GLI EDITORIALI DI
RASSEGNA CNOS
Il servizio di
don Stefano Colombo
nella formazione professionale
in un tempo di riforme
Perché una raccolta degli editoriali della rivista “Rassegna CNOS”?
Due sono state le ragioni che hanno spinto i membri della Sede Nazionale
alla presente iniziativa: una motivazione legata alla funzione della rivista,
l’altra alla vita della Federazione.
La rivista “Rassegna CNOS” è l’osservatorio della Federazione sul sistema
educativo, con particolare riferimento all’orientamento e alla formazione
professionale. Il periodo preso in considerazione è stato ricco di eventi,
fotografato con la metafora del “cantiere”.
Alla fine degli anni Novanta, infatti, un editoriale titolava: “ ‘Il cantiere
aperto della Formazione’: con questa affermazione il presidente dell’ISFOL,
prof. Michele Colasanto, avviava la sua relazione di presentazione del
‘Rapporto ISFOL 1997’. Un cantiere finalmente aperto, si potrebbe
aggiungere!”.
Gli editoriali hanno seguito questo complesso periodo: il riordino della
formazione professionale nella direzione dell’accreditamento e della qualità,
l’innalzamento dell’obbligo scolastico, l’introduzione dell’obbligo formativo,
una prima proposta organica di riforma di tutto il sistema educativo,
la riforma del titolo V della Costituzione, una seconda proposta organica
di riforma del sistema educativo... una somma di eventi importanti letti
nel più ampio contesto regionale e nazionale, a livello politico, civile ed
ecclesiale e sullo sfondo degli orientamenti europei.
Il lettore potrà ripercorrere questi anni, ricavandone un ricco capitolo di
“storia della formazione professionale” in Italia.
Quel “cantiere” oggi è ancora aperto! Le leggi più recenti, infatti, hanno
profondamente ridisegnato il ruolo e le modalità operative del sistema di
istruzione e di formazione. L’affermazione del diritto – dovere alla
formazione, l’alternanza, i nuovi “apprendistati” ... gli editoriali
continueranno ad informare, riflettere, proporre... per continuare nel
servizio ai giovani e agli operatori che agiscono nelle varie Regioni.
Il secondo motivo è interno alla Federazione CNOS-FAP, presieduto, nel
periodo considerato, dall’ing. Stefano Colombo. Se gli editoriali riflettono il
pensiero della Federazione, il coordinatore, l’estensore, l’elaboratore della
sintesi è del Presidente, il quale ha assolto questo compito con puntualità
e competenza. La presente pubblicazione vuole essere anche un gesto
di stima e di ringraziamento dei suoi più stretti collaboratori per il suo
servizio.
Un grazie sincero, dunque, a don Stefano che, in qualità di Presidente, ha
guidato per nove anni la Federazione CNOS-FAP, mettendo a disposizione
la sua competenza e la sua professionalità, e, come salesiano, ha amato
i giovani in modo “indiretto” perché impegnato in una scrivania,
in un ufficio e non in un laboratorio, in un cortile... come “di norma”
vive ogni salesiano impegnato con i giovani.
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1996
1996
Rassegna CNOS, in questo nuovo anno, si propone di affrontare, con
rinnovato impegno, i temi della formazione professionale (FP), nella fidu-
ciosa prospettiva di contribuire ad un autentico rinnovamento del settore
e alla soluzione dei problemi vecchi e nuovi ad esso connessi, nel rispetto
della nostra tradizione e della nostra missione educativa.
I discorsi sulla formazione professionale
La ricerca della Banca d’Italia sulla rispondenza tra professionalità ri-
chieste e professionalità offerte sul mercato del lavoro in Italia ha stimolato
un certo interesse da parte dei mass media per i problemi della FP. Alcuni
giornali si sono distinti per la critica distruttiva con cui hanno gratuitamen-
te investito il settore. Quanto affermato dalla ricerca della Banca d’Italia non
è una novità per gli addetti ai lavori e mette in evidenza un problema noto:
lo scollamento tra occupabilità, formazione e orientamento professionale.
Scollamento tanto più preoccupante se riferito alla globalità del sistema sco-
lastico italiano, nel quale è sempre più difficile scegliere con criteri oggettivi
e funzionali un indirizzo scolastico, sia a livello di diploma che a livello di
laurea, con la conseguente dispersione di capitali e risorse umane maggiori
di quelli impiegati nella FP.
Le difficoltà, gli sperperi di denaro pubblico, la scarsità dei risultati non
riguardano quindi soltanto il settore della FP ma l’intero sistema formativo
del nostro Paese e sono uno dei nodi politici, economici e culturali che fre-
nano i processi di sviluppo dell’Italia come di altri Paesi del mondo occiden-
tale. Questi dati di fatto, però, non devono essere strumentalizzati per criti-
che di parte. Per due ordini di considerazioni.
Primo, perché quando si parla di formazione dell’uomo, quando ci si ri-
ferisce a quel fondamentale valore, anche economico, che sono le risorse
umane, i semplici criteri d’efficienza tecnocratica sono fuorvianti; i risultati
formativi non sono output scontati e prevedibili di input predeterminati, per
il semplice fatto che qualsiasi rapporto formativo non si configura come una
macchina banale, ma introduce la variabile della libertà, del significato, del
valore. Il che non significa che la formazione debba essere inefficiente, ma
significa che una corretta valutazione della formazione deve prendere in con-
siderazione l’efficienza e l’efficacia dei processi, deve contestualizzare i ri-
sultati, deve andare oltre le considerazioni a breve e inquadrarsi in un pro-
getto di sviluppo a lungo termine del mondo del lavoro.
Secondo, perché le situazioni contingenti non possono essere assunte co-
me criteri di valutazione. È vero che ottimi qualificati di un Centro hanno in-
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Editoriale n. 1
contrato difficoltà a trovare occupazione, ma solo perché sono entrati nel
mercato del lavoro in un anno di recessione. È vero che mediocri qualificati
dello stesso Centro hanno trovato immediatamente occupazione, ma in anni
di crescita economica. Assumere questi fenomeni come criteri di valutazione
della FP non porta da nessuna parte.
Nei processi formativi è l’uomo che deve essere tenuto al centro dell’in-
teresse, non solo le contingenze economiche. Certamente, se l’inoccupabilità
in certe qualifiche diventa usuale, sarà opportuno cambiare tipo di qualifica,
ma lo stesso problema vale per la scuola in genere e per l’università.
Nella stessa ottica, ci pare debba essere valutato un altro fenomeno.
Nel sistema della FP sono entrate ad operare alcune lobby che, sembra, si
interessino più dei capitali disponibili che dei reali problemi dei giovani,
dei lavoratori e delle aziende. È una forma di concorrenza discutibile. Però
qualunque forma di concorrenza che abbia come conseguenza una crescita
qualitativa della FP è utile. Ciò che conta, al di là degli interessi immediati,
è sempre la crescita umana e professionale del mondo del lavoro.
Pare che i grandi mezzi di comunicazione sociale abbiano scoperto l’im-
portanza della FP. L’argomento rimbalza su giornali e riviste anche non
specializzate. Probabilmente si tratta di un interesse passeggero, legato più
che altro al problema della disoccupazione. In tutti i casi è importante che il
problema venga portato a conoscenza del grande pubblico. Chi ha sempre
creduto nell’importanza fondamentale della FP per ogni lavoratore, sia che
debba occupare posti di governo nel sistema produttivo, sia che debba occu-
pare posti subalterni e da operaio, non può che rallegrarsi dell’allargamento
del discorso, anche se non sempre può condividere le analisi che vengono
fatte e i rimedi che vengono suggeriti.
Tre nodi critici del sistema formativo italiano
Durante l’annuale presentazione del Rapporto ISFOL, il Ministro del
Lavoro e della P.S. ha trattato dei problemi della FP individuando tre nodi
critici.
1. La formazione superiore
In Italia non esiste un sistema che regoli la formazione superiore. Non
disponiamo cioè di alcuno strumento formativo, post diploma o post laurea,
in grado di introdurre nel mondo del lavoro dei professionisti “finiti”.
Sono state istituite le cosiddette “Lauree Brevi”, ma non hanno riscosso
risultati apprezzabili: la nostra università continua ad essere un posto di ri-
cerca scientifica e non ha tra i suoi scopi istituzionali la formazione al lavo-
ro. Le nuove lauree, in assenza di un personale docente specificamente pre-
parato per la professionalizzazione dell’insegnamento, non risolvono il pro-
blema e continuano ad immettere sul mercato del lavoro risorse umane non
immediatamente fruibili dalle aziende.
Ci sono scuole medie superiori che stanno attivando interventi formativi
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post diploma. La materia però non è ben definita e anche il corpo docente
della secondaria superiore non è normalmente preparato per erogare un’a-
deguata FP.
Anche i Centri di Formazione Professionale (CFP) rivelano un crescente
interesse per tale segmento di utenza. Ma gli interventi che essi compiono
non sempre sono coordinati e si riferiscono solo ad alcuni settori specifici.
Il problema quindi deve essere reimpostato nell’ottica di un progetto glo-
bale di formazione superiore.
2. La formazione continua
Il questo periodo di grandi cambiamenti tecnologici, che hanno reso ob-
solete molte professionalità, il problema della formazione continua si è im-
posto: se un lavoratore non riesce a mantenere aggiornata la sua professio-
nalità, rischia di divenire marginale e, a poco a poco, di essere escluso dal
mercato del lavoro.
In Italia, anche se vi sono esperienze di formazione continua, non vi è né
un sistema di formazione continua né una legge che la regoli e la finanzi, in
modo che tutti i lavoratori, o su iniziativa dei datori di lavoro o per libera
scelta, possano tenere aggiornata la propria professionalità.
3. La formazione in alternanza
In Italia sono moltissimi i giovani, che lavorano con un contratto di for-
mazione lavoro o con un contratto di apprendistato. Si tratta di regolamen-
tare la formazione si ottiene con tali iniziative, affinché l’apprendistato e
il contratto di formazione-lavoro non si riducano ad essere semplicemente
istituti che servono a ridurre il corso del lavoro senza produrre un’effettiva
FP del giovane stesso.
La diversificazione della domanda di formazione
La formazione di base o iniziale, il cosiddetto primo livello, ha riscosso
recentemente nuovo interesse da parte dell’opinione pubblica, stimolata tra
l’altro, dal libro bianco di Delors. Il mondo del lavoro, soprattutto il settore
industriale, soffre di una diminuzione significativa di operatori con profes-
sionalità di tipo operaio: l’industria, insomma, continua ad aver bisogno di
operai qualificati. Contemporaneamente, un certo numero di giovani è alla
ricerca di una qualifica da spendere immediatamente sul mercato del lavoro,
per motivi familiari, per motivi economici, per scarsa propensione allo stu-
dio prolungato.
Dobbiamo quindi prendere nuovamente in considerazione la formazione
di base, ma con criteri aggiornati alla realtà del mondo del lavoro di oggi. An-
che la formazione di primo livello richiede notevoli contenuti culturali,
scientifici e tecnici per preparare i giovani lavoratori non solo ad un impie-
go immediato ma anche per immetterli in condizione di adattarsi ai cam-
biamenti dei profili professionali che si determinano nel tempo.
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La prima qualificazione quindi è un terreno formativo che richiede in-
novazione nei contenuti culturali e tecnico-operativi e nei metodi.
Il problema rimanda alla riforma della scuola media superiore e alla
dilatazione della scuola dell’obbligo. Della prima si parla da decenni e non
è più facile stabilire se i continui rinvii dipendano dalla difficoltà della ma-
teria o da scarsa volontà politica: di fatto, ci troviamo con una secondaria
superiore che è tutto e il contrario di tutto, in cui s’intrecciano curricoli
tradizionali e curricoli sperimentali, che si appellano a diversi progetti e
testi legislativi, comunque scollegala dalla scuola dell’obbligo, dall’università
e dal mondo del lavoro.
Per quanto riguarda la dilatazione del periodo della scuola obbligatoria,
qualche dato e una considerazione di fondo. Nell’anno scolastico1 ’93/’94
il tasso di passaggio alla scuola media superiore è stato del 91,5%; il tasso
di scolarità nell’anno ’94/’95 tra 14 e 18 anni è stato del 78,9% e il tasso di
diplomati rispetto ai coetanei di 19 anni del 66,1%. Nel 1991 i ragazzi di
14 anni che erano inseriti nella FP rappresentavano il 5,5% del totale dei
coetanei. Questa percentuale negli ultimi anni è diminuita.
Il numero dei quattordicenni che abbandonano la scuola è statistica-
mente irrilevante e, per la gran parte, coincide con il numero di ragazzi che
abbandonano la scuola dell’obbligo prima dei 14 anni, per i quali quindi l’in-
nalzamento dell’obbligo non ha alcun senso. Gli italiani, a conti fatti, hanno
quindi risolto da soli il problema dell’innalzamento dell’obbligo, continuan-
do a mandare i figli a scuola anche dopo la terza media. Lo hanno fatto pri-
ma e senza bisogno dell’intervento legislativo. A questo punto la questione
sembra assumere una rilevanza puramente politica e ideologica. Resta inve-
ce da affrontare il problema dei ragazzi che hanno abbandonato la scuola
senza completare il ciclo dell’obbligo. Bisognerà interessarsi di loro, portan-
doli, attraverso corsi mirati e di alternanza, alla rimotivazione formativa.
I giovani che, per vari motivi, hanno avuto una scolarità irregolare, costella-
ta d’insuccessi, hanno anch’essi il diritto di entrare nel mondo del lavoro
con una formazione adeguata alle loro capacità. Qualora fosse possibile,
dovrebbero trovare, attraverso il lavoro, una rimotivazione alla formazione
e allo studio.
È un settore d’intervento che potrebbe essere troppo comodamente ac-
cantonato nell’attuale contesto sociale, stante la sua scarsa visibilità. E inve-
ce richiede una precisa presa di coscienza da parte dei politici. Questi giova-
ni, che sono un grande valore anche dal punto di vista economico, non pos-
sono essere lasciati a se stessi, affidati magari all’assistenza sociale o al si-
stema repressivo della giustizia per i loro eventuali componimenti poco cor-
retti. Non fosse che per una considerazione di tipo economico: l’assistenza e
la repressione costano di più della prevenzione. Stanno crescendo gli inter-
venti formativi sulle fasce deboli, come handicappati, extra comunitari, di-
soccupati, persone in mobilità o in cassa integrazione, anche sotto la spinta
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1 I dati sono ricavati da ISFOL, Rapporto 1995, Franco Angeli, Milano, 1995.
della Comunità Europea che a questo scopo mette a disposizione adeguati fi-
nanziamenti attraverso il FSE. Manca probabilmente, in questo settore, una
verifica sull’effettiva incidenza formativa degli interventi che vengono attiva-
ti e sulla reale capacità che questi interventi hanno di inserire o reinserire nel
mercato del lavoro queste persone. Anche in questo settore la FP non può
essere impiegata come un puro ammortizzatore sociale, senza produrre pro-
fessionalità realmente spendibile. Il sistema della Formazione Professionale,
infine, si apre anche e sempre di più alla collaborazione con il sistema sco-
lastico. Il Ministero della Pubblica Istruzione, attraverso accordi e protocol-
li d’intesa, ha avviato sperimentazioni varie d’integrazione tra scuola e FP.
La miglior collaborazione sembra essere quella, varata da qualche anno
e che riguarda gli Istituti Professionali nell’ambito del “Progetto ‘92”. Questi
Istituti hanno abbandonato nel primo triennio la funzione specificatamente
professionalizzante, rimandandola al biennio post qualifica, gestito in colla-
borazione con la FP.
Altri punti di contatto e altri protocolli d’intesa, anche se meno diffusi e
ancora in fase sperimentale, si stanno avviando in diverse Regioni.
Prospettive legislative
L’allargamento degli interventi di formazione professionale e la loro di-
versificazione sembrano indicare l’urgenza di rivedere la legge quadro 845/78,
che disciplina le attività di FP in Italia. Alcune suggestioni presenti nella leg-
ge e finora non attuate – quali il raccordo FP-scuola, gli standard di qualifica,
ecc. – dovrebbero essere riprese e diventare operative. Gli aspetti della FP
che sono cresciuti in questi anni e che nella legge non sono sufficientemente
presenti dovrebbero invece essere integrati.
Ci pare, comunque, che alcuni “valori” presenti in quel dettato legislati-
vo debbano essere salvaguardati:
– la pluralità di Enti e di proposte formative
La FP si è mossa nella prospettiva del servizio di pubblica utilità gestito
dal privato sociale, facendo in questo scuola ad altri ambienti. Questa pro-
spettiva si basa sul principio di sussidiarietà, che è fondamentale per favori-
re il passaggio da uno Stato, che gestisce direttamente tutti gli interventi nel
sociale, ad una società attenta e pronta ad intervenire là dove la domanda di
servizi si esprime.
– il “senza scopo di lucro”
Gli Enti che intervengono nella FP, pur cercando la qualità dell’intervento,
nella propria azione e nelle proprie scelte, rispondono prevalentemente a cri-
teri di servizio e utilità sociale e quindi s’impegnano a lavorare anche nelle fa-
sce in cui, a fronte di un’elevata domanda, il riscontro economico sia minore.
– la convenzione come mezzo di erogazione di un intervento di pubblica
utilità da parte dell’ente pubblico
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L’esigenza della trasparenza, che porterebbe al metodo dell’appalto-con-
corso soprattutto in interventi riguardanti settori di importanza sociale, ri-
durrebbe la formazione a merce da mettere sul mercato, con la preoccupa-
zione fondamentale del costo e non della qualità del servizio.
Il nuovo CFP
Da quanto detto, emerge la necessità che il CFP si dia una nuova orga-
nizzazione e un nuovo stile di presenza sul territorio. Il CNOS-FAP ha cer-
cato, attraverso ricerche e riflessioni sulle varie professionalità esistenti
nei Centri o che stanno nascendo in quelli più aperti al cambiamento, di
dare un contributo fattivo alla modernizzazione del sistema della FP.
Il modello del CFP polifunzionale diviene sempre più importante nell’at-
tuale trasformazione del sistema di formazione professionale.
È l’argomento di questo numero di “Rassegna CNOS” n. 1/1996. Lo af-
frontiamo a partire dalla certezza dei grandi valori presenti nei nostri Centri,
sia in termini di professionalità, che in termini di tecnologie, d’impegno co-
stante nella formazione continua dei formatori, d’innovazione metodologica
e di creatività degli interventi.
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Siamo all’inizio di una nuova legislatura, che potrebbe portare a soluzio-
ne almeno alcuni di quei problemi della FP, che da anni si trascinano.
È ovvio che l’umico approccio praticabile ai problemi specifici del nostro
settore non potrà essere che quello di collocare la FP nel più generale conte-
sto del sistema educativo italiano, con i suoi sottosistemi della scuola, del-
l’università e della ricerca scientifica. Nella sua globalità questo sistema ha in
comune alcune finalità di fondo, a partire dall’educazione delle giovani ge-
nerazioni, ma obiettivi intermedi, strumenti, metodologie didattiche e scien-
tifiche sono differenti. Dal punto di vista strutturale, inoltre, all’interno del
sistema si sono determinati degli “assemblaggi”, rappresentati dalle inter-
connessioni e sovrapposizioni parziali dei tre sottosistemi che vanno rivisi-
tate e armonizzate, come, ad esempio, la formazione-istruzione post se-
condaria che interessa sia l’università, sia la secondaria superiore, sia la FP.
A questo sono da aggiungere quegli “accoppiamenti strutturali” grazie ai
quali il sistema dell’educazione interagisce con l’ambiente esterno, soprat-
tutto con le aziende e con le diverse strutture del mondo del lavoro. Anche
queste sono “agenzie educative” nel senso che impiegano il lavoro non solo
per produrre ma anche per dare senso all’esistenza degli uomini e si occu-
pano inoltre di formazione, sia attraverso i contratti di apprendistato e di
formazione lavoro sia attraverso l’adozione della formazione continua.
Il nostro augurio per il nuovo governo è che riesca ad esprimere una
precisa volontà politica di potenziamento del sistema educativo-formativo e
che riesca ad elaborare una strategia di sviluppo che ne valorizzi l’essenzia-
le funzione culturale, sociale ed economica. Il futuro dell’Italia e la sua
collocazione in Europa e nel mondo dipendono dalle risposte che si riusci-
ranno a dare ai problemi dell’educazione e dell’istruzione, così come oggi
sono posti dalla complessità della nostra società.
L’anno europeo dell’istruzione e della formazione per tutto l’arco della vita
Con la presidenza italiana della UE è iniziato anche “l’anno europeo del-
l’istruzione e della formazione per tutto l’arco della vita”. È stato inaugurato il
2/3 febbraio scorso, nello splendido scenario dell’isola di S. Giorgio Maggiore
a Venezia, alla presenza di ministri, funzionari ed esperti di tutti i paesi.
Al centro dell’incontro vi è stata la presentazione del libro bianco della
Commissione Europea dal titolo “Insegnare e apprendere. Verso la società
conoscitiva”. Titolo suggestivo, di cui si è dato ragione ai partecipanti, illu-
strando temi e problemi di fondo. Il rapporto si qualifica – e in questo sta
il suo valore aggiunto – come strumento di soluzione di alcune questioni
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1996Editoriale n. 2
nodali: la mobilità degli studenti e dei lavoratori, il rapporto scuola-impresa,
il recupero degli espulsi dai sistemi scolastici nazionali e il potenziamento
delle esperienze locali con cui si cerca di offrire loro una nuova opportunità
educativa.
Scorrendo il testo, abbiamo notato con piacere come alcuni elementi
tipici dell’esperienza formativa del CNOS-FAP siano presenti e valorizzati.
Il libro bianco, infatti, sottolinea la centralità delle risorse umane e la capa-
cità fondamentale della persona di comprendere, interpretare, valutare le
situazioni e gli avvenimenti all’interno del processo formativo, inteso non co-
me semplice addestramento, ma come ricerca-proposta di nuove opportuni-
tà di crescita per il giovane e per il lavoratore.
La conferma è precisa e ci permette di sentirci inseriti a ragione in un
dibattito e in una ricerca che punta su valori educativi almeno ufficialmente
riconosciuti, anche se socialmente non ancora del tutto acquisiti. La centra-
lità dell’obiettivo educativo nella FP è una scelta qualificante che libera gli
interventi formativi da penalizzanti e riduttive prospettive puramente fun-
zionali e operative per puntare sulla elaborazione di significati importanti,
quali la socialità e la comunitarietà della formazione. Ogni CFP e ogni azio-
ne formativa devono essere esperienza di comunità, promozione dei valori
di base propri del progetto di vita di un lavoratore, quali la professionalità,
la libera scelta che deriva dalla comprensione approfondita del proprio
rapporto con il mondo, la capacità di relazione e di compartecipazione
responsabile sia all’interno del processo formativo sia nel contesto della
convivenza democratica.
Questi orientamenti, che stanno alla base della proposta formativa del
CNOS-FAP, sembrano rafforzati e verificati dal libro bianco della Commis-
sione Europea e confermano la nostra consapevolezza che ci sono valori che
stanno veramente alla base della “comunità dei popoli” europei e rimandano
ad una secolare esperienza di storia comune e di identici motivi ispiratori
dell’azione, radicata nell’humus della cultura cristiana.
Il rapporto presentato a Venezia ci interessa anche per altri motivi.
Pur non elaborando prospettive radicalmente nuove, offre ricchi spunti di
riflessione e, soprattutto, traccia la strada che la UE intende seguire e
rendere praticabile con opportuni finanziamenti.
In Europa il confronto con la globalità dell’attuale sistema tecnologico e
scientifico, ormai diffuso a livello planetario, avviene in un periodo di cre-
scita della disoccupazione e di recrudescenza di fenomeni di emarginazione
sociale. Si potrebbe dire che l’ingresso delle tecnologie più avanzate produce
disoccupazione e comporta un aumento delle spese per la protezione socia-
le degli esclusi. Alla base delle riflessioni del libro bianco sta la certezza che
la società europea sia in transizione verso un nuovo modello di struttura
sociale che poggia sull’informazione, sulla mondializzazione, sulla cultura
tecnico-scientifica, la quale, al di là dei rischi che può presentare, è comun-
que una grande opportunità per l’Europa.
La sfida è imponente: una società dell’informazione, insicura di fronte
allo sviluppo scientifico-tecnologico, coinvolta nella competizione mondiale
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di tutta l’economia, richiede ai popoli d’Europa risposte molteplici e impone
adattamenti profondi nelle singole società. Se la formazione ha lo scopo
di sviluppare l’autonomia della persona e la sua capacità professionale,
attrezzandola per non subire i processi di evoluzione e di cambiamento
ma per impiegarli come opportunità di crescita individuale e sociale, vuol
dire che il suo apporto è determinante per vincere la sfida che si prospetta,
sul fronte dell’integrazione mondiale dell’economia, come sul fronte dello
sviluppo tecnico-scientifico, della competizione che ne deriva e della occu-
pazione.
Nel libro sono segnalate alcune priorità nella formazione, per permette-
re agli uomini e alle donne dell’Europa di vivere con consapevolezza in
mezzo a tutte queste sfide e partecipare fattivamente, mediante il lavoro, al-
la costruzione del futuro del nostro continente.
Una prima risposta, che i sistemi educativi della scuola e della FP sono
chiamati a dare, è centrata sulla cultura generale. Si tratta della mappa
conoscitiva e valoriale con la quale un individuo è in grado di cogliere il
significato delle cose e delle persone nella loro dinamica storica. Il che vuol
dire educare alla comprensione e alla creatività (capire, fare, progettare),
educare alla valutazione e alla scelta.
Ne siamo convinti. I problemi emergenti della società europea non si
possono affrontare diversamente. Il CNOS-FAP cerca da sempre di portare
avanti una strategia del genere, non soltanto in termini ideali ma anche in
termini pratici, di concreto impegno nel quotidiano della nostra attività for-
mativa. In non poche regioni abbiamo dovuto combattere con la miopia di
politiche regionali che, soprattutto nel caso di corsi di formazione post di-
ploma e post qualifica, volevano escludere qualsiasi proposta culturale e for-
mativa, riducendo la FP al semplice apprendimento di nozioni tecniche e di
abilità operative. Senza una riflessione che permetta di capire i processi in
cui si lavora, analizzati in una visione generale della società in cui si vive,
non si formano adeguatamente uomini e donne per il domani e si sottraggo-
no concrete opportunità di impiego anche nella società di oggi. È per questo
che il libro bianco, al di là dei suggerimenti particolari che fornisce, ci trova
consenzienti. Mette, infatti, la persona al centro del processo formativo e
ad essa fa obbligo di fornire una cultura di base “solida e ampia, letteraria
e filosofica, scientifica, tecnica e pratica” non solo nella fase iniziale. Nella
“riqualificazione professionale dei lavoratori dipendenti poco qualificati”
risulta fondamentale l’acquisizione di tale base culturale, quale punto di pas-
saggio obbligato verso l’acquisizione di nuove competenze tecniche. I CFP
sono sempre più portati, nelle loro azioni di riqualificazione dei lavoratori,
a restituire a questi ultimi una cultura generale prima di insegnare loro un
nuovo mestiere.
A maggior ragione questi obiettivi la FP se li deve porre quando opera su
giovani che si preparano ad entrare nel mondo del lavoro. È certamente dif-
ficile, servono esperienza e un ambiente educativo adeguato, realmente
strutturato come comunità formativa, per fornire una FP nei termini espli-
citati dal libro bianco: si tratta di una formazione non giustapposta a quella
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tecnico-operativa ma integrata unitariamente in essa. Per questo è necessa-
ria la mediazione di una comunità educativa capace di vivere al proprio
interno le nuove dimensioni culturali oltre che di insegnarle. Ci sono realtà
culturali che si imparano solo vivendole e che non possono venire interioriz-
zate soltanto attraverso lo studio.
In quest’ottica diventa importante la scelta di un modello di Centro poli-
funzionale, in grado di rispondere alle domande dell’odierno mondo del la-
voro in quanto comunità educativa-formativa, e cioè in quanto laboratorio di
significati oltre che officina produttiva. Derivano di qui le nostre riserve ri-
spetto al “modello agenziale” di certe strutture formative: riteniamo si tratti
di un modello che rende impossibile la trasmissione di una cultura, intesa
non come mera somma di nozioni ma come “capacità di cogliere il signifi-
cato delle cose”, come capacità di “comprensione e di creatività, di valuta-
zione e di decisione”. Ed è quello che sostiene il rapporto della Commissio-
ne Europea. Per raggiungere questi obiettivi un’agenzia non basta, serve una
stabile comunità formativa, dotata di un coerente progetto educativo.
Una seconda risposta, che il libro bianco attribuisce al nuovo dover esse-
re della FP, è l’impegno nel far crescere l’attitudine al lavoro, mediante un
certo numero di conoscenze fondamentali e tecniche e di attitudini sociali,
conseguite attraverso lo studio, ma anche attraverso una rete di cooperazio-
ne, istruzione, formazione e apprendimento.
Dopo aver messo in risalto le attitudini richieste per entrare nel mondo
del lavoro, il documento analizza due vie per la loro acquisizione. La prima
consiste nel conseguimento del diploma, che rappresenta una chiave di in-
gresso nel mondo del lavoro standardizzata: essa comporta prolungamento
del periodo di studio e accesso agli studi superiori, ma rischia di penalizza-
re, se è impiegata come strada unica di promozione sociale, molti giovani,
eliminando “talenti che, per quanto innovatori, non corrispondono ai profi-
li medi” e producendo “una élite poco rappresentativa del potenziale di
risorsa umana disponibile”. Il diploma insomma è un criterio-filtro troppo
rigido rispetto alla ricchezza dell’offerta di lavoro proveniente dalla base
sociale.
Per questo nel volume si parla di una via più “moderna” all’ingresso nel
mondo del lavoro: essa consiste nel valorizzare tutte le opportunità disponi-
bili, sulla base di un sistema affidabile di accreditamento che sa individuare
tutte le competenze parziali disponibili e le sa adeguatamente valorizzare.
In altre parole il diploma non deve essere l’unico documento di riconosci-
mento valido per chi entra nel mondo del lavoro. Anche chi esce dal sistema
scolastico senza aver acquisito un diploma rappresenta comunque un’op-
portunità, oggettivamente valutabile per il mondo del lavoro, il che amplia la
dinamica tra domanda e offerta di lavoro. Si tratta di passare dalla logica ri-
duttiva, per le imprese e per gli individui, dell’istruzione standardizzata, alla
logica della valorizzazione tout court delle risorse umane disponibili. Per fa-
vorire l’accesso all’istruzione e alla formazione, occorre rendere disponibile
un’informazione non burocratizzata, attraverso centri che facciano da inter-
faccia tra domanda e offerta di formazione. Occorre inoltre attivare forme di
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orientamento che siano in grado di valutare anche la formazione extra sco-
lastica, puntando di più sull’evoluzione delle competenze richieste dal lavo-
ro di domani e sull’esclusione di condizionamenti sociali. La soluzione sta in
un cambiamento dei criteri di valutazione delle attitudini al lavoro: si tratta
di passare dai criteri di valutazione basati sulla formazione acquisita nel pe-
riodo scolastico ai criteri basati sulla formazione permanente degli indivi-
dui. Da quello che gli individui sono, per riconoscimento meritocratico e bu-
rocratico (diploma), a quello che gli individui diventano attraverso la forma-
zione per tutto l’arco della vita mettendo a frutto ogni opportunità. Si tratta
di un significativo cambiamento di prospettiva che richiede forme di mobi-
lità tra istituti di formazione, il superamento degli ostacoli e della mentalità
burocratica e una più flessibile disponibilità a cogliere tutte le opportunità
che provengono dalla società dell’informazione nella quale i modi di acqui-
sire competenze e conoscenze sono sempre più diversificate.
A questo punto occorre trovare strumenti adeguati per riconoscere tutte
queste conoscenze e competenze provenienti anche dai canali extra scolasti-
ci. Occorre inoltre che ogni individuo possa far riferimento ad una rete di
cooperazione in grado di valorizzarlo al meglio e, soprattutto, di riconoscer-
lo per quello che è e per quello che può diventare.
Serve andare oltre le discussioni di principio e puntare ad un maggior
flessibilità, attraverso la ricerca della qualità, di nuovi modi di qualificazio-
ne, sviluppando soprattutto la formazione continua e adottando nuove for-
mule di finanziamento e di valutazione.
Concludendo, il libro bianco propone cinque obiettivi generali:
1) acquisizione di nuove conoscenze; 2) avvicinare la scuola all’impresa;
3) combattere l’esclusione; 4) promuovere la conoscenza di almeno tre lingue
comunitarie; 5) porre su un piano di parità gli investimenti produttivi e
quelli per la formazione.
In questo consiste l’ipotesi della nuova società europea, fondata sulla co-
noscenza della sua cultura e della sua storia, impiegata come strumento per
padroneggiare e non subire il processo di mondializzazione.
Questa breve sintesi del libro bianco della Commissione Europea,
evidenzia come alcuni temi possano sembrare utopici e come altri invece
risultino estremamente pratici e forse persino riduttivi. In tutti i casi ci pare
che il pregio più importante del rapporto consista nella chiarezza con cui
si descrivono e si raccolgono le sfide che la società conoscitiva sta ponendo
a tutti coloro che si interessano di FP o di formazione in genere. Immersi
come spesso ci troviamo nella quotidianità dei problemi italiani, spesso
di basso profilo politico-burocratico, questo confronto con l’Europa ci
permette di apprezzare i valori e le iniziative che costituiscono il patrimonio
culturale del CNOS-FAP e di altri Enti di formazione sia di orientare con una
certa chiarezza le trasformazioni che stanno interessando il nostro settore
per delineare obiettivi concretamente realizzabili.
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La politica nazionale della F.P.
Se a livello di UE le politiche formative procedono, non si può dire lo
stesso per l’Italia. L’ultima campagna elettorale non ha elencato tra i temi
fondamentali dibattuti quello della FP. I giornali non hanno riportato se non
i soliti luoghi comuni.
Ma anche quando gli organi di informazione si interessano della
questione nei loro giudizi si avverte sempre una qualche presa di posizione
radicale. Nell’articolo di prima pagina del “Corriere lavoro”, supplemento
del “Corriere della sera” (venerdì 2 aprile) partendo dalla constatazione che
non vi è in Italia rispondenza tra domanda e offerta sul mercato del lavoro
si dà tutta la colpa alla FP. Da buttare. Non si capisce perché lo stesso ragio-
namento non venga applicato a tutte le scuole di indirizzo tecnico o profes-
sionale, che si trovano nella stessa situazione. Evidentemente ciò che
lo Stato fa nel campo scolastico può essere criticato, ma nessuno ritiene
debba essere buttato. Dal sentito dire si passa disinvoltamente al giudizio
senza appello. Questa è la sorte del sistema di FP in Italia, quella di incap-
pare sistematicamente in tali giudizi, espressi da chi avrebbe molto interesse
ad incanalare verso altri fruitori i miseri fondi che in Italia si spendono
per la FP.
È fuori dubbio che il sistema regionale della FP abbia bisogno di
una profonda revisione. Come ne ha bisogno il più datato sistema scolastico
italiano.
In questi anni sono stati al centro del contendere gli interventi sui
giovani dai 14 ai 16 anni. È la ben nota questione del prolungamento della
scuola dell’obbligo fino ai 16 anni. Se per “prolungamento dell’obbligo” si in-
tende la volontà del legislatore di fornire a tutti i giovani fino ai 16 anni
strumenti adeguati per poter prolungare la propria formazione e istruzione
prima di entrare nel mondo del lavoro, siamo anche noi d’accordo. Il punto
è che questi strumenti bisogna individuarli e metterli realmente a disposi-
zione di tutti. Il mito della scuola uguale per tutti ricalca una delle compo-
nenti fallimentari della modernità: quella appunto dell’uguaglianza di
principio, che instaura di fatto la prevaricazione del più forte sul più debole.
Una scuola “uguale” per tutti è un non senso pedagogico e didattico e di
fatto nega se stessa: la scuola è il luogo in cui la diversità diventa valore, di-
venta cultura, diventa progetto di vita. È questo che viene affermato anche
dalla Commissione Europea. In caso contrario ritorneremmo alla scuola-
parcheggio per alcuni e alla scuola discriminante per altri.
Senza entrare nel merito dei programmi elettorali, da cui si faranno
dipendere le future riforme, ci pare doveroso sostenere ancora una volta che
la diversificazione dei percorsi non deve essere una discriminante sociale,
ma un’applicazione rigorosa dei principi di giustizia, in base ai quali si dà a
ciascuno secondo le sue necessità e si evita di fornire a tutti la stessa cosa.
L’innalzamento dell’obbligo scolastico fino ai 16 anni ci trova consen-
zienti, anche se il termine “obbligo” rimanda ad un’imposizione più che ad
un’opportunità. Ciò che ci sembra obbligatorio è che lo Stato italiano crei le
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migliori condizioni organizzative perché questa opportunità diventi reale.
Imporre azioni senza alimentare motivazioni è fuorviante: un allungamento
dell’iter scolastico non risponde automaticamente alle esigenze di vita dei
giovani e rischia di creare un’ulteriore massa di emarginati e di sfiduciati,
se non viene concretamente supportato da una diversa politica del lavoro e
da una diversa gestione del sociale. Come è stato ampiamente rilevato, chi
non continua gli studi dopo la licenza media o non accede alla FP, è un sog-
getto che ha sperimentato fallimenti anche durante la scuola media, conclu-
sa magari con una valutazione di “sufficienza” ma in realtà vissuta come
un’esperienza deludente e penalizzante. Si può persino arrivare al diploma
con la percezione di aver comunque fallito il rapporto con l’istruzione e
la formazione e quindi il rapporto con se stessi e con gli altri.
Anche per quanto concerne il diritto-dovere all’istruzione-formazione
serve un ripensamento generale. Si tratta di porre attenzione a quelle
“scuole della seconda opportunità”, come sono chiamate nel libro bianco, e
soprattutto di valorizzare la reale disponibilità dei giovani all’apprendimen-
to più che la loro capacità di imparare i programmi codificati. Le risorse e
le capacità dei giovani di oggi sono più estese di quanto non venga ricono-
sciuto dai programmi ministeriali.
In concreto, senza ripetere analisi ormai note, appare sempre più ne-
cessario disarticolare e ampliare l’offerta di formazione scolastica e profes-
sionale, fornendo ai giovani un numero crescente di possibilità sia a tempo
pieno che a tempo parziale, in modo da rendere realmente effettivo il diritto
di tutti ad entrare nel mondo del lavoro e ad essere da esso riconosciuto con
forme di qualifica effettivamente spendibili in esso. Il che richiede interven-
ti sistematici di orientamento personalizzato, in modo tale da aiutare le
persone a scegliere ciò che ad esse è più opportuno e congeniale.
Le riforme sono da fare e sono da fare al più presto, superando i dibatti-
ti di principio per affrontare in concreto i problemi di chi cerca lavoro e di
chi lavora. Più specificamente, come indicato dal libro bianco, il criterio ba-
se è quello di mettere il giovane al centro del discorso e di ristrutturare, at-
torno a questo centro, i problemi di rapporti tra formazione all’occupazione
e cultura generale, di interconnessione tra scuola e impresa, della parità dei
diritti in materia di istruzione e della precedenza da riservare alle categorie
più svantaggiate.
Le politiche regionali
Si è da molti osservato che le diversità delle politiche regionali non
permettono di parlare di un “sistema” della FP, ma rappresentano un
informe aggregato di interventi scoordinati. Il Paese si differenzia sempre
più, ma il modo di impostare gli interventi formativi sembra obbedire ad una
logica diversa: invece di rispondere alle reali esigenze espresse dal territorio,
obbedisce sovente a logiche astratte.
Esaminiamo la direttiva annuale per la FP impartita quest’anno dalla
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Regione Piemonte. Sulla base della legge regionale 63/95 si adotta uno sche-
ma che ricalca punto per punto la normativa del FSE, obiettivo per obietti-
vo, per cui ogni proposta di formazione viene valutata attraverso verifiche di
ammissibilità e sulla base di criteri di incidenza che riguardano sia il sog-
getto presentatore sia ogni singola azione formativa, Il punteggio totale che
si ottiene dalla somma di tutti questi indicatori determina una graduatoria.
Gli interventi ammessi verranno poi finanziati e regolamentati per conven-
zione. In questo modo la Regione Piemonte tenta di introdurre la logica del-
la gara d’appalto, escludendo i parametri finanziari se non quelli di congrui-
tà, assieme alla logica della convenzione. Tenta di allinearsi, da una parte
con la direttiva europea, e dall’altra parte di gestire la FP tramite conven-
zione con gli enti di FP e con le imprese industriali. Si sono inoltre adottati
criteri di progettazione e standard formativi, che definiscono contenuti
e profili di molte qualifiche, stabilendo la procedura di controllo tramite le
verifiche finali del raggiungimento degli obbiettivi e lasciando ai Centri
sufficiente libertà nelle scelte organizzative, metodologiche e formative.
Difficile valutare l’impatto che una simile impostazione potrà avere e
le difficoltà di gestione che riserva agli operatori. L’obiettivo è quello di
salvaguardare trasparenza, efficienza ed efficacia per entrare in Europa ma
non si capisce come si riuscirà a salvaguardare anche l’apporto e le capacità
educative di ogni operatore di FP.
La Regione Lombardia, invece, sta delegando la gestione della FP alle
singole province. Nella circolare regionale di indirizzo del 1996, le strategie
adottate indicano tre direzioni di marcia: sostituzione di corsi di qualifica
con attività di integrazione con la secondaria superiore; sostituzione gra-
duale di una ulteriore quota di attività formative di base con corsi di forma-
zione superiore; specializzazione della restante formazione di base secondo
un approccio non scolastico, in attesa che il prolungamento dell’obbligo por-
ti alla qualifica in un solo anno. La circolare indica poi altri tipi di forma-
zione (continua, causa mista, disabili, ecc.). Nel recepire la direttiva ogni
provincia ha una sua logica. Quella di Milano fissa come priorità strategiche
la qualificazione dell’offerta complessiva, la qualità delle azioni formative, il
potenziamento degli interventi sulle fasce deboli. Per questo si invitano i CFP
ad ampliare la tipologia dell’offerta per raggiungere nuovi utenti e avviare
un processo di formazione continua. La Provincia di Brescia, invece, in net-
ta controtendenza rispetto alla formazione professionale di base, ha elabo-
rato con i direttori dei centri un progetto di valorizzazione di tale formazio-
ne come canale diverso per giungere alla formazione globale del giovane.
La strada che la Lombardia cerca di percorrere è tracciata in maniera
chiara, in base a presupposti non ancora definiti ma dati per certi, come
quello del prolungamento dell’obbligo nella sola scuola secondaria superio-
re, seguendo, in questo, scelte già fatte qualche anno fa dalla Regione Emi-
lia Romagna.
La Regione Liguria si propone di modernizzare il sistema formativo, ra-
zionalizzandolo attraverso la valorizzazione dell’orientamento, la creazione
di un sistema pubblico di “eccellenza”, lo sviluppo di Centri-Agenzia e di
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Associazioni tra le diverse strutture formative. Lo scopo è quello di fornire
servizi integrati al mondo del lavoro e di creare nuovi rapporti con altri set-
tori che operano a favore delle fasce deboli o dei giovani dopo il diploma.
Viene data molta importanza al sistema pubblico, a differenza di quanto fa il
Piemonte, la cui legge regionale prevede invece la trasformazione dei Centri
Regionali in consorzi, liberando la Regione dai compiti gestionali e riser-
vandole soltanto compiti di programmazione e di valutazione. Lo stesso
termine “pubblico” – riferito ai Centri della Regione in opposizione a quelli
“privati” – esce dalla logica ormai vincente, dopo la caduta delle ideologie,
di quel concetto della “pubblica utilità” cui sono rimandate le attività di ogni
Ente, pubblico o privato, che operi nel sociale.
Per quanto concerne il Sud, nell’aprile del ‘96 è stata approvata dalla
Giunta Regionale della Puglia una proposta di legge in materia di FP che fa
prevedere un assetto istituzionale piuttosto confuso. A parte l’utilizzo di ter-
minologie improprie per disegnare tale assetto, la scelta di delega alle Pro-
vince dovrebbe comportare la creazione di “Agenzie speciali per i servizi di
FP” in ogni Provincia, cui viene assegnato in organico, a domanda, il perso-
nale “in albo” compreso quello appartenente agli enti di FP. Tale personale
verrebbe riqualificato o convertito (art. 16). Anche la Regione Puglia ricorre
alla gara d’appalto per affidare le varie attività. Difficile comprendere come
possano gli “Enti attuatori” partecipare ai concorsi, quando il loro persona-
le passa alle dipendenze dell’Azienda Speciale. Se si ritiene che questa li do-
vrebbe ridistribuire, in seconda battuta, agli Enti attuatori a seconda delle lo-
ro necessità, pensiamo si tratti di ipotesi inaccettabile se non assurda: non si
governa personale ricevuto a prestito e tanto meno lo si rende idoneo a rag-
giungere i propri obiettivi. Non ci pare sia questo il modo migliore di salva-
guardare l’occupazione e tanto meno di riformare un sistema formativo che
risente di gravi carenze amministrativo-burocratiche con conseguente dere-
sponsabilizzazione degli Enti convenzionati.
La presenza di considerevoli fondi di provenienza FSE, per l’obiettivo 1
potrebbe assicurare alle Regioni del Sud una FP sempre più moderna e ben
mirata a creare, con rinnovato impegno, nuove opportunità di lavoro e nuo-
vi insediamenti in tutti i campi.
Le esemplificazioni che abbiamo fatto ci pare confermino quanto da
tempo si pensa e cioè che sia ormai necessario ripensare l’intero assetto
organizzativo del sistema regionale di FP, ponendo mano ad un’adeguata re-
visione di alcune parti della legge quadro n. 845/78 in modo tale che un for-
te coordinamento a livello nazionale sia finalizzato a dare risposte qualificate
alla domanda di formazione proveniente dai vari ambiti territoriali,
armonizzando il sistema della FP alle scelte e agli orientamenti della Unione
Europea.
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Avvio difficile quello della nuova legislatura, tra contrasti interni a mag-
gioranza e opposizione, rese dei conti e ricatti, liturgie leghiste e avverti-
menti europei. In un clima del genere, il problema formativo assume un
inequivocabile valore di sfida: sia per quanto concerne i problemi nodali del-
la disoccupazione e della tenuta dell’azienda Italia, sia per quanto riguarda le
prossime scadenze. È, infatti, evidente che l’alternativa sta tra la creazione
di nuove opportunità di sviluppo e la recessione.
La riforma della secondaria superiore, da sempre rimandata, sembra
finalmente sulla dirittura d’arrivo, anche se la discussione sulle modalità è
ancora agli inizi. Nell’immediato sembra invece ormai varata l’autonomia
delle istituzioni scolastiche.
Questa autonomia può essere diversamente intesa. È però certo che,
se non la si vuole ridurre soltanto a una formula vuota, essa segnerà la fine
della scuola di Stato, e cioè di quel modello di scuola elaborato al centro e
imposto alle sedi periferiche in termini di orari, programmi, stili didattici,
protocolli amministrativi che è stato, nel bene e nel male, finora impiegato
dalla scuola italiana. Fine della scuola centralizzata, dunque. D’ora in poi
ogni struttura scolastica dovrà elaborare una sua autonoma filosofia orga-
nizzativa, amministrativa, finanziaria, progettuale e didattica, radicandosi
nel territorio e assumendo dirette responsabilità nel confronto degli utenti.
Cambiamento decisivo, difficile già da concepire e da elaborare, rispetto
alla prassi consolidata e all’habitus burocratico finora dominante, con il
rischio che si trasformi in un aborto se non viene accolto per quello che è:
una concreta opportunità di istruzione e di formazione delle giovani genera-
zioni, coerente con le esigenze dei tempi in cui viviamo.
Finora ogni scuola era considerata “valida” per il semplice motivo di es-
sere “statale”. Domani una scuola sarà considerata “valida” solo se risponde-
rà alle esigenze del territorio in cui opera, con un servizio adeguato. In que-
sta prospettiva anche la scuola privata (non statale) potrà entrare a far parte
del servizio pubblico, in condizioni di autonomia e di reale parità, affrontan-
do la sfida della “concorrenza” con le capacità e i mezzi che saprà acquisire.
Per quanto riguarda la FP, anch’essa potrà trovare una propria colloca-
zione istituzionale precisa e specifica, in quanto struttura destinata a prepa-
rare i giovani a entrare immediatamente nel mondo del lavoro.
Rimane il problema della riforma della scuola secondaria superiore nella
sua globalità, difficile da elaborare perché i grandi mutamenti culturali, tec-
nologici e organizzativi della società post-moderna non si sono ancora stabi-
lizzati e la loro accelerazione è tale da costringere ogni istituzione pubblica,
non solo la scuola dunque, a un faticoso inseguimento. In tutti i casi nel pro-
gramma elettorale dell’Ulivo si prevedeva una riforma globale del sistema sco-
lastico, caratterizzata da alcuni snodi significativi: possibilità di anticipo di
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1996Editoriale n. 3
sei mesi dell’ingresso nella scuola; trasformazione della scuola media inferio-
re e dei suoi collegamenti con la media superiore; profondo rinnovamento di
quest’ultima. In questa prospettiva si inquadra l’ipotesi di un prolungamento
dell’obbligo fino a dieci anni di scolarità. Ribadiamo quanto già detto: è giu-
sto dare a ciascuno il suo e non a tutti la stessa cosa, se non si vuole un pro-
lungamento inutile e dannoso. Il principio sembra globalmente accettato. Il ri-
schio è che si inizi la riforma proprio a partire dal prolungamento dell’obbli-
go. In una scelta del genere, metodologicamente disastrosa, l’unico risultato si-
curo sarebbe l’affossamento della FP di primo livello. Altri risultati previsti
sulla carta sarebbero scarsi e non significativi: immettere nel sistema scolastico
qualche giovane in più, a parità dell’attuale servizio, comporterebbe soltanto
l’aumento dei disadattati e degli insuccessi, soprattutto nella fascia del biennio.
Per quanto concerne le scelte politiche del Ministero del Lavoro e
della PS, non è ancora giunta in porto una proposta conclusiva riguardante
la riforma della legge quadro 845/78. La discussione non è conclusa e i
problemi aperti sono ancora tanti.
Il Documento della Presidenza del Consiglio dei Ministri (31 luglio 1996)
È da considerare un fatto importante l’apertura presso la Presidenza
del Consiglio dei Ministri di un tavolo di confronto tra Ministero del Lavoro
e della PS e Ministero della Pubblica istruzione, per approfondire le temati-
che comuni, con la partecipazione del Ministero dell’Università e di quello
dell’Industria e della Conferenza dei Presidenti delle Regioni.
Del primo incontro sono stati presentati argomenti e intenzioni
nel Documento del 31 luglio scorso. Si può dare una valutazione positiva nel
suo complesso, a quanto riportato. Gli interrogativi derivano dalla pratica
attuazione del Documento: alcune scelte riguardanti la riforma del sistema
scolastico sembrano contraddire nel metodo e nel merito quanto affrontato
al tavolo di confronto. Ci troviamo di fronte, ancora una volta, a riforme im-
poste con atti di centralismo democratico. Ci lascia inoltre perplessi il fatto
che le politiche della FP siano discusse solo tra le parti sociali (Confindustria
e sindacati) e il Governo, senza coinvolgere chi la eroga (Enti di formazione)
e chi la gestisce (Regioni). Analizziamo alcuni punti del Documento.
a) Importante l’affermazione secondo cui accanto all’obbligo scolastico
per 10 anni, ristrutturato nei cicli e rinnovato nei “curricula” deve essere pre-
visto “il diritto alla formazione fino a 18 anni”. Ogni diritto codificato deve
trovare pratica attuazione nelle decisioni di qualcuno: quello alla formazio-
ne fino a 18 anni deve essere riferito al sistema formativo nel suo complesso,
comprensivo quindi della FP, per il semplice motivo che non si tratta di
un diritto astratto ma di un concreto riconoscimento che ogni giovane deve
poter entrare nel mondo del lavoro adeguatamente preparato. Il che vuol
dire che deve disporre di una qualche qualifica.
b) Viene ripreso il discorso sui “progetti mirati” per valorizzare il “saper
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fare” anche nella fascia dell’obbligo. Ora la riscoperta del valore educativo
del “fare” in una scuola sostanzialmente libresca come la media inferiore
(siamo passati dalle “Applicazioni pratiche” degli inizi, alla “Educazione tec-
nologica” più recente) è certamente positivo. I “progetti mirati” però rischia-
no di trasformare la FP nell’ospizio discriminante dei precoci pensionati dal-
la scuola, di tutti quei ragazzi cioè che la scuola stessa dichiarerebbe inadat-
ti allo studio e confinerebbe di fatto nello scomparto “scarti da recupero”
della FP. Discriminazione devastante per i giovani e socialmente ghettizzan-
te. Dopo armi di egualitarismo conclamato con relativa unificazione del
biennio del SMS, questi “progetti mirati” suonano stonato: è discriminazio-
ne imposta. A questo punto, tanto vale che ognuno sia orientato a soddisfa-
re l’obbligo nelle scuole che più gli sono consone, lasciandolo libero di sce-
gliere. Purtroppo l’idea che anche la FP possa costituire al soddisfacimento
dell’obbligo risulta al Ministero della Pubblica Istruzione fuori dalla realtà.
In alternativa si elaborano aborti educativi come appunto i “progetti mirati”.
La costituzione di organismi bilaterali, con ampio potere di scelta, ri-
schia di liquidare gli Enti di FP o ridurli in una condizione di sempre più ac-
centuata precarietà rispetto agli organismi che oltre a sedere al tavolo della
programmazione possono anche, direttamente o indirettamente, diventare
attori della FP. Il che non diminuisce l’importanza della concertazione tra
Governo e parti sociali e degli enti bilaterali. Non si capisce perché debbano
essere scaricati come concorrenti inutili o scomodi gli Enti che da anni ope-
rano nel settore con serietà, buttando al macero un patrimonio di compe-
tenze e di esperienze acquisite molto rilevante.
c) Nel Documento si parla inoltre di “promuovere la trasformazione dei
centri di formazione professionale in agenzie formative”. Siamo incerti sul si-
gnificato e sui contenuti del termine agenzia. Noi preferiamo da sempre par-
lare di Centri polifunzionali. Se è questo che si intende con il termine agen-
zia, come descritto nel nuovo CCNL, siamo d’accordo sulla nuova terminolo-
gia. Ma non possiamo far passare sotto silenzio il fatto che con l’etichetta di
agenzia operano in Italia delle strutture formative, che dispongono di qualche
ufficio, di responsabili amministrativi e di venditori di formazione, magari
anche di qualche progettista e inventano corsi “mordi e fuggi” in tutta Italia.
Li conosciamo tutti. E se per agenzia si intende un qualche cosa del genere,
noi non ci stiamo. Certo, queste agenzie riducono i costi fissi, anche perché
non assumono il proprio personale formativo ma si servono di tecnici, as-
sunti di volta in volta, molto specializzati, ma estranei alle problematiche di
fondo della formazione e dell’istruzione. Si tratta, inoltre, di un sistema che
non permette all’agenzia di accumulare nessun know how didattico e forma-
tivo, dal momento che i formatori non fanno ricadere su di essa la loro espe-
rienza. E poi a che servirebbe a un’agenzia che di formatori tende ad averne
sempre di meno quella “formazione formatori come strumento essenziale per
facilitare la progressiva integrazione dei sistemi, il miglioramento qualitati-
vo dell’offerta formativa e il recupero delle situazioni di svantaggio”?
d) Per quanto concerne le considerazioni relative al post-obbligo, in mo-
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do particolare per il segmento non scolastico, possiamo anche essere d’ac-
cordo, solo che occorre trovare una loro concreta modalità di attuazione.
Stesso discorso per i percorsi post-diploma, di cui si prevede la nascita
accanto all’“offerta universitaria di un sistema autonomo di formazione
superiore non in continuità rispetto alla scuola secondaria”, la cui program-
mazione viene affidata alle Regioni e la cui gestione potrà essere fatta “da
tutti i soggetti presenti nel territorio”.
e) In tema di formazione continua le affermazioni di principio sono
condivisibili, mentre è meno chiaro come in concreto si intenda sfruttare
“le nuove opportunità di aggiornamento” ad essa correttamente attribuite.
L’unica indicazione pratica è la richiesta che il contributo dello 0,30% passi
totalmente, anche se gradualmente, a finanziare la formazione continua.
