei due canali dell’offerta formati- va secondaria. Lo sforzo fatto allora per costruire quella proposta è stato poi larga- mente recepito a livello istituzionale nel Regolamento attuativo per l’obbligo formati- vo, che ha mutuato da quella prima proposta una serie di caratteri fondamentali per la formazione iniziale. L’altro punto, quello della necessità di un sistema di finanziamento stabile è una vera emergenza strutturale ed è il presupposto per la costituzione di un vero sistema della formazione professionale. Su questo piano è quasi tutto ancora da costruire: basti pen- sare che la gran parte dell’attività di formazione si basa su bandi annuali, nella gran parte dei casi utilizza fondi comunitari, non ha elementi di continuità e affidabilità. Cominciano ad emergere comunque segnali interessanti anche a livello regionale, per affrontare una questione delicata come questa: per esempio la Regione Piemonte ha scelto di assicurare una riserva finanziaria che consente la certezza del proseguimento dei corsi di formazione iniziale approvati al primo anno. Questo lo stato dell’arte attuale: il varo della riforma Moratti sposterebbe su un altro ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 3 6 piano la questione, poiché ipotizza la costruzione del canale di istruzione e formazio- ne professionale, in cui si troverebbero a convivere realtà diverse, fortemente discri- minate tra loro, chiamate ad erogare lo stesso tipo di servizio. Tra le garanzie di fun- zionamento attualmente fornite ad un Istituto Professionale di Stato e quelle ricono- sciute ad un centro di formazione professionale andrà individuata una ragionevole mediazione. Ma già nella situazione odierna la piena applicazione dell’art. 68 della L. n. 144 potreb- be produrre mutamenti significativi, a favore del consolidamento del sistema di F.P.. La decisione politica di garantire una reale fruizione del diritto alla formazione comporte- rebbe l’ampliamento del numero degli iscritti alla formazione iniziale. Per realizzare questa azione è fondamentale disporre di un sistema di anagrafe per l’obbligo formati- vo funzionante. Con la modifica del Titolo V della Costituzione che ha dato un nuovo assetto politico allo Stato, si sono affidati ai Comuni alcuni compiti fondamentali: la definizione della rete dell’offerta formativa, la realizzazione dell’anagrafe scolastica, l’osservatorio sul diritto-dovere dell’assolvimento dell’obbligo scolastico e formativo. L’anagrafe per l’obbligo formativo è strumento fondamentale per la piena attuazione del diritto alla formazione fino a 18 anni, che non prevede “costrizioni legali”, così come accade per l’obbligo scolastico. Un puntuale monitoraggio di quanti fuoriescono dai percorsi per l’obbligo formativo e la predisposizione di interventi di contrasto dell’evasione sono due strumenti indispen- sabili perché i giovani cittadini esercitino davvero questo diritto. La ricognizione semestrale dello stato dell’arte dell’attuazione dell’art. 68/144 a livel- lo regionale, condotta negli ultimi due anni dal MPLS, tramite l’ISFOL, registra in generale andamenti a macchia di leopardo ed una situazione ancora embrionale per quanto concerne la realizzazione sul territorio nazionale delle anagrafi previste a livello regionale. Il punto sui protocolli d’intesa Ministero-Regioni I protocolli d’intesa pongono le basi affinché a livello locale si possano produrre le sinergie necessarie per progettare e realizzare proposte per l’assolvimento dell’obbligo formativo, che vanno dall’orientamento a veri e propri percorsi di formazione iniziale, puntando ad ampliare e diversificare la gamma dell’offerta. Si vuole valorizzare la “territorialità” come superamento di proposte autoreferenziali, si ragiona in termini di interazione ed integrazione tra F.P. e scuola, si conferisce rilievo alle scelte di metodo- logia educativa che debbono caratterizzare le sperimentazioni. Ogni protocollo sottoscritto costituisce un primo passo di un dialogo che vuole coin- volgere tutti gli attori istituzionali e sociali ed essere fattore fondamentale di qualità della sperimentazione proposta. 3 7 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 Il primo protocollo d’intesa, stipulato con la Lombardia a cui poi hanno fatto seguito altre regioni, è in questa linea. Ha l’obiettivo di sperimentare nuovi percorsi per l’as- solvimento dell’obbligo formativo nella formazione professionale e nella scuola. La L. n. 9/99 ha esteso l’obbligo scolastico fino a 15 anni, creando una situazione che si è rivelata un boomerang in molti casi: la dispersione scolastica è di fatto aumentata, per- ché molti ragazzi, i cosiddetti “nuovi obbligati” hanno completato l’obbligo solo for- malmente e a 15 anni hanno capitalizzato una bocciatura in più, un insuccesso in più. È assolutamente necessario offrire a questi ragazzi che non intendono assolvere l’ob- bligo formativo a scuola, un’occasione che salvaguardi la loro dignità di persone: un anno destinato al fallimento, senza risultati positivi è un’esperienza frustrante. In clas- se, questi ragazzi di cui parliamo, non hanno vissuto una fase costruttiva e di cresci- ta, ma hanno vissuto un anno di marginalità. Si vuole oggi offrire loro la possibilità di scegliere, con opportuni percorsi di orientamento, la pista del canale della formazione professionale - non solo e non tanto per assolvere l’obbligo scolastico e formativo - quanto per trovare un percorso di apprendimento più vicino alle loro necessità. Il protocollo di intesa, stipulato i primi di luglio di quest’anno, è nato da un accordo forte fra Regione Lombardia e Ministero dell’Istruzione, ma anche dalla spinta deter- minante del mondo della F.P.. Le azioni sperimentali inizieranno dal settembre 2002. I ragazzi di 14 anni potranno iscriversi ed iniziare questo percorso che consente l’as- solvimento dell’obbligo scolastico. Avranno la possibilità di effettuare percorsi profes- sionali triennali di tipo sperimentale. Un’attenzione particolare è posta alla certificazione dei crediti, perché si vuole garantire ai ragazzi la possibilità di operare scelte anche verso la scuola. In altre parole, ogni cana- le è aperto alla possibilità del passaggio: dall’istruzione alla formazione e viceversa. Sarà necessario, dunque, durante la sperimentazione, attuare un processo di valuta- zione-monitoraggio, i cui risultati siano di aiuto quando l’intera riforma diventerà operativa. Ci si attende tra l’altro di avere a disposizione un modello formativo speri- mentato, valutato quindi valido e praticabile, con caratteristiche di trasferibilità. Cinque altri protocolli sono stati realizzati in Piemonte, in Molise, in Puglia, nel Lazio e nella provincia di Trento e, tra poco, ad essi sono intenzionati ad aggiungersi Veneto e Sardegna. Essi hanno aperto una pista importante, perché sono nello spirito di una nuova relazio- ne tra Stato ed Ente locale: insieme gli Enti pubblici predispongono un’offerta formati- va necessaria, sperimentano qualcosa a favore del cittadino e si impegnano a verificare l’efficacia della proposta fatta per offrire poi al legislatore un dato concreto su cui costruire la riforma del sistema di istruzione e formazione. I protocolli prevedono anche la sperimentazione di percorsi successivi: anche questa è una scommessa importante, perché non si è mai pensato finora che la formazione pro- fessionale di base potesse condurre ai livelli alti della formazione tecnica. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 3 8 Attualmente il sistema produttivo assorbe soltanto il 2% dei laureati, che lavora nel- l’industria; quindi, manca la risorsa della formazione specialistica, che dovrà essere trovata in futuro anche nella formazione tecnica superiore. In quest’area c’è da costruire molto di più che non nella formazione iniziale, che ha già una tradizione e basi solide, ma il percorso di formazione tecnica è un bisogno reale nel nostro Paese. Irene Gatti Dirigente scolastico Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca 3 9 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 2.2.2 Istruzione e formazione professionale: due sistemi a confronto La mia prospettiva e il mio apporto si colloca sul versante della scuola. Il sistema dell’istruzione in Veneto è completamente diverso da quello della forma- zione professionale ed è estremamente più complesso, talmente differenziato al suo interno, sia per la geografia che per i contenuti, che non riesce a portare un contri- buto di riflessione, nell’attuale contesto delle riforme, in una logica di sistema. È necessario facilitare questi processi di messa in rete che ci sono nel Veneto: sono importanti, ma si sono mossi prevalentemente per logiche autonomistiche, addirittura ‘atomistiche’. È importante invece, che queste logiche siano ricondotte a sistema senza relativizzare o annullare il giusto livello di effervescenza e di spontaneità che può veni- re solo dal basso. Dosare gli interventi, in questo caso, è importante quanto progettare gli interventi stessi. Come porre dialetticamente il dato dell’autonomia scolastica (che è stata assunta a rilievo costituzionale) con la programmazione comunale, provinciale e regionale per esempio; come farlo interagire con il sistema di rete che inevitabilmente sarà una delle sfide, ma anche una delle risorse che il Veneto può mettere a disposizione per se stes- so e anche per il panorama italiano? È necessario riguadagnare alcuni dati sulla situazione sociale. Oggi c’è una vera e propria messa in discussione del modo con cui si declina il welfare. Si sta abbandonando il concetto di ‘obbligo scolastico’ per affermare il ‘diritto allo stu- dio’: questo fatto deve avere delle conseguenze. Si possono fruire dei diritti, infatti, solo se ci si attrezza a farli fruire. Le sfide al sistema di istruzione-formazione La missione della formazione professionale (che è in questo momento esterna al siste- ma scolastico) sembra essere quella di interrogarsi sulle nuove patologie delle fasce giovanili, sul vuoto, sulle demotivazioni dei giovani, sull’incomunicabilità non solo generazionale, ma come presa di posizione. È necessario prendere in considerazione questo dato perché dall’interno della scuola arrivano sempre più segnali preoccupanti, manifestazioni comportamentali che lan- ciano grossi campanelli di allarme. Partire dai fatti di ogni giorno, dalle storie di vita, dalle esperienze di vita per ridise- gnare i sistemi è un processo di lavoro che dovremmo tener presente. Nella scuola spesso i giovani vivono male. Ne conseguono risultati e valutazioni media- mente molto basse. Confrontando le statistiche, si può constatare che dopo la terza media e dopo la matu- ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 4 0 rità, il tasso di passaggio è alto; il fenomeno della dispersione e dell’abbandono si sta ridimensionando nella Regione Veneto, ma il numero dei ragazzi che riporta risultati appena sufficienti è altissimo. Leggendo questi risultati e interpretandoli, si possono fare due considerazioni: 1) per questi ragazzi la vita viene molto prima dell’istruzione, prima della formazione e durante la formazione; 2) il continuum formativo del Veneto offre una grande offerta, un’offerta di qualità e una continuità. Ma in questo continuum troviamo l’eccellenza e l’insuccesso. L’eccellenza, nel Veneto è senza paradigma: bisogna muoversi per capire come dare spa- zio anche all’eccellenza. Per il momento non ci si pensa, ma è un errore. L’insuccesso formativo richiede la capacità da parte delle istituzioni, di cogliere quegli help educativi che vengono lanciati e che non sempre vengono colti. È vero che c’è la grande fascia di mezzo, ma non basta. Ritengo che gli interventi vadano commisurati proprio su questi due estremi: eccellenza e insuccesso, ricorrendo anche alle agenzie che offrono servizi. C’è l’eccellenza per la quale bisogna approntare politiche specifiche, superando gli ideologismi, e c’è l’insuccesso formativo che deve essere declinato in modo un po’ inno- vativo rispetto a quello che sappiamo fare finora. Sulle deroghe al Governo regionale, vorrei fare qualche osservazione. Il piano regionale, dimensionamento scolastico, fatto nel 2000, che diventa uno stru- mento sempre più attuale per la programmazione regionale (ex articolo 138 del Bassanini, per quanto riguarda gli ambiti dell’offerta formativa) contiene un’alta per- centuale di deroghe. All’interno di un sistema di dialogo, o di concertazione, le regole vanno discusse e con- divise: le deroghe devono essere deroghe, eccezioni, altrimenti gli alibi si moltiplicano a dismisura e non aiutano. Un altro luogo comune da abbattere è l’affermazione che il sistema di istruzione e di formazione ha costi alti. I costi dell’istruzione in Veneto sono di circa 6-7 mila miliardi di vecchie lire all’anno. La mentalità ricorrente e diffusa del “qualcuno pagherà” dovrebbe essere abbandonata. Un senso di responsabilità in più, collegato alla trasparenza dei bilanci, alle scuole autonome, ai bilanci autonomi, e via via per cerchi concentrici più diffusi, deve por- tare ad una divisione delle spese in misura proporzionale al grado di soddisfazione individuale. Un altro elemento su cui soffermarsi è il tema della libertà di insegnamento. Questo problema si avverte di più nell’istruzione che nella formazione professionale. La libertà di insegnamento è una risorsa o una difesa di casta e personalismo? Noi come Regione Veneto vogliamo sia una risorsa. Una risorsa ovviamente costituzio- 4 1 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 nalmente protetta; ma più risorsa che difesa; con le dovute conseguenze. Altro luogo comune su cui avviare il confronto può essere enunciato così: non c’è solo un diritto alla formazione, c’è anche un diritto all’apprendimento. Il diritto all’apprendimento non riguarda più solo i sindacati, ma è materia che respon- sabilizza la comunità, il Comune, la Provincia e la Regione. Un elemento da considerare, inoltre, sono le proiezioni demografiche e sociali. In Veneto, sono stati fatti numerosi studi rispetto a questi fattori. Tali dati sono alla portata di tutti. È necessario declinare politiche che siano compatibili e coerenti con questi scenari. Sottolineo che queste politiche devono tener conto dei movimenti della popolazione veneta, ma anche della popolazione non veneta, di chi abita e produce reddito qui. La continuità formativa dentro la formazione professionale e, in particolare, dentro l’i- struzione, dalla scuola materna all’università è un altro punto di riflessione. Gli insegnanti, i dirigenti scolastici, il personale ATA svolgono un ruolo importante. Ma rimane il problema di stabilire delle priorità. Interrogarsi sul principio della continuità formativa è un modo di interpretare la sfida del mondo giovanile che ci sta davanti. Infine vorrei sottolineare l’autonomia scolastica. Un’interpretazione dell’autonomia che non mette in discussione le potenzialità positive dell’autonomia nel dialogo tra ciò che avviene nella scuola e ciò che avviene oltre la scuola è negativa. Non basta più il pre- side manager e, anche se ce ne fossero tanti (nel Veneto ce ne abbiamo di eccellenti), da soli non basterebbero; non basterebbero ad essere interlocutori con il mondo pro- duttivo delle imprese e non basterebbero a salvaguardare il principio della continuità educativa (basta pensare all’università). Alcune ipotesi Rispetto a queste considerazioni, soltanto enunciate, come si devono comportare Comune, Provincia e Regione? Servirebbe una nuova legge regionale sul diritto allo studio, che interpreti i fabbisogni formativi degli individui, che sia coerente culturalmente e non solo funzionalmente con queste nuove dinamiche della continuità formativa. In Veneto, il modello formativo inizia a presentare qualche difficoltà. È opportuno che la Regione appronti, come sta già facendo, le misure necessarie ad intervenire lì dove si avvertono i primi segnali pericolosi. L’ultimo rapporto annuale sul mercato del lavoro nel Nord-Est (2002) contiene docu- mentazione in abbondanza per poter ricostruire le coordinate di un disegno, attra- verso la collaborazione di un pool di esperti. Esiste la strumentazione per farlo. È importante che il Veneto acquisisca questo know-how al suo interno, non in una ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 4 2 logica di chiusura, ma in una logica di arricchimento. Questo, certamente, ha un costo. La ricerca nel Veneto ha delle punte eccezionali; tra l’altro detiene il primato per alcuni progetti di ricerca sicuramente avveniristici; tuttavia rimane molto da fare. Ci sono realizzazioni avanzate che vanno riconosciute come merito di una politica del- l’istruzione. Ma ci sono tanti altri progetti, che hanno tempi lunghi e che esigono una politica attenta e differenziata. Concludo con alcune considerazioni finali. 1) È necessario convenire sul fatto che il tempo è una variabile strategica; riscoprire i valori in cui ci riconosciamo come comunità, che affermiamo con convinzione senza ideologismi e senza retorica; rilevare le condizioni della formazione in Veneto. L’azione di controllo democratico da parte della comunità verso gli Enti locali, sia attraverso le associazioni di consumatori sia attraverso la pluralità delle aggrega- zioni di altri organismi (qui il Veneto è vincente ancora una volta per questa ric- chezza) deve diventare atteggiamento preventivo e diffuso, senza paure e senza patemi. 2) Dateci una mano a fare come Regione una unica nuova legge regionale su tutto l’educational, una legge che guardi all’educativo nella sua ampiezza e nei luoghi di vita dei giovani. Renato Omacini Direttore del Dipartimento Istruzione Regione Veneto 4 3 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 2.2.3 La Provincia di Padova e le politiche per l’offerta formativa con particolare attenzione all’obbligo formativo L’iniziativa provinciale La Provincia, anche in base alle nuove competenze in tema di formazione e lavoro, intende investire molto nel potenziamento di tale sistema integrato, favorendo i vari soggetti, nel rispetto della loro autonomia culturale ed istituzionale, a collaborare per creare forti alleanze e forti integrazioni per: • ridurre il più possibile la dispersione scolastica ed abbattere l’esclusione precoce dai processi formativi; • potenziare l’orientamento e l’offerta educativa e formativa mirata per fasce deboli e a forte rischio di emarginazione; • garantire a tutti l’acquisizione delle competenze minime di base per una formazione orientata al lavoro; • potenziare l’orientamento al lavoro e alle professioni dei giovani che hanno assolto all’obbligo formativo; • potenziare l’orientamento al lavoro e alle professioni di laureati e diplomati uni- versitari; • favorire l’imprenditorialità giovanile. Il sistema formativo perciò dovrà essere sempre più articolato e flessibile al proprio interno, ricco di opportunità capaci di: raggiungere i giovani e correlarsi con i vari livelli di preparazione, di motivazione all’impegno e di attese; ottimizzare il rapporto tra formazione e mondo del lavoro; favorire un sistema di accreditamento e certifica- zione delle competenze che vengono acquisite dentro le varie opportunità formative. Riguardo al primo punto è necessario superare la rigidità delle singole proposte for- mative che continuano a creare situazioni di abbandono e di esclusione non tanto per una loro incapacità interna, ma per l’assenza di legami forti e interconnessioni con altri ambiti formativi che, con il sistema dei crediti e delle certificazioni, permettano ad ognuno di capitalizzare la propria esperienza, indipendentemente dall’aver com- pletato il ciclo di istruzione o formazione previsto. Riguardo al secondo aspetto, occorre partire dal fatto che è maturata sempre più in questi anni la consapevolezza che i cambiamenti strutturali che interessano l'organiz- zazione dell'economia, della cultura e dei costumi determinano inevitabilmente delle trasformazioni nel mondo del lavoro e che, in particolare, tutto ciò comporta, di con- seguenza, cambiamenti nelle professioni. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 4 4 Per questo appare interessante valutare tali dinamiche di cambiamento per com- prendere sia l'impostazione di una adeguata politica di formazione, per offrire mate- riali orientativi a chi entra nel mercato del lavoro oppure a chi, pur essendovi già, cerca, o è costretto a cercare, nuove collocazioni professionali. Per un efficace rapporto tra formazione e mondo del lavoro dovremo perciò tenere sempre più conto che: a) le trasformazioni dei sistemi delle professioni e delle competenze, nonché delle qualifiche, richiedono modifiche radicali dei sistemi educativi e formativi; b) le relazioni tra bisogni formativi delle imprese, eventi di formazione presenti sotto varie forme nelle imprese stesse e i sistemi convenzionali di formazione ed istru- zione devono ottimizzarsi rispetto all'esigenza di creare sinergie che facilitino un aggiornamento professionale il più possibile completo, tenendo conto che l'ap- prendimento oggi non è più situato soltanto nei luoghi classici della trasmissione del sapere, ma all'interno degli stessi processi produttivi; c) forme più flessibili di organizzazione del lavoro richiedono solide politiche di for- mazione continua in impresa in interazione con sistemi formativi elastici, effica- ci e di carattere generale. Favorire la crescita di un Sistema Formativo Integrato Per favorire tutto questo, si impone la crescita di un Sistema Formativo Integrato, che, pur rispettando le peculiarità di ciascun sottosistema (istruzione, formazione professionale, opportunità formative nel mondo produttivo), sappia porsi sul terri- torio come una rete di opportunità formative in cui correlare efficacemente la diver- sificazione dell’offerta formativa con la specificità dei singoli bisogni, in modo che nessuno sia abbandonato a se stesso, soprattutto di fronte ad un fallimento di un certo percorso. Il Sistema Formativo Integrato diventerà la condizione di sistema per raggiungere un obiettivo di grande significato educativo e sociale: garantire a tutti il successo formativo e, di conseguenza, favorire per tutti i giovani, in base alle capacità perso- nali di ognuno, un inserimento nella vita attiva in modo produttivo e competitivo. Diritto alla formazione e al successo formativo significa perciò attivare una reale possibilità per ognuno di ottimizzare il proprio profitto e le proprie capacità, al di là del conseguimento dei risultati minimi e obbligatori per tutti, in modo che abilità, potenzialità e intelligenze sappiano misurarsi con il raggiungimento di obiettivi for- mativi realisticamente possibili e utili per iniziare un'attività lavorativa con atteg- giamento positivo e con motivazioni adeguate. 4 5 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 Per ottenere ciò occorre: a) una lettura dei bisogni sempre più dinamica e innervata sul territorio: bisogni edu- cativi dei giovani, bisogni che nascono nel mondo delle fasce più deboli e più espo- ste al rischio di emarginazione sociale, bisogni che nascono nel contesto produttivo a vari livelli; b) una programmazione degli interventi per evitare frammentazioni, giustapposizioni, scompensi nell’offerta formativa con aree di forte intervento e aree di forte debolezza; c) un livello di permeabilità di ogni sottosistema formativo in modo da permettere effi- caci integrazioni e progettazioni comuni. Compiti della Provincia Obiettivi 1. Creare un Sistema Formativo Integrato, fondato su buone prassi di lavoro e colla- borazione tra i diversi soggetti coinvolti, favorendo, da parte della Provincia, la indispensabile intelaiatura strutturale per attivare nuove modalità di programma- zione, progettazione, intervento e verifica. 2. Favorire un radicamento territoriale dell’offerta formativa. Scelte di fondo 1. Favorire l’integrazione tra diversi interventi: formazione, orientamento professiona- le, aiuto all’imprenditorialità e all’autoimprenditorialità, stage. 2. Definire nuove opportunità formative di sviluppo locale a partire da una lettura ed un ascolto reale dei bisogni del territorio e delle risorse stesse che esso esprime, non “concedendo” al territorio qualcosa che si decide fuori ma riconoscendo al territo- rio la sua capacità di iniziativa. 3. Attivare una gestione diretta dell’offerta formativa se essa implementa una sana concorrenza tesa a proporre all’utente percorsi formativi di qualità e se interviene in modo sussidiario su quelle aree tematiche in cui risultasse carente l’offerta for- mativa. Le priorità Le priorità che una formazione territoriale deve darsi a mio avviso sono: 1. il sostegno alla definizione di nuove opportunità; 2. l’offerta di servizi integrati alla persona che non riesce ad avere soddisfazione dalle opportunità programmate a livello regionale; ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 4 6 3. la formazione imprenditoriale, soprattutto giovanile; 4. la formazione mirata per l’inserimento professionale di giovani e adulti disoccupa- ti nei nuovi bacini d’impiego; 5. l’integrazione sociale e lavorativa di gruppi svantaggiati; 6. la formazione legata alla valorizzazione di tradizioni, arte, cultura e patrimonio locali, in rapporto anche con la promozione turistica del territorio; 7. la formazione permanente e ricorrente a servizio dei lavoratori. Elementi fondamentali nella gestione del servizio 1. Individuazione degli strumenti per garantire l’interazione e l’integrazione tra i diversi soggetti formativi: • comitato provinciale del Sistema Formativo Integrato (in prima applicazione: la gestione del nuovo obbligo formativo); • patti formativi territoriali per favorire lo sviluppo del sistema nei vari territori della provincia; • osservatorio dei servizi per lo sviluppo delle risorse umane. 2. Accessibilità generalizzata: • fare in modo che i servizi formativi siano sufficientemente accessibili e conosciuti; • raggiungere i meno motivati e più portati a mantenersi a livelli bassi di prepara- zione professionale; • prevenire demotivazioni e abbandoni, elevando il mantenimento della continuità dell’esperienza formativa tendenzialmente per tutto l’arco della vita. 3. Radicamento nel territorio: • come vengono tracciati e decisi gli obiettivi da raggiungere; • con quali esperienze e percorsi formativi si intende raggiungerli, con quali livelli di autonomia e flessibilità dei soggetti gestori delle iniziative; • come si favorisce l’integrazione tra diversi operatori, diverse competenze, diversi contesti, differenti impostazioni; • come viene costruita e operata la valutazione dei risultati. 4 7 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 Un esempio di programmazione provinciale: l’attuazione dell’obbligo formativo Il contesto Dopo l’approvazione della L. 144 del 19 maggio 1999 che, all’art. n. 68, sanciva il nuovo obbligo formativo e con l’avvio dei primi progetti integrati tra scuola e formazione pro- fessionale nel nuovo ultimo anno di obbligo scolastico, l’Assessorato alla Formazione della Provincia di Padova si è fatto promotore di una serie di iniziative atte a costruire una rete provinciale, sostenuta da buone prassi, di Sistema Formativo Integrato. La riuscita delle azioni formative previste nel nuovo obbligo fino al diciottesimo anno di età poggia in gran parte sulla capacità del sistema e dei vari soggetti (scuola, for- mazione professionale, mondo del lavoro, centri per l’impiego, altri enti educativi e di orientamento) di attivare le interazioni e le integrazioni necessarie per garantire un’of- ferta formativa flessibile e articolata. Tutto ciò è avvenuto nel rispetto delle autonomie dei singoli soggetti, cioè del sistema scolastico e del sistema regionale della formazione professionale. Nel novembre del 1999, d’intesa con il Provveditorato agli Studi, la Provincia ha isti- tuito un Comitato Tecnico Scientifico per il monitoraggio del nuovo nono anno di istruzione obbligatoria relativamente ai progetti integrati scuola/fp e all’orientamento per il nuovo obbligo formativo. Dopo l’approvazione del Regolamento attuativo del- l’obbligo formativo (DPR n. 257 del 12 luglio 2000) il Comitato, opportunamente inte- grato, è divenuto il Comitato Provinciale di monitoraggio dell’obbligo formativo. Nel 2000 le attività più importanti sono state: • la creazione di gruppi di lavoro tra docenti delle scuole secondarie superiori e i forma- tori dei centri di formazione professionale per la costruzione di progetti integrati nel primo anno delle scuole superiori con particolare riferimento al metodo delle UFC (Unità Formative Capitalizzabili). Tutto ciò ha permesso di creare una prassi di lavo- ro comune tra scuola e formazione professionale da poter implementare (come poi è stato) su altri settori importanti (orientamento, azioni di contrasto alla dispersione, percorsi integrati nell’obbligo formativo); • l’attivazione di un primo progetto sperimentale di riorientamento per quindicenni sog- getti all’obbligo formativo non motivati a continuare il percorso scolastico o di forma- zione professionale (con finanziamento Provincia - Camera di Commercio e protocollo d’intesa con tutte le associazioni del mondo del lavoro); • azioni capillari su tutto il territorio provinciale di informazione ai quindicenni sul nuovo obbligo formativo, d’intesa tra scuole, centri di formazione professionale e centri per l’impiego, con il supporto di una guida “Liberi di scegliere” e di un numero verde. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 4 8 Nel contesto del nuovo obbligo formativo ha acquistato ulteriore importanza il pro- getto “Marco Polo” che da alcuni anni vede impegnata la Provincia, la Camera di Commercio, il Provveditorato agli Studi e il Comune di Padova nel proporre l’espe- rienza dello stage aziendale per allievi delle scuole secondarie superiori, accompa- gnando tale esperienza con moduli formativi sulla cultura del lavoro e di preparazio- ne dei tutor indicati dagli istituti scolastici coinvolti. Nel 2001 la rete si è iniziata a diffondere capillarmente sul territorio, attivando, nelle zone più motivate, dei veri e propri “Patti Territoriali Formativi” con il coinvolgimen- to anche degli Enti locali. Oltre a questo obiettivo, le azioni principali sono state rivolte a potenziare: • la collaborazione tra scuola e formazione professionale per l’attivazione di una spe- rimentazione di primi progetti integrati nell’obbligo formativo; • il riorientamento e l’attivazione di percorsi formativi personalizzati per i giovani che hanno abbandonato il sistema scolastico. L’attenzione alla fasce più esposte al rischio di abbandono rimane una priorità importante. Il Provveditorato agli Studi di Padova ha di recente pubblicato una ricerca in cui sono evidenziati i dati relativi alla dispersione scolastica negli anni 1997/1998; 1998/1999; 1999/2000. A Padova, nelle classi prime degli istituti superiori, il numero degli alunni dispersi è intorno al 20% della popolazione totale (22% nell’anno scolastico 1997/1998; 20,4% nell’anno scolastico 1998/1999; 18% nell’anno scolastico 1999/2000). Ci sono punte che raggiungono anche il 35% in alcuni istituti professionali. Il trend pur essendo in diminuzione negli anni presenta dei dati inequivocabilmente preoccupanti anche per- ché il dato relativo alle classi successive (seconda e terza superiore) diminuisce di poco e si attesta tra il 12 e il 14%. La finalità principale del presente programma è quella di allargare le progettualità finora intraprese, al fine di poter raggiungere in maniera significativa tutti i giovani attraverso azioni diffuse di orientamento, riorientamento, formazione personalizzata e finalizzata o al rientro nel sistema scolastico e di qualifiche professionali o all’inseri- mento nel mondo del lavoro tramite l’apprendistato. Il progetto costituirà altresì l’occasione per potenziare un modello integrato di servizi e di azioni necessarie per affermare in concreto il principio dell’obbligo formativo. Particolare attenzione sarà riservata, infine, alla valutazione e alla verifica dell’effica- cia degli interventi. 4 9 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 Obiettivi 1. Potenziare le buone prassi tra Servizi per l’Impiego, scuole, Enti di formazione, Enti locali, Associazioni Datoriali e Organizzazioni Sindacali, per favorire un’offerta for- mativa diffusa sul territorio, flessibile e articolata e perfezionare le procedure fina- lizzate all’attivazione dell’integrazione tra tutti i soggetti istituzionali coinvolti nella gestione dell’obbligo formativo. 2. Raggiungere con proposte adeguate, investendo nella capacità di accoglienza e di incontro, i giovani che sono particolarmente demotivati a rimanere dentro il siste- ma formativo. 3. Contrastare inserimenti lavorativi deboli e precoci, privi in particolare di qualsiasi prospettiva di potenziamento della personalità dei giovani e di compiutezza di una accettabile formazione di base. 4. Rendere accessibili a tutti i servizi per l’orientamento, per ottimizzare la scelta del percorso formativo in funzione delle capacità e attitudini di ciascuno, evitando la frammentazione o l’occasionalità degli interventi. 5. Sperimentare modelli di formazione personalizzata capace di rimotivare e reintro- durre nell’ambito educativo e formativo quelle fasce giovanili esposte al rischio pre- coce di abbandono e di marginalità sociale. 6. Rendere diffusa sul territorio provinciale la conoscenza, da parte delle famiglie e dei giovani, delle opportunità formative e della loro potenziale articolazione. 7. Ridurre drasticamente il numero di giovani che entrano nel mercato del lavoro con il solo diploma di licenza media o, nei casi più gravi, con il certificato dell’assolvi- mento dell’obbligo privo di licenza media. 8. Potenziare la capacità del sistema formativo ad offrire opportunità e percorsi che tengano conto delle esigenze e caratteristiche di ognuno. Il programma sarà attuato valorizzando tutte le strutture della Provincia di Padova indicate nel Piano Provinciale per il Lavoro: • Centri per l’impiego; • Coordinamento Provinciale per i Servizi all’impiego e le politiche attive; • Coordinamento Provinciale per l’orientamento e la formazione professionale; • Centro di Formazione Professionale e Orientamento Provinciale; • Osservatorio dei Servizi per lo sviluppo delle risorse umane; • Osservatorio mercato del lavoro. Le azioni previste nel programma saranno attivate con il concorso dei soggetti presen- ti sul territorio che hanno titolarità a svolgere azioni di orientamento, tutoraggio e for- mazione, rispondendo in tal modo all’indicazione contenuta nel “Piano Strategico per ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 5 0 il Lavoro” della Provincia di Padova che intende “promuovere la rete dei servizi secon- do il principio di sussidiarietà”. Sarà inoltre valorizzata la rete di rapporti con Soggetti Istituzionali, Enti locali, scuo- le, Enti di formazione, Enti educativi del Terzo Settore. Azioni previste 1. Accoglienza, informazione e orientamento per i giovani soggetti ad obbligo forma- tivo, i cui nominativi siano stati comunicati dagli istituti scolastici, che abbiano manifestato l’intenzione di abbandonare il percorso scolastico o formativo, oppure abbiano cessato di frequentare la scuola e le attività formative; tale azione si può estendere anche alle loro famiglie. 2. Tutoraggio sia per personalizzare l’intervento formativo dei giovani di cui al punto precedente, sia per eseguire il monitoraggio del percorso formativo intrapreso, non- ché, ove necessario, per contattare le famiglie o attivare altri servizi di intervento sociale. 3. Scambio ed elaborazione di dati con la Regione, le agenzie formative e gli istituti scolastici per favorire l’orientamento dei giovani in obbligo formativo, in relazione all’offerta formativa del territorio. 4. Formazione personalizzata destinata a particolari utenze svantaggiate; la Provincia a tale fine individuerà i soggetti attuatori di tali azioni tra gli enti beneficiari dei finanziamenti per le attività formative rivolte agli apprendisti in obbligo formativo, nonché il Centro di formazione professionale provinciale (ex regionale) ed gli Enti di formazione di cui alla L. n. 845/78. 5. Monitoraggio, valutazione e diffusione dei risultati. Risultati attesi • Stabilità del servizio di accoglienza e primo orientamento per giovani in obbligo for- mativo presso i Centri per l’Impiego. • Incremento sensibile del numero di giovani che conoscono i Servizi per l’Impiego offerti per tutta la vita attiva di una persona. • Diminuzione del numero di giovani fuoriusciti da qualunque proposta formativa. • Implementazione delle competenze in merito alla personalizzazione degli interventi sia all’interno dei Centri per l’Impiego sia nella rete dei Servizi integrati. • Stabilità della rete tra i vari soggetti istituzionali che sono coinvolti nelle attività ine- renti l’obbligo formativo. • Tempestività nell’aggiornamento dei dati relativi ai cambiamenti nei percorsi for- mativi dei giovani. 5 1 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 • Conoscenza diffusa sul territorio della banca dati sulle opportunità formative. • Validazione di modelli di “formazione personalizzata”. • Diminuzione del numero di giovani fuoriusciti da qualunque proposta formativa. • Adeguata visibilità alla valutazione degli interventi realizzati, ampia condivisione dei risultati raggiunti da parte di tutti i Soggetti Istituzionali interessati, evidenziando i livelli di soddisfazione dell’utenza (famiglie e giovani in obbligo formativo). Esempio: la convenzione Provincia di Padova/CFP per l’orientamento e la formazione personalizzata in obbligo formativo La necessità della formazione personalizzata La trasformazione del sistema della formazione comporta conseguenze inevitabili sul- l’innovazione dell’offerta, sui modelli di organizzazione dei processi formativi e delle competenze richieste agli operatori: si diversificano sempre più le tipologie di intervento e l’offerta formativa tende verso modelli di differenziazione e di adeguamento dei servi- zi, dei percorsi, delle risposte ai soggetti e alle imprese. L’introduzione del nuovo obbligo formativo, ad esempio, gli strumenti di politica atti- va del lavoro quali l’apprendistato ed i dispositivi di inserimento lavorativo pongono l’esigenza di ripensare gli approcci metodologici e i modelli organizzativi. Nel contempo le pratiche formative più innovative dimostrano una crescente attenzio- ne per la diversificazione delle tipologie di interventi e di destinatari dell’offerta for- mativa. In relazione alla crescente eterogeneità di utenti e ad una varietà di compor- tamenti e atteggiamenti verso il lavoro, emerge la necessità di elaborare un modello di offerta formativa personalizzata/individualizzata, determinata nel suo complesso da queste esigenze: - la diversità delle caratteristiche individuali; - la diversa capacità di apprendimento delle persone; - la difficoltà a seguire percorsi standard; - punti di partenza differenziati. Il successo di questo nuovo modello di formazione dipende dalla sua capacità di “adat- tarsi” alla individualità dei soggetti attraverso la diversificazione-individualizzazione dei percorsi formativi. Personalizzare significa formulare l’offerta formativa sulla base degli obiettivi dell’u- tente in modo da consentire: il rientro scolastico, l’inserimento nel mondo del lavoro e lo sviluppo di ulteriori percorsi nella formazione professionale. Un percorso personalizzato e individualizzato è da intendersi come un piano di inten- zioni realistiche, ritagliato sulle caratteristiche dell’utente, in rapporto alle sue esigen- ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 5 2 ze, formalizzato in un contratto formativo, registrabile e misurabile nel tempo. La programmazione e la gestione dell’offerta di formazione personalizzata deve: - evitare percorsi lunghi e strutturati che introducano surrettiziamente un “quarto canale formativo”; - garantire la tempestività dell’intervento, ponendosi come intervento-ponte tra una situazione di non scelta da parte dell’allievo e un nuovo inserimento formativo più appropriato; - porsi come servizio in rete per quelle situazioni giovanili difficili in cui sono previste altre azioni di sostegno, di prevenzione o di cura. Tenuto conto che - in base all’art. 68 della L. n. 144 del 17 maggio 99, i giovani devono essere facilita- ti a permanere in ambiente formativo anche dopo il proscioglimento dell’obbligo di istruzione, al fine di completare una solida formazione di base e prepararsi ad affron- tare positivamente la propria carriera professionale; - il Regolamento di attuazione della L. n. 144, approvato dal Consiglio dei Ministri il 7 luglio 2000, prevede una serie di compiti importanti demandati ai servizi per l'im- piego decentrati, tra cui: a) gestire gli alunni che, dopo l’assolvimento dell’obbligo scolastico, non hanno fatto alcuna scelta in merito all’obbligo formativo; b) attivare colloqui di informazione e di orientamento per i giovani soggetti ad obbli- go formativo e che hanno comunicato l’intenzione di abbandonare il percorso sco- lastico o formativo (art. 3 e 4 paragrafo 3 dell’Accordo Stato-Regioni sull’obbligo formativo); - l’orientamento e il riorientamento di queste fasce di minori prevederà un lavoro in rete integrata tra i tutors dei Centri per l’impiego e gli Enti di formazione e orienta- mento che operano sul territorio; - il progetto per l’attuazione dell’obbligo formativo in Provincia di Padova, finanziato dalla Regione Veneto con DGR n. 330 del 15.02.2002, prevede la sperimentazione di modelli di formazione personalizzata capace di rimotivare e reintrodurre nell’am- bito educativo e formativo quelle fasce giovanili esposte al rischio precoce di abban- dono e di marginalità sociale; - per realizzare tale azione è previsto che la Provincia di Padova individui i Soggetti attuatori tra gli Enti beneficiari dei finanziamenti per le attività formative rivolte agli apprendisti in obbligo formativo, nonché il Centro di formazione provinciale (ex regionale) e gli Enti di formazione di cui alla L. n. 845/78. 5 3 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 Vista la disponibilità degli Enti che sottoscrivono il presente protocollo ad attivare i servizi di orientamento e formazione personalizzata previsti nel progetto per l’attuazione del- l’obbligo formativo in Provincia di Padova. Le parti - Provincia di Padova, rappresentata dal Dirigente del Settore Lavoro e Formazione - gli Enti: ……………………………… Convengono quanto segue: 1. Gli Enti firmatari del presente protocollo concorrono alla realizzazione di azioni di orientamento e formazione personalizzata per gli allievi: a) che, alla conclusione dell’obbligo scolastico, non hanno compiuto alcuna scelta in merito alla prosecuzione del percorso formativo; b) che abbandonano in corso d’anno il percorso scolastico e formativo senza operare una nuova scelta; c) che intendono avviarsi all’apprendistato ma non hanno una opportunità di inserimento immediatamente adeguata alla propria situazione. 2. I tutors per l’obbligo formativo dei Centri per l’impiego, dopo il primo colloquio o contatto con gli allievi di cui al punto 1, invieranno ad uno degli Enti la segnala- zione degli allievi disponibili ad un primo orientamento in vista dell’attivazione di un progetto di formazione personalizzata; tale azione preliminare avrà la durata di 10 ore comprensive di colloqui e progettazione del percorso. Per tale servizio la Provincia di Padova corrisponderà all’Ente incaricato un compenso omnicompren- sivo di 250 euro. Per l’individuazione dell’Ente i tutors si avvarranno dei criteri di cui al punto 4. 3. Al termine dell’attività di cui al punto 2, l’Ente presenta al tutor per l’obbligo for- mativo del Centro per l’impiego il percorso di formazione personalizzata della dura- ta massima di 200 ore, sul quale è stata verificata la condivisione dell’allievo e della sua famiglia. Se il progetto viene attivato, la Provincia di Padova corrisponderà all’Ente incaricato un compenso omnicomprensivo di 10,50 euro per ora-allievo. L’emissione della fattura da parte dell’Ente per la liquidazione del compenso avverrà solo a seguito della presentazione al tutor per l’obbligo formativo del Centro per l’impiego della relazione finale sul lavoro svolto, tenuto conto anche di quanto indicato al punto 5. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 5 4 4. Per l’individuazione dell’Ente a cui affidare l’incarico per l’attivazione del per- corso di formazione personalizzata, i tutors per l’obbligo formativo dei Centri per l’impiego si atterranno ai seguenti criteri: a) …omissis… b) nel caso l’allievo sia orientato a riprendere la scuola secondaria, l’Ente può esse- re scelto secondo il territorio in cui è presente l’Istituto secondario individuato per tale rientro; c) tenuto conto di quanto indicato dai criteri di cui ai punti b), c), d), l’Ente può essere diverso su richiesta esplicita dell’allievo e della sua famiglia. 5. Alla conclusione del percorso, l’Ente, d’intesa con l’allievo e la sua famiglia, può richiedere al tutor del Centro per l’impiego incaricato dell’obbligo formativo la prose- cuzione del percorso da un minimo di 100 ad un massimo di 300, ore evidenziando i motivi che sostengono tale decisione. Valgono le disposizioni previste al punto 3. Solo in casi particolarmente gravi il progetto può continuare oltre le 500 ore. Esempio: i Patti Territoriali Formativi Le parti - La Provincia di Padova - I Comuni di …………….. - L’ULSS ……………….. - I Centri di Formazione Professionale …………………. - Le Scuole Medie ……………….. - Gli Istituti di Istruzione Secondaria Superiore …………………. - Gli Enti ………………………… Vista - la nuova normativa sull’obbligo di frequenza ad attività formative fino ai 18 anni, che prevede azioni integrate di orientamento e percorsi formativi tra scuola, forma- zione professionale e mondo del lavoro; - la nuova legislazione nazionale e regionale in materia di decentramento e trasferi- mento di competenze. 5 5 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 Premesso che - ritengono il lavoro di rete territoriale come indispensabile per garantire un’offerta formativa articolata, diversificata e flessibile; - ritengono prioritario l’intervento a favore delle fasce giovanili più esposte al rischio di abbandono e di bassa scolarità; - ritengono essere di comune interesse attuare insieme iniziative sul territorio di com- petenza. Tenuto conto - delle competenze della Provincia in materia di istruzione secondaria, formazione e politiche attive del lavoro; - delle competenze dei Comuni in materia di obbligo scolastico e di Politiche Sociali per fasce svantaggiate; - delle competenze delle ULLS in materia di handicap e altre fasce svantaggiate; - delle competenze dei Distretti Scolastici in materia di orientamento; - dell’autonomia delle Istituzioni Scolastiche; - del Sistema Regionale della Formazione Professionale. Convengono - di mettere in comune le reciproche competenze per predisporre, dar forma e gestire progetti di orientamento, di formazione integrata e di accompagnamento al lavoro per il mondo adolescenziale e giovanile; - di attivare a tale scopo un comitato territoriale del patto formativo, coordinato dal Sindaco o Suo rappresentante del Comune di ………………..; - di individuare annualmente le macroaree di intervento comune, tenuto conto della programmazione regionale e provinciale degli interventi e delle indagini sul territorio; - che ciascuna parte, secondo le sue competenze, si impegni a contribuire al buon esito delle iniziative; - di affidare alla Provincia di Padova (Settore Lavoro e Formazione - sezione Obbligo Formativo) il monitoraggio dell’iniziativa e il coordinamento con gli altri territori, all’interno dell’Osservatorio dei Servizi per lo Sviluppo delle Risorse Umane. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 5 6 Per quanto convenuto: - si impegnano a nominare un loro rappresentante in seno al comitato territoriale del patto formativo; - si impegnano ad affidare la gestione e l’amministrazione delle iniziative ai soggetti ritenuti di volta in volta istituzionalmente idonei, favorendo forme di cofinanzia- mento dei progetti da parte delle diverse Istituzioni firmatarie del patto, tenuto conto delle competenze assegnate ad ognuna di esse dalla normativa vigente; - si impegnano a favorire con ogni mezzo a disposizione il successo delle iniziative che saranno oggetto della collaborazione. Mario Dupuis Consulente per la formazione Assessorato al Lavoro e alla Formazione Provincia di Padova 5 7 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 3 ESPERIENZE A CONFRONTO 3.1 Esperienze nazionali Nel quadro del seminario che stiamo realizzando “La formazione professionale per lo sviluppo del territorio - impegno di solidarietà, sostenibilità partnership” la prima giornata è stata dedicata al “valore del territorio”. La tavola rotonda si propone di contribuire alla trattazione del tema con alcuni apporti esperienziali, individuati nell’ambito economico - imprenditoriale, nella for- mazione professionale, tra le esperienze di interazione pubblico-privato su un territo- rio, a forte subcultura territoriale. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 5 8 3.1.1 Quadro di riferimento - presentazione Un indicatore normativo Un primo elemento di riferimento nel quale collocare le esperienze presentate si può individuare nella Programmazione 2000 - 2006 dell’Unione Europea e nei diversi Piani di Azione degli Stati Nazionali, in particolare nei Piani per l’occupazione e per l’inclu- sione sociale. Esiste la volontà, in questi piani, di mettere a punto nuove politiche a sostegno dello svi- luppo locale e di dare sostegno sia in termini di servizi, di assistenza tecnica, sia in ter- mini di possibili finanziamenti a soggetti del territorio che dimostrino di mettersi insie- me, di ragionare sui problemi di sviluppo di quel territorio, di sviluppare delle idee inno- vative e ponderate. In altre parole, emerge dall’analisi di alcune direttive, la dichiarata volontà di soste- nere azioni nate da progettualità interdipendente, da “partnership di sviluppo”, così come le definisce l’iniziativa comunitaria Equal. Le esperienze dei patti territoriali sono tentativi di promuovere attraverso strumen- ti politico-amministrativi, la cooperazione tra soggetti pubblici e privati, ma hanno avuto successo soprattutto in alcune economie locali dove tali intese si sono affer- mate in modo spontaneo ed informale, oppure hanno trovato consenso in aree in cui larga parte delle persone condividono una forte tradizione, un grande senso di appartenenza. Un indicatore sociale Un secondo motivo che spinge ad analizzare e raccogliere esperienze intorno a questo tema è legato ad alcuni studi di ricerca sociale. In una intervista del 2001 rilasciata alla rivista "Animazione Sociale", Carlo Donolo ricorre ad una metafora semplice ma suggestiva: per decenni abbiamo tutti dissenna- tamente tagliato legna dal bosco, senza curarci della sua rigenerazione, quasi che il bosco fosse un bene inesauribile. Fuori dalla metafora, per molto tempo, l’uso strumentale delle istituzioni, lo sperpero e l’inquinamento delle risorse ambientali, l’incuria rispetto alle reti di appartenenza locale o il disancorarsi di molte associazioni dal territorio a portata di mano, unita- mente ai processi di delocalizzazione delle decisioni politiche ed economiche hanno portato all’impoverimento dei “capitali” di un territorio, del capitale economico e cul- turale, ma soprattutto del “capitale sociale”. 5 9 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 Parlando di “capitale sociale” si intende riferirsi all’insieme di relazioni sociali di cui un soggetto, individuale o collettivo, dispone in un determinato momento oppure di risorse di vario tipo rese disponibili e che permettono agli attori di realizzare obietti- vi, non raggiungibili in altro modo, o raggiungibibili a costi molto elevati 1. Tra i diversi soggetti sociali (Organismi di F.P., Associazioni di Volontariato…) sta cre- scendo la consapevolezza che il loro lavoro è animato e sorretto dalla motivazione per- sonale degli operatori e da quella di chi si intende aiutare, ma si possono raggiungere gli obiettivi, utilizzando le risorse ambientali, il capitale del territorio; d’altra parte ogni forma di lavoro sociale è chiamata ad aver cura dello sviluppo locale costruendo reti di cooperazione per realizzazioni comuni. La tavola rotonda offrirà una lettura esperienziale del fenomeno. Si alterneranno rap- presentanti e osservatori delle reti dove soggetti diversi realizzano “questi laboratori di ricerca davvero speciali”. Economia di comunione: un rapporto diverso tra imprese e attenzione alla persona Giampietro Parolin è consulente presso l’Università di Venezia. L’esperienza è di un libero professionista, che svolge attività di consulenza per grandi imprese a livello italiano ed internazionale. In particolare, ha ricevuto l’incarico di svolgere la ricerca sulle imprese coinvolte nell’esperienza della economia di comunio- ne del Movimento dei Focolari. È autore dell’articolo La fiducia nelle Reti di Imprese2. Domanda - Come l’esperienza dell’economia di comunione sviluppa nelle imprese dinamiche relazionali articolate e un agire economico a misura di persona? Formazione e sviluppo: un’esperienza di formazione a distanza Remigio Sangoi è Delegato del CNOS-FAP Veneto ed attualmente anche Presidente dell’Associazione FORMA Veneto. Il CNOS-FAP Veneto è particolarmente attivo sul territorio sia per la diversifica- zione dell’offerta che per l’attenzione alle esigenze dei diversi target con offerte for- mative mirate. Settori d’avanguardia sono quelli della Informatica Avanzata della Formazione a Distanza. 1 OLIVA F. (Ed.), Intervista a Carlo Trigilia, in "Animazione Sociale", Gruppo Abele, n. 6/7 giugno – luglio 2002. 2 PAROLIN G., La fiducia nelle Reti di Imprese, in "Impresa Sociale", n. 62, 2002, p. 27. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 6 0 Da questa ultima esperienza citata è nata Edulife, una comunità di apprendimento permanente sulla formazione aperta e continua, che attualmente è una società costi- tuita tra una rete di partner. Domanda - Attraverso la sua esperienza può illustrarci come un Ente di Formazione Professionale contribuisce allo sviluppo di un sistema territoriale fondato sulla parte- cipazione e sulla interazione tra soggetti diversi quali la scuola, l’impresa, la F.P., per risposte sempre più mirate alla domanda formativa e di inserimento dei cittadini? Sistema economico e valorizzazione del patrimonio storico-ambientale Gianclaudio Magra* è Direttore dell’AGESS S.p.A - Agenzia per lo Sviluppo Sostenibile. L’AGESS VAL PELLICE S.p.A., società a capitale misto pubblico privato, ha come socio maggioritario la Comunità Montana Val Pellice ed un capitale per l’80% da Enti Pubblici. Il socio privato con la più forte partecipazione è la Cooperativa “La nuova Crumière”. L’AGESS si presenta con questo obiettivo: creare sviluppo sostenibile significa, in primo luogo, far interagire e integrare i comparti costituenti il sistema socio economi- co territoriale, ed in secondo luogo, valorizzare il patrimonio ambientale, storico, cul- turale e produttivo dell’area. Domanda - È possibile avviare una politica di sviluppo in un’area economicamente in difficoltà, che possieda un contesto ambientale o dei beni culturali non ancora valo- rizzati? Qual è il valore aggiunto che possono dare azioni interdipendenti tra pubblico e pri- vato? Angela Elicio Responsabile Gestione Servizi CIOFS-FP Nazionale * GIANCLAUDIO MAGRA non è potuto intervenire personalmente ma ci ha inviato un contributo scritto, che pubblichiamo tra le esperienze nazionali della tavola rotonda a cui è stato invitato a partecipare. 6 1 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 3.1.2 Il progetto di Economia di Comunione. Cenni introduttivi alla vita delle aziende Economia di Comunione è un’esperienza economica, una proposta innovativa nata nel 1991, durante un viaggio di Chiara Lubich - fondatrice e presidente del movimento dei Focolari- in Brasile. A contatto con la drammatica realtà sociale latino americana, particolarmente colpita dalla povertà in cui anche molte persone appartenenti al movimento vivevano, ebbe un’idea: fondare aziende a partecipazione diffusa, che producessero utili e che, oltre a creare posti di lavoro, potessero essere motore di sviluppo di quel territorio attraverso la condivisione di quegli utili. Un’idea chiave è che gli utili prodotti dall'azienda vengano utilizzati per tre diverse finalità: lo sviluppo dell’impresa, l’aiuto ai poveri e la formazione a quella che è stata chiamata “cultura del dare”. Si possono riconoscere i fondamenti cristiani di questa cultura, rileggendo il monito degli atti degli Apostoli, che descrive una prima comunità cristiana in cui tutto era in comune e non vi erano indigenti. Questa proposta è stata accolta in Brasile ma anche in tutto il mondo, con entusiasmo e generosità: conta ora quasi 800 aziende, di cui quasi 250 in Italia e altrettante in tutta Europa, 180 in America Latina, 50 in Nord America, 40 in Asia, 15 in Australia, 9 in Africa, 2 in Medio Oriente. II progetto di Economia di Comunione si colloca tra tante altre proposte attive nel mondo economico e aggregate in quel contesto definito “economia solidale” o “impre- sa sociale”, ma l’approccio con cui va a coniugare profitto e solidarietà porta alcune particolari stimolazioni che interrogano e innovano la modalità di conduzione di un’a- zienda. Infatti le imprese che vi aderiscono utilizzano, nella loro attività operativa, un modello che si basa sulla “cultura della comunione”, contrapponendosi alla cultura dominante che è invece, imperniata dalla cultura dell’“individualismo e dell’egoismo”. Centrato sulla finalità sociale dell’attività produttiva attraverso la distribuzione dei profitti aziendali, il progetto prende vita nel nucleo originario del sistema economico, che è l’azienda, e ne orienta meccanismi di funzionamento, modalità gestionali e di management, portando a unificazione il momento di produzione della ricchezza e quello della distribuzione, intonando al dare non tanto il surplus, ma l’intera attività imprenditoriale e lavorativa1. II risultato di questa scelta sono aziende che operano nel mercato, all’interno del quale innestano, logiche rinnovate dall’idea della comunione, facendone luogo e strumento di solidarietà tra gli uomini. 1 GUI B., Per una diversa dimensione dell’Economia, Piacenza 1996 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 6 2 L’esercizio della comunione nei diversi momenti gestionali d’impresa immette la dimensione partecipativa alla dinamica aziendale e si è strutturato, attraverso l’espe- rienza, in vere e proprie “linee di conduzione di impresa” . Nel 1997 è nato un documento che esprime quella che è l’identità delle imprese che aderiscono al progetto, punto di riferimento per imprenditori e dirigenti che vogliono rileggere od impostare la propria attività secondo i valori della Economia di Comunione. Riferimento per approfondimenti operativi e teorici, il documento individua sette aspetti della gestione aziendale sui quali l’adesione al progetto di EdC porta un contributo o richiede un’attenzione particolare. 1. Imprenditori e lavoratori - Attenzione alla formazione di nuove attività e nuovi posti di lavoro; - formulazione di strategie, obiettivi e piani aziendali di gestione coinvolgendo tutti i lavoratori e utilizzando al meglio i talenti di ciascuno; - adozione di particolari misure di aiuto per coloro che attraversano momenti di bisogno; - destinazione dei profitti in tre modalità: crescita dell’impresa, aiuto a persone in dif- ficoltà economica, diffusione della cultura di comunione. 2. Rapporti con l’esterno - Offerta di beni e servizi utili e di qualità, in modo professionale e a prezzi equi; - attenzione alla creazione di rapporti di stima e di fiducia con fornitori, clienti, Pubblica Amministrazione; - lealtà e correttezza nei rapporti con i concorrenti. 3. Etica verso l’esterno e verso l’interno - Rispetto delle leggi e adozione di un comportamento eticamente corretto nei con- fronti di autorità fiscali, organi di controllo, sindacati e istituzioni; - considerazione del lavoro come un mezzo di crescita interiore per tutti i membri del- l'organizzazione; - adozione, di comportamenti eticamente corretti verso i propri dipendenti dai quali si attende un pari comportamento. 4. Qualità della vita e della produzione - Produzione di beni e servizi salubri e sicuri, con attenzione agli effetti sull'ambiente e al risparmio di energia e risorse naturali in riferimento all’intero ciclo di vita del prodotto; - attivazione di momenti di incontro anche informali, per la verifica e lo sviluppo della qualità dei rapporti interpersonali; - attenzione alle condizioni di lavoro per tutelare salute e benessere di ogni membro dell'impresa. 6 3 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 5. Armonia nell’ambiente di lavoro - Mantenimento dei locali aziendali ordinati, puliti e gradevoli, in modo che l’armonia ambientale metta a proprio agio datori di lavoro, lavoratori, fornitori e clienti. 6. Formazione ed istruzione - Adozione di criteri di programmazione dello sviluppo professionale di ogni lavoratore; - offerta di opportunità di aggiornamento e di apprendimento continuo. 7. Comunicazione - Creazione di un clima di comunicazione aperto e sincero; - utilizzo dei più moderni mezzi di comunicazione per il collegamento tra imprese del progetto ed il continuo sviluppo di uno spirito di reciproco sostegno e solidarietà a livello locale ed internazionale. Da questo documento si può dedurre come l’identità del progetto di Economia di Comunione sia necessariamente sempre in divenire, e costituisca l’esito di un percor- so, di un insieme di scelte rinnovate e continuamente perfezionate. Infatti, pur nella presenza contestuale di molteplici di questi punti, essi sono raramente tutti copresen- ti in modo esplicito nelle aziende analizzate. Ciò che prevale è la particolare impostazione delle relazioni interpersonali, impronta- te alla condivisione e all’accoglienza e sviluppate secondo il paradigma dell’unità. Questa è una caratteristica particolare e preziosa del progetto di Economia di Comunione: l’adesione ad esso, infatti, non è mai scontata ma richiede di essere con- tinuamente rinnovata, quasi come se a tutta l’azienda, che ne condivide i principi ispi- ratori e subisce il fascino di una logica puramente evangelica, fosse richiesto un pro- cesso di ascetica, di continuo distacco da prassi economiche e produttive centrate esclusivamente sul denaro e sulla sua accumulazione, perché in un unico battito il cuore dell’organizzazione pulsi in funzione della condivisione. Giampietro Parolin Dirigente Area Servizi Finanziari IUAV - Università di Venezia ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 6 4 3.1.3 Formazione e sviluppo: un’esperienza di formazione a distanza Oggi il progetto Edulife si può definire una comunità in apprendimento permanente sulla formazione aperta e continua, che ha sviluppato un dispositivo metodologico e tecnologico per l’ingegnerizzazione dei processi formativi integrati da momenti a distanza. L’esperienza è frutto di una sperimentazione avviata dal Centro Risorse del CNOS- FAP Veneto nella sede dell'Istituto Salesiano "S. Zeno" di Verona, che ha visto il coin- volgimento crescente di partner pubblici e privati. Dove è nata l’esperienza II Centro Risorse svolge la sua attività a stretto contatto con l'organizzazione del Settore Informatico e Terziario dell'Istituto Salesiano "San Zeno" (CNOS-FAP Veneto), che si presenta come uno straordinario osservatorio e ideale laboratorio per la sperimentazione di servizi innovativi per la formazione permanente. I numerosi partner, le centinaia di formatori e le migliaia di utenti coinvolti contribui- scono infatti ogni giorno ad un’esperienza in continua evoluzione e ad un naturale equilibrio tra ricerca e applicazione. Perché questa esperienza Siamo convinti che la formazione, in tutte le sue forme, ricopre un ruolo sempre più strategico per rispondere alle esigenze di crescita, aggiornamento e riqualificazione delle persone in ogni ambito (personale, aziendale, istituzionale). La formazione inte- grata, che fa uso degli strumenti e delle metodologie disponibili, in un’ottica di eccel- lenza del servizio di formazione, consente di rispondere in modo ancor più adeguato, efficace ed efficiente ai bisogni formativi. L'applicazione di una metodologia formati- va efficace, integrata con strumenti e sistemi di gestione dell'attività che tenga conto delle possibilità offerte dall'Information and Communication Technology, offre oggi opportunità molto più ampie rispetto al passato, consentendo l'erogazione e la gestio- ne del processo formativo anche a distanza, pur rendendo possibile il mantenimento di una forte rete di relazioni fra le funzioni di gestione e i fruitori del servizio. Ciò garantisce l'accompagnamento delle persone nella fase di crescita delle conoscenze/competenze personali, fattore determinante per il successo di ogni inizia- tiva di formazione. 6 5 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 Cos’è Edulife Il progetto Edulife è un’esperienza di formazione organizzata: gestisce il processo formativo in un'ottica di relazione e accompagnamento. Questa convinzione si è tra- dotta nella definizione di una metodologia di formazione orientata alla crescita delle persone, tramite l'appartenenza a comunità di apprendimento permanenti che con- tribuiscono alla evoluzione delle competenze e attitudini personali verso l'acquisi- zione di un modello di apprendimento personale ed efficace. La metodologia del progetto Per conseguire gli obiettivi di accompagnamento dei soggetti in formazione (siano essi imprese, singole persone, centri di studio) e per riuscire a far interagire le risorse pre- senti in un territorio, si procede con una metodologia rigorosa che: - analizza i bisogni formativi; - definisce gli obiettivi da raggiungere; - identifica il livello di conoscenza/competenza iniziale; - personalizza e individualizza il percorso formativo; - attiva il servizio di accompagnamento (comprendente la calendarizzazione degli eventi) e la presa in carico dei fruitori da parte dei tutor; - prevede il monitoraggio proattivo e reattivo dei tutor nei confronti dei fruitori e delle comunità virtuali; - rileva sistematicamente, in itinere, il livello di competenza raggiunto; - valuta i risultati conseguiti e predispone, eventualmente, percorsi di recupero/approfon- dimento con monitoraggio finale. Far uso delle tecnologie e degli strumenti dell’Information and Communication Technology ci permette di arrivare a molti utenti e di far interagire soggetti con com- petenze molto diversificate tra loro. Naturalmente, all’interno, ci siamo strutturati in maniera da tenere sotto controllo sia i processi formativi, che l’erogazione dei contenuti, il sistema di monitoraggio e lo scambio delle conoscenze. Le scelte fondamentali La nostra agenzia, dopo alcuni anni di lavoro, si è strutturata attorno ad alcune figu- re-chiave che ci permettono interventi mirati. Si tratta di funzioni che garantiscono la gestione efficace del servizio. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 6 6 Esse sono: L’amministratore: • è responsabile del servizio di formazione; • attiva e coordina tutto il sistema; • definisce il catalogo dell'offerta formativa; • definisce i gestori dell'erogazione del servizio di formazione; • individua gli sviluppatori e gli esperti di contenuti. L’esperto di contenuti: • progetta, realizza e predispone i contenuti e le relative verifiche, a disposizione dei partecipanti per tutta la durata del corso; • verifica l'efficacia delle lezioni e interviene personalmente in caso di difficoltà; • garantisce la validità e la correttezza dei contenuti nelle comunicazioni che avven- gono tra il tutor e i partecipanti via e-mail e tra i partecipanti all'interno delle comu- nità di apprendimento; • valuta, tramite una prima analisi dei dati relativi ai partecipanti, le caratteristiche generali dei corsisti e il livello delle competenze in entrata; • si coordina con i gestori e gli amministratori per la definizione degli obiettivi forma- tivi del corso, prima di impostare le lezioni (o di servirsi di lezioni gia disponibili); • predispone lezioni e materiali didattici strutturandoli modularmente e in continua connessione logica e didattica con le relative verifiche. Ogni unità comprende anche i test e gli strumenti relativi ai contenuti; • interviene nei forum e risponde ai singoli partecipanti quando il tutor lo richiede. L’operatore: • è responsabile dell'attivazione e del coordinamento dei corsi e delle singole edizioni; • definisce le caratteristiche del corso, iscrive gli utenti, attiva e monitora le attività di tutor e formatori; • una volta attivata l'edizione del corso, l'operatore può iscrivere gli utenti e modifi- carne i dati caratteristici (sia del singolo che del gruppo); • decide la composizione dei gruppi, le date di inizio e fine dei percorsi formativi e assegna ad ogni titolo formativo i relativi tutor e formatori; • valuta, tramite un’analisi delle caratteristiche e della disponibilità, i possibili formato- ri da coinvolgere e le caratteristiche delle strutture nelle quali verranno erogati i corsi; • si coordina con i formatori e i tutor per trasferire gli obiettivi formativi del corso. Il tutor: • favorisce e motiva l'apprendimento, regola lo scambio di informazioni, predispone e aggiorna con continuità gli archivi necessari per la conservazione di tali informazioni; 6 7 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 • orienta i percorsi di apprendimento dei partecipanti, li supporta dal punto di vista didattico, li accompagna durante l'intero itinerario formativo; • raccoglie e archivia le informazioni necessarie ai formatori e agli esperti, coordina i processi informativi e formativi all'interno del corso; • coordina e gestisce in modo completo, sia dal punto di vista didattico che relaziona- le, le attività e i percorsi formativi, sia del singolo utente che dei gruppi di utenti appartenenti agli stessi corsi; • è in grado di accedere ad una serie di informazioni relative agli utenti: dati perso- nali; iscrizione, inizio e conclusione del corso; lezioni seguite o acquisite on line; risultati dei vari test di analisi e verifica effettuati; contatti avuti; pianificazioni dello studio; materiali ricevuti, e-mail o documenti inviati; commenti; elenchi allievi e corsi; questionari di customer satisfaction, frequenza e gestione delle comunicazioni con gli utenti, inserimento documenti. Con il lavoro coordinato e convergente di queste figure - che si avvalgono dell’infor- matica e dei vari software a disposizione - Edulife è diventata una comunità di appren- dimento virtuale, che eroga percorsi formativi sul territorio. Come si realizzano gli interventi La finalità dell’intervento formativo mira a instaurare una comunità di apprendimen- to permanente, che metta in grado la struttura partner di sviluppare contenuti e di gestire ed erogare autonomamente la propria attività di formazione/informazione attraverso la metodologia Edulife. Il cliente adotta in particolare uno strumento per la gestione del processo di formazio- ne dell'utenza e dei collaboratori. Lo strumento deve consentire di sviluppare in modo semplice e rapido contenuti, l’a- nalisi dei bisogni, il monitoraggio delle competenze. Particolare attenzione si deve mettere alla gestione flessibile delle attività formative in Rete (esse devono essere “slegate” da vincoli di tempo e di spazio e fruibili dall'uffi- cio, da case o da appositi ambienti attrezzati chiamati Open Learning Center). Ordinariamente si procede: • formando i formatori e i tutor (presso Edulife Academy); • sviluppando lezioni ed esercitazioni a carico dell'azienda supportata da Edulife; • analizzando, a carico dell’azienda supportata da Edulife, i bisogni formativi; • studiando le modalità di erogazione della formazione in base all’esperienza di for- mazione integrata. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 6 8 Naturalmente la piattaforma tecnologica è assicurata da Edulife. Il cliente - dopo la fase di formazione in Academy - si fa carico dello sviluppo dei contenuti di propria competenza. Alcuni corsi sviluppati da altre realtà partner di Edulife possono essere acquistati e personalizzati. II sistema viene gestito in teleassistenza da Edulife che provvede all’aggiornamento e all’innovazione, come pure alla risoluzione dei problemi o alla personalizzazione della piattaforma. Valutazione dell’esperienza L’esperienza ci ha portato ad instaurare un vero rapporto di partnership con le varie realtà che adottano la nostra metologia. Ogni partner infatti, contribuisce attivamente in una logica di ‘open source delle buone pratiche’ al continuo miglioramento del servizio e delle funzionalità metodologico-didattiche di Edulife. Grazie a questo processo, i problemi, i suggerimenti, le intuizioni dei partners vengo- no analizzati e implementati in Edulife. Il nostro progetto di formazione non è quindi un pacchetto software, ma un servizio che, può anche essere visualizzato. L’approccio sopra descritto contribuisce a dare al nostro progetto di formazione a distanza dinamicità e snellezza, in costante crescita qualitativa, aperto ai nuovi biso- gni e rapido nelle risposte. Remigio Sangoi Delegato del CNOS-FAP Veneto e Presidente dell’Associazione FORMA Veneto buone pratiche buone pratichePartner Partner PartnerPartner buone pratiche Analisi ed implementazioni di nuove funzioni Edulife 6 9 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 3.1.4 AGESS S.p.A. - Un’Agenzia per il territorio L'AGESS (Agenzia per lo Sviluppo Sostenibile) è una società per azioni mista (pub- blico-privata) costituita all'inizio nell'anno 1999, al termine di un lungo periodo di consultazione e concertazione con imprenditori pubblici e privati ed esponenti della società civile del territorio. L’idea di costituire una società di capitali con una forte partecipazione degli Enti pub- blici, ma organizzata e gestita secondo le regole del diritto privato, risale al Piano di ecosviluppo della Val Pellice elaborato ed approvato dalla Comunità Montana Val Pellice nel 1995. Nel Piano di ecosviluppo si prevedeva infatti, che lo sviluppo locale potesse essere fortemente sostenuto da “un’agenzia di valle” in grado di favorire i per- corsi economici, finanziari ed organizzativi mirati ad integrare il settore turistico con quello agricolo e con il sistema culturale. L’“agenzia di valle” doveva quindi, essere in grado di gestire la maggior parte delle azioni strategiche tese allo sviluppo socio-econo- mico sostenibile della comunità locale. Soci e capitale sociale L’AGESS VAL PELLICE S.p.A., società a capitale misto pubblico e privato, ha come socio maggioritario la Comunità Montana Val Pellice, oltre a: Comuni di Villar Pellice, Luserna San Giovanni, Angrogna, Bricherasio, Coop. “La Nuova Crumière”, Cooperativa Sociale “Nuova Cooperativa”, Chambra europenca des Pais d’Oc, Cooperativa Culturale “La Tarta Volante”, Paschetto Sandro, Peyrot Giovanni, CAI UGET Val Pellice e Nuova Barus di Visconti Giovanni. Il capitale sociale al momento sottoscritto ammonta a circa 2.300.000 euro. Il capita- le è detenuto per l’ottanta per cento da Enti pubblici (Comunità Montana Val Pellice e altri Enti locali del territorio). Il socio privato con la più forte partecipazione è la Coop. “La Nuova Crumière”. “La Nuova Crumière” è una cooperativa (con una cinquantina di addetti) costituita nell’85, come trasformazione della società Crumière fondata nel 1904 a Villar Pellice. Unica azienda sopravvissuta nell’arco alpino occidentale nell’ambito della tradizione lavorativa tessile, gode oggi di sviluppo stabile e si è posta come partner privilegiato degli enti locali nel progetto di recupero e valorizzazione del vecchio insediamento industriale Crumière. L’AGESS, come tutte le società a capitale misto, persegue delle finalità di interesse pubblico con metodi e strumenti previsti dal diritto privato. Questo consente in primo luogo una maggior flessibilità e un maggior dinamismo nella realizzazione di attività e di progettualità mantenendo ottimale il livello di trasparenza e di democraticità ope- rativa. I rapporti con il credito sono facilitati. L’attenzione nel rendere produttive ed ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 7 0 economicamente sostenibili le attività, unita alla capacità di concertazione e di coin- volgimento degli attori privati e pubblici che nella comunità operano per lo sviluppo locale sono le potenzialità maggiori dell’AGESS. L’AGESS è una società per azioni, e quindi una società di capitali a responsabilità limitata. Questa conformazione societaria consente la possibilità di emissione di obbli- gazioni per finanziare le attività e non richiede, al contrario dei consorzi, associazioni, aziende pubbliche, la necessità di finanziamenti annuali da parte dei soci. La possibilità di gestire servizi pubblici locali attraverso società per azioni con partecipa- zione di enti territoriali è contenuta, per la prima volta, nell'articolo 22, comma 3, lette- ra e, della L. n. 142/1990 sull'ordinamento delle autonomie locali. La L. n. 142/1990, nella sua formulazione originaria, ha previsto espressamente la possibilità di gestire servizi pubblici - che abbiano per oggetto produzione di beni e attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali - a mezzo di società per azioni "a prevalente capitale pubblico locale". La scelta discrezionale del modello organizzativo della gestione del servizio a mezzo di società per azioni partecipate da Enti locali e pubblici è determinata dall’op- portunità di favorire forme collaborative tra Enti pubblici e tra questi e imprenditori privati, portatori di capitali, tecnologie e competenze utili ai fini di una gestione imprenditoriale ed economica dei servizi pubblici. Lo strumento privatistico risulta più agile e duttile alle esigenze degli utenti (del mercato, in altri termini), senza con ciò diminuire le garanzie di perseguimento dell'interesse pubblico, attraverso l'esercizio di controllo sociale degli amministratori e sindaci nominati dalla parte pubblica. Ciò favorisce forme di aggregazione tra enti per la gestione di servizi comuni o per la crea- zione di società multiservizi che operano in un ambito territoriale più ampio. Peraltro, queste società possono, in virtù della loro capacità di diritto privato e in assenza di deroghe espresse, gestire servizi per conto di altri Enti locali, sia attraverso l'allargamento ad essi della partecipazione societaria, sia assumendo il servizio in con- cessione e partecipando a gare d'appalto. L’AGESS è quindi, al servizio degli Enti pubblici e privati per la progettazione, la rea- lizzazione e la gestione di iniziative per lo sviluppo socio-economico della comunità locale. In particolare l’agenzia sta operando nello sviluppo sostenibile di aree non metropolitane e rurali. Creare Sviluppo Locale Sostenibile significa, in primo luogo, far interagire e integra- re i comparti costituenti il sistema socio-economico territoriale, ed in secondo luogo, valorizzare il patrimonio ambientale, storico, culturale e produttivo dell’area. 7 1 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 Ruolo e finalità Per il raggiungimento delle finalità statutarie e di indirizzo stabilito dai propri soci, l’AGESS ha organizzato la propria operatività intorno a tre direttrici tematiche di lavoro. La prima direttrice fa riferimento alla consulenza e alla formazione mirata allo svi- luppo locale sostenibile. Non si tratta di fornire consulenze e gestire percorsi formati- vi proponendosi come un’ulteriore agenzia sul mercato della formazione, ma di foca- lizzare gli interventi che si traducono in azioni fortemente legate allo sviluppo sosteni- bile in ambito rurale, in sinergia ed accordo con le altre strutture del territorio. Tra le iniziative attivate in questo settore grande impegno viene profuso per le consu- lenze e le progettazioni realizzate per gli Enti locali e in partnership con associazioni e istituzioni private riguardanti i programmi europei Leader Plus, Interreg III, e Docup. Estremamente interessanti, dal punto di vista della ricerca e dell’azione riguardante l’imprenditorialità giovanile e le nuove figure professionali legate allo sviluppo locale, sono i corsi - attivati sempre su incarico di Enti locali (e con delle forti collaborazioni private) - per operatori turistici, agricoli e per giovani disoccupati alla ricerca di pos- sibilità lavorative come “animatori dello sviluppo del territorio”. Altro campo d’azione in cui l’AGESS sta impegnandosi a fondo è la progettazione per il completamento di interventi e strutture, precedentemente finanziati con fondi europei, e l’elaborazione di piani di gestione per l’attivazione di nuove attività imprenditoriali o per la ristrutturazione e la valorizzazione di attività. Si cita ad esempio la “Cantina Sociale di Bricherasio”, che pur essendo una forte risorsa economica per il territorio ha esplici- tato nell’ultimo periodo preoccupanti situazioni di dissesto economico e finanziario. L’altra direttrice è la valorizzazione del patrimonio ambientale produttivo che vede la nostra agenzia impegnata nella valorizzazione e commercializzazione dei prodotti agricoli di qualità, dell’artigianato di eccellenza e dei prodotti turistici. Accanto a tale lavoro si colloca l’impegno per la produzione di energia, la gestione ambientale e l’a- nimazione e promozione del “Prodotto Val Pellice”. Ultima direttrice è la valorizzazione del patrimonio socio-culturale che comprende la rea- lizzazione e la commercializzazione di prodotti culturali e sportivi uniti alla gestione del sistema ecomuseale della Val Pellice e al laboratorio di ricerca e didattica sulla storia. Per rendere reale e quindi operativa l’integrazione tra i settori socio-economici del ter- ritorio orientati allo sviluppo locale sostenibile, l’AGESS opera nella maggior parte dei casi per sistemi integrati di azione, quali ad esempio il Progetto Crumière, le iniziati- ve relative a Torino 2006, il Progetto Villa Olanda o la Porta di Valle. In tali sistemi integrati troviamo in forte collegamento tra di loro tutte le iniziative necessarie e suf- ficienti per rendere efficace ed efficiente l’intervento. Nei sistemi integrati, il bilancio costi e benefici non viene dunque stimato sulle singole attività, ma sull’insieme del per- corso produttivo. Ciò permette di valorizzare le differenze e le complementarietà, di ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 7 2 fornire risposte, superando i punti di debolezza e valorizzando i punti di forza di cia- scuna azione per aumentare la valenza socio-economica dell’intero sistema. Nell’ambito delle iniziative legate a Torino 2006, ad esempio, l’AGESS non solo gesti- sce gli stadi del ghiaccio di Torre Pellice e Pinerolo e lavora su progetti di collaborazio- ne con associazioni e istituzioni, ma si sta impegnando altresì su iniziative di avvia- mento al pattinaggio, sulla formazione degli istruttori e dei ragazzi del 2006, nonché su progetti per la produzione di energia elettrica con un basso impatto ambientale che per- mettano di ammortizzare gli alti costi energetici dovuti alla gestione degli impianti. DIRETTRICI TEMATICHE DI LAVORO In corso di realizzazione Progettazione avanzata Idea progetto 7 3 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 In corso di realizzazione Progettazione avanzata Idea progetto In corso di realizzazione Progettazione avanzata Idea progetto ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 7 4 ESEMPI DI PROGETTI INTEGRATI Progetto Crumière Porta di Valle In corso di realizzazione Progettazione avanzata Gianclaudio Magra Direttore AGESS S.p.A. 7 5 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 Verso il 2007... Iniziative integrate per migliorare le ricadute dell’evento olimpico sull’area Pinerolese AGESS Segreteria polo del ghiaccio Villa Olanda In corso di realizzazione Progettazione avanzata ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 7 6 3.2 Dall’Europa modelli di formazione e sviluppo I partner stranieri invitati al seminario fanno parte di una rete europea denominata MetroNet. La rete coinvolge settore pubblico e privato, uniti nell’impegno a contra- stare l’esclusione sociale e a rafforzare l’inserimento nel mercato del lavoro. Le aree urbane coinvolte nella rete sono numerose, comprese zone caratterizzate da un alto tasso di criminalità, bassa qualifica professionale e scarse competenze, disoccupazio- ne di lunga durata, condizioni ambientali precarie. Obiettivi della rete MetroNet sono: diffondere i principi di un’economia basata sulla conoscenza, competitiva a livello mondiale, che sia in grado di sostenere la crescita economica dell’Unione Europea attraverso l’implementazione occupazionale ed una maggiore coesione sociale. I risul- tati emersi da vari programmi pilota europei e dai patti territoriali per l’impiego hanno confermato il valore delle iniziative locali. L’esperienza presentata da Stig Hanno, responsabile dell’Ufficio Servizi Sociali di Europaforum di Stoccolma, evidenzia l’impegno sostenuto dalla sua struttura nel faci- litare la partecipazione al lavoro. Stig Hanno presenta due iniziative, una relativa al progetto Stockholm Matching e l’altra relativa al progetto Handcraft. Entrambe le iniziative si basano su una conoscenza precisa e circostanziata del terri- torio relativamente alla domanda e all’offerta di qualifiche, anche in rapporto allo svi- luppo locale. Il progetto Stockholm Matching ha studiato tre figure reputate assolutamente neces- sarie per istituzionalizzare l’incontro tra domanda e offerta. Esse sono: consulenti del lavoro, reclutatori e informatori. Il risultato del progetto dovrà consentire il monito- raggio delle qualifiche utili che ricadono, tuttavia, nelle sacche di disoccupazione. È necessario infatti, il recupero delle competenze artigianali come risposta al fabbisogno di manodopera, che a Stoccolma risulta rilevante per il cambio generazionale. Il progetto Handcraft si propone scopi più ambiziosi: promuovere cambi strutturali nel sistema didattico-formativo e dell’apprendistato, istituzionalizzare la diffusione delle informazioni relativamente alle opportunità formative all’interno dei settori interessa- ti. Il progetto mira a promuovere e rilanciare il settore dell’artigianato. Philip O’Connor, altro partner della rete MetroNet, presenta l’esperienza del Dublin Employment Pact, di cui è direttore. Il Patto di Dublino per l'occupazione del 1998, attraverso un programma comunitario, è divenuto Organizzazione stabile sul territorio, riconosciuto nel Piano di Sviluppo Nazionale dell’Irlanda (National Development Plan). Il Patto non distribuisce direttamente servizi ma si configura come un “forum” in cui vengono elaborate politiche congiunte, nuovi approcci e soluzioni innovative. L’Organizzazione è nata con l’intento di studiare il mercato del lavoro ed i problemi 7 7 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 legati allo sviluppo della regione di Dublino, proponendosi di elaborare soluzioni attra- verso partneriati tra organizzazioni pubbliche e private rappresentative del territorio. L’obiettivo del Patto è di creare alleanze strategiche tra gli attori interessati per inco- raggiare la crescita occupazionale ed accrescere la coesione e l’inclusione sociale. Il Patto focalizza altresì la sua attenzione su alcuni fattori chiave quali la disoccupa- zione di lunga durata, l’istruzione e l’occupazione, l’economia sociale, le pari oppor- tunità di accesso al mercato del lavoro. Si articola in oltre otto gruppi di lavoro, che presiedono alle attività incentrate su un’ampia gamma di questioni legate al mercato del lavoro di Dublino: attività di ricerca e disseminazione, progetti pilota, conferenze, un programma di pubblicazioni, partecipazione a reti. Philip O’Connor intende dimostrare, anche attraverso esempi pratici, come l’approccio territoriale, nello specifico il sistema di partenariato sviluppato a livello territoriale dal DEP, abbia affrontato il problema del collegamento tra scuola e mondo del lavoro. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 7 8 3.2.1 Come può la formazione professionale sostenere lo sviluppo territoriale? Introduzione Sono stato invitato a condividere con voi le esperienze di Stoccolma sul tema della for- mazione professionale quale strumento per lo sviluppo territoriale. Vi ringrazio per l’invito e spero di potervi dare degli elementi utili al vostro lavoro. Lavoro per la città di Stoccolma in qualità di dirigente, non di politico. Sono responsa- bile per l’attuazione delle strategie europee a favore dell’impiego e degli affari sociali. Anzitutto un’affermazione: promuovere la partecipazione all’impiego è l’elemento chiave dello sviluppo del territorio. Il lavoro è il modo migliore per sviluppare una nazione, una regione o una società locale. A livello individuale, promuovere la partecipazione al lavo- ro costituisce l’elemento chiave per prevenire e ridurre la povertà e l’esclusione sociale. Il lavoro è un diritto fondamentale e l’elemento più importante della cittadinanza. All’interno di una comunità sociale l’essere soggetto attivo è, per la maggior parte della gente, fondamentale tanto per assicurarsi un reddito adeguato quanto per estendere e sviluppare le reti di sviluppo sociale. Questo facilita la partecipazione alla vita sociale e riduce il rischio di emarginazione. In secondo luogo vorrei ricordare l’obiettivo strategico dell’Unione: “l’economia più com- petitiva e dinamica è fondata sulla conoscenza che deve sostenere appunto la crescita economica offrendo l’opportunità di lavori migliori e una coesione sociale più forte”. L’Unione Europea ha evidenziato il legame essenziale tra forza economica e modello sociale. L’agenda della Politica Sociale si prefigge di assicurare un’interazione positi- va e dinamica tra economia, lavoro e politica sociale. Terzo elemento: le strategie europee sul lavoro e l’inclusione sociale vogliono assicura- re un’interazione positiva e dinamica tra economia, lavoro e politiche sociali e la mobi- litazione di tutte le parti per ottenere tali obiettivi. Tutti gli Stati Membri si sono impe- gnati ad organizzare il proprio lavoro per raggiungere quattro obiettivi: - facilitare per tutti la partecipazione al lavoro e l’accesso alle risorse, ai diritti, ai beni ed ai servizi; - prevenire il rischio di esclusione; - aiutare le fasce deboli; - mobilitare gli enti più importanti. Gli Stati Membri inoltre, hanno sottolineato l’importanza delle pari opportunità tra uomini e donne in tutte quelle azioni che permettano di raggiungere i suddetti obiettivi. 7 9 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 Risultati ottenuti da Europaforum a Stoccolma (cfr. il progetto Stockholm Matching) È nostra ambizione sviluppare, verificare e, nel caso la verifica risultasse positiva, atti- vare diverse strategie per trovare modelli di lavoro che in maniera efficace e diretta accordino i bisogni del mercato del lavoro con le esigenze dei disoccupati. Vogliamo risol- vere tanto il problema della carenza di manodopera - che costituisce di per sé un osta- colo all’espansione ed allo sviluppo del territorio - quanto i problemi dei singoli legati a condizioni di dipendenza da indennità, assistenza sociale o benefici di disoccupazione. Lavoriamo attivamente a favore del mercato del lavoro per localizzare opportunità lavorative ed identificare i potenziali lavoratori tra i disoccupati residenti nel territorio. Il nostro modo di lavorare è basato su tre funzioni/attori chiave che hanno compiti differenti: 1. consulenti del lavoro, i quali si occupano di attivare e mantenere contatti a lunga scadenza con quei datori di lavoro che hanno esigenze di reclutare personale; 2. ‘reclutatori’, i quali lavorano con i datori di lavoro per redigere liste di qualifica professionale e in seguito selezionano gli allievi idonei attingendo alle liste di quan- ti fanno richiesta, dando la precedenza ai disoccupati che dipendono dall’indennità sociale. Tali disoccupati devono essere motivati ed interessati al lavoro offerto; 3. informatori, i quali lavorano nella comunità allo scopo di divulgare informazioni. Elementi caratteristici del metodo sono: 1. contratti a lungo termine stipulati con i datori di lavoro, soprattutto con le agenzie di reclutamento personale; 2. corsi di formazione ad hoc che rispondano ai bisogni minimi dei datori di lavoro; 3. un processo di selezione da svolgersi congiuntamente ai datori di lavoro; 4. la formazione e le altre misure cominciano solo quando i datori di lavoro si impe- gnano e garantiscono lavoro a quanti, terminato il corso, ottengono risultati valuta- tivi positivi; 5. i ‘reclutatori’ sono in contatto con i partecipanti/allievi per tutta la durata del pro- cesso di formazione e in molti casi anche a formazione ultimata. Questo risulta par- ticolarmente importante per quanti non completano il corso con risultati valutativi sufficienti; 6. i partecipanti fanno domanda ai corsi in maniera autonoma. Non esiste una proce- dura di riferimento a livello di Ufficio del Lavoro nazionale o Servizi Sociali locali; 7. i gruppi che lavorano alle attività di reclutamento sono poco numerosi e flessibili. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 8 0 Reclutatori I ‘reclutatori’ di formazione sono figure importanti per il successo. Abbiamo imparato nei diversi progetti che esiste un requisito importante per il succes- so della formazione professionale come ponte tra i disoccupati ed il modo del lavoro. È di fondamentale importanza che il ‘reclutatore’, che di solito è un lavoratore sociale o un rifugiato, abbia un’ampia prospettiva della sua attività professionale. I lavoratori sociali o i rifugiati in genere basano il loro lavoro su una prospettiva orientata al pro- blema. Noi insegniamo loro ad essere più orientati alla comunità, così che i clienti ed i lavoratori sociali ottengano risultati più ampi (riduzione dalla dipendenza da sussidi) rispetto al loro lavoro contingente. Il nostro metodo ha obbligato i lavoratori sociali a guardare ai propri clienti con l’oc- chio del datore di lavoro e ciò ha prodotto differenti richieste ai clienti stessi rispetto alle motivazioni personali ed alle attività. Consulenti del lavoro I consulenti giocano un ruolo chiave nel modello di lavoro e dovrebbero avere esperien- za professionale nel settore privato(e nel mercato del lavoro pubblico in genere). È importante identificare datori di lavoro che abbiano esigenze di personale a lunga sca- denza. Nel progetto Stockholm Matching lavoriamo con le seguenti professioni: tecnici di rete, tecnici d’assemblaggio elettronico, centralinisti, commessi, magazzinieri, tassisti, addetti alle pulizie d’albergo, assistenti agli anziani, assistenti domiciliari, postini etc. Il progetto Handcraft Obiettivo principale del progetto Handcraft è promuovere importanti cambi struttu- rali nel mondo dell’artigianato, specialmente da un punto di vista formativo, per assi- curare il reclutamento e il ricambio generazionale. Dopo aver analizzato la situazione, abbiamo trovato che in molte attività esiste carenza di personale e che a causa dei pen- sionamenti entro il 2010 saranno necessari all’incirca 100.000 artigiani neo-qualifi- cati. Riteniamo che la carenza di personale nel settore artigianato possa minacciare la crescita e lo sviluppo del territorio. Al contempo i corsi di formazione professionali isti- tuzionali del Paese sono in crisi. Nell’ambito del progetto è stato attivato un corso di formazione mirato al diretto inse- rimento lavorativo che ha posto le basi per lo sviluppo di un nuovo modello di forma- zione-apprendistato. 8 1 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 Gli scopi del progetto sono stati molto ambiziosi: 1. promuovere cambi strutturali nel sistema didattico tali da far organizzare in Svezia una moderna formazione-apprendistato; 2. dar vita ad un modello di formazione mirato al diretto inserimento lavorativo in diverse aree della società ed attivare corsi sulla base di tale modello; 3. diffondere la conoscenza delle opportunità della formazione professionale nel mondo dell’artigianato e sull’importanza dell’artigianato stesso; 4. sostenere senza discriminazione alcuna l’accesso di ogni gruppo alla formazione ed al lavoro; 5. promuovere la ricerca nel mondo dell’artigianato; 6. coordinare forme di collaborazione per le piccole industrie artigiane. Alcune esperienze nell’ambito dell’iniziativa EQUAL Il titolo del progetto è Resource Exchange. Obiettivo principale è cercare nuove vie affinché immigrati e rifugiati possano ridurre il tempo necessario per ottenere il permesso di soggiorno ed avere un lavoro. È molto importante per noi creare nuove vie più flessibili per permettere ad immigrati e rifu- giati di divenire autosufficienti ed essere parte attiva all’interno della società in tempi ragionevoli. Stiamo creando un programma di sviluppo coerente che offra ai singoli un “impiego” a mo’ di introduzione e contemporaneamente aumentiamo le opportunità per assicurare uno sviluppo sostenibile nella società imparando da culture diverse. Daremo un posto di lavoro annuale ad immigrati e rifugiati nelle scuole dell’obbligo, nei pre-scuola e nei centri ricreativi per bambini. Nel corso dell’anno il partecipante: • imparerà lo svedese nella teoria e nella pratica; • sperimenterà come si lavora in Svezia e conoscerà il mercato del lavoro svedese; • avrà avuto le opportunità di costruire una rete sociale esterna alla famiglia per avere una maggior conoscenza della cultura svedese e per dividere la propria personale esperienza culturale per una comprensione reciproca (Resource Exchange); • avrà conosciuto il sistema scolastico obbligatorio svedese e di conseguenza avrà imparato a relazionarsi alle domande ed alle aspettative dei genitori svedesi. La partnership di sviluppo rileverà congiuntamente e risolverà gli ostacoli affinché il posto di lavoro “introduttivo” possa aver successo; elaborerà soluzioni a livelli indivi- ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 8 2 duali, organizzativi, politici e di sistema; è responsabile congiuntamente del monito- raggio e della autovalutazione e del mainstreaming attraverso un Gruppo di controllo. Attività a livello strutturale È importante, a livello strutturale, stabilire relazioni a lunga scadenza il che significa: - influenzare il lavoro dei tradizionali servizi sociali e gli sforzi dell’economia munici- pale e dello sviluppo imprenditoriale per creare un forum di dibattito ed un metodo di sviluppo che connetta le questioni sociali e del mercato del lavoro con la formazio- ne professionale; - cercare forme di collaborazione a lunga scadenza tra gli attori coinvolti nello svilup- po economico ed imprenditoriale ed i ‘reclutatori’; - sviluppare metodi per cui ogni contatto d’affari all’interno della comunità sia anche un contatto di reclutamento; - dar vita a forme di cooperazione tra il settore pubblico, le imprese private, le agenzie di lavoro temporaneo e le organizzazioni che lavorano nell’ambito della formazione professionale così che ogni parte svolga il suo compito al meglio; - analizzare le condizioni locali, sviluppare una strategia ed un piano d’azione integrato con i partners prima di attivare singoli progetti. Utilizzare l’approccio bottom-up. Considerare le necessità dei residenti combinando questioni sociali ed economiche; - sollecitare i datori di lavoro locali a far parte dello sviluppo locale per ottenere l’o- biettivo di un impiego completo. Attività a livello individuale La chiave del successo è basata sulla motivazione. Chi partecipa ad un programma sarà motivato se avrà la possibilità di comprendere le condizioni che permettono di raggiungere l’obiettivo (sia esso un lavoro o istruzione); credere che sia possibile rag- giungere l’obiettivo al termine del processo e, infine, poter vedere che l’obiettivo è sempre più vicino. Le sfide che l’Italia deve affrontare Ho estrapolato una conclusione redatta nel rapporto sull’inclusione sociale della Commissione Europea (NAP). La sfida principale che l’Italia deve affrontare è lo svi- luppo del Sud del Paese. Ma ho notato che anche l’assistenza ai bambini e agli anzia- ni a carico costituisce una sfida importante. Per esempio solo il 6% dei bambini (0-2 anni) trova posto negli asili nido. Esiste la necessità di provvedere all’assistenza per i bambini e di tutte le altre categorie a carico (anziani, disabili etc.). 