Il che determinerà riduzione o mancanza di risorse finanziarie per tutti gli
altri tipi di formazione che attingevano a quel fondo. In una prospettiva del
genere o si trovano fonti di finanziamento alternative oppure invece della
crescita del sistema della formazione assisteremo a uno slittamento di atti-
vità dalla formazione iniziale alla formazione continua e dunque alla liqui-
dazione del diritto di formazione per tutti fino al 18° anno.
Conclusione: il Documento può diventare un valido strumento di lavoro,
utile per la riforma del sistema formativo italiano nei sottosistemi scolastico,
universitario e della FP, a patto che tutta la materia venga discussa, appro-
fondita e ricondotta a interventi chiari e attuabili. In caso contrario resterà
un proclama di buone intenzioni.
Il CCNL
Con la firma della parte riguardante il secondo biennio economico, du-
rante quest’anno formativo, il CCNL entrerà a pieno regime. Miglioramenti
economici moderati per gli operatori, ma pur sempre importanti, ed è
auspicabile che le contrattazioni decentrate nelle varie Regioni possano
consentire agli Enti di reperire facilmente le risorse per coprire i costi degli
arretrati e dei nuovi parametri contrattuali.
Il nodo del contratto però sta nella nuova organizzazione del lavoro pre-
vista per rinnovare la struttura dei CFP in senso polifunzionale. Il raggiun-
gimento di un obiettivo così importante dipende dalla reale possibilità di
Centri e Enti di riqualificare e aggiornare il personale, di introdurre nuove
funzioni e nuove figure in grado di affrontare le sfide che la formazione pro-
fessionale non può oggi eludere, in concomitanza con la riforma della scuo-
la e l’apertura di nuovi settori di intervento. Sfide quali la formazione conti-
nua in collaborazione con il sistema industriale, commerciale e terziario dei
vari territori, e la collaborazione con la scuola, il cambio di mentalità, che
tutto questo richiede, trova nel nuovo contratto di lavoro maggior supporto,
anche se permangono difficoltà diverse e mancanza di chiarezza. Ovviamen-
te, se il personale della F.P. si porrà in stato di formazione permanente, se de-
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ciderà di cambiare il proprio modo di lavorare e di concepire la propria fun-
zione didattico-formativa, il nuovo CCNL sarà utile alla riforma della FP ita-
liana. Ipotesi augurabile ma irta di passaggi difficili.
Ad esempio, uno dei punti di debolezza – riconosciuto da più parti – del
sistema degli Enti sta nella scarsa qualificazione degli operatori. Se ci si ri-
ferisce soltanto al livello dei titoli di studio (e quindi alla preparazione di ba-
se) di molti operatori, non si può non essere d’accordo. E allora solo una for-
mazione permanente adeguata, valorizzata come una grande opportunità,
può mettere in grado operatori, ricchi di esperienza e di abilità nella tra-
smissione di saperi tecnici e di operatività pratiche, di affrontare le nuove
sfide della FP. “La formazione dei formatori (...) viene assunta come stru-
mento essenziale per facilitare la progressiva integrazione dei sistemi, il mi-
glioramento qualitativo dell’offerta formativa e il recupero delle situazioni di
svantaggio”, afferma il Documento del 31 luglio 1996.
Siamo alla conclusione dell’anno europeo per l’istruzione e la formazio-
ne per tutto l’arco della vita. I primi a convincersi della necessità ineludibile
di porsi in stato di formazione permanente sono i protagonisti del sistema
della formazione (formatori, operatori della scuola e della FP). Nonostante il
permanere del dettato legislativo della legge 845/78, ormai è evidente come la
FP in Italia non sia più appannaggio di Enti pubblici o di Enti convenziona-
ti tradizionali: nel mercato (perché tale è ormai diventato) della FP sono en-
trati nuovi attori, con esperienze diverse ma con capacità di adattamento ra-
pido alle nuove esigenze, tra l’altro inquadrati in CCNL diversi da quello del-
la FP convenzionata, più agili e meno costosi. Questo ingresso di nuove for-
ze, dovuto in particolare ai finanziamenti del FSE e alle nuove tipologie di
interventi formativi degli ultimi anni, impone agli Enti maggior flessibilità e
costringe gli operatori a confrontarsi con concorrenti il più delle volte con al-
ta preparazione di base, con preparazioni tecniche specialistiche, alle quali
non basta opporre capacità didattiche sperimentate. Servono invece cono-
scenze e abilità tecniche di pari livello.
Quello della FP, come quello della scuola, è soprattutto un problema di
persone: le leggi e gli ordinamenti, come le strutture, servono a poco quando
chi le deve tradurre in attività o farle funzionare non sa farlo o non vuole far-
lo (magari perché lo trovano più facile e comodo). Sono quelle umane le risorse
principali di ogni sistema sociale, per cui ogni innovazione, per essere realiz-
zata significativamente, deve essere compresa e metabolizzata da tutti coloro
che nel sistema operano, a qualsiasi livello e con qualsiasi responsabilità.
Il nuovo contratto riproduce alcune difficoltà e alcuni vincoli per gli En-
ti, derivanti soprattutto da normative proprie di contratti della pubblica am-
ministrazione. La conseguenza è che le nuove modalità di accesso ai finan-
ziamenti pubblici possono comportare per essi veri e propri tracolli finan-
ziari. Molte Regioni tendono a finanziare i corsi, ma non a finanziare certe
voci collaterali, soprattutto quelle relative alla “mobilità” e all’“esubero” o al
“distacco sindacale”. Eppure tali istituti permangono nel nuovo contratto,
per cui, in mancanza di finanziamenti, gli Enti potrebbero trovarsi in gravi
difficoltà. La maggior parte delle Regioni giustamente programma la FP sul-
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la base della domanda proveniente dal territorio, della disponibilità di fi-
nanziamenti FSE e non sulla base della professionalità del personale in servi-
zio presso gli Enti. Il pericolo di esuberi è, in questo modo, molto concreto.
D’altra parte non si può pensare, come si pensa in certi ambienti politici,
alla flessibilità degli interventi formativi, senza intervenire anche sul perso-
nale in servizio, sia tramite la formazione dei formatori, sia, in caso di im-
possibilità di riconversione, mediante ammortizzatori sociali.
Per risolvere il problema, in qualche Regione del Sud è stato istituito
un “Ruolo speciale ad esaurimento per i lavoratori iscritti nell’Albo Regionale
della formazione professionale”, nel quale vengono inseriti i lavoratori della FP
tramite concorso riservato, togliendo così ogni possibilità operativa agli Enti
cui viene sottratto il personale. Così è avvenuto anni fa in Campania, negli ul-
timi anni in Calabria e Basilicata; qualche proposta di legge lo vorrebbe attuare
anche in Sicilia e in Puglia. Questa soluzione di chiaro stampo assistenziali-
stico, promossa anche da gruppi politici che si ispirano al credo liberista, as-
sicura ai lavoratori uno stipendio (a volte a fronte di nessuna prestazione) e
sottrae risorse a investimenti che potrebbero creare posti di lavoro effettivi,
distruggendo la capacità operativa degli Enti, anche di quelli che si sono preoc-
cupati della riqualificazione del loro personale. Questi non sono ammortiz-
zatori sociali che funzionano. Nelle altre Regioni, all’esubero del personale
corrisponde una totale assenza di finanziamenti: non ci sono soldi né per la
riqualificazione né per ammortizzatori sociali, con il rischio di gravi tensioni
sociali e sindacali. Il CCNL non ha risolto adeguatamente questi nodi.
Apertura all’Europa
Il 1996 vede l’Italia in una fase di grande apertura verso l’Europa nei
confronti di tutte le iniziative comunitarie. Ingresso lento e graduale negli anni
passati, che ha subito quest’anno una notevole accelerazione, soprattutto nel
comparto delle attività promosse e finanziate dalla UE tramite il FSE e tramite
i progetti Occupazione, Adapt, Leonardo. Lottando duramente contro le lun-
gaggini burocratiche, che costringono gli italiani a un eterno ritardo rispetto ai
partner europei, la FP italiana sta approfittando molto di tali opportunità.
In questo rinnovato slancio europeo ciò che ha particolare valore è il confronto che
si determina con gli altri sistemi di FP europei, in una fase di evoluzione rapida.
Il Ministero del Lavoro ha cominciato a impiegare in modo massiccio
fondi del FSE su progetti interregionali, con interventi che hanno lo scopo
di utilizzare pienamente le risorse e di mettere a confronto le varie realtà
regionali. Se i progetti andranno a buon fine, già quest’anno un numero
considerevole di giovani (decine di migliaia) potrà essere formato tramite
interventi specifici aperti all’occupazione e si potrà iniziare la formazione
continua dei lavoratori occupati.
L’impegno di tante realtà formative per le proposte e le opportunità pro-
venienti dalla UE trova comunque in Italia barriere difficili da superare.
Mentre l’approvazione dei progetti è diventata abbastanza rapida, la mac-
28
china burocratica italiana, per niente preparata alla progettualità esaspera-
tamente fissata sulla correttezza formale delle procedure e della loro appli-
cazione, impedisce la tempestiva attuazione degli stessi. I funzionari, per evi-
tare il rischio di errori formali e delle relative conseguenze, bloccano i rap-
porti con gli attuatori dei progetti e tendono ad introdurre norme ancora più
restrittive: effetto indesiderato di Tangentopoli, questo aumento dell’inerzia
burocratica. Il risultato è che molte amministrazioni centrali e regionali fi-
niscono con il non spendere i soldi messi a disposizione dalla UE. Ne hanno
parlato anche i grandi mezzi di comunicazione.
Nessuna critica ai tanti funzionari che lavorano duramente e corretta-
mente perché le attività previste dal FSE vengano svolte anche in Italia. Re-
sta purtroppo il fatto che, nel suo complesso, il sistema Italia è in ritardo
strutturale rispetto a queste nuove modalità di sviluppo, determinate dal
processo unitario europeo. La macchina della pubblica amministrazione è
inadeguata ad affrontare questi nuovi percorsi.
Un esempio, per tutti. La fideiussione è un istituto unicamente italiano
per accedere ai finanziamenti. L’intenzione era quella di anticipare l’eroga-
zione dei fondi, venendo incontro all’impossibilità di attuare la dovuta veri-
fica da parte del Servizio Ispettivo del regolare inizio delle attività finanzia-
te. I costi dell’istituto della fideiussione finiscono con il diventare crescenti e
dunque pesanti, dal momento che si protraggono per anni e dal momento
che le pratiche amministrative non vengono chiuse. Non solo, a volte succe-
de che la fideiussione non possa essere finanziata con l’attività svolta.
È dunque indispensabile che i funzionari siano messi in grado di migliorare
gli interventi, la valutazione dei progetti, il loro finanziamento e il controllo
dello svolgimento delle attività. In caso contrario continueremo a penalizza-
re persone, Enti, iniziative e potenzialità professionali, per questa incapaci-
tà strutturale di accedere a risorse importanti per la nostra crescita.
Formazione continua
Se ne parla un po’ da tutti. Studi e confronti si moltiplicano a mano a
mano che la convinzione della sua importanza per lo sviluppo si diffonde.
L’anno europeo dell’istruzione-formazione per tutto l’arco della vita è stata
un’occasione opportuna per fare il punto e rilanciare.
Lo sappiamo, la formazione continua riguarda, in primo luogo ogni
Ente e CFP a due titoli: perché attiene alla formazione degli operatori della
formazione, perché riguarda l’oggetto del loro servizio. Il bagaglio di capaci-
tà progettuali e didattiche, di conoscenze tecniche e pratiche, che ogni CFP
ha accumulato, indica che possiamo essere protagonisti in questo settore,
il quale richiede, tra l’altro, buone capacità di interagire con il territorio e
il mondo del lavoro in esso presente. Per questo motivo il presente numero
della rivista “Rassegna CNOS” n. 3/1996 accoglie una serie di studi su alcuni
aspetti della formazione continua e la redazione si ripropone di ampliare la
trattazione e il dibattito su questa importante strategia di sviluppo.
29
1997
Le polemiche che hanno accompagnato l’approvazione della finanziaria,
a conclusione del 1996, hanno forse fatto perdere di vista alcune scelte poli-
tiche di notevole importanza e direttamente attinenti alla FP. Ci riferiamo
soprattutto al problema del lavoro, che continua ad essere affrontato
con strategie inadeguate, che puntano alla correzione o al contenimento
degli effetti negativi della disoccupazione sulla struttura sociale, ma non
intervengono sulle cause di fondo, pregiudicando dunque il futuro. E so-
prattutto la centralità della formazione e del potenziamento delle risorse
umane che non viene considerata pregiudiziale, per cui si continua ad agire
sulle leve finanziarie e produttive, insistendo su ipotesi di soluzione che si
sono già rivelate inefficaci. Ci pare che sia proprio questa insistenza a fare
come prima e più di prima a rappresentare il problema. Si continua ad
inquadrarlo nella logica dell’emergenza finanziaria, economica e occupazio-
nale, confondendo i fatti con le premesse: la disoccupazione è il risultato
obbligato delle attuali strategie occupazionali e non troverà soluzione se non
si riesce ad andare oltre, se non si riesce cioè ad elaborare un progetto di svi-
luppo di più lungo respiro, nel quale l’apporto dell’intelligenza, della libertà
e della libera iniziativa sia assunto come centrale. La grande risonanza che i
problemi del lavoro trovano presso i mezzi di comunicazione sociale rivela la
crescita esponenziale della preoccupazione per il posto di lavoro, ma rischia
anche di consolidare questo atteggiamento miope e questa politica di continuo
tamponamento, mentre il futuro dell’Italia e dunque delle giovani generazioni
diventa una nebulosa prospettiva,
L’autunno 1996, in tutti i casi, è stato per la FP un periodo molto inte-
ressante e ricco di spunti, sui quali riteniamo opportuno richiamare l’atten-
zione dei nostri lettori.
L’accordo per il lavoro
L’accordo per il lavoro, firmato il 24 settembre dalle forze sociali e dal
Governo, è importante per diversi motivi.
Il documento rivela la sintonia di visioni e di interessi delle varie parti
sociali su alcune tematiche di fondo: c’è un consenso sostanziale sull’analisi
e sulle interpretazioni dei dati. Il che fa pensare che si possano elaborare ipo-
tesi di soluzione, problematiche e difficili quanto si vuole, ma sufficiente-
mente condivise.
Al di là dei contenuti specifici, il documento evidenzia come il problema
del lavoro e dei lavoratori sia considerato centrale dalle forze sociali e dal
governo. E non è poco. Ma ciò che più conta è che non viene affrontato solo
33
1997Editoriale n. 1
dal punto di vista tecnico economico-finanziario ma da un punto di vista
“politico”, a partire cioè da una visione globale della dinamica sociale e del-
le regole che devono presiedere ai rapporti tra i singoli e i gruppi. Ponendo
il lavoratore al centro del mondo del lavoro, occorre definirne profilo e ruo-
lo: lavoratore non è solo chi vuole lavorare, ma chi sa lavorare in questo con-
testo e ha la capacità di crescere rispetto ai cambiamenti del mercato del la-
voro e diventare dunque il lavoratore di domani.
Deriva di qui l’importanza della formazione di base assicurata dalla scuo-
la, dal sistema della FP e da quello della formazione permanente, sia nei con-
fronti di eventuali fasi di crisi occupazionale sia rispetto alle fasi di sviluppo
economico. Apprezzabile in questo accordo il fatto che si sia recepito inte-
gralmente il contenuto dell’accordo tra forze sociali, Ministero del Lavoro e
della Pubblica Istruzione (luglio l996) presso la Presidenza del Consiglio dei
Ministri, che abbiamo già commentato nello scorso numero della rivista.
Il Disegno di legge per l’attuazione dell’accordo sul lavoro
Il Consiglio dei Ministri ha approvato il DDL “Norme in materia di occu-
pazione”, nel quale sono presenti alcuni importanti temi riguardanti la FP.
Primo fra tutti relativamente all’introduzione dei contratti di lavoro
temporaneo. Le imprese abilitate sono tenute a versare per il finanziamento
di iniziative di FP dei prestatori di lavoro temporaneo un contributo pari al
5% della retribuzione corrisposta ai lavoratori assunti. Una quota cosi alta di
contributo si giustifica per il tipo di rapporto in cui sono coinvolti detti la-
voratori, costretti ad adattarsi continuamente a nuove forme di lavoro pres-
so le aziende cui sono destinati.
Per quanto invece riguarda la realizzazione delle azioni di formazione, i
contributi previsti sono destinati “alle iniziative proposte, anche congiunta-
mente, dalle imprese fornitrici di lavoro temporaneo e dagli enti bilaterali
operanti in ambito categoriale costituiti dalle organizzazioni sindacali
maggiormente rappresentative nel predetto ambito”. Dobbiamo sperare che
questo non diventi il modello di ogni tipologia di formazione permanente.
L’accordo per il lavoro prevede che lo 0,30% versato dalle imprese nel fondo
di rotazione sia destinato al funzionamento della formazione continua.
Se anche queste risorse venissero distribuite con lo stesso criterio, sparireb-
be ogni forma di concertazione tra forze sociali e ci si troverebbe semplice-
mente davanti a forme di spartizione dei fondi. Tanto varrebbe lasciare alle
imprese l’obbligo di destinare il 5% (o lo 0,30%) del monte salari alla forma-
zione professionale, lasciando ad esse il compito di erogarla, se ne hanno le
capacità, o destinando l’importo ad un unico fondo nel caso non potessero o
non sapessero svolgere in proprio questo servizio.
L’art. l5, inoltre, parla di “apprendistato”. Non entriamo nel merito della
normativa, ma ci occupiamo soltanto dei riflessi sulla FP che la revisione di
questo istituto comporta. Le agevolazioni contributive, si legge nel testo le-
gislativo “trovano applicazione alla condizione che gli apprendisti partecipi-
34
no alle iniziative di formazione esterna all’azienda previste dai CCNL. Le ini-
ziative di formazione prevedono un impegno di almeno 120 ore medie an-
nue...”. I contenuti formativi verranno fissati con decreto del Ministero del
Lavoro e della P.S.. Il Governo è delegato ad emanare norme regolamentari
che portino ad una disciplina organica dei rapporti di lavoro con contenuti
formativi, quali l’apprendistato e il contratto di formazione e lavoro.
L’istituto dell’apprendistato, in Italia, si è progressivamente svuotato,
riducendosi a periodo di addestramento senza specifiche valenze formative,
e c’è da essere soddisfatti che si cerchi di ridargli la dignità e la funzione che
ad esso sono riconosciute negli altri Paesi europei. Quel minimo di 120 ore
di formazione esterna è un buon avvio verso la trasformazione dell’appren-
distato nella modalità per rendere operativo il diritto alla formazione fino
ai 18 anni per i giovani, usciti dalla scuola o dalla FP prima di tale età,
ancora una volta in linea con i modelli delle altre nazioni europee.
L’art. 16 tratta del “Riordino della formazione professionale”. Non siamo
nell’ottica di una revisione globale della legge 845/78. Si interviene su que-
stioni settoriali, sia pure di importanza strategica o su temi non presenti nel-
la legge, ricorrendo non allo strumento legislativo ma solo a quello della rego-
lamentazione. I principi introdotti dall’art. l5 per la formazione all’apprendi-
stato e la razionalizzazione dei contratti di formazione lavoro, sono da inte-
grare con i principi e i criteri generali introdotti dall’art. 16 e rappresentano
una piattaforma sufficiente per avviare il processo di revisione della FP.
Si tratta di otto punti, nei quali sono indicati i principi generali,
facilmente condivisibili, e le decisioni applicative, che invece sono opinabili,
almeno a partire dal senso dei termini impiegati.
a) Finalità del rilancio della FP:
– migliorare la qualità dell’offerta di lavoro
– elevare le capacità competitive del sistema produttivo, soprattutto
in riferimento alle piccole e medie imprese
– incrementare l’occupazione mediante:
• moduli flessibili, adeguati alle realtà locali
• adeguamento al contesto produttivo locale
• aggiornamento degli imprenditori, dei lavoratori autonomi e dei
soci di cooperative.
b) Ampliamento e potenziamento dello stage
– come raccordo tra formazione e lavoro
– come momento di orientamento dei giovani
– come primo contatto tra giovani e imprese
c) Attuatori della formazione di base
– Enti pubblici
– anche privati con requisiti preliminarmente individuati
d) destinazione di risorse per la formazione continua
e) criteri e modalità di certificazione delle competenze acquisite
f) misure per la mobilità interna ed esterna degli addetti alla FP, in vista
della ristrutturazione degli Enti di FP e la trasformazione dei Centri in
Agenzie
35
g) semplificazione delle procedure
h) abrogazione, ove occorra, delle norme vigenti.
In base a questi punti, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge,
saranno emanate le norme regolamentari.
I principi e i criteri degli interventi di “natura regolamentare” indicati
si prestano ad alcune riflessioni.
Manca una visione d’insieme della FP e delle problematiche ad essa at-
tinenti. Emerge invece chiaramente l’intento di rendere il sistema formativo
funzionale alla struttura e alla cultura aziendale, grazie a un passaggio di
fuoco dalla formazione di base al lavoro alla formazione dei lavoratori occu-
pati. Si riconosce alle parti sociali, in particolare mediante la valorizzazione
degli Enti bilaterali, un ruolo dominante nella trasformazione del sistema,
che si vuole rendere più flessibile. Questi obiettivi richiedono la creazione di
un nuovo quadro istituzionale della FP. Contemporaneamente la scelta del
Ministero del Lavoro e della P.S. e di molte Regioni, di regolare attraverso
bando di concorso, in regime di concorrenza, le risorse pubbliche, senza ri-
ferimento ai dettami della legge quadro della FP, determina alcune gravi con-
seguenze che tendono a trasformare il quadro generale della FP.
1. Si lega il sistema formativo alla negoziazione privata tra le parti sociali.
2. L’istituzione pubblica abdica ulteriormente al proprio ruolo e conferma
la propria incapacità di sviluppare una efficace politica nel settore per
mancanza di una cultura organizzativa, in grado di gestire sistemi sem-
pre più complessi.
3. I soggetti del terzo settore operanti nel campo della FP (associazioni,
organismi di volontariato, espressioni varie dell’economia sociale) sono
squalificati. Significativa, a questo proposito, l’insistenza con cui si
cerca di trasformare i Centri di FP in Agenzie formative. Il termine è
ambiguo e finisce con il premiare la tendenza a trasformare l’attività dei
centri da educativa-formativa ad addestrativa, al contenuto quasi esclu-
sivamente tecnico e a favore di una fruizione immediata delle muove
risorse umane da parte delle imprese.
Questo non significa che i CFP debbano restare quello che sono,
soprattutto nei casi in cui essi continuino a operare in maniera assistenziali-
stica, sulla base di parametri autoreferenziali, svolgendo attività più rivolte
a dare lavoro agli operatori che a dare risposte valide di FP agli utenti e a
promuovere lo sviluppo del mondo del lavoro del territorio in cui operano.
I più recenti studi, le ricerche più avanzate e lo stesso CCNL danno invece
del CFP una descrizione più concreta e condivisibile delle trasformazioni che
Centri e Enti di FP devono perseguire. Il termine Agenzia risulta vuoto
di contenuti concreti e ripropone quel modello di organizzazioni operanti
nella FP, che fanno semplicemente da supporto ad altre realtà che erogano
formazione. A questo punto non e più chiaro “chi fa che cosa”. Chi attua ve-
ramente gli interventi? Le industrie, il sistema pubblico di FP o il sistema
dell’istruzione?
36
È previsto “lo svolgimento delle attività di FP di base anche in affi-
damento a soggetti privati aventi requisiti preliminarmente individuati”.
Ma questi requisiti non vengono indicati e perciò potrebbero essere anche
diversi da quelli fissati dalla legge 845/78. Il rischio che gli Enti attualmente
operanti nella FP vengano ad assumere un ruolo puramente marginale al-
l’interno del nuovo sistema è sempre più reale ed è confermato dall’impres-
sione che le risorse economiche destinate a questo settore diventino sempre
più evanescenti.
A questo punto pare utile fissare alcuni punti irrinunciabili, che trovano
nella carta costituzionale non solo una legittimazione giuridica, ma anche
una precisa valorizzazione del privato sociale.
1. La formazione al lavoro e sul lavoro è un diritto soggettivo della persona
ed è anche un diritto oggettivo di cittadinanza sociale, di cui è titolare
ogni persona in quanto appartenente alla comunità sociale e politica.
La FP corrisponde dunque ad un diritto di cittadinanza sociale. Questo
comporta da un lato il superamento della concezione assistenzialistica e
d’altra parte l’affermazione del suo ruolo educativo: essa si qualifica in-
fatti come processo che sostiene e fa crescere le capacità e le abilità del-
la persona, in ogni fase della vita. La Costituzione, dunque, tutela il di-
ritto alla formazione di ogni soggetto che la richieda.
2. La formazione va intesa come compito affidato ai soggetti associativi, in
grado di assumersi una precisa responsabilità sociale, regolata dall’inter-
vento di supporto dell’Ente pubblico. La formazione non può dunque
essere gestita semplicemente sulla base di criteri privatistici e negoziali.
Di qui il rifiuto di ogni ipotesi di aziendalizzazione e frammentazione
della FP. Va rispettato il diritto dei soggetti sociali, che operano nel set-
tore educativo, a esercitare la funzione formativa. Detta funzione non è
affatto legata, in senso esclusivo, ai sistemi economici. Essa ha lo scopo
di valorizzare tutte le risorse formative di una comunità e deve assicura-
re a tutti pari opportunità di accesso. Il diritto alla formazione non va
disgiunto dagli altri diritti costituzionali della persona, dal momento che
rappresenta il fondamentale fattore di crescita integrata della persona e
della società. Lo ribadiamo. La FP deve essere in primo luogo un servizio
alla persona che si prepara ad entrare nel mondo del lavoro e al lavora-
tore. Non può essere semplicemente a servizio dei bisogni contingenti del
mondo economico. È vero che la persona in formazione non è avulsa dal-
la situazione socioeconomica del territorio e dal contesto sociale, econo-
mico, tecnologico che rappresenta la più vasta comunità umana in cui
vive. Questo significa che nel suo processo di formazione devono armo-
nizzarsi i valori e le esigenze di cui il singolo è portatore con le esigenze
del mercato del lavoro. Difficile sintesi, che la FP deve però realizzare
mediante percorsi di sviluppo culturale in senso ampio e percorsi di
apprendimento delle abilità e delle conoscenze tecniche e tecnologiche
di immediata applicazione. Il punto è sempre lo stesso: i valori della
tecnologia e dell’economia devono essere integrati con quelli dell’uomo
lavoratore. Da un altro punto di vista, non si tratta né di difendere pre-
37
giudizialmente Enti e Associazioni che finora hanno fatto FP e neppure
di difendere l’attuale modo di fare formazione. Conta invece trasformare
in meglio quanto c’è, di valorizzare nel migliore dei modi la loro espe-
rienza educativa, il loro contatto con le realtà sociali di cui sono emana-
zione, le loro sensibilità ai problemi dei giovani e dei lavoratori, per crea-
re un sistema formativo che sia a servizio dell’uomo e del lavoratore. Il
che risponde anche alle esigenze più avanzate del mondo produttivo.
L’art. 17, “Tirocini formativi e di orientamento”, tratta un tema nuovo co-
me quello della alternanza tra studio e lavoro. Era importante che si facesse
qualche cosa in proposito e non si può che essere felici che i tirocini pratici
e stages per i giovani che abbiano terminato l’obbligo vengano incrementati
e promossi. La promozione è affidata a soggetti pubblici o privati senza sco-
po di lucro che operano nel mondo della scuola e del lavoro. Il che significa
che anche le scuole legalmente riconosciute e gli Enti di FP hanno titoli per
stabilire convenzioni con i datori di lavoro. La durata prevista per iniziative
del genere fino a 12 mesi (24 per i portatori di handicap) evidenzia che ci
troviamo di fronte a una nuova metodologia di formazione, erogata di-
rettamente sul luogo di lavoro, in assenza di un contratto di lavoro dipen-
dente e con la possibilità di crediti formativi debitamente certificati. Anche
in questo caso solo una chiara normativa potrà rendere concretamente pra-
ticabile ed efficace questa opportunità formativa.
Il documento manifesta l’intenzione del Governo di intervenire sul siste-
ma di FP, ma non lascia ancora intravedere quale sarà il futuro della FP
in Italia. Al di là delle buone intenzioni, non basta un disegno di legge per
creare una mentalità e dare dignità a un sistema che nella cultura italiana
è sempre stato considerato secondario, riservato quasi unicamente a utenti
deboli e, secondo molti anche tra gli operatori della FP, ritenuto una specie
di scuola di serie B.
Il Ministero del Lavoro e della P.S. ha già cominciato a intervenire in me-
rito alla trasformazione dei Centri attraverso lo stanziamento di 60 miliardi
in base alla legge 236/93 per azioni di riqualificazione mirate essenzialmente
ad accompagnare la mobilità esterna degli operatori degli Enti. Il Ministero
dà in questo modo un segnale circa le sue intenzioni di trasformare gli Enti
e i Centri di FP secondo il nuovo modello. Questo tipo di intervento può vo-
lere dire che le azioni di formazione non saranno più, come capita ancora in
alcuni casi, mirate ad assicurare il posto di lavoro al personale, ma dovranno
rispondere a esigenze concrete e moderne.
Per rendere possibile una completa ricollocazione degli Enti e Centri
di FP, risulta pero indispensabile la riqualificazione interna del personale:
soltanto nel caso in cui non sia possibile riconvertire detto personale all’in-
terno del sistema della formazione, sarà necessario prepararlo per attività
esterne al sistema stesso. Questo ultimo tipo di intervento può divenire pe-
ricoloso quando le riqualificazioni vengano pensate semplicemente come un
ammortizzatore sociale temporaneo, da adottare prima dell’espulsione dal
sistema della persona, mentre invece dovrebbe essere pensato come vera
38
creazione di nuove opportunità di lavoro. Queste modalità di gestione del
personale rimandano al concetto di Agenzia, come espresso nel testo del
disegno di legge e nell’accordo per il lavoro.
L’imprecisione di tale concetto può illudere alcuni Enti di essere più effi-
caci semplicemente eliminando il personale, diminuendo i costi, risanando i
bilanci. Il nostro modo di vedere è invece questo: i piani regionali di FP,
l’evoluzione del sistema scolastico nella sua globalità e i progetti di tra-
sformazione dei Centri in senso polifunzionale, possono creare esuberi o do-
ver gestire professionalità non più impiegabili né riconvertibili (magari per
mancanza di preparazione di base adeguata). Solo in questi casi sono im-
portanti veri e mirati interventi di formazione per la mobilità esterna degli
operatori. Molto più importante è però attivare un piano di interventi per
la trasformazione e la riqualificazione dei Centri attraverso la FP degli
operatori, che permetta di realizzare quella polifunzionalità operativa, che le
ricerche e il nuovo CCNL considerano basilari per la trasformazione del si-
stema formativo.
Il Seminario di Frascati della CEI
Il 23/24 novembre 1996 si è tenuto a Frascati Villa Campitelli un Semina-
rio, per iniziativa degli Uffici Nazionali della CEI (Conferenza Episcopale
Italiana) per la cultura, la scuola e l’università e per i problemi sociali e del
lavoro, in collaborazione con gli Enti di FP. Un’occasione importante per le
seguenti considerazioni:
– la Chiesa italiana, tramite i suoi uffici nazionali, ritiene che la FP sia
un nodo fondamentale e un punto di incrocio dei grandi problemi che oggi
toccano il mondo della scuola e quello del lavoro. Di qui la centralità attri-
buita al problema della FP nella prospettiva di impostare in maniera seria gli
interventi per la risoluzione sia dei gravi problemi della scuola, spesso estra-
nea ai problemi concreti del lavoro, sia dei problemi riguardanti il mondo
del lavoro, primo fra tutti quello della disoccupazione, per affrontare il qua-
le serve una seria FP. Ne è derivato l’impegno di collaborazione tra i due
Uffici della CEI, esteso agli enti e agli operatori dei due canali, per la cresci-
ta di tutto il sistema.
– Il Seminario ha richiamato l’attenzione della Chiesa, del mondo politi-
co, imprenditoriale e sindacale sui problemi della FP, favorendo il rilancio di
una discussione ad alto livello sulle trasformazioni in atto nel sistema for-
mativo italiano, scolastico e professionale. La presenza di Ministri e Sotto-
segretari, di sindacalisti, di rappresentanti delle categorie imprenditoriali ha
consentito una incisiva azione di sensibilizzazione culturale e politica.
– È stata, inoltre sottolineata l’importanza della FP come strumento di
nuova evangelizzazione, nei confronti di tanti lavoratori giovani e adulti, che
normalmente non sono toccati da altre azioni pastorali.
Il Seminario è stato un segno forte del rinnovato impegno della Chiesa
39
italiana per la scuola e la FP. Tale impegno ha portato anche alla nascita
di due nuovi organismi: il Consiglio Nazionale della Scuola cattolica e il
connesso Centro Studi per la Scuola cattolica, allo scopo di tenere desta l’at-
tenzione dei cattolici italiani su tutto il sistema formativo italiano promosso
dalle realtà ecclesiali e quindi anche sugli Enti di FP di ispirazione cristiana,
con la prospettiva di una ricaduta positiva su tutto il sistema.
Il “Rapporto ISFOL 1996” e
il “Rapporto sulla situazione sociale del Paese” del CENSIS
I due rapporti, in modo indipendente, ma complementare, entrano nel
merito dei problemi del lavoro e della formazione. Non vogliamo confronta-
re dati, ma solo cogliere qualche stimolo sulla base di alcune considerazioni
di carattere generale.
L’ISFOL registra i cambiamenti, formalmente impalpabili e di fatto stri-
scianti, del sistema della FP, in assenza di indicazioni strategiche generali.
Saluta il 1996 come l’anno della ripresa dell’iniziativa politica nei confronti
della formazione, come si rileva dall’accordo raggiunto con le parti sociali
a luglio, che tratta la formazione come elemento strategico per lo sviluppo
del Paese e l’integrazione tra scuola e FP come la strada per la crescita e il
rinnovamento del sistema.
Si evidenzia che gli interventi formativi debbono avere una propria iden-
tità e dignità. Il sistema di FP è stato inteso a volte come fattore strategico di
sviluppo sociale, altre volte come strumento della politica del lavoro o come
fattore di sviluppo economico. In realtà la FP è stata sacrificata a compiti
strettamente strumentali a servizio dell’occupazione o addirittura dell’im-
mediato collocamento. Si è trascurato il suo compito di agevolare li passag-
gio dal mondo della scuola a quello del lavoro e da questo alla scuola. Un
percorso che richiede l’acquisizione di professionalità di base a largo spettro.
Non si è considerato inoltre che la formazione, anche quando non produce
ricadute a breve, può di fatto creare occupazione in tempi più lunghi. In una
fase di debole domanda di lavoro questo significa che la formazione non de-
ve diminuire, per il solo motivo che non produce occupabilità immediata.
“Occorre insomma riaffermare l’identità specifica della formazione profes-
sionale che non è solo strumento ma anche valore in sé”.
Affermazione questa del Rapporto ISFOL che ci riporta alla centralità
non puramente strumentale dell’uomo lavoratore. Una tesi che non può che
fare piacere a chi da sempre l’ha sostenuta e difesa con la propria azione.
Il CENSIS, parlando dei processi formativi, definisce la FP “la seconda
gamba del sistema educativo” e la esamina a partire dall’accordo di settem-
bre sul lavoro. In esso si introducono e ratificano concetti fondamentali e si
insiste sull’introduzione della cultura del lavoro in tutto il sistema educativo,
attribuendo ad essa un ruolo fondamentale sia rispetto alla formazione sia
rispetto all’istruzione.
Il rapporto sottolinea che “si tratta di saper accompagnare gli indi-
40
spensabili interventi su struttura, contenuti e metodologie con una opera-
zione di ordine culturale che restituisca valenza e ruolo ad un’opzione,
quella professionale, che ancora rimane, con un termine abusato, una scelta
di serie B, una formazione senza mercato”.
In effetti la FP non ha mercato da un punto di vista qualitativo perché
il coinvolgimento dell’utenza potenziale e le risorse finanziarie investite sono
nettamente inferiori alle necessità del Paese: le attività degli organismi regio-
nali di FP interessano solo l’1,6% della forza di lavoro, o il 14% se ci si riferi-
sce ai soli inoccupati. Il sottosistema formativo, insomma, è troppo asimme-
trico rispetto a quello scolastico. Il numero di utenti che vi sono coinvolti inol-
tre è parziale rispetto alla reale esigenza di formazione del nostro Paese.
Il progetto di riordino dei cicli scolastici
del Ministero della Pubblica Istruzione
Non è possibile dare rapidamente un giudizio sul documento presentato
a metà di gennaio e riguardante il riordino generale della scuola italiana.
Non è un progetto settoriale di riforma, ma una proposta di trasformazione
globale della struttura scolastica. In tale contesto non possono mancare
indicazioni riguardanti l’intero sistema educativo e dunque anche il settore
della FP. Non entriamo nel merito della ristrutturazione dei cicli scolastici.
Ci limitiamo a fare qualche considerazione sulla posizione della FP e sul rap-
porto scuola-lavoro.
Nella premessa del documento si trovano alcune affermazioni interessan-
ti. In primo luogo si afferma che la formazione, come fattore di sviluppo,
necessita di un approccio globale. In secondo luogo si prevede la strutturazio-
ne del sistema dell’istruzione in senso modulare, superando la configurazione
piramidale, allo scopo di precisare, per ogni segmento, le soglie da raggiun-
gere con risultati spendibili in termini culturali, scientifici e professionali.
Una simile struttura consente di aprire il sistema dell’istruzione a
momenti diversi di specializzazione e valorizza la FP, come risorsa da utiliz-
zare in modo sinergico con altre offerte culturali.
Bastano questi due cenni per far risaltare il cambiamento di approccio al
sistema della FP e per confermare la necessità che scuola e FP non si ignori-
no e affrontino assieme i problemi.
L’introduzione della cultura professionale nella scuola, poi, non può che
fare piacere: tra gli obiettivi da raggiungere con il riordino del sistema
compare infatti “la crescita di abilità e capacità professionali e di una mo-
derna cultura professionale”. La squalifica della cultura professionale come
cultura di serie B rientra definitivamente.
Di FP si ritorna a parlare a proposito di scuola superiore, là dove si
affrontano i problemi dell’orientamento e della conclusione dell’obbligo sco-
lastico (13-15 anni). In questo ambito si prevedono, per l’ultimo anno, possi-
bilità di convenzione tra scuola e FP. Il tutto si dovrebbe concludere con
un primo esame di Stato di licenza dalla scuola dell’obbligo, che debbono
41
sostenere anche gli studenti che nell’ultimo anno avessero frequentato la FP.
Il punto 4 del documento tratta specificamente della FP.
Il solo fatto che in questo documento la FP sia presente è innovativo: vie-
ne riconosciuta ad essa, finalmente, piena cittadinanza nel sistema educativo
italiano rinnovato. Comunque vada a finire la proposta di riforma presenta-
ta nel documento, ci troviamo di fronte al definitivo tramonto di una conce-
zione riduttiva, marginale e misconosciuta della FP in Italia, cui si attribui-
sce invece valore educativo, formativo e culturale.
Conclusione
Anche se non raggiunge sempre le prime pagine dei giornali (e dei
telegiornali) ci fa piacere che il tema della FP sia uscito dalla stretta cerchia
degli addetti ai lavori, per entrare in un più vasto ambito di interesse e
di discussione.
La speranza è che da tale interesse derivi una crescita reale di tutto
il sistema educativo italiano e si precisi e si rafforzi tutta la politica italiana
del lavoro e della FP.
42
Il settore dell’istruzione, in questo periodo, sta vivendo una fase ricca
di iniziative e di spunti a livelli diversi. La riflessione e la discussione, dopo
il ciclo delle grandi proposte, riprendono con ritmo più appropriato.
L’argomento che catalizza maggiormente la discussione è quello del riordino
dei cicli, che riguarda anche la FP. Ma sul tappeto ci sono altri due argomenti
di non minore rilevanza.
Il primo, quello dell’autonomia, sembra abbia toccato un primo traguar-
do, in seguito all’approvazione della legge Bassanini: è una legge delega,
che rinvia ai decreti delegati l’applicazione e la pratica dei contenuti dell’au-
tonomia. E qui ci sarà da confrontarsi. In tutti i casi il contesto di riferi-
mento è definito.
Il secondo problema, invece, quello della parità, è ancora in alto mare:
sembra piuttosto difficile trovare una soluzione, perché gli aspetti giuridici e
quelli finanziari sono affrontati da punti di vista differenti e con sensibilità
diverse. Le divergenze, inoltre, non sono espresse da specifici schieramenti
politici, opposti l’uno all’altro, ma sono presenti all’interno dei gruppi, cia-
scuno dei quali stenta a trovare proposte di soluzioni omogenee. Percorso
tutto in salita, dunque.
Sul riordino del cicli le prese di posizione sono diversificate: tra chi espri-
me appoggio acritico e chi è per la condanna senza mezzi termini, si devono
registrare atteggiamenti più costitutivi, da cui provengono suggerimenti,
correzioni, valutazioni di metodo e di merito.
La CONFAP si è inserita nel dibattito portando l’attenzione sul sottosi-
stema della FP con l’obiettivo di ottenerne l’integrazione nel sistema globale
dell’istruzione italiana.
Anche le Regioni hanno cominciato a riflettere sui loro compiti istituziona-
li, nella prospettiva del riordino complessivo dell’istituzione scolastica.
Il CCD ha presentato una proposta di legge, in cui si precisano le “Norme
organiche” che dovrebbero reggere l’intero sistema scolastico formativo.
Il Ministro del Lavoro e della P.S., con il cosiddetto “Pacchetto lavoro” o
“Pacchetto Treu” affronta la questione della FP proponendo, a quanto pare,
di non rivedere la legge 845/78 per via legislativa, ma di riordinare il sistema
tramite decretazione delegata. Ne abbiamo parlato nell’editoriale del nume-
ro precedente della rivista “Rassegna CNOS” n. 1/1997. Qui vorremmo pren-
dere in esame le esigenze di formazione nell’apprendistato e il ruolo forma-
tivo riconosciuto alle imprese e ai luoghi di lavoro in genere. E lo facciamo
a partire da alcune considerazioni circa gli effetti che i finanziamenti
del FSE e l’applicazione della legge 236/93 stanno generando per quanto
concerne il futuro del sistema formativo italiano e in modo particolare dei
Centri di formazione del sistema regionale.
43
1997Editoriale n. 2
Il finanziamento europeo e la destrutturazione del sistema
Prima di tutto, a parità di quadro legislativo nazionale e regionale,
il sistema della FP italiano, limitato come numero di presenze e poco finan-
ziato rispetto al sistema scolastico, sta imboccando strade, per altri aspetti
positive ma che sembrano portare alla sua totale destrutturazione.
La scarsità di fondi, di cui le Regioni soffrono, per gestire in proprio la
FP ha avviato il noto meccanismo del cofinanziamento dei progetti regiona-
li con fondi FSE. Il che ha determinato un processo di cambiamento
rapidissimo: questa eurodipendenza ha portato i suoi frutti.
– Aumento delle offerte formative. Fondi sempre maggiori si sono aggiun-
ti ai fondi disponibili in proprio, consentendo un maggior numero di ini-
ziative formative, in un periodo in cui al progressivo diminuire delle ri-
sorse si contrapponeva un contemporaneo aumento dei bisogni e della
sensibilità verso la FP. Inoltre la programmazione fatta secondo i criteri
del FSE ha obbligato le Regioni a progettare, nell’ottica della formazione
continua, interventi su obiettivi di varia natura, come quelli a favore del
lavoratori occupati;
– Progettazione per obiettivi. Le Regioni e gli Enti attuatori sono stati
costretti a potenziare la strategia di programmazione e di progettazione
secondo i parametri esigiti dal FSE, acquisendo nuovo know how gestio-
nale e formativo. Importante l’introduzione del concetto e della pratica
della valutazione delle azioni formative sia ex ante, sia in itinere e ex post.
– Allargamento del concetto di FP. Si va oltre la logica moltiplicatoria degli
interventi, per riservare maggior attenzione alla analisi dei bisogni del
territorio e degli utenti, alla progettazione ad essa coerente, all’orienta-
mento dell’utenza in ingresso e ai suoi approcci al mondo del lavoro (sta-
ge, ingresso). Si è passati cioè da un concetto di formazione come sem-
plice proposta di percorsi didattici e formativi, sul modello scolastico, a
un concetto più complesso della formazione e della professionalità, più
adeguato alle reali esigenze dei destinatari e del sistema socio-economico.
Si tratta, senza dubbio, di arricchimenti. I finanziamenti europei,
però, impiegati in questo modo, determinano a nostro parere un effetto
perverso, su cui occorre riflettere. Si tratta di ciò che abbiamo chiamato
“destrutturazione del sistema”.
Il FSE finanzia i singoli interventi. È ovvio che lo scopo sia quello
di favorire una maggior efficacia del sistema della FP. È quanto avviene
nei Paesi in cui la FP gode di uno statuto meglio collaudato e più chiaro.
In questi Paesi il finanziamento del FSE integra e arricchisce il sistema del-
la FP nazionale soprattutto perché viene impiegato a sostegno di interventi
innovativi.
Da noi, invece, si è abbandonato il sostegno al sistema in quanto tale per
finanziare, con il FSE, solo le singole azioni. Di questo passo il rischio è che
il sistema, in quanto tale, imploda, producendo una miriade di interventi
scoordinati ed estemporanei. “Agenzie”, spesso improvvisate, tendono a so-
44
stituirsi alle strutture stabili di formazione: non disponendo di un piano si-
curo e strutturale di finanziamenti e dovendo sfruttare soltanto finanzia-
menti settoriali di singoli interventi, non hanno né mezzi né interesse a dar-
si un’organizzazione stabile. Non potranno, cioè, assumere stabilmente del
personale, capace di elaborare e di perseguire una seria proposta formativa,
non saranno in grado di sviluppare una adeguata cultura professionale dei
formatori; non potranno organizzare un ambiente formativo ben orientato e
nemmeno capitalizzare un know how efficacemente spendibile. Saranno cer-
tamente strutture flessibili, ma nulla è più flessibile dell’inesistente. È sulla
base di questa logica che alcune Regioni cercano di modificare il sistema del-
la formazione sopprimendo i CFP e trasformandoli in agenzie, sia pure inte-
se nel senso più positivo del termine. Pare, insomma, che per essere flessibi-
le un sistema debba essere destrutturato: un sistema destrutturato è soltan-
to un non sistema, una somma di attività senza un’anima e senza un cervel-
lo, che è il progetto formativo di un Ente. Mentre il sistema scolastico, attra-
verso il progetto di Istituto, sembra riscoprire quanto la legge 845/78 da
vent’anni aveva voluto per la FP, il sistema di FP, per motivi sostanzialmente
finanziari, viene ridotto a un coacervo di azioni, affidate al miglior offerente
per quanto riguarda i costi, con una qualche attenzione per la qualità pro-
gettuale relativa alle priorità fissate dal FSE. In tutti i casi di contrattazione
si tratta, per cui della formazione si fa mercato.
Secondo noi i titolari della FP devono invece essere Enti, dotati di una
propria proposta formativa e di Centri polifunzionali, in cui siano presenti le
nuove competenze: l’analisi sistematica e scientifica del fabbisogno; la
programmazione formativa; una gestione dei corsi che comporti un ampio
spazio riservato agli stages; un metodo attendibile e oggettivo di valutazione
ex-post dell’efficacia ed efficienza; i servizi di orientamento e di tutoring. Nel-
lo stesso tempo l’Ente deve disporre di una dotazione – di personale, di strut-
ture, di attrezzature, di competenze educative e tecnologiche – idonea a ri-
spondere efficacemente ai bisogni del territorio, tenendo conto, tra l’altro,
che essi non sono sempre nuovi e diversi. Con questo non si intende dire che
all’interno di ogni Centro polifunzionale debbano essere presenti tutte queste
competenze e funzioni: è l’Ente, nella sua organizzazione globale, che deve
disporre di un simile patrimonio formativo, evitando di rimanere ingessato
su professionalità obsolete e strutture fatiscenti e strutturandosi come un
sistema aperto, progettuale, ben inserito nel territorio, dotato di strutture
e attrezzature moderne e di una capacità di formazione collaudata dall’espe-
rienza, dalla continua e consolidata riflessione, da un aggiornamento
e riqualificazione continua del personale.
La legge 236/93 art. 9 comma 3 e la circolare applicativa: le azioni di riqua-
lificazione e riconversione degli operatori degli Enti ex legge 40/87 art. 1
Il sistema formativo italiano, come si è venuto formando a partire dalla
legge quadro in poi, deve molto agli Enti nazionali di FP. Con la loro presen-
45
za, essi hanno contribuito al formarsi di una cultura della FP e alla creazione
di un sistema nazionale in qualche modo unitario, al di là delle peculiarità re-
gionali. Tale presenza, per effetto dei mutamenti introdotti nella struttura dei
finanziamenti e per effetto della rigidità imposta alla gestione del personale,
rivela oggi alcuni limiti e qualche sofferenza.
Il problema più complesso è quello del personale, sia perché qualche
volta è in esubero sia perché in alcuni contesti non è più qualificato per la
nuova strutturazione dei Centri. Il Ministero del Lavoro e della P.S., at-
traverso l’applicazione della legge 236 art. 9 comma 3, intende finanziare
la riqualificazione e la riconversione dei formatori degli Enti, attraverso
tre possibili percorsi di mobilità: verso una nuova occupazione, verso un
consistente riposizionamento all’interno dell’Ente, verso un ricollocamento
all’interno del sistema di formazione. In concreto, l’attuale situazione com-
porterà che la maggior parte dei fondi sia destinata a favorire il personale in
esubero nella ricerca di una nuova professione. È ovvio che ogni trasforma-
zione di sistema porti a degli esuberi strutturali e che certe professionalità
obsolete non siano più ricollocabili nel sistema. La legge non prevede
ammortizzatori sociali, ma formazione a nuovi impieghi, magari legati alla
FP e però estranei al sistema degli Enti.
È una sfida a creare professionalità occupabili in un momento di grave
crisi occupazionale. Possiamo solo augurarci che le necessarie trasformazio-
ni del sistema di FP non siano pagate dai formatori in esubero con la perdita
del posto di lavoro. La situazione che stiamo vivendo mette in evidenza la
necessità della formazione continua dei formatori, per far fronte all’accele-
razione del cambiamento. Il CCNL 94-97 della FP dà molta enfasi alla for-
mazione individuale e collegiale dei formatori: le persone e i Centri che
non la attuano seriamente si votano al fallimento e alla disoccupazione degli
operatori nel giro di breve tempo.
Il sistema di FP nella proposta CONFAP
La CONFAP, partendo dall’Accordo per il lavoro di settembre e dal docu-
mento Berlinguer, poco chiaro nell’esplicitare cosa intende per sistema di FP,
ha elaborato un documento propositivo, che prevede la creazione di un si-
stema di FP regionale nelle sue varie articolazioni, con particolare riferi-
mento ai giovani nella fascia dell’obbligo e del post obbligo. Il documento
viene pubblicato per intero nella rivista e merita una attenta lettura. Vengo-
no previsti due sottosistemi: quello della scuola e quello della FP, cui si attri-
buiscono scopi diversi e metodologie di approccio alla formazione differen-
ti. Possibilità di passaggi dall’uno all’altro sarebbero favorite da un sistema di
crediti formativi. Il sottosistema della FP dovrebbe essere fortemente carat-
terizzato dall’occupabilità: dovrebbe cioè assicurare prima di tutto agli uten-
ti la reale acquisizione di professionalità immediatamente spendibili
nel mercato del lavoro; inoltre dovrebbe impiegare per l’apprendimento una
metodologia ascendente – dal fare al conoscere – con sviluppo delle capacità
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di lavorare in gruppo e delle competenze trasversali indispensabili per poter
accedere al mondo del lavoro.
Il sistema di FP nella proposta delle Regioni
In questo processo di riflessione, scaturito soprattutto dalla proposta di
riordino dei cicli scolastici e formativi, anche le Regioni, titolari per norma
costituzionale della FP, hanno cominciato ad elaborare un documento “sulla
riforma dell’istruzione scolastica e della formazione professionale”. Lo ab-
biamo esaminato ancora in bozza e ci limitiamo a commentarlo in senso
molto generale.
Il documento riconosce la validità dell’“Accordo per il lavoro”, ed esprime
alcune richieste:
– il decentramento e il coordinamento della programmazione degli inter-
venti;
– il coinvolgimento degli Enti locali nella definizione e nel governo del siste-
ma, sulla linea del decentramento e della sussidiarietà;
– una riorganizzazione complessiva, a livello regionale, delle risorse desti-
nate alla FP, a partire dall’obbligo alla formazione superiore;
– l’istituzionalizzazione della partecipazione delle parti sociali, per legare
formazione e territorio;
– un percorso di certificazione della qualità dell’offerta di FP.
Le Regioni riconoscono all’“Accordo per il lavoro” maggior organicità
e coerenza, in vista di una revisione complessiva del sistema dell’istruzione
e della FP, sia rispetto alla proposta di riforma dell’autonomia scolastica
(art. 21 della legge Bassanini) sia rispetto alla proposta di revisione dei cieli
scolastici (Documento Berlinguer).
Le Regioni riconoscono la necessità di una radicale trasformazione del
sistema della FP. Ma precisano che solo un sistema di FP forte e distinto dal-
l’istruzione scolastica può consentire al giovani l’opzione di fondo tra cana-
le scolastico e canale professionale. Questo richiede, tra l’altro, il passaggio
degli Istituti Professionali di Stato alle Regioni.
La bozza si ferma poi a considerare gli assetti istituzionali e le forme di
governo del sistema, con la descrizione delle funzioni riservate al governo
centrale, a quello regionale, provinciale e comunale per quanto attiene i vari
livelli del finanziamento del sistema.
Tratta poi della FP nell’obbligo e nel post obbligo. Si afferma che l’obbli-
go viene assolto all’interno del sistema scolastico e che la FP concorre ad es-
so, attraverso moduli forniti da soggetti certificati: siamo in linea con il do-
cumento Berlinguer e con l’“Accordo per il lavoro”.
Nel post obbligo invece si prefigura un vero sistema di FP, con possibili-
tà di integrazioni al sistema scolastico e universitario e a quello delle azien-
de. Si prevede il prolungamento dell’obbligo, allo scopo di consentire l’in-
gresso nel mondo del lavoro solo dopo una qualifica iniziale di un anno
47
(1.000-1.200 ore). In questa prospettiva potrebbe essere inquadrato anche
l’apprendistato, cui si fa carico di una quota di ore di aula nell’ordine di
quella necessaria per il conseguimento di una prima qualifica in un Centro.
Detta ristrutturazione, oltre ad allineare su standard europei le professiona-
lità in ingresso nel mondo del lavoro, sarebbe una condizione per una rior-
ganizzazione adeguata del sistema della FP, che altrimenti potrebbe rischia-
re la polverizzazione per scarsità di utenza.
La formazione post obbligo dovrebbe essere erogata in un biennio e for-
nire due livelli di qualifica, tali da consentire il passaggio ai corsi di qualifi-
ca superiore o, tramite integrazione, al sistema scolastico. Il sistema di FP
prevede infatti la formazione tecnico professionale superiore, non gestita
né dalla scuola né dall’università, ma, come afferma l’“Accordo per il lavoro”,
da tutti gli attori presenti sul territorio, che sappiano impegnarvisi (la bozza
parla di consorzi).
La bozza non consente ancora valutazioni definitive. Sembrano positivi
i seguenti elementi:
– L’entrata in campo e la rivendicazione della titolarità delle Regioni in tema
di riordino del sistema scolastico e formativo. Ricordiamo che nel Docu-
mento Berlinguer non si trova mai il termine “regionale” là dove si parla di
sistema di FP. È bene che, in un clima politico che esprime sensibilità e
orientamenti di tipo federalistico, le Regioni facciano sentire la loro
opinione e chiedano di essere cooptate nella ristrutturazione di un settore
che sono chiamate a gestire.
– Di fronte alla sensazione di sbriciolamento che proviene proprio da alcu-
ne Regioni, l’ipotesi di un sistema regionale di FP organico e forte, che
si interessi di formazione nella fascia dell’obbligo, nel post obbligo, di
quella superiore, anche post laurea, è molto importante come segnale di
responsabilità e di cambiamento di rotta, sia di fronte alla rinuncia alla
formazione post obbligo decretata da alcune Regioni sia di fronte all’uso
prevalentemente assistenziale della FP adottato da altre.
– La partecipazione delle Regioni al dialogo sulle riforme del sistema
educativo italiano dà fiducia, in questo momento di transizione, a tutti
coloro che credono nel valore della FP e in particolare agli Enti che
di questa si occupano. È un motivo in più per sperare e impegnarsi
ad affrontare le sfide che i cambiamenti in atto ci impongono: si tratti
della formazione continua degli operatori e in particolare dei formatori
o dei sacrifici anche finanziari che si devono sostenere per assicurarci un
futuro.
Il sistema di F.P. nella Proposta di Legge “Norme organiche di indirizzo
per lo sviluppo del sistema educativo” del CCD
Il gruppo parlamentare del CCD ha presentato il 10 marzo u.s. alla Ca-
mera una proposta di legge per stabilire delle norme organiche di indirizzo
per il sistema educativo italiano. I principi generali riguardano sia l’istruzione
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sia la formazione, in un contesto di autonomia e di parità delle istituzioni.
Il sistema scolastico viene previsto come pubblico integrato: ne vengono
stabilite le finalità e le funzioni, le esigenze e le caratteristiche, la struttura e
i programmi, l’innovazione ordinamentale e curricolare. Non si prevede un
riordino dei cicli, che rimarrebbero essenzialmente gli stessi.
In questo progetto vi è un titolo che riguarda “L’organizzazione del sistema
nazionale della formazione professionale”, considerato autonomo rispetto
al sistema scolastico. Si ridefiniscono le finalità del sistema di FP:
a) promuovere l’acquisizione di competenze culturali e professionali in ri-
sposta ai bisogni formativi dei giovani, degli occupati, dei disoccupati e
dei soggetti a rischio di marginalità sociale e culturale
b) concorrere allo sviluppo economico e sociale del paese
c) essere uno strumento della politica attiva del lavoro.
Si deduce da questa impostazione la centralità della persona nel sistema
nazionale di FP, rispetto alla sua semplice strumentalizzazione all’interno
delle politiche attive del lavoro.
Il sistema di FP si articolerebbe su tre livelli: primo, secondo e superiore.
Il primo livello di formazione comincia alla conclusione della scuola media
e ha durata quadriennale. Dopo il sedicesimo anno la formazione può avve-
nire anche in alternanza e prevede un titolo di qualifica professionale al 18°
anno: il titolo di qualifica ha valore come soddisfacimento dell’obbligo.
La formazione di secondo livello è di durata annuale e può essere
frequentata dai qualificati e, a definite condizioni, da coloro che provengono
da equivalenti livelli della scuola media superiore. Si conclude con un titolo
di maturità professionale.
La formazione superiore, di durata variabile dai due ai tre anni assicura
un diploma professionale e può essere frequentata da chi è in possesso
di una maturità professionale o generale.
Nel sistema di FP potranno confluire sia gli Istituti Professionali di
Stato sia i Centri di FP.
L’obbligo di istruzione e formazione, portato a dieci anni, dal quattordi-
cesimo anno in poi può essere adempiuto nel canale scolastico e in quello
della FP.
Abbiamo accennato solo ad alcune parti della proposta, ma il tutto
merita il nostro interesse. È stato in effetti elaborato un insieme organico di
indirizzi, che dovrebbe diventare operativo mediante leggi applicative.
Per quanto riguarda il sistema scolastico, non si prevede la ristruttura-
zione dei cicli, ma solo l’aggiornamento e l’adeguamento dei metodi e dei
contenuti, sulla base dei principi di autonomia e parità, considerati il moto-
re di sviluppo di tutto il settore.
Per quanto riguarda la FP invece si prevede un sistema organico, paral-
lelo a quello scolastico a partire dai quattordici anni, con possibilità di inte-
grazioni sia con il modo della scuola sia con quello del lavoro, attraverso il ri-
conoscimento dei crediti formativi.
La centratura del sistema sulla formazione del lavoratore prima che sul-
49
la sua destinazione strumentale al mondo del lavoro dà maggior senso al-
l’immissione del sottosistema formativo nell’ambito dell’unico sistema edu-
cativo italiano.
Se un appunto si può fare, è la scarsa attenzione riservata al ruolo delle
Regioni.
Quale formazione nell’apprendistato?
Il “Pacchetto Treu” traccia la funzione formativa dell’apprendistato,
fissandone, in primo luogo l’utenza – limite inferiore di sedici anni e massi-
mo di ventiquattro anni di età (ventisei nelle zone di ob. 1 e 2 del FSE) – e,
in secondo luogo, la durata: dai diciotto mesi a un massimo di quattro anni.
Le agevolazioni contributive per gli apprendisti sono riconosciute solo se
questi partecipano a iniziative esterne all’azienda, come previste dai CCNL,
in ogni caso per una durata non inferiore alle 120 ore l’anno. I contenuti
formativi e le modalità per la certificazione dell’attività svolta sono proposti
da un comitato ministeriale, sentite le organizzazioni sindacali di categoria
e le Regioni.
Il disegno di legge prevede anche la creazione di “una disciplina organi-
ca della materia secondo criteri di valorizzazione dei contenuti formativi,
con efficiente utilizzo delle risorse finanziarie vigenti...”. È “previsto un si-
stema organico di controlli sulla effettività dell’addestramento e sul reale
rapporto tra attività lavorativa e attività formativa”. Infine viene previsto an-
che l’onere finanziario derivante. Non si dice nulla sulla natura dei gestori
delle “Iniziative di formazione esterne all’azienda”. La formazione per 120
ore l’anno degli attuali circa 400.000 apprendisti richiede un intervento or-
ganizzativo e finanziario massiccio. Un calcolo è presto fatto. Ipotizzando
gruppi omogenei di 20 apprendisti ciascuno, se ne dovrebbero formare
20.000. Se ogni gruppo viene occupato per 120 ore sono 2.400.000 le ore di
formazione da erogare. Se consideriamo che la durata media di un corso
di formazione professionale è di circa 1.000 ore, il monte ore di cui sopra
corrisponde a 2.400 corsi di FP a tempo pieno. È un intervento di dimensio-
ni tali che non si può improvvisare. Un chiaro invito alle Regioni perché si
attrezzino in modo da poter affrontare queste nuove esigenze del “mercato”
della FP.
Riteniamo che la valenza educativa dell’apprendistato sia da valorizzare,
anche per assicurare ai giovani dopo i sedici anni un sistema formativo non
scolastico, fortemente professionalizzante. Si tratta di creare i presupposti
perché nessun giovane entri più nel mondo del lavoro senza una qualifica-
zione certificata, assicurandogli l’accesso a quella formazione continua,
che gli permetterà di evitare l’obsolescenza della sua professionalità e
di reggere con successo le dinamiche di un mercato del lavoro sempre
più esigente e selettivo.
50
Quale ruolo per le imprese?
Il “Pacchetto Treu” prevede anche tirocini formativi e di orientamento
nelle imprese, per favorire la conoscenza diretta del mondo del lavoro.
La legge stabilisce i promotori di tali iniziative, ne fissa la durata massima,
il tipo di convenzione con i datori di lavoro, gli istituti assicurativi, il valore
di credito formativo attribuibile alle iniziative, il tutoraggio.
Quello che pare più innovativo, dal punto di vista concettuale e operati-
vo, è il riconoscimento del valore formativo del “tirocinio pratico” svolto in
un posto di lavoro reale. È il riconoscimento che il lavoro ha una valenza
formativa, quantificabile attraverso crediti, e che l’impresa può anche avere
una funzione e una capacità formativa.
Il ritenere il lavoro non solo sorgente di reddito e fonte di ricchezza, ma
anche una opportunità di maturazione e di formazione umana, tecnica,
professionale per la persona, è di fondamentale importanza. Il fatto è che il
nuovo modo di lavorare e il nuovo modo di essere dell’impresa rimandano a
un insieme di variabili e a un contesto molto complesso, per cui non basta
fare un “tirocinio pratico” presso un’azienda per ricavarne reali e validi ri-
sultati formativi. Serve il supporto e la mediazione di Enti che abbiamo non
solo capacità organizzative, ma anche una cultura del lavoro e un know how
formativo adeguato alla realtà e alle specifiche esigenze degli individui e del-
le organizzazioni.
Concludendo
Il presente numero di “Rassegna CNOS” vuole portare un contributo
alla discussione in atto sul “Documento Berlinguer” in modo particolare
in riferimento alla FP.
La nostra linea culturale è ben nota ormai: nei numerosi contributi di
questi ultimi anni essa è stata alla base della nostra riflessione. Ma vogliamo
ancora una volta sinteticamente esprimerla.
Punto irrinunciabile, secondo noi, è la valenza educativa di ogni inter-
vento di FP, centrato per questo sul destinatario, di cui si riconoscono e va-
lorizzano le esigenze fondamentali, le potenzialità, in vista di un inserimen-
to attivo e responsabile nel mondo del lavoro. Gli interventi di FP non pos-
sono essere strumentalmente finalizzati solo al lavoro produttivo, non pos-
sono essere intesi come semplici strumenti delle politiche attive del lavoro.
Sono efficaci strumenti di politica del lavoro solo se formano la persona del
lavoratore, in modo che il lavoro diventi per lui uno strumento di crescita e
di formazione.
In questo contesto gli Enti che si accollano l’impegno della FP, qualsiasi
sia il tipo di utenza a cui si rivolgono, svolgono un servizio di pubblica utili-
tà. Il che significa che non possono e non devono essere collocati in un sem-
plice contesto privatistico e mercantilistico. Devono far parte di un più vasto
sistema di servizio alla persona. Certamente questo non significa attribuire
51
all’Ente pubblico la titolarità di ogni intervento di FP, ma sostenere il princi-
pio della sussidiarietà, che determina un pluralismo istituzionale reale, per la
presenza di una molteplicità di soggetti che intervengono e interagiscono
con il sistema di FP. Insistiamo ancora una volta sul ruolo dei soggetti, per-
ché sono essi a rappresentare nella odierna società una grande potenzialità
educativa. Il fiorire di Associazioni “non profit” rappresenta un nuovo punto
di riferimento e una conferma di questo assunto e sottolinea il ruolo fonda-
mentale svolto dai soggetti che si occupano istituzionalmente di FP.
52
Al tempo delle discussioni sta seguendo rapidamente un tempo di realiz-
zazioni legislative e di attuazioni concrete. L’inizio dell’estate ha visto l’ap-
provazione e promulgazione del “Pacchetto Treu”, che traduceva in articoli
di legge le indicazioni concertate nell’“Accordo per il lavoro” del settembre ‘96,
per quanto concerne alcuni punti fondamentali delle politiche del lavoro
e della FP.
Nel campo della riforma di tutto il sistema scolastico formativo, alla
promulgazione della “Bassanini”, che all’art. 21 detta le regole dell’autono-
mia scolastica, hanno fatto seguito l’approvazione, da parte del Governo,
di due disegni di legge: quello sul riordino dei cicli e quello sulla parità. Essi
prefigurano la trasformazione del sistema educativo italiano. Questo fatto, al
di là dei particolari contenuti in ciascun provvedimento, rivela l’intenzione
del Governo di attuare un rinnovamento complessivo del sistema educativo
italiano, realizzando il programma elettorale dell’Ulivo e secondo le indica-
zioni generali concordate nel settembre 1996 con le parti sociali nel sopra
ricordato “Accordo per il lavoro”.
La sensazione è che il Governo abbia imboccato la strada di rinnova-
mento totale del sistema dell’istruzione e della formazione. Questo fatto tro-
va consenziente la maggior parte degli addetti ai lavori. Da una prospettiva
di aggiustamenti del sistema, (ancora l’Accordo per il lavoro del 1993 preve-
deva semplicemente il prolungamento dell’obbligo scolastico fino a sedici
anni e la riforma della secondaria superiore), si passa alla progettazione di
un nuovo sistema.
Resta però la sensazione che, quando si scende al concreto delle propo-
ste di riforma complessiva, nascono obiezioni e resistenze concrete, che spin-
gono a pensare che vi sia ancora in molti la paura di affrontare il cambia-
mento. L’integrazione nel sistema pubblico scolastico e professionale di
gestori “privati” o del “sociale privato” con le istituzioni statali scolastiche
“autonome” incontra ancora opposizioni di tipo ideologico-culturale in mol-
ti ambienti, che continuano ad identificare, in materia scolastica, servizio
pubblico con servizio statale. D’altro lato il riordino dei cicli scolastici crea
perplessità in un’ampia cerchia di docenti, che vedono sconvolta la struttu-
razione della scuola, di cui conoscono certamente i limiti, ma anche i valori
e gli aspetti positivi. Essi trovano anche difficoltà nel prefigurare un loro si-
gnificativo collocamento nella nuova strutturazione.
In questa situazione la formazione professionale incontra problemi da
un lato nella relazione con le ancora incerte prospettive di mutamento del
quadro scolastico generale e dall’altro nella debolezza del sistema istituzio-
nale che la governa. Infatti, l’incertezza del quadro normativo fa sì che la
scuola tenda ad occupare anche gli spazi della FP; inoltre anche il mondo
53
1997Editoriale n. 3
delle imprese rivendica questi stessi spazi. Le imprese ritengono, infatti,
d’essere le uniche capaci di valutare concretamente le esigenze del mercato
del lavoro e delle professioni.
Basterebbe verificare a chi va la maggior parte dei finanziamenti del FSE
gestiti direttamente dl Ministero del lavoro attraverso i Programmi Operati-
vi Multiregionali per rendersi conto che, accanto al sistema di FP regionale
governato dalla legge 845/78, è nato un nuovo sistema cui concorrono tutti,
scuole e imprese in primo luogo. Questo insieme di operatori riesce a spen-
dere i fondi della UE, ma anche i cofinanziamenti statali, parallelamente e
senza tenere in conto le programmazioni regionali.
In questa situazione s’inserisce la legge 196 del 24 giugno ‘97, che dà
inizio al riordino della FP, come recita il comma 1 dell’art. 17: “definisce
principi e criteri generali, nel rispetto dei quali adottare norme di natura re-
golamentare costituenti la prima fase di un più generale, ampio processo di
riforma della disciplina in materia”.
Legge 196 del 24 giugno 1997
“Norme in materia di promozione dell’occupazione”
Già l’editoriale di “Rassegna CNOS” n. 1/1997 ha presentato nella so-
stanza il contenuto del disegno di legge, ora convertito in legge, per quanto
riguarda gli articoli interessanti la formazione. Per questo portiamo la ri-
flessione sulle modifiche introdotte e specialmente sulle prime indicazioni
riguardanti gli interventi di natura regolamentare, che sono in fase di predi-
sposizione. Il Governo deve, infatti, emanare i regolamenti attuativi entro sei
mesi dalla pubblicazione della legge, in pratica entro il 1997.
In particolare l’art. 17 - Riordino della formazione professionale, contie-
ne quattro commi (3, 4, 5 e 6) non presenti nel disegno di legge iniziale. Rap-
presentano il tentativo di risolvere il problema della garanzia fideiussoria ri-
chiesta dalla legislazione italiana per l’erogazione di acconti di finanziamen-
ti pubblici. La legge prevede la creazione di un fondo di rotazione a garanzia
per le somme erogate a titolo d’anticipo o d’acconto, a valere sulle risorse del
FSE e dei relativi cofinanziamenti nazionali. Tale fondo sarebbe alimentato
da un contributo a carico degli attuatori degli interventi finanziati, partendo
da una base di 30 miliardi derivanti dal fondo di rotazione stabilito dalla leg-
ge 845/78. Le risorse del fondo servirebbero a rimborsare organismi comu-
nitari e nazionali erogatori di finanziamenti, nelle ipotesi di responsabilità
sussidiarie dello Stato membro. Il Ministero del Tesoro, di concerto con il
Ministero del Lavoro, doveva fissare, entro 60 giorni dalla data di entrata in
vigore della legge, le norme di gestione del fondo e l’aliquota del contributo
a carico dei soggetti privati beneficiari dei finanziamenti. I sessanta giorni
sono passati, ma, per oggettive difficoltà, il decreto non è stato pubblicato. Si
spera che l’aliquota che verrà fissata sia sostanzialmente inferiore al costo
della fideiussione: in caso contrario lo sforzo per creare tale fondo sarebbe
semplicemente inutile.
54
Merita apprezzamento il tentativo di ridurre gli oneri non rendicontabili
(oneri della fideiussione) imposti ai soggetti privati. Inoltre, se le procedure
amministrative fossero tali da far sì che gli anticipi fossero veramente anti-
cipi, il peso degli oneri non rendicontabili sarebbe certamente minore.
Invece tra la stipulazione di una fideiussione e l’erogazione del relativo
finanziamento passano almeno due mesi o, per motivi tecnici, molti di più.
Alla base di tutto questo sistema di finanziamenti vi è la nozione di
“convenzione” tra Ente pubblico erogatore di finanziamento ed ente privato
attuatore: la convenzione è ritenuta semplicemente concessione ammini-
strativa. Le convenzioni per i POM, al secondo articolo, prevedono: “Il Mini-
stero affida, in regime di concessione all’Ente, l’organizzazione e la realizza-
zione del progetto...”. Nel regime di “convenzione - concessione” le regole del
gioco sono imposte dalla parte concedente, mentre l’altra parte può solo
accettare o rinunciare. Non si comprende come possa un Ente “senza scopo
di lucro”, come fissa la legge 845/78 in un articolo formalmente non abroga-
to, svolgere attività di FP convenzionata impegnando fondi propri, che il più
delle volte non possiede. Questo ragionamento vale sia per i fondi da desti-
nare alle fideiussioni sia per quelli da destinare al nuovo fondo di rotazione.
Questo modo di agire mette a rischio, per via amministrativa, qualsiasi lode-
vole tentativo di realizzazione di un sistema pubblico integrato d’istruzione e
formazione, cui istituzioni statali e non statali partecipino con pari dignità.
Con queste osservazioni non si vuole togliere apprezzamento ai lodevoli
tentativi di rendere meno onerosa la situazione attuale della FP.
Un altro importante cambiamento è stato introdotto nel testo dell’art. 17
rispetto al corrispondente art. 16 del DDL. Alla lettera c) del comma 1, il
DDL recitava “svolgimento delle attività di formazione professionale da par-
te delle regioni e/o delle province anche in convenzione con enti privati aven-
ti i requisiti predeterminati”. La legge approvata ha aggiunto, dopo la paro-
la convenzione, “istituti di istruzione secondaria”. Si tratta di un’introduzio-
ne non da poco, perché sconvolge dal punto di vista legislativo l’articolo del-
la legge 845/78, che determinava i requisiti degli enti attuatori d’interventi di
FP, non prevedendo tra questi gli istituti scolastici. È pur vero che la legge
non fa che rendere legalmente possibile quanto in pratica da anni si sta fa-
cendo, specialmente con l’accesso da parte della scuola in maniera sempre
più massiccia, ai finanziamenti del FSE. Nella pratica avviene che l’integra-
zione tra l’istruzione e la FP si stia trasformando in assorbimento, da parte
della scuola, delle attività di FP. E questo avviene non in via sussidiaria, là
dove non vi è o è scarsa la presenza di FP convenzionata, ma in ogni settore
e campo. Del resto il Ministero della Pubblica Istruzione, attraverso sempli-
ci interventi regolamentari, sta appropriandosi della formazione superiore
non universitaria (cfr. l’istituzione dei corsi di perfezionamento presso gli
istituti tecnici industriali di durata da uno a tre anni) e degli interventi di
formazione per gli adulti anche nel campo professionale...
Il resto dell’art. 17 riconferma quanto contenuto nel corrispondente
articolo del DDL. Il Ministero sta elaborando i Regolamenti attuativi, che il
Comitato di concertazione ha già vagliato in due riunioni.
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Presentiamo qui un esame generale dei contenuti delle proposte regola-
mentari attraverso le osservazioni, che la CONFAP in merito ha elaborato.
Art. 17 Comma 1. lettera c)
svolgimento delle attività di formazione professionale da parte delle regioni
e/o delle province anche in convenzione con istituti di istruzione secondaria e
con enti privati aventi i requisiti predeterminati.
Osservazione preliminare.
I requisiti predeterminati devono riguardare tutti gli attuatori che opera-
no in convenzione, perciò anche gli istituti d’istruzione secondaria. La legge
non precisa che gli istituti d’istruzione secondaria presi in considerazione
sono quelli statali. In analogia con quanto affermato nell’art. 18, si potrebbe
ritenere che gli istituti che rilasciano titoli con valore legale possano essere
soggetti di tale convenzione.
Inoltre, deve configurarsi un’eguaglianza di tutti i soggetti di fronte all’i-
stituto della “convenzione”, pena una disparità di trattamento. Alcune norme
essenziali (cfr. l’adeguamento alla legislazione sulla sicurezza) non possono
essere richieste come immediatamente indispensabili ad enti e imprese e
non agli istituti statali, a motivo della parità di diritti degli utenti.
Lo stesso vale per tutti gli standard di prodotto e di processo, che devo-
no essere fissati e stabiliti per tutti i soggetti che stipulano convenzioni, in
nome dei diritti paritari dei beneficiari.
Questo comporta che o non si debbano fissare standard che una notevo-
le parte dei soggetti previsti dalla legge non possano raggiungere, oppure si
debbono definire standard finali e tempi d’adeguamento validi per tutti.
Possibile architettura di riferimento
A livello nazionale è stabilito un insieme di criteri minimi d’accredita-
mento delle strutture formative.
Ad alcuni criteri generali, se ne debbono affiancare altri articolati per
macrotipologia, tenendo presente che le strutture di tipo polifunzionale o
agenziale hanno una struttura che può essere complessa, che permette di
operare nell’ambito di molti segmenti della formazione e di erogare servizi
che vanno di là dalle semplici azioni formative.
Inoltre, bisogna tenere presente di accreditare le strutture formative an-
che per quanto riguarda la formazione in alternanza e l’organizzazione di ti-
rocini e di stages (art. 16 e 18), se non si vuole moltiplicare accreditamenti da
parte di soggetti diversi su medesime strutture.
Va prevista, poi, l’istituzione di un organismo che tenga aggiornato l’in-
sieme dei requisiti minimi con il passare del tempo e con riferimento alle
esigenze nazionali ed europee.
I requisiti minimi non sono modificabili dalle singole Regioni, che tutta-
via possono integrare tali requisiti minimi sulla base delle situazioni e delle
esigenze regionali.
L’accreditamento è dato dalle Regioni ed è valido per tutto il territorio
nazionale per quanto riguarda i requisiti minimi, con durata triennale.
La certificazione, rilasciata in base alle norme ISO 9000 e seguenti, del
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possesso degli standard minimi nazionali e di quelli regionali è una via per
facilitare e supportare l’accreditamento da parte delle Regioni.
Art. 17 Comma 1. lettera e)
attribuzione al Ministero del lavoro e della previdenza sociale di funzioni
propositive ai fini della definizione da parte del comitato di cui all’articolo 5,
comma 5, dei criteri e delle modalità di certificazione delle competenze acquisi-
te con la formazione professionale.
Le definizioni dovrebbero riguardare sia le unità formative capitabiliz-
zabili sia gli standard di qualifica.
In entrambi i casi è necessario porre ad oggetto delle definizioni solo le
competenze da possedere e non i modi di acquisizione, anche se si possono
indicativamente fissare dei minimi relativi alla durata, agli obiettivi formativi,
al tipo di formazione (teorica, pratica, di stage...) necessari per conseguire
una qualifica o per acquisire un’unità capitabilizzabile.
Per unità formativa capitabilizzabile (UFC) si può intendere:
– le competenze di base, tecnico-professionali o trasversali, necessarie
per svolgere un determinato ruolo professionale;
– gli standard di valutazione delle competenze acquisite;
– gli enti delegati a certificare le competenze medesime.
Poiché si deve supporre che una medesima competenza si possa acqui-
sire attraverso percorsi formativi diversi (scuola, FP, esperienza nel lavoro),
le metodologie didattiche, le modalità formative, la stessa durata della for-
mazione, la scansione programmatica dei contenuti non possono far rigida-
mente parte di una definizione di UFC.
Inoltre, non sembra coerente far riferimento ad una qualifica professio-
nale come semplice aggregazione di unità capitabilizzabili, in quanto
una professionalità globale richiede certamente competenze particolari, ma
non la si può pensare come semplice somma di queste.
Alcune UFC, specialmente quelle che si riferiscono a saperi comuni a tut-
te o a molte professionalità (cfr. conoscenza del mondo del lavoro, cono-
scenze informatiche di base, conoscenze linguistiche a vari livelli, conoscen-
ze matematiche di base), possono essere facilmente standardizzate.
Non serve però stabilire il come si raggiungono gli obiettivi formativi o il
tempo d’acquisizione delle competenze richieste.
D’altronde, alcune UFC potrebbero entrare a fare parte obbligatoriamen-
te di qualsiasi qualifica di un certo livello (cfr. quanto fissato dalla legge al-
l’art. 16 a proposito dei contenuti teorici del primo anno d’apprendistato).
La qualifica, definita sulle competenze (di base, tecnico-professionali o
trasversali) necessarie per un determinato compito professionale, rappre-
senta in ogni modo un riferimento necessario per la programmazione for-
mativa da parte dei soggetti attuatori.
Si tratta, quindi, non solo di definire UFC, ma anche un sistema di qua-
lifiche immediatamente spendibili nel mercato del lavoro, raggiungibili at-
traverso percorsi strutturati: questo è indispensabile soprattutto per quanto
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riguarda la formazione iniziale o di base, sia post obbligo sia post diploma.
Lo stesso varrà per la futura “formazione superiore”, che, pur tenendo
conto di tutte le UFC in possesso della persona, non potrà strutturarsi come
semplice somma di queste.
Inoltre, il sistema di unità capitabilizzabili è molto più importante a
proposito della formazione continua e per i passaggi dalla scuola alla FP o da
esperienze di lavoro alla FP o viceversa.
Tutte queste considerazioni portano ad avanzare la proposta d’istituire
un’apposita Commissione per l’elaborazione sia di UFC, sia di qualifiche
standard, facendo anche riferimento alle standardizzazioni in Europa, al fi-
ne di pervenire a definire quelle competenze minime obbligatorie teoriche,
pratiche e relazionali indispensabili per acquisire una determinata qualifica,
nonché il loro aggiornamento continuo e sperimentazione assistita in rac-
cordo con la progettazione e valutazione degli interventi formativi.
D’altro canto, si deve pure rilevare che le qualifiche di base non possono
essere troppo numerose per i vari livelli, né i loro contenuti minimi essere
troppo specialistici, in considerazione della possibilità di aggiungere unità
formative specifiche e continuamente aggiornabili tramite interventi di
formazione continua.
Art. 17 Comma 1. lettera g)
semplificazione delle procedure, definite a livello nazionale anche attraver-
so parametri standard, con riferimento agli atti delle Amministrazioni compe-
tenti e a strumenti convenzionali oltre che a disposizioni di natura integrativa,
esecutiva e organizzatoria anche della disciplina di specifici aspetti previsti
dalle disposizioni regolamentari emanate ai sensi del comma 2.
Non si può che condividere tutto lo sforzo di semplificazione delle strut-
ture interne alla pubblica amministrazione che impediscono a tutt’oggi un
finanziamento rapido, quando questo è approvato.
Va superata la concezione riduttiva della prassi amministrativa della con-
venzione per accedere a finanziamenti pubblici. I contenuti delle Conven-
zioni devono recuperare al loro interno il senso e il valore delle operazioni
di “accreditamento” dei soggetti attuatori delle iniziative formative; l’attuale
situazione di semplice concessione amministrativa, che comporta sempre
più oneri sugli attuatori, cui non corrispondono analoghi obblighi da parte
della Pubblica Amministrazione, deve essere superata.
Il controllo amministrativo contabile va, dunque, modificato e standar-
dizzato.
Le verifiche amministrativo contabili sulla documentazione di spesa van-
no razionalizzate e semplificate, evitando di volere per forza controllare ciò
che finisce per essere incontrollabile: in questo caso è maggiore lo spreco di
energie e in ultima analisi di soldi pubblici di qualunque recupero che simile
controllo potrebbe ottenere. Invece debbono essere controllati maggiormente
i parametri di economicità, efficienza ed efficacia dell’azione formativa.
Inoltre, il ricorso al bilancio analitico per la rendicontazione può essere
un sistema efficace: si tenga presente che gli Enti privati di formazione, a
58
causa della finanziaria 1994, sono entrati nel sistema alla contabilità fiscale
ordinaria. Si devono, quindi, preparare persone capaci di valutare tale con-
tabilità, per non creare una semplice aggiunta onerosa a rendicontazione
classiche, fatte con criteri diversi da quelli della contabilità generale.
Art. 17 Comma 1. lettera d)
destinazione progressiva delle risorse... agli interventi di formazione dei
lavoratori nell’ambito di piani formativi aziendali o territoriali concordati tra
le parti sociali, con specifico riferimento alla formazione dei lavoratori in
costanza di rapporto di lavoro, di lavoratori collocati in mobilità, di lavoratori
disoccupati per i quali l’attività formativa è propedeutica all’assunzione...
Sarebbe opportuno, per creare un sistema integrato scuola - FP - mondo
aziendale, prevedere quale apporto la scuola e la FP possano dare al futuro
sistema di formazione continua. La formazione continua è pensata in
funzione delle esigenze delle aziende o anche come diritto del lavoratore di
poter aggiornare la propria professionalità, in modo che questa non diventi
obsoleta, ma rimanga spendibile nel mercato del lavoro? Se si trattasse sol-
tanto di un bisogno delle imprese, la formazione potrebbe essere riservata ad
esse; ma se si tratta anche di un diritto del lavoratore, allora altri soggetti
potrebbero entrare in gioco sia nella progettazione e programmazione degli
interventi, sia nella loro realizzazione.
Per quanto riguarda gli articoli 16 e 18 sull’apprendistato e sui tirocini-
stage, sono previsti interventi di natura regolamentare, ma, essendo fissati
tempi più lunghi per l’emanazione, non vi sono ancora documenti tali da
permettere una seria discussione sull’argomento.
Quanto al contenuto dei due articoli, non si può che essere d’accordo con
essi: ci si augura che non resti lettera morta la loro attuazione a causa
d’intoppi di tipo burocratico e di miopia di scelte di breve respiro.
Il DDL governativo sulla Parità
Il titolo del disegno è “Disposizioni per il diritto allo studio e per l’espan-
sione, la diversificazione e l’integrazione dell’offerta formativa nel sistema
pubblico dell’istruzione e della formazione”. Il titolo è ambizioso e abbraccia
anche il problema della diversità e integrazione nel sistema pubblico delle
istituzioni scolastiche statali e non statali, dell’istruzione e della FP. L’art. 1
comma 2 afferma: “Entrano a far parte del sistema pubblico dell’istruzione e
della formazione e si definiscono scuole pubbliche paritarie, con conseguen-
te idoneità a rilasciare titoli di studio aventi valore legale e attestati di quali-
fica professionale, le istituzioni scolastiche e formative non statali, compre-
se quelle degli enti locali, che ne facciano richiesta e la cui offerta formativa
è caratterizzata dai livelli di qualità ed efficacia di cui all’art. 2”. Anche
l’art. 3 parla parallelamente d’istituzioni scolastiche e d’istituzioni formative,
riconoscendo alle Regioni i compiti propri nel sottosistema della FP.
Vogliamo evidenziare alcune osservazioni generali, fermandoci poi sul
59
tema della FP. Il testo afferma principi di notevole rilevanza in tema di egua-
glianza tra i cittadini e della loro piena ed effettiva libertà all’interno di una vi-
sione di uno Stato sempre più garante e promotore e meno gestore. Viene così
riconosciuto come servizio pubblico quello fornito da Enti e privati in iniziati-
ve d’istruzione e formazione, che corrispondono alle norme generali sull’istru-
zione e siano coerenti con la domanda formativa proveniente dalle famiglie.
Vi sono alcune affermazioni però che risentono ancora d’incertezze cul-
turali: ad esempio si afferma che “l’offerta formativa si attua garantendo...
fini e ordinamenti didattici conformi a quelli delle istituzioni pubbliche
statali”. Il modello di riferimento sembra ancora essere la scuola statale; non
si parla invece di norme generali sull’istruzione dettate dallo Stato, che sono
valide per ogni istituzione scolastica del sistema integrato. Per quanto riguar-
da la FP di competenza regionale, non si comprende come far combaciare la
dizione “scuola pubblica paritaria” idonea a rilasciare attestati di qualifica
professionale con il concetto di Agenzia, affermato invece nella 196/97.
È lodevole lo sforzo per realizzare un sistema educativo, che renda
sempre più vasta l’espansione del diritto allo studio attraverso l’integrazione
della FP nel sistema pubblico di formazione italiano. Può nascere, anche
in questo caso, il dubbio che l’integrazione finisca nell’assorbimento della FP
da parte dell’istituzione scolastica.
Le affermazioni di principio, contenute nell’importante presa di posizio-
ne del Governo, portano a superare la tradizione culturale, che vede
nello Stato l’unico attore non solo della politica scolastica, ma anche della
gestione della scuola. Tale cultura però è ancora radicata in larghi settori dei
partiti sia di maggioranza sia d’opposizione. L’incertezza dei finanziamenti
previsti dal DDL e la mancanza di una maggioranza parlamentare chiara
su questo argomento fanno perciò apparire lontano il tempo della nascita di
un vero sistema pubblico integrato di istruzione e formazione.
Il CCNL
Il CCNL 1994/97 per la FP convenzionata, firmato poco più di un anno fa,
sta per scadere.
Una qualche riflessione su di esso si potrebbe fare, partendo dai
mutamenti istituzionali che sono venuti a crearsi in questi pochi mesi in cui
è stato in vigore.
In primo luogo, mettiamo in evidenza l’importanza strategica rivestita
dal CCNL nel tracciare con sufficiente precisione la meta verso cui ogni
CFP deve evolvere: il Centro Polifunzionale. In sostanza il CCNL ha dato
contenuto all’espressione “Agenzia formativa”, che l’accordo per il lavoro del
‘96 e la legge 196/97 fissano come meta dell’evoluzione dei CFP, senza però
definire i contenuti del termine “Agenzia”.
D’altra parte però la destrutturazione, dovuta in modo particolare all’uti-
lizzo dei finanziamenti del FSE, del sistema di FP in molte Regioni ha reso
alcuni istituti del CCNL difficilmente gestibili.
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Il DDL sulla parità introduce come possibilità per le “scuole del servizio
pubblico integrato” di avvalersi di prestazioni volontarie ovvero di ricorrere
anche a contratti di prestazione d’opera, in misura non superiore ad un quar-
to delle prestazioni complessive. Questi orientamenti introducono novità di
gran rilievo, che possono influenzare anche la gestione del CCNL. È perciò
importante per il futuro della FP una riflessione e discussione comune tra gli
Enti e i Sindacati, per trovare la strada per assicurare, da una parte, la pos-
sibilità di crescita della FP regionale e, dall’altra, prospettive di lavoro e di ri-
qualificazione per gli operatori.
Segno della svolta avvenuta, o che sta avvenendo, in questo periodo sono
state la non presa d’atto del CCNL da parte di molte Regioni, la difficoltà
d’intraprendere la contrattazione decentrata, la lentezza con cui si è giunti
alla costituzione nei CFP della Rappresentanza Sindacale Unitaria in sosti-
tuzione della Rappresenza Sindacale Aziendale.
La svolta decretata dalla legge 196/97, che ha aperto di fatto anche ai pri-
vati diversi dagli Enti di FP e agli Istituti scolastici la possibilità di instaura-
re convenzioni con le Regioni, rende ormai superato il dettato della legge
845/78, che richiedeva agli attuatori della FP di applicare il CCNL della
FP convenzionata. Tutto ciò, quindi, richiede il ripensamento del CCNL
all’interno ad una nuova situazione. Forse non tutti gli elementi di disconti-
nuità rispetto al precedente contratto potranno essere affrontati. È neces-
sario, in ogni caso, un approfondimento per tradurre le nuove esigenze in
un CCNL, che dia prospettive di futuro alla FP degli Enti “convenzionati”.
Per una formazione dei formatori
Riteniamo che la rivista “Rassegna CNOS” possa essere uno strumento di
stimolo e di formazione per i formatori impegnati nei CFP: è perciò inten-
zione della Redazione introdurre articoli, che possano aiutare la loro cresci-
ta culturale e didattica. Già in questo numero (“Rassegna CNOS” n.3, 1997)
alcuni interventi rientrano nella prospettiva di aiutare i formatori nel loro
lavoro, aiutandoli, ad esempio, ad una maggiore conoscenza della realtà
giovanile. Ad esempio l’analisi, che l’articolo che presenta una ricerca sul
razzismo compie, serve a rendere l’operatore cosciente della mentalità dei
giovani che incontra.
In questo periodo di cambiamento la formazione continua è, per i for-
matori, un impegno importante. La rivista può essere di supporto culturale
e di stimolo, perché cresca negli Enti e nei Centri una sensibilità sempre
maggiore verso la formazione continua dei propri operatori.
61
1998
“Il cantiere aperto della Formazione”: con questa affermazione, il Presi-
dente dell’ISFOL, prof. Michele Colasanto, avviava la sua relazione di
presentazione del “Rapporto ISFOL 1997”. Un cantiere finalmente aperto,
si potrebbe aggiungere!
Infatti, dopo un lungo periodo di discussioni e di cambiamenti striscianti
– motivati più da interventi esterni (FSE) che da scelte politiche interne,
a partire dal 1996 (Patto per il Lavoro) e lungo tutto il 1997 (Bassanini,
Pacchetto Treu, Disegni di Legge sul riordino dei cicli e la parità scolastica)
fino ad oggi – sembra accentuarsi una ripresa d’interventi politici e di governo
del sistema educativo e formativo italiano, sia nel sottosistema della scuola
che in quello della FP.
Anche il Rapporto CENSIS 1997 – nel capitolo dedicato alle considera-
zioni generali – rileva come “l’ultimo anno abbia visto ... un intenso prota-
gonismo della politica, che sta cercando di ristabilire una sua specifica au-
tonomia dal sociale, e di sperimentare un suo novello dominio sui processi e
sui problemi della società”.
Alla “effervescenza normativa” si può, quindi, associare quella “istituzio-
nale e sociale”, che porta i vari soggetti coinvolti nei sistemi formativi e
nelle politiche attive del lavoro a riorganizzarsi localmente, a sperimentare
nuovi modi d’intervento, anche attraverso “Protocolli d’intesa” e “Patti ter-
ritoriali”, ad anticipare con sperimentazioni quanto viene intravisto come
possibile futuro della FP nel suo rapporto con lo sviluppo complessivo del
Paese.
Con questa chiave di lettura, risultano interessanti e significative le
indicazioni e le analisi che emergono dai due Rapporti citati in ordine alle
specifiche aree dell’istruzione, della FP, delle risorse umane e delle politiche
attive del lavoro.
A livello europeo, anche la “Agenda 2000” rivolge una particolare atten-
zione di analisi circa le mete delle politiche interne economiche e sociali
degli Stati Membri, in vista della sfida connessa all’allargamento dell’Unione
e propone un quadro finanziario di riferimento per gli anni prossimi,
che non potrà non influire anche sulle scelte italiane.
Avendo a riferimento lo scenario delineato, sembra opportuno proporre
alcune riflessioni generali sui temi accennati, senza entrare nel merito delle
questioni relative alla riforma del sistema scolastico (parità e riordino
dei cicli), che il Parlamento dovrebbe affrontare a partire dalla seconda
metà del mese di febbraio.
65
1998Editoriale n. 1
Agenda 2000: per una Unione più forte e più ampia.
Particolare interesse suscitano le riflessioni attorno al tema della “co-
esione economica e sociale”, cui fanno capo i Fondi strutturali: si prevede,
infatti, una compattazione degli obbiettivi tradizionali FSE, con una conse-
guente contrazione della popolazione coinvolta sull’obiettivo 1 e 2, che
dovrebbe passare dall’attuale 51% a circa il 35-40% della popolazione dei
15 paesi membri dell’Unione.
Tale decisione comporterà per molte Regioni italiane la conseguente
uscita dall’area di interventi collegati all’obiettivo 1, determinando una
drastica riduzione dei finanziamenti europei anche nel sistema della FP.
L’obiettivo 3 riguarderà lo sviluppo delle risorse umane nelle Regioni
escluse dell’obiettivo 1 e 2 e comprenderà quattro linee direttrici, nel quadro
della strategia europea per il lavoro:
– accompagnamento dei cambiamenti economici e sociali;
– sistemi di educazione e di formazione per tutto l’arco della vita;
– politiche attive di lotta alla disoccupazione;
– lotta contro l’esclusione sociale.
Il modo con cui l’Italia ha finora utilizzato i Fondi Europei in molte
Regioni, quale unica o prevalente fonte di finanziamento dei propri sistemi
di FP, viene messo in discussione dall’impostazione stessa dell’Agenda,
evidenziando la necessità di ricorrere a fondi propri nazionali e regionali,
se si vuole mantenere in vita e governare un sistema reale di FP regionale,
che non risulti soltanto la sommatoria d’interventi più o meno indirizzati
o imposti dall’esterno.
Già nell’editoriale del precedente numero di Rassegna CNOS (“Rassegna
CNOS” n. 3, 1997) si evidenziava come il generalizzato ricorso agli interven-
ti finanziati dal Fondo Sociale Europeo, in Italia, abbia sì prodotto un
considerevole volume di attività formativa, ma anche innescato una crisi
strutturale del sistema regionale di F.P., condannando a prevedibile falli-
mento la politica e la gestione di un sistema senza impiegare fondi propri
e limitandosi a coordinare interventi e progetti perché coperti dai finan-
ziamenti europei.
Il lungo iter dei Regolamenti della legge 196 del 24 giugno 1997
“Norme in materia di promozione dell’occupazione”
La legge 196/97, per trovare la sua attuazione concreta, necessità di una
serie di regolamenti e di decreti attuativi, previsti dalla medesima legge.
Alcuni di questi sono già stati approvati e resi operanti, come quello in
materia d’interventi a favore di giovani inoccupati nel Mezzogiorno relativa-
mente ai lavori di pubblica utilità e alle borse lavoro, decreto emanato
il 7 agosto 97.
Molto più lento e faticoso l’iter dei Regolamenti degli art. 16, 1 7 e 18 del-
66
la medesima legge, che riguardano rispettivamente l’apprendistato, il riordi-
no della FP e i tirocini formativi; nell’editoriale del precedente numero della
rivista (“Rassegna CNOS” n. 3, 1997) si erano evidenziati specifici contributi
e suggerimenti relativi ad alcuni elementi contenuti nella bozza di regola-
mentazione dell’articolo 17, in ordine soprattutto alle procedure di con-
cessione e all’accreditamento.
La norma regolamentare prevista, da emanarsi entro sei mesi dalla
pubblicazione della legge, non è ancora completata al momento attuale.
Tuttavia, su alcuni punti vi sono ormai orientamenti noti: essi riguardano
in particolare le procedure di concessione, l’accreditamento delle strutture,
la disciplina delle attività finanziate, le procedure di erogazione, le attività di
controllo e di verifica, la semplificazione amministrativa con l’abrogazione
relativa di articoli di precedenti leggi.
In particolare, le procedure di affidamento dell’attività di FP prevedono
la predisposizione da parte delle Amministrazioni competenti di periodici
“avvisi di diritto pubblico”, da pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale o sui
Bollettini Regionali, che fissino destinatari, modalità di accesso e entità
delle risorse, termini, cause d’esclusione, criteri di priorità, condizioni tem-
porali particolari di affidamento per interventi di prima formazione e per
soggetti del disagio sociale.
Si tratta, quindi, di valutare i progetti e di stabilire le relative graduato-
rie, conformemente a quanto stabilito negli avvisi; di ottemperare alle mo-
dalità di affidamento sulla scorta di esperienze maturate presso non poche
Regioni in questi ultimi anni nonché delle prassi adottate anche dal Mini-
stero del Lavoro e della PS riguardo ai programmi operativi multiregionali.
Conviene, però, evidenziare chiaramente che non si tratta di “Bandi di
gara” aperti a tutti, ma di “Avvisi di diritto pubblico”, ai quali possono par-
tecipare solo strutture aventi particolari requisiti fissati negli avvisi stessi; in-
vece, per interventi di prima formazione rivolti a soggetti che hanno termi-
nato il percorso dell’obbligo scolastico, per progetti diretti a soggetti in si-
tuazione di disagio o per affrontare situazioni di particolare urgenza, le Am-
ministrazioni dovrebbero poter procedere ad affidamenti diretti a strutture
formative specificamente accreditate per tali azioni formative.
La possibilità di presentare progetti previsti negli avvisi pubblici è, quin-
di, subordinata all’esito positivo delle procedure di accreditamento delle
strutture operative presenti nel sistema di FP e nel sistema scolastico: gli En-
ti, le società, gli istituti scolastici per accedere ai finanziamenti pubblici per
attività di orientamento e di FP debbono svolgere le relative azioni formati-
ve presso le proprie sedi operative, se accreditate.
Inoltre, le competenti Amministrazioni, oltre a procedere all’accredita-
mento delle sedi operative, dovrebbero accreditare tali strutture in ordine
alle diverse tipologie di attività (FP iniziale, continua, superiore, per soggetti
svantaggiati, orientamento professionale), sulla base di criteri di valutazione
stabiliti dal Ministero del Lavoro e della PS, sentita la Conferenza Stato-
Regioni, rilasciando certificato di idoneità di validità temporale diversa a se-
conda delle suddette tipologie e comunque non inferiore a tre anni, da inserire
67
in un Registro regionale e in un Elenco nazionale delle strutture accreditate.
I criteri di base delle valutazioni dovrebbero riguardare le capacità logi-
stiche e strutturali, le competenze professionali presenti, i livelli di efficacia
raggiunti in attività precedenti, le interrelazioni maturate con il sistema so-
ciale e produttivo territoriale.
Correlata all’operazione di accreditamento dovrebbe risultare quella, an-
che se diversa, della “certificazione della qualità” in base anche alle norme
ISO 9001, che dovrebbe ovviamente facilitare, senza automatismi, lo stesso
accreditamento, pur rimanendo sempre necessario comprovare i livelli di
efficacia ed efficienza raggiunti in precedenti interventi e il relativo inseri-
mento nel territorio.
Per la realizzazione delle attività finanziate con risorse pubbliche si
dovrebbe far ricorso al cosiddetto regime di “concessione amministrativa”,
che escluderebbe, in alternativa, il “contratto” collegato inscindibilmente al
regime del “bando di gara”, che, utilizzato per il passato da qualche Regione,
sembra aver dato risultati tutt’altro che soddisfacenti.
Correttamente, si è dovuto far ricorso all’uso del condizionale, trattan-
dosi di contenuti presenti in bozze sottoposte agli opportuni passaggi di
esame e consultazione, prima di approdare alla decretazione e regolamenta-
zione definitiva del contenuto dei singoli articoli, su cui la rivista “Rassegna
CNOS” intende impegnarsi per un’analisi più approfondita e tale da permet-
tere anche una valutazione di merito.
Tuttavia, già fin d’ora sembra opportuno evidenziare che, mentre i criteri
di affidamento delle attività di formazione e di orientamento professionale,
previsti nel comma 2 dell’articolo 5 della legge quadro 845/78 riguardavano di-
rettamente gli Enti, la loro natura e il loro radicamento nel sociale, la norma-
tiva prefigurata nelle bozze dei suddetti decreti prende, invece, a riferimento la
singola struttura formativa, con conseguente ed illimitato ampliamento a vari
soggetti pubblici e privati, scuole, agenzie, imprese ..., che possono essere tito-
lati a partecipare ai previsti “avvisi”, alla sola condizione che le loro strutture
operative corrispondano ai criteri di accreditamento adottati.
Il cosiddetto “mercato della formazione professionale” si apre perciò a
molti attori, anche diversi dai tradizionali Enti di formazione, codificando
una prassi già avviata negli anni recenti con l’inserimento della scuola, di
agenzie di vario tipo e di imprese nella realizzazione di interventi di forma-
zione e di orientamento professionale.
Ritornando al quadro complessivo della decretazione in corso, è da rilevare
che si trova tuttora in fase di studio: la regolamentazione del passaggio dello
0,30% dal fondo di rotazione a/ai fondi per la formazione continua, la proble-
matica relativa ai crediti formativi e alla certificazione delle competenze, gli
interventi per la trasformazione dei Centri in Agenzie e il trattamento degli
esuberi del personale impegnato tuttora nel sistema regionale di FP.
Sulle due ultime problematiche (Agenzie ed esuberi) si stanno studiando
ipotesi di appositi interventi finanziari, che potrebbero portare a un piano di
riordino degli Enti e dei Centri, in base a un adeguato progetto di trasfor-
mazione e ristrutturazione.
68
Appare, invece, pressoché definito il contenuto della regolamentazione
dell’art. 16 sull’apprendistato, prevedendo che:
– sia dato incarico al Ministero del Lavoro e della PS di determinare le com-
petenze da conseguire mediante l’esperienza di lavoro per ciascuna figura
professionale;
– le attività formative extra aziendali vengano strutturate modularmente e
prevedano almeno il 35% di ore dedicate ai contenuti culturali generali e
le restanti ore da impiegare in attività di carattere professionalizzante tec-
nico operativo;
– le strutture del sistema regionale di FP nonché le strutture scolastiche,
purché accreditate, possano svolgere gli interventi previsti.
Sulla base delle bozze disponibili, sembra aprirsi per l’area dell’apprendi-
stato innovato un ampio campo di intervento formativo a servizio dei giovani
in tale situazione, potendo assicurare loro il diritto a fruire di un adeguato mo-
mento formativo e significativo nella loro vita, specie per quanti entrano nel
complesso mondo della piccola impresa e dell’artigianato, che in Italia svol-
ge un compito importante nell’inserimento dinamico nel mondo del lavoro.
Passando ad un rapido esame dei contenuti di bozza relativi ai tirocini
(art. 18 della legge 196/97), si può rilevare che la regolamentazione prevista
tende a rendere esplicite alcune norme, a stabilire durate precise per ogni
genere di tirocini, a fissare quali enti possono organizzarli, il tipo di conven-
zione da stabilire con le imprese, il tipo di assicurazione INAIL obbligatoria,
i progetti di formazione o orientamento da realizzare.
Positiva appare la decisione di unificare tutta la normativa in materia
dei tirocini formativi e orientativi, con l’abolizione degli articoli delle pre-
cedenti leggi relativi a tale argomento (845/78, 863/84, 236/93); anche la
richiesta di concertazione tra il Ministro del Lavoro e della PS e il Ministro
della Pubblica Istruzione, dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecno-
logica, sembra assicurare, in un’unica regolamentazione, la normativa
per tutte le attività di tirocinio a livello di università, scuola, FP e soggetti
specifici.
In sintesi, sembra che la regolamentazione prevista nella legge 196/97
(cosiddetto pacchetto Treu) abbia come obiettivo generale quello di rivedere
sostanzialmente non pochi capisaldi su cui era fondata la legge quadro
845/78, procedendo non attraverso la predisposizione di una nuova legge
quadro, ma con interventi normativi e regolamentari di modifica o di sop-
pressione di articoli-capisaldi su cui si reggeva la legge quadro medesima.
L’auspicio è che al termine di tutte le fasi necessarie per adeguare la le-
gislazione e la normativa ai nuovi compiti del sistema di FP nel nostro Pae-
se, si riscontri la coerenza di un percorso, anche se graduale, che porti l’Ita-
lia nella situazione di potersi confrontare positivamente con gli altri Paese
dell’Unione Europea e del mondo, per assicurare alle giovani generazioni
una valida cultura del lavoro, capace di interagire con le dinamiche dello svi-
luppo e del progresso dell’intera società.
69
La decretazione relativa alla legge 59 del 15 marzo 1997 (Bassanini)
Un’altra area di decretazione, accanto a quella finora considerata in re-
lazione alla legge 196/97 (pacchetto Treu), riguarda la legge 59/97 (legge Bas-
sanini), che, pur trattando della riforma della Pubblica Amministrazione, in-
clude aree specifiche relative al sistema scolastico e a quello della formazio-
ne e orientamento professionale.
Anche senza entrare nel merito del contenuto dell’ormai famoso articolo
21 (autonomia scolastica), sembra doveroso fermare l’attenzione sulla parte
della legge riguardante il trasferimento alle Regioni e agli Enti Locali della
gestione amministrativa del servizio scolastico e della FP, individuando le
competenze dello Stato, le deleghe alle Regioni, i trasferimenti di competen-
ze alle Province e ai Comuni.
Per quanto riguarda il sistema di istruzione, crescono le competenze re-
gionali e locali nella programmazione formativa e nella gestione delle scuo-
le (passaggio del personale ATA alle Regioni?) ed è prevista una progressiva
aggregazione a rete e fusione di particolari strutture scolastiche in determi-
nati contesti territoriali. Per quanto riguarda gli interventi di riforma
di specifici servizi in materia di mercato del lavoro a tutela dei lavoratori, il
D. lgs 469 del 23/12/97 sancisce il conferimento alle Regioni e agli Enti Locali
di funzioni e compiti in materia di collocamento ordinario, prevedendo an-
che opportunità di collegamento con iniziative di orientamento e FP presen-
ti nel territorio.
Per quanto riguarda la decretazione relativa alla FP, sembra doveroso
evidenziarne alcuni elementi per una breve analisi dei relativi contenuti.
Un primo elemento da evidenziare fa rifernimento alla “definizione”
di “formazione professionale”, intesa come “complesso di interventi volti
al primo inserimento, alla formazione tecnico professionale superiore, al
perfezionamento, alla riqualificazione e orientamento professionali, diretti
all’acquisizione di competenze immediatamente spendibili, per qualsiasi
attività di lavoro e per qualsiasi finalità, compresa la formazione impartita
dagli istituti professionali i cui corsi di studio non rientrino in tipologie as-
similabili a corsi di istruzione tecnica, la formazione continua, permanente
e ricorrente e quella conseguente a riconversione di attività produttive”.
“Detti interventi (continua il decreto) riguardano tutte le attività forma-
tive volte al conseguimento di una qualifica o di un credito formativo, anche
in situazioni di alternanza scuola-lavoro e comunque non consentono il con-
seguimento di un titolo di studio o di diploma di istruzione secondaria
superiore, universitari o post-universitaria ma sono comunque certificabili
ai fini del conseguimento di tali titoli”.
Si tratta, come bene avvertono gli addetti ai lavori, di una “definizione
descrittiva” funzionale a segnare il “limite esterno” delle competenze regio-
nali desunta, con alcuni significativi ampliamenti ai soggetti coinvolti,
dall’art. 35 del DPR 616/1977, anteriore alla legge quadro 845/78.
Riservandoci, come già detto, ulteriori analisi ed approfondimenti, risul-
ta evidente che tale “definizione” di FP risulta riduttiva e non può essere so-
70
stitutiva dei contenuti che fanno riferimento articolo 2 della citata legge
quadro 845/78, nel quale gli interventi di FP costituiscono “un servizio di
interesse pubblico inteso ad assicurare un sistema di interventi formativi
finalizzati alla diffusione delle conoscenze teoriche e pratiche necessarie per
svolgere ruoli professionali ...”.
Appare, quindi, del tutto evidente come la “definizione” di FP fatta
propria dal decreto in esame sia meramente funzionale a segnare limiti e
soggetti coinvolti al fine di “definire”, in modo più aggiornato ed attuale, le
funzioni e i compiti da riservare alle Amministrazioni centrali e quelle da
“conferire” alle Regioni e agli altri Enti locali.
Le considerazioni fatte, anche se in modo sintetico, portano ovviamente
a ritenere non congruente l’abrogazione del citato comma 1 dell’art. 2
della legge 845/78, come, invece, sancisce l’art. 9 del decreto del Titolo III
sulla FP.
Un secondo elemento da evidenziare riguarda il trasferimento alle
Regioni degli “istituti professionali i cui corsi di studio non rientrino in
tipologie assimilabili a corsi di istruzione tecnica”.
Si tratta di alcuni istituti professionali (il cui numero non dovrebbe
superare i 18), che hanno caratteristiche particolari e che saranno identifi-
cati da una commissione paritetica in ogni Regione, con il relativo trasferi-
mento a queste dei beni, risorse e personale.
Ma ciò che più rileva è che se la decretazione risulterà definitivamente
approvata, si dovrebbe giungere ad una auspicata semplificazione istituzio-
nale dei due sottosistemi di istruzione e di FP, facendo rientrare gli Istituti
Professionali di Stato quinquennali nell’ambito dell’istruzione tecnica e
aggregando i rimanenti, quelli da identificare, nel sistema regionale di FP,
com’era peraltro previsto dalla legge quadro 845/78.