8 3 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 Se anche in Italia - come abbiamo fatto noi in Svezia e a Stoccolma - si potesse orga- nizzare l’assistenza a bambini ed anziani, ci sarebbero un gran numero di nuove oppor- tunità lavorative che aiuterebbero anche le donne ad avere una propria autonomia lavo- rativa ed economica. Ciò avrebbe un forte impatto a livello dei singoli e per lo sviluppo del territorio. I bambini, le donne, gli anziani sono i gruppi più importanti se si vuole costruire una società “capace di sostenere la crescita economica con una coesione sociale più forte”. Sono i gruppi attivi delle azioni di sostegno dello sviluppo del territorio. Stig Hanno Responsabile Ufficio Servizi Sociali Europaforum Stockholm ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 8 4 3.2.2 Qualifiche formative dei giovani provenienti dalle aree svantaggiate di Dublino - I benefici di una strategia territoriale Cercherò di sintetizzare come l’approccio in partenariati territoriali ci ha aiutato ad affrontare i problemi nella zona di Dublino. Formazione ed inclusione sociale a Dublino Nel corso degli ultimi nove anni, Dublino ha vissuto un periodo di boom economico senza precedenti con un tasso di disoccupazione che è crollato dal 20% del 1989 a quasi il 3,5% attuali. Questo boom sta finendo e vi è una diffusa convizione che molti degli occupati ora sono molto vulnerabili a qualsiasi capovolgimento economico, sono a rischio specialmente i giovani provenienti dalle aree svantaggiate ed in possesso di una formazione scolastica e professionale molto bassa. Malgrado il successo economico rimangono a Dublino numerose comunità svantaggia- te, specialmente in undici zone particolari - che contano una popolazione di 250.000 persone - definite in situazione di disagio per l’elevato tasso di disoccupazione, le scar- se risorse sociali, il precoce abbandono scolastico ed il basso livello di qualifica pro- fessionale/scolastica. Diverse sono le autorità nazionali che si occupano di formazione scolastica e profes- sionale a Dublino - i dipartimenti scolastici, i Comitati di Formazione Professionale (VEC) e gli Enti di Formazione Nazionale (dette FAS). In Irlanda, l’apprendistato nel senso tradizionale costituisce una realtà solo per le attività prettamente manuali. La maggior parte dei giovani provenienti da aree di disagio, entra nel mercato del lavoro dopo aver frequentato i VEC oppure altri programmi di formazione professionale gestiti dagli Enti di formazione. L’approccio in partenariato locale L’inclusione sociale è uno degli obiettivi centrali della politica governativa e viene affrontato con molti programmi a livello nazionale, regionale, locale. Uno dei pro- grammi di maggior successo attivato a riguardo è stato istituire partenariati locali, costituiti in tutte le undici aree di disagio di Dublino. In questi partenariati comunità locali, gruppi di volontariato, partner sociali, agenzie, istituzioni statali ed Enti locali lavorano di concerto per affrontare il problema a livello locale ed elaborare soluzioni ad hoc in loco. Scopo principale è lo sviluppo della comunità, la rigenerazione delle 8 5 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 periferie, dei servizi locali per l’impiego, l’istruzione, l’assistenza all’infanzia. È opi- nione generale che il miglior modo di affrontare il problema dell’esclusione sociale è agire a livello locale dove i singoli problemi vengono individuati meglio e le solu- zioni elaborate a seconda delle necessità proprie del luogo. A Dublino, per tutta una serie di problemi di inclusione sociale, questo approccio ha prodotto numerose ini- ziative locali che si sono rivelate di successo. Nel 1996 l’OCSE prese in esame le esperienze di partenariato locale in Irlanda e concluse che queste rappresentavano l’approccio al problema più innovativo raccomandandone l’adozione in Europa. Questo tipo di approccio costituì la base dei Patti Territoriali per l’Impiego e, più tardi, fu utilizzato anche nei programmi dell’UE sulla disoccupazione e l’inclusione sociale. Sarebbe il caso di ricordare che affinchè un partenariato funzioni, bisogna ben com- prendere cosa esso effettivamente comporta, anche eticamente, in una società. In Irlanda, ciò si è compreso attraverso l’organizzazione di partenariati sociali a livel- lo nazionale nei quali lo Stato ed i partner sociali hanno concordato programmi triennali definendone retribuzioni, sviluppo, investimenti sociali e quant’altro necessario. Il ruolo del Dublin Employment Pact Il Dublin Employment Pact (DEP) fu creato nel 1998 a seguito di alcuni difetti riscontrati nel sistema di partenariato locale, in particolare la mancanza di un obiettivo strategico preciso che riguardasse l’intera città. È importante notare che i partenariati locali non sono agenti diretti di erogazione quanto piuttosto gruppi strategici nei quali i partner locali convergono per sviluppare un approccio integra- to per l’erogazione dei propri servizi. L’aspetto dell’erogazione da parte dei parte- nariati locali consiste nell’organizzare agenzie e gruppi già esistenti affinchè ero- ghino i propri servizi, nonchè nel verificare soluzioni pilota che, se funzionano, pos- sono essere diffuse a più larga scala. Il Dublin Employment Pact svolge i suoi com- piti a livello cittadino. Il Dublin Employment Pact, agenzia senza scopo di lucro finanziata principalmen- te dal governo nell’ambito dei Piani Nazionali di Sviluppo, è formata dagli Enti locali e regionali della Regione Dublino, dalle undici agenzie di partenariato locali di Dublino, da partner sociali (associazioni sindacali nazionali e dublinesi, datori di lavoro, Camera di Commercio e Centro per la Disoccupazione) e da importanti agenzie statali e dipartimenti governativi (Ministero dell’Istruzione, degli Affari Sociali ed dell’Impiego ed un rappresentante del Gabinetto del Primo Ministro). Suo compito è analizzare il mercato del lavoro e le problematiche della città di Dublino, elaborare soluzioni di partnenariato, identificare buone pratiche locali e l’impatto ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 8 6 politico relativi all’occupazione e all’inclusione sociale. Più di 100 agenzie, Enti pub- blici, gruppi comunitari ed altre organizzazioni vengono coinvolte nel lavoro del Patto sia in qualità di gruppi decisionali che come comitati guida di progetti specifici. Il Patto pubblica molti dei suoi lavori e partecipa direttamente con il governo e con altre autorità politiche alla ricerca ed alla riforma del sistema. In particolare alcuni gruppi di lavoro costituiti da vari partner del Patto si occupano dello Sviluppo Economico e Sociale, della Politica del Mercato del Lavoro, della Formazione e dell’Impiego, delle Imprese Locali ed dell’Economia Sociale, dell’Inclusione nel Mercato del Lavoro (EQUAL). Nello svolgimento del proprio lavoro, ciascun gruppo attiva un tavolo di discussione per trovare un approccio comune a problematiche specifiche. Fatto ciò viene elabora- to un piano di lavoro appropriato o attraverso lo sviluppo di un percorso politico, o commissionando un lavoro di ricerca o di strutturazione di un progetto innovativo. Il Patto non distribuisce direttamente servizi; è piuttosto un forum ove vengono elabo- rate politiche congiunte, nuovi approcci e soluzioni innovative laddove sono state iden- tificate lacune nell’effettiva distribuzione. Il fatto che tutti gli interessi vengano coin- volti, dà alle raccomandazioni elaborate dal nostro lavoro grande peso morale e ha fatto sì che se ne considerasse l’impatto a livello di politiche locali e nazionali. Vi descriverò ora degli esempi attinenti al tema del seminario. Politica didattica e formativa: una prospettiva territoriale Il gruppo di lavoro sulla Formazione e l’Impiego del Patto è formato dai rappresen- tanti dei sindacati, dai datori di lavoro, dai soggetti coinvolti nella formazione, dal Ministero dell’Istruzione, da Enti di formazione, dai VEC, da ONG per l’inclusione sociale e da diversi programmi e partenariati locali. All’inizio del 1999 questo gruppo ha tenuto una serie di seminari durante i quali vennero esaminate ed analizzate le carenze del sistema scolastico e della formazione professionale per i giovani svantag- giati del mercato del lavoro di Dublino. Gli atti che risultarono dalle serie degli incon- tri “Raccomandazioni sulla Disoccupazione e sull’Istruzione Giovanile” (Maggio 1999) furono presentati al Ministro dell’Istruzione e vennero distribuiti alle agenzie, alle organizzazioni ed alle istituzioni coinvolte nel problema. L’analisi delle lacune nel sistema individuate dal Patto e di come esse influenzavano la situazione a Dublino, venne recepita dal Primo Ministro e costituì parte della riforma nazionale della politi- ca dell’istruzione allora in corso ed alcune delle nostre proposte divennero parte inte- grante del nuovo programma adottato quello stesso anno. La forza dell’approccio del Patto stava proprio nel lavoro congiunto di tutte le parti coinvolte ad ogni livello, tanto decisionale quanto pratico. Il sistema di mainstreaming dell’erogazione formativa e delle iniziative scolastiche nazionali per aumentare l’in- 8 7 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 clusione sociale, ebbe un buon successo, tuttavia il problema maggiore rimaneva che queste non risolvevano sufficientemente i problemi dei gruppi. I programmi nazionali dovevano essere ritagliati a misura da iniziative e progetti locali. Il Patto allora decise di avviare un esame ed una valutazione più approfonditi dei programmi di inclusione sociale del sistema della formazione e dell’istruzione, nonchè una valutazione, mai fatta in precedenza, di circa trenta tra iniziative e progetti sviluppati localmente allo- ra in corso nelle aree. Lo scopo era identificare buone pratiche, metterle a disposizio- ne di tutte le comunità vicino Dublino e di determinare inoltre cambiamenti nei pro- grammi nazionali derivanti dagli insegnamenti che questo approccio avrebbe prodot- to. Il rapporto che ne derivò - Quadrare il Cerchio: Analisi dei Programmi nelle Scuole Dublinesi per Prevenire l’Abbandono Scolastico, con Raccomandazioni per un Modello di Buone Pratiche - ebbe un notevole impatto sulla politica formativa e sul dibattito tra il potere decisionale e gli operatori a Dublino. Ne circolarono migliaia di copie ed i seminari che ne conseguirono videro la partecipazione numerosa di tutti gli operato- ri del settore, scuole, partenariati, Enti locali, centri di formazione e Istituzioni politi- che nazionali. Il Patto ha affrontato, seguendo lo stesso metodo, la questione dell’ac- cesso alla formazione professionale superiore e alla formazione di base per gruppi emarginati, alla partecipazione delle comunità itineranti, nonchè al problema dei gio- vani studenti con lavori part-time - il problema maggiore a Dublino. È stato un esempio importante del grande valore aggiunto che la strategia basata sul territorio ha portato all’intera area di Dublino. Un esempio pratico: collegare scuola e lavoro Alcune iniziative del Patto spiegano come l’approccio territoriale abbia affrontato un problema specifico, ovvero collegare scuola e lavoro. Nel suo rapporto del 1999, il gruppo di lavoro sulla Formazione e l’Impiego del Patto identificò tutta una serie di questioni da affrontare. Una di queste era il problema che un gran numero di giovani lasciava la scuola già a sedici anni per gli scarsi risultati ed intraprendeva un lavoro di bassa qualifica e sottopagato. In aggiunta, con il boom economico, un numero di giovani sempre maggiore, specialmente provenienti da aree povere, frequentava la scuola ma al contempo lavorava dopo l’orario scolastico. Lavoravano molte ore, con il risultato che il rendimento scolastico ne soffriva. Studiando la situazione di Dublino, il Patto stabilì che l’85% di tutti gli studenti delle scuole superiori, tra i sedici e i diciotto anni, lavorava part-time, e di questi un quar- to - quasi tutti provenienti da aree svantaggiate - lavorava davvero tanto (venti-tren- ta ore a settimana). La disoccupazione non era un problema, piuttosto la sovraoccu- pazione. Il problema, tuttavia, era che molti giovani provenienti da aree povere entra- vano a far parte della forza lavoro con un livello di qualifica molto basso e pochissi- ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 8 8 ma formazione professionale. Quando l’economia decresce, c’è il grande rischio che questi lavori - la maggior parte del terziario - scompaiano e questi giovani diventino i disoccupati di lunga durata della futura generazione. Il gruppo di lavoro del Patto esaminò i risultati di questa analisi e cominciò a prende- re in esame ciò che poteva essere fatto a riguardo. Attraverso il partenariato di Dublino, vennero sviluppate alcune raccomandazioni che furono adottate dal “Forum Nazionale Economico e Sociale” e il Primo Ministro, che aveva lanciato il Rapporto del Patto, ricevette una sintesi delle conclusioni e delle raccomandazioni distribuite ad ogni scuola secondaria superiore irlandese. Una delle conclusioni del Rapporto Scuola e Lavoro Part-time a Dublino: Ricerca, Analisi e Raccomandazioni fu che, per quanto i programmi Stay In School Retention Initiative e Applied Leaving Certificate Course - il cui scopo era mantenere a scuola i giovani mescolando l’istruzione di base con la qualifica professionale - avessero abba- stanza successo, rimaneva un 10% di studenti che non poteva continuare gli studi e entrava nel mercato del lavoro prima di aver ottenuto una qualifica formale. A riguar- do il Rapporto raccomandava la necessità di elaborare un modulo che permettesse a questi giovani di lasciare la scuola e cominciare a lavorare ma allo stesso tempo con- tinuare e completare la formazione professionale mentre lavoravano. L’approccio in partenariato del Patto fece sì che le risorse pricipali coinvolte a Dublino firmassero l’accordo come raccomandato dal Rapporto e nel corso dell’erogazione qualsiasi oppo- sizione essi avessero in precedenza sulle “falle” del sistema scolastico fosse superata. Accettata la raccomandazione a livello locale di Dublino, il Patto, ivi compresi le asso- ciazioni dei datori di lavoro, il Ministero dell’Istruzione e l’Ente Nazionale di Formazione in quanto partners, hanno elaborato l’idea di un progetto pilota da speri- mentare attivando una qualifica di formazione part-time per i giovani lavoratori sulla base di “permessi-orari” concordati con i datori di lavoro. Sulla base di questa proposta furono elaborati tre progetti. Ognuno di essi doveva esse- re attivato in un area di disagio sociale ed essere controllato da un partenariato locale che coinvolgeva datori di lavoro, scuole, VEC, Enti di formazione, comunità locali ed altri attori. I tre progetti erano leggermente differenti e tarati in base alle condizioni del luogo. A circa 55 giovani i datori di lavoro hanno permesso di sottoscrivere un accordo con il partenariato locale. I programmi vengono individuati localmente e comprendono elementi di istruzione di base, formazione professionale ed elementi di formazione spe- cifica rispetto al lavoro che i giovani svolgono. Questi progetti sono in corso da sei mesi e si stanno svolgendo in tre diverse località della città. Al termine dei progetti pilota (2002), verranno valutati i risultati e verrà proposto al governo un modello per collega- re la scuola ed il lavoro, affinchè lo includa nel sistema scolastico-formativo del Paese. Ancora una volta questo è un esempio di un approccio che non sarebbe stato possibi- le senza la fiducia e l’impegno di tutti i partners della città. Il sistema scolastico è cauto 8 9 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 rispetto a modelli alternativi diversi dalla “normale” attività scolastica, il sistema di formazione di solito desidera mantenere il modello di formazione aziendale, i datori di lavoro non gradiscono concedere ai lavoratori una formazione che potrebbe poi indur- li a cambiare lavoro. Tuttavia, grazie al consenso raggiunto tramite il Patto, il lancio di nuovi approcci risulta possibile su larga scala (a Dublino). I legami tra il sistema scolastico nazionale e la formazione fanno sì che i risultati di qualsiasi azione si intra- prenda influenzino il sistema politico nazionale e induca ciascuno degli attori coinvol- ti a prenderne parte. In tal caso, una piccola iniziativa pilota scaturita sulla base del lavoro di gruppo del Patto e operante in partenariato per affrontare un problema spe- cifico, nonchè l’operato stesso del Patto, assicurano la fattibilità dell’iniziativa e i risul- tati - qualora positivi - si ripercuoteranno sull’intero sistema. Conclusioni Ho cercato di mostrare come il sistema di partenariato sviluppato a livello territoriale dal Dublin Employment Pact ha dimostrato di essere uno strumento davvero utile per sollevare discussioni e cambiamenti nel sistema scolastico e nella formazione profes- sionale che influiscono sui problemi della disoccupazione e dell’esclusione sociale. Spero di aver suscitato il vostro interesse e di essere stato d’aiuto a trovare risposte per lo sviluppo del vostro sistema in Italia. Philip O’Connor Direttore del Dublin Employment Pact ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 9 0 4 CONTRIBUTO E SINTESI DEGLI ESPERTI COORDINATORI DEI LAVORI DI GRUPPO Introduzione L’intervento di Emilio Gandini introduce e inquadra la relazione dei gruppi di lavoro: ne emerge un profilo di formazione professionale che, nella prassi, coniuga ricerca e attenzione al territorio, prospettive ed impegno nel presente. 9 1 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 4.1 Il valore del territorio, il valore della formazione: prospettive È buona prassi per il CIOFS-FP anticipare i tempi nel promuovere convegni che guardano il futuro nel campo dell’educazione. Ai primi di settembre, riesce a far tesoro di tutto ciò che è avvenuto nell’anno precedente e di ciò che potrà avvenire nell’anno seguente: questo è davvero un prezioso contributo per cercare di leggere il futuro della F.P.. Tutti gli Enti di Forma, accomunati dal riferimento della dottri- na sociale della chiesa, gliene riconoscono il merito. Siamo arrivati alla XIV edizione del Seminario Europa, ma l’interrogativo è sem- pre identico «come la formazione professionale contribuisce a far crescere l’uomo lavoratore?». «Cosa può fare per rinnovare il territorio?». Non può essere diversamente perché la formazione professionale deve tener conto della prospettive future, ma soprattutto deve tener conto delle attese dei cittadini. Per questo le domande ritornano: «come contribuire a migliorare il modello di svi- luppo sociale, culturale ed economico; come favorire l’identità del territorio con tutte le istanze sociali ed economiche che provengono da singoli soggetti, da reti, da tessuti, da dimensioni locali, nazionali, europei, mondiali; come coniugare il model- lo formativo con il modello di sviluppo?». In altre parole potremmo dire: «come cercare di estendere il concetto di comunità educante (concetto a noi molto caro) che coinvolge tutte le risorse umane all’inter- no del centro, le famiglie, gli allievi, al concetto di comunità territoriale, dove entra- no con pieno titolo la solidarietà, la sostenibilità, la compatibilità, il confronto il dialogo?». È difficile rispondere e, di più, concretizzare una possibile risposta. Stiamo per concludere questo seminario e raccogliere il frutto del lavoro dei grup- pi, che rappresentano una metodologia che caratterizza i convegni del CIOFS-FP. Abbiamo ascoltato da alcuni relatori delle tavole rotonde testimonianze dirette e con- crete che hanno evidenziato come risultati lusinghieri derivino da volontà comuni. Abbiamo potuto verificare come, laddove ognuno svolga il proprio ruolo istituzio- nale, sociale, economico, educativo sia più facile costruire insieme un modello di sviluppo, e come proprio lì l’apporto del modello formativo risulti decisivo. Abbiamo però potuto constatare che, a volte, chi dovrebbe intervenire con politiche adeguate, non lo fa, anche se il territorio esprime molteplici potenzialità. In alcune regioni del Sud, cosa possono fare gli Enti di Forma da soli pur avendo al loro interno risorse umane preziose, come possono smuovere un mondo assopi- to? Cosa si può fare per essere loro vicini, per aiutare le istituzioni a vincere una sfida che si presenta oggi impari? ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 9 2 Penso a regioni in cui le istituzioni sono pigre, indifferenti, miopi, dove le imprese, di fronte al fenomeno della globalizzazione economica e finanziaria, assecondano solo modelli condizionati dalle leggi ferree e di mercato, provocando privilegi ma anche insuccessi purtroppo sempre crescenti, che fanno aumentare il divario tra ricchi e poveri. Penso alle famiglie lasciate ai margini perché non coinvolte dai processi di crescita dei loro figli, ai territori dove non c’è integrazione tra i diversi sistemi della scuola, della formazione professionale, delle imprese, anzi, dove l’autoreferenzialità di ognuno accresce l’egoismo e la presunzione. In questi giorni siamo stati aiutati a leggere il servizio che stiamo facendo in un con- testo molto ampio. L’Associazione CIOFS-FP sta facendo sicuramente qualcosa di importante e giusto, al di là della certificazione di qualità raggiunta, al di là dell’accreditamento presso le Regioni. Sarebbe riduttivo pensare che far bene il proprio servizio sia di per sé gratificante. Questo bene deve essere socializzato, partecipato, condiviso, nella prospettiva o pro- secuzione del radicamento territoriale. Da qui deriva l’importanza della rete territo- riale che diventa educante, perché affonda le proprie radici nella società e può far nascere modelli interpretativi diversi del vivere sociale e dell’economia. In questi giorni è stato ricorrente il concetto di sostenibilità, di compatibilità, ma sarebbe meglio dire di eco-compatibilità, perché prima di entrare nel merito delle diverse componenti del territorio, dei diversi soggetti, occorre precisare che il territo- rio va assolutamente rispettato, altrimenti lo sviluppo non è né sostenibile, né econo- mico, né sociale. Un’altra sottolineatura ricorrente in questi giorni è la necessità di innovazione che deve caratterizzare l’interazione con il territorio: l’identità locale deve essere conti- nuamente stimolata dall’evoluzione della domanda da un lato e dall’evoluzione tecno- logica dall’altro, e richiede di essere conservata e sviluppata in modo dinamico. Questa brevissima premessa inquadra semplicemente i temi che sono stati sviluppati dai gruppi. Le sintetiche relazioni dei lavori costituiscono un’originale sintesi tra l’apporto dei coordinatori e quello di tutti voi, che testimoniate, in particolare, una formazione pro- fessionale attenta alle esigenze dei giovani e del territorio. Emilio Gandini Presidente dell’Associazione Forma Nazionale 9 3 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 4.2 Sostenibilità, compatibilità e capacità di innovazione nell’ambito del modello di sviluppo territoriale Introduzione Il tema che mi è stato assegnato è estremamente ampio e, per definizione, interdi- sciplinare. Nel mio intervento cercherò di proporre alcuni spunti per la riflessione mantenendo il discorso ad un livello generale. Le considerazioni che seguono sono frutto dell’interazione tra la visione delle problematiche trattate che deriva dalla mia ottica di economista agrario, i molteplici spunti emersi durante i lavori del seminario e la discussione effettuata nel gruppo di lavoro da me coordinato. Dopo avere chiarito cosa si debba intendere per “sviluppo territoriale” discutendo di sostenibilità e compatibilità (par. 2) proporrò alcune riflessioni sul legame che può stabilirsi tra l’identità di un territorio e le caratteristiche dei beni in esso pro- dotti, anche alla luce della dinamica manifestata dalla domanda (par. 3); sulla base di questa discussione proporrò una rilettura dei concetti di sostenibilità e compati- bilità. Come conclusione, infine, discuterò brevemente alcuni nodi problematici che emergono dal punto di vista delle esigenze formative. Due concetti per l’analisi dello sviluppo di un territorio Cercando in letteratura, due concetti di ordine abbastanza generale mi sono sem- brati particolarmente utili per sviluppare il tema proposto. Il primo è quello di “economia rurale” proposto da Cecchi e Basile (2001). Secondo questi autori la fase di transizione post-fordista dell’economia è contrassegnata dalla nascita di “economie rurali”, intendendo con questo termine sistemi produttivi1 col- locati in aree rurali e caratterizzati da un elevato grado di differenziazione dell’eco- nomia (una pluralità di attività produttive convivono sul territorio), da una spinta integrazione delle diverse attività sia dal punto di vista dell’uso delle risorse (a par- tire dal lavoro) che dal punto di vista dell’utilizzazione dello spazio, da un’elevata informalità nelle relazioni economiche. I processi di sviluppo delle economie rurali sono centrati proprio sulla flessibilità dell’organizzazione produttiva e sociale che risulta da queste caratteristiche e che accresce sensibilmente il ruolo delle econo- mie di scopo rispetto alle economie di scala ed al progresso tecnico in senso stretto. 1 Cioè “...un sistema di relazioni economiche e sociali e non un semplice settore” (Basile e Cecchi, 2001: 137). ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 9 4 Secondo gli autori le “economie rurali” costituiscono uno dei sistemi economico-terri- toriali che contraddistinguono la fase post-fordista dell’economia, insieme a quelli metropolitano e urbano-industriale; il sistema delle “economie rurali” svolge caratte- risticamente una molteplicità di funzioni: “...economica, residenziale e culturale per la contemporanea gestione dell’industria decentralizzata e dei servizi, dell’agricoltura e dell’ambiente, e dello spazio per il tempo libero; in questo sistema, la campagna pren- de possesso progressivamente delle funzioni svolte tradizionalmente dai centri urbani” (Basile e Cecchi, 2000: 141-142). È chiaro che proprio da questa nuova ‘complessità’ assunta dal territorio rurale discende l’esigenza di una ricerca continua di equilibrio tra spinte di cambiamento ed esigenze di conservazione di quelle caratteristiche (come ad esempio una carta qualità dell’ambiente) che rendono possibile lo svolgimento delle diverse funzioni socio-eco- nomiche. È in questa chiave che si deve riflettere sulla sostenibilità e la compatibilità dei processi di sviluppo. A questo fine mi sembra utile fare riferimento anche al concetto di “sistema locale di sviluppo” (SLS) che, proposto nell’ambito degli studi di economia industriale e regio- nale, ha trovato un fecondo campo di applicazione anche con riferimento ai sistemi “rurali” (Romano, 1998)2. La caratteristica fondamentale di un sistema di sviluppo che possa definirsi “locale”, cioè legato ad un preciso luogo geografico, risiedono nel tipo di interazione dinamica che si viene a realizzare tra organizzazione del sistema produttivo e variabili ambientali territoriali: il forte legame che si viene a stabilire infatti, è frutto di una continua fusione tra il sistema di conoscenze “tacite”, “conte- stuali”, legate cioè al particolare contesto territoriale in cui si svolge la produzione e da esso non separabili, e la conoscenza “codificata”, “formale” proveniente, attraver- so vari canali, dall’esterno e che con la prima continuamente interagisce. È proprio la capacità di incorporare la conoscenza esterna nella conoscenza contestuale senza stra- volgerne l’identità fondamentale che consente un vantaggio competitivo ai sistemi locali di sviluppo: solo così, infatti, l’innovazione passa attraverso e/o stimola le siner- gie tra gli attori locali (della produzione, delle istituzioni, della società) endogenizzan- do nel territorio la crescita economica che ne deriva (Romano, 2000: 267-274). Applicando il concetto di SLS alle “economie rurali” risulta subito evidente come pro- prio dalla differenziazione/integrazione dell’attività economica e delle funzioni svolte dal territorio debba svilupparsi quel nucleo di conoscenze contestuali sulle quali costi- tuire i vantaggi competitivi del sistema locale; anche questo aspetto mi sembra fonda- mentale per una rilettura dei concetti di compatibilità e di sostenibilità. 2 Il dibattito tra economisti agrari è partito dalla questione dell’applicabilità del concetto di distretto alla realtà produttiva agricola per poi ricollegarsi al più ampio tema dello sviluppo locale; lo stato del dibatti- to può essere valutato in CNEL, 2000; Basile e Romano, 2002. 9 5 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 Dinamica strutturale della domanda, caratteristiche immateriali dei beni e identità territoriale Il successo dei sistemi locali di sviluppo è dunque frutto della loro capacità di crea- re un legame forte, attraverso il sistema produttivo, tra una domanda che si fa sem- pre più globale ed un sistema di relazioni socio-economiche con una precisa loca- lizzazione geografica (Becattini, 2000). Alcune brevi considerazioni sono necessa- rie, a questo punto, sull’evoluzione della domanda. Che quest’ultima manifesti una dinamica strutturale, generata a livello macroeconomico dalla crescita del livello di reddito, è una delle evidenze empiriche più universalmente accettate dagli econo- misti (Pasinetti, 1993: 71-73). A questo continuo mutamento il sistema produttivo continuamente si adegua modificando la sua composizione. Parlando dei sistemi di sviluppo centrati su “economie rurali”, è importante richia- mare un aspetto dell’evoluzione della domanda globale e che sta alla base di molte delle tendenze in atto: intendo alludere all’attenzione crescente dei consumatori verso le caratteristiche immateriali dei beni. I comportamenti di consumo delle per- sone sembrano improntati in misura crescente ad una consapevolezza che, più o meno esplicitamente, cerca di esprimere qualcosa di sé (Codeluppi, 2000). Tre esempi di questo fenomeno mi sembrano particolarmente interessanti. Innanzitutto la ricerca di prodotti ottenuti con processi produttivi eco-compatibili: in questo caso la soddisfazione del consumatore deriva non solo dalle caratteristi- che intrinseche apprezzabili attraverso l’atto di consumo, ma anche dalla consape- volezza di non avere assecondato con esso comportamenti non corretti dal punto di vista ecologico. Una parte della domanda di prodotti dell’agricoltura biologica, almeno nelle fasi iniziali del fenomeno, era certamente dettata da questo tipo di considerazione; ma gli esempi non mancano in tutti i settori produttivi. Un altro esempio è quello della ricerca della “tipicità”, un concetto dal contenuto semantico piuttosto sfumato ma che possiamo qui riassumere come la capacità di un prodot- to di ‘portare’ con sè una tradizione produttiva legata ad un determinato luogo e/o cultura. Un ultimo esempio delle caratteristiche immateriali dei beni che sempre più determinano i comportamenti dei consumatori è costituito dal livello di equità del sistema di relazioni sociali attraverso le quali il bene viene messo a loro dispo- sizione: sebbene questo tipo di domanda sia ancora forse meno consolidata, tutta- via realtà come il commercio equo e solidale o il consumo critico sono, con tutta probabilità, destinate a crescere in futuro. Di fronte a questa evoluzione l’identità territoriale del sistema produttivo può svol- gere un ruolo fondamentale e specifico. Non è difficile vedere innanzitutto come, nei sistemi locali di sviluppo, l’identità territoriale tenda a farsi ‘vettore’ proprio delle caratteristiche immateriali dei beni ricercate nei nuovi comportamenti di consumo. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 9 6 Qui la mia formazione agraria mi permette di portare l’esempio dei prodotti a ‘deno- minazione di origine’, che hanno in qualche misura anticipato tendenze che oggi si stanno diffondendo in altri settori. La provenienza geografica, caratteristica eminen- temente ‘credence’3 del prodotto, è da molto tempo proposta al consumatore come un segnale di qualità che trasmette una tradizione produttiva, una determinata realtà sto- rico-sociale e, al limite, un luogo con tutte le sue bellezze. Attraverso la formazione di una sorta di diritto di proprietà intellettuale collettiva (Ray, 1999) sull’identità terri- toriale, il sistema locale stesso diventa una componente dei beni capace di trasmette- re le caratteristiche più astratte e immateriali ricercate dal consumatore. E se la tipi- cità è stata fino ad ora la principale ‘dimensione’ veicolata dal territorio, nella misura in cui il suo nome identifica non solo uno spazio fisico ma una vera e propria ‘econo- mia’, cioè un sistema di relazioni socio-economiche, è del tutto logico immaginare che possa rappresentare anche eco-compatibilità e, soprattutto, equità sociale. In secondo luogo la dimensione territoriale della produzione può diventare un fattore di vantaggio competitivo per le aziende, una sorta di common good al quale qualsiasi iniziativa imprenditoriale che nasca nel sistema locale può attingere, anche in settori di produzione non tradizionali per il contesto considerato (come nel caso della ricadu- ta turistica della notorietà del Chianti come territorio vinicolo di eccellenza). L’identità territoriale è una risorsa libera che, concretizzandosi in una rete di relazio- ni che attraversa il sistema produttivo locale deve essere in qualche modo ammini- strata per evitare un suo eccessivo (o errato) sfruttamento. In realtà essa è continua- mente soggetta a due fondamentali pressioni verso il cambiamento: da un lato la con- tinua evoluzione della domanda, come si è visto; dall’altra il progresso tecnico, che continuamente modifica il quadro delle conoscenze relative alla produzione ed il punto di equilibrio economico per le imprese. Per questo motivo essa deve essere difesa necessariamente in modo dinamico, dal momento che “l’esperienza insegna che i contesti locali che alla lunga sono risultati vincenti sono stati quelli che hanno conservato la propria identità e che con una sapiente e creativa evoluzione l’hanno adattata ai cambiamenti esterni”4. Qui entra in gioco proprio quella rete di relazioni che, sviluppata a livello di sistema locale, permette una integrazione fruttuosa della conoscenza contestuale con le immis- sioni di novità (di mercato, tecnologiche, istituzionali) che giungono continuamente dall’esterno per modificare il quadro. Un SLS può, in questo senso, essere visto come una coalizione di attori sociali, svilup- patasi in determinato contesto territoriale, con un atteggiamento “progressivo” rispetto 3 Cioè non verificabile autonomamente dal consumatore che deve di conseguenza fidarsi del produttore o di un soggetto terzo che si faccia garante. 4 (Saraceno, 1994) citata in (Sotte, 1999: 42). Cfr. anche (Becattini, 2000). 9 7 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 all’innovazione (Bianchi e Miller, 1994) nella misura in cui dimostra una sufficiente flessibilità per assorbire quest’ultima, riorganizzando al suo interno la divisione sociale del lavoro, senza giungere ad esiti socio-economici non positivi (controllo esterno al territorio dei fattori produttivi chiave, dipendenza dal sistema di cono- scenze generato all’esterno, strategie “distruttive” di appropriazione delle quasi- rendite generate dall’identità territoriale). Si intravede qui con chiarezza il ruolo che possono giocare le istituzioni locali e, più in generale, le reti di relazioni che svolgono funzioni di regolazione a livello locale. Una rilettura dei concetti di sostenibilità e compatibilità Alla luce della discussione svolta fin qui mi sembra che sia possibile una ‘rilettura’ dei concetti di sostenibilità e compatibilità finalizzata all’analisi dei processi di svi- luppo a livello di singoli territori. La sostenibilità e la compatibilità, infatti, devo- no in questo caso essere valutate con riferimento al mantenimento di un equilibrio dinamico tra l’identità del territorio (inteso come ‘economia’: risorse, persone, rela- zioni, divisione sociale del lavoro etc.) e le tendenze al cambiamento che, attraver- so domanda e progresso tecnico provengono dall’esterno. Riguardo alla sostenibilità risulta chiaro che sarebbe riduttivo indicare con questo termine solo la conservazione nel tempo di determinati equilibri ecologici. Esistono ovviamente alcune esigenze in questo senso che devono e possono essere ‘governa- te’ a livello locale. Nella misura in cui si sviluppano economie caratterizzate da un elevato grado di differenziazione delle attività produttive delle funzioni sociali, sor- gono infatti una serie di possibili conflitti nell’uso delle risorse. Nelle aree rurali questo fatto è ben noto ed i processi di sviluppo integrato hanno portato ad una rivalutazione della funzione di country stewardship dell’agricoltu- ra, riconosciuta ormai anche nelle politiche dell’Unione Europea. Tuttavia la soste- nibilità ecologica è un problema che, in ultima analisi, può essere affrontato in modo soddisfacente solo a livello globale. A livello locale il concetto di sostenibilità del modello di sviluppo mi sembra piut- tosto connesso alla conservazione dell’identità territoriale che si esprime nella tipo- logia di antropizzazione dello spazio naturale, nell’organizzazione del sistema pro- duttivo, nella conservazione (e sviluppo) del sistema di conoscenze ‘contestuali’, nel reticolo socio-istituzionale di riferimento. Una lettura per certi versi analoga può essere fatta per la compatibilità. Potremmo dire che essa si risolve, a livello locale, nel mantenimento di un legame forte tra il sistema produttivo in evoluzione e la realtà sociale che sul territorio vive; per usare un’espressione di Becattini (2000: 44), con la vita quotidiana delle persone. All’interno di questo, evidentemente, possono entrare molteplici aspetti, a partire ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 9 8 dalla capacità di valorizzazione delle risorse umane locali, in primo luogo per il repe- rimento della manodopera, ma anche per lo sviluppo di nuove capacità imprendito- riali e, più in generale, del capitale umano coinvolto nel processo produttivo. Modello di sviluppo territoriale e formazione: alcuni nodi problematici L’attenzione sugli aspetti cognitivi dei processi di sviluppo territorialmente localizzati permette di evidenziare alcuni nodi problematici relativamente alla formazione. Se infatti, il ‘cuore’ di un modello territoriale di sviluppo sta proprio nelle modalità con cui il sistema delle conoscenze contestuali, vincolate al sistema locale e che ne costi- tuiscono il vantaggio competitivo, integra al suo interno le spinte al cambiamento che derivano dall’esterno, allora l’azione di formazione non solo diventa un fattore strate- gico, ma a quel sistema di conoscenze deve specificamente rivolgersi per essere real- mente efficace. Cercherò di mettere in evidenza alcune aree di interesse alle quali, a mio parere, dovreb- be rivolgersi l’azione formativa (scolastica e professionale) svolta a livello locale. In primo luogo esiste il problema del ricambio imprenditoriale. Perché il modello loca- le di sviluppo si mantenga efficace nel tempo è necessario che continui ad esistere un’imprenditorialità fortemente connessa con l’identità territoriale (Favaretto, 1999). E nella misura in cui l’attività produttiva e la vita sociale devono mantenere un forte col- legamento, è necessario che esista un numero sufficiente di imprese “progetto” (Becattini, 2000: 19), imprese cioè che sono espressione di un progetto di vita personale e che costi- tuiscono un importante fattore di mobilità sociale all’interno del sistema locale. Una seconda area problematica è relativa più specificamente alla formazione profes- sionale della manodopera e riguarda la necessità di integrare continuamente il pro- gresso tecnico e la conoscenza formalizzata proveniente dall’esterno con il sistema delle conoscenze locali. È stato ad esempio sottolineato (Favaretto, 1999) come i forti sviluppi delle tecnologie dell’informazione abbiano profondamente modificato le modalità con cui il progresso tecnico può essere ‘incorporato’ nel processo produttivo locale: esistono forti possibilità di flessibilità nell’impiego dei macchinari fissi che non passano tanto attraverso un loro adattamento (come è avvenuto frequentemente in passato), quanto piuttosto in un ‘uso’ originale, per il quale è necessaria una forma- zione tecnico-professionale di una fascia delle maestranze nelle tecnologie di controllo e di regolazione, più che una loro specializzazione in particolari mansioni. Sempre a livello dell’azione di formazione professionale rivolta alla manodopera, appare importante che essa rimanga comunque legata al contesto culturale, storico e geografico del sistema produttivo. Sia quando il processo di sviluppo locale è alle sue prime fasi, sia nelle situazioni in cui il processo sia già avviato su un sentiero “virtuo- so” ciò appare necessario per far crescere e mantenere vivo nei lavoratori provenienti 9 9 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 dal sistema locale il senso di appartenenza richiesto dalle caratteristiche del model- lo di sviluppo. Un ulteriore problema formativo appare, da questo punto di vista, quello legato all’integrazione della manodopera immigrata, proveniente da contesti sociali e cul- turali anche molto diversi: esiste in questo caso uno specifico problema di integra- zione in una cultura locale del lavoro e della produzione, rispetto al quale la for- mazione professionale può svolgere un ruolo di grande rilievo. Un terzo aspetto riguarda la nascita di nuove professionalità che il continuo ria- dattamento dell’identità territoriale ai mutamenti richiede. Una ricerca sull’area fiorentina5 (Meini et al., 2001) ha messo in evidenza l’esigenza di professionalità “sistemiche”, collocate cioè proprio in quel complesso interfaccia che deve realiz- zarsi tra mercato, conoscenze contestuali e conoscenze formalizzate. Questo tipo di figure6, che sempre più spesso operano con modalità libero profes- sionali, sono tanto più necessarie quanto più il territorio in quanto tale, imboccan- do un sentiero di sviluppo locale, diventa una variabile organizzativa fondamenta- le nella vita delle imprese, anche se esterna rispetto ai loro confini giuridici. Questo tipo di figure richiede probabilmente un profilo formativo di tipo universitario, o comunque post-diploma, come nel caso dei corsi IFTS; emergono di conseguenza tutta una serie di problematiche relative al rapporto con le istituzioni universitarie che, depositarie per definizione della conoscenza formalizzata, devono essere capaci di definire profili professionali capaci di interagire in modo virtuoso con contesti locali densi di conoscenza contestuale. Un ultimo aspetto riguarda le esigenze formative relative al ruolo delle istituzioni locali. Come abbiamo visto l’identità territoriale di un sistema di sviluppo può arri- vare a costituire una vera e propria risorsa libera, il cui sfruttamento deve essere governato. Il ruolo delle istituzioni locali, in un modello di sviluppo tendente a valo- rizzare fortemente le identità specifiche del sistema produttivo, non può che crescere in quantità e qualità. La formazione dei quadri tecnici e dirigenziali diventa in que- sto senso un fattore strategico per l’efficacia delle politiche volte a favorire l’avvio di processi di sviluppo territoriale con caratteristiche di sostenibilità e compatibilità. Benedetto Rocchi Professore di Economia Agraria e delle Risorse Territoriali Università di Firenze 5 Caratterizzata da sistemi produttivi sia rurali (il Chianti) che industriali-urbani (l’area metropolita- na dell’alta tecnologia e della multimedialità). 6 Che vanno dal project manager per lo sviluppo di prodotti multimediali all’operatore di incoming turi- stico. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 1 0 0 4.3 Elementi base per un modello di sviluppo del territorio Una definizione condivisa ‘Territorio’ è un termine di uso comune che viene spesso utilizzato anche dagli opera- tori sociali e della formazione per designare ‘l’ambiente di riferimento’ all’interno del quale operano attraverso la loro organizzazione. Per questa ragione è necessario mettere in luce quali sono i significati associati al con- cetto di ‘territorio’, perché essi determinano gli orientamenti e le scelte concrete delle persone e delle organizzazioni, in termini di strategie di sviluppo, iniziative, partner- ship e relazioni. Nel corso del lavoro di gruppo è stata proposta e tematizzata una definizione di terri- torio che sottolinea il carattere attivo e costruttivo delle organizzazioni e dei soggetti che vi operano. In coerenza con alcuni orientamenti che emergono dalla letteratura recente, è stato sottolineato che il territorio non è un dato per scontato, uno sfondo neutro nel quale si collocano le singole iniziative, ma piuttosto il risultato mutevole e dinamico di pratiche, tradizioni, politiche, reti di relazione che sono continuamente costruite e ricostruite dai diversi soggetti. Se si accetta dunque questa accezione ‘costruttivista’ del territorio - dove prevalgono attributi di peculiarità (un territorio è tale perché si distingue dagli altri), pluralità (di soggetti, iniziative, ecc.) e mutevolezza (soprattutto del sistema relazione e delle risor- se che vengono scambiate) - si traggono importanti conseguenze, utili per individuare degli elementi per un modello di sviluppo: • in primo luogo emerge il ruolo attivo che le singole organizzazioni e le loro reti possono / devono mettere in atto per costruire pezzi dello scenario in cui si trova- no ad operare; • in secondo luogo e come diretta conseguenza di questa impostazione, si rafforza l’e- sigenza per le organizzazioni di dotarsi di strumenti e di pratiche utili per giungere ad una lettura approfondita e tempestiva della dinamica di sviluppo territoriale; nel- l’accezione più statica, la conoscenza del territorio rappresenta un’attività più sem- plice da svolgere e soprattutto non così rilevante. Dopo aver illustrato le caratteristiche definitorie del concetto di territorio è possibile proporre alcune conseguenze metodologiche che derivano dall’adozione di questo approccio e che consentono la costruzione di un modello di sviluppo. 1 0 1 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 Alcune implicazioni metodologiche Vengono proposte di seguito alcune indicazioni utili per giungere ad una conoscen- za delle dinamiche che sono all’origine dei territori ove operano le diverse organiz- zazioni. Queste indicazioni, nel loro complesso, consentono di definire un approc- cio metodologico coerente con la definizione proposta in precedenza. A livello generale è necessario che le organizzazioni riescano ad aumentare la con- sapevolezza rispetto ad alcune attività che magari già svolgono, ma alle quali non assegnano la dovuta rilevanza. In tal senso questa accresciuta consapevolezza riguarda i seguenti fattori. • L’attenzione al processo generativo e valutativo di un’iniziativa. Soprattutto a livello formativo esiste, a volte, una focalizzazione quasi esclusiva sul percorso di formazione in senso stretto e non sempre vengono giustamente valorizzate le azio- ni che sono all’origine dell’iniziativa stessa - il fabbisogno formativo ad esempio - o che si collocano nella fase di valutazione d’impatto - analisi ex post e longitu- dinali, impatto occupazione, soddisfazione dei partecipanti, ecc. • L’allargamento dello spettro degli interlocutori. Si tratta di un’indicazione stret- tamente collegata alla precedente, in quanto sottolinea la necessità di specificare con maggiore attenzione l’insieme dei soggetti - persone, organizzazioni - che sono direttamente o indirettamente interessati all’iniziativa. In ambito formativo viene di solito assegnato un ruolo centrale ai destinatari finali delle attività (i cor- sisti) e a coloro che realizzano il processo formativo (i formatori). Senza volere sminuire la centralità di questi interlocutori è comunque importante chiedersi quali altri attori locali possono manifestare un certo interesse per l’attività for- mativa o comunque ne sono indirettamente toccati (ad esempio le imprese che ospitano stage). Uno spettro più ampio e variegato di interlocutori da cui trarre elementi valutativi consente di pervenire ad un modello di lettura del territorio sicuramente più approfondito, oltre che allargare ed arricchire il sistema relazio- ne dell’organizzazione. • La valorizzazione del lavoro di rete. Si tratta di una competenza preziosa che è propria di tutti i profili che operano all’interno delle organizzazioni che gestisco- no servizi ad alta intensità relazionale come la formazione. È necessario quindi, valorizzare queste competenze, prevedendo anche specifiche figure di “costrutto- ri e gestori di rete”, in capo ai dirigenti delle organizzazioni o a specialisti come gli “operatori di sviluppo”. Da questo punto di vista è necessario anche prevede- re specifici prodotti formativi e di accompagnamento in grado di favorire l’em- powerment di queste risorse. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 1 0 2 • La vicinanza con i luoghi di governo dell’organizzazione. Qualsiasi iniziativa volta a definire modelli di sviluppo del territorio non può essere disgiunta dagli organi di governo perché contribuisce all’orientamento strategico dell’organizzazione. La let- tura del territorio non deve rimanere un’azione isolata, ma deve essere messa a disposizione di coloro che sono chiamati a determinare l’indirizzo dell’organizzazio- ne. Occorre infatti, essere consapevoli di quale ruolo l’organizzazione gioca nel defi- nire il proprio ambiente di riferimento. • La conoscenza come risorsa. La definizione di un modello di sviluppo territoriale si realizza in ultima istanza attraverso la produzione, raccolta, rielaborazione e distri- buzione di conoscenze disponibili in forme diverse (dati esperienziali, statistiche, ricerche, ecc.). È necessario quindi, che anche dal punto di vista organizzativo ci si attrezzi per creare delle filiere tra le unità che, in modi diversi, trattano la risorsa conoscenza: formazione, ricerca, consulenza, supporti editoriali e comunicativi dovrebbero riuscire a sviluppare forme stabili di connessione. • L’economia delle fonti. La gestione della conoscenza genera inevitabilmente costi. È necessario quindi, predisporre modelli di analisi del territorio che siano il più possi- bile sostenibili nel corso del tempo da parte dell’organizzazione, diventando parte integrante della propria attività ordinaria. Gli strumenti L’adozione di questo impianto metodologico porta alla definizione di alcuni strumen- ti da utilizzare ai fini della costruzione e manutenzione di un sistema stabile e conti- nuo di lettura del territorio. L’esperienza di CGM ha consentito di elaborare i seguenti strumenti. 1. La rilettura degli approcci, nei termini della “filosofia di intervento / servizio” di cui sono portatrici le organizzazioni, mettendo in risalto le caratteristiche distintive soprattutto per quanto riguarda le modalità di approccio e di relazione con l’uten- te finale e il territorio. 2. Il monitoraggio delle prestazioni, da intendere come sistema di rilevazione periodi- ca di dati sul versante delle attività, ma che coinvolge anche l’assetto organizzativo e relazionale delle cooperative, soprattutto per quanto riguarda i ruoli lavorativi e i rapporti con gli interlocutori più significativi ( stakeholders). 3. La valorizzazione dei sistemi “esperti” presenti nelle organizzazioni (operatori sui servizi, dirigenti, coordinatori di settore), grazie ai quali acquisire conoscenze matu- rate “in situazione”, valorizzandone il patrimonio di relazioni e di scambi con altri soggetti del territorio. 1 0 3 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 Prodotti L’ampiezza e la vastità degli ambiti di valutazione ha portato alla definizione di un set di prodotti altrettanto differenziato. • Sono state elaborate delle “mappe” territoriali che intorno ad una specifica ini- ziativa ricostruiscono l’intreccio delle relazioni con i soggetti interessati, identifi- cando in questo modo elementi di problematicità, ma scoprendo anche risorse nuove o sottovalutate che possono essere ottimizzate rispetto all’obiettivo finale. • I monitoraggi periodici consentono di calcolare indicatori in grado di restituire il carattere dinamico dell’iniziativa, ovvero come attraverso essa si influisce sulla struttura territoriale circostante, evidenziandone “in corso d’opera”, le criticità e i benefici generati. • Infine possono essere progettati percorsi specifici di ricerca-azione, volti ad inda- gare il territorio cercando di individuare nuovi elementi di bisogno, piuttosto che risorse innovative. Flaviano Zandonai Coordinatore dell’Area Ricerca Consorzio delle Cooperative Sociali ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 1 0 4 4.4 Economia e solidarietà - Accoglienza, nel modello di sviluppo territoriale, del progetto personale e della dimensione di appartenenza del cittadino (familiare, sociale, comunitaria) Il punto di partenza è stato la constatazione che l’economia ‘non solo per profitto’ (non-profit) non è certamente una novità. In molte culture non occidentali essa è il modo normale di vivere la vita economica, e anche in Occidente l’economia solo ‘per profitto’ è una creatura che ha appena qualche secolo, se, con generosità, la facciamo iniziare nell’Europa del tardo medioevo. Quindi soltanto una visione ristretta e miope della storia economica può far apparire l’economia non-profit come un fatto nuovo. Come è spesso quella fatta propria dai manuali di eco- nomia, che nel descrivere i mercati affermano che i soli abitanti di quei luoghi sono le imprese for-profit (che massimizzano il profitto, con dei vincoli tecnologici) e l’altro agen- te che interviene per sanare i fallimenti di quelle imprese è il governo: tra le imprese for- profit e lo Stato sembra, almeno nei nostri libri di testo, non esserci spazio per nulla. Ma, ci siamo chiesti, perché nel parlare di imprese non si dovrebbero includere in quel- la categoria un’associazione sportiva, un museo, una scuola, o una cooperativa socia- le? Qualcuno potrebbe dire che queste attività non hanno come movente principale il profitto, poiché nascono da altre motivazioni. Basta questo per dire che non sono imprese? Certo quando pensiamo ad una scuola, ad una casa di cura, ad un museo, non vogliamo credere che il profitto sia l’unico né il loro principale motivo, quanto piuttosto educare giovani, curare malati, diffondere l’amore per l’arte e per la cultura. Proviamo però, a spingere questo discorso fino in fondo: potremmo arrivare a conclu- dere che sono poche le attività economiche nate dal profitto come principale movente. Infatti molti, direi la maggioranza degli imprenditori, danno vita ad una impresa per esprimere qualcosa di loro stessi, per distinguersi, per essere lodati e ammirati, o per realizzare qualcosa in cui credono, per creare lavoro per se stessi e ai propri familiari: tutte cose molto più complesse del semplice profitto o lucro - tanto che molti impren- ditori spesso otterrebbero più profitti dismettendo la loro attività ed investendo in tito- li il ricavo così ottenuto; si potrebbe cioè arrivare a sostenere che le imprese normali siano le non-profit (intese in questo senso ampio), laddove le imprese for-profit sareb- bero eccezioni o anomalie, molto importanti nell’economia di oggi, ma destinate ad esserlo sempre di meno se non diventano in qualche misura ‘sociali’. Perché? Nel nostro lavoro di gruppo abbiamo preso coscienza di un dato sempre più sottoli- neato dalla pratica e dalla teoria, e cioè che il mercato per poter funzionare ha biso- gno anche di una certa dose di gratuità, che però non riesce di per sé a produrre e 1 0 5 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 replicare endogeneamente. Abbiamo preso coscienza che la globalizzazione sta estendendo in modo formidabi- le l’area di applicazione del contratto, e, come effetto a volte anche non intenzio- nale, tende a spiazzare l’area di azione della ridistribuzione e del dono. Un “villag- gio globale” non costruito attorno a tutti e tre questi principi è destinato alla morte. Il mercato, con il solo meccanismo del contratto basato sullo scambio di equivalen- ti, non è capace di creare dono e ridistribuzione; anzi, tende a ‘spiazzarli’ (se sono pagato per curare un ammalato tenderò a farlo meno per ‘dono’). Il mercato stesso per poter funzionare ha bisogno anche di una certa dose di gratuità, che però non riesce di per sé a produrre e replicare endogeneamente. Nessuno vorrebbe vivere in un mondo dove infermieri, insegnanti, dottori, baristi e macellai agissero solo negli stretti limiti del contratto, dove ogni loro azione è solo l’esecuzione di una presta- zione prevista. Molti servizi ‘relazionali’ per poter rispondere alle esigenze dei clien- ti richiedono una certa dose di non strumentalità e di genuinità. Io voglio che il medico mi curi bene non solo perché esegue un contratto, o addirittura perché vuole tenermi vivo per avere da me ancora soldi in futuro, ma anche perché è genuina- mente interessato alla mia guarigione - possiamo anche ipotizzare che questo secon- do elemento non ci sia, ma allora la mia soddisfazione (utilità) è minore, e poten- do scegliere, coeteris paribus, mi troverò un altro medico dove ci sia questo “qual- cosa in più”. E vorrei maestre che nell’asilo nido dei miei figli facessero un rimpro- vero o una carezza non solo per lo stipendio, ma anche perché sono genuinamente interessati alla crescita di quei bambini. Questo per dire che anche nei comportamenti di mercato più comuni c’è bisogno un “di più” che il contratto non può prevedere. Ma c’è ancora qualcos’altro da dire, e cioè del paradosso che emerge quando il contratto cerca di internalizzare - perché ne coglie l’importanza per la domanda - questi comportamenti ‘genuini’: essi si sna- turano, si distruggono. Se sono pagato per sorridere ad un anziano, il mio sorriso perde quel di più che è quanto esattamente vuole l’anziano-cliente; o se mi inse- gnano ad essere gentile e interessato al cliente “solo” per vendere di più, nel momento in cui il cliente percepisce la strumentalità del mio atteggiamento otten- go proprio l’effetto opposto a quello desiderato1. 1 Dire ciò non significa non riconoscere il valore di “insegnare” ad infermieri, medici e dipendenti pub- blici a sorridere e a trattar bene il cliente, a mettere la persona al centro. In certi casi istituzionalizza- re “gentilezza e sorrisi” è un importante segno di civiltà. Resta il fatto che per quanto il contratto si complichi e includa elementi relazionali, resta sempre la domanda di un “di più” non strumentale e gratuito. Nessun contratto potrà mai sostituire “lo star-bene” che si sperimenta da un atto di genti- lezza non dovuto, da una attenzione in più, da un tocco umano non previsto: “I beni più preziosi non debbono essere cercati ma attesi. L’uomo infatti, non può trovarli con le sue sole forze, e se si mette a cercarli troverà al loro posto dei falsi beni di cui non saprà nemmeno riconoscerne la falsità” (S. Weil). ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 1 0 6 Certo potremmo pure rassegnarci ad una vita economica senza questo “di più”: ma avremmo una economia e una società certamente più povere. Quanto si sta verifican- do in questi ultimi anni mostra che la domanda di beni relazionali cresce con il reddi- to, e con essa anche la domanda di quel “di più”. Per questo se l’economia vuole funzionare e avere un futuro sostenibile e umano, deve far affidamento e lasciare che si sviluppino all’interno della stessa arena economica comportamenti retti da altri principi. In molte società la fornitura di questi comporta- menti era affidata (e lo è ancora) alla famiglia, alla chiesa, al partito, o a certe forme di intervento pubblico. Oggi, in seguito al grande cambiamento sociale e culturale che molte società (soprattutto quelle occidentali) stanno attraversando, è anche l’esi- stenza delle organizzazioni non-profit, nella misura in cui riescono a restare orga- nizzazioni a movente ideale che ricorda - come un porta bandiera - e testimonia il valore del dono, della reciprocità nel funzionamento del mercato. L’emergere dell’economia non-profit o civile dice quindi, che anche dentro i mecca- nismi di mercato c’è bisogno di qualcosa di diverso rispetto al semplice e semplici- stico self-interest. Il mercato non può funzionare col solo interesse personale: se nel calcolare l’efficienza delle istituzioni economiche facciamo troppo affidamento sul tornaconto economico è difficile che saremo in grado di costruire né buone né effi- cienti imprese. Segnali forti di questo è il crescente sviluppo di sistemi di rating etico, di social accountability (SA 9000), del bilancio sociale: i consumatori sono sempre più sen- sibili ai valori etici, al rispetto dell’ambiente naturale e sociale, e pretendono, lad- dove la società civile è più matura, imprese sociali, altrimenti le penalizzano, non le ‘votano’ boicottando i loro prodotti. Possiamo quindi dire che nella new economy c’è una forte tendenza delle imprese a diventare “imprese sociali”. I lavoratori delle imprese for-profit - ha ricordato recentemente P. Drucher - sono sempre più tratta- ti come le non-profit trattano i volontari: i lavoratori sono sempre più la risorsa vin- cente delle imprese, e le forme di remunerazione devono diventare più simboliche, qualitative. Incentivi non monetari, identificazione del lavoratore con la mission del- l’impresa, che non può quindi, essere pensata come una “macchina per far soldi” per gli azionisti. Il profitto resta un elemento presente nelle nuove imprese che si stanno delineando, ma sarà un obiettivo accanto agli altri. Gli obiettivi che terranno assieme le agili imprese di domani dovranno essere molti e più complessi del semplice profitto: quale allora la regola e quale l’eccezione? In questo contesto l’esperienza del CIOFS-FP, assieme alle altre esperienze che cer- cano di portare il ‘tocco umano’ e spirituale dentro l’arena economica, trova la sua funzione peculiare proprio nel salvaguardare quel “di più” della gratuità. Per que- sto la scelta delle imprese dove gli studenti svolgono gli stages deve essere fatta con 1 0 7 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 grande oculatezza, per evitare che una esperienza di economia ‘solo per profitto’ riduca, e in certi casi distrugga, lo sforzo formativo dell’intero processo formati- vo. Le tante positive esperienze di questi anni non possono che far ben sperare. Luigino Bruni Professore incaricato di Istituzioni di Economia - Università di Milano Bicocca Professore incaricato di Storia del Pensiero Economico - Università L. Bocconi di Milano ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 1 0 8 4.5 Aspetti chiave per la costruzione di un modello formativo in risposta alla domanda del cittadino e dello sviluppo del territorio Premessa Nel seminario conclusivo, attraverso le relazioni, presentate si è ben delineato il ruolo cruciale di politiche locali positive, tese all’implementazione dell’art.68/144. La situazione odierna vede l’avvio della sperimentazione promossa attraverso i proto- colli d’intesa per l’obbligo formativo, recentemente stipulati. Le iniziative nate sotto la spinta degli enti di formazione e delle Regioni, stanno coinvolgendo un numero cre- scente di regioni. Lombardia, Piemonte, Puglia, Molise, Lazio, Provincia di Trento potrebbero essere seguite a breve termine da Veneto, Sardegna e Liguria. La vicenda dei protocolli dà spessore al ruolo assunto dalle agenzie formative e dai vari attori a livello locale, non solo nella definizione del modello formativo - preceduto ed accom- pagnato da una seria riflessione per accogliere le richieste del territorio, delle famiglie e degli studenti - ma anche nella promozione di politiche attive nel territorio stesso per un reale diritto alla formazione. Le sperimentazioni avviate comporteranno una nuova lettura dell’obbligo scolastico, una forte affermazione della pari dignità del secondo canale e potranno costituire un significativo contributo di esperienza per la costruzione di un nuovo canale formativo. Obiettivi del lavoro Il gruppo di lavoro ha inteso individuare alcuni punti chiave del modello formativo e suggerire possibili strategie per la elaborazione di una proposta formativa, coerente con l’esigenza di rappresentare il fabbisogno individuale e territoriale. Il gruppo ha operato mettendo in comune le esperienze e puntando a creare un know- how condiviso. Ci si è soffermati a delineare i punti chiave del modello e ad elaborare una sintesi del confronto realizzato. Il tema è stato contestualizzato nello scenario politico e normativo, oggetto di un cam- biamento radicale che si va gradualmente ma decisamente affermando. Lo sposta- mento delle capacità strategiche e decisionali dal livello centrale (Stato, Regioni, uffi- ci decentrati) al livello locale (agenzie formative, scuole, distretti, imprese, comuni, reti locali) è il cuore di questo cambiamento e rafforza la necessità di nuovi stili di pro- gettazione, capaci di accogliere le aspettative del territorio e degli studenti. 1 0 9 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 Conclusioni Per poter elaborare una proposta formativa, bisogna individuare i fattori critici del contesto in cui la proposta si cala, che necessitano di essere presi in esame e ade- guatamente trattati, e, successivamente, le specifiche metodologiche e didattiche che rendono il modello compatibile con i vincoli del contesto e con le necessità di risposta sia al territorio che al ragazzo. Nel lavoro di gruppo si è dato particolare rilievo alla prima delle due questioni enunciate, anche in relazione al tempo di lavoro disponibile. Tra i fattori problematici per la definizione di un modello formativo attento ai biso- gni dell’utente e del territorio, ne sono stati individuati alcuni di seguito elencati: 1. Disallineamento tra offerta formativa e richiesta del cittadino La programmazione regionale o provinciale individua i settori e stabilisce le quali- fiche professionali da attivare, senza conoscere e senza prendere in considerazione le richieste espresse dagli utenti. Non c’è un luogo istituzionale in cui l’orientamen- to dei ragazzi sia indagato, quantificato ed interpretato. Così può accadere che lad- dove vengono attivate ad esempio qualifiche per operatori CAD, c’è invece richie- sta per corsi di estetica e viceversa. È anche evidente che l’orientamento assunto spontaneamente dagli utenti non nasce sempre da una scelta attenta alle possibilità di lavoro e da una adeguata conoscenza di se stessi. Non sarebbe quindi, opportuno stabilire automaticamente una relazione di causa ed effetto tra domanda e offerta, ciononostante è altrettan- to inopportuno non prendere minimamente in considerazione la scelta (sia pure male orientata) degli studenti. È chiaro però che c’è bisogno di farsi carico di due problemi: la mancanza dei dati circa la richiesta formativa dello studente, il mancato orientamento alla scelta e spesso, contemporaneamente, il carattere stereotipato della scelta, nonché un insu- perato condizionamento sociale e familiare. 2. Disallineamento tra offerta formativa e fabbisogno territoriale Nelle diverse regioni italiane non è abituale la programmazione dell’offerta forma- tiva in coerenza con la previsione del fabbisogno occupazionale a breve e medio ter- mine. Si deve evidenziare che anche laddove sono disponibili dati conoscitivi del fabbisogno, non si riesce a tradurli in decisioni coerenti. 3. Rigidità delle regole di progettazione Vari sono i fattori di rigidità individuati, per esempio la formulazione inadeguata dei bandi o la presenza di standard formativi molto cogenti, tutti elementi che ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 1 1 0 impediscono l’adeguamento tempestivo dell’offerta al reale fabbisogno di cui si è a conoscenza o che emerge addirittura in fase di erogazione del corso. Sembra eviden- ziarsi la necessità di pensare sempre di più a forme di affidamento di corsi con pochi vincoli iniziali (sull’esempio di quanto già accade in alcune realtà) e rafforzare invece forme di controllo in itinere ed ex-post sull’efficacia della formazione erogata, piutto- sto che irrigidire la progettazione iniziale. Sono stati quindi, individuati alcuni punti chiave su cui sollecitare l’attenzione e l’a- zione della scuola, della F.P. e dei responsabili degli EELL: - il presidio dei processi di orientamento a monte della scelta e precocemente, quando si introiettano i vissuti relativi alle professioni e ai mestieri, non solo mirato agli stu- denti ma anche alle famiglie; - lo sviluppo di professionalità specifiche, quali reclutatori, e orientatori a reale sup- porto dell’incontro tra il fabbisogno territoriale e le scelte degli utenti; - la rilevazione preventiva del fabbisogno formativo degli utenti; - l’assunzione di vincoli progettuali, quali gli standard formativi e le regole dei bandi, in numero limitato e con caratteri di essenzialità, in modo da non irrigidire eccessiva- mente le proposte formative e di poterle realmente adeguare ai fabbisogni territoriali. Si afferma in buona sostanza la necessità di serie politiche a sostegno della scelta dello studente, che partano dai primi anni della scolarizzazione e che investono in modo significativo l’operato della scuola, gli orientamenti delle famiglie e il vissuto sociale del lavoro e delle professioni. C’è poi la necessità di un sistema organizzato e organi- co di rilevazione della scelta, la cui necessità deve essere riconosciuta e che deve tro- vare accoglienza nelle scelte dagli EELL; nella stessa linea dell’anagrafe formativa è necessario che si affidi a centri di responsabilità chiaramente identificati sia la rileva- zione che la lettura dei dati e la restituzione degli stessi ai livelli istituzionali e non, interessati: Regione, Province, scuole, CPF, imprese, famiglie, studenti. C’è poi un punto molto critico che è quello del quadro delle regole in cui si cala il modello formativo: standard formativi e specifiche richieste dei bandi debbono presi- diare la qualità, senza trasformarsi in gabbie insuperabili. Le annotazioni fin qui evidenziate assumono un reale significato laddove l’Ente loca- le - Regione e Provincia - è impegnato a garantire il diritto alla formazione, anche attraverso un progressivo miglioramento del proprio operato. Non possiamo dimenticare che in alcune regioni italiane mancano i presupposti ele- mentari per un reale esercizio del diritto alla formazione, così come si è evidenziato nelle testimonianze recate nel gruppo di lavoro. Irene Gatti Dirigente scolastico Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca 1 1 1 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 4.6 Il supporto della rete territoriale al modello formativo dei cittadini e del territorio Nel corso della XIV edizione del Seminario Europa abbiamo avuto modo di parlare più volte di sviluppo territoriale e di come questo debba essere supportato da uno specifi- co modello formativo che integri e faccia proprie le necessità di coniugare le esigenze di sviluppo e quelle di sostenibilità. Obiettivo strategico di tale modello è l’identifica- zione di percorsi che, partendo dall’individuazione dell’identità locale e delle risorse del territorio (con particolare attenzione a quelle umane), porti alla crescita ed allo svi- luppo integrato delle comunità locali, nel pieno rispetto dei principi di mutualità, com- patibilità e sostenibilità. Sviluppo locale integrato: cresce il ruolo della comunità locale Programmare lo sviluppo integrato di un territorio locale significa sempre più agire in un contesto globale, intendendo con ciò la sommatoria di tutte le componenti della vita comunitaria, siano esse produttive, sociali, culturali, o relazionali. Nella predisposizio- ne di modelli di sviluppo si pone inoltre, la necessità che tutti gli attori coinvolti con- dividano una gerarchia di importanza negli obiettivi da raggiungere, permettendo una crescita finalizzata alla soddisfazione dei bisogni dell'intera collettività più che allo svi- luppo economico di particolari settori. Così come nella programmazione e nella predi- sposizione dei modelli di sviluppo, la comunità locale (intesa nella sua accezione più globale) è parte fondamentale anche nei processi di gestione dello stesso, con l'obiet- tivo di garantire la piena partecipazione della società alla direzione della propria tra- sformazione. Lo sviluppo integrato di un territorio deve quindi, essere un processo di trasformazione della comunità locale che porti a risultati positivi sotto un contesto eco- nomico, politico e sociale. La sostenibilità come indicatore di sviluppo positivo: i piani di Azione di Agenda 21 Locale Negli ultimi decenni si è fatta sempre più pressante l'esigenza di rivedere i processi di sviluppo alla luce della sostenibilità (intesa come necessità di non compromettere il potenziale che consentirà di ottenere benefici analoghi in futuro) e della compatibilità ambientale. A partire dall'Earth summit di Rio de Janeiro (1992), i concetti di soste- nibilità e sviluppo sostenibile sono così entrati a far parte di tutti i momenti di incon- tro e riflessione della governance globale, divenendo tra i più importanti obiettivi poli- tici dichiarati a livello locale, nazionale e internazionale. Tra i diversi documenti scaturiti dalla conferenza di Rio, il Programma di Azione ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 1 1 2 Agenda 21 si è rivelato un fondamentale punto di partenza per la programmazione dello sviluppo integrato territoriale. Tra i vari capitoli in cui è suddivisa l’Agenda 21, il n° 28 riguarda specificamente il ruolo degli Enti locali nella promozione dello svi- luppo sostenibile, attraverso l’adozione dei Piani di Azione locale all’interno di una propria Agenda 21 Locale. Tali Piani di Azione, sottoscritti dai diversi attori delle comunità locali, sono il risultato della combinazione di politiche integrate di sviluppo e della partecipazione attiva e co-responsabile degli attori del territorio: “Ogni autorità locale dovrebbe dialogare con i cittadini, le organizzazioni locali e le imprese private ed adottare una propria Agenda 21 Locale. Attraverso la consultazione e la costruzione del consenso, le autorità locali dovrebbe- ro apprendere ed acquisire dalla comunità locale e dal settore industriale, le infor- mazioni necessarie per formulare le migliori strategie” (Agenda 21, Cap. 28, 1992). Attraverso la gestione oculata delle risorse e la concertazione locale, lo sviluppo soste- nibile diventa così un obiettivo da perseguire, non solo attraverso politiche nazionali o sovranazionali, ma anche e soprattutto a livello delle comunità locali, nel pieno rispet- to dell’art. 10 della dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo: “il modo migliore di trattare le questioni ambientali è quello di assicurare la parteci- pazione di tutti i cittadini interessati, a diversi livelli […]. Gli Stati faciliteranno ed incoraggeranno la sensibilizzazione e la partecipazione del pubblico rendendo ampia- mente disponibili le informazioni.” Sebbene quindi, i governi nazionali e sopranazionali svolgano un ruolo centrale nel perseguimento dello sviluppo sostenibile, è ugualmente evidente che il ruolo delle comunità locali è cruciale: • come agenti per attuare le politiche nazionali e internazionali; • come promotori di nuove idee e nuovi approcci; • come attori privilegiati per azioni ed iniziative a livello locale. La strategia della UE per la partecipazione attiva La sperimentazione di modelli di sviluppo sostenibile locale a livello delle Agende 21L ha portato sicuramente un innalzamento dei livelli di cooperazione e concertazione a livello di comunità locali. Parallelamente l'UE ha affinato il concetto di partnership e partecipazione attiva in tutti i suoi regolamenti, legando sempre più l'erogazione di fondi per lo sviluppo, ad una corretta gestione del partenariato locale, nonché ad un'efficace strategia di mainstreaming, capace sia di incidere sulle politiche di settore, sia di diffondere i risultati a livello dei singoli appartenenti alla comunità locale. Le partnership locali sono diventate ormai cardine di un sistema che prevede la strut- turazione dei modelli di sviluppo attraverso diverse fasi: • costituzione di reti territoriali che privilegino la presenza di partner provenienti da 1 1 3 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 diversi settori e livelli della comunità locale (Enti locali, imprese, parti sociali, sistema istruzione, agenzie formative e di orientamento, associazioni di cittadini, ecc.); • analisi delle risorse umane e del territorio; • analisi dei bisogni del sistema economico locale; • individuazione di Piani di Azione Locale attraverso il metodo della concertazione e della partecipazione attiva; • efficaci azioni di mainstreaming al fine di sensibilizzare ulteriori attori locali in vista dell'utilizzo degli eventuali ritorni nella logica di un continuo monitoraggio; • stipula di specifici accordi e/o patti territoriali volti ad individuare obiettivi di svi- luppo condivisi, da realizzare attuando programmi di interventi produttivi ed infrastrutturali tra loro integrati. Programmazione negoziata ed integrazione di sistemi In Italia, come in altri paesi UE, il metodo della programmazione negoziata ha acquistato enorme importanza anche nel campo specifico della formazione, nella logica che il sistema educativo/orientativo/formativo debba rispondere concreta- mente a quelle che sono le specifiche esigenze di sviluppo della comunità locale. Le riforme in atto vanno nel senso della costruzione di un sistema formativo integrato fra istruzione, università e formazione, che sia in grado di dialogare con il mondo del lavoro locale. Il livello regionale diventa nodo centrale della programmazione dell’offerta, sia scolastica che di formazione professionale, rendendo possibile la predisposizione di piani operativi a livello territoriale, con una maggiore attenzione alla flessibilità dell’offerta e alla sua correlazione con il contesto economico e pro- fessionale locale. Vengono altresì, affinate le interrelazioni tra gli strumenti di pro- grammazione negoziata previsti dalle normative nazionali e regionali (patti territo- riali, accordi di programma, patti di sviluppo territoriali ecc.) ed il sistema di istru- zione/orientamento/formazione. Vengono infine, riformati gli istituti del colloca- mento, individuando negli sportelli di orientamento e nei Centri per l'Impiego ‘l'a- nello mancante’ per il collegamento tra bisogni del territorio ed il sistema formati- vo. L'integrazione attraverso la programmazione negoziata non è solo un obiettivo strategico, ma rappresenta lo strumento che consente di mutare profondamente il sistema nella logica della rete: con nodi autonomi, ma collegati tra loro (gli istituti scolastici, le università, le agenzie formative, le aziende, le parti sociali, ecc.), con punti di connessione interfunzionali (le strutture territoriali dei servizi di orienta- mento e per l’impiego, ad esempio). Chiaramente ciò obbliga tutti gli attori dello sviluppo locale a rivedere continuamente i confini di ciò che si riconosce come modello funzionale proprio, rispetto ad un sistema di relazioni in continua evolu- ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 1 1 4 zione, e comporta inoltre, una costante manutenzione e verifica del proprio operare, nonché del modello di sviluppo locale. Un esempio concreto: programmazione negoziata e partenariato nel campo dell’obbligo formativo Come noto, l'art. 68 della L. n. 144/99 istituisce l'obbligo di frequenza di attività for- mative fino all'età di 18 anni. Attraverso questo dispositivo si offre a tutti i giovani una opportunità ‘forte’ di completare il percorso formativo attraverso il conseguimento di un diploma o di una qualifica professionale, eliminando gli abbandoni precoci del sistema. In quest’ottica il raggiungimento dell'obiettivo del successo formativo dei gio- vani è perseguibile se tutti gli attori coinvolti sono in grado di stabilire e mantenere valide interrelazioni con gli altri soggetti cui sono attribuite responsabilità di governo, programmazione e gestione all'interno di questo sistema. La L. n. 144/99 e la successiva regolamentazione attuativa hanno disegnato un siste- ma complesso nel quale sono coinvolti molteplici attori, istituzionali e non, che vengo- no a costituire una vera e propria rete di servizi sul territorio: accanto alle tradizionali leve della scuola e dei Servizi per l'Impiego, la L. n. 144/99 prevede il coinvolgimento diretto delle agenzie formative e del sistema delle imprese per l'attuazione di corsi di formazione professionale e/o per la realizzazione di percorsi di apprendistato. Le Regioni, le Province delegate ed i Comuni, ciascuno per le funzioni di propria compe- tenza, sono chiamati a svolgere un ruolo di governo del sistema. La programmazione di interventi mirati alla formazione iniziale è una delle fasi del sistema orientamento/formazione/inserimento al lavoro che più deve confrontarsi con i modelli di sviluppo locale. Il modello formativo può diventare un efficace strumento operativo dello sviluppo locale solo se riesce ad operare mantenendo saldi gli obietti- vi, le aspettative e le proposte attivate a livello dei tavoli di concertazione locale in tema di sviluppo. D’altra parte nella programmazione negoziata dello sviluppo soste- nibile di un territorio devono trovare posto specifici momenti di riflessione su quali professionalità possono servire al processo di trasformazione della comunità locale: troppo spesso si dimentica che i giovani di oggi saranno i ‘gestori’ della società di domani e che, come tali, saranno chiamati ad attuare i modelli di sviluppo locale che oggi vengono predisposti. Di seguito viene riportato (al solo titolo di esempio) un possibile spunto di riflessione sulla costituzione di una rete locale per la progettazione e gestione di un progetto inte- grato formazione iniziale/sviluppo sostenibile. 1 1 5 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 Obiettivi comuni a tutti i partner della rete: La progettazione di percorsi innovativi nell’ambito dell’obbligo formativo risponde alle nuove esigenze educative e formative nate dal progressivo mutamento del qua- dro economico e politico nazionale e locale. In questo contesto le finalità generali sono prevalentemente rivolte a: • qualificare ed innovare il sistema della formazione professionale iniziale; • migliorare la qualità e l’efficacia delle offerte formative attraverso la predisposi- zione di percorsi caratterizzati da una forte rispondenza ai fabbisogni professio- nali del mercato del lavoro; • creare un sistema di accertamento, certificazione e riconoscimento delle compe- tenze acquisite; • sviluppare una varietà di occasioni e ambienti formativi, tramite la collaborazio- ne tra luoghi e strutture in cui si attuano prospettive diverse alternando teoria e pratica; • promuovere la qualità del sistema formativo integrato; • operare sinergie tra i diversi operatori pubblici e privati del territorio al fine di strut- turare una rete di attori locali in grado di operare una sintesi fra le potenzialità e bisogni dei soggetti da formare e le esigenze della società e del mercato del lavoro. Tutto ciò nella piena consapevolezza che la formazione iniziale, per diventare uno strumento realmente efficace, debba confrontarsi e rispondere alle problematiche del mondo del lavoro locale, divenendo parte di un vero e proprio processo di svi- luppo sostenibile del territorio. In quest’ottica gli obiettivi strategici che la rete si propone sono i seguenti: • favorire la crescita culturale e professionale dei giovani attraverso la progettazio- ne di un’offerta educativa rispondente alle attese e alle aspettative dei giovani, in grado di promuovere il successo formativo per la realizzazione personale e pro- fessionale dell’individuo; • coinvolgere, nelle fasi progettuali e gestionali, più soggetti rappresentativi dei sistemi scuola, formazione, impresa, mondo istituzionale; • promuovere momenti di inserimento dei giovani in contesti sociali e lavorativi, che permettano il consolidamento di competenze di indirizzo professionale; • favorire l’acquisizione di una qualifica professionale spendibile nel mercato del lavoro; • facilitare il processo di cambiamento della comunità locale nell’ottica di un modello di sviluppo compatibile con le esigenze di sostenibilità sociale ed ambientale. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 1 1 6 Osservazioni sulla composizione del partenariato e sul ruolo dei partner La costituzione di una rete di attori locali che condividano gli obiettivi sopraesposti si configura come un'azione a carattere sperimentale, finalizzata alla costruzione di un sistema integrato di istruzione e formazione di base. In questo sistema, o rete territoria- le, trovano spazi importanti più soggetti rappresentativi dei sistemi scuola, formazione, impresa e mondo istituzionale che, attraverso un approccio partecipativo, potrebbero apportare validissimi contributi alla qualificazione dei percorsi e delle attività. Di seguito si riporta un'ipotesi di partenariato indicando, per ciascuna tipologia di part- ner, le potenzialità in termini di valore aggiunto al progetto. Piero Garavelli Progettista CIOFS-FP Toscana Tipologia partner Agenzia/e Formativa/e Istituzioni scolastiche Associazioni, Enti di categoria, parti sociali Enti Locali Imprese Ruolo prevalente all'interno del percorso formativo Capofila ed Ente responsabile del progetto Raccordo tra formazione - scuola - lavoro Individuazione fabbisogni e definizione standard qualitativi in uscita Promozione e patrocinio dell'iniziativa Partecipazione al coordinamento delle attività di stage e inserimento lavorativo Contributi alla progettazione del percorso Responsabile della progettazione esecutiva e di dettaglio Valutazione crediti per il sistema di passerelle in entrata - uscita dal mondo della scuola al mondo della formazione Definizione delle figure professionali in uscita in rapporto ai bisogni del territorio Contributi alla definizione delle figure professionali in uscita in rapporto alle politiche di sviluppo del territorio Contributi alla definizione delle competenze professionali di settore Contributi alla realizzazione del progetto Progettazione e gestione del percorso formativo Contributi nell'ambito della realizzazione dei moduli relativi alle competenze di base Contributi alla ricerca di imprese partner di progetto Contributi nell'ambito degli stages orientativi, formativi e di prein- serimento lavorativo Contributi nell'ambito delle competenze professionali Altro Tutoraggio Orientamento Certificazione delle competenze Contributi alla definizione degli standard minimi per le competenze di base Partecipazione alle fasi di autovalutazione del progetto Tutoraggio aziendale Certificazione competenze acquisite ALLEGATI A.1 LA COERENZA DELLA RIFORMA UNIVERSITARIA ITALIANA CON I PROBLEMI POSTI DALLA “ECONOMIA DELLA CONOSCENZA ” Introduzione* Lo scopo di questo saggio è quello di iniziare una prima riflessione sui legami che si possono riscontrare tra la riforma universitaria italiana e un processo di learning and development (Harrison, 2002). Alcuni Corsi di Laurea stanno sperimentando la riforma nella sua complessità (Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, 1999). Sono i Corsi di Laurea che rientrano nel progetto CampusOne che è una iniziativa della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI) e del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR)1. Il progetto è finanziato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed è di durata triennale. Le risorse sono state utilizzate per finanziare gli Atenei italiani: da un lato, per migliorare l’informazione, la comunicazione e la qualità di alcuni servizi e dall’altro lato, per sperimentare effettivamente la riforma universitaria in alcuni Corsi di Laurea che presentavano parametri quantitativi e qualitativi necessari per conseguire gli obiettivi fissati e, al cui interno, vi sono docenti disponibili a mettere in pratica tale espe- rienza. Il progetto CampusOne organizza anche dei corsi di formazione per docenti sulle metodologie di autovalutazione, impone agli Atenei di sperimentare nuove figure profes- sionali (il cosiddetto management didattico) cercando in tal modo di modificare almeno in parte il sistema organizzativo e, in conseguenza di ciò, perseguire più facilmente un funzionamento di ‘qualità’ delle Università, come è richiesto in misura sempre maggio- re nelle economie della conoscenza. Per riuscire a cogliere i legami tra la riforma universitaria proposta e un processo di apprendimento, in grado di generare sviluppo economico (learning and development), nei paragrafi successivi si cercherà di esplicitare in primo luogo gli elementi essenzia- li di un processo di apprendimento capace di produrre conoscenza e quindi anche svi- luppo economico, dopo aver effettuato una breve descrizione della riforma universita- ria. In secondo luogo, si presenterà sinteticamente il modello di CampusOne proposto dalla CRUI per l’autovalutazione e per la valutazione dei Corsi di Laurea (Gola, Mirandola, Squarzoni, Stefani, Tosi, Tronci, 2002). In terzo luogo, si presenteranno i punti critici che stanno emergendo in questa prima fase del progetto CampusOne nel processo di realizzazione della riforma universitaria. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 1 1 8 * Il saggio è stato pubblicato in Quaderni di Economia del Lavoro, n. 74 editi da Franco Angeli. 1 Il progetto CampusOne coinvolge ben 70 Università, interessando 270 Corsi di Laurea selezionati che appartengo a 41 “classi”. I docenti partecipanti al progetto sono 9.000 mentre gli studenti sono 50.000. Informazioni molto dettagliate si possono trovare nel sito internet: http://www.campusone.it. 1.1 Il significato della riforma universitaria Come è noto, nell’anno accademico 2001-2002, gli Atenei italiani hanno iniziato a spe- rimentare una riforma universitaria che dovrebbe agire in maniera radicale sul sistema universitario e sulla relativa offerta formativa. Essa dà ampio spazio all’autonomia didattica di ogni singolo Ateneo e cerca di introdurre un modello funzionale completa- mente nuovo e innovativo, più adeguato alle esigenze di integrazione europea 2 e a quel- le espresse da una economia della conoscenza (knowledge economy)3. La riforma interviene in profondità sul sistema delle denominazioni e dei curricula. Non si ha più un elenco chiuso delle possibili lauree e delle relative tabelle. Ciascuna Università, infatti, quando istituisce un Corso di Studi stabilisce in maniera alquanto flessibile la denominazione ed i curricula formativi per i propri studenti iscritti4. Le Università hanno però l’obbligo di far ricadere la propria offerta formativa nell’ambi- to di alcuni modelli proposti a livello nazionale e di fare riferimento ad un elenco di “classi” la cui determinazione e denominazione raggruppa aree disciplinari omogenee (Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Teconologica, 2000). In altri termini, un Ateneo quando istituisce un Corso di Laurea deve individuare a quale “classe” afferisce e progetta un curriculum appropriato per riuscire a realizzare gli obiettivi formativi generali e che rispetti i contenuti disciplinari minimi previsti per quella “classe” a livello nazionale, in modo tale da poter assicurare un valore legale dei titoli rilasciati dalle Università. In questo ambito quindi, l’autonomia didattica degli Atenei è assicurata con la pro- gettazione di Corsi di Studi che possono essere anche esclusivi sia per la denomina- zione sia per i contenuti formativi, pur ricadendo in “classi” di laurea previsti a livel- lo nazionale per continuare a mantenere la validità legale del titolo di studio ed assi- curare la mobilità per gli studenti che desiderano trasferirsi da un Ateneo ad un altro Ateneo valorizzando i crediti formativi universitari acquisiti. I contenuti disciplinari 1 1 9 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 2 Alcuni atti ufficiali dell’Unione Europea giustificano le richieste degli studenti universitari di ricevere una qualificazione professionale che è riconosciuta a livello europeo. Si tratta del diritto alla mobilità, sancito dalla Prima Direttiva Generale (Dir. 89/48/EEC) e del diritto al riconoscimento delle qualificazioni, san- cito dalla “Convenzione di Lisbona” del 1997. Le dichiarazioni e gli impegni presi dai Ministri dell’Istruzione dei Paesi dell’Unione Europea in sedi diverse (Sorbona, Bologna, Praga) sono assunzioni di responsabilità in tale direzione. 3 Si definisce “economia della conoscenza” un mondo nel quale la “conoscenza” è divenuta la chiave per formare la ricchezza. In questo mondo, l’uso della conoscenza aggiunge maggior valore ai tradizionali fat- tori produttivi (capitale, materie prime, lavoro) e gli operatori della conoscenza hanno uno status peculia- re (Harrison, 2002; Foray, 2000). 4 Legge n. 127/1997, Bassanini 2, art. 17, comma 95; Regolamento sull’autonomia didattica, D.M., 3 novembre 1999, n. 509. minimi di ciascuna “classe” non possono coprire più di due terzi del curriculum restando quindi l’altro terzo a completa disposizione delle scelte didattiche e culturali dell’Ateneo in maniera autonoma e innovativa. Vi è poi da rilevare che anche per i due terzi, delineati a livello nazionale, vi sono ampi spazi di creatività e di innovazione del- l’offerta formativa poiché i Decreti ministeriali prevedono ambiti disciplinari pluriset- toriali anziché singole discipline o un unico settore disciplinare. L’autonomia didattica degli Atenei si esprime perciò nella scelta dei corsi di insegna- mento, nella delineazione della loro successione, nella sperimentazione di metodologie e tecnologie didattiche, nella proposizione di nuove proposte formative integrative (informatica, lingue straniere, tirocini formativi, cultura di contesto) e soprattutto nel precisare il livello di professionalizzazione che si intende perseguire. L’autonomia didattica costringe gli Atenei a redigere ed approvare i propri regolamenti per assumere pubblicamente la responsabilità della propria organizzazione didattica sia generale con un regolamento didattico d’Ateneo, sia specifica con il regolamento didattico di ciascun Corso di Studi. Le “parti interessate” al Corso di Laurea (studenti e coloro che in futuro domanderan- no i servizi lavorativi dei laureati) richiedono alle Università di dare delle certezze sulla propria capacità di ottenere dei risultati adeguati agli obiettivi dichiarati e promessi. La ‘qualità’ dei processi formativi deve essere “studiata” (analizzata, pianificata, pro- gettata), “assicurata” con la disponibilità delle risorse (processo di accreditamento), “valutata” e “validata” preventivamente per dimostrarne la rispondenza, tenendo conto che le Università sono strutture organizzative complesse la cui gestione si espli- ca a diversi livelli. La riforma universitaria si è resa necessaria per riqualificare il vecchio ordinamento universitario italiano che presentava numerose criticità e differenze rilevanti con la formazione post-secondaria pubblica dei Paesi europei. Le anomalie erano rilevanti, non tanto nelle conoscenze di discipline o di argomenti specifici dei laureati dei vecchi Corsi di Laurea, quanto dal punto di vista della pro- duttività del sistema universitario. A ciò si deve aggiungere la mancanza di flessibilità e di innovazione dei Corsi di Laurea, dei tempi mediamente impiegati per conseguire il titolo di studio, dei servizi offerti dalle Università agli studenti (orientamento, tutorato, assistenza, biblioteche, laboratori, stage, tirocini formativi) dei metodi di valutazione dell’apprendimento ancora prevalentemente basati sulla misura del sapere piuttosto che del saper fare e del saper essere come è sempre più richiesto agli operatori della cono- scenza (knowledge worker)5. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 1 2 0 5 Gli operatori della conoscenza (knowledge worker) sono coloro che applicano la conoscenza al migliora- mento dei processi produttivi, ai prodotti, ai servizi, agli schemi organizzativi e che utilizzano la cono- scenza per innovare (Harrison, 2002). Le maggiori criticità del vecchio sistema universitario italiano sono numerose. Esse sono date da: a) un elevato tasso di abbandono. Solo il 40% degli studenti iscritti consegue il diploma di laurea e il 30% degli immatricolati lascia l’Università nel corso del primo anno (Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario, 2002); b) una durata degli studi “reale” molto maggiore di quella “legale” (cfr. la tab. 1). Solo 8 laureati su 100 terminano il ciclo di studi entro la durata “legale” (Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario, 2002); c) un’età media dei laureati italiani di oltre 27 anni (cfr. ancora la tab. 1), più eleva- ta di tre anni rispetto a quella media europea; d) uno scarso successo dei diplomi universitari nei termini di iscritti. La quasi totalità degli studenti universitari italiani, più del 90, ha scelto di iscriversi ai Corsi di Laurea tradizionali perché i diplomi di laurea erano comunemente percepiti come percorsi formativi di livello inferiore rispetto alla lauree tradizionali (Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario, 2002); e) percorsi di laurea rigidi e poco innovativi per la mancanza di processi di valutazio- ne interna (durata degli studi, successo degli studenti, monitoraggio delle loro car- riere), mancanza di processi di valutazione esterna (occupabilità dei laureati, per la mancanza di soddisfazione rispetto alla loro condizione nel mercato del lavoro, apprezzamento dei datori di lavoro sull’incremento di formazione e di professiona- lità acquisita dai laureati nel percorso universitario); f) percorsi di laurea ritenuti molto spesso inadeguati alle esigenze del mercato del lavo- ro poiché l’Università non interagiva con il mondo del lavoro, con gli studenti, con la comunità locale per confrontare i programmi formativi; g) un’offerta formativa rigida rivolta prevalentemente ai giovani senza esperienza operativa. Gli obiettivi della recente riforma universitaria sono quindi, quelli di garantire la ‘qua- lità’ dell’insegnamento, del livello di conoscenze e delle competenze che gli studenti devono acquisire con il titolo di studio ma anche quello di aiutare la maggioranza degli studenti a raggiungere il diploma di laurea in tre anni e quello di accrescere le oppor- tunità occupazionali in modo tale che gli studenti possano utilizzare pienamente il tito- lo di studio per l’accesso alle professioni e agli impieghi lavorativi. In altri termini, la riforma universitaria tende a correggere alcuni aspetti negativi che erano già stati rilevati dalle ricerche condotte sui laureati a livello di singolo Ateneo (Frey, Livraghi, 2001). 1 2 1 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 Tab. 1 - Età media ed età teorica dei laureati in Italia nell’anno solare 1999 nei diversi gruppi di facoltà Facoltà Età Età Durata Età media Età media media teorica teorica dei laureati dei laureati prima dopo dei 30 anni i 30 anni Medicina e chirurgia 27,5 25,0 6,0 26,3 33,8 Psicologia 27,5 24,0 5,0 25,9 35,4 Ingegneria 27,7 24,0 5,0 26,2 33,2 Medicina e veterinaria 28,2 24,0 5,0 25,9 33,4 Architettura 28,9 24,0 5,0 25,8 34,6 Scienze MFN 27,4 23,5 4,5 26,4 33,2 Scienze statistiche 26,9 23,0 4,0 25,8 34,1 Economia 27,0 23,0 4,0 27,0 33,0 Giurisprudenza 27,2 23,0 4,0 26,3 33,1 Farmacia 27,5 23,0 4,0 26,1 32,7 Ling. let. stran. 27,5 23,0 4,0 26,6 32,7 Agraria 27,6 23,0 4,0 26,3 32,0 Lett. Filosofia 27,7 23,0 4,0 26,0 33,4 Scienze Politiche 27,9 23,0 4,0 26,1 33,8 Scienze della formazione 28,4 23,0 4,0 26,1 33,3 Sociologia 29,7 23,0 4,0 26,2 34,4 Totale 27,6 26,2 33,4 Fonte: Elaborazioni del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario, nel sito internet: http://www.cnvsu.it. Se a livello macroeconomico il mercato del lavoro dei laureati è caratterizzato da: a) elevati tassi di occupazione; b) una rilevante crescita di laureati nei settori di attività prevalenti nell’“economia della conoscenza”; c) redditi da lavoro più elevati nell’intero arco della vita; d) migliori condizioni di lavoro ed una soddisfazione professionale più elevata di quel- la riscontrata dagli altri individui che hanno una formazione di base minore; e) una domanda di formazione continua dei laureati alquanto elevata indipendentemen- te dalle richieste esplicite dell’organizzazione in cui sono inseriti. A livello microeconomico si rilevano invece, situazioni differenziate sui tassi di occu- pazione e sulle condizioni di lavoro (monetarie e non) in base: a) ai vari Corsi di Laurea tradizionali; b) alle capacità di ciascun Ateneo di offrire Corsi di Laurea qualitativamente elevati e servizi agli studenti per accrescere la loro esperienza operativa professionalizzante (orientamento, tutorato, stage, tirocini formativi, laboratori informatici e linguisti- ci) e migliorare la loro integrazione nella comunità locale e quindi, anche la loro ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 1 2 2 qualità di vita (giocano un ruolo rilevante a questo proposito, ad esempio, la dispo- nibilità di alloggi a prezzo equo, le opportunità culturali, ecc.); c) alle esperienze formative dei laureati, accumulate presso Università straniere, nel corso degli studi universitari (Programmi europei: Erasmus, Leonardo, ecc.); d) alle esperienze lavorative dei laureati, effettuate nel periodo degli studi universitari; e) alla struttura dei vari mercati del lavoro locali. Le azioni innovative della riforma universitaria dovrebbero in parte correggere alcuni aspetti negativi emersi dalle ricerche microeconomiche sui laureati in Italia. Esse con- sistono nell’obbligatorietà della certificazione e dell’apprendimento linguistico e infor- matico, nel rapporto puntuale con i portatori di interesse nei Corsi di Studi, le proce- dure di valutazione e la diversificazione dell’offerta formativa universitaria che inte- ressa ormai l’intero ciclo vitale degli individui e non più solo i giovani senza alcuna esperienza lavorativa come molto spesso accadeva in passato. L’offerta formativa uni- versitaria ora invece si diversifica nella laurea triennale, nella laurea specialistica, nel dottorato di ricerca, nei master di primo e di secondo livello, nei vari corsi di perfe- zionamento. La nuova funzione di produzione degli Atenei italiani sembrerebbe quindi essere quella di “produrre” operatori della conoscenza ovvero individui in grado di apprendere e creare a loro volta conoscenza. Perseguire questo obiettivo non è facile perché richiede di realizza- re profondi cambiamenti per riqualificare l’ordinamento universitario italiano e soprattut- to domanda ai docenti di conoscere adeguatamente gli obiettivi della riforma universitaria e di condividerli pienamente. Si domanda, infatti, ai docenti di progettare e di gestire pro- cessi di learning and development, necessari per generare valore aggiunto nelle economie dove la conoscenza svolge un ruolo cruciale, simile a quello svolto in un passato alquanto recente dal processo di accumulazione del capitale. La riforma universitaria italiana riuscirà a riqualificare e a rilanciare la formazione di terzo livello solo se, con le azioni innovative ad essa preposte, riuscirà a far comprende- re ai diversi attori interessati (docenti e parti interessate ai corsi: studenti, mondo del lavoro) l’importanza dei processi di apprendimento per produrre conoscenza e per impie- garla nei processi produttivi e nella soluzione di problemi mai sperimentati in preceden- za, generando in tal modo processi di learning and development. 1 2 3 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 1.2 Alcune riflessioni in merito ai processi di apprendimento nella società della conoscenza La conoscenza intesa come facoltà di percepire e di apprendere è sempre stata un fat- tore determinante dello sviluppo economico e della crescita del benessere degli indivi- dui e della collettività. La capacità di creare e di innovare ovvero di produrre conoscenza e l’abilità di utilizzare questo bene prodotto per realizzare nuovi processi organizzativi e differenti prodotti e ser- vizi sono da sempre dei fattori che hanno generato progresso e quindi, anche sviluppo economico. La storia insegna che ci sono sempre state organizzazioni e istituzioni che hanno contribuito a creare e a disseminare conoscenza. L’economia basata sulla conoscenza è invece un termine relativamente nuovo e assu- me un significato mai sperimentato in precedenza. Non significa discontinuità con il ruolo precedente della conoscenza nel processo di sviluppo economico. È invece, una capacità dei sistemi economici di produrre conoscenza a ritmi più accelerati e di supe- ramento della problematica posta da Hayek (Boccaccio, 1996; Foray, 2000) sulla dispersione della conoscenza come caratteristica insita in essa e quindi, difficilmente disseminabile6. L’economia della conoscenza è il frutto di un processo di creazione della conoscenza senza precedenti che è stato sperimentato solo nel recente passato. Esso è dovuto in larga misura al progresso tecnologico nei settori della informazione e della comunica- zione registrato nel corso degli ultimi dieci anni. Questo trend ha, a sua volta, intensi- ficato il ritmo del progresso tecnologico e scientifico interessando contesti diversi e pro- ducendo problematiche del tutto nuove (Livraghi, 2000; Livraghi 2001). Un’economia caratterizzata da un ruolo rilevante della conoscenza nei processi pro- duttivi sperimenta nuovi modelli organizzativi in contesti in cui la conoscenza è larga- mente diffusa e facilmente accessibile da ciascun membro delle diverse comunità. Gli individui creano pertanto delle reti (network) per produrre conoscenza e renderla accessibile anche a coloro che non appartengono alla medesima istituzione, poiché solo con la codificazione e la generalizzazione si produce una ricchezza per la collettività che può essere continuamente accresciuta con l’apporto di ciascun individuo, produ- cendo quindi cambiamenti rilevanti per l’economia nel suo complesso. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 1 2 4 6 “Ciò che contraddistingue in particolare il problema di un razionale ordine economico nel fatto che la conoscenza delle circostanze rilevanti di cui dobbiamo disporre per risolverlo non si trova mai con- centrata e articolata ma soltanto come una serie di frammenti dispersi di conoscenza incompleta, a volte contradditori, in possesso di vari individui, separatamente. Il problema economico della società non è così puramente un problema di allocazione di risorse "date" […] è un problema di utilizzazio- ne di una conoscenza che nessuno possiede nella sua interezza.” (Hayek, 1948, p. 77). La conoscenza è stock e flusso contemporaneamente poiché è un bene, ovvero ricchez- za, sotto forma di capitale intangibile da un lato ed è processo dall’altro lato, sotto forma di modalità di apprendimento. Il capitale intangibile è cresciuto in tutti i paesi industrializzati in maniera alquanto rilevante nel corso dell’ultimo decennio. Le modalità di accumulazione del capitale intangibile sono essenzialmente due. Lo stock di capitale intangibile cresce con gli investimenti derivanti dalla produzione e disseminazione della conoscenza (formazione, ricerca e sviluppo, informazione, comunicazione, coordinamento) e dalla crescita dello sviluppo umano nelle sue diver- se dimensioni. L’innovazione è correlata all’attività di ricerca e di sviluppo ma anche alla capacità degli individui di apprendere attraverso l’esperienza operativa (learning by doing) producendo conoscenza in molte professioni. Le competenze richieste sono quindi, molto elevate e si diversificano in varie direzio- ni: sapere, saper fare, saper essere. In particolare vi sono due competenze che devono essere distinte nella progettazione dei processi di learning and development: quelle che sono strettamente legate all’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunica- zione (le cosiddette TIC) e quelle che invece generano negli individui capacità di adat- tamento al continuo cambiamento e alle innovazioni; capacità e comportamenti che talvolta riescono addirittura a precederlo. Le competenze collegabili alla conoscenza e all’utilizzo delle nuove tecnologie nel- l’ambito dell’informazione e della comunicazione sono una componente essenziale della formazione di base di ciascun individuo. L’acquisizione della conoscenza e la sua utilizzazione sono invece due grandi temi che stanno alla base di ciascun processo di apprendimento con i quali gli studenti acquisisco- no i contenuti culturali trasmessi dalle istituzioni scolastiche: concettualizzazione, memo- rizzazione, soluzione dei problemi, scoperta. Il secondo problema del processo di learning and development è quello di dare agli studenti la capacità di utilizzare, cioè estendere, generalizzare, approfondire ciò che hanno appreso. Si tratta cioè di far imparare ad impa- rare (learn to learn). Gli studenti dovrebbero essere messi in grado di costruire le proprie strutture cognitive: l’organizzazione dei dati dovrebbe comportare produzione di cono- scenza e ciò si realizzerebbe con un “salto” di qualità passando da un tradizionale appren- dimento passivo ad un’attività di pensiero che si realizza più facilmente con procedimen- ti didattici che privilegiano la scoperta e la soluzione dei problemi. L’acquisizione della conoscenza ha un carattere costruttivo. La semplice acquisizione delle informazioni non produce apprendimento e quindi conoscenza. L’apprendimento è invece, un processo di elaborazione prevalentemente individuale che può essere acce- lerato da ambienti ricchi di stimoli cognitivi. 1 2 5 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 La conoscenza si costruisce con l’interazione tra gli individui; è quindi un processo intersoggettivo. La conoscenza è pertanto, costruita insieme ed è condivisa perché nes- suno possiede tutta la conoscenza. L’apprendimento collaborativo sollecita pertanto l’interazione sociale al massimo livello ed è quindi fondamentale in una economia della conoscenza. Si potrebbe anche dire che il processo della conoscenza è un apprendi- mento individuale che deriva da un processo di gruppo. Da ciò deriva la necessità di sperimentare ed attuare modalità organizzative diverse da quelle utilizzate nelle diver- se istituzioni nel recente passato. 1.3 Legami tra l’“economia della conoscenza” e la riforma universitaria Le esigenze e le aspettative delle “parti interessate” a un Corso di Laurea in una eco- nomia nella quale la conoscenza svolge un ruolo rilevante sono pertanto, diverse da quelle che si riscontravano nell’ordinamento tradizionale universitario. Nel recente passato si richiedeva un apprendimento essenzialmente di tipo ricettivo attraverso il quale gli studenti acquisivano progressivamente e in maniera significati- va i concetti dell’istruzione. Ora, invece, si pone l’accento anche sulle condizioni ester- ne dell’apprendimento stesso attraverso la presentazione graduale dei contenuti, il comportamento manifesto dello studente, il rinforzo immediato. La riforma universitaria introduce condizioni esterne ai tradizionali metodi di inse- gnamento con l’inserimento dei professori a contratto, in alcuni moduli di insegna- mento, che interagiscono con i docenti accademici, con le esperienze di tirocinio for- mativo che vengono fatte in realtà diverse dal mondo accademico tradizionale e che richiedono un processo di apprendimento che si basa sul recepimento di uno stimolo, che richiede una risposta dello studente ed un rinforzo che può essere dato in manie- ra interattiva dal docente universitario e dal tutor aziendale. Lo stesso accade nelle esperienze formative internazionali dove lo studente si trova a frequentare corsi di insegnamento in Università straniere. L’introduzione del tutorato assicura una guida migliore nel processo di apprendi- mento. Il docente che svolge la funzione di tutor per un certo numero di studenti deve preoccuparsi di far sviluppare le capacità di apprendere, di mobilitare le risor- se interne ed esterne di essi. In altri termini, il docente deve accompagnare lo stu- dente nel processo di imparare ad imparare e non solo trasmettere la conoscenza già acquisita. La riforma universitaria innesta processi di conoscenza che coinvolgono diretta- mente i docenti soprattutto nelle fasi di progettazione, di gestione e di valutazione dei Corsi di Laurea. Si richiede di rispondere a delle esigenze esterne all’organizzazione di appartenenza e quindi, occorre trovare una soluzione ai problemi avendo risorse mate- riali e umane disponibili generalmente limitate rispetto agli obiettivi fissati. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 1 2 6 La riforma universitaria impone di perseguire una formazione di ‘qualità’ che com- porta necessariamente un processo di autovalutazione mai sperimentato in preceden- za. I responsabili della gestione di un Corso di Laurea devono confrontarsi con un modello proposto, al fine di misurarsi e di confrontarsi con altri, possibilmente ‘miglio- ri’ e quindi adottare ‘azioni di miglioramento’; devono inoltre, interagire con altri ‘esterni’ nel processo di valutazione per ottenere una qualifica ed in quello di accredi- tamento per avere il riconoscimento formale della conformità a determinati requisiti concordati a livello nazionale. La valutazione ha quindi, anche dei fini informativi, produce orientamento, genera qualità e nuova conoscenza. Le Università sono, infatti, imprese multi-prodotto: il loro output consiste nella crescita personale e professionale di ciascuno studente e nella creazione di nuova conoscenza. L’istituzione universitaria produce diversi tipi di istruzione e genera quindi, diversi prodotti. Gli studenti, al contrario, acquisisco- no conoscenze in settori differenti e hanno quindi abilità diverse in relazione al Corso di Laurea frequentato. Le Università sono imprese multi-prodotto caratteriz- zate da esternalità e producono beni pubblici perciò non esiste un sistema di prezzi di mercato per valutare il loro output. L’assenza del sistema dei prezzi di mercato implica l’impossibilità di calcolare in maniera univoca la performance complessiva (Geraint, 2000). In passato, un Dipartimento universitario poteva ottenere buoni risultati nella ricer- ca dedicando poco tempo all’insegnamento ed alla crescita professionale degli stu- denti. Non è possibile misurare i risultati di un’organizzazione senza conoscere con chiarezza i suoi fini. La riforma universitaria precisa meglio gli obiettivi del nuovo sistema universitario ed è quindi, ora possibile attribuire dei pesi ai vari output del- l’istituzione universitaria. La piena attuazione della riforma universitaria dovrebbe pertanto accelerare i pro- cessi della produzione della conoscenza. I nuovi indicatori di performance e i meto- di di valutazione dell’output delle imprese multi-prodotto dovrebbero consentire di meglio valutare l’efficienza e l’efficacia delle Università che operano in mercati che non sono perfetti. La valutazione richiede di confrontare gli obiettivi con i risultati (fitness for purpose) prendendo in considerazione anche le differenze tra le varie Università nella qualità e nella quantità degli input utilizzati nel processo produttivo. In base ai risultati della valutazione si può decidere se cambiare ridefinendo gli obiettivi e modificando l’orga- nizzazione. In altri termini, l’istituzione universitaria deve dimostrare di essere adatta a perseguire gli scopi che si prefissa, in maniera autonoma e interagendo con le “parti interessate” e con l’esterno. I processi di apprendimento sono pertanto dinamici e le azioni imposte dalla rifor- ma universitaria permettono di evidenziarne l’importanza dell’analisi sull’esperien- 1 2 7 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 za, della relativa riflessione e dei conseguenti atti di miglioramento. Ciò può tutta- via, risultare difficile se il contesto risulta poco cooperativo e i docenti sono ostili alla riforma universitaria o meglio desiderano continuare a fare quanto facevano in pre- cedenza. Una “economia della conoscenza” è realizzabile solo se vi sono profonde motivazioni nei diversi attori e se si instaurano dei processi di apprendimento di tipo collaborativo. La riforma universitaria ha l’obiettivo di perseguire l’autonomia degli Atenei e la qua- lità dei processi formativi. La ‘qualità’ non è un concetto statico ma è dinamico. Per tale motivo la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI) ha la convin- zione che, incentivando la sperimentazione della riforma universitaria nelle sue diver- se direzioni e obbligando alcuni Corsi di Laurea a fare un determinato percorso con il progetto CampusOne, aumenti la volontà costruttiva nei docenti e si innesti un pro- cesso moltiplicativo, in modo tale che le “azioni del progetto” si trasformino successi- vamente in “azioni di sistema”. 1.4 Il processo di valutazione richiesto dal progetto CampusOne L’attività di valutazione del progetto CampusOne dei Corsi di Laurea si compone di due fasi: l’autovalutazione interna e la valutazione esterna (peer review). Gli obiettivi della autovalutazione sono i seguenti: a) fornire ai responsabili dei Corsi di Laurea la possibilità di effettuare un’autocritica completa dell’offerta didattica e dei servizi; b) evidenziare i punti forti e prendere atto dei punti deboli del Corso di Laurea; c) individuare le aree soggette a un processo di miglioramento; d) confrontare la propria valutazione del Corso di Laurea con quella dei valutatori esterni e con le altre esperienze dei Corsi di Studi della stessa “classe” di laurea. L’autovalutazione è quindi, uno strumento utile anche per misurare il sistema orga- nizzativo del Corso di Laurea e consente di esaminare gli effetti delle azioni di miglio- ramento intraprese. La valutazione esterna è invece, effettuata da un gruppo di esperti, provenienti sia dal settore accademico sia dal mondo del lavoro, che hanno il compito di valutare il Corso di Laurea. Il loro giudizio si basa sull’esame del rapporto di autovalutazione e sulle osservazioni effettuate direttamente nel corso della visita in loco. Il processo di autovalutazione del progetto CampusOne individua cinque dimensioni del Corso di Laurea che devono coesistere ed essere analizzate alla fine di ogni anno accademico. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 1 2 8 Le dimensioni da osservare per ogni Corso di Laurea sono le seguenti: a) esigenze ed obiettivi; b) sistema organizzativo; c) risorse; d) processo formativo; e) risultati, analisi, miglioramento. Ciascuna dimensione si suddivide in elementi che permettono di indirizzare la valuta- zione sugli aspetti peculiari di ciascuna dimensione (cfr. la tab. 2). Tab. 2 - Dimensioni ed elementi del processo di autovalutazione dei Corsi di Laurea in base alla metodologia del progetto CampusOne Esigenze ed obiettivi Esigenze delle parti interessate Obiettivi generali e politiche Obiettivi di apprendimento Sistema organizzativo Responsabilità Sistema di gestione Riesame Risorse Risorse umane Infrastrutture Processo formativo Progettazione Erogazione Servizi di supporto Risultati, Analisi e Miglioramento Risultati Analisi e Miglioramento Fonte: GOLA M., MIRANDOLA R., SQUARZONI A., STEFANI E., TOSI P., TRONCI M., La metodologia di valutazione della qualità dei processi e dei prodotti delle attività universitarie, progetto CampusOne, 2002, www.campusone.it. Gli elementi sono i fattori che determinano la dimensione per cui devono essere valu- tati singolarmente, in modo tale che se il giudizio risulta essere positivo per ciascun elemento lo sarà anche quello della dimensione, mentre se il giudizio di alcuni elementi avrà una valutazione negativa anche la dimensione dovrà essere presa in considera- zione per un’analisi di miglioramento. Il modello di autovalutazione del progetto CampusOne individua poi dei fattori da prendere in considerazione per ciascun elemento sotto forma di domande, in modo tale da delineare un percorso comune per giungere alla valutazione di ogni elemento delle diverse dimensioni di cui si compone un Corso di Laurea. Il percorso di autovalutazione del Corso di Laurea coinvolge talvolta attività o azioni che coinvolgono direttamente la Facoltà di riferimento del Corso di Laurea o lo stesso Ateneo evidenziando così le interazioni, i ruoli del complesso sistema organizzativo universitario. 1 2 9 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 In sintesi, dal modello di autovalutazione del progetto CampusOne emerge il nuovo modello organizzativo del processo di apprendimento delineato dalla riforma uni- versitaria. Esso è delineato nel modo seguente: a) il Consiglio di Corso di Laurea analizza le esigenze delle “parti interessate” e defi- nisce gli obiettivi da raggiungere. Questa è la fase che è stata sintetizzata nella dimensione denominata “esigenze ed obiettivi”; b) il Consiglio di Corso di Laurea deve anche definire l’organizzazione del Corso di Laurea ed applicare un adeguato sistema di gestione. Questa è la fase che è stata sintetizzata nella dimensione denominata “sistema organizzativo”; c) il Consiglio di Corso di Laurea gestisce le risorse necessarie per il raggiungimento degli obiettivi. Questa è la fase che è stata sintetizzata nella dimensione denomi- nata “risorse”; d) il Consiglio di Corso di Laurea decide come erogare il processo formativo e quali supporti deve avere. Questa è la fase che è stata sintetizzata nella dimensione deno- minata “processo formativo”; e) il Consiglio di Corso di Laurea esamina i risultati, analizza il processo di Corso di Laurea e delinea piani di miglioramento. Questa è la fase che è stata sintetizzata nella dimensione denominata “risultati, analisi e miglioramento”. Considerazioni finali Dall’esame delle componenti essenziali del progetto CampusOne emerge chiaramente l’importanza delle azioni proposte soprattutto quando saranno estese all’intero sistema dei Corsi di Laurea triennali. Queste azioni faciliteranno il perseguimento degli obiet- tivi della riforma del sistema universitario italiano in maniera efficiente ed efficace. Occorre tuttavia, osservare che le prime esperienze dei corsi inserite nel progetto CampusOne hanno fatto emergere una serie di difficoltà che sono già state previste dagli esperti della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI). I punti critici della riforma universitaria italiana, e quindi anche quelli collegati ai pro- cessi di valutazione, sono numerosi. In particolare, si rileva la complessità della riforma universitaria a causa della simul- taneità delle sue azioni innovative interessando contemporaneamente sia gli aspetti del sistema sia quelli del prodotto. Si rileva poi la limitatezza delle risorse qualifica- te impegnate nel processo di riqualificazione dell’ordinamento universitario soprat- tutto nelle Università di piccole e medie dimensioni. Vi è anche la necessità di creare negli attori del processo di riforma universitaria una motivazione reale nel persegui- ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 1 3 0 mento degli obiettivi primari, in modo tale da generare un cambiamento reale e non solo di natura formale. Il nuovo modello organizzativo dovrà necessariamente meglio integrare le diverse strutture che sono coinvolte ed attrezzarsi per meglio superare le difficoltà di valuta- zione nei termini di efficienza e di efficacia delle azioni di miglioramento organizzati- vo e di investimento a medio e lungo termine. Dalla sperimentazione della prima fase del progetto CampusOne appare molto chiara- mente che non bastano solo nuove risorse finanziarie e le “buone intenzioni” di una serie di operatori delle varie Università per realizzare effettivamente dei progetti innovativi ed efficaci nel campo della formazione universitaria. È necessario andare oltre e ciò richie- de di creare capacità di adattamento effettivo delle persone al cambiamento continuo e modifiche talvolta radicali delle strutture universitarie. Si richiede una maggiore aper- tura al rischio, alla disponibilità di mettersi in discussione e a rivedere iniziative delle diverse fasi di realizzazione, alla capacità di organizzare e realizzare processi innovativi in collaborazione realizzandoli con atteggiamenti cooperativi, evitando di agire in com- petizione individuale e formale. Occorre però, rilevare che il progetto CampusOne è solo alla fase di un faticoso inizio. Vi sono ancora due anni di esperienza da fare prima di poter giungere ad una valuta- zione compiuta sul significato e sui limiti dell’applicazione della riforma universitaria per conseguire adeguatamente i suoi obiettivi. Gli inconvenienti e le difficoltà emerse potranno essere quindi, di stimolo per compie- re i riesami necessari, per generare capacità di adattamento al cambiamento delle isti- tuzioni universitarie, sulla revisione delle modalità di erogazione dei processi formati- vi, in una prospettiva di sviluppo della formazione universitaria italiana, in linea con il perseguimento di una “economia della conoscenza”, comparabile con ciò che si sta realizzando in altri paesi tecnologicamente avanzati. 1 3 1 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 A.2 Esperienza del CIOFS-FP di Vittorio Veneto Anche noi, nelle prospettive che sono offerte da questo Seminario, possiamo presenta- re un’ esperienza, che, in quest’anno formativo, si è venuta ad affiancare ai corsi che svolgiamo normalmente: di “Progettista CAD”, di “Assistente di Direzione”, di “Operatore in operazioni commerciali con l’estero”, di “Assistente tecnico di controllo e di gestione”. Mi riferisco al Corso di “Multimedia Designer”, in attuazione di un progetto I.F.T.S. Formazione Tecnico-Professionale Superiore Integrata. Un corso che si sta attuando intensamente (tra due settimane entrerà nella fase dello stage) e che vede la collaborazione con il CIOFS dell'Istituto di Istruzione Superiore "Flaminio" di Vittorio Veneto, dell’Università Ca' Foscari di Venezia - Facoltà di Economia, di Unindustria Treviso, nonché di Formazione Unindustria Treviso e di Treviso Tecnologia, l’azienda speciale per l’innovazione tecnologia creata dalla Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Treviso. È la prima volta che nel nostro centro viene attuata un’iniziativa cosi complessa e innovativa ed è anche l’unico caso - credo - nella regione che veda il CIOFS in fun- zione di capofila ed ente gestore. Più che mai questo progetto ci ha visti impegnati ad interpretare le esigenze dei gio- vani, del territorio, delle aziende, con spirito innovativo e al passo coi tempi, assicu- rando le necessarie sinergie e la complessa integrazione della modulistica formativa. Il progetto risponde alle esigenze del “sistema impresa”, che ha bisogno, di persone capaci di operare in modo innovativo, con una dimensione nuova nella rappresen- tazione dei prodotti, descritti, graficamente e dinamicamente, nella loro funzionalità nei siti Internet. Il progettista di applicazioni multimediali su web si trova a svolgere un ruolo molto vario ed interessante, che associa competenza tecnica, competenza relazionale e cono- scenza del business dell'organizzazione in cui opera, integrando le prestazioni dello staff di promozione, pubblicità e marketing. Egli è posto in grado di offrire all'impresa le risorse delle nuove tecnologie e di informare come queste possano influire positivamente sul rendimento dell'azienda. Nei 21 moduli del corso, oltre all'introduzione all'economia aziendale, all'imprendito- rialità, all'attitudine al lavoro di gruppo, allo sviluppo delle attività negoziali, data la possibilità di progettare e realizzare l'interfaccia grafica di prodotti multimediali rivol- ti a sistemi come cd-rom, siti Internet e piattaforme portatili, assicurando facilità di fruizione dei contenuti, usabilità da parte dell'utente finale e un’interfaccia accoglien- te ed efficace. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 1 3 2 Ciò perché, per progettare anche sistemi complessi tipo siti di e-commerce, è necessaria una conoscenza completa delle potenzialità di un sistema multimediale per il web e dei supporti multimediali in genere, degli strumenti per automatizzare le procedure di crea- zione dei contenuti, di programmi per creare e manipolare immagini e filmati. Per dare un’idea dell'impegno dei 22 giovani coinvolti in questa esperienza, prove- nienti da tutta l'area alto-trevigiana e anche dalla provincia di Belluno, basti dire che, da marzo ad oggi, con un orario di 6 ore giornaliere, non c’è una defezione. A coloro che avranno frequentato con profitto, iscrivendosi ad una laurea triennale della facoltà universitaria, saranno riconosciuti 5 crediti per l’idoneità di lingua inglese, 5 per l’informatica, 5 per lo svolgimento del tirocinio. Mario Ulliana Docente di Letteratura Italiana e Presidente presso l’Università Ippolito Pinto di Vittorio Veneto 1 3 3 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 A.3 Indagine sullo stato di attuazione dei processi di Agenda 21 Locale in Italia La partecipazione (su 241 Enti che hanno attivato il processo di A21L) Il Forum Il 17% degli Enti italiani che hanno aderito alla Carta di Aalborg hanno attivato un Forum A21L come principale strumento di partecipazione del processo di A21L, men- tre un altro 3% non l’ha ancora avviato ma prevede di attivarlo entro il 2002. Complessivamente il 20% (45 su 241), ovvero un ente su cinque, ha attivato o è in procinto di attivare un Forum A21L. Questo strumento che dovrebbe essere la base della partecipazione multi-settoriale risulta di fatto essere ancora poco diffuso rispetto alle A21L attivate. FIG. 1 - È STATO UFFICIALMENTE ATTIVATO UN FORUM A21? Gli attori / stakeholders coinvolti Dall’elaborazione dei dati relativi alla partecipazione, facendo pari a 100 il totale delle risposte fornite (si trattava di una domanda a risposte multiple), viene confermata una partecipazione di carattere continuativo ai Forum A21L prima di tutto da parte degli Enti pubblici (Amministrazioni locali, ma anche Enti Parco, Autorità di Bacino, ecc.) i quali costituiscono d’altra parte proprio i promotori di tali processi. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 1 3 4 No, ma entro il 2002 3% No 80% Sì 17% La partecipazione ai Forum è alta anche da parte delle associazioni ambientaliste, pro- babilmente a causa del fatto che lo strumento Agenda 21 Locale già dalla Conferenza di Rio nasce come strumento di partecipazione e gestione ambientale, assumendo solo in un secondo tempo l’accezione più ampia di strumento generale di supporto alle poli- tiche di sviluppo sostenibile anche sui temi sociali ed economici. Proseguendo in ordine decrescente, tra i soggetti che partecipano con continuità ai Forum si ritrovano i tradizionali interlocutori istituzionali degli Enti locali ed in par- ticolare delle Amministrazioni locali, ovvero Associazioni di categoria e Organizzazioni sindacali. Anche le imprese private e le associazioni imprenditoriali rappresentano un soggetto attivo nei Forum, insieme al mondo della scuola. La partecipazione in assoluto più carente e discontinua, al contrario, pare essere quella delle associazioni degli immigrati, delle associazioni femminili e di quelle giovanili, categorie di soggetti “deboli” sotto diversi aspetti, nonostante siano sog- getti fondamentali da coinvolgere tra i vari Capitoli sui Major Groups contenuti nel documento originario Agenda 21 dell’ONU. Causa probabile di questo scarso coin- volgimento, da un lato l’esclusione inconscia da parte degli Enti promotori di grup- pi considerati non prioritari rispetto ai temi da trattare, dall’altro, da parte di que- sti stessi attori sociali, una percezione dei processi di Agenda 21 come poco appe- tibili rispetto ai propri interessi e priorità. Di fatto la mancanza di un’appropriata comunicazione a due-vie con linguaggi e strumenti appropriati. Discontinua anche la partecipazione delle Associazioni dei consumatori, delle Associazioni sportive, dei media e - purtroppo - del mondo universitario e della ricer- ca, che invece potrebbe rappresentare un interlocutore prezioso per il supporto tecni- co e l’autorevolezza. 1 3 5 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 FIG. 2 - QUALI SONO LE ORGANIZZAZIONI CHE PARTECIPANO CON CONTINUITÀ AL FORUM A21L? FIG. 3 - QUALI ORGANIZZAZIONI PARTECIPANO CON CONTINUITÀ AL FORUM A21L? ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 1 3 6 5,3% 5,3% 5,6% 5,8% 6,2% 6,9% 8,4% 0,0 % 1,0 % 2,0 % 3,0 % 4,0 % 5,0 % 6,0 % 7,0 % 8,0 % 9,0 % Associazioni imprenditoriali Scuole di diverso grado Imprese Organizzazioni sindacali Associazioni di categoria Associazioni ambientaliste Enti pubblici (Enti Parco, Autorità di Bacino, ecc) 0,1% 0,7% 2,3% 2,7% 3,4% 3,4% 3,9% 3,9% 4,2% 4,3% 4,4% 4,4% 4,4% 4,6% 4,7% 5,1% 5,3% 5,3% 5,6% 5,8% 6,2% 6,9% 8,4% 0,0% 1,0% 2,0% 3,0% 4,0% 5,0% 6,0% 7,0% 8,0% 9,0% Associazioni di immigrati Associazioni femminili / Pari Opportunità Associazioni / circoli giovanili Associazioni consumatori Associazioni sportive Media locali (Quotidiani, Tv, radio) Università e centri di ricerca Enti di controllo pubblico (es. Arpa, Usl) Associazioni volontariato sociale Ordini professionali Commercianti Associazioni agricoltori Associazioni/circoli culturali Singoli cittadini Associazioni del volontariato Associazioni commercianti Associazioni imprenditoriali Scuole di diverso grado Imprese Organizzazioni sindacali Associazioni di categoria Associazioni ambientaliste ti pubblici (Enti Parco, Autorità di Bacino, ecc) 1 3 7 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 FIG. 4 - QUALI ORGANIZZAZIONI PARTECIPANO PIÙ RARAMENTE AL FORUM A21L? I gruppi di lavoro tematici All’interno della maggior parte dei Forum plenari, sono stati attivati o si prevede di attivare dei gruppi tematici. Il numero di questi gruppi tematici varia, andando da uno a 24, ma quasi nella metà dei casi (46%) ne sono previsti tre o quattro. Appare tutta- via ancora elevata la percentuale di casi in cui il lavoro per gruppi tematici non è pre- visto, (22% dei casi), indice evidente del fatto che una delle caratteristiche principali dell’Agenda 21, la partecipazione operativa attraverso gruppi dedicati ad ambiti cir- coscritti e a temi specifici, non sia ancora del tutto stata recepita. Laddove sono stati attivati o previsti gruppi che lavorano su temi ambientali e/o ter- ritoriali, l’interesse risulta puntato in modo sufficientemente equilibrato sui moltepli- ci aspetti elencati dal questionario, con una leggera prevalenza del tema dei rifiuti (17,2%). Seguono in ordine decrescente la gestione e programmazione del territorio e il tema delle acque (entrambi al 15,2%), la mobilità e i trasporti insieme al tema del- l’aria (entrambi al 14%), ed infine l’energia (13,6%) e la biodiversità (10,4%). 0,1% 0,7% 2,3% 2,7% 3,4% 3,4% 3,9% 0,0% 0,5% 1,0% 1,5% 2,0% 2,5% 3,0% 3,5% 4,0% 4,5% Associazioni di immigrati Associazioni femminili / Pari Opportunità Associazioni / circoli giovanili Associazioni consumatori Associazioni sportive Media locali (Quotidiani, Tv, radio) Università e centri di ricerca ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 1 3 8 FIG. 5 - SU QUALI TEMI AMBIENTALI-TERRITORIALI SONO STATI ATTIVATI FINORA O SONO PREVISTI I GRUPPI TEMATICI? Più variegata la situazione relativa ai gruppi tematici attivati sui temi economici, dove l’interesse prevalente si attesta decisamente sulle attività produttive (33,9%), vale a dire sul settore economico più d’impatto in relazione alle problematiche ambientali. Seguono con un certo distacco i temi del turismo e dell’agricoltura (entrambi al 21,1%), quindi il lavoro/occupazione e il settore dei servizi e del terziario (entrambi all’11,9%). FIG. 6 - SU QUALI TEMI ECONOMICI SONO STATI ATTIVATI FINORA O SONO PREVISTI GRUPPI TEMATICI? Rispetto ai temi sociali, di nuovo si riscontra come l’interesse si divida in modo sostan- zialmente bilanciato su diversi aspetti. L’interesse prevalente è per il tema della for- mazione ed educazione, con una percentuale, pari al 18,1%, che riflette probabilmen- 10,4% 13,6% 14,0% 14,0% 15,4% 15,4% 17,2% 0,0%2,0%4,0%6,0%8,0%10,0 % 12,0 % 14,0 % 16,0 % 18,0 % 20,0 % Biodiversità Energia Aria Mobilità /Trasporti Acqua Gestione / Programmazione del territorio Rifiuti 11,9% 11,9% 21,1% 21,1% 33,9% 0,0% 5,0% 10,0% 15,0% 20,0% 25,0% 30,0% 35,0% 40,0% Servizi /Terziario Lavoro e occupazione Agricoltura Turismo Attività produttive 1 3 9 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 te la notevole partecipazione ai Forum da parte del mondo della scuola. Seguono i ser- vizi e la coesione sociale (15,9%), comunicazione ed informazione alla pari con salu- te e sicurezza (13,8%), quindi con percentuali lievemente decrescenti i temi della par- tecipazione, della cultura e del patrimonio artistico, dei consumi. Ultimo, e con notevole distacco percentuale rispetto agli altri ambiti, il tema delle pari opportunità (5,1%), dato questo perfettamente in linea con la scarsa partecipazione ai Forum da parte delle associazioni femminili e con le considerazioni sopra esposte a questo proposito. FIG. 7 - SU QUALI TEMI SOCIALI SONO STATI ATTIVATI FINORA O SONO GRUPPI TEMATICI? In sintesi, la scelta degli ambiti di lavoro da parte dei gruppi tematici sembra riflette- re abbastanza fedelmente la maggiore o minore partecipazione ai Forum A21L di determinati soggetti. Come nei Forum si riscontra una buona partecipazione da parte delle imprese e delle loro associazioni, ad esempio, nei gruppi che lavorano su temi economici, riscontriamo in parallelo che le attività produttive costituiscono nettamente il tema di maggior interesse. Viceversa, scarsa attenzione viene dedicata a temi i cui portatori d’interesse sono assenti o scarsamente presenti nei Forum plenari, come le associazioni femminili o quelle dei consumatori. Ruolo e poteri del Forum A21L Dall’indagine realizzata, sembrerebbe che gli enti promotori coinvolgano in modo cre- scente il Forum A21L nella definizione delle proprie politiche sul territorio, oltre ai g pp 5,1% 10,1% 10,9% 12,3% 13,8% 13,8% 15,9% 18,1% 0,0% 2,0% 4,0% 6,0% 8,0% 10,0 % 12,0 % 14,0 % 16,0 % 18,0 % 20,0 % Pari Opportunità Consumi Cultura e patrimonio artistico Partecipazione Salute e sicurezza Comunicazione e informazione Servizi e coesione sociale Formazione e educazione ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 1 4 0 temi dell’A21L. Infatti, il 59% degli enti promotori dichiara di coinvolgere “molto” il Forum per definire le proprie scelte strategiche o validare-informare su specifici pro- getti, il 27% “poco” e soltanto il 14% ammette di non coinvolgerlo in nessun modo. Tuttavia, se al Forum sembra essere riconosciuto un certo ruolo, sono piuttosto rari (22%) i casi in cui questo riconoscimento porta gli enti promotori anche a dotare il Forum di una propria autonomia economica per gestire direttamente la realizzazione di progetti emersi dal Piano di Azione A21L o dal Forum. FIG. 8 - L’ENTE COINVOLGE IL FORUM A21 NELLE SUE SCELTE RIGUARDANTI PROGETTI DI SETTORE? FIG. 9 - IL FORUM A21 É ECONOMICAMENTE AUTONOMO RISPETTO ALL ’ENTE NELLA GESTIONE DEI PROGETTI? Strumenti di partecipazione La partecipazione ai Forum plenari e ai gruppi di lavoro tematici viene generalmente promossa e stimolata attraverso l’uso di diversi strumenti. Quelli utilizzati più frequen- temente sono gli incontri di formazione ed informazione, insieme ai tradizionali materiali informativi cartacei (opuscoli, depliant, ecc.) e all’utilizzo delle pagine web dedicate. È ancora prevalente, quindi, l’utilizzo di strumenti monodirezionali/informativi, men- Per niente 14% Poco 27% Molto 59% No 63% In parte 15% Sì 22% 1 4 1 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 tre risulta ancora scarso l’utilizzo di strumenti di comunicazione interattivi partecipa- ti come, ad esempio, workshops, forum, focus group o strumenti multimediali. FIG. 10 - QUALI STRUMENTI SONO STATI UTILIZZATI PER FAVORIRE LA PARTECIPAZIONE? Facilitazione dei gruppi e del Forum Per quanto concerne la facilitazione dei gruppi di lavoro tematici e del Forum, emer- ge come la figura del facilitatore si dimostra essere una figura cruciale nei processi di A21L. Infatti, ben nell’85% dei casi sono stati coinvolti dei facilitatori per gestire i lavori dei gruppi tematici. Interessante, quindi, potrebbe essere la prospettiva di formazione di nuovi profili pro- fessionali con risvolti occupazionali nuovi o come aggiornamento di profili esistenti. Emerge tuttavia, come questa figura strategica venga nella maggioranza dei casi (60%) reperita all’esterno, evidenziando la scarsa presenza di personale interno agli enti promotori con competenze professionali adeguate alla gestione di gruppi interset- toriali o in alternativa con insufficiente disponibilità di tempo per dedicarsi efficace- mente a questo compito. Rispetto poi alle tecniche di facilitazione utilizzate, si sta diffondendo l’utilizzo della metodologia UE EASW (European Awareness Scenario Workshop) (42% dei casi), tec- nica promossa dall’Unione Europea per il coinvolgimento multisettoriale di diversi atto- ri su iniziative e progetti di sviluppo sostenibile a livello urbano, così come altre tecniche di partecipazione di derivazione anglosassone (simulazioni di scenari futuri, Planning for Real), segno evidente di una “contaminazione” e di relazioni e networks con il contesto europeo più avanzato nel campo degli strumenti e metodologie di partecipazione. 3,6% 3,6% 4,5% 5,9% 11,7% 14,0% 18,0% 19,4% 19,4% 0,0% 5,0% 10,0% 15,0% 20,0% 25,0% Riviste dedicate ai temi dello sviluppo sostenibile Campagne Radio Mostre Trasmissioni televisive dedicate Tavoli di lavoro / Consulte già esistenti Questionari / indagini periodiche Pagine web dedicate all’A21L Opuscoli informativi Incontri di informazione / formazione ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 1 4 2 FIG. 11 - SONO STATI COINVOLTI DEI FACILITATORI PER CONDURRE I LAVORI DEI GRUPPI TEMATICI ? FIG. 12 - SONO STATE UTILIZZATE SPECIFICHE TECNICHE DI FACILITAZIONE? Sì , interni 25% No 15% Sì , esterni 60% 7% 16% 36% 42% 0% 5% 10% 15% 20% 25% 30% 35% 40% 45% Planning for Real Matrici Simulazioni di scenari EASW ® (European Awareness Scenario Workshop) 1 4 3 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 Analisi dei problemi Ambiti tematici Il 13% degli Enti italiani che hanno aderito alla Carta di Aalborg o al Coordinamento nazionale Agende 21 Locale, attivando il processo di A21L, hanno svolto un’analisi dei problemi, ovvero hanno formulato un quadro diagnostico al fine di evidenziare le principali criticità tematiche, relative cause ed effetti sul territorio locale. FIG. 13 - È STATA SVOLTA UN’ANALISI SUL TERRITORIO? Per quanto riguarda le aree tematiche investigate, l’area ambientale-territoriale è sem- pre presente nelle analisi per un 50% dei casi. In un altro 16% dei casi, oltre alle tematiche ambientali sono state affrontate esclusiva- mente quella economica (27%) o quella sociale-culturale-sanitaria (23%). FIG. 14 - RISPETTO A QUALI AREE TEMATICHE É STATA FATTA UN ’ANALISI DEL TERRITORIO? 23% 27% 50% 0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% Sociale-culturale- Economica Ambientale-territoriale Sì , in parte 3% No 87% Sì 10% ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 1 4 4 Strumenti di analisi Rispetto alla domanda per rilevare quali sono stati i principali strumenti usati per formulare il quadro diagnostico, emerge che è prevalentemente utilizzata la Relazione sullo Stato dell’Ambiente (RSA) per il 36%, le relazioni di esperti su sin- goli temi ( 24%). Ciò conferma l’approccio principalmente ambientale dei processi di A21L finora avviati, tenendo conto tra l’altro degli Assessorati promotori. L’utilizzo di dati locali sulla situazione sociale (21%) ed economica (19%) risultano più limitati. Lo scarso utilizzo di tali ulteriori fonti potrebbe essere dovuto alla diffi- coltà di reperire informazioni di tipo economico e sociale a livello territoriale ma, con- siderato in pratica l’esistenza consolidata di fonti, ricerche e dati istituzionali e priva- ti sulle problematiche sociali ed economiche in generale, sembra più probabilmente dovuto al “taglio” territoriale-ambientale e alle relative emergenze esistenti sul terri- torio, motivo prevalente dell’avvio dei processi di A21L e della scelta dei temi e rela- tivi gruppi tematici. FIG. 15 - QUALI PRINCIPALI STRUMENTI DI ANALISI SONO STATI USATI? Priorità dei problemi Le principali aree problematiche emerse sono rispettivamente mobilità e trasporti sul fronte ambientale, seguito dalle problematiche relative ad acqua, rifiuti ed aria. Sorprendentemente, la biodiversità, tema in generale di dibattito a livello comuni- tario e mondiale, risulterebbe essere il meno critico. Tra le aree di rilevanza econo- mica, le attività produttive appaiono le più problematiche, seguite dal turismo e agricoltura, mentre tra i temi sociali la formazione emerge come il tema più affron- tato, seguito da comunicazione ed informazione e partecipazione. 19% 21% 24% 36% 0% 5% 10% 15% 20% 25% 30% 35% 40% Dati sulla situazione economica locale Dati sulla situazione sociale locale Relazioni di esperti su singoli temi Relazione Stato Ambiente 1 4 5 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 Temi più consolidati come servizi e coesione sociale, consumi e cultura confermano quanto sottolineato rispetto alle relazioni tra temi trattati e ruolo e rappresentatività dei partecipanti coinvolti nel Forum e nei gruppi tematici di lavoro. La scarsa atten- zione al tema Pari Opportunità evidenzia questo aspetto. FIG. 16 - QUALI SONO LE PRINCIPALI AREE PROBLEMATICHE EMERSE IN AMBITO AMBIENTALE-TERRITORIALE? FIG. 17 - QUALI SONO LE PRINCIPALI AREE PROBLEMATICHE EMERSE IN AMBITO ECONOMICO? 3,9% 8,6% 13,3% 16,4% 17,2% 18,8% 21,9% 0,0% 5,0% 10,0% 15,0% 20,0% 25,0% Biodiversità Energia Gestione / Programmazione del territorio Aria Rifiuti Acqua Mobilità /Trasporti 7,1% 16,7% 19,1% 26,2% 31,0% 0,0% 5,0% 10,0% 15,0% 20,0% 25,0% 30,0% 35,0% Servizi /Terziario Lavoro e occupazione Agricoltura Turismo Attività produttive ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 1 4 6 FIG. 18 - QUALI SONO LE PRINCIPALI AREE PROBLEMATICHE EMERSE IN AMBITO SOCIALE? Definizione del Piano di Azione Piano di Azione Tra gli enti che hanno attivato il processo di A21L, solo il 6% degli Enti italiani hanno definito un Piano di Azione per la sostenibilità locale, prodotto finale del processo di A21L. FIG. 19 - È STATO DEFINITO UN PIANO DI AZIONE LOCALE? La situazione testimonia come, mano a mano ci si addentra nelle fasi più sofistica- te e complesse dell’A21L, si restringa molto il numero degli enti che sono riusciti a mettere a punto strumenti strategici quali, appunto, i Piani d’Azione Locali. Sono infatti soltanto 14 su 241 gli enti che hanno dichiarato nelle interviste di aver definito un Piano d’Azione. 1,7% 6,8% 8,5% 11,9% 15,3% 17,0% 17,0% 22,0% 0,0% 5,0% 10,0% 15,0% 20,0% 25,0% Pari Opportunità Cultura e patrimonio artistico Consumi Servizi e coesione sociale Salute e sicurezza Comunicazione e informazione Partecipazione Formazione e educazione Sì 6% No 94% 1 4 7 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 In questo ristretto sottoinsieme di enti che hanno definito il Piano d’Azione, circa la metà dichiara inoltre, che esiste o che è in corso di definizione un documento condiviso, diver- so dal Piano d’Azione, che definisce obiettivi strategici per lo sviluppo sostenibile locale. FIG. 20 - ESISTE UN DOCUMENTO CONDIVISO, DIVERSO DAL PIANO DI AZIONE, CHE DEFINISCE OBIETTIVI STRATEGICI PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE LOCALE? Indicatori e target Quando il Piano d’Azione è definito, sono generalmente previsti degli indicatori per le singole azioni ( 83%) e sono stati definiti risultati misurabili da raggiungere (61%). FIG. 21 - IL PIANO DI AZIONE CONTIENE PER SINGOLE LE AZIONI APPOSITI INDICATORI? FIG. 22 - SONO STATI DEFINITI RISULTATI MISURABILI DA RAGGIUNGERE? Sì , è in corso 6% No 50% Sì 44% pp Sì , in parte 11% No 6% Sì 83% Sì , in parte 22% No 17% Sì 61% ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 1 4 8 Ruoli Anche chi dovrà attuare le azioni previste risulta sostanzialmente individuato con chiarezza: il ruolo di principale attuatore è svolto dagli Enti pubblici (42% dei casi), insieme alle Associazioni degli imprenditori, di categoria e all’associazionismo (entrambi i soggetti con il 29%). FIG. 23 - SONO STATI INDIVIDUATI GLI ATTUATORI DELLE AZIONI? Ambiti tematici Metà dei Piani d’Azione definiti vedono la prevalenza delle tematiche ambientali, ma l’altra metà risulta equilibrata sulle diverse tematiche ambientali, economiche e sociali. Quest’approccio conferma l’impostazione ambientale diffusa dei Piani ma rivela anche una tendenza verso l’integrazione intersettoriale. FIG. 24 - QUALI SONO GLI AMBITI TEMATICI PREVALENTI DEL PIANO DI AZIONE A21L? No 6% Sì 94% Equilibrio tra tre ambiti 50% Prevalenza ambientale 50% 1 4 9 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 BIBLIOGRAFIA 1 Renata Livraghi BOCCACCIO M., Hayek. Teoria della conoscenza e teoria economica, Laterza, Roma 1996. FREY L., LIVRAGHI R., “Nuova economia” e lavoro a elevato livello di apprendimento, in «Quaderni di Economia del Lavoro», n. 71, Franco Angeli, Milano 2001. FORAY D., L’economie de la connaissance, Éditions La Découverte, Parigi 2000. GERAINT J., Economia dell’istruzione, Il Mulino, Bologna 2000. HARRISON R., Learning and development, Chartered Institute of Personnel and Development, Londra 2002. HAYEK F. A., The Use of Knowledge in Society, in "Individualism and Economic Order", The University of Chicago Press, Chicago 1948. LIVRAGHI R., La new economy: specificità ed effetti sul lavoro, in «Aggiornamenti Sociali», n. 12, 2000, pp. 813-824. LIVRAGHI R., Effetti socioeconomici della new economy, in «Aggiornamenti Sociali», n.2, 2001, pp. 99-111. MINISTERO DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA SCIENTIFICA E TECNOLOGICA, Regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei, D.M. 3 novembre, n. 509, 1999. MINISTERO DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA SCIENTIFICA E TECNOLOGICA, Determinazione delle classi delle lauree universitarie. Classi delle lauree universitarie, D.M. 4 agosto 2000. MINISTERO DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA SCIENTIFICA E TECNOLOGICA, Determinazione delle classi delle lauree universitarie. Classi delle lauree specialistiche, D.M. 28 novembre 2000. Benedetto Rocchi BASILE E., CECCHI C., La trasformazione post-industriale della campagna. Dall’agricoltura ai sistemi locali rurali, Rosenberg & Sellier, Torino 2001. BASILE E., ROMANO D. (Edd.), Sviluppo rurale: società, territorio, impresa, Franco Angeli, Milano 2002. 1 Riportiamo la bibliografia e la sitografia con cui alcuni autori hanno ritenuto opportuno comple- tare il testo. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 1 5 0 BECATTINI G., Dal distretto industriale allo sviluppo locale, Boringhieri, Milano 2000. BIANCHI P., MILLER L., Innovation, collective action and endogenous growth: an essay in institu- tions and structural change, in «Dynamis», n. 2, 1994. CODELUPPI V., Il marketing e il nuovo consumatore, in «Micro & Macro Marketing», n. 9, 2000, pp. 9 - 27. FAVARETTO I., Innovazione e mercato del lavoro regionale, in ESPOSTI R. - SOTTE F. (Edd.), Sviluppo rurale e occupazione, Franco Angeli, n. 155, Milano 1999 pp. 187. MEINI M.C., GRASSI M., PAGNI R., CALAMANDREI D., Figure sistemiche. Professionalità emer- genti nella Toscana che cambia, Franco Angeli, Milano 2001. PASINETTI L., Dinamica economica strutturale, Il Mulino, Bologna 1994. ROMAGNOLI A., Caratteri della ruralità ed evoluzione degli spazi rurali, in BASILE E., ROMANO D. (Edd.), Sviluppo rurale: società, territorio, impresa, Franco Angeli, Milano 2002, pp. 116 - 133. SARACENO E., Alternative readings of spatial differentiation: the rural versus the local eco- nomy approach in Italy, in «European Review of Agricultural Economics», n. 21, 1992, pp. 451-474. SOTTE F., Alla ricerca di una politica rurale, in ESPOSTI R. - SOTTE F. (Edd.), Sviluppo rurale e occupazione, Franco Angeli, Milano 1999, pp. 29 - 55. Philip O’Connor Pubblicazioni del Patto: B. FEENEY B., WALSH D., Social Investment for Disadvantaged Areas of Dublin, Goodbody Economic Consultants. FITZGERALD E., INGOLDS B., Solving Long-term Unemployment in Dublin, Dept. Social Policy, UCD. FLEMING T., MURPHY M., Squaring the Circle: Analysis of programmes in Dublin schools to prevent early school-leaving, NUI Maynooth. MORGAN M., School and Part-time Work in Dublin. MORGENROTH E., Economic, Employment and Social Profile of Dublin in A joint study for DEP and Dublin Regional Authority. IMMINK R., Social Enterprise – A Workbook for Community Groups. REIDY F., Sources of Finance for Social Enterprises in Ireland in, A joint study, DEP, ADM, Clann Credo, Westmeath Employment Pact. News and Analysis of the Dublin Labour Market in «DEP News». Giampietro Parolin GUI B., Per una diversa dimensione dell’Economia, Piacenza 1996. 1 5 1 ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 SITOGRAFIA Piero Garavelli: SITI E RISORSE WEB SU SVILUPPO SOSTENIBILE E AGENDA 21 SITI UFFICIALI ITALIANI: - Pagine dedicate ad Agenda 21 nel sito del Ministero dell'Ambiente: informazioni dettagliate sui programmi, sui bandi aperti e sullo stato dell'arte di Agenda 21 in Italia. Presenti link a documenti ed altri siti dedicati alla tematica dello sviluppo sostenibile http://www.minam- biente.it/SVS/agenda21/agenda.htm. - Associazione A21Italy: Associazione che riunisce gran parte dei forum di Agenda 21 Locale attivati in Italia. Sito molto ricco di informazioni e link utili: http://www.a21italy.net. SITI INTERNAZIONALI sullo sviluppo sostenibile: - International Institute for Sustainable Development (IISD) http://iisd1.iisd.ca/. - Commissione europea DG XI.D.3. (Progetto città sostenibili) http://europa.eu.int/ comm/ dg11/urban/home_en.htm. - Campagna Europea per le città sostenibili: http://www.sustainable-cities.org. - International Council for Local Environmental Initiatives (ICLEI). http://www.iclei.org. - Progetto BEST (Businesses for an Environmentally Sustainable Tomorrow) http:// www.ci.portland.or.us/energy/web/bestcasestudies.html. - Commissione europea DG XI/LIFE (Action Towards Local Sustainability – ATLAS) http://www.sustainability.org.uk/. SITI INTERNAZIONALI dove trovare o scambiare informazioni su politiche, progetti, casi di studio ed esempi di successo: - Commissione europea DG XI (Database delle buone prassi in campo di Urban Management e sostenibilità) http://www.europa.eu.int/comm/urban/. - Sito Ufficiale sull'agenda 21 locale in europa http://www.iclei.org/europe/la21. - Local Sustainability (Buone prassi europee) http://cities21.com/europractice. - Sustainable Communities Information Databank (SCI): http://www.ccn.cs.dal.ca/. - Sustainable Communities Network (Analisi di casi) http://www.sustainable.org/casestudies/ studiesindex.htm. - Istituto di Ricerca sullo sviluppo sostenibile(SDRI) http://www.sdri.ubc.ca/. - U.S. Alliance for National Renewal (ANR) - Database di progetti http://www.ncl.org/ anr/comin- dex.htm. - Biblioteca virtuale sullo sviluppo sostenibile http://www.ulb.ac.be/ceese/meta/sustvl.html. ATTI DEL SEMINARIO DI FORMAZIONE EUROPEA 2002 1 5 2 PROGRAMMI DELLE NAZIONI UNITE IN MATERIA DI SVILUPPO SOSTENIBILE: - United Nations Centre for Human Settlements (Habitat) http://www.undp.org/un/habitat/. - United Nations Development Programme (UNEP) http://www.undp.org/undp /info21/ sec- tor/s-envir.html. - United Nations Economic and Social Development (ESA) http://www.un.org/esa/. - United Nations Economic Commission for Europe (UNECE) http://www.unicc.org/unece/. - United Nations Environment Programme (UNEP) http://www.unep.org. Documenti scaricabili dalla rete (in italiano): - Strategia di azione per lo sviluppo sostenibile del ministero dell'ambiente http://www.minambiente.it/SVS/svs/docs/strategia_azione_ambientale.pdf. - Capitolo 28 Agenda 21 - http://www.minambiente.it/SVS/svs/docs/a21_cap28.pdf, (tra- duzione a cura del Ministero dell'Ambiente). - Manuale ICLEI per la realizzazione di progetti agenda 21 locale http://www.flanet.org/download/publications/a21l.pdf. - Carta di Aalborg (1994) - http://www.sustainable-cities.org/aal_it.html. - Piano d'azione di Lisbona (1996) - http://www.sustainable-cities.org/lis_it.html. - Dichiarazione di Siviglia (1999) http://www.sustainable-cities.org/Seville_Statement_Italian.doc. - Carta di Ferrara (1999) - http://www.a21italy.net/cartaferrara.doc. - Appello di Hannover (2000) - http://www.sustainable-cities.org/hancall_italian.htm. - Ricerca A21l Avanzi 1998 -http://www.avanzi.org/ita/progetti_1.htm. - Ricerca A21l Avanzi 1999 - http://www.avanzi.org/ita/progetti_2.htm. - Progetto LASALA (ricerca sullo stato dell'arte di agenda 21 locale in Europa) http://www.focus-lab.it/news/index.php. - Ricerca FOCUS LAB Agenda 21 locale in Italia 2002 (documento di cui è stato presentato un estratto nel corso del seminario europa di Cison di Valmarino) http://www.focus-lab.it/public/SA21L2002.pdf . Renata Livraghi Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario, Il cambiamento del sistema universitario. Le ragioni e l’attuale fase di trasformazione, 2002: http://www.cnvsu.it/ppt/camsisuniv_files/slide0070.htm. GOLA M., MIRANDOLA R., SQUARZONI A., STEFANI E., TOSI P., TRONCI M., La metodo- logia di valutazione della qualità dei processi e dei prodotti delle attività universitarie, CRUI, Roma 2002: http://www.campusone.it

Gli editoriali di "Rassegna CNOS" 1996-2004. Il servizio di don Stefano Colombo nella formazione professionale in un tempo di riforme

Autore: 
Sede Nazionale CNOS-FAP
Categoria pubblicazione: 
Studi
Anno: 
2004
Numero pagine: 
238
GLI EDITORIALI DI RASSEGNA CNOS Il servizio di don Stefano Colombo nella formazione professionale in un tempo di riforme Perché una raccolta degli editoriali della rivista “Rassegna CNOS”? Due sono state le ragioni che hanno spinto i membri della Sede Nazionale alla presente iniziativa: una motivazione legata alla funzione della rivista, l’altra alla vita della Federazione. La rivista “Rassegna CNOS” è l’osservatorio della Federazione sul sistema educativo, con particolare riferimento all’orientamento e alla formazione professionale. Il periodo preso in considerazione è stato ricco di eventi, fotografato con la metafora del “cantiere”. Alla fine degli anni Novanta, infatti, un editoriale titolava: “ ‘Il cantiere aperto della Formazione’: con questa affermazione il presidente dell’ISFOL, prof. Michele Colasanto, avviava la sua relazione di presentazione del ‘Rapporto ISFOL 1997’. Un cantiere finalmente aperto, si potrebbe aggiungere!”. Gli editoriali hanno seguito questo complesso periodo: il riordino della formazione professionale nella direzione dell’accreditamento e della qualità, l’innalzamento dell’obbligo scolastico, l’introduzione dell’obbligo formativo, una prima proposta organica di riforma di tutto il sistema educativo, la riforma del titolo V della Costituzione, una seconda proposta organica di riforma del sistema educativo... una somma di eventi importanti letti nel più ampio contesto regionale e nazionale, a livello politico, civile ed ecclesiale e sullo sfondo degli orientamenti europei. Il lettore potrà ripercorrere questi anni, ricavandone un ricco capitolo di “storia della formazione professionale” in Italia. Quel “cantiere” oggi è ancora aperto! Le leggi più recenti, infatti, hanno profondamente ridisegnato il ruolo e le modalità operative del sistema di istruzione e di formazione. L’affermazione del diritto – dovere alla formazione, l’alternanza, i nuovi “apprendistati” ... gli editoriali continueranno ad informare, riflettere, proporre... per continuare nel servizio ai giovani e agli operatori che agiscono nelle varie Regioni. Il secondo motivo è interno alla Federazione CNOS-FAP, presieduto, nel periodo considerato, dall’ing. Stefano Colombo. Se gli editoriali riflettono il pensiero della Federazione, il coordinatore, l’estensore, l’elaboratore della sintesi è del Presidente, il quale ha assolto questo compito con puntualità e competenza. La presente pubblicazione vuole essere anche un gesto di stima e di ringraziamento dei suoi più stretti collaboratori per il suo servizio. Un grazie sincero, dunque, a don Stefano che, in qualità di Presidente, ha guidato per nove anni la Federazione CNOS-FAP, mettendo a disposizione la sua competenza e la sua professionalità, e, come salesiano, ha amato i giovani in modo “indiretto” perché impegnato in una scrivania, in un ufficio e non in un laboratorio, in un cortile... come “di norma” vive ogni salesiano impegnato con i giovani. 3 1996 1996 Rassegna CNOS, in questo nuovo anno, si propone di affrontare, con rinnovato impegno, i temi della formazione professionale (FP), nella fidu- ciosa prospettiva di contribuire ad un autentico rinnovamento del settore e alla soluzione dei problemi vecchi e nuovi ad esso connessi, nel rispetto della nostra tradizione e della nostra missione educativa. I discorsi sulla formazione professionale La ricerca della Banca d’Italia sulla rispondenza tra professionalità ri- chieste e professionalità offerte sul mercato del lavoro in Italia ha stimolato un certo interesse da parte dei mass media per i problemi della FP. Alcuni giornali si sono distinti per la critica distruttiva con cui hanno gratuitamen- te investito il settore. Quanto affermato dalla ricerca della Banca d’Italia non è una novità per gli addetti ai lavori e mette in evidenza un problema noto: lo scollamento tra occupabilità, formazione e orientamento professionale. Scollamento tanto più preoccupante se riferito alla globalità del sistema sco- lastico italiano, nel quale è sempre più difficile scegliere con criteri oggettivi e funzionali un indirizzo scolastico, sia a livello di diploma che a livello di laurea, con la conseguente dispersione di capitali e risorse umane maggiori di quelli impiegati nella FP. Le difficoltà, gli sperperi di denaro pubblico, la scarsità dei risultati non riguardano quindi soltanto il settore della FP ma l’intero sistema formativo del nostro Paese e sono uno dei nodi politici, economici e culturali che fre- nano i processi di sviluppo dell’Italia come di altri Paesi del mondo occiden- tale. Questi dati di fatto, però, non devono essere strumentalizzati per criti- che di parte. Per due ordini di considerazioni. Primo, perché quando si parla di formazione dell’uomo, quando ci si ri- ferisce a quel fondamentale valore, anche economico, che sono le risorse umane, i semplici criteri d’efficienza tecnocratica sono fuorvianti; i risultati formativi non sono output scontati e prevedibili di input predeterminati, per il semplice fatto che qualsiasi rapporto formativo non si configura come una macchina banale, ma introduce la variabile della libertà, del significato, del valore. Il che non significa che la formazione debba essere inefficiente, ma significa che una corretta valutazione della formazione deve prendere in con- siderazione l’efficienza e l’efficacia dei processi, deve contestualizzare i ri- sultati, deve andare oltre le considerazioni a breve e inquadrarsi in un pro- getto di sviluppo a lungo termine del mondo del lavoro. Secondo, perché le situazioni contingenti non possono essere assunte co- me criteri di valutazione. È vero che ottimi qualificati di un Centro hanno in- 7 Editoriale n. 1 contrato difficoltà a trovare occupazione, ma solo perché sono entrati nel mercato del lavoro in un anno di recessione. È vero che mediocri qualificati dello stesso Centro hanno trovato immediatamente occupazione, ma in anni di crescita economica. Assumere questi fenomeni come criteri di valutazione della FP non porta da nessuna parte. Nei processi formativi è l’uomo che deve essere tenuto al centro dell’in- teresse, non solo le contingenze economiche. Certamente, se l’inoccupabilità in certe qualifiche diventa usuale, sarà opportuno cambiare tipo di qualifica, ma lo stesso problema vale per la scuola in genere e per l’università. Nella stessa ottica, ci pare debba essere valutato un altro fenomeno. Nel sistema della FP sono entrate ad operare alcune lobby che, sembra, si interessino più dei capitali disponibili che dei reali problemi dei giovani, dei lavoratori e delle aziende. È una forma di concorrenza discutibile. Però qualunque forma di concorrenza che abbia come conseguenza una crescita qualitativa della FP è utile. Ciò che conta, al di là degli interessi immediati, è sempre la crescita umana e professionale del mondo del lavoro. Pare che i grandi mezzi di comunicazione sociale abbiano scoperto l’im- portanza della FP. L’argomento rimbalza su giornali e riviste anche non specializzate. Probabilmente si tratta di un interesse passeggero, legato più che altro al problema della disoccupazione. In tutti i casi è importante che il problema venga portato a conoscenza del grande pubblico. Chi ha sempre creduto nell’importanza fondamentale della FP per ogni lavoratore, sia che debba occupare posti di governo nel sistema produttivo, sia che debba occu- pare posti subalterni e da operaio, non può che rallegrarsi dell’allargamento del discorso, anche se non sempre può condividere le analisi che vengono fatte e i rimedi che vengono suggeriti. Tre nodi critici del sistema formativo italiano Durante l’annuale presentazione del Rapporto ISFOL, il Ministro del Lavoro e della P.S. ha trattato dei problemi della FP individuando tre nodi critici. 1. La formazione superiore In Italia non esiste un sistema che regoli la formazione superiore. Non disponiamo cioè di alcuno strumento formativo, post diploma o post laurea, in grado di introdurre nel mondo del lavoro dei professionisti “finiti”. Sono state istituite le cosiddette “Lauree Brevi”, ma non hanno riscosso risultati apprezzabili: la nostra università continua ad essere un posto di ri- cerca scientifica e non ha tra i suoi scopi istituzionali la formazione al lavo- ro. Le nuove lauree, in assenza di un personale docente specificamente pre- parato per la professionalizzazione dell’insegnamento, non risolvono il pro- blema e continuano ad immettere sul mercato del lavoro risorse umane non immediatamente fruibili dalle aziende. Ci sono scuole medie superiori che stanno attivando interventi formativi 8 post diploma. La materia però non è ben definita e anche il corpo docente della secondaria superiore non è normalmente preparato per erogare un’a- deguata FP. Anche i Centri di Formazione Professionale (CFP) rivelano un crescente interesse per tale segmento di utenza. Ma gli interventi che essi compiono non sempre sono coordinati e si riferiscono solo ad alcuni settori specifici. Il problema quindi deve essere reimpostato nell’ottica di un progetto glo- bale di formazione superiore. 2. La formazione continua Il questo periodo di grandi cambiamenti tecnologici, che hanno reso ob- solete molte professionalità, il problema della formazione continua si è im- posto: se un lavoratore non riesce a mantenere aggiornata la sua professio- nalità, rischia di divenire marginale e, a poco a poco, di essere escluso dal mercato del lavoro. In Italia, anche se vi sono esperienze di formazione continua, non vi è né un sistema di formazione continua né una legge che la regoli e la finanzi, in modo che tutti i lavoratori, o su iniziativa dei datori di lavoro o per libera scelta, possano tenere aggiornata la propria professionalità. 3. La formazione in alternanza In Italia sono moltissimi i giovani, che lavorano con un contratto di for- mazione lavoro o con un contratto di apprendistato. Si tratta di regolamen- tare la formazione si ottiene con tali iniziative, affinché l’apprendistato e il contratto di formazione-lavoro non si riducano ad essere semplicemente istituti che servono a ridurre il corso del lavoro senza produrre un’effettiva FP del giovane stesso. La diversificazione della domanda di formazione La formazione di base o iniziale, il cosiddetto primo livello, ha riscosso recentemente nuovo interesse da parte dell’opinione pubblica, stimolata tra l’altro, dal libro bianco di Delors. Il mondo del lavoro, soprattutto il settore industriale, soffre di una diminuzione significativa di operatori con profes- sionalità di tipo operaio: l’industria, insomma, continua ad aver bisogno di operai qualificati. Contemporaneamente, un certo numero di giovani è alla ricerca di una qualifica da spendere immediatamente sul mercato del lavoro, per motivi familiari, per motivi economici, per scarsa propensione allo stu- dio prolungato. Dobbiamo quindi prendere nuovamente in considerazione la formazione di base, ma con criteri aggiornati alla realtà del mondo del lavoro di oggi. An- che la formazione di primo livello richiede notevoli contenuti culturali, scientifici e tecnici per preparare i giovani lavoratori non solo ad un impie- go immediato ma anche per immetterli in condizione di adattarsi ai cam- biamenti dei profili professionali che si determinano nel tempo. 9 La prima qualificazione quindi è un terreno formativo che richiede in- novazione nei contenuti culturali e tecnico-operativi e nei metodi. Il problema rimanda alla riforma della scuola media superiore e alla dilatazione della scuola dell’obbligo. Della prima si parla da decenni e non è più facile stabilire se i continui rinvii dipendano dalla difficoltà della ma- teria o da scarsa volontà politica: di fatto, ci troviamo con una secondaria superiore che è tutto e il contrario di tutto, in cui s’intrecciano curricoli tradizionali e curricoli sperimentali, che si appellano a diversi progetti e testi legislativi, comunque scollegala dalla scuola dell’obbligo, dall’università e dal mondo del lavoro. Per quanto riguarda la dilatazione del periodo della scuola obbligatoria, qualche dato e una considerazione di fondo. Nell’anno scolastico1 ’93/’94 il tasso di passaggio alla scuola media superiore è stato del 91,5%; il tasso di scolarità nell’anno ’94/’95 tra 14 e 18 anni è stato del 78,9% e il tasso di diplomati rispetto ai coetanei di 19 anni del 66,1%. Nel 1991 i ragazzi di 14 anni che erano inseriti nella FP rappresentavano il 5,5% del totale dei coetanei. Questa percentuale negli ultimi anni è diminuita. Il numero dei quattordicenni che abbandonano la scuola è statistica- mente irrilevante e, per la gran parte, coincide con il numero di ragazzi che abbandonano la scuola dell’obbligo prima dei 14 anni, per i quali quindi l’in- nalzamento dell’obbligo non ha alcun senso. Gli italiani, a conti fatti, hanno quindi risolto da soli il problema dell’innalzamento dell’obbligo, continuan- do a mandare i figli a scuola anche dopo la terza media. Lo hanno fatto pri- ma e senza bisogno dell’intervento legislativo. A questo punto la questione sembra assumere una rilevanza puramente politica e ideologica. Resta inve- ce da affrontare il problema dei ragazzi che hanno abbandonato la scuola senza completare il ciclo dell’obbligo. Bisognerà interessarsi di loro, portan- doli, attraverso corsi mirati e di alternanza, alla rimotivazione formativa. I giovani che, per vari motivi, hanno avuto una scolarità irregolare, costella- ta d’insuccessi, hanno anch’essi il diritto di entrare nel mondo del lavoro con una formazione adeguata alle loro capacità. Qualora fosse possibile, dovrebbero trovare, attraverso il lavoro, una rimotivazione alla formazione e allo studio. È un settore d’intervento che potrebbe essere troppo comodamente ac- cantonato nell’attuale contesto sociale, stante la sua scarsa visibilità. E inve- ce richiede una precisa presa di coscienza da parte dei politici. Questi giova- ni, che sono un grande valore anche dal punto di vista economico, non pos- sono essere lasciati a se stessi, affidati magari all’assistenza sociale o al si- stema repressivo della giustizia per i loro eventuali componimenti poco cor- retti. Non fosse che per una considerazione di tipo economico: l’assistenza e la repressione costano di più della prevenzione. Stanno crescendo gli inter- venti formativi sulle fasce deboli, come handicappati, extra comunitari, di- soccupati, persone in mobilità o in cassa integrazione, anche sotto la spinta 10 1 I dati sono ricavati da ISFOL, Rapporto 1995, Franco Angeli, Milano, 1995. della Comunità Europea che a questo scopo mette a disposizione adeguati fi- nanziamenti attraverso il FSE. Manca probabilmente, in questo settore, una verifica sull’effettiva incidenza formativa degli interventi che vengono attiva- ti e sulla reale capacità che questi interventi hanno di inserire o reinserire nel mercato del lavoro queste persone. Anche in questo settore la FP non può essere impiegata come un puro ammortizzatore sociale, senza produrre pro- fessionalità realmente spendibile. Il sistema della Formazione Professionale, infine, si apre anche e sempre di più alla collaborazione con il sistema sco- lastico. Il Ministero della Pubblica Istruzione, attraverso accordi e protocol- li d’intesa, ha avviato sperimentazioni varie d’integrazione tra scuola e FP. La miglior collaborazione sembra essere quella, varata da qualche anno e che riguarda gli Istituti Professionali nell’ambito del “Progetto ‘92”. Questi Istituti hanno abbandonato nel primo triennio la funzione specificatamente professionalizzante, rimandandola al biennio post qualifica, gestito in colla- borazione con la FP. Altri punti di contatto e altri protocolli d’intesa, anche se meno diffusi e ancora in fase sperimentale, si stanno avviando in diverse Regioni. Prospettive legislative L’allargamento degli interventi di formazione professionale e la loro di- versificazione sembrano indicare l’urgenza di rivedere la legge quadro 845/78, che disciplina le attività di FP in Italia. Alcune suggestioni presenti nella leg- ge e finora non attuate – quali il raccordo FP-scuola, gli standard di qualifica, ecc. – dovrebbero essere riprese e diventare operative. Gli aspetti della FP che sono cresciuti in questi anni e che nella legge non sono sufficientemente presenti dovrebbero invece essere integrati. Ci pare, comunque, che alcuni “valori” presenti in quel dettato legislati- vo debbano essere salvaguardati: – la pluralità di Enti e di proposte formative La FP si è mossa nella prospettiva del servizio di pubblica utilità gestito dal privato sociale, facendo in questo scuola ad altri ambienti. Questa pro- spettiva si basa sul principio di sussidiarietà, che è fondamentale per favori- re il passaggio da uno Stato, che gestisce direttamente tutti gli interventi nel sociale, ad una società attenta e pronta ad intervenire là dove la domanda di servizi si esprime. – il “senza scopo di lucro” Gli Enti che intervengono nella FP, pur cercando la qualità dell’intervento, nella propria azione e nelle proprie scelte, rispondono prevalentemente a cri- teri di servizio e utilità sociale e quindi s’impegnano a lavorare anche nelle fa- sce in cui, a fronte di un’elevata domanda, il riscontro economico sia minore. – la convenzione come mezzo di erogazione di un intervento di pubblica utilità da parte dell’ente pubblico 11 L’esigenza della trasparenza, che porterebbe al metodo dell’appalto-con- corso soprattutto in interventi riguardanti settori di importanza sociale, ri- durrebbe la formazione a merce da mettere sul mercato, con la preoccupa- zione fondamentale del costo e non della qualità del servizio. Il nuovo CFP Da quanto detto, emerge la necessità che il CFP si dia una nuova orga- nizzazione e un nuovo stile di presenza sul territorio. Il CNOS-FAP ha cer- cato, attraverso ricerche e riflessioni sulle varie professionalità esistenti nei Centri o che stanno nascendo in quelli più aperti al cambiamento, di dare un contributo fattivo alla modernizzazione del sistema della FP. Il modello del CFP polifunzionale diviene sempre più importante nell’at- tuale trasformazione del sistema di formazione professionale. È l’argomento di questo numero di “Rassegna CNOS” n. 1/1996. Lo af- frontiamo a partire dalla certezza dei grandi valori presenti nei nostri Centri, sia in termini di professionalità, che in termini di tecnologie, d’impegno co- stante nella formazione continua dei formatori, d’innovazione metodologica e di creatività degli interventi. 12 Siamo all’inizio di una nuova legislatura, che potrebbe portare a soluzio- ne almeno alcuni di quei problemi della FP, che da anni si trascinano. È ovvio che l’umico approccio praticabile ai problemi specifici del nostro settore non potrà essere che quello di collocare la FP nel più generale conte- sto del sistema educativo italiano, con i suoi sottosistemi della scuola, del- l’università e della ricerca scientifica. Nella sua globalità questo sistema ha in comune alcune finalità di fondo, a partire dall’educazione delle giovani ge- nerazioni, ma obiettivi intermedi, strumenti, metodologie didattiche e scien- tifiche sono differenti. Dal punto di vista strutturale, inoltre, all’interno del sistema si sono determinati degli “assemblaggi”, rappresentati dalle inter- connessioni e sovrapposizioni parziali dei tre sottosistemi che vanno rivisi- tate e armonizzate, come, ad esempio, la formazione-istruzione post se- condaria che interessa sia l’università, sia la secondaria superiore, sia la FP. A questo sono da aggiungere quegli “accoppiamenti strutturali” grazie ai quali il sistema dell’educazione interagisce con l’ambiente esterno, soprat- tutto con le aziende e con le diverse strutture del mondo del lavoro. Anche queste sono “agenzie educative” nel senso che impiegano il lavoro non solo per produrre ma anche per dare senso all’esistenza degli uomini e si occu- pano inoltre di formazione, sia attraverso i contratti di apprendistato e di formazione lavoro sia attraverso l’adozione della formazione continua. Il nostro augurio per il nuovo governo è che riesca ad esprimere una precisa volontà politica di potenziamento del sistema educativo-formativo e che riesca ad elaborare una strategia di sviluppo che ne valorizzi l’essenzia- le funzione culturale, sociale ed economica. Il futuro dell’Italia e la sua collocazione in Europa e nel mondo dipendono dalle risposte che si riusci- ranno a dare ai problemi dell’educazione e dell’istruzione, così come oggi sono posti dalla complessità della nostra società. L’anno europeo dell’istruzione e della formazione per tutto l’arco della vita Con la presidenza italiana della UE è iniziato anche “l’anno europeo del- l’istruzione e della formazione per tutto l’arco della vita”. È stato inaugurato il 2/3 febbraio scorso, nello splendido scenario dell’isola di S. Giorgio Maggiore a Venezia, alla presenza di ministri, funzionari ed esperti di tutti i paesi. Al centro dell’incontro vi è stata la presentazione del libro bianco della Commissione Europea dal titolo “Insegnare e apprendere. Verso la società conoscitiva”. Titolo suggestivo, di cui si è dato ragione ai partecipanti, illu- strando temi e problemi di fondo. Il rapporto si qualifica – e in questo sta il suo valore aggiunto – come strumento di soluzione di alcune questioni 13 1996Editoriale n. 2 nodali: la mobilità degli studenti e dei lavoratori, il rapporto scuola-impresa, il recupero degli espulsi dai sistemi scolastici nazionali e il potenziamento delle esperienze locali con cui si cerca di offrire loro una nuova opportunità educativa. Scorrendo il testo, abbiamo notato con piacere come alcuni elementi tipici dell’esperienza formativa del CNOS-FAP siano presenti e valorizzati. Il libro bianco, infatti, sottolinea la centralità delle risorse umane e la capa- cità fondamentale della persona di comprendere, interpretare, valutare le situazioni e gli avvenimenti all’interno del processo formativo, inteso non co- me semplice addestramento, ma come ricerca-proposta di nuove opportuni- tà di crescita per il giovane e per il lavoratore. La conferma è precisa e ci permette di sentirci inseriti a ragione in un dibattito e in una ricerca che punta su valori educativi almeno ufficialmente riconosciuti, anche se socialmente non ancora del tutto acquisiti. La centra- lità dell’obiettivo educativo nella FP è una scelta qualificante che libera gli interventi formativi da penalizzanti e riduttive prospettive puramente fun- zionali e operative per puntare sulla elaborazione di significati importanti, quali la socialità e la comunitarietà della formazione. Ogni CFP e ogni azio- ne formativa devono essere esperienza di comunità, promozione dei valori di base propri del progetto di vita di un lavoratore, quali la professionalità, la libera scelta che deriva dalla comprensione approfondita del proprio rapporto con il mondo, la capacità di relazione e di compartecipazione responsabile sia all’interno del processo formativo sia nel contesto della convivenza democratica. Questi orientamenti, che stanno alla base della proposta formativa del CNOS-FAP, sembrano rafforzati e verificati dal libro bianco della Commis- sione Europea e confermano la nostra consapevolezza che ci sono valori che stanno veramente alla base della “comunità dei popoli” europei e rimandano ad una secolare esperienza di storia comune e di identici motivi ispiratori dell’azione, radicata nell’humus della cultura cristiana. Il rapporto presentato a Venezia ci interessa anche per altri motivi. Pur non elaborando prospettive radicalmente nuove, offre ricchi spunti di riflessione e, soprattutto, traccia la strada che la UE intende seguire e rendere praticabile con opportuni finanziamenti. In Europa il confronto con la globalità dell’attuale sistema tecnologico e scientifico, ormai diffuso a livello planetario, avviene in un periodo di cre- scita della disoccupazione e di recrudescenza di fenomeni di emarginazione sociale. Si potrebbe dire che l’ingresso delle tecnologie più avanzate produce disoccupazione e comporta un aumento delle spese per la protezione socia- le degli esclusi. Alla base delle riflessioni del libro bianco sta la certezza che la società europea sia in transizione verso un nuovo modello di struttura sociale che poggia sull’informazione, sulla mondializzazione, sulla cultura tecnico-scientifica, la quale, al di là dei rischi che può presentare, è comun- que una grande opportunità per l’Europa. La sfida è imponente: una società dell’informazione, insicura di fronte allo sviluppo scientifico-tecnologico, coinvolta nella competizione mondiale 14 di tutta l’economia, richiede ai popoli d’Europa risposte molteplici e impone adattamenti profondi nelle singole società. Se la formazione ha lo scopo di sviluppare l’autonomia della persona e la sua capacità professionale, attrezzandola per non subire i processi di evoluzione e di cambiamento ma per impiegarli come opportunità di crescita individuale e sociale, vuol dire che il suo apporto è determinante per vincere la sfida che si prospetta, sul fronte dell’integrazione mondiale dell’economia, come sul fronte dello sviluppo tecnico-scientifico, della competizione che ne deriva e della occu- pazione. Nel libro sono segnalate alcune priorità nella formazione, per permette- re agli uomini e alle donne dell’Europa di vivere con consapevolezza in mezzo a tutte queste sfide e partecipare fattivamente, mediante il lavoro, al- la costruzione del futuro del nostro continente. Una prima risposta, che i sistemi educativi della scuola e della FP sono chiamati a dare, è centrata sulla cultura generale. Si tratta della mappa conoscitiva e valoriale con la quale un individuo è in grado di cogliere il significato delle cose e delle persone nella loro dinamica storica. Il che vuol dire educare alla comprensione e alla creatività (capire, fare, progettare), educare alla valutazione e alla scelta. Ne siamo convinti. I problemi emergenti della società europea non si possono affrontare diversamente. Il CNOS-FAP cerca da sempre di portare avanti una strategia del genere, non soltanto in termini ideali ma anche in termini pratici, di concreto impegno nel quotidiano della nostra attività for- mativa. In non poche regioni abbiamo dovuto combattere con la miopia di politiche regionali che, soprattutto nel caso di corsi di formazione post di- ploma e post qualifica, volevano escludere qualsiasi proposta culturale e for- mativa, riducendo la FP al semplice apprendimento di nozioni tecniche e di abilità operative. Senza una riflessione che permetta di capire i processi in cui si lavora, analizzati in una visione generale della società in cui si vive, non si formano adeguatamente uomini e donne per il domani e si sottraggo- no concrete opportunità di impiego anche nella società di oggi. È per questo che il libro bianco, al di là dei suggerimenti particolari che fornisce, ci trova consenzienti. Mette, infatti, la persona al centro del processo formativo e ad essa fa obbligo di fornire una cultura di base “solida e ampia, letteraria e filosofica, scientifica, tecnica e pratica” non solo nella fase iniziale. Nella “riqualificazione professionale dei lavoratori dipendenti poco qualificati” risulta fondamentale l’acquisizione di tale base culturale, quale punto di pas- saggio obbligato verso l’acquisizione di nuove competenze tecniche. I CFP sono sempre più portati, nelle loro azioni di riqualificazione dei lavoratori, a restituire a questi ultimi una cultura generale prima di insegnare loro un nuovo mestiere. A maggior ragione questi obiettivi la FP se li deve porre quando opera su giovani che si preparano ad entrare nel mondo del lavoro. È certamente dif- ficile, servono esperienza e un ambiente educativo adeguato, realmente strutturato come comunità formativa, per fornire una FP nei termini espli- citati dal libro bianco: si tratta di una formazione non giustapposta a quella 15 tecnico-operativa ma integrata unitariamente in essa. Per questo è necessa- ria la mediazione di una comunità educativa capace di vivere al proprio interno le nuove dimensioni culturali oltre che di insegnarle. Ci sono realtà culturali che si imparano solo vivendole e che non possono venire interioriz- zate soltanto attraverso lo studio. In quest’ottica diventa importante la scelta di un modello di Centro poli- funzionale, in grado di rispondere alle domande dell’odierno mondo del la- voro in quanto comunità educativa-formativa, e cioè in quanto laboratorio di significati oltre che officina produttiva. Derivano di qui le nostre riserve ri- spetto al “modello agenziale” di certe strutture formative: riteniamo si tratti di un modello che rende impossibile la trasmissione di una cultura, intesa non come mera somma di nozioni ma come “capacità di cogliere il signifi- cato delle cose”, come capacità di “comprensione e di creatività, di valuta- zione e di decisione”. Ed è quello che sostiene il rapporto della Commissio- ne Europea. Per raggiungere questi obiettivi un’agenzia non basta, serve una stabile comunità formativa, dotata di un coerente progetto educativo. Una seconda risposta, che il libro bianco attribuisce al nuovo dover esse- re della FP, è l’impegno nel far crescere l’attitudine al lavoro, mediante un certo numero di conoscenze fondamentali e tecniche e di attitudini sociali, conseguite attraverso lo studio, ma anche attraverso una rete di cooperazio- ne, istruzione, formazione e apprendimento. Dopo aver messo in risalto le attitudini richieste per entrare nel mondo del lavoro, il documento analizza due vie per la loro acquisizione. La prima consiste nel conseguimento del diploma, che rappresenta una chiave di in- gresso nel mondo del lavoro standardizzata: essa comporta prolungamento del periodo di studio e accesso agli studi superiori, ma rischia di penalizza- re, se è impiegata come strada unica di promozione sociale, molti giovani, eliminando “talenti che, per quanto innovatori, non corrispondono ai profi- li medi” e producendo “una élite poco rappresentativa del potenziale di risorsa umana disponibile”. Il diploma insomma è un criterio-filtro troppo rigido rispetto alla ricchezza dell’offerta di lavoro proveniente dalla base sociale. Per questo nel volume si parla di una via più “moderna” all’ingresso nel mondo del lavoro: essa consiste nel valorizzare tutte le opportunità disponi- bili, sulla base di un sistema affidabile di accreditamento che sa individuare tutte le competenze parziali disponibili e le sa adeguatamente valorizzare. In altre parole il diploma non deve essere l’unico documento di riconosci- mento valido per chi entra nel mondo del lavoro. Anche chi esce dal sistema scolastico senza aver acquisito un diploma rappresenta comunque un’op- portunità, oggettivamente valutabile per il mondo del lavoro, il che amplia la dinamica tra domanda e offerta di lavoro. Si tratta di passare dalla logica ri- duttiva, per le imprese e per gli individui, dell’istruzione standardizzata, alla logica della valorizzazione tout court delle risorse umane disponibili. Per fa- vorire l’accesso all’istruzione e alla formazione, occorre rendere disponibile un’informazione non burocratizzata, attraverso centri che facciano da inter- faccia tra domanda e offerta di formazione. Occorre inoltre attivare forme di 16 orientamento che siano in grado di valutare anche la formazione extra sco- lastica, puntando di più sull’evoluzione delle competenze richieste dal lavo- ro di domani e sull’esclusione di condizionamenti sociali. La soluzione sta in un cambiamento dei criteri di valutazione delle attitudini al lavoro: si tratta di passare dai criteri di valutazione basati sulla formazione acquisita nel pe- riodo scolastico ai criteri basati sulla formazione permanente degli indivi- dui. Da quello che gli individui sono, per riconoscimento meritocratico e bu- rocratico (diploma), a quello che gli individui diventano attraverso la forma- zione per tutto l’arco della vita mettendo a frutto ogni opportunità. Si tratta di un significativo cambiamento di prospettiva che richiede forme di mobi- lità tra istituti di formazione, il superamento degli ostacoli e della mentalità burocratica e una più flessibile disponibilità a cogliere tutte le opportunità che provengono dalla società dell’informazione nella quale i modi di acqui- sire competenze e conoscenze sono sempre più diversificate. A questo punto occorre trovare strumenti adeguati per riconoscere tutte queste conoscenze e competenze provenienti anche dai canali extra scolasti- ci. Occorre inoltre che ogni individuo possa far riferimento ad una rete di cooperazione in grado di valorizzarlo al meglio e, soprattutto, di riconoscer- lo per quello che è e per quello che può diventare. Serve andare oltre le discussioni di principio e puntare ad un maggior flessibilità, attraverso la ricerca della qualità, di nuovi modi di qualificazio- ne, sviluppando soprattutto la formazione continua e adottando nuove for- mule di finanziamento e di valutazione. Concludendo, il libro bianco propone cinque obiettivi generali: 1) acquisizione di nuove conoscenze; 2) avvicinare la scuola all’impresa; 3) combattere l’esclusione; 4) promuovere la conoscenza di almeno tre lingue comunitarie; 5) porre su un piano di parità gli investimenti produttivi e quelli per la formazione. In questo consiste l’ipotesi della nuova società europea, fondata sulla co- noscenza della sua cultura e della sua storia, impiegata come strumento per padroneggiare e non subire il processo di mondializzazione. Questa breve sintesi del libro bianco della Commissione Europea, evidenzia come alcuni temi possano sembrare utopici e come altri invece risultino estremamente pratici e forse persino riduttivi. In tutti i casi ci pare che il pregio più importante del rapporto consista nella chiarezza con cui si descrivono e si raccolgono le sfide che la società conoscitiva sta ponendo a tutti coloro che si interessano di FP o di formazione in genere. Immersi come spesso ci troviamo nella quotidianità dei problemi italiani, spesso di basso profilo politico-burocratico, questo confronto con l’Europa ci permette di apprezzare i valori e le iniziative che costituiscono il patrimonio culturale del CNOS-FAP e di altri Enti di formazione sia di orientare con una certa chiarezza le trasformazioni che stanno interessando il nostro settore per delineare obiettivi concretamente realizzabili. 17 La politica nazionale della F.P. Se a livello di UE le politiche formative procedono, non si può dire lo stesso per l’Italia. L’ultima campagna elettorale non ha elencato tra i temi fondamentali dibattuti quello della FP. I giornali non hanno riportato se non i soliti luoghi comuni. Ma anche quando gli organi di informazione si interessano della questione nei loro giudizi si avverte sempre una qualche presa di posizione radicale. Nell’articolo di prima pagina del “Corriere lavoro”, supplemento del “Corriere della sera” (venerdì 2 aprile) partendo dalla constatazione che non vi è in Italia rispondenza tra domanda e offerta sul mercato del lavoro si dà tutta la colpa alla FP. Da buttare. Non si capisce perché lo stesso ragio- namento non venga applicato a tutte le scuole di indirizzo tecnico o profes- sionale, che si trovano nella stessa situazione. Evidentemente ciò che lo Stato fa nel campo scolastico può essere criticato, ma nessuno ritiene debba essere buttato. Dal sentito dire si passa disinvoltamente al giudizio senza appello. Questa è la sorte del sistema di FP in Italia, quella di incap- pare sistematicamente in tali giudizi, espressi da chi avrebbe molto interesse ad incanalare verso altri fruitori i miseri fondi che in Italia si spendono per la FP. È fuori dubbio che il sistema regionale della FP abbia bisogno di una profonda revisione. Come ne ha bisogno il più datato sistema scolastico italiano. In questi anni sono stati al centro del contendere gli interventi sui giovani dai 14 ai 16 anni. È la ben nota questione del prolungamento della scuola dell’obbligo fino ai 16 anni. Se per “prolungamento dell’obbligo” si in- tende la volontà del legislatore di fornire a tutti i giovani fino ai 16 anni strumenti adeguati per poter prolungare la propria formazione e istruzione prima di entrare nel mondo del lavoro, siamo anche noi d’accordo. Il punto è che questi strumenti bisogna individuarli e metterli realmente a disposi- zione di tutti. Il mito della scuola uguale per tutti ricalca una delle compo- nenti fallimentari della modernità: quella appunto dell’uguaglianza di principio, che instaura di fatto la prevaricazione del più forte sul più debole. Una scuola “uguale” per tutti è un non senso pedagogico e didattico e di fatto nega se stessa: la scuola è il luogo in cui la diversità diventa valore, di- venta cultura, diventa progetto di vita. È questo che viene affermato anche dalla Commissione Europea. In caso contrario ritorneremmo alla scuola- parcheggio per alcuni e alla scuola discriminante per altri. Senza entrare nel merito dei programmi elettorali, da cui si faranno dipendere le future riforme, ci pare doveroso sostenere ancora una volta che la diversificazione dei percorsi non deve essere una discriminante sociale, ma un’applicazione rigorosa dei principi di giustizia, in base ai quali si dà a ciascuno secondo le sue necessità e si evita di fornire a tutti la stessa cosa. L’innalzamento dell’obbligo scolastico fino ai 16 anni ci trova consen- zienti, anche se il termine “obbligo” rimanda ad un’imposizione più che ad un’opportunità. Ciò che ci sembra obbligatorio è che lo Stato italiano crei le 18 migliori condizioni organizzative perché questa opportunità diventi reale. Imporre azioni senza alimentare motivazioni è fuorviante: un allungamento dell’iter scolastico non risponde automaticamente alle esigenze di vita dei giovani e rischia di creare un’ulteriore massa di emarginati e di sfiduciati, se non viene concretamente supportato da una diversa politica del lavoro e da una diversa gestione del sociale. Come è stato ampiamente rilevato, chi non continua gli studi dopo la licenza media o non accede alla FP, è un sog- getto che ha sperimentato fallimenti anche durante la scuola media, conclu- sa magari con una valutazione di “sufficienza” ma in realtà vissuta come un’esperienza deludente e penalizzante. Si può persino arrivare al diploma con la percezione di aver comunque fallito il rapporto con l’istruzione e la formazione e quindi il rapporto con se stessi e con gli altri. Anche per quanto concerne il diritto-dovere all’istruzione-formazione serve un ripensamento generale. Si tratta di porre attenzione a quelle “scuole della seconda opportunità”, come sono chiamate nel libro bianco, e soprattutto di valorizzare la reale disponibilità dei giovani all’apprendimen- to più che la loro capacità di imparare i programmi codificati. Le risorse e le capacità dei giovani di oggi sono più estese di quanto non venga ricono- sciuto dai programmi ministeriali. In concreto, senza ripetere analisi ormai note, appare sempre più ne- cessario disarticolare e ampliare l’offerta di formazione scolastica e profes- sionale, fornendo ai giovani un numero crescente di possibilità sia a tempo pieno che a tempo parziale, in modo da rendere realmente effettivo il diritto di tutti ad entrare nel mondo del lavoro e ad essere da esso riconosciuto con forme di qualifica effettivamente spendibili in esso. Il che richiede interven- ti sistematici di orientamento personalizzato, in modo tale da aiutare le persone a scegliere ciò che ad esse è più opportuno e congeniale. Le riforme sono da fare e sono da fare al più presto, superando i dibatti- ti di principio per affrontare in concreto i problemi di chi cerca lavoro e di chi lavora. Più specificamente, come indicato dal libro bianco, il criterio ba- se è quello di mettere il giovane al centro del discorso e di ristrutturare, at- torno a questo centro, i problemi di rapporti tra formazione all’occupazione e cultura generale, di interconnessione tra scuola e impresa, della parità dei diritti in materia di istruzione e della precedenza da riservare alle categorie più svantaggiate. Le politiche regionali Si è da molti osservato che le diversità delle politiche regionali non permettono di parlare di un “sistema” della FP, ma rappresentano un informe aggregato di interventi scoordinati. Il Paese si differenzia sempre più, ma il modo di impostare gli interventi formativi sembra obbedire ad una logica diversa: invece di rispondere alle reali esigenze espresse dal territorio, obbedisce sovente a logiche astratte. Esaminiamo la direttiva annuale per la FP impartita quest’anno dalla 19 Regione Piemonte. Sulla base della legge regionale 63/95 si adotta uno sche- ma che ricalca punto per punto la normativa del FSE, obiettivo per obietti- vo, per cui ogni proposta di formazione viene valutata attraverso verifiche di ammissibilità e sulla base di criteri di incidenza che riguardano sia il sog- getto presentatore sia ogni singola azione formativa, Il punteggio totale che si ottiene dalla somma di tutti questi indicatori determina una graduatoria. Gli interventi ammessi verranno poi finanziati e regolamentati per conven- zione. In questo modo la Regione Piemonte tenta di introdurre la logica del- la gara d’appalto, escludendo i parametri finanziari se non quelli di congrui- tà, assieme alla logica della convenzione. Tenta di allinearsi, da una parte con la direttiva europea, e dall’altra parte di gestire la FP tramite conven- zione con gli enti di FP e con le imprese industriali. Si sono inoltre adottati criteri di progettazione e standard formativi, che definiscono contenuti e profili di molte qualifiche, stabilendo la procedura di controllo tramite le verifiche finali del raggiungimento degli obbiettivi e lasciando ai Centri sufficiente libertà nelle scelte organizzative, metodologiche e formative. Difficile valutare l’impatto che una simile impostazione potrà avere e le difficoltà di gestione che riserva agli operatori. L’obiettivo è quello di salvaguardare trasparenza, efficienza ed efficacia per entrare in Europa ma non si capisce come si riuscirà a salvaguardare anche l’apporto e le capacità educative di ogni operatore di FP. La Regione Lombardia, invece, sta delegando la gestione della FP alle singole province. Nella circolare regionale di indirizzo del 1996, le strategie adottate indicano tre direzioni di marcia: sostituzione di corsi di qualifica con attività di integrazione con la secondaria superiore; sostituzione gra- duale di una ulteriore quota di attività formative di base con corsi di forma- zione superiore; specializzazione della restante formazione di base secondo un approccio non scolastico, in attesa che il prolungamento dell’obbligo por- ti alla qualifica in un solo anno. La circolare indica poi altri tipi di forma- zione (continua, causa mista, disabili, ecc.). Nel recepire la direttiva ogni provincia ha una sua logica. Quella di Milano fissa come priorità strategiche la qualificazione dell’offerta complessiva, la qualità delle azioni formative, il potenziamento degli interventi sulle fasce deboli. Per questo si invitano i CFP ad ampliare la tipologia dell’offerta per raggiungere nuovi utenti e avviare un processo di formazione continua. La Provincia di Brescia, invece, in net- ta controtendenza rispetto alla formazione professionale di base, ha elabo- rato con i direttori dei centri un progetto di valorizzazione di tale formazio- ne come canale diverso per giungere alla formazione globale del giovane. La strada che la Lombardia cerca di percorrere è tracciata in maniera chiara, in base a presupposti non ancora definiti ma dati per certi, come quello del prolungamento dell’obbligo nella sola scuola secondaria superio- re, seguendo, in questo, scelte già fatte qualche anno fa dalla Regione Emi- lia Romagna. La Regione Liguria si propone di modernizzare il sistema formativo, ra- zionalizzandolo attraverso la valorizzazione dell’orientamento, la creazione di un sistema pubblico di “eccellenza”, lo sviluppo di Centri-Agenzia e di 20 Associazioni tra le diverse strutture formative. Lo scopo è quello di fornire servizi integrati al mondo del lavoro e di creare nuovi rapporti con altri set- tori che operano a favore delle fasce deboli o dei giovani dopo il diploma. Viene data molta importanza al sistema pubblico, a differenza di quanto fa il Piemonte, la cui legge regionale prevede invece la trasformazione dei Centri Regionali in consorzi, liberando la Regione dai compiti gestionali e riser- vandole soltanto compiti di programmazione e di valutazione. Lo stesso termine “pubblico” – riferito ai Centri della Regione in opposizione a quelli “privati” – esce dalla logica ormai vincente, dopo la caduta delle ideologie, di quel concetto della “pubblica utilità” cui sono rimandate le attività di ogni Ente, pubblico o privato, che operi nel sociale. Per quanto concerne il Sud, nell’aprile del ‘96 è stata approvata dalla Giunta Regionale della Puglia una proposta di legge in materia di FP che fa prevedere un assetto istituzionale piuttosto confuso. A parte l’utilizzo di ter- minologie improprie per disegnare tale assetto, la scelta di delega alle Pro- vince dovrebbe comportare la creazione di “Agenzie speciali per i servizi di FP” in ogni Provincia, cui viene assegnato in organico, a domanda, il perso- nale “in albo” compreso quello appartenente agli enti di FP. Tale personale verrebbe riqualificato o convertito (art. 16). Anche la Regione Puglia ricorre alla gara d’appalto per affidare le varie attività. Difficile comprendere come possano gli “Enti attuatori” partecipare ai concorsi, quando il loro persona- le passa alle dipendenze dell’Azienda Speciale. Se si ritiene che questa li do- vrebbe ridistribuire, in seconda battuta, agli Enti attuatori a seconda delle lo- ro necessità, pensiamo si tratti di ipotesi inaccettabile se non assurda: non si governa personale ricevuto a prestito e tanto meno lo si rende idoneo a rag- giungere i propri obiettivi. Non ci pare sia questo il modo migliore di salva- guardare l’occupazione e tanto meno di riformare un sistema formativo che risente di gravi carenze amministrativo-burocratiche con conseguente dere- sponsabilizzazione degli Enti convenzionati. La presenza di considerevoli fondi di provenienza FSE, per l’obiettivo 1 potrebbe assicurare alle Regioni del Sud una FP sempre più moderna e ben mirata a creare, con rinnovato impegno, nuove opportunità di lavoro e nuo- vi insediamenti in tutti i campi. Le esemplificazioni che abbiamo fatto ci pare confermino quanto da tempo si pensa e cioè che sia ormai necessario ripensare l’intero assetto organizzativo del sistema regionale di FP, ponendo mano ad un’adeguata re- visione di alcune parti della legge quadro n. 845/78 in modo tale che un for- te coordinamento a livello nazionale sia finalizzato a dare risposte qualificate alla domanda di formazione proveniente dai vari ambiti territoriali, armonizzando il sistema della FP alle scelte e agli orientamenti della Unione Europea. 21 Avvio difficile quello della nuova legislatura, tra contrasti interni a mag- gioranza e opposizione, rese dei conti e ricatti, liturgie leghiste e avverti- menti europei. In un clima del genere, il problema formativo assume un inequivocabile valore di sfida: sia per quanto concerne i problemi nodali del- la disoccupazione e della tenuta dell’azienda Italia, sia per quanto riguarda le prossime scadenze. È, infatti, evidente che l’alternativa sta tra la creazione di nuove opportunità di sviluppo e la recessione. La riforma della secondaria superiore, da sempre rimandata, sembra finalmente sulla dirittura d’arrivo, anche se la discussione sulle modalità è ancora agli inizi. Nell’immediato sembra invece ormai varata l’autonomia delle istituzioni scolastiche. Questa autonomia può essere diversamente intesa. È però certo che, se non la si vuole ridurre soltanto a una formula vuota, essa segnerà la fine della scuola di Stato, e cioè di quel modello di scuola elaborato al centro e imposto alle sedi periferiche in termini di orari, programmi, stili didattici, protocolli amministrativi che è stato, nel bene e nel male, finora impiegato dalla scuola italiana. Fine della scuola centralizzata, dunque. D’ora in poi ogni struttura scolastica dovrà elaborare una sua autonoma filosofia orga- nizzativa, amministrativa, finanziaria, progettuale e didattica, radicandosi nel territorio e assumendo dirette responsabilità nel confronto degli utenti. Cambiamento decisivo, difficile già da concepire e da elaborare, rispetto alla prassi consolidata e all’habitus burocratico finora dominante, con il rischio che si trasformi in un aborto se non viene accolto per quello che è: una concreta opportunità di istruzione e di formazione delle giovani genera- zioni, coerente con le esigenze dei tempi in cui viviamo. Finora ogni scuola era considerata “valida” per il semplice motivo di es- sere “statale”. Domani una scuola sarà considerata “valida” solo se risponde- rà alle esigenze del territorio in cui opera, con un servizio adeguato. In que- sta prospettiva anche la scuola privata (non statale) potrà entrare a far parte del servizio pubblico, in condizioni di autonomia e di reale parità, affrontan- do la sfida della “concorrenza” con le capacità e i mezzi che saprà acquisire. Per quanto riguarda la FP, anch’essa potrà trovare una propria colloca- zione istituzionale precisa e specifica, in quanto struttura destinata a prepa- rare i giovani a entrare immediatamente nel mondo del lavoro. Rimane il problema della riforma della scuola secondaria superiore nella sua globalità, difficile da elaborare perché i grandi mutamenti culturali, tec- nologici e organizzativi della società post-moderna non si sono ancora stabi- lizzati e la loro accelerazione è tale da costringere ogni istituzione pubblica, non solo la scuola dunque, a un faticoso inseguimento. In tutti i casi nel pro- gramma elettorale dell’Ulivo si prevedeva una riforma globale del sistema sco- lastico, caratterizzata da alcuni snodi significativi: possibilità di anticipo di 23 1996Editoriale n. 3 sei mesi dell’ingresso nella scuola; trasformazione della scuola media inferio- re e dei suoi collegamenti con la media superiore; profondo rinnovamento di quest’ultima. In questa prospettiva si inquadra l’ipotesi di un prolungamento dell’obbligo fino a dieci anni di scolarità. Ribadiamo quanto già detto: è giu- sto dare a ciascuno il suo e non a tutti la stessa cosa, se non si vuole un pro- lungamento inutile e dannoso. Il principio sembra globalmente accettato. Il ri- schio è che si inizi la riforma proprio a partire dal prolungamento dell’obbli- go. In una scelta del genere, metodologicamente disastrosa, l’unico risultato si- curo sarebbe l’affossamento della FP di primo livello. Altri risultati previsti sulla carta sarebbero scarsi e non significativi: immettere nel sistema scolastico qualche giovane in più, a parità dell’attuale servizio, comporterebbe soltanto l’aumento dei disadattati e degli insuccessi, soprattutto nella fascia del biennio. Per quanto concerne le scelte politiche del Ministero del Lavoro e della PS, non è ancora giunta in porto una proposta conclusiva riguardante la riforma della legge quadro 845/78. La discussione non è conclusa e i problemi aperti sono ancora tanti. Il Documento della Presidenza del Consiglio dei Ministri (31 luglio 1996) È da considerare un fatto importante l’apertura presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri di un tavolo di confronto tra Ministero del Lavoro e della PS e Ministero della Pubblica istruzione, per approfondire le temati- che comuni, con la partecipazione del Ministero dell’Università e di quello dell’Industria e della Conferenza dei Presidenti delle Regioni. Del primo incontro sono stati presentati argomenti e intenzioni nel Documento del 31 luglio scorso. Si può dare una valutazione positiva nel suo complesso, a quanto riportato. Gli interrogativi derivano dalla pratica attuazione del Documento: alcune scelte riguardanti la riforma del sistema scolastico sembrano contraddire nel metodo e nel merito quanto affrontato al tavolo di confronto. Ci troviamo di fronte, ancora una volta, a riforme im- poste con atti di centralismo democratico. Ci lascia inoltre perplessi il fatto che le politiche della FP siano discusse solo tra le parti sociali (Confindustria e sindacati) e il Governo, senza coinvolgere chi la eroga (Enti di formazione) e chi la gestisce (Regioni). Analizziamo alcuni punti del Documento. a) Importante l’affermazione secondo cui accanto all’obbligo scolastico per 10 anni, ristrutturato nei cicli e rinnovato nei “curricula” deve essere pre- visto “il diritto alla formazione fino a 18 anni”. Ogni diritto codificato deve trovare pratica attuazione nelle decisioni di qualcuno: quello alla formazio- ne fino a 18 anni deve essere riferito al sistema formativo nel suo complesso, comprensivo quindi della FP, per il semplice motivo che non si tratta di un diritto astratto ma di un concreto riconoscimento che ogni giovane deve poter entrare nel mondo del lavoro adeguatamente preparato. Il che vuol dire che deve disporre di una qualche qualifica. b) Viene ripreso il discorso sui “progetti mirati” per valorizzare il “saper 24 fare” anche nella fascia dell’obbligo. Ora la riscoperta del valore educativo del “fare” in una scuola sostanzialmente libresca come la media inferiore (siamo passati dalle “Applicazioni pratiche” degli inizi, alla “Educazione tec- nologica” più recente) è certamente positivo. I “progetti mirati” però rischia- no di trasformare la FP nell’ospizio discriminante dei precoci pensionati dal- la scuola, di tutti quei ragazzi cioè che la scuola stessa dichiarerebbe inadat- ti allo studio e confinerebbe di fatto nello scomparto “scarti da recupero” della FP. Discriminazione devastante per i giovani e socialmente ghettizzan- te. Dopo armi di egualitarismo conclamato con relativa unificazione del biennio del SMS, questi “progetti mirati” suonano stonato: è discriminazio- ne imposta. A questo punto, tanto vale che ognuno sia orientato a soddisfa- re l’obbligo nelle scuole che più gli sono consone, lasciandolo libero di sce- gliere. Purtroppo l’idea che anche la FP possa costituire al soddisfacimento dell’obbligo risulta al Ministero della Pubblica Istruzione fuori dalla realtà. In alternativa si elaborano aborti educativi come appunto i “progetti mirati”. La costituzione di organismi bilaterali, con ampio potere di scelta, ri- schia di liquidare gli Enti di FP o ridurli in una condizione di sempre più ac- centuata precarietà rispetto agli organismi che oltre a sedere al tavolo della programmazione possono anche, direttamente o indirettamente, diventare attori della FP. Il che non diminuisce l’importanza della concertazione tra Governo e parti sociali e degli enti bilaterali. Non si capisce perché debbano essere scaricati come concorrenti inutili o scomodi gli Enti che da anni ope- rano nel settore con serietà, buttando al macero un patrimonio di compe- tenze e di esperienze acquisite molto rilevante. c) Nel Documento si parla inoltre di “promuovere la trasformazione dei centri di formazione professionale in agenzie formative”. Siamo incerti sul si- gnificato e sui contenuti del termine agenzia. Noi preferiamo da sempre par- lare di Centri polifunzionali. Se è questo che si intende con il termine agen- zia, come descritto nel nuovo CCNL, siamo d’accordo sulla nuova terminolo- gia. Ma non possiamo far passare sotto silenzio il fatto che con l’etichetta di agenzia operano in Italia delle strutture formative, che dispongono di qualche ufficio, di responsabili amministrativi e di venditori di formazione, magari anche di qualche progettista e inventano corsi “mordi e fuggi” in tutta Italia. Li conosciamo tutti. E se per agenzia si intende un qualche cosa del genere, noi non ci stiamo. Certo, queste agenzie riducono i costi fissi, anche perché non assumono il proprio personale formativo ma si servono di tecnici, as- sunti di volta in volta, molto specializzati, ma estranei alle problematiche di fondo della formazione e dell’istruzione. Si tratta, inoltre, di un sistema che non permette all’agenzia di accumulare nessun know how didattico e forma- tivo, dal momento che i formatori non fanno ricadere su di essa la loro espe- rienza. E poi a che servirebbe a un’agenzia che di formatori tende ad averne sempre di meno quella “formazione formatori come strumento essenziale per facilitare la progressiva integrazione dei sistemi, il miglioramento qualitati- vo dell’offerta formativa e il recupero delle situazioni di svantaggio”? d) Per quanto concerne le considerazioni relative al post-obbligo, in mo- 25 do particolare per il segmento non scolastico, possiamo anche essere d’ac- cordo, solo che occorre trovare una loro concreta modalità di attuazione. Stesso discorso per i percorsi post-diploma, di cui si prevede la nascita accanto all’“offerta universitaria di un sistema autonomo di formazione superiore non in continuità rispetto alla scuola secondaria”, la cui program- mazione viene affidata alle Regioni e la cui gestione potrà essere fatta “da tutti i soggetti presenti nel territorio”. e) In tema di formazione continua le affermazioni di principio sono condivisibili, mentre è meno chiaro come in concreto si intenda sfruttare “le nuove opportunità di aggiornamento” ad essa correttamente attribuite. L’unica indicazione pratica è la richiesta che il contributo dello 0,30% passi totalmente, anche se gradualmente, a finanziare la formazione continua. Il che determinerà riduzione o mancanza di risorse finanziarie per tutti gli altri tipi di formazione che attingevano a quel fondo. In una prospettiva del genere o si trovano fonti di finanziamento alternative oppure invece della crescita del sistema della formazione assisteremo a uno slittamento di atti- vità dalla formazione iniziale alla formazione continua e dunque alla liqui- dazione del diritto di formazione per tutti fino al 18° anno. Conclusione: il Documento può diventare un valido strumento di lavoro, utile per la riforma del sistema formativo italiano nei sottosistemi scolastico, universitario e della FP, a patto che tutta la materia venga discussa, appro- fondita e ricondotta a interventi chiari e attuabili. In caso contrario resterà un proclama di buone intenzioni. Il CCNL Con la firma della parte riguardante il secondo biennio economico, du- rante quest’anno formativo, il CCNL entrerà a pieno regime. Miglioramenti economici moderati per gli operatori, ma pur sempre importanti, ed è auspicabile che le contrattazioni decentrate nelle varie Regioni possano consentire agli Enti di reperire facilmente le risorse per coprire i costi degli arretrati e dei nuovi parametri contrattuali. Il nodo del contratto però sta nella nuova organizzazione del lavoro pre- vista per rinnovare la struttura dei CFP in senso polifunzionale. Il raggiun- gimento di un obiettivo così importante dipende dalla reale possibilità di Centri e Enti di riqualificare e aggiornare il personale, di introdurre nuove funzioni e nuove figure in grado di affrontare le sfide che la formazione pro- fessionale non può oggi eludere, in concomitanza con la riforma della scuo- la e l’apertura di nuovi settori di intervento. Sfide quali la formazione conti- nua in collaborazione con il sistema industriale, commerciale e terziario dei vari territori, e la collaborazione con la scuola, il cambio di mentalità, che tutto questo richiede, trova nel nuovo contratto di lavoro maggior supporto, anche se permangono difficoltà diverse e mancanza di chiarezza. Ovviamen- te, se il personale della F.P. si porrà in stato di formazione permanente, se de- 26 ciderà di cambiare il proprio modo di lavorare e di concepire la propria fun- zione didattico-formativa, il nuovo CCNL sarà utile alla riforma della FP ita- liana. Ipotesi augurabile ma irta di passaggi difficili. Ad esempio, uno dei punti di debolezza – riconosciuto da più parti – del sistema degli Enti sta nella scarsa qualificazione degli operatori. Se ci si ri- ferisce soltanto al livello dei titoli di studio (e quindi alla preparazione di ba- se) di molti operatori, non si può non essere d’accordo. E allora solo una for- mazione permanente adeguata, valorizzata come una grande opportunità, può mettere in grado operatori, ricchi di esperienza e di abilità nella tra- smissione di saperi tecnici e di operatività pratiche, di affrontare le nuove sfide della FP. “La formazione dei formatori (...) viene assunta come stru- mento essenziale per facilitare la progressiva integrazione dei sistemi, il mi- glioramento qualitativo dell’offerta formativa e il recupero delle situazioni di svantaggio”, afferma il Documento del 31 luglio 1996. Siamo alla conclusione dell’anno europeo per l’istruzione e la formazio- ne per tutto l’arco della vita. I primi a convincersi della necessità ineludibile di porsi in stato di formazione permanente sono i protagonisti del sistema della formazione (formatori, operatori della scuola e della FP). Nonostante il permanere del dettato legislativo della legge 845/78, ormai è evidente come la FP in Italia non sia più appannaggio di Enti pubblici o di Enti convenziona- ti tradizionali: nel mercato (perché tale è ormai diventato) della FP sono en- trati nuovi attori, con esperienze diverse ma con capacità di adattamento ra- pido alle nuove esigenze, tra l’altro inquadrati in CCNL diversi da quello del- la FP convenzionata, più agili e meno costosi. Questo ingresso di nuove for- ze, dovuto in particolare ai finanziamenti del FSE e alle nuove tipologie di interventi formativi degli ultimi anni, impone agli Enti maggior flessibilità e costringe gli operatori a confrontarsi con concorrenti il più delle volte con al- ta preparazione di base, con preparazioni tecniche specialistiche, alle quali non basta opporre capacità didattiche sperimentate. Servono invece cono- scenze e abilità tecniche di pari livello. Quello della FP, come quello della scuola, è soprattutto un problema di persone: le leggi e gli ordinamenti, come le strutture, servono a poco quando chi le deve tradurre in attività o farle funzionare non sa farlo o non vuole far- lo (magari perché lo trovano più facile e comodo). Sono quelle umane le risorse principali di ogni sistema sociale, per cui ogni innovazione, per essere realiz- zata significativamente, deve essere compresa e metabolizzata da tutti coloro che nel sistema operano, a qualsiasi livello e con qualsiasi responsabilità. Il nuovo contratto riproduce alcune difficoltà e alcuni vincoli per gli En- ti, derivanti soprattutto da normative proprie di contratti della pubblica am- ministrazione. La conseguenza è che le nuove modalità di accesso ai finan- ziamenti pubblici possono comportare per essi veri e propri tracolli finan- ziari. Molte Regioni tendono a finanziare i corsi, ma non a finanziare certe voci collaterali, soprattutto quelle relative alla “mobilità” e all’“esubero” o al “distacco sindacale”. Eppure tali istituti permangono nel nuovo contratto, per cui, in mancanza di finanziamenti, gli Enti potrebbero trovarsi in gravi difficoltà. La maggior parte delle Regioni giustamente programma la FP sul- 27 la base della domanda proveniente dal territorio, della disponibilità di fi- nanziamenti FSE e non sulla base della professionalità del personale in servi- zio presso gli Enti. Il pericolo di esuberi è, in questo modo, molto concreto. D’altra parte non si può pensare, come si pensa in certi ambienti politici, alla flessibilità degli interventi formativi, senza intervenire anche sul perso- nale in servizio, sia tramite la formazione dei formatori, sia, in caso di im- possibilità di riconversione, mediante ammortizzatori sociali. Per risolvere il problema, in qualche Regione del Sud è stato istituito un “Ruolo speciale ad esaurimento per i lavoratori iscritti nell’Albo Regionale della formazione professionale”, nel quale vengono inseriti i lavoratori della FP tramite concorso riservato, togliendo così ogni possibilità operativa agli Enti cui viene sottratto il personale. Così è avvenuto anni fa in Campania, negli ul- timi anni in Calabria e Basilicata; qualche proposta di legge lo vorrebbe attuare anche in Sicilia e in Puglia. Questa soluzione di chiaro stampo assistenziali- stico, promossa anche da gruppi politici che si ispirano al credo liberista, as- sicura ai lavoratori uno stipendio (a volte a fronte di nessuna prestazione) e sottrae risorse a investimenti che potrebbero creare posti di lavoro effettivi, distruggendo la capacità operativa degli Enti, anche di quelli che si sono preoc- cupati della riqualificazione del loro personale. Questi non sono ammortiz- zatori sociali che funzionano. Nelle altre Regioni, all’esubero del personale corrisponde una totale assenza di finanziamenti: non ci sono soldi né per la riqualificazione né per ammortizzatori sociali, con il rischio di gravi tensioni sociali e sindacali. Il CCNL non ha risolto adeguatamente questi nodi. Apertura all’Europa Il 1996 vede l’Italia in una fase di grande apertura verso l’Europa nei confronti di tutte le iniziative comunitarie. Ingresso lento e graduale negli anni passati, che ha subito quest’anno una notevole accelerazione, soprattutto nel comparto delle attività promosse e finanziate dalla UE tramite il FSE e tramite i progetti Occupazione, Adapt, Leonardo. Lottando duramente contro le lun- gaggini burocratiche, che costringono gli italiani a un eterno ritardo rispetto ai partner europei, la FP italiana sta approfittando molto di tali opportunità. In questo rinnovato slancio europeo ciò che ha particolare valore è il confronto che si determina con gli altri sistemi di FP europei, in una fase di evoluzione rapida. Il Ministero del Lavoro ha cominciato a impiegare in modo massiccio fondi del FSE su progetti interregionali, con interventi che hanno lo scopo di utilizzare pienamente le risorse e di mettere a confronto le varie realtà regionali. Se i progetti andranno a buon fine, già quest’anno un numero considerevole di giovani (decine di migliaia) potrà essere formato tramite interventi specifici aperti all’occupazione e si potrà iniziare la formazione continua dei lavoratori occupati. L’impegno di tante realtà formative per le proposte e le opportunità pro- venienti dalla UE trova comunque in Italia barriere difficili da superare. Mentre l’approvazione dei progetti è diventata abbastanza rapida, la mac- 28 china burocratica italiana, per niente preparata alla progettualità esaspera- tamente fissata sulla correttezza formale delle procedure e della loro appli- cazione, impedisce la tempestiva attuazione degli stessi. I funzionari, per evi- tare il rischio di errori formali e delle relative conseguenze, bloccano i rap- porti con gli attuatori dei progetti e tendono ad introdurre norme ancora più restrittive: effetto indesiderato di Tangentopoli, questo aumento dell’inerzia burocratica. Il risultato è che molte amministrazioni centrali e regionali fi- niscono con il non spendere i soldi messi a disposizione dalla UE. Ne hanno parlato anche i grandi mezzi di comunicazione. Nessuna critica ai tanti funzionari che lavorano duramente e corretta- mente perché le attività previste dal FSE vengano svolte anche in Italia. Re- sta purtroppo il fatto che, nel suo complesso, il sistema Italia è in ritardo strutturale rispetto a queste nuove modalità di sviluppo, determinate dal processo unitario europeo. La macchina della pubblica amministrazione è inadeguata ad affrontare questi nuovi percorsi. Un esempio, per tutti. La fideiussione è un istituto unicamente italiano per accedere ai finanziamenti. L’intenzione era quella di anticipare l’eroga- zione dei fondi, venendo incontro all’impossibilità di attuare la dovuta veri- fica da parte del Servizio Ispettivo del regolare inizio delle attività finanzia- te. I costi dell’istituto della fideiussione finiscono con il diventare crescenti e dunque pesanti, dal momento che si protraggono per anni e dal momento che le pratiche amministrative non vengono chiuse. Non solo, a volte succe- de che la fideiussione non possa essere finanziata con l’attività svolta. È dunque indispensabile che i funzionari siano messi in grado di migliorare gli interventi, la valutazione dei progetti, il loro finanziamento e il controllo dello svolgimento delle attività. In caso contrario continueremo a penalizza- re persone, Enti, iniziative e potenzialità professionali, per questa incapaci- tà strutturale di accedere a risorse importanti per la nostra crescita. Formazione continua Se ne parla un po’ da tutti. Studi e confronti si moltiplicano a mano a mano che la convinzione della sua importanza per lo sviluppo si diffonde. L’anno europeo dell’istruzione-formazione per tutto l’arco della vita è stata un’occasione opportuna per fare il punto e rilanciare. Lo sappiamo, la formazione continua riguarda, in primo luogo ogni Ente e CFP a due titoli: perché attiene alla formazione degli operatori della formazione, perché riguarda l’oggetto del loro servizio. Il bagaglio di capaci- tà progettuali e didattiche, di conoscenze tecniche e pratiche, che ogni CFP ha accumulato, indica che possiamo essere protagonisti in questo settore, il quale richiede, tra l’altro, buone capacità di interagire con il territorio e il mondo del lavoro in esso presente. Per questo motivo il presente numero della rivista “Rassegna CNOS” n. 3/1996 accoglie una serie di studi su alcuni aspetti della formazione continua e la redazione si ripropone di ampliare la trattazione e il dibattito su questa importante strategia di sviluppo. 29 1997 Le polemiche che hanno accompagnato l’approvazione della finanziaria, a conclusione del 1996, hanno forse fatto perdere di vista alcune scelte poli- tiche di notevole importanza e direttamente attinenti alla FP. Ci riferiamo soprattutto al problema del lavoro, che continua ad essere affrontato con strategie inadeguate, che puntano alla correzione o al contenimento degli effetti negativi della disoccupazione sulla struttura sociale, ma non intervengono sulle cause di fondo, pregiudicando dunque il futuro. E so- prattutto la centralità della formazione e del potenziamento delle risorse umane che non viene considerata pregiudiziale, per cui si continua ad agire sulle leve finanziarie e produttive, insistendo su ipotesi di soluzione che si sono già rivelate inefficaci. Ci pare che sia proprio questa insistenza a fare come prima e più di prima a rappresentare il problema. Si continua ad inquadrarlo nella logica dell’emergenza finanziaria, economica e occupazio- nale, confondendo i fatti con le premesse: la disoccupazione è il risultato obbligato delle attuali strategie occupazionali e non troverà soluzione se non si riesce ad andare oltre, se non si riesce cioè ad elaborare un progetto di svi- luppo di più lungo respiro, nel quale l’apporto dell’intelligenza, della libertà e della libera iniziativa sia assunto come centrale. La grande risonanza che i problemi del lavoro trovano presso i mezzi di comunicazione sociale rivela la crescita esponenziale della preoccupazione per il posto di lavoro, ma rischia anche di consolidare questo atteggiamento miope e questa politica di continuo tamponamento, mentre il futuro dell’Italia e dunque delle giovani generazioni diventa una nebulosa prospettiva, L’autunno 1996, in tutti i casi, è stato per la FP un periodo molto inte- ressante e ricco di spunti, sui quali riteniamo opportuno richiamare l’atten- zione dei nostri lettori. L’accordo per il lavoro L’accordo per il lavoro, firmato il 24 settembre dalle forze sociali e dal Governo, è importante per diversi motivi. Il documento rivela la sintonia di visioni e di interessi delle varie parti sociali su alcune tematiche di fondo: c’è un consenso sostanziale sull’analisi e sulle interpretazioni dei dati. Il che fa pensare che si possano elaborare ipo- tesi di soluzione, problematiche e difficili quanto si vuole, ma sufficiente- mente condivise. Al di là dei contenuti specifici, il documento evidenzia come il problema del lavoro e dei lavoratori sia considerato centrale dalle forze sociali e dal governo. E non è poco. Ma ciò che più conta è che non viene affrontato solo 33 1997Editoriale n. 1 dal punto di vista tecnico economico-finanziario ma da un punto di vista “politico”, a partire cioè da una visione globale della dinamica sociale e del- le regole che devono presiedere ai rapporti tra i singoli e i gruppi. Ponendo il lavoratore al centro del mondo del lavoro, occorre definirne profilo e ruo- lo: lavoratore non è solo chi vuole lavorare, ma chi sa lavorare in questo con- testo e ha la capacità di crescere rispetto ai cambiamenti del mercato del la- voro e diventare dunque il lavoratore di domani. Deriva di qui l’importanza della formazione di base assicurata dalla scuo- la, dal sistema della FP e da quello della formazione permanente, sia nei con- fronti di eventuali fasi di crisi occupazionale sia rispetto alle fasi di sviluppo economico. Apprezzabile in questo accordo il fatto che si sia recepito inte- gralmente il contenuto dell’accordo tra forze sociali, Ministero del Lavoro e della Pubblica Istruzione (luglio l996) presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che abbiamo già commentato nello scorso numero della rivista. Il Disegno di legge per l’attuazione dell’accordo sul lavoro Il Consiglio dei Ministri ha approvato il DDL “Norme in materia di occu- pazione”, nel quale sono presenti alcuni importanti temi riguardanti la FP. Primo fra tutti relativamente all’introduzione dei contratti di lavoro temporaneo. Le imprese abilitate sono tenute a versare per il finanziamento di iniziative di FP dei prestatori di lavoro temporaneo un contributo pari al 5% della retribuzione corrisposta ai lavoratori assunti. Una quota cosi alta di contributo si giustifica per il tipo di rapporto in cui sono coinvolti detti la- voratori, costretti ad adattarsi continuamente a nuove forme di lavoro pres- so le aziende cui sono destinati. Per quanto invece riguarda la realizzazione delle azioni di formazione, i contributi previsti sono destinati “alle iniziative proposte, anche congiunta- mente, dalle imprese fornitrici di lavoro temporaneo e dagli enti bilaterali operanti in ambito categoriale costituiti dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nel predetto ambito”. Dobbiamo sperare che questo non diventi il modello di ogni tipologia di formazione permanente. L’accordo per il lavoro prevede che lo 0,30% versato dalle imprese nel fondo di rotazione sia destinato al funzionamento della formazione continua. Se anche queste risorse venissero distribuite con lo stesso criterio, sparireb- be ogni forma di concertazione tra forze sociali e ci si troverebbe semplice- mente davanti a forme di spartizione dei fondi. Tanto varrebbe lasciare alle imprese l’obbligo di destinare il 5% (o lo 0,30%) del monte salari alla forma- zione professionale, lasciando ad esse il compito di erogarla, se ne hanno le capacità, o destinando l’importo ad un unico fondo nel caso non potessero o non sapessero svolgere in proprio questo servizio. L’art. l5, inoltre, parla di “apprendistato”. Non entriamo nel merito della normativa, ma ci occupiamo soltanto dei riflessi sulla FP che la revisione di questo istituto comporta. Le agevolazioni contributive, si legge nel testo le- gislativo “trovano applicazione alla condizione che gli apprendisti partecipi- 34 no alle iniziative di formazione esterna all’azienda previste dai CCNL. Le ini- ziative di formazione prevedono un impegno di almeno 120 ore medie an- nue...”. I contenuti formativi verranno fissati con decreto del Ministero del Lavoro e della P.S.. Il Governo è delegato ad emanare norme regolamentari che portino ad una disciplina organica dei rapporti di lavoro con contenuti formativi, quali l’apprendistato e il contratto di formazione e lavoro. L’istituto dell’apprendistato, in Italia, si è progressivamente svuotato, riducendosi a periodo di addestramento senza specifiche valenze formative, e c’è da essere soddisfatti che si cerchi di ridargli la dignità e la funzione che ad esso sono riconosciute negli altri Paesi europei. Quel minimo di 120 ore di formazione esterna è un buon avvio verso la trasformazione dell’appren- distato nella modalità per rendere operativo il diritto alla formazione fino ai 18 anni per i giovani, usciti dalla scuola o dalla FP prima di tale età, ancora una volta in linea con i modelli delle altre nazioni europee. L’art. 16 tratta del “Riordino della formazione professionale”. Non siamo nell’ottica di una revisione globale della legge 845/78. Si interviene su que- stioni settoriali, sia pure di importanza strategica o su temi non presenti nel- la legge, ricorrendo non allo strumento legislativo ma solo a quello della rego- lamentazione. I principi introdotti dall’art. l5 per la formazione all’apprendi- stato e la razionalizzazione dei contratti di formazione lavoro, sono da inte- grare con i principi e i criteri generali introdotti dall’art. 16 e rappresentano una piattaforma sufficiente per avviare il processo di revisione della FP. Si tratta di otto punti, nei quali sono indicati i principi generali, facilmente condivisibili, e le decisioni applicative, che invece sono opinabili, almeno a partire dal senso dei termini impiegati. a) Finalità del rilancio della FP: – migliorare la qualità dell’offerta di lavoro – elevare le capacità competitive del sistema produttivo, soprattutto in riferimento alle piccole e medie imprese – incrementare l’occupazione mediante: • moduli flessibili, adeguati alle realtà locali • adeguamento al contesto produttivo locale • aggiornamento degli imprenditori, dei lavoratori autonomi e dei soci di cooperative. b) Ampliamento e potenziamento dello stage – come raccordo tra formazione e lavoro – come momento di orientamento dei giovani – come primo contatto tra giovani e imprese c) Attuatori della formazione di base – Enti pubblici – anche privati con requisiti preliminarmente individuati d) destinazione di risorse per la formazione continua e) criteri e modalità di certificazione delle competenze acquisite f) misure per la mobilità interna ed esterna degli addetti alla FP, in vista della ristrutturazione degli Enti di FP e la trasformazione dei Centri in Agenzie 35 g) semplificazione delle procedure h) abrogazione, ove occorra, delle norme vigenti. In base a questi punti, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, saranno emanate le norme regolamentari. I principi e i criteri degli interventi di “natura regolamentare” indicati si prestano ad alcune riflessioni. Manca una visione d’insieme della FP e delle problematiche ad essa at- tinenti. Emerge invece chiaramente l’intento di rendere il sistema formativo funzionale alla struttura e alla cultura aziendale, grazie a un passaggio di fuoco dalla formazione di base al lavoro alla formazione dei lavoratori occu- pati. Si riconosce alle parti sociali, in particolare mediante la valorizzazione degli Enti bilaterali, un ruolo dominante nella trasformazione del sistema, che si vuole rendere più flessibile. Questi obiettivi richiedono la creazione di un nuovo quadro istituzionale della FP. Contemporaneamente la scelta del Ministero del Lavoro e della P.S. e di molte Regioni, di regolare attraverso bando di concorso, in regime di concorrenza, le risorse pubbliche, senza ri- ferimento ai dettami della legge quadro della FP, determina alcune gravi con- seguenze che tendono a trasformare il quadro generale della FP. 1. Si lega il sistema formativo alla negoziazione privata tra le parti sociali. 2. L’istituzione pubblica abdica ulteriormente al proprio ruolo e conferma la propria incapacità di sviluppare una efficace politica nel settore per mancanza di una cultura organizzativa, in grado di gestire sistemi sem- pre più complessi. 3. I soggetti del terzo settore operanti nel campo della FP (associazioni, organismi di volontariato, espressioni varie dell’economia sociale) sono squalificati. Significativa, a questo proposito, l’insistenza con cui si cerca di trasformare i Centri di FP in Agenzie formative. Il termine è ambiguo e finisce con il premiare la tendenza a trasformare l’attività dei centri da educativa-formativa ad addestrativa, al contenuto quasi esclu- sivamente tecnico e a favore di una fruizione immediata delle muove risorse umane da parte delle imprese. Questo non significa che i CFP debbano restare quello che sono, soprattutto nei casi in cui essi continuino a operare in maniera assistenziali- stica, sulla base di parametri autoreferenziali, svolgendo attività più rivolte a dare lavoro agli operatori che a dare risposte valide di FP agli utenti e a promuovere lo sviluppo del mondo del lavoro del territorio in cui operano. I più recenti studi, le ricerche più avanzate e lo stesso CCNL danno invece del CFP una descrizione più concreta e condivisibile delle trasformazioni che Centri e Enti di FP devono perseguire. Il termine Agenzia risulta vuoto di contenuti concreti e ripropone quel modello di organizzazioni operanti nella FP, che fanno semplicemente da supporto ad altre realtà che erogano formazione. A questo punto non e più chiaro “chi fa che cosa”. Chi attua ve- ramente gli interventi? Le industrie, il sistema pubblico di FP o il sistema dell’istruzione? 36 È previsto “lo svolgimento delle attività di FP di base anche in affi- damento a soggetti privati aventi requisiti preliminarmente individuati”. Ma questi requisiti non vengono indicati e perciò potrebbero essere anche diversi da quelli fissati dalla legge 845/78. Il rischio che gli Enti attualmente operanti nella FP vengano ad assumere un ruolo puramente marginale al- l’interno del nuovo sistema è sempre più reale ed è confermato dall’impres- sione che le risorse economiche destinate a questo settore diventino sempre più evanescenti. A questo punto pare utile fissare alcuni punti irrinunciabili, che trovano nella carta costituzionale non solo una legittimazione giuridica, ma anche una precisa valorizzazione del privato sociale. 1. La formazione al lavoro e sul lavoro è un diritto soggettivo della persona ed è anche un diritto oggettivo di cittadinanza sociale, di cui è titolare ogni persona in quanto appartenente alla comunità sociale e politica. La FP corrisponde dunque ad un diritto di cittadinanza sociale. Questo comporta da un lato il superamento della concezione assistenzialistica e d’altra parte l’affermazione del suo ruolo educativo: essa si qualifica in- fatti come processo che sostiene e fa crescere le capacità e le abilità del- la persona, in ogni fase della vita. La Costituzione, dunque, tutela il di- ritto alla formazione di ogni soggetto che la richieda. 2. La formazione va intesa come compito affidato ai soggetti associativi, in grado di assumersi una precisa responsabilità sociale, regolata dall’inter- vento di supporto dell’Ente pubblico. La formazione non può dunque essere gestita semplicemente sulla base di criteri privatistici e negoziali. Di qui il rifiuto di ogni ipotesi di aziendalizzazione e frammentazione della FP. Va rispettato il diritto dei soggetti sociali, che operano nel set- tore educativo, a esercitare la funzione formativa. Detta funzione non è affatto legata, in senso esclusivo, ai sistemi economici. Essa ha lo scopo di valorizzare tutte le risorse formative di una comunità e deve assicura- re a tutti pari opportunità di accesso. Il diritto alla formazione non va disgiunto dagli altri diritti costituzionali della persona, dal momento che rappresenta il fondamentale fattore di crescita integrata della persona e della società. Lo ribadiamo. La FP deve essere in primo luogo un servizio alla persona che si prepara ad entrare nel mondo del lavoro e al lavora- tore. Non può essere semplicemente a servizio dei bisogni contingenti del mondo economico. È vero che la persona in formazione non è avulsa dal- la situazione socioeconomica del territorio e dal contesto sociale, econo- mico, tecnologico che rappresenta la più vasta comunità umana in cui vive. Questo significa che nel suo processo di formazione devono armo- nizzarsi i valori e le esigenze di cui il singolo è portatore con le esigenze del mercato del lavoro. Difficile sintesi, che la FP deve però realizzare mediante percorsi di sviluppo culturale in senso ampio e percorsi di apprendimento delle abilità e delle conoscenze tecniche e tecnologiche di immediata applicazione. Il punto è sempre lo stesso: i valori della tecnologia e dell’economia devono essere integrati con quelli dell’uomo lavoratore. Da un altro punto di vista, non si tratta né di difendere pre- 37 giudizialmente Enti e Associazioni che finora hanno fatto FP e neppure di difendere l’attuale modo di fare formazione. Conta invece trasformare in meglio quanto c’è, di valorizzare nel migliore dei modi la loro espe- rienza educativa, il loro contatto con le realtà sociali di cui sono emana- zione, le loro sensibilità ai problemi dei giovani e dei lavoratori, per crea- re un sistema formativo che sia a servizio dell’uomo e del lavoratore. Il che risponde anche alle esigenze più avanzate del mondo produttivo. L’art. 17, “Tirocini formativi e di orientamento”, tratta un tema nuovo co- me quello della alternanza tra studio e lavoro. Era importante che si facesse qualche cosa in proposito e non si può che essere felici che i tirocini pratici e stages per i giovani che abbiano terminato l’obbligo vengano incrementati e promossi. La promozione è affidata a soggetti pubblici o privati senza sco- po di lucro che operano nel mondo della scuola e del lavoro. Il che significa che anche le scuole legalmente riconosciute e gli Enti di FP hanno titoli per stabilire convenzioni con i datori di lavoro. La durata prevista per iniziative del genere fino a 12 mesi (24 per i portatori di handicap) evidenzia che ci troviamo di fronte a una nuova metodologia di formazione, erogata di- rettamente sul luogo di lavoro, in assenza di un contratto di lavoro dipen- dente e con la possibilità di crediti formativi debitamente certificati. Anche in questo caso solo una chiara normativa potrà rendere concretamente pra- ticabile ed efficace questa opportunità formativa. Il documento manifesta l’intenzione del Governo di intervenire sul siste- ma di FP, ma non lascia ancora intravedere quale sarà il futuro della FP in Italia. Al di là delle buone intenzioni, non basta un disegno di legge per creare una mentalità e dare dignità a un sistema che nella cultura italiana è sempre stato considerato secondario, riservato quasi unicamente a utenti deboli e, secondo molti anche tra gli operatori della FP, ritenuto una specie di scuola di serie B. Il Ministero del Lavoro e della P.S. ha già cominciato a intervenire in me- rito alla trasformazione dei Centri attraverso lo stanziamento di 60 miliardi in base alla legge 236/93 per azioni di riqualificazione mirate essenzialmente ad accompagnare la mobilità esterna degli operatori degli Enti. Il Ministero dà in questo modo un segnale circa le sue intenzioni di trasformare gli Enti e i Centri di FP secondo il nuovo modello. Questo tipo di intervento può vo- lere dire che le azioni di formazione non saranno più, come capita ancora in alcuni casi, mirate ad assicurare il posto di lavoro al personale, ma dovranno rispondere a esigenze concrete e moderne. Per rendere possibile una completa ricollocazione degli Enti e Centri di FP, risulta pero indispensabile la riqualificazione interna del personale: soltanto nel caso in cui non sia possibile riconvertire detto personale all’in- terno del sistema della formazione, sarà necessario prepararlo per attività esterne al sistema stesso. Questo ultimo tipo di intervento può divenire pe- ricoloso quando le riqualificazioni vengano pensate semplicemente come un ammortizzatore sociale temporaneo, da adottare prima dell’espulsione dal sistema della persona, mentre invece dovrebbe essere pensato come vera 38 creazione di nuove opportunità di lavoro. Queste modalità di gestione del personale rimandano al concetto di Agenzia, come espresso nel testo del disegno di legge e nell’accordo per il lavoro. L’imprecisione di tale concetto può illudere alcuni Enti di essere più effi- caci semplicemente eliminando il personale, diminuendo i costi, risanando i bilanci. Il nostro modo di vedere è invece questo: i piani regionali di FP, l’evoluzione del sistema scolastico nella sua globalità e i progetti di tra- sformazione dei Centri in senso polifunzionale, possono creare esuberi o do- ver gestire professionalità non più impiegabili né riconvertibili (magari per mancanza di preparazione di base adeguata). Solo in questi casi sono im- portanti veri e mirati interventi di formazione per la mobilità esterna degli operatori. Molto più importante è però attivare un piano di interventi per la trasformazione e la riqualificazione dei Centri attraverso la FP degli operatori, che permetta di realizzare quella polifunzionalità operativa, che le ricerche e il nuovo CCNL considerano basilari per la trasformazione del si- stema formativo. Il Seminario di Frascati della CEI Il 23/24 novembre 1996 si è tenuto a Frascati Villa Campitelli un Semina- rio, per iniziativa degli Uffici Nazionali della CEI (Conferenza Episcopale Italiana) per la cultura, la scuola e l’università e per i problemi sociali e del lavoro, in collaborazione con gli Enti di FP. Un’occasione importante per le seguenti considerazioni: – la Chiesa italiana, tramite i suoi uffici nazionali, ritiene che la FP sia un nodo fondamentale e un punto di incrocio dei grandi problemi che oggi toccano il mondo della scuola e quello del lavoro. Di qui la centralità attri- buita al problema della FP nella prospettiva di impostare in maniera seria gli interventi per la risoluzione sia dei gravi problemi della scuola, spesso estra- nea ai problemi concreti del lavoro, sia dei problemi riguardanti il mondo del lavoro, primo fra tutti quello della disoccupazione, per affrontare il qua- le serve una seria FP. Ne è derivato l’impegno di collaborazione tra i due Uffici della CEI, esteso agli enti e agli operatori dei due canali, per la cresci- ta di tutto il sistema. – Il Seminario ha richiamato l’attenzione della Chiesa, del mondo politi- co, imprenditoriale e sindacale sui problemi della FP, favorendo il rilancio di una discussione ad alto livello sulle trasformazioni in atto nel sistema for- mativo italiano, scolastico e professionale. La presenza di Ministri e Sotto- segretari, di sindacalisti, di rappresentanti delle categorie imprenditoriali ha consentito una incisiva azione di sensibilizzazione culturale e politica. – È stata, inoltre sottolineata l’importanza della FP come strumento di nuova evangelizzazione, nei confronti di tanti lavoratori giovani e adulti, che normalmente non sono toccati da altre azioni pastorali. Il Seminario è stato un segno forte del rinnovato impegno della Chiesa 39 italiana per la scuola e la FP. Tale impegno ha portato anche alla nascita di due nuovi organismi: il Consiglio Nazionale della Scuola cattolica e il connesso Centro Studi per la Scuola cattolica, allo scopo di tenere desta l’at- tenzione dei cattolici italiani su tutto il sistema formativo italiano promosso dalle realtà ecclesiali e quindi anche sugli Enti di FP di ispirazione cristiana, con la prospettiva di una ricaduta positiva su tutto il sistema. Il “Rapporto ISFOL 1996” e il “Rapporto sulla situazione sociale del Paese” del CENSIS I due rapporti, in modo indipendente, ma complementare, entrano nel merito dei problemi del lavoro e della formazione. Non vogliamo confronta- re dati, ma solo cogliere qualche stimolo sulla base di alcune considerazioni di carattere generale. L’ISFOL registra i cambiamenti, formalmente impalpabili e di fatto stri- scianti, del sistema della FP, in assenza di indicazioni strategiche generali. Saluta il 1996 come l’anno della ripresa dell’iniziativa politica nei confronti della formazione, come si rileva dall’accordo raggiunto con le parti sociali a luglio, che tratta la formazione come elemento strategico per lo sviluppo del Paese e l’integrazione tra scuola e FP come la strada per la crescita e il rinnovamento del sistema. Si evidenzia che gli interventi formativi debbono avere una propria iden- tità e dignità. Il sistema di FP è stato inteso a volte come fattore strategico di sviluppo sociale, altre volte come strumento della politica del lavoro o come fattore di sviluppo economico. In realtà la FP è stata sacrificata a compiti strettamente strumentali a servizio dell’occupazione o addirittura dell’im- mediato collocamento. Si è trascurato il suo compito di agevolare li passag- gio dal mondo della scuola a quello del lavoro e da questo alla scuola. Un percorso che richiede l’acquisizione di professionalità di base a largo spettro. Non si è considerato inoltre che la formazione, anche quando non produce ricadute a breve, può di fatto creare occupazione in tempi più lunghi. In una fase di debole domanda di lavoro questo significa che la formazione non de- ve diminuire, per il solo motivo che non produce occupabilità immediata. “Occorre insomma riaffermare l’identità specifica della formazione profes- sionale che non è solo strumento ma anche valore in sé”. Affermazione questa del Rapporto ISFOL che ci riporta alla centralità non puramente strumentale dell’uomo lavoratore. Una tesi che non può che fare piacere a chi da sempre l’ha sostenuta e difesa con la propria azione. Il CENSIS, parlando dei processi formativi, definisce la FP “la seconda gamba del sistema educativo” e la esamina a partire dall’accordo di settem- bre sul lavoro. In esso si introducono e ratificano concetti fondamentali e si insiste sull’introduzione della cultura del lavoro in tutto il sistema educativo, attribuendo ad essa un ruolo fondamentale sia rispetto alla formazione sia rispetto all’istruzione. Il rapporto sottolinea che “si tratta di saper accompagnare gli indi- 40 spensabili interventi su struttura, contenuti e metodologie con una opera- zione di ordine culturale che restituisca valenza e ruolo ad un’opzione, quella professionale, che ancora rimane, con un termine abusato, una scelta di serie B, una formazione senza mercato”. In effetti la FP non ha mercato da un punto di vista qualitativo perché il coinvolgimento dell’utenza potenziale e le risorse finanziarie investite sono nettamente inferiori alle necessità del Paese: le attività degli organismi regio- nali di FP interessano solo l’1,6% della forza di lavoro, o il 14% se ci si riferi- sce ai soli inoccupati. Il sottosistema formativo, insomma, è troppo asimme- trico rispetto a quello scolastico. Il numero di utenti che vi sono coinvolti inol- tre è parziale rispetto alla reale esigenza di formazione del nostro Paese. Il progetto di riordino dei cicli scolastici del Ministero della Pubblica Istruzione Non è possibile dare rapidamente un giudizio sul documento presentato a metà di gennaio e riguardante il riordino generale della scuola italiana. Non è un progetto settoriale di riforma, ma una proposta di trasformazione globale della struttura scolastica. In tale contesto non possono mancare indicazioni riguardanti l’intero sistema educativo e dunque anche il settore della FP. Non entriamo nel merito della ristrutturazione dei cicli scolastici. Ci limitiamo a fare qualche considerazione sulla posizione della FP e sul rap- porto scuola-lavoro. Nella premessa del documento si trovano alcune affermazioni interessan- ti. In primo luogo si afferma che la formazione, come fattore di sviluppo, necessita di un approccio globale. In secondo luogo si prevede la strutturazio- ne del sistema dell’istruzione in senso modulare, superando la configurazione piramidale, allo scopo di precisare, per ogni segmento, le soglie da raggiun- gere con risultati spendibili in termini culturali, scientifici e professionali. Una simile struttura consente di aprire il sistema dell’istruzione a momenti diversi di specializzazione e valorizza la FP, come risorsa da utiliz- zare in modo sinergico con altre offerte culturali. Bastano questi due cenni per far risaltare il cambiamento di approccio al sistema della FP e per confermare la necessità che scuola e FP non si ignori- no e affrontino assieme i problemi. L’introduzione della cultura professionale nella scuola, poi, non può che fare piacere: tra gli obiettivi da raggiungere con il riordino del sistema compare infatti “la crescita di abilità e capacità professionali e di una mo- derna cultura professionale”. La squalifica della cultura professionale come cultura di serie B rientra definitivamente. Di FP si ritorna a parlare a proposito di scuola superiore, là dove si affrontano i problemi dell’orientamento e della conclusione dell’obbligo sco- lastico (13-15 anni). In questo ambito si prevedono, per l’ultimo anno, possi- bilità di convenzione tra scuola e FP. Il tutto si dovrebbe concludere con un primo esame di Stato di licenza dalla scuola dell’obbligo, che debbono 41 sostenere anche gli studenti che nell’ultimo anno avessero frequentato la FP. Il punto 4 del documento tratta specificamente della FP. Il solo fatto che in questo documento la FP sia presente è innovativo: vie- ne riconosciuta ad essa, finalmente, piena cittadinanza nel sistema educativo italiano rinnovato. Comunque vada a finire la proposta di riforma presenta- ta nel documento, ci troviamo di fronte al definitivo tramonto di una conce- zione riduttiva, marginale e misconosciuta della FP in Italia, cui si attribui- sce invece valore educativo, formativo e culturale. Conclusione Anche se non raggiunge sempre le prime pagine dei giornali (e dei telegiornali) ci fa piacere che il tema della FP sia uscito dalla stretta cerchia degli addetti ai lavori, per entrare in un più vasto ambito di interesse e di discussione. La speranza è che da tale interesse derivi una crescita reale di tutto il sistema educativo italiano e si precisi e si rafforzi tutta la politica italiana del lavoro e della FP. 42 Il settore dell’istruzione, in questo periodo, sta vivendo una fase ricca di iniziative e di spunti a livelli diversi. La riflessione e la discussione, dopo il ciclo delle grandi proposte, riprendono con ritmo più appropriato. L’argomento che catalizza maggiormente la discussione è quello del riordino dei cicli, che riguarda anche la FP. Ma sul tappeto ci sono altri due argomenti di non minore rilevanza. Il primo, quello dell’autonomia, sembra abbia toccato un primo traguar- do, in seguito all’approvazione della legge Bassanini: è una legge delega, che rinvia ai decreti delegati l’applicazione e la pratica dei contenuti dell’au- tonomia. E qui ci sarà da confrontarsi. In tutti i casi il contesto di riferi- mento è definito. Il secondo problema, invece, quello della parità, è ancora in alto mare: sembra piuttosto difficile trovare una soluzione, perché gli aspetti giuridici e quelli finanziari sono affrontati da punti di vista differenti e con sensibilità diverse. Le divergenze, inoltre, non sono espresse da specifici schieramenti politici, opposti l’uno all’altro, ma sono presenti all’interno dei gruppi, cia- scuno dei quali stenta a trovare proposte di soluzioni omogenee. Percorso tutto in salita, dunque. Sul riordino del cicli le prese di posizione sono diversificate: tra chi espri- me appoggio acritico e chi è per la condanna senza mezzi termini, si devono registrare atteggiamenti più costitutivi, da cui provengono suggerimenti, correzioni, valutazioni di metodo e di merito. La CONFAP si è inserita nel dibattito portando l’attenzione sul sottosi- stema della FP con l’obiettivo di ottenerne l’integrazione nel sistema globale dell’istruzione italiana. Anche le Regioni hanno cominciato a riflettere sui loro compiti istituziona- li, nella prospettiva del riordino complessivo dell’istituzione scolastica. Il CCD ha presentato una proposta di legge, in cui si precisano le “Norme organiche” che dovrebbero reggere l’intero sistema scolastico formativo. Il Ministro del Lavoro e della P.S., con il cosiddetto “Pacchetto lavoro” o “Pacchetto Treu” affronta la questione della FP proponendo, a quanto pare, di non rivedere la legge 845/78 per via legislativa, ma di riordinare il sistema tramite decretazione delegata. Ne abbiamo parlato nell’editoriale del nume- ro precedente della rivista “Rassegna CNOS” n. 1/1997. Qui vorremmo pren- dere in esame le esigenze di formazione nell’apprendistato e il ruolo forma- tivo riconosciuto alle imprese e ai luoghi di lavoro in genere. E lo facciamo a partire da alcune considerazioni circa gli effetti che i finanziamenti del FSE e l’applicazione della legge 236/93 stanno generando per quanto concerne il futuro del sistema formativo italiano e in modo particolare dei Centri di formazione del sistema regionale. 43 1997Editoriale n. 2 Il finanziamento europeo e la destrutturazione del sistema Prima di tutto, a parità di quadro legislativo nazionale e regionale, il sistema della FP italiano, limitato come numero di presenze e poco finan- ziato rispetto al sistema scolastico, sta imboccando strade, per altri aspetti positive ma che sembrano portare alla sua totale destrutturazione. La scarsità di fondi, di cui le Regioni soffrono, per gestire in proprio la FP ha avviato il noto meccanismo del cofinanziamento dei progetti regiona- li con fondi FSE. Il che ha determinato un processo di cambiamento rapidissimo: questa eurodipendenza ha portato i suoi frutti. – Aumento delle offerte formative. Fondi sempre maggiori si sono aggiun- ti ai fondi disponibili in proprio, consentendo un maggior numero di ini- ziative formative, in un periodo in cui al progressivo diminuire delle ri- sorse si contrapponeva un contemporaneo aumento dei bisogni e della sensibilità verso la FP. Inoltre la programmazione fatta secondo i criteri del FSE ha obbligato le Regioni a progettare, nell’ottica della formazione continua, interventi su obiettivi di varia natura, come quelli a favore del lavoratori occupati; – Progettazione per obiettivi. Le Regioni e gli Enti attuatori sono stati costretti a potenziare la strategia di programmazione e di progettazione secondo i parametri esigiti dal FSE, acquisendo nuovo know how gestio- nale e formativo. Importante l’introduzione del concetto e della pratica della valutazione delle azioni formative sia ex ante, sia in itinere e ex post. – Allargamento del concetto di FP. Si va oltre la logica moltiplicatoria degli interventi, per riservare maggior attenzione alla analisi dei bisogni del territorio e degli utenti, alla progettazione ad essa coerente, all’orienta- mento dell’utenza in ingresso e ai suoi approcci al mondo del lavoro (sta- ge, ingresso). Si è passati cioè da un concetto di formazione come sem- plice proposta di percorsi didattici e formativi, sul modello scolastico, a un concetto più complesso della formazione e della professionalità, più adeguato alle reali esigenze dei destinatari e del sistema socio-economico. Si tratta, senza dubbio, di arricchimenti. I finanziamenti europei, però, impiegati in questo modo, determinano a nostro parere un effetto perverso, su cui occorre riflettere. Si tratta di ciò che abbiamo chiamato “destrutturazione del sistema”. Il FSE finanzia i singoli interventi. È ovvio che lo scopo sia quello di favorire una maggior efficacia del sistema della FP. È quanto avviene nei Paesi in cui la FP gode di uno statuto meglio collaudato e più chiaro. In questi Paesi il finanziamento del FSE integra e arricchisce il sistema del- la FP nazionale soprattutto perché viene impiegato a sostegno di interventi innovativi. Da noi, invece, si è abbandonato il sostegno al sistema in quanto tale per finanziare, con il FSE, solo le singole azioni. Di questo passo il rischio è che il sistema, in quanto tale, imploda, producendo una miriade di interventi scoordinati ed estemporanei. “Agenzie”, spesso improvvisate, tendono a so- 44 stituirsi alle strutture stabili di formazione: non disponendo di un piano si- curo e strutturale di finanziamenti e dovendo sfruttare soltanto finanzia- menti settoriali di singoli interventi, non hanno né mezzi né interesse a dar- si un’organizzazione stabile. Non potranno, cioè, assumere stabilmente del personale, capace di elaborare e di perseguire una seria proposta formativa, non saranno in grado di sviluppare una adeguata cultura professionale dei formatori; non potranno organizzare un ambiente formativo ben orientato e nemmeno capitalizzare un know how efficacemente spendibile. Saranno cer- tamente strutture flessibili, ma nulla è più flessibile dell’inesistente. È sulla base di questa logica che alcune Regioni cercano di modificare il sistema del- la formazione sopprimendo i CFP e trasformandoli in agenzie, sia pure inte- se nel senso più positivo del termine. Pare, insomma, che per essere flessibi- le un sistema debba essere destrutturato: un sistema destrutturato è soltan- to un non sistema, una somma di attività senza un’anima e senza un cervel- lo, che è il progetto formativo di un Ente. Mentre il sistema scolastico, attra- verso il progetto di Istituto, sembra riscoprire quanto la legge 845/78 da vent’anni aveva voluto per la FP, il sistema di FP, per motivi sostanzialmente finanziari, viene ridotto a un coacervo di azioni, affidate al miglior offerente per quanto riguarda i costi, con una qualche attenzione per la qualità pro- gettuale relativa alle priorità fissate dal FSE. In tutti i casi di contrattazione si tratta, per cui della formazione si fa mercato. Secondo noi i titolari della FP devono invece essere Enti, dotati di una propria proposta formativa e di Centri polifunzionali, in cui siano presenti le nuove competenze: l’analisi sistematica e scientifica del fabbisogno; la programmazione formativa; una gestione dei corsi che comporti un ampio spazio riservato agli stages; un metodo attendibile e oggettivo di valutazione ex-post dell’efficacia ed efficienza; i servizi di orientamento e di tutoring. Nel- lo stesso tempo l’Ente deve disporre di una dotazione – di personale, di strut- ture, di attrezzature, di competenze educative e tecnologiche – idonea a ri- spondere efficacemente ai bisogni del territorio, tenendo conto, tra l’altro, che essi non sono sempre nuovi e diversi. Con questo non si intende dire che all’interno di ogni Centro polifunzionale debbano essere presenti tutte queste competenze e funzioni: è l’Ente, nella sua organizzazione globale, che deve disporre di un simile patrimonio formativo, evitando di rimanere ingessato su professionalità obsolete e strutture fatiscenti e strutturandosi come un sistema aperto, progettuale, ben inserito nel territorio, dotato di strutture e attrezzature moderne e di una capacità di formazione collaudata dall’espe- rienza, dalla continua e consolidata riflessione, da un aggiornamento e riqualificazione continua del personale. La legge 236/93 art. 9 comma 3 e la circolare applicativa: le azioni di riqua- lificazione e riconversione degli operatori degli Enti ex legge 40/87 art. 1 Il sistema formativo italiano, come si è venuto formando a partire dalla legge quadro in poi, deve molto agli Enti nazionali di FP. Con la loro presen- 45 za, essi hanno contribuito al formarsi di una cultura della FP e alla creazione di un sistema nazionale in qualche modo unitario, al di là delle peculiarità re- gionali. Tale presenza, per effetto dei mutamenti introdotti nella struttura dei finanziamenti e per effetto della rigidità imposta alla gestione del personale, rivela oggi alcuni limiti e qualche sofferenza. Il problema più complesso è quello del personale, sia perché qualche volta è in esubero sia perché in alcuni contesti non è più qualificato per la nuova strutturazione dei Centri. Il Ministero del Lavoro e della P.S., at- traverso l’applicazione della legge 236 art. 9 comma 3, intende finanziare la riqualificazione e la riconversione dei formatori degli Enti, attraverso tre possibili percorsi di mobilità: verso una nuova occupazione, verso un consistente riposizionamento all’interno dell’Ente, verso un ricollocamento all’interno del sistema di formazione. In concreto, l’attuale situazione com- porterà che la maggior parte dei fondi sia destinata a favorire il personale in esubero nella ricerca di una nuova professione. È ovvio che ogni trasforma- zione di sistema porti a degli esuberi strutturali e che certe professionalità obsolete non siano più ricollocabili nel sistema. La legge non prevede ammortizzatori sociali, ma formazione a nuovi impieghi, magari legati alla FP e però estranei al sistema degli Enti. È una sfida a creare professionalità occupabili in un momento di grave crisi occupazionale. Possiamo solo augurarci che le necessarie trasformazio- ni del sistema di FP non siano pagate dai formatori in esubero con la perdita del posto di lavoro. La situazione che stiamo vivendo mette in evidenza la necessità della formazione continua dei formatori, per far fronte all’accele- razione del cambiamento. Il CCNL 94-97 della FP dà molta enfasi alla for- mazione individuale e collegiale dei formatori: le persone e i Centri che non la attuano seriamente si votano al fallimento e alla disoccupazione degli operatori nel giro di breve tempo. Il sistema di FP nella proposta CONFAP La CONFAP, partendo dall’Accordo per il lavoro di settembre e dal docu- mento Berlinguer, poco chiaro nell’esplicitare cosa intende per sistema di FP, ha elaborato un documento propositivo, che prevede la creazione di un si- stema di FP regionale nelle sue varie articolazioni, con particolare riferi- mento ai giovani nella fascia dell’obbligo e del post obbligo. Il documento viene pubblicato per intero nella rivista e merita una attenta lettura. Vengo- no previsti due sottosistemi: quello della scuola e quello della FP, cui si attri- buiscono scopi diversi e metodologie di approccio alla formazione differen- ti. Possibilità di passaggi dall’uno all’altro sarebbero favorite da un sistema di crediti formativi. Il sottosistema della FP dovrebbe essere fortemente carat- terizzato dall’occupabilità: dovrebbe cioè assicurare prima di tutto agli uten- ti la reale acquisizione di professionalità immediatamente spendibili nel mercato del lavoro; inoltre dovrebbe impiegare per l’apprendimento una metodologia ascendente – dal fare al conoscere – con sviluppo delle capacità 46 di lavorare in gruppo e delle competenze trasversali indispensabili per poter accedere al mondo del lavoro. Il sistema di FP nella proposta delle Regioni In questo processo di riflessione, scaturito soprattutto dalla proposta di riordino dei cicli scolastici e formativi, anche le Regioni, titolari per norma costituzionale della FP, hanno cominciato ad elaborare un documento “sulla riforma dell’istruzione scolastica e della formazione professionale”. Lo ab- biamo esaminato ancora in bozza e ci limitiamo a commentarlo in senso molto generale. Il documento riconosce la validità dell’“Accordo per il lavoro”, ed esprime alcune richieste: – il decentramento e il coordinamento della programmazione degli inter- venti; – il coinvolgimento degli Enti locali nella definizione e nel governo del siste- ma, sulla linea del decentramento e della sussidiarietà; – una riorganizzazione complessiva, a livello regionale, delle risorse desti- nate alla FP, a partire dall’obbligo alla formazione superiore; – l’istituzionalizzazione della partecipazione delle parti sociali, per legare formazione e territorio; – un percorso di certificazione della qualità dell’offerta di FP. Le Regioni riconoscono all’“Accordo per il lavoro” maggior organicità e coerenza, in vista di una revisione complessiva del sistema dell’istruzione e della FP, sia rispetto alla proposta di riforma dell’autonomia scolastica (art. 21 della legge Bassanini) sia rispetto alla proposta di revisione dei cieli scolastici (Documento Berlinguer). Le Regioni riconoscono la necessità di una radicale trasformazione del sistema della FP. Ma precisano che solo un sistema di FP forte e distinto dal- l’istruzione scolastica può consentire al giovani l’opzione di fondo tra cana- le scolastico e canale professionale. Questo richiede, tra l’altro, il passaggio degli Istituti Professionali di Stato alle Regioni. La bozza si ferma poi a considerare gli assetti istituzionali e le forme di governo del sistema, con la descrizione delle funzioni riservate al governo centrale, a quello regionale, provinciale e comunale per quanto attiene i vari livelli del finanziamento del sistema. Tratta poi della FP nell’obbligo e nel post obbligo. Si afferma che l’obbli- go viene assolto all’interno del sistema scolastico e che la FP concorre ad es- so, attraverso moduli forniti da soggetti certificati: siamo in linea con il do- cumento Berlinguer e con l’“Accordo per il lavoro”. Nel post obbligo invece si prefigura un vero sistema di FP, con possibili- tà di integrazioni al sistema scolastico e universitario e a quello delle azien- de. Si prevede il prolungamento dell’obbligo, allo scopo di consentire l’in- gresso nel mondo del lavoro solo dopo una qualifica iniziale di un anno 47 (1.000-1.200 ore). In questa prospettiva potrebbe essere inquadrato anche l’apprendistato, cui si fa carico di una quota di ore di aula nell’ordine di quella necessaria per il conseguimento di una prima qualifica in un Centro. Detta ristrutturazione, oltre ad allineare su standard europei le professiona- lità in ingresso nel mondo del lavoro, sarebbe una condizione per una rior- ganizzazione adeguata del sistema della FP, che altrimenti potrebbe rischia- re la polverizzazione per scarsità di utenza. La formazione post obbligo dovrebbe essere erogata in un biennio e for- nire due livelli di qualifica, tali da consentire il passaggio ai corsi di qualifi- ca superiore o, tramite integrazione, al sistema scolastico. Il sistema di FP prevede infatti la formazione tecnico professionale superiore, non gestita né dalla scuola né dall’università, ma, come afferma l’“Accordo per il lavoro”, da tutti gli attori presenti sul territorio, che sappiano impegnarvisi (la bozza parla di consorzi). La bozza non consente ancora valutazioni definitive. Sembrano positivi i seguenti elementi: – L’entrata in campo e la rivendicazione della titolarità delle Regioni in tema di riordino del sistema scolastico e formativo. Ricordiamo che nel Docu- mento Berlinguer non si trova mai il termine “regionale” là dove si parla di sistema di FP. È bene che, in un clima politico che esprime sensibilità e orientamenti di tipo federalistico, le Regioni facciano sentire la loro opinione e chiedano di essere cooptate nella ristrutturazione di un settore che sono chiamate a gestire. – Di fronte alla sensazione di sbriciolamento che proviene proprio da alcu- ne Regioni, l’ipotesi di un sistema regionale di FP organico e forte, che si interessi di formazione nella fascia dell’obbligo, nel post obbligo, di quella superiore, anche post laurea, è molto importante come segnale di responsabilità e di cambiamento di rotta, sia di fronte alla rinuncia alla formazione post obbligo decretata da alcune Regioni sia di fronte all’uso prevalentemente assistenziale della FP adottato da altre. – La partecipazione delle Regioni al dialogo sulle riforme del sistema educativo italiano dà fiducia, in questo momento di transizione, a tutti coloro che credono nel valore della FP e in particolare agli Enti che di questa si occupano. È un motivo in più per sperare e impegnarsi ad affrontare le sfide che i cambiamenti in atto ci impongono: si tratti della formazione continua degli operatori e in particolare dei formatori o dei sacrifici anche finanziari che si devono sostenere per assicurarci un futuro. Il sistema di F.P. nella Proposta di Legge “Norme organiche di indirizzo per lo sviluppo del sistema educativo” del CCD Il gruppo parlamentare del CCD ha presentato il 10 marzo u.s. alla Ca- mera una proposta di legge per stabilire delle norme organiche di indirizzo per il sistema educativo italiano. I principi generali riguardano sia l’istruzione 48 sia la formazione, in un contesto di autonomia e di parità delle istituzioni. Il sistema scolastico viene previsto come pubblico integrato: ne vengono stabilite le finalità e le funzioni, le esigenze e le caratteristiche, la struttura e i programmi, l’innovazione ordinamentale e curricolare. Non si prevede un riordino dei cicli, che rimarrebbero essenzialmente gli stessi. In questo progetto vi è un titolo che riguarda “L’organizzazione del sistema nazionale della formazione professionale”, considerato autonomo rispetto al sistema scolastico. Si ridefiniscono le finalità del sistema di FP: a) promuovere l’acquisizione di competenze culturali e professionali in ri- sposta ai bisogni formativi dei giovani, degli occupati, dei disoccupati e dei soggetti a rischio di marginalità sociale e culturale b) concorrere allo sviluppo economico e sociale del paese c) essere uno strumento della politica attiva del lavoro. Si deduce da questa impostazione la centralità della persona nel sistema nazionale di FP, rispetto alla sua semplice strumentalizzazione all’interno delle politiche attive del lavoro. Il sistema di FP si articolerebbe su tre livelli: primo, secondo e superiore. Il primo livello di formazione comincia alla conclusione della scuola media e ha durata quadriennale. Dopo il sedicesimo anno la formazione può avve- nire anche in alternanza e prevede un titolo di qualifica professionale al 18° anno: il titolo di qualifica ha valore come soddisfacimento dell’obbligo. La formazione di secondo livello è di durata annuale e può essere frequentata dai qualificati e, a definite condizioni, da coloro che provengono da equivalenti livelli della scuola media superiore. Si conclude con un titolo di maturità professionale. La formazione superiore, di durata variabile dai due ai tre anni assicura un diploma professionale e può essere frequentata da chi è in possesso di una maturità professionale o generale. Nel sistema di FP potranno confluire sia gli Istituti Professionali di Stato sia i Centri di FP. L’obbligo di istruzione e formazione, portato a dieci anni, dal quattordi- cesimo anno in poi può essere adempiuto nel canale scolastico e in quello della FP. Abbiamo accennato solo ad alcune parti della proposta, ma il tutto merita il nostro interesse. È stato in effetti elaborato un insieme organico di indirizzi, che dovrebbe diventare operativo mediante leggi applicative. Per quanto riguarda il sistema scolastico, non si prevede la ristruttura- zione dei cicli, ma solo l’aggiornamento e l’adeguamento dei metodi e dei contenuti, sulla base dei principi di autonomia e parità, considerati il moto- re di sviluppo di tutto il settore. Per quanto riguarda la FP invece si prevede un sistema organico, paral- lelo a quello scolastico a partire dai quattordici anni, con possibilità di inte- grazioni sia con il modo della scuola sia con quello del lavoro, attraverso il ri- conoscimento dei crediti formativi. La centratura del sistema sulla formazione del lavoratore prima che sul- 49 la sua destinazione strumentale al mondo del lavoro dà maggior senso al- l’immissione del sottosistema formativo nell’ambito dell’unico sistema edu- cativo italiano. Se un appunto si può fare, è la scarsa attenzione riservata al ruolo delle Regioni. Quale formazione nell’apprendistato? Il “Pacchetto Treu” traccia la funzione formativa dell’apprendistato, fissandone, in primo luogo l’utenza – limite inferiore di sedici anni e massi- mo di ventiquattro anni di età (ventisei nelle zone di ob. 1 e 2 del FSE) – e, in secondo luogo, la durata: dai diciotto mesi a un massimo di quattro anni. Le agevolazioni contributive per gli apprendisti sono riconosciute solo se questi partecipano a iniziative esterne all’azienda, come previste dai CCNL, in ogni caso per una durata non inferiore alle 120 ore l’anno. I contenuti formativi e le modalità per la certificazione dell’attività svolta sono proposti da un comitato ministeriale, sentite le organizzazioni sindacali di categoria e le Regioni. Il disegno di legge prevede anche la creazione di “una disciplina organi- ca della materia secondo criteri di valorizzazione dei contenuti formativi, con efficiente utilizzo delle risorse finanziarie vigenti...”. È “previsto un si- stema organico di controlli sulla effettività dell’addestramento e sul reale rapporto tra attività lavorativa e attività formativa”. Infine viene previsto an- che l’onere finanziario derivante. Non si dice nulla sulla natura dei gestori delle “Iniziative di formazione esterne all’azienda”. La formazione per 120 ore l’anno degli attuali circa 400.000 apprendisti richiede un intervento or- ganizzativo e finanziario massiccio. Un calcolo è presto fatto. Ipotizzando gruppi omogenei di 20 apprendisti ciascuno, se ne dovrebbero formare 20.000. Se ogni gruppo viene occupato per 120 ore sono 2.400.000 le ore di formazione da erogare. Se consideriamo che la durata media di un corso di formazione professionale è di circa 1.000 ore, il monte ore di cui sopra corrisponde a 2.400 corsi di FP a tempo pieno. È un intervento di dimensio- ni tali che non si può improvvisare. Un chiaro invito alle Regioni perché si attrezzino in modo da poter affrontare queste nuove esigenze del “mercato” della FP. Riteniamo che la valenza educativa dell’apprendistato sia da valorizzare, anche per assicurare ai giovani dopo i sedici anni un sistema formativo non scolastico, fortemente professionalizzante. Si tratta di creare i presupposti perché nessun giovane entri più nel mondo del lavoro senza una qualifica- zione certificata, assicurandogli l’accesso a quella formazione continua, che gli permetterà di evitare l’obsolescenza della sua professionalità e di reggere con successo le dinamiche di un mercato del lavoro sempre più esigente e selettivo. 50 Quale ruolo per le imprese? Il “Pacchetto Treu” prevede anche tirocini formativi e di orientamento nelle imprese, per favorire la conoscenza diretta del mondo del lavoro. La legge stabilisce i promotori di tali iniziative, ne fissa la durata massima, il tipo di convenzione con i datori di lavoro, gli istituti assicurativi, il valore di credito formativo attribuibile alle iniziative, il tutoraggio. Quello che pare più innovativo, dal punto di vista concettuale e operati- vo, è il riconoscimento del valore formativo del “tirocinio pratico” svolto in un posto di lavoro reale. È il riconoscimento che il lavoro ha una valenza formativa, quantificabile attraverso crediti, e che l’impresa può anche avere una funzione e una capacità formativa. Il ritenere il lavoro non solo sorgente di reddito e fonte di ricchezza, ma anche una opportunità di maturazione e di formazione umana, tecnica, professionale per la persona, è di fondamentale importanza. Il fatto è che il nuovo modo di lavorare e il nuovo modo di essere dell’impresa rimandano a un insieme di variabili e a un contesto molto complesso, per cui non basta fare un “tirocinio pratico” presso un’azienda per ricavarne reali e validi ri- sultati formativi. Serve il supporto e la mediazione di Enti che abbiamo non solo capacità organizzative, ma anche una cultura del lavoro e un know how formativo adeguato alla realtà e alle specifiche esigenze degli individui e del- le organizzazioni. Concludendo Il presente numero di “Rassegna CNOS” vuole portare un contributo alla discussione in atto sul “Documento Berlinguer” in modo particolare in riferimento alla FP. La nostra linea culturale è ben nota ormai: nei numerosi contributi di questi ultimi anni essa è stata alla base della nostra riflessione. Ma vogliamo ancora una volta sinteticamente esprimerla. Punto irrinunciabile, secondo noi, è la valenza educativa di ogni inter- vento di FP, centrato per questo sul destinatario, di cui si riconoscono e va- lorizzano le esigenze fondamentali, le potenzialità, in vista di un inserimen- to attivo e responsabile nel mondo del lavoro. Gli interventi di FP non pos- sono essere strumentalmente finalizzati solo al lavoro produttivo, non pos- sono essere intesi come semplici strumenti delle politiche attive del lavoro. Sono efficaci strumenti di politica del lavoro solo se formano la persona del lavoratore, in modo che il lavoro diventi per lui uno strumento di crescita e di formazione. In questo contesto gli Enti che si accollano l’impegno della FP, qualsiasi sia il tipo di utenza a cui si rivolgono, svolgono un servizio di pubblica utili- tà. Il che significa che non possono e non devono essere collocati in un sem- plice contesto privatistico e mercantilistico. Devono far parte di un più vasto sistema di servizio alla persona. Certamente questo non significa attribuire 51 all’Ente pubblico la titolarità di ogni intervento di FP, ma sostenere il princi- pio della sussidiarietà, che determina un pluralismo istituzionale reale, per la presenza di una molteplicità di soggetti che intervengono e interagiscono con il sistema di FP. Insistiamo ancora una volta sul ruolo dei soggetti, per- ché sono essi a rappresentare nella odierna società una grande potenzialità educativa. Il fiorire di Associazioni “non profit” rappresenta un nuovo punto di riferimento e una conferma di questo assunto e sottolinea il ruolo fonda- mentale svolto dai soggetti che si occupano istituzionalmente di FP. 52 Al tempo delle discussioni sta seguendo rapidamente un tempo di realiz- zazioni legislative e di attuazioni concrete. L’inizio dell’estate ha visto l’ap- provazione e promulgazione del “Pacchetto Treu”, che traduceva in articoli di legge le indicazioni concertate nell’“Accordo per il lavoro” del settembre ‘96, per quanto concerne alcuni punti fondamentali delle politiche del lavoro e della FP. Nel campo della riforma di tutto il sistema scolastico formativo, alla promulgazione della “Bassanini”, che all’art. 21 detta le regole dell’autono- mia scolastica, hanno fatto seguito l’approvazione, da parte del Governo, di due disegni di legge: quello sul riordino dei cicli e quello sulla parità. Essi prefigurano la trasformazione del sistema educativo italiano. Questo fatto, al di là dei particolari contenuti in ciascun provvedimento, rivela l’intenzione del Governo di attuare un rinnovamento complessivo del sistema educativo italiano, realizzando il programma elettorale dell’Ulivo e secondo le indica- zioni generali concordate nel settembre 1996 con le parti sociali nel sopra ricordato “Accordo per il lavoro”. La sensazione è che il Governo abbia imboccato la strada di rinnova- mento totale del sistema dell’istruzione e della formazione. Questo fatto tro- va consenziente la maggior parte degli addetti ai lavori. Da una prospettiva di aggiustamenti del sistema, (ancora l’Accordo per il lavoro del 1993 preve- deva semplicemente il prolungamento dell’obbligo scolastico fino a sedici anni e la riforma della secondaria superiore), si passa alla progettazione di un nuovo sistema. Resta però la sensazione che, quando si scende al concreto delle propo- ste di riforma complessiva, nascono obiezioni e resistenze concrete, che spin- gono a pensare che vi sia ancora in molti la paura di affrontare il cambia- mento. L’integrazione nel sistema pubblico scolastico e professionale di gestori “privati” o del “sociale privato” con le istituzioni statali scolastiche “autonome” incontra ancora opposizioni di tipo ideologico-culturale in mol- ti ambienti, che continuano ad identificare, in materia scolastica, servizio pubblico con servizio statale. D’altro lato il riordino dei cicli scolastici crea perplessità in un’ampia cerchia di docenti, che vedono sconvolta la struttu- razione della scuola, di cui conoscono certamente i limiti, ma anche i valori e gli aspetti positivi. Essi trovano anche difficoltà nel prefigurare un loro si- gnificativo collocamento nella nuova strutturazione. In questa situazione la formazione professionale incontra problemi da un lato nella relazione con le ancora incerte prospettive di mutamento del quadro scolastico generale e dall’altro nella debolezza del sistema istituzio- nale che la governa. Infatti, l’incertezza del quadro normativo fa sì che la scuola tenda ad occupare anche gli spazi della FP; inoltre anche il mondo 53 1997Editoriale n. 3 delle imprese rivendica questi stessi spazi. Le imprese ritengono, infatti, d’essere le uniche capaci di valutare concretamente le esigenze del mercato del lavoro e delle professioni. Basterebbe verificare a chi va la maggior parte dei finanziamenti del FSE gestiti direttamente dl Ministero del lavoro attraverso i Programmi Operati- vi Multiregionali per rendersi conto che, accanto al sistema di FP regionale governato dalla legge 845/78, è nato un nuovo sistema cui concorrono tutti, scuole e imprese in primo luogo. Questo insieme di operatori riesce a spen- dere i fondi della UE, ma anche i cofinanziamenti statali, parallelamente e senza tenere in conto le programmazioni regionali. In questa situazione s’inserisce la legge 196 del 24 giugno ‘97, che dà inizio al riordino della FP, come recita il comma 1 dell’art. 17: “definisce principi e criteri generali, nel rispetto dei quali adottare norme di natura re- golamentare costituenti la prima fase di un più generale, ampio processo di riforma della disciplina in materia”. Legge 196 del 24 giugno 1997 “Norme in materia di promozione dell’occupazione” Già l’editoriale di “Rassegna CNOS” n. 1/1997 ha presentato nella so- stanza il contenuto del disegno di legge, ora convertito in legge, per quanto riguarda gli articoli interessanti la formazione. Per questo portiamo la ri- flessione sulle modifiche introdotte e specialmente sulle prime indicazioni riguardanti gli interventi di natura regolamentare, che sono in fase di predi- sposizione. Il Governo deve, infatti, emanare i regolamenti attuativi entro sei mesi dalla pubblicazione della legge, in pratica entro il 1997. In particolare l’art. 17 - Riordino della formazione professionale, contie- ne quattro commi (3, 4, 5 e 6) non presenti nel disegno di legge iniziale. Rap- presentano il tentativo di risolvere il problema della garanzia fideiussoria ri- chiesta dalla legislazione italiana per l’erogazione di acconti di finanziamen- ti pubblici. La legge prevede la creazione di un fondo di rotazione a garanzia per le somme erogate a titolo d’anticipo o d’acconto, a valere sulle risorse del FSE e dei relativi cofinanziamenti nazionali. Tale fondo sarebbe alimentato da un contributo a carico degli attuatori degli interventi finanziati, partendo da una base di 30 miliardi derivanti dal fondo di rotazione stabilito dalla leg- ge 845/78. Le risorse del fondo servirebbero a rimborsare organismi comu- nitari e nazionali erogatori di finanziamenti, nelle ipotesi di responsabilità sussidiarie dello Stato membro. Il Ministero del Tesoro, di concerto con il Ministero del Lavoro, doveva fissare, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, le norme di gestione del fondo e l’aliquota del contributo a carico dei soggetti privati beneficiari dei finanziamenti. I sessanta giorni sono passati, ma, per oggettive difficoltà, il decreto non è stato pubblicato. Si spera che l’aliquota che verrà fissata sia sostanzialmente inferiore al costo della fideiussione: in caso contrario lo sforzo per creare tale fondo sarebbe semplicemente inutile. 54 Merita apprezzamento il tentativo di ridurre gli oneri non rendicontabili (oneri della fideiussione) imposti ai soggetti privati. Inoltre, se le procedure amministrative fossero tali da far sì che gli anticipi fossero veramente anti- cipi, il peso degli oneri non rendicontabili sarebbe certamente minore. Invece tra la stipulazione di una fideiussione e l’erogazione del relativo finanziamento passano almeno due mesi o, per motivi tecnici, molti di più. Alla base di tutto questo sistema di finanziamenti vi è la nozione di “convenzione” tra Ente pubblico erogatore di finanziamento ed ente privato attuatore: la convenzione è ritenuta semplicemente concessione ammini- strativa. Le convenzioni per i POM, al secondo articolo, prevedono: “Il Mini- stero affida, in regime di concessione all’Ente, l’organizzazione e la realizza- zione del progetto...”. Nel regime di “convenzione - concessione” le regole del gioco sono imposte dalla parte concedente, mentre l’altra parte può solo accettare o rinunciare. Non si comprende come possa un Ente “senza scopo di lucro”, come fissa la legge 845/78 in un articolo formalmente non abroga- to, svolgere attività di FP convenzionata impegnando fondi propri, che il più delle volte non possiede. Questo ragionamento vale sia per i fondi da desti- nare alle fideiussioni sia per quelli da destinare al nuovo fondo di rotazione. Questo modo di agire mette a rischio, per via amministrativa, qualsiasi lode- vole tentativo di realizzazione di un sistema pubblico integrato d’istruzione e formazione, cui istituzioni statali e non statali partecipino con pari dignità. Con queste osservazioni non si vuole togliere apprezzamento ai lodevoli tentativi di rendere meno onerosa la situazione attuale della FP. Un altro importante cambiamento è stato introdotto nel testo dell’art. 17 rispetto al corrispondente art. 16 del DDL. Alla lettera c) del comma 1, il DDL recitava “svolgimento delle attività di formazione professionale da par- te delle regioni e/o delle province anche in convenzione con enti privati aven- ti i requisiti predeterminati”. La legge approvata ha aggiunto, dopo la paro- la convenzione, “istituti di istruzione secondaria”. Si tratta di un’introduzio- ne non da poco, perché sconvolge dal punto di vista legislativo l’articolo del- la legge 845/78, che determinava i requisiti degli enti attuatori d’interventi di FP, non prevedendo tra questi gli istituti scolastici. È pur vero che la legge non fa che rendere legalmente possibile quanto in pratica da anni si sta fa- cendo, specialmente con l’accesso da parte della scuola in maniera sempre più massiccia, ai finanziamenti del FSE. Nella pratica avviene che l’integra- zione tra l’istruzione e la FP si stia trasformando in assorbimento, da parte della scuola, delle attività di FP. E questo avviene non in via sussidiaria, là dove non vi è o è scarsa la presenza di FP convenzionata, ma in ogni settore e campo. Del resto il Ministero della Pubblica Istruzione, attraverso sempli- ci interventi regolamentari, sta appropriandosi della formazione superiore non universitaria (cfr. l’istituzione dei corsi di perfezionamento presso gli istituti tecnici industriali di durata da uno a tre anni) e degli interventi di formazione per gli adulti anche nel campo professionale... Il resto dell’art. 17 riconferma quanto contenuto nel corrispondente articolo del DDL. Il Ministero sta elaborando i Regolamenti attuativi, che il Comitato di concertazione ha già vagliato in due riunioni. 55 Presentiamo qui un esame generale dei contenuti delle proposte regola- mentari attraverso le osservazioni, che la CONFAP in merito ha elaborato. Art. 17 Comma 1. lettera c) svolgimento delle attività di formazione professionale da parte delle regioni e/o delle province anche in convenzione con istituti di istruzione secondaria e con enti privati aventi i requisiti predeterminati. Osservazione preliminare. I requisiti predeterminati devono riguardare tutti gli attuatori che opera- no in convenzione, perciò anche gli istituti d’istruzione secondaria. La legge non precisa che gli istituti d’istruzione secondaria presi in considerazione sono quelli statali. In analogia con quanto affermato nell’art. 18, si potrebbe ritenere che gli istituti che rilasciano titoli con valore legale possano essere soggetti di tale convenzione. Inoltre, deve configurarsi un’eguaglianza di tutti i soggetti di fronte all’i- stituto della “convenzione”, pena una disparità di trattamento. Alcune norme essenziali (cfr. l’adeguamento alla legislazione sulla sicurezza) non possono essere richieste come immediatamente indispensabili ad enti e imprese e non agli istituti statali, a motivo della parità di diritti degli utenti. Lo stesso vale per tutti gli standard di prodotto e di processo, che devo- no essere fissati e stabiliti per tutti i soggetti che stipulano convenzioni, in nome dei diritti paritari dei beneficiari. Questo comporta che o non si debbano fissare standard che una notevo- le parte dei soggetti previsti dalla legge non possano raggiungere, oppure si debbono definire standard finali e tempi d’adeguamento validi per tutti. Possibile architettura di riferimento A livello nazionale è stabilito un insieme di criteri minimi d’accredita- mento delle strutture formative. Ad alcuni criteri generali, se ne debbono affiancare altri articolati per macrotipologia, tenendo presente che le strutture di tipo polifunzionale o agenziale hanno una struttura che può essere complessa, che permette di operare nell’ambito di molti segmenti della formazione e di erogare servizi che vanno di là dalle semplici azioni formative. Inoltre, bisogna tenere presente di accreditare le strutture formative an- che per quanto riguarda la formazione in alternanza e l’organizzazione di ti- rocini e di stages (art. 16 e 18), se non si vuole moltiplicare accreditamenti da parte di soggetti diversi su medesime strutture. Va prevista, poi, l’istituzione di un organismo che tenga aggiornato l’in- sieme dei requisiti minimi con il passare del tempo e con riferimento alle esigenze nazionali ed europee. I requisiti minimi non sono modificabili dalle singole Regioni, che tutta- via possono integrare tali requisiti minimi sulla base delle situazioni e delle esigenze regionali. L’accreditamento è dato dalle Regioni ed è valido per tutto il territorio nazionale per quanto riguarda i requisiti minimi, con durata triennale. La certificazione, rilasciata in base alle norme ISO 9000 e seguenti, del 56 possesso degli standard minimi nazionali e di quelli regionali è una via per facilitare e supportare l’accreditamento da parte delle Regioni. Art. 17 Comma 1. lettera e) attribuzione al Ministero del lavoro e della previdenza sociale di funzioni propositive ai fini della definizione da parte del comitato di cui all’articolo 5, comma 5, dei criteri e delle modalità di certificazione delle competenze acquisi- te con la formazione professionale. Le definizioni dovrebbero riguardare sia le unità formative capitabiliz- zabili sia gli standard di qualifica. In entrambi i casi è necessario porre ad oggetto delle definizioni solo le competenze da possedere e non i modi di acquisizione, anche se si possono indicativamente fissare dei minimi relativi alla durata, agli obiettivi formativi, al tipo di formazione (teorica, pratica, di stage...) necessari per conseguire una qualifica o per acquisire un’unità capitabilizzabile. Per unità formativa capitabilizzabile (UFC) si può intendere: – le competenze di base, tecnico-professionali o trasversali, necessarie per svolgere un determinato ruolo professionale; – gli standard di valutazione delle competenze acquisite; – gli enti delegati a certificare le competenze medesime. Poiché si deve supporre che una medesima competenza si possa acqui- sire attraverso percorsi formativi diversi (scuola, FP, esperienza nel lavoro), le metodologie didattiche, le modalità formative, la stessa durata della for- mazione, la scansione programmatica dei contenuti non possono far rigida- mente parte di una definizione di UFC. Inoltre, non sembra coerente far riferimento ad una qualifica professio- nale come semplice aggregazione di unità capitabilizzabili, in quanto una professionalità globale richiede certamente competenze particolari, ma non la si può pensare come semplice somma di queste. Alcune UFC, specialmente quelle che si riferiscono a saperi comuni a tut- te o a molte professionalità (cfr. conoscenza del mondo del lavoro, cono- scenze informatiche di base, conoscenze linguistiche a vari livelli, conoscen- ze matematiche di base), possono essere facilmente standardizzate. Non serve però stabilire il come si raggiungono gli obiettivi formativi o il tempo d’acquisizione delle competenze richieste. D’altronde, alcune UFC potrebbero entrare a fare parte obbligatoriamen- te di qualsiasi qualifica di un certo livello (cfr. quanto fissato dalla legge al- l’art. 16 a proposito dei contenuti teorici del primo anno d’apprendistato). La qualifica, definita sulle competenze (di base, tecnico-professionali o trasversali) necessarie per un determinato compito professionale, rappre- senta in ogni modo un riferimento necessario per la programmazione for- mativa da parte dei soggetti attuatori. Si tratta, quindi, non solo di definire UFC, ma anche un sistema di qua- lifiche immediatamente spendibili nel mercato del lavoro, raggiungibili at- traverso percorsi strutturati: questo è indispensabile soprattutto per quanto 57 riguarda la formazione iniziale o di base, sia post obbligo sia post diploma. Lo stesso varrà per la futura “formazione superiore”, che, pur tenendo conto di tutte le UFC in possesso della persona, non potrà strutturarsi come semplice somma di queste. Inoltre, il sistema di unità capitabilizzabili è molto più importante a proposito della formazione continua e per i passaggi dalla scuola alla FP o da esperienze di lavoro alla FP o viceversa. Tutte queste considerazioni portano ad avanzare la proposta d’istituire un’apposita Commissione per l’elaborazione sia di UFC, sia di qualifiche standard, facendo anche riferimento alle standardizzazioni in Europa, al fi- ne di pervenire a definire quelle competenze minime obbligatorie teoriche, pratiche e relazionali indispensabili per acquisire una determinata qualifica, nonché il loro aggiornamento continuo e sperimentazione assistita in rac- cordo con la progettazione e valutazione degli interventi formativi. D’altro canto, si deve pure rilevare che le qualifiche di base non possono essere troppo numerose per i vari livelli, né i loro contenuti minimi essere troppo specialistici, in considerazione della possibilità di aggiungere unità formative specifiche e continuamente aggiornabili tramite interventi di formazione continua. Art. 17 Comma 1. lettera g) semplificazione delle procedure, definite a livello nazionale anche attraver- so parametri standard, con riferimento agli atti delle Amministrazioni compe- tenti e a strumenti convenzionali oltre che a disposizioni di natura integrativa, esecutiva e organizzatoria anche della disciplina di specifici aspetti previsti dalle disposizioni regolamentari emanate ai sensi del comma 2. Non si può che condividere tutto lo sforzo di semplificazione delle strut- ture interne alla pubblica amministrazione che impediscono a tutt’oggi un finanziamento rapido, quando questo è approvato. Va superata la concezione riduttiva della prassi amministrativa della con- venzione per accedere a finanziamenti pubblici. I contenuti delle Conven- zioni devono recuperare al loro interno il senso e il valore delle operazioni di “accreditamento” dei soggetti attuatori delle iniziative formative; l’attuale situazione di semplice concessione amministrativa, che comporta sempre più oneri sugli attuatori, cui non corrispondono analoghi obblighi da parte della Pubblica Amministrazione, deve essere superata. Il controllo amministrativo contabile va, dunque, modificato e standar- dizzato. Le verifiche amministrativo contabili sulla documentazione di spesa van- no razionalizzate e semplificate, evitando di volere per forza controllare ciò che finisce per essere incontrollabile: in questo caso è maggiore lo spreco di energie e in ultima analisi di soldi pubblici di qualunque recupero che simile controllo potrebbe ottenere. Invece debbono essere controllati maggiormente i parametri di economicità, efficienza ed efficacia dell’azione formativa. Inoltre, il ricorso al bilancio analitico per la rendicontazione può essere un sistema efficace: si tenga presente che gli Enti privati di formazione, a 58 causa della finanziaria 1994, sono entrati nel sistema alla contabilità fiscale ordinaria. Si devono, quindi, preparare persone capaci di valutare tale con- tabilità, per non creare una semplice aggiunta onerosa a rendicontazione classiche, fatte con criteri diversi da quelli della contabilità generale. Art. 17 Comma 1. lettera d) destinazione progressiva delle risorse... agli interventi di formazione dei lavoratori nell’ambito di piani formativi aziendali o territoriali concordati tra le parti sociali, con specifico riferimento alla formazione dei lavoratori in costanza di rapporto di lavoro, di lavoratori collocati in mobilità, di lavoratori disoccupati per i quali l’attività formativa è propedeutica all’assunzione... Sarebbe opportuno, per creare un sistema integrato scuola - FP - mondo aziendale, prevedere quale apporto la scuola e la FP possano dare al futuro sistema di formazione continua. La formazione continua è pensata in funzione delle esigenze delle aziende o anche come diritto del lavoratore di poter aggiornare la propria professionalità, in modo che questa non diventi obsoleta, ma rimanga spendibile nel mercato del lavoro? Se si trattasse sol- tanto di un bisogno delle imprese, la formazione potrebbe essere riservata ad esse; ma se si tratta anche di un diritto del lavoratore, allora altri soggetti potrebbero entrare in gioco sia nella progettazione e programmazione degli interventi, sia nella loro realizzazione. Per quanto riguarda gli articoli 16 e 18 sull’apprendistato e sui tirocini- stage, sono previsti interventi di natura regolamentare, ma, essendo fissati tempi più lunghi per l’emanazione, non vi sono ancora documenti tali da permettere una seria discussione sull’argomento. Quanto al contenuto dei due articoli, non si può che essere d’accordo con essi: ci si augura che non resti lettera morta la loro attuazione a causa d’intoppi di tipo burocratico e di miopia di scelte di breve respiro. Il DDL governativo sulla Parità Il titolo del disegno è “Disposizioni per il diritto allo studio e per l’espan- sione, la diversificazione e l’integrazione dell’offerta formativa nel sistema pubblico dell’istruzione e della formazione”. Il titolo è ambizioso e abbraccia anche il problema della diversità e integrazione nel sistema pubblico delle istituzioni scolastiche statali e non statali, dell’istruzione e della FP. L’art. 1 comma 2 afferma: “Entrano a far parte del sistema pubblico dell’istruzione e della formazione e si definiscono scuole pubbliche paritarie, con conseguen- te idoneità a rilasciare titoli di studio aventi valore legale e attestati di quali- fica professionale, le istituzioni scolastiche e formative non statali, compre- se quelle degli enti locali, che ne facciano richiesta e la cui offerta formativa è caratterizzata dai livelli di qualità ed efficacia di cui all’art. 2”. Anche l’art. 3 parla parallelamente d’istituzioni scolastiche e d’istituzioni formative, riconoscendo alle Regioni i compiti propri nel sottosistema della FP. Vogliamo evidenziare alcune osservazioni generali, fermandoci poi sul 59 tema della FP. Il testo afferma principi di notevole rilevanza in tema di egua- glianza tra i cittadini e della loro piena ed effettiva libertà all’interno di una vi- sione di uno Stato sempre più garante e promotore e meno gestore. Viene così riconosciuto come servizio pubblico quello fornito da Enti e privati in iniziati- ve d’istruzione e formazione, che corrispondono alle norme generali sull’istru- zione e siano coerenti con la domanda formativa proveniente dalle famiglie. Vi sono alcune affermazioni però che risentono ancora d’incertezze cul- turali: ad esempio si afferma che “l’offerta formativa si attua garantendo... fini e ordinamenti didattici conformi a quelli delle istituzioni pubbliche statali”. Il modello di riferimento sembra ancora essere la scuola statale; non si parla invece di norme generali sull’istruzione dettate dallo Stato, che sono valide per ogni istituzione scolastica del sistema integrato. Per quanto riguar- da la FP di competenza regionale, non si comprende come far combaciare la dizione “scuola pubblica paritaria” idonea a rilasciare attestati di qualifica professionale con il concetto di Agenzia, affermato invece nella 196/97. È lodevole lo sforzo per realizzare un sistema educativo, che renda sempre più vasta l’espansione del diritto allo studio attraverso l’integrazione della FP nel sistema pubblico di formazione italiano. Può nascere, anche in questo caso, il dubbio che l’integrazione finisca nell’assorbimento della FP da parte dell’istituzione scolastica. Le affermazioni di principio, contenute nell’importante presa di posizio- ne del Governo, portano a superare la tradizione culturale, che vede nello Stato l’unico attore non solo della politica scolastica, ma anche della gestione della scuola. Tale cultura però è ancora radicata in larghi settori dei partiti sia di maggioranza sia d’opposizione. L’incertezza dei finanziamenti previsti dal DDL e la mancanza di una maggioranza parlamentare chiara su questo argomento fanno perciò apparire lontano il tempo della nascita di un vero sistema pubblico integrato di istruzione e formazione. Il CCNL Il CCNL 1994/97 per la FP convenzionata, firmato poco più di un anno fa, sta per scadere. Una qualche riflessione su di esso si potrebbe fare, partendo dai mutamenti istituzionali che sono venuti a crearsi in questi pochi mesi in cui è stato in vigore. In primo luogo, mettiamo in evidenza l’importanza strategica rivestita dal CCNL nel tracciare con sufficiente precisione la meta verso cui ogni CFP deve evolvere: il Centro Polifunzionale. In sostanza il CCNL ha dato contenuto all’espressione “Agenzia formativa”, che l’accordo per il lavoro del ‘96 e la legge 196/97 fissano come meta dell’evoluzione dei CFP, senza però definire i contenuti del termine “Agenzia”. D’altra parte però la destrutturazione, dovuta in modo particolare all’uti- lizzo dei finanziamenti del FSE, del sistema di FP in molte Regioni ha reso alcuni istituti del CCNL difficilmente gestibili. 60 Il DDL sulla parità introduce come possibilità per le “scuole del servizio pubblico integrato” di avvalersi di prestazioni volontarie ovvero di ricorrere anche a contratti di prestazione d’opera, in misura non superiore ad un quar- to delle prestazioni complessive. Questi orientamenti introducono novità di gran rilievo, che possono influenzare anche la gestione del CCNL. È perciò importante per il futuro della FP una riflessione e discussione comune tra gli Enti e i Sindacati, per trovare la strada per assicurare, da una parte, la pos- sibilità di crescita della FP regionale e, dall’altra, prospettive di lavoro e di ri- qualificazione per gli operatori. Segno della svolta avvenuta, o che sta avvenendo, in questo periodo sono state la non presa d’atto del CCNL da parte di molte Regioni, la difficoltà d’intraprendere la contrattazione decentrata, la lentezza con cui si è giunti alla costituzione nei CFP della Rappresentanza Sindacale Unitaria in sosti- tuzione della Rappresenza Sindacale Aziendale. La svolta decretata dalla legge 196/97, che ha aperto di fatto anche ai pri- vati diversi dagli Enti di FP e agli Istituti scolastici la possibilità di instaura- re convenzioni con le Regioni, rende ormai superato il dettato della legge 845/78, che richiedeva agli attuatori della FP di applicare il CCNL della FP convenzionata. Tutto ciò, quindi, richiede il ripensamento del CCNL all’interno ad una nuova situazione. Forse non tutti gli elementi di disconti- nuità rispetto al precedente contratto potranno essere affrontati. È neces- sario, in ogni caso, un approfondimento per tradurre le nuove esigenze in un CCNL, che dia prospettive di futuro alla FP degli Enti “convenzionati”. Per una formazione dei formatori Riteniamo che la rivista “Rassegna CNOS” possa essere uno strumento di stimolo e di formazione per i formatori impegnati nei CFP: è perciò inten- zione della Redazione introdurre articoli, che possano aiutare la loro cresci- ta culturale e didattica. Già in questo numero (“Rassegna CNOS” n.3, 1997) alcuni interventi rientrano nella prospettiva di aiutare i formatori nel loro lavoro, aiutandoli, ad esempio, ad una maggiore conoscenza della realtà giovanile. Ad esempio l’analisi, che l’articolo che presenta una ricerca sul razzismo compie, serve a rendere l’operatore cosciente della mentalità dei giovani che incontra. In questo periodo di cambiamento la formazione continua è, per i for- matori, un impegno importante. La rivista può essere di supporto culturale e di stimolo, perché cresca negli Enti e nei Centri una sensibilità sempre maggiore verso la formazione continua dei propri operatori. 61 1998 “Il cantiere aperto della Formazione”: con questa affermazione, il Presi- dente dell’ISFOL, prof. Michele Colasanto, avviava la sua relazione di presentazione del “Rapporto ISFOL 1997”. Un cantiere finalmente aperto, si potrebbe aggiungere! Infatti, dopo un lungo periodo di discussioni e di cambiamenti striscianti – motivati più da interventi esterni (FSE) che da scelte politiche interne, a partire dal 1996 (Patto per il Lavoro) e lungo tutto il 1997 (Bassanini, Pacchetto Treu, Disegni di Legge sul riordino dei cicli e la parità scolastica) fino ad oggi – sembra accentuarsi una ripresa d’interventi politici e di governo del sistema educativo e formativo italiano, sia nel sottosistema della scuola che in quello della FP. Anche il Rapporto CENSIS 1997 – nel capitolo dedicato alle considera- zioni generali – rileva come “l’ultimo anno abbia visto ... un intenso prota- gonismo della politica, che sta cercando di ristabilire una sua specifica au- tonomia dal sociale, e di sperimentare un suo novello dominio sui processi e sui problemi della società”. Alla “effervescenza normativa” si può, quindi, associare quella “istituzio- nale e sociale”, che porta i vari soggetti coinvolti nei sistemi formativi e nelle politiche attive del lavoro a riorganizzarsi localmente, a sperimentare nuovi modi d’intervento, anche attraverso “Protocolli d’intesa” e “Patti ter- ritoriali”, ad anticipare con sperimentazioni quanto viene intravisto come possibile futuro della FP nel suo rapporto con lo sviluppo complessivo del Paese. Con questa chiave di lettura, risultano interessanti e significative le indicazioni e le analisi che emergono dai due Rapporti citati in ordine alle specifiche aree dell’istruzione, della FP, delle risorse umane e delle politiche attive del lavoro. A livello europeo, anche la “Agenda 2000” rivolge una particolare atten- zione di analisi circa le mete delle politiche interne economiche e sociali degli Stati Membri, in vista della sfida connessa all’allargamento dell’Unione e propone un quadro finanziario di riferimento per gli anni prossimi, che non potrà non influire anche sulle scelte italiane. Avendo a riferimento lo scenario delineato, sembra opportuno proporre alcune riflessioni generali sui temi accennati, senza entrare nel merito delle questioni relative alla riforma del sistema scolastico (parità e riordino dei cicli), che il Parlamento dovrebbe affrontare a partire dalla seconda metà del mese di febbraio. 65 1998Editoriale n. 1 Agenda 2000: per una Unione più forte e più ampia. Particolare interesse suscitano le riflessioni attorno al tema della “co- esione economica e sociale”, cui fanno capo i Fondi strutturali: si prevede, infatti, una compattazione degli obbiettivi tradizionali FSE, con una conse- guente contrazione della popolazione coinvolta sull’obiettivo 1 e 2, che dovrebbe passare dall’attuale 51% a circa il 35-40% della popolazione dei 15 paesi membri dell’Unione. Tale decisione comporterà per molte Regioni italiane la conseguente uscita dall’area di interventi collegati all’obiettivo 1, determinando una drastica riduzione dei finanziamenti europei anche nel sistema della FP. L’obiettivo 3 riguarderà lo sviluppo delle risorse umane nelle Regioni escluse dell’obiettivo 1 e 2 e comprenderà quattro linee direttrici, nel quadro della strategia europea per il lavoro: – accompagnamento dei cambiamenti economici e sociali; – sistemi di educazione e di formazione per tutto l’arco della vita; – politiche attive di lotta alla disoccupazione; – lotta contro l’esclusione sociale. Il modo con cui l’Italia ha finora utilizzato i Fondi Europei in molte Regioni, quale unica o prevalente fonte di finanziamento dei propri sistemi di FP, viene messo in discussione dall’impostazione stessa dell’Agenda, evidenziando la necessità di ricorrere a fondi propri nazionali e regionali, se si vuole mantenere in vita e governare un sistema reale di FP regionale, che non risulti soltanto la sommatoria d’interventi più o meno indirizzati o imposti dall’esterno. Già nell’editoriale del precedente numero di Rassegna CNOS (“Rassegna CNOS” n. 3, 1997) si evidenziava come il generalizzato ricorso agli interven- ti finanziati dal Fondo Sociale Europeo, in Italia, abbia sì prodotto un considerevole volume di attività formativa, ma anche innescato una crisi strutturale del sistema regionale di F.P., condannando a prevedibile falli- mento la politica e la gestione di un sistema senza impiegare fondi propri e limitandosi a coordinare interventi e progetti perché coperti dai finan- ziamenti europei. Il lungo iter dei Regolamenti della legge 196 del 24 giugno 1997 “Norme in materia di promozione dell’occupazione” La legge 196/97, per trovare la sua attuazione concreta, necessità di una serie di regolamenti e di decreti attuativi, previsti dalla medesima legge. Alcuni di questi sono già stati approvati e resi operanti, come quello in materia d’interventi a favore di giovani inoccupati nel Mezzogiorno relativa- mente ai lavori di pubblica utilità e alle borse lavoro, decreto emanato il 7 agosto 97. Molto più lento e faticoso l’iter dei Regolamenti degli art. 16, 1 7 e 18 del- 66 la medesima legge, che riguardano rispettivamente l’apprendistato, il riordi- no della FP e i tirocini formativi; nell’editoriale del precedente numero della rivista (“Rassegna CNOS” n. 3, 1997) si erano evidenziati specifici contributi e suggerimenti relativi ad alcuni elementi contenuti nella bozza di regola- mentazione dell’articolo 17, in ordine soprattutto alle procedure di con- cessione e all’accreditamento. La norma regolamentare prevista, da emanarsi entro sei mesi dalla pubblicazione della legge, non è ancora completata al momento attuale. Tuttavia, su alcuni punti vi sono ormai orientamenti noti: essi riguardano in particolare le procedure di concessione, l’accreditamento delle strutture, la disciplina delle attività finanziate, le procedure di erogazione, le attività di controllo e di verifica, la semplificazione amministrativa con l’abrogazione relativa di articoli di precedenti leggi. In particolare, le procedure di affidamento dell’attività di FP prevedono la predisposizione da parte delle Amministrazioni competenti di periodici “avvisi di diritto pubblico”, da pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale o sui Bollettini Regionali, che fissino destinatari, modalità di accesso e entità delle risorse, termini, cause d’esclusione, criteri di priorità, condizioni tem- porali particolari di affidamento per interventi di prima formazione e per soggetti del disagio sociale. Si tratta, quindi, di valutare i progetti e di stabilire le relative graduato- rie, conformemente a quanto stabilito negli avvisi; di ottemperare alle mo- dalità di affidamento sulla scorta di esperienze maturate presso non poche Regioni in questi ultimi anni nonché delle prassi adottate anche dal Mini- stero del Lavoro e della PS riguardo ai programmi operativi multiregionali. Conviene, però, evidenziare chiaramente che non si tratta di “Bandi di gara” aperti a tutti, ma di “Avvisi di diritto pubblico”, ai quali possono par- tecipare solo strutture aventi particolari requisiti fissati negli avvisi stessi; in- vece, per interventi di prima formazione rivolti a soggetti che hanno termi- nato il percorso dell’obbligo scolastico, per progetti diretti a soggetti in si- tuazione di disagio o per affrontare situazioni di particolare urgenza, le Am- ministrazioni dovrebbero poter procedere ad affidamenti diretti a strutture formative specificamente accreditate per tali azioni formative. La possibilità di presentare progetti previsti negli avvisi pubblici è, quin- di, subordinata all’esito positivo delle procedure di accreditamento delle strutture operative presenti nel sistema di FP e nel sistema scolastico: gli En- ti, le società, gli istituti scolastici per accedere ai finanziamenti pubblici per attività di orientamento e di FP debbono svolgere le relative azioni formati- ve presso le proprie sedi operative, se accreditate. Inoltre, le competenti Amministrazioni, oltre a procedere all’accredita- mento delle sedi operative, dovrebbero accreditare tali strutture in ordine alle diverse tipologie di attività (FP iniziale, continua, superiore, per soggetti svantaggiati, orientamento professionale), sulla base di criteri di valutazione stabiliti dal Ministero del Lavoro e della PS, sentita la Conferenza Stato- Regioni, rilasciando certificato di idoneità di validità temporale diversa a se- conda delle suddette tipologie e comunque non inferiore a tre anni, da inserire 67 in un Registro regionale e in un Elenco nazionale delle strutture accreditate. I criteri di base delle valutazioni dovrebbero riguardare le capacità logi- stiche e strutturali, le competenze professionali presenti, i livelli di efficacia raggiunti in attività precedenti, le interrelazioni maturate con il sistema so- ciale e produttivo territoriale. Correlata all’operazione di accreditamento dovrebbe risultare quella, an- che se diversa, della “certificazione della qualità” in base anche alle norme ISO 9001, che dovrebbe ovviamente facilitare, senza automatismi, lo stesso accreditamento, pur rimanendo sempre necessario comprovare i livelli di efficacia ed efficienza raggiunti in precedenti interventi e il relativo inseri- mento nel territorio. Per la realizzazione delle attività finanziate con risorse pubbliche si dovrebbe far ricorso al cosiddetto regime di “concessione amministrativa”, che escluderebbe, in alternativa, il “contratto” collegato inscindibilmente al regime del “bando di gara”, che, utilizzato per il passato da qualche Regione, sembra aver dato risultati tutt’altro che soddisfacenti. Correttamente, si è dovuto far ricorso all’uso del condizionale, trattan- dosi di contenuti presenti in bozze sottoposte agli opportuni passaggi di esame e consultazione, prima di approdare alla decretazione e regolamenta- zione definitiva del contenuto dei singoli articoli, su cui la rivista “Rassegna CNOS” intende impegnarsi per un’analisi più approfondita e tale da permet- tere anche una valutazione di merito. Tuttavia, già fin d’ora sembra opportuno evidenziare che, mentre i criteri di affidamento delle attività di formazione e di orientamento professionale, previsti nel comma 2 dell’articolo 5 della legge quadro 845/78 riguardavano di- rettamente gli Enti, la loro natura e il loro radicamento nel sociale, la norma- tiva prefigurata nelle bozze dei suddetti decreti prende, invece, a riferimento la singola struttura formativa, con conseguente ed illimitato ampliamento a vari soggetti pubblici e privati, scuole, agenzie, imprese ..., che possono essere tito- lati a partecipare ai previsti “avvisi”, alla sola condizione che le loro strutture operative corrispondano ai criteri di accreditamento adottati. Il cosiddetto “mercato della formazione professionale” si apre perciò a molti attori, anche diversi dai tradizionali Enti di formazione, codificando una prassi già avviata negli anni recenti con l’inserimento della scuola, di agenzie di vario tipo e di imprese nella realizzazione di interventi di forma- zione e di orientamento professionale. Ritornando al quadro complessivo della decretazione in corso, è da rilevare che si trova tuttora in fase di studio: la regolamentazione del passaggio dello 0,30% dal fondo di rotazione a/ai fondi per la formazione continua, la proble- matica relativa ai crediti formativi e alla certificazione delle competenze, gli interventi per la trasformazione dei Centri in Agenzie e il trattamento degli esuberi del personale impegnato tuttora nel sistema regionale di FP. Sulle due ultime problematiche (Agenzie ed esuberi) si stanno studiando ipotesi di appositi interventi finanziari, che potrebbero portare a un piano di riordino degli Enti e dei Centri, in base a un adeguato progetto di trasfor- mazione e ristrutturazione. 68 Appare, invece, pressoché definito il contenuto della regolamentazione dell’art. 16 sull’apprendistato, prevedendo che: – sia dato incarico al Ministero del Lavoro e della PS di determinare le com- petenze da conseguire mediante l’esperienza di lavoro per ciascuna figura professionale; – le attività formative extra aziendali vengano strutturate modularmente e prevedano almeno il 35% di ore dedicate ai contenuti culturali generali e le restanti ore da impiegare in attività di carattere professionalizzante tec- nico operativo; – le strutture del sistema regionale di FP nonché le strutture scolastiche, purché accreditate, possano svolgere gli interventi previsti. Sulla base delle bozze disponibili, sembra aprirsi per l’area dell’apprendi- stato innovato un ampio campo di intervento formativo a servizio dei giovani in tale situazione, potendo assicurare loro il diritto a fruire di un adeguato mo- mento formativo e significativo nella loro vita, specie per quanti entrano nel complesso mondo della piccola impresa e dell’artigianato, che in Italia svol- ge un compito importante nell’inserimento dinamico nel mondo del lavoro. Passando ad un rapido esame dei contenuti di bozza relativi ai tirocini (art. 18 della legge 196/97), si può rilevare che la regolamentazione prevista tende a rendere esplicite alcune norme, a stabilire durate precise per ogni genere di tirocini, a fissare quali enti possono organizzarli, il tipo di conven- zione da stabilire con le imprese, il tipo di assicurazione INAIL obbligatoria, i progetti di formazione o orientamento da realizzare. Positiva appare la decisione di unificare tutta la normativa in materia dei tirocini formativi e orientativi, con l’abolizione degli articoli delle pre- cedenti leggi relativi a tale argomento (845/78, 863/84, 236/93); anche la richiesta di concertazione tra il Ministro del Lavoro e della PS e il Ministro della Pubblica Istruzione, dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecno- logica, sembra assicurare, in un’unica regolamentazione, la normativa per tutte le attività di tirocinio a livello di università, scuola, FP e soggetti specifici. In sintesi, sembra che la regolamentazione prevista nella legge 196/97 (cosiddetto pacchetto Treu) abbia come obiettivo generale quello di rivedere sostanzialmente non pochi capisaldi su cui era fondata la legge quadro 845/78, procedendo non attraverso la predisposizione di una nuova legge quadro, ma con interventi normativi e regolamentari di modifica o di sop- pressione di articoli-capisaldi su cui si reggeva la legge quadro medesima. L’auspicio è che al termine di tutte le fasi necessarie per adeguare la le- gislazione e la normativa ai nuovi compiti del sistema di FP nel nostro Pae- se, si riscontri la coerenza di un percorso, anche se graduale, che porti l’Ita- lia nella situazione di potersi confrontare positivamente con gli altri Paese dell’Unione Europea e del mondo, per assicurare alle giovani generazioni una valida cultura del lavoro, capace di interagire con le dinamiche dello svi- luppo e del progresso dell’intera società. 69 La decretazione relativa alla legge 59 del 15 marzo 1997 (Bassanini) Un’altra area di decretazione, accanto a quella finora considerata in re- lazione alla legge 196/97 (pacchetto Treu), riguarda la legge 59/97 (legge Bas- sanini), che, pur trattando della riforma della Pubblica Amministrazione, in- clude aree specifiche relative al sistema scolastico e a quello della formazio- ne e orientamento professionale. Anche senza entrare nel merito del contenuto dell’ormai famoso articolo 21 (autonomia scolastica), sembra doveroso fermare l’attenzione sulla parte della legge riguardante il trasferimento alle Regioni e agli Enti Locali della gestione amministrativa del servizio scolastico e della FP, individuando le competenze dello Stato, le deleghe alle Regioni, i trasferimenti di competen- ze alle Province e ai Comuni. Per quanto riguarda il sistema di istruzione, crescono le competenze re- gionali e locali nella programmazione formativa e nella gestione delle scuo- le (passaggio del personale ATA alle Regioni?) ed è prevista una progressiva aggregazione a rete e fusione di particolari strutture scolastiche in determi- nati contesti territoriali. Per quanto riguarda gli interventi di riforma di specifici servizi in materia di mercato del lavoro a tutela dei lavoratori, il D. lgs 469 del 23/12/97 sancisce il conferimento alle Regioni e agli Enti Locali di funzioni e compiti in materia di collocamento ordinario, prevedendo an- che opportunità di collegamento con iniziative di orientamento e FP presen- ti nel territorio. Per quanto riguarda la decretazione relativa alla FP, sembra doveroso evidenziarne alcuni elementi per una breve analisi dei relativi contenuti. Un primo elemento da evidenziare fa rifernimento alla “definizione” di “formazione professionale”, intesa come “complesso di interventi volti al primo inserimento, alla formazione tecnico professionale superiore, al perfezionamento, alla riqualificazione e orientamento professionali, diretti all’acquisizione di competenze immediatamente spendibili, per qualsiasi attività di lavoro e per qualsiasi finalità, compresa la formazione impartita dagli istituti professionali i cui corsi di studio non rientrino in tipologie as- similabili a corsi di istruzione tecnica, la formazione continua, permanente e ricorrente e quella conseguente a riconversione di attività produttive”. “Detti interventi (continua il decreto) riguardano tutte le attività forma- tive volte al conseguimento di una qualifica o di un credito formativo, anche in situazioni di alternanza scuola-lavoro e comunque non consentono il con- seguimento di un titolo di studio o di diploma di istruzione secondaria superiore, universitari o post-universitaria ma sono comunque certificabili ai fini del conseguimento di tali titoli”. Si tratta, come bene avvertono gli addetti ai lavori, di una “definizione descrittiva” funzionale a segnare il “limite esterno” delle competenze regio- nali desunta, con alcuni significativi ampliamenti ai soggetti coinvolti, dall’art. 35 del DPR 616/1977, anteriore alla legge quadro 845/78. Riservandoci, come già detto, ulteriori analisi ed approfondimenti, risul- ta evidente che tale “definizione” di FP risulta riduttiva e non può essere so- 70 stitutiva dei contenuti che fanno riferimento articolo 2 della citata legge quadro 845/78, nel quale gli interventi di FP costituiscono “un servizio di interesse pubblico inteso ad assicurare un sistema di interventi formativi finalizzati alla diffusione delle conoscenze teoriche e pratiche necessarie per svolgere ruoli professionali ...”. Appare, quindi, del tutto evidente come la “definizione” di FP fatta propria dal decreto in esame sia meramente funzionale a segnare limiti e soggetti coinvolti al fine di “definire”, in modo più aggiornato ed attuale, le funzioni e i compiti da riservare alle Amministrazioni centrali e quelle da “conferire” alle Regioni e agli altri Enti locali. Le considerazioni fatte, anche se in modo sintetico, portano ovviamente a ritenere non congruente l’abrogazione del citato comma 1 dell’art. 2 della legge 845/78, come, invece, sancisce l’art. 9 del decreto del Titolo III sulla FP. Un secondo elemento da evidenziare riguarda il trasferimento alle Regioni degli “istituti professionali i cui corsi di studio non rientrino in tipologie assimilabili a corsi di istruzione tecnica”. Si tratta di alcuni istituti professionali (il cui numero non dovrebbe superare i 18), che hanno caratteristiche particolari e che saranno identifi- cati da una commissione paritetica in ogni Regione, con il relativo trasferi- mento a queste dei beni, risorse e personale. Ma ciò che più rileva è che se la decretazione risulterà definitivamente approvata, si dovrebbe giungere ad una auspicata semplificazione istituzio- nale dei due sottosistemi di istruzione e di FP, facendo rientrare gli Istituti Professionali di Stato quinquennali nell’ambito dell’istruzione tecnica e aggregando i rimanenti, quelli da identificare, nel sistema regionale di FP, com’era peraltro previsto dalla legge quadro 845/78. D’altra parte, è solo da ricordare, che nel documento della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome – del giugno ‘97 sulla “Istruzione scolastica, formazione professionale e lavoro” – veniva previsto, pur senza le opportune distinzioni, il “passaggio alle regioni entro un perio- do definito e concordato Regione per Regione” degli Istituti Professionali. Inoltre, lo stesso decreto in esame prende atto che negli anni passati l’I- struzione Professionale di Stato (IPS) in non pochi casi si è avvicinata mol- to più, tramite l’introduzione di curricoli quinquennali e la “licealizzazione” anche del primo triennio di qualifica con la riduzione drastica della forma- zione pratica, alla istruzione tecnica, distanziandosi così dalla FP. Lo stesso progetto ‘92 della Direzione Generale dell’istruzione professio- nale aveva preso atto di tale modificazione, inserendo specifici moduli di FP dopo la “qualifica professionale triennale”, riconoscendo la riduzione di spazi dati nel primo triennio agli interventi rivolti all’acquisizione di compe- tenze immediatamente spendibili sul mercato del lavoro. A fronte dei mutamenti rilevati, ritenuti obiettivo ineludibile per l’ade- guamento del sistema di FP alle trasformazioni attuali, ci si può domandare responsabilmente se e in quale misura esista un loro coordinamento in vista di una strutturazione sistematica della FP oppure se interventi settoriali e 71 forse non ben coordinati finiscano per creare soltanto una miriade di pos- sibilità senza il mantenimento e potenziamento di sistema. In un momento di forte crisi finanziaria non si intravedono, infatti, linee di finanziamento che diano certezza di continuità alle azioni di FP, al di là dei variabili finanziamenti del FSE. Mentre per il sistema scolastico si chie- dono, e giustamente, ulteriori finanziamenti per sostenere la transizione, per la FP i finanziamenti nelle singole regioni sembrano sempre minori o sempre più legati ai fondi europei, con difficoltà di programmare interventi utili e necessari, che però non trovano riscontro immediato nei programmi del FSE. Il CCNL Nel contesto dei grandi mutamenti strutturali che interessano la FP si deve prendere atto della disdetta del CCNL, avvenuta congiuntamente il 28 novembre 1997 tra Organizzazioni Sindacali di categoria ed Enti di FP firmatari del medesimo. Tale inedita prassi (disdetta congiunta) è certamente un segnale ogget- tivo della difficoltà di predisporre una piattaforma di nuovo contratto, capa- ce di affrontare non pochi istituti del medesimo che si debbono inquadrare nel nuovo contesto normativo e regolamentare del sistema di FP in trasfor- mazione. L’impegno delle parti per avviare un confronto necessario sul riordino della FP previsto dall’art. 17 della legge 196/97 e dalla relativa decretazione nonché sulle normative innovative adottate da alcune Amministrazioni regionali in materia di flessibilità dell’offerta formativa dovrebbe orientare a scelte di piattaforma che, superando logiche meramente rivendicative categoriali, permetta di concorrere all’avvio di nuove possibilità di impiego nel settore e di favorire la riqualificazione e l’aggiornamento degli operatori, anche al fine di assicurare qualitativamente la loro permanenza in servizio. Infine, ci auguriamo che la logica del confronto costruttivo tra le parti si estenda alle contrattazioni decentrate, ancora in corso in non poche varie Regioni. 72 Il momento storico, che stiamo vivendo, ci riserva continue sorprese e nuove iniziative. In Italia, come nel resto dell’Europa, il discorso politico generale ha con- centrato per un intero anno il suo interesse sul problema della moneta unica europea. In Italia, l’obbiettivo principale dell’azione del Governo è stato, fin dal primo momento, la partecipazione all’unificazione monetaria. Su di essa si è centrata l’attenzione dei mezzi di comunicazione; i cittadini sono stati interessati, anche perché chiamati a parteciparvi finanziariamente. Superato tale avvenimento, sono rispuntati alcuni gravi problemi del- l’Italia di sempre: lavoro e disoccupazione, riforme costituzionali, giustizia, scuola e formazione. Il governo, fin dal suo nascere, aveva nel suo programma l’avvio a solu- zione dei problemi della scuola e della disoccupazione. L’“Accordo per il lavoro” del settembre ‘96 aveva posto dei principi per la soluzione dei problemi del lavoro e della disoccupazione, a partire dal rinnovamento della scuola e della FP. Purtroppo alcune delle politiche intraprese sono rivolte maggiormente alla soluzione d’immediati problemi occupazionali che ad un progetto d’ampio respiro. Una vera politica del lavoro trova la sua base di partenza nella preparazione culturale e profes- sionale delle persone, che si realizza attraverso il rinnovamento della scuola e della FP. La legge 196/97 (pacchetto Treu) ha cercato d’impostare in modo nuovo alcuni strumenti, per favorire la soluzione dei problemi del lavoro. La decre- tazione e regolamentazione hanno provveduto a fissare alcuni capisaldi di un rinnovamento, che potrà essere importante. I regolamenti dell’apprendi- stato (art. 16 della 196) e dei tirocini formativi (art. 18) sono stati definiti- vamente emanati; sono in fase di completamento i regolamenti dell’art. 17, che riguardano il riordino della FP. Inoltre, l’approvazione della legge 53/97 ha portato a realizzazione i prin- cipi del decentramento amministrativo, anche per quanto concerne i servizi al mondo del lavoro. Sul lato delle riforme scolastiche, la Bassanini ha stabilito nell’art. 21 i principi dell’autonomia scolastica e del decentramento. Fatica però molto a giungere a realizzazione la decretazione di quest’articolo. È stata anche at- tuata la riforma degli esami di maturità, ma si tratta di un piccolo tassello che non incide molto in una riforma generale del sistema educativo italiano. Il centro dei cambiamenti istituzionali del sistema scolastico italiano ave- va il suo perno centrale nel riordino dei cicli scolastici, accompagnato dalla creazione di un sistema pubblico integrato di scuola, attraverso l’approva- 73 1998Editoriale n. 2 zione della legge sulla parità scolastica. Il disegno di legge sul riordino dei ci- cli langue alla Camera dei deputati; quello sulla parità scolastica, in Senato, non procede, a causa del dissenso tra le parti politiche. Quasi un sasso buttato nelle acque stagnanti delle riforme scolastiche, il Governo ha presentato il 28 maggio 1998 un disegno di legge urgente sul pro- lungamento dell’obbligo d’istruzione. Il disegno di legge n. 4917 risponde più ad esigenze di facciata e d’immagine, che ad una vera necessità. Infatti oltre il 90% dei giovani che termina positivamente la terza media si iscrive a per- corsi scolastici e un’altra più piccola, ma significativa, percentuale ai corsi di FP iniziale. Non basterà una legge per fare diminuire la dispersione scolasti- ca. Oggi infatti l’abbandono della scuola avviene ancora prima del terzo an- no della media inferiore ed è causato maggiormente dalla non congruenza dei percorsi scolastici proposti con le aspettative dei giovani che dalla volon- tà di questi di non istruirsi. Inoltre il DDL n. 4917, nonostante le dichiara- zioni di congruenza con il DDL sul riordino dei cicli, ne segna un effettivo su- peramento e, attraverso la valorizzazione e la trasformazione del primo bien- nio della secondaria superiore, stabilisce l’abbandono della filosofia su cui era costruito. La riforma dei cicli aveva come presupposto che l’organizza- zione della scuola, così come è oggi, non era né orientante né professiona- lizzante, ma creava un gran numero di dispersioni: la logica del DDL sul pro- lungamento va esattamente in direzione inversa. Il sistema di FP regionale, attraverso la legge 196/97 e i suoi regolamen- ti, sta cambiando profondamente. Dall’altra parte il sistema scolastico e le imprese sembrano volere entrare come protagonisti in tutti i segmenti della FP. Sembra perciò utile cercare di delineare quali sono gli scenari futuri che si potrebbero realizzare. Per un sistema di FP La FP, come seconda gamba del sistema educativo e formativo italiano accanto al canale dell’istruzione scolastica e universitaria, dovrà attivarsi in ambiti molteplici d’intervento. Tenendo come riferimento i settori d’intervento della UE tramite il FSE, le parti integranti sistema di FP risultano essere: – la FP iniziale, rivolta ai giovani che vogliono acquisire una qualifica spen- dibile sul mercato del lavoro; – la FP in alternanza, che valorizza il lavoro come strumento di formazione accanto agli interventi formativi realizzati fuori dalle strutture lavorative; questo si realizza in modo particolare con il contratto di apprendistato come previsto dalla legge 196/97; – la formazione continua, rivolta a soggetti occupati per una “manutenzio- ne” della loro professionalità o per superare situazioni di difficoltà duran- te i momenti di trasformazione tecnologica ed organizzativa; – la FP superiore, prevista dall’Accordo per il lavoro, da attivare dopo la 74 scuola media superiore, non in continuità con la stessa e come canale di- stinto da quello universitario; – la formazione dei soggetti svantaggiati, dai carcerati agli handicappati, dai tossicodipendenti alle fasce deboli, dai disoccupati di lunga durata ad altre situazioni difficili, in vista di un inserimento lavorativo, che porti a soluzione anche i problemi sociali. A questi interventi destinati alla formazione, le Agenzie formative devo- no saper affiancare quelli che hanno di mira l’orientamento professionale delle persone, giovani e meno giovani, specialmente nei momenti di tran- sizione dalla scuola al lavoro e da un tipo di lavoro ad un altro. Di fronte ad un sistema complesso, per buona parte da inventare, la domanda può essere “chi fa che cosa”. Tracciamo un quadro di quanto si sta prefigurando a partire dagli interventi attivati sotto il profilo legislativo e normativo. La formazione iniziale post obbligo scolastico I giovani che, al termine dell’obbligo, si rivolgono al sistema della FP regionale, sono, stando ai dati ISFOL del 1997, circa cinquantamila ogni an- no, di età compresa tra i quattordici e i sedici anni. Scelgono tale percorso in quanto adatto alle loro aspirazioni, breve e capace di dare una professiona- lità spendibile sul mercato del lavoro. La previsione dell’innalzamento del- l’obbligo nel solo biennio della scuola media superiore, secondo il disegno di legge governativo, crea, oltre che sconcerto per gli Enti che tradizionalmen- te si occupano di questo segmento della FP, gravi problemi anche a famiglie e giovani, che verranno privati di tale possibilità di scelta. Diviene facilmen- te prevedibile, nella fase di passaggio, un momento di grave crisi nei Centri, che sono maggiormente impegnati nell’ambito della formazione iniziale. Se il Parlamento approvasse il DDL sul prolungamento dell’obbligo con i contenuti proposti dal governo, la FP iniziale dovrebbe avviarsi dopo il sedi- cesimo anno dei giovani. Le strutture di formazione iniziale dovrebbero cambiare improvvisamente l’utenza, con gravi ripercussioni sul personale, ma anche sulla possibilità di potere, a regime, riprendere ad interessarsi di questo settore. La legge imporrebbe a tutti i giovani un solo tipo di fre- quenza scolastica, anche quando indesiderato. La previsione che si può fare, per questo settore d’intervento formativo, in ogni caso, è una sua riduzione notevole e immediata, con molta difficoltà ad acquisire possibilità di attività per i giovani in uscita dal nuovo obbligo scolastico. Gli Istituti scolastici potrebbero programmare di affidare agli Enti che operano per gli allievi nel- la fascia dell’obbligo qualche modulo d’intervento individualizzato. Questi interventi sarebbero possibili se si potesse contare su una struttura sempre funzionante di FP iniziale, ma questi soli non permetterebbero certamente di creare un sistema non scolastico di FP iniziale. In ogni caso il sistema della FP regionale iniziale subirà cambiamenti 75 notevoli, se potrà cominciare solo con giovani al di sopra dei sedici anni. È prevedibile non un incremento, ma la riduzione delle attività, andando in direzione opposta a quanto previsto dall’Accordo per il lavoro del settembre 1996. Le attività di formazione iniziale post diploma potrebbero avere una prospettiva diversa. Il sistema regionale di FP potrebbe incrementare questo segmento di formazione. Il sistema di FP regionale trova, però, nella scuola di stato un concorrente. Gli Istituti scolastici infatti intervengo non solo nell’attuazione dei piani regionali, ma anche, al di fuori della programma- zione regionale, nella realizzazione di altre attività corsuali di FP finanziate da fondi europei e nazionali gestiti direttamente dal Ministero della Pubblica Istruzione. La FP in alternanza La nascita di un sistema di formazione in alternanza è certamente una scelta positiva. L’alternanza scuola-lavoro può avvenire tramite i tirocini in azienda per giovani in formazione: questa esperienza è già presente da anni e merita tutta l’attenzione e lo sviluppo necessari. Invece l’alternanza che si dovrebbe realizzare per i giovani lavoratori apprendisti, costituisce una sfida nuova per il sistema delle imprese e della formazione. Se si analizzano i modi di realizzazione dei contratti a causa mista di apprendistato e di formazione lavoro, si rileva che, almeno finora, questi appartengono essenzialmente alle politiche occupazionali e non a quelle formative. Fanno infatti più riferimento a reali sgravi contributivi per le aziende a fronte ad assunzione di giovani che a contenuti realmente forma- tivi dei percorsi. Il sistema formativo italiano è di fronte alla possibilità di realizzare un grande cambiamento strutturale. Un innalzamento reale della formazione della popolazione giovanile, infatti, potrà avvenire anche attraverso il con- tratto di apprendistato, se, come in altre Nazioni europee, in modo speciale in Germania, questo diviene un vero contratto di formazione, attraverso il quale l’impresa investe per il suo futuro, formando i giovani sia al suo inter- no sia in strutture formative esterne. In Germania circa la metà dei giovani si forma attraverso l’apprendistato; molti giovani giungono ad un attestato di qualifica “non scolastico”, ma di prestigio e di valore pratico molto alto, mentre in Italia si è puntato essenzialmente a diplomi scolastici. Già ora è in fase di sperimentazione un progetto di apprendistato nel- l’ambito dell’industria metalmeccanica per 5.000 giovani apprendisti, e un totale di 432 corsi da svolgersi su tutto il territorio nazionale. La sperimen- tazione può aiutare ad impostare seriamente l’inizio generalizzato di questo tipo di attività formativa da parte delle Regioni. Alcune di esse stanno già at- tivandosi per iniziare l’attuazione di quanto stabilito dalla legge 196/97 e dal 76 rispettivo regolamento. In Italia, inoltre, i modi d’attuazione dell’apprendi- stato nella provincia di Bolzano possono servire da modello positivo. In tale provincia l’apprendistato, grazie alla presenza di una cultura di matrice te- desca, è già realizzato secondo modi analoghi a previste dalla legge 196/97. Gli Enti di FP e le scuole, in collaborazione tra loro e con le imprese, dovrebbero diventare protagonisti competenti nella formazione degli apprendisti “fuori dell’azienda”. Nella sezione documenti, la rivista (“Rassegna CNOS” n. 2, 1998) pubblica i regolamenti applicativi della Legge 196/97 relativi all’art. 16 sull’“Apprendistato” e all’art. 18 “Tirocini Formativi”. La formazione superiore In Italia solo l’università realizza la formazione superiore attraverso i corsi accademici di laurea. I Diplomi Universitari costituiscono il primo tentativo di una formazione superiore intermedia tra laurea e diploma. L’“Accordo per il lavoro” del settembre ‘96 prevede la nascita di un cana- le di formazione superiore non universitaria e non in continuità con la secondaria superiore. Si tratta di creare anche in Italia un canale professionalizzante non accademico, legato al territorio e capace di fornire al mondo del lavoro le professionalità richieste. Le Regioni, cui spetta la titolarità della program- mazione degli interventi di FP, stanno attivandosi per la loro realizzazione. Il Ministero della Pubblica Istruzione, a sua volta, si è messo in moto: una commissione sta studiando come realizzare il sistema italiano di formazione superiore utilizzando le strutture scolastiche. Queste potrebbero avere la titolarità e diventare la sede degli interventi di formazione superiore. Una prima proposta prevede un triplice canale di formazione post diploma, in aggiunta ai normali corsi di laurea: – Diplomi Universitari, da acquisire presso le sedi universitarie – corsi professionalizzanti di due o tre anni, che troverebbero la loro sede a titolarità organizzativa presso le scuole medie superiori – corsi brevi (uno o due moduli semestrali), che prevederebbero la titolarità regionale. Questo tipo di strutturazione non trova consenziente il coordinamento delle Regioni, che invece reclama per sé la titolarità di tutta la formazione superiore non universitaria. La formazione superiore, che si realizzerà in Italia, dipende dal come si strutturerà a livello istituzionale. La FP superiore potrà veramente decol- lare solo se saranno valorizzate tutte le capacità progettuali e formative pre- senti su un territorio. La soluzione di accentrare nel solo sistema della scuo- la statale tali attività non può portare a risultati di qualità. La situazione di monopolio che si creerebbe, anche grazie alle possibilità finanziarie, di cui la 77 scuola di Stato può disporre, renderebbe superfluo il confrontarsi con altri e anche con il territorio. Solo la creazione di un sistema regionale di FP strutturato su tutti i segmenti formativi e unitario potrebbe fare da base ad un sistema di forma- zione superiore legata fortemente al territorio, ma anche di respiro italiano ed europeo. La formazione continua La formazione continua interessa i lavoratori lungo tutto l’arco della vita. In Italia muove solo i primi passi. Finora le esperienze delle grandi imprese nella riqualificazione e addestramento delle loro maestranze e i corsi relativi al- le cosiddette 150 ore erano le uniche attività realizzate in modo sufficiente- mente sistematico. Solo ora si stanno realizzando le prime esperienze in ambiti più vasti, in modo particolare tramite i finanziamenti del FSE. La legge 196/97 prevede la nascita di un sistema di FP continua. La regolamentazione dell’art. 17 ne traccia il profilo organizzativo e la fonte di finanziamento. Il sistema del- le imprese diviene protagonista delle attività di formazione continua, che lega giustamente, anche se purtroppo in marniera esclusiva, la formazione continua alle necessità delle imprese. Sarebbe opportuno che il sistema tenesse anche in conto le necessità dei lavoratori nella prospettiva di una loro crescita profes- sionale continua, anche al di là di immediate necessità delle imprese, almeno quando la formazione è finanziata con fondi pubblici. La formazione dei soggetti svantaggiati La FP dei soggetti svantaggiati è di fondamentale importanza dal punto di vista sociale ed anche da quello del lavoro. La FP è fattore decisivo per il loro inserimento, come risorsa, nel mondo del lavoro e, conseguentemente, nella società. In questo campo, né la scuola né l’impresa ha, per ora, svolto un ruolo da protagonista. La FP regionale ha svolto un ruolo importante in questo settore. Il destino di tali interventi resta legato al riordino completo del sistema. I più deboli di fronte al mercato del lavoro devono trovare attenzione nelle programmazioni nazionali e regionali. Il sistema di formazione e istruzione che si sta delineando L’Accordo per il lavoro del settembre ‘96 evidenziava come, in Italia, fos- se molto debole la FP, seconda gamba del sistema educativo complessivo. Si deve convenire che il sistema di FP regionale italiano sia poco sviluppato rispetto a quello dell’istruzione, in alcune regioni addirittura asfittico e di poca qualità (ma nelle medesime Regioni anche la scuola patisce della stessa debolezza), senza adeguati finanziamenti e soggetto a normative regionali molte volte penalizzanti. 78 La legge 196/97, che traduce in norme legislative alcuni punti dell’Ac- cordo, prevede, in modo particolare attraverso l’art. 17, la ristrutturazione del sistema di FP. Fino ad oggi la legge quadro 845/78 prevedeva che solo i centri pubblici regionali e gli Enti senza scopo di lucro, emanazione del pri- vato sociale, svolgessero le attività di FP finanziate dalle Regioni. Il nuovo sottosistema di FP prevede invece lo svolgimento delle attività da parte di Centri pubblici regionali e di qualunque tipo di struttura pub- blica e privata, purché accreditata dalla Regione per svolgere tale compito. Gli attori del sistema perciò aumentano, con la partecipazione anche di pri- vati, imprese e scuole. Come si è evidenziato nelle analisi precedenti, la scuo- la e l’impresa, in questa situazione, si presentano come protagoniste nel- l’ambito della FP. Di là dalla regolamentazione della 196/97, la scuola statale ha finanzia- menti propri, sia del FSE sia statali per il cofinanziamento, per interventi di FP anche al di fuori della programmazione regionale, quasi a far nascere un sistema parallelo. A questo sistema parallelo contribuisce anche il Ministero del Lavoro e della PS tramite i cosiddetti POM, che s’affiancano e si sovrap- pongono alle programmazioni regionali, partendo dal presupposto, reale, che molte regioni sono incapaci di spendere i finanziamenti del FSE. Queste attività, se hanno permesso in questi anni di fruttare al meglio le risorse fi- nanziarie del FSE, non potranno a lungo che creare difformità sul territorio e impedire che la FP regionale diventi un vero sistema. La sovrapposizione di attività programmate a livelli diversi, se non coor- dinate, crea il rischio di mortificare il cammino di decentramento intrapreso e di annullare le prospettive ed esigenze di un vero federalismo. Un lavoro che cambia Sono molti gli interrogativi che sorgono di fronte ai problemi del lavoro, oggi: il cambiamento del significato del lavoro, la disoccupazione che non si riesce a debellare, i mutamenti tecnologici che sconvolgono non solo il modo di lavorare ma anche quello di vivere, le nuove povertà che toccano anche i lavoratori con bassa qualificazione... La Conferenza Episcopale Italiana, tramite la Commissione episcopale per i problemi sociali e del lavoro, ha promosso un Convegno di riflessione dal titolo “La questione lavoro oggi”. All’Hotel Ergife, dove si è tenuto dal 7 al 10 maggio 1998, i delegati delle Diocesi italiane si sono confrontati sul te- ma, con un taglio pastorale, ma a partire dalla concreta realtà del lavoro og- gi, letta dal punto di vista economico, antropologico, teologico e pastorale. Un gruppo ha portato la sua riflessione su lavoro e FP. La FP, che deve cercare di dare una risposta ai bisogni degli uomini del lavoro di oggi, deve interrogarsi sul significato, sul valore e sul senso del lavoro oggi, perché le sue risposte non siano al di fuori del contesto di quanto sta avvenendo. L’importanza di una seria riflessione sul senso del lavoro oggi è un’esi- 79 genza imprescindibile, per progettare una FP che prepari e aiuti i giovani e i lavoratori ad inserirsi e a vivere con dignità nel modo del lavoro. Per concludere Il momento di “effervescenza normativa” che stiamo vivendo in Italia, la realizzazione sempre maggiore dell’Unione Europea con le sue norme e i suoi indirizzi, la mondializzazione dell’economia, con la sua influenza non solo sul modo di lavorare ma sul senso stesso del lavoro, riempiono di attese e di speranze, ma anche d’incertezze e di difficoltà, questa fine di millennio. Il superamento dei blocchi ideologici e politici, che avevano creato muri tra, ma anche dentro, le Nazioni richiede, in Italia, un nuovo progetto di politica scolastica e formativa, che crei una nuova cultura dell’istruzione e formazione di respiro europeo e mondiale. Per conseguire risultati concreti in questo cammino serve integrare scuola e FP, per renderle più vicine al mondo del lavoro. La FP è ritenuta fondamentale da tutti i documenti. Tuttavia, all’atto pra- tico, si nota la tendenza di ridurre o eliminare in modo particolare la FP iniziale. In nessun Paese del mondo i giovani vanno a scuola fino ai diciotto anni seguendo un unico canale formativo, ma ancor prima dei quattordici anni possono scegliere canali professionalizzanti. In Italia, invece, il princi- pio di differenziare l’offerta formativa dai 14/15 anni, in modo da recupera- re al massimo la dispersione, sembra non accolto nei fatti. La ristrutturazione della FP, tracciata dalla legge 196/97, presenta un disegno istituzionale mirato più ad interventi puntuali per rispondere a ri- chieste specifiche che a creare un sistema di FP. Il prevedere l’affidamento delle attività formative quasi esclusivamente tramite avvisi pubblici permet- te di attivare progetti mirati e flessibili e di usufruire dei finanziamenti del FSE, ma non si concilia con la logica educativa propria della formazione ini- ziale, che comporta continuità e progettazioni a lungo respiro. La stessa ri- strutturazione dei Centri e la loro trasformazione in “Agenzie” sembra favo- rire una visione di flessibilità quasi in contrapposizione a consolidamento di competenze pedagogiche, formative e tecniche dei formatori. L’insistenza sui finanziamenti del FSE (il 70% della FP italiana è sup- portata da fondi europei) continua ad esporre tutto il sistema formativo italiano alle variazioni delle programmazioni finanziarie europee. Queste mirano essenzialmente a rispondere in modo particolare a bisogni sociali emergenti; non si può pensare di finanziare solo attraverso il FSE il sistema di FP nazionale. L’“Agenda 2000” creerà gravi problemi in Italia per la riduzione di fondi; infatti la prevista entrata nella UE di nuovi Paesi, gravati da arretratezza sociale, farà confluire in modo particolare su di essi le risorse del FSE. Le proposte di legge di riforma dei cicli scolastici e di elevamento dell’obbligo scolastico potrebbero portare ad un grave indebolimento della FP iniziale regionale. Questo fatto, unito alla già realizzata “licealizzazione” 80 dei percorsi d’istruzione professionale di stato, porta alla soppressione di ogni canale professionalizzante per i giovani. Solo una riforma complessiva del sistema educativo italiano potrà portare ad un’integrazione tra istruzione e formazione, senza subalternità e assorbi- menti. Questo comporta la creazione di un valido sistema di FP regionale, comprendente la formazione di base, in alternanza, superiore e continua. Le antiche culture e divisioni ideologiche e gli interessi corporativi non debbono impedire un rinnovamento del sistema scolastico e formativo italiano, che dia alle nuove generazioni le competenze per affrontare il futu- ro e permetta loro di valorizzare le capacità intellettuali e operative, in mo- do da contribuire alla crescita dell’Italia e dell’Europa nella realtà mondiale del nuovo millennio. 81 Il numero 3/98 di “Rassegna CNOS” ha avuto un tema monografico per- ché completamente dedicato all’orientamento pubblicando le relazioni tenute al Convegno commemorativo del 30° di fondazione dell’Associazione COSPES/CNOS-CIOFS, svoltosi a Roma dal 18 al 19 aprile 1998. L’ editoriale si limita a dare alcuni cenni ad altri temi. Uno sguardo alla situazione istituzionale Rinviando ad un prossimo editoriale l’analisi delle novità legislative e regolamentari che stanno caratterizzando questo ultimo scorcio d’anno, fermiamo soltanto la nostra attenzione sui provvedimenti in corso di ap- provazione. La Camera dei deputati ha approvato il DDL concernente l’innalzamento dell’obbligo scolastico per ora fino al quindicesimo anno, ma in prospettiva fino al diciottesimo anno d’età. Il disegno di legge ha incontrato difficoltà nel suo iter in Commissione alla Camera dei Deputati. È rinato infatti lo storico scontro ideologico tra il prevedere la possibilità di frequenza dei percorsi di FP per soddisfare l’ob- bligo o il riservare solo alla scuola questo prolungamento. L’abbassamento dell’obbligo al solo primo anno di scuola media superiore (15° anno d’età) rappresenta una mediazione mal riuscita, che può avere un senso solo se vi sarà una rapida approvazione del disegno di legge sul riordino dei cicli, che preveda il termine di un ciclo completo obbligatorio al quindicesimo anno. Se invece il fatto di obbligare i giovani alla frequenza di un anno iniziale di scuola media superiore dovesse diventare duraturo, la soluzione della que- stione dell’innalzamento dell’obbligo rimarrebbe incomprensibile e illogica. Per quanti sforzi di buona volontà le scuole possano fare per dare un senso compiuto ad un primo anno dell’attuale scuola media superiore perché pos- sa anche essere conclusivo di un percorso scolastico, il risultato non potrà che essere deludente. Questo avverrebbe anche se si prolungasse di un anno ulteriore, perché ciò rappresenterebbe, per coloro che non intendono conti- nuare fino al termine nel triennio successivo, un mero parcheggio nel ciclo iniziale, che non porta ad una formazione culturale completa e tanto meno ad uno sbocco professionale spendibile sul mercato del lavoro: renderebbe istituzionale quanto avviene già ora per i drop aut. Il provvedimento sull’innalzamento dell’obbligo, presentato a maggio con procedura d’urgenza, è stato quantomeno improvviso e improvvisato, al di fuori e in contrasto con il progetto di riordino dei cicli, facendo così riemer- gere gravi e datati conflitti ideologici, che il disegno di legge sul riordino dei cicli, sulla scia dell’accordo per il lavoro del ‘96, aveva contribuito a supera- re. La sua approvazione nella forma licenziata dalla Camera dei Deputati è un compromesso, che va superato con una rapida approvazione del riordino 83 1998Editoriale n. 3 complessivo del sistema educativo italiano per limitare i danni che potreb- bero scaturire se l’obbligo scolastico resterà elevato a quindici o anche a sedici anni nel contesto dell’attuale biennio della scuola media superiore, per quanto rivisto con interventi regolamentari e circolari del Ministero del- la Pubblica Istruzione. Per quanto riguarda il sistema di FP, dopo l’approvazione della regola- mentazione degli art. 15 e 18, sembra in dirittura d’arrivo anche la regola- mentazione dell’art. 17 della legge 196/97 (pacchetto Treu) sul riordino del si- stema di FP. Il ritardo con cui giunge a termine questa elaborazione è segno delle difficoltà di trovare una conciliazione ragionevole tra disparate esigenze, per contribuire al potenziamento di un sistema nazionale di FP rinnovato. Poiché su questo tema abbiamo già fatto qualche commento in precedenti editoriali, rimandiamo l’esame completo della regolamentazione alla sua definitiva approvazione. Il convegno ecclesiale sul lavoro Merita attenzione per quanti s’interessano del problema del lavoro e del- la formazione dei lavoratori il convegno organizzato dall’Ufficio Nazionale per la pastorale sociale e del lavoro della Conferenza Episcopale Italiana sul tema del lavoro in una società in cambiamento. L’interesse è stato alto per la preparazione che ha comportato, per il livello degli interventi, per la si- gnificatività delle esperienze esposte, per la riflessione maturata nei gruppi di approfondimento. Attendiamo la pubblicazione degli atti per una più completa riflessione. Importa mettere in rilievo l’importanza della riflessio- ne fatta sul lavoro oggi; infatti la globalizzazione dell’economia e i continui squilibri finanziari mettono al centro della riflessione negli studi e nei media soprattutto i fattori tecnici, pur importanti, trascurando sovente i problemi reali dell’uomo e della donna di oggi di fronte al lavoro. Un faticoso inizio di anno formativo L’inizio dell’anno formativo 1998/99 si presenta faticoso e difficile in molte regioni d’Italia. Alla crisi delle finanze regionali, che portano a ritardi nel finanziamento delle attività formative in un sempre maggior numero di Regioni, si aggiun- gono tagli per alcune tipologie di intervento, ritardi nell’approvazione dei piani di formativi annuali, regole burocratiche sempre più complicate ed esigenti in contraddizione con le promesse di semplificazioni amministrative. A livello ministeriale è fondamentale riuscire a spendere i finanziamenti europei, obbiettivo certamente importante, pur rilevandone i limiti se la valutazione degli interventi continuerà a concentrarsi sul controllo sempre più minuzioso della correttezza amministrativa. Individuate le priorità d’in- tervento al momento degli avvisi pubblici, i tentativi di monitoraggio in cor- so si concentrano, infatti, sulla parte finanziaria degli interventi e solo par- zialmente sulle ricadute formative degli stessi. 84 1999 Si è concluso da poco il 1998. È difficile fare un bilancio di quest’anno per quanto riguarda la riforma dei processi educativi e formativi in genere e, specificamente, del sottosistema della FP. Grandi discussioni e confronti, ancora guastati dallo scontro tra opposte visioni d’antica radice ideologica, hanno interessato i temi della parità scolastica e dell’innalzamento dell’obbligo d’istruzione. Poco spazio è stato riservato da stampa e televisione al tema dell’autono- mia delle scuole, ferma ad una gran discussione interna al sistema. La rego- lamentazione dell’articolo 21 della legge 59/97 sembrava, inizialmente, andare in senso opposto, sotto alcuni aspetti, alla legge, di cui doveva essere lo strumento attuativo. Il regolamento non è ancora stato approvato e, nonostante le sperimentazioni in atto che dovrebbero facilitarne la stesura e correzione, occorrerà ancora del tempo perché possa trovare una sua con- creta e capillare attuazione. La regolamentazione della FP ha visto, nel 1998, l’approvazione dei regolamenti riguardanti, gli articoli 16, 17 e 18 della legge 196/97. Anche in questo caso, l’approvazione della regolamentazione dell’art. 17 ha richiesto più tempo del previsto e ha incontrato difficoltà; perciò non è ancora stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale. Il sottosistema della FP regionale, dopo un paio d’anni d’interventi legislativi strutturali, si trova ora nella necessità di risolvere i problemi concreti della loro attuazione. L’apprendistato sta per partire, ma sempre attraverso progetti sperimen- tali che interessano non l’intero sistema dell’apprendistato. I contratti collet- tivi di lavoro di alcuni comparti già valorizzano la formazione nell’apprendi- stato, superando l’uso di tale contratto al solo fine dell’inserimento dei giovani nel lavoro grazie a sgravi contributivi. La formazione continua sta cercando un suo modo di impostarsi, ma trova molte difficoltà nel realizzare concretamente i suoi obiettivi. Anche la scuola si apre all’istruzione e formazione degli adulti, con politiche che, all’insegna di ottime intenzioni espresse, sembrano mirare maggiormente a favorire l’occupazione del personale che a realizzare la formazione e riquali- ficazione professionale degli adulti. I sistemi regionali di FP continuano a scontrarsi con difficoltà finanzia- rie, pur non riuscendo a programmare e spendere in pieno i finanziamenti del FSE, anche per concrete difficoltà burocratiche. Inoltre, l’attuazione del- le deleghe alle Province, come ogni fatto nuovo che interviene in un sistema, genera le difficoltà che investono tutti i periodi di transizione. Le novità del cammino di riforma dei sistemi formativi regionali posso- no portare a una reale crescita della FP in Italia, ma vi è il rischio di di- struggere quanto finora è stato fatto di buono senza riuscire a realizzare le nuove prospettive che s’intravedono. 87 1999Editoriale n. 1 Il Rapporto ISFOL 1998 Ogni anno, il “Rapporto ISFOL” cerca di fare il punto sulla situazione delle politiche formative e dell’occupazione in Italia e in Europa. Nelle considerazioni generali, i cambiamenti del sistema formativo italiano sono assimilati a quelli di un cantiere, in cui sui due tronconi della formazione, quella scolastica e quella rivolta al mondo del lavoro, si cerca di costruire un nuovo complesso di edifici, tentando di integrare le due anime. Il cantiere ha ormai portato avanti la costruzione di alcuni edifici (es. ap- prendistato), ma altri sono ancora soltanto iniziati (es. riforma dei cicli). Con molta lentezza si continua a procedere, cercando almeno di integrare culturalmente il mondo della scuola e quello del lavoro. I dati del 1998 confermano un aumento sia degli iscritti alla scuola media superiore, sia dei diplomati. Aumenta anche l’impiego di risorse fi- nanziarie nel mondo della FP; per questo è cresciuto il numero di giovani che hanno trovato l’opportunità di accrescere la propria professionalità in iniziative di FP. È questo uno dei meriti delle risorse finanziarie messe a dis- posizione dal FSE. Tramite tali risorse le Regioni sono riuscite a mantenere e a far crescere l’impegno per la FP, nonostante la crisi della finanza pubbli- ca, che non ha permesso di aumentare le risorse nazionali impiegate nel set- tore. Rimane però il paradosso di un intero sistema formativo, che dipende in larga parte da risorse comunitarie. È questo un elemento di debolezza pe- culiare del nostro Paese. Il sistema di FP italiano deve poter contare su un’autonomia finanziaria, in modo che le risorse comunitarie servano a mi- gliorare la qualità del sistema, non a determinarne la sussistenza. I dati riportati dal “Rapporto” indicano lenti, ma costanti progressi nel processo di scolarizzazione. Attualmente si può rilevare che il 95% dei gio- vani portino a termine il percorso di studio giungendo alla licenza media. Il tasso di passaggio alla scuola media superiore si aggira ormai sul 90%; anche il tasso di diplomati ha raggiunto il 69%. Il tasso di passaggio all’uni- versità è invece in calo, anche a causa dell’aumento del costo d’iscrizione e delle difficili prospettive di raggiungere una laurea. Su 1.000 giovani che iniziano la scuola media inferiore 956 sono licen- ziati, di questi 875 s’iscrivono alla scuola media superiore e 25 alla FP. Ben 179 abbandonano la scuola media superiore lungo il suo percorso e di questi 55 entrano nella FP. Alla conclusione del primo triennio dell’Istituto Professionale 12 abbandono la scuola, mentre sono 684 coloro che giungono ad un diploma di scuola media superiore. Di questi, 465 scelgono l’universi- tà (416 un corso di laurea e 49 uno di diploma) e solo 30 un corso di FP post diploma. Degli iscritti all’università, solo 179 terminano il percorso (153 lau- reati e 26 diplomati). Dall’esame dei numeri risulta chiaro il peso modesto della FP nel contesto formativo italiano. Mentre nel sistema di FP duale te- desco entra circa il 50% di una classe d’età, in Italia, sommando la forma- zione post obbligo con quella post diploma, ne entra circa l’11%. Il numero di corsi e di allievi programmati ed effettuati nel sistema regionale di FP è in crescita; al Nord sono prevalenti i corsi per occupati, 88 mentre al Sud sono prevalenti i corsi di prima formazione e al Centro quelli per diplomati. La maggior parte delle attività è svolta con finanziamenti co- munitari: in particolare al nord e al centro tre quarti delle attività sono fi- nanziate dal FSE e perciò sono programmati entro gli obiettivi da esso sta- biliti. La presenza di attività notevole di formazione continua nel Nord non deve indurre a pensare alla creazione di un buon sistema italiano per tale formazione: sono i risultati di una ritardata programmazione dell’obiettivo 4 del FSE, che ha messo a disposizione molti fondi in questo periodo. Inoltre, la breve durata degli interventi fa apparire il numero di allievi e di attività molto alto. Negli ultimi anni vi è stata un riduzione dei contratti di apprendistato, che risulta anche un contratto volatile, in quanto la gran parte risultano di breve durata. L’impatto formativo di tale contratto per ora non è rilevabile. Gli impegni finanziari delle Regioni per la FP di competenza nel 1995 raggiungono i 3.500 miliardi di lire, mentre le previsioni iniziali del ‘97 superano i 4.800.miliardi. Il “Rapporto ISFOL” dedica molte pagine all’analisi delle iniziative comunitarie e ai positivi contributi di positiva innovazione del sistema di FP e di inserimento lavorativo che hanno generato. Il 32° rapporto del CENSIS 1998 Il titolo dato dal “Rapporto CENSIS”, nel tentativo di interpretare il si- stema formativo italiano, è “Vecchi squilibri, nuovi scenari”. Il sistema formativo vive oggi un tempo di riforme, ma è condizionato dal passato. In Italia la spesa complessiva per la formazione rispetto al PIL è inferiore a quella della maggior parte dei Paesi europei. Le scelte degli ultimi vent’anni, inoltre, hanno generato grandi squilibri nel sistema. Nella scuola si manifesta lo squilibrio tra spesa corrente e spesa per investimenti, causato dalla crescita abnorme del personale; le spese sono mal ripartite tra i cicli scolastici, cosicché risultano eccessive le spese per alunno nella scuola di base rispetto ai cicli superiori; vi è squilibrio tra spese di fun- zionamento e di diritto allo studio, tra spese per il Nord e per il Sud. Ai vecchi squilibri fa riscontro, però, la gran voglia di novità, che si può rilevare specialmente nella base del sistema scolastico: ne sono segni l’ac- coglienza delle proposte d’autonomia, le crescenti integrazioni tra sistema scolastico e sistema di FP, l’introduzione sempre maggiore delle nuove tec- nologie dell’informazione e comunicazione, la nuova sensibilità che la so- cietà riserva ai problemi della scuola e della formazione. Per scuola e formazione, perciò, si potrebbe applicare quanto il “Rapporto CENSIS” afferma all’inizio delle “Considerazioni Generali”. “Si va concludendo un anno turgido e irrisolto, segnato da processi forti, ma fra loro in intima contraddizione, cosicché non si riesce a decifrarne la direzione di marcia”. 89 Il “Patto sociale per lo sviluppo e l’occupazione” La politica della concertazione tra le parti sociali ha portato in questi ul- timi anni ad una serie di accordi, che tradotti anche in interventi legislativi, hanno inciso notevolmente sul cambiamento delle politiche del lavoro e dell’istruzione e formazione. In continuità con il protocollo del 23 luglio 1993 e il “Patto del Lavoro” del settembre 1996, al termine del ‘98, nello stesso spirito, il Governo e le parti sociali hanno stipulato un nuovo “Patto sociale per lo sviluppo e l’occupazione”. Nel contesto delle politiche per lo sviluppo e l’occupazione, il “Patto” prende in esame il tema “Istruzione, formazione e ricerca”, rilevando ritardi, contraddizioni e inerzia nell’attuazione dei precedenti accordi. “Il Governo conferma come suo impegno fondamentale l’organizzazione di un’offerta integrata di istruzione, formazione, ricerca e trasferimento tec- nologico” (n. 17). Il segno del coordinamento delle iniziative sarà la nascita di un comitato presso la Presidenza del Consiglio con la partecipazione dei Ministeri interessati, della Conferenza Stato Regioni e delle parti sociali. Il Patto prevede che la “formazione deve avere caratteristiche di flessibi- lità e deve essere in grado di fornire a tutti i giovani quelle conoscenze, competenze e capacità che sono indispensabili in un mercato del lavoro e in un sistema produttivo in incessante trasformazione. Ciò significa una durata del percorso scolastico e formativo che sia, in linea di principio, uguale per tutti e che consenta a tutti i giovani di 18 anni di conseguire un diploma di scuola secondaria o la certificazione delle competenze corrispondenti alle professionalità richieste dal mercato del lavoro. E che sia, contemporanea- mente, garante delle possibilità di rapide riconversioni professionali” (n. 18). È un programma impegnativo, che prevede opportunità di formazione per tutti fino a 18 anni, ma con caratteristiche di flessibilità, che porti ogni giovane ad affrontare il mondo del lavoro disponendo di un diploma scola- stico o della certificazione di professionalità richieste dal mondo del lavoro. In altri termini, ogni giovane ha il diritto - dovere di entrare nel mondo del lavoro con un diploma scolastico e con competenze certificate (= qualifica professionale?). Il n. 19 mette in evidenza una serie di impegni che il Governo si assume per attuare la riforma del sistema scolastico, attraverso: “(1) completamento dell’autonomia scolastica introdotta con l’art. 21 della legge 59/97 mediante i regolamenti attuativi ancora occorrenti, (2) definizione di un sistema na- zionale di valutazione, autonomo e indipendente rispetto all’Amministrazio- ne, (3) approvazione in via definitiva del disegno di legge sull’elevamento dell’obbligo scolastico nella prospettiva dell’elevamento della durata dell’ob- bligo a 10 anni e dell’introduzione dell’obbligo formativo a 18, (4) rapida ri- definizione, alla luce anche delle nuove norme sull’obbligo, del disegno di legge sul riordino dei cicli scolastici, (5) impegno per un’efficace e inno- vativa azione per il diritto allo studio dei giovani studenti e degli adulti in condizioni svantaggiate”. In tutto questo contesto è la scuola a fare da dominante: la problematica 90 dell’obbligo formativo a 18, introdotta in questo punto del documento, sembra riservarne alla scuola la soluzione. La centralità della scuola appare anche nel punto in cui il documento parla dell’incremento da dare alla formazione agli apprendisti; prevede, infatti, che “Governo, Regioni ed Enti locali assicureranno la necessaria offerta formativa da parte delle strutture della formazione professionale e della scuola, integrate tra loro” (n. 22). In questo contesto sono ricordate le strutture di FP, ma integrate con la scuola. Sembra che solo la scuola possa dare sicurezza di “serietà culturale” agli interventi di formazione degli apprendisti; perciò la necessaria interazione e collaborazione tra scuola e FP è chiamata integrazione, quasi che ad una parte manchi qualcosa e richieda l’integrazione da parte di un altro. L’immagine di una FP ridotta a puro addestramento, senza una sua dignità culturale, è forse alla radice di tali affermazioni. L’allegato 3 al “Patto”, però, si pone in un’ottica non centrata sulla scuo- la. Descrive concretamente l’obbligo di frequenza alle attività formative. Chiede inoltre grande rapidità d’attuazione dell’obbligo formativo a 18 anni. “Il Governo, al fine di potenziare la crescita culturale e professionale dei giovani, si impegna ad istituire, con una norma da inserire nel collegato alla Legge Finanziaria 1999 recante disposizioni in materia di “investimenti, in- centivi all’occupazione, INAIL, ENPALS e materia previdenziale”, l’obbligo di frequenza ad attività formative fino a 18 anni. Tale obbligo può essere assolto in modo integrato: – nell’ambito del sistema di istruzione scolastica; – nell’ambito del sistema di FP di competenza regionale, all’interno di strut- ture accreditate ai sensi dell’art. 17 della legge 196/97; – nell’ambito dei percorsi di apprendistato, come disciplinato dall’art. 16 della legge 196/97. Le competenze acquisite mediante la partecipazione alle attività forma- tive saranno certificate secondo quanto stabilito all’art. 15 del regolamento attuativo della legge 196/97, e avranno valore di crediti formativi secondo quanto previsto all’art. 16 del medesimo regolamento. Il Governo, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni e le parti sociali, provvederà a definire con gli opportuni provvedimenti normativi, prima del DPEF del ‘99, tempi e modalità dell’attuazione dell’obbligo di frequenza, nonché del suo raccordo con l’obbligo d’istruzione”. L’introduzione dell’obbligo a 18 anni nel Collegato alla finanziaria è avvenuta. Il provvedimento è in discussione al Parlamento per la sua trasforma- zione in legge. Il canale della FP regionale è introdotto, accanto a quello scolastico, per portare i giovani a competenze certificate. Il sistema della FP regionale trova un ambito privilegiato d’intervento nella formazione iniziale. Il canale del- l’apprendistato, vale a dire della formazione in alternanza, è la terza via per giungere a competenze certificate; anche questo canale è di competenza del 91 sistema regionale di formazione, che perciò potrebbe acquisire una sua maggiore dignità, visibilità e importanza. L’obbligo formativo è letto, in primo luogo, come diritto del cittadino ad affrontare il mondo del lavoro con una formazione, che gli permetta un adeguato inserimento e la possibilità di affrontare il periodo lavorativo nel- l’ottica della formazione per tutto l’arco della vita. Sancisce, inoltre, una pluralità di canali formativi, rompendo il concetto tutto italiano che solo la “scuola” possa dare vera cultura; anche nel canale della FP regionale e nell’apprendistato è possibile arricchire i giovani di una cultura valida, anche se diversa da quella fornita dalla scuola, e di pari di- gnità. Se quest’affermazione è vera, queste due strade di formazione dovran- no trovare nelle scelte politiche l’interesse che meritano, accanto e in intera- zione con il sistema scolastico e universitario, che pure meritano tutto l’in- teresse e l’attenzione possibili. La regolamentazione dell’articolo 17 della legge 196/97 L’argomento meriterebbe un esame approfondito, ma ci limitiamo ad alcuni cenni. Il lungo travaglio d’elaborazione sembra giunto a conclusione. Il Consiglio dei Ministri ha approvato il regolamento e il Presidente della Re- pubblica con i Ministri interessati l’ha firmato, ma la Gazzetta Ufficiale non lo ha finora pubblicato, lasciando intravedere alcuni ostacoli. Accreditamento delle strutture, certificazione delle competenze, sistema di formazione continua sono gli assi portanti del sistema di FP, che il rego- lamento dovrebbe avviare a compimento. Per ora dobbiamo accontentarci di affermare che il sistema disegnato dalla legge 845/78 non esiste più e che il nuovo sistema, pur avendo una configurazione ormai leggibile, non ha an- cora completato il quadro nazionale nelle sue grandi linee. Perché l’intero sistema di FP regionale possa avere una configurazione definitiva bisognerebbe poi aspettare l’adeguamento delle legislazioni regio- nali; per questo il tempo si fa più lungo ancora. Elevamento dell’obbligo di istruzione Il 27 gennaio 1999 la Gazzetta Ufficiale ha pubblicato il testo della legge 20 gennaio 1999, n. 9 recante come titolo “Disposizioni urgenti per l’elevamento dell’obbligo di istruzione”. La Legge, voluta dal Ministro della Pubblica Istruzione come urgente, ha avuto un iter molto più lungo di quanto all’inizio si pensasse e ha subito mutamenti di notevole importanza. Lo scontro è avvenuto, come già tante volte nel passato, sul tema del doppio canale, quello scolastico e quello della FP regionale. Il confronto è stato vivace e ha interessato anche le prime pagine dei giornali. Il risultato finale non corrisponde alle idee che “Rassegna CNOS” per tanti anni ha sostenuto. 92 La Camera dei Deputati l’aveva approvata prima della crisi del Governo Prodi, ma apportando modifiche importanti rispetto al testo presentato; l’obbligo d’istruzione passa sì a dieci anni, ma per il momento si ferma a nove, per non intralciare l’approvazione di un riordino generale del sistema scolastico e formativo. In effetti, la proposta di legge sul riordino dei cicli prevedeva il compimento dell’obbligo scolastico all’età di quindici anni: un eventuale innalzamento dell’obbligo d’istruzione a dieci anni avrebbe, nel- l’attuale sistema, comportato detto compimento a sedici anni, creando diffi- coltà nel ristrutturare i cicli nel senso della proposta di legge del Governo. Il nuovo Governo D’Alema, di cui fanno parte Deputati che avevano com- battuto alla Camera tale legge, ha incontrato qualche ulteriore difficoltà a por- tare a compimento l’iter legislativo. Il Senato ha approvato il testo trasmesso dalla Camera, senza accogliere emendamenti e nonostante una certa opposi- zione anche all’interno della maggioranza. Il Senato, però, ha cercato di dare spazio alla FP tramite un ordine del giorno del 13 gennaio 1999 che prevede di “assicurare che, nell’assolvimento dell’obbligo, siano realizzate iniziative sperimentali nei centri di formazione professionale accreditati”. L’ordine del giorno fa apparire chiaramente la difficoltà in cui si è trovato il Ministro nel fare passare la legge così come è formulata. Se si procederà in breve tempo alla discussione della proposta di legge sul riordino dei cicli, con ogni probabilità il problema riemergerà di nuovo. La grave spaccatura tra maggioranza ed opposizione, creata dalla discussione della legge sull’elevamento dell’obbligo, non favorirà un dialogo tra le parti e la ricerca di soluzioni che siano veramente vantaggiose per tutto il sistema formativo italiano. L’applicazione della legge richiede un decreto del Ministro della Pubblica Istruzione, che tenga presente, sulla base dell’ordine del giorno approvato dal Senato, quanto il terzo comma dell’art. 1 recita: “...iniziative di orienta- mento al fine di combattere la dispersione, di garantire il diritto all’istruzione e alla formazione, di consentire agli alunni le scelte più confacenti alla propria personalità e al proprio progetto di vita...”. Per ora, una circolare del Ministro sposta i termini di iscrizione alla scuola media superiore, riportando anche il testo dell’ordine del giorno approvato dal Senato con riferimento all’iscrizione ai CFP. Il sistema burocratico della scuola ha messo in moto tutta la sua capacità di dissuasione nei confronti dei giovani che avevano proceduto, prima dell’approvazione della legge, ad iscriversi ai CFP, perché le scelte già fatte fossero ritenute non valide. Alcuni Assessori regionali e provinciali della FP si sono pure attivati per rendere possibile ai giovani che lo hanno scelto di frequentare la FP, ma i risultati appaiono incerti. L’impegno che l’Italia vuole prendere per assicurare a tutti i giovani una sempre migliore formazione e preparazione culturale non trova, in questa legge, un positivo riscontro. Non ha senso, infatti, che tutti, anche quelli che non lo desiderano, siano obbligati a frequentare un primo anno di un ciclo per sua natura quinquen- 93 nale o almeno triennale, che non offre loro nessuna prospettiva concreta en- tro il termine di un solo anno. Uno dei grandi obiettivi della legge sarebbe quello di diminuire la dispersione scolastica: un simile provvedimento, però, non potrà che aumentarla, come è avvenuto in altre esperienze europee (specie in Inghilterra), quando si è voluto aumentare la durata dell’obbligo di istruzione senza differenziare le vie da percorrere per adempierlo. Pur augurandoci, per il bene dei giovani, che il rischio sia contenuto, non si può che essere insoddisfatti. La politica ha continuato a mettere al centro altri scopi e interessi, invece che il bene concreto dei cittadini. I giovani, che quest’anno avevano scelto di iscriversi ad un CFP con una scelta rispondente alle loro attese di formazione, non riusciranno a com- prendere perché questa non sia più attuabile. Ci auguriamo, a questo punto, che si riesca velocemente a portare avanti una riforma completa del sistema educativo e formativo italiano, dal riordino dei cicli alla parità scolastica, dall’autonomia delle istituzioni scolastiche al riordino della FP regionale, per offrire ai giovani delle genera- zioni future opportunità che li aiutino a crescere e a costruire un’Italia e un’Europa migliore. 94 Nel presentare il rapporto ISFOL 1997, il Presidente Michele Colasanto ha fatto ricorso all’immagine del “cantiere” edile come la più idonea per co- gliere con immediatezza quello che sta succedendo nel sistema educativo scolastico e professionale italiano. In un cantiere, infatti, si cerca di realiz- zare un progetto ideato e studiato nel suo insieme, ma che richiede anche adeguamenti di messa in opera subordinati ai condizionamenti delle situa- zioni concrete di attuazione. Il cantiere delle riforme del sistema educativo scolastico e professionale continua ad essere aperto e la costruzione comin- cia a delinearsi, anche se non è facile percepire come l’opera si presenterà al- la fine dei lavori in corso; tuttavia, alcuni “piloni” della struttura si possono già individuare, ma non si riesce ancora ad intravedere fino in fondo quali saranno le travi di collegamento e, soprattutto, come si configureranno i singoli locali e la relativa agibilità. Rimanendo nell’immagine del cantiere, i piloni della struttura in costru- zione sono rappresentati da alcune leggi recenti. La legge 196/97 (del cosid- detto pacchetto Treu) ha fissato alcuni elementi importanti per la riforma del sistema di FP, ma la regolamentazione del relativo articolo 17, bloccata dalla Corte dei Conti, ha richiesto già una modifica all’interno della stessa legge, rendendo così più vischioso e dilazionato l’avvio operativo della rifor- ma del sistema. Anche il nuovo apprendistato, previsto all’articolo 16 della medesima legge, stenta a raccordarsi operativamente con iniziative sperimentali, attra- verso progetti gestiti nel modo più vario, dando l’impressione che tale aspet- to della FP in alternanza possa rappresentare un percorso parallelo a quelli del sistema di FP regionale, dal momento che solo un ristretto numero di ap- prendisti ha avuto per ora la possibilità di partecipare alla formazione al di fuori dell’azienda e, ciò che è più grave, nessuno ha pensato finora alla for- mazione dei tutor aziendali e all’aggiornamento dei formatori per un’utenza nuova e con caratteristiche ed esigenze peculiari. Sembra migliore l’avvio di sperimentazioni relative ai tirocini, previsti all’articolo 18 della medesima legge, che prevedono anche iniziative di orien- tamento con progetti specifici e individualizzati, promossi per facilitare l’in- contro tra i giovani e il mondo del lavoro. Un secondo “pilone” della costruzione è rappresentato dalla legge 9/99, che eleva l’obbligo di istruzione fino al quindicesimo anno di età, ma da soddisfare all’interno dell’ordinamento attuale del primo anno del quin- quennio della scuola secondaria superiore, la sola ad avere titolarità per la certificazione del prolungamento di un anno di tale obbligo. Ma, anche per questa legge, il previsto urgente decreto ministeriale attuativo ha dovuto imboccare la via procedurale propria dei regolamenti, ritardando 95 1999Editoriale n. 2 nei fatti la programmazione e progettazione di tali innovazioni nelle istitu- zioni scolastiche, con conseguente disagio dei giovani interessati e delle relative famiglie. Ma è soprattutto con l’approvazione dell’articolo 68 della legge 144/99, relativo all’obbligo di frequenza di attività formative fino al diciottesimo anno di età e previsto dal cosiddetto patto del Natale ‘98, che la costruzione nel cantiere delle riforme del sistema educativo si è dotata di un suo “pilone- maestro”, riconoscendo in tal modo anche in Italia l’istituzione del secondo canale della FP accanto a quello dell’istruzione scolastica. Non meno visibili sono le “travi di collegamento” tra un pilone e l’altro: l’autonomia delle istituzioni scolastiche, anche se ancora mortificata dalle vicende burocratiche del relativo regolamento attuativo; la nuova normativa sugli esami di “maturità” e degli organi collegiali; le riforme degli organi cen- trali e periferici del Ministero della pubblica istruzione; la riprogettazione della presenza delle istituzioni scolastiche statali sul territorio; le ipotesi di riassetto dei diversi Ministeri cui fanno riferimento le istituzioni scolastiche e il sistema di FP. I lavori sembrano sospesi, invece, attorno al “pilone” della parità tra scuole statali e scuole non statali, allontanando sempre più l’Italia dal resto dell’Unione Europea; attorno al “pilone” del riordino dei cicli d’istruzione si stanno, soltanto ora, riprendendo i lavori sospesi; analoga ripresa sembra evidenziarsi anche attorno alla riforma dell’Università. Fervono, quindi, i lavori nel cantiere del sistema educativo; ma, come si è evidenziato, è difficile cogliere, al di là dello stato di avanzamento degli interventi attorno alle singole strutture, la linea convergente verso il disegno complessivo che, nel frattempo, sembra manifestare interventi plurimi di varianti al progetto originale. Tuttavia, la difficoltà di una visione d’insieme non impedisce di focaliz- zare l’attenzione attorno a quelle strutture che appaiono sufficientemente definite. Nasce un secondo canale L’undici maggio scorso è stato approvato definitivamente in Senato il co- siddetto “collegato alla finanziaria 1999”, divenuto legge n. 144 il 17 maggio 1999. All’interno di tale corposo “contenitore” è collocato l’articolo 68 che tratta “dell’obbligo di frequenza di attività formative”. Attraverso questo dis- positivo di legge viene sancito, per la prima volta nel nostro Paese, il dirit- to/obbligo per tutti i giovani alla formazione ed istruzione fino al diciottesi- mo anno di età o al conseguimento di un diploma di scuola media superiore o di una qualifica professionale. Rispetto a quanto avvenuto in occasione della soluzione per l’obbligo di istruzione “scolastica” da elevarsi al 15° anno di età nel passato mese di gennaio con grandi discussioni e scontri in Parla- mento e anche sugli organi d’informazione, l’obbligo formativo fino al diciottesimo anno, al contrario, non è stato oggetto di grandi dibattiti ed è 96 stato definito rapidamente, sulla base di quanto contenuto nel patto sociale dello scorso dicembre. Ovviamente, non basta certo una legge per cambiare una cultura, ma è anche vero che una legge può aiutare a far crescere una nuova cultura. Sotto questo aspetto, il vincolo dell’obbligo formativo contenuto nella legge sembra riguardare prioritariamente le istituzioni centrali e regionali della Repubblica nell’assicurare una risposta strutturale alle diversificate esi- genze e necessità formative dei giovani cittadini non tanto per imporre a questi la necessità di passare più anni allo stesso modo sui banchi di scuola, quanto di poter fruire di un diritto a giungere alla maggiore età con un tito- lo di studio o una qualifica riconosciuta, indispensabile per il proprio inseri- mento dinamico nel mondo del lavoro. La diversificazione dei percorsi formativi, in continuità con l’obbligo sco- lastico a 15 anni di età, è esplicitamente contemplata nel primo comma del- l’articolo 68: non soltanto la scuola, ma anche il canale professionalizzante dei percorsi di FP di competenza regionale – comprendente anche l’esercizio dell’apprendistato – è considerato strumento di reale e vera formazione ed educazione. Questo secondo canale, purtroppo per ora piuttosto debole so- prattutto in alcune Regioni, si potrà sviluppare anche attraverso il rinnovato segmento formativo dell’apprendistato, opportunamente arricchito di valen- ze culturali ed educative, attraverso la formazione impartita fuori del luogo di lavoro, come è sancito nell’articolo 16 della legge 196/97. È un’affermazione forte dell’appartenenza di tale istituto alle politiche attive del lavoro perché formativo, e non semplicemente perché favorisce l’inserimento, a minor costo, di mano d’opera giovane, nel mondo del lavoro. Perché la legge abbia risultati positivi e non sia soltanto un’affermazione di principi, pur collocando l’Italia ai maggiori livelli europei ma col rischio di non innescare praticamente effetti qualitativi sulle persone, sono neces- sarie alcune condizioni. – La prima condizione rimanda al ruolo insostituibile delle Regioni nel prendere coscienza della necessità di essere costituzionalmente protago- niste in questo campo. Un segnale positivo in questa direzione viene riscontrato nell’avvio di una sperimentazione nel segmento della FP ini- ziale, affidata dal Coordinamento delle Regioni all’Assessore Lucisano del- la Regione Lazio che, nella premessa al documento di sperimentazione, stigmatizza le insufficienze dell’impegno regionale in tale area. “Il sistema di formazione professionale iniziale è stato, dagli anni 80, sottoposto a una pesante critica ideologica il cui assunto era quello di sopprimere total- mente questa attività, spostando la formazione professionale su altri set- tori. Il risultato delle politiche è stato la riduzione, specie nel Centro Nord, in termini quantitativi dell’intervento formativo realizzato attraverso le agenzie formative. Occorre perciò ricostruire, sempre a parere dell’asses- sore Lucisano, una rete di soggetti formativi, dotati di strutture e di per- sonale per far fronte alla crescente domanda di interventi per quanto ri- guarda l’obbligo formativo. La debolezza delle Regioni, in tale situazione, 97 ha molte spiegazioni, derivanti dalla loro difficoltà di coordinarsi, dalla mancanza di fondi finalizzati, al di là di quelli europei, dalle ricorrenti cri- si del sistema formativo. Inoltre subiscono il tentativo della Pubblica Istruzione di monopolizzare l’intero campo dell’attività formativa, attra- verso il combinato disposto di forme di integrazione e di modalità di indirizzo dei fondi. Solo un rinnovato protagonismo regionale permetterà di attivare un secondo canale di formazione per i giovani”. – Ne consegue una seconda condizione: il segno che si vuole realmente at- tuare il diritto dei giovani alla formazione fino al 18° anno lo si percepirà solo se lo Stato e le Regioni prevedranno nei loro bilanci i mezzi finanzia- ri necessari. Non si costruisce un’opportunità nuova senza impegnare ri- sorse. La scarsità di fondi regionali propri per finanziare questo segmento di formazione determinerà l’inattuabilità della legge. Non si può pensare di finanziare un sistema di FP nell’ambito del diritto alla formazione ser- vendosi dei fondi europei, che per loro natura sostengono azioni singole innovative e rispondono ad esigenze diverse da quelle previste dalla legge 144/99 per l’obbligo formativo. – Sancito il diritto alla formazione fino al 18° anno, ne deriva che in ogni Regione i giovani in tale fascia di età debbono potere trovare la possibili- tà di espletare tale diritto, creando opportunità facilmente fruibili attra- verso un reale coordinamento delle Regioni su tale obiettivo. Se la FP deve rispondere a esigenze territoriali sono, però, necessari punti di riferi- mento comuni e ben visibili, anche a livello nazionale. Ciò vale soprattut- to per quanto concerne la definizione degli standard nazionali rapportati alle legittime esigenze territoriali. – Correlata a tale esigenza è l’individuazione di un quadro di riferimento di qualifiche riconosciute a livello nazionale, sul modello, ad esempio, delle professioni regolamentate in territorio tedesco, ovviando opportunamente ai rischi di un eccesso di irrigidimento. – Per rendere credibile l’impegno nella FP iniziale e obbligatoria, è necessa- rio procedere rapidamente verso l’accreditamento delle strutture deputate a questa funzione sulla base di criteri standard nazionali e regionali og- gettivi e condivisi. L’obbligo formativo non può essere un affare, ma un servizio serio ai giovani e la mondo del lavoro. – Per assicurare continuità e certezza di risposta all’obbligo formativo, ap- pare improponibile l’applicazione meccanicistica del ricorso allo strumen- to degli avvisi pubblici anno dopo anno, come avviene per l’attribuzione degli interventi del FSE. Una prassi di tale natura non permetterebbe a nessun soggetto attuatore (Ente, o Centro, o Agenzia) di dotarsi di risorse umane e strutturali, senza la previsione di un’oggettiva continuità pur sub- ordinata al permanere dei requisiti di accreditamento iniziale. Questo non significa che la formazione nella fascia fino ai 18 anni non debba essere progettuale e aperta ai continui cambiamenti che il mercato del lavoro e le caratteristiche territoriali richiedono. – In rapporto alla gradualità di attuazione dell’obbligo formativo, a comin- ciare dall’anno 1999-2000 indicato nello stesso articolo di legge, appaiono 98 opportune e da socializzare iniziative di sperimentazioni di percorsi formativi nel segmento della FP iniziale, come nel caso della regione Lazio e delle Regioni del centro, evidenziando che tali percorsi sperimentali si caratterizzano per una nuova specificità, rispetto a quelli tradizionali di prima formazione, per il fatto che si debbono prevedere oggettive op- portunità di interazione con il sistema scolastico, attraverso l’acquisizione di crediti formativi da certificare nell’articolazione pluriennale dei relativi cicli temporali. – Nel contesto di interazione tra sistema scolastico e sistema di FP iniziale, sempre con riferimento all’obbligo formativo, si potrebbe avviare anche un auspicabile orientamento per creare criteri omogenei che permettano di assicurare un sistema di crediti formativi. – Un’ultima condizione riguarda la collocazione di pari dignità del sistema di FP nell’ambito del sistema educativo e i relativi rapporti con il sistema scolastico, con speciale riferimento alle istituzioni scolastiche statali: sarebbe inaccettabile perseguire obiettivi egemonici nell’area degli inter- venti educativi e formativi. La scuola può collaborare a far nascere, attra- verso le proprie strutture, un buon sistema di FP anche nell’ambito dell’obbligo formativo, ma condividendo con tutti gli altri soggetti le stesse regole, specie in ordine ai requisiti di accreditamento, se si perse- guono obiettivi comuni. L’apprendistato all’interno del secondo canale La legge 144/99 prevede, come già accennato sopra, che l’obbligo forma- tivo fino al diciottesimo anno possa essere assolto anche tramite l’esercizio dell’apprendistato. Il contratto di lavoro diventa perciò l’unico possibile fino al diciottesimo anno di età. L’istituto dell’apprendistato è già stato rinnovato dalla legge 196/97. Poi- ché la fascia di età che interessa l’apprendistato è ben più ampia di quella che riguarda l’obbligo formativo, sembrano pertinenti alcune considerazioni particolari relative a tale fascia di giovani. – Il contratto di apprendistato può facilitare l’ingresso dei giovani nel mon- do del lavoro, prevedendo sgravi contributivi per le imprese, che assumo- no giovani sprovvisti di una formazione mirata per un loro inserimento dinamico e qualificato nel mondo del lavoro. Ciò motiva l’istituzione di un contratto che deve assicurare una valenza formativa per giovani in mino- re età e offrire un percorso “progettato” di formazione di tali giovani. – Ma un’impresa può essere un’istituzione formativa? La risposta è positiva, se si superano concetti limitati e libreschi relativi alla formazione. Molte competenze e conoscenze si acquisiscono nella realizzazione pratica di un’attività; si impara facendo. Coerentemente, infatti, il nuovo contratto di apprendistato prevede la presenza di un tutor di impresa, che si prende perciò cura di insegnare a fare, ma anche di far scoprire il perché si fa in 99 un certo modo, si assumono determinati comportamenti, ecc. Per un’im- presa ogni contratto di apprendistato dovrebbe essere percepito non solo come opportunità di introdurre al lavoro dei giovani ma come investi- mento nelle risorse umane dell’azienda e dello stesso sistema nazione, se si vuole garantire uno sviluppo futuro. Tale obiettivo è raggiungibile se pres- so l’impresa si elabora un percorso formativo da sviluppare e da portare avanti attraverso la funzione strategica del proprio tutor. Pensare, per esempio, di avvicinarsi ai modelli di apprendistato dei Paesi di tradizione tedesca senza concepire l’apprendistato in impresa come formazione strut- turata, cioè con propri obbiettivi e strumenti idonei al loro conseguimento, genera soltanto illusioni e frustrazioni. Se si vuole continuare il raffronto, bisogna precisare subito che il sistema duale tedesco fissa “rigidi pro- grammi di formazione”, che tutte le aziende devono attuare quando assu- mono soggetti con contratto di apprendistato. Si potrebbe osservare come tale modello “rigido” non risulti il più adatto alla nostra situazione italia- na, ma l’osservazione non può contrastare con l’esigenza di disporre di un reale progetto unitario di formazione in azienda, quando a tale azienda si affida, per legge, la responsabilità di assicurare a tali contrattisti il dirit- to/dovere inerente all’obbligo formativo fino al diciottesimo anno di età. Un’offerta formativa improvvisata e strumentale risulterebbe certamente “moneta falsa” per tali giovani, non spendibile nel loro futuro. – In questo contesto, la formazione “complementare” fuori dall’impresa di- venta un’opportunità offerta all’impresa stessa per aiutarla nel suo proget- to di sviluppo complessivo e formativo. Diversamente, impresa e lavorato- re in apprendistato vedranno nella formazione una costrizione; l’impren- ditore la considererà una perdita di tempo di lavoro e l’apprendista la va- luterà come un ritorno a quel mondo scolastico che pensava di aver defi- nitivamente lasciato perché non rispondente alle proprie aspettative. – La seconda gamba del sistema educativo italiano, quella che valorizza l’esperienza del lavoro tra i 15 e i 18 anni nel contratto di apprendistato o nei laboratori dei CFP, è stata una conquista del patto sociale e della legge 144/99; potrà diventare una grande opportunità di crescita per il sistema Italia e un’efficace risposta alle esigenze di molti giovani nella misura con cui verrà portato avanti tale impegno innovativo, in modo particolare dalle Regioni, cui è affidato istituzionalmente il sistema della FP. – Infine, sembra utile precisare che le Regioni sono chiamate a potenziare il segmento della formazione in apprendistato, non come alternativa ad un qualificato e rinnovato sistema di FP iniziale, ma favorendo la collabo- razione tra Centri e Agenzie formative accreditate e le imprese interessate ad offrire posti di apprendistato. Il riordino dei cicli di istruzione Di questo argomento “Rassegna CNOS” si è già interessata in modo particolare nelle vicende che hanno accompagnato la discussione del docu- 100 mento Berlinguer. Le novità introdotte nel relativo disegno di legge, in discussione presso la competente commissione della Camera, sono focalizzate soprattutto sulla diversa strutturazione del ciclo primario e secondario. Ovviamente, alcune posizioni problematiche sono derivate dalla soluzione data dalla legge 9/99 sull’innalzamento dell’obbligo scolastico e sulla istitu- zionalizzazione dell’obbligo formativo fino ai diciotto anni di età contenuto nell’articolo 68 della 144/99, che sembra aver superato in positivo alcune questioni. Come avviene in tutte le leggi “quadro”, anche il riordino dei cicli suppo- ne altri tasselli che portino la scuola in Italia a migliorare la sua qualità, ma è importante che la cornice dentro la quale si realizzeranno i contenuti non sia tale da impedirne un armonico sviluppo. La proposta lascia prevedere un obbligo di istruzione all’interno del sistema della scuola fino al primo biennio del ciclo secondario (15 anni); in tale biennio e soprattutto nell’ultimo anno sono previsti moduli di integra- zione con la FP per orientare i giovani nelle loro scelte e indirizzare verso il sistema regionale di FP coloro che lo scelgono. La sperimentazione di tali moduli è già possibile anche nell’attuale primo anno obbligatorio della scuo- la secondaria superiore. La forte impronta orientativa del biennio del ciclo secondario, prima di una scelta più specifica e determinata nel triennio, dà all’ultimo anno dell’obbligo nelle strutture scolastiche una caratteristica di terminalità di un percorso orientativo, con la possibilità di operare una scel- ta definitiva o di uno specifico percorso scolastico o dei percorsi di FP nel pe- riodo successivo, quello interessato all’obbligo formativo. Si può discutere se sia opportuno un orientamento di tipo professionale attraverso moduli spe- cifici fin dal primo anno del biennio o solo nel secondo: la risposta è dibat- tuta anche nell’area dei pedagogisti e degli psicologi, che analizzano le di- verse situazioni reali di ragazzi/e dai 13 ai 15 anni; educare anche attraverso il lavoro in tale età può essere un aiuto, ma certamente gli interventi di inte- grazione che sono realizzabili non possono configurarsi come uno specifico cammino di FP mirato al rilascio di una qualifica riconosciuta, caratteristi- ca propria dell’identità del segmento della FP iniziale. Tali iniziative potreb- bero portare al rischio di un ritorno verso quelle esperienze pratiche, previ- ste nelle “applicazioni tecniche” nell’istituzione della scuola media unica e finite, con le varie riforme dei programmi, nelle pratiche scolasticistiche del- la “educazione tecnologica”. L’auspicio è che la legge in oggetto preveda, nell’ambito del sistema edu- cativo, la dimensione della FP non ridotta a puro strumento delle politiche attive del lavoro, anche se questo rimane importante, ma componente di un sistema educativo globale e con l’obiettivo di assicurare un inserimento di- namico e qualificato nella vita e nel mondo del lavoro. 101 L’obbligo scolastico Il tempo delle polemiche è passato, ora si tratta di realizzare nel primo anno dell’ordinamento attuale della scuola secondaria superiore gli obiettivi di assolvimento dell’obbligo fino ai 15 anni. Della legge 9/99 abbiamo già detto i gravi limiti; del decreto “o regola- mento” attuativo, che a metà del mese di giugno è all’esame delle Commis- sioni parlamentari, se ne auspica la rapida e definitiva approvazione a superamento delle generalizzate forme di incertezza comportamentale ed operativa. Nell’articolo 7 del testo del decreto in esame si prevede la possibilità di sperimentazione di assolvimento dell’obbligo d’istruzione in progetti di percorsi formativi svolti nei CFP, in convenzione con le istitu- zioni scolastiche della secondaria superiore; ma il trascorrere del tempo sembra rendere sempre più difficile tale sperimentazione. Al di là delle vicende di tale decreto/regolamento, rimane lo sforzo fatto nell’elaborazione dello strumento perché, in prima attuazione della legge 9/99, si possa rispondere in maniera opportuna alle esigenze dei giovani iscritti nei CFP. 102 La ricostruzione del sistema educativo italiano sta procedendo, anche se in questi ultimi tre mesi non si sono fatti passi conclusivi, verso la definizione complessiva del disegno di riforma. Dopo la legge sull’innalzamento dell’obbligo di istruzione, è stato pubblicato il regolamento attuativo del primo articolo della medesima. L’obbligo formativo fino ai 18 anni è legge (L. 144/99, art. 68), ma la sua piena attuazione è subordinata ancora all’emanazione del relativo Regola- mento. In Parlamento, il Senato ha approvato il DDL sulla parità e la Camera il DDL sul riordino dei cicli: ora i due DDL sono stati trasmessi all’altro ramo del Parlamento per l’approvazione definitiva, che però non sembra imminente. L’autonomia scolastica è in fase di sperimentazione, nell’attesa di diveni- re realtà consolidata con la regolamentazione dell’art. 21 della Bassanini. Il decentramento alle Regioni della politica scolastica relativa all’orga- nizzazione dell’offerta di istruzione e di formazione sul territorio procede, ma contemporaneamente il MPI monopolizza in proprio l’organizzazione dei “Centri per la formazione degli adulti”, senza tenere minimamente con- to delle prerogative regionali in materia di FP, anche continua. Il Regolamento attuativo dell’articolo 17 della legge 196, destinato a creare un nuovo quadro istituzionale per il sistema di FP, in sostituzione di quello previsto nella relativa legge-quadro 845/78, è rimasto fermo per mesi nella attesa di registrazione alla Corte dei Conti, per finire poi con la relati- va trasmissione da parte del medesimo Organo alla Corte Costituzionale, perché ritenuto in contrasto con il dettato della Costituzione. Nessun so- spetto o contrasto, invece, vengono sollevati nei confronti della prevista Agenzia chiamata a sostituire il ruolo e le funzioni dell’attuale UCFOPL per il sistema di FP, Agenzia che, messa sotto l’egida del MPI, avrà anche il compito di accreditare da Roma le strutture operanti nell’area della FP, la- sciando intravedere che le strutture operative del sistema scolastico, perché “statali”, saranno tutte automaticamente accreditate. Un susseguirsi, quindi, di provvedimenti non sempre coerenti tra loro, che lasciano perplessi e rendono difficile la composizione di un quadro com- plessivo i cui tratti salienti non risultano né armonici né ancora totalmente definiti. La partita in gioco è grande e di forte spessore anche culturale: il nuovo sistema educativo, che sta nascendo, lascerà spazio ancora alla FP regionale affidata a strutture pubbliche regionali, a strutture del privato sociale e ad al- tre strutture purché accreditate dalla Regioni? Oppure sarà attribuito alla sola scuola il compito, oltre che di istruire, anche di formare profes- 103 1999Editoriale n. 3 sionalmente i giovani sia nella formazione iniziale sia in quella superiore, avendo come unico partner in tutto il processo solamente l’impresa? Ma se così fosse, sarà essenzialmente la sola scuola “statale” a fare tutto ciò, perché la legge sulla parità, così come si sta configurando, riconoscerà sì la sopravvi- venza di scuole pubbliche “non statali”, ma queste saranno condannate nel giro di pochi anni alla morte per mancanza delle relative risorse finanziarie. In tale prospettiva, agli Enti storici di FP potrebbero, forse, essere riservati gli interventi formativi per le fasce più deboli, gli handicappati, i socialmente esclusi e, al massimo, il compito di recuperare i drop-out dal sistema formativo. L’Associazione “FORMA” Di fronte a queste sfide di portata strategica per il futuro del nostro Paese, sette Enti o Federazioni operanti nel campo della FP e che ispirano la loro azione alla dottrina sociale della Chiesa, hanno recentemente deciso di confluire nell’Associazione nazionale FORMA. L’Associazione persegue l’intento di unire le forze, che si riconoscono in un’unica ispirazione di fondo, per mettere al servizio delle nuove generazioni italiane l’esperienza maturata in lunghi anni di studio, di ricerca, di sperimentazione e di inter- venti operativi nel sistema di FP. Tale scelta associativa dovrebbe, tra l’altro, porre un argine al tentativo in atto di deleggitimare gli attori che, pur tra tante difficoltà, hanno operato da pionieri per molti anni nell’area della FP. Pur riconoscendo i relativi limi- ti e insufficienze della propria azione, soprattutto in alcune parti del Paese, questi Enti di ispirazione cristiana hanno acquisito un patrimonio di capa- cità di progettazione, di innovazione e di realizzazione, che costituisce un capitale di risorse umane da valorizzare al meglio e che non può essere disperso. A conferma basterebbe rilevare che nelle Regioni dove il sistema formativo è maggiormente assente, come la Campania, proprio in queste si sono operate scelte politiche che hanno distrutto il sistema degli Enti del privato sociale pubblicizzandone il personale. Ma al di là di un’azione difensiva, la nuova Associazione vuole rispondere soprattutto al bisogno di dare peso e rappresentanza formativa e politica di qualità nei confronti dell’innovazione del sistema formativo italiano, che si va delineando come un sistema integrato, in cui interagiscono, conservando le proprie peculiarità e valori, il sistema scolastico, il sistema universitario, il sistema della FP regionale e quello dell’impresa. In questa integrazione, il sistema regionale della FP appare immediatamente l’anello più debole dal punto di vista istituzionale: solo la capacità di coordinamento e di sinergia tra le Regioni e gli Enti di FP può assicurare una nuova immagine e una nuova forza del sistema complessivo. L’Associazione FORMA è un passo verso questo tipo di messa in comune di capacità e di esperienze per far crescere e migliorare il sistema della FP nel suo complesso e renderlo idoneo ad inte- ragire con gli altri sistemi, per l’avvio di un sistema integrato nazionale di istruzione e formazione, in cui le capacità e le peculiarità di ognuno siano al 104 servizio della crescita delle giovani generazioni, nella prospettiva della realiz- zazione della istruzione e formazione per tutto l’arco della vita. Ovviamente, FORMA avrà un ruolo strategico significativo se anche nel- le singole Regioni gli Enti operanti, e che si riconoscono nella stessa ispira- zione ideale, sapranno dar vita ad analoghe associazioni regionali, al fine di realizzare a livelli decentrati quanto l’Associazione Nazionale si propone. “Rassegna CNOS” esprime il proprio augurio all’Associazione FORMA, perché sappia realizzare quanto si propone e assicuri, in Italia e in Europa, un miglior servizio ai giovani e ai lavoratori. L’Assemblea Nazionale sulla scuola cattolica Dal 27 al 30 ottobre 1999 a Roma, presso l’Hotel Ergife, si terrà l’Assemblea Nazionale sulla scuola cattolica, dal tema “Per un progetto di scuola alle so- glie del XXI secolo”. Non si tratta di un’Assemblea della Scuola Cattolica, ma “sulla” scuola Cattolica: non è tanto o soltanto una riflessione che la scuola cattolica fa su se stessa, ma una presa di coscienza che tutta la Chiesa italia- na vuole acquisire sul significato che la scuola cattolica ha alle soglie del 2000. La scuola cattolica, infatti, non intende parlare solo a se stessa o di se stessa, ma vuole offrire il proprio contributo specifico a tutta la scuola italiana e presentarsi come una realtà viva e capace di svolgere un autentico servizio educativo a tutto il Paese. Il crescente interesse della Chiesa italiana al tema della istruzione e formazione è altamente significativo in un momento in cui si chiede a tutta la società di contribuire con i propri valori al cambiamento dello stato sociale. La scuola e la FP sono elementi fondamentali di uno stato sociale, che vuole assicurare ai propri cittadini possibilità vere di inserimento dina- mico nel modo in cui vivono. Ma, mentre nella sanità, nelle pensioni e nel servizio alle fasce più deboli della società lo Stato si apre sia al mercato sia al sociale privato, nell’area dei servizi scolastici il paradigma della scuola “statale”, come unica agenzia for- mativa, rimane sempre molto forte, anzi sembrerebbe camminare in senso inverso. Basta constatare come non pochi, anche all’interno dell’ambito ecclesiale, non sappiano distinguere, senza separare, la “scuola pubblica” e la “scuola statale”: per anni, certo, l’unico problema che sembrava interessare la Chiesa italiana era la difesa dell’ora di religione nella scuole statali. Oggi, l’ampliarsi dell’orizzonte non può che fare piacere anche alle istituzioni edu- cative che curano la FP partendo dalle proprie radici cristiane. La sperimentazione dell’obbligo di istruzione nella FP Si è avviato il nuovo anno scolastico, in cui si attua l’innalzamento dell’obbligo scolastico fino al 15° anno. La regolamentazione dell’art. 1 della relativa legge 9/99 è stato pubblicato ad anno scolastico praticamente avvia- 105 to ovunque. I numerosi giovani quattordicenni, che in fase di preiscrizioni avevano scelto il canale della FP, si sono dovuti iscrivere obbligatoriamente ad una scuola media superiore. In alcuni contesti, tramite convenzioni tra Provveditorati agli Studi, Regioni e/o Province, scuole e CFP, ai giovani che avevano scelto la FP è stato proposto di rimanere nei Centri, inserendo però nella progettazione del percorso formativo moduli culturali predisposti per lo più dal sistema scolastico e moduli “tecnico operativi” di competenza del Centro. Sarà interessante rilevare, al termine dell’anno di tale anno, se vi è stata una reale integrazione nel percorso formativo dei giovani o se vi sono stati due interventi paralleli e non comunicanti quanto ad approccio peda- gogico e didattico. La permanenza nei Centri ha certamente il vantaggio di permettere ai giovani di stare fisicamente nel luogo da loro prescelto e di avere una sede di formazione unica e definita. In altri contesti, che sono forse i più numerosi, saranno attuabili solo moduli formativi più o meno consistenti nella prospettiva dell’orientamento. La sperimentazione di tali moduli ha un’importanza notevole, in quanto tale tipo di attività modulare orientativa è prevista, anche se in un contesto organizzativo diverso, nel disegno di legge sul riordino dei cicli. Se la frequenza di tali moduli riuscirà a rendere la scelta degli allievi al termine dell’anno più cosciente e serena, essi avranno raggiunto già un buon risultato. Vi è, infatti, il pericolo che al termine del primo anno di scuola media superiore abbiano assolto l’obbligo scolastico, ma si sentano semplicemente degli espulsi dal sistema di istru- zione dopo aver perso un anno inutilmente, con nessun interesse a ripercor- rere qualsiasi cammino strutturato di formazione, anche di tipo professio- nale. Questo risultato sarebbe proprio il contrario di quanto l’innalzamento dell’obbligo di istruzione si era posto come obbiettivo. Invece di innalzare l’obbligo per legge, cosa relativamente facile, la sfida da vincere è, e resta, quella di rendere più appetibile a tutte le fasce di gio- vani la scuola, con percorsi che rispondano alle loro reali esigenze, che sono certamente diversificate. La scuola media superiore italiana, pur con tutte le modifiche che sono state introdotte, resta una scuola uguale per tutti nei metodi di approccio al sapere (scuola del libro e del manuale) e selettiva (in questo è rimasta, nell’impianto, la scuola gentiliana, tenendo presente che per Gentile tale è solo il Liceo, mentre, per dare a tutti le stesse opportunità, si sono progressivamente “licealizzati” nell’approccio metodologico anche gli Istituti tecnici e quelli professionali nonché, in alcuni aspetti, anche la scuo- la media; persino l’educazione fisica è diventata un “libro”!). Forse è tempo di pensare che ognuno deve poter usufruire di un cammino di formazione appropriato, capace di far crescere le proprie capacità e opportunità, senza sentirsi obbligato in un letto di Procuste che, invece di esaltare le potenziali- tà, obbliga ad adattarsi a un unico tipo di percorso prefabbricato. La scuola italiana oggi, così com’è, può essere considerata la migliore del modo per i molto dotati sotto il profilo dell’intelligenza speculativa o provenienti da fasce sociali culturalmente forti; ma per tutti coloro che arrivano stentata- mente al “sufficiente” al termine della scuola media e poi intraprendono percorsi scolastici “licealizzati e selettivi” si deve poter pensare a cambiare 106 l’approccio metodologico e didattico, se non si vuole spendere grandi capitali per giungere a risultati modesti. Da questo punto di vista quanto stabilito nel Regolamento dell’obbligo scolastico può essere considerato un vero passo in avanti nella logica della modularità e dell’orientamento, anche se può sem- brare dettato dal fatto che in una scuola, così come è e rimane, vengono a forza immessi giovani che debbono entrarci solo perché precettati per legge. La sperimentazione dell’obbligo formativo nella FP L’articolo 68 della legge 144/99 ha introdotto l’obbligo formativo fino ai 18 anni. La pluralità di percorsi per giungere con reali competenze all’inseri- mento nel mondo del lavoro è un fatto di grande rilevanza. L’obbligo più che i giovani deve investire chi ha il dovere di predisporre le condizioni e gli stru- menti perché tale obbligo venga adempiuto. Nell’attesa di un regolamento at- tuativo di tale obbligo, la difficoltà maggiore non riguarda le scuole, che per i giovani fino al 18° anno sono dotate di strutture e di percorsi formativi con- solidati, ma la FP regionale e l’apprendistato. L’iniziativa politica delle Re- gioni in questo campo è indispensabile per presentare progetti e reperire fon- di perché la possibilità di un secondo canale formativo professionalizzante e regionale divenga realtà. Con notevole rapidità di risposta alle esigenze, mol- te Regioni stanno iniziando la sperimentazione di tale percorso formativo: al termine del luglio scorso, la Tecnostruttura delle Regioni per il FSE ha so- cializzato il documento Lucisano con le linee di un progetto di FP sul quale iniziare la sperimentazione per il primo anno. Solo se vi sarà una volontà co- mune delle Regioni per avviare la creazione del secondo canale, questo potrà decollare e vincere una grande sfida culturale a servizio dei giovani e del Pae- se. Si tratta non soltanto di progettare e programmare, ma di monitorare la sperimentazione, di accreditare le strutture in grado di realizzarla, di certifi- care crediti e esiti formativi, in modo serio e riconoscibile anche a livello na- zionale, sia nei confronti del sistema scolastico che delle imprese. Non si può non congratularsi con l’Assessore Piero Lucisano della Regione Lazio, che, fin dal momento dell’approvazione della legge 144/99, si è attivato per progetta- re e coordinare tale sperimentazione, a nome delle altre Regioni. La sfida del- la creazione di un canale regionale di formazione iniziale è la premessa per- ché in Italia si affermi istituzionalmente il sottosistema della FP al fine di scongiurare il rischio che questo non venga ridotto ad una pura sommatoria di azioni, per la maggior parte programmate e finanziate dal FSE. Queste azioni hanno senso se creano innovazione e ricadute in un sistema, ma non approdano a risultati realmente duraturi se tale sistema non esiste. Riordino dei cicli di istruzione Il DDL sul riordino dei cicli di istruzione ha fatto un passo avanti. “Rassegna CNOS” ha partecipato in questi anni al dibattito su tale tema e 107 continua ad apportare spunti di riflessione sull’argomento. Dal punto di vista della FP regionale, l’indicazione principale che potremmo dare, all’interno dell’articolazione dei due cicli ipotizzati nello schema 7+5 (approvato dalla Camera dei deputati e del quale non vogliamo ora valutare le relative impli- canze), è assicurare, fin dal primo biennio del ciclo secondario, un indirizzo scolastico che, accanto agli altri previsti, abbia come sbocco preferenziale la scelta dei percorsi di FP iniziale successivi all’obbligo di istruzione. Tale soluzione, se introdotta, può realmente superare il rischio di scelte di ultima spiaggia nei percorsi di FP per quanti hanno incontrato difficoltà nei previsti indirizzi scolastici del biennio “orientativo” dai 13 ai 15 anni. Ciò che risulta urgente, ovviamente, è di giungere al più presto alla conclusione di questo travagliato cammino di riforma, perché il dilazionare ulteriormen- te tale riforma è sicuramente la scelta peggiore che si può fare in questo momento. La regolamentazione dell’articolo 17 della L. 196/97 Dopo essere stata ferma per molti mesi alla Corte dei Conti, questa, in- vece della registrazione, ha trasmesso il Regolamento dell’art. 17 alla Corte Costituzionale, rilevandone, a suo avviso, elementi di incostituzionalità. Non si capisce perché, se vi erano elementi di tale tipo, si sia proceduto dopo mesi a compiere tale atto. Il risultato immediato di questa decisione è di lasciare il sistema di FP senza una propria legge quadro nazionale. L’inva- sione di un campo, che è di competenza costituzionale delle Regioni, da par- te degli apparati centrali dello Stato è certo nella attuale realtà un dato di fatto sempre più riscontrabile; ciò che risulta oscuro è perché tali riserve valgano solo in certi casi e non invece, per esempio, per quanto riguarda i fondi per la Formazione Tecnico Professionale Superiore, che è pur sempre FP di competenza regionale, ma vengono impunemente attribuiti, per legge, al Ministero della Pubblica Istruzione, senza che nessun dubbio nasca circa la costituzionalità di tale monopolizzazione di fatto. Ciò potrebbe essere valutato come un ulteriore elemento che concorre a realizzare un deliberato disegno che ha come obiettivo finale di porre tutta l’ampia fascia della formazione in Italia, dalla materna, al diploma e al dopo diploma, sotto l’egida esclusiva del solo sistema scolastico; mentre alle Re- gioni verrebbe riservata la possibilità di programmare la presenza di tali strutture sul territorio, ridotte a un “ministero senza portafoglio”, con possi- bilità di mettere qualche bastone tra le ruote, ma senza alcuna competenza istituzionale. Ciò potrebbe essere confermato facendo riferimento anche al- la gestione di una notevole quantità di capitali derivanti dal FSE, destinati certamente alla FP (e perciò costituzionalmente di spettanza regionale) ma che invece vengono gestiti direttamente dal MPI. Lo scontro tra un apparato centrale burocratico, strutturalmente dotato di capacità amministrative e di mezzi strumentali, come è l’attuale Ministero della Pubblica Istruzione, ha come facile risultato la prevalenza del più forte sull’armata disarticolata del- 108 le Regioni, nelle quali non sempre vi sono presenti professionalità tali da contrastare la tendenza in atto. L’auspicio è che interventi puntuali a superamento delle difficoltà incon- trate vengano al più presto emanati, per rendere meno precaria la vita e la professionalità degli operatori pubblici e privati che operano nel sistema di FP regionale. La risorsa umana nel campo della FP Uno dei problemi maggiori che investono il sistema della FP regionale riguarda le risorse umane a disposizione. Infatti, gli operatori di FP nel con- fronto con gli operatori della scuola possono presentare, in alcuni contesti, una preparazione culturale di base meno adeguata rispetto ai nuovi obietti- vi che vengono indicati per i percorsi dell’obbligo scolastico e dell’obbligo di formazione. Ciò può riguardare soprattutto alcuni degli operatori tecnico- pratici, chiamati a svolgere il loro compito formativo perché dotati di una riscontrata professionalità tecnica, acquisita sovente sul campo del lavoro. Il mutare delle realtà tecnologiche e del modo di lavorare odierno può aver reso obsolete le loro competenze, per cui si rende necessario un delicato intervento di “manutenzione” delle professionalità dei formatori, soprattutto di quelli la cui professionalità di base permette un intervento efficace. Del resto la formazione dei formatori è sempre stato un tema forte e impor- tante per i formatori del sistema di FP e, a tutti i livelli, essi hanno avuto a disposizione tempi e opportunità di formazione e di aggiornamento specifi- co. Basterebbe ricordare che i CCNL di lavoro della categoria hanno da anni previsto nell’orario lavorativo tempi di formazione individuale o collettiva, stabilendo l’obbligo per il personale degli Enti di aggiornarsi, di riqualificarsi ed essere disponibili a partecipare ad iniziative formative in vista della riconversione professionale (CCNL 1994-97, art. 35). A livello nazionale, anche a seguito dei risultati di un’apposita ricerca del- l’ISFOL su un quadro di standard per i formatori, sta per prendere avvio an- che un progetto di formazione a distanza degli operatori della FP pubblica o gestita dagli Enti convenzionati, che fanno riferimento alla legge 40/87. Tale progetto potrà coinvolgere un numero notevole di operatori, soprattutto in vista delle trasformazioni necessarie dei Centri, con l’introduzione di figure strategiche, che studi e ricerche di questi anni segnalano come indi- spensabili per la trasformazione dei CFP in senso polifunzionale o agenzia- le. Il progetto, denominato FADol (formazione a distanza on line), è trienna- le nel suo impianto, ma potrà erogare formazione per almeno due anni prolungabili per altri due. La gestione del progetto, per quanto riguarda la realizzazione dei software didattici e l’erogazione del servizio formativo, è stata affidata, tramite bando di gara, a un raggruppamento temporaneo d’impresa costituito dai maggiori Enti Nazionali (ENAIP, IAL/CISL, ENFAP/ UIL, SMILE, CNOS-FAP, CIOFS/FP) e da FINSIEL per la realizzazione tec- nologica dei software multimediali. 109 La parte più importante di qualsiasi rinnovamento sta nella valoriz- zazione delle risorse umane. L’ambizione del progetto FADol e degli Enti che vi hanno messo mano è di dare un forte impulso alla modernizzazione delle risorse umane impegnate nella FP, perché si abbia un servizio sempre più moderno, efficiente, a favore dei giovani, dei lavoratori, delle imprese e di tutto il sistema Italia. 110 2000 Le incertezze attuali Due anni fa il Presidente dell’ISFOL, prof. Colasanto, aveva iniziato la pre- sentazione del “Rapporto annuale” paragonando i cambiamenti istituzionali che stavano nascendo nel sistema educativo italiano ad un cantiere di costru- zione, simile a quello che a Berlino sanciva la nascita di una nuova unità in una piazza, che era al punto di confluenza tra le due vecchie parti separate della città. Il cantiere berlinese ha terminato i suoi lavori, mentre quello che dovrebbe costruire un nuovo sistema educativo “integrato” in Italia è ancora aperto e i lavori lasciano solo intravedere le strutture portanti della costruzione. Mentre le discussioni sulla riforma del sistema scolastico erano vivaci, il sistema della FP pareva aver trovato con prontezza, attraverso la legge 196/97, una nuova strutturazione. La FP rinnovata, la valorizzazione forma- tiva dell’apprendistato e l’introduzione e diffusione dei tirocini formativi aprivano una strada ricca di opportunità. Contemporaneamente, i radicali cambiamenti introdotti nelle strutture preposte alle politiche del lavoro attraverso il loro decentramento, conferen- do un ruolo istituzionale primario alle Regioni e alle Province, aprivano spazi nuovi per una migliore programmazione dell’offerta formativa radicata nel territorio e punto qualificante delle politiche attive del lavoro. Recentemente, l’articolo 68 della legge 144/99 ha sancito l’istituzione del- l’obbligo formativo per tutti i giovani fino al compimento del diciottesimo anno di età, al fine di assicurare a quanti vogliono entrare nel mercato del lavoro il superamento di situazioni di precarietà attraverso l’acquisizione di un titolo di studio adeguato o una qualifica professionale riconosciuta. Tutto quest’apparato legislativo, però, attende una sua concreta realiz- zazione. L’articolo 17 della legge 196/97, che riguarda la riforma della FP, richie- deva un regolamento attuativo: sono passati ormai più di due anni, ma non vi sono segnali certi di una rapida soluzione del problema posto dalla Corte Costituzionale circa la legittimità del relativo impianto legislativo. La rica- duta negativa di tale situazione di stallo penalizza direttamente il sistema di FP che, non avendo più a supporto istituzionale la legge-quadro 845/78, ormai superata nei fatti, si trova senza riferimenti nazionali per una reale prospettiva di sistema. In particolare, gli Enti di FP si trovano senza gli strumenti concreti previsti dalla 169/97 per il loro rinnovamento. Il rinnovo del CCNL degli ope- ratori della FP convenzionata, scaduto da anni, non viene avviato, perché manca un quadro di riferimento istituzionale che dia qualche certezza ad Enti ed operatori. 113 2000Editoriale n. 1 In mancanza di leggi e normative quadro a livello nazionale, l’operato delle Regioni presenta una polverizzazione dei relativi sistemi di FP, dovuti più ad approcci diversificati al problema formativo che alle esigenze specifi- che del contesto territoriale. La creazione di un’Agenzia nazionale per l’istruzione e FP, in fase di at- tuazione, evidenzia il rischio di una prospettiva di protagonismo del sistema scolastico, più che la creazione di un sistema integrato di sottosistemi di pa- ri dignità. Un segnale di tale prospettiva lo si può riscontrare, anche legisla- tivamente, nelle modalità adottate per l’istituzione della FIS e, in particolare, dell’IFTS nonché nell’attivazione dei Centri per la cultura e la formazione degli adulti, confermando scelte di protagonismo della scuola anche nell’area della FP, a cui si ricorre per una funzione di integrazione puramente strumentale al sistema scolastico. Queste situazioni di incertezza sul futuro della FP sono chiaramente percepite ormai da molti. Nell’editoriale “Corriere Lavoro” in Corriere della Sera del 21 gennaio 2000 dal titolo “Virtù, splendori mediatici e «morte» del- la formazione professionale”, Walter Passerini affermava che “la formazione professionale continuerà a riempire le pagine dei giornali, ad occupare spa- zi video, ad interessare convegni e discussioni, ma nel frattempo le riforme legislative iniziate con la 196/97 non trovano attuazione e lasciano l’intero sistema senza regole e senza prospettive”. Non possiamo dissentire da tale percezione di prospettiva sul futuro del sistema di FP italiano. Tale sistema, nato nell’immediato dopoguerra per iniziativa del Ministero del Lavoro e della P.S. per rispondere in modo concreto ai bisogni dei giovani e adulti che cercavano lavoro in anni diffici- li, divenuto nel ‘72 di competenza regionale, regolato nel ‘78 dalla legge qua- dro nazionale 845 sulla base del pluralismo delle istituzioni a ciò deputate, corre il rischio, in questi ultimi anni, di essere abbandonato a se stesso in mezzo al guado delle riforme. Un diverso panorama viene offerto a chi guarda al sistema dell’istruzione scolastica, dove si vanno componendo le varie tessere del mosaico delle ri- forme in cantiere. L’autonomia scolastica e la sua regolamentazione hanno dato l’avvio a sperimentazioni diffuse sul territorio, ricercando anche la valorizzazione degli interventi degli Enti locali. La legge sull’innalzamento al quindicesimo anno di età dell’obbligo di istruzione è entrata, ormai da alcuni mesi, nella sua fase attuativa pur con tutte le problematicità delle diverse situazioni locali. La legge sul riordino dei cicli scolastici è stata approvata in un contesto di minor consenso politi- co e culturale rispetto a quello prefigurato all’inizio del suo percorso. Tutta- via, il quadro ordinamentale del sistema dell’istruzione scolastica definito dalla legge permette per i prossimi anni, quantomeno, un riferimento certo per la programmazione e progettazione dei conseguenti interventi. La legge sulla scuola paritaria, pur con rilevanti limiti derivanti dalla non parità finanziaria, sta per giungere all’approvazione definitiva, legittimando in tal modo le iniziative di integrazione tra le istituzioni scolastiche statali e quelle non statali. 114 Allo scopo di focalizzare specifici aspetti della complessa situazione accennata, si evidenzieranno di seguito le prospettive che si possono evince- re da alcune considerazioni attorno ai principali documenti che hanno per oggetto problematiche della FP relative al più vasto ambito della situazione della società italiana e del suo sistema educativo complessivo. Rapporto ISFOL 1999 Come ogni anno, puntualmente, l’ISFOL presenta il suo Rapporto su “Formazione e occupazione in Italia e in Europa”. Nelle considerazioni generali, al primo punto “La riforma a metà”, si evidenzia positivamente l’a- vanzamento del processo di trasformazione in corso, ma si sottolinea la mancata soddisfazione di tutte le attese. Nell’anno 1999 è stato introdotto l’obbligo formativo fino al diciottesimo anno di età, si è avviato il nuovo esame di Stato, sono state attivate sperimentazioni nell’ambito del nuovo apprendistato e nell’IFTS, sono stati attuati l’autonomia scolastica e l’obbli- go di istruzione fino al quindicesimo anno di età. Il Masterplan, frutto di concertazione sociale, ha formalizzato, in termini finanziari, gli impegni per la formazione. L’idea guida dell’ampio processo riformatore è focalizzata sull’integra- zione tra i sistemi scolastico, formativo e del lavoro. Tuttavia, il Rapporto rileva non poche ambiguità sul modello di sistema formativo integrato che si vuole ottenere. Sono diverse, infatti, le tipologie di integrazione: c’è un’in- tegrazione fra scuola e lavoro, tra formazione e lavoro e c’è un’integrazione fra scuola e formazione, con diversi livelli di priorità. Va, perciò, stabilito quando l’integrazione è necessaria, quando è opportuna ma non necessaria, e quando invece è prevalente l’esigenza di far conservare ai diversi soggetti la propria identità. Negli ultimi anni i processi formali hanno di gran lunga sopravanzato i processi reali, capovolgendo quanto avveniva negli anni ‘80 e nei primi an- ni ‘90, quando la realtà fattuale anticipava costantemente quella politica. Questa inversione rischia di produrre frustrazione tra chi si aspetta un’im- mediata attuazione della normativa, senza considerare i tempi e i vincoli da affrontare perché le leggi diventino parte integrante del sistema. La mancanza di regole certe, di standard condivisi, di un sistema di valutazione della qualità delle azioni formative mantiene appannata l’imma- gine della FP. Questo nonostante la crescita delle attività di formazione, che nel segmento della formazione continua si è raddoppiata. La formazione regionale tocca l’11,4% dei giovani in cerca di prima occupazione, il 9,2% degli adulti disoccupati e l’1,8% dei lavoratori occupati. Però vi sono ancora quote notevoli di persone e di giovani la cui marginalità è rivelata dalla preoccupante estraneità dai processi formativi. Il 5% di ogni leva di ragazzi non arriva a completare il percorso della scuola media inferiore; l’11,8% dei giovani esce dal sistema scolastico al termine del primo anno di scuola secondaria superiore, con punte del 17,1% negli 115 Istituti Professionali; questo avviene ancora prima dell’innalzamento dell’obbligo scolastico, che impone l’iscrizione al primo anno dell’attuale percorso quinquennale della scuola secondaria superiore. Sul piano dell’inserimento nel mondo del lavoro, cresce il tasso di disoc- cupazione tra i giovani dai 15 ai 19 anni, rivelando un segmento di popo- lazione estremamente debole. Di fronte a questi limiti, vi è una crescita di richieste, da parte delle imprese, di lavoro qualificato; l’analisi degli esiti oc- cupazionali dei giovani formati nelle attività finanziate dal FSE confermano tali richieste. Permangono inoltre i condizionamenti sociali e culturali, che limitano la mobilità all’interno delle classi sociali attraverso cammini di scolarizzazione e formazione. Il sistema complessivo si trova nel mezzo di un guado: il tragitto di trasformazione del sistema è iniziato, ma si corre il rischio di restare impantanati o trascinati via dalla corrente. È perciò necessaria una forte spinta per avanzare e arrivare al di là del guado. Rapporto CENSIS La vasta analisi fatta dal 33° Rapporto del CENSIS sulla situazione sociale del Paese nel 1999 parte da considerazioni iniziali di forte preoc- cupazione sulla incapacità italiana di fare retrospezione del passato, interpretazione del presente ed esplorazione del futuro. La corposa analisi dedicata ai sistemi formativi è l’argomento che ci interessa maggiormente. Il sistema di istruzione e di formazione è stato attraversato negli ultimi anni da un processo di profonda trasformazione e la realizzazione delle riforme ha registrato, durante il 1999, una straordinaria accelerazione. Il Rapporto, nella prima delle tesi interpretative dei processi formativi “Dalle riforme alle politiche”, evidenzia che, al di là del significativo valore intrinseco, se si dovessero valutare il clima e gli effetti tangibili della riforma, ci si troverebbe di fronte a uno scenario assai complesso, decisamente meno brillante rispetto alla ridefinizione del quadro normativo. I fattori congiun- turali, le resistenze fisiologiche e le disfunzioni storiche stanno progressiva- mente vincolando e limitando la portata delle innovazioni prodotte. All’ori- gine di tale situazione vi è un insieme di ritardi organizzativi e funzionali che è opportuno tenere presente non solo nell’atto di portare a termine il pro- cesso di riforma, ma anche nell’implementazione progressiva delle diverse innovazioni introdotte, sia relativamente al sistema formativo-educativo, sia in termini di integrazione tra politiche educative e politiche attive del lavoro. Lo sviluppo delle istituzioni educative italiane è sostanzialmente centrato su una logica giuridico-formale, attenta al rispetto delle procedure ma refrattaria a valutare i risultati; per questo i processi di riforma e i processi di cambiamento non risultano automaticamente legati tra loro. Inoltre è necessario operare per creare condizioni e sviluppare politiche perché il capitale umano in uscita dai diversi sistemi formativi venga valorizzato dal sistema sociale e produttivo. L’esigenza di agganciare la riforma del sistema 116 formativo e della sua integrazione con le politiche attive del lavoro e con i processi di riforma del sistema di welfare resta un problema aperto. Al di là dei dati e delle riforme strutturali, il Rapporto sembra chiedere un impegno a tutti perché a partire dai grandi mutamenti istituzionali, di- scenda un vero cambiamento in meglio di tutto il servizio educativo italiano. I fabbisogni formativi All’inizio del 2000 l’OBNF (Organismo Bilaterale Nazionale per la Forma- zione) ha reso pubblico il risultato di un’indagine nazionale sui fabbisogni for- mativi delle imprese. Partendo dal presupposto che le risorse umane e la loro preparazione sono l’elemento essenziale di una politica di sviluppo basata sulla qualità, le parti sociali, attraverso la rilevazione dei fabbisogni formativi, vogliono contribuire con il sistema dell’offerta formativa nella descrizione di figure professionali fortemente aggregate e concretamente richieste dal mon- do delle imprese. La loro descrizione rimanda alle competenze necessarie per costruirle, creando una base su cui fondare percorsi formativi solidi, con for- te impianto culturale, collegati strettamente con le dinamiche reali del mon- do produttivo. L’indagine non tocca tutti i settori produttivi, ma si riferisce a un notevole numero di questi. Molte delle figure rilevate risultano trasversali a più settori, cosicché il numero totale delle figure professionali da formare non è rilevante. Il lavoro compiuto dall’OBNF riveste notevole rilevanza, soprat- tutto perché ha interessato non pochi organismi bilaterali regionali, creando una cultura di collaborazione tra parti sociali su un tema di notevole rilevan- za. Altre indagini sui fabbisogni professionali, come la Ricerca Excelsior dell’Unioncamere, contribuiscono a capire meglio la situazione italiana. L’impegno in tale direzione favorisce certamente il processo di integrazione tra FP/scuola e lavoro. Permane però a livello istituzionale la difficoltà di legare tra loro esigenze del mondo del lavoro e della FP, come ben rivela la mancata definizione delle qualifiche professionali, già prevista dalla legge 845/78 e mai portata a termine. Assemblea CEI sulla scuola cattolica Dell’Assemblea CEI abbiamo già accennato nel precedente editoriale (“Rassegna CNOS”, n. 3/1999. L’accenno che qui ne facciamo ha lo scopo di rilevare come il tema dell’educazione e della riforma del sistema educativo italiano sia sempre più presente a vari livelli nella società italiana: l’assem- blea ha voluto rappresentare l’apporto che la scuola cattolica può dare, in base a una lunga e valida presenza nell’area dell’educazione, al rinnovamen- to della scuola italiana alle soglie del XXI secolo. 117 La realizzazione del nuovo obbligo scolastico La legge di innalzamento dell’obbligo scolastico dovrebbe incontrare un’attuazione meno problematica all’interno del riordino dei cicli, dove si sancisce definitivamente a 9 anni l’obbligo scolastico e fino al 18° anno (o meglio al conseguimento di una qualifica o diploma) l’obbligo formativo. L’attuazione della legge 9/99 ha posto la necessità di collaborazioni tra scuola e FP, ma l’integrazione che ne risulta vede la FP in un ruolo di subor- dine e perlopiù ancillare rispetto al sistema scolastico. L’ISFOL sta avviando, per conto del Ministero del Lavoro e del Ministero della Pubblica Istruzione, un’indagine sulle iniziative sperimentali d’integrazione tra scuola e FP nell’ambito delle attività previste dal regolamento sull’obbligo scolastico. L’obiettivo della ricerca è di tracciare una mappa quantitativa dei progetti in atto, che potrà assumere anche un rilievo qualitativo, in merito all’effica- ce ed ampio utilizzo degli strumenti d’integrazione previsti dal regolamento. L’indagine mira, inoltre, ad individuare possibili modelli di buone pratiche per sostenere ed espandere le attività nell’ambito dell’obbligo scolastico da realizzare nei prossimi anni, nell’ottica della piena attuazione dell’autonomia scolastica a partire dal prossimo settembre ed in vista del riordino dei cicli scolastici e dell’introduzione dell’obbligo formativo. Le difficoltà per l’obbligo formativo Introdotto dal collegato alla finanziaria del 1999 senza un approfondi- mento e una discussione a livello sociale e politico, l’obbligo formativo non è entrato nella coscienza degli italiani, nemmeno dei politici che lo hanno approvato. Le stesse Regioni, titolari della FP sia essa a tempo pieno sia a tempo parziale nell’apprendistato, in rari casi hanno preso chiara coscienza degli obblighi loro derivanti: se i giovani hanno il diritto-dovere di formarsi fino al conseguimento di un diploma o di una qualifica, lo Stato (per quanto riguarda i percorsi scolastici ordinati al conseguimento del diploma) e le Regioni (per quanto riguarda i percorsi di formazione per il conseguimento della qualifica) hanno il dovere istituzionale di fornire gli strumenti concre- ti perché i giovani possano adempiere tale diritto-dovere. Se si esclude la Regione Lazio, che già ha iniziato la sperimentazione di percorsi di obbligo formativo, nelle altre Regioni sembra che l’interesse sia scarso o polarizzato sul solo apprendistato. Non si può dire lo stesso del Ministero della Pubblica Istruzione, sempre attento a gestire ogni opportunità e pronto a presentare la scuola come agenzia formativa in grado di provvedere a percorsi di ogni tipo, anche di FP, per consentire l’assolvimento dell’obbligo formativo, ricor- rendo pure ad apporti di integrazioni offerti dalla medesima FP. 118 Il nuovo FSE Sono sul nastro di partenza le nuove opportunità derivanti dalla programmazione 2000-2006 del FSE. Le Regioni si sono attrezzate in questi anni per programmare e gestire meglio i fondi messi a loro disposizione dall’Unione Europea. Il problema principale del sistema di FP regionale italiano sta nella sua estrema debolezza sia per la consistenza numerica dei soggetti coinvolti, sia per le fragilità strutturali derivanti dal deficit legislativo e dallo scarso coordinamento tra le Regioni. Di fronte alle iniziative finanziate dal FSE, non pochi piani regionali sono predisposti sulla base delle disponibilità fi- nanziarie subordinate a tali finanziamenti, che ovviamente non hanno lo scopo di sostituire il sistema di FP italiano, ma di favorirne la trasformazio- ne e il miglioramento nonché l’attivazione di sperimentazioni innovative. Se nel 2006 venisse meno l’intervento del FSE, esso avrebbe raggiunto il suo scopo se ci trovassimo di fronte a un sistema di FP rinnovato strutturalmen- te, propositivo e progettuale, capace di espletare meglio il suo compito. L’impressione che la gestione del FSE europeo nel passato periodo lascia in- travedere è non il consolidamento e il miglioramento del sistema italiano di FP, ma la distruzione dello stesso, ridotto a fare le attività solo perché e finché esiste il finanziamento esterno europeo. Una somma di progetti e di attività, fatta da qualunque agenzia si presenti sul mercato della formazione interessata a sfruttare il momento finanziariamente favorevole, non può generare un sistema di FP rinnovato né assicurare ricadute culturali e progettuali nel medesimo. Il FSE è una grande opportunità per la FP italiana, ma può divenire an- che un grande rischio che porti politici, amministratori regionali e operatori soltanto ad approfittare degli interventi finanziari senza pensare ad irrobu- stire il sistema perché permanga anche nel futuro. La legislazione: i cicli scolastici L’approvazione della legge sul riordino dei cicli interessa non solo il mondo della scuola, ma tutto il sistema educativo italiano. L’Università, ad esempio, dovrà attendersi allievi più giovani, poiché è prevista la riduzione di un anno del periodo di scolarità. Per quanto riguarda la FP, l’art. 1 al comma 3 precisa che “L’obbligo sco- lastico inizia al sesto anno e termina al quindicesimo anno di età”, fissando definitvamente in nove gli anni obbligatori nel percorso scolastico. Viene inoltre riconfermato, al comma 4, che “L’obbligo di frequenza di attività formative fino al compimento del diciottesimo anno di età si realizza secon- do le disposizioni di cui all’articolo 68 della legge 17 maggio 1999, n. 144”. L’articolo 68 della Legge 144 entra perciò a far parte strutturale del riordino dei cicli, superando la posizione di masso erratico caduto all’interno del collegato alla finanziaria del ‘99. 119 La provvisorietà dell’obbligo scolastico per nove anni, nell’attesa di pas- sare a 10, sancita nella legge 9/99, è superata stabilendo che la durata della istruzione scolastica obbligatoria giunge fino al quindicesimo anno di età, mentre l’obbligo di formazione giunge fino al diciottesimo. La legge sul rior- dino dei cicli configura per i giovani dopo il quindicesimo anno di età un duplice canale di formazione, il percorso scolastico e quello della FP a tempo pieno o parziale. Inoltre, nell’art. 4 nel comma 4, il testo della legge ripropone, nell’ultimo anno dell’obbligo scolastico, la possibilità di integrazione tra scuola e FP secondo le modalità già previste nell’art. 6 del Regolamento della legge 9/99: “Nel corso del secondo anno, se richiesto dai genitori e previsto nei piani dell’offerta formativa delle istituzioni scolastiche, sono realizzate attività complementari e iniziative formative per collegare gli apprendimenti curri- colari con le diverse realtà sociali, culturali, produttive e professionali. Tali attività si attuano anche in convenzione con altri istituti, enti e centri di formazione professionale accreditati dalle regioni, sulla base di un accordo quadro tra il Ministero della pubblica istruzione, il Ministero del lavoro e della previdenza sociale e la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.” Il tema dei crediti formativi per il passaggio tra sistemi, molto presente nel dibattito attuale, è normato nello stesso articolo al comma 7: “La fre- quenza positiva di qualsiasi segmento della scuola secondaria, annuale o modulare, comporta l’acquisizione di un credito formativo che può essere fatto valere, anche ai fini della ripresa degli studi eventualmente interrotti, nel passaggio da un’area o da un indirizzo di studi all’altro o nel passaggio alla formazione professionale. Analogamente, la frequenza positiva di seg- menti della formazione professionale comporta l’acquisizione di crediti che possono essere fatti valere per l’accesso al sistema dell’istruzione”. La legge dovrà trovare, attraverso la regolamentazione, pratica attuazione nei prossimi mesi. Perciò le forze politiche, sociali e tutti coloro che hanno a cuore il futuro del sistema educativo italiano sono chiamati ad un’ulteriore attenzione perché le grandi trasformazioni strutturali portino a reali e posi- tivi cambiamenti. Al di là del giudizio sull’opportunità o meno della struttura prevista dal riordino dei cicli, resta positivo il fatto che, dopo troppi anni di tentativi di riforma, si sia superato il clima di incertezza sulla struttura della scuola italiana in questo inizio di XXI secolo, costringendo tutti a riempire la riforma dei cicli di contenuti culturali e educativi, per la formazione delle nuove generazioni. 120 L’integrazione, a partire dall’Accordo sul costo del lavoro del 1993, è stata la prospettiva che ha guidato le riforme del sistema educativo italiano. Il con- cetto di integrazione rende evidente che le riforme sono state impostate nel- l’ottica della necessità di un’interazione collaborativa tra i vari segmenti in cui si articola il sistema educativo italiano. L’educazione delle nuove genera- zioni può realizzarsi attraverso percorsi differenti, che però non possono ignorarsi tra loro, come sovente è avvenuto in passato e forse avviene anco- ra oggi, in qualche caso, in un’ottica autoreferenziale. Gli ultimi quattro anni del ’900 hanno visto la realizzazione, a livello legislativo, di una grande ristrutturazione delle componenti del sistema edu- cativo: ne sono stati interessati la scuola, la FP, l’università. Anche il mondo del lavoro e dell’impresa è stato coinvolto in questo processo, specialmente attraverso la nuova legislazione dell’apprendistato e dei tirocini formativi. Inoltre, l’introduzione dei concetti di competenza e di crediti formativi, ac- quisibili oltre che in percorsi scolastici e formativi anche attraverso l’attività lavorativa, ha messo in rilievo la potenziale valenza formativa del lavoro. Se la fase legislativa del percorso di riforma può considerarsi sostanzial- mente conclusa, la normazione e la realizzazione concreta dei cambiamenti previsti richiedono tempi ancora lunghi. Le nuove leggi e norme hanno forse creato una prospettiva di eccesso di cambiamento, che può influire negativamente sulla realizzazione delle riforme. Pure i mutamenti sono stati introdotti con strumenti legislativi diversi, rendendo difficile il compito di scorgere un disegno di riforma com- plessivo e unitario. Conseguentemente, in questo editoriale esamineremo brevemente i mu- tamenti istituzionali che leggi, decreti legislativi, regolamenti, accordi hanno prodotto nel sistema scolastico, nel sistema della FP, evidenziando la loro relazione con il mondo del lavoro. Il nuovo volto della scuola italiana Gli strumenti legislativi e normativi relativi alle riforme delle istituzioni scolastiche hanno percorso, in questa legislatura, strade molto diverse e non omogenee tra loro. L’art. 21 della legge 59 del 15 marzo 1997 (Bassanini), in- troduce nelle istituzioni scolastiche l’autonomia. “L’autonomia delle istitu- zioni scolastiche e degli istituti educativi si inserisce nel processo di realiz- zazione della autonomia e della riorganizzazione dell’intero sistema formati- vo” (comma 1). È la prima grande riforma realizzata. L’esigenza di assicura- re spazi istituzionali di autonomia nel sistema scolastico statale era sentita da tempo e prevista da leggi delega, che i precedenti Governi non erano riusciti a portare a compimento. L’articolo 21 è inserito in un contesto di una legge 121 2000Editoriale n. 2 di “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la sempli- ficazione amministrativa”. Tuttavia, tale articolo non tratta di conferimento di funzioni alle Regioni o Enti locali né di semplificazione amministrativa, ma di riconoscimento di autonomia giuridica alle singole istituzioni scolastiche, tanto da indurre non pochi osservatori a considerare la Bassanini come il classico “Cavallo di Troia” per far passare un’ulteriore delega al Governo. L’impostazione generale della legge, però, coinvolge anche il tipo di autonomia, che si configura. Al di là di tali aspetti di ambiguità, rimane comunque rile- vante il passo compiuto verso una trasformazione della scuola, non più concepita come organo periferico dello Stato, ma riconosciuta autonoma nel- la propria capacità progettuale, didattica e, almeno parzialmente, gestionale. Il Decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 8 marzo 1999 ha reso operativo il dettato dell’art. 21 regolamentandone la materia. Sono stati necessari due anni per emanarlo, invece dei nove mesi previsti dalla legge, a riprova delle evidenti difficoltà incontrate nella sua elaborazione. Nel frat- tempo, la volontà politica di arrivare all’autonomia si traduceva in speri- mentazioni della sua attuazione, con risultati ritenuti soddisfacenti. L’attuazione dell’autonomia obbliga, quindi, le istituzioni scolastiche a superare posizioni di autoreferenzialità e a confrontarsi con il relativo territorio e con gli altri soggetti educativi e istituzionali, vincendo il limite dell’isolamento del mondo scolastico italiano e consentendo perciò la crea- zione di un’offerta formativa territoriale programmata e integrata. La rilevanza della dimensione territoriale nel processo delle riforme del sistema educativo è riscontrabile anche nel Decreto legislativo 112 del 31 marzo 1998 che, nell’attuare l’art. 1 della legge 59/93, prevede agli articoli 135-139 deleghe specifiche “alle province, in relazione all’istruzione secon- daria superiore, e ai comuni, in relazione agli altri gradi inferiori di scuola, i compiti e le funzioni concernenti: a) l’istituzione, l’aggregazione, la fusione e la soppressione di scuole in attuazione degli strumenti di programmazione; b) la redazione dei piani di organizzazione della rete delle istituzioni scola- stiche”. È sufficiente questo accenno per documentare come, nel processo di ri- forma del sistema educativo, la rete delle istituzioni scolastiche sul territorio si trasferisce dal Ministero della P.I. agli Enti locali, che non sono solo i “pro- prietari dei locali”, come da sempre, ma debbono diventare i responsabili istituzionali della localizzazione delle stesse sedi per garantire una comples- siva offerta formativa sul territorio di competenza. Le Province hanno dato avvio a processi di riorganizzazione della rete scolastica sul proprio territorio, pur incontrando non poche difficoltà dovute anche alla normativa che subordina l’esercizio dell’autonomia alla consistenza numerica dei relativi allievi, con conseguente necessità di procedere ad accorpamenti e a fusioni di scuole. D’altra parte, tale ristrutturazione non può essere definitiva, non solo per il variare del numero degli allievi, ma gli accorpamenti in verticale 122 (dalla materna alle superiori) o in orizzontale (più plessi scolastici dello stesso grado) potrebbero essere rivisitati nelle fasi di attuazione della legge- quadro 30/2000 in materia di riordino dei cicli dell’istruzione. Con tale legge, la riforma ha toccato in modo diretto anche la struttura stessa dei percorsi scolastici. Dopo lunghe discussioni, che hanno provocato contrapposizioni ideolo- giche e strumentali tra maggioranza ed opposizione, si avvia con tale legge un nuovo assetto dei percorsi scolastici nel sistema educativo italiano, dando sistematicità organica anche a scelte operate in altre leggi. Una di queste riguarda la definitiva scelta della scolarità obbligatoria fino al 15° anno (legge n. 9 del 20/01/99), regolamentata con Decreto Mini- steriale n. 323 del 9 agosto 1999 e già in attuazione. “Rassegna CNOS” ha dedicato una specifica riflessione ai contenuti di tale legge e ha documentato le relative sperimentazioni delle attuazioni concrete. Analoga organicità è stata data nella suddetta legge-quadro per quanto attiene i percorsi dell’istruzione scolastica e l’istituzione dell’obbligo formativo fino ai 18 anni (definito all’articolo 68 della legge n. 144 del 17 maggio 1999), stabilendo che “Il sistema educativo di istruzione si articola nella scuola dell’infanzia, nel ciclo primario, che assume la denominazione di scuola di base, e nel ciclo secondario, che assume la denominazione di scuola secondaria. Il sistema educativo di formazione si realizza secondo le modalità previste dalla legge 24 giugno 1997, n. 196, e dalla legge 17 maggio 1999, n. 144”. Altrettanto avviene con l’articolo 5 della medesima legge-quadro, che recepisce l’istituzione del segmento dell’Istruzione Formazione Tecnica Superiore (IFTS) e le norme relative all’educazione degli adulti e alla forma- zione continua, contenute nell’articolo 69 della suddetta legge n. 144/99. 123 Senza entrare in merito alle difficoltà che si potranno verificare nella realizzazione concreta della riforma strutturale, soprattutto nel segmento della formazione di base, riunendo in un unico ciclo il percorso che da sempre in Italia si è sviluppato su due ordinamenti (elementari e medie inferiori), sembra opportuno rilevare alcuni aspetti culturali, che non do- vrebbero trovare difficoltà di accoglienza anche da parte di quanti manife- stano riserve circa l’impianto complessivo adottato. Si riconosce anzitutto un “sistema educativo di istruzione e di formazio- ne finalizzato alla crescita e alla valorizzazione della persona umana, nel ri- spetto dei ritmi dell’età evolutiva, delle differenze e dell’identità di ciascuno, nel quadro della cooperazione tra scuola e genitori, in coerenza con le dis- posizioni in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche e secondo i principi sanciti dalla Costituzione e dalla Dichiarazione universale dei dirit- ti dell’uomo”. È da osservare, in particolare, che la FP viene riconosciuta isti- tuzionalmente un’articolazione del sistema educativo nazionale, stabilendo che “Il sistema educativo di formazione si realizza secondo le modalità pre- viste dalla legge 24 giugno 1997, n. 196, e dalla legge 17 maggio 1999, n. 144”. Non vi è perciò contraddizione nel fatto che i percorsi di FP siano contemporaneamente educativi e ordinati esplicitamente a preparare al la- voro attraverso l’acquisizione di una qualifica. I giovani si trovano, al com- pimento del quindicesimo anno, di fronte alla possibilità di scegliere tra due canali educativi: quello dell’istruzione scolastica e quello della FP, entrambi con pari dignità ma con apporti specifici e in collaborazione tra loro, fina- lizzati a garantire un servizio “alle differenze e all’identità di ciascuno”. Con l’attuazione della legge sul riordino dei cicli si dovrebbe quindi avviare un sistema integrato di istruzione e formazione, in grado di accom- pagnare la crescita culturale e professionale delle giovani generazioni fino all’inserimento nel mondo del lavoro, in modo che nessun giovane italiano si presenti sul mercato del lavoro senza una laurea o un diploma o una qualifica professionale. Come l’Esame di Stato, riformato dalla legge 425 del 10 dicembre 1997, si conclude la scuola secondaria, così la qualifica costituisce requisito di assolvimento dell’obbligo formativo. Proseguendo nel nostro esame sulle trasformazioni in atto nel sistema educativo e formativo, è da rilevare un ulteriore apporto di riforma, rappre- sentato dal Decreto legislativo n. 233 del 30 giugno 1999 circa la “Riforma degli organi collegiali territoriali della scuola, a norma dell’articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59”, che innova la strutturazione degli organi rap- presentativi della scuola a livello nazionale, regionale e locale con la finalità di assicurare rappresentanza e partecipazione ai diversi soggetti operanti in essa e interessati alla sua vita, alle sue attività e ai suoi risultati. A livello di singolo istituto, invece, la normativa è ancora in via di defini- zione. Le difficoltà incontrate nel percorso verso una normativa condivisa sono molte: si tratta, infatti, di conciliare aspetti che sono stati oggetto di precedenti riforme, come quella relativa al ruolo del Dirigente scolastico e all’autonomia degli Istituti. A livello generale, inoltre, le decretazioni di attuazione della Bassanini 124 (L. 59/97) prevedono anche la riorganizzazione e l’accorpamento dei ministe- ri e, in particolare, la ristrutturazione del Ministero della P.I. sia livello centrale che nella sua organizzazione periferica. In fine, l’ultima legge approvata in ordine di tempo, la legge n. 62 del 10 marzo 2000, riguarda le “norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione”, precisando che “il sistema nazionale di istruzione è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali. Alle scuole paritarie private è assicurata piena libertà per quanto concerne l’orientamento culturale e l’indirizzo pedagogico-didattico”. Per riconoscerne la paritarietà, le scuole non statali debbono sottoporsi a non pochi adempimenti, che se da una parte assicurano un servizio di pari valore rispetto a quello delle scuole statali, dall’altra pongono vincoli di dif- ficile soluzione. In effetti, la legge tace su qualsiasi intervento di tipo finanziario per le scuole paritarie, ad eccezione di “interventi per il mantenimento di scuole elementari parificate e per spese di partecipazione alla realizzazione del sistema prescolastico integrato”. La legge, sotto il profilo finanziario, con- templa il diritto allo studio riguardante tutte le scuole. L’impossibilità politi- ca rilevata dal Parlamento di varare una vera legge di parità economica tra scuola statale e scuola paritaria non statale mantiene inalterato un problema che, con il passare degli anni, ridurrà ad una pura cornice giuridica il quadro complessivo. Le scuole paritarie rischiano di essere destinate a fallire o a divenire scuole di una élite ricca, che può scegliere senza problemi i propri percorsi. Alla conclusione della rassegna fatta sembra doveroso sottolineare che la presente legislatura ha prodotto una rilevante legislazione di riforma del sistema scolastico italiano. L’attuazione, però, di tale normativa presenta notevoli fasi di rallentamento e non pochi segnali a riporre mano a quanto è già definito. Anche l’evidente stato di malcontento dei docenti della scuola statale, registrato negli ultimi mesi, mette in evidenza la difficoltà di portare avanti una riforma, di cui tutti vedono difficoltà e rischi, ma di cui nessuno sa ancora pienamente valutare i lati positivi. La riforma della FP Il documento “Accordo per il lavoro e l’occupazione”, sottoscritto il 24 settembre 1996 dal Governo Prodi e dalle Parti Sociali, metteva in primo piano il ruolo dell’istruzione e della FP per risolvere anche i problemi del la- voro e dell’occupazione. La legge 24 giugno 1997, n. 196 “Norme in materia di promozione del- l’occupazione” (Pacchetto Treu) rendeva vincolanti le indicazioni dell’Accordo. Si tratta di una legge che, in gran parte, riguarda la riforma del sistema di FP, che dal 1978 è regolato dalla legge quadro 845. Da anni si riteneva necessa- rio adattarne le norme alle mutate condizioni. Invece di riformulare una legge quadro per la FP, si è preferito usare la legge sulla promozione dell’oc- 125 cupazione e la sua successiva regolamentazione per introdurre nella legge 845/78 le modifiche ritenute necessarie. In particolare, si trattava soprattutto di legiferare sui segmenti di for- mazione che in Italia risultavano poco presenti e non ben normati, come la formazione in alternanza, specialmente l’apprendistato e i tirocini, la forma- zione continua e permanente. Inoltre era necessario stabilire i criteri at- traverso cui affidare a strutture formative le attività, poiché, soprattutto a causa delle norme del FSE, risultavano superate quelle previste dalla 845/78, che stabiliva quali Enti potevano essere ammessi ai finanziamenti. In vista di un sistema di crediti che rendesse possibile l’integrazione tra sistemi, era ne- cessario rivedere la certificazione dei risultati della formazione, in relazione con la scuola e il mondo del lavoro. La legge 196/97 è intervenuta su questi problemi, creando una nuova legislazione. L’art. 16 regola l’apprendistato, introducendolo nell’area delle politiche formative. Il Decreto Ministeriale del 8 aprile 1998 e il Decreto Ministeriale del 20 maggio 1999 hanno stabilito i contenuti delle 120 ore formative annuali previste dalla legge da svolgere fuori del luogo di lavoro. In questi anni si sono attivate sperimentazioni di percorsi formativi nel nuovo apprendistato, ma soltanto una piccola percentuale degli apprendisti ha potuto usufruire di questa esperienza. L’art. 18 regola i tirocini formativi e di orientamento, ridefinendo sotto un’unica normativa quanto stabilito dalla legge 845/78 e da successivi inter- venti legislativi. Il Regolamento emanato con il Decreto interministeriale 142 del 25 marzo 1998 ha unificato le norme e dato nuovo impulso a questo tipo di alternanza, che interessa la FP, la scuola e l’università, ma anche percorsi al di là del periodo di formazione, per orientare ed avviare al lavoro. L’art. 17 prevede il riordino della formazione professionale. La regolamentazione di tale articolo però ha incontrato una serie di dif- ficoltà, che la Corte dei Conti ha esplicitato rimandandone la registrazione. Per superare le obiezioni mosse, il Parlamento ha introdotto alcune modifiche al testo dell’articolo attraverso uno specifico articolo della legge 144 del 1999. Nonostante tale intervento legislativo, la Corte dei Conti non ha registrato il Regolamento, ma lo ha rinviato alla Corte Costituzionale per so- spetta incostituzionalità. Per questo motivo il sistema di FP resta ancora essenzialmente normato dalla legge quadro 845/78. Infatti, la bozza di Regolamento dell’articolo 17 prevedeva l’abrogazione di parte di articoli della legge quadro 845/78 [all’ar- ticolo 5 dalla lettera b) fino alla fine dell’articolo, al terzo comma dell’artico- lo 22 la lettera a), al terzo comma dell’articolo 17 le parole da: “nonché” fino a “comma”], introducendo al posto delle norme abrogate nuove disposizioni. Conseguentemente, resta in vigore l’impianto generale della legge quadro del 1978, come normativa vigente, se si eccettua l’art. 15 riguardante gli stage (abrogato dal regolamento dell’art. 18 sui tirocini) e gli articoli 2, comma 1, e 18 (abrogati dal decreto legislativo 112 del 31 marzo 1998). La difficoltà di rendere operativo il sistema prefigurato dall’art. 17 della 126 legge 196/97 ha spinto la Conferenza Stato-Regioni, nella Seduta del 18 feb- braio 2000, a procedere ad un accordo relativo a tre punti qualificanti: accreditamento delle strutture formative; certificazione delle competenze professionali; ristrutturazione degli Enti di formazione. Poiché alcune Regioni hanno già stabilito procedure autonome di accredi- tamento, una Commissione sta preparando, sulla base del suddetto accordo, gli standard minimi nazionali e le procedure per l’accreditamento. Dopo la relativa approvazione da parte della Conferenza Stato-Regioni, tali criteri saranno resi omogenei a livello nazionale per tutte le Regioni, pur salva- guardando le specificità di ognuna. Analogamente, sempre in base al suddetto accordo, una Commissione, composta anche da esperti della scuola e dell’università, sta studiando l’uni- ficazione delle certificazioni, in vista della maturazione dei crediti formativi. Per rendere operativa la parte di accordo riguardante la ristrutturazione degli Enti di FP occorre che, tramite apposita norma legislativa a livello na- zionale, siano messi a disposizione i 100 miliardi stanziati dall’art. 17 della 196/97. Anche su questo punto il Governo si è impegnato ad intervenire il più rapidamente possibile. Oggettivamente, pur con la buona volontà dimostrata, la trasformazione del sistema, che avrebbe dovuto realizzarsi nel breve tempo previsto per la relativa regolamentazione (sei mesi), è slittata di quasi tre anni, aggravando i problemi e le difficoltà. Gli Enti di formazione non hanno avuto i mezzi per ristrutturasi, ma hanno visto aggravarsi i loro problemi finanziari e organizzativi. Inoltre non si è potuto avviare la fase delle operazioni di contrattazione per il rinnovo del CCNL della FP a causa della mancanza di un quadro normativo di riferimento. Resta ancora incerto il come si creerà e da chi sarà gestito il sistema del- la formazione continua, essendo certa però l’intenzione di rendere operativo il passaggio dei fondi derivanti dallo 0,30% del monte salari, versato dalle imprese per la formazione, dal fondo di rotazione alla istituenda Fondazione per la formazione continua. Oltre quanto previsto dal cosiddetto “pacchetto Treu”, anche il Decreto legislativo 112 del 31 marzo 1998 – in attuazione della legge 59 del 15 marzo 1997 (Bassanini) – con gli articoli 140-147 procedeva ad una nuova ridistri- buzione di competenze tra Stato e Regioni in materia di FP, abrogando al- cuni articoli della legge quadro 845/78, come si è già accennato. Inoltre, nel 1999 il sistema di FP, in modo particolare le strutture inte- ressate alla formazione iniziale post obbligo scolastico, ha dovuto affrontare i non pochi problemi derivati dall’attuazione della legge 9/99 sull’innalza- mento dell’obbligo scolastico, perdendo parte dell’utenza tradizionale di tali azioni formative. Positiva è stata, invece, la spinta ad attuare una più stretta collaborazione con la scuola media superiore per attivare percorsi integrati di orientamento e pre-professionalizzanti e per sperimentare l’assolvimento dell’obbligo scolastico nella FP. Tali difficoltà e opportunità si ripresenteran- no anche nei prossimi anni. In “Rassegna CNOS” sono state sviluppate ampiamente le relative problematiche. 127 Il segmento di formazione iniziale, sancito dall’articolo 68 della legge 144/99 con l’istituzione dell’obbligo formativo fino a 18 anni, è una delle più importanti novità legislative riguardanti la FP: ne abbiamo parlato nel con- testo del riordino dei cicli. In questo numero di “Rassegna CNOS” (n. 2/2000) sono pubblicati documenti, proposte e studi di approfondimento nell’inten- to di concorrere a creare opportunità di riflessione circa le modalità di at- tuazione dei relativi percorsi per nell’anno formativo 2000-2001. Infine, il Decreto legislativo 300 del 30 luglio 1999, che ristruttura i Ministeri in attuazione della Bassanini, all’art. 88 stabilisce la nascita del- l’Agenzia per la formazione e l’istruzione professionale. “All’agenzia sono trasferiti, con le inerenti risorse finanziarie, strumentali e di personale, i compiti esercitati dal ministero del lavoro e previdenza sociale e dal mini- stero della pubblica istruzione in materia di sistema integrato di istruzione e formazione professionale”. L’Agenzia sarà operante con la riforma dei ministeri all’inizio della nuova legislatura; lo Statuto previsto non è ancora stato varato, né si conoscono le relative competenze operative. Sembra opportuno porre un’osservazione conclusiva circa il ruolo rile- vante di ricerca, di supporto, di monitoraggio realizzato dall’ISFOL (Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori) in questi anni di trasformazione e di riforma del sistema educativo italiano. Ci auguriamo che tale Istituto, con opportuni adattamenti statutari e organizzativi, possa assicurare al meglio tali servizi per far fronte alle nuove sfide, che il sistema della FP incontra nel realizzare le riforme avviate in questi anni. 128 2000Editoriale n. 3 Negli ultimi anni novanta rilevanti interventi legislativi hanno posto le basi per la riforma del sistema educativo italiano. L’editoriale del precedente numero della Rivista ha presentato il quadro complessivo che le leggi hanno disegnato per il sistema scolastico e per quello della FP. Ma, per divenire ope- rante, il quadro legislativo generale richiede interventi normativi e struttura- li destinati a durare ancora per alcuni anni. Inoltre i cambiamenti esigono un lungo periodo di impegno per divenire realtà nei fatti: non sempre le norme legislative si traducono in realtà operative concrete. La fine di una convulsa fase legislativa, che ha risentito della contrappo- sizione tra i diversi schieramenti nel Parlamento, lascia ora il posto a un processo di paziente lavoro mirante ad attuare le linee quadro tracciate dalle leggi. Questo editoriale mira a monitorare alcuni elementi della riforma che sono stati sperimentati in questi anni, per valutarne l’impatto concreto, le difficoltà incontrate, le prospettive aperte, privilegiando ciò che riguarda la FP. Sperimentazione dell’obbligo di istruzione La legge 9/99, che ha innalzato a 15 anni l’obbligo scolastico, ha trovato attuazione immediata nell’anno scolastico 1999/2000. Già da parecchi anni la maggior parte dei quattordicenni italiani, al termine della scuola media inferiore, si iscriveva alla scuola media superiore. L’obbligo ha costretto anche la piccola percentuale di ragazzi che dopo la licenza media sceglieva altre strade, come la FP o il lavoro, ad iscriversi al primo anno dell’attuale scuola media superiore non riformata. La situazione ha creato difficoltà per coloro che già avevano espresso la decisione di iscriversi ad attività di FP; anche i CFP si sono dovuti confrontare con una improvvisa diminuzione di utenza. La regolamentazione ha cercato di mitigare l’impatto permettendo esperienze di interazione e integrazione tra scuole e CFP. Per andare incontro alla situazione maturata per i giovani già iscritti alla FP, in alcune Regioni si sono sperimentati percorsi di assolvimento dell’obbligo all’interno dei CFP in convenzione con scuole medie superiori. In altri casi si sono introdotti nei percorsi scolastici moduli di orientamento e preprofessionalizzanti affidati a organismi di FP. Nel primo numero di “Rassegna CNOS” di quest’anno ab- biamo riservato ampio spazio alla descrizione di alcune di queste esperienze. Aggiungiamo ora una valutazione dell’esperienza, tracciando le prospettive che sembrano consolidarsi. La situazione a livello nazionale non è stata uniforme nella varie Regioni. 129 In base all’art. 7 del Regolamento attuativo della legge 9/99 sull’obbligo scolastico, in alcuni contesti si sono attivati, all’interno dei CFP e in conven- zione con scuole medie superiori, percorsi per giovani di quattordici anni. Il finanziamento dell’intervento è stato sostenuto dalle Regioni. L’istituzione scolastica ha certificato l’adempimento dell’obbligo scolastico e, contempora- neamente, il CFP ha certificato il raggiungimento degli obiettivi formativi del primo anno di FP iniziale. In casi numericamente più ridotti e anche fi- nanziariamente meno sostenuti da fondi regionali anche nell’anno 2000/2001 l’esperienza viene ripetuta in particolari contesti. In base all’art. 6 del menzionato Regolamento, in altre situazioni si sono attivati interventi integrativi di tipo orientativo e pre-professionalizzanti al- l’interno dei percorsi del primo anno di scuola media superiore con lo scopo di orientare i giovani nello scelte del post-obbligo e di aiutare quanti aveva- no già espresso scelte relative ai percorsi di FP. Anche in questo caso la convenzione con la scuola media superiore prevedeva le attività integrative all’interno della scuola o all’interno del CFP o fatti da personale dei Centri all’interno della scuola. Normalmente le iniziative sono state suggerite e progettate dai CFP e finanziate dalle Regioni. La prospettiva che tali azioni di orientamento possano continuare è confermata anche dalla prospettiva prevista dalla legge sul riordino dei cicli scolastici, che prevede la crescita di interventi di orientamento nella scuola secondaria. Nella prospettiva, gli interventi attivati in base all’art. 7 del Regolamento sono destinati a decadere completamente con l’attuazione della riforma dei cicli, confermando le difficoltà di attuazione che sia le autorità scolastiche sia le Regioni hanno posto in essere per il 2000-2001. L’obbligo formativo fino a 18 anni rende inoltre problematica l’effettua- zione di un primo anno di corso di qualifica a partire dai 14 anni, perché il giovane si troverebbe ad aver assolto all’obbligo formativo con il conse- guimento della qualifica a soli 16 anni. Inoltre un corso per quattordicenni non potrebbe essere progettato sul modello previsto dall’Accordo Stato Re- gioni per l’obbligo formativo, che prevede appunto l’assolvimento dell’obbli- go scolastico. La possibilità di assolvere all’obbligo scolastico nei percorsi di FP, prevista dall’art. 7 del Regolamento, ha carattere transitorio, anche se, in alcuni casi, potrà trovare applicazione fino all’attuazione del riordino dei cicli. L’orientamento nell’ultimo anno dell’obbligo scolastico effettuato in col- laborazione tra scuole e CFP è previsto anche nelle bozze della commissione per l’attuazione dei cicli e si inserisce egregiamente nel contesto dell’avviata autonomia delle istituzioni scolastiche. La titolarità della scuola in questi percorsi di orientamento realizzati dai Centri di FP rende centrale il problema del finanziamento dell’attività svolta, perché difficilmente le Regioni continueranno a finanziare attività che sono di competenza della scuola, anche se svolte in interazione con Centri di FP. La situazione attuale vede maggiormente interessati ad azioni di orientamento i CFP e le Regioni rispetto alle scuole anche dal punto di vista finanziario. 130 Sperimentazione dell’obbligo formativo Soltanto nel mese di settembre, con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del Regolamento è terminato a livello legislativo e normativo l’iter con cui è stato introdotto in Italia l’obbligo formativo fino ai 18 anni o fino al conseguimento di un diploma di scuola secondaria o di una qualifica professionale almeno biennale. Con l’anno scolastico 2000-2001 tale obbligo interessa tutti i giovani che abbiano completato l’obbligo scolastico e che sia- no nel quindicesimo anno di età. La sperimentazione del percorso interessa in modo particolare la FP regionale sia a tempo pieno sia in alternanza (con- tratto di apprendistato). Nella scuola, infatti, i normali percorsi servono a completare l’obbligo: fino al riordino dei cicli anche i percorsi in integrazio- ne attuati nella scuola saranno essenzialmente quelli già sperimentati negli Istituti professionali. Con l’attuazione del riordino dei cicli, quando allo sche- ma degli istituti professionali di tre anni di qualifica più due per il diploma verrà sostituito quello del biennio di obbligo scolastico e di un triennio per il diploma, si richiederà un totale rinnovamento dei percorsi di integrazione previsti dall’art. 7 del Regolamento dell’obbligo formativo. L’attuazione dell’obbligo formativo in questo primo anno merita un particolare interesse e monitoraggio. Il sistema annunciato dalle leggi, soste- nuto da riflessioni sulla pari dignità dei percorsi scolastici e della FP, trova difficoltà ad imporsi per la sostanziale inerzia di alcuni Enti pubblici che hanno la titolarità di programmare e gestire e per l’ignoranza generale dell’esistenza di tale opportunità. Né i mezzi di comunicazione di massa né la maggioranza delle istituzioni scolastiche, preoccupate talora più di trattenere gli allievi che di orientarli a percorsi più idonei alle loro capacità, hanno aiutato giovani e famiglie a scoprire i valori delle diverse opportunità offerte. La creazione di un sistema di nuova FP iniziale rispondente alle esigenze dell’assolvimento dell’obbligo formativo richiede tempi lunghi, progettualità e verifiche continue. Perché possa avvenire è necessaria la riqualificazione dei CFP attraverso un’idonea formazione dei formatori, in modo particolare per la creazione di specifiche figure professionali. La Regione Lazio, che ha fatto da capofila nella progettazione e nella sperimentazione dell’obbligo formativo fin dall’anno 1999-2000, ha sentito l’esigenza di interventi formativi rivolti a tutti gli operatori impegnati nei progetti della nuova formazione iniziale. L’intervento formativo, a prescin- dere dal modo con cui viene realizzato, ha una valenza politica generale: non si può iniziare nulla di veramente innovativo senza prima informare e formare i principali attori del rinnovamento, che sono i formatori. Anche gli altri attori coinvolti nel processo, cioè adolescenti e famiglie, dovrebbero essere adeguatamente informati e orientati, perché senza infor- mazione e orientamento non vi può essere scelta libera e motivata. Su questo campo troppo poco è stato fatto. Se quanto previsto dalla legge non vuol restare una pura velleità senza risultati concreti, si richiede maggiore informazione, adeguata formazione 131 degli attori coinvolti nel processo educativo, capacità delle strutture forma- tive di organizzarsi per rispondere alle esigenze della nuova utenza. Per fornire supporti alla sperimentazione dell’obbligo formativo nei percorsi della formazione professionale iniziale il CNOS-FAP e il CIOFS/FP hanno messo a punto un progetto sperimentale, le cui linee giuda sono già state pubblicate nella rivista “Rassegna CNOS”. Il progetto è messo a disposizione di tutti come uno stimolo e un aiuto ad iniziare i percorsi, a perfezionarli, ad arricchirli anche dei supporti che le professionalità di tanti formatori sanno produrre. L’obbligo fissato dalla leg- ge produce un diritto e un’opportunità per gli adolescenti che solo l’impegno di tutti può rendere reale. In questo anno la sperimentazione è iniziata in molte Regioni: è prema- turo farne una valutazione, ma è significativo che anche in luoghi dove l’attività formativa rivolta agli adolescenti era da anni quasi abbandonata si sperimenti l’assolvimento dell’obbligo formativo nella FP. Sperimentazione dell’apprendistato Nessuno oggi nega l’importanza della formazione in alternanza. Pur- troppo per troppo tempo l’apprendistato in Italia è stato uno strumento di politica occupazionale e non delle politiche del lavoro e della formazione. Per questo il nuovo modello di apprendistato, con formazione obbligatoria anche fuori dal posto di lavoro, stenta a decollare come offerta per tutti gli apprendisti. Le numerose e diverse sperimentazioni che sono state attuate in questi anni hanno incontrato oggettive difficoltà organizzative all’avvio, ma con il passare del tempo sono aumentate e si sono consolidate. Sono stati programmati con finanziamento del Ministero del lavoro 1.566 1 corsi per 24.541 allievi in sei iniziative sperimentali, ma non tutte le attività sono iniziate. Al 31 dicembre 1999 risultavano avviati 747 corsi per 11.188 apprendisti: le difficoltà maggiori si sono incontrate nelle Regioni del Sud, dove erano avviati soltanto 23 corsi per 172 apprendisti. Un ulteriore passo verso la costruzione di un sistema di formazione per l’apprendistato è stato compiuto nel 1999/2000 con i piani regionali delle at- tività formative finanziate con le risorse previste all’art. 68 della legge 144/99 e suddivise tra le Regioni dal DM 302/99. La presenza di fondi ha spinto le regioni ad organizzare un sistema di regole per rendere attuabile la forma- zione fuori azienda. Con tali fondi sono stati programmati dalle Regioni poco meno di 5.000 corsi per circa 73.000 allievi, con netta prevalenza per le Regioni del Centro Nord. La maggior parte delle attività non sono ancora completamente avviate. Il successo delle varie sperimentazioni non è misurabile né si possono valutare le sue ricadute formative, che sono gli elementi che possono rendere appetibile la formazione fuori dell’impresa a giovani e imprese. L’esame dei 132 1 I dati sono attinti da ISFOL, Rapporto 1999, Franco Angeli, Milano, 1999, 362-368. risultati della sperimentazione nel settore metalmeccanico, la prima ad essere avviata, prendendo a riferimento quanto avvenuto nella Provincia di Torino 2 mette in luce un discreto successo formativo, legato al fatto che l’età degli apprendisti risultava compresa tra i 19 e i 24 anni, che erano per la maggior parte diplomati o qualificati e per questo sufficientemente motivati alla formazione (ISFOL, 2000, 46ss.). I percorsi dell’apprendistato per gli adolescenti dai 15 ai 18 anni sono validi per assolvere all’obbligo formativo. Se l’obbligo formativo non viene inteso solo come dovere per i giovani, ma come diritto ad entrare nel modo del lavoro con un diploma o una qualifica riconosciuta, anche il percorso dell’apprendistato nel periodo dell’obbligo dovrebbe avere come finalità il conseguimento di una qualifica riconosciuta. Potrebbe essere una strada appetibile per una parte di coloro che non intendono assolvere l’obbligo nei percorsi scolastici, ma le imprese si trovano ad affrontare ulteriori gra- vami, in quanto è previsto un ulteriore numero di ore di formazione fuori dall’azienda. Il percorso può diventare credibile solo per la contemporanea presenza di una diminuzione di costi contrattuali per l’impresa che assume apprendisti in età di obbligo formativo e di una buona qualificazione della formazione. In Germania, dove la FP è attuata nei percorsi dell’apprendistato cui è interessata oltre la metà dei giovani tedeschi, i docenti delle scuole profes- sionali che svolgono gli interventi fuori dell’impresa sono formati in specifi- ci corsi universitari e possono godere di una tradizione centenaria. Non si può supporre che basti una buona legge o una norma a far sì che anche in Italia questo tipo di formazione in alternanza decolli, ma occorre una seria politica di formazione dei formatori e di preparazione delle agenzie (CFP, scuole, ...) preposte alla formazione degli apprendisti. La formazione dei tutor aziendali, la formazione specifica per i formatori e i tutor d’aula chiamati a coprire le aree formative da svolgere fuori dall’impresa e la formazione dei datori di lavoro, perché vedano nella formazione un investimento importante sono alla base del successo nella sfida che le intese e la legisla- zione hanno voluto. L’accreditamento L’accreditamento delle strutture che intendono svolgere formazione pro- fessionale con finanziamenti pubblici era la strada indicata all’art. 17 della legge 196/97 per dare un quadro normativo che sostituisse quello previsto dalla 845/78 per selezionare i protagonisti del sistema formativo. Il Regola- mento attuativo di tale articolo non è giunto alla pubblicazione; un Accordo Stato Regioni ha riavviato il discorso. Alcune Regioni hanno già sperimenta- to per conto loro procedure di accreditamento delle strutture: “Rassegna 133 2 ISFOL, Formazione per l’apprendistato. Progetto per l’industria meccanica. I primi risultati, gli strumenti attuativi, la normativa vigente, Franco Angeli, Milano, 2000. CNOS” ha presentato i criteri e le procedure adottate per l’accreditamento dalle Regioni Emilia Romagna 3 e Piemonte 4. La sperimentazione di procedure di accreditamento attivate in questi anni ha fornito opportune indicazioni per stabilire un modello standard nazionale, che permetterebbe la creazione di un sistema di formazione pro- fessionale regionale omogeneo a livello nazionale, ma attento alle specificità locali. Se non vi saranno particolari difficoltà di ordine politico, la bozza pre- disposta dal gruppo di lavoro nazionale sull’accreditamento delle sedi formative potrebbe presto fissare gli standard minimi nazionali, in base ai quali ogni Regione potrà attivare le proprie procedure di accreditamento delle sedi formative. L’accreditamento delle strutture, pubbliche e private, seleziona a livello regionale le sedi atte a compiere attività formative. Le sedi operative potran- no essere accreditate relativamente ad una o più di tre macrotipologie di azioni formative: obbligo formativo (L. 144/99, art. 68), formazione supe- riore (formazione post-obbligo formativo, Istruzione Formazione Tecnica Superiore, alta formazione), formazione continua (occupati, persone in CIG e mobilità, disoccupati, apprendisti). 134 3 Cfr. “Rassegna CNOS”, anno 14 (1998), n. 2, 15-31. 4 Cfr. “Rassegna CNOS”, anno 16 (2000), n. 2, 65-72. 2001 Il cambio di secolo e di millennio si coniuga bene con l’intensa attività di innovazione che investe il sistema educativo italiano. Siamo anche al termine di una legislatura che, ed è un caso non comune nell’ultimo periodo del 2000, è durata cinque anni, se pur con più governi di centrosinistra. La continuità ha permesso importanti cambiamenti legislativi, in particolare relativamente all’istruzione, alla FP e al lavoro. Se la riforma legislativa si può considerare terminata, le normative ap- plicative delle leggi invece sono ancora in divenire, ma soprattutto la con- creta realizzazione delle riforme richiede tempi lunghi e impegno costante. “Rassegna CNOS” ha seguito, in questi anni, con puntualità e interesse l’evolversi legislativo, le normative regolamentari relative e ha cercato di farne comprendere la portata, le opportunità e le distorsioni che leggi e regolamenti possono produrre. Dallo scorso anno, in un’apposita sezione “Monitoraggio delle Riforme”, la rivista cerca non solo di presentare i documenti, ma di segnalare il modo con cui si stanno realizzando concretamente quelle parti della riforma che maggiormente interessano la FP. L’intenzione della rivista, anche nel corrente anno, continua ad essere in particolare quella di una valutazione critica delle riforme, ma anche la pre- sentazione di quello che sta avvenendo concretamente, nell’intento di pre- sentare buone prassi a quanti cercano proposte operative concrete per af- frontare con impegno i mutamenti emergenti. In quest’editoriale partiremo dall’esame dei classici documenti che ogni anno descrivono i mutamenti che avvengono nel sistema Italia, cioè il “Rap- porto ISFOL” e il “Rapporto CENSIS”. Il Rapporto ISFOL 2000 Anche quest’anno il Rapporto ISFOL 2000 traccia il quadro della situa- zione del Paese dal punto di vista del mercato del lavoro e dello sviluppo del sistema formativo. Nelle considerazioni generali, che danno l’angolatura per la lettura del Rapporto stesso, si parte dal considerare l’inizio di un secondo tempo della “partita” riforme. Il primo tempo, quello delle riforme legislative che ridise- gnano il sistema formativo italiano, è stato completato. Ora occorre mettere in moto il secondo tempo, quello della sua attuazione, perché sono molti gli esempi di grandi riforme rimaste di fatto disattese: dopo venti anni la rifor- ma del sistema formativo italiano, prevista dalla legge quadro 845/78, era rimasta a metà ed è stata superata senza essere completamente applicata. Il percorso da compiere è perciò lungo e impegnativo, tenendo presente an- 137 2001Editoriale n. 1 che il grande sforzo che la riforma della scuola e dell’università richiede con- temporaneamente. La gestione del complesso delle riforme richiederà da parte della pubblica Amministrazione di non limitarsi a verificare il rispetto di regole e procedure (funzione di controllo), ma di favorire l’attuazione di quanto previsto dalle nuove norme (funzione di sostegno e promozione). Per- ché nasca un sistema nazionale di FP, sarà indispensabile ridefinire le fonti di finanziamento, che in questi ultimi anni si sono spostate per il 70% sul FSE, portando alcune Regioni a tralasciare la formazione iniziale per mo- delli maggiormente finanziati di formazione continua. L’obbligo formativo impone finanziamenti nazionali e regionali stabili ad organismi con attività formative istituzionalmente strutturate. In tutto questo secondo tempo della partita, il decentramento s’impone come nuovo modulo di gioco. Questo comporta però l’assunzione da parte di tutti di standard e obiettivi comuni all’interno di un processo di raccordo tra centro e periferia. Inoltre occorre- rà evitare il rischio che si accresca ulteriormente il divario tra Nord e Sud del Paese, come si può ora rilevare dal divario di offerta formativa. Le nuove re- gole entrano in gioco pienamente nel 2001: il nuovo già emerge dal vecchio nell’apprendistato, nella formazione continua, nella nuova formazione ini- ziale, nella IFTS, nell’integrazione tra scuola e FP, nella sperimentazione di nuove certificazioni e nello sviluppo delle deleghe alle Province. Ma conti- nuano a mancare standard nazionali di riferimento, permangono notevoli dislivelli tra le diverse zone del Paese, manca un sistema diffuso di valuta- zione dei risultati conseguiti, i nuovi servizi per l’impiego sono lontani dal modello prefigurato dalla riforma. Tutto questo mentre stanno cambiando le dinamiche dell’incontro domanda offerta di lavoro: infatti, il peso della disoccupazione giovanile si sposta verso l’alto. Negli ultimi dieci anni il giovane disoccupato tipo è passato dai 20 ai 25 anni. Un ruolo fondamentale per sostenere il processo di inserimento nel modo del lavoro dovrà essere svolto dai nuovi servizi per l’impiego, che però devono percorrere ancora una strada molto lunga per raggiungere gli obiettivi che la riforma traccia. Dopo le considerazioni generali, il Rapporto ISFOL si sviluppa, con ab- bondanza di dati, su tre sezioni: I - Lavoro, professioni, politiche per l’occu- pazione; II - L’evoluzione del sistema scolastico e formativo; III - Politiche, iniziative e programmi comunitari. Il 2000 si è caratterizzato per una buona dinamicità sul versante dei provvedimenti per il lavoro. Nel frattempo, si sta portando gradualmente a compimento l’esperienza dei lavori socialmente utili, mentre è terminata quella delle borse lavoro, con buoni risultati occupazionali: 55.888 borsisti coinvolti e quasi il 37% di giovani occupati a sei mesi della conclusione della borsa. Buoni anche i risultati dei tirocini di orientamento: tra il ‘98 e il ‘99 sono state coinvolte 5.700 imprese mentre circa il 65% dei soggetti ha trovato occupazione. La costruzione di un’offerta formativa integrata costituisce una delle no- vità più interessanti dell’anno. Dopo l’introduzione dell’obbligo scolastico e 138 la riforma dei cicli, si è giunti all’introduzione del regolamento attuativo per l’obbligo formativo, fissato al diciottesimo anno di età. Un passo importante verso la costruzione di un sistema di alternanza tra scuola e lavoro, al quale sovrintendono i nuovi SPI (Servizi per l’impiego). Tra i percorsi offerti ai quindicenni in uscita dal sistema scolastico troviamo il nuovo apprendistato, che entro l’anno 2001 dovrebbe arrivare a coinvolgere oltre 90 mila giovani. Al termine dell’obbligo formativo il giovane può scegliere di seguire un per- corso di IFTS. Giunti ormai al secondo anno di sperimentazione, gli IFTS si avviano a diventare un’importante realtà del sistema formativo italiano, fa- cendo assumere al percorso di formazione professionale pari dignità rispet- to agli altri percorsi scolastici. Tutte queste novità dovrebbero contribuire a far crescere la partecipa- zione al sistema formativo della popolazione italiana, ancora nettamente inferiore agli standard dei Paesi dell’UE. In generale si osserva che cresce il numero di coloro che conseguono un titolo di scuola superiore, mentre per l’università si preferiscono i percorsi di laurea breve a quelli tradizionali. Si inizia ad apprezzare anche un progressivo innalzamento del grado di qua- lificazione del livello di istruzione delle forze lavoro, pur tenendo presente che nel 1999 la metà di queste ha al massimo la licenza media e che quanti hanno un titolo di istruzione universitaria sono ancora l’11%. Ciò evidenzia i netti progressi di un Paese in cui le forze lavoro con di- ploma o laurea sono passati nel corso degli ultimi dieci anni da poco di più di un terzo a circa la metà. Progressi che si misurano anche valutando la spe- sa complessiva per la FP che nel corso di pochi anni è quasi raddoppiata, passando dai 7.178 miliardi del 1991, ai 12.982 del 1998. Un impegno del quale si sono fatte carico in particolare modo le Regio- ni, per le quali si è registrato un forte aumento di spesa. Dal 1995 al 1998, infatti, si è passati dai 2.263 miliardi di spesa effettiva ai 3.630, con un in- cremento pari a oltre il 60%. Un aumento che si evidenzia anche prendendo in considerazione i dati di spesa per forza di lavoro: 100 mila lire nel ‘95, 160 nel ‘98. Decolla finalmente anche la formazione continua, con l’introduzione dei voucher individuali e dei congedi formativi. Rilevanti anche gli Accordi Stato-Regioni in materia di accreditamento delle sedi formative di educazio- ne degli adulti. In fine, è partita la nuova programmazione del FSE (2000-2006), grazie alla quale il nostro Paese potrà contare sulla disponibilità di risorse sia per attuare l’intero processo di innovazione sopra descritto, sia per accompa- gnarlo attraverso azioni di sistema destinate a sostenere le amministrazioni centrali e locali in questo compito così impegnativo. Rapporto CENSIS Nelle “Considerazioni generali” la nostra società è definita come sistema strutturalmente antico, sanamente alternativo, quindi complessivamente affi- 139 dabile. Il Rapporto precisa però che nell’integrazione europea siamo portatori di uno specifico primato del policentrismo; abbiamo un’economia reale capace di affrontare la globalizzazione in modo molecolare e di nicchia; il passo indietro dello Stato imprenditore doveva coincidere con lo sviluppo di uno Stato, se non minimo, almeno leggero; si va affermando una pericolosa disaf- fezione per l’interesse collettivo e per i processi di partecipazione sociopolitica. Nella sezione dedicata ai “Processi formativi”, trattando dell’educazione in una società orizzontale, il Rapporto rileva la necessità di dare risposte concrete a quattro ordini di questioni, ancora sul tappeto: la presenza di forme di analfabetismo funzionale che interessano più del 30% della popo- lazione adulta ed il 16% di quella giovanile tra i 16 ed i 25 anni; le difficoltà dell’autonomia e dei suoi operatori a ritrovare un’identità sociale, istituzio- nale e professionale; le difficoltà dell’università nel trasformare la propria vocazione e le proprie strutture organizzative da università d’élite ad univer- sità di massa; la difficoltà cronica a creare un rapporto diretto stabile tra offerta formativa, servizi per l’impiego e sistema produttivo, capace di generare risultati concreti e fruibili anche grazie ad un massiccio ricorso alle nuove tecnologie dell’informazione. Anche questo Rapporto mette in risalto l’opportunità e la difficoltà che l’attuazione dell’obbligo formativo fino ai diciotto anni fa sorgere nella fase attuale, in particolare per quei circa 100.000 giovani che, in media, escono fuori dal sistema scolastico dopo aver adempiuto l’obbligo. Anche il nuovo segmento dell’IFTS, insieme alla riforma dell’università e al miglioramento dei corsi di FP rivolti ai diplomati, mira a dare organicità e maggior aderenza ai fabbisogni, alla fascia dell’offerta post-diploma. Conferenza Nazionale del Lavoro Nei giorni 30, 31 gennaio e 1 febbraio di quest’anno, presso il Palazzo dei Congressi a Roma, si è svolta la “Conferenza Nazionale del Lavoro” dal signifi- cativo titolo “Il lavoro che sarà”, promossa dal Ministero del Lavoro e della PS. La Conferenza si è strutturata in lavori in aula, in sessioni per temi (cinque), in tavole rotonde. I grandi mutamenti avvenuti nel modo di lavorare, nelle politiche occupa- zionali e del lavoro sono stati alla base di questo confronto, voluto anche per met- tere in rilievo i successi nelle politiche occupazionali di questo ultimo periodo. Nella Relazione introduttiva, il sottosegretario Raffaele Morese ha esor- dito con l’affermazione che “la legislatura attuata dal ‘96 ad oggi ha riserva- to al lavoro grandissima attenzione… non è esagerato sostenere che è stata una delle più significative legislature ‘pro labour’ della storia repubblicana”. A partire da questa affermazione esamina i successi e le prospettive del lavoro nei prossimi anni che rendono il 2000 “uno spartiacque rispetto alla dura vicenda degli anni ‘90”. Il lavoro in prospettiva sarà al plurale, come numero di lavori durante la vi- ta, per cui diventano fondamentali la formazione iniziale e continua, in modo 140 particolare la FP. Ci saranno lavori nuovi e lavori vecchi, che saranno necessa- ri insieme. Il lavoro sarà nello stesso tempo legato al territorio (locale) e parte di un sistema globalizzato. Dall’equilibrio derivante da una “flessibilità scelta e controllata” deriva la possibilità di un lavoro scelto e flessibile. La flessibilità potrà coniugarsi con la sicurezza, con un sistema di garanzie sociali in un con- testo riformato. Il lavoro sarà “europeo”, perché, dopo gli anni indirizzati al risanamento finanziario, è diventato la priorità della politica dell’Unione. Le sessioni specifiche della Conferenza si sono focalizzate su temi im- portanti della situazione attuale: gli accessi al lavoro, la società dell’informa- zione e la qualificazione del lavoro, i nuovi servizi per l’impiego, il lavoro e lo sviluppo locale, la cooperazione e il non profit. Le sessioni specifiche hanno occupato una notevole parte della Conferenza e le conclusioni sono state poi presentate in plenaria. Le tavole rotonde hanno riguardato il futuro del lavoro, con la partecipa- zione di Bill Gates (Microsoft), François Nguyem Van Thuan (Pontificia Com- missione Justitia et Pax), Michel Rocard (Commissione lavoro del parlamento europeo), Juan Samariva (OIL), la conduzione di Tiziano Treu e le conclusioni di Cesare Salvi, Ministro del lavoro. La tavola rotonda su “La concertazione e i protagonisti” ha visto la partecipazione dei rappresentanti delle parti sociali e l’intervento di Giuliano Amato, Presidente del Consiglio dei Ministri. Ad una valutazione complessiva, la Conferenza è risultata importante per la riflessione su quanto è stato fatto e su quanto si potrà fare in prospettiva; non altrettanto si può dire sotto il profilo dialettico sia perché sono mancati completamente i punti di vista e le proposte dell’opposizione, sia perché sono stati completamente assenti esponenti del centrodestra, anche quelli i cui nomi comparivano nel programma. Opportunità e difficoltà della formazione professionale Dal rapido esame di alcuni contenuti del Rapporto ISFOL, del Rapporto CENSIS e delle tematiche trattate nella Conferenza Nazionale sul lavoro si evidenziano opportunità e difficoltà che la FP incontra in questo periodo. Alcune derivano dal lavorare in un medesimo contesto legislativo nazio- nale, ma confrontandosi con normative e capacità organizzative regionali molto diverse. Caso emblematico quello della Puglia, dove le attività forma- tive per l’anno 2000-2001 non sono ancora iniziate, anzi non vi è ancora un piano di formazione approvato. Il diritto dei giovani a trovare un’offerta di FP iniziale per assolvere all’obbligo formativo è in questa Regione pura- mente teorico, perché coloro che scelgono di assolvere all’obbligo nella scuola a settembre sono sicuri che le attività iniziano puntualmente, mentre coloro che vorrebbero scegliere la FP debbono attendere che si risolvano complica- ti intoppi burocratici. Chiaramente nei primi mesi dell’anno occorrerebbe programmare l’attività che deve iniziare a settembre, perché i giovani devo- no al termine dell’obbligo scolastico poter scegliere. Il divario Nord - Sud anche nella FP è una grande sfida, la cui soluzione non dipende dai finan- 141 ziamenti, che attraverso il FSE sono ben più abbondanti al Sud, ma dalla capacità della Pubblica Amministrazione delle singole Regioni. In questo contesto disomogeneo vanno inseriti due problemi importanti per il sistema formativo: l’accreditamento e il CCNL. L’accreditamento delle strutture formative sta alla base di un nuovo si- stema di FP, come era stato già nel ‘96 delineato dal cosiddetto “Pacchetto Treu”. Gli standard minimi fissati a livello nazionale e approvati dalla Con- ferenza Stato Regioni dovrebbero delineare un sistema di FP omogeneo a li- vello nazionale. Ma questo, per divenire realtà, ha bisogno di capacità di in- novazione sia a livello di Enti di FP ma soprattutto delle Regioni. Il timore è che un sistema complesso di certificazione possa restare sulla carta e non realizzarsi concretamente in tutta l’Italia, perpetuando differenze che si ri- percuotono inevitabilmente sulla qualità della formazione. Inoltre, un sistema omogeneo di FP regionale è assicurato anche da un CCNL. Come è noto, il CCNL della FP “convenzionata” è scaduto dal di- cembre 1997. Nel frattempo, Sindacati ed Enti non hanno potuto avviare il relativo rinnovo nell’attesa di un quadro istituzionale comune di riferimento. In primavera dello scorso anno, l’Associazione FORMA, che rappresenta la maggior parte degli Enti di FP, si è incontrata con i Sindacati Confederali Scuola con i quali si era stabilito un confronto comune con il Coordinamento delle Regioni al fine di individuare alcuni punti di riferimento per una piatta- forma politica che permettesse l’inizio delle trattative. All’incontro, rimandato al 29/11/2000, era presente il solo Assessore alla FP della Calabria coordinato- re per la FP delle Regioni, insieme ad alcuni Funzionari di altre Regioni. Suc- cessivamente, in data 6 dicembre 2000, Sindacati, Enti e Funzionari del Co- ordinamento delle Regioni sono giunti alla stesura di un documento comune da sottoporre all’approvazione delle Regioni, dei Sindacati e degli Enti. Pur in presenza di una Piattaforma di rinnovo contrattuale trasmessa da tempo dalle OO.SS. agli Enti di FP, non si potevano comunque avviare le trattative se non a seguito delle procedure concordate tra Enti e OO.SS. per coinvolgere politicamente il Coordinamento delle Regioni. A complicare il già difficile percorso delineato, è intervenuto un fatto nuovo derivante dalla presentazione della proposta di regolamento per l’ac- creditamento, fatta presso UCOFPL il 18/12/2000, nella quale si prevede che nell’accreditamento per le sedi operanti nel segmento dell’obbligo formativo si debba far riferimento al CCNL della FP “convenzionata”, escludendo però da tale impegno gli interventi diretti ad apprendisti in età di obbligo forma- tivo. Tale esclusione creava non poche difficoltà nel quadro di riferimento generale elaborato dagli Enti in accordo con le OO.SS. di categoria. L’Associazione FORMA esplicitava la propria posizione attraverso apposi- to telegramma alle OO.SS. interessate rilevando l’impossibilità di iniziare la trattativa se non a seguito di un chiarimento della questione posta in sede UCOFPL e alla disponibilità manifestata dal sottosegretario Morese per un proprio contributo di chiarificazione. Le OO.SS. di categoria, come è noto, hanno dichiarato strumentale la posizione di FORMA e hanno richiesto agli Enti di iniziare il confronto sul- 142 la Piattaforma presentata e, a sostegno della richiesta avanzata, hanno in- detto per gli operatori tutelati dall’attuale CCNL della FP “convenzionata” uno sciopero di quattro ore per la giornata del 5 febbraio 2001. La situazione non presenta soluzioni facili. Sono evidenti le difficoltà, anche economiche, in cui si trovano gli operatori e gli Enti nei confronti del nuovo assetto del sistema di FP regionale e di riforma di quello dell’istruzio- ne. D’altra parte, i benefici di un rinnovo contrattuale a livello nazionale, da tutti auspicabile, sembrano subordinati sempre più da situazioni diversifica- te tra Regione e Regione. In alcune Regioni, per esempio, sono ancora vigenti albi di formatori sulla base dei quali è assicurata dall’Ente pubblico la stabilità del lavoro, mentre in altre Regioni si finanziano le attività a bando, con la conseguenza pratica che “una riduzione di attività precedentemente ‘consolidata’ dell’o- peratore proponente, non dovrà comportare alcun onere aggiuntivo da parte dell’Amministrazione Regionale” (Direttiva della Regione Piemonte). Regole rigide eguali per operatori in situazioni così diverse potrebbero mettere a rischio la sopravvivenza di Enti in alcune Regioni, creando anche gravi difficoltà agli stessi operatori coinvolti. Anche da questi pochi cenni, appare evidente come il CCNL della FP può concorrere a consolidare una stabilità istituzionale di un sistema nazionale omogeneo di FP, ma nel medesimo tempo pone delle gravi difficoltà nelle trattative, perché può essere facile per tutti affermare che il nuovo CCNL dovrebbe essere diverso dal precedente, ma non è facile concretare in un articolato tale auspicata differenza. L’articolo 118 della finanziaria Due gravi problemi erano rimasti aperti per il riordino del sistema di FP quale era previsto dall’art. 17 della legge 196/97, in seguito alla non approvazione del Regolamento attuativo: il fondo per la formazione continua e il riordino degli Enti di FP. I due problemi sono stati affrontati e risolti con l’approvazione dell’arti- colo 118 della legge finanziaria per il 2001, prevedendo la costituzione di fondi di natura privatistica per la gestione delle risorse per la formazione continua e l’apporto di cento miliardi da destinare alle Regioni per favorire la ristrutturazione degli Enti di FP in vista particolarmente dell’accredita- mento delle relative strutture operative. Con questo intervento, unito al precedente Accordo Stato Regioni per l’accreditamento, la certificazione dei crediti e la ristrutturazione degli Enti, si può ritenere conclusa la difficile fase normativa legata alla mancata pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del Regolamento dell’art. 17 della legge 196/97. La sfida ora consiste nel realizzare quanto stabilito. 143 A termine di una legislatura che ha cercato di ammodernare il sistema educativo italiano e all’inizio di una nuova fase legislativa, potrebbe dimo- strarsi interessante valutare alcuni aspetti delle riforme e, contemporanea- mente, le linee di politica formativa e le attività intraprese dalla Federazione CNOS-FAP, prendendo come base di riflessione i suggerimenti che gli esperti dell’OCSE avevano dato all’inizio del percorso delle riforme. Infatti, su richiesta del Governo italiano, l’OCSE ha effettuato negli ultimi mesi del 1997 un esame della politica scolastica italiana, avvalendosi di un gruppo di esperti provenienti da diversi Paesi (Australia, Stati Uniti, Spagna, Francia e Svizzera), al fine di formulare un parere sulle proposte di riforma. Le informazioni necessarie sono state acquisite attraverso l’analisi e lo studio della legislazione e dell’organizzazione vigente, oltre che delle proposte di riforma, la verifica sul campo con visite in scuole e centri di formazione, la consultazione di rappresentanti del mondo politico, della realtà imprendi- toriale e sindacale, dell’amministrazione scolastica centrale e periferica. Il giudizio espresso dall’OCSE al termine della missione è contenuto nel Rapporto sulla politica scolastica italiana, presentato a Roma il 7 maggio 1998. Nel Rapporto sono formulate quattordici sintetiche “Raccomandazioni”, di cui qui riproduciamo alcune parti per confrontarle con quanto è stato realizzato nella passata legislatura. Seguiamo l’ordine in cui le raccomanda- zioni sono proposte, limitandoci a quelle che interessano direttamente o indirettamente la FP (Raccomandazioni 5-9). Alternanza e apprendistato (Raccomandazione n. 5) Raccomandiamo che le Autorità italiane predispongano una varietà di forme flessibili di formazione nell’ambito della scuola, in cui si alternino istruzio- ne e lavoro. Raccomandiamo, inoltre, la creazione di un sistema formale di apprendistato in aggiunta all’attuale “apprendistato sul posto di lavoro”. Tale sistema dovrebbe offrire una combinazione adeguata di apprendimento di abilità lavorative sia sul posto di lavoro che nell’ambito istituzionale, e offrire anche una componente significativa di istruzione più generale, por- tando a tre livelli di qualificazione: la qualifica, la maturità professionale, e il diploma tecnico post-secondario. Inoltre, nell’istituire un tale sistema di apprendistato, raccomandiamo la creazione di strutture adeguate per raffor- zare i legami tra le scuole, gli imprenditori e le loro associazioni. La 196/97 (Pacchetto Treu) ha legiferato nel settore, sia per quanto riguarda l’alternanza scuola e lavoro (Tirocini) sia per quanto riguarda l’apprendistato. Per quanto riguarda gli stage e i tirocini, l’art. 4 della legge 30/2000 (Ri- 145 2001Editoriale n. 2 ordino dei cicli), in riferimento al triennio della scuola secondaria, al comma 6 precisa: “Negli ultimi tre anni, ferme restando le discipline obbligatorie, esercitazioni pratiche, esperienze formative e stage possono essere realizzati in Italia o all’estero anche con brevi periodi di inserimento nelle realtà cul- turali, produttive, professionali e dei servizi”. La scuola apre con questo alla possibilità di esperienze di alternanza, pur prevedendole solo possibili e con una formulazione molto prudenziale (pos- sibilità che non deve toccare lo svolgimento delle discipline obbligatorie). La varietà delle forme di alternanza scuola lavoro potrebbero trovare una loro dimensione territoriale in base ai principi dell’autonomia delle scuole. Il fatto che la legislazione sui tirocini abbia come sorgente una legge riguar- dante i problemi del lavoro rendono evidente che la spinta innovativa arriva non dalla scuola, ma dal mondo del lavoro e dell’impresa. In questo settore la FP da anni ha attivato periodi di alternanza in tutti i percorsi formativi, anche nella formazione iniziale. Lo stesso Accordo Stato Regioni sull’obbli- go formativo prevede nei percorsi di qualifica della formazione iniziale la presenza indispensabile dello stage. Tra i documenti preparati nel progetto “Obbligo formativo” del CNOS-FAP e CIOFS/FP uno tende a dare supporti specifici proprio per la buona riuscita dello stage formativo, mettendo a frut- to la lunga esperienza maturata negli anni passati. Riguardo all’apprendistato, la risposta italiana alla proposte dell’OCSE è stata minimizzante. La 196/97, infatti, si limita a fissare le ore minime (120) di formazione fuori dall’azienda e a stabilire alcuni contenuti, che saranno poi definiti in appositi decreti. L’unico obiettivo che si può ricavare da tutto questo è il tentativo di fornire un innalzamento della base culturale degli apprendisti. Ma la lettura dell’art. 16 della 196/97 mette in luce che le preoc- cupazioni sono rivolte più verso politiche occupazionali (facilitazione nel- l’assumere i giovani). Il fatto poi che il percorso dell’apprendistato sia stato riconosciuto dall’art. 68 della legge 144/99 come uno strumento per assolve- re l’obbligo formativo fino ai 18 anni, con l’introduzione regolamentare di ulteriori 120 ore l’anno di formazione, non modifica sostanzialmente l’im- postazione. La formazione nell’apprendistato continua a mancare di obietti- vi precisi, quegli obiettivi che l’OCSE invece metteva ben in evidenza con tre livelli di qualificazione: la qualifica, la maturità professionale, e il diploma tecnico post-secondario. Non si parla di qualifica per gli apprendisti nem- meno nella formazione obbligatoria fino a 18 anni, perché anche le ulteriori 120 ore portano ad arricchimenti culturali nell’ambito delle conoscenze lin- guistiche (italiano e inglese), matematiche e informatiche. Le realizzazioni concrete di esperienze di apprendistato in questi anni hanno rilevato dif- ficoltà e dubbi; inoltre non si è provveduto a prevedere istituzioni che si specializzassero per la formazione degli apprendisti e, tanto meno, si sono formati i formatori a intervenire efficacemente con una fascia completa- mente nuova di allievi. Talora si è avuta l’impressione che fosse più importan- te, per gli enti pubblici, spendere i finanziamenti previsti e per gli attuatori accaparrarseli che non per seguire degli obiettivi formativi validi. 146 Istruzione superiore non Universitaria (Raccomandazione n. 6) Raccomandiamo l’istituzione di un sistema di istruzione superiore non uni- versitaria quale priorità per dare adito a una gamma più ampia di opzioni ter- ziarie al fine di favorire la transizione alla vita attiva. All’inizio ci si potrebbe basare sull’esperienza del diploma universitario in aree quali l’ingegneria e la gestione, e si potrebbe sfruttare la capacità degli istituti tecnici di sviluppare corsi di livello terziario, anche nel settore industriale. Queste due componen- ti dovrebbero essere integrate in un sistema di istituti tecnici superiori indi- pendenti. Raccomandiamo altresì che, nello sviluppare i dispositivi organiz- zativi e istituzionali, sia dedicata particolare attenzione alla flessibilità del- l’offerta, al partenariato con le imprese locali e ai bisogni locali. Inoltre, que- sti istituti dovrebbero essere promossi in modo che i genitori, gli studenti po- tenziali e i datori di lavoro diventino consapevoli della loro importanza e del- la probabilità di maggiori successi sul mercato del lavoro. Il Governo dovreb- be anche controllarne molto accuratamente lo sviluppo per assicurare che mantengano il loro fondamentale ruolo professionalizzante ed evitino una de- riva, assumendo le caratteristiche del sistema universitario tradizionale. L’istituzione degli IFTS dovrebbe essere la risposta adeguata alla Rac- comandazione. Soltanto alcune osservazioni per mettere in risalto alcune anomalie, che potrebbero portare al crollo del tentativo italiano di iniziare questo tipo di formazione. In primo luogo la titolarità di questi interventi è stata rivendicata fin dall’inizio dalle scuole superiori. Le prime sperimen- tazioni hanno avuto come titolari solo le scuole. Molti interventi, perciò, non hanno avuto un taglio professionalizzante; nemmeno hanno adottato la me- todologia universitaria, come paventava l’OCSE, ma si sono configurati, co- me un semplice proseguimento del quinquennio di scuola media superiore. Inoltre non sono previste strutture che possano specializzarsi nella forma- zione superiore non universitaria, “in un sistema di istituti tecnici superiori indipendenti”, come prevedeva l’OCSE. L’art. 69 della legge 144/99 ha stabilito che, per l’effettuazione degli IFTS, fossero previsti interventi integrati tra università, scuola, FP e imprese. Non nasce quindi un sistema di strutture, con sedi, personale, possibilità di crea- zione di una cultura nel settore, ma una serie di attività finanziate dietro ag- giudicazione di progetti per bando. Lo svolgimento di ogni attività prevede la formazione di una “Associazione temporanea di impresa (ATI)” tra i quattro attori previsti dalla legge. Il più delle volte il mandatario dell’ATI è una scuo- la. Con questo sistema è assicurato un percorso “integrato”, svolto per la maggior parte da scuole medie superiori. La dislocazione territoriale delle attività nel concreto viene a dipendere non dalle necessità del territorio, ma dalla disponibilità di fondi. Buona parte del finanziamento di tali attività vie- ne reperito nel FSE; poiché i fondi per le Regioni dell’obiettivo 1 sono molto maggiori di quelli delle altre Regioni, si troveranno in questi anni un gran numero di corsi nelle Regioni meridionali e molto di meno in quelle del Centro Nord. Inoltre risulta difficile capire come si possa creare un vero sistema di formazione superiore non universitaria attraverso delle ATI. Il giorno in cui diminuiranno i finanziamenti del FSE la formazione supe- 147 riore non universitaria non troverà più sostegno a livello delle Regioni (tito- lari di tutta la FP). Inoltre l’interesse delle università a partecipare alla formazione superiore non universitaria sembra destinato a diminuire, in quanto, con la creazione di un primo triennio universitario, tale formazione risulterebbe concorrente a quella universitaria. Come per l’apprendistato, anche per gli IFTS la strada intrapresa in Italia risponde alle raccomandazioni dell’OCSE, ma attraverso una struttu- razione ben diversa da quella suggerita. Le soluzioni concrete adottate dalla legislazione italiana sembrano dettate maggiormente da esigenze di media- zione tra la necessità di sperimentare dei percorsi completamente nuovi e quella di non creare strutture rigide difficili da usare in una fase iniziale. Se però non si creeranno strutture “visibili” sui territori dedicate alla forma- zione superiore non universitaria, difficilmente questa, dopo la fase speri- mentale, potrà consolidarsi, crescere e svilupparsi. Qualità della formazione (Raccomandazione n. 7) Raccomandiamo l’istituzione di un sistema nazionale per valutare la qua- lità della formazione tecnica e professionale, definire standard nazionali ap- propriati e controllare i miglioramenti istituzionali sulla base di questi stan- dard. In tale sistema devono essere rappresentate parti sociali a livello loca- le, regionale e nazionale. La funzione primaria di questo sistema sarà di as- sicurare la qualità dei programmi di formazione all’interno del sistema sco- lastico e nel sistema di formazione regionale, in particolare con lo scopo di facilitare gli scambi e i trasferimenti fra i due sistemi, mantenendo la loro in- tegrazione e la flessibilità dei percorsi individuali. Un’altra funzione sarebbe quella di accreditare e di approvare i programmi di formazione creati dalle iniziative locali, dalle associazioni, dalle imprese e dall’industria, in collega- mento, per esempio, con lo sviluppo di sistemi di apprendistato. La raccomandazione sembra in linea con le istanze di qualità, con cui in questi anni si sono confrontate la scuola e la FP. Quanto al cammino fatto per istituire un sistema nazionale di valutazione della qualità della formazione tecnica e professionale con standard nazionali appropriati non sembra si sia proceduto al di là del rilevamento di buone pratiche nella formazione. Decentramento e sistema nazionale di qualifiche (Raccomandazione n. 8) Nel contesto del decentramento alle regioni e della maggiore integrazione delle varie forme di istruzione professionale e tecnica, raccomandiamo che sia istituito un sistema nazionale di qualifiche, che questo sistema sia con- trollato dall’organo istituito per valutare l’istruzione professionale e tecnica e che sia associato a livelli significativi di studio conseguiti nella scuola post- obbligatoria. Raccomandiamo, inoltre, che il sistema sia impostato in modo da permettere agli studenti di accedere a ogni livello di qualificazioni attra- verso una varietà di percorsi: la scuola, la formazione regionale, l’apprendi- stato, corsi privati riconosciuti o qualunque combinazione di questi che risulti appropriato. 148 Quanto a standard nazionali, la difficoltà di una loro fissazione trova ostacoli notevoli a livello culturale e politico. Già la legge 845/78 aveva pre- visto la standardizzazione delle qualifiche della formazione iniziale, ma senza risultato. L’ISFOL ha intrapreso un tentativo di standardizzazione a partire dalla suddivisione di un percorso in unità formative capitalizzabili (UFC), incontrando però notevoli difficoltà, poiché tale sistema sembra più adatto per la formazione continua che per un processo di formazione iniziale, cui si riferisce l’OCSE. A livello politico, le Regioni in questi anni si sono mostrate sempre più gelose della loro autonomia anche nel fissare gli standard for- mativi o nel non fissarli: capita allora di trovare una stessa o simile denomi- nazione di qualifica, per raggiungere la quale in una Regione bastano 800 ore dopo l’assolvimento dell’obbligo scolastico mentre in un’altra ne occor- rono 2400. Tali qualifiche risultano evidentemente non confrontabili a livel- lo italiano e assolutamente incomprensibili a livello europeo. La standardiz- zazione a livello nazionale è prevista dal DL 112 e nell’Accordo Stato Regio- ni per l’attuazione dell’art. 17 della legge 196/97. L’enfasi di questi anni sulla certificazione di unità formative ha avviato il processo più nel senso della certificazione dei crediti per il passaggio tra sistemi scolastico, universitario e di FP verso gli standard finali di qualifica professionale. Anche in questo modo di procedere risulta evidente la scelta concettuale dell’integrazione dei percorsi formativi piuttosto che la precisazione dei loro obiettivi finali. Già nella terza Raccomandazione l’OCSE richiedeva “di introdurre una certa flessibilità negli itinerari degli allievi per far sì che l’istruzione che essi rice- vono possa adattarsi agli interessi ed ai ritmi d’apprendimento di ognuno. Tuttavia, vorremmo sottolineare che un’accumulazione di moduli o di credi- ti non costituisce una istruzione né una qualifica professionale”. Con il siste- ma delle UFC e dei crediti può sembrare che l’Italia voglia orientarsi invece verso la costituzione di una qualifica professionale quale somma di crediti e di UFC realizzate comunque. La raccomandazione prevede di impostare un sistema che permetta agli studenti di accedere ad ogni livello di qualificazione attraverso percorsi di- versi, perciò un sistema di riconoscimento di crediti formativi, ma dopo aver fissato gli standard finali di qualificazione a livello nazionale. È interessante notare che in Germania, mentre l’istruzione scolastica è di competenza dei singoli Länder, il sistema delle qualifiche è fissato a livello federale per ren- dere possibile la mobilità dei lavoratori su tutto il territorio. In Italia, invece, la definizione di standard nazionali di qualifica trova difficoltà, anche perché tale definizione di standard unitari porterebbe ad avere dei percorsi forma- tivi omogenei su tutto il territorio, impedendo che si formino tanti sistemi di FP quante sono le Regioni, almeno in quei settori della FP che sono più sistematici, come la formazione iniziale, la formazione superiore e l’appren- distato, se si creerà una prospettiva positiva di sviluppo. 149 Garanzie per lo studio e la formazione fino a 18 anni (Raccomandazione n. 9) Raccomandiamo che le autorità italiane esaminino in modo più approfondi- to il loro impegno di offrire una “garanzia” per lo studio e la formazione fi- no all’età di 18 anni per tutti quelli che lo desiderano e che potrebbero usu- fruirne. Pensiamo che la realizzazione di tale “garanzia” richiederà misure speciali nella scuola e sul posto di lavoro perché tutti i giovani possano otte- nere una qualifica professionale riconosciuta. Raccomandiamo, inoltre, che vengano individuate strutture per il monitoraggio individualizzato, grazie al quale rendere effettivo il diritto allo studio a livello locale. E raccomandiamo anche l’avvio di un’indagine sulle implicazioni di questa “garanzia” dell’i- struzione fino ai 18 anni per quanto concerne l’organizzazione e i costi della formazione, il sistema di monitoraggio e i servizi di orientamento, e che ven- ga istituito un sistema di monitoraggio dei giovani che abbandonano la scuo- la e del loro inserimento nella vita attiva, in modo che la “garanzia” possa es- sere realizzata efficacemente. Con l’istituzione dell’obbligo formativo fino ai 18 anni si può affermare che, a livello legislativo, l’Italia ha attuato pienamente la Raccomandazione. La regolamentazione ha trovato anche nei nuovi centri per l’impiego e nei loro compiti l’istituzione di un sistema di monitoraggio dei giovani che abbandonano scuola e formazione. Si richiede che tutti i giovani possano ot- tenere una qualifica professionale riconosciuta: l’assolvimento dell’obbligo formativo nei percorsi di apprendistato, così come si vengono a configurare, non prevede il raggiungimento di una qualifica riconosciuta. La struttura legislativa e regolamentare può essere considerata positiva, ma le realizza- zioni pratiche risultano lente e difficili. Conclusione Per concludere si può affermare che, anche se le raccomandazioni dell’OCSE costituiscono un autorevole parere, non sono l’unico metro per valutare quanto avvenuto nel campo della scuola e della FP nella passata le- gislatura. Tuttavia la loro autorevolezza non può non essere tenuta in conto senza validi motivi. In questi anni il sistema educativo italiano è stato interessato da grandi leggi quadro di riforma: i giudizi su tali leggi possono anche essere discor- danti tra loro. Il quadro legislativo generale può essere migliorato e cambia- to, tenendo presente che qualsiasi riforma troverà sempre difficoltà nel- l’essere accolta e attuata. L’augurio resta che il tema del sistema educativo italiano nel suo complesso resti al centro dell’attenzione politica nella nascente legislatura, perché i giovani italiani possano trovare istituzioni valide che li preparino ad entrare nella vita attiva come uomini, cittadini e lavoratori preparati adeguatamente per affrontare i rapidi e continui cambiamenti della società. 150 La legislatura appena iniziata ha portato al cambiamento della maggio- ranza e, perciò, del governo dalla nazione. Il nuovo Governo, per quanto riguarda le politiche della scuola e della FP, ha annunciato elementi di notevole diversità rispetto a quanto maturato nella precedente legislatura. L’editoriale tenterà una valutazione di quanto realizzato nella politica dell’educazione nella passata legislatura e una prima riflessione su quanto proposto all’inizio della nuova. Inoltre accennerà all’impegno della Federa- zione CNOS-FAP nella attuazione delle riforme. Valutazione delle riforme scolastiche e formative attuate nella passata legislatura La passata legislatura ha tentato un riforma globale del sistema educativo italiano, toccando scuola, FP e università. Le difficoltà interne alla maggioranza, l’opposizione tenace della mino- ranza e la difficoltà insita nelle questioni hanno fatto sì che venissero utiliz- zati sovente strumenti legislativi diversificati, che non hanno permesso di realizzare un quadro omogeneo di riforme. Solo alcune delle riforme, infatti, sono state varate tramite apposite leggi, mentre altre, anche importanti, sono state realizzate tramite articoli di leggi di natura diversa e strumenti di natura regolamentare. In materia di riforma della scuola, le principali realizzazioni dei Governi di centro sinistra hanno riguardato l’autonomia delle istituzioni scolastiche, il riordino dei cicli e la parità. L’autonomia, introdotta tramite un articolo in una legge di decentra- mento amministrativo (Bassanini), ha introdotto una radicale trasformazione nella gestione delle scuole, che ha trovato nella regolamentazione successiva le norme concrete di realizzazione. L’autonomia delle istituzioni scolastiche, pur con i limiti di una legislazione nata in un contesto di decentramento, stabilisce un radicale rinnovamento nelle modalità di gestione delle singole scuole, che richede un nuovo modo di porsi per tutti i protagonisti del mondo scolastico. Una legge apposita ha fissato i cardini del riordino dei cicli scolastici, rimandando a una specifica programmazione quinquennale la possibilità di concreta attuazione. L’inizio della sperimentazione, fissato per il settembre 2001 per i primi due anni della scuola di base, è stato bloccato sia da provvedimenti di tipo amministrativo sia dall’intervento del nuovo Governo, che ne ha spostato 151 2001Editoriale n. 3 l’attivazione di un anno e si è impegnato anche nella verifica complessiva della strutturazione dei cicli. La parità ha introdotto in Italia il sistema pubblico integrato di scuole statali e non statali paritarie. Lo scopo della legge è la valorizzazione di tutte le risorse impegnate nel sistema educativo. La mancanza di adeguati finanziamenti alle scuole non statali che entrano nel sistema della parità ha però confermato le difficoltà e lo svantaggio competitivo delle scuole non statali rispetto alle statali. La legge relativa all’elevamento dell’obbligo scolastico ai 15 anni ha trovato, grazie al principio dell’urgenza, immediata applicazione. È la legge meno significativa dell’intero pacchetto di riforma, che ha affidato l’esigenza di maggiore istruzione e formazione per i giovani italiani semplicemente alla frequenza obbligatoria di un anno di scuola secondaria superiore non ancora riformata. Poiché, nonostante le buone intenzioni, un primo anno di un percorso quinquennale non può rivestire contemporaneamente una finalità orientativa e una di inizio di un percorso specifico, la situazione di quei giovani “costretti a frequentare” un solo anno senza nessun obiettivo specifico non ha creato in loro molta cultura, ma piuttosto disagio e ulteriore fuga dall’istituzione scolastica. Del resto, anche prima dell’obbligo fino ai quindici anni, l’insuccesso scolastico nei primi anni di secondaria superiore è sempre stato notevole: non si è ovviato a tale stato di cose obbligando ad iscriversi anche chi non ne avesse intenzione. Per rendere appetibile la fre- quenza scolastica era necessaria una diversificazione maggiore di percorsi (ma anche quelli già esistenti della FP dopo la scuola media sono stati esclu- si a priori) e una loro riforma. La riforma del sistema di FP non è partita, come si poteva pensare, da un ripensamento della legge quadro del 1978. Per realizzare la riforma, si è scelto di introdurre le norme sulla formazione nell’apprendistato, sui tiroci- ni e sul riordino del sistema di FP nella legge dettante “Norme in materia di promozione dell’occupazione” (Legge Treu). Tale legge affidava alla regola- mentazione l’attuazione pratica delle norme. Mentre apprendistato e tiroci- ni hanno avuto una loro regolamentazione, il regolamento dell’art. 17 che stabiliva il riordino del sistema della FP, dopo tutto l’iter previsto fino all’ap- provazione da parte del Governo, non è giunto alla pubblicazione per inter- vento della Corte dei Conti, che ne ha ravvisato motivi di incostituzionalità. Accordi tra Stato regioni hanno permesso l’attuazione di parti del contenuto di tale articolo. Anche successive leggi hanno cercato di rideterminare a ter- mine quanto previsto dall’art. 17 della legge 196/97. Le difficoltà hanno per questo indebolito il quadro nazionale della FP, per cui la situazione è divenuta sempre più dispersiva e diversificata a livello regionale. Il sistema attuale della FP a livello nazionale resta determinato dalle norme della legge quadro 845/78, anche se alcuni articoli sono stati abroga- ti da Regolamenti o dal D.lgs. 112, di attuazione della Bassanini, alcuni sono superati da norme e accordi, che non hanno però potuto modificare l’impianto legislativo. 152 L’introduzione dell’obbligo formativo fino ai 18 anni (o meglio, come specificato nell’articolo di legge, fino la raggiungimento di una qualifica o del diploma) ha portato il sistema educativo italiano ad un traguardo im- portante a livello europeo. Inoltre l’istituzione della formazione superiore non universitaria tramite i percorsi IFTS ha inaugurato un segmento inesi- stente nel panorama educativo italiano. Anche queste innovazioni sono entrate a far parte del patrimonio legislativo italiano, in seguito ad accordi tra le parti sociali, attraverso una legge di riordino dei sistemi previdenziali. Non perdono di importanza per questo, ma la strada percorsa per la loro introduzione suscita la sensazione di interventi non approfonditi a livello istituzionale e, perciò, non sufficientemente percepiti a livello sociale. Per concludere, riguardo a quanto realizzato per il sistema della FP nella passata legislatura, si possono valutare: • in positivo – la nascita di un percorso di FP iniziale nell’ambito dell’obbligo formati- vo, capace potenzialmente di far sorgere un canale educativo distinto e integrato con quello scolastico per i giovani dai 15 ai 18 anni; – la sperimentazione di un canale di FP superiore non accademica attra- verso l’integrazione di scuola, FP, università e imprese; – la valorizzazione dei tirocini formativi come percorso integrato di formazione e lavoro; – l’introduzione della formazione fuori dell’impresa per i giovani in apprendistato; • in negativo – l’impossibilità per i giovani di scegliere i percorsi di FP nel momento in cui si scelgono percorsi differenziati dopo l’unicità della scuola media a causa dell’obbligo di frequentare fino a 15 anni la scuola; – la non omogeneità degli strumenti legislativi usati per riformare il sistema formativo, regolato dalla legge quadro del 1978; – la mancanza di obiettivi chiari e concreti da raggiungere al termine dei percorsi formativi dell’apprendistato; – la necessità di ATI tra i quattro soggetti interessati per poter attuare gli IFTS; ciò favorisce una continua progettualità, ma impedisce il formarsi di competenze e responsabilità consolidate e la creazione di strutture specifiche accreditate a svolgere attività di FP superiore non accademica. Le indicazioni programmatiche del nuovo governo Il Ministero del Lavoro e della P.S., che conserva la responsabilità dell’orientamento e della FP, all’inizio della legislatura non si è espresso sui problemi della FP e sui processi in atto (accreditamento, standard nazionali di qualifica, obbligo formativo, ecc.). Invece il Ministro dell’Istruzione Università e Ricerca ha tracciato, attraverso dichiarazioni programmatiche, la via che intende percorrere il Governo nella legislatura in campo educativo. 153 La riforma del sistema educativo resta proposito fermo del nuovo Governo: lo stessa sospensione dell’avvio della riforma dei cicli vuole essere l’avvio di riforme che coinvolgano tutti gli attori principali del processo. Il sistema educativo dovrà essere “moderno, competitivo ed innovativo... democratico, aperto, trasparente”. Viene prospettato come sistema “integrato nelle sue componenti statali e non, per un reale passaggio alla scuola di tutta la società civile”. L’attuazione di tali obiettivi comporta una ridefinizione del ruolo del- lo stato centrale, chiamato a divenire responsabile di indirizzo e di governo del sistema, ma ad abbandonare i compiti gestionali. Il Ministro si sofferma in particolare sul “punto centrale”, cioè la “neces- sità di riavviare il processo di riforma” di cicli, sciogliendo alcuni nodi urgenti, che vengono esplicitati. Afferma di voler valorizzare, in primo luogo, “la frequenza della Scuola dell’infanzia triennale ... ai fini del soddisfacimento di almeno un anno dell’istruzione secondaria”. L’affermazione sembra, però, in contrasto con lo spirito complessivo della proposta, che afferma che debbono prevalere sui vincoli procedurali quelli di risultato. Infatti, quale scopo potrebbe avere questo possibile credito se non quello di aggirare il vincolo dell’obbligo scolastico fino al 15° anno, come stabilito della legge 9/99 e ribadito, pur in un contesto diverso, dalla legge 30/2000? Lo strumento scelto per affermare che, nella prospettiva del- l’obbligo formativo fino ai 18 anni, lo stesso concetto di obbligo scolastico è superato sembra piuttosto artificioso e fragile; alcuni giovani, che potrebbe- ro essere i destinatari privilegiati dei percorsi di FP a 14 anni, ne sarebbero esclusi per non aver potuto frequentare la scuola dell’infanzia. La valorizza- zione della scuola dell’infanzia non passa attraverso questa via. Il Ministro si propone inoltre di costituire un nuovo e più ampio sistema di FP, di cui è necessario definire “la fisionomia istituzionale”, perché sia “graduale e continuo ... parallelo a quello scolastico ed universitario dai 14 ai 21 anni”, studiandone “la natura pedagogica, l’identità curricolare”. La creazione di un percorso di FP parallelo a quello scolastico è già stato avviato dalla legge 144/99, con la creazione dei nuovi percorsi di FP iniziale nell’ambito dell’obbligo formativo e di quella superiore tramite l’isti- tuzione degli IFTS, ma si tratta di un sistema che numericamente tocca pochi giovani. L’inizio del percorso a 14 anni presuppone che il termine del percorso unitario scolastico sia posto a tale età. La proposta di modifica della legge 30, infatti, prevede il termine della secondaria inferiore al 14° anno (dopo 8 anni di scolarità). Rimane il dubbio sul come sarà superata o reinterpretata la legge 9/99, che in questi ultimi anni ha impedito proprio l’inizio al 14° anno dei percorsi di FP. La scelta di percorsi di FP al termine di un percorso scolastico unitario è comunque una esigenza ineludibile. Il disegno di creare un sistema di istruzione e FP più ampio e con carat- teristiche di continuità per i giovani tra i 14 e 21 anni fa pensare sia neces- sario conglobare in tale sistema gli attuali Istituti Professionali di Stato e parte di quelli Tecnici. Il percorso ha tre obiettivi di professionalizzazione: 154 la qualifica, il diploma professionale e il diploma superiore. Viene introdotto, accanto o dopo la qualifica, il “diploma”, usando un termine di chiara deri- vazione scolastica. Si ha la sensazione che sia fissata una strutturazione adatta per gli Istituti scolastici che rilasciano diplomi e che potrebbero confluire nei percorsi di FP per una formazione di base, che sostituisca quel- la attuale per geometri, ragionieri, periti tecnici, ecc.. Per il raggiungimento della libera professione in tali settori, infatti, già ora si richiede il prosegui- mento degli studi nei corsi triennali universitari che, nella proposta attuale, potrebbero essere sostituiti dai percorsi triennali di FP superiore di durata fino al 21° anno di età. Probabilmente in questi tipi di percorsi non sarà utile introdurre una “qualifica” durante il percorso quadriennale che porta al diploma. Per l’attuale FP (forse anche per gli Istituti professionali), invece, il per- corso potrebbe prevedere una prima qualifica dopo tre anni (se si iniziasse al 14°), che permetterebbe di raggiungere l’obiettivo previsto dalla legge sul- l’obbligo formativo, la possibilità di una specializzazione (come già previsto dall’Accordo Stato Regioni per l’attuazione dell’obbligo formativo) e di percorsi di IFTS paralleli al canale universitario all’interno di CFP o Istituti scolastici. Gli attuali Istituti professionali necessiterebbero una radicale riconversione perché in questi anni si sono sempre più avvicinati a strutture di tipo “liceale”, allontanandosi dal modello professionalizzante che li ave- vano caratterizzati fino agli anni ‘80: dall’obiettivo di portare a “qualifiche” triennali direttamente spendibili sul mondo del lavoro, sono passati a quello del diploma quinquennale simile a quelli degli Istituti tecnici. L’intenzione di creare un sistema di FP paragonabile a quello scolastico per il numero dei frequentanti, comprendente un segmento non universita- rio di formazione superiore merita senza dubbio attenzione. La partecipa- zione al sistema di FP di Istituti professionali e tecnici darebbe vita ad un ampio sistema di FP, con forti connotazioni nazionali dovute alla presenza di istituzioni che attualmente sono “scolastiche”. La legislazione e la gestione del sistema formativo sarà però regionale, come riconfermato dalla riforma dell’art. 117 della Costituzione. La riforma costituzionale, infatti, stabilisce una legislazione concorrente tra Stato e Re- gioni per “l’istruzione”, “con esclusione della istruzione e della formazione professionale”, per le quali la competenza rimane soltanto regionale. Già il D. L. 112 demanda allo Stato centrale la definizione degli standard nazionali di qualifica, senza parlare di curricoli, mentre le proposte Moratti si centrano sui curricoli. L’intenzione del Ministro circa la creazione di un nuovo sistema di FP senza mai nominare le Regioni fa sorgere qualche dubbio sulla praticabilità del percorso. Inoltre, quale futuro sarebbe riservato all’attuale sistema regionale di FP, fatto di poche strutture pubbliche regionali o provinciali e di CFP gestiti da enti del privato sociale? I rilievi fatti ci portano, però, ad augurare al nuovo Governo che la realizzazione delle riforme intraprese, in modo da fornire strumenti sempre 155 migliori alle giovani generazioni per una loro piena crescita umana, che faciliti l’inserimento nella vita sociale e nel lavoro. L’impegno della Federazione Nazionale CNOS-FAP In un momento di grandi mutamenti del sistema della FP italiana, la Federazione Nazionale CNOS-FAP ha cercato di fornire supporti al fine di aiutare i CFP nella realizzazione concreta di quanto la legislazione e la normazione richiedono. In primo luogo, d’intesa con il CIOFS/FP, ha proposto un ampio progetto per la FP iniziale dei giovani in obbligo formativo. Tale proposta ha trovato buona accoglienza presso molti CFP e ha interessato anche alcune Regioni ed altri enti. Fornisce, infatti, linee progettuali e supporti operativi conformi ai contenuti dell’Accordo firmato dalla Conferenza Stato Regioni per l’attua- zione della legge sull’obbligo formativo. Nell’anno formativo 2000/2001, con l’inizio della sperimentazione del progetto, la Federazione ne ha monitorato la realizzazione concreta e al termine del primo anno ne ha raccolto e valutato i risultati quantitativi. Il monitoraggio continuerà sulla sperimentazione del secondo anno, racco- gliendo anche le buone prassi rilevate. Alla fine della sperimentazione dei due anni di percorso previsti si potrà giungere ad una nuova stesura del progetto, che tenga conto dei risultati conseguiti sul campo. Inoltre, sempre nell’ambito dell’obbligo formativo, la Sede Nazionale ha prodotto un “Dispositivo di validazione delle figure professionali”, a partire da quelle contenute nel progetto CNOS-FAP e CIOFS/FP. L’iniziativa può essere un contributo alla definizione degli standard minimi di competenza previsti dal DM 31 maggio 2001 sulla “Certificazione nel sistema della for- mazione professionale”. Inoltre, con l’aiuto di un gruppo di formatori, ha messo a punto un documento sulla prova professionale di qualifica, con la “Guida alla prova professionale”, da poter sperimentare nel giugno 2002 al termine del percorso biennale della formazione iniziale nell’obbligo formativo, facilitando la verifica dell’omogeneità della competenze raggiunte a livello nazionale. In vista delle procedure di accreditamento regionale delle sedi operative di FP, la Sede Nazionale del CNOS-FAP ha messo a disposizione delle sedi della Federazione alcuni strumenti, tendenti a salvaguardare i valori propri dell’esperienza della FP salesiana. La ricerca sulla formazione dei formatori alla luce dell’accreditamento delle risorse umane, già illustrata su “Rassegna CNOS”, ha permesso di conoscere il punto di partenza per un progetto di fattibilità per l’accreditamento interno delle sedi formative. La “Carta dei va- lori della formazione del CNOS-FAP” permette di stabilire le basi per tale ac- creditamento, assicurando la corrispondenza delle attività formative svolte con gli obiettivi comuni della Federazione. È stato inoltre predisposto un progetto per l’accreditamento delle sedi orientative, che può aiutare i Centri che intendono accreditarsi presso le 156 Regioni anche per l’orientamento, come previsto dal regolamento nazionale. La Federazione Nazionale CNOS-FAP, attraverso queste azioni, non solo dà un supporto alle proprie sedi, ma sperimenta concretamente quanto le riforme richiedono, crea supporti per una loro attuazione, ne verifica la fattibilità e ne valida i risultati, mettendo a servizio di tutto il sistema formativo quanto di buono viene realizzato. 157 2002 Il cambiamento di maggioranza e di governo avvenuta a seguito delle elezioni ha frenato alcuni dei percorsi di attuazione delle riforme, intraprese durante la precedente legislatura. In particolare il blocco dell’attuazione della legge 30/2000 sul riordino dei cicli scolastici ha aperto la strada a un nuovo progetto di ristrutturazione dell’architettura del sistema educativo italiano. Senza fermare l’attenzione a tutto il sistema educativo, ma soffermando- ci sulla riforma del ciclo secondario, si può rilevare che la legge 30/99 e il DdL approvato dal Governo si ispirano a filosofie nettamente diverse. In particolare è diverso il modo di concepire le relazioni tra il sistema del- l’istruzione “liceale” e quello dell’istruzione e FP. La legge 30/2000 prevede la licealizzazione di tutti gli attuali percorsi scolastici e stabilisce che tutti i giovani percorrano i primi due anni del ciclo secondario dell’istruzione “liceale”. Solo dal 15° al 18° anno di età, per assol- vere all’obbligo formativo, i giovani possono scegliere anche percorsi di FP, a tempo pieno o in alternanza nell’apprendistato (art. 68 della legge 144/99). Sia nell’ultimo anno dell’obbligo scolastico ma anche nel triennio successivo la presenza della FP è pensata in funzione di integrazione rispetto ai percor- si scolastici. Su questo tema basti considerare l’art. 7 del Regolamento attuativo della legge sull’obbligo formativo, che prevede la qualifica e il di- ploma attraverso il percorso scolastico integrato. L’enfasi è posta, perciò, maggiormente sull’integrazione dei percorsi scolastico/formativi che non sul- l’integrazione dei sistemi scolastici e formativi: il sistema della FP regionale resta marginale, con l’unica finalità di integrare percorsi scolastici con la cultura e la pratica del lavoro. Il DdL dell’attuale Governo prevede, invece, la creazione di un sistema a doppio canale distinto: quello scolastico “liceale” e quello dell’istruzione e FP. Strutturalmente diversi come approccio pedagogico didattico, anche se non separati grazie alle “passerelle” (integrazione a livello di sistema e non di percorso), mirano all’unico obiettivo della formazione dei giovani ed ad assicurare a tutti i livelli essenziali di conoscenze e competenze necessarie per affrontare la vita e il lavoro. Tutto questo presuppone il passaggio dell’i- struzione professionale e di parte di quella tecnica nel sistema della “istru- zione e formazione professionale”, al contrario della legge 30/2000 che crea i licei “tecnici e tecnologici” nel sistema scolastico, senza esplicite finalità professionalizzanti. La riforma dell’art. 117 della Costituzione, inoltre, stabilisce per il sistema dell’istruzione una legislazione concorrente tra potere dello Stato e delle Regioni e competenza legislativa delle Regioni per il sistema della istruzione e FP, rimandando a livello nazionale solamente la possibilità di fissare gli 161 2002Editoriale n. 1 standard minimi da raggiungere per assicurare i livelli essenziali garantiti costituzionalmente a tutti i cittadini. Se per la riforma dei cicli “Berlinguer - De Mauro” la competenza regionale restava limitata all’esistente FP regionale, nel caso del DdL “Moratti” tale competenza risulta ampliata a tutta “l’istru- zione e formazione professionale”. I problemi giuridici e pratici che si pos- sono intravedere rendono difficile prevedere quale sarà in futuro la struttu- razione definitiva e complessiva del sistema educativo italiano. Ai problemi strutturali del ciclo secondario si aggiungono inoltre i mutamenti del sistema universitario, la creazione del sistema di formazione tecnica superiore non universitaria e il consolidamento della istruzione e formazione lungo tutto l’arco della vita. “Rassegna CNOS” cercherà di intervenire con propri apporti nella discus- sione in corso; continuerà inoltre a monitore l’attuazione delle riforme già avviate, in particolare per quanto concerne i percorsi dell’obbligo formativo. I cambiamenti costituzionali che interessano scuola e FP La definitiva approvazione attraverso Referendum della legge costituzio- nale n. 3 di modifica del Titolo 5° della Costituzione ha introdotto novità, che interessano concretamente il sistema educativo italiano. La legislazione ordinaria nell’ultima legislatura aveva trasferito una serie di competenze dallo Stato agli Enti locali, rovesciando il principio che tutta la legislazione è di competenza statale eccetto quella esplicitamente delegata ai livelli periferici in quello che tutto è di competenza periferica tranne quello che è esplicitamente riservato allo Stato. Questo trova fondamento costituzionale forte, partendo dal principio di sussidiarietà, in quanto Regioni, Province, Comuni non sono ripartizioni della Repubblica, ma è la Repubblica che “è costituita dai Comuni, dalle Pro- vince, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato” (art. 114). Deriva perciò dal dettato costituzionale il diritto/dovere degli Enti territoriali di interessarsi del sistema educativo, quasi a ricordare che l’istru- zione di base è nata dal basso, nei Comuni, prima di essere trasformata in “statale”. Anche il nuovo art. 117 della Costituzione introduce novità che riguar- dano il sistema educativo italiano. Nel fissare quali sono le “materie di legis- lazione concorrente” esplicita “istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale”. In primo luogo si nota che è riconosciuta costituzionalmente, anche se attraverso un inciso, “l’autonomia delle istituzioni scolastiche”. È recepita costituzionalmente la più importante tra le novità introdotte nell’ordina- mento scolastico dalla passata legislatura, dopo i tentativi intrapresi nelle precedenti legislature e non giunti a termine. L’affermazione dell’autonomia, che va salvaguardata anche a livello locale, mette in rilievo che né lo Stato, né le Regioni, né altri Enti locali possono essere i “gestori” unici di una scuola. L’autonomia è una caratteristica propria delle istituzioni scolastiche ricono- 162 sciuta dalla Costituzione, non “concessa” da leggi e regolamenti. Stato e Regioni possono legiferare per quanto riguarda la scuola (competenza con- corrente), ma non possono invadere il campo dell’autonomia delle singole istituzioni scolastiche. La competenza legislativa è solamente regionale per quanto riguarda “istruzione e formazione professionale”: anche in questo caso, almeno per analogia, fatta salva “l’autonomia delle istituzioni di istruzione e formazione professionale”. La competenza unica regionale mette in discussione la possibilità di leggi nazionali, che regolino l’istruzione e FP. Alla legislazione nazionale spetta la determinazione “dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il ter- ritorio nazionale”: il diritto alla “formazione” fino al 18° anno è certamente tra di diritti civili e sociali da garantire su tutto il territorio nazionale. Il “Rapporto ISFOL 2001” Come ogni anno, a novembre è stato presentato il “Rapporto ISFOL 2001”. Il sottotitolo del rapporto è “Federalismo e politiche del lavoro”. Il “Federalismo” nelle politiche del lavoro è frutto di una “certa continuità” legislativa e normativa, nonostante un cambio di Governo e di maggioranza politica. Le difficoltà nel passare da una gestione centralizzata ad una ter- ritoriale delle politiche del lavoro non sono mancate e non mancano: la moltiplicazione dei titolari di azioni di governo delle politiche del lavoro necessita di tempi e di strumenti per la sperimentazione e il coordinamento. Le Regioni hanno ampliato lo spazio loro riservato; le Province sono dive- nute titolari di azioni prima riservate allo Stato. La legislazione “federalista” in questo campo ha trovato conferma nello spirito e nelle norme della rifor- ma costituzionale votata al termine della XIII legislatura e approvata con il Referendum dell’ottobre scorso. Il sistema della FP regionale, a causa della Legge Costituzionale e del- l’insediamento del nuovo Governo, ha iniziato anche una nuova prospettiva di riorganizzazione, in modo particolare riguarda la formazione iniziale nel- l’obbligo formativo (DdL Moratti). Nel frattempo il 2001 ha visto l’emanazione degli ultimi provvedimenti attuativi della legge 196/97, che hanno trasformato profondamente il sistema della FP regionale tramite: – l’istituzione delle Fondazioni per la formazione continua; – la fissazione degli standard per l’apprendistato in obbligo formativo; – le norme per l’accreditamento delle sedi formative e orientative; – la certificazione nel sistema di FP. La contemporaneità tra percorsi di riforma e di decentramento ha creato difficoltà e aumentato la disomogeneità a livello territoriale. Ci si può fare un’idea di questo rilevando la difficoltà di collaborazione tra Regioni, Province, servizi per l’impiego, scuole e CFP nell’“intercettare” i giovani che 163 164 escono dal sistema scolastico per indirizzarli verso le opportunità di percor- si formativi previsti legislativamente. Nonostante le difficoltà, il “Rapporto” segnale le positività: – il passaggio a regime dell’apprendistato, con opportunità offerte a un sempre maggior numero di giovani lavoratori; – il rafforzarsi della formazione tecnica superiore, con numeri di parteci- panti in continua crescita; – lo sviluppo dell’educazione degli adulti nei Centri territoriali per l’edu- cazione permanente; – la crescita della formazione continua, che rimane però a livelli bassi rispetto alla media europea. Dal punto di vista finanziario, la spesa per la FP nel 2000 è cresciuta, favorendo la diversificazione dell’utenza e dei servizi formativi offerti. Le dif- ficoltà finanziarie regionali sono riequilibrate sia da interventi statali (cfr. obbligo formativo), sia soprattutto da interventi comunitari, che coprono il 70% della spesa per la FP. Il “Rapporto” si pone l’interrogativo sul come possa definirsi sistema nazionale una realtà che dipenda quasi totalmente da finanziamenti comu- nitari: questi dovrebbero essere sussidiari per l’innovazione. La dipendenza da fondi comunitari porta ad equivoci nel sistema di finanziamento delle attività a carattere strutturale e ricorrente, che pure rappresentano una pare significativa del sistema formativo. È quanto sta succedendo per la forma- zione iniziale per l’obbligo formativo. Le Regioni, per poter accedere al FSE, la mettono a bando, non tenendo conto del carattere istituzione italiano e della necessità di creare un canale accreditato e stabile. La prospettiva futura di un rafforzamento del sistema regionale di istru- zione e FP, come prevista dal nuovo Governo, mette in evidenza questioni di fondo irrisolte: tra di esse la grave sfasatura di un obbligo scolastico, che ter- mina con il primo anno di un nuovo ciclo, pregiudicando un corretto pro- cesso di orientamento e di scelta dei percorsi da parte dei giovani. Anche la problematica del rapporto tra i percorsi scolastici professionalizzanti degli istituti professionali di Stato e i percorsi formativi dei Centri di FP regionali rimane irrisolta. Il sistema scolastico lascia intravedere qualche difficoltà in più: ne fa da spia il tasso di diplomati, che, dopo anni di crescita, rimane stazionario sul 70%, nonostante il lieve aumento dei tassi di partecipazione al complesso del- la scuola secondaria. Evidentemente al maggior afflusso ai primi anni della secondaria dovuto alla legge 9/99 corrisponde un più alto abbandono negli anni successivi. Fino a questo punto abbiamo seguito le “Considerazioni generali” intro- duttive al “Rapporto”. Le tre sezioni su cui si sviluppa riguardano “Lavoro, politiche per l’occupazione e fabbisogni professionali”, “L’evoluzione del si- stema scolastico e formativo”, “ La strategia europea per l’occupazione, la for- mazione e la coesione sociale”: queste parti sono arricchite da un gran nume- ro di dati statistici e di tabelle, che supportano le riflessioni e considerazioni. Tra i dati merita un commento quello riguardante la formazione iniziale (I livello o di base, I e II annualità), rivolta ai giovani in uscita dall’obbligo scolastico. I dati sono relativi al 1999/2000, cioè all’inizio delle problematiche legate all’innalzamento dell’obbligo scolastico, che ha impedito a una classe di età di scegliere i percorsi della FP. Gli iscritti risultavano 107.956 ripartiti su due annualità, perciò circa 54.000 allievi ognuna. Nello stesso anno erano iscritti al primo anno della secondaria superiore 542.556 allievi, ci cui 133.210 negli Istituti professionali. Gli iscritti al primo anno della FP regio- nale sono circa la decima parte di quelli nuovi iscritti nella secondaria, ma oltre un terzo degli nuovi iscritti agli Istituti professionali. La brevità dei per- corsi di FP, legata alla legge 485/78 che ne fissava la durata massima in 4 ci- cli da 600 ore massimo ognuno, fa apparire la FP meno scelta di quanto lo sia realmente. Su 187.000 giovani che scelgono un percorso professionaliz- zante (Istituto Professionale o FP), quasi il 30% opta per i percorsi della FP regionale, pari a circa 9% di una classe di età. Il “35° Rapporto sulla situazione sociale del Paese 2001” del CENSIS Ci limiteremo ad esaminare brevemente il Capitolo Primo della terza par- te del “Rapporto”, che prende in esame i “Processi formativi”, soprattutto le tesi interpretative dei fenomeni evidenziati nel sistema educativo italiano. Il “Rapporto” mette in risalto come, in linea con i processi in atto in Eu- ropa, anche in Italia si sono affermati i principi dell’autonomia scolastica, della centralità dello studente, del decentramento di competenze, della for- mazione come strumento delle politiche attive del lavoro, nella prospettiva di un apprendimento lungo tutto l’arco della vita. Ma il passaggio dai principi all’operatività è bloccata dall’eccesso di for- malismo, per cui la scansione temporale dei cicli, cioè la pura architettura del sistema, ha trovato maggior interesse che non i contenuti e gli obiettivi. Anche la spinta all’autonomia sembra non trovare più stimoli, trovando più facile realizzare modifiche di struttura (calendari, orari, extracurricolare, ecc.) che incidere nel modo di fare scuola. L’integrazione tra istruzione-for- mazione-lavoro ha mortificato le specificità e le finalità ben distinte dei si- stemi per dare risalto ai tecnicismi dell’integrazione. L’obbligo formativo ha più bisogno di sedimentazione culturale che di meccanismi coercitivi rivolti ai giovani. Il “Rapporto” mette in risalto la necessità di valorizzare i percorsi professionalizzanti di base del circuito scolastico e formativo, assicurando la manutenzione dei contenuti formativi. Resta un obiettivo fondamentale non ancora raggiunto la verifica dei risultati dell’insegnamento e la valutazione del funzionamento complessivo del sistema scolastico e formativo. Il “Rapporto” inoltre mette in evidenza la necessità di ricostruire con- senso intorno alle istituzioni formative, che sono i soggetti reali sui quali si basa la valorizzazione del capitale umano, strategico per il cambiamento. 165 Le tesi interpretative fanno da supporto allo studio della rete dei feno- meni legati a scuola e FP e all’analisi degli indicatori di sistema, che com- mentano in maniera puntuale i dati afferenti al sistema educativo italiano, anche in paragone a quelli dei Paesi europei o OCSE. Il CCNL della FP L’incertezza sul futuro dell’assetto istituzionale della FP regionale ha por- tato ad uno slittamento nell’iniziare la trattativa per il rinnovo del CCNL, scaduto il 31 dicembre1997 e pesa sull’andamento della contrattazione. Su alcuni punti si sono raggiunti accordi (orario di lavoro, adeguamento delle retribuzioni e, in particolare, la necessità di una parte di contratto di com- petenza regionale). Le disomogeneità regionali, il passaggio dall’affidamento diretto delle attività “convenzionate” alle modalità concorsuali dettate dal- l’uso quasi esclusivo di risorse derivanti dal FSE, le diversificazioni delle azioni formative sviluppate da uno stesso soggetto erogatore hanno creato la necessità di un mutamento di approccio contrattuale. Tutto questo non ha permesso di concludere la trattativa, anche se la durata del contratto sarà breve, essendo prevista la scadenza a giungo del 2003, quando sarà obbliga- torio per tutte le istituzioni che sono interessate a lavorare nel campo della FP l’accreditamento regionale. L’accreditamento, però, non richiede, se non per le azioni da svolgere nell’ambito dell’obbligo formativo, di adottare il CCNL della FP. Questo fatto crea notevoli problemi nel configurare il nuovo CCNL, perché gli Enti di FP che usano tale contratto continueranno a doversi confrontare nell’ambito della formazione superiore e continua con agenzie che adottano modelli contrattuali meno costosi e più flessibili. 166 Al blocco dell’attuazione della riforma dei cicli voluta dai governi di centrosinistra della scorsa legislatura ha fatto seguito una nuovo proposta di legge, che ha iniziato il suo iter parlamentare e anche il tentativo di speri- mentare in alcune Regioni dei percorsi nuovi triennali di FP, che prefigurino la costituzione di un sistema regionale di istruzione e FP. Inizio dell’iter parlamentare del DdL Moratti alla Commissione Cultura del Senato Il DdL 1306 (“Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia d’istruzione e di formazione professionale”) ha iniziato il suo iter parlamentare nella VII commissione del Senato. Alla conclusione della discussione generale, prima della presentazione degli emendamenti, il Ministro dell’istruzione università e ricerca Letizia Moratti è intervenuta per rispondere agli interrogativi che i Senatori avevano espresso nel corso del dibattito. Alcune risposte possono chiarire quali sono gli intenti che il Governo vuole perseguire con il DdL delega in discussione: ci soffermiamo sulle risposte riguardanti il tema dell’istruzione e FP. Evidenziando quanto espresso dal senatore Favaro nella discussione in Commissione, il Ministro afferma che “in Italia la mancanza di una valida al- ternativa agli studi liceali ha privato troppi giovani di opportunità di forma- zione che valorizzassero le loro inclinazioni, attitudini e capacità e consen- tissero loro di mantenere un rapporto positivo, perché utile per il loro avve- nire e perché attento ai loro progetti, alla loro intelligenza e alle loro aspet- tative, con il sistema di formazione. È avvenuto, invece, che i ragazzi, co- stretti alla frequenza dell’unico canale liceale o di scuole licealizzate... ab- biano preferito abbandonare completamente gli studi ed alimentare quella dispersione scolastica, e da qualche anno anche formativa, che rappresenta il vero punto di crisi del sistema italiano e che ne minaccia la credibilità e la legittimità presso i giovani e le loro famiglie. Da questo punto di vista l’ob- bligo scolastico, se disgiunto da un vero successo educativo è un non senso”. Queste affermazioni sono in sintonia con quanto “Rassegna CNOS” in molti interventi ha sostenuto; anche le ricerche hanno messo in evidenza che le pari opportunità di istruzione e formazione per i giovani non si realizzano offrendo a tutti percorsi scolastici con un unico approccio metodologico, ma allargando il ventaglio delle opportunità. Afferma sempre il Ministro: “Se si vuole innovare profondamente l’offer- ta di formazione, si devono comprendere i giovani e le loro scelte, ... bisogna 167 2002Editoriale n. 2 offrire loro quell’opportunità educativa che è stata loro negata. Non è affat- to detto che questo possa avvenire obbligandoli a rimanere più a lungo a scuola, ... Al contrario, ... introducendo flessibilità e differenziazione dei per- corsi di istruzione e formazione nei modi, nei tempi e negli sbocchi, si offre agli studenti una reale possibilità di personalizzazione del progetto formati- vo di ciascuno... Nel provvedimento in discussione, il sistema amplia la gam- ma dell’offerta formativa consentendo ai giovani di conseguire qualifiche e diplomi professionali che rispondano ai loro bisogni e alle loro aspettative a partire dal quattordicesimo anno di età”. La risposta del Ministro prende avvio da interventi di Senatori che pre- sentano i percorsi di FP come un puro addestramento, rivolto a preparare la- voratori a bassa qualificazione in funzione di richieste aziendali, senza nes- suna preoccupazione culturale. Questi Senatori paventano perciò che un ini- zio precoce di tali percorsi possa impedire quella formazione culturale, che è un diritto vero di ogni giovane. Il loro punto di vista, inoltre, parte dal con- cepire come cultura solo quella di matrice letteraria umanistica, ritenuta co- me unica valida nella tradizione italiana. Ma il tenere i giovani nelle aule non basta per aumentare la loro cultura: già tra coloro che terminano i percorsi dell’attuale scuola media inferiore si trovano ragazzi culturalmente regrediti, pur rimanendo tra i banchi, anche relativamente a quanto avevano appreso nella scuola elementare. La possibilità di scegliere tra percorsi mirati diversi a 13 anni tra un “liceo classico” e un “liceo tecnico tecnologico”, come è stabilito dalla legge 30/2000, non aveva creato problemi di “giovane età” o “immaturità” per scegliere. Se invece si tratta della scelta di un percorso di FP, l’incapacità del ragazzo di scegliere diventa manifesta e l’età giovane diviene un motivo grave per impe- dire le scelte. Qualsiasi scuola va bene e si può scegliere (per definizione pre- para culturalmente), mentre scegliere un percorso diverso no (almeno occor- re arricchirlo culturalmente, preferibilmente in integrazione con la scuola!). Se la scelta dei percorsi differenziati non può essere fatta nello snodo in cui tutti i ragazzi sono chiamati a scegliere, la FP, con i suoi percorsi, dovrà con- tinuare ad accontentarsi degli espulsi dal sistema scolastico, come avviene già ora in conseguenza del termine dell’obbligo scolastico dopo un anno di se- condaria superiore. Da tale percorso scolastico, si è costatato, esce solo chi espulso. Si teme che, con la scelta precoce, si venga a costruire un percorso di FP di serie B rispetto a quello scolastico; con tale paura si finisce per creare un percorso di FP di serie C, chiamato al puro ricupero del disagio sociale e del fallimento scolastico. Il Ministro afferma che “si lavorerà perché non ci siano offerte statali di serie A e offerte regionali di serie B, alcune di spessore culturale ed edu- cativo e altre no. I saperi di base, che attualmente sono previsti nel percorso dell’obbligo scolastico, verranno previsti e rafforzati anche nei percorsi di istruzione e formazione professionale. Queste gerarchie e queste distinzioni, infatti, vanno superate per approdare ad un sistema educativo della Repub- blica che veda concorrere, per la migliore istruzione e formazione possibile dei giovani, Stato e regioni, licei e istituti professionali, ma anche centri di 168 formazione professionale... in linea con i nuovi standard qualitativi di cui lo Stato si renderà garante”. “Ogni percorso, al di là della durata, consentirà accessi ad un livello superiore di istruzione e di formazione. Infatti, ..., si lavorerà ... per creare percorsi di formazione professionale superiore, culturalmente e qualitativa- mente validi...”. Rassicura, inoltre, “che il nuovo quadro istituzionale ri- conoscerà ai centri il giusto ruolo nell’ambito del sistema educativo di istruzione e di formazione, affinché ci sia la necessaria valorizzazione delle esperienze migliori nei diversi settori della formazione professionale, mira- bilmente curati dai medesimi centri.” “Inoltre, i ragazzi dovranno sapere che nessuna scelta da loro effettuata nel- le diverse fasi di formazione sarà mai irreversibile”. Le affermazioni del Ministro mettono in risalto che, negli interventi fatti in Commissione, è ritornato vivo il dubbio sulla qualità dei percorsi di FP, quasi che qualsiasi percorso non scolastico sia privo di spessore culturale e per questo da ritardare il più possibile. Anche i percorsi di formazione supe- riore, che dovrebbe divenire “culturalmente validi”, lasciano intravedere la difesa dei percorsi universitari, ritenuti i soli validi, mentre gli altri percorsi di formazione superiore non hanno che scarsa visibilità, al di là del loro riconoscimento giuridico. Due culture si congiungono nel ritenere i percorsi scolastici e universita- ri come gli unici modelli possibili: la cultura che ha accompagnato l’unità d’Italia, che ha cercato di realizzare il “fare gli italiani” attraverso percorsi scolastici omologati e “statali” (perciò controllabili quanto a contenuti e mo- delli) e la cultura marxista, che ha da sempre interpretato l’uguaglianza del- le opportunità come offerta di un medesimo percorso capace di impedire gli effetti delle differenze sociali per il maggior tempo possibile. Oltre cento an- ni di scuola omologata sul territorio nazionale non ha impedito la nascita di forti regionalismi e tendenze separatiste; le differenze sociali, invece di di- minuire grazie a una scuola media inferiore unificata e ad una superiore completamente licealizzata (i percorsi tecnici e professionali si limitano in troppi casi a trasmettere solo conoscenze), si sono rese ancora più evidenti, specialmente nelle zone deboli d’Italia. La nuova strutturazione dei percorsi educativi proposta dalla legge non risolve da sola i problemi, ma parte dal principio che la differenziazione del- le offerte per dare ad ognuno la possibilità di crescere culturalmente nel modo più congeniale sia più efficace del tentativo di omologazione di tutti i percorsi. E questo non deriva essenzialmente dalle necessità del mercato del lavoro, di cui bisogna tenere conto anche nel progettare percorsi scolastici, ma dalla necessità di permettere a tutti i giovani di poter soddisfare l’obbli- go di formarsi fino a 18 anni, trovando percorsi adatti ad ognuno. L’unica via dei percorsi di tipo liceale, per di più selettiva in base a parametri che va- lorizzano soltanto alcune capacità di una persona, rende vano il diritto/do- vere di formarsi. Un percorso, che parta dall’esperienza pratica per giungere alla riflessione e all’apprendimento teorico, risulta incomprensibile all’attua- le élite culturale italiana, anche se storicamente fa parte della tradizione 169 italiana la formazione di grandi artisti e geni attraverso l’esperienza concreta delle botteghe. Parlando dei percorsi in alternanza scuola/FP e lavoro, previsti dopo il 15° anno, il Ministro afferma che “... il processo di apprendimento deve avvenire anche in un terreno diverso, quello del lavoro, che non è di per sé un’esperienza formativa ..., ma può rappresentare, se opportunamente organizzato nell’ambi- to di un progetto formativo, una via di emancipazione per molti giovani. Si tratta di una modalità di apprendimento, ampiamente adottata con buoni ri- sultati in altri Paesi e che, come tale, dovrà essere offerta anche a chi frequenta il liceo”. Sul significato della cultura del lavoro nel contesto educativo erano sor- te polemiche già a riguardo del documento che il Ministro Berlinguer aveva predisposto come base di discussione in vista della prima stesura del disegno di legge, poi approvato come legge 30/99. È il segno della separazione e, ta- lora, contrapposizione tra scuola e lavoro, partendo anche da una concezio- ne “gratuita e per questo elitaria” dell’istruzione e formazione. Molti giovani, quando si cerca di far loro apprendere qualcosa, pongono come prima domanda: “A che cosa serve?”. Su tali giovani le motivazioni astratte e culturali non fanno presa, anche quando sono dotati di intelligen- ze vivaci, che li potrebbero portare a notevoli successi nella vita e nel lavoro. Anche questi hanno diritto alla formazione fino al 18° anno, ma devono po- ter trovare approcci alla cultura e metodologie educative diverse da quelle che un liceo deve assicurare. Anche l’esperienza lavorativa può entrare a far pare di un percorso educativo, purché lo si sappia organizzare in modo da valorizzarla al meglio. Percorsi sperimentali di formazione professionale Il DdL di delega al Governo per la definizione delle norme generali sul- l’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia d’istruzione e di FP tende a valorizzare le diversità dei giovani, dando loro la possibilità di percorsi formativi differenziati a partire dal 14° anno di età. Risulta perciò importante progettare modelli dei possibili percorsi diffe- renziati rispetto a quelli scolastici e cercare di sperimentarli. Opportuna- mente monitorati, possono prefigurare i percorsi di “istruzione e formazio- ne professionale” di competenza regionale, che i giovani potranno scegliere al pari dei licei al termine dei percorsi unitari di istruzione. I giovani che li scelgono non solo raggiungono gli obiettivi dell’obbligo scolastico fino al 15° anno e assolvono all’obbligo di formazione fino al 18°, ma hanno in seguito la possibilità di continuare la loro preparazione nei percorsi di FP superiore. Le affermazioni di principio e le decisioni legislative sono importanti, ma solo la sperimentazione dei percorsi può evidenziare i punti forti e quelli de- boli di un percorso formativo. Negli anni passati il CNOS-FAP e il CIOFS/FP hanno predisposto un pro- getto per i giovani in obbligo formativo, hanno fornito sussidi per la sua 170 realizzazione, lo hanno realizzato nei loro CFP e in quelli di altri Enti in diverse regioni, ne hanno monitorato la sperimentazione. A partire da tale esperienza, l’Associazione FORMA ha deciso di proget- tare un percorso sperimentale di FP, che prefiguri la situazione che verrebbe a delinearsi, per quanto riguarda i percorsi di istruzione e FP, nella prospet- tiva del DdL del Governo. Per questo ha interessato le Regioni, che sono le responsabili istituzionali di tale percorso: alcune di queste hanno mostrato interesse per la sperimentazione. Le difficoltà maggiori alla realizzazione di percorsi che iniziano al 14° anno di età dei giovani nascono dalla applicazione della legge 9/99, che impedisce la scelta di percorsi di FP prima dell’assolvimento dell’obbligo sco- lastico al 15° anno di età. Per superare tale difficoltà, partendo da quanto sancito all’art. 7 del Decreto Ministeriale 9 agosto 1999 n. 323, sono necessari accordi e convenzioni con le scuole superiori. La Regione Lombardia, che per prima si è proposta di sperimentare l’attuazione di tali percorsi, ha firmato un Accordo sia con il MIUR sia con MLPS, per iniziare già da settembre. L’Accordo prevede che, tra nella possibilità di certificare i crediti maturati nei percorsi sperimentali, “una prima iniziativa può riguardare la sperimentazione dell’assolvimento dell’obbligo scolastico nei percorsi di formazione professionale, assicurando nell’arco di tali percorsi l’acquisizio- ne di crediti corrispondenti a quelli previsti per l’assolvimento dell’obbligo scolastico”. La Provincia autonoma di Trento ha seguito lo stesso esempio, con un suo Accordo. La sua ampia autonomia, riconosciuta anche nella legge 9/99, le aveva già permesso, anche dopo l’innalzamento dell’età dell’obbligo scola- stico, di attuare percorsi di FP ad iniziare dal 14° anno. È opportuno che la sperimentazione possa iniziare anche in altre Regio- ni, perché si abbia possibilità più ampia di monitoraggio e valutazione in si- tuazioni territoriali diverse. Le normative sull’obbligo formativo e la realizzazione concreta di per- corsi hanno dato inizio ad un sistema regionale di FP iniziale, che ha come obiettivo di portare i giovani a raggiungere una qualifica in due anni, con la possibilità accedere un terzo anno di specializzazione, come previsto dal- l’Accordo Stato Regioni del 2 marzo 2000; la nuova sperimentazione prefi- gura una strutturazione ancora più valida di tale sistema. Al livello nazionale resta il compito di fissare gli standard minimi finali per tali percorsi, perché venga assicurato a tutti i giovani, al di là delle collo- cazioni regionali, il raggiungimento di obiettivi equivalenti. Nella sezione “Monitoraggio delle Riforme”, “Rassegna CNOS” pubblica sia il testo dell’accordo Regione Lombardia, MIUR e MLPS sia una sintesi delle linee guida del progetto, per estenderne la conoscenza e appoggiarne la diffusione in altre Regioni. 171 Seminario su “Istruzione e formazione professionale alla luce della riforma” Il 31 maggio 2002 il Centro Studi Scuola Cattolica (CSSC) e l’Associazio- ne FORMA hanno organizzato, in collaborazione con gli Uffici nazionali del- la Conferenza Episcopale Italiana (CEI) per “L’educazione, la scuola e l’uni- versità” e per i “Problemi sociali e il lavoro” un seminario di riflessione sugli scenari emergenti dalle riforme del sistema educativo italiano e sulle pro- spettive di sperimentazione dei nuovi percorsi per la FP. Le relazioni e la ta- vola rotonda hanno cercato di mettere in luce le prospettive che emergono sia dalla riforma costituzionale, sia dalle indicazioni che sono alla base del DdL di riforma della scuola. Il Prof. G. Garancini ha tracciato il quadro istituzionale nel quale si de- ve muovere l’istruzione e la FP sulla base del nuovo dispositivo dell’art. 117 della Costituzione; il prof. G. Bocca ha illustrato il valore della cultura del lavoro nei nuovi progetti educativi per l’istruzione e la FP; il dott. D. Nicoli ha infine illustrato il progetto elaborato da “FORMA”, per la costruzione di un percorso di FP, autonomo dai percorsi scolastici, che possa essere offerto ai giovani dai 14 ai 21 anni, con tappe intermedie e titoli, che consentano sia il passaggio al mondo del lavoro sia crediti per il passaggio ai percorsi liceali o universitari. La tavola rotonda, moderata dal prof. M. Colasanto, ha messo a confronto le opinioni del dott. E. Gandini, presidente di FORMA, dell’on. P. Viespoli, sottosegretario al MLPS, dell’on. V. Aprea, sottosegretario MIUR, del prof. G. Manzini, responsabile scuola della “Margherita”, del prof. C. Dall’Aringa, Presidente dell’ISFOL, e del dott. M. Bassi, vice direttore gene- rale del settore formazione, istruzione e lavoro della Regione Lombardia. Il dibattito si è arricchito del contributo di molti presenti, che hanno appro- fondito i temi proposti. La riflessione maturata permetterà agli Uffici CEI di accompagnare le istituzioni scolastiche e formative in questo momento di mutamenti isti- tuzionali con una maggiore conoscenza delle opportunità e delle difficoltà che si presentano. Concludendo il seminario, il Direttore dell’Ufficio Nazionale CEI per la cultura, la scuola e l’università don B. Stenco ha confermato l’importanza di introdurre un percorso di FP graduale e continuo, parallelo a quello scola- stico e universitario dai 14 al 21 anni. Ribadendo la specificità del percorso per il suo approccio metodologico, che parte dagli interessi soprattutto lavo- rativi degli allievi, ha sottolineato l’importanza dell’avvio della sperimenta- zione proposta da FORMA, che supera anche le difficoltà di quegli adole- scenti che in questi anni, a causa del dispositivo della legge 9/99, sono stati costretti a non scegliere i percorsi di FP, anche quando l’avrebbero voluto co- me risposta alle proprie inclinazioni. 172 L’attenzione delle Regioni per la FP L’iter di contrattazione per il rinnovo del CCNL della FP ha avuto un bat- tuta piuttosto lunga di arresto, legata alla difficoltà di ricercare una soluzio- ne al problema di assicurare una protezione ai lavoratori del sistema della FP regionale che, a seguito di crisi occupazionali o di ristrutturazioni, rimango- no senza lavoro. Nei precedenti CCNL era assicurata, per gli operatori iscrit- ti in un apposito albo regionale, la conservazione del posto di lavoro nel ca- so di crisi aziendali o esuberi attraverso l’istituto della mobilità. Solo alcune Regioni, però, hanno adottato le procedure previste dal CCNL, mentre altre non hanno gestito la mobilità degli operatori in casi di esubero e crisi. Nelle stesse Regioni in cui è stato attivato, l’albo degli operatori è normal- mente ad esaurimento, cioè assicura l’intervento regionale solo per gli as- sunti entro date stabilite: per gli altri operatori la Regione non interviene. L’articolo dei CCNL, invece, prevede le medesime procedure di mobilità per tutto il personale, senza distinzione di Regioni. Già l’ultimo contratto, a seguito delle difficoltà di applicazione, prevedeva una procedura di supe- ramento dell’istituto mobilità, ma non se ne era fatto nulla. L’opportunità di estendere anche agli operatori della FP gli ammortizzatori sociali previsti per altre categorie di lavoratori, in base al DdL in discussione in Parlamento, ha spinto le organizzazioni sindacali nazionali e i rappresen- tanti degli enti di FP a richiedere un incontro con il Coordinamento degli Assessori, con lo scopo di richiedere il loro intervento presso il Governo per rendere possibile l’estensione degli ammortizzatori sociali ai lavoratori della FP. La delegazione degli Enti di FP è stata ricevuta dal coordinamento degli Assessori regionali della FP e ha loro illustrato le difficoltà che il sistema degli Enti di FP sta incontrando nella sua trasformazione, riorganizzazione e risanamento, con le possibili conseguenze in campo occupazionale, ma anche le nuove opportunità che, a partire dall’istituzione dei percorsi di FP per l’assolvimento dell’obbligo formativo, possono contribuire a riorganizza- re e rafforzare il sistema regionale di FP. Le OO.SS. sono state, a loro volta, ricevute dal Coordinamento. A seguito degli incontri avvenuti, il Coordinatore nazionale degli Asses- sori di FP Scoppelliti ha inviato una lettera al Ministro del Lavoro e delle P.S. per esprimere il punto di vista delle Regioni sul momento che il sistema for- mativo sta attraversando e richiedere l’intervento del MLPS. La lettera, a par- tire dalla necessità di “potenziare e qualificare l’offerta formativa regionale” in vista dell’accreditamento, esprime la necessità di qualificare e riconverti- re il personale dipendente dagli Enti gestori. “Ma come a volte avviene nelle fasi di ristrutturazione, si potrebbero verificare anche ricorsi alla mobilità nonché veri e propri esuberi”. Per questo “riteniamo necessario che nella leg- ge di modifica sugli ammortizzatori sociali, in discussione in questi giorni in Parlamento, sia esplicitamente prevista l’estensione ai lavoratori di questo settore delle forme di tutela e di sostegno che si andranno a definire per gli altri lavoratori. Ciò costituirà, inoltre, un ulteriore importante tassello a fa- 173 vore della costruzione di un sistema nazionale di formazione professionale, nel momento in cui ai lavoratori del settore sono riconosciuti gli stessi dirit- ti dei lavoratori degli altri comparti”. La lettera ribadisce l’intenzione degli Assessori alla FP di gestire, nel periodo transitorio, i problemi di mobi- lità del personale attraverso i fondi del decreto della ristrutturazione delle strutture formative. Oltre che a facilitare la ripresa delle trattative per il rinnovo del CCNL della FP, l’incontro con il coordinamento degli Assessori e la loro richiesta finale espressa nella lettera al Ministro di un confronto tra “Ministero del Lavoro, Regioni, OO.SS ed Enti gestori per definire nuove regole contrattuali degli Enti che vorranno accreditarsi per l’obbligo formativo” apre la strada alla ripresa di incontri istituzionali, in vista del superamento della debolez- za di un sistema di FP, che tende a sfilacciarsi in tanti sistemi diversi quante sono le Regioni italiane. L’esplicito richiamo all’obbligo formativo, inoltre, mette in luce l’inten- zione di attuarlo in tutte le Regioni, creando il fondamento su cui costruire il resto del sistema di FP italiano. 174 Merita in questo periodo essere attenti a quanto si sta muovendo a livello di Governo e di Parlamento, ma anche a quanto nelle singole Regioni si sta attuando. Certamente la riforma costituzionale e il DDL Moratti aprono nuovi spazi di competenza alle Regioni e chiedono agli Enti che operano nel- la FP un impegno costante di rinnovamento organizzativo e metodologico. I nuovi traguardi della formazione professionale Il dibattito sulle riforme in atto nel sistema scolastico e formativo in questi anni ha trovato in “Rassegna CNOS” la dovuta attenzione: sugli scenari presenti e futuri si sono incentrate le riflessioni di molti editoriali e articoli. Il CNOS-FAP, insieme ad altri Enti, ha sostenuto e realizzato sperimen- tazioni concrete per valutare la percorribilità delle proposte emerse nel dibatti- to culturale e politico. Il presente editoriale propone alcune riflessioni sintetiche, a partire anche dal modello educativo e culturale che emerge dalla sperimentazione del progetto del CIOFS/FP e del CNOS-FAP per l’obbligo formativo, sui prin- cipali aspetti di sistema che le riforme istituzionali stanno delineando e sui modelli organizzativi di cui gli organismi formativi si stanno dotando. Le riflessioni e le proposte operative sugli scenari suddetti portano ad alcuni convincimenti che trovano esplicitazione in un volume appena pub- blicato dal CIOFS/FP e dal CNOS-FAP e che sono qui sintetizzati.1 I due Enti, infatti, avvalendosi anche della consulenza stabile di esperti del mondo accademico e del mondo del lavoro, hanno affrontato il cambia- mento in atto promovendo iniziative e sperimentazioni soprattutto nell’am- bito della Formazione Professionale Iniziale (FPI), nel complesso processo organizzativo delle sedi formative e orientative e nell’ambito della formazione delle risorse umane alla luce dell’accreditamento e della certificazione di qualità, per il rinnovamento del sistema. La FPI ha acquisito una propria autonomia e identità attraverso la pro- gettazione di percorsi professionalizzanti e, al tempo stesso, le caratteristiche delle politiche attive del lavoro. La FP ha, quindi, una dimensione educativa e personalistica e una funzione di servizio allo sviluppo economico. Così in- tesa, la FP può essere collocata a giusto titolo come una componente del pac- chetto dei diritti di cittadinanza: giacché nessuno stato sociale può oggi pro- mettere credibilmente di garantire a tutti i cittadini l’occupazione, diventa 175 2002Editoriale n. 3 1 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Dall’obbligo al diritto di tutti alla formazione: i nuovi traguardi della formazione professionale, Tipografia Pio XI, Roma, 2002. decisivo l’impegno nel fornire e aggiornare le competenze professionali ne- cessarie per trovare, conservare ed eventualmente ritrovare un’occupazione. In Europa, la FP è riconosciuta come parte legittima e non sussidiaria dell’offerta formativa complessiva (è parte del sistema di education), come un canale di pari dignità rispetto a quello scolastico. Tale possibilità viene vista come un ampliamento reale del diritto alla formazione dei cittadini, in- teso come diritto al “successo formativo” da perseguire mediante proposte diversificate. In Italia il riordino del sistema educativo di istruzione e formazione sta prefigurando, anche se in ritardo, a livello istituzionale, percorsi coerenti ed autonomi di FP con caratteristiche di gradualità e continuità, che possono essere realizzati anche attraverso la collaborazione e l’interazione rinnovata con scuola ed università, con il mondo del lavoro, dei servizi per l’impiego e dei servizi sociali, nel rispetto delle diverse identità e finalità. La diversifica- zione strutturale di tali percorsi deve trovare il suo naturale “inizio” dopo l’i- struzione scolastica unitaria, in modo che la scelta – anche se rinnovabile – tra la scuola e la FP avvenga per tutti i giovani allo stesso snodo. Il percorso di FPI, sancito nell’art. 68 della legge 144/99 e realizzato secondo le indicazioni dell’Accordo stabilito dalla “Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano” del 2 marzo 2000 per l’assolvimento dell’obbligo formativo fino ai 18 anni, costituisce una scelta istituzionale che prefigura l’avvio della riforma dell’intero sistema formativo. L’individuazione della qualifica professionale come obiettivo istituzionale, da conseguire per l’assolvimento dell’obbligo formativo attraverso i percorsi di FP e di apprendistato, rafforza l’identità culturale, pedagogica e profes- sionalizzante del sistema istituzionale complessivo della FP di competenza regionale. L’accreditamento obbligatorio di tutte le sedi operative dei soggetti fruitori di finanziamento pubblico (sia in tema di formazione sia di orienta- mento), infine, che sarà posto in atto entro il mese di giugno 2003, deve creare le condizioni oggettive perché venga riconosciuta la pari dignità della FP non solo nella macro tipologia iniziale, ma anche in quella superiore, continua e permanente. In questo contesto di riforma culturale e strutturale, il conseguimento di un diploma di scuola secondaria o di una qualifica professionale riconosciu- ta per l’assolvimento dell’obbligo formativo non solo crea le condizioni di pa- rità di esercizio del diritto di cittadinanza nella società per tutti i cittadini maggiorenni, ma offre anche le opportunità per la scelta di inserimento nel mondo del lavoro e/o di accesso alla FP superiore o ai percorsi universitari riformati, nella prospettiva di una formazione lungo tutto l’arco della vita. Le iniziative sperimentali in atto ed il dibattito che ne è conseguito hanno messo in evidenza alcun temi che si rivelano veri “nodi” problemati- ci, la cui soluzione contribuisce alla definizione del sistema formativo nel suo complesso. 176 La questione dell’integrazione La questione è stata posta in maniera decisiva già dalla “riforma Berlin- guer”, che proponeva un superamento della pluridecennale incomunicabili- tà tra il sistema scolastico e il sistema formativo, concepiti come due canali paralleli e mutuamente esclusivi. L’istanza della comunicazione ha generato tuttavia due concetti di integrazione: la tesi della “integrazione di percorsi” e quella della integrazione “dei sistemi”. Solo una integrazione dei “sistemi” permetterà alla scuola e alla FP di attuare ciascuna la propria peculiare mis- sione educativa; si rende urgente pertanto la definizione di un percorso di FP chiaramente distinto ed autonomo da quello scolastico ed universitario, in- tegro, continuo, basato sulla metodologia peculiare che prende avvio dalla pratica del fare – incentrato sugli interessi di molti giovani a misurarsi con il lavoro – per delineare un percorso in grado di formare conoscenze, abilità, capacità e competenze, secondo una didattica per centri di interesse e per competenze, con una valutazione centrata prevalentemente su performance sintetiche, nella prospettiva dell’esercizio di un ruolo attivo nella società. Tra le sperimentazioni in corso, si segnalano, in quanto sembrano mirare a questa meta, le recenti intese tra Ministero dell’Istruzione – Ministero del Lavoro e delle P.S. – Regione Lazio, Regione Lombardia, Regione Molise, Regione Piemonte, Regione Puglia, Provincia Autonoma di Trento per rea- lizzare, a partire dai quattordicenni, “percorsi di istruzione e di formazione professionale di diverso livello” articolati su un triennio o un quadriennio per l’accesso anche all’Università, al fine di “valutare” le opportunità di quel- le “passerelle” che dovrebbero consentire passaggi riconosciuti tra il sistema dell’istruzione e quello della FP e viceversa. Le sperimentazioni hanno avuto inizio, ancorché con qualche difficoltà, in Lombardia, Veneto, Piemonte e sono in fase di partenza in qualche altra Regione. La personalizzazione dei percorsi formativi Uno degli aspetti più qualificanti del rinnovamento della FP di questi anni è stato il passaggio dall’erogazione dei “corsi”, intesi come azione for- mativa standardizzata, attuata in forma collettiva e uguale per tutti i parte- cipanti, ad un modello formativo “personalizzato” che consente forme di composizione e ibridazione tra azioni formative diverse ed eventuali crediti maturati altrove. Una FP rinnovata prevede percorsi formativi, dizione accolta anche dal- l’Accordo Stato – Regioni del marzo 2000, cioè interventi corsuali diretti e azioni di sistema. Nel percorso, il corso vero e proprio integra preparazione di base ed esperienze operativa, nozioni teoriche e applicazioni pratiche; alterna azioni con il gruppo classe ad azioni individualizzate; insegna in maniera attiva, coinvolgendo gli allievi in esperienze concrete, attraverso laboratori, simulazioni, stage, visite tecniche, colloqui con esperti; punta a sviluppare negli allievi un insieme di potenzialità intellettive, relazionali, operative, etiche, secondo un disegno di educazione globale della persona. Le azioni di sistema, che hanno maggiore carattere di stabilità, sono a monte 177 (l’analisi dei fabbisogni locali, il raccordo con le imprese, la progettazione), nei momenti di avvio dell’attività formativa (l’accoglienza, l’orientamento, il bilancio delle condizioni di ingresso del giovane o il bilancio delle compe- tenze), a valle (la valutazione dei risultati, l’accompagnamento al lavoro o successive scelte progettuali). Un percorso così articolato permette alla FP di possedere un impianto progettuale pienamente formativo e non meramente addestrativo, perché mi- ra ad integrare gli apprendimenti tecnico operativi con le capacità proprie della persona e le conoscenze di base che sono necessarie oggi per acquisire piena cittadinanza nella “società della conoscenza”. La questione della “pari dignità” del sistema della Formazione Professionale con il sistema dell’Istruzione La questione della pari dignità della FP nei confronti della scuola è cor- rettamente individuata nella misura in cui anche la FP ha come fine il con- seguimento di una qualifica professionale al termine del percorso formativo, sia nella modalità a tempo pieno sia in quella in alternanza. Le due modali- tà indicate rappresentano varianti di un unico percorso avente origine co- mune. Anche nelle iniziative formative per gli apprendisti in età di obbligo formativo si deve assicurare, pertanto, l’obiettivo del conseguimento di una qualifica professionale riconosciuta e tenere presente – nella progettazione culturale, pedagogica, didattica – che i destinatari sono minorenni, e perciò portatori di diritti specifici. Occorre quindi operare una netta distinzione dei percorsi di apprendistato nell’età dell’obbligo formativo da quelli rivolti a giovani dopo i 18 anni. Il ruolo degli Enti locali nel “ridisegno” del sistema formativo Il nuovo percorso di FP, che mira a conseguire obiettivi professionalizzanti che l’Ente Regione deve assicurare, potrà essere delineato non già semplice- mente cambiando la collocazione da un sistema all’altro degli IPS e degli Istituti Industriali e Tecnici, bensì creando – attraverso progetti pilota che prevedano adeguate risorse ed opportunità – le condizioni di una nuova progettazione formativa e didattica e di un diverso assetto organizzativo con riferimento alle reti locali degli organismi. Ciò al fine di configurare un vero sistema di FP diffuso su tutto il territorio, che trova il suo fulcro nella doman- da sociale e nella regia dell’Ente locale. Il superamento del dibattito sull’obbligo scolastico per l’affermazione del “diritto alla formazione” Sembra da condividere la tesi di quanti sostengono il superamento del principio dell’obbligo scolastico a favore dell’affermazione del diritto / dovere formativo. L’accentuazione scaturisce come risposta propositiva alla nuova realtà policentrica in termini di risorse culturali e di possibilità di istruzione / di formazione. Il diritto formativo si configura come il diritto ad 178 un percorso professionalizzante “personalizzato” nel quale interagiscono gli apprendimenti conseguiti in varie sedi, scuola, extrascuola e addirittura anche secondo modalità non formali, gli uni e gli altri giudicati ugualmente indispensabili ai fini dell’educazione - formazione. Questa prospettiva rende evidente l’attuale anomalia italiana. Infatti, la ricerca azione di supporto al- la sperimentazione della FPI, messa in atto dal CIOFS/FP e dal CNOS-FAP, ha messo in evidenza come la gestione del prolungamento dell’istruzione nel- le sedi scolastiche fino al 15° anno abbia penalizzato gli adolescenti coinvolti, soprattutto i più svantaggiati ed in difficoltà. Per permettere a tutti di scegliere responsabilmente i successivi indirizzi dell’istruzione superiore o i percorsi della FP/apprendistato al termine della istruzione scolastica di base, è necessario il potenziamento della dimensione orientativa della scuola secondaria di 2° grado, con un maggior coinvolgimento delle famiglie e del mondo del lavoro. In particolare, per gli adolescenti dai 14 ai 15 anni si pro- pone un percorso annuale orientativo e preprofessionalizzante nell’ambito della FP, indirizzato in particolare a coloro che si sono orientati alla FP a tempo pieno o nell’apprendistato, prevedendo anche la possibilità del rientro nei percorsi dell’istruzione secondaria e viceversa. La questione del sistema della FP: dalla FPI alla formazione lungo tutto l’arco della vita Si deve sviluppare, accanto a “percorsi” di FPI, anche “percorsi” di for- mazione superiore avente i caratteri di autonomia e distinzione rispetto al curricolo universitario. Va garantita altresì in essa una realizzazione so- stanziale, e non solo formale, della parità di obiettivi tra la scuola e la FP. Essa deve fornire, infatti, una formazione e una specializzazione professio- nale medio-alta, a partire dall’analisi dei fabbisogni personali e del territorio di riferimento e nella prospettiva dell’eccellenza formativa. La FP superiore è rivolta, oltre che ai diplomati liceali, a quanti sono in possesso di una qua- lifica e/o di una specializzazione professionale riconosciuta e sono motivati ad assumere nuovi ruoli nella cosiddetta società della conoscenza, nella pro- spettiva delle opportunità formative lungo tutto l’arco della vita. In questa articolazione di FP l’intento educativo e la risposta ai fabbisogni del territo- rio si andranno a modulare diversamente a seconda dei differenti destinata- ri. Mentre la tensione educativa sarà più esplicita e l’attenzione all’acquisi- zione delle conoscenze, delle capacità e delle competenze sarà più pronun- ciata nella FPI, la formazione superiore, continua e permanente per i giovani e gli adulti acquisterà maggiormente il volto di una FP “amica” dei giovani e dei lavoratori e ad essi vicina lungo tutto l’arco della vita attiva. La questione del soggetto erogatore L’attività di FP si è giovata in questi anni, oltre che del gestore pubblico regionale, di numerosi Enti in particolare di emanazione del privato sociale, dando luogo a un pluralismo istituzionale che ne ha permesso il radicamen- to nei vari territori. È necessario, all’atto di riformare la scuola e la FP, valo- 179 rizzare tale pluralismo, che, attraverso l’accreditamento, assicura la qualità dell’intervento formativo, riaffermando, allo stesso tempo, il principio che la scuola e la formazione appartengono prioritariamente alla società e non al- lo Stato. Per le specifiche qualità educative, oltre che di risposta ai fabbiso- gni del territorio, il soggetto erogatore dovrà essere sempre meno riconduci- bile ad una impresa virtuale impegnata ad erogare il singolo servizio forma- tivo e sempre più individuato in un organismo che deve possedere, in qua- lunque filiera voglia operare, requisiti di natura pedagogica ed organizzativa, personale qualificato, strutture dedicate, collegamenti con il territorio ed esperienza consolidata. La questione del finanziamento Un sistema si fonda anche su fonti di finanziamento certe e continuative, abbandonando la prassi concorsuale, costituzionalmente incongrua per rea- lizzare percorsi strutturali poliennali, che intendano rispondere al diritto dei giovani di trovare risposte istituzionali alle loro richieste. Un obbligo di leg- ge italiano non può essere attuato che attraverso finanziamenti nazionali (o regionali) certi, che rendano effettivo il diritto di frequenza da parte di tutti i soggetti coinvolti. L’attuale finanziamento di tali percorsi, anche con risor- se del FSE, ha senso solo in una fase iniziale e sperimentale. Ciò richiede inoltre la definizione di un piano di copertura dell’intero territorio naziona- le, tramite una procedura di accreditamento degli organismi che valorizzi le realtà esistenti e crei le condizioni di una qualificazione dell’offerta formati- va complessiva. Il rinnovo del CCNL Il contratto collettivo di lavoro della FP, che è stato firmato a Venezia presso la Sede della Giunta Regionale a Palazzo Balbi il 25 ottobre ‘02, segna un momento importante nel processo di ristrutturazione del sistema di FP italiano, perché mira ad una organizzazione più moderna e flessibile delle attività formative e pone le premesse per valorizzare le potenzialità degli operatori. Il percorso della contrattazione è stato lungo e faticoso, a causa delle molte incertezze create dai rapidi mutamenti avvenuti in questi anni nel sistema formativo italiano: per questo non è stato possibile contrattare sol- tanto qualche piccolo adattamento rispetto al precedente CCNL e nemmeno impostarlo in modo completamente nuovo, perché non è ancora definita la strutturazione finale del sistema formativo italiano. La contrattazione ha dovuto sciogliere nodi difficili, come quelli dell’orario dei formatori e della mobilità, e introdurre nuovi istituti contrattuali. La meta raggiunta è importante, ma non è certamente quella finale di un CCNL che sostituisce quello scaduto dalla fine del 1997 e ha una breve durata (giugno 2003, data di conclusione degli accreditamenti regionali). 180 L’iter parlamentare del DL delega Moratti Il DL delega è approdato dopo le ferie estive all’aula del Senato, licenzia- to con alcune modifiche dalla VII commissione. Segnaliamo in particolare il comma 11 dell’art. 7, che prevede l’abrogazione della legge 9/99: nell’ambito del passaggio dal concetto di obbligo a quello di diritto di istruzione e formazione previsto dall’art. 2 comma 1 lettera c) non poteva restare un innalzamento di obbligo scolastico come previsto da tale legge. Il DL ha avuto la sua prima approvazione al Senato il 13/11/02 con alcuni emendamenti rispetto al testo licenziato dalla commissione. 181 2003 L’editoriale si sofferma a tracciare una breve sintesi dei principali inter- venti legislativi, normativi e progettuali che hanno interessato la FP in questi ultimi anni. Dalla 144/99 alla riforma Moratti Descrivere le trasformazioni del sistema di FP di competenza regionale in questo decennio è molto difficile. I finanziamenti del FSE, soprattutto a partire dalla programmazione 1993-1999 hanno dato alle Regioni la possibilità di ampliare la loro offerta formativa, ma hanno comportato l’ingresso nel sistema formativo di nuovi attori, non previsti dalla legislazione, ferma alla legge 845/78. Questo fatto ha creato una situazione diversa da quella precedente, promuovendo la capaci- tà progettuale degli attori della FP spinti a sperimentare attività innovative. L’estensione generalizzata degli avvisi o bandi pubblici per l’affidamento di ogni singola attività formativa ha creato, però, difficoltà agli Enti di FP dotati di personale e strutture consolidate, impediti di prevedere e program- mare gli sviluppi futuri, favorendo le agenzie strutturalmente “leggere”. L’art. 17 della legge 196/97 ha cercato, prendendo atto della situazione che si era creata, di dare una risposta alle nuove esigenze del sistema. Ha fermato l’attenzione in modo speciale sul legame tra FP e mondo del lavoro, in particolare attraverso la formazione continua. Gli attori della FP, a differenza di quanto prevedeva la 845/78, non sono determinati in base alla tipologia d’appartenenza dell’Ente erogatore, ma dal possedere requisiti predeterminati. Le disavventure del Regolamento attuativo, mai giunto alla pubblicazione, hanno lasciato il sistema ulteriormente indebolito sul piano normativo. Il concetto di accreditamento come metodo per stabilire il pos- sesso dei requisiti predeterminati introdotto nella proposta di Regolamento ha trovato una normazione nell’Accordo Stato Regioni e nel DM 166/2001. La struttura accreditata sostituisce l’Ente del privato sociale senza scopo di lucro come attuatore della FP regionale. I finanziamenti delle attività tramite i fondi del FSE hanno spinto gli Enti che tradizionalmente si erano occupati della FPI ad estendere il loro campo d’attività. I CFP si sono trasformati in centri polifunzionali non solo perché hanno differenziato i servizi offerti agli utenti, ma anche perché hanno operato, secondo le opportunità e le necessità, con differenti utenze per la formazione superiore, continua e delle fasce deboli del mercato del lavoro. Alcuni Enti di FP hanno operato un vero e proprio cambio di utenza, altri una diversificazione nelle tipologie di attività. 185 2003Editoriale n. 1 La legge 9/99 ha contribuito allo spostamento del baricentro delle attivi- tà di molti CFP, che si erano occupati per molti anni essenzialmente di formazione iniziale, sottraendo loro l’utenza tradizionale: i giovani orientati alla FP dopo la licenza media. L’art. 68 della legge 144/99 introducendo l’“obbligo formativo” fino al 18° anno d’età assolvibile anche nella FP, ha aperto una nuova possibilità per gli Enti di attuare percorsi formativi per i giovani. Sulla base dell’Accordo Stato Regioni del 2 marzo 2000, anche se non in ogni Regione, è iniziata la sperimentazione di percorsi biennali di FP mirati al conseguimento di una qualifica professionale, per l’assolvimento dell’ob- bligo formativo. La Regione Lazio è stata la prima a sperimentare tali per- corsi. La Federazione CNOS-FAP, insieme con il CIOFS/FP, ha predisposto, nell’anno 2000, un progetto di percorso per la FP per i giovani in obbligo formativo; lo ha arricchito di materiali e di supporti. Il progetto in quanto conforme a quanto fissato nell’Accordo Stato Regioni, ha favorito in molte Regioni la sperimentazione e il consolidarsi dei percorsi di formazione iniziale. Gli utenti dei percorsi sono generalmente giovani prosciolti dal- l’obbligo scolastico: solo pochi dei giovani iscritti hanno assolto l’obbligo scolastico attraverso l’esito positivo della frequenza del primo anno di scuola secondaria superiore. La maggior parte degli iscritti porta con sé l’esperien- za del fallimento scolastico dovuto all’innalzamento dell’obbligo scolastico. La tipologia dei giovani iscritti al percorso progettato ha creato alcune diffi- coltà iniziali. La sperimentazione nei Centri del CNOS-FAP, del CIOFS/FP e in altri CFP, in particolare della provincia di Milano, è stata monitorata nel suo svolgimento biennale (2000/2001 e 2001/2202). I risultati del monitorag- gio saranno presto diffusi. Dopo anni in cui la FP iniziale aveva subito una contrazione e sembrava destinata alla lenta sparizione, la nascita di questo percorso formativo con caratteristiche proprie, con valide sperimentazioni attuate nonostante le difficoltà insite dal tipo di giovani utenti, ha aperto un nuovo orizzonte. Anche se non in tutte le Regioni, nonostante la scarsa in- formazione su questo canale, la FP iniziale per l’assolvimento dell’obbligo formativo si è diffusa e ha avuto successo. L’approvazione della legge 30/2000 sul riordino dei cicli sanzionava la licealizzazione di tutti i percorsi scolastici e la possibilità di percorsi di FP per giovani dai 15 ai 18 anni. La tendenza, che sembrava emergere, era di preferire i percorsi integrati tra scuola e FP, come risulta in evidenza già dal D.P.R. 12 luglio 2000, n. 257, “Regolamento di attuazione dell’articolo 68 della legge 17 maggio 1999, n. 144, concernente l’obbligo di frequenza di attività formative fino al diciottesimo anno di età”. La situazione, in prospettiva, portava a pensare ad un piccolo canale di FP iniziale rivolto a coloro che, dopo un biennio “mirato” (art. 4, comma 3 “Nei primi due anni, fatti salvi la caratterizzazione specifica dell’indirizzo e l’obbligo di un rigo- roso svolgimento del relativo curricolo...”), verificata l’incapacità di conti- nuare un percorso scolastico, possono rivolgersi alla FP. La previsione di un piccolo canale di FP, a tempo pieno nei CFP o a tempo parziale nell’ap- prendistato, prefigurava una limitata sopravvivenza della FP regionale, 186 nell’attesa che la scuola si attrezzasse a divenire l’unico canale formativo italiano. La modifica costituzionale, che ha sancito il passaggio dell’istruzione e FP alla competenza esclusiva delle Regioni, non avrebbe modificato il sistema scolastico italiano, perché “l’istruzione professionale” non esisteva più, essendosi trasformata in istruzione liceale. L’attuazione della riforma non è iniziata, sia per iniziali motivi tecnici, ma specialmente per il cambio di Governo e la conseguente decisione di ri- porre mano alla riforma. Il nuovo disegno di legge prevedeva un sistema d’i- struzione e FP di competenza regionale, distinto da quello liceale, al quale potessero accedere un consistente numero d’allievi. Il CNOS-FAP, insieme agli Enti dell’Associazione FORMA, ha intrapreso un nuovo cammino progettuale, per sperimentare un percorso triennale di FP in cui si potessero inserire i giovani a partire dai 14 anni. Il “Progetto FORMA” ha trovato interesse in alcune Regioni, che hanno deciso di speri- mentare il percorso anticipando la riforma. La sperimentazione di questi percorsi di FP deve tenere in conto il dettato della legge 9/99, che fissa l’ob- bligo di frequenza di percorsi scolastici fino al compimento del quindicesimo anno. Alcune Regioni hanno cercato, tramite un protocollo d’accordo tra MIUR, MLPS e Regione, di potere avviare egualmente il percorso sperimen- tale. Nell’attesa dell’abrogazione della legge 9/99 prevista nel DDL “Moratti”, i protocolli d’intesa prevedono che: “una prima iniziativa può riguardare la sperimentazione dell’assolvimento dell’obbligo scolastico nei percorsi di formazione professionale, assicurando nell’arco di tali percorsi l’acquisizio- ne di crediti corrispondenti a quelli previsti per l’assolvimento dell’obbligo scolastico” (Protocollo Regione Lazio, art. 5). I protocolli firmati sono stati molti, ma la loro attuazione ha incontrato non poche difficoltà. La sperimentazione è iniziata regolarmente in Lombardia e Veneto fin dal mese di settembre 2002, con qualche mese di ritardo in Piemonte; è previsto l’inizio in Lazio e in Puglia. Le sperimentazioni prefigurano i percorsi di istruzione e FP previsti dalla riforma legislativa, evidenziando la possibilità concreta di creare un canale che, a partire da un triennio di qualifica, attraverso un anno di diploma por- ta possibilità di accedere alla FP superiore (percorso continuo dai 14 ai 21 anni, con possibilità di plurime uscite verso il mondo del lavoro e di passaggi verso i licei o l’università). La Regione Lombardia è stata la prima a firmare il protocollo d’intesa e ad iniziare la sperimentazione, che s’ispira alle linee guida del progetto FORMA. A settembre 2002 ha attivato 35 sperimentazioni che interessano 650 allievi, distribuiti nelle diverse Province della Regione. Per dare unita- rietà alla sperimentazione il modello gestionale scelto prevede la costituzione di un Raggruppamento temporaneo d’impresa (RTI) che sia interlocutore unico con la Regione. Al RTI hanno aderito gli Enti di FP che partecipano alla sperimentazione. Il rapporto tra scuole superiori e FP, necessario per 187 garantire e certificare l’assolvimento dell’obbligo scolastico nel percorso spe- rimentale, ha incontrato qualche difficoltà. Le convenzioni tra scuole e CFP, però, hanno fissato le responsabilità ed ambiti d’intervento. Una di queste convenzioni, che non aveva tenuto nel giusto conto le responsabilità della scuola nell’assolvimento dell’obbligo scolastico, ha provocato un intervento del TAR. I media, soprattutto a seguito alcuni comunicati stampa tendenziosi, hanno lasciato supporre falsamente che tutta la sperimentazione fosse fuori delle norme. Il percorso formativo sperimentale valorizza l’esperienza concreta, richiede relazioni personali amichevoli, prevede la personalizzazione, è centrato sull’acquisizione di competenze utili e sull’attribuzione di senso agli apprendimenti proposti. Le possibilità di successo sono notevoli quando si opera con adolescenti che presentano uno stile d’apprendimento che privile- gia l’intelligenza pratica, esperienziale, intuitiva, per scoperta e narrazione. La Regione Veneto, che da sempre aveva favorito i percorsi con un’inte- grazione forte nella FP per i giovani in uscita dalla scuola media inferiore, ha potuto iniziare la sperimentazione del percorso triennale con 20 corsi con cir- ca 400 allievi. Il progetto seguito si discosta da quello FORMA in alcuni aspet- ti. Ha privilegiato la propria progettazione, che ha tenuto in conto l’esperien- za maturata attraverso i corsi triennali nel settore grafico e quanto avviene nella vicina Provincia di Trento. Il modello è in ogni modo confrontabile con gli altri, rendendo possibile un monitoraggio nazionale sulle sperimentazioni. In Piemonte il progetto, simile a quello lombardo in quanto ad organiz- zazione (RTI di Enti interessati), ha trovato maggiore difficoltà alla partenza: delle dieci sperimentazioni previste, solo otto sono effettivamente iniziate. La direttiva regionale riguardante questa sperimentazione richiedeva che ogni CFP, al momento della presentazione del progetto, documentasse di avere un numero sufficiente di aspiranti allievi, con l’assenso firmato dei genitori. Non- ostante che allievi e genitori avessero espresso chiaramente la loro scelta, si è trovata molta difficoltà nel giungere alla firma delle convenzioni. Questo fat- to ha costretto i giovani a frequentare per qualche tempo la scuola prima di iniziare il percorso di FP; in alcuni casi i giovani hanno dovuto cambiare la scuola cui erano iscritti in funzione dell’assolvimento dell’obbligo scolastico. Il progetto è stato strutturato con un primo anno centrato sui saperi di base, per poter portare gli allievi all’adempimento dell’obbligo scolastico. Il pericolo maggiore dei progetti sperimentali è la non confrontabilità, poiché ogni Regione può fare scelte proprie: i tre modelli presentati offrono però percorsi simili. La partecipazione dei docenti della scuola avviene a va- ri livelli: nella progettazione, nel monitoraggio e nella valutazione senza im- porre un modello scolastico di percorso. In queste Regioni sembra superato il modello che giustappone la parte teorica a quella pratica: è un percorso unitario, progettato in rapporto alle esigenze del mercato del lavoro, ma rispondente alle esigenze educative dell’adolescente, scandito con standard professionali e formativi di rilevanza nazionale. Nel secondo quadrimestre dell’anno è previsto l’avvio di sperimentazioni in almeno tre Regioni: Liguria, Lazio e Puglia. I destinatari di questi per- 188 corsi saranno probabilmente giovani che hanno frequentato una scuola per un quadrimestre e si trovano in situazione di essere spinti a cambiare scelta (in altre parole sono dei drop out della secondaria). Ciò non permette, almeno per questo anno, di prefigurare un percorso di FP simile a quello delle altre Regioni. Motivi tecnici hanno impedito di partire prima con la sperimenta- zione. Alcuni di questi percorsi però, già nella progettazione, non mirano ad anticipare i percorsi di istruzione e FP previsti dalla riforma. Si tratta di percorsi integrati tra scuola superiore e FP, già sperimentati in questi anni per l’assolvimento dell’obbligo scolastico (Veneto) o di quello formativo (Emilia Romagna). Di fronte al progetto della regione Lazio sia il CNOS-FAP sia FORMA Nazionale hanno manifestato la propria contrarietà. Prefigura, infatti, un percorso che contraddice le linee progettuali che hanno portato alla stipula dei protocolli d’intesa. Si tratta di un “Progetto sperimentale integrato per la realizzazione di modelli e percorsi d’innovazione didattica, metodologica, organizzativa che coinvolgano i sistemi dell’Istruzione e della Formazione professionale (DPR 8 marzo 1999, n. 275, art. 11)”, come recita il frontespi- zio delle linee guida. Scopo della sperimentazione è la verifica di modelli in grado, se non di eliminare, quantomeno di ridurre il fenomeno della disper- sione scolastica. Il modello prevede l’integrazione dei sistemi di istruzione e di FP regionale, che consenta, nel rispetto delle competenze di ciascun seg- mento, di verificare il conseguimento dell’obbligo scolastico in percorsi inte- grati di FP attivati per l’assolvimento dell’obbligo formativo, coprogettati e condivisi tra sistema dell’istruzione e della FP regionale. La sperimentazione è mirata al “coinvolgimento di soggetti ad alto rischio di dispersione e di evasione dall’obbligo sia scolastico che formativo”. È, perciò, un percorso per fasce deboli. Non è certamente nello spirito della riforma, che vede nel- l’istruzione e FP una valida alternativa agli studi liceali. Inoltre risulta solo ipotetica la riduzione della dispersione scolastica se la novità del percorso sta proprio nella presenza della scuola con i suoi metodi in tutto il triennio. Gli allievi si troveranno a frequentare per buona parte del tempo un percorso di tipo scolastico con gli stessi docenti che avevano a scuola, con i medesimi metodi. Lo schema grafico del progetto giustappone in sequenza la forma- zione nelle competenze di base e quelle di tipo professionale, facendo sup- porre che le une sono appannaggio della scuola e le altre della FP, ridotta a puro addestramento pratico. Il progetto, inoltre, non richiedeva un apposito Protocollo d’intesa. Il DPR 12 luglio 2000, n. 257, Regolamento di attuazione dell’articolo 68 della legge 17 maggio 1999, n. 144, concernente l’obbligo di frequenza di attività forma- tive fino al diciottesimo anno di età afferma: “Le istituzioni scolastiche… possono progettare e realizzare percorsi formativi integrati. Tali percorsi, che sono realizzati in convenzione con agenzie di formazione professionale o con altri soggetti idonei, pubblici e privati, devono essere progettati in modo da potenziare le capacità di scelta degli alunni e di consentire i passaggi tra il si- stema di istruzione e quello della formazione professionale”. Il progetto esa- minato non è innovativo rispetto a quanto già fissato nel citato regolamento. 189 È innovativa solo la fonte di finanziamento, che è la Regione, invece che il MIUR con i fondi stanziati per l’obbligo formativo. Il progetto lascia intravedere i percorsi integrati come il futuro della FP regionale: infatti la convenzione prevista tra scuola e CFP, esplica la propria efficacia per due trienni assor- bendo buona parte dei fondi destinati all’obbligo formativo. La regione Lazio è stata capofila nell’attuazione dei percorsi dell’obbligo formativo previsti dall’Accordo Stato Regioni; ora sembra cambiare comple- tamente la sua visione strategica, abbandonando la valorizzazione dei per- corsi di FP. Sembra anzi ricalcare i modelli di tipo integrativi, propri della li- nea politica del Ministro Berlinguer, che prefigurava l’integrazione come uni- ca vocazione della FP nella formazione iniziale. Per la rivista “Rassegna CNOS”, che si è impegnata negli anni passati perché tale linea politica non diventasse vincente, la scelta della Regione Lazio rimane incomprensibile. Il progetto messo in sperimentazione nel Lazio prevede 34 corsi con oltre 600 allievi. Anche la sperimentazione nella Regione Puglia prevede l’integrazione tra scuola e FP per tutto il triennio: più comprensibile l’atteggiamento degli Enti di FP in questa Regione, che esce da una profonda crisi che non ha permesso agli Enti di operare per anni e che ha avuto conseguenze pesanti sui formatori. Il percorso parlamentare della legge delega “Moratti” è giunto al termine, con l’approvazione definitiva del Senato il giorno 27 febbraio 2003. La legge, già dal titolo, si basa sui nuovi assetti introdotti dalle modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione, che prevede la competenza esclusiva delle Regioni per l’istruzione e FP. La legge delega pone le basi giuridiche per la realizzazione di un sistema regionale di istruzione e FP. Nasce una occa- sione, ma anche una sfida da affrontare con creatività e fiducia. Affermando il diritto/dovere all’istruzione e formazione per almeno 12 anni o fino al conseguimento di una qualifica, la legge ridefinisce i concetti di obbligo scolastico e formativo, che si sono rilevati inefficaci nel raggiungere lo scopo di eliminare la dispersione, l’abbandono e l’insuccesso scolastico. Inoltre prevede il superamento della mancanza di alternative valide a studi di tipo liceale, che ha privato troppi giovani di opportunità formative che valorizzassero precocemente le loro inclinazioni, attitudini e capacità, con- sentendo loro di realizzarsi come persone e come cittadini, preparandoli ad inserirsi nel modo del lavoro e delle professioni con un adeguato bagaglio di competenze. Il cambiamento culturale che sta alla base del passaggio dal concetto di obbligo d’istruzione a quello di diritto/dovere all’istruzione e formazione, riguarda in primo luogo le istituzioni, chiamate a garantirne l’esercizio, e poi giovani e famiglie, chiamati a percepire l’istruzione e for- mazione non come imposizione, ma come diritto. La stessa Moratti, di fronte alla critica insistente di aver anticipato troppo le scelte professionalizzanti, afferma che “l’opportunità di iscriversi al sistema dell’istruzione e formazione professionale al termine del primo ciclo non esclude, anzi, valorizza la necessità di conciliare il percorso professionaliz- zante con la conquista dei saperi di base e di cittadinanza, così che coloro che 190 si qualificano in questo percorso possano affrontare anche i più alti livelli del- la formazione e delle professioni” (intervento alla Camera, 11/02/03). Il qua- dro legislativo richiede un lavoro intenso al livello di Conferenza Stato Re- gioni, per garantire tra i due sistemi una “pari dignità”, che permetta “la cir- colarità tra istruzione e formazione professionale, profili in uscita unitari, l’innalzamento dei livelli qualitativi dell’istruzione e formazione professiona- le, la garanzia di esiti superiori professionali e accademici, il potenziamento della Formazione Tecnica Superiore ed infine la valorizzazione della forma- zione lungo tutto l’arco della vita (long life learning)” (ibidem). La creazione di un percorso unitario di istruzione e FP di competenza regionale rende necessario, inoltre, aprire un dibattito sulla formazione iniziale dei formatori dell’attuale FP regionale, sul loro stato giuridico e, con- seguentemente, sul contratto di lavoro e sugli strumenti per l’assunzione. FP regionale e istruzione professionale statale in questi ultimi anni si sono sviluppate in maniera autonoma e diversificata. Il contratto di lavoro della FP regionale, ad esempio, si è sempre più allontanato da un modello scola- stico assumendo un’impostazione privatistica e diversificandosi sempre più dal contratto di lavoro della scuola. Venticinque anni d’attività La Federazione Nazionale CNOS-FAP è stata costituita il 09/12/77. Ricorda, perciò, in quest’anno i venticinque d’attività. Nel 1853, centocinquanta anni fa, don Bosco a Valdocco iniziava i primi semplici laboratori per la FP dei suoi giovani. L’impegno dei salesiani, figli di don Bosco, per la formazione degli “artigiani”, com’erano chiamati allora, è continuato fino ad oggi e in tutte le parti del mondo. Nell’ultimo dopo guerra in Italia i salesiani hanno maturato la scelta di gestire la FP tramite un’as- sociazione, che rispondesse sempre più all’esigenza di un maggior inseri- mento nel civile e nel sociale. Verificata l’adeguatezza del modello attraverso la sperimentazione di forme successive di associazioni (O.S.A.G., C.N.O.S.), anche a seguito del passaggio delle competenze in materia di FP alla Regioni, le strutture salesiane di FP hanno dato vita alla Federazione Nazionale CNOS-FAP. Il CNOS-FAP oggi si propone di continuare a dare il suo apporto alla crescita del sistema educativo e formativo italiano, per rendere attuale l’im- pegno di don Bosco per i giovani lavoratori e per quelli che si preparano ad entrare nel mondo del lavoro. 191 La celebrazione dei 25 anni della costituzione della federazione nazionale CNOS-FAP è avvenuta in coincidenza con la pubblicazione della legge 53/03. Questi due temi meritano un adeguato commento. Il convegno per i 25 anni della Federazione CNOS-FAP Questa parte dell’editoriale è dedicata al convegno tenuto nei giorni 3-4 aprile 2003 a Roma, via della Pisana 1111, per celebrare i 25 anni dalla costituzione della Federazione Nazionale CNOS-FAP e riflettere sul futuro della FP in Italia e sull’impegno dei salesiani in questo campo. La formazione professionale nel carisma e nella missione salesiana ha profonde radici, nate dalla scelta di don Bosco di occuparsi dei giovani del mondo del lavoro e dei lavoratori. La Federazione CNOS-FAP è sorta da tali radici e in questi anni si è sforzata di dare continuità all’impegno di don Bosco per i giovani del mondo del lavoro. La rivisitazione di 25 anni di storia e di esperienze della Federazione CNOS-FAP non ha avuto soltanto uno scopo celebrativo e di ricordo di quanto fatto in passato. Lo sguardo a quanto realizzato in questi anni ha voluto essere di stimolo per continuare nella missione, valorizzando gli elementi di entusiasmo e di innovatività che hanno permesso, nonostante le difficoltà incontrate, la crescita della Federazione. Essa fin dal suo nascere ha lavorato per la creazione e la valorizzazione del sottosistema di FP, offrendo ai giovani una formazione integrale (culturale, personale, professionale, morale e religiosa). Il modello organizzativo polifun- zionale dei CFP le ha permesso un valido inserimento nel territorio, attraverso risposte concrete alle richieste diversificate degli allievi, la cura del processo di insegnamento-apprendimento e l’offerta di formazione nella dimensione religiosa e pastorale come proposta arricchente di valori il processo formativo. La Federazione e le sue strutture operative territoriali si sono inserite attivamente nei processi di trasformazione dei modelli educativi maturata in questi anni, per cui ha potuto dare un contributo valido al processo di ri- forma in atto, in particolare nella progettazione e realizzazione dei percorsi della formazione iniziale per l’assolvimento dell’obbligo formativo. Sono questi i punti su cui si è concentrata la riflessione della prima serata del convegno: la storia come radice di un rinnovato impegno di lavoro e di crescita. La tavola rotonda della mattina seguente ha permesso un confronto a livello istituzionale sul tema della riforma e del futuro del sistema educativo italiano. 193 2003Editoriale n. 2 Pur nella difficoltà di cogliere le strade concrete su cui si muoverà il sistema educativo italiano dopo l’approvazione della legge delega Moratti (L. n. 53/03), questa prima riflessione ha permesso di comprendere le diffi- coltà, ma anche le speranze e le opportunità che si aprono per il lavoro nel campo dell’educazione dei giovani attraverso i percorsi di istruzione e FP. Il Convegno ha rappresentato un momento interessante di riflessione, di rilettura del passato in vista di un valido impegno per il futuro, di una crescita del senso di appartenenza ad un carisma che è fonte di speranza. A questo scopo mira la pubblicazione degli “Atti”, che hanno un valore di riflessione storica e politica, ma rilevano anche una forte motivazione ideale e carismatica di apertura al futuro. L’approvazione della legge 53/03 La pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della legge delega Moratti (G.U. n. 77, 2 aprile 2003) ha reso definitivi i nuovi orizzonti del sistema educati- vo italiano. Ma l’approvazione di una legge delega suppone l’emanazione di decreti legislativi o di altri strumenti che la rendano operativa. Purtroppo la legge è stata approvata, come la precedente legge 30/2000, da una sola parte politica. Questo fatto lascia intravedere un difficile percor- so parlamentare per l’approvazione dei decreti attuativi, se si riprodurrà an- che in tale sede il muro contro muro. Inoltre i decreti dovranno tenere in conto della titolarità legislativa esclusiva delle Regioni, per quanto concerne l’istruzione e FP, e concorrente, per quanto riguarda l’istruzione, stabilita dalla riforma del Titolo V della Costituzione. La maggior innovazione introdotta dalla riforma rispetto all’assetto con- solidato nella storia italiana e riconfermato dalla legge 30/00 risiede nella de- cisone di proporre due percorsi educativi distinti e diversificati nel secondo ciclo (dai 14 ai 18/19 anni): “scolastico” (liceale) e di “istruzione e formazione professionale”. Accanto ai percorsi liceali mirati alla formazione culturale e aperti al- l’università, si collocano i percorsi di istruzione e FP, aperti alla formazione superiore, ma con finalità professionalizzanti e perciò con la possibilità di immediata apertura al mondo del lavoro dopo il conseguimento di una qualifica triennale. La previsione di un percorso educativo diversificato dopo il termine del ciclo di base comune a tutti i preadolescenti (8 anni di scolarità) risponde al- la differenziazione nell’approccio alla cultura che viene a delinearsi a quella età. La differenziazione dei percorsi mira ad un obiettivo formativo comune a tutti i percorsi, l’acquisizione di un adeguato livello cultuale di base, che attraverso un sistema di crediti, permetta passaggi tra i due sottosistemi. A questo punto sorge la domanda sulla possibilità e sulle modalità di realizzazione di questa parte della riforma. Infatti, il passaggio da un modello scolastico gestito a livello nazionale a più modelli, di cui uno certamente a 194 gestione regionale, crea dei problemi sul versante culturale, politico e sindacale. Inoltre alcuni temono che la scelta di percorsi differenti fin dal 14° anno di età crei differenze sociali o le cristallizzi. Vi è chi pensa addirittura che i percorsi della FP siano di tipo addestrativo, mirati solo a rispondere alla richieste del mondo imprenditoriale. La conseguenza di questo modo di pensare comporta il tentativo di tenere i giovani nel tradizionale percorso scolastico per il maggior tempo possibile, pensandoli immaturi per una scel- ta a 14 anni, senza tenere conto della fallimentare esperienza dell’attuazione della legge 9/99. Dal punto di vista istituzionale, la discussione ha investito particolar- mente la collocazione degli attuali istituti tecnici tra sistema dei licei e sistema dell’istruzione e FP. Nella logica della riforma tutti gli istituti tecnici che hanno come obiettivo finale al termine del loro percorso un titolo pro- fessionalizzante dovrebbero passare nel sistema regionale, con la conse- guenza, per quanti resterebbero nel sistema liceale (licei tecnologici), di per- dere la molteplicità degli indirizzi legati ai singoli sbocchi occupazionali. Il pregiudizio circa l’efficienza della gestione regionale e la paura che i migliori istituti tecnici possano perdere la loro qualità hanno spinto alcuni settori del mondo imprenditoriale a proporre licei tecnologici con finalità di- rettamente professionalizzanti, e perciò con una pluralità di indirizzi, quasi a prevedere un ulteriore percorso intermedio tra quello liceale e quello pro- fessionalizzante. Anche il solo accennare a questi problemi evidenzia che, per quanto ri- guarda il secondo ciclo, l’attuazione della riforma prevista dalla legge 53/03 richiede ancora molta pazienza riformatrice, riflessione e confronti. Quasi a voler prefigurare la possibilità dei percorsi formativi di istruzione e FP, già nell’anno 2002-03 sono state avviate sperimentazioni a livello regio- nale, che hanno permesso di intravedere possibili scenari futuri. Le Regioni che hanno iniziato le sperimentazioni hanno creato il clima adatto per l’am- pliamento dell’esperienza dopo l’approvazione della legge 53/03 e la conse- guente abrogazione della legge 9/99. Ad estendere a tutte le Regioni le sperimentazioni ha provveduto “l’ac- cordo quadro per la realizzazione dall’anno scolastico 2003/2004 di un’offer- ta formativa sperimentale di istruzione e formazione professionale nelle mo- re dell’emanazione dei decreti legislativi di cui alla legge 28 marzo 2003, n. 53”, raggiunto il 19 giugno tra MIUR, MLPS, Regioni e autonomie locali. La prima motivazione che ha spinto alla firma dell’accordo è precisata in premessa: poter assicurare “un’offerta formativa in grado di soddisfare le esigenze delle ragazze, dei ragazzi e delle loro famiglie nel rispetto delle aspettative personali”. Va valutata positivamente la presa di coscienza che le esigenze fondamentali da rispettare sono quelle di giovani e famiglie e non quelle che nascono da principi ideologici, quale quello di assicurare a tutti le stesse opportunità costringendoli a frequentare gli stessi percorsi scolastici, o giuridici, come previsto dall’obbligo scolastico o formativo. È poi ricordato che tale offerta formativa “non predetermina l’assetto a regime dei percorsi del sistema dell’istruzione e della formazione professio- 195 nale”, che sarà stabilito dai “decreti delegati previsti per l’attuazione del di- ritto-dovere di istruzione e formazione”. Le sperimentazioni consentono però di verificare la concreta possibilità di far nascere percorsi di istruzione e FP e di cominciare a delinearne alcuni aspetti. Già un anno prima dell’approvazione della legge delega, gli Enti di FP facenti capo all’associazione FORMA hanno delineato a grandi linee un percorso triennale dai 14 ai 17 anni per la sperimentazione. Anche in questo anno, attraverso un “Dossier per la realizzazione del nuovo percorso dell’i- struzione e della formazione professionale” socializzato come contributo a tutte le Regioni, hanno cercato di contribuire alla buona riuscita delle spe- rimentazioni. Nel testo dell’accordo, che è stato elaborato attraverso molteplici media- zioni tra le istituzioni interessate, l’ottica per cui si stabiliscono le sperimen- tazioni passa dal diritto dei giovani a quella “di una efficace e mirata azione di prevenzione, contrasto e recupero degli insuccessi, della dispersione sco- lastica e formativa, e degli abbandoni”, spostando l’attenzione a quella parte della FP regionale che da tempo si occupa di ragazzi “difficili”, drop-out, al- lievi a rischio di emarginazione sociale più che alla prefigurazione di nuovi percorsi istituzionali. In base a questi principi “stabiliscono... che tali percorsi sperimentali debbano essere rispondenti alle seguenti caratteristiche comuni: – avere durata almeno triennale; – contenere, con equivalente valenza formativa, discipline ed attività atti- nenti sia alla formazione culturale generale sia alle aree professionali in- teressate; – consentire il conseguimento di una qualifica professionale riconosciuta a livello nazionale e corrispondente almeno al secondo livello europeo (decisione del Consiglio 85/368/CEE)”. Sono queste le uniche caratteristiche che debbono essere assicurate a tali percorsi su tutto il territorio nazionale. La genericità dei contenuti dell’accordo comporterà la progettazione di percorsi diversi da Regione a Regione, difficilmente confrontabili e valutabi- li a livello nazionale. Potrebbe esserci il pericolo di prefigurare tanti sistemi di istruzione e FP quante sono le Regioni italiane. Questo fatto aggrava dif- fidenza e opposizione al progetto della differenziazione dei percorsi educati- vi in tutta quella parte della scuola che non vede di buon occhio il passaggio delle competenze alle Regioni per quanto riguarda l’attuale istruzione pro- fessionale e tecnica. Anche se i contenuti dell’accordo sono su molti punti piuttosto vaghi e consentiranno di sperimentare percorsi molto disomogenei tra loro (alcune Regioni tenderanno ad avere solo percorsi scolastici o integrati tra scuola e FP, con la solita motivazione di dover assicurare a tutti una solida forma- zione culturale), il risultato raggiunto può essere valutato positivamente dal punto di vista politico. 196 L’accordo quadro tra Ministeri dell’istruzione e del lavoro, Regioni, Province e Comuni per avviare in via sperimentale su tutto il territorio nazionale una nuova offerta formativa per i ragazzi che escono dalla terza media senza più l’obbligo di continuare nella scuola, può forse rappresenta- re un metodo per invertire la china presa negli ultimi tempi dai processi di riforma in campo formativo, attraverso la rinuncia alla suggestione dei richiami politici che da mesi, anche in tema di istruzione e di formazione, caratterizzano lo scontro dei due opposti fronti parlamentari e partitici. L’emergenza, determinata da un vuoto legislativo pericoloso che potrebbe danneggiare migliaia di ragazzi, ha fatto superare le logiche di schieramento e le riserve sulla stessa riforma. La strada imboccata con questo accordo-quadro apre di fatto l’attuazio- ne della riforma e sembra più efficace del muro contro muro che troppe volte finora ha prevalso. Occorre ora iniziare con serietà un lavoro che possa portare all’approva- zione di decreti legislativi che assicurino la spendibilità nazionale dei titoli, la possibilità di passaggio dai percorsi formativi ai percorsi scolastici e vice- versa, in modo da rendere possibile orientare le scelte di ragazzi e famiglie, assicurando a tutti il diritto all’istruzione e formazione. La sperimentazione concorre certamente a delineare e validare il model- lo formativo, a definire un modello organizzativo, a raccogliere elementi per sostenere le azioni delle amministrazioni regionali. Questo accordo costitui- sce, dunque, più il positivo inizio di un percorso che un traguardo raggiunto. A questo momento di costruzione della riforma, “Rassegna CNOS” in- tende partecipare con il contributo della riflessione politica e pedagogica. Inoltre, attraverso la proposta di modelli, di esperienze e di sussidi prati- ci, cercherà di sostenere soprattutto lo sforzo degli operatori della scuola e della FP nel rinnovare il loro impegno per la crescita dei giovani e la loro seria preparazione alla vita adulta e al lavoro. 197 In questi ultimi anni è stato difficile comprendere le linee direttrici delle riforme che hanno interessato il sistema educativo italiano e soprattutto quello della FP regionale. Questo editoriale presenta alcuni degli sviluppi avvenuti in questi ultimi mesi nell’attuazione della riforma. I “Protocolli d’intesa” Nel commentare nell’editoriale del precedente numero di “Rassegna CNOS” (n. 2/2003) l’accordo quadro per l’offerta formativa sperimentale d’i- struzione e FP, dopo aver rilevato la validità del risultato dal punto di vista politico come superamento dello scontro frontale tra schieramenti politici, si metteva in risalto la genericità dei contenuti dell’accordo. Questa genericità ha causato a livello regionale la stipulazione di accor- di che danno luogo a percorsi formativi completamente diversi, difficilmente confrontabili a livello nazionale, con il pericolo di prefigurare tanti sistemi d’istruzione e FP quante sono le Regioni italiane. Infatti, i Protocolli d’intesa tra le singole regioni, il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricer- ca scientifica e il Ministero del lavoro e delle P.S. hanno sancito la nascita di percorsi non solo differenziati, ma completamente progettati partendo da presupposti contrapposti. Infatti, i protocolli assicurano solo quanto stabilito nell’accordo quadro, vale a dire la triennalità dei percorsi, la componente culturale degli stessi, l’obiettivo finale da raggiungere (una qualifica regionale) e l’impiego dei fon- di previsti per l’obbligo formativo. Per il resto prevedono percorsi completa- mente diversi da Regione a Regione, raggruppabili essenzialmente in due ti- pologie: percorsi d’istruzione e FP e percorsi scolastici integrati da moduli di FP. Nel primo caso è prevista un’interazione tra “scuola” (attuale, non anco- ra riformata) e FP a livello di sistemi; nel secondo l’integrazione avviene a li- vello di percorsi, che sono svolti nel sistema “scolastico” e in parte in quello della FP, ma la titolarità del percorso è della scuola. Il modello di percorsi in- tegrati a titolarità della FP, previsto in alcune Regioni del Centro-Sud, ha le sue radici nella debolezza della FP in tali Regioni; per questo gli interventi nelle aree culturali e scientifiche sono affidati a docenti della scuola. Le sperimentazioni che saranno effettuate saranno non confrontabili a livello nazionale, a causa di percorsi completamente disomogenei. L’esame di alcuni di questi Protocolli mostrerà la diversa concezione dei percorsi. Tutti i Protocolli hanno in comune la struttura, il numero degli articoli (sette) e i loro titoli: Articolo 1, Finalità; Articolo 2, Tipologia del- l’offerta formativa sperimentale; Articolo 3, Organizzazione didattica; 199 2003Editoriale n. 3 Articolo 4, Standard formativi minimi, certificazione e riconoscimento dei crediti; Articolo 5, Risorse; Articolo 6, Accordi territoriali; Articolo 7, Monitoraggio e valutazione. L’articolo in cui si concentrano le maggiori diversità è il secondo, in cui sono descritte le differenti tipologie di offerta formativa; anche il primo e il terzo servono a comprendere le differenti impostazioni. Esaminiamo questi articoli in alcuni degli accordi. L’art. 1 d’ogni Protocollo stabilisce come finalità “un’offerta formativa sperimentale d’istruzione e formazione professionale che assicuri ai giovani, in possesso del diploma di licenza media, fermo restando quanto previsto dalla legge 21 dicembre 1978, n. 845, articolo 2, comma 2, l’accesso a per- corsi formativi di durata triennale che consentano loro sia di potenziare le capacità di scelta sia di acquisire competenze di base e competenze tecnico professionali anche al fine dei passaggi tra i sistemi formativi” (prot. Abruz- zo). Con qualche differenza lessicale, tutti protocolli hanno in comune que- sta finalità. Alcune Regioni inseriscono particolari interessanti, quasi ad in- trodurre quanto è specificato nell’articolo seguente. Per il Friuli Venezia Giulia, la Campania, l’Emilia Romagna l’“offerta sperimentale d’istruzione e formazione professionale” deve essere “integrata”, lasciando già prevedere come potranno essere progettati i percorsi formativi. Alcune Regioni pongono fra le finalità anche quella di “prevenire e contrastare la dispersione scolastica” (Piemonte) o “prevenzione, contrasto e recupero degli insuccessi e della dispersione scolastica” (Marche). L’Umbria specifica che l’offerta è “rivolta alle ragazze e ai ragazzi che, assolto l’obbli- go scolastico, abbiano manifestato la volontà di interrompere la prosecuzio- ne del proprio itinerario formativo nel percorso scolastico o intendono proseguirlo in quello della formazione professionale”. In questo Protocollo non si parla di “diploma di licenza media” come in tutti gli altri Protocolli, ma di “obbligo scolastico assolto”. Non è una differenza da poco. Infatti, se i percorsi d’istruzione e FP presuppongono il conseguimento del diploma di scuola media, chi non possiede tale titolo, non potrà accedervi. Poiché nel futuro certamente vi saranno dei giovani che raggiungeranno il 15° anno di età senza avere raggiunto il diploma di licenza media, il modo di espri- mersi dell’Umbria sembra rendere possibile il loro inserimento in tali percorsi. L’Emilia Romagna specifica che i percorsi triennali sono articolati in un primo biennio ed “in un successivo anno che conduce a qualifiche pro- fessionali”, portando a prevedere un percorso non unitario. L’articolo secondo, sulla tipologia dell’offerta formativa, determina una maggiore differenziazione tra le scelte regionali. L’esame dei commi, pur con sfumature diverse, presenta due concezioni opposte di percorsi sperimenta- li. Infatti, la titolarità della sperimentazione, in un primo caso, è affidata al- le scuole superiori, con interventi integrativi del sistema formativo regiona- le e nel secondo al sistema di FP regionale (anche quando i percorsi fossero svolti da istituti scolastici). L’articolo è composto di un numero di commi che varia da Regione a Regione; la sua lunghezza va da poche righe a più pagine. Le Regioni che affidano la sperimentazione alle scuole, infatti, de- 200 terminano i possibili modi d’integrazione mentre le restanti Regioni si limi- tano a stabilire che si tratta di un innovato percorso del sistema formativo regionale. Per il primo tipo, il Protocollo dell’Emilia Romagna afferma nel primo comma: “L’offerta formativa sperimentale di cui all’articolo 1 nella Re- gione Emilia - Romagna si sostanzia nell’attivazione di percorsi formativi in- tegrati fra l’istruzione e la formazione professionale, valorizzando le rispet- tive specificità e promuovendo al contempo la sinergia fra i differenti ap- procci didattici e pedagogici”. Per il secondo tipo, il Protocollo dell’Abruzzo afferma: “I modelli sperimentali di cui all’articolo 1 che coinvolgono l’istru- zione e la formazione professionale nella Regione Abruzzo sono caratteriz- zati da percorsi triennali di formazione professionale finalizzati al consegui- mento di un attestato di qualifica professionale previsto dalla normativa vigente in materia di formazione professionale, valido per l’iscrizione ai centri per l’impiego, nonché all’acquisizione di crediti per l’eventuale rientro nel sistema di istruzione”. La differenza sostanziale sta essenzialmente nella presenza del termine “integrati” accanto a “percorsi formativi”. I Protocolli di molte Regioni af- fermano che vi sono percorsi d’istruzione e FP triennale, senza imporre o negare la possibilità d’integrazione dei percorsi. Il secondo comma dell’art. 2, in questo caso, fissa soltanto l’obiettivo della qualifica. I Protocolli di altre Regioni, di cui l’Emilia Romagna si può ritenere capofila, prevedono la sola modalità di percorsi integrati di titolarità delle istituzioni scolastiche, alme- no per i primi anni. Ci fermeremo a dare una valutazione critica di questa impostazione. In questo caso i commi successivi dell’art. 2 non si limitano a fissare degli obiettivi, ma stabiliscono anche come devono essere progettati i percorsi. Il protocollo dell’Emilia Romagna afferma: “Tale offerta, che può essere realizzata in tutti gli ordini e gli indirizzi di studio della scuola secon- daria superiore, comprende elementi culturali e professionali ed è priorita- riamente, ma non esclusivamente, rivolta agli allievi che al termine del primo ciclo di studi manifestano l’esigenza di ulteriori approfondimenti in ordine alla prosecuzione del proprio itinerario formativo e/o intendono rivolgersi, a decorrere dall’a.s. 2003/2004, alla formazione professionale”. La titolarità dei percorsi è riservata alla scuola secondaria superiore. I ragazzi che “intendo- no rivolgersi, a decorrere dall’a.s. 2003/2004, alla formazione professionale” devono iscriversi ad una scuola media superiore, la quale, in base alla sua autonomia, può sottoscrivere convenzioni con organismi di FP accreditati, per la realizzazione di percorsi integrati. I primi due anni del percorso han- no essenzialmente finalità orientative: solo il terzo anno può avvenire la scel- ta da parte dell’allievo di entrare in un percorso di FP per il conseguimento di una qualifica regionale. La legge 30/2000 prevedeva l’inizio dei percorsi di FP per il conseguimento di una qualifica dopo il biennio di scuola media su- periore, vale a dire dopo nove anni di scolarità obbligatoria, come prevedeva anche la legge 9/99. L’abrogazione delle due leggi per permettere l’inizio dei percorsi d’istruzione e FP dopo il conseguimento del diploma di scuola se- condaria di primo grado ha portato l’Emilia Romagna, ma anche la Toscana, l’Umbria ed altre Regioni ha decidere il prolungamento del soppresso obbli- 201 go scolastico per almeno dieci anni (ma per alcune Regioni anche per dodici), contro la logica della legge 53/03 che sancisce il diritto dovere all’istruzione e formazione per 12 anni. Se già la legge 9/99 aveva creato gravi difficoltà ai sistemi regionali di FP, in particolare relativamente agli Enti che operano nella formazione iniziale, questo tipo d’approccio ne segna la fine. Gli unici percorsi professionalizzanti potranno essere quelli degli Istituti professiona- li (o tecnici), che in questi anni hanno perso quasi completamente, almeno nel primo triennio, la loro natura professionalizzante. È da sperare che sap- piano accettare il cambiamento e fornire percorsi veramente professionaliz- zanti. Certamente oggi a farne le spese saranno “le ragazze ed i ragazzi che, assolto l’obbligo scolastico abbiano manifestato la volontà di interrompere la prosecuzione del proprio itinerario formativo nel percorso scolastico o in- tendano proseguirlo in quello della formazione professionale” (Protocollo Umbria), a cui è sottratta proprio questa opportunità. Inoltre, proprio ai gio- vani che trovano difficoltà nella scuola è offerto un percorso pedagogico e didattico, nel quale incontreranno metodologie e ambienti educativi com- pletamenti diversi, che creeranno in loro ulteriori difficoltà. Infatti, se sono più portati ad una metodologia deduttivo-scolastica si troveranno fuori posto nei moduli di FP; se hanno un approccio all’apprendimento di tipo induttivo, che parte dall’esperienza e dal fare, si troveranno demotivati nel percorso scolastico. Il caso dell’Umbria è il più evidente. Soltanto la scuola secondaria superiore è abilitata ad offrire i percorsi d’istruzione e FP sperimentali ai gio- vani che intendono interrompere gli studi. Questi, se hanno scelto un Istitu- to professionale, al termine dei percorsi triennali svolti nella scuola con bre- vi moduli nel sistema di FP, conseguono il diploma di qualifica statale e l’at- testato di qualifica professionale previsto dalla normativa vigente in mate- ria. Non ci si rende proprio conto in base a quale “miracolo” giovani che “ab- biano manifestato la volontà di interrompere la prosecuzione del proprio iti- nerario formativo nel percorso scolastico” (art. 1), attraverso “modalità di- dattica ordinaria”, anche se “arricchita da un’offerta formativa metodologi- camente innovativa”, possano essere rimotivati fino a raggiungere non solo i traguardi proposti ai motivati (il diploma di qualifica), ma anche l’attestato regionale (stabilito dall’Accordo quadro nazionale). L’affermato “unificante obiettivo di assicurare il successo formativo a tutti i giovani” non si può con- seguire imponendo ai giovani il normale percorso, reso appetibile solo per- ché “integrato”. Anche il terzo articolo dei Protocolli presenta diversità secondo il gruppo di Regioni d’appartenenza. Quelle che hanno stabilito di avvalersi solo di per- corsi integrati a titolarità della scuola secondaria superiore si trovano a do- vere fare i conti con le norme proprie del sistema scolastico, in altre parole del DPR 275/99 e del DM 234/2000: per questo, in base all’autonomia delle scuole, soltanto il 15% delle ore possono essere svolte al di fuori dei programmi comuni. Questo fatto limita l’intervento del sistema di FP nei percorsi integrati a poche ore, rendendolo ben poco significativo. Resta difficile da comprendere come i Sottosegretari competenti del Governo, che ha posto come punto irrinunciabile della riforma scolastica 202 la creazione di un sistema d’istruzione e FP di pari dignità, abbiamo potuto firmare Accordi che prevedono percorsi sperimentali che sembrano riedizio- ni peggiorate dei percorsi di FP previsti dalla legge 30/2000 (Berlinguer). In questi Protocolli è soppresso il termine “anche” davanti a “integrati”, come era previsto nell’articolo 68 della legge 144/99 per i percorsi di assolvi- mento dell’obbligo formativo. In alcune Regioni vi saranno “solo” percorsi di tipo scolastico fino al 18° anno; in alcuni di questi, se la scuola lo vorrà, potrebbero trovare posto brevi moduli integrativi di FP. Risultato certo di questo processo sarà la distruzione del già debole si- stema della FP iniziale in molte Regioni. Questo processo determinerà anche il fallimento dei percorsi integrati, perché le istituzioni che si sono accredi- tate e hanno operato con molte difficoltà nel sistema della FP iniziale non potranno sopravvivere con l’unico scopo di fare alcuni moduli formativi per i giovani più demotivati delle scuole secondarie superiori. La differenziazione che emerge è conseguenza non voluta della riforma costituzionale (che trasferisce la competenza in materia d’istruzione e FP alle Regioni) e della contrapposizione ideologica tra gli schieramenti politici. La prospettiva che possa nascere un sistema d’istruzione e FP come previsto dalla legge 53/03 non è confortante. Solo se i Decreti Delegati conferissero a questo nascente sistema una strutturazione sufficientemente omogenea su tutto il territorio nazionale, a partire dalla formazione iniziale sino alla superiore, si potrà sperare che anche in Italia i giovani possano trovare risposte differenziate alle diversità delle loro capacità e aspirazioni. Questo potrà anche ridurre il fenomeno della dispersione scolastica e formativa, che costituisce uno dei grandi deficit del sistema educativo italiano. In questa prospettiva potrà trovare una sua valorizzazione anche l’apprendistato, strut- turato dal DL 10 settembre 2003, n. 276. La sperimentazione dei percorsi triennali Nell’ambito del progetto di riforma del sistema d’istruzione e FP diverse realtà regionali e provinciali (Lazio, Liguria, Lombardia, Molise, Piemonte, Puglia, Veneto, Provincia di Trento) hanno firmato nel 2002 un Protocollo d’intesa con il MIUR per anticipare in via sperimentale i percorsi triennali di FP previsti nella Legge Moratti. Secondo il monitoraggio svolto dall’ISFOL, il Lazio, la Lombardia, il Veneto ed il Piemonte hanno avviato la sperimentazione nell’anno formativo 2002/03. I corsi avviati sono stati 34 nel Lazio, 35 in Lombardia, 8 in Piemonte e 20 in Veneto. I giovani interessati sono stati rispettivamente 610, 624, 168 e 432, per un totale di 97 percorsi iniziati. Tutti i percorsi prevedevano integrazioni più o meno vaste con il sistema dell’istruzione secondaria superiore, determinate dalla necessità degli allievi di assolvere l’obbligo sco- lastico fino al 15° anno. Già in un precedente editoriale si sono esaminati criticamente alcuni di questi progetti nel loro nascere. Non tutti i corsi sono 203 partiti contemporaneamente (le attività nel Lazio si sono avviate durante il secondo quadrimestre) e hanno avuto caratteristiche diverse sia dal punto di vista della gestione (Lombardia e Piemonte hanno previsto come soggetto attuatore un’ATS di Enti di FP, mentre Lazio e Veneto hanno affidato la tito- larità ai singoli Enti). L’ISFOL a fine giugno ha stilato un primo monitoraggio sui percorsi in attuazione, esaminando i progetti approvati. Le Regioni hanno previsto durate complessive variabili tra le 1000 e le 1200 ore annue (3000 - 3600 nel triennio), con azioni di accoglienza, di orientamento, di personalizzazio- ne e di formazione per le competenze di base, trasversali e professionali. Ogni Regione ha accompagnato e valutato le sperimentazioni attraverso apposite commissioni. Nella Regione Piemonte l’ATS titolare del progetto sull’andamento della sperimentazione, in particolare sul successo, insuccesso, ritiri e rientri dei frequentanti, evidenzia, tra le cause d’uscita dal percorso di alcuni giovani, proprio la presenza di docenti delle scuole superiori, che li hanno costretti ad affrontare due percorsi metodologicamente diversi, semplicemente giu- stapposti. La sperimentazione dei percorsi d’istruzione e FP prima dell’approvazio- ne della legge di riforma ha evidenziato l’intenzione del MIUR, condivisa da alcune Regioni, di rendere visibile la possibilità di creare un sistema regionale di pari dignità, capace di portare a pieno compimento quel processo d’innovazione metodologica e didattica che già i percorsi biennali dell’obbligo formativo avevano avviato. Nell’anno 2003-04 nelle Regioni che hanno iniziato la sperimentazione lo scorso anno i corsi avviati sono più che raddoppiati. Anche altre Regioni hanno avviato la sperimentazione. Ci si au- gura che il monitoraggio nazionale valuti non solo i progetti, ma l’effettivo loro svolgimento e gli esiti. Frattanto si può ritenere che l’attività sperimen- tale svolta abbia raggiunto un buon successo, come si rileva anche dai siti internet regionali che la descrivono. Le sperimentazioni hanno, inoltre, favorito interventi di formazione congiunta di formatori e docenti e la crea- zione di materiali di supporto per l’attuazione d’innovazioni metodologiche e didattiche. La formazione dei docenti prevista dalla legge 53/03 La formazione dei docenti e dei formatori è fondamentale per il rinno- varsi del sistema educativo italiano. La riforma affida all’università la responsabilità sia della formazione iniziale sia della formazione in servizio del corpo docente del sistema educativo italiano. In Italia oggi il numero d’insegnanti è il più alto d’Europa, con la pre- senza di un precariato sovente di notevole durata. Questo fatto mostra, di fronte alla percezione diffusa del minor ruolo sociale dei docenti, che la professione d’insegnante è scelta, per un discreto numero di persone, al solo scopo di trovare un posto di lavoro sicuro. 204 Anche per questa causa, la legge 53/03 prevede che l’abilitazione all’in- segnamento avvenga in un biennio successivo alla laurea di primo livello, a cui si è ammessi a numero chiuso secondo le necessità delle scuole di un territorio. Il problema cambierà sostanzialmente se l’Italia si adeguerà a quanto avviene nella maggior parte delle nazioni europee, nelle quali vi è già ora una notevole difficoltà a trovare buoni insegnanti in molti settori. L’attribuire in parte preponderante all’università l’impegno di preparare i futuri docenti privilegia una formazione di base scientificamente valida, ma essenzialmente teorica. I docenti e i formatori dei percorsi d’istruzione e FP dovrebbero, invece, essere in grado di partire dalla concretezza dell’espe- rienza e del lavoro per motivare i giovani e portarli a traguardi culturalmen- te validi: questo potrebbe richiedere una preparazione specifica. Infatti, se la preparazione degli insegnanti dei due sottosistemi (licei e istruzione e FP) sarà identica, essi tenderanno a divenire in breve tempo l’uno la brutta copia dell’altro. In ambedue, infatti, gli insegnanti, avendo la medesima formazio- ne e un identico approccio culturale, tenderanno a realizzare la formazione con le medesime metodologie, per raggiungere i medesimi obiettivi. Ne è un esempio la riforma degli Istituti professionali realizzata nel 1992, che, al di là delle intenzioni, li ha resi copia di quelli tecnici. Una formazione specifica sarà possibile solo se l’università saprà colla- borare con le migliori esperienze che sono presenti nei territori, in modo da formare non solo astrattamente i nuovi formatori, ma attraverso un confronto vero con la professione cui si preparano. Questo permetterà ai successivi tirocini, cui saranno chiamati i nuovi docenti, di essere veramen- te proficui. Inoltre, i formatori chiamati ad operare nel sistema d’istruzione e FP nel- l’ambito tecnico - pratico potrebbero forse trovare un’adeguata formazione nei percorsi di formazione superiore non universitaria, che dovrebbero es- sere realizzati con le metodologie proprie della FP. Solo chi ha esercitato una professione sarà in grado di trasmetterla ad altri; una professione si appren- de non solo studiandola sui libri, ma esercitandola. L’attuazione della riforma, però, richiede da subito la formazione in ser- vizio dei docenti e formatori: è urgente cioè attivare la formazione continua degli operatori del sistema educativo. Di fronte a questo impegno sorgono alcune difficoltà. In primo luogo, l’età media degli attuali docenti è alta, poiché la loro en- trata in servizio è avvenuta soprattutto nei passati decenni, facilitata dalla crescita notevole dei giovani da secolarizzare. In questi ultimi anni la capa- cità del sistema scolastico di assorbire docenti è diminuita notevolmente, con conseguente invecchiamento della categoria. L’investire in formazione per il rinnovamento su persone oltre un certa età incontra difficoltà psicolo- giche e, anche dal punto di vista economico, può risultare meno opportuno. In secondo luogo, la legge affida la responsabilità della formazione in ser- vizio all’università, ponendo problemi simili a quelli sopra esposti per la for- mazione iniziale. In particolare agli istituti scolastici sono posti limiti nella re- sponsabilità che riguarda uno dei punti fondamentali della propria autono- 205 mia, cioè la progettazione e attuazione della formazione dei propri operatori. I decreti attuativi dell’art. 5. (Formazione degli insegnanti) della legge 53/03 sono chiamati a dare indicazioni rassicuranti per il bene della scuola italiana. L’accreditamento regionale Il mese di luglio ha segnato il termine ultimo per completare le procedu- re di accreditamento regionale delle strutture della FP. Pur in presenza di norme nazionali fin troppo dettagliate, le Regioni si sono comportate in modo molto difforme. Si ha la sensazione che, in alcuni casi, l’accredita- mento sia stato solo un atto formale, senza nessun controllo dell’effettiva aderenza tra il dichiarato e l’effettivo. Il sistema d’istruzione e FP previsto dalla legge 53/03 richiede una rivisi- tazione dei criteri di accreditamento, stabiliti nelle procedure di accredita- mento per “l’obbligo formativo”. L’accreditamento, nato a seguito della legge 196/97 come insieme di regole per il “mercato” della FP, non si adatta alle finalità prettamente “educative” dei nuovi percorsi d’istruzione e FP. Può essere ritenuto uno strumento valido per stabilire chi può essere finanziato per effettuare attività formative anche nell’ambito della formazione iniziale, se richiederà alle strutture formative provate capacità educative. Omologazione e sussidiarietà La nascita di percorsi d’istruzione e FP deve tenere presente le specificità dei percorsi formativi sperimentati in questi anni: essi hanno creato cultura e valori. A parità di obiettivi, vale a dire di qualifiche e titoli, la riforma do- vrà valorizzare le peculiarità e le diversità dei percorsi d’istruzione e FP. Alcune Regioni nel modo di organizzare tali percorsi lasciano intravedere un tentativo d’omologazione di tutta la varietà dei progetti esistenti. Potrebbe nascere un nuovo centralismo, non più statale, ma regionale. Questo sareb- be più pernicioso del precedente, in quanto più vicino a chi opera. È impor- tante ricordare che, accanto al principio di sussidiarietà verticale, che chie- de allo Stato di non intervenire là dove le soluzioni possono essere trovate ai livelli territoriali più vicini al cittadino, esiste anche una sussidiarietà oriz- zontale, che chiede alle pubbliche istituzioni di non sostituirsi alla società civile in ciò che questa sa fare e organizzare. Da questo principio prende forza l’autonomia delle istituzioni scolastiche e formative, che sono le prime responsabili dell’attività che svolgono e hanno in sé capacità di crescita e miglioramento. 206 2004 Chi, in questi mesi, attraverso i media, segue il cammino che sta percor- rendo l’attuazione della riforma del sistema educativo italiano delineato dal- la legge 53/03 rimane sconcertato dalla contrapposizione frontale continua tra fautori e oppositori della legge. Leggere come tutto giusto o tutto sbagliato quello che viene portato avanti non è certamente il miglior modo per far crescere il sistema educativo italiano. È questa la metodologia sia della maggioranza, che procede senza coinvolgere più di tanto la società civile, sia dell’opposizione, per cui tutto nella legge è sbagliato, compreso quello che è conseguenza naturale o appli- cazione di quanto la stessa parte politica aveva stabilito nella precedente legislatura. Inoltre, sta maturando uno scontro, trasversale alle varie aree politiche e sempre più forte, tra gli apparati centrali, in particolare del MIUR, e quelli periferici, in particolare delle Regioni, che diventano sempre più gelosi delle proprie competenze. Nonostante tutto questo, si sta realizzando qualche progresso. Il Decreto legislativo previsto per l’attuazione del primo ciclo è stato approvato; dal prossimo anno, dovrebbe iniziare l’attuazione della riforma. Di altri Decreti legislativi si conoscono delle bozze, più o meno ufficiali, che fanno prevedere un percorso ancora piuttosto lungo e complesso. Non vi è nulla di preciso che riguardi il secondo ciclo, né a proposito di come si strutturerà il sistema dell’istruzione e della FP, né in riferimento alle istitu- zioni dalle quali sarà costituito. Che le prospettive non siano ancora chiare e che lo scontro in atto sia forte lo si può dedurre anche dal fatto che persino in grafici pubblicizzati dal MIUR per far conoscere la “nuova scuola” si ri- trovano errori che possono sembrare voluti, quale l’esistenza di un quinto anno nel sistema d’istruzione e FP prima di passare alla “Istruzione e for- mazione superiore” o il passaggio a questa solo dal quinto anni dei licei, quando la legge afferma che lo sbocco in tale direzione è dopo il quarto anno. In mezzo alle tante incertezze, possiamo segnalare due fatti che indicano un progresso sulla strada della riforma: lo stabilizzarsi delle sperimentazioni dei percorsi dell’istruzione e della FP e l’approvazione dell’Accordo per la definizione degli standard formativi minimi. Nonostante le difficoltà, l’azione delle sedi operative continua con impegno: alcune considerazioni sul lavoro da loro svolto possono rendere evidenti i motivi dell’impegno del CNOS-FAP in questa fase di innovazioni significa- tive, che apre a grandi speranze ma anche a gravi rischi. 209 2004Editoriale n. 1 L’inizio delle sperimentazioni Di fronte a una riforma che innova, se non si vogliono dare giudizi im- motivati sulle strade intraprese, si deve provare a sperimentarne l’attuazione. Riteniamo che il progetto dei percorsi triennali di FP, voluto da FORMA nazionale e proposto come traccia a tutti gli Enti di FP e alle Regioni, debba essere sperimentato per valutarne l’effettivo impatto e anche per migliorarlo. Nelle Regioni in cui tale progetto ha trovato una buona applicazione, le spe- rimentazioni in corso potranno testarne la validità. In altre Regioni, le innovazioni introdotte dalla riforma sono state rece- pite in parte, o completamente ignorate. In alcuni casi, si stanno sperimentando percorsi nei quali è richiesta un’integrazione curricolare, per la cultura linguistica e scientifica, da parte della scuola. In altri casi, le sperimentazioni si realizzano soltanto in per- corsi di titolarità della scuola, riducendo i CFP a puri erogatori di supporti tecnico pratici, magari a giovani in difficoltà. In entrambi i casi, ci sembra che non si stia sperimentando nulla di nuo- vo e, soprattutto, nulla di costruttivo: nel primo caso, riteniamo che l’inte- grazione curricolare, quando è imposta ai CFP e agli allievi, propone meto- dologie didattiche difformi all’interno di un medesimo percorso formativo, creando più difficoltà che vantaggi; nel secondo caso, ci sembra che non vi sia innovazione in quanto, grazie all’autonomia, le scuole potevano muover- si in tal senso anche prima della riforma. L’Accordo per la definizione degli standard minimi Il 15 gennaio 2004 è stato stipulato, in conferenza Stato Regioni, l’Ac- cordo tra il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, le Regioni e le Province autonome di Tren- to e Bolzano, per la definizione degli standard formativi minimi in attuazio- ne dell’Accordo quadro sancito in Conferenza Unificata il 19 giugno 2003. Il Documento tecnico, parte integrante dell’Accordo, è composto da una premessa e dal testo sugli standard formativi minimi relativi alle competenze di base. La premessa prende atto che si tratta di una soluzione a una situazione contingente, in quanto si è in una complessa fase di transizione che richie- derebbe un’azione di ampio respiro, capace di tener conto delle attribuzioni di competenze e dei ruoli fissati dal nuovo assetto normativo. L’Accordo trova la sua importanza nel fatto di inserirsi in un percorso di partenariato istituzionale (anche se giunge solo ad una proposta inquadrata in una prov- visoria cornice di riferimento sistemico, dentro la quale sono però fissate le competenze di ambito nazionale e regionale). Il testo presenta gli standard articolati nelle seguenti aree: dei linguaggi, scientifica, tecnologica, storico-socio-economica. Per ogni area, sono indicati gli standard minimi e una loro declinazione, 210 che costituisce l’ipotesi sulla quale le Regioni si impegnano a focalizzare la sperimentazione e sulla quale è necessario avviare il monitoraggio a livello nazionale e regionale. Nel documento, si trova anche una importante affermazione, che merite- rebbe una speciale attenzione. Si sostiene che gli “schemi che seguono 1 espri- mono gli obiettivi da raggiungere e non il percorso da compiere, in quanto la modulazione dei percorsi va costruita sui centri di interesse dei giovani, legati allo sviluppo della persona, al contesto di riferimento, allo sviluppo delle competenze professionali”. Con questo, si sottolinea la centralità della per- sona del giovane di fronte al percorso da progettare per raggiungere gli obiet- tivi (basti ricordare la diversità di impostazione, ad es., del Decreto sull’ap- prendistato che stabiliva non solo gli obiettivi, ma anche contenuti e tempi delle attività fuori dall’azienda, mettendo questa al centro del discorso). Riguardo allo schema dell’Accordo, ci soffermiamo su qualche valu- tazione particolare nel merito di quanto non ci trova in sintonia e che avremmo voluto fosse tenuto in conto nella stesura definitiva del documento. In primo luogo, la dizione “minimi”, riferita agli standard, non sembra pertinente in chiave educativa; sarebbe più consono parlare di standard “essenziali”. Anche l’espressione “competenze di base” è ambigua perché ripropone una visione riduttivistica della formazione; le competenze dovrebbero essere definite per ambiti di compiti/problemi che consentono di affrontare, e com- prese in un “sistema generale di classificazione delle competenze professio- nali”, che specifichi i compiti che sfidano la persona. L’espressione “obiettivi formativi” andrebbe precisata in “obiettivi formativi generali”, per non confonderli con quelli definiti dall’équipe dei formatori, che conoscono le effettive risorse degli allievi. Tra le aree manca totalmente quella dell’educazione alla convivenza civile, che non può essere rappresentata dall’area storico-socio-economica. Infine, non c’è riferimento alcuno all’insegnamento della religione, questo potrebbe far supporre sia non ancora percepita come reale la pari dignità tra i due sottosistemi del secondo ciclo. L’attività di formazione svolta dalla Federazione CNOS-FAP In questo delicato momento di trasformazione del sistema educativo italiano, ci sembrano opportune una riflessione e una valutazione, a partire da dati concreti, sulle tipologie di intervento formativo svolte all’interno della Federazione CNOS-FAP. Tale riflessione permette di capire le scelte fatte dalle sedi operative della Federazione in questi anni e anche il senso del sostegno fornito dagli interventi di “Rassegna CNOS” per la creazione di un sistema rinnovato, capace di affrontare le sfide della riforma. I dati che saranno esaminati e le 211 1 Ci si riferisce all’elenco degli standard e alle loro declinazioni (NdA). considerazioni che saranno proposte, sono riferiti soltanto alle attività svolte con finanziamento pubblico. A) L’entità dell’attività formativa svolta dal 1994 ad oggi Negli ultimi dieci anni, la quantità di formazione erogata dalle sedi operative del Federazione è variata e si è differenziata. Non tutti gli anni sono stati di crescita, ma le diminuzioni e gli aumenti sono avvenuti a causa di scelte politiche o gestionali a livello nazionale e regionale. Tab. 1 - Entità dell’attività formativa (dal 1994 al 2004) 212 Anno Numero attività Numero allievi Numero ore formativo formative interessati svolte 1994/95 658 13.444 533.541 1995/96 663 13.696 521.860 1996/97 698 13.672 531.165 1997/98 655 12.531 503.437 1998/99 770 13.428 527.351 1999/00 874 13.854 552.312 2000/01 916 14.373 514.708 2001/02 1.142 18.118 580.928 2002/03 1.484 22.294 653.703 2003/04 1.300 20.561 677.458 I dati riportati nella Tab. 1 permettono di valutare le trasformazioni negli interventi formativi. Infatti il numero delle attività formative, dopo un primo periodo (1994-98) di sostanziale stabilità, aumenta in maniera rile- vante negli anni successivi, proprio in corrispondenza del momento critico determinato dalla legge 9/99, che ha determinato la diminuzione delle attivi- tà rivolte ai quattordicenni. Si nota infatti un notevole aumento del numero di attività e degli allievi iscritti, ma con una crescita che non è egualmente rapida, segno che le nuove attività sono rivolte a piccoli gruppi di allievi. Le ore di formazione hanno invece un andamento diverso: il loro numero oscilla di anno in anno senza grandi variazioni, per poi iniziare una crescita costante negli ultimi tre anni. Questo significa che le sedi operative si sono impegnate anche tipologie di attività di breve durata, sia in integrazione con le scuole, sia nell’apprendistato, sia rivolte ad occupati e disoccupati. Nell’anno in corso, vi è una certa inversione di tendenza: diminuiscono il numero di attività e di allievi, mentre cresce il numero di ore svolte, segno dell’aumento della durata media delle singole attività. L’indice che meglio misura la quantità di impegno formativo svolte nella Federazione è espresso dalle ore/allievo effettuate ogni anno: a partire dal 1998/99, si osserva una continua diminuzione fino al 2000/01, passando da 9.620.921 nel 1998/99 a 9.128.280 nel 1999/00 a 8.633.247 nel 2000/01. La diminuzione è sostanzial- mente dovuta alla crisi determinata nella formazione iniziale dalla legge 9/99 e non risolta dalle opportunità offerta dall’obbligo formativo voluto dall’art. 68 della legge 144/99. Con l’anno 2001/02, anche questo parametro risulta in lenta crescita: raggiunge 8.904.479 ore/allievo, sale a 10.356.710 nel 2002/03 e a 10.931.038 nel 2003/04. Gli incrementi maggiori sono dovuti ad una sta- bilizzazione/crescita delle attività per i giovani nell’ambito del diritto dovere di istruzione e formazione; tali attività hanno una durata annuale di 1.000- 1.200 ore e sono frequentate da un numero di allievi in aumento. B) Una presenza differenziata nelle Regioni La quantità di attività svolta2 nelle singole Regioni italiane è molto diffe- rente. In alcune Regioni, la Federazione non è presente (Trentino Alto Adige, Marche, Molise), in altre, pur avendo una presenza strutturale (Basilicata e Calabria), in questi anni non ha svolto attività. In due Regioni (Toscana e Campania) la Federazione ha potuto iniziare l’attività, ma la situazione po- litico-istituzionale non lascia prospettive di continuità (nell’anno in corso, sono attive solo iniziative partite lo scorso anno e non ne sono state avviate di nuove). È recente, e si sta sviluppando, l’attività nella Valle d’Aosta. Tab. 2 - Attività della Federazione nelle diverse Regioni (anno 2003/04) 213 Regione Numero attività Numero allievi Numero ore Numero ore/ formative interessati svolte allievo svolte Abruzzo 4 669 28.364 457.080 Campania 4 60 3.500 53.000 Emilia Rom. 26 379 18.717 262.075 Friuli VG 278 4.123 22.656 315.634 Lazio 45 834 49.830 925.060 Liguria 32 477 14.134 226.390 Lombardia 131 2.526 59.713 873.570 Piemonte 326 4.877 147.751 2.405.216 Puglia 12 210 11.500 199.200 Sardegna 95 1.463 92.850 1.372.120 Sicilia 96 1.739 89.600 1.638.950 Toscana 1 17 1.000 17.000 Umbria 27 337 26.101 334.277 Valle Aosta 12 193 4.918 68.370 Veneto 174 2.657 106.824 1.783.096 Italia 1.300 20.561 677.458 10.931.038 2 I dati riportati sono frutto di elaborazione di schede trasmesse dalle sedi operative e possono contenere qualche imprecisione. La tabella Tab. 2 (che riporta dati relativi all’anno 2003/04) permette di constare una diversa diffusione delle attività di FP nelle varie Regioni. Le Regioni del Nord sono quelle in cui si svolge la maggior parte del- l’attività della Federazione; in particolare, in Piemonte e Veneto l’attività di formazione, in questi anni, ha visto una buona crescita; al contrario, pur restando significativa, negli anni, l’attività in Lombardia osserva una pic- cola contrazione; nell’Emilia Romagna, l’attività svolta nei due CFP presenti rimane abbastanza costante; il Centro di Udine, unico nel Friuli V.G., dopo alcuni anni di difficoltà, sembra aprirsi alla crescita (l’alto numero di attività segnala la significativa presenza di attività di breve durata, organizzate a moduli, rivolte agli apprendisti). L’attività svolta dal CNOS-FAP nelle Regioni dell’Italia centrale è molto inferiore. Solo nel Lazio raggiunge un livello significativo, che si mantiene costante negli anni. In Umbria si sviluppa un costante volume di attività. Il tentativo di iniziare l’attività anche in Toscana sembra destinata a non aver seguito, a causa delle scelte regionali in materia di FP iniziale. Nel Sud, l’attività è limitata a qualche Regione. L’Abruzzo sembra in una situazione di sostanziale stabilità. In Puglia, l’attività, pur ridotta a poco, è ripresa, dopo anni di grave crisi che aveva interessato tutti gli Enti. In Campania, vanno a conclusione i percorsi biennali iniziati, ma non si intravedono prospettive di nuove attività nel campo della formazione iniziale. In Sicilia e Sardegna, invece, le sedi operative della Federazione svolgono un’attività consistente. In particolare in Sardegna l’attività, legata spe- cialmente allo sviluppo dei percorsi per l’assolvimento dell’obbligo formativo, ha visto una crescita rilevante in questi ultimi anni: si passa da 13.650 ore di attività e 228 allievi nel 1999/00, a oltre 90.000 ore e 1.400 allievi nel 2003/04. C) Tipologie degli interventi formativi La Federazione CNOS-FAP è attiva nei molteplici campi della FP. In par- ticolare potremmo parlare, seguendo lo schema previsto dal DM 166/01 sul- l’accreditamento delle sedi operative, di formazione iniziale, di formazione superiore e di formazione continua, anche se in ognuna di esse è sembrato opportuno operare delle suddivisioni. 214 215 Tipologia * Attività Allievi Ore Ore allievo Formazione iniziale 439 7.307 482.960 8.002.390 Specializzazione 34 533 32.720 516.800 Integrazioni con scuole 101 1.535 13.189 192.650 Integrazione con IPSIA 48 794 12.712 214.256 (4° e 5° anno) Interventi per fasce 24 275 16.868 186.030 deboli di utenza Post diploma 69 1.064 47.739 748.125 IFTS 8 190 6.480 171.370 Apprendistato 283 4.208 13.040 181.448 Formazione occupati 250 3.674 36.890 565.744 e disoccupati Totale 1.256 19.580 662.598 10.778.813 * I totali di questa tabella non corrispondono a quelli della precedente, poiché mancano in questa ultima alcune attività formative non catalogabili nelle suddivisioni riportate. La tabella (Tab. 3) presenta l’attività svolta nell’anno in corso, distinta in tipologie: le prime cinque si riferiscono alla formazione rivolta ai giovani nel- la fascia compresa tra i 14 e i 18 anni, l’età del diritto e dovere all’istruzione e formazione; le seguenti due tipologie riguardano la formazione superiore e le ultime due quella continua. Anche ad un primo sguardo appare evidente che l’attività maggiore è concentrata nei percorsi di formazione iniziale. Circa un terzo delle attività for- mative e degli allievi, ma oltre il 70% delle ore e quasi il 75% delle ore/allievo si riferiscono a questa categoria, rendendo evidente che la fascia dei giovani co- stituisce il centro di interesse dei CFP della Federazione. Sono corsi di durata annuale media di 1.100 ore, rivolti a 16/17 giovani per corso. Le sperimentazioni di percorsi triennali di istruzione e FP iniziati in questi ultimi due anni (come attuazione della legge 53/03, dell’Accordo Regioni, MIUR e MLPS e relativi pro- tocolli regionali) riguardano 71 primi anni e 6 secondi anni. I primi e secondi anni dei percorsi progettati per l’assolvimento dell’obbligo formativo a norma del art. 68 della 144/99 costituiscono la maggior parte degli interventi. La formazione iniziale, nell’anno in corso, ha avuto una crescita notevole in numero di attività, di allievi e di ore. Molto meno numerose appaiono le attività di specializzazione: in questa categoria si sono raccolte le attività rivolte ai giovani qualificati nei corsi biennali, che hanno potuto continuare in percorsi mirati a specializzare la professionalità acquisita nel percorso biennale. Si tratta di corsi annuali di durata variabile (dalle 600 alle 1.200 ore) secondo le Regioni (in media, oltre le 950 ore/corso). Tali attività sono presenti solo in alcune Regioni. Tab. 3 - Tipologie degli interventi formativi (anno 2003/04) La possibilità di iscrizione dei quattordicenni ai percorsi di FP ha provoca- to una diminuzione di attività di integrazione di percorsi scolastici con attività di FP, che costituivano una delle possibilità previste dal regolamento attuativo della Legge 9/99 per tale fascia di età. Si tratta di interventi brevi (in media, po- co più di 120 ore) di tipo orientativo e pre-professionalizzante, oppure di percorsi professionalizzanti rivolti a giovani di classi superiori di istituti scolastici. I percorsi di qualifica riservati ai giovani frequentanti gli ultimi due an- ni degli istituti professionali (durata media di 300 ore per anno) sono stati at- tivati solo in alcune Regioni: da più di dieci anni costituiscono una forma di interazione tra il scuole e CFP che ha interessato in maniera variabile i CFP della Federazione. Queste categorie di interventi costituiscono oltre l’80% dell’attività svolta nei CFP della Federazione nell’anno formativo 2003/2004 e perciò anche l’80% dell’attività dei formatori è rivolta alla formazione dei giovani. Ciò è coerente con la tradizione più che centenaria di impegno dei salesiani e del- le loro strutture al servizio dei giovani che si preparano ad entrare nel mon- do del lavoro. I corsi attivati sono pluriennali, di lunga durata, ad alta valen- za educativa, mirati alla formazione del cittadino lavoratore aperto ai valori cristiani: per queste caratteristiche corrispondono al meglio alla mission educativa del CNOS-FAP. Tra le iniziative in favore di fasce deboli sono inserite attività eterogenee, ma che hanno in comune l’obiettivo di offrire un sostegno e un’opportunità formativa a utenze svantaggiate, quali persone con disabilità, carcerati, ex- tracomunitari, ecc. Gli interventi, anche se non numerosi, sono significativi della capacità di risposta alle richieste di alcuni territori in cui non sono pre- senti organizzazioni specializzate per tali utenze. Per quanto riguarda la formazione superiore, nei due ambiti specifici dei corsi post diploma e IFTS, l’attività svolta all’interno della Federazione non è rilevante. I corsi rivolti ai giovani diplomati è distribuita nelle varie Regio- ni, con corsi di alto profilo tecnologico e di discreta durata. Solo in alcuni CFP, sono attivi percorsi di istruzione e formazione tecnica superiore. A li- vello nazionale, la formazione superiore raggiunge poco più dell’8% delle ore e del 6% degli allievi. La formazione continua, nelle due sezioni dei corsi per apprendisti e di corsi rivolti a occupati o a disoccupati adulti, raggiunge un numero notevo- le di persone attraverso attività di durata molto più breve. Infatti, pur inte- ressando soltanto circa il 7% delle ore di attività, raggiunge il 40% dell’uten- za. Questo rende evidente che, normalmente, si tratta di moduli formativi di breve durata. In genere, gli utenti sono giovani di oltre 18 anni (tranne qual- che intervento in apprendistato) o anche adulti in cerca di rafforzamento o di riqualificazione della loro professionalità. Per concludere, l’attività svolta all’interno della Federazione CNOS-FAP trova il suo centro nella formazione iniziale, ma è significativamente presente in tutti i settori in cui si articolano gli interventi di FP, rispondendo con questo alle diversificate richieste dei territori in cui opera. 216 L’anno scolastico 2003-2004 è giunto al termine. Non sono bastati né l’approvazione parlamentare della legge delega di riforma del sistema edu- cativo né l’emanazione del primo decreto attuativo sul primo ciclo per placare gli animi e passare alla verifica della riforma attraverso la sua messa in opera. Sembra, invece, che l’anno debba terminare tra scioperi e manife- stazioni di protesta contro la riforma. La polarizzazione destra - sinistra ren- de impossibile giungere ad una legge condivisa di riforma del sistema edu- cativo italiano. Inoltre un numero notevole di addetti ai lavori vede con po- ca simpatia qualsiasi cambiamento rispetto a quanto è stato abituato a fare: quest’atteggiamento è comprensibile, se si tiene conto dell’età media dei lavoratori del mondo della scuola. Nell’anno scolastico appena terminato l’attuazione sperimentale della riforma si è rafforzata nei percorsi del primo ciclo e in quelli triennali del sottosistema istruzione e FP. Per quanto riguarda il primo ciclo, la speri- mentazione si può considerare chiusa; dal prossimo anno, in base al Decreto legislativo già emanato, tutte le scuole primarie (ex elementari) saranno tenute ad attuare i nuovi percorsi. La sperimentazione dei percorsi triennali d’istruzione e formazione professionale (IeFP) continuerà; infatti, il decreto legislativo riguardante il secondo ciclo non è ancora stato approvato e su di esso permangono opinio- ni contraddittorie. La stabilizzazione e la crescita delle sperimentazioni dei percorsi triennali possono favorire la progettazione condivisa a livello regio- nale del percorso del quarto anno di IeFP mirato al conseguimento del diploma professionale, in vista di una sua sperimentazione. Queste considerazioni rendono opportuna una riflessione su quanto andrà maturando nei prossimi mesi. Il cammino dei decreti delegati Il 21 maggio 2004 il Consiglio dei Ministri ha approvato in via prelimi- nare due schemi di decreti legislativi in attuazione della delega conferita al Governo dalla legge n. 53 del 2003. Essi saranno sottoposti al parere della Conferenza unificata, per la prevista intesa, e delle Commissioni parlamen- tari, in vista dell’emanazione. I tempi della definitiva approvazione sono determinati per legge e si può ritenere che saranno emanati all’inizio del nuovo anno scolastico. Ne esaminiamo brevemente i contenuti, aggiungendo alcune valutazioni di merito. 217 2004Editoriale n. 2 Lo schema di decreto sull’alternanza Il primo schema di decreto ha l’obiettivo di disciplinare “l’alternanza scuola-lavoro come modalità di realizzazione della formazione del secondo ciclo, sia nel sistema dei licei sia nel sistema dell’istruzione e della formazio- ne professionale”. Agli studenti che hanno compiuto il quindicesimo anno di età è assicurata la possibilità di svolgere l’intera formazione dai 15 ai 18 an- ni attraverso l’alternanza di studio e di lavoro. L’avvicinamento delle realtà scolastiche al mondo del lavoro è stato uno degli obiettivi delle riforme stu- diate e avviate in questi anni. L’alternanza costituisce uno degli strumenti per avvicinare gli studenti e le scuole al mondo del lavoro. L’intenzione è certamente buona. Il valore dell’alternanza dipenderà in modo significativo dalla progettazione dei percorsi che le istituzioni scolastiche e formative sapranno sviluppare in accordo con le imprese. La responsabilità di tutto il percorso rimane dell’istituzione scolastica o formativa, che opera sulla base di apposite convenzioni con imprese disponibili ad accogliere gli studenti per periodi di apprendimento in situazione lavorativa. La partecipazione a percorsi in alternanza non è però assicurata a tutti coloro che lo richiedono, ma è limitata dall’entità delle risorse finanziarie disponibili. Lo schema di decreto stabilisce le finalità dell’alternanza (art. 2), la tipo- logia di convenzioni tra istituzioni scolastiche e formative e imprese (art. 3), l’organizzazione didattica (art. 4), il sistema tutoriale (art. 5), la valutazione, certificazione e riconoscimento dei crediti (art. 6), i percorsi integrati tra scuola e FP (art. 7), le risorse disponibili (art. 8), la disciplina transitoria (art. 9). Trattandosi dello schema e non del decreto definitivo, sembra più utile soffermarsi su alcune osservazioni che presentare in modo completo il testo. Poiché la riforma del sistema educativo lascia molto spazio all’autono- mia didattica in tutti i percorsi, riesce poco comprensibile la presenza di un intero articolo avente lo scopo di fissare l’organizzazione didattica dei per- corsi in alternanza. Certamente è importante affermare che l’esperienza fuo- ri dall’aula è parte integrante e non aggiuntiva al percorso formativo; meno comprensibile, in questo contesto, che possa anche essere realizzata in pe- riodi diversi da quelli fissati dal calendario delle lezioni. La sensazione derivante da una prima valutazione lascia supporre che il decreto si limiti ad introdurre esperienze di stage o tirocini reiterabili per più anni all’interno o magari accanto ai normali percorsi invece di stabilire le modalità che permettono al percorso in alternanza di portare, attraverso una propria metodologia, gli allievi a raggiungere i medesimi obiettivi dei normali percorsi. L’alternanza autentica1 si dovrebbe invece inserire in un’in- tesa vasta tra l’organismo scolastico/formativo e l’impresa a partire dalla condivisione del profilo educativo culturale professionale, attraverso la defi- nizione del piano formativo e l’individuazione delle strategie e delle modali- tà d’apprendimento, fino all’erogazione del servizio e alla verifica degli esiti. 218 1 Cfr. Nicoli D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, Roma, Tipografia Pio XI, 2004, 233-286. L’alternanza non deve limitarsi, come gli stage o tirocini, a consentire all’al- lievo di incontrare il mondo del lavoro e verificare la sua capacità di esperi- re un ruolo lavorativo. A questo scopo basterebbe inserire moduli formativi aggiuntivi nel normale percorso, senza richiedere la responsabilità e il coinvolgimento di tutti gli insegnanti. L’introduzione e la sperimentazione di questa nuova metodologia didattica richiede un profondo cambiamento di mentalità sia da parte del personale scolastico sia di tutto quel variegato mondo del lavoro che in questo contesto è stato indicato con il termine im- presa (istituzioni pubbliche e private). Lo schema di decreto sul diritto dovere Il secondo schema di decreto legislativo approvato dal Governo norma il “Diritto-dovere all’istruzione e alla formazione, ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera c) della legge 28 marzo 2003, n. 53”. Il Decreto prevede il superamento e la ridefinizione dei concetti di “ob- bligo scolastico”, molto radicato nella cultura italiana (lo schema afferma che è previsto all’articolo 34 della Costituzione) e di “obbligo formativo”, in- trodotto dalla legge 17 maggio 1999, n. 144, articolo 68. Il citato articolo del- la “Costituzione italiana”, però, afferma che “L’istruzione inferiore, imparti- ta per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita”, ma non afferma che l’ob- bligo debba essere assolto frequentando la scuola, anche se solo le scuole sta- tali ne assicurano la gratuità. L’equivalenza dei concetti di obbligo di istru- zione e di obbligo scolastico si è talmente radicata nel modo comune di pen- sare che si sono sentite affermazioni di incostituzionalità dello schema, per- ché abolisce l’obbligo (che invece ridefinisce ed amplia) sostituendolo con il diritto/dovere di istruzione e formazione per dodici anni. Per molti la scuola pubblica (intesa come scuola statale nonostante la presenza di scuole pub- bliche paritarie) è l’unica vera agenzia di istruzione, per cui non insistere sul- l’obbligo di frequentarla diviene equivalente a volere una diminuzione dell’i- struzione del popolo italiano. La legge 53/03 e lo schema di decreto legislati- vo partono dal concetto di diritto all’istruzione e formazione, per cui è capo- volto il modo di affrontare il problema: al primo posto vi è il diritto dell’al- lievo, che crea obblighi per le istituzioni e persone che hanno il dovere di rendere usufruibile tale diritto. Le istituzioni, pubbliche e private, e le per- sone che si occupano di istruzione e di formazione hanno il dovere per ren- dere il proprio servizio sempre più di qualità, in modo che il titolare del di- ritto possa trovare una risposta adeguata. Già alcuni anni fa, un editoriale di “Rassegna CNOS” 2 affermava, parlando di innalzamento dell’obbligo a 16 anni, che “il termine ‘obbligo’ rimanda ad un’imposizione più che ad un’op- portunità. Ciò che ci sembra obbligatorio è che lo Stato italiano crei le mi- gliori condizioni organizzative perché questa opportunità diventi reale ... Le riforme sono da fare al più presto, superando i dibattiti di principio per 219 2 Cfr. “Rassegna CNOS”, anno 12 (1996) n. 2, 9-10. affrontare i problemi in concreto... Più specificamente, come indicato nel ‘Li- bro bianco’, il criterio base è quello di mettere il giovane al centro del dis- corso e di ristrutturare, attorno a questo centro, i problemi di rapporto tra formazione all’occupazione e cultura generale, di interconnessione tra scuo- la e impresa, della parità di diritti in materia di istruzione e formazione e della precedenza da riservare alle categorie più svantaggiate”. Se alcune di queste suggestioni sono state recepite nella legge e nello schema di decreto, non ci può che far piacere, anche se i dibattiti di principio, nella realtà poli- tica del Paese, non sono certamente superati. Lo schema di decreto definisce (art. 1) il concetto di “Diritto-dovere all’istruzione e alla formazione”, pone i principi per la “Realizzazione del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione” (art. 2), descrive come realiz- zare una “Anagrafe nazionale degli studenti” (art. 3), le “Azioni per il suc- cesso formativo e la prevenzione degli abbandoni” (art. 4), la metodologia per il “Riconoscimento dei crediti e certificazione” (art. 5), i “Passaggi tra i percorsi del sistema educativo di istruzione e di formazione” (art. 6), come attuare la “Vigilanza sull’assolvimento del diritto-dovere e sanzioni” (art. 7), la “Gradualità dell’attuazione del diritto-dovere all’istruzione e alla forma- zione” (art. 8), il “Monitoraggio” (art. 9), e la “Norma di copertura finanzia- ria” (art. 10). Il punto più controverso deriva dall’equiparazione, nel secondo ciclo, tra i percorsi della FP e quelli della scuola per l’assolvimento al diritto dovere. Il contrasto è ideologico perché non parte dall’analisi della situazione dei preadolescenti. Gli oppositori sono convinti che la bipartizione della scuola nei due percorsi porterà a una separazione culturale e sociale dell’intera gio- ventù, con una precoce predeterminazione delle esistenze e delle carriere. L’opinione pubblica, però, sembra indifferente rispetto al lato ideologico del- la contesa. Una recente indagine ha rilevato come la maggioranza dei citta- dini intervistati ponga come obiettivo prioritario dell’istruzione secondaria la preparazione dei giovani al mondo del lavoro, affermando che finora la scuo- la non è riuscita a raggiungere questo obiettivo. Inoltre, con i nove anni di scuola dell’obbligo determinati dalla legge 9/99, per tre ragazzi ogni dieci l’obbligo è rimasto opzionale: si iscrivono sì alla scuola, ma poi restano a ca- sa o per la strada. Quello che occorre è accompagnare con una strategia di persuasione l’allungamento del diritto-dovere fino ai 18 anni. Da un sistema educativo ricco di competenze, di professionalità, di possibilità di scelta di percorsi differenziati e adatti alle diverse propensioni si fuggirà meno. Entrando nel merito dello schema, il primo articolo riprende i concetti già espressi nella legge, assicurando che in tutti i percorsi, anche in quelli dell’apprendistato, saranno rispettati “i livelli essenziali di prestazione cui tutte le istituzioni formative di cui all’articolo 2 comma 4 sono tenute per ga- rantire il diritto personale, sociale e civile all’istruzione e ad una formazione di qualità”. L’apprendistato è indicato come “sistema”: non si comprende che senso abbia il termine, poiché l’apprendistato è un tipo di contratto di lavo- ro, nel quale è assicurato anche un percorso formativo che porta ai titoli e al- le qualifiche dell’IeFP. Sarebbe opportuno usare il termine sistema per indi- 220 care il complessivo percorso di educazione, riservando il termine di sottosi- stema all’insieme dei percorsi dei licei e di quelli dell’istruzione e della FP. Il contratto di apprendistato consente di adempiere il diritto dovere all’istru- zione e formazione fino al 18° anno perché ha come obiettivo il conse- guimento di una qualifica e apparterrà perciò al sottosistema dell’istruzione e della FP. Lo stesso articolo al comma 4 afferma: “Nelle istituzioni scolastiche sta- tali la fruizione del diritto di cui al comma 3 non è soggetta a tasse di iscri- zione e di frequenza”. La gratuità costituisce il modo concreto per rendere usufruibile il diritto e non gravoso il dovere. Poiché questo vale solo per le scuole statali, si fa una suddivisione dei giovani non in base al loro diritto- dovere, ma in base al tipo di scelta che fanno. In questo la centralità del gio- vane e della sua possibilità di scelta è completamente lasciata in ombra. È ve- ro che non è compito di questo decreto risolvere il problema del finanzia- mento delle scuole paritarie, ma un problema irrisolto crea difficoltà all’in- sieme della riforma. E nel futuro, sarà gratuita l’iscrizione solo ai licei, che resteranno statali, o anche alle istituzioni e CFP del sottosistema dell’i- struzione e della FP, che diverranno regionali? Le Regioni, infatti, sono parte costitutiva della Repubblica, ma non sono lo Stato 3. Una risposta parziale s’intravede nell’art. 8, comma 1 dove si afferma che “l’iscrizione e la frequenza gratuite di cui all’articolo 1, comma 4, ricomprendono i primi due anni degli istituti secondari superiori e dei percorsi sperimentali di istruzio- ne e formazione professionale realizzati sulla base dell’accordo in sede di Conferenza unificata del 19 giugno 2003”. Questo farebbe supporre che an- che il sottosistema di competenza regionale dovrà essere gratuito. Sarebbe meglio esprimerlo chiaramente anche nell’articolo 1. L’analisi dell’art. 3 “Anagrafe nazionale degli studenti” sembra alimenta- re dubbi sulla creazione di un sottosistema regionale autonomo e diversifi- cato. Tutto il sistema educativo avrà una sola anagrafe nazionale (art. 3, comma 1), che “presso il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ri- cerca raccoglie i dati sui percorsi scolastici, formativi e in apprendistato dei singoli studenti a partire dal primo anno della scuola primaria”. Poiché ana- grafi regionali e provinciali erano previste per l’obbligo formativo, non si comprende quale futuro sia loro riservato e come interagiranno con l’ana- grafe nazionale, che avrà come unico riferimento locale l’anagrafe della popolazione (comma 2). Soltanto quando si parla di vigilanza (art. 7), “il Comune, ove hanno la residenza i giovani che sono soggetti al predetto dovere” è nominato come primo responsabile, cui fanno seguito i responsabili delle istituzioni scolasti- che e formative presso le quali i giovani sono iscritti, e i servizi per l’impiego. Nel suo complesso, inoltre, lo schema di decreto non rende evidente la pari dignità dei due sottosistemi del secondo ciclo. Nell’editoriale del n. 81 di “Professionalità”, il prof. Colasanto nota come lo schema di decreto non fa nulla per “rimuovere l’immagine di minorità che la legge in qualche modo 221 3 Cfr. Costituzione della Repubblica Italiana, art. 114. induce quando prefigura percorsi per i licei di cinque anni e di quattro inve- ce ... per l’istruzione e la formazione professionale. Sembra scontato in questo modo che la ricca, nonostante tutto, esperienza degli istituti tecnici sia destinata a confluire nei licei tecnologici, per assicurarsi una continuità con il proprio passato. È proprio questo che si vuole?”. Inoltre, scorrendo i contenuti dello schema di decreto, si nota come a livello nazionale si tenda a non affrontare le difficoltà sorte nelle sperimen- tazioni dei percorsi triennali a livello regionale, dovute alla notevole diversi- tà di scelte di politica scolastica. La possibilità di iniziare i percorsi di istruzione e FP nei CFP dopo il con- seguimento del diploma di fine primo ciclo non è assicurata da questo de- creto; molte Regioni perciò continueranno ad imporre l’iscrizione ad una delle attuali scuole secondarie superiori, in qualche caso prolungando di fat- to “l’obbligo scolastico”. Purtroppo questo avviene soprattutto in Regioni in cui è molto alta la fuga dalla scuola, anche già prima del termine del primo ciclo. Il muro dell’ideologia è ben più difficile da abbattere rispetto a quello di Berlino! Nella prospettiva di superare questa difficoltà, il futuro decreto potrebbe aggiungere all’art. 1 comma 3 all’affermazione che il diritto si rea- lizza “nel secondo ciclo che comprende il sistema dei licei e il sistema dell’i- struzione e della formazione professionale”, l’espressione “tramite percorsi autonomi e differenziati di pari dignità”, rendendo più facile prevedere la possibilità di scelta del percorso nei CFP. Lo stesso potrebbe avvenire per il comma 4 dell’art. 2 dove si recita che “l’iscrizione è effettuata presso le isti- tuzioni del sistema dei licei o presso quelle del sistema di istruzione e for- mazione professionale”, in cui si potrebbe precisare “che realizzano percor- si autonomi, differenziati e di pari dignità coerenti con il profilo educativo, culturale e professionale”. Ogni riforma trova difficoltà nell’essere accettata e può presentare aspet- ti problematici: quella della scuola, che interessa milioni di famiglie e che pone interrogativi ad oltre un milione di operatori, non potrà essere accetta- ta e condivisa da tutti. Il pericolo che ne scaturisce è che, per scontentare meno persone possibili, si giunga a una riforma che sembri cambiare tutto per poi lasciare sostanzialmente tutto immutato. Questo fatto costituirebbe una grande disgrazia per tutti i giovani che si trovano in una situazione di difficoltà nell’attuale struttura educativa, nata da un modo di concepire la scuola che risponde, soprattutto per il secondo ciclo, ad esigenze troppo da- tate dal punto di vista sociale e culturale. Una valutazione sulle sperimentazioni La sperimentazione dei percorsi triennali nata dall’Accordo in conferen- za unificata del 19 giugno 2003, pur non coinvolgendo tutte le Regioni allo stesso modo e con i limiti dovuti a decisioni politiche e a motivi finanziari, permette di prefigurare come potrebbero essere realizzati i percorsi di istru- zione e FP. 222 Non tutte le sperimentazioni in atto sono ugualmente innovative e co- erenti con lo spirito della riforma, ma provano che tali percorsi sono ricer- cati dai giovani, contribuendo alla loro formazione integrale e al loro inseri- mento o reinserimento nel processo educativo. Essi possono condurre gli al- lievi ad una crescita sotto il profilo educativo, culturale e sociale attraverso una pedagogia e una metodologia didattica capace di mettere in luce quan- to di positivo vi è in ciascuno di loro. Già la sperimentazione dell’obbligo formativo seguita alla legge 144/99 aveva rilevato la capacità del sistema formativo di far acquisire a giovani, per la maggior parte espulsi dalla scuola secondaria, superiore fiducia in se stessi, riconciliandoli con l’istruzione e la cultura. Il monitoraggio svolto sul follow-up degli allievi che hanno seguito i percorsi dell’obbligo formativo nei CFP CNOS-FAP e CIOFS/FP ha rilevato che il 39,2% dei qualificati dopo il percorso biennale ha proseguito nella sua formazione, grazie alla capacità dei tali percorsi di rimotivare alla scuola e allo studio. Questo è avvenuto so- prattutto nelle Regioni del Nord, dove i qualificati avrebbero potuto facil- mente trovare lavoro. Nelle Regioni in cui si sono avviati percorsi triennali, che hanno preso come modello quello che FORMA aveva proposto 4 nella prospettiva della ri- forma Moratti, il numero di allievi che chiedono l’iscrizione è in continuo aumento, mentre le Regioni incontrano difficoltà di ordine finanziario nel dare risposte adeguate. È questo un segno di congruenza delle proposte edu- cative dei progetti triennali con le richieste di giovani e famiglie. Diversa è la sorte delle sperimentazioni nelle Regioni in cui si è offerta solo un’integra- zione professionalizzante ai normali curricoli del primo anno dell’attuale scuola secondaria superiore (normalmente istituti professionali o tecnici). Pur non avendo a disposizione dati consolidati, sembra che si sia trovata una certa difficoltà nel reperire allievi e ad attivare questi percorsi sperimentali integrati. Un rinnovato percorso professionalizzante trova tra giovani e famiglie una forte attrazione. Se poi il percorso triennale non si presentasse come chiuso, ma fosse aperto al proseguimento fino a un diploma di FP superiore, la dignità e l’attrattiva del sottosistema dell’istruzione e della FP sarebbe ga- rantita. Da questo punto di vista è importante progettare il quarto anno di di- ploma professionale, aperto sia al mondo del lavoro sia ai percorsi di istru- zione e FP, in modo da permettere a quanti lo desiderano la prosecuzione del percorso formativo. È necessario, perciò, che le Regioni se ne facciano carico senza pensare che, dopo il triennio sperimentale, la soluzione più semplice sia facilitare il rientro dei qualificati nei percorsi degli istituti tec- nici o professionali. Senza negare la possibilità di passerelle, solo l’attivazio- ne del quarto anno del percorso di IeFP permette a chi frequenta il triennio di intravedere un percorso aperto, togliendo la FP dalla situazione residuale. Se, infatti, gli attuali percorsi triennali si presentano senza la prospettiva di 223 4 Cfr. FORMA, Progetto pilota per il sistema di istruzione e formazione professionale: linee guida, in “Rassegna CNOS”, anno 18 (2002), n. 2, 96-122. una filiera verticale dai 14 al 21 anni, la FP sarà sempre percepita come si- stema di serie B, con minore dignità rispetto al sistema liceale. Quali prospettive L’attuazione della riforma è legata al decreto di attuazione del secondo ciclo e ai problemi connessi. La legge prevede la suddivisione del secondo ciclo in due tipologie di percorsi: quelli liceali, quinquennali e indirizzati a dare una cultura di base che porti agli studi universitari, e quelli dell’istruzione e FP, almeno trienna- li, aperti alle professioni e alla formazione superiore. Esiste la possibilità di passaggio da un sistema all’altro: in particolare dopo i primi quattro anni del percorso liceale si può passare all’istruzione e formazione superiore, e dopo il quarto anno dei percorsi professionalizzanti si può frequentare un anno di tipo liceale per giungere all’esame di Stato e all’università. A questi passaggi previsti dalla legge si possono aggiungere quelli dovuti al riconoscimento di crediti. Delle cosiddette passerelle si fa un gran discutere: talora nella pro- gettazione dei percorsi di IeFP (mai viceversa) sembra più importante crea- re condizioni per i passaggi che sviluppare logicamente un percorso con fi- nalità ben definite. Nello strutturare il secondo ciclo, si avranno certamente difficoltà a de- terminare quali delle istituzioni scolastiche sono destinate a far parte del sot- tosistema dell’istruzione e FP di competenza regionale. La logica vorrebbe che tutti i percorsi che portano a titoli e qualifiche professionalizzanti en- trassero a fare parte di questo sistema. Se per gli istituti professionali non dovrebbero esserci dubbi, per gli istituti tecnici, poiché la riforma prevede l’i- stituzione di licei tecnologici, sorgono problemi. Una parte del sistema delle imprese sembra volere che gli istituti tecnici restino nel sistema liceale di competenza del MIUR, conservando però la loro capacità professionalizzan- te. La stessa legge 53/03, affermando che “i licei artistico, economico e tec- nologico si articolano in indirizzi per corrispondere ai diversi fabbisogni for- mativi”, lascerebbe intravedere la possibilità che i licei si diversifichino in fi- liere professionalizzanti, corrispondenti ai principali indirizzi degli attuali istituti tecnici. Una siffatta lettura del testo intenderebbe riferire i “diversi fabbisogni formativi” non tanto agli allievi quanto al modo imprenditoriale presente in un determinato territorio. La professionalità acquisita in tali percorsi sarebbe, perciò, immediatamente spendibile sul mercato del lavoro. Se così fosse, la riforma porterebbe alla costruzione non di due sottosistemi, ma di tre. Il primo, costituito dagli attuali licei, avrebbe come scopo la for- mazione generale degli allievi e la loro preparazione agli studi universitari; il secondo, costituito essenzialmente dagli attuali istituti tecnici, avrebbe come fine l’istruzione generale e tecnico-professionalizzante degli allievi, che alla fine del percorso potrebbero scegliere un percorso universitario o di forma- zione superiore oppure l’inserimento lavorativo; il terzo, che continuerebbe ad essere residuale e “abbandonato alle regioni”, avrebbe come scopo la pre- 224 parazione professionale di quanti si trovassero in difficoltà nei percorsi li- ceali. La proposta della creazione di “poli tecnologici”, fatta da Confindustria a Vicenza il 20 aprile 2004, pone “il futuro dell’istruzione tecnica” in tale pro- spettiva. In questi poli, inoltre, i licei tecnologici dovrebbero assicurare un’offerta stabile di formazione superiore. In un polo tecnologico dovrebbe- ro trovare posto anche i percorsi triennali e quadriennali di IeFP; è evidente, però, lo sforzo di tenere gli attuali istituti tecnici fuori del sistema d’istruzione e FP regionale. D’altra parte, l’esclusiva competenza legislativa regionale nel sottosistema dell’istruzione e della FP potrebbe far emergere situazioni molto diverse tra Regione e Regione. Invece di un sistema differenziato, ma unitario, d’istruzione e FP potrebbero nascere sistemi non confrontabili sia per consi- stenza numerica sia per strutturazione. È fondamentale, perciò, che il previsto decreto per l’attuazione del secondo ciclo riesca a trovare una formulazione che assicuri riconoscibilità nazionale al sottosistema d’istruzione e FP e ne eviti la marginalizzazione. 225 In questi anni, l’editoriale di “Rassegna CNOS” ha cercato di monitorare, valutare e sostenere i processi di cambiamento che hanno investito il sistema educativo italiano, e in special modo la FP regionale. Chi negli ultimi nove anni ha curato in modo particolare questi interventi è giunto al termine del suo impegno e con questo editoriale si congeda dai lettori, nella speranza di aver saputo contribuire positivamente al processo di innovazione sviluppatosi in questi anni. Le prospettive di una riforma in un momento di debolezza del Governo Anche in questa legislatura, al primo confronto serio con un test eletto- rale, il Governo entra in un momento di difficoltà, che non può non interes- sare anche la riforma del sistema educativo. Inoltre, la crisi finanziaria at- tuale rende difficile pensare a una riforma da realizzare senza investimenti. Nell’opposizione, poi, il modo di valutare la riforma del sistema educati- vo italiano presenta visioni molto diverse. Vi è chi vorrebbe che, in caso di vittoria elettorale, fossero abrogate tutte le leggi di riforma promosse dall’at- tuale maggioranza, a cominciare da quelle relative alla riforma della scuola, e chi pensa di dovere solo migliorare le riforme. L’attuale opposizione, per quanto riguarda la scuola, dà la sensazione di partire da un dogma, che ri- tiene incontestabile: l’istruzione, che è la parte ritenuta più importante nel processo educativo, può essere affidata solo alla scuola. Perciò in essa le gio- vani generazioni debbono essere trattenute il più possibile. Per questo, prima dei sedici anni di età, i percorsi di FP non solo non sarebbero opportuni, ma addirittura dannosi. Il perché di tanta sicurezza sulla necessità che i giovani, per il loro bene, frequentino la scuola almeno per dodici anni è difficile da capire. Infatti, esaminando quanto avvenuto in questi anni, si sa che non ba- sta prolungare l’obbligo scolastico per costringere gli adolescenti ad andare a scuola e tanto meno ad imparare. Basta constatare che esiste ancora un certo numero di adolescenti che non conseguono la licenza media dopo qua- rant’anni dall’innalzamento dell’obbligo scolastico ai quattordici anni. Anche l’abrogata legge 9/99, innalzando l’obbligo al quindicesimo anno di età, ha aumentato le iscrizioni alla scuola secondaria, ma, per molti di coloro che si sono iscritti soltanto a motivo della legge, la permanenza è stata inutile o an- che dannosa. I prosciolti dall’obbligo per il solo motivo di aver compiuto il quindicesimo anno sono stati in numero rilevante, come ha messo in luce l’analisi delle iscrizioni ai percorsi biennali dell’obbligo formativo: chi ha intrapreso tali percorsi dopo avere frequentato un anno di secondaria supe- riore, nella maggior parte dei casi, non era stato promosso o aveva abban- 227 2004Editoriale n. 3 donato la frequenza durante tale anno. La necessità di frequentare percorsi scolastici per il primo biennio del secondo ciclo prescinde dalla rilevazione della realtà e parte dalla convinzione indimostrabile che solo un approccio deduttivo alla conoscenza sia autentico. Non importa che l’Europa percorra altre strade. Non interessa che, nel marzo 2001, il Consiglio Europeo abbia posto tra i suoi obiettivi la realizzazione di un sistema di istruzione e forma- zione organizzato sulla qualità; non si tiene conto che la Dichiarazione di Copenaghen chieda una maggiore cooperazione europea in materia di istruzione e FP: l’unica cosa importante è che i giovani in Italia non possano iscriversi alla FP. Se la scuola italiana, a confronto di quelle delle nazioni nelle quali esi- stono consolidati percorsi di FP iniziale (cfr. la Germania), fosse veramente più produttiva in termini di cultura, potremmo non contestare queste prese di posizione. Ma l’indagine empirica presentata nel 2002 dall’OCSE e cono- sciuta come P.I.S.A., prendendo in esame le competenze dei giovani a quin- dici anni (perciò prima che i nostri alunni potessero entrare nella FP), pone l’Italia al ventiseiesimo posto. Per quanto riguarda la comprensione della lettura, l’Italia si situa tra il diciannovesimo e il ventiquattresimo posto, se- condo le scale utilizzate: il che non è il massimo se si continua ad insistere che per non perdere le radici umanistiche della nostra cultura non ci si deve iscrivere precocemente alla FP! Se anche frequentando la scuola le conoscenze medie dei nostri ragazzi sono inferiori a quelle dei coetanei della maggior parte dei Paesi industria- lizzati, non si capisce quale pericolo per la loro formazione culturale succes- siva debba risiedere nel frequentare la FP! Non si comprende perché proprio i partiti di sinistra, che dovrebbero es- sere più sensibili al sociale e attenti ai giovani con maggiori difficoltà, inve- ce di cercare soluzioni innovative per motivarli allo studio siano così attac- cati ad una loro scolarizzazione forzata e ostili alla FP come strumento di un’educazione che si fondi sulla cultura del lavoro e prepari al lavoro. Talora si ha l’impressione che si voglia discutere di FP per evitare il pro- blema fondamentale: quale sarà la sorte dell’istruzione professionale e tecnica? Negli anni novanta si è assistito alla licealizzazione dei percorsi sia tecnici sia professionali, fino alla legge Berlinguer che li trasformava anche nominalmente in licei tecnici e tecnologici. L’acquisizione di competenze professionali veniva sempre più rimandata e la FP ridotta a supporto inte- grativo dell’istruzione. La legge 53/03 introduce come innovazione fondamentale percorsi pro- fessionalizzanti di istruzione e di FP, di competenza regionale in base alla riforma costituzionale. Quale sarà il futuro dei percorsi “professionali” attuali? Se divenissero di competenza regionale in quanto professionaliz- zanti, in che cosa si distinguerebbero dagli attuali percorsi triennali speri- mentali della FP? Che senso avrà ancora parlare di percorsi integrati, se tutti avessero gli stessi obiettivi, cioè qualifiche triennali e, dopo un quarto anno, diplomi professionali? Se tutti i percorsi “regionali” troveranno standard comuni a livello di 228 competenze di base e anche professionali, le critiche che ora riguardano so- lo la FP investirebbero tutti questi percorsi. Sono problemi di grande rilevanza, che non si risolvono ritornando a li- cealizzare tutti i percorsi, o almeno quelli tecnici. Nemmeno ha senso affer- mare che fino al sedicesimo anno tutti i percorsi debbono essere di tipo li- ceale, perché la conseguenza di questa scelta è nota a tutti: la moltiplicazio- ne della dispersione. Tra l’altro, nei principali Paesi europei, viene messa in discussione la con- vinzione che fino ai sedici anni di età si debba frequentare esclusivamente la scuola e non la FP. La Spagna è ritornata, con la legge del 2002, ad abbassa- re l’età della scelta a quattordici anni; in Francia, è messo in discussione il “College unique” fino ai sedici anni, a causa della dispersione che produce; in Inghilterra, il “National Curriculum” prevede forti differenziazioni nei per- corsi. L’idea centrale dell’uniformità degli ordini di scuola come garanzia di eguaglianza, che è stata alla base delle riforme degli anni settanta, è da rite- nersi superata. Diversità di percorsi non significa disuguaglianza, se si met- te al centro della riflessione il raggiungimento di standard di competenze e di obiettivi educativi più che l’unicità dei programmi e dei percorsi. Anche le più importanti riforme varate nella passata legislatura in mate- ria scolastica non vanno nel senso dell’uniformità, ma della differenziazione e di una nuova progettualità educativa. In questo senso può essere letta l’au- tonomia delle istituzioni scolastiche, che è divenuta norma costituzionale. Anche la legge 62/2000 sulla scuola paritaria rompe il pregiudizio che iden- tificava il servizio pubblico scolastico con il servizio statale. Questi elemen- ti, uniti alla riforma costituzionale che ha dato alle Regioni la legislazione primaria in materia di istruzione e FP, sono le premesse della riforma Mo- ratti. Una controriforma del sistema scolastico nel secondo ciclo potrebbe solo portare all’istituzione di un biennio unico, non professionalizzante, di competenza dello Stato, per poi avere dopo questo dei percorsi di istruzione e FP di competenza regionale. Le conseguenze sarebbero esattamente con- trarie alle aspettative di chi progetta questo tipo di riforma: una sempre mag- giore dispersione delle fasce di giovani socialmente più deboli, come ha di- mostrato la precedente legge 9/99 e la situazione dei Paesi europei in cui non si ha differenziazione. In questo contesto non si capisce con quale criterio alcune Regioni ab- biano rifiutato percorsi di FP sperimentali, imponendo, in modi piuttosto strani, percorsi integrati che probabilmente assommano i possibili difetti dei percorsi scolastici e quelli della FP. Infatti, nonostante la buona volontà di scuole e Centri, i giovani si trovano di fronte ad approcci educativi e didatti- ci non omogenei che, invece di facilitare il loro apprendimento, incrementa- no le difficoltà. Agenzie ed Enti di FP, inoltre, vedrebbero ridursi il loro ruo- lo a quello di addestratori pratici: il percorso educativo sarebbe progettato partendo dalla premessa che solo la scuola dà la cultura, perché questo è il suo compito, mentre la FP fornisce competenze pratiche, perché solo questo saprebbe fare. Espressioni quali “cultura del lavoro”, “formazione ai ruoli professionali”, “proposta formativa di un Ente” non avrebbero alcun senso: 229 forse sarebbe opportuno rileggere alcuni articoli della legge 845/78, votata allora da tutti gli schieramenti politici, per capire come questo modo di concepire la FP rappresenti una regressione culturale. Lo schema di decreto legislativo sull’INVALSI La serie dei decreti legislativi attuativi della legge 53/03 continua ad ar- ricchirsi. Dopo l’emanazione del decreto sul primo ciclo, il Governo ha ap- provato tre schemi di decreto, che sono in attesa di approvazione definitiva dopo l’iter stabilito. Ci soffermiamo, non avendolo preso in considerazione in precedenti editoriali, sullo “Schema di decreto legislativo concernente la isti- tuzione del Servizio Nazionale di valutazione del sistema di istruzione e di istruzione e formazione nonché riordino dell’Istituto nazionale per la valu- tazione del sistema dell’istruzione ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53” approvato dal Consiglio dei Ministri il 23 marzo 2004. Alcuni presupposti possono aiutare la comprensione del testo dello sche- ma. Tra questi, emerge la dimensione personalistica e sociale del valore del capitale umano che è valutato. Il partire dal valore della persona permette un’impostazione complessiva della valutazione lungo tutto l’arco della vita, senza fermarsi alla pura misurazione delle dimensioni che mettono in risal- to i risvolti economici della formazione. Inoltre, le disposizioni riconoscono le competenze dei docenti nella valu- tazione degli studenti e delle scuole nella gestione per la qualità. Il servizio di valutazione esterna, infatti, ha come fine il confronto tra classi e scuole su alcuni risultati degli apprendimenti degli studenti e di rilevare la qualità complessiva dell’offerta formativa. Questo consente di portare le scuole all’autovalutazione e di garantire i livelli essenziali delle prestazioni, con riferimento anche al sottosistema dell’istruzione e della FP. La valutazione è affidata all’INVALSI, Ente autonomo di ricerca, sogget- to alla vigilanza del MIUR. Analizziamo alcuni punti particolari dello schema di decreto. L’art. 1, “Istituzione del Servizio nazionale di valutazione del sistema di istruzione e di formazione”, al primo comma precisa che obiettivo di tale si- stema è “valutare l’efficienza e l’efficacia del sistema di istruzione e di istru- zione e formazione professionale, inquadrando la valutazione nel contesto internazionale”. Nello stesso comma, emergono alcune difficoltà legate al si- stema della FP: per “la formazione professionale tale valutazione concerne esclusivamente i livelli essenziali di prestazione come definiti ai sensi del- l’articolo 7, comma 1, lettera c) e comma 2 della legge 28 marzo 2003, n. 53 e deve essere effettuata tenuto conto degli altri soggetti istituzionali che già operano a livello nazionale nel settore della valutazione delle politiche na- zionali finalizzate allo sviluppo delle risorse umane”. Sia le Regioni sia, a li- vello nazionale, il MLPS si riservano di poter continuare il loro lavoro di mo- nitoraggio e valutazione sui risultati dei percorsi di FP, che si estendono a tutto l’arco della vita lavorativa e non soltanto alla formazione iniziale fina- 230 lizzata all’ingresso nel mondo del lavoro. Il secondo comma precisa che al raggiungimento degli obiettivi fissati concorrono le istituzioni scolastiche e formative, che, inoltre, “forniscono all’Istituto nazionale di valutazione i da- ti dallo stesso richiesti”. L’art. 2, per il conseguimento dei fini sopra descritti, riordina il già esi- stente INVALSI, che ridefinisce come “Istituto Nazionale per la valutazione del sistema di istruzione e di formazione” (comma 1), “ente di ricerca con personalità giuridica di diritto pubblico ed autonomia amministrativa, con- tabile, patrimoniale, regolamentare e finanziaria” (comma 2), “soggetto alla vigilanza del Ministero dell’istruzione, università e ricerca” (comma 3). Il MIUR stabilirà con una propria direttiva “relativamente al sistema dell’i- struzione” le priorità dell’Istituto di valutazione, mentre le linee guida relati- ve al sistema dell’istruzione e della FP sono definite d’intesa con la Confe- renza Unificata (comma 3). Il sommarsi di competenze diverse nella stessa materia, in modo speciale dopo le modifiche costituzionali, rende evidente la difficoltà di creare un efficace sistema nazionale, soprattutto se continue- ranno a prevalere le contrapposizioni di schieramento politico nel raggiun- gere i necessari accordi istituzionali. L’art. 3 descrive i compiti dell’INVALSI: in particolare esso “effettua veri- fiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze e abilità degli studenti e sul- la qualità complessiva dell’offerta delle istituzioni di istruzione e di istruzio- ne e formazione professionale, anche nel contesto dell’apprendimento per- manente” (comma 1 lettera a), “predispone, nell’ambito delle prove previste per l’esame di Stato conclusivo dei cicli di istruzione, per la loro scelta da parte del Ministro, le prove a carattere nazionale,” (comma 1, lettera b). Ven- gono inoltre precisate altre possibili attività che l’Istituto può svolgere. Il comma 2 precisa: “Gli esiti delle attività svolte ai sensi del comma 1 so- no oggetto di apposite relazioni del Ministro” e “possono segnalare indicato- ri ritenuti utili al miglioramento della qualità complessiva del Sistema”. An- che per questo articolo esistono le solite precisazioni quando si tratta di istruzione e FP. Per il resto, lo schema di decreto legislativo stabilisce la struttura dell’I- stituto e i suoi vari organi, la dotazione di personale, il patrimonio e le ri- sorse finanziarie. Il Presidente è proposto dal Ministro dell’Istruzione Uni- versità e Ricerca e nominato, su delibera del Consiglio dei Ministri, dal Pre- sidente della Repubblica; i cinque membri del Comitato direttivo sono no- minati dal MIUR; tra loro uno è designato dal MLPS e uno dalla Conferenza Stato-Regioni. La possibilità di usufruire di alcune unità di personale comandato pro- veniente dalle Amministrazioni pubbliche, in particolare della scuola, po- trebbe forse delineare un limite all’autonomia dell’Istituto. 231 Il decreto sulla formazione dei docenti Il Decreto Delegato ex art. 5 della legge 53/03 sulla formazione dei docen- ti è ancora allo studio e di esso non si hanno che delle ipotesi di stesura. L’articolo 5 della legge fissa alcuni punti riguardanti la formazione iniziale e continua dei docenti. La formazione dei docenti della scuola dell’infanzia, del primo ciclo e del secondo ciclo è di pari dignità e si svolge essenzialmen- te nelle Università attraverso la frequenza di corsi di laurea specialistica e di corsi accademici di 2° livello preordinati all’acquisizione delle competenze di- sciplinari, pedagogiche, didattiche, organizzative, relazionali e organizzative. Nel trattare delle modalità essenziali della formazione iniziale e del pro- filo dei docenti del sistema dell’istruzione e FP sorgono problemi: i requisiti richiesti ai formatori e docenti concorrono alla determinazione dei livelli es- senziali delle prestazioni del sistema, per questo sono di competenza statale. Il Ministro, di intesa con il MLPS e la Conferenza Unificata, determina per- ciò gli insegnamenti e le aree disciplinari che assicurano la valenza naziona- le dei titoli e delle qualifiche. È pensabile che per operare in alcune aree, ad esempio buona parte di quelle fissate nell’Accordo del 15 gennaio 2004, cioè l’area dei linguaggi, l’a- rea scientifica, tecnologica e storico-socio-economica, sia richiesta a forma- tori e docenti una formazione iniziale non dissimile da quella richiesta per gli insegnanti dei licei. Però, per un notevole numero di formatori che ope- rano in aree specialistiche tecnico pratiche, un percorso del genere sarebbe improponibile, pena lo snaturamento dei percorsi di istruzione e FP. Anche la formazione degli insegnanti nelle aree “comuni” sarebbe opportuno fosse sviluppata in percorsi universitari appropriati (in Germania la formazione degli insegnanti della Berufsshule viene attuata in appositi percorsi universi- tari), perché il percorso di istruzione e FP risulti omogeneo e non la giustap- posizione di un pezzo di istruzione di tipo liceale a un percorso di tipo pra- tico, quasi di “apprendistato”. La situazione dei docenti presenti oggi nella scuola, e in special modo il grande numero di precari, la diminuzione degli allievi dovuta a cause demo- grafiche impongono di stabilire norme precise per limitare l’accesso alla pro- fessione docente. Questo fatto non deve mettere in ombra che al centro del- la riforma del sistema scolastico non si debbono porre i problemi degli inse- gnanti, ma gli alunni: in caso contrario, si trascineranno negli anni i proble- mi, aggravandoli invece di risolverli. I corsi di laurea specialistici sono affidati alle Università, magari in ac- cordo tra loro e con il concorso di più Facoltà. Saranno i regolamenti di Ate- neo a disciplinare l’istituzione e l’organizzazione di un’apposita struttura co- me “Centro di servizio per la formazione degli insegnanti”, di cui saranno fissati i compiti. Per l’accesso all’insegnamento è necessario svolgere attività di tirocinio, con assunzione di insegnamento e la supervisione di un tutor. Si accede quindi ad un contratto di formazione lavoro, riservato ai laureati e ai diplo- mati specialisti, abilitati, iscritti in apposito albo regionale. 232 Per la formazione permanente degli insegnanti verranno creati centri di eccellenza, sempre legati agli Atenei che svolgono la formazione iniziale, in accordo con altri Enti formativi. Sono ignorate tutte le possibilità di forma- zione che una istituzione scolastica autonoma potrebbe liberamente decide- re di utilizzare per la formazione continua. I principi enucleati dipendono essenzialmente da quanto già fissa l’art. 5 della legge. Si spera che la formazione degli insegnanti e la loro assunzione porti a un miglioramento della scuola italiana e della funzione docente. L’ISFOL In questo ultimo periodo è giunto al termine il percorso di trasformazio- ne dell’ISFOL, che, dopo un periodo piuttosto lungo di gestione commissa- riale dovuta al cambio di Statuto, ha trovato il suo assetto definitivo. La com- posizione del nuovo Consiglio di Amministrazione dell’Ente rende evidenti i cambiamenti istituzionali maturati in questi anni e, soprattutto, l’importan- za assunta dalle Regioni e anche dal MIUR nel complesso dei temi su cui l’I- SFOL esprime la sua competenza. Gli scopi istituzionali dell’Ente sono, in- fatti, le attività di ricerca e studio, sperimentazione, assistenza tecnica in ma- teria di fabbisogni formativi, qualificazioni, struttura delle professioni, pro- fessionalità emergenti; programmazione e progettazione formativa, offerta di formazione, rapporti tra sistemi formativi, valutazione; aspetti curricola- ri, metodologici, didattici e normativi, multimedialità; politiche dell’impiego e specifiche sezioni e fasce del mercato del lavoro. È stato nominato presidente Sergio Trevisanato, già Commissario Straor- dinario presso lo stesso Ente dal maggio al giugno scorso e Dirigente nel- l’ambito della FP in Veneto. Il periodo di grandi innovazioni che sta attraversando il sistema scolasti- co e formativo richiede l’apporto di tutti: ci auguriamo che l’ISFOL possa continuare e accrescere la propria capacità di supporto alle trasformazioni che in questi anni particolarmente il sistema della FP iniziale, superiore, continua e permanente sta affrontando. Infatti, le vicende del “Rapporto ISFOL” in questi ultimi due anni hanno messo in luce una situazione di difficoltà: nonostante fosse stata annunciata, non si è avuta la presentazione del “Rapporto 2002”; del “Rapporto 2003” è stata fatta una presentazione a un gruppo ristretto di esperti e in grave ritar- do (essendo stato stampato nel marzo 2004). Auguriamo che a novembre pos- sa essere disponibile il “Rapporto 2004”, come importante supporto e stimo- lo a quanti lavorano nel settore in questi momenti di grandi trasformazioni. Carta qualità della formazione professionale iniziale per i giovani dai 14 ai 18 anni L’Area Sistemi Formativi dell’ISFOL ha elaborato, sulla base del con- fronto con le esperienza di Enti e Associazioni di Enti di FP rappresentativi a livello nazionale, la “Carta qualità della formazione professionale iniziale per 233 i giovani dai 14 ai 18 anni”. Essa rappresenta un impegno da parte di tutti gli Enti ad assicurare qualità nelle attività formative, delineandone i requisiti e rendendoli trasparenti per i soggetti che sono potenziali utilizzatori della FP iniziale, in particolare giovani e famiglie. La “Carta” si propone di rendere evidente che la FP costituisce una componente essenziale del secondo ciclo del rinnovato sistema educativo italiano. I percorsi della FP iniziale si svi- luppano a partire dalla domanda dei giovani e delle famiglie, assicurando il diritto a scelte reversibili in un sistema educativo e formativo aperto e flessi- bile. Descrive la qualità pedagogica e didattica, che permette di raggiungere i risultati secondo gli standard definiti. Inoltre precisa la qualità organizza- tiva delle sedi formative: sono comunità educative e luoghi di apprendimen- to, in cui sono presenti diverse figure professionali ed équipe di formatori in grado di orientare e guidare i giovani attraverso un vero processo formativo. Il breve ed elegante libretto che l’ISFOL ha stampato, presentato e mes- so a disposizione degli operatori della FP costituisce un importante punto di riferimento sia per gli Enti sia per i destinatari del servizio formativo, ma anche per chi in sede politica deve promuovere una collocazione più visibile del sistema formativo italiano, molte volte poco apprezzato più per non co- noscenza che per i limiti che alcune volte può mostrare. La presentazione dei risultati della ricerca Excelsior A partire dal 1996, Unioncamere (Unione italiana delle Camere di com- mercio, industria, artigianato e agricoltura) aggiorna i dati del suo sistema informativo “Excelsior” per l’occupazione e la formazione attraverso un’in- dagine che consente di leggerne nel tempo trasformazioni e tendenze. Il 22 giungo 2004 sono stati presentati i dati dell’indagine condotta sulle previsioni occupazionali e professionali delle imprese per il 2004. Per quanto riguarda i livelli formativi attesi dalle imprese, l’ultima indagine segnala la riduzione della domanda di lavoratori con qualificazione minima, la contenuta richiesta di qualifiche professionali e di diplomi e la crescita della richiesta di laureati. Questo fatto rappresenta un’inversione di tendenza rispetto ad anni prece- denti, in cui la richiesta di lavoratori con qualificazione minima era in cre- scita. La variazione, però, è ancora troppo piccola per pensare ad un cambio stabile di tendenza. Inoltre, l’indagine “Excelsior” si riferisce alle previsioni occupazionali delle imprese: sarà necessario confrontare i dati con quelli che verranno rilevati al termine del periodo, anche se l’esperienza di anni conferma che le tendenze rilevate nell’indagine sulle previsioni non si disco- stano in modo sensibile dalle rilevazioni conclusive. La ricerca mette in evidenza il diffondersi della formazione continua nelle imprese. Inoltre è un fatto significativo che ormai un’impresa su dieci ospita regolarmente stage e tirocini formativi, in maniera più marcata nel Centro Nord. Per quanto riguarda i saldi occupazionali, è prevista una crescita limitata e non omogenea di occupati nelle varie aree e nei vari settori. Inoltre conti- nua ad essere elevata la percentuale di assunzioni che prevedono esperienza lavorativa generica o specifica del settore, di fronte ad una diminuzione di 234 richiesta di operai specializzati: si ha un aumento solo per conduttori di impianti e macchinari, addetti alle macchine utensili e movimento terra. Bastino questi accenni per destare l’interesse per i dati che il sistema “Excelsior” mette a disposizione anche di coloro che, attraverso la FP, mira- no a rispondere alle attese formative dei giovani in modo che trovino meno difficoltà nel momento di entrare nel mondo del lavoro. 235 Anno 1996 Editoriale n. 1 .............................................................................................. 7 Editoriale n. 2 .............................................................................................. 13 Editoriale n. 3 .............................................................................................. 23 Anno 1997 Editoriale n. 1 .............................................................................................. 33 Editoriale n. 2 .............................................................................................. 43 Editoriale n. 3 .............................................................................................. 53 Anno 1998 Editoriale n. 1 .............................................................................................. 65 Editoriale n. 2 .............................................................................................. 73 Editoriale n. 3 .............................................................................................. 83 Anno 1999 Editoriale n. 1 .............................................................................................. 87 Editoriale n. 2 .............................................................................................. 95 Editoriale n. 3 .............................................................................................. 103 Anno 2000 Editoriale n. 1 .............................................................................................. 113 Editoriale n. 2 .............................................................................................. 121 Editoriale n. 3 .............................................................................................. 129 Anno 2001 Editoriale n. 1 .............................................................................................. 137 Editoriale n. 2 .............................................................................................. 145 Editoriale n. 3 .............................................................................................. 151 Anno 2002 Editoriale n. 1 .............................................................................................. 161 Editoriale n. 2 .............................................................................................. 167 Editoriale n. 3 .............................................................................................. 175 Anno 2003 Editoriale n. 1 .............................................................................................. 185 Editoriale n. 2 .............................................................................................. 193 Editoriale n. 3 .............................................................................................. 199 237 IndiceIndice Anno 2004 Editoriale n. 1 .............................................................................................. 209 Editoriale n. 2 .............................................................................................. 217 Editoriale n. 3 .............................................................................................. 227 238 Tipolitografia Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 • tipolito@pcn.net Finito di stampare: Settembre 2004

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