D’altra parte, è solo da ricordare, che nel documento della Conferenza
dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome – del giugno ‘97 sulla
“Istruzione scolastica, formazione professionale e lavoro” – veniva previsto,
pur senza le opportune distinzioni, il “passaggio alle regioni entro un perio-
do definito e concordato Regione per Regione” degli Istituti Professionali.
Inoltre, lo stesso decreto in esame prende atto che negli anni passati l’I-
struzione Professionale di Stato (IPS) in non pochi casi si è avvicinata mol-
to più, tramite l’introduzione di curricoli quinquennali e la “licealizzazione”
anche del primo triennio di qualifica con la riduzione drastica della forma-
zione pratica, alla istruzione tecnica, distanziandosi così dalla FP.
Lo stesso progetto ‘92 della Direzione Generale dell’istruzione professio-
nale aveva preso atto di tale modificazione, inserendo specifici moduli di
FP dopo la “qualifica professionale triennale”, riconoscendo la riduzione di
spazi dati nel primo triennio agli interventi rivolti all’acquisizione di compe-
tenze immediatamente spendibili sul mercato del lavoro.
A fronte dei mutamenti rilevati, ritenuti obiettivo ineludibile per l’ade-
guamento del sistema di FP alle trasformazioni attuali, ci si può domandare
responsabilmente se e in quale misura esista un loro coordinamento in vista
di una strutturazione sistematica della FP oppure se interventi settoriali e
71
forse non ben coordinati finiscano per creare soltanto una miriade di pos-
sibilità senza il mantenimento e potenziamento di sistema.
In un momento di forte crisi finanziaria non si intravedono, infatti, linee
di finanziamento che diano certezza di continuità alle azioni di FP, al di là
dei variabili finanziamenti del FSE. Mentre per il sistema scolastico si chie-
dono, e giustamente, ulteriori finanziamenti per sostenere la transizione, per
la FP i finanziamenti nelle singole regioni sembrano sempre minori o sempre
più legati ai fondi europei, con difficoltà di programmare interventi utili e
necessari, che però non trovano riscontro immediato nei programmi del FSE.
Il CCNL
Nel contesto dei grandi mutamenti strutturali che interessano la FP
si deve prendere atto della disdetta del CCNL, avvenuta congiuntamente
il 28 novembre 1997 tra Organizzazioni Sindacali di categoria ed Enti
di FP firmatari del medesimo.
Tale inedita prassi (disdetta congiunta) è certamente un segnale ogget-
tivo della difficoltà di predisporre una piattaforma di nuovo contratto, capa-
ce di affrontare non pochi istituti del medesimo che si debbono inquadrare
nel nuovo contesto normativo e regolamentare del sistema di FP in trasfor-
mazione.
L’impegno delle parti per avviare un confronto necessario sul riordino
della FP previsto dall’art. 17 della legge 196/97 e dalla relativa decretazione
nonché sulle normative innovative adottate da alcune Amministrazioni
regionali in materia di flessibilità dell’offerta formativa dovrebbe orientare
a scelte di piattaforma che, superando logiche meramente rivendicative
categoriali, permetta di concorrere all’avvio di nuove possibilità di impiego
nel settore e di favorire la riqualificazione e l’aggiornamento degli operatori,
anche al fine di assicurare qualitativamente la loro permanenza in servizio.
Infine, ci auguriamo che la logica del confronto costruttivo tra le parti
si estenda alle contrattazioni decentrate, ancora in corso in non poche varie
Regioni.
72
Il momento storico, che stiamo vivendo, ci riserva continue sorprese
e nuove iniziative.
In Italia, come nel resto dell’Europa, il discorso politico generale ha con-
centrato per un intero anno il suo interesse sul problema della moneta unica
europea. In Italia, l’obbiettivo principale dell’azione del Governo è stato, fin
dal primo momento, la partecipazione all’unificazione monetaria. Su di essa
si è centrata l’attenzione dei mezzi di comunicazione; i cittadini sono stati
interessati, anche perché chiamati a parteciparvi finanziariamente.
Superato tale avvenimento, sono rispuntati alcuni gravi problemi del-
l’Italia di sempre: lavoro e disoccupazione, riforme costituzionali, giustizia,
scuola e formazione.
Il governo, fin dal suo nascere, aveva nel suo programma l’avvio a solu-
zione dei problemi della scuola e della disoccupazione.
L’“Accordo per il lavoro” del settembre ‘96 aveva posto dei principi
per la soluzione dei problemi del lavoro e della disoccupazione, a partire
dal rinnovamento della scuola e della FP. Purtroppo alcune delle politiche
intraprese sono rivolte maggiormente alla soluzione d’immediati problemi
occupazionali che ad un progetto d’ampio respiro. Una vera politica del
lavoro trova la sua base di partenza nella preparazione culturale e profes-
sionale delle persone, che si realizza attraverso il rinnovamento della scuola
e della FP.
La legge 196/97 (pacchetto Treu) ha cercato d’impostare in modo nuovo
alcuni strumenti, per favorire la soluzione dei problemi del lavoro. La decre-
tazione e regolamentazione hanno provveduto a fissare alcuni capisaldi di
un rinnovamento, che potrà essere importante. I regolamenti dell’apprendi-
stato (art. 16 della 196) e dei tirocini formativi (art. 18) sono stati definiti-
vamente emanati; sono in fase di completamento i regolamenti dell’art. 17,
che riguardano il riordino della FP.
Inoltre, l’approvazione della legge 53/97 ha portato a realizzazione i prin-
cipi del decentramento amministrativo, anche per quanto concerne i servizi
al mondo del lavoro.
Sul lato delle riforme scolastiche, la Bassanini ha stabilito nell’art. 21 i
principi dell’autonomia scolastica e del decentramento. Fatica però molto a
giungere a realizzazione la decretazione di quest’articolo. È stata anche at-
tuata la riforma degli esami di maturità, ma si tratta di un piccolo tassello
che non incide molto in una riforma generale del sistema educativo italiano.
Il centro dei cambiamenti istituzionali del sistema scolastico italiano ave-
va il suo perno centrale nel riordino dei cicli scolastici, accompagnato dalla
creazione di un sistema pubblico integrato di scuola, attraverso l’approva-
73
1998Editoriale n. 2
zione della legge sulla parità scolastica. Il disegno di legge sul riordino dei ci-
cli langue alla Camera dei deputati; quello sulla parità scolastica, in Senato,
non procede, a causa del dissenso tra le parti politiche.
Quasi un sasso buttato nelle acque stagnanti delle riforme scolastiche, il
Governo ha presentato il 28 maggio 1998 un disegno di legge urgente sul pro-
lungamento dell’obbligo d’istruzione. Il disegno di legge n. 4917 risponde più
ad esigenze di facciata e d’immagine, che ad una vera necessità. Infatti oltre
il 90% dei giovani che termina positivamente la terza media si iscrive a per-
corsi scolastici e un’altra più piccola, ma significativa, percentuale ai corsi di
FP iniziale. Non basterà una legge per fare diminuire la dispersione scolasti-
ca. Oggi infatti l’abbandono della scuola avviene ancora prima del terzo an-
no della media inferiore ed è causato maggiormente dalla non congruenza
dei percorsi scolastici proposti con le aspettative dei giovani che dalla volon-
tà di questi di non istruirsi. Inoltre il DDL n. 4917, nonostante le dichiara-
zioni di congruenza con il DDL sul riordino dei cicli, ne segna un effettivo su-
peramento e, attraverso la valorizzazione e la trasformazione del primo bien-
nio della secondaria superiore, stabilisce l’abbandono della filosofia su cui
era costruito. La riforma dei cicli aveva come presupposto che l’organizza-
zione della scuola, così come è oggi, non era né orientante né professiona-
lizzante, ma creava un gran numero di dispersioni: la logica del DDL sul pro-
lungamento va esattamente in direzione inversa.
Il sistema di FP regionale, attraverso la legge 196/97 e i suoi regolamen-
ti, sta cambiando profondamente. Dall’altra parte il sistema scolastico e
le imprese sembrano volere entrare come protagonisti in tutti i segmenti
della FP. Sembra perciò utile cercare di delineare quali sono gli scenari futuri
che si potrebbero realizzare.
Per un sistema di FP
La FP, come seconda gamba del sistema educativo e formativo italiano
accanto al canale dell’istruzione scolastica e universitaria, dovrà attivarsi
in ambiti molteplici d’intervento.
Tenendo come riferimento i settori d’intervento della UE tramite il FSE,
le parti integranti sistema di FP risultano essere:
– la FP iniziale, rivolta ai giovani che vogliono acquisire una qualifica spen-
dibile sul mercato del lavoro;
– la FP in alternanza, che valorizza il lavoro come strumento di formazione
accanto agli interventi formativi realizzati fuori dalle strutture lavorative;
questo si realizza in modo particolare con il contratto di apprendistato
come previsto dalla legge 196/97;
– la formazione continua, rivolta a soggetti occupati per una “manutenzio-
ne” della loro professionalità o per superare situazioni di difficoltà duran-
te i momenti di trasformazione tecnologica ed organizzativa;
– la FP superiore, prevista dall’Accordo per il lavoro, da attivare dopo la
74
scuola media superiore, non in continuità con la stessa e come canale di-
stinto da quello universitario;
– la formazione dei soggetti svantaggiati, dai carcerati agli handicappati,
dai tossicodipendenti alle fasce deboli, dai disoccupati di lunga durata
ad altre situazioni difficili, in vista di un inserimento lavorativo, che porti
a soluzione anche i problemi sociali.
A questi interventi destinati alla formazione, le Agenzie formative devo-
no saper affiancare quelli che hanno di mira l’orientamento professionale
delle persone, giovani e meno giovani, specialmente nei momenti di tran-
sizione dalla scuola al lavoro e da un tipo di lavoro ad un altro.
Di fronte ad un sistema complesso, per buona parte da inventare,
la domanda può essere “chi fa che cosa”. Tracciamo un quadro di quanto
si sta prefigurando a partire dagli interventi attivati sotto il profilo legislativo
e normativo.
La formazione iniziale post obbligo scolastico
I giovani che, al termine dell’obbligo, si rivolgono al sistema della FP
regionale, sono, stando ai dati ISFOL del 1997, circa cinquantamila ogni an-
no, di età compresa tra i quattordici e i sedici anni. Scelgono tale percorso in
quanto adatto alle loro aspirazioni, breve e capace di dare una professiona-
lità spendibile sul mercato del lavoro. La previsione dell’innalzamento del-
l’obbligo nel solo biennio della scuola media superiore, secondo il disegno di
legge governativo, crea, oltre che sconcerto per gli Enti che tradizionalmen-
te si occupano di questo segmento della FP, gravi problemi anche a famiglie
e giovani, che verranno privati di tale possibilità di scelta. Diviene facilmen-
te prevedibile, nella fase di passaggio, un momento di grave crisi nei Centri,
che sono maggiormente impegnati nell’ambito della formazione iniziale.
Se il Parlamento approvasse il DDL sul prolungamento dell’obbligo con i
contenuti proposti dal governo, la FP iniziale dovrebbe avviarsi dopo il sedi-
cesimo anno dei giovani. Le strutture di formazione iniziale dovrebbero
cambiare improvvisamente l’utenza, con gravi ripercussioni sul personale,
ma anche sulla possibilità di potere, a regime, riprendere ad interessarsi
di questo settore. La legge imporrebbe a tutti i giovani un solo tipo di fre-
quenza scolastica, anche quando indesiderato. La previsione che si può fare,
per questo settore d’intervento formativo, in ogni caso, è una sua riduzione
notevole e immediata, con molta difficoltà ad acquisire possibilità di attività
per i giovani in uscita dal nuovo obbligo scolastico. Gli Istituti scolastici
potrebbero programmare di affidare agli Enti che operano per gli allievi nel-
la fascia dell’obbligo qualche modulo d’intervento individualizzato. Questi
interventi sarebbero possibili se si potesse contare su una struttura sempre
funzionante di FP iniziale, ma questi soli non permetterebbero certamente
di creare un sistema non scolastico di FP iniziale.
In ogni caso il sistema della FP regionale iniziale subirà cambiamenti
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notevoli, se potrà cominciare solo con giovani al di sopra dei sedici anni.
È prevedibile non un incremento, ma la riduzione delle attività, andando
in direzione opposta a quanto previsto dall’Accordo per il lavoro del
settembre 1996.
Le attività di formazione iniziale post diploma potrebbero avere una
prospettiva diversa. Il sistema regionale di FP potrebbe incrementare questo
segmento di formazione. Il sistema di FP regionale trova, però, nella scuola
di stato un concorrente. Gli Istituti scolastici infatti intervengo non solo
nell’attuazione dei piani regionali, ma anche, al di fuori della programma-
zione regionale, nella realizzazione di altre attività corsuali di FP finanziate
da fondi europei e nazionali gestiti direttamente dal Ministero della Pubblica
Istruzione.
La FP in alternanza
La nascita di un sistema di formazione in alternanza è certamente una
scelta positiva.
L’alternanza scuola-lavoro può avvenire tramite i tirocini in azienda
per giovani in formazione: questa esperienza è già presente da anni e merita
tutta l’attenzione e lo sviluppo necessari.
Invece l’alternanza che si dovrebbe realizzare per i giovani lavoratori
apprendisti, costituisce una sfida nuova per il sistema delle imprese e della
formazione.
Se si analizzano i modi di realizzazione dei contratti a causa mista di
apprendistato e di formazione lavoro, si rileva che, almeno finora, questi
appartengono essenzialmente alle politiche occupazionali e non a quelle
formative. Fanno infatti più riferimento a reali sgravi contributivi per le
aziende a fronte ad assunzione di giovani che a contenuti realmente forma-
tivi dei percorsi.
Il sistema formativo italiano è di fronte alla possibilità di realizzare un
grande cambiamento strutturale. Un innalzamento reale della formazione
della popolazione giovanile, infatti, potrà avvenire anche attraverso il con-
tratto di apprendistato, se, come in altre Nazioni europee, in modo speciale
in Germania, questo diviene un vero contratto di formazione, attraverso il
quale l’impresa investe per il suo futuro, formando i giovani sia al suo inter-
no sia in strutture formative esterne. In Germania circa la metà dei giovani
si forma attraverso l’apprendistato; molti giovani giungono ad un attestato di
qualifica “non scolastico”, ma di prestigio e di valore pratico molto alto,
mentre in Italia si è puntato essenzialmente a diplomi scolastici.
Già ora è in fase di sperimentazione un progetto di apprendistato nel-
l’ambito dell’industria metalmeccanica per 5.000 giovani apprendisti, e un
totale di 432 corsi da svolgersi su tutto il territorio nazionale. La sperimen-
tazione può aiutare ad impostare seriamente l’inizio generalizzato di questo
tipo di attività formativa da parte delle Regioni. Alcune di esse stanno già at-
tivandosi per iniziare l’attuazione di quanto stabilito dalla legge 196/97 e dal
76
rispettivo regolamento. In Italia, inoltre, i modi d’attuazione dell’apprendi-
stato nella provincia di Bolzano possono servire da modello positivo. In tale
provincia l’apprendistato, grazie alla presenza di una cultura di matrice te-
desca, è già realizzato secondo modi analoghi a previste dalla legge 196/97.
Gli Enti di FP e le scuole, in collaborazione tra loro e con le imprese,
dovrebbero diventare protagonisti competenti nella formazione degli
apprendisti “fuori dell’azienda”.
Nella sezione documenti, la rivista (“Rassegna CNOS” n. 2, 1998)
pubblica i regolamenti applicativi della Legge 196/97 relativi all’art. 16
sull’“Apprendistato” e all’art. 18 “Tirocini Formativi”.
La formazione superiore
In Italia solo l’università realizza la formazione superiore attraverso i
corsi accademici di laurea.
I Diplomi Universitari costituiscono il primo tentativo di una formazione
superiore intermedia tra laurea e diploma.
L’“Accordo per il lavoro” del settembre ‘96 prevede la nascita di un cana-
le di formazione superiore non universitaria e non in continuità con
la secondaria superiore.
Si tratta di creare anche in Italia un canale professionalizzante non
accademico, legato al territorio e capace di fornire al mondo del lavoro le
professionalità richieste. Le Regioni, cui spetta la titolarità della program-
mazione degli interventi di FP, stanno attivandosi per la loro realizzazione.
Il Ministero della Pubblica Istruzione, a sua volta, si è messo in moto: una
commissione sta studiando come realizzare il sistema italiano di formazione
superiore utilizzando le strutture scolastiche. Queste potrebbero avere la
titolarità e diventare la sede degli interventi di formazione superiore.
Una prima proposta prevede un triplice canale di formazione post diploma,
in aggiunta ai normali corsi di laurea:
– Diplomi Universitari, da acquisire presso le sedi universitarie
– corsi professionalizzanti di due o tre anni, che troverebbero la loro sede
a titolarità organizzativa presso le scuole medie superiori
– corsi brevi (uno o due moduli semestrali), che prevederebbero la titolarità
regionale.
Questo tipo di strutturazione non trova consenziente il coordinamento
delle Regioni, che invece reclama per sé la titolarità di tutta la formazione
superiore non universitaria.
La formazione superiore, che si realizzerà in Italia, dipende dal come
si strutturerà a livello istituzionale. La FP superiore potrà veramente decol-
lare solo se saranno valorizzate tutte le capacità progettuali e formative pre-
senti su un territorio. La soluzione di accentrare nel solo sistema della scuo-
la statale tali attività non può portare a risultati di qualità. La situazione di
monopolio che si creerebbe, anche grazie alle possibilità finanziarie, di cui la
77
scuola di Stato può disporre, renderebbe superfluo il confrontarsi con altri e
anche con il territorio.
Solo la creazione di un sistema regionale di FP strutturato su tutti i
segmenti formativi e unitario potrebbe fare da base ad un sistema di forma-
zione superiore legata fortemente al territorio, ma anche di respiro italiano
ed europeo.
La formazione continua
La formazione continua interessa i lavoratori lungo tutto l’arco della vita.
In Italia muove solo i primi passi. Finora le esperienze delle grandi imprese
nella riqualificazione e addestramento delle loro maestranze e i corsi relativi al-
le cosiddette 150 ore erano le uniche attività realizzate in modo sufficiente-
mente sistematico. Solo ora si stanno realizzando le prime esperienze in ambiti
più vasti, in modo particolare tramite i finanziamenti del FSE. La legge 196/97
prevede la nascita di un sistema di FP continua. La regolamentazione dell’art.
17 ne traccia il profilo organizzativo e la fonte di finanziamento. Il sistema del-
le imprese diviene protagonista delle attività di formazione continua, che lega
giustamente, anche se purtroppo in marniera esclusiva, la formazione continua
alle necessità delle imprese. Sarebbe opportuno che il sistema tenesse anche in
conto le necessità dei lavoratori nella prospettiva di una loro crescita profes-
sionale continua, anche al di là di immediate necessità delle imprese, almeno
quando la formazione è finanziata con fondi pubblici.
La formazione dei soggetti svantaggiati
La FP dei soggetti svantaggiati è di fondamentale importanza dal punto
di vista sociale ed anche da quello del lavoro. La FP è fattore decisivo per il
loro inserimento, come risorsa, nel mondo del lavoro e, conseguentemente,
nella società. In questo campo, né la scuola né l’impresa ha, per ora, svolto
un ruolo da protagonista. La FP regionale ha svolto un ruolo importante in
questo settore. Il destino di tali interventi resta legato al riordino completo
del sistema. I più deboli di fronte al mercato del lavoro devono trovare
attenzione nelle programmazioni nazionali e regionali.
Il sistema di formazione e istruzione che si sta delineando
L’Accordo per il lavoro del settembre ‘96 evidenziava come, in Italia, fos-
se molto debole la FP, seconda gamba del sistema educativo complessivo.
Si deve convenire che il sistema di FP regionale italiano sia poco sviluppato
rispetto a quello dell’istruzione, in alcune regioni addirittura asfittico e di
poca qualità (ma nelle medesime Regioni anche la scuola patisce della stessa
debolezza), senza adeguati finanziamenti e soggetto a normative regionali
molte volte penalizzanti.
78
La legge 196/97, che traduce in norme legislative alcuni punti dell’Ac-
cordo, prevede, in modo particolare attraverso l’art. 17, la ristrutturazione
del sistema di FP. Fino ad oggi la legge quadro 845/78 prevedeva che solo i
centri pubblici regionali e gli Enti senza scopo di lucro, emanazione del pri-
vato sociale, svolgessero le attività di FP finanziate dalle Regioni.
Il nuovo sottosistema di FP prevede invece lo svolgimento delle attività
da parte di Centri pubblici regionali e di qualunque tipo di struttura pub-
blica e privata, purché accreditata dalla Regione per svolgere tale compito.
Gli attori del sistema perciò aumentano, con la partecipazione anche di pri-
vati, imprese e scuole. Come si è evidenziato nelle analisi precedenti, la scuo-
la e l’impresa, in questa situazione, si presentano come protagoniste nel-
l’ambito della FP.
Di là dalla regolamentazione della 196/97, la scuola statale ha finanzia-
menti propri, sia del FSE sia statali per il cofinanziamento, per interventi di
FP anche al di fuori della programmazione regionale, quasi a far nascere un
sistema parallelo. A questo sistema parallelo contribuisce anche il Ministero
del Lavoro e della PS tramite i cosiddetti POM, che s’affiancano e si sovrap-
pongono alle programmazioni regionali, partendo dal presupposto, reale,
che molte regioni sono incapaci di spendere i finanziamenti del FSE. Queste
attività, se hanno permesso in questi anni di fruttare al meglio le risorse fi-
nanziarie del FSE, non potranno a lungo che creare difformità sul territorio
e impedire che la FP regionale diventi un vero sistema.
La sovrapposizione di attività programmate a livelli diversi, se non coor-
dinate, crea il rischio di mortificare il cammino di decentramento intrapreso
e di annullare le prospettive ed esigenze di un vero federalismo.
Un lavoro che cambia
Sono molti gli interrogativi che sorgono di fronte ai problemi del lavoro,
oggi: il cambiamento del significato del lavoro, la disoccupazione che non
si riesce a debellare, i mutamenti tecnologici che sconvolgono non solo il
modo di lavorare ma anche quello di vivere, le nuove povertà che toccano
anche i lavoratori con bassa qualificazione...
La Conferenza Episcopale Italiana, tramite la Commissione episcopale
per i problemi sociali e del lavoro, ha promosso un Convegno di riflessione
dal titolo “La questione lavoro oggi”. All’Hotel Ergife, dove si è tenuto dal 7
al 10 maggio 1998, i delegati delle Diocesi italiane si sono confrontati sul te-
ma, con un taglio pastorale, ma a partire dalla concreta realtà del lavoro og-
gi, letta dal punto di vista economico, antropologico, teologico e pastorale.
Un gruppo ha portato la sua riflessione su lavoro e FP.
La FP, che deve cercare di dare una risposta ai bisogni degli uomini
del lavoro di oggi, deve interrogarsi sul significato, sul valore e sul senso del
lavoro oggi, perché le sue risposte non siano al di fuori del contesto di
quanto sta avvenendo.
L’importanza di una seria riflessione sul senso del lavoro oggi è un’esi-
79
genza imprescindibile, per progettare una FP che prepari e aiuti i giovani e i
lavoratori ad inserirsi e a vivere con dignità nel modo del lavoro.
Per concludere
Il momento di “effervescenza normativa” che stiamo vivendo in Italia,
la realizzazione sempre maggiore dell’Unione Europea con le sue norme e i
suoi indirizzi, la mondializzazione dell’economia, con la sua influenza non
solo sul modo di lavorare ma sul senso stesso del lavoro, riempiono di attese
e di speranze, ma anche d’incertezze e di difficoltà, questa fine di millennio.
Il superamento dei blocchi ideologici e politici, che avevano creato muri
tra, ma anche dentro, le Nazioni richiede, in Italia, un nuovo progetto
di politica scolastica e formativa, che crei una nuova cultura dell’istruzione
e formazione di respiro europeo e mondiale.
Per conseguire risultati concreti in questo cammino serve integrare scuola
e FP, per renderle più vicine al mondo del lavoro.
La FP è ritenuta fondamentale da tutti i documenti. Tuttavia, all’atto pra-
tico, si nota la tendenza di ridurre o eliminare in modo particolare la FP
iniziale. In nessun Paese del mondo i giovani vanno a scuola fino ai diciotto
anni seguendo un unico canale formativo, ma ancor prima dei quattordici
anni possono scegliere canali professionalizzanti. In Italia, invece, il princi-
pio di differenziare l’offerta formativa dai 14/15 anni, in modo da recupera-
re al massimo la dispersione, sembra non accolto nei fatti.
La ristrutturazione della FP, tracciata dalla legge 196/97, presenta un
disegno istituzionale mirato più ad interventi puntuali per rispondere a ri-
chieste specifiche che a creare un sistema di FP. Il prevedere l’affidamento
delle attività formative quasi esclusivamente tramite avvisi pubblici permet-
te di attivare progetti mirati e flessibili e di usufruire dei finanziamenti del
FSE, ma non si concilia con la logica educativa propria della formazione ini-
ziale, che comporta continuità e progettazioni a lungo respiro. La stessa ri-
strutturazione dei Centri e la loro trasformazione in “Agenzie” sembra favo-
rire una visione di flessibilità quasi in contrapposizione a consolidamento di
competenze pedagogiche, formative e tecniche dei formatori.
L’insistenza sui finanziamenti del FSE (il 70% della FP italiana è sup-
portata da fondi europei) continua ad esporre tutto il sistema formativo
italiano alle variazioni delle programmazioni finanziarie europee. Queste
mirano essenzialmente a rispondere in modo particolare a bisogni sociali
emergenti; non si può pensare di finanziare solo attraverso il FSE il sistema
di FP nazionale. L’“Agenda 2000” creerà gravi problemi in Italia per la
riduzione di fondi; infatti la prevista entrata nella UE di nuovi Paesi, gravati
da arretratezza sociale, farà confluire in modo particolare su di essi le risorse
del FSE.
Le proposte di legge di riforma dei cicli scolastici e di elevamento
dell’obbligo scolastico potrebbero portare ad un grave indebolimento della
FP iniziale regionale. Questo fatto, unito alla già realizzata “licealizzazione”
80
dei percorsi d’istruzione professionale di stato, porta alla soppressione
di ogni canale professionalizzante per i giovani.
Solo una riforma complessiva del sistema educativo italiano potrà portare
ad un’integrazione tra istruzione e formazione, senza subalternità e assorbi-
menti. Questo comporta la creazione di un valido sistema di FP regionale,
comprendente la formazione di base, in alternanza, superiore e continua.
Le antiche culture e divisioni ideologiche e gli interessi corporativi
non debbono impedire un rinnovamento del sistema scolastico e formativo
italiano, che dia alle nuove generazioni le competenze per affrontare il futu-
ro e permetta loro di valorizzare le capacità intellettuali e operative, in mo-
do da contribuire alla crescita dell’Italia e dell’Europa nella realtà mondiale
del nuovo millennio.
81
Il numero 3/98 di “Rassegna CNOS” ha avuto un tema monografico per-
ché completamente dedicato all’orientamento pubblicando le relazioni
tenute al Convegno commemorativo del 30° di fondazione dell’Associazione
COSPES/CNOS-CIOFS, svoltosi a Roma dal 18 al 19 aprile 1998.
L’ editoriale si limita a dare alcuni cenni ad altri temi.
Uno sguardo alla situazione istituzionale
Rinviando ad un prossimo editoriale l’analisi delle novità legislative e
regolamentari che stanno caratterizzando questo ultimo scorcio d’anno,
fermiamo soltanto la nostra attenzione sui provvedimenti in corso di ap-
provazione. La Camera dei deputati ha approvato il DDL concernente
l’innalzamento dell’obbligo scolastico per ora fino al quindicesimo anno,
ma in prospettiva fino al diciottesimo anno d’età.
Il disegno di legge ha incontrato difficoltà nel suo iter in Commissione
alla Camera dei Deputati. È rinato infatti lo storico scontro ideologico tra
il prevedere la possibilità di frequenza dei percorsi di FP per soddisfare l’ob-
bligo o il riservare solo alla scuola questo prolungamento. L’abbassamento
dell’obbligo al solo primo anno di scuola media superiore (15° anno d’età)
rappresenta una mediazione mal riuscita, che può avere un senso solo se vi
sarà una rapida approvazione del disegno di legge sul riordino dei cicli, che
preveda il termine di un ciclo completo obbligatorio al quindicesimo anno.
Se invece il fatto di obbligare i giovani alla frequenza di un anno iniziale di
scuola media superiore dovesse diventare duraturo, la soluzione della que-
stione dell’innalzamento dell’obbligo rimarrebbe incomprensibile e illogica.
Per quanti sforzi di buona volontà le scuole possano fare per dare un senso
compiuto ad un primo anno dell’attuale scuola media superiore perché pos-
sa anche essere conclusivo di un percorso scolastico, il risultato non potrà
che essere deludente. Questo avverrebbe anche se si prolungasse di un anno
ulteriore, perché ciò rappresenterebbe, per coloro che non intendono conti-
nuare fino al termine nel triennio successivo, un mero parcheggio nel ciclo
iniziale, che non porta ad una formazione culturale completa e tanto meno
ad uno sbocco professionale spendibile sul mercato del lavoro: renderebbe
istituzionale quanto avviene già ora per i drop aut.
Il provvedimento sull’innalzamento dell’obbligo, presentato a maggio con
procedura d’urgenza, è stato quantomeno improvviso e improvvisato, al di
fuori e in contrasto con il progetto di riordino dei cicli, facendo così riemer-
gere gravi e datati conflitti ideologici, che il disegno di legge sul riordino dei
cicli, sulla scia dell’accordo per il lavoro del ‘96, aveva contribuito a supera-
re. La sua approvazione nella forma licenziata dalla Camera dei Deputati è
un compromesso, che va superato con una rapida approvazione del riordino
83
1998Editoriale n. 3
complessivo del sistema educativo italiano per limitare i danni che potreb-
bero scaturire se l’obbligo scolastico resterà elevato a quindici o anche a
sedici anni nel contesto dell’attuale biennio della scuola media superiore,
per quanto rivisto con interventi regolamentari e circolari del Ministero del-
la Pubblica Istruzione.
Per quanto riguarda il sistema di FP, dopo l’approvazione della regola-
mentazione degli art. 15 e 18, sembra in dirittura d’arrivo anche la regola-
mentazione dell’art. 17 della legge 196/97 (pacchetto Treu) sul riordino del si-
stema di FP. Il ritardo con cui giunge a termine questa elaborazione è segno
delle difficoltà di trovare una conciliazione ragionevole tra disparate esigenze,
per contribuire al potenziamento di un sistema nazionale di FP rinnovato.
Poiché su questo tema abbiamo già fatto qualche commento in precedenti
editoriali, rimandiamo l’esame completo della regolamentazione alla sua
definitiva approvazione.
Il convegno ecclesiale sul lavoro
Merita attenzione per quanti s’interessano del problema del lavoro e del-
la formazione dei lavoratori il convegno organizzato dall’Ufficio Nazionale
per la pastorale sociale e del lavoro della Conferenza Episcopale Italiana
sul tema del lavoro in una società in cambiamento. L’interesse è stato alto
per la preparazione che ha comportato, per il livello degli interventi, per la si-
gnificatività delle esperienze esposte, per la riflessione maturata nei gruppi
di approfondimento. Attendiamo la pubblicazione degli atti per una più
completa riflessione. Importa mettere in rilievo l’importanza della riflessio-
ne fatta sul lavoro oggi; infatti la globalizzazione dell’economia e i continui
squilibri finanziari mettono al centro della riflessione negli studi e nei media
soprattutto i fattori tecnici, pur importanti, trascurando sovente i problemi
reali dell’uomo e della donna di oggi di fronte al lavoro.
Un faticoso inizio di anno formativo
L’inizio dell’anno formativo 1998/99 si presenta faticoso e difficile in molte
regioni d’Italia.
Alla crisi delle finanze regionali, che portano a ritardi nel finanziamento
delle attività formative in un sempre maggior numero di Regioni, si aggiun-
gono tagli per alcune tipologie di intervento, ritardi nell’approvazione
dei piani di formativi annuali, regole burocratiche sempre più complicate ed
esigenti in contraddizione con le promesse di semplificazioni amministrative.
A livello ministeriale è fondamentale riuscire a spendere i finanziamenti
europei, obbiettivo certamente importante, pur rilevandone i limiti se la
valutazione degli interventi continuerà a concentrarsi sul controllo sempre
più minuzioso della correttezza amministrativa. Individuate le priorità d’in-
tervento al momento degli avvisi pubblici, i tentativi di monitoraggio in cor-
so si concentrano, infatti, sulla parte finanziaria degli interventi e solo par-
zialmente sulle ricadute formative degli stessi.
84
1999
Si è concluso da poco il 1998. È difficile fare un bilancio di quest’anno
per quanto riguarda la riforma dei processi educativi e formativi in genere e,
specificamente, del sottosistema della FP.
Grandi discussioni e confronti, ancora guastati dallo scontro tra opposte
visioni d’antica radice ideologica, hanno interessato i temi della parità
scolastica e dell’innalzamento dell’obbligo d’istruzione.
Poco spazio è stato riservato da stampa e televisione al tema dell’autono-
mia delle scuole, ferma ad una gran discussione interna al sistema. La rego-
lamentazione dell’articolo 21 della legge 59/97 sembrava, inizialmente,
andare in senso opposto, sotto alcuni aspetti, alla legge, di cui doveva essere
lo strumento attuativo. Il regolamento non è ancora stato approvato e,
nonostante le sperimentazioni in atto che dovrebbero facilitarne la stesura
e correzione, occorrerà ancora del tempo perché possa trovare una sua con-
creta e capillare attuazione.
La regolamentazione della FP ha visto, nel 1998, l’approvazione dei
regolamenti riguardanti, gli articoli 16, 17 e 18 della legge 196/97. Anche in
questo caso, l’approvazione della regolamentazione dell’art. 17 ha richiesto
più tempo del previsto e ha incontrato difficoltà; perciò non è ancora stata
pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale. Il sottosistema della FP regionale, dopo
un paio d’anni d’interventi legislativi strutturali, si trova ora nella necessità
di risolvere i problemi concreti della loro attuazione.
L’apprendistato sta per partire, ma sempre attraverso progetti sperimen-
tali che interessano non l’intero sistema dell’apprendistato. I contratti collet-
tivi di lavoro di alcuni comparti già valorizzano la formazione nell’apprendi-
stato, superando l’uso di tale contratto al solo fine dell’inserimento dei
giovani nel lavoro grazie a sgravi contributivi.
La formazione continua sta cercando un suo modo di impostarsi, ma
trova molte difficoltà nel realizzare concretamente i suoi obiettivi. Anche
la scuola si apre all’istruzione e formazione degli adulti, con politiche che,
all’insegna di ottime intenzioni espresse, sembrano mirare maggiormente a
favorire l’occupazione del personale che a realizzare la formazione e riquali-
ficazione professionale degli adulti.
I sistemi regionali di FP continuano a scontrarsi con difficoltà finanzia-
rie, pur non riuscendo a programmare e spendere in pieno i finanziamenti
del FSE, anche per concrete difficoltà burocratiche. Inoltre, l’attuazione del-
le deleghe alle Province, come ogni fatto nuovo che interviene in un sistema,
genera le difficoltà che investono tutti i periodi di transizione.
Le novità del cammino di riforma dei sistemi formativi regionali posso-
no portare a una reale crescita della FP in Italia, ma vi è il rischio di di-
struggere quanto finora è stato fatto di buono senza riuscire a realizzare le
nuove prospettive che s’intravedono.
87
1999Editoriale n. 1
Il Rapporto ISFOL 1998
Ogni anno, il “Rapporto ISFOL” cerca di fare il punto sulla situazione
delle politiche formative e dell’occupazione in Italia e in Europa.
Nelle considerazioni generali, i cambiamenti del sistema formativo
italiano sono assimilati a quelli di un cantiere, in cui sui due tronconi della
formazione, quella scolastica e quella rivolta al mondo del lavoro, si cerca di
costruire un nuovo complesso di edifici, tentando di integrare le due anime.
Il cantiere ha ormai portato avanti la costruzione di alcuni edifici (es. ap-
prendistato), ma altri sono ancora soltanto iniziati (es. riforma dei cicli).
Con molta lentezza si continua a procedere, cercando almeno di integrare
culturalmente il mondo della scuola e quello del lavoro.
I dati del 1998 confermano un aumento sia degli iscritti alla scuola
media superiore, sia dei diplomati. Aumenta anche l’impiego di risorse fi-
nanziarie nel mondo della FP; per questo è cresciuto il numero di giovani
che hanno trovato l’opportunità di accrescere la propria professionalità in
iniziative di FP. È questo uno dei meriti delle risorse finanziarie messe a dis-
posizione dal FSE. Tramite tali risorse le Regioni sono riuscite a mantenere
e a far crescere l’impegno per la FP, nonostante la crisi della finanza pubbli-
ca, che non ha permesso di aumentare le risorse nazionali impiegate nel set-
tore. Rimane però il paradosso di un intero sistema formativo, che dipende
in larga parte da risorse comunitarie. È questo un elemento di debolezza pe-
culiare del nostro Paese. Il sistema di FP italiano deve poter contare su
un’autonomia finanziaria, in modo che le risorse comunitarie servano a mi-
gliorare la qualità del sistema, non a determinarne la sussistenza.
I dati riportati dal “Rapporto” indicano lenti, ma costanti progressi nel
processo di scolarizzazione. Attualmente si può rilevare che il 95% dei gio-
vani portino a termine il percorso di studio giungendo alla licenza media.
Il tasso di passaggio alla scuola media superiore si aggira ormai sul 90%;
anche il tasso di diplomati ha raggiunto il 69%. Il tasso di passaggio all’uni-
versità è invece in calo, anche a causa dell’aumento del costo d’iscrizione
e delle difficili prospettive di raggiungere una laurea.
Su 1.000 giovani che iniziano la scuola media inferiore 956 sono licen-
ziati, di questi 875 s’iscrivono alla scuola media superiore e 25 alla FP.
Ben 179 abbandonano la scuola media superiore lungo il suo percorso e di
questi 55 entrano nella FP. Alla conclusione del primo triennio dell’Istituto
Professionale 12 abbandono la scuola, mentre sono 684 coloro che giungono
ad un diploma di scuola media superiore. Di questi, 465 scelgono l’universi-
tà (416 un corso di laurea e 49 uno di diploma) e solo 30 un corso di FP post
diploma. Degli iscritti all’università, solo 179 terminano il percorso (153 lau-
reati e 26 diplomati). Dall’esame dei numeri risulta chiaro il peso modesto
della FP nel contesto formativo italiano. Mentre nel sistema di FP duale te-
desco entra circa il 50% di una classe d’età, in Italia, sommando la forma-
zione post obbligo con quella post diploma, ne entra circa l’11%.
Il numero di corsi e di allievi programmati ed effettuati nel sistema
regionale di FP è in crescita; al Nord sono prevalenti i corsi per occupati,
88
mentre al Sud sono prevalenti i corsi di prima formazione e al Centro quelli
per diplomati. La maggior parte delle attività è svolta con finanziamenti co-
munitari: in particolare al nord e al centro tre quarti delle attività sono fi-
nanziate dal FSE e perciò sono programmati entro gli obiettivi da esso sta-
biliti. La presenza di attività notevole di formazione continua nel Nord non
deve indurre a pensare alla creazione di un buon sistema italiano per tale
formazione: sono i risultati di una ritardata programmazione dell’obiettivo 4
del FSE, che ha messo a disposizione molti fondi in questo periodo. Inoltre,
la breve durata degli interventi fa apparire il numero di allievi e di attività
molto alto.
Negli ultimi anni vi è stata un riduzione dei contratti di apprendistato,
che risulta anche un contratto volatile, in quanto la gran parte risultano di
breve durata. L’impatto formativo di tale contratto per ora non è rilevabile.
Gli impegni finanziari delle Regioni per la FP di competenza nel 1995
raggiungono i 3.500 miliardi di lire, mentre le previsioni iniziali del ‘97
superano i 4.800.miliardi.
Il “Rapporto ISFOL” dedica molte pagine all’analisi delle iniziative
comunitarie e ai positivi contributi di positiva innovazione del sistema di FP
e di inserimento lavorativo che hanno generato.
Il 32° rapporto del CENSIS 1998
Il titolo dato dal “Rapporto CENSIS”, nel tentativo di interpretare il si-
stema formativo italiano, è “Vecchi squilibri, nuovi scenari”.
Il sistema formativo vive oggi un tempo di riforme, ma è condizionato
dal passato. In Italia la spesa complessiva per la formazione rispetto al PIL
è inferiore a quella della maggior parte dei Paesi europei. Le scelte degli
ultimi vent’anni, inoltre, hanno generato grandi squilibri nel sistema.
Nella scuola si manifesta lo squilibrio tra spesa corrente e spesa per
investimenti, causato dalla crescita abnorme del personale; le spese sono mal
ripartite tra i cicli scolastici, cosicché risultano eccessive le spese per alunno
nella scuola di base rispetto ai cicli superiori; vi è squilibrio tra spese di fun-
zionamento e di diritto allo studio, tra spese per il Nord e per il Sud.
Ai vecchi squilibri fa riscontro, però, la gran voglia di novità, che si può
rilevare specialmente nella base del sistema scolastico: ne sono segni l’ac-
coglienza delle proposte d’autonomia, le crescenti integrazioni tra sistema
scolastico e sistema di FP, l’introduzione sempre maggiore delle nuove tec-
nologie dell’informazione e comunicazione, la nuova sensibilità che la so-
cietà riserva ai problemi della scuola e della formazione.
Per scuola e formazione, perciò, si potrebbe applicare quanto il
“Rapporto CENSIS” afferma all’inizio delle “Considerazioni Generali”.
“Si va concludendo un anno turgido e irrisolto, segnato da processi forti,
ma fra loro in intima contraddizione, cosicché non si riesce a decifrarne
la direzione di marcia”.
89
Il “Patto sociale per lo sviluppo e l’occupazione”
La politica della concertazione tra le parti sociali ha portato in questi ul-
timi anni ad una serie di accordi, che tradotti anche in interventi legislativi,
hanno inciso notevolmente sul cambiamento delle politiche del lavoro e
dell’istruzione e formazione. In continuità con il protocollo del 23 luglio
1993 e il “Patto del Lavoro” del settembre 1996, al termine del ‘98, nello
stesso spirito, il Governo e le parti sociali hanno stipulato un nuovo “Patto
sociale per lo sviluppo e l’occupazione”.
Nel contesto delle politiche per lo sviluppo e l’occupazione, il “Patto”
prende in esame il tema “Istruzione, formazione e ricerca”, rilevando ritardi,
contraddizioni e inerzia nell’attuazione dei precedenti accordi.
“Il Governo conferma come suo impegno fondamentale l’organizzazione
di un’offerta integrata di istruzione, formazione, ricerca e trasferimento tec-
nologico” (n. 17). Il segno del coordinamento delle iniziative sarà la nascita
di un comitato presso la Presidenza del Consiglio con la partecipazione dei
Ministeri interessati, della Conferenza Stato Regioni e delle parti sociali.
Il Patto prevede che la “formazione deve avere caratteristiche di flessibi-
lità e deve essere in grado di fornire a tutti i giovani quelle conoscenze,
competenze e capacità che sono indispensabili in un mercato del lavoro e in
un sistema produttivo in incessante trasformazione. Ciò significa una durata
del percorso scolastico e formativo che sia, in linea di principio, uguale per
tutti e che consenta a tutti i giovani di 18 anni di conseguire un diploma di
scuola secondaria o la certificazione delle competenze corrispondenti alle
professionalità richieste dal mercato del lavoro. E che sia, contemporanea-
mente, garante delle possibilità di rapide riconversioni professionali” (n. 18).
È un programma impegnativo, che prevede opportunità di formazione
per tutti fino a 18 anni, ma con caratteristiche di flessibilità, che porti ogni
giovane ad affrontare il mondo del lavoro disponendo di un diploma scola-
stico o della certificazione di professionalità richieste dal mondo del lavoro.
In altri termini, ogni giovane ha il diritto - dovere di entrare nel mondo del
lavoro con un diploma scolastico e con competenze certificate (= qualifica
professionale?).
Il n. 19 mette in evidenza una serie di impegni che il Governo si assume
per attuare la riforma del sistema scolastico, attraverso: “(1) completamento
dell’autonomia scolastica introdotta con l’art. 21 della legge 59/97 mediante
i regolamenti attuativi ancora occorrenti, (2) definizione di un sistema na-
zionale di valutazione, autonomo e indipendente rispetto all’Amministrazio-
ne, (3) approvazione in via definitiva del disegno di legge sull’elevamento
dell’obbligo scolastico nella prospettiva dell’elevamento della durata dell’ob-
bligo a 10 anni e dell’introduzione dell’obbligo formativo a 18, (4) rapida ri-
definizione, alla luce anche delle nuove norme sull’obbligo, del disegno
di legge sul riordino dei cicli scolastici, (5) impegno per un’efficace e inno-
vativa azione per il diritto allo studio dei giovani studenti e degli adulti in
condizioni svantaggiate”.
In tutto questo contesto è la scuola a fare da dominante: la problematica
90
dell’obbligo formativo a 18, introdotta in questo punto del documento, sembra
riservarne alla scuola la soluzione.
La centralità della scuola appare anche nel punto in cui il documento
parla dell’incremento da dare alla formazione agli apprendisti; prevede,
infatti, che “Governo, Regioni ed Enti locali assicureranno la necessaria
offerta formativa da parte delle strutture della formazione professionale
e della scuola, integrate tra loro” (n. 22). In questo contesto sono ricordate le
strutture di FP, ma integrate con la scuola. Sembra che solo la scuola possa
dare sicurezza di “serietà culturale” agli interventi di formazione degli
apprendisti; perciò la necessaria interazione e collaborazione tra scuola e
FP è chiamata integrazione, quasi che ad una parte manchi qualcosa e
richieda l’integrazione da parte di un altro. L’immagine di una FP ridotta
a puro addestramento, senza una sua dignità culturale, è forse alla radice di
tali affermazioni.
L’allegato 3 al “Patto”, però, si pone in un’ottica non centrata sulla scuo-
la. Descrive concretamente l’obbligo di frequenza alle attività formative.
Chiede inoltre grande rapidità d’attuazione dell’obbligo formativo a 18 anni.
“Il Governo, al fine di potenziare la crescita culturale e professionale dei
giovani, si impegna ad istituire, con una norma da inserire nel collegato alla
Legge Finanziaria 1999 recante disposizioni in materia di “investimenti, in-
centivi all’occupazione, INAIL, ENPALS e materia previdenziale”, l’obbligo
di frequenza ad attività formative fino a 18 anni. Tale obbligo può essere
assolto in modo integrato:
– nell’ambito del sistema di istruzione scolastica;
– nell’ambito del sistema di FP di competenza regionale, all’interno di strut-
ture accreditate ai sensi dell’art. 17 della legge 196/97;
– nell’ambito dei percorsi di apprendistato, come disciplinato dall’art. 16
della legge 196/97.
Le competenze acquisite mediante la partecipazione alle attività forma-
tive saranno certificate secondo quanto stabilito all’art. 15 del regolamento
attuativo della legge 196/97, e avranno valore di crediti formativi secondo
quanto previsto all’art. 16 del medesimo regolamento.
Il Governo, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni e le parti sociali,
provvederà a definire con gli opportuni provvedimenti normativi, prima del
DPEF del ‘99, tempi e modalità dell’attuazione dell’obbligo di frequenza,
nonché del suo raccordo con l’obbligo d’istruzione”.
L’introduzione dell’obbligo a 18 anni nel Collegato alla finanziaria è
avvenuta.
Il provvedimento è in discussione al Parlamento per la sua trasforma-
zione in legge.
Il canale della FP regionale è introdotto, accanto a quello scolastico, per
portare i giovani a competenze certificate. Il sistema della FP regionale trova
un ambito privilegiato d’intervento nella formazione iniziale. Il canale del-
l’apprendistato, vale a dire della formazione in alternanza, è la terza via per
giungere a competenze certificate; anche questo canale è di competenza del
91
sistema regionale di formazione, che perciò potrebbe acquisire una sua
maggiore dignità, visibilità e importanza.
L’obbligo formativo è letto, in primo luogo, come diritto del cittadino ad
affrontare il mondo del lavoro con una formazione, che gli permetta un
adeguato inserimento e la possibilità di affrontare il periodo lavorativo nel-
l’ottica della formazione per tutto l’arco della vita.
Sancisce, inoltre, una pluralità di canali formativi, rompendo il concetto
tutto italiano che solo la “scuola” possa dare vera cultura; anche nel canale
della FP regionale e nell’apprendistato è possibile arricchire i giovani di una
cultura valida, anche se diversa da quella fornita dalla scuola, e di pari di-
gnità. Se quest’affermazione è vera, queste due strade di formazione dovran-
no trovare nelle scelte politiche l’interesse che meritano, accanto e in intera-
zione con il sistema scolastico e universitario, che pure meritano tutto l’in-
teresse e l’attenzione possibili.
La regolamentazione dell’articolo 17 della legge 196/97
L’argomento meriterebbe un esame approfondito, ma ci limitiamo ad
alcuni cenni. Il lungo travaglio d’elaborazione sembra giunto a conclusione.
Il Consiglio dei Ministri ha approvato il regolamento e il Presidente della Re-
pubblica con i Ministri interessati l’ha firmato, ma la Gazzetta Ufficiale non
lo ha finora pubblicato, lasciando intravedere alcuni ostacoli.
Accreditamento delle strutture, certificazione delle competenze, sistema
di formazione continua sono gli assi portanti del sistema di FP, che il rego-
lamento dovrebbe avviare a compimento. Per ora dobbiamo accontentarci
di affermare che il sistema disegnato dalla legge 845/78 non esiste più e che
il nuovo sistema, pur avendo una configurazione ormai leggibile, non ha an-
cora completato il quadro nazionale nelle sue grandi linee.
Perché l’intero sistema di FP regionale possa avere una configurazione
definitiva bisognerebbe poi aspettare l’adeguamento delle legislazioni regio-
nali; per questo il tempo si fa più lungo ancora.
Elevamento dell’obbligo di istruzione
Il 27 gennaio 1999 la Gazzetta Ufficiale ha pubblicato il testo della
legge 20 gennaio 1999, n. 9 recante come titolo “Disposizioni urgenti per
l’elevamento dell’obbligo di istruzione”. La Legge, voluta dal Ministro della
Pubblica Istruzione come urgente, ha avuto un iter molto più lungo di quanto
all’inizio si pensasse e ha subito mutamenti di notevole importanza.
Lo scontro è avvenuto, come già tante volte nel passato, sul tema
del doppio canale, quello scolastico e quello della FP regionale. Il confronto
è stato vivace e ha interessato anche le prime pagine dei giornali. Il risultato
finale non corrisponde alle idee che “Rassegna CNOS” per tanti anni ha
sostenuto.
92
La Camera dei Deputati l’aveva approvata prima della crisi del Governo
Prodi, ma apportando modifiche importanti rispetto al testo presentato;
l’obbligo d’istruzione passa sì a dieci anni, ma per il momento si ferma a
nove, per non intralciare l’approvazione di un riordino generale del sistema
scolastico e formativo. In effetti, la proposta di legge sul riordino dei cicli
prevedeva il compimento dell’obbligo scolastico all’età di quindici anni: un
eventuale innalzamento dell’obbligo d’istruzione a dieci anni avrebbe, nel-
l’attuale sistema, comportato detto compimento a sedici anni, creando diffi-
coltà nel ristrutturare i cicli nel senso della proposta di legge del Governo.
Il nuovo Governo D’Alema, di cui fanno parte Deputati che avevano com-
battuto alla Camera tale legge, ha incontrato qualche ulteriore difficoltà a por-
tare a compimento l’iter legislativo. Il Senato ha approvato il testo trasmesso
dalla Camera, senza accogliere emendamenti e nonostante una certa opposi-
zione anche all’interno della maggioranza. Il Senato, però, ha cercato di dare
spazio alla FP tramite un ordine del giorno del 13 gennaio 1999 che prevede
di “assicurare che, nell’assolvimento dell’obbligo, siano realizzate iniziative
sperimentali nei centri di formazione professionale accreditati”. L’ordine del
giorno fa apparire chiaramente la difficoltà in cui si è trovato il Ministro nel
fare passare la legge così come è formulata.
Se si procederà in breve tempo alla discussione della proposta di legge
sul riordino dei cicli, con ogni probabilità il problema riemergerà di nuovo.
La grave spaccatura tra maggioranza ed opposizione, creata dalla discussione
della legge sull’elevamento dell’obbligo, non favorirà un dialogo tra le parti e
la ricerca di soluzioni che siano veramente vantaggiose per tutto il sistema
formativo italiano.
L’applicazione della legge richiede un decreto del Ministro della Pubblica
Istruzione, che tenga presente, sulla base dell’ordine del giorno approvato
dal Senato, quanto il terzo comma dell’art. 1 recita: “...iniziative di orienta-
mento al fine di combattere la dispersione, di garantire il diritto all’istruzione
e alla formazione, di consentire agli alunni le scelte più confacenti alla
propria personalità e al proprio progetto di vita...”.
Per ora, una circolare del Ministro sposta i termini di iscrizione alla scuola
media superiore, riportando anche il testo dell’ordine del giorno approvato dal
Senato con riferimento all’iscrizione ai CFP.
Il sistema burocratico della scuola ha messo in moto tutta la sua capacità
di dissuasione nei confronti dei giovani che avevano proceduto, prima
dell’approvazione della legge, ad iscriversi ai CFP, perché le scelte già fatte
fossero ritenute non valide.
Alcuni Assessori regionali e provinciali della FP si sono pure attivati
per rendere possibile ai giovani che lo hanno scelto di frequentare la FP, ma
i risultati appaiono incerti.
L’impegno che l’Italia vuole prendere per assicurare a tutti i giovani una
sempre migliore formazione e preparazione culturale non trova, in questa
legge, un positivo riscontro.
Non ha senso, infatti, che tutti, anche quelli che non lo desiderano, siano
obbligati a frequentare un primo anno di un ciclo per sua natura quinquen-
93
nale o almeno triennale, che non offre loro nessuna prospettiva concreta en-
tro il termine di un solo anno. Uno dei grandi obiettivi della legge sarebbe
quello di diminuire la dispersione scolastica: un simile provvedimento, però,
non potrà che aumentarla, come è avvenuto in altre esperienze europee
(specie in Inghilterra), quando si è voluto aumentare la durata dell’obbligo
di istruzione senza differenziare le vie da percorrere per adempierlo.
Pur augurandoci, per il bene dei giovani, che il rischio sia contenuto, non
si può che essere insoddisfatti. La politica ha continuato a mettere al centro
altri scopi e interessi, invece che il bene concreto dei cittadini.
I giovani, che quest’anno avevano scelto di iscriversi ad un CFP con
una scelta rispondente alle loro attese di formazione, non riusciranno a com-
prendere perché questa non sia più attuabile.
Ci auguriamo, a questo punto, che si riesca velocemente a portare
avanti una riforma completa del sistema educativo e formativo italiano,
dal riordino dei cicli alla parità scolastica, dall’autonomia delle istituzioni
scolastiche al riordino della FP regionale, per offrire ai giovani delle genera-
zioni future opportunità che li aiutino a crescere e a costruire un’Italia e
un’Europa migliore.
94
Nel presentare il rapporto ISFOL 1997, il Presidente Michele Colasanto
ha fatto ricorso all’immagine del “cantiere” edile come la più idonea per co-
gliere con immediatezza quello che sta succedendo nel sistema educativo
scolastico e professionale italiano. In un cantiere, infatti, si cerca di realiz-
zare un progetto ideato e studiato nel suo insieme, ma che richiede anche
adeguamenti di messa in opera subordinati ai condizionamenti delle situa-
zioni concrete di attuazione. Il cantiere delle riforme del sistema educativo
scolastico e professionale continua ad essere aperto e la costruzione comin-
cia a delinearsi, anche se non è facile percepire come l’opera si presenterà al-
la fine dei lavori in corso; tuttavia, alcuni “piloni” della struttura si possono
già individuare, ma non si riesce ancora ad intravedere fino in fondo quali
saranno le travi di collegamento e, soprattutto, come si configureranno i
singoli locali e la relativa agibilità.
Rimanendo nell’immagine del cantiere, i piloni della struttura in costru-
zione sono rappresentati da alcune leggi recenti. La legge 196/97 (del cosid-
detto pacchetto Treu) ha fissato alcuni elementi importanti per la riforma
del sistema di FP, ma la regolamentazione del relativo articolo 17, bloccata
dalla Corte dei Conti, ha richiesto già una modifica all’interno della stessa
legge, rendendo così più vischioso e dilazionato l’avvio operativo della rifor-
ma del sistema.
Anche il nuovo apprendistato, previsto all’articolo 16 della medesima
legge, stenta a raccordarsi operativamente con iniziative sperimentali, attra-
verso progetti gestiti nel modo più vario, dando l’impressione che tale aspet-
to della FP in alternanza possa rappresentare un percorso parallelo a quelli
del sistema di FP regionale, dal momento che solo un ristretto numero di ap-
prendisti ha avuto per ora la possibilità di partecipare alla formazione al di
fuori dell’azienda e, ciò che è più grave, nessuno ha pensato finora alla for-
mazione dei tutor aziendali e all’aggiornamento dei formatori per un’utenza
nuova e con caratteristiche ed esigenze peculiari.
Sembra migliore l’avvio di sperimentazioni relative ai tirocini, previsti
all’articolo 18 della medesima legge, che prevedono anche iniziative di orien-
tamento con progetti specifici e individualizzati, promossi per facilitare l’in-
contro tra i giovani e il mondo del lavoro.
Un secondo “pilone” della costruzione è rappresentato dalla legge 9/99,
che eleva l’obbligo di istruzione fino al quindicesimo anno di età, ma da
soddisfare all’interno dell’ordinamento attuale del primo anno del quin-
quennio della scuola secondaria superiore, la sola ad avere titolarità per
la certificazione del prolungamento di un anno di tale obbligo. Ma, anche
per questa legge, il previsto urgente decreto ministeriale attuativo ha
dovuto imboccare la via procedurale propria dei regolamenti, ritardando
95
1999Editoriale n. 2
nei fatti la programmazione e progettazione di tali innovazioni nelle istitu-
zioni scolastiche, con conseguente disagio dei giovani interessati e delle
relative famiglie.
Ma è soprattutto con l’approvazione dell’articolo 68 della legge 144/99,
relativo all’obbligo di frequenza di attività formative fino al diciottesimo
anno di età e previsto dal cosiddetto patto del Natale ‘98, che la costruzione
nel cantiere delle riforme del sistema educativo si è dotata di un suo “pilone-
maestro”, riconoscendo in tal modo anche in Italia l’istituzione del secondo
canale della FP accanto a quello dell’istruzione scolastica.
Non meno visibili sono le “travi di collegamento” tra un pilone e l’altro:
l’autonomia delle istituzioni scolastiche, anche se ancora mortificata dalle
vicende burocratiche del relativo regolamento attuativo; la nuova normativa
sugli esami di “maturità” e degli organi collegiali; le riforme degli organi cen-
trali e periferici del Ministero della pubblica istruzione; la riprogettazione
della presenza delle istituzioni scolastiche statali sul territorio; le ipotesi di
riassetto dei diversi Ministeri cui fanno riferimento le istituzioni scolastiche
e il sistema di FP.
I lavori sembrano sospesi, invece, attorno al “pilone” della parità tra
scuole statali e scuole non statali, allontanando sempre più l’Italia dal resto
dell’Unione Europea; attorno al “pilone” del riordino dei cicli d’istruzione si
stanno, soltanto ora, riprendendo i lavori sospesi; analoga ripresa sembra
evidenziarsi anche attorno alla riforma dell’Università.
Fervono, quindi, i lavori nel cantiere del sistema educativo; ma, come
si è evidenziato, è difficile cogliere, al di là dello stato di avanzamento degli
interventi attorno alle singole strutture, la linea convergente verso il disegno
complessivo che, nel frattempo, sembra manifestare interventi plurimi di
varianti al progetto originale.
Tuttavia, la difficoltà di una visione d’insieme non impedisce di focaliz-
zare l’attenzione attorno a quelle strutture che appaiono sufficientemente
definite.
Nasce un secondo canale
L’undici maggio scorso è stato approvato definitivamente in Senato il co-
siddetto “collegato alla finanziaria 1999”, divenuto legge n. 144 il 17 maggio
1999. All’interno di tale corposo “contenitore” è collocato l’articolo 68 che
tratta “dell’obbligo di frequenza di attività formative”. Attraverso questo dis-
positivo di legge viene sancito, per la prima volta nel nostro Paese, il dirit-
to/obbligo per tutti i giovani alla formazione ed istruzione fino al diciottesi-
mo anno di età o al conseguimento di un diploma di scuola media superiore
o di una qualifica professionale. Rispetto a quanto avvenuto in occasione
della soluzione per l’obbligo di istruzione “scolastica” da elevarsi al 15° anno
di età nel passato mese di gennaio con grandi discussioni e scontri in Parla-
mento e anche sugli organi d’informazione, l’obbligo formativo fino al
diciottesimo anno, al contrario, non è stato oggetto di grandi dibattiti ed è
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stato definito rapidamente, sulla base di quanto contenuto nel patto sociale
dello scorso dicembre.
Ovviamente, non basta certo una legge per cambiare una cultura, ma
è anche vero che una legge può aiutare a far crescere una nuova cultura.
Sotto questo aspetto, il vincolo dell’obbligo formativo contenuto nella
legge sembra riguardare prioritariamente le istituzioni centrali e regionali
della Repubblica nell’assicurare una risposta strutturale alle diversificate esi-
genze e necessità formative dei giovani cittadini non tanto per imporre a
questi la necessità di passare più anni allo stesso modo sui banchi di scuola,
quanto di poter fruire di un diritto a giungere alla maggiore età con un tito-
lo di studio o una qualifica riconosciuta, indispensabile per il proprio inseri-
mento dinamico nel mondo del lavoro.
La diversificazione dei percorsi formativi, in continuità con l’obbligo sco-
lastico a 15 anni di età, è esplicitamente contemplata nel primo comma del-
l’articolo 68: non soltanto la scuola, ma anche il canale professionalizzante
dei percorsi di FP di competenza regionale – comprendente anche l’esercizio
dell’apprendistato – è considerato strumento di reale e vera formazione ed
educazione. Questo secondo canale, purtroppo per ora piuttosto debole so-
prattutto in alcune Regioni, si potrà sviluppare anche attraverso il rinnovato
segmento formativo dell’apprendistato, opportunamente arricchito di valen-
ze culturali ed educative, attraverso la formazione impartita fuori del luogo
di lavoro, come è sancito nell’articolo 16 della legge 196/97.
È un’affermazione forte dell’appartenenza di tale istituto alle politiche
attive del lavoro perché formativo, e non semplicemente perché favorisce
l’inserimento, a minor costo, di mano d’opera giovane, nel mondo del lavoro.
Perché la legge abbia risultati positivi e non sia soltanto un’affermazione
di principi, pur collocando l’Italia ai maggiori livelli europei ma col rischio
di non innescare praticamente effetti qualitativi sulle persone, sono neces-
sarie alcune condizioni.
– La prima condizione rimanda al ruolo insostituibile delle Regioni nel
prendere coscienza della necessità di essere costituzionalmente protago-
niste in questo campo. Un segnale positivo in questa direzione viene
riscontrato nell’avvio di una sperimentazione nel segmento della FP ini-
ziale, affidata dal Coordinamento delle Regioni all’Assessore Lucisano del-
la Regione Lazio che, nella premessa al documento di sperimentazione,
stigmatizza le insufficienze dell’impegno regionale in tale area. “Il sistema
di formazione professionale iniziale è stato, dagli anni 80, sottoposto a una
pesante critica ideologica il cui assunto era quello di sopprimere total-
mente questa attività, spostando la formazione professionale su altri set-
tori. Il risultato delle politiche è stato la riduzione, specie nel Centro Nord,
in termini quantitativi dell’intervento formativo realizzato attraverso le
agenzie formative. Occorre perciò ricostruire, sempre a parere dell’asses-
sore Lucisano, una rete di soggetti formativi, dotati di strutture e di per-
sonale per far fronte alla crescente domanda di interventi per quanto ri-
guarda l’obbligo formativo. La debolezza delle Regioni, in tale situazione,
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ha molte spiegazioni, derivanti dalla loro difficoltà di coordinarsi, dalla
mancanza di fondi finalizzati, al di là di quelli europei, dalle ricorrenti cri-
si del sistema formativo. Inoltre subiscono il tentativo della Pubblica
Istruzione di monopolizzare l’intero campo dell’attività formativa, attra-
verso il combinato disposto di forme di integrazione e di modalità di
indirizzo dei fondi. Solo un rinnovato protagonismo regionale permetterà
di attivare un secondo canale di formazione per i giovani”.
– Ne consegue una seconda condizione: il segno che si vuole realmente at-
tuare il diritto dei giovani alla formazione fino al 18° anno lo si percepirà
solo se lo Stato e le Regioni prevedranno nei loro bilanci i mezzi finanzia-
ri necessari. Non si costruisce un’opportunità nuova senza impegnare ri-
sorse. La scarsità di fondi regionali propri per finanziare questo segmento
di formazione determinerà l’inattuabilità della legge. Non si può pensare
di finanziare un sistema di FP nell’ambito del diritto alla formazione ser-
vendosi dei fondi europei, che per loro natura sostengono azioni singole
innovative e rispondono ad esigenze diverse da quelle previste dalla legge
144/99 per l’obbligo formativo.
– Sancito il diritto alla formazione fino al 18° anno, ne deriva che in ogni
Regione i giovani in tale fascia di età debbono potere trovare la possibili-
tà di espletare tale diritto, creando opportunità facilmente fruibili attra-
verso un reale coordinamento delle Regioni su tale obiettivo. Se la FP
deve rispondere a esigenze territoriali sono, però, necessari punti di riferi-
mento comuni e ben visibili, anche a livello nazionale. Ciò vale soprattut-
to per quanto concerne la definizione degli standard nazionali rapportati
alle legittime esigenze territoriali.
– Correlata a tale esigenza è l’individuazione di un quadro di riferimento di
qualifiche riconosciute a livello nazionale, sul modello, ad esempio, delle
professioni regolamentate in territorio tedesco, ovviando opportunamente
ai rischi di un eccesso di irrigidimento.
– Per rendere credibile l’impegno nella FP iniziale e obbligatoria, è necessa-
rio procedere rapidamente verso l’accreditamento delle strutture deputate
a questa funzione sulla base di criteri standard nazionali e regionali og-
gettivi e condivisi. L’obbligo formativo non può essere un affare, ma un
servizio serio ai giovani e la mondo del lavoro.
– Per assicurare continuità e certezza di risposta all’obbligo formativo, ap-
pare improponibile l’applicazione meccanicistica del ricorso allo strumen-
to degli avvisi pubblici anno dopo anno, come avviene per l’attribuzione
degli interventi del FSE. Una prassi di tale natura non permetterebbe a
nessun soggetto attuatore (Ente, o Centro, o Agenzia) di dotarsi di risorse
umane e strutturali, senza la previsione di un’oggettiva continuità pur sub-
ordinata al permanere dei requisiti di accreditamento iniziale. Questo non
significa che la formazione nella fascia fino ai 18 anni non debba essere
progettuale e aperta ai continui cambiamenti che il mercato del lavoro e le
caratteristiche territoriali richiedono.
– In rapporto alla gradualità di attuazione dell’obbligo formativo, a comin-
ciare dall’anno 1999-2000 indicato nello stesso articolo di legge, appaiono
98
opportune e da socializzare iniziative di sperimentazioni di percorsi
formativi nel segmento della FP iniziale, come nel caso della regione Lazio
e delle Regioni del centro, evidenziando che tali percorsi sperimentali
si caratterizzano per una nuova specificità, rispetto a quelli tradizionali
di prima formazione, per il fatto che si debbono prevedere oggettive op-
portunità di interazione con il sistema scolastico, attraverso l’acquisizione
di crediti formativi da certificare nell’articolazione pluriennale dei relativi
cicli temporali.
– Nel contesto di interazione tra sistema scolastico e sistema di FP iniziale,
sempre con riferimento all’obbligo formativo, si potrebbe avviare anche
un auspicabile orientamento per creare criteri omogenei che permettano
di assicurare un sistema di crediti formativi.
– Un’ultima condizione riguarda la collocazione di pari dignità del sistema
di FP nell’ambito del sistema educativo e i relativi rapporti con il sistema
scolastico, con speciale riferimento alle istituzioni scolastiche statali:
sarebbe inaccettabile perseguire obiettivi egemonici nell’area degli inter-
venti educativi e formativi. La scuola può collaborare a far nascere, attra-
verso le proprie strutture, un buon sistema di FP anche nell’ambito
dell’obbligo formativo, ma condividendo con tutti gli altri soggetti
le stesse regole, specie in ordine ai requisiti di accreditamento, se si perse-
guono obiettivi comuni.
L’apprendistato all’interno del secondo canale
La legge 144/99 prevede, come già accennato sopra, che l’obbligo forma-
tivo fino al diciottesimo anno possa essere assolto anche tramite l’esercizio
dell’apprendistato. Il contratto di lavoro diventa perciò l’unico possibile fino
al diciottesimo anno di età.
L’istituto dell’apprendistato è già stato rinnovato dalla legge 196/97. Poi-
ché la fascia di età che interessa l’apprendistato è ben più ampia di quella
che riguarda l’obbligo formativo, sembrano pertinenti alcune considerazioni
particolari relative a tale fascia di giovani.
– Il contratto di apprendistato può facilitare l’ingresso dei giovani nel mon-
do del lavoro, prevedendo sgravi contributivi per le imprese, che assumo-
no giovani sprovvisti di una formazione mirata per un loro inserimento
dinamico e qualificato nel mondo del lavoro. Ciò motiva l’istituzione di un
contratto che deve assicurare una valenza formativa per giovani in mino-
re età e offrire un percorso “progettato” di formazione di tali giovani.
– Ma un’impresa può essere un’istituzione formativa? La risposta è positiva,
se si superano concetti limitati e libreschi relativi alla formazione. Molte
competenze e conoscenze si acquisiscono nella realizzazione pratica di
un’attività; si impara facendo. Coerentemente, infatti, il nuovo contratto
di apprendistato prevede la presenza di un tutor di impresa, che si prende
perciò cura di insegnare a fare, ma anche di far scoprire il perché si fa in
99
un certo modo, si assumono determinati comportamenti, ecc. Per un’im-
presa ogni contratto di apprendistato dovrebbe essere percepito non solo
come opportunità di introdurre al lavoro dei giovani ma come investi-
mento nelle risorse umane dell’azienda e dello stesso sistema nazione, se si
vuole garantire uno sviluppo futuro. Tale obiettivo è raggiungibile se pres-
so l’impresa si elabora un percorso formativo da sviluppare e da portare
avanti attraverso la funzione strategica del proprio tutor. Pensare, per
esempio, di avvicinarsi ai modelli di apprendistato dei Paesi di tradizione
tedesca senza concepire l’apprendistato in impresa come formazione strut-
turata, cioè con propri obbiettivi e strumenti idonei al loro conseguimento,
genera soltanto illusioni e frustrazioni. Se si vuole continuare il raffronto,
bisogna precisare subito che il sistema duale tedesco fissa “rigidi pro-
grammi di formazione”, che tutte le aziende devono attuare quando assu-
mono soggetti con contratto di apprendistato. Si potrebbe osservare come
tale modello “rigido” non risulti il più adatto alla nostra situazione italia-
na, ma l’osservazione non può contrastare con l’esigenza di disporre di un
reale progetto unitario di formazione in azienda, quando a tale azienda si
affida, per legge, la responsabilità di assicurare a tali contrattisti il dirit-
to/dovere inerente all’obbligo formativo fino al diciottesimo anno di età.
Un’offerta formativa improvvisata e strumentale risulterebbe certamente
“moneta falsa” per tali giovani, non spendibile nel loro futuro.
– In questo contesto, la formazione “complementare” fuori dall’impresa di-
venta un’opportunità offerta all’impresa stessa per aiutarla nel suo proget-
to di sviluppo complessivo e formativo. Diversamente, impresa e lavorato-
re in apprendistato vedranno nella formazione una costrizione; l’impren-
ditore la considererà una perdita di tempo di lavoro e l’apprendista la va-
luterà come un ritorno a quel mondo scolastico che pensava di aver defi-
nitivamente lasciato perché non rispondente alle proprie aspettative.
– La seconda gamba del sistema educativo italiano, quella che valorizza
l’esperienza del lavoro tra i 15 e i 18 anni nel contratto di apprendistato o
nei laboratori dei CFP, è stata una conquista del patto sociale e della legge
144/99; potrà diventare una grande opportunità di crescita per il sistema
Italia e un’efficace risposta alle esigenze di molti giovani nella misura
con cui verrà portato avanti tale impegno innovativo, in modo particolare
dalle Regioni, cui è affidato istituzionalmente il sistema della FP.
– Infine, sembra utile precisare che le Regioni sono chiamate a potenziare
il segmento della formazione in apprendistato, non come alternativa ad
un qualificato e rinnovato sistema di FP iniziale, ma favorendo la collabo-
razione tra Centri e Agenzie formative accreditate e le imprese interessate
ad offrire posti di apprendistato.
Il riordino dei cicli di istruzione
Di questo argomento “Rassegna CNOS” si è già interessata in modo
particolare nelle vicende che hanno accompagnato la discussione del docu-
100
mento Berlinguer. Le novità introdotte nel relativo disegno di legge, in
discussione presso la competente commissione della Camera, sono focalizzate
soprattutto sulla diversa strutturazione del ciclo primario e secondario.
Ovviamente, alcune posizioni problematiche sono derivate dalla soluzione
data dalla legge 9/99 sull’innalzamento dell’obbligo scolastico e sulla istitu-
zionalizzazione dell’obbligo formativo fino ai diciotto anni di età contenuto
nell’articolo 68 della 144/99, che sembra aver superato in positivo alcune
questioni.
Come avviene in tutte le leggi “quadro”, anche il riordino dei cicli suppo-
ne altri tasselli che portino la scuola in Italia a migliorare la sua qualità,
ma è importante che la cornice dentro la quale si realizzeranno i contenuti
non sia tale da impedirne un armonico sviluppo.
La proposta lascia prevedere un obbligo di istruzione all’interno del
sistema della scuola fino al primo biennio del ciclo secondario (15 anni); in
tale biennio e soprattutto nell’ultimo anno sono previsti moduli di integra-
zione con la FP per orientare i giovani nelle loro scelte e indirizzare verso il
sistema regionale di FP coloro che lo scelgono. La sperimentazione di tali
moduli è già possibile anche nell’attuale primo anno obbligatorio della scuo-
la secondaria superiore. La forte impronta orientativa del biennio del ciclo
secondario, prima di una scelta più specifica e determinata nel triennio, dà
all’ultimo anno dell’obbligo nelle strutture scolastiche una caratteristica di
terminalità di un percorso orientativo, con la possibilità di operare una scel-
ta definitiva o di uno specifico percorso scolastico o dei percorsi di FP nel pe-
riodo successivo, quello interessato all’obbligo formativo. Si può discutere se
sia opportuno un orientamento di tipo professionale attraverso moduli spe-
cifici fin dal primo anno del biennio o solo nel secondo: la risposta è dibat-
tuta anche nell’area dei pedagogisti e degli psicologi, che analizzano le di-
verse situazioni reali di ragazzi/e dai 13 ai 15 anni; educare anche attraverso
il lavoro in tale età può essere un aiuto, ma certamente gli interventi di inte-
grazione che sono realizzabili non possono configurarsi come uno specifico
cammino di FP mirato al rilascio di una qualifica riconosciuta, caratteristi-
ca propria dell’identità del segmento della FP iniziale. Tali iniziative potreb-
bero portare al rischio di un ritorno verso quelle esperienze pratiche, previ-
ste nelle “applicazioni tecniche” nell’istituzione della scuola media unica e
finite, con le varie riforme dei programmi, nelle pratiche scolasticistiche del-
la “educazione tecnologica”.
L’auspicio è che la legge in oggetto preveda, nell’ambito del sistema edu-
cativo, la dimensione della FP non ridotta a puro strumento delle politiche
attive del lavoro, anche se questo rimane importante, ma componente di un
sistema educativo globale e con l’obiettivo di assicurare un inserimento di-
namico e qualificato nella vita e nel mondo del lavoro.
101
L’obbligo scolastico
Il tempo delle polemiche è passato, ora si tratta di realizzare nel primo
anno dell’ordinamento attuale della scuola secondaria superiore gli obiettivi
di assolvimento dell’obbligo fino ai 15 anni.
Della legge 9/99 abbiamo già detto i gravi limiti; del decreto “o regola-
mento” attuativo, che a metà del mese di giugno è all’esame delle Commis-
sioni parlamentari, se ne auspica la rapida e definitiva approvazione a
superamento delle generalizzate forme di incertezza comportamentale
ed operativa. Nell’articolo 7 del testo del decreto in esame si prevede
la possibilità di sperimentazione di assolvimento dell’obbligo d’istruzione
in progetti di percorsi formativi svolti nei CFP, in convenzione con le istitu-
zioni scolastiche della secondaria superiore; ma il trascorrere del tempo
sembra rendere sempre più difficile tale sperimentazione.
Al di là delle vicende di tale decreto/regolamento, rimane lo sforzo fatto
nell’elaborazione dello strumento perché, in prima attuazione della legge
9/99, si possa rispondere in maniera opportuna alle esigenze dei giovani
iscritti nei CFP.
102
La ricostruzione del sistema educativo italiano sta procedendo, anche se
in questi ultimi tre mesi non si sono fatti passi conclusivi, verso la definizione
complessiva del disegno di riforma.
Dopo la legge sull’innalzamento dell’obbligo di istruzione, è stato
pubblicato il regolamento attuativo del primo articolo della medesima.
L’obbligo formativo fino ai 18 anni è legge (L. 144/99, art. 68), ma la sua
piena attuazione è subordinata ancora all’emanazione del relativo Regola-
mento.
In Parlamento, il Senato ha approvato il DDL sulla parità e la Camera
il DDL sul riordino dei cicli: ora i due DDL sono stati trasmessi all’altro
ramo del Parlamento per l’approvazione definitiva, che però non sembra
imminente.
L’autonomia scolastica è in fase di sperimentazione, nell’attesa di diveni-
re realtà consolidata con la regolamentazione dell’art. 21 della Bassanini.
Il decentramento alle Regioni della politica scolastica relativa all’orga-
nizzazione dell’offerta di istruzione e di formazione sul territorio procede,
ma contemporaneamente il MPI monopolizza in proprio l’organizzazione
dei “Centri per la formazione degli adulti”, senza tenere minimamente con-
to delle prerogative regionali in materia di FP, anche continua.
Il Regolamento attuativo dell’articolo 17 della legge 196, destinato
a creare un nuovo quadro istituzionale per il sistema di FP, in sostituzione di
quello previsto nella relativa legge-quadro 845/78, è rimasto fermo per mesi
nella attesa di registrazione alla Corte dei Conti, per finire poi con la relati-
va trasmissione da parte del medesimo Organo alla Corte Costituzionale,
perché ritenuto in contrasto con il dettato della Costituzione. Nessun so-
spetto o contrasto, invece, vengono sollevati nei confronti della prevista
Agenzia chiamata a sostituire il ruolo e le funzioni dell’attuale UCFOPL
per il sistema di FP, Agenzia che, messa sotto l’egida del MPI, avrà anche il
compito di accreditare da Roma le strutture operanti nell’area della FP, la-
sciando intravedere che le strutture operative del sistema scolastico, perché
“statali”, saranno tutte automaticamente accreditate.
Un susseguirsi, quindi, di provvedimenti non sempre coerenti tra loro,
che lasciano perplessi e rendono difficile la composizione di un quadro com-
plessivo i cui tratti salienti non risultano né armonici né ancora totalmente
definiti.
La partita in gioco è grande e di forte spessore anche culturale: il nuovo
sistema educativo, che sta nascendo, lascerà spazio ancora alla FP regionale
affidata a strutture pubbliche regionali, a strutture del privato sociale e ad al-
tre strutture purché accreditate dalla Regioni? Oppure sarà attribuito
alla sola scuola il compito, oltre che di istruire, anche di formare profes-
103
1999Editoriale n. 3
sionalmente i giovani sia nella formazione iniziale sia in quella superiore,
avendo come unico partner in tutto il processo solamente l’impresa? Ma se
così fosse, sarà essenzialmente la sola scuola “statale” a fare tutto ciò, perché
la legge sulla parità, così come si sta configurando, riconoscerà sì la sopravvi-
venza di scuole pubbliche “non statali”, ma queste saranno condannate nel
giro di pochi anni alla morte per mancanza delle relative risorse finanziarie.
In tale prospettiva, agli Enti storici di FP potrebbero, forse, essere riservati gli
interventi formativi per le fasce più deboli, gli handicappati, i socialmente
esclusi e, al massimo, il compito di recuperare i drop-out dal sistema formativo.
L’Associazione “FORMA”
Di fronte a queste sfide di portata strategica per il futuro del nostro
Paese, sette Enti o Federazioni operanti nel campo della FP e che ispirano
la loro azione alla dottrina sociale della Chiesa, hanno recentemente deciso
di confluire nell’Associazione nazionale FORMA. L’Associazione persegue
l’intento di unire le forze, che si riconoscono in un’unica ispirazione di
fondo, per mettere al servizio delle nuove generazioni italiane l’esperienza
maturata in lunghi anni di studio, di ricerca, di sperimentazione e di inter-
venti operativi nel sistema di FP.
Tale scelta associativa dovrebbe, tra l’altro, porre un argine al tentativo
in atto di deleggitimare gli attori che, pur tra tante difficoltà, hanno operato
da pionieri per molti anni nell’area della FP. Pur riconoscendo i relativi limi-
ti e insufficienze della propria azione, soprattutto in alcune parti del Paese,
questi Enti di ispirazione cristiana hanno acquisito un patrimonio di capa-
cità di progettazione, di innovazione e di realizzazione, che costituisce
un capitale di risorse umane da valorizzare al meglio e che non può essere
disperso. A conferma basterebbe rilevare che nelle Regioni dove il sistema
formativo è maggiormente assente, come la Campania, proprio in queste
si sono operate scelte politiche che hanno distrutto il sistema degli Enti del
privato sociale pubblicizzandone il personale.
Ma al di là di un’azione difensiva, la nuova Associazione vuole rispondere
soprattutto al bisogno di dare peso e rappresentanza formativa e politica di
qualità nei confronti dell’innovazione del sistema formativo italiano, che si
va delineando come un sistema integrato, in cui interagiscono, conservando
le proprie peculiarità e valori, il sistema scolastico, il sistema universitario,
il sistema della FP regionale e quello dell’impresa. In questa integrazione, il
sistema regionale della FP appare immediatamente l’anello più debole dal
punto di vista istituzionale: solo la capacità di coordinamento e di sinergia
tra le Regioni e gli Enti di FP può assicurare una nuova immagine e una nuova
forza del sistema complessivo. L’Associazione FORMA è un passo verso
questo tipo di messa in comune di capacità e di esperienze per far crescere e
migliorare il sistema della FP nel suo complesso e renderlo idoneo ad inte-
ragire con gli altri sistemi, per l’avvio di un sistema integrato nazionale di
istruzione e formazione, in cui le capacità e le peculiarità di ognuno siano al
104
servizio della crescita delle giovani generazioni, nella prospettiva della realiz-
zazione della istruzione e formazione per tutto l’arco della vita.
Ovviamente, FORMA avrà un ruolo strategico significativo se anche nel-
le singole Regioni gli Enti operanti, e che si riconoscono nella stessa ispira-
zione ideale, sapranno dar vita ad analoghe associazioni regionali, al fine di
realizzare a livelli decentrati quanto l’Associazione Nazionale si propone.
“Rassegna CNOS” esprime il proprio augurio all’Associazione FORMA,
perché sappia realizzare quanto si propone e assicuri, in Italia e in Europa,
un miglior servizio ai giovani e ai lavoratori.
L’Assemblea Nazionale sulla scuola cattolica
Dal 27 al 30 ottobre 1999 a Roma, presso l’Hotel Ergife, si terrà l’Assemblea
Nazionale sulla scuola cattolica, dal tema “Per un progetto di scuola alle so-
glie del XXI secolo”. Non si tratta di un’Assemblea della Scuola Cattolica, ma
“sulla” scuola Cattolica: non è tanto o soltanto una riflessione che la scuola
cattolica fa su se stessa, ma una presa di coscienza che tutta la Chiesa italia-
na vuole acquisire sul significato che la scuola cattolica ha alle soglie del
2000. La scuola cattolica, infatti, non intende parlare solo a se stessa o di
se stessa, ma vuole offrire il proprio contributo specifico a tutta la scuola
italiana e presentarsi come una realtà viva e capace di svolgere un autentico
servizio educativo a tutto il Paese.
Il crescente interesse della Chiesa italiana al tema della istruzione e
formazione è altamente significativo in un momento in cui si chiede a tutta
la società di contribuire con i propri valori al cambiamento dello stato
sociale. La scuola e la FP sono elementi fondamentali di uno stato sociale,
che vuole assicurare ai propri cittadini possibilità vere di inserimento dina-
mico nel modo in cui vivono.
Ma, mentre nella sanità, nelle pensioni e nel servizio alle fasce più deboli
della società lo Stato si apre sia al mercato sia al sociale privato, nell’area dei
servizi scolastici il paradigma della scuola “statale”, come unica agenzia for-
mativa, rimane sempre molto forte, anzi sembrerebbe camminare in senso
inverso. Basta constatare come non pochi, anche all’interno dell’ambito
ecclesiale, non sappiano distinguere, senza separare, la “scuola pubblica” e la
“scuola statale”: per anni, certo, l’unico problema che sembrava interessare
la Chiesa italiana era la difesa dell’ora di religione nella scuole statali. Oggi,
l’ampliarsi dell’orizzonte non può che fare piacere anche alle istituzioni edu-
cative che curano la FP partendo dalle proprie radici cristiane.
La sperimentazione dell’obbligo di istruzione nella FP
Si è avviato il nuovo anno scolastico, in cui si attua l’innalzamento
dell’obbligo scolastico fino al 15° anno. La regolamentazione dell’art. 1 della
relativa legge 9/99 è stato pubblicato ad anno scolastico praticamente avvia-
105
to ovunque. I numerosi giovani quattordicenni, che in fase di preiscrizioni
avevano scelto il canale della FP, si sono dovuti iscrivere obbligatoriamente
ad una scuola media superiore. In alcuni contesti, tramite convenzioni tra
Provveditorati agli Studi, Regioni e/o Province, scuole e CFP, ai giovani che
avevano scelto la FP è stato proposto di rimanere nei Centri, inserendo però
nella progettazione del percorso formativo moduli culturali predisposti per
lo più dal sistema scolastico e moduli “tecnico operativi” di competenza del
Centro. Sarà interessante rilevare, al termine dell’anno di tale anno, se vi è
stata una reale integrazione nel percorso formativo dei giovani o se vi sono
stati due interventi paralleli e non comunicanti quanto ad approccio peda-
gogico e didattico. La permanenza nei Centri ha certamente il vantaggio di
permettere ai giovani di stare fisicamente nel luogo da loro prescelto e
di avere una sede di formazione unica e definita. In altri contesti, che sono
forse i più numerosi, saranno attuabili solo moduli formativi più o meno
consistenti nella prospettiva dell’orientamento. La sperimentazione di tali
moduli ha un’importanza notevole, in quanto tale tipo di attività modulare
orientativa è prevista, anche se in un contesto organizzativo diverso, nel
disegno di legge sul riordino dei cicli. Se la frequenza di tali moduli riuscirà
a rendere la scelta degli allievi al termine dell’anno più cosciente e serena,
essi avranno raggiunto già un buon risultato. Vi è, infatti, il pericolo che al
termine del primo anno di scuola media superiore abbiano assolto l’obbligo
scolastico, ma si sentano semplicemente degli espulsi dal sistema di istru-
zione dopo aver perso un anno inutilmente, con nessun interesse a ripercor-
rere qualsiasi cammino strutturato di formazione, anche di tipo professio-
nale. Questo risultato sarebbe proprio il contrario di quanto l’innalzamento
dell’obbligo di istruzione si era posto come obbiettivo.
Invece di innalzare l’obbligo per legge, cosa relativamente facile, la sfida
da vincere è, e resta, quella di rendere più appetibile a tutte le fasce di gio-
vani la scuola, con percorsi che rispondano alle loro reali esigenze, che sono
certamente diversificate. La scuola media superiore italiana, pur con tutte
le modifiche che sono state introdotte, resta una scuola uguale per tutti nei
metodi di approccio al sapere (scuola del libro e del manuale) e selettiva
(in questo è rimasta, nell’impianto, la scuola gentiliana, tenendo presente che
per Gentile tale è solo il Liceo, mentre, per dare a tutti le stesse opportunità,
si sono progressivamente “licealizzati” nell’approccio metodologico anche gli
Istituti tecnici e quelli professionali nonché, in alcuni aspetti, anche la scuo-
la media; persino l’educazione fisica è diventata un “libro”!). Forse è tempo
di pensare che ognuno deve poter usufruire di un cammino di formazione
appropriato, capace di far crescere le proprie capacità e opportunità, senza
sentirsi obbligato in un letto di Procuste che, invece di esaltare le potenziali-
tà, obbliga ad adattarsi a un unico tipo di percorso prefabbricato. La scuola
italiana oggi, così com’è, può essere considerata la migliore del modo per
i molto dotati sotto il profilo dell’intelligenza speculativa o provenienti da
fasce sociali culturalmente forti; ma per tutti coloro che arrivano stentata-
mente al “sufficiente” al termine della scuola media e poi intraprendono
percorsi scolastici “licealizzati e selettivi” si deve poter pensare a cambiare
106
l’approccio metodologico e didattico, se non si vuole spendere grandi capitali
per giungere a risultati modesti. Da questo punto di vista quanto stabilito nel
Regolamento dell’obbligo scolastico può essere considerato un vero passo
in avanti nella logica della modularità e dell’orientamento, anche se può sem-
brare dettato dal fatto che in una scuola, così come è e rimane, vengono a
forza immessi giovani che debbono entrarci solo perché precettati per legge.
La sperimentazione dell’obbligo formativo nella FP
L’articolo 68 della legge 144/99 ha introdotto l’obbligo formativo fino ai 18
anni. La pluralità di percorsi per giungere con reali competenze all’inseri-
mento nel mondo del lavoro è un fatto di grande rilevanza. L’obbligo più che
i giovani deve investire chi ha il dovere di predisporre le condizioni e gli stru-
menti perché tale obbligo venga adempiuto. Nell’attesa di un regolamento at-
tuativo di tale obbligo, la difficoltà maggiore non riguarda le scuole, che per
i giovani fino al 18° anno sono dotate di strutture e di percorsi formativi con-
solidati, ma la FP regionale e l’apprendistato. L’iniziativa politica delle Re-
gioni in questo campo è indispensabile per presentare progetti e reperire fon-
di perché la possibilità di un secondo canale formativo professionalizzante e
regionale divenga realtà. Con notevole rapidità di risposta alle esigenze, mol-
te Regioni stanno iniziando la sperimentazione di tale percorso formativo: al
termine del luglio scorso, la Tecnostruttura delle Regioni per il FSE ha so-
cializzato il documento Lucisano con le linee di un progetto di FP sul quale
iniziare la sperimentazione per il primo anno. Solo se vi sarà una volontà co-
mune delle Regioni per avviare la creazione del secondo canale, questo potrà
decollare e vincere una grande sfida culturale a servizio dei giovani e del Pae-
se. Si tratta non soltanto di progettare e programmare, ma di monitorare la
sperimentazione, di accreditare le strutture in grado di realizzarla, di certifi-
care crediti e esiti formativi, in modo serio e riconoscibile anche a livello na-
zionale, sia nei confronti del sistema scolastico che delle imprese. Non si può
non congratularsi con l’Assessore Piero Lucisano della Regione Lazio, che, fin
dal momento dell’approvazione della legge 144/99, si è attivato per progetta-
re e coordinare tale sperimentazione, a nome delle altre Regioni. La sfida del-
la creazione di un canale regionale di formazione iniziale è la premessa per-
ché in Italia si affermi istituzionalmente il sottosistema della FP al fine di
scongiurare il rischio che questo non venga ridotto ad una pura sommatoria
di azioni, per la maggior parte programmate e finanziate dal FSE. Queste
azioni hanno senso se creano innovazione e ricadute in un sistema, ma non
approdano a risultati realmente duraturi se tale sistema non esiste.
Riordino dei cicli di istruzione
Il DDL sul riordino dei cicli di istruzione ha fatto un passo avanti.
“Rassegna CNOS” ha partecipato in questi anni al dibattito su tale tema e
107
continua ad apportare spunti di riflessione sull’argomento. Dal punto di vista
della FP regionale, l’indicazione principale che potremmo dare, all’interno
dell’articolazione dei due cicli ipotizzati nello schema 7+5 (approvato dalla
Camera dei deputati e del quale non vogliamo ora valutare le relative impli-
canze), è assicurare, fin dal primo biennio del ciclo secondario, un indirizzo
scolastico che, accanto agli altri previsti, abbia come sbocco preferenziale
la scelta dei percorsi di FP iniziale successivi all’obbligo di istruzione.
Tale soluzione, se introdotta, può realmente superare il rischio di scelte di
ultima spiaggia nei percorsi di FP per quanti hanno incontrato difficoltà
nei previsti indirizzi scolastici del biennio “orientativo” dai 13 ai 15 anni.
Ciò che risulta urgente, ovviamente, è di giungere al più presto alla conclusione
di questo travagliato cammino di riforma, perché il dilazionare ulteriormen-
te tale riforma è sicuramente la scelta peggiore che si può fare in questo
momento.
La regolamentazione dell’articolo 17 della L. 196/97
Dopo essere stata ferma per molti mesi alla Corte dei Conti, questa, in-
vece della registrazione, ha trasmesso il Regolamento dell’art. 17 alla Corte
Costituzionale, rilevandone, a suo avviso, elementi di incostituzionalità.
Non si capisce perché, se vi erano elementi di tale tipo, si sia proceduto
dopo mesi a compiere tale atto. Il risultato immediato di questa decisione è
di lasciare il sistema di FP senza una propria legge quadro nazionale. L’inva-
sione di un campo, che è di competenza costituzionale delle Regioni, da par-
te degli apparati centrali dello Stato è certo nella attuale realtà un dato
di fatto sempre più riscontrabile; ciò che risulta oscuro è perché tali riserve
valgano solo in certi casi e non invece, per esempio, per quanto riguarda i
fondi per la Formazione Tecnico Professionale Superiore, che è pur sempre
FP di competenza regionale, ma vengono impunemente attribuiti, per legge,
al Ministero della Pubblica Istruzione, senza che nessun dubbio nasca circa
la costituzionalità di tale monopolizzazione di fatto.
Ciò potrebbe essere valutato come un ulteriore elemento che concorre a
realizzare un deliberato disegno che ha come obiettivo finale di porre tutta
l’ampia fascia della formazione in Italia, dalla materna, al diploma e al dopo
diploma, sotto l’egida esclusiva del solo sistema scolastico; mentre alle Re-
gioni verrebbe riservata la possibilità di programmare la presenza di tali
strutture sul territorio, ridotte a un “ministero senza portafoglio”, con possi-
bilità di mettere qualche bastone tra le ruote, ma senza alcuna competenza
istituzionale. Ciò potrebbe essere confermato facendo riferimento anche al-
la gestione di una notevole quantità di capitali derivanti dal FSE, destinati
certamente alla FP (e perciò costituzionalmente di spettanza regionale) ma
che invece vengono gestiti direttamente dal MPI. Lo scontro tra un apparato
centrale burocratico, strutturalmente dotato di capacità amministrative e di
mezzi strumentali, come è l’attuale Ministero della Pubblica Istruzione, ha
come facile risultato la prevalenza del più forte sull’armata disarticolata del-
108
le Regioni, nelle quali non sempre vi sono presenti professionalità tali da
contrastare la tendenza in atto.
L’auspicio è che interventi puntuali a superamento delle difficoltà incon-
trate vengano al più presto emanati, per rendere meno precaria la vita e
la professionalità degli operatori pubblici e privati che operano nel sistema
di FP regionale.
La risorsa umana nel campo della FP
Uno dei problemi maggiori che investono il sistema della FP regionale
riguarda le risorse umane a disposizione. Infatti, gli operatori di FP nel con-
fronto con gli operatori della scuola possono presentare, in alcuni contesti,
una preparazione culturale di base meno adeguata rispetto ai nuovi obietti-
vi che vengono indicati per i percorsi dell’obbligo scolastico e dell’obbligo di
formazione. Ciò può riguardare soprattutto alcuni degli operatori tecnico-
pratici, chiamati a svolgere il loro compito formativo perché dotati di una
riscontrata professionalità tecnica, acquisita sovente sul campo del lavoro.
Il mutare delle realtà tecnologiche e del modo di lavorare odierno può aver
reso obsolete le loro competenze, per cui si rende necessario un delicato
intervento di “manutenzione” delle professionalità dei formatori, soprattutto
di quelli la cui professionalità di base permette un intervento efficace.
Del resto la formazione dei formatori è sempre stato un tema forte e impor-
tante per i formatori del sistema di FP e, a tutti i livelli, essi hanno avuto a
disposizione tempi e opportunità di formazione e di aggiornamento specifi-
co. Basterebbe ricordare che i CCNL di lavoro della categoria hanno da anni
previsto nell’orario lavorativo tempi di formazione individuale o collettiva,
stabilendo l’obbligo per il personale degli Enti di aggiornarsi, di riqualificarsi
ed essere disponibili a partecipare ad iniziative formative in vista della
riconversione professionale (CCNL 1994-97, art. 35).
A livello nazionale, anche a seguito dei risultati di un’apposita ricerca del-
l’ISFOL su un quadro di standard per i formatori, sta per prendere avvio an-
che un progetto di formazione a distanza degli operatori della FP pubblica o
gestita dagli Enti convenzionati, che fanno riferimento alla legge 40/87.
Tale progetto potrà coinvolgere un numero notevole di operatori, soprattutto
in vista delle trasformazioni necessarie dei Centri, con l’introduzione di
figure strategiche, che studi e ricerche di questi anni segnalano come indi-
spensabili per la trasformazione dei CFP in senso polifunzionale o agenzia-
le. Il progetto, denominato FADol (formazione a distanza on line), è trienna-
le nel suo impianto, ma potrà erogare formazione per almeno due anni
prolungabili per altri due. La gestione del progetto, per quanto riguarda la
realizzazione dei software didattici e l’erogazione del servizio formativo, è
stata affidata, tramite bando di gara, a un raggruppamento temporaneo
d’impresa costituito dai maggiori Enti Nazionali (ENAIP, IAL/CISL, ENFAP/
UIL, SMILE, CNOS-FAP, CIOFS/FP) e da FINSIEL per la realizzazione tec-
nologica dei software multimediali.
109
La parte più importante di qualsiasi rinnovamento sta nella valoriz-
zazione delle risorse umane. L’ambizione del progetto FADol e degli Enti
che vi hanno messo mano è di dare un forte impulso alla modernizzazione
delle risorse umane impegnate nella FP, perché si abbia un servizio sempre
più moderno, efficiente, a favore dei giovani, dei lavoratori, delle imprese
e di tutto il sistema Italia.
110
2000
Le incertezze attuali
Due anni fa il Presidente dell’ISFOL, prof. Colasanto, aveva iniziato la pre-
sentazione del “Rapporto annuale” paragonando i cambiamenti istituzionali
che stavano nascendo nel sistema educativo italiano ad un cantiere di costru-
zione, simile a quello che a Berlino sanciva la nascita di una nuova unità in
una piazza, che era al punto di confluenza tra le due vecchie parti separate
della città. Il cantiere berlinese ha terminato i suoi lavori, mentre quello che
dovrebbe costruire un nuovo sistema educativo “integrato” in Italia è ancora
aperto e i lavori lasciano solo intravedere le strutture portanti della costruzione.
Mentre le discussioni sulla riforma del sistema scolastico erano vivaci, il
sistema della FP pareva aver trovato con prontezza, attraverso la legge
196/97, una nuova strutturazione. La FP rinnovata, la valorizzazione forma-
tiva dell’apprendistato e l’introduzione e diffusione dei tirocini formativi
aprivano una strada ricca di opportunità.
Contemporaneamente, i radicali cambiamenti introdotti nelle strutture
preposte alle politiche del lavoro attraverso il loro decentramento, conferen-
do un ruolo istituzionale primario alle Regioni e alle Province, aprivano
spazi nuovi per una migliore programmazione dell’offerta formativa radicata
nel territorio e punto qualificante delle politiche attive del lavoro.
Recentemente, l’articolo 68 della legge 144/99 ha sancito l’istituzione del-
l’obbligo formativo per tutti i giovani fino al compimento del diciottesimo
anno di età, al fine di assicurare a quanti vogliono entrare nel mercato del
lavoro il superamento di situazioni di precarietà attraverso l’acquisizione di
un titolo di studio adeguato o una qualifica professionale riconosciuta.
Tutto quest’apparato legislativo, però, attende una sua concreta realiz-
zazione.
L’articolo 17 della legge 196/97, che riguarda la riforma della FP, richie-
deva un regolamento attuativo: sono passati ormai più di due anni, ma non
vi sono segnali certi di una rapida soluzione del problema posto dalla Corte
Costituzionale circa la legittimità del relativo impianto legislativo. La rica-
duta negativa di tale situazione di stallo penalizza direttamente il sistema
di FP che, non avendo più a supporto istituzionale la legge-quadro 845/78,
ormai superata nei fatti, si trova senza riferimenti nazionali per una reale
prospettiva di sistema.
In particolare, gli Enti di FP si trovano senza gli strumenti concreti
previsti dalla 169/97 per il loro rinnovamento. Il rinnovo del CCNL degli ope-
ratori della FP convenzionata, scaduto da anni, non viene avviato, perché
manca un quadro di riferimento istituzionale che dia qualche certezza
ad Enti ed operatori.
113
2000Editoriale n. 1
In mancanza di leggi e normative quadro a livello nazionale, l’operato
delle Regioni presenta una polverizzazione dei relativi sistemi di FP, dovuti
più ad approcci diversificati al problema formativo che alle esigenze specifi-
che del contesto territoriale.
La creazione di un’Agenzia nazionale per l’istruzione e FP, in fase di at-
tuazione, evidenzia il rischio di una prospettiva di protagonismo del sistema
scolastico, più che la creazione di un sistema integrato di sottosistemi di pa-
ri dignità. Un segnale di tale prospettiva lo si può riscontrare, anche legisla-
tivamente, nelle modalità adottate per l’istituzione della FIS e, in particolare,
dell’IFTS nonché nell’attivazione dei Centri per la cultura e la formazione
degli adulti, confermando scelte di protagonismo della scuola anche nell’area
della FP, a cui si ricorre per una funzione di integrazione puramente
strumentale al sistema scolastico.
Queste situazioni di incertezza sul futuro della FP sono chiaramente
percepite ormai da molti. Nell’editoriale “Corriere Lavoro” in Corriere della
Sera del 21 gennaio 2000 dal titolo “Virtù, splendori mediatici e «morte» del-
la formazione professionale”, Walter Passerini affermava che “la formazione
professionale continuerà a riempire le pagine dei giornali, ad occupare spa-
zi video, ad interessare convegni e discussioni, ma nel frattempo le riforme
legislative iniziate con la 196/97 non trovano attuazione e lasciano l’intero
sistema senza regole e senza prospettive”.
Non possiamo dissentire da tale percezione di prospettiva sul futuro
del sistema di FP italiano. Tale sistema, nato nell’immediato dopoguerra per
iniziativa del Ministero del Lavoro e della P.S. per rispondere in modo
concreto ai bisogni dei giovani e adulti che cercavano lavoro in anni diffici-
li, divenuto nel ‘72 di competenza regionale, regolato nel ‘78 dalla legge qua-
dro nazionale 845 sulla base del pluralismo delle istituzioni a ciò deputate,
corre il rischio, in questi ultimi anni, di essere abbandonato a se stesso in
mezzo al guado delle riforme.
Un diverso panorama viene offerto a chi guarda al sistema dell’istruzione
scolastica, dove si vanno componendo le varie tessere del mosaico delle ri-
forme in cantiere. L’autonomia scolastica e la sua regolamentazione hanno
dato l’avvio a sperimentazioni diffuse sul territorio, ricercando anche
la valorizzazione degli interventi degli Enti locali.
La legge sull’innalzamento al quindicesimo anno di età dell’obbligo di
istruzione è entrata, ormai da alcuni mesi, nella sua fase attuativa pur con
tutte le problematicità delle diverse situazioni locali. La legge sul riordino
dei cicli scolastici è stata approvata in un contesto di minor consenso politi-
co e culturale rispetto a quello prefigurato all’inizio del suo percorso. Tutta-
via, il quadro ordinamentale del sistema dell’istruzione scolastica definito
dalla legge permette per i prossimi anni, quantomeno, un riferimento certo
per la programmazione e progettazione dei conseguenti interventi. La legge
sulla scuola paritaria, pur con rilevanti limiti derivanti dalla non parità
finanziaria, sta per giungere all’approvazione definitiva, legittimando in
tal modo le iniziative di integrazione tra le istituzioni scolastiche statali e
quelle non statali.
114
Allo scopo di focalizzare specifici aspetti della complessa situazione
accennata, si evidenzieranno di seguito le prospettive che si possono evince-
re da alcune considerazioni attorno ai principali documenti che hanno per
oggetto problematiche della FP relative al più vasto ambito della situazione
della società italiana e del suo sistema educativo complessivo.
Rapporto ISFOL 1999
Come ogni anno, puntualmente, l’ISFOL presenta il suo Rapporto
su “Formazione e occupazione in Italia e in Europa”. Nelle considerazioni
generali, al primo punto “La riforma a metà”, si evidenzia positivamente l’a-
vanzamento del processo di trasformazione in corso, ma si sottolinea la
mancata soddisfazione di tutte le attese. Nell’anno 1999 è stato introdotto
l’obbligo formativo fino al diciottesimo anno di età, si è avviato il nuovo
esame di Stato, sono state attivate sperimentazioni nell’ambito del nuovo
apprendistato e nell’IFTS, sono stati attuati l’autonomia scolastica e l’obbli-
go di istruzione fino al quindicesimo anno di età. Il Masterplan, frutto di
concertazione sociale, ha formalizzato, in termini finanziari, gli impegni per
la formazione.
L’idea guida dell’ampio processo riformatore è focalizzata sull’integra-
zione tra i sistemi scolastico, formativo e del lavoro. Tuttavia, il Rapporto
rileva non poche ambiguità sul modello di sistema formativo integrato che
si vuole ottenere. Sono diverse, infatti, le tipologie di integrazione: c’è un’in-
tegrazione fra scuola e lavoro, tra formazione e lavoro e c’è un’integrazione
fra scuola e formazione, con diversi livelli di priorità. Va, perciò, stabilito
quando l’integrazione è necessaria, quando è opportuna ma non necessaria,
e quando invece è prevalente l’esigenza di far conservare ai diversi soggetti
la propria identità.
Negli ultimi anni i processi formali hanno di gran lunga sopravanzato
i processi reali, capovolgendo quanto avveniva negli anni ‘80 e nei primi an-
ni ‘90, quando la realtà fattuale anticipava costantemente quella politica.
Questa inversione rischia di produrre frustrazione tra chi si aspetta un’im-
mediata attuazione della normativa, senza considerare i tempi e i vincoli da
affrontare perché le leggi diventino parte integrante del sistema.
La mancanza di regole certe, di standard condivisi, di un sistema di
valutazione della qualità delle azioni formative mantiene appannata l’imma-
gine della FP. Questo nonostante la crescita delle attività di formazione, che
nel segmento della formazione continua si è raddoppiata. La formazione
regionale tocca l’11,4% dei giovani in cerca di prima occupazione, il 9,2%
degli adulti disoccupati e l’1,8% dei lavoratori occupati.
Però vi sono ancora quote notevoli di persone e di giovani la cui
marginalità è rivelata dalla preoccupante estraneità dai processi formativi.
Il 5% di ogni leva di ragazzi non arriva a completare il percorso della scuola
media inferiore; l’11,8% dei giovani esce dal sistema scolastico al termine
del primo anno di scuola secondaria superiore, con punte del 17,1% negli
115
Istituti Professionali; questo avviene ancora prima dell’innalzamento
dell’obbligo scolastico, che impone l’iscrizione al primo anno dell’attuale
percorso quinquennale della scuola secondaria superiore.
Sul piano dell’inserimento nel mondo del lavoro, cresce il tasso di disoc-
cupazione tra i giovani dai 15 ai 19 anni, rivelando un segmento di popo-
lazione estremamente debole. Di fronte a questi limiti, vi è una crescita di
richieste, da parte delle imprese, di lavoro qualificato; l’analisi degli esiti oc-
cupazionali dei giovani formati nelle attività finanziate dal FSE confermano
tali richieste. Permangono inoltre i condizionamenti sociali e culturali,
che limitano la mobilità all’interno delle classi sociali attraverso cammini di
scolarizzazione e formazione.
Il sistema complessivo si trova nel mezzo di un guado: il tragitto di
trasformazione del sistema è iniziato, ma si corre il rischio di restare
impantanati o trascinati via dalla corrente. È perciò necessaria una forte
spinta per avanzare e arrivare al di là del guado.
Rapporto CENSIS
La vasta analisi fatta dal 33° Rapporto del CENSIS sulla situazione
sociale del Paese nel 1999 parte da considerazioni iniziali di forte preoc-
cupazione sulla incapacità italiana di fare retrospezione del passato,
interpretazione del presente ed esplorazione del futuro. La corposa analisi
dedicata ai sistemi formativi è l’argomento che ci interessa maggiormente.
Il sistema di istruzione e di formazione è stato attraversato negli ultimi
anni da un processo di profonda trasformazione e la realizzazione delle
riforme ha registrato, durante il 1999, una straordinaria accelerazione.
Il Rapporto, nella prima delle tesi interpretative dei processi formativi
“Dalle riforme alle politiche”, evidenzia che, al di là del significativo valore
intrinseco, se si dovessero valutare il clima e gli effetti tangibili della riforma,
ci si troverebbe di fronte a uno scenario assai complesso, decisamente meno
brillante rispetto alla ridefinizione del quadro normativo. I fattori congiun-
turali, le resistenze fisiologiche e le disfunzioni storiche stanno progressiva-
mente vincolando e limitando la portata delle innovazioni prodotte. All’ori-
gine di tale situazione vi è un insieme di ritardi organizzativi e funzionali
che è opportuno tenere presente non solo nell’atto di portare a termine il pro-
cesso di riforma, ma anche nell’implementazione progressiva delle diverse
innovazioni introdotte, sia relativamente al sistema formativo-educativo, sia
in termini di integrazione tra politiche educative e politiche attive del lavoro.
Lo sviluppo delle istituzioni educative italiane è sostanzialmente centrato
su una logica giuridico-formale, attenta al rispetto delle procedure ma
refrattaria a valutare i risultati; per questo i processi di riforma e i processi
di cambiamento non risultano automaticamente legati tra loro. Inoltre è
necessario operare per creare condizioni e sviluppare politiche perché il
capitale umano in uscita dai diversi sistemi formativi venga valorizzato dal
sistema sociale e produttivo. L’esigenza di agganciare la riforma del sistema
116
formativo e della sua integrazione con le politiche attive del lavoro e con
i processi di riforma del sistema di welfare resta un problema aperto.
Al di là dei dati e delle riforme strutturali, il Rapporto sembra chiedere
un impegno a tutti perché a partire dai grandi mutamenti istituzionali, di-
scenda un vero cambiamento in meglio di tutto il servizio educativo italiano.
I fabbisogni formativi
All’inizio del 2000 l’OBNF (Organismo Bilaterale Nazionale per la Forma-
zione) ha reso pubblico il risultato di un’indagine nazionale sui fabbisogni for-
mativi delle imprese. Partendo dal presupposto che le risorse umane e la loro
preparazione sono l’elemento essenziale di una politica di sviluppo basata sulla
qualità, le parti sociali, attraverso la rilevazione dei fabbisogni formativi,
vogliono contribuire con il sistema dell’offerta formativa nella descrizione di
figure professionali fortemente aggregate e concretamente richieste dal mon-
do delle imprese. La loro descrizione rimanda alle competenze necessarie per
costruirle, creando una base su cui fondare percorsi formativi solidi, con for-
te impianto culturale, collegati strettamente con le dinamiche reali del mon-
do produttivo. L’indagine non tocca tutti i settori produttivi, ma si riferisce a
un notevole numero di questi. Molte delle figure rilevate risultano trasversali a
più settori, cosicché il numero totale delle figure professionali da formare non
è rilevante. Il lavoro compiuto dall’OBNF riveste notevole rilevanza, soprat-
tutto perché ha interessato non pochi organismi bilaterali regionali, creando
una cultura di collaborazione tra parti sociali su un tema di notevole rilevan-
za. Altre indagini sui fabbisogni professionali, come la Ricerca Excelsior
dell’Unioncamere, contribuiscono a capire meglio la situazione italiana.
L’impegno in tale direzione favorisce certamente il processo di integrazione
tra FP/scuola e lavoro. Permane però a livello istituzionale la difficoltà di legare
tra loro esigenze del mondo del lavoro e della FP, come ben rivela la mancata
definizione delle qualifiche professionali, già prevista dalla legge 845/78 e mai
portata a termine.
Assemblea CEI sulla scuola cattolica
Dell’Assemblea CEI abbiamo già accennato nel precedente editoriale
(“Rassegna CNOS”, n. 3/1999. L’accenno che qui ne facciamo ha lo scopo di
rilevare come il tema dell’educazione e della riforma del sistema educativo
italiano sia sempre più presente a vari livelli nella società italiana: l’assem-
blea ha voluto rappresentare l’apporto che la scuola cattolica può dare, in
base a una lunga e valida presenza nell’area dell’educazione, al rinnovamen-
to della scuola italiana alle soglie del XXI secolo.
117
La realizzazione del nuovo obbligo scolastico
La legge di innalzamento dell’obbligo scolastico dovrebbe incontrare
un’attuazione meno problematica all’interno del riordino dei cicli, dove si
sancisce definitivamente a 9 anni l’obbligo scolastico e fino al 18° anno
(o meglio al conseguimento di una qualifica o diploma) l’obbligo formativo.
L’attuazione della legge 9/99 ha posto la necessità di collaborazioni tra
scuola e FP, ma l’integrazione che ne risulta vede la FP in un ruolo di subor-
dine e perlopiù ancillare rispetto al sistema scolastico. L’ISFOL sta avviando,
per conto del Ministero del Lavoro e del Ministero della Pubblica Istruzione,
un’indagine sulle iniziative sperimentali d’integrazione tra scuola e FP
nell’ambito delle attività previste dal regolamento sull’obbligo scolastico.
L’obiettivo della ricerca è di tracciare una mappa quantitativa dei progetti
in atto, che potrà assumere anche un rilievo qualitativo, in merito all’effica-
ce ed ampio utilizzo degli strumenti d’integrazione previsti dal regolamento.
L’indagine mira, inoltre, ad individuare possibili modelli di buone pratiche
per sostenere ed espandere le attività nell’ambito dell’obbligo scolastico da
realizzare nei prossimi anni, nell’ottica della piena attuazione dell’autonomia
scolastica a partire dal prossimo settembre ed in vista del riordino dei cicli
scolastici e dell’introduzione dell’obbligo formativo.
Le difficoltà per l’obbligo formativo
Introdotto dal collegato alla finanziaria del 1999 senza un approfondi-
mento e una discussione a livello sociale e politico, l’obbligo formativo non
è entrato nella coscienza degli italiani, nemmeno dei politici che lo hanno
approvato. Le stesse Regioni, titolari della FP sia essa a tempo pieno sia a
tempo parziale nell’apprendistato, in rari casi hanno preso chiara coscienza
degli obblighi loro derivanti: se i giovani hanno il diritto-dovere di formarsi
fino al conseguimento di un diploma o di una qualifica, lo Stato (per quanto
riguarda i percorsi scolastici ordinati al conseguimento del diploma) e le
Regioni (per quanto riguarda i percorsi di formazione per il conseguimento
della qualifica) hanno il dovere istituzionale di fornire gli strumenti concre-
ti perché i giovani possano adempiere tale diritto-dovere. Se si esclude la
Regione Lazio, che già ha iniziato la sperimentazione di percorsi di obbligo
formativo, nelle altre Regioni sembra che l’interesse sia scarso o polarizzato
sul solo apprendistato. Non si può dire lo stesso del Ministero della Pubblica
Istruzione, sempre attento a gestire ogni opportunità e pronto a presentare
la scuola come agenzia formativa in grado di provvedere a percorsi di ogni
tipo, anche di FP, per consentire l’assolvimento dell’obbligo formativo, ricor-
rendo pure ad apporti di integrazioni offerti dalla medesima FP.
118
Il nuovo FSE
Sono sul nastro di partenza le nuove opportunità derivanti dalla
programmazione 2000-2006 del FSE. Le Regioni si sono attrezzate in questi
anni per programmare e gestire meglio i fondi messi a loro disposizione
dall’Unione Europea.
Il problema principale del sistema di FP regionale italiano sta nella sua
estrema debolezza sia per la consistenza numerica dei soggetti coinvolti,
sia per le fragilità strutturali derivanti dal deficit legislativo e dallo scarso
coordinamento tra le Regioni. Di fronte alle iniziative finanziate dal FSE,
non pochi piani regionali sono predisposti sulla base delle disponibilità fi-
nanziarie subordinate a tali finanziamenti, che ovviamente non hanno lo
scopo di sostituire il sistema di FP italiano, ma di favorirne la trasformazio-
ne e il miglioramento nonché l’attivazione di sperimentazioni innovative.
Se nel 2006 venisse meno l’intervento del FSE, esso avrebbe raggiunto il suo
scopo se ci trovassimo di fronte a un sistema di FP rinnovato strutturalmen-
te, propositivo e progettuale, capace di espletare meglio il suo compito.
L’impressione che la gestione del FSE europeo nel passato periodo lascia in-
travedere è non il consolidamento e il miglioramento del sistema italiano di
FP, ma la distruzione dello stesso, ridotto a fare le attività solo perché e
finché esiste il finanziamento esterno europeo. Una somma di progetti e di
attività, fatta da qualunque agenzia si presenti sul mercato della formazione
interessata a sfruttare il momento finanziariamente favorevole, non può
generare un sistema di FP rinnovato né assicurare ricadute culturali e
progettuali nel medesimo.
Il FSE è una grande opportunità per la FP italiana, ma può divenire an-
che un grande rischio che porti politici, amministratori regionali e operatori
soltanto ad approfittare degli interventi finanziari senza pensare ad irrobu-
stire il sistema perché permanga anche nel futuro.
La legislazione: i cicli scolastici
L’approvazione della legge sul riordino dei cicli interessa non solo il mondo
della scuola, ma tutto il sistema educativo italiano. L’Università, ad esempio,
dovrà attendersi allievi più giovani, poiché è prevista la riduzione di un
anno del periodo di scolarità.
Per quanto riguarda la FP, l’art. 1 al comma 3 precisa che “L’obbligo sco-
lastico inizia al sesto anno e termina al quindicesimo anno di età”, fissando
definitvamente in nove gli anni obbligatori nel percorso scolastico. Viene
inoltre riconfermato, al comma 4, che “L’obbligo di frequenza di attività
formative fino al compimento del diciottesimo anno di età si realizza secon-
do le disposizioni di cui all’articolo 68 della legge 17 maggio 1999, n. 144”.
L’articolo 68 della Legge 144 entra perciò a far parte strutturale del riordino
dei cicli, superando la posizione di masso erratico caduto all’interno del
collegato alla finanziaria del ‘99.
119
La provvisorietà dell’obbligo scolastico per nove anni, nell’attesa di pas-
sare a 10, sancita nella legge 9/99, è superata stabilendo che la durata della
istruzione scolastica obbligatoria giunge fino al quindicesimo anno di età,
mentre l’obbligo di formazione giunge fino al diciottesimo. La legge sul rior-
dino dei cicli configura per i giovani dopo il quindicesimo anno di età un
duplice canale di formazione, il percorso scolastico e quello della FP a
tempo pieno o parziale.
Inoltre, nell’art. 4 nel comma 4, il testo della legge ripropone, nell’ultimo
anno dell’obbligo scolastico, la possibilità di integrazione tra scuola e FP
secondo le modalità già previste nell’art. 6 del Regolamento della legge 9/99:
“Nel corso del secondo anno, se richiesto dai genitori e previsto nei piani
dell’offerta formativa delle istituzioni scolastiche, sono realizzate attività
complementari e iniziative formative per collegare gli apprendimenti curri-
colari con le diverse realtà sociali, culturali, produttive e professionali. Tali
attività si attuano anche in convenzione con altri istituti, enti e centri di
formazione professionale accreditati dalle regioni, sulla base di un accordo
quadro tra il Ministero della pubblica istruzione, il Ministero del lavoro
e della previdenza sociale e la Conferenza permanente per i rapporti tra
lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.”
Il tema dei crediti formativi per il passaggio tra sistemi, molto presente
nel dibattito attuale, è normato nello stesso articolo al comma 7: “La fre-
quenza positiva di qualsiasi segmento della scuola secondaria, annuale o
modulare, comporta l’acquisizione di un credito formativo che può essere
fatto valere, anche ai fini della ripresa degli studi eventualmente interrotti,
nel passaggio da un’area o da un indirizzo di studi all’altro o nel passaggio
alla formazione professionale. Analogamente, la frequenza positiva di seg-
menti della formazione professionale comporta l’acquisizione di crediti che
possono essere fatti valere per l’accesso al sistema dell’istruzione”.
La legge dovrà trovare, attraverso la regolamentazione, pratica attuazione
nei prossimi mesi. Perciò le forze politiche, sociali e tutti coloro che hanno a
cuore il futuro del sistema educativo italiano sono chiamati ad un’ulteriore
attenzione perché le grandi trasformazioni strutturali portino a reali e posi-
tivi cambiamenti.
Al di là del giudizio sull’opportunità o meno della struttura prevista
dal riordino dei cicli, resta positivo il fatto che, dopo troppi anni di tentativi
di riforma, si sia superato il clima di incertezza sulla struttura della scuola
italiana in questo inizio di XXI secolo, costringendo tutti a riempire la riforma
dei cicli di contenuti culturali e educativi, per la formazione delle nuove
generazioni.
120
L’integrazione, a partire dall’Accordo sul costo del lavoro del 1993, è stata
la prospettiva che ha guidato le riforme del sistema educativo italiano. Il con-
cetto di integrazione rende evidente che le riforme sono state impostate nel-
l’ottica della necessità di un’interazione collaborativa tra i vari segmenti in
cui si articola il sistema educativo italiano. L’educazione delle nuove genera-
zioni può realizzarsi attraverso percorsi differenti, che però non possono
ignorarsi tra loro, come sovente è avvenuto in passato e forse avviene anco-
ra oggi, in qualche caso, in un’ottica autoreferenziale.
Gli ultimi quattro anni del ’900 hanno visto la realizzazione, a livello
legislativo, di una grande ristrutturazione delle componenti del sistema edu-
cativo: ne sono stati interessati la scuola, la FP, l’università. Anche il mondo
del lavoro e dell’impresa è stato coinvolto in questo processo, specialmente
attraverso la nuova legislazione dell’apprendistato e dei tirocini formativi.
Inoltre, l’introduzione dei concetti di competenza e di crediti formativi, ac-
quisibili oltre che in percorsi scolastici e formativi anche attraverso l’attività
lavorativa, ha messo in rilievo la potenziale valenza formativa del lavoro.
Se la fase legislativa del percorso di riforma può considerarsi sostanzial-
mente conclusa, la normazione e la realizzazione concreta dei cambiamenti
previsti richiedono tempi ancora lunghi.
Le nuove leggi e norme hanno forse creato una prospettiva di eccesso
di cambiamento, che può influire negativamente sulla realizzazione delle
riforme. Pure i mutamenti sono stati introdotti con strumenti legislativi
diversi, rendendo difficile il compito di scorgere un disegno di riforma com-
plessivo e unitario.
Conseguentemente, in questo editoriale esamineremo brevemente i mu-
tamenti istituzionali che leggi, decreti legislativi, regolamenti, accordi hanno
prodotto nel sistema scolastico, nel sistema della FP, evidenziando la loro
relazione con il mondo del lavoro.
Il nuovo volto della scuola italiana
Gli strumenti legislativi e normativi relativi alle riforme delle istituzioni
scolastiche hanno percorso, in questa legislatura, strade molto diverse e non
omogenee tra loro. L’art. 21 della legge 59 del 15 marzo 1997 (Bassanini), in-
troduce nelle istituzioni scolastiche l’autonomia. “L’autonomia delle istitu-
zioni scolastiche e degli istituti educativi si inserisce nel processo di realiz-
zazione della autonomia e della riorganizzazione dell’intero sistema formati-
vo” (comma 1). È la prima grande riforma realizzata. L’esigenza di assicura-
re spazi istituzionali di autonomia nel sistema scolastico statale era sentita da
tempo e prevista da leggi delega, che i precedenti Governi non erano riusciti
a portare a compimento. L’articolo 21 è inserito in un contesto di una legge
121
2000Editoriale n. 2
di “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni
ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la sempli-
ficazione amministrativa”. Tuttavia, tale articolo non tratta di conferimento
di funzioni alle Regioni o Enti locali né di semplificazione amministrativa, ma
di riconoscimento di autonomia giuridica alle singole istituzioni scolastiche,
tanto da indurre non pochi osservatori a considerare la Bassanini come
il classico “Cavallo di Troia” per far passare un’ulteriore delega al Governo.
L’impostazione generale della legge, però, coinvolge anche il tipo di autonomia,
che si configura. Al di là di tali aspetti di ambiguità, rimane comunque rile-
vante il passo compiuto verso una trasformazione della scuola, non più
concepita come organo periferico dello Stato, ma riconosciuta autonoma nel-
la propria capacità progettuale, didattica e, almeno parzialmente, gestionale.
Il Decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 8 marzo 1999 ha reso
operativo il dettato dell’art. 21 regolamentandone la materia. Sono stati
necessari due anni per emanarlo, invece dei nove mesi previsti dalla legge,
a riprova delle evidenti difficoltà incontrate nella sua elaborazione. Nel frat-
tempo, la volontà politica di arrivare all’autonomia si traduceva in speri-
mentazioni della sua attuazione, con risultati ritenuti soddisfacenti.
L’attuazione dell’autonomia obbliga, quindi, le istituzioni scolastiche
a superare posizioni di autoreferenzialità e a confrontarsi con il relativo
territorio e con gli altri soggetti educativi e istituzionali, vincendo il limite
dell’isolamento del mondo scolastico italiano e consentendo perciò la crea-
zione di un’offerta formativa territoriale programmata e integrata.
La rilevanza della dimensione territoriale nel processo delle riforme
del sistema educativo è riscontrabile anche nel Decreto legislativo 112 del
31 marzo 1998 che, nell’attuare l’art. 1 della legge 59/93, prevede agli articoli
135-139 deleghe specifiche “alle province, in relazione all’istruzione secon-
daria superiore, e ai comuni, in relazione agli altri gradi inferiori di scuola,
i compiti e le funzioni concernenti:
a) l’istituzione, l’aggregazione, la fusione e la soppressione di scuole in
attuazione degli strumenti di programmazione;
b) la redazione dei piani di organizzazione della rete delle istituzioni scola-
stiche”.
È sufficiente questo accenno per documentare come, nel processo di ri-
forma del sistema educativo, la rete delle istituzioni scolastiche sul territorio
si trasferisce dal Ministero della P.I. agli Enti locali, che non sono solo i “pro-
prietari dei locali”, come da sempre, ma debbono diventare i responsabili
istituzionali della localizzazione delle stesse sedi per garantire una comples-
siva offerta formativa sul territorio di competenza. Le Province hanno dato
avvio a processi di riorganizzazione della rete scolastica sul proprio territorio,
pur incontrando non poche difficoltà dovute anche alla normativa che
subordina l’esercizio dell’autonomia alla consistenza numerica dei relativi
allievi, con conseguente necessità di procedere ad accorpamenti e a fusioni
di scuole. D’altra parte, tale ristrutturazione non può essere definitiva, non
solo per il variare del numero degli allievi, ma gli accorpamenti in verticale
122
(dalla materna alle superiori) o in orizzontale (più plessi scolastici dello
stesso grado) potrebbero essere rivisitati nelle fasi di attuazione della legge-
quadro 30/2000 in materia di riordino dei cicli dell’istruzione.
Con tale legge, la riforma ha toccato in modo diretto anche la struttura
stessa dei percorsi scolastici.
Dopo lunghe discussioni, che hanno provocato contrapposizioni ideolo-
giche e strumentali tra maggioranza ed opposizione, si avvia con tale
legge un nuovo assetto dei percorsi scolastici nel sistema educativo italiano,
dando sistematicità organica anche a scelte operate in altre leggi.
Una di queste riguarda la definitiva scelta della scolarità obbligatoria
fino al 15° anno (legge n. 9 del 20/01/99), regolamentata con Decreto Mini-
steriale n. 323 del 9 agosto 1999 e già in attuazione. “Rassegna CNOS” ha
dedicato una specifica riflessione ai contenuti di tale legge e ha documentato
le relative sperimentazioni delle attuazioni concrete.
Analoga organicità è stata data nella suddetta legge-quadro per quanto
attiene i percorsi dell’istruzione scolastica e l’istituzione dell’obbligo formativo
fino ai 18 anni (definito all’articolo 68 della legge n. 144 del 17 maggio 1999),
stabilendo che “Il sistema educativo di istruzione si articola nella scuola
dell’infanzia, nel ciclo primario, che assume la denominazione di scuola di
base, e nel ciclo secondario, che assume la denominazione di scuola secondaria.
Il sistema educativo di formazione si realizza secondo le modalità previste
dalla legge 24 giugno 1997, n. 196, e dalla legge 17 maggio 1999, n. 144”.
Altrettanto avviene con l’articolo 5 della medesima legge-quadro, che
recepisce l’istituzione del segmento dell’Istruzione Formazione Tecnica
Superiore (IFTS) e le norme relative all’educazione degli adulti e alla forma-
zione continua, contenute nell’articolo 69 della suddetta legge n. 144/99.
123
Senza entrare in merito alle difficoltà che si potranno verificare nella
realizzazione concreta della riforma strutturale, soprattutto nel segmento
della formazione di base, riunendo in un unico ciclo il percorso che da
sempre in Italia si è sviluppato su due ordinamenti (elementari e medie
inferiori), sembra opportuno rilevare alcuni aspetti culturali, che non do-
vrebbero trovare difficoltà di accoglienza anche da parte di quanti manife-
stano riserve circa l’impianto complessivo adottato.
Si riconosce anzitutto un “sistema educativo di istruzione e di formazio-
ne finalizzato alla crescita e alla valorizzazione della persona umana, nel ri-
spetto dei ritmi dell’età evolutiva, delle differenze e dell’identità di ciascuno,
nel quadro della cooperazione tra scuola e genitori, in coerenza con le dis-
posizioni in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche e secondo i
principi sanciti dalla Costituzione e dalla Dichiarazione universale dei dirit-
ti dell’uomo”. È da osservare, in particolare, che la FP viene riconosciuta isti-
tuzionalmente un’articolazione del sistema educativo nazionale, stabilendo
che “Il sistema educativo di formazione si realizza secondo le modalità pre-
viste dalla legge 24 giugno 1997, n. 196, e dalla legge 17 maggio 1999,
n. 144”. Non vi è perciò contraddizione nel fatto che i percorsi di FP siano
contemporaneamente educativi e ordinati esplicitamente a preparare al la-
voro attraverso l’acquisizione di una qualifica. I giovani si trovano, al com-
pimento del quindicesimo anno, di fronte alla possibilità di scegliere tra due
canali educativi: quello dell’istruzione scolastica e quello della FP, entrambi
con pari dignità ma con apporti specifici e in collaborazione tra loro, fina-
lizzati a garantire un servizio “alle differenze e all’identità di ciascuno”.
Con l’attuazione della legge sul riordino dei cicli si dovrebbe quindi
avviare un sistema integrato di istruzione e formazione, in grado di accom-
pagnare la crescita culturale e professionale delle giovani generazioni fino
all’inserimento nel mondo del lavoro, in modo che nessun giovane italiano
si presenti sul mercato del lavoro senza una laurea o un diploma o una
qualifica professionale. Come l’Esame di Stato, riformato dalla legge 425
del 10 dicembre 1997, si conclude la scuola secondaria, così la qualifica
costituisce requisito di assolvimento dell’obbligo formativo.
Proseguendo nel nostro esame sulle trasformazioni in atto nel sistema
educativo e formativo, è da rilevare un ulteriore apporto di riforma, rappre-
sentato dal Decreto legislativo n. 233 del 30 giugno 1999 circa la “Riforma
degli organi collegiali territoriali della scuola, a norma dell’articolo 21 della
legge 15 marzo 1997, n. 59”, che innova la strutturazione degli organi rap-
presentativi della scuola a livello nazionale, regionale e locale con la finalità
di assicurare rappresentanza e partecipazione ai diversi soggetti operanti
in essa e interessati alla sua vita, alle sue attività e ai suoi risultati.
A livello di singolo istituto, invece, la normativa è ancora in via di defini-
zione. Le difficoltà incontrate nel percorso verso una normativa condivisa
sono molte: si tratta, infatti, di conciliare aspetti che sono stati oggetto
di precedenti riforme, come quella relativa al ruolo del Dirigente scolastico e
all’autonomia degli Istituti.
A livello generale, inoltre, le decretazioni di attuazione della Bassanini
124
(L. 59/97) prevedono anche la riorganizzazione e l’accorpamento dei ministe-
ri e, in particolare, la ristrutturazione del Ministero della P.I. sia livello
centrale che nella sua organizzazione periferica.
In fine, l’ultima legge approvata in ordine di tempo, la legge n. 62 del 10
marzo 2000, riguarda le “norme per la parità scolastica e disposizioni sul
diritto allo studio e all’istruzione”, precisando che “il sistema nazionale
di istruzione è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e
degli enti locali. Alle scuole paritarie private è assicurata piena libertà per
quanto concerne l’orientamento culturale e l’indirizzo pedagogico-didattico”.
Per riconoscerne la paritarietà, le scuole non statali debbono sottoporsi a
non pochi adempimenti, che se da una parte assicurano un servizio di pari
valore rispetto a quello delle scuole statali, dall’altra pongono vincoli di dif-
ficile soluzione.
In effetti, la legge tace su qualsiasi intervento di tipo finanziario per
le scuole paritarie, ad eccezione di “interventi per il mantenimento di scuole
elementari parificate e per spese di partecipazione alla realizzazione del
sistema prescolastico integrato”. La legge, sotto il profilo finanziario, con-
templa il diritto allo studio riguardante tutte le scuole. L’impossibilità politi-
ca rilevata dal Parlamento di varare una vera legge di parità economica tra
scuola statale e scuola paritaria non statale mantiene inalterato un problema
che, con il passare degli anni, ridurrà ad una pura cornice giuridica il quadro
complessivo. Le scuole paritarie rischiano di essere destinate a fallire o a
divenire scuole di una élite ricca, che può scegliere senza problemi i propri
percorsi.
Alla conclusione della rassegna fatta sembra doveroso sottolineare che la
presente legislatura ha prodotto una rilevante legislazione di riforma del
sistema scolastico italiano. L’attuazione, però, di tale normativa presenta
notevoli fasi di rallentamento e non pochi segnali a riporre mano a quanto è
già definito. Anche l’evidente stato di malcontento dei docenti della scuola
statale, registrato negli ultimi mesi, mette in evidenza la difficoltà di portare
avanti una riforma, di cui tutti vedono difficoltà e rischi, ma di cui nessuno
sa ancora pienamente valutare i lati positivi.
La riforma della FP
Il documento “Accordo per il lavoro e l’occupazione”, sottoscritto il
24 settembre 1996 dal Governo Prodi e dalle Parti Sociali, metteva in primo
piano il ruolo dell’istruzione e della FP per risolvere anche i problemi del la-
voro e dell’occupazione.
La legge 24 giugno 1997, n. 196 “Norme in materia di promozione del-
l’occupazione” (Pacchetto Treu) rendeva vincolanti le indicazioni dell’Accordo.
Si tratta di una legge che, in gran parte, riguarda la riforma del sistema di FP,
che dal 1978 è regolato dalla legge quadro 845. Da anni si riteneva necessa-
rio adattarne le norme alle mutate condizioni. Invece di riformulare una
legge quadro per la FP, si è preferito usare la legge sulla promozione dell’oc-
125
cupazione e la sua successiva regolamentazione per introdurre nella legge
845/78 le modifiche ritenute necessarie.
In particolare, si trattava soprattutto di legiferare sui segmenti di for-
mazione che in Italia risultavano poco presenti e non ben normati, come la
formazione in alternanza, specialmente l’apprendistato e i tirocini, la forma-
zione continua e permanente. Inoltre era necessario stabilire i criteri at-
traverso cui affidare a strutture formative le attività, poiché, soprattutto a
causa delle norme del FSE, risultavano superate quelle previste dalla 845/78,
che stabiliva quali Enti potevano essere ammessi ai finanziamenti. In vista di
un sistema di crediti che rendesse possibile l’integrazione tra sistemi, era ne-
cessario rivedere la certificazione dei risultati della formazione, in relazione
con la scuola e il mondo del lavoro.
La legge 196/97 è intervenuta su questi problemi, creando una nuova
legislazione.
L’art. 16 regola l’apprendistato, introducendolo nell’area delle politiche
formative. Il Decreto Ministeriale del 8 aprile 1998 e il Decreto Ministeriale
del 20 maggio 1999 hanno stabilito i contenuti delle 120 ore formative
annuali previste dalla legge da svolgere fuori del luogo di lavoro. In questi
anni si sono attivate sperimentazioni di percorsi formativi nel nuovo
apprendistato, ma soltanto una piccola percentuale degli apprendisti ha
potuto usufruire di questa esperienza.
L’art. 18 regola i tirocini formativi e di orientamento, ridefinendo sotto
un’unica normativa quanto stabilito dalla legge 845/78 e da successivi inter-
venti legislativi. Il Regolamento emanato con il Decreto interministeriale 142
del 25 marzo 1998 ha unificato le norme e dato nuovo impulso a questo tipo
di alternanza, che interessa la FP, la scuola e l’università, ma anche percorsi
al di là del periodo di formazione, per orientare ed avviare al lavoro.
L’art. 17 prevede il riordino della formazione professionale.
La regolamentazione di tale articolo però ha incontrato una serie di dif-
ficoltà, che la Corte dei Conti ha esplicitato rimandandone la registrazione.
Per superare le obiezioni mosse, il Parlamento ha introdotto alcune
modifiche al testo dell’articolo attraverso uno specifico articolo della legge
144 del 1999. Nonostante tale intervento legislativo, la Corte dei Conti non ha
registrato il Regolamento, ma lo ha rinviato alla Corte Costituzionale per so-
spetta incostituzionalità.
Per questo motivo il sistema di FP resta ancora essenzialmente normato
dalla legge quadro 845/78. Infatti, la bozza di Regolamento dell’articolo 17
prevedeva l’abrogazione di parte di articoli della legge quadro 845/78 [all’ar-
ticolo 5 dalla lettera b) fino alla fine dell’articolo, al terzo comma dell’artico-
lo 22 la lettera a), al terzo comma dell’articolo 17 le parole da: “nonché” fino
a “comma”], introducendo al posto delle norme abrogate nuove disposizioni.
Conseguentemente, resta in vigore l’impianto generale della legge quadro del
1978, come normativa vigente, se si eccettua l’art. 15 riguardante gli stage
(abrogato dal regolamento dell’art. 18 sui tirocini) e gli articoli 2, comma 1,
e 18 (abrogati dal decreto legislativo 112 del 31 marzo 1998).
La difficoltà di rendere operativo il sistema prefigurato dall’art. 17 della
126
legge 196/97 ha spinto la Conferenza Stato-Regioni, nella Seduta del 18 feb-
braio 2000, a procedere ad un accordo relativo a tre punti qualificanti:
accreditamento delle strutture formative; certificazione delle competenze
professionali; ristrutturazione degli Enti di formazione.
Poiché alcune Regioni hanno già stabilito procedure autonome di accredi-
tamento, una Commissione sta preparando, sulla base del suddetto accordo,
gli standard minimi nazionali e le procedure per l’accreditamento. Dopo la
relativa approvazione da parte della Conferenza Stato-Regioni, tali criteri
saranno resi omogenei a livello nazionale per tutte le Regioni, pur salva-
guardando le specificità di ognuna.
Analogamente, sempre in base al suddetto accordo, una Commissione,
composta anche da esperti della scuola e dell’università, sta studiando l’uni-
ficazione delle certificazioni, in vista della maturazione dei crediti formativi.
Per rendere operativa la parte di accordo riguardante la ristrutturazione
degli Enti di FP occorre che, tramite apposita norma legislativa a livello na-
zionale, siano messi a disposizione i 100 miliardi stanziati dall’art. 17 della
196/97. Anche su questo punto il Governo si è impegnato ad intervenire il
più rapidamente possibile.
Oggettivamente, pur con la buona volontà dimostrata, la trasformazione
del sistema, che avrebbe dovuto realizzarsi nel breve tempo previsto per la
relativa regolamentazione (sei mesi), è slittata di quasi tre anni, aggravando
i problemi e le difficoltà. Gli Enti di formazione non hanno avuto i mezzi
per ristrutturasi, ma hanno visto aggravarsi i loro problemi finanziari e
organizzativi. Inoltre non si è potuto avviare la fase delle operazioni di
contrattazione per il rinnovo del CCNL della FP a causa della mancanza
di un quadro normativo di riferimento.
Resta ancora incerto il come si creerà e da chi sarà gestito il sistema del-
la formazione continua, essendo certa però l’intenzione di rendere operativo
il passaggio dei fondi derivanti dallo 0,30% del monte salari, versato dalle
imprese per la formazione, dal fondo di rotazione alla istituenda Fondazione
per la formazione continua.
Oltre quanto previsto dal cosiddetto “pacchetto Treu”, anche il Decreto
legislativo 112 del 31 marzo 1998 – in attuazione della legge 59 del 15 marzo
1997 (Bassanini) – con gli articoli 140-147 procedeva ad una nuova ridistri-
buzione di competenze tra Stato e Regioni in materia di FP, abrogando al-
cuni articoli della legge quadro 845/78, come si è già accennato.
Inoltre, nel 1999 il sistema di FP, in modo particolare le strutture inte-
ressate alla formazione iniziale post obbligo scolastico, ha dovuto affrontare
i non pochi problemi derivati dall’attuazione della legge 9/99 sull’innalza-
mento dell’obbligo scolastico, perdendo parte dell’utenza tradizionale di tali
azioni formative. Positiva è stata, invece, la spinta ad attuare una più stretta
collaborazione con la scuola media superiore per attivare percorsi integrati
di orientamento e pre-professionalizzanti e per sperimentare l’assolvimento
dell’obbligo scolastico nella FP. Tali difficoltà e opportunità si ripresenteran-
no anche nei prossimi anni. In “Rassegna CNOS” sono state sviluppate
ampiamente le relative problematiche.
127
Il segmento di formazione iniziale, sancito dall’articolo 68 della legge
144/99 con l’istituzione dell’obbligo formativo fino a 18 anni, è una delle più
importanti novità legislative riguardanti la FP: ne abbiamo parlato nel con-
testo del riordino dei cicli. In questo numero di “Rassegna CNOS” (n. 2/2000)
sono pubblicati documenti, proposte e studi di approfondimento nell’inten-
to di concorrere a creare opportunità di riflessione circa le modalità di at-
tuazione dei relativi percorsi per nell’anno formativo 2000-2001.
Infine, il Decreto legislativo 300 del 30 luglio 1999, che ristruttura
i Ministeri in attuazione della Bassanini, all’art. 88 stabilisce la nascita del-
l’Agenzia per la formazione e l’istruzione professionale. “All’agenzia sono
trasferiti, con le inerenti risorse finanziarie, strumentali e di personale,
i compiti esercitati dal ministero del lavoro e previdenza sociale e dal mini-
stero della pubblica istruzione in materia di sistema integrato di istruzione
e formazione professionale”. L’Agenzia sarà operante con la riforma dei
ministeri all’inizio della nuova legislatura; lo Statuto previsto non è ancora
stato varato, né si conoscono le relative competenze operative.
Sembra opportuno porre un’osservazione conclusiva circa il ruolo rile-
vante di ricerca, di supporto, di monitoraggio realizzato dall’ISFOL (Istituto
per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori) in questi anni
di trasformazione e di riforma del sistema educativo italiano. Ci auguriamo
che tale Istituto, con opportuni adattamenti statutari e organizzativi, possa
assicurare al meglio tali servizi per far fronte alle nuove sfide, che il sistema
della FP incontra nel realizzare le riforme avviate in questi anni.
128
2000Editoriale n. 3
Negli ultimi anni novanta rilevanti interventi legislativi hanno posto le
basi per la riforma del sistema educativo italiano. L’editoriale del precedente
numero della Rivista ha presentato il quadro complessivo che le leggi hanno
disegnato per il sistema scolastico e per quello della FP. Ma, per divenire ope-
rante, il quadro legislativo generale richiede interventi normativi e struttura-
li destinati a durare ancora per alcuni anni. Inoltre i cambiamenti esigono un
lungo periodo di impegno per divenire realtà nei fatti: non sempre le norme
legislative si traducono in realtà operative concrete.
La fine di una convulsa fase legislativa, che ha risentito della contrappo-
sizione tra i diversi schieramenti nel Parlamento, lascia ora il posto a un
processo di paziente lavoro mirante ad attuare le linee quadro tracciate
dalle leggi.
Questo editoriale mira a monitorare alcuni elementi della riforma che
sono stati sperimentati in questi anni, per valutarne l’impatto concreto,
le difficoltà incontrate, le prospettive aperte, privilegiando ciò che riguarda
la FP.
Sperimentazione dell’obbligo di istruzione
La legge 9/99, che ha innalzato a 15 anni l’obbligo scolastico, ha trovato
attuazione immediata nell’anno scolastico 1999/2000. Già da parecchi anni
la maggior parte dei quattordicenni italiani, al termine della scuola media
inferiore, si iscriveva alla scuola media superiore. L’obbligo ha costretto
anche la piccola percentuale di ragazzi che dopo la licenza media sceglieva
altre strade, come la FP o il lavoro, ad iscriversi al primo anno dell’attuale
scuola media superiore non riformata. La situazione ha creato difficoltà per
coloro che già avevano espresso la decisione di iscriversi ad attività di FP;
anche i CFP si sono dovuti confrontare con una improvvisa diminuzione
di utenza. La regolamentazione ha cercato di mitigare l’impatto permettendo
esperienze di interazione e integrazione tra scuole e CFP. Per andare incontro
alla situazione maturata per i giovani già iscritti alla FP, in alcune Regioni si
sono sperimentati percorsi di assolvimento dell’obbligo all’interno dei CFP in
convenzione con scuole medie superiori. In altri casi si sono introdotti nei
percorsi scolastici moduli di orientamento e preprofessionalizzanti affidati a
organismi di FP. Nel primo numero di “Rassegna CNOS” di quest’anno ab-
biamo riservato ampio spazio alla descrizione di alcune di queste esperienze.
Aggiungiamo ora una valutazione dell’esperienza, tracciando le prospettive
che sembrano consolidarsi.
La situazione a livello nazionale non è stata uniforme nella varie Regioni.
129
In base all’art. 7 del Regolamento attuativo della legge 9/99 sull’obbligo
scolastico, in alcuni contesti si sono attivati, all’interno dei CFP e in conven-
zione con scuole medie superiori, percorsi per giovani di quattordici anni.
Il finanziamento dell’intervento è stato sostenuto dalle Regioni. L’istituzione
scolastica ha certificato l’adempimento dell’obbligo scolastico e, contempora-
neamente, il CFP ha certificato il raggiungimento degli obiettivi formativi
del primo anno di FP iniziale. In casi numericamente più ridotti e anche fi-
nanziariamente meno sostenuti da fondi regionali anche nell’anno 2000/2001
l’esperienza viene ripetuta in particolari contesti.
In base all’art. 6 del menzionato Regolamento, in altre situazioni si sono
attivati interventi integrativi di tipo orientativo e pre-professionalizzanti al-
l’interno dei percorsi del primo anno di scuola media superiore con lo scopo
di orientare i giovani nello scelte del post-obbligo e di aiutare quanti aveva-
no già espresso scelte relative ai percorsi di FP. Anche in questo caso la
convenzione con la scuola media superiore prevedeva le attività integrative
all’interno della scuola o all’interno del CFP o fatti da personale dei Centri
all’interno della scuola. Normalmente le iniziative sono state suggerite e
progettate dai CFP e finanziate dalle Regioni. La prospettiva che tali azioni
di orientamento possano continuare è confermata anche dalla prospettiva
prevista dalla legge sul riordino dei cicli scolastici, che prevede la crescita di
interventi di orientamento nella scuola secondaria.
Nella prospettiva, gli interventi attivati in base all’art. 7 del Regolamento
sono destinati a decadere completamente con l’attuazione della riforma dei
cicli, confermando le difficoltà di attuazione che sia le autorità scolastiche
sia le Regioni hanno posto in essere per il 2000-2001.
L’obbligo formativo fino a 18 anni rende inoltre problematica l’effettua-
zione di un primo anno di corso di qualifica a partire dai 14 anni, perché
il giovane si troverebbe ad aver assolto all’obbligo formativo con il conse-
guimento della qualifica a soli 16 anni. Inoltre un corso per quattordicenni
non potrebbe essere progettato sul modello previsto dall’Accordo Stato Re-
gioni per l’obbligo formativo, che prevede appunto l’assolvimento dell’obbli-
go scolastico.
La possibilità di assolvere all’obbligo scolastico nei percorsi di FP, prevista
dall’art. 7 del Regolamento, ha carattere transitorio, anche se, in alcuni casi,
potrà trovare applicazione fino all’attuazione del riordino dei cicli.
L’orientamento nell’ultimo anno dell’obbligo scolastico effettuato in col-
laborazione tra scuole e CFP è previsto anche nelle bozze della commissione
per l’attuazione dei cicli e si inserisce egregiamente nel contesto dell’avviata
autonomia delle istituzioni scolastiche.
La titolarità della scuola in questi percorsi di orientamento realizzati
dai Centri di FP rende centrale il problema del finanziamento dell’attività
svolta, perché difficilmente le Regioni continueranno a finanziare attività
che sono di competenza della scuola, anche se svolte in interazione con
Centri di FP. La situazione attuale vede maggiormente interessati ad azioni
di orientamento i CFP e le Regioni rispetto alle scuole anche dal punto di
vista finanziario.
130
Sperimentazione dell’obbligo formativo
Soltanto nel mese di settembre, con la pubblicazione sulla Gazzetta
Ufficiale del Regolamento è terminato a livello legislativo e normativo l’iter
con cui è stato introdotto in Italia l’obbligo formativo fino ai 18 anni o fino
al conseguimento di un diploma di scuola secondaria o di una qualifica
professionale almeno biennale. Con l’anno scolastico 2000-2001 tale obbligo
interessa tutti i giovani che abbiano completato l’obbligo scolastico e che sia-
no nel quindicesimo anno di età. La sperimentazione del percorso interessa
in modo particolare la FP regionale sia a tempo pieno sia in alternanza (con-
tratto di apprendistato). Nella scuola, infatti, i normali percorsi servono a
completare l’obbligo: fino al riordino dei cicli anche i percorsi in integrazio-
ne attuati nella scuola saranno essenzialmente quelli già sperimentati negli
Istituti professionali. Con l’attuazione del riordino dei cicli, quando allo sche-
ma degli istituti professionali di tre anni di qualifica più due per il diploma
verrà sostituito quello del biennio di obbligo scolastico e di un triennio per il
diploma, si richiederà un totale rinnovamento dei percorsi di integrazione
previsti dall’art. 7 del Regolamento dell’obbligo formativo.
L’attuazione dell’obbligo formativo in questo primo anno merita un
particolare interesse e monitoraggio. Il sistema annunciato dalle leggi, soste-
nuto da riflessioni sulla pari dignità dei percorsi scolastici e della FP, trova
difficoltà ad imporsi per la sostanziale inerzia di alcuni Enti pubblici
che hanno la titolarità di programmare e gestire e per l’ignoranza generale
dell’esistenza di tale opportunità. Né i mezzi di comunicazione di massa
né la maggioranza delle istituzioni scolastiche, preoccupate talora più di
trattenere gli allievi che di orientarli a percorsi più idonei alle loro capacità,
hanno aiutato giovani e famiglie a scoprire i valori delle diverse opportunità
offerte.
La creazione di un sistema di nuova FP iniziale rispondente alle esigenze
dell’assolvimento dell’obbligo formativo richiede tempi lunghi, progettualità
e verifiche continue. Perché possa avvenire è necessaria la riqualificazione
dei CFP attraverso un’idonea formazione dei formatori, in modo particolare
per la creazione di specifiche figure professionali.
La Regione Lazio, che ha fatto da capofila nella progettazione e nella
sperimentazione dell’obbligo formativo fin dall’anno 1999-2000, ha sentito
l’esigenza di interventi formativi rivolti a tutti gli operatori impegnati nei
progetti della nuova formazione iniziale. L’intervento formativo, a prescin-
dere dal modo con cui viene realizzato, ha una valenza politica generale:
non si può iniziare nulla di veramente innovativo senza prima informare e
formare i principali attori del rinnovamento, che sono i formatori.
Anche gli altri attori coinvolti nel processo, cioè adolescenti e famiglie,
dovrebbero essere adeguatamente informati e orientati, perché senza infor-
mazione e orientamento non vi può essere scelta libera e motivata. Su questo
campo troppo poco è stato fatto.
Se quanto previsto dalla legge non vuol restare una pura velleità senza
risultati concreti, si richiede maggiore informazione, adeguata formazione
131
degli attori coinvolti nel processo educativo, capacità delle strutture forma-
tive di organizzarsi per rispondere alle esigenze della nuova utenza.
Per fornire supporti alla sperimentazione dell’obbligo formativo nei
percorsi della formazione professionale iniziale il CNOS-FAP e il CIOFS/FP
hanno messo a punto un progetto sperimentale, le cui linee giuda sono già
state pubblicate nella rivista “Rassegna CNOS”.
Il progetto è messo a disposizione di tutti come uno stimolo e un aiuto
ad iniziare i percorsi, a perfezionarli, ad arricchirli anche dei supporti che le
professionalità di tanti formatori sanno produrre. L’obbligo fissato dalla leg-
ge produce un diritto e un’opportunità per gli adolescenti che solo l’impegno
di tutti può rendere reale.
In questo anno la sperimentazione è iniziata in molte Regioni: è prema-
turo farne una valutazione, ma è significativo che anche in luoghi dove
l’attività formativa rivolta agli adolescenti era da anni quasi abbandonata
si sperimenti l’assolvimento dell’obbligo formativo nella FP.
Sperimentazione dell’apprendistato
Nessuno oggi nega l’importanza della formazione in alternanza. Pur-
troppo per troppo tempo l’apprendistato in Italia è stato uno strumento di
politica occupazionale e non delle politiche del lavoro e della formazione.
Per questo il nuovo modello di apprendistato, con formazione obbligatoria
anche fuori dal posto di lavoro, stenta a decollare come offerta per tutti gli
apprendisti. Le numerose e diverse sperimentazioni che sono state attuate
in questi anni hanno incontrato oggettive difficoltà organizzative all’avvio,
ma con il passare del tempo sono aumentate e si sono consolidate. Sono
stati programmati con finanziamento del Ministero del lavoro 1.566 1 corsi
per 24.541 allievi in sei iniziative sperimentali, ma non tutte le attività sono
iniziate. Al 31 dicembre 1999 risultavano avviati 747 corsi per 11.188
apprendisti: le difficoltà maggiori si sono incontrate nelle Regioni del Sud,
dove erano avviati soltanto 23 corsi per 172 apprendisti.
Un ulteriore passo verso la costruzione di un sistema di formazione per
l’apprendistato è stato compiuto nel 1999/2000 con i piani regionali delle at-
tività formative finanziate con le risorse previste all’art. 68 della legge 144/99
e suddivise tra le Regioni dal DM 302/99. La presenza di fondi ha spinto le
regioni ad organizzare un sistema di regole per rendere attuabile la forma-
zione fuori azienda. Con tali fondi sono stati programmati dalle Regioni
poco meno di 5.000 corsi per circa 73.000 allievi, con netta prevalenza per le
Regioni del Centro Nord. La maggior parte delle attività non sono ancora
completamente avviate.
Il successo delle varie sperimentazioni non è misurabile né si possono
valutare le sue ricadute formative, che sono gli elementi che possono rendere
appetibile la formazione fuori dell’impresa a giovani e imprese. L’esame dei
132
1 I dati sono attinti da ISFOL, Rapporto 1999, Franco Angeli, Milano, 1999, 362-368.
risultati della sperimentazione nel settore metalmeccanico, la prima ad
essere avviata, prendendo a riferimento quanto avvenuto nella Provincia
di Torino 2 mette in luce un discreto successo formativo, legato al fatto
che l’età degli apprendisti risultava compresa tra i 19 e i 24 anni, che erano
per la maggior parte diplomati o qualificati e per questo sufficientemente
motivati alla formazione (ISFOL, 2000, 46ss.).
I percorsi dell’apprendistato per gli adolescenti dai 15 ai 18 anni sono
validi per assolvere all’obbligo formativo. Se l’obbligo formativo non viene
inteso solo come dovere per i giovani, ma come diritto ad entrare nel modo
del lavoro con un diploma o una qualifica riconosciuta, anche il percorso
dell’apprendistato nel periodo dell’obbligo dovrebbe avere come finalità il
conseguimento di una qualifica riconosciuta. Potrebbe essere una strada
appetibile per una parte di coloro che non intendono assolvere l’obbligo
nei percorsi scolastici, ma le imprese si trovano ad affrontare ulteriori gra-
vami, in quanto è previsto un ulteriore numero di ore di formazione fuori
dall’azienda. Il percorso può diventare credibile solo per la contemporanea
presenza di una diminuzione di costi contrattuali per l’impresa che assume
apprendisti in età di obbligo formativo e di una buona qualificazione della
formazione.
In Germania, dove la FP è attuata nei percorsi dell’apprendistato cui è
interessata oltre la metà dei giovani tedeschi, i docenti delle scuole profes-
sionali che svolgono gli interventi fuori dell’impresa sono formati in specifi-
ci corsi universitari e possono godere di una tradizione centenaria. Non si
può supporre che basti una buona legge o una norma a far sì che anche in
Italia questo tipo di formazione in alternanza decolli, ma occorre una seria
politica di formazione dei formatori e di preparazione delle agenzie (CFP,
scuole, ...) preposte alla formazione degli apprendisti. La formazione dei tutor
aziendali, la formazione specifica per i formatori e i tutor d’aula chiamati
a coprire le aree formative da svolgere fuori dall’impresa e la formazione
dei datori di lavoro, perché vedano nella formazione un investimento
importante sono alla base del successo nella sfida che le intese e la legisla-
zione hanno voluto.
L’accreditamento
L’accreditamento delle strutture che intendono svolgere formazione pro-
fessionale con finanziamenti pubblici era la strada indicata all’art. 17 della
legge 196/97 per dare un quadro normativo che sostituisse quello previsto
dalla 845/78 per selezionare i protagonisti del sistema formativo. Il Regola-
mento attuativo di tale articolo non è giunto alla pubblicazione; un Accordo
Stato Regioni ha riavviato il discorso. Alcune Regioni hanno già sperimenta-
to per conto loro procedure di accreditamento delle strutture: “Rassegna
133
2 ISFOL, Formazione per l’apprendistato. Progetto per l’industria meccanica. I primi risultati,
gli strumenti attuativi, la normativa vigente, Franco Angeli, Milano, 2000.
CNOS” ha presentato i criteri e le procedure adottate per l’accreditamento
dalle Regioni Emilia Romagna 3 e Piemonte 4.
La sperimentazione di procedure di accreditamento attivate in questi
anni ha fornito opportune indicazioni per stabilire un modello standard
nazionale, che permetterebbe la creazione di un sistema di formazione pro-
fessionale regionale omogeneo a livello nazionale, ma attento alle specificità
locali.
Se non vi saranno particolari difficoltà di ordine politico, la bozza pre-
disposta dal gruppo di lavoro nazionale sull’accreditamento delle sedi
formative potrebbe presto fissare gli standard minimi nazionali, in base
ai quali ogni Regione potrà attivare le proprie procedure di accreditamento
delle sedi formative.
L’accreditamento delle strutture, pubbliche e private, seleziona a livello
regionale le sedi atte a compiere attività formative. Le sedi operative potran-
no essere accreditate relativamente ad una o più di tre macrotipologie
di azioni formative: obbligo formativo (L. 144/99, art. 68), formazione supe-
riore (formazione post-obbligo formativo, Istruzione Formazione Tecnica
Superiore, alta formazione), formazione continua (occupati, persone in CIG
e mobilità, disoccupati, apprendisti).
134
3 Cfr. “Rassegna CNOS”, anno 14 (1998), n. 2, 15-31.
4 Cfr. “Rassegna CNOS”, anno 16 (2000), n. 2, 65-72.
2001
Il cambio di secolo e di millennio si coniuga bene con l’intensa attività di
innovazione che investe il sistema educativo italiano. Siamo anche al termine
di una legislatura che, ed è un caso non comune nell’ultimo periodo del 2000,
è durata cinque anni, se pur con più governi di centrosinistra. La continuità
ha permesso importanti cambiamenti legislativi, in particolare relativamente
all’istruzione, alla FP e al lavoro.
Se la riforma legislativa si può considerare terminata, le normative ap-
plicative delle leggi invece sono ancora in divenire, ma soprattutto la con-
creta realizzazione delle riforme richiede tempi lunghi e impegno costante.
“Rassegna CNOS” ha seguito, in questi anni, con puntualità e interesse
l’evolversi legislativo, le normative regolamentari relative e ha cercato di
farne comprendere la portata, le opportunità e le distorsioni che leggi e
regolamenti possono produrre.
Dallo scorso anno, in un’apposita sezione “Monitoraggio delle Riforme”,
la rivista cerca non solo di presentare i documenti, ma di segnalare il modo
con cui si stanno realizzando concretamente quelle parti della riforma che
maggiormente interessano la FP.
L’intenzione della rivista, anche nel corrente anno, continua ad essere in
particolare quella di una valutazione critica delle riforme, ma anche la pre-
sentazione di quello che sta avvenendo concretamente, nell’intento di pre-
sentare buone prassi a quanti cercano proposte operative concrete per af-
frontare con impegno i mutamenti emergenti.
In quest’editoriale partiremo dall’esame dei classici documenti che ogni
anno descrivono i mutamenti che avvengono nel sistema Italia, cioè il “Rap-
porto ISFOL” e il “Rapporto CENSIS”.
Il Rapporto ISFOL 2000
Anche quest’anno il Rapporto ISFOL 2000 traccia il quadro della situa-
zione del Paese dal punto di vista del mercato del lavoro e dello sviluppo del
sistema formativo.
Nelle considerazioni generali, che danno l’angolatura per la lettura del
Rapporto stesso, si parte dal considerare l’inizio di un secondo tempo della
“partita” riforme. Il primo tempo, quello delle riforme legislative che ridise-
gnano il sistema formativo italiano, è stato completato. Ora occorre mettere
in moto il secondo tempo, quello della sua attuazione, perché sono molti gli
esempi di grandi riforme rimaste di fatto disattese: dopo venti anni la rifor-
ma del sistema formativo italiano, prevista dalla legge quadro 845/78, era
rimasta a metà ed è stata superata senza essere completamente applicata.
Il percorso da compiere è perciò lungo e impegnativo, tenendo presente an-
137
2001Editoriale n. 1
che il grande sforzo che la riforma della scuola e dell’università richiede con-
temporaneamente. La gestione del complesso delle riforme richiederà da
parte della pubblica Amministrazione di non limitarsi a verificare il rispetto
di regole e procedure (funzione di controllo), ma di favorire l’attuazione di
quanto previsto dalle nuove norme (funzione di sostegno e promozione). Per-
ché nasca un sistema nazionale di FP, sarà indispensabile ridefinire le fonti
di finanziamento, che in questi ultimi anni si sono spostate per il 70% sul
FSE, portando alcune Regioni a tralasciare la formazione iniziale per mo-
delli maggiormente finanziati di formazione continua. L’obbligo formativo
impone finanziamenti nazionali e regionali stabili ad organismi con attività
formative istituzionalmente strutturate. In tutto questo secondo tempo della
partita, il decentramento s’impone come nuovo modulo di gioco. Questo
comporta però l’assunzione da parte di tutti di standard e obiettivi comuni
all’interno di un processo di raccordo tra centro e periferia. Inoltre occorre-
rà evitare il rischio che si accresca ulteriormente il divario tra Nord e Sud del
Paese, come si può ora rilevare dal divario di offerta formativa. Le nuove re-
gole entrano in gioco pienamente nel 2001: il nuovo già emerge dal vecchio
nell’apprendistato, nella formazione continua, nella nuova formazione ini-
ziale, nella IFTS, nell’integrazione tra scuola e FP, nella sperimentazione di
nuove certificazioni e nello sviluppo delle deleghe alle Province. Ma conti-
nuano a mancare standard nazionali di riferimento, permangono notevoli
dislivelli tra le diverse zone del Paese, manca un sistema diffuso di valuta-
zione dei risultati conseguiti, i nuovi servizi per l’impiego sono lontani dal
modello prefigurato dalla riforma.
Tutto questo mentre stanno cambiando le dinamiche dell’incontro
domanda offerta di lavoro: infatti, il peso della disoccupazione giovanile si
sposta verso l’alto. Negli ultimi dieci anni il giovane disoccupato tipo è
passato dai 20 ai 25 anni. Un ruolo fondamentale per sostenere il processo di
inserimento nel modo del lavoro dovrà essere svolto dai nuovi servizi per
l’impiego, che però devono percorrere ancora una strada molto lunga per
raggiungere gli obiettivi che la riforma traccia.
Dopo le considerazioni generali, il Rapporto ISFOL si sviluppa, con ab-
bondanza di dati, su tre sezioni: I - Lavoro, professioni, politiche per l’occu-
pazione; II - L’evoluzione del sistema scolastico e formativo; III - Politiche,
iniziative e programmi comunitari.
Il 2000 si è caratterizzato per una buona dinamicità sul versante dei
provvedimenti per il lavoro.
Nel frattempo, si sta portando gradualmente a compimento l’esperienza
dei lavori socialmente utili, mentre è terminata quella delle borse lavoro,
con buoni risultati occupazionali: 55.888 borsisti coinvolti e quasi il 37% di
giovani occupati a sei mesi della conclusione della borsa.
Buoni anche i risultati dei tirocini di orientamento: tra il ‘98 e il ‘99 sono
state coinvolte 5.700 imprese mentre circa il 65% dei soggetti ha trovato
occupazione.
La costruzione di un’offerta formativa integrata costituisce una delle no-
vità più interessanti dell’anno. Dopo l’introduzione dell’obbligo scolastico e
138
la riforma dei cicli, si è giunti all’introduzione del regolamento attuativo per
l’obbligo formativo, fissato al diciottesimo anno di età. Un passo importante
verso la costruzione di un sistema di alternanza tra scuola e lavoro, al quale
sovrintendono i nuovi SPI (Servizi per l’impiego). Tra i percorsi offerti ai
quindicenni in uscita dal sistema scolastico troviamo il nuovo apprendistato,
che entro l’anno 2001 dovrebbe arrivare a coinvolgere oltre 90 mila giovani.
Al termine dell’obbligo formativo il giovane può scegliere di seguire un per-
corso di IFTS. Giunti ormai al secondo anno di sperimentazione, gli IFTS si
avviano a diventare un’importante realtà del sistema formativo italiano, fa-
cendo assumere al percorso di formazione professionale pari dignità rispet-
to agli altri percorsi scolastici.
Tutte queste novità dovrebbero contribuire a far crescere la partecipa-
zione al sistema formativo della popolazione italiana, ancora nettamente
inferiore agli standard dei Paesi dell’UE. In generale si osserva che cresce
il numero di coloro che conseguono un titolo di scuola superiore, mentre per
l’università si preferiscono i percorsi di laurea breve a quelli tradizionali.
Si inizia ad apprezzare anche un progressivo innalzamento del grado di qua-
lificazione del livello di istruzione delle forze lavoro, pur tenendo presente
che nel 1999 la metà di queste ha al massimo la licenza media e che quanti
hanno un titolo di istruzione universitaria sono ancora l’11%.
Ciò evidenzia i netti progressi di un Paese in cui le forze lavoro con di-
ploma o laurea sono passati nel corso degli ultimi dieci anni da poco di più
di un terzo a circa la metà. Progressi che si misurano anche valutando la spe-
sa complessiva per la FP che nel corso di pochi anni è quasi raddoppiata,
passando dai 7.178 miliardi del 1991, ai 12.982 del 1998.
Un impegno del quale si sono fatte carico in particolare modo le Regio-
ni, per le quali si è registrato un forte aumento di spesa. Dal 1995 al 1998,
infatti, si è passati dai 2.263 miliardi di spesa effettiva ai 3.630, con un in-
cremento pari a oltre il 60%. Un aumento che si evidenzia anche prendendo
in considerazione i dati di spesa per forza di lavoro: 100 mila lire nel ‘95,
160 nel ‘98.
Decolla finalmente anche la formazione continua, con l’introduzione
dei voucher individuali e dei congedi formativi. Rilevanti anche gli Accordi
Stato-Regioni in materia di accreditamento delle sedi formative di educazio-
ne degli adulti.
In fine, è partita la nuova programmazione del FSE (2000-2006), grazie
alla quale il nostro Paese potrà contare sulla disponibilità di risorse sia per
attuare l’intero processo di innovazione sopra descritto, sia per accompa-
gnarlo attraverso azioni di sistema destinate a sostenere le amministrazioni
centrali e locali in questo compito così impegnativo.
Rapporto CENSIS
Nelle “Considerazioni generali” la nostra società è definita come sistema
strutturalmente antico, sanamente alternativo, quindi complessivamente affi-
139
dabile. Il Rapporto precisa però che nell’integrazione europea siamo portatori
di uno specifico primato del policentrismo; abbiamo un’economia reale capace
di affrontare la globalizzazione in modo molecolare e di nicchia; il passo
indietro dello Stato imprenditore doveva coincidere con lo sviluppo di uno
Stato, se non minimo, almeno leggero; si va affermando una pericolosa disaf-
fezione per l’interesse collettivo e per i processi di partecipazione sociopolitica.
Nella sezione dedicata ai “Processi formativi”, trattando dell’educazione
in una società orizzontale, il Rapporto rileva la necessità di dare risposte
concrete a quattro ordini di questioni, ancora sul tappeto: la presenza di
forme di analfabetismo funzionale che interessano più del 30% della popo-
lazione adulta ed il 16% di quella giovanile tra i 16 ed i 25 anni; le difficoltà
dell’autonomia e dei suoi operatori a ritrovare un’identità sociale, istituzio-
nale e professionale; le difficoltà dell’università nel trasformare la propria
vocazione e le proprie strutture organizzative da università d’élite ad univer-
sità di massa; la difficoltà cronica a creare un rapporto diretto stabile
tra offerta formativa, servizi per l’impiego e sistema produttivo, capace di
generare risultati concreti e fruibili anche grazie ad un massiccio ricorso
alle nuove tecnologie dell’informazione.
Anche questo Rapporto mette in risalto l’opportunità e la difficoltà che
l’attuazione dell’obbligo formativo fino ai diciotto anni fa sorgere nella fase
attuale, in particolare per quei circa 100.000 giovani che, in media, escono
fuori dal sistema scolastico dopo aver adempiuto l’obbligo. Anche il nuovo
segmento dell’IFTS, insieme alla riforma dell’università e al miglioramento
dei corsi di FP rivolti ai diplomati, mira a dare organicità e maggior aderenza
ai fabbisogni, alla fascia dell’offerta post-diploma.
Conferenza Nazionale del Lavoro
Nei giorni 30, 31 gennaio e 1 febbraio di quest’anno, presso il Palazzo dei
Congressi a Roma, si è svolta la “Conferenza Nazionale del Lavoro” dal signifi-
cativo titolo “Il lavoro che sarà”, promossa dal Ministero del Lavoro e della PS.
La Conferenza si è strutturata in lavori in aula, in sessioni per temi
(cinque), in tavole rotonde.
I grandi mutamenti avvenuti nel modo di lavorare, nelle politiche occupa-
zionali e del lavoro sono stati alla base di questo confronto, voluto anche per met-
tere in rilievo i successi nelle politiche occupazionali di questo ultimo periodo.
Nella Relazione introduttiva, il sottosegretario Raffaele Morese ha esor-
dito con l’affermazione che “la legislatura attuata dal ‘96 ad oggi ha riserva-
to al lavoro grandissima attenzione… non è esagerato sostenere che è stata
una delle più significative legislature ‘pro labour’ della storia repubblicana”.
A partire da questa affermazione esamina i successi e le prospettive del
lavoro nei prossimi anni che rendono il 2000 “uno spartiacque rispetto alla
dura vicenda degli anni ‘90”.
Il lavoro in prospettiva sarà al plurale, come numero di lavori durante la vi-
ta, per cui diventano fondamentali la formazione iniziale e continua, in modo
140
particolare la FP. Ci saranno lavori nuovi e lavori vecchi, che saranno necessa-
ri insieme. Il lavoro sarà nello stesso tempo legato al territorio (locale) e parte
di un sistema globalizzato. Dall’equilibrio derivante da una “flessibilità scelta e
controllata” deriva la possibilità di un lavoro scelto e flessibile. La flessibilità
potrà coniugarsi con la sicurezza, con un sistema di garanzie sociali in un con-
testo riformato. Il lavoro sarà “europeo”, perché, dopo gli anni indirizzati al
risanamento finanziario, è diventato la priorità della politica dell’Unione.
Le sessioni specifiche della Conferenza si sono focalizzate su temi im-
portanti della situazione attuale: gli accessi al lavoro, la società dell’informa-
zione e la qualificazione del lavoro, i nuovi servizi per l’impiego, il lavoro e lo
sviluppo locale, la cooperazione e il non profit. Le sessioni specifiche hanno
occupato una notevole parte della Conferenza e le conclusioni sono state poi
presentate in plenaria.
Le tavole rotonde hanno riguardato il futuro del lavoro, con la partecipa-
zione di Bill Gates (Microsoft), François Nguyem Van Thuan (Pontificia Com-
missione Justitia et Pax), Michel Rocard (Commissione lavoro del parlamento
europeo), Juan Samariva (OIL), la conduzione di Tiziano Treu e le conclusioni
di Cesare Salvi, Ministro del lavoro. La tavola rotonda su “La concertazione e
i protagonisti” ha visto la partecipazione dei rappresentanti delle parti sociali e
l’intervento di Giuliano Amato, Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ad una valutazione complessiva, la Conferenza è risultata importante per
la riflessione su quanto è stato fatto e su quanto si potrà fare in prospettiva;
non altrettanto si può dire sotto il profilo dialettico sia perché sono mancati
completamente i punti di vista e le proposte dell’opposizione, sia perché
sono stati completamente assenti esponenti del centrodestra, anche quelli i
cui nomi comparivano nel programma.
Opportunità e difficoltà della formazione professionale
Dal rapido esame di alcuni contenuti del Rapporto ISFOL, del Rapporto
CENSIS e delle tematiche trattate nella Conferenza Nazionale sul lavoro
si evidenziano opportunità e difficoltà che la FP incontra in questo periodo.
Alcune derivano dal lavorare in un medesimo contesto legislativo nazio-
nale, ma confrontandosi con normative e capacità organizzative regionali
molto diverse. Caso emblematico quello della Puglia, dove le attività forma-
tive per l’anno 2000-2001 non sono ancora iniziate, anzi non vi è ancora
un piano di formazione approvato. Il diritto dei giovani a trovare un’offerta
di FP iniziale per assolvere all’obbligo formativo è in questa Regione pura-
mente teorico, perché coloro che scelgono di assolvere all’obbligo nella scuola
a settembre sono sicuri che le attività iniziano puntualmente, mentre coloro
che vorrebbero scegliere la FP debbono attendere che si risolvano complica-
ti intoppi burocratici. Chiaramente nei primi mesi dell’anno occorrerebbe
programmare l’attività che deve iniziare a settembre, perché i giovani devo-
no al termine dell’obbligo scolastico poter scegliere. Il divario Nord - Sud
anche nella FP è una grande sfida, la cui soluzione non dipende dai finan-
141
ziamenti, che attraverso il FSE sono ben più abbondanti al Sud, ma dalla
capacità della Pubblica Amministrazione delle singole Regioni.
In questo contesto disomogeneo vanno inseriti due problemi importanti
per il sistema formativo: l’accreditamento e il CCNL.
L’accreditamento delle strutture formative sta alla base di un nuovo si-
stema di FP, come era stato già nel ‘96 delineato dal cosiddetto “Pacchetto
Treu”. Gli standard minimi fissati a livello nazionale e approvati dalla Con-
ferenza Stato Regioni dovrebbero delineare un sistema di FP omogeneo a li-
vello nazionale. Ma questo, per divenire realtà, ha bisogno di capacità di in-
novazione sia a livello di Enti di FP ma soprattutto delle Regioni. Il timore è
che un sistema complesso di certificazione possa restare sulla carta e non
realizzarsi concretamente in tutta l’Italia, perpetuando differenze che si ri-
percuotono inevitabilmente sulla qualità della formazione.
Inoltre, un sistema omogeneo di FP regionale è assicurato anche da
un CCNL. Come è noto, il CCNL della FP “convenzionata” è scaduto dal di-
cembre 1997. Nel frattempo, Sindacati ed Enti non hanno potuto avviare il
relativo rinnovo nell’attesa di un quadro istituzionale comune di riferimento.
In primavera dello scorso anno, l’Associazione FORMA, che rappresenta
la maggior parte degli Enti di FP, si è incontrata con i Sindacati Confederali
Scuola con i quali si era stabilito un confronto comune con il Coordinamento
delle Regioni al fine di individuare alcuni punti di riferimento per una piatta-
forma politica che permettesse l’inizio delle trattative. All’incontro, rimandato
al 29/11/2000, era presente il solo Assessore alla FP della Calabria coordinato-
re per la FP delle Regioni, insieme ad alcuni Funzionari di altre Regioni. Suc-
cessivamente, in data 6 dicembre 2000, Sindacati, Enti e Funzionari del Co-
ordinamento delle Regioni sono giunti alla stesura di un documento comune
da sottoporre all’approvazione delle Regioni, dei Sindacati e degli Enti.
Pur in presenza di una Piattaforma di rinnovo contrattuale trasmessa
da tempo dalle OO.SS. agli Enti di FP, non si potevano comunque avviare
le trattative se non a seguito delle procedure concordate tra Enti e OO.SS.
per coinvolgere politicamente il Coordinamento delle Regioni.
A complicare il già difficile percorso delineato, è intervenuto un fatto
nuovo derivante dalla presentazione della proposta di regolamento per l’ac-
creditamento, fatta presso UCOFPL il 18/12/2000, nella quale si prevede che
nell’accreditamento per le sedi operanti nel segmento dell’obbligo formativo
si debba far riferimento al CCNL della FP “convenzionata”, escludendo però
da tale impegno gli interventi diretti ad apprendisti in età di obbligo forma-
tivo. Tale esclusione creava non poche difficoltà nel quadro di riferimento
generale elaborato dagli Enti in accordo con le OO.SS. di categoria.
L’Associazione FORMA esplicitava la propria posizione attraverso apposi-
to telegramma alle OO.SS. interessate rilevando l’impossibilità di iniziare la
trattativa se non a seguito di un chiarimento della questione posta in sede
UCOFPL e alla disponibilità manifestata dal sottosegretario Morese per un
proprio contributo di chiarificazione.
Le OO.SS. di categoria, come è noto, hanno dichiarato strumentale la
posizione di FORMA e hanno richiesto agli Enti di iniziare il confronto sul-
142
la Piattaforma presentata e, a sostegno della richiesta avanzata, hanno in-
detto per gli operatori tutelati dall’attuale CCNL della FP “convenzionata”
uno sciopero di quattro ore per la giornata del 5 febbraio 2001.
La situazione non presenta soluzioni facili. Sono evidenti le difficoltà,
anche economiche, in cui si trovano gli operatori e gli Enti nei confronti del
nuovo assetto del sistema di FP regionale e di riforma di quello dell’istruzio-
ne. D’altra parte, i benefici di un rinnovo contrattuale a livello nazionale, da
tutti auspicabile, sembrano subordinati sempre più da situazioni diversifica-
te tra Regione e Regione.
In alcune Regioni, per esempio, sono ancora vigenti albi di formatori
sulla base dei quali è assicurata dall’Ente pubblico la stabilità del lavoro,
mentre in altre Regioni si finanziano le attività a bando, con la conseguenza
pratica che “una riduzione di attività precedentemente ‘consolidata’ dell’o-
peratore proponente, non dovrà comportare alcun onere aggiuntivo da
parte dell’Amministrazione Regionale” (Direttiva della Regione Piemonte).
Regole rigide eguali per operatori in situazioni così diverse potrebbero
mettere a rischio la sopravvivenza di Enti in alcune Regioni, creando anche
gravi difficoltà agli stessi operatori coinvolti.
Anche da questi pochi cenni, appare evidente come il CCNL della FP può
concorrere a consolidare una stabilità istituzionale di un sistema nazionale
omogeneo di FP, ma nel medesimo tempo pone delle gravi difficoltà nelle
trattative, perché può essere facile per tutti affermare che il nuovo CCNL
dovrebbe essere diverso dal precedente, ma non è facile concretare in un
articolato tale auspicata differenza.
L’articolo 118 della finanziaria
Due gravi problemi erano rimasti aperti per il riordino del sistema di
FP quale era previsto dall’art. 17 della legge 196/97, in seguito alla non
approvazione del Regolamento attuativo: il fondo per la formazione continua
e il riordino degli Enti di FP.
I due problemi sono stati affrontati e risolti con l’approvazione dell’arti-
colo 118 della legge finanziaria per il 2001, prevedendo la costituzione di
fondi di natura privatistica per la gestione delle risorse per la formazione
continua e l’apporto di cento miliardi da destinare alle Regioni per favorire
la ristrutturazione degli Enti di FP in vista particolarmente dell’accredita-
mento delle relative strutture operative. Con questo intervento, unito al
precedente Accordo Stato Regioni per l’accreditamento, la certificazione dei
crediti e la ristrutturazione degli Enti, si può ritenere conclusa la difficile
fase normativa legata alla mancata pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale
del Regolamento dell’art. 17 della legge 196/97.
La sfida ora consiste nel realizzare quanto stabilito.
143
A termine di una legislatura che ha cercato di ammodernare il sistema
educativo italiano e all’inizio di una nuova fase legislativa, potrebbe dimo-
strarsi interessante valutare alcuni aspetti delle riforme e, contemporanea-
mente, le linee di politica formativa e le attività intraprese dalla Federazione
CNOS-FAP, prendendo come base di riflessione i suggerimenti che gli esperti
dell’OCSE avevano dato all’inizio del percorso delle riforme.
Infatti, su richiesta del Governo italiano, l’OCSE ha effettuato negli ultimi
mesi del 1997 un esame della politica scolastica italiana, avvalendosi di un
gruppo di esperti provenienti da diversi Paesi (Australia, Stati Uniti, Spagna,
Francia e Svizzera), al fine di formulare un parere sulle proposte di riforma.
Le informazioni necessarie sono state acquisite attraverso l’analisi e lo
studio della legislazione e dell’organizzazione vigente, oltre che delle proposte
di riforma, la verifica sul campo con visite in scuole e centri di formazione,
la consultazione di rappresentanti del mondo politico, della realtà imprendi-
toriale e sindacale, dell’amministrazione scolastica centrale e periferica.
Il giudizio espresso dall’OCSE al termine della missione è contenuto nel
Rapporto sulla politica scolastica italiana, presentato a Roma il 7 maggio 1998.
Nel Rapporto sono formulate quattordici sintetiche “Raccomandazioni”,
di cui qui riproduciamo alcune parti per confrontarle con quanto è stato
realizzato nella passata legislatura. Seguiamo l’ordine in cui le raccomanda-
zioni sono proposte, limitandoci a quelle che interessano direttamente
o indirettamente la FP (Raccomandazioni 5-9).
Alternanza e apprendistato (Raccomandazione n. 5)
Raccomandiamo che le Autorità italiane predispongano una varietà di forme
flessibili di formazione nell’ambito della scuola, in cui si alternino istruzio-
ne e lavoro. Raccomandiamo, inoltre, la creazione di un sistema formale
di apprendistato in aggiunta all’attuale “apprendistato sul posto di lavoro”.
Tale sistema dovrebbe offrire una combinazione adeguata di apprendimento
di abilità lavorative sia sul posto di lavoro che nell’ambito istituzionale, e
offrire anche una componente significativa di istruzione più generale, por-
tando a tre livelli di qualificazione: la qualifica, la maturità professionale, e
il diploma tecnico post-secondario. Inoltre, nell’istituire un tale sistema di
apprendistato, raccomandiamo la creazione di strutture adeguate per raffor-
zare i legami tra le scuole, gli imprenditori e le loro associazioni.
La 196/97 (Pacchetto Treu) ha legiferato nel settore, sia per quanto
riguarda l’alternanza scuola e lavoro (Tirocini) sia per quanto riguarda
l’apprendistato.
Per quanto riguarda gli stage e i tirocini, l’art. 4 della legge 30/2000 (Ri-
145
2001Editoriale n. 2
ordino dei cicli), in riferimento al triennio della scuola secondaria, al comma
6 precisa: “Negli ultimi tre anni, ferme restando le discipline obbligatorie,
esercitazioni pratiche, esperienze formative e stage possono essere realizzati
in Italia o all’estero anche con brevi periodi di inserimento nelle realtà cul-
turali, produttive, professionali e dei servizi”.
La scuola apre con questo alla possibilità di esperienze di alternanza, pur
prevedendole solo possibili e con una formulazione molto prudenziale (pos-
sibilità che non deve toccare lo svolgimento delle discipline obbligatorie).
La varietà delle forme di alternanza scuola lavoro potrebbero trovare una
loro dimensione territoriale in base ai principi dell’autonomia delle scuole.
Il fatto che la legislazione sui tirocini abbia come sorgente una legge riguar-
dante i problemi del lavoro rendono evidente che la spinta innovativa arriva
non dalla scuola, ma dal mondo del lavoro e dell’impresa. In questo settore
la FP da anni ha attivato periodi di alternanza in tutti i percorsi formativi,
anche nella formazione iniziale. Lo stesso Accordo Stato Regioni sull’obbli-
go formativo prevede nei percorsi di qualifica della formazione iniziale la
presenza indispensabile dello stage. Tra i documenti preparati nel progetto
“Obbligo formativo” del CNOS-FAP e CIOFS/FP uno tende a dare supporti
specifici proprio per la buona riuscita dello stage formativo, mettendo a frut-
to la lunga esperienza maturata negli anni passati.
Riguardo all’apprendistato, la risposta italiana alla proposte dell’OCSE è
stata minimizzante. La 196/97, infatti, si limita a fissare le ore minime (120)
di formazione fuori dall’azienda e a stabilire alcuni contenuti, che saranno
poi definiti in appositi decreti. L’unico obiettivo che si può ricavare da tutto
questo è il tentativo di fornire un innalzamento della base culturale degli
apprendisti. Ma la lettura dell’art. 16 della 196/97 mette in luce che le preoc-
cupazioni sono rivolte più verso politiche occupazionali (facilitazione nel-
l’assumere i giovani). Il fatto poi che il percorso dell’apprendistato sia stato
riconosciuto dall’art. 68 della legge 144/99 come uno strumento per assolve-
re l’obbligo formativo fino ai 18 anni, con l’introduzione regolamentare
di ulteriori 120 ore l’anno di formazione, non modifica sostanzialmente l’im-
postazione. La formazione nell’apprendistato continua a mancare di obietti-
vi precisi, quegli obiettivi che l’OCSE invece metteva ben in evidenza con tre
livelli di qualificazione: la qualifica, la maturità professionale, e il diploma
tecnico post-secondario. Non si parla di qualifica per gli apprendisti nem-
meno nella formazione obbligatoria fino a 18 anni, perché anche le ulteriori
120 ore portano ad arricchimenti culturali nell’ambito delle conoscenze lin-
guistiche (italiano e inglese), matematiche e informatiche. Le realizzazioni
concrete di esperienze di apprendistato in questi anni hanno rilevato dif-
ficoltà e dubbi; inoltre non si è provveduto a prevedere istituzioni che si
specializzassero per la formazione degli apprendisti e, tanto meno, si sono
formati i formatori a intervenire efficacemente con una fascia completa-
mente nuova di allievi. Talora si è avuta l’impressione che fosse più importan-
te, per gli enti pubblici, spendere i finanziamenti previsti e per gli attuatori
accaparrarseli che non per seguire degli obiettivi formativi validi.
146
Istruzione superiore non Universitaria (Raccomandazione n. 6)
Raccomandiamo l’istituzione di un sistema di istruzione superiore non uni-
versitaria quale priorità per dare adito a una gamma più ampia di opzioni ter-
ziarie al fine di favorire la transizione alla vita attiva. All’inizio ci si potrebbe
basare sull’esperienza del diploma universitario in aree quali l’ingegneria e la
gestione, e si potrebbe sfruttare la capacità degli istituti tecnici di sviluppare
corsi di livello terziario, anche nel settore industriale. Queste due componen-
ti dovrebbero essere integrate in un sistema di istituti tecnici superiori indi-
pendenti. Raccomandiamo altresì che, nello sviluppare i dispositivi organiz-
zativi e istituzionali, sia dedicata particolare attenzione alla flessibilità del-
l’offerta, al partenariato con le imprese locali e ai bisogni locali. Inoltre, que-
sti istituti dovrebbero essere promossi in modo che i genitori, gli studenti po-
tenziali e i datori di lavoro diventino consapevoli della loro importanza e del-
la probabilità di maggiori successi sul mercato del lavoro. Il Governo dovreb-
be anche controllarne molto accuratamente lo sviluppo per assicurare che
mantengano il loro fondamentale ruolo professionalizzante ed evitino una de-
riva, assumendo le caratteristiche del sistema universitario tradizionale.
L’istituzione degli IFTS dovrebbe essere la risposta adeguata alla Rac-
comandazione. Soltanto alcune osservazioni per mettere in risalto alcune
anomalie, che potrebbero portare al crollo del tentativo italiano di iniziare
questo tipo di formazione. In primo luogo la titolarità di questi interventi
è stata rivendicata fin dall’inizio dalle scuole superiori. Le prime sperimen-
tazioni hanno avuto come titolari solo le scuole. Molti interventi, perciò, non
hanno avuto un taglio professionalizzante; nemmeno hanno adottato la me-
todologia universitaria, come paventava l’OCSE, ma si sono configurati, co-
me un semplice proseguimento del quinquennio di scuola media superiore.
Inoltre non sono previste strutture che possano specializzarsi nella forma-
zione superiore non universitaria, “in un sistema di istituti tecnici superiori
indipendenti”, come prevedeva l’OCSE.
L’art. 69 della legge 144/99 ha stabilito che, per l’effettuazione degli IFTS,
fossero previsti interventi integrati tra università, scuola, FP e imprese. Non
nasce quindi un sistema di strutture, con sedi, personale, possibilità di crea-
zione di una cultura nel settore, ma una serie di attività finanziate dietro ag-
giudicazione di progetti per bando. Lo svolgimento di ogni attività prevede la
formazione di una “Associazione temporanea di impresa (ATI)” tra i quattro
attori previsti dalla legge. Il più delle volte il mandatario dell’ATI è una scuo-
la. Con questo sistema è assicurato un percorso “integrato”, svolto per la
maggior parte da scuole medie superiori. La dislocazione territoriale delle
attività nel concreto viene a dipendere non dalle necessità del territorio, ma
dalla disponibilità di fondi. Buona parte del finanziamento di tali attività vie-
ne reperito nel FSE; poiché i fondi per le Regioni dell’obiettivo 1 sono molto
maggiori di quelli delle altre Regioni, si troveranno in questi anni un gran
numero di corsi nelle Regioni meridionali e molto di meno in quelle del
Centro Nord. Inoltre risulta difficile capire come si possa creare un vero
sistema di formazione superiore non universitaria attraverso delle ATI.
Il giorno in cui diminuiranno i finanziamenti del FSE la formazione supe-
147
riore non universitaria non troverà più sostegno a livello delle Regioni (tito-
lari di tutta la FP). Inoltre l’interesse delle università a partecipare alla
formazione superiore non universitaria sembra destinato a diminuire, in
quanto, con la creazione di un primo triennio universitario, tale formazione
risulterebbe concorrente a quella universitaria.
Come per l’apprendistato, anche per gli IFTS la strada intrapresa in
Italia risponde alle raccomandazioni dell’OCSE, ma attraverso una struttu-
razione ben diversa da quella suggerita. Le soluzioni concrete adottate dalla
legislazione italiana sembrano dettate maggiormente da esigenze di media-
zione tra la necessità di sperimentare dei percorsi completamente nuovi
e quella di non creare strutture rigide difficili da usare in una fase iniziale.
Se però non si creeranno strutture “visibili” sui territori dedicate alla forma-
zione superiore non universitaria, difficilmente questa, dopo la fase speri-
mentale, potrà consolidarsi, crescere e svilupparsi.
Qualità della formazione (Raccomandazione n. 7)
Raccomandiamo l’istituzione di un sistema nazionale per valutare la qua-
lità della formazione tecnica e professionale, definire standard nazionali ap-
propriati e controllare i miglioramenti istituzionali sulla base di questi stan-
dard. In tale sistema devono essere rappresentate parti sociali a livello loca-
le, regionale e nazionale. La funzione primaria di questo sistema sarà di as-
sicurare la qualità dei programmi di formazione all’interno del sistema sco-
lastico e nel sistema di formazione regionale, in particolare con lo scopo di
facilitare gli scambi e i trasferimenti fra i due sistemi, mantenendo la loro in-
tegrazione e la flessibilità dei percorsi individuali. Un’altra funzione sarebbe
quella di accreditare e di approvare i programmi di formazione creati dalle
iniziative locali, dalle associazioni, dalle imprese e dall’industria, in collega-
mento, per esempio, con lo sviluppo di sistemi di apprendistato.
La raccomandazione sembra in linea con le istanze di qualità, con cui in
questi anni si sono confrontate la scuola e la FP. Quanto al cammino fatto per
istituire un sistema nazionale di valutazione della qualità della formazione
tecnica e professionale con standard nazionali appropriati non sembra si sia
proceduto al di là del rilevamento di buone pratiche nella formazione.
Decentramento e sistema nazionale di qualifiche (Raccomandazione n. 8)
Nel contesto del decentramento alle regioni e della maggiore integrazione
delle varie forme di istruzione professionale e tecnica, raccomandiamo che
sia istituito un sistema nazionale di qualifiche, che questo sistema sia con-
trollato dall’organo istituito per valutare l’istruzione professionale e tecnica e
che sia associato a livelli significativi di studio conseguiti nella scuola post-
obbligatoria. Raccomandiamo, inoltre, che il sistema sia impostato in modo
da permettere agli studenti di accedere a ogni livello di qualificazioni attra-
verso una varietà di percorsi: la scuola, la formazione regionale, l’apprendi-
stato, corsi privati riconosciuti o qualunque combinazione di questi che
risulti appropriato.
148
Quanto a standard nazionali, la difficoltà di una loro fissazione trova
ostacoli notevoli a livello culturale e politico. Già la legge 845/78 aveva pre-
visto la standardizzazione delle qualifiche della formazione iniziale, ma senza
risultato. L’ISFOL ha intrapreso un tentativo di standardizzazione a partire
dalla suddivisione di un percorso in unità formative capitalizzabili (UFC),
incontrando però notevoli difficoltà, poiché tale sistema sembra più adatto
per la formazione continua che per un processo di formazione iniziale, cui si
riferisce l’OCSE. A livello politico, le Regioni in questi anni si sono mostrate
sempre più gelose della loro autonomia anche nel fissare gli standard for-
mativi o nel non fissarli: capita allora di trovare una stessa o simile denomi-
nazione di qualifica, per raggiungere la quale in una Regione bastano 800
ore dopo l’assolvimento dell’obbligo scolastico mentre in un’altra ne occor-
rono 2400. Tali qualifiche risultano evidentemente non confrontabili a livel-
lo italiano e assolutamente incomprensibili a livello europeo. La standardiz-
zazione a livello nazionale è prevista dal DL 112 e nell’Accordo Stato Regio-
ni per l’attuazione dell’art. 17 della legge 196/97. L’enfasi di questi anni sulla
certificazione di unità formative ha avviato il processo più nel senso della
certificazione dei crediti per il passaggio tra sistemi scolastico, universitario
e di FP verso gli standard finali di qualifica professionale. Anche in questo
modo di procedere risulta evidente la scelta concettuale dell’integrazione dei
percorsi formativi piuttosto che la precisazione dei loro obiettivi finali. Già
nella terza Raccomandazione l’OCSE richiedeva “di introdurre una certa
flessibilità negli itinerari degli allievi per far sì che l’istruzione che essi rice-
vono possa adattarsi agli interessi ed ai ritmi d’apprendimento di ognuno.
Tuttavia, vorremmo sottolineare che un’accumulazione di moduli o di credi-
ti non costituisce una istruzione né una qualifica professionale”. Con il siste-
ma delle UFC e dei crediti può sembrare che l’Italia voglia orientarsi invece
verso la costituzione di una qualifica professionale quale somma di crediti e
di UFC realizzate comunque.
La raccomandazione prevede di impostare un sistema che permetta agli
studenti di accedere ad ogni livello di qualificazione attraverso percorsi di-
versi, perciò un sistema di riconoscimento di crediti formativi, ma dopo aver
fissato gli standard finali di qualificazione a livello nazionale. È interessante
notare che in Germania, mentre l’istruzione scolastica è di competenza dei
singoli Länder, il sistema delle qualifiche è fissato a livello federale per ren-
dere possibile la mobilità dei lavoratori su tutto il territorio. In Italia, invece,
la definizione di standard nazionali di qualifica trova difficoltà, anche perché
tale definizione di standard unitari porterebbe ad avere dei percorsi forma-
tivi omogenei su tutto il territorio, impedendo che si formino tanti sistemi
di FP quante sono le Regioni, almeno in quei settori della FP che sono più
sistematici, come la formazione iniziale, la formazione superiore e l’appren-
distato, se si creerà una prospettiva positiva di sviluppo.
149
Garanzie per lo studio e la formazione fino a 18 anni
(Raccomandazione n. 9)
Raccomandiamo che le autorità italiane esaminino in modo più approfondi-
to il loro impegno di offrire una “garanzia” per lo studio e la formazione fi-
no all’età di 18 anni per tutti quelli che lo desiderano e che potrebbero usu-
fruirne. Pensiamo che la realizzazione di tale “garanzia” richiederà misure
speciali nella scuola e sul posto di lavoro perché tutti i giovani possano otte-
nere una qualifica professionale riconosciuta. Raccomandiamo, inoltre, che
vengano individuate strutture per il monitoraggio individualizzato, grazie al
quale rendere effettivo il diritto allo studio a livello locale. E raccomandiamo
anche l’avvio di un’indagine sulle implicazioni di questa “garanzia” dell’i-
struzione fino ai 18 anni per quanto concerne l’organizzazione e i costi della
formazione, il sistema di monitoraggio e i servizi di orientamento, e che ven-
ga istituito un sistema di monitoraggio dei giovani che abbandonano la scuo-
la e del loro inserimento nella vita attiva, in modo che la “garanzia” possa es-
sere realizzata efficacemente.
Con l’istituzione dell’obbligo formativo fino ai 18 anni si può affermare
che, a livello legislativo, l’Italia ha attuato pienamente la Raccomandazione.
La regolamentazione ha trovato anche nei nuovi centri per l’impiego e nei
loro compiti l’istituzione di un sistema di monitoraggio dei giovani che
abbandonano scuola e formazione. Si richiede che tutti i giovani possano ot-
tenere una qualifica professionale riconosciuta: l’assolvimento dell’obbligo
formativo nei percorsi di apprendistato, così come si vengono a configurare,
non prevede il raggiungimento di una qualifica riconosciuta. La struttura
legislativa e regolamentare può essere considerata positiva, ma le realizza-
zioni pratiche risultano lente e difficili.
Conclusione
Per concludere si può affermare che, anche se le raccomandazioni
dell’OCSE costituiscono un autorevole parere, non sono l’unico metro per
valutare quanto avvenuto nel campo della scuola e della FP nella passata le-
gislatura. Tuttavia la loro autorevolezza non può non essere tenuta in conto
senza validi motivi.
In questi anni il sistema educativo italiano è stato interessato da grandi
leggi quadro di riforma: i giudizi su tali leggi possono anche essere discor-
danti tra loro. Il quadro legislativo generale può essere migliorato e cambia-
to, tenendo presente che qualsiasi riforma troverà sempre difficoltà nel-
l’essere accolta e attuata. L’augurio resta che il tema del sistema educativo
italiano nel suo complesso resti al centro dell’attenzione politica nella
nascente legislatura, perché i giovani italiani possano trovare istituzioni
valide che li preparino ad entrare nella vita attiva come uomini, cittadini
e lavoratori preparati adeguatamente per affrontare i rapidi e continui
cambiamenti della società.
150
La legislatura appena iniziata ha portato al cambiamento della maggio-
ranza e, perciò, del governo dalla nazione.
Il nuovo Governo, per quanto riguarda le politiche della scuola e della
FP, ha annunciato elementi di notevole diversità rispetto a quanto maturato
nella precedente legislatura.
L’editoriale tenterà una valutazione di quanto realizzato nella politica
dell’educazione nella passata legislatura e una prima riflessione su quanto
proposto all’inizio della nuova. Inoltre accennerà all’impegno della Federa-
zione CNOS-FAP nella attuazione delle riforme.
Valutazione delle riforme scolastiche e formative
attuate nella passata legislatura
La passata legislatura ha tentato un riforma globale del sistema educativo
italiano, toccando scuola, FP e università.
Le difficoltà interne alla maggioranza, l’opposizione tenace della mino-
ranza e la difficoltà insita nelle questioni hanno fatto sì che venissero utiliz-
zati sovente strumenti legislativi diversificati, che non hanno permesso di
realizzare un quadro omogeneo di riforme.
Solo alcune delle riforme, infatti, sono state varate tramite apposite
leggi, mentre altre, anche importanti, sono state realizzate tramite articoli
di leggi di natura diversa e strumenti di natura regolamentare.
In materia di riforma della scuola, le principali realizzazioni dei Governi
di centro sinistra hanno riguardato l’autonomia delle istituzioni scolastiche,
il riordino dei cicli e la parità.
L’autonomia, introdotta tramite un articolo in una legge di decentra-
mento amministrativo (Bassanini), ha introdotto una radicale trasformazione
nella gestione delle scuole, che ha trovato nella regolamentazione successiva
le norme concrete di realizzazione. L’autonomia delle istituzioni scolastiche,
pur con i limiti di una legislazione nata in un contesto di decentramento,
stabilisce un radicale rinnovamento nelle modalità di gestione delle singole
scuole, che richede un nuovo modo di porsi per tutti i protagonisti del
mondo scolastico.
Una legge apposita ha fissato i cardini del riordino dei cicli scolastici,
rimandando a una specifica programmazione quinquennale la possibilità di
concreta attuazione.
L’inizio della sperimentazione, fissato per il settembre 2001 per i primi
due anni della scuola di base, è stato bloccato sia da provvedimenti di tipo
amministrativo sia dall’intervento del nuovo Governo, che ne ha spostato
151
2001Editoriale n. 3
l’attivazione di un anno e si è impegnato anche nella verifica complessiva
della strutturazione dei cicli.
La parità ha introdotto in Italia il sistema pubblico integrato di scuole
statali e non statali paritarie. Lo scopo della legge è la valorizzazione di
tutte le risorse impegnate nel sistema educativo. La mancanza di adeguati
finanziamenti alle scuole non statali che entrano nel sistema della parità
ha però confermato le difficoltà e lo svantaggio competitivo delle scuole non
statali rispetto alle statali.
La legge relativa all’elevamento dell’obbligo scolastico ai 15 anni ha
trovato, grazie al principio dell’urgenza, immediata applicazione. È la legge
meno significativa dell’intero pacchetto di riforma, che ha affidato l’esigenza
di maggiore istruzione e formazione per i giovani italiani semplicemente
alla frequenza obbligatoria di un anno di scuola secondaria superiore non
ancora riformata. Poiché, nonostante le buone intenzioni, un primo anno
di un percorso quinquennale non può rivestire contemporaneamente una
finalità orientativa e una di inizio di un percorso specifico, la situazione di
quei giovani “costretti a frequentare” un solo anno senza nessun obiettivo
specifico non ha creato in loro molta cultura, ma piuttosto disagio e ulteriore
fuga dall’istituzione scolastica. Del resto, anche prima dell’obbligo fino ai
quindici anni, l’insuccesso scolastico nei primi anni di secondaria superiore
è sempre stato notevole: non si è ovviato a tale stato di cose obbligando ad
iscriversi anche chi non ne avesse intenzione. Per rendere appetibile la fre-
quenza scolastica era necessaria una diversificazione maggiore di percorsi
(ma anche quelli già esistenti della FP dopo la scuola media sono stati esclu-
si a priori) e una loro riforma.
La riforma del sistema di FP non è partita, come si poteva pensare, da
un ripensamento della legge quadro del 1978. Per realizzare la riforma, si è
scelto di introdurre le norme sulla formazione nell’apprendistato, sui tiroci-
ni e sul riordino del sistema di FP nella legge dettante “Norme in materia di
promozione dell’occupazione” (Legge Treu). Tale legge affidava alla regola-
mentazione l’attuazione pratica delle norme. Mentre apprendistato e tiroci-
ni hanno avuto una loro regolamentazione, il regolamento dell’art. 17 che
stabiliva il riordino del sistema della FP, dopo tutto l’iter previsto fino all’ap-
provazione da parte del Governo, non è giunto alla pubblicazione per inter-
vento della Corte dei Conti, che ne ha ravvisato motivi di incostituzionalità.
Accordi tra Stato regioni hanno permesso l’attuazione di parti del contenuto
di tale articolo. Anche successive leggi hanno cercato di rideterminare a ter-
mine quanto previsto dall’art. 17 della legge 196/97.
Le difficoltà hanno per questo indebolito il quadro nazionale della FP,
per cui la situazione è divenuta sempre più dispersiva e diversificata a livello
regionale.
Il sistema attuale della FP a livello nazionale resta determinato dalle
norme della legge quadro 845/78, anche se alcuni articoli sono stati abroga-
ti da Regolamenti o dal D.lgs. 112, di attuazione della Bassanini, alcuni sono
superati da norme e accordi, che non hanno però potuto modificare
l’impianto legislativo.
152
L’introduzione dell’obbligo formativo fino ai 18 anni (o meglio, come
specificato nell’articolo di legge, fino la raggiungimento di una qualifica o
del diploma) ha portato il sistema educativo italiano ad un traguardo im-
portante a livello europeo. Inoltre l’istituzione della formazione superiore
non universitaria tramite i percorsi IFTS ha inaugurato un segmento inesi-
stente nel panorama educativo italiano. Anche queste innovazioni sono
entrate a far parte del patrimonio legislativo italiano, in seguito ad accordi
tra le parti sociali, attraverso una legge di riordino dei sistemi previdenziali.
Non perdono di importanza per questo, ma la strada percorsa per la loro
introduzione suscita la sensazione di interventi non approfonditi a livello
istituzionale e, perciò, non sufficientemente percepiti a livello sociale.
Per concludere, riguardo a quanto realizzato per il sistema della FP nella
passata legislatura, si possono valutare:
• in positivo
– la nascita di un percorso di FP iniziale nell’ambito dell’obbligo formati-
vo, capace potenzialmente di far sorgere un canale educativo distinto
e integrato con quello scolastico per i giovani dai 15 ai 18 anni;
– la sperimentazione di un canale di FP superiore non accademica attra-
verso l’integrazione di scuola, FP, università e imprese;
– la valorizzazione dei tirocini formativi come percorso integrato di
formazione e lavoro;
– l’introduzione della formazione fuori dell’impresa per i giovani in
apprendistato;
• in negativo
– l’impossibilità per i giovani di scegliere i percorsi di FP nel momento
in cui si scelgono percorsi differenziati dopo l’unicità della scuola media
a causa dell’obbligo di frequentare fino a 15 anni la scuola;
– la non omogeneità degli strumenti legislativi usati per riformare il
sistema formativo, regolato dalla legge quadro del 1978;
– la mancanza di obiettivi chiari e concreti da raggiungere al termine
dei percorsi formativi dell’apprendistato;
– la necessità di ATI tra i quattro soggetti interessati per poter attuare gli
IFTS; ciò favorisce una continua progettualità, ma impedisce il formarsi
di competenze e responsabilità consolidate e la creazione di strutture
specifiche accreditate a svolgere attività di FP superiore non accademica.
Le indicazioni programmatiche del nuovo governo
Il Ministero del Lavoro e della P.S., che conserva la responsabilità
dell’orientamento e della FP, all’inizio della legislatura non si è espresso sui
problemi della FP e sui processi in atto (accreditamento, standard nazionali
di qualifica, obbligo formativo, ecc.).
Invece il Ministro dell’Istruzione Università e Ricerca ha tracciato,
attraverso dichiarazioni programmatiche, la via che intende percorrere
il Governo nella legislatura in campo educativo.
153
La riforma del sistema educativo resta proposito fermo del nuovo Governo:
lo stessa sospensione dell’avvio della riforma dei cicli vuole essere l’avvio di
riforme che coinvolgano tutti gli attori principali del processo. Il sistema
educativo dovrà essere “moderno, competitivo ed innovativo... democratico,
aperto, trasparente”. Viene prospettato come sistema “integrato nelle sue
componenti statali e non, per un reale passaggio alla scuola di tutta la società
civile”. L’attuazione di tali obiettivi comporta una ridefinizione del ruolo del-
lo stato centrale, chiamato a divenire responsabile di indirizzo e di governo
del sistema, ma ad abbandonare i compiti gestionali.
Il Ministro si sofferma in particolare sul “punto centrale”, cioè la “neces-
sità di riavviare il processo di riforma” di cicli, sciogliendo alcuni nodi
urgenti, che vengono esplicitati.
Afferma di voler valorizzare, in primo luogo, “la frequenza della Scuola
dell’infanzia triennale ... ai fini del soddisfacimento di almeno un anno
dell’istruzione secondaria”.
L’affermazione sembra, però, in contrasto con lo spirito complessivo
della proposta, che afferma che debbono prevalere sui vincoli procedurali
quelli di risultato. Infatti, quale scopo potrebbe avere questo possibile credito
se non quello di aggirare il vincolo dell’obbligo scolastico fino al 15° anno,
come stabilito della legge 9/99 e ribadito, pur in un contesto diverso, dalla
legge 30/2000? Lo strumento scelto per affermare che, nella prospettiva del-
l’obbligo formativo fino ai 18 anni, lo stesso concetto di obbligo scolastico è
superato sembra piuttosto artificioso e fragile; alcuni giovani, che potrebbe-
ro essere i destinatari privilegiati dei percorsi di FP a 14 anni, ne sarebbero
esclusi per non aver potuto frequentare la scuola dell’infanzia. La valorizza-
zione della scuola dell’infanzia non passa attraverso questa via.
Il Ministro si propone inoltre di costituire un nuovo e più ampio sistema
di FP, di cui è necessario definire “la fisionomia istituzionale”, perché
sia “graduale e continuo ... parallelo a quello scolastico ed universitario dai
14 ai 21 anni”, studiandone “la natura pedagogica, l’identità curricolare”.
La creazione di un percorso di FP parallelo a quello scolastico è già
stato avviato dalla legge 144/99, con la creazione dei nuovi percorsi di FP
iniziale nell’ambito dell’obbligo formativo e di quella superiore tramite l’isti-
tuzione degli IFTS, ma si tratta di un sistema che numericamente tocca
pochi giovani.
L’inizio del percorso a 14 anni presuppone che il termine del percorso
unitario scolastico sia posto a tale età. La proposta di modifica della legge 30,
infatti, prevede il termine della secondaria inferiore al 14° anno (dopo 8
anni di scolarità). Rimane il dubbio sul come sarà superata o reinterpretata
la legge 9/99, che in questi ultimi anni ha impedito proprio l’inizio al 14° anno
dei percorsi di FP. La scelta di percorsi di FP al termine di un percorso
scolastico unitario è comunque una esigenza ineludibile.
Il disegno di creare un sistema di istruzione e FP più ampio e con carat-
teristiche di continuità per i giovani tra i 14 e 21 anni fa pensare sia neces-
sario conglobare in tale sistema gli attuali Istituti Professionali di Stato
e parte di quelli Tecnici. Il percorso ha tre obiettivi di professionalizzazione:
154
la qualifica, il diploma professionale e il diploma superiore. Viene introdotto,
accanto o dopo la qualifica, il “diploma”, usando un termine di chiara deri-
vazione scolastica. Si ha la sensazione che sia fissata una strutturazione
adatta per gli Istituti scolastici che rilasciano diplomi e che potrebbero
confluire nei percorsi di FP per una formazione di base, che sostituisca quel-
la attuale per geometri, ragionieri, periti tecnici, ecc.. Per il raggiungimento
della libera professione in tali settori, infatti, già ora si richiede il prosegui-
mento degli studi nei corsi triennali universitari che, nella proposta attuale,
potrebbero essere sostituiti dai percorsi triennali di FP superiore di durata
fino al 21° anno di età. Probabilmente in questi tipi di percorsi non sarà
utile introdurre una “qualifica” durante il percorso quadriennale che porta
al diploma.
Per l’attuale FP (forse anche per gli Istituti professionali), invece, il per-
corso potrebbe prevedere una prima qualifica dopo tre anni (se si iniziasse
al 14°), che permetterebbe di raggiungere l’obiettivo previsto dalla legge sul-
l’obbligo formativo, la possibilità di una specializzazione (come già previsto
dall’Accordo Stato Regioni per l’attuazione dell’obbligo formativo) e di
percorsi di IFTS paralleli al canale universitario all’interno di CFP o Istituti
scolastici. Gli attuali Istituti professionali necessiterebbero una radicale
riconversione perché in questi anni si sono sempre più avvicinati a strutture
di tipo “liceale”, allontanandosi dal modello professionalizzante che li ave-
vano caratterizzati fino agli anni ‘80: dall’obiettivo di portare a “qualifiche”
triennali direttamente spendibili sul mondo del lavoro, sono passati a quello
del diploma quinquennale simile a quelli degli Istituti tecnici.
L’intenzione di creare un sistema di FP paragonabile a quello scolastico
per il numero dei frequentanti, comprendente un segmento non universita-
rio di formazione superiore merita senza dubbio attenzione. La partecipa-
zione al sistema di FP di Istituti professionali e tecnici darebbe vita ad un
ampio sistema di FP, con forti connotazioni nazionali dovute alla presenza di
istituzioni che attualmente sono “scolastiche”.
La legislazione e la gestione del sistema formativo sarà però regionale,
come riconfermato dalla riforma dell’art. 117 della Costituzione. La riforma
costituzionale, infatti, stabilisce una legislazione concorrente tra Stato e Re-
gioni per “l’istruzione”, “con esclusione della istruzione e della formazione
professionale”, per le quali la competenza rimane soltanto regionale.
Già il D. L. 112 demanda allo Stato centrale la definizione degli standard
nazionali di qualifica, senza parlare di curricoli, mentre le proposte Moratti
si centrano sui curricoli.
L’intenzione del Ministro circa la creazione di un nuovo sistema di FP
senza mai nominare le Regioni fa sorgere qualche dubbio sulla praticabilità
del percorso.
Inoltre, quale futuro sarebbe riservato all’attuale sistema regionale di FP,
fatto di poche strutture pubbliche regionali o provinciali e di CFP gestiti
da enti del privato sociale?
I rilievi fatti ci portano, però, ad augurare al nuovo Governo che la
realizzazione delle riforme intraprese, in modo da fornire strumenti sempre
155
migliori alle giovani generazioni per una loro piena crescita umana,
che faciliti l’inserimento nella vita sociale e nel lavoro.
L’impegno della Federazione Nazionale CNOS-FAP
In un momento di grandi mutamenti del sistema della FP italiana, la
Federazione Nazionale CNOS-FAP ha cercato di fornire supporti al fine
di aiutare i CFP nella realizzazione concreta di quanto la legislazione e la
normazione richiedono.
In primo luogo, d’intesa con il CIOFS/FP, ha proposto un ampio progetto
per la FP iniziale dei giovani in obbligo formativo. Tale proposta ha trovato
buona accoglienza presso molti CFP e ha interessato anche alcune Regioni
ed altri enti. Fornisce, infatti, linee progettuali e supporti operativi conformi
ai contenuti dell’Accordo firmato dalla Conferenza Stato Regioni per l’attua-
zione della legge sull’obbligo formativo.
Nell’anno formativo 2000/2001, con l’inizio della sperimentazione
del progetto, la Federazione ne ha monitorato la realizzazione concreta e al
termine del primo anno ne ha raccolto e valutato i risultati quantitativi.
Il monitoraggio continuerà sulla sperimentazione del secondo anno, racco-
gliendo anche le buone prassi rilevate. Alla fine della sperimentazione
dei due anni di percorso previsti si potrà giungere ad una nuova stesura del
progetto, che tenga conto dei risultati conseguiti sul campo.
Inoltre, sempre nell’ambito dell’obbligo formativo, la Sede Nazionale ha
prodotto un “Dispositivo di validazione delle figure professionali”, a partire
da quelle contenute nel progetto CNOS-FAP e CIOFS/FP. L’iniziativa può
essere un contributo alla definizione degli standard minimi di competenza
previsti dal DM 31 maggio 2001 sulla “Certificazione nel sistema della for-
mazione professionale”. Inoltre, con l’aiuto di un gruppo di formatori,
ha messo a punto un documento sulla prova professionale di qualifica, con
la “Guida alla prova professionale”, da poter sperimentare nel giugno 2002
al termine del percorso biennale della formazione iniziale nell’obbligo
formativo, facilitando la verifica dell’omogeneità della competenze raggiunte
a livello nazionale.
In vista delle procedure di accreditamento regionale delle sedi operative
di FP, la Sede Nazionale del CNOS-FAP ha messo a disposizione delle sedi
della Federazione alcuni strumenti, tendenti a salvaguardare i valori propri
dell’esperienza della FP salesiana. La ricerca sulla formazione dei formatori
alla luce dell’accreditamento delle risorse umane, già illustrata su “Rassegna
CNOS”, ha permesso di conoscere il punto di partenza per un progetto di
fattibilità per l’accreditamento interno delle sedi formative. La “Carta dei va-
lori della formazione del CNOS-FAP” permette di stabilire le basi per tale ac-
creditamento, assicurando la corrispondenza delle attività formative svolte
con gli obiettivi comuni della Federazione.
È stato inoltre predisposto un progetto per l’accreditamento delle sedi
orientative, che può aiutare i Centri che intendono accreditarsi presso le
156
Regioni anche per l’orientamento, come previsto dal regolamento nazionale.
La Federazione Nazionale CNOS-FAP, attraverso queste azioni, non solo
dà un supporto alle proprie sedi, ma sperimenta concretamente quanto le
riforme richiedono, crea supporti per una loro attuazione, ne verifica la
fattibilità e ne valida i risultati, mettendo a servizio di tutto il sistema
formativo quanto di buono viene realizzato.
157
2002
Il cambiamento di maggioranza e di governo avvenuta a seguito delle
elezioni ha frenato alcuni dei percorsi di attuazione delle riforme, intraprese
durante la precedente legislatura.
In particolare il blocco dell’attuazione della legge 30/2000 sul riordino dei
cicli scolastici ha aperto la strada a un nuovo progetto di ristrutturazione
dell’architettura del sistema educativo italiano.
Senza fermare l’attenzione a tutto il sistema educativo, ma soffermando-
ci sulla riforma del ciclo secondario, si può rilevare che la legge 30/99 e
il DdL approvato dal Governo si ispirano a filosofie nettamente diverse.
In particolare è diverso il modo di concepire le relazioni tra il sistema del-
l’istruzione “liceale” e quello dell’istruzione e FP.
La legge 30/2000 prevede la licealizzazione di tutti gli attuali percorsi
scolastici e stabilisce che tutti i giovani percorrano i primi due anni del ciclo
secondario dell’istruzione “liceale”. Solo dal 15° al 18° anno di età, per assol-
vere all’obbligo formativo, i giovani possono scegliere anche percorsi di FP, a
tempo pieno o in alternanza nell’apprendistato (art. 68 della legge 144/99).
Sia nell’ultimo anno dell’obbligo scolastico ma anche nel triennio successivo
la presenza della FP è pensata in funzione di integrazione rispetto ai percor-
si scolastici. Su questo tema basti considerare l’art. 7 del Regolamento
attuativo della legge sull’obbligo formativo, che prevede la qualifica e il di-
ploma attraverso il percorso scolastico integrato. L’enfasi è posta, perciò,
maggiormente sull’integrazione dei percorsi scolastico/formativi che non sul-
l’integrazione dei sistemi scolastici e formativi: il sistema della FP regionale
resta marginale, con l’unica finalità di integrare percorsi scolastici con la
cultura e la pratica del lavoro.
Il DdL dell’attuale Governo prevede, invece, la creazione di un sistema
a doppio canale distinto: quello scolastico “liceale” e quello dell’istruzione
e FP. Strutturalmente diversi come approccio pedagogico didattico, anche se
non separati grazie alle “passerelle” (integrazione a livello di sistema e non
di percorso), mirano all’unico obiettivo della formazione dei giovani ed ad
assicurare a tutti i livelli essenziali di conoscenze e competenze necessarie
per affrontare la vita e il lavoro. Tutto questo presuppone il passaggio dell’i-
struzione professionale e di parte di quella tecnica nel sistema della “istru-
zione e formazione professionale”, al contrario della legge 30/2000 che crea
i licei “tecnici e tecnologici” nel sistema scolastico, senza esplicite finalità
professionalizzanti.
La riforma dell’art. 117 della Costituzione, inoltre, stabilisce per il sistema
dell’istruzione una legislazione concorrente tra potere dello Stato e delle
Regioni e competenza legislativa delle Regioni per il sistema della istruzione
e FP, rimandando a livello nazionale solamente la possibilità di fissare gli
161
2002Editoriale n. 1
standard minimi da raggiungere per assicurare i livelli essenziali garantiti
costituzionalmente a tutti i cittadini. Se per la riforma dei cicli “Berlinguer -
De Mauro” la competenza regionale restava limitata all’esistente FP regionale,
nel caso del DdL “Moratti” tale competenza risulta ampliata a tutta “l’istru-
zione e formazione professionale”. I problemi giuridici e pratici che si pos-
sono intravedere rendono difficile prevedere quale sarà in futuro la struttu-
razione definitiva e complessiva del sistema educativo italiano. Ai problemi
strutturali del ciclo secondario si aggiungono inoltre i mutamenti del sistema
universitario, la creazione del sistema di formazione tecnica superiore non
universitaria e il consolidamento della istruzione e formazione lungo tutto
l’arco della vita.
“Rassegna CNOS” cercherà di intervenire con propri apporti nella discus-
sione in corso; continuerà inoltre a monitore l’attuazione delle riforme già
avviate, in particolare per quanto concerne i percorsi dell’obbligo formativo.
I cambiamenti costituzionali che interessano scuola e FP
La definitiva approvazione attraverso Referendum della legge costituzio-
nale n. 3 di modifica del Titolo 5° della Costituzione ha introdotto novità,
che interessano concretamente il sistema educativo italiano.
La legislazione ordinaria nell’ultima legislatura aveva trasferito una serie
di competenze dallo Stato agli Enti locali, rovesciando il principio che tutta
la legislazione è di competenza statale eccetto quella esplicitamente delegata
ai livelli periferici in quello che tutto è di competenza periferica tranne quello
che è esplicitamente riservato allo Stato.
Questo trova fondamento costituzionale forte, partendo dal principio
di sussidiarietà, in quanto Regioni, Province, Comuni non sono ripartizioni
della Repubblica, ma è la Repubblica che “è costituita dai Comuni, dalle Pro-
vince, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato” (art. 114).
Deriva perciò dal dettato costituzionale il diritto/dovere degli Enti
territoriali di interessarsi del sistema educativo, quasi a ricordare che l’istru-
zione di base è nata dal basso, nei Comuni, prima di essere trasformata
in “statale”.
Anche il nuovo art. 117 della Costituzione introduce novità che riguar-
dano il sistema educativo italiano. Nel fissare quali sono le “materie di legis-
lazione concorrente” esplicita “istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni
scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale”.
In primo luogo si nota che è riconosciuta costituzionalmente, anche se
attraverso un inciso, “l’autonomia delle istituzioni scolastiche”. È recepita
costituzionalmente la più importante tra le novità introdotte nell’ordina-
mento scolastico dalla passata legislatura, dopo i tentativi intrapresi nelle
precedenti legislature e non giunti a termine. L’affermazione dell’autonomia,
che va salvaguardata anche a livello locale, mette in rilievo che né lo Stato,
né le Regioni, né altri Enti locali possono essere i “gestori” unici di una scuola.
L’autonomia è una caratteristica propria delle istituzioni scolastiche ricono-
162
sciuta dalla Costituzione, non “concessa” da leggi e regolamenti. Stato e
Regioni possono legiferare per quanto riguarda la scuola (competenza con-
corrente), ma non possono invadere il campo dell’autonomia delle singole
istituzioni scolastiche.
La competenza legislativa è solamente regionale per quanto riguarda
“istruzione e formazione professionale”: anche in questo caso, almeno per
analogia, fatta salva “l’autonomia delle istituzioni di istruzione e formazione
professionale”. La competenza unica regionale mette in discussione la
possibilità di leggi nazionali, che regolino l’istruzione e FP. Alla legislazione
nazionale spetta la determinazione “dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il ter-
ritorio nazionale”: il diritto alla “formazione” fino al 18° anno è certamente
tra di diritti civili e sociali da garantire su tutto il territorio nazionale.
Il “Rapporto ISFOL 2001”
Come ogni anno, a novembre è stato presentato il “Rapporto ISFOL
2001”. Il sottotitolo del rapporto è “Federalismo e politiche del lavoro”.
Il “Federalismo” nelle politiche del lavoro è frutto di una “certa continuità”
legislativa e normativa, nonostante un cambio di Governo e di maggioranza
politica. Le difficoltà nel passare da una gestione centralizzata ad una ter-
ritoriale delle politiche del lavoro non sono mancate e non mancano: la
moltiplicazione dei titolari di azioni di governo delle politiche del lavoro
necessita di tempi e di strumenti per la sperimentazione e il coordinamento.
Le Regioni hanno ampliato lo spazio loro riservato; le Province sono dive-
nute titolari di azioni prima riservate allo Stato. La legislazione “federalista”
in questo campo ha trovato conferma nello spirito e nelle norme della rifor-
ma costituzionale votata al termine della XIII legislatura e approvata con il
Referendum dell’ottobre scorso.
Il sistema della FP regionale, a causa della Legge Costituzionale e del-
l’insediamento del nuovo Governo, ha iniziato anche una nuova prospettiva
di riorganizzazione, in modo particolare riguarda la formazione iniziale nel-
l’obbligo formativo (DdL Moratti).
Nel frattempo il 2001 ha visto l’emanazione degli ultimi provvedimenti
attuativi della legge 196/97, che hanno trasformato profondamente il sistema
della FP regionale tramite:
– l’istituzione delle Fondazioni per la formazione continua;
– la fissazione degli standard per l’apprendistato in obbligo formativo;
– le norme per l’accreditamento delle sedi formative e orientative;
– la certificazione nel sistema di FP.
La contemporaneità tra percorsi di riforma e di decentramento ha
creato difficoltà e aumentato la disomogeneità a livello territoriale. Ci si può
fare un’idea di questo rilevando la difficoltà di collaborazione tra Regioni,
Province, servizi per l’impiego, scuole e CFP nell’“intercettare” i giovani che
163
164
escono dal sistema scolastico per indirizzarli verso le opportunità di percor-
si formativi previsti legislativamente.
Nonostante le difficoltà, il “Rapporto” segnale le positività:
– il passaggio a regime dell’apprendistato, con opportunità offerte a un sempre
maggior numero di giovani lavoratori;
– il rafforzarsi della formazione tecnica superiore, con numeri di parteci-
panti in continua crescita;
– lo sviluppo dell’educazione degli adulti nei Centri territoriali per l’edu-
cazione permanente;
– la crescita della formazione continua, che rimane però a livelli bassi
rispetto alla media europea.
Dal punto di vista finanziario, la spesa per la FP nel 2000 è cresciuta,
favorendo la diversificazione dell’utenza e dei servizi formativi offerti. Le dif-
ficoltà finanziarie regionali sono riequilibrate sia da interventi statali
(cfr. obbligo formativo), sia soprattutto da interventi comunitari, che coprono
il 70% della spesa per la FP.
Il “Rapporto” si pone l’interrogativo sul come possa definirsi sistema
nazionale una realtà che dipenda quasi totalmente da finanziamenti comu-
nitari: questi dovrebbero essere sussidiari per l’innovazione. La dipendenza
da fondi comunitari porta ad equivoci nel sistema di finanziamento delle
attività a carattere strutturale e ricorrente, che pure rappresentano una pare
significativa del sistema formativo. È quanto sta succedendo per la forma-
zione iniziale per l’obbligo formativo. Le Regioni, per poter accedere al FSE,
la mettono a bando, non tenendo conto del carattere istituzione italiano
e della necessità di creare un canale accreditato e stabile.
La prospettiva futura di un rafforzamento del sistema regionale di istru-
zione e FP, come prevista dal nuovo Governo, mette in evidenza questioni di
fondo irrisolte: tra di esse la grave sfasatura di un obbligo scolastico, che ter-
mina con il primo anno di un nuovo ciclo, pregiudicando un corretto pro-
cesso di orientamento e di scelta dei percorsi da parte dei giovani. Anche la
problematica del rapporto tra i percorsi scolastici professionalizzanti degli
istituti professionali di Stato e i percorsi formativi dei Centri di FP regionali
rimane irrisolta.
Il sistema scolastico lascia intravedere qualche difficoltà in più: ne fa da
spia il tasso di diplomati, che, dopo anni di crescita, rimane stazionario sul
70%, nonostante il lieve aumento dei tassi di partecipazione al complesso del-
la scuola secondaria. Evidentemente al maggior afflusso ai primi anni
della secondaria dovuto alla legge 9/99 corrisponde un più alto abbandono
negli anni successivi.
Fino a questo punto abbiamo seguito le “Considerazioni generali” intro-
duttive al “Rapporto”. Le tre sezioni su cui si sviluppa riguardano “Lavoro,
politiche per l’occupazione e fabbisogni professionali”, “L’evoluzione del si-
stema scolastico e formativo”, “ La strategia europea per l’occupazione, la for-
mazione e la coesione sociale”: queste parti sono arricchite da un gran nume-
ro di dati statistici e di tabelle, che supportano le riflessioni e considerazioni.
Tra i dati merita un commento quello riguardante la formazione iniziale
(I livello o di base, I e II annualità), rivolta ai giovani in uscita dall’obbligo
scolastico. I dati sono relativi al 1999/2000, cioè all’inizio delle problematiche
legate all’innalzamento dell’obbligo scolastico, che ha impedito a una classe
di età di scegliere i percorsi della FP. Gli iscritti risultavano 107.956 ripartiti
su due annualità, perciò circa 54.000 allievi ognuna. Nello stesso anno erano
iscritti al primo anno della secondaria superiore 542.556 allievi, ci cui
133.210 negli Istituti professionali. Gli iscritti al primo anno della FP regio-
nale sono circa la decima parte di quelli nuovi iscritti nella secondaria, ma
oltre un terzo degli nuovi iscritti agli Istituti professionali. La brevità dei per-
corsi di FP, legata alla legge 485/78 che ne fissava la durata massima in 4 ci-
cli da 600 ore massimo ognuno, fa apparire la FP meno scelta di quanto lo
sia realmente. Su 187.000 giovani che scelgono un percorso professionaliz-
zante (Istituto Professionale o FP), quasi il 30% opta per i percorsi della FP
regionale, pari a circa 9% di una classe di età.
Il “35° Rapporto sulla situazione sociale del Paese 2001” del CENSIS
Ci limiteremo ad esaminare brevemente il Capitolo Primo della terza par-
te del “Rapporto”, che prende in esame i “Processi formativi”, soprattutto le
tesi interpretative dei fenomeni evidenziati nel sistema educativo italiano.
Il “Rapporto” mette in risalto come, in linea con i processi in atto in Eu-
ropa, anche in Italia si sono affermati i principi dell’autonomia scolastica,
della centralità dello studente, del decentramento di competenze, della for-
mazione come strumento delle politiche attive del lavoro, nella prospettiva di
un apprendimento lungo tutto l’arco della vita.
Ma il passaggio dai principi all’operatività è bloccata dall’eccesso di for-
malismo, per cui la scansione temporale dei cicli, cioè la pura architettura
del sistema, ha trovato maggior interesse che non i contenuti e gli obiettivi.
Anche la spinta all’autonomia sembra non trovare più stimoli, trovando più
facile realizzare modifiche di struttura (calendari, orari, extracurricolare,
ecc.) che incidere nel modo di fare scuola. L’integrazione tra istruzione-for-
mazione-lavoro ha mortificato le specificità e le finalità ben distinte dei si-
stemi per dare risalto ai tecnicismi dell’integrazione. L’obbligo formativo ha
più bisogno di sedimentazione culturale che di meccanismi coercitivi rivolti
ai giovani.
Il “Rapporto” mette in risalto la necessità di valorizzare i percorsi
professionalizzanti di base del circuito scolastico e formativo, assicurando
la manutenzione dei contenuti formativi.
Resta un obiettivo fondamentale non ancora raggiunto la verifica dei
risultati dell’insegnamento e la valutazione del funzionamento complessivo
del sistema scolastico e formativo.
Il “Rapporto” inoltre mette in evidenza la necessità di ricostruire con-
senso intorno alle istituzioni formative, che sono i soggetti reali sui quali si
basa la valorizzazione del capitale umano, strategico per il cambiamento.
165
Le tesi interpretative fanno da supporto allo studio della rete dei feno-
meni legati a scuola e FP e all’analisi degli indicatori di sistema, che com-
mentano in maniera puntuale i dati afferenti al sistema educativo italiano,
anche in paragone a quelli dei Paesi europei o OCSE.
Il CCNL della FP
L’incertezza sul futuro dell’assetto istituzionale della FP regionale ha por-
tato ad uno slittamento nell’iniziare la trattativa per il rinnovo del CCNL,
scaduto il 31 dicembre1997 e pesa sull’andamento della contrattazione. Su
alcuni punti si sono raggiunti accordi (orario di lavoro, adeguamento delle
retribuzioni e, in particolare, la necessità di una parte di contratto di com-
petenza regionale). Le disomogeneità regionali, il passaggio dall’affidamento
diretto delle attività “convenzionate” alle modalità concorsuali dettate dal-
l’uso quasi esclusivo di risorse derivanti dal FSE, le diversificazioni delle
azioni formative sviluppate da uno stesso soggetto erogatore hanno creato la
necessità di un mutamento di approccio contrattuale. Tutto questo non ha
permesso di concludere la trattativa, anche se la durata del contratto sarà
breve, essendo prevista la scadenza a giungo del 2003, quando sarà obbliga-
torio per tutte le istituzioni che sono interessate a lavorare nel campo della
FP l’accreditamento regionale. L’accreditamento, però, non richiede, se non
per le azioni da svolgere nell’ambito dell’obbligo formativo, di adottare il
CCNL della FP. Questo fatto crea notevoli problemi nel configurare il nuovo
CCNL, perché gli Enti di FP che usano tale contratto continueranno a
doversi confrontare nell’ambito della formazione superiore e continua con
agenzie che adottano modelli contrattuali meno costosi e più flessibili.
166
Al blocco dell’attuazione della riforma dei cicli voluta dai governi di
centrosinistra della scorsa legislatura ha fatto seguito una nuovo proposta di
legge, che ha iniziato il suo iter parlamentare e anche il tentativo di speri-
mentare in alcune Regioni dei percorsi nuovi triennali di FP, che prefigurino
la costituzione di un sistema regionale di istruzione e FP.
Inizio dell’iter parlamentare del DdL Moratti
alla Commissione Cultura del Senato
Il DdL 1306 (“Delega al Governo per la definizione delle norme generali
sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia d’istruzione
e di formazione professionale”) ha iniziato il suo iter parlamentare nella VII
commissione del Senato. Alla conclusione della discussione generale, prima
della presentazione degli emendamenti, il Ministro dell’istruzione università
e ricerca Letizia Moratti è intervenuta per rispondere agli interrogativi che i
Senatori avevano espresso nel corso del dibattito.
Alcune risposte possono chiarire quali sono gli intenti che il Governo
vuole perseguire con il DdL delega in discussione: ci soffermiamo sulle
risposte riguardanti il tema dell’istruzione e FP.
Evidenziando quanto espresso dal senatore Favaro nella discussione in
Commissione, il Ministro afferma che “in Italia la mancanza di una valida al-
ternativa agli studi liceali ha privato troppi giovani di opportunità di forma-
zione che valorizzassero le loro inclinazioni, attitudini e capacità e consen-
tissero loro di mantenere un rapporto positivo, perché utile per il loro avve-
nire e perché attento ai loro progetti, alla loro intelligenza e alle loro aspet-
tative, con il sistema di formazione. È avvenuto, invece, che i ragazzi, co-
stretti alla frequenza dell’unico canale liceale o di scuole licealizzate... ab-
biano preferito abbandonare completamente gli studi ed alimentare quella
dispersione scolastica, e da qualche anno anche formativa, che rappresenta
il vero punto di crisi del sistema italiano e che ne minaccia la credibilità e la
legittimità presso i giovani e le loro famiglie. Da questo punto di vista l’ob-
bligo scolastico, se disgiunto da un vero successo educativo è un non senso”.
Queste affermazioni sono in sintonia con quanto “Rassegna CNOS” in
molti interventi ha sostenuto; anche le ricerche hanno messo in evidenza che
le pari opportunità di istruzione e formazione per i giovani non si realizzano
offrendo a tutti percorsi scolastici con un unico approccio metodologico,
ma allargando il ventaglio delle opportunità.
Afferma sempre il Ministro: “Se si vuole innovare profondamente l’offer-
ta di formazione, si devono comprendere i giovani e le loro scelte, ... bisogna
167
2002Editoriale n. 2
offrire loro quell’opportunità educativa che è stata loro negata. Non è affat-
to detto che questo possa avvenire obbligandoli a rimanere più a lungo a
scuola, ... Al contrario, ... introducendo flessibilità e differenziazione dei per-
corsi di istruzione e formazione nei modi, nei tempi e negli sbocchi, si offre
agli studenti una reale possibilità di personalizzazione del progetto formati-
vo di ciascuno... Nel provvedimento in discussione, il sistema amplia la gam-
ma dell’offerta formativa consentendo ai giovani di conseguire qualifiche e
diplomi professionali che rispondano ai loro bisogni e alle loro aspettative a
partire dal quattordicesimo anno di età”.
La risposta del Ministro prende avvio da interventi di Senatori che pre-
sentano i percorsi di FP come un puro addestramento, rivolto a preparare la-
voratori a bassa qualificazione in funzione di richieste aziendali, senza nes-
suna preoccupazione culturale. Questi Senatori paventano perciò che un ini-
zio precoce di tali percorsi possa impedire quella formazione culturale, che
è un diritto vero di ogni giovane. Il loro punto di vista, inoltre, parte dal con-
cepire come cultura solo quella di matrice letteraria umanistica, ritenuta co-
me unica valida nella tradizione italiana.
Ma il tenere i giovani nelle aule non basta per aumentare la loro cultura:
già tra coloro che terminano i percorsi dell’attuale scuola media inferiore si
trovano ragazzi culturalmente regrediti, pur rimanendo tra i banchi, anche
relativamente a quanto avevano appreso nella scuola elementare.
La possibilità di scegliere tra percorsi mirati diversi a 13 anni tra un “liceo
classico” e un “liceo tecnico tecnologico”, come è stabilito dalla legge 30/2000,
non aveva creato problemi di “giovane età” o “immaturità” per scegliere.
Se invece si tratta della scelta di un percorso di FP, l’incapacità del ragazzo di
scegliere diventa manifesta e l’età giovane diviene un motivo grave per impe-
dire le scelte. Qualsiasi scuola va bene e si può scegliere (per definizione pre-
para culturalmente), mentre scegliere un percorso diverso no (almeno occor-
re arricchirlo culturalmente, preferibilmente in integrazione con la scuola!).
Se la scelta dei percorsi differenziati non può essere fatta nello snodo in cui
tutti i ragazzi sono chiamati a scegliere, la FP, con i suoi percorsi, dovrà con-
tinuare ad accontentarsi degli espulsi dal sistema scolastico, come avviene già
ora in conseguenza del termine dell’obbligo scolastico dopo un anno di se-
condaria superiore. Da tale percorso scolastico, si è costatato, esce solo chi
espulso. Si teme che, con la scelta precoce, si venga a costruire un percorso di
FP di serie B rispetto a quello scolastico; con tale paura si finisce per creare
un percorso di FP di serie C, chiamato al puro ricupero del disagio sociale
e del fallimento scolastico.
Il Ministro afferma che “si lavorerà perché non ci siano offerte statali
di serie A e offerte regionali di serie B, alcune di spessore culturale ed edu-
cativo e altre no. I saperi di base, che attualmente sono previsti nel percorso
dell’obbligo scolastico, verranno previsti e rafforzati anche nei percorsi di
istruzione e formazione professionale. Queste gerarchie e queste distinzioni,
infatti, vanno superate per approdare ad un sistema educativo della Repub-
blica che veda concorrere, per la migliore istruzione e formazione possibile
dei giovani, Stato e regioni, licei e istituti professionali, ma anche centri di
168
formazione professionale... in linea con i nuovi standard qualitativi di cui lo
Stato si renderà garante”.
“Ogni percorso, al di là della durata, consentirà accessi ad un livello
superiore di istruzione e di formazione. Infatti, ..., si lavorerà ... per creare
percorsi di formazione professionale superiore, culturalmente e qualitativa-
mente validi...”. Rassicura, inoltre, “che il nuovo quadro istituzionale ri-
conoscerà ai centri il giusto ruolo nell’ambito del sistema educativo di
istruzione e di formazione, affinché ci sia la necessaria valorizzazione delle
esperienze migliori nei diversi settori della formazione professionale, mira-
bilmente curati dai medesimi centri.”
“Inoltre, i ragazzi dovranno sapere che nessuna scelta da loro effettuata nel-
le diverse fasi di formazione sarà mai irreversibile”.
Le affermazioni del Ministro mettono in risalto che, negli interventi fatti
in Commissione, è ritornato vivo il dubbio sulla qualità dei percorsi di FP,
quasi che qualsiasi percorso non scolastico sia privo di spessore culturale e
per questo da ritardare il più possibile. Anche i percorsi di formazione supe-
riore, che dovrebbe divenire “culturalmente validi”, lasciano intravedere la
difesa dei percorsi universitari, ritenuti i soli validi, mentre gli altri percorsi
di formazione superiore non hanno che scarsa visibilità, al di là del loro
riconoscimento giuridico.
Due culture si congiungono nel ritenere i percorsi scolastici e universita-
ri come gli unici modelli possibili: la cultura che ha accompagnato l’unità
d’Italia, che ha cercato di realizzare il “fare gli italiani” attraverso percorsi
scolastici omologati e “statali” (perciò controllabili quanto a contenuti e mo-
delli) e la cultura marxista, che ha da sempre interpretato l’uguaglianza del-
le opportunità come offerta di un medesimo percorso capace di impedire gli
effetti delle differenze sociali per il maggior tempo possibile. Oltre cento an-
ni di scuola omologata sul territorio nazionale non ha impedito la nascita di
forti regionalismi e tendenze separatiste; le differenze sociali, invece di di-
minuire grazie a una scuola media inferiore unificata e ad una superiore
completamente licealizzata (i percorsi tecnici e professionali si limitano in
troppi casi a trasmettere solo conoscenze), si sono rese ancora più evidenti,
specialmente nelle zone deboli d’Italia.
La nuova strutturazione dei percorsi educativi proposta dalla legge non
risolve da sola i problemi, ma parte dal principio che la differenziazione del-
le offerte per dare ad ognuno la possibilità di crescere culturalmente nel
modo più congeniale sia più efficace del tentativo di omologazione di tutti i
percorsi. E questo non deriva essenzialmente dalle necessità del mercato del
lavoro, di cui bisogna tenere conto anche nel progettare percorsi scolastici,
ma dalla necessità di permettere a tutti i giovani di poter soddisfare l’obbli-
go di formarsi fino a 18 anni, trovando percorsi adatti ad ognuno. L’unica
via dei percorsi di tipo liceale, per di più selettiva in base a parametri che va-
lorizzano soltanto alcune capacità di una persona, rende vano il diritto/do-
vere di formarsi. Un percorso, che parta dall’esperienza pratica per giungere
alla riflessione e all’apprendimento teorico, risulta incomprensibile all’attua-
le élite culturale italiana, anche se storicamente fa parte della tradizione
169
italiana la formazione di grandi artisti e geni attraverso l’esperienza concreta
delle botteghe.
Parlando dei percorsi in alternanza scuola/FP e lavoro, previsti dopo il 15°
anno, il Ministro afferma che “... il processo di apprendimento deve avvenire
anche in un terreno diverso, quello del lavoro, che non è di per sé un’esperienza
formativa ..., ma può rappresentare, se opportunamente organizzato nell’ambi-
to di un progetto formativo, una via di emancipazione per molti giovani.
Si tratta di una modalità di apprendimento, ampiamente adottata con buoni ri-
sultati in altri Paesi e che, come tale, dovrà essere offerta anche a chi frequenta
il liceo”.
Sul significato della cultura del lavoro nel contesto educativo erano sor-
te polemiche già a riguardo del documento che il Ministro Berlinguer aveva
predisposto come base di discussione in vista della prima stesura del disegno
di legge, poi approvato come legge 30/99. È il segno della separazione e, ta-
lora, contrapposizione tra scuola e lavoro, partendo anche da una concezio-
ne “gratuita e per questo elitaria” dell’istruzione e formazione.
Molti giovani, quando si cerca di far loro apprendere qualcosa, pongono
come prima domanda: “A che cosa serve?”. Su tali giovani le motivazioni
astratte e culturali non fanno presa, anche quando sono dotati di intelligen-
ze vivaci, che li potrebbero portare a notevoli successi nella vita e nel lavoro.
Anche questi hanno diritto alla formazione fino al 18° anno, ma devono po-
ter trovare approcci alla cultura e metodologie educative diverse da quelle
che un liceo deve assicurare. Anche l’esperienza lavorativa può entrare a far
pare di un percorso educativo, purché lo si sappia organizzare in modo da
valorizzarla al meglio.
Percorsi sperimentali di formazione professionale
Il DdL di delega al Governo per la definizione delle norme generali sul-
l’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia d’istruzione e
di FP tende a valorizzare le diversità dei giovani, dando loro la possibilità
di percorsi formativi differenziati a partire dal 14° anno di età.
Risulta perciò importante progettare modelli dei possibili percorsi diffe-
renziati rispetto a quelli scolastici e cercare di sperimentarli. Opportuna-
mente monitorati, possono prefigurare i percorsi di “istruzione e formazio-
ne professionale” di competenza regionale, che i giovani potranno scegliere
al pari dei licei al termine dei percorsi unitari di istruzione. I giovani che li
scelgono non solo raggiungono gli obiettivi dell’obbligo scolastico fino al 15°
anno e assolvono all’obbligo di formazione fino al 18°, ma hanno in seguito
la possibilità di continuare la loro preparazione nei percorsi di FP superiore.
Le affermazioni di principio e le decisioni legislative sono importanti, ma
solo la sperimentazione dei percorsi può evidenziare i punti forti e quelli de-
boli di un percorso formativo.
Negli anni passati il CNOS-FAP e il CIOFS/FP hanno predisposto un pro-
getto per i giovani in obbligo formativo, hanno fornito sussidi per la sua
170
realizzazione, lo hanno realizzato nei loro CFP e in quelli di altri Enti in
diverse regioni, ne hanno monitorato la sperimentazione.
A partire da tale esperienza, l’Associazione FORMA ha deciso di proget-
tare un percorso sperimentale di FP, che prefiguri la situazione che verrebbe
a delinearsi, per quanto riguarda i percorsi di istruzione e FP, nella prospet-
tiva del DdL del Governo. Per questo ha interessato le Regioni, che sono le
responsabili istituzionali di tale percorso: alcune di queste hanno mostrato
interesse per la sperimentazione.
Le difficoltà maggiori alla realizzazione di percorsi che iniziano al 14°
anno di età dei giovani nascono dalla applicazione della legge 9/99, che
impedisce la scelta di percorsi di FP prima dell’assolvimento dell’obbligo sco-
lastico al 15° anno di età. Per superare tale difficoltà, partendo da quanto
sancito all’art. 7 del Decreto Ministeriale 9 agosto 1999 n. 323, sono necessari
accordi e convenzioni con le scuole superiori. La Regione Lombardia, che
per prima si è proposta di sperimentare l’attuazione di tali percorsi, ha
firmato un Accordo sia con il MIUR sia con MLPS, per iniziare già da
settembre. L’Accordo prevede che, tra nella possibilità di certificare i crediti
maturati nei percorsi sperimentali, “una prima iniziativa può riguardare
la sperimentazione dell’assolvimento dell’obbligo scolastico nei percorsi di
formazione professionale, assicurando nell’arco di tali percorsi l’acquisizio-
ne di crediti corrispondenti a quelli previsti per l’assolvimento dell’obbligo
scolastico”.
La Provincia autonoma di Trento ha seguito lo stesso esempio, con un
suo Accordo. La sua ampia autonomia, riconosciuta anche nella legge 9/99,
le aveva già permesso, anche dopo l’innalzamento dell’età dell’obbligo scola-
stico, di attuare percorsi di FP ad iniziare dal 14° anno.
È opportuno che la sperimentazione possa iniziare anche in altre Regio-
ni, perché si abbia possibilità più ampia di monitoraggio e valutazione in si-
tuazioni territoriali diverse.
Le normative sull’obbligo formativo e la realizzazione concreta di per-
corsi hanno dato inizio ad un sistema regionale di FP iniziale, che ha come
obiettivo di portare i giovani a raggiungere una qualifica in due anni, con la
possibilità accedere un terzo anno di specializzazione, come previsto dal-
l’Accordo Stato Regioni del 2 marzo 2000; la nuova sperimentazione prefi-
gura una strutturazione ancora più valida di tale sistema.
Al livello nazionale resta il compito di fissare gli standard minimi finali
per tali percorsi, perché venga assicurato a tutti i giovani, al di là delle collo-
cazioni regionali, il raggiungimento di obiettivi equivalenti.
Nella sezione “Monitoraggio delle Riforme”, “Rassegna CNOS” pubblica
sia il testo dell’accordo Regione Lombardia, MIUR e MLPS sia una sintesi
delle linee guida del progetto, per estenderne la conoscenza e appoggiarne la
diffusione in altre Regioni.
171
Seminario su “Istruzione e formazione professionale
alla luce della riforma”
Il 31 maggio 2002 il Centro Studi Scuola Cattolica (CSSC) e l’Associazio-
ne FORMA hanno organizzato, in collaborazione con gli Uffici nazionali del-
la Conferenza Episcopale Italiana (CEI) per “L’educazione, la scuola e l’uni-
versità” e per i “Problemi sociali e il lavoro” un seminario di riflessione sugli
scenari emergenti dalle riforme del sistema educativo italiano e sulle pro-
spettive di sperimentazione dei nuovi percorsi per la FP. Le relazioni e la ta-
vola rotonda hanno cercato di mettere in luce le prospettive che emergono
sia dalla riforma costituzionale, sia dalle indicazioni che sono alla base del
DdL di riforma della scuola.
Il Prof. G. Garancini ha tracciato il quadro istituzionale nel quale si de-
ve muovere l’istruzione e la FP sulla base del nuovo dispositivo dell’art. 117
della Costituzione; il prof. G. Bocca ha illustrato il valore della cultura del
lavoro nei nuovi progetti educativi per l’istruzione e la FP; il dott. D. Nicoli
ha infine illustrato il progetto elaborato da “FORMA”, per la costruzione di
un percorso di FP, autonomo dai percorsi scolastici, che possa essere offerto
ai giovani dai 14 ai 21 anni, con tappe intermedie e titoli, che consentano
sia il passaggio al mondo del lavoro sia crediti per il passaggio ai percorsi
liceali o universitari.
La tavola rotonda, moderata dal prof. M. Colasanto, ha messo a
confronto le opinioni del dott. E. Gandini, presidente di FORMA, dell’on.
P. Viespoli, sottosegretario al MLPS, dell’on. V. Aprea, sottosegretario MIUR,
del prof. G. Manzini, responsabile scuola della “Margherita”, del prof. C.
Dall’Aringa, Presidente dell’ISFOL, e del dott. M. Bassi, vice direttore gene-
rale del settore formazione, istruzione e lavoro della Regione Lombardia.
Il dibattito si è arricchito del contributo di molti presenti, che hanno appro-
fondito i temi proposti.
La riflessione maturata permetterà agli Uffici CEI di accompagnare
le istituzioni scolastiche e formative in questo momento di mutamenti isti-
tuzionali con una maggiore conoscenza delle opportunità e delle difficoltà
che si presentano.
Concludendo il seminario, il Direttore dell’Ufficio Nazionale CEI per la
cultura, la scuola e l’università don B. Stenco ha confermato l’importanza di
introdurre un percorso di FP graduale e continuo, parallelo a quello scola-
stico e universitario dai 14 al 21 anni. Ribadendo la specificità del percorso
per il suo approccio metodologico, che parte dagli interessi soprattutto lavo-
rativi degli allievi, ha sottolineato l’importanza dell’avvio della sperimenta-
zione proposta da FORMA, che supera anche le difficoltà di quegli adole-
scenti che in questi anni, a causa del dispositivo della legge 9/99, sono stati
costretti a non scegliere i percorsi di FP, anche quando l’avrebbero voluto co-
me risposta alle proprie inclinazioni.
172
L’attenzione delle Regioni per la FP
L’iter di contrattazione per il rinnovo del CCNL della FP ha avuto un bat-
tuta piuttosto lunga di arresto, legata alla difficoltà di ricercare una soluzio-
ne al problema di assicurare una protezione ai lavoratori del sistema della FP
regionale che, a seguito di crisi occupazionali o di ristrutturazioni, rimango-
no senza lavoro. Nei precedenti CCNL era assicurata, per gli operatori iscrit-
ti in un apposito albo regionale, la conservazione del posto di lavoro nel ca-
so di crisi aziendali o esuberi attraverso l’istituto della mobilità. Solo alcune
Regioni, però, hanno adottato le procedure previste dal CCNL, mentre altre
non hanno gestito la mobilità degli operatori in casi di esubero e crisi.
Nelle stesse Regioni in cui è stato attivato, l’albo degli operatori è normal-
mente ad esaurimento, cioè assicura l’intervento regionale solo per gli as-
sunti entro date stabilite: per gli altri operatori la Regione non interviene.
L’articolo dei CCNL, invece, prevede le medesime procedure di mobilità
per tutto il personale, senza distinzione di Regioni. Già l’ultimo contratto,
a seguito delle difficoltà di applicazione, prevedeva una procedura di supe-
ramento dell’istituto mobilità, ma non se ne era fatto nulla.
L’opportunità di estendere anche agli operatori della FP gli ammortizzatori
sociali previsti per altre categorie di lavoratori, in base al DdL in discussione
in Parlamento, ha spinto le organizzazioni sindacali nazionali e i rappresen-
tanti degli enti di FP a richiedere un incontro con il Coordinamento degli
Assessori, con lo scopo di richiedere il loro intervento presso il Governo
per rendere possibile l’estensione degli ammortizzatori sociali ai lavoratori
della FP.
La delegazione degli Enti di FP è stata ricevuta dal coordinamento degli
Assessori regionali della FP e ha loro illustrato le difficoltà che il sistema
degli Enti di FP sta incontrando nella sua trasformazione, riorganizzazione
e risanamento, con le possibili conseguenze in campo occupazionale, ma
anche le nuove opportunità che, a partire dall’istituzione dei percorsi di FP
per l’assolvimento dell’obbligo formativo, possono contribuire a riorganizza-
re e rafforzare il sistema regionale di FP. Le OO.SS. sono state, a loro volta,
ricevute dal Coordinamento.
A seguito degli incontri avvenuti, il Coordinatore nazionale degli Asses-
sori di FP Scoppelliti ha inviato una lettera al Ministro del Lavoro e delle P.S.
per esprimere il punto di vista delle Regioni sul momento che il sistema for-
mativo sta attraversando e richiedere l’intervento del MLPS. La lettera, a par-
tire dalla necessità di “potenziare e qualificare l’offerta formativa regionale”
in vista dell’accreditamento, esprime la necessità di qualificare e riconverti-
re il personale dipendente dagli Enti gestori. “Ma come a volte avviene nelle
fasi di ristrutturazione, si potrebbero verificare anche ricorsi alla mobilità
nonché veri e propri esuberi”. Per questo “riteniamo necessario che nella leg-
ge di modifica sugli ammortizzatori sociali, in discussione in questi giorni in
Parlamento, sia esplicitamente prevista l’estensione ai lavoratori di questo
settore delle forme di tutela e di sostegno che si andranno a definire per gli
altri lavoratori. Ciò costituirà, inoltre, un ulteriore importante tassello a fa-
173
vore della costruzione di un sistema nazionale di formazione professionale,
nel momento in cui ai lavoratori del settore sono riconosciuti gli stessi dirit-
ti dei lavoratori degli altri comparti”. La lettera ribadisce l’intenzione
degli Assessori alla FP di gestire, nel periodo transitorio, i problemi di mobi-
lità del personale attraverso i fondi del decreto della ristrutturazione delle
strutture formative.
Oltre che a facilitare la ripresa delle trattative per il rinnovo del CCNL
della FP, l’incontro con il coordinamento degli Assessori e la loro richiesta
finale espressa nella lettera al Ministro di un confronto tra “Ministero del
Lavoro, Regioni, OO.SS ed Enti gestori per definire nuove regole contrattuali
degli Enti che vorranno accreditarsi per l’obbligo formativo” apre la strada
alla ripresa di incontri istituzionali, in vista del superamento della debolez-
za di un sistema di FP, che tende a sfilacciarsi in tanti sistemi diversi quante
sono le Regioni italiane.
L’esplicito richiamo all’obbligo formativo, inoltre, mette in luce l’inten-
zione di attuarlo in tutte le Regioni, creando il fondamento su cui costruire
il resto del sistema di FP italiano.
174
Merita in questo periodo essere attenti a quanto si sta muovendo a livello
di Governo e di Parlamento, ma anche a quanto nelle singole Regioni si
sta attuando. Certamente la riforma costituzionale e il DDL Moratti aprono
nuovi spazi di competenza alle Regioni e chiedono agli Enti che operano nel-
la FP un impegno costante di rinnovamento organizzativo e metodologico.
I nuovi traguardi della formazione professionale
Il dibattito sulle riforme in atto nel sistema scolastico e formativo in questi
anni ha trovato in “Rassegna CNOS” la dovuta attenzione: sugli scenari
presenti e futuri si sono incentrate le riflessioni di molti editoriali e articoli.
Il CNOS-FAP, insieme ad altri Enti, ha sostenuto e realizzato sperimen-
tazioni concrete per valutare la percorribilità delle proposte emerse nel dibatti-
to culturale e politico.
Il presente editoriale propone alcune riflessioni sintetiche, a partire
anche dal modello educativo e culturale che emerge dalla sperimentazione
del progetto del CIOFS/FP e del CNOS-FAP per l’obbligo formativo, sui prin-
cipali aspetti di sistema che le riforme istituzionali stanno delineando e sui
modelli organizzativi di cui gli organismi formativi si stanno dotando.
Le riflessioni e le proposte operative sugli scenari suddetti portano ad
alcuni convincimenti che trovano esplicitazione in un volume appena pub-
blicato dal CIOFS/FP e dal CNOS-FAP e che sono qui sintetizzati.1
I due Enti, infatti, avvalendosi anche della consulenza stabile di esperti
del mondo accademico e del mondo del lavoro, hanno affrontato il cambia-
mento in atto promovendo iniziative e sperimentazioni soprattutto nell’am-
bito della Formazione Professionale Iniziale (FPI), nel complesso processo
organizzativo delle sedi formative e orientative e nell’ambito della formazione
delle risorse umane alla luce dell’accreditamento e della certificazione
di qualità, per il rinnovamento del sistema.
La FPI ha acquisito una propria autonomia e identità attraverso la pro-
gettazione di percorsi professionalizzanti e, al tempo stesso, le caratteristiche
delle politiche attive del lavoro. La FP ha, quindi, una dimensione educativa
e personalistica e una funzione di servizio allo sviluppo economico. Così in-
tesa, la FP può essere collocata a giusto titolo come una componente del pac-
chetto dei diritti di cittadinanza: giacché nessuno stato sociale può oggi pro-
mettere credibilmente di garantire a tutti i cittadini l’occupazione, diventa
175
2002Editoriale n. 3
1 CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Dall’obbligo al diritto di tutti alla formazione: i nuovi
traguardi della formazione professionale, Tipografia Pio XI, Roma, 2002.
decisivo l’impegno nel fornire e aggiornare le competenze professionali ne-
cessarie per trovare, conservare ed eventualmente ritrovare un’occupazione.
In Europa, la FP è riconosciuta come parte legittima e non sussidiaria
dell’offerta formativa complessiva (è parte del sistema di education), come
un canale di pari dignità rispetto a quello scolastico. Tale possibilità viene
vista come un ampliamento reale del diritto alla formazione dei cittadini, in-
teso come diritto al “successo formativo” da perseguire mediante proposte
diversificate.
In Italia il riordino del sistema educativo di istruzione e formazione sta
prefigurando, anche se in ritardo, a livello istituzionale, percorsi coerenti ed
autonomi di FP con caratteristiche di gradualità e continuità, che possono
essere realizzati anche attraverso la collaborazione e l’interazione rinnovata
con scuola ed università, con il mondo del lavoro, dei servizi per l’impiego e
dei servizi sociali, nel rispetto delle diverse identità e finalità. La diversifica-
zione strutturale di tali percorsi deve trovare il suo naturale “inizio” dopo l’i-
struzione scolastica unitaria, in modo che la scelta – anche se rinnovabile –
tra la scuola e la FP avvenga per tutti i giovani allo stesso snodo.
Il percorso di FPI, sancito nell’art. 68 della legge 144/99 e realizzato
secondo le indicazioni dell’Accordo stabilito dalla “Conferenza permanente
per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e
Bolzano” del 2 marzo 2000 per l’assolvimento dell’obbligo formativo fino
ai 18 anni, costituisce una scelta istituzionale che prefigura l’avvio della
riforma dell’intero sistema formativo.
L’individuazione della qualifica professionale come obiettivo istituzionale,
da conseguire per l’assolvimento dell’obbligo formativo attraverso i percorsi
di FP e di apprendistato, rafforza l’identità culturale, pedagogica e profes-
sionalizzante del sistema istituzionale complessivo della FP di competenza
regionale.
L’accreditamento obbligatorio di tutte le sedi operative dei soggetti
fruitori di finanziamento pubblico (sia in tema di formazione sia di orienta-
mento), infine, che sarà posto in atto entro il mese di giugno 2003, deve
creare le condizioni oggettive perché venga riconosciuta la pari dignità della
FP non solo nella macro tipologia iniziale, ma anche in quella superiore,
continua e permanente.
In questo contesto di riforma culturale e strutturale, il conseguimento di
un diploma di scuola secondaria o di una qualifica professionale riconosciu-
ta per l’assolvimento dell’obbligo formativo non solo crea le condizioni di pa-
rità di esercizio del diritto di cittadinanza nella società per tutti i cittadini
maggiorenni, ma offre anche le opportunità per la scelta di inserimento nel
mondo del lavoro e/o di accesso alla FP superiore o ai percorsi universitari
riformati, nella prospettiva di una formazione lungo tutto l’arco della vita.
Le iniziative sperimentali in atto ed il dibattito che ne è conseguito
hanno messo in evidenza alcun temi che si rivelano veri “nodi” problemati-
ci, la cui soluzione contribuisce alla definizione del sistema formativo nel
suo complesso.
176
La questione dell’integrazione
La questione è stata posta in maniera decisiva già dalla “riforma Berlin-
guer”, che proponeva un superamento della pluridecennale incomunicabili-
tà tra il sistema scolastico e il sistema formativo, concepiti come due canali
paralleli e mutuamente esclusivi. L’istanza della comunicazione ha generato
tuttavia due concetti di integrazione: la tesi della “integrazione di percorsi” e
quella della integrazione “dei sistemi”. Solo una integrazione dei “sistemi”
permetterà alla scuola e alla FP di attuare ciascuna la propria peculiare mis-
sione educativa; si rende urgente pertanto la definizione di un percorso di FP
chiaramente distinto ed autonomo da quello scolastico ed universitario, in-
tegro, continuo, basato sulla metodologia peculiare che prende avvio dalla
pratica del fare – incentrato sugli interessi di molti giovani a misurarsi con il
lavoro – per delineare un percorso in grado di formare conoscenze, abilità,
capacità e competenze, secondo una didattica per centri di interesse e per
competenze, con una valutazione centrata prevalentemente su performance
sintetiche, nella prospettiva dell’esercizio di un ruolo attivo nella società.
Tra le sperimentazioni in corso, si segnalano, in quanto sembrano mirare
a questa meta, le recenti intese tra Ministero dell’Istruzione – Ministero del
Lavoro e delle P.S. – Regione Lazio, Regione Lombardia, Regione Molise,
Regione Piemonte, Regione Puglia, Provincia Autonoma di Trento per rea-
lizzare, a partire dai quattordicenni, “percorsi di istruzione e di formazione
professionale di diverso livello” articolati su un triennio o un quadriennio
per l’accesso anche all’Università, al fine di “valutare” le opportunità di quel-
le “passerelle” che dovrebbero consentire passaggi riconosciuti tra il sistema
dell’istruzione e quello della FP e viceversa. Le sperimentazioni hanno avuto
inizio, ancorché con qualche difficoltà, in Lombardia, Veneto, Piemonte e
sono in fase di partenza in qualche altra Regione.
La personalizzazione dei percorsi formativi
Uno degli aspetti più qualificanti del rinnovamento della FP di questi
anni è stato il passaggio dall’erogazione dei “corsi”, intesi come azione for-
mativa standardizzata, attuata in forma collettiva e uguale per tutti i parte-
cipanti, ad un modello formativo “personalizzato” che consente forme di
composizione e ibridazione tra azioni formative diverse ed eventuali crediti
maturati altrove.
Una FP rinnovata prevede percorsi formativi, dizione accolta anche dal-
l’Accordo Stato – Regioni del marzo 2000, cioè interventi corsuali diretti e
azioni di sistema. Nel percorso, il corso vero e proprio integra preparazione
di base ed esperienze operativa, nozioni teoriche e applicazioni pratiche;
alterna azioni con il gruppo classe ad azioni individualizzate; insegna in
maniera attiva, coinvolgendo gli allievi in esperienze concrete, attraverso
laboratori, simulazioni, stage, visite tecniche, colloqui con esperti; punta a
sviluppare negli allievi un insieme di potenzialità intellettive, relazionali,
operative, etiche, secondo un disegno di educazione globale della persona. Le
azioni di sistema, che hanno maggiore carattere di stabilità, sono a monte
177
(l’analisi dei fabbisogni locali, il raccordo con le imprese, la progettazione),
nei momenti di avvio dell’attività formativa (l’accoglienza, l’orientamento, il
bilancio delle condizioni di ingresso del giovane o il bilancio delle compe-
tenze), a valle (la valutazione dei risultati, l’accompagnamento al lavoro o
successive scelte progettuali).
Un percorso così articolato permette alla FP di possedere un impianto
progettuale pienamente formativo e non meramente addestrativo, perché mi-
ra ad integrare gli apprendimenti tecnico operativi con le capacità proprie
della persona e le conoscenze di base che sono necessarie oggi per acquisire
piena cittadinanza nella “società della conoscenza”.
La questione della “pari dignità” del sistema
della Formazione Professionale con il sistema dell’Istruzione
La questione della pari dignità della FP nei confronti della scuola è cor-
rettamente individuata nella misura in cui anche la FP ha come fine il con-
seguimento di una qualifica professionale al termine del percorso formativo,
sia nella modalità a tempo pieno sia in quella in alternanza. Le due modali-
tà indicate rappresentano varianti di un unico percorso avente origine co-
mune. Anche nelle iniziative formative per gli apprendisti in età di obbligo
formativo si deve assicurare, pertanto, l’obiettivo del conseguimento di una
qualifica professionale riconosciuta e tenere presente – nella progettazione
culturale, pedagogica, didattica – che i destinatari sono minorenni, e perciò
portatori di diritti specifici. Occorre quindi operare una netta distinzione dei
percorsi di apprendistato nell’età dell’obbligo formativo da quelli rivolti a
giovani dopo i 18 anni.
Il ruolo degli Enti locali nel “ridisegno” del sistema formativo
Il nuovo percorso di FP, che mira a conseguire obiettivi professionalizzanti
che l’Ente Regione deve assicurare, potrà essere delineato non già semplice-
mente cambiando la collocazione da un sistema all’altro degli IPS e degli
Istituti Industriali e Tecnici, bensì creando – attraverso progetti pilota che
prevedano adeguate risorse ed opportunità – le condizioni di una nuova
progettazione formativa e didattica e di un diverso assetto organizzativo con
riferimento alle reti locali degli organismi. Ciò al fine di configurare un vero
sistema di FP diffuso su tutto il territorio, che trova il suo fulcro nella doman-
da sociale e nella regia dell’Ente locale.
Il superamento del dibattito sull’obbligo scolastico
per l’affermazione del “diritto alla formazione”
Sembra da condividere la tesi di quanti sostengono il superamento
del principio dell’obbligo scolastico a favore dell’affermazione del diritto /
dovere formativo. L’accentuazione scaturisce come risposta propositiva alla
nuova realtà policentrica in termini di risorse culturali e di possibilità di
istruzione / di formazione. Il diritto formativo si configura come il diritto ad
178
un percorso professionalizzante “personalizzato” nel quale interagiscono
gli apprendimenti conseguiti in varie sedi, scuola, extrascuola e addirittura
anche secondo modalità non formali, gli uni e gli altri giudicati ugualmente
indispensabili ai fini dell’educazione - formazione. Questa prospettiva rende
evidente l’attuale anomalia italiana. Infatti, la ricerca azione di supporto al-
la sperimentazione della FPI, messa in atto dal CIOFS/FP e dal CNOS-FAP,
ha messo in evidenza come la gestione del prolungamento dell’istruzione nel-
le sedi scolastiche fino al 15° anno abbia penalizzato gli adolescenti coinvolti,
soprattutto i più svantaggiati ed in difficoltà. Per permettere a tutti di
scegliere responsabilmente i successivi indirizzi dell’istruzione superiore o i
percorsi della FP/apprendistato al termine della istruzione scolastica di base,
è necessario il potenziamento della dimensione orientativa della scuola
secondaria di 2° grado, con un maggior coinvolgimento delle famiglie e del
mondo del lavoro. In particolare, per gli adolescenti dai 14 ai 15 anni si pro-
pone un percorso annuale orientativo e preprofessionalizzante nell’ambito
della FP, indirizzato in particolare a coloro che si sono orientati alla FP a
tempo pieno o nell’apprendistato, prevedendo anche la possibilità del rientro
nei percorsi dell’istruzione secondaria e viceversa.
La questione del sistema della FP: dalla FPI
alla formazione lungo tutto l’arco della vita
Si deve sviluppare, accanto a “percorsi” di FPI, anche “percorsi” di for-
mazione superiore avente i caratteri di autonomia e distinzione rispetto
al curricolo universitario. Va garantita altresì in essa una realizzazione so-
stanziale, e non solo formale, della parità di obiettivi tra la scuola e la FP.
Essa deve fornire, infatti, una formazione e una specializzazione professio-
nale medio-alta, a partire dall’analisi dei fabbisogni personali e del territorio
di riferimento e nella prospettiva dell’eccellenza formativa. La FP superiore
è rivolta, oltre che ai diplomati liceali, a quanti sono in possesso di una qua-
lifica e/o di una specializzazione professionale riconosciuta e sono motivati
ad assumere nuovi ruoli nella cosiddetta società della conoscenza, nella pro-
spettiva delle opportunità formative lungo tutto l’arco della vita. In questa
articolazione di FP l’intento educativo e la risposta ai fabbisogni del territo-
rio si andranno a modulare diversamente a seconda dei differenti destinata-
ri. Mentre la tensione educativa sarà più esplicita e l’attenzione all’acquisi-
zione delle conoscenze, delle capacità e delle competenze sarà più pronun-
ciata nella FPI, la formazione superiore, continua e permanente per i giovani
e gli adulti acquisterà maggiormente il volto di una FP “amica” dei giovani e
dei lavoratori e ad essi vicina lungo tutto l’arco della vita attiva.
La questione del soggetto erogatore
L’attività di FP si è giovata in questi anni, oltre che del gestore pubblico
regionale, di numerosi Enti in particolare di emanazione del privato sociale,
dando luogo a un pluralismo istituzionale che ne ha permesso il radicamen-
to nei vari territori. È necessario, all’atto di riformare la scuola e la FP, valo-
179
rizzare tale pluralismo, che, attraverso l’accreditamento, assicura la qualità
dell’intervento formativo, riaffermando, allo stesso tempo, il principio che la
scuola e la formazione appartengono prioritariamente alla società e non al-
lo Stato. Per le specifiche qualità educative, oltre che di risposta ai fabbiso-
gni del territorio, il soggetto erogatore dovrà essere sempre meno riconduci-
bile ad una impresa virtuale impegnata ad erogare il singolo servizio forma-
tivo e sempre più individuato in un organismo che deve possedere, in qua-
lunque filiera voglia operare, requisiti di natura pedagogica ed organizzativa,
personale qualificato, strutture dedicate, collegamenti con il territorio ed
esperienza consolidata.
La questione del finanziamento
Un sistema si fonda anche su fonti di finanziamento certe e continuative,
abbandonando la prassi concorsuale, costituzionalmente incongrua per rea-
lizzare percorsi strutturali poliennali, che intendano rispondere al diritto dei
giovani di trovare risposte istituzionali alle loro richieste. Un obbligo di leg-
ge italiano non può essere attuato che attraverso finanziamenti nazionali (o
regionali) certi, che rendano effettivo il diritto di frequenza da parte di tutti
i soggetti coinvolti. L’attuale finanziamento di tali percorsi, anche con risor-
se del FSE, ha senso solo in una fase iniziale e sperimentale. Ciò richiede
inoltre la definizione di un piano di copertura dell’intero territorio naziona-
le, tramite una procedura di accreditamento degli organismi che valorizzi le
realtà esistenti e crei le condizioni di una qualificazione dell’offerta formati-
va complessiva.
Il rinnovo del CCNL
Il contratto collettivo di lavoro della FP, che è stato firmato a Venezia
presso la Sede della Giunta Regionale a Palazzo Balbi il 25 ottobre ‘02, segna
un momento importante nel processo di ristrutturazione del sistema di FP
italiano, perché mira ad una organizzazione più moderna e flessibile delle
attività formative e pone le premesse per valorizzare le potenzialità degli
operatori.
Il percorso della contrattazione è stato lungo e faticoso, a causa delle
molte incertezze create dai rapidi mutamenti avvenuti in questi anni nel
sistema formativo italiano: per questo non è stato possibile contrattare sol-
tanto qualche piccolo adattamento rispetto al precedente CCNL e nemmeno
impostarlo in modo completamente nuovo, perché non è ancora definita
la strutturazione finale del sistema formativo italiano. La contrattazione ha
dovuto sciogliere nodi difficili, come quelli dell’orario dei formatori e della
mobilità, e introdurre nuovi istituti contrattuali.
La meta raggiunta è importante, ma non è certamente quella finale di
un CCNL che sostituisce quello scaduto dalla fine del 1997 e ha una breve
durata (giugno 2003, data di conclusione degli accreditamenti regionali).
180
L’iter parlamentare del DL delega Moratti
Il DL delega è approdato dopo le ferie estive all’aula del Senato, licenzia-
to con alcune modifiche dalla VII commissione. Segnaliamo in particolare il
comma 11 dell’art. 7, che prevede l’abrogazione della legge 9/99: nell’ambito
del passaggio dal concetto di obbligo a quello di diritto di istruzione e
formazione previsto dall’art. 2 comma 1 lettera c) non poteva restare un
innalzamento di obbligo scolastico come previsto da tale legge.
Il DL ha avuto la sua prima approvazione al Senato il 13/11/02 con
alcuni emendamenti rispetto al testo licenziato dalla commissione.
181
2003
L’editoriale si sofferma a tracciare una breve sintesi dei principali inter-
venti legislativi, normativi e progettuali che hanno interessato la FP in questi
ultimi anni.
Dalla 144/99 alla riforma Moratti
Descrivere le trasformazioni del sistema di FP di competenza regionale
in questo decennio è molto difficile.
I finanziamenti del FSE, soprattutto a partire dalla programmazione
1993-1999 hanno dato alle Regioni la possibilità di ampliare la loro offerta
formativa, ma hanno comportato l’ingresso nel sistema formativo di nuovi
attori, non previsti dalla legislazione, ferma alla legge 845/78. Questo fatto ha
creato una situazione diversa da quella precedente, promuovendo la capaci-
tà progettuale degli attori della FP spinti a sperimentare attività innovative.
L’estensione generalizzata degli avvisi o bandi pubblici per l’affidamento di
ogni singola attività formativa ha creato, però, difficoltà agli Enti di FP
dotati di personale e strutture consolidate, impediti di prevedere e program-
mare gli sviluppi futuri, favorendo le agenzie strutturalmente “leggere”.
L’art. 17 della legge 196/97 ha cercato, prendendo atto della situazione
che si era creata, di dare una risposta alle nuove esigenze del sistema.
Ha fermato l’attenzione in modo speciale sul legame tra FP e mondo del
lavoro, in particolare attraverso la formazione continua. Gli attori della FP, a
differenza di quanto prevedeva la 845/78, non sono determinati in base alla
tipologia d’appartenenza dell’Ente erogatore, ma dal possedere requisiti
predeterminati. Le disavventure del Regolamento attuativo, mai giunto alla
pubblicazione, hanno lasciato il sistema ulteriormente indebolito sul piano
normativo. Il concetto di accreditamento come metodo per stabilire il pos-
sesso dei requisiti predeterminati introdotto nella proposta di Regolamento
ha trovato una normazione nell’Accordo Stato Regioni e nel DM 166/2001.
La struttura accreditata sostituisce l’Ente del privato sociale senza scopo di
lucro come attuatore della FP regionale.
I finanziamenti delle attività tramite i fondi del FSE hanno spinto gli
Enti che tradizionalmente si erano occupati della FPI ad estendere il loro
campo d’attività. I CFP si sono trasformati in centri polifunzionali non solo
perché hanno differenziato i servizi offerti agli utenti, ma anche perché
hanno operato, secondo le opportunità e le necessità, con differenti utenze
per la formazione superiore, continua e delle fasce deboli del mercato del
lavoro. Alcuni Enti di FP hanno operato un vero e proprio cambio di utenza,
altri una diversificazione nelle tipologie di attività.
185
2003Editoriale n. 1
La legge 9/99 ha contribuito allo spostamento del baricentro delle attivi-
tà di molti CFP, che si erano occupati per molti anni essenzialmente di
formazione iniziale, sottraendo loro l’utenza tradizionale: i giovani orientati
alla FP dopo la licenza media.
L’art. 68 della legge 144/99 introducendo l’“obbligo formativo” fino al
18° anno d’età assolvibile anche nella FP, ha aperto una nuova possibilità
per gli Enti di attuare percorsi formativi per i giovani.
Sulla base dell’Accordo Stato Regioni del 2 marzo 2000, anche se non in
ogni Regione, è iniziata la sperimentazione di percorsi biennali di FP mirati
al conseguimento di una qualifica professionale, per l’assolvimento dell’ob-
bligo formativo. La Regione Lazio è stata la prima a sperimentare tali per-
corsi. La Federazione CNOS-FAP, insieme con il CIOFS/FP, ha predisposto,
nell’anno 2000, un progetto di percorso per la FP per i giovani in obbligo
formativo; lo ha arricchito di materiali e di supporti. Il progetto in quanto
conforme a quanto fissato nell’Accordo Stato Regioni, ha favorito in molte
Regioni la sperimentazione e il consolidarsi dei percorsi di formazione
iniziale. Gli utenti dei percorsi sono generalmente giovani prosciolti dal-
l’obbligo scolastico: solo pochi dei giovani iscritti hanno assolto l’obbligo
scolastico attraverso l’esito positivo della frequenza del primo anno di scuola
secondaria superiore. La maggior parte degli iscritti porta con sé l’esperien-
za del fallimento scolastico dovuto all’innalzamento dell’obbligo scolastico.
La tipologia dei giovani iscritti al percorso progettato ha creato alcune diffi-
coltà iniziali. La sperimentazione nei Centri del CNOS-FAP, del CIOFS/FP e
in altri CFP, in particolare della provincia di Milano, è stata monitorata nel
suo svolgimento biennale (2000/2001 e 2001/2202). I risultati del monitorag-
gio saranno presto diffusi. Dopo anni in cui la FP iniziale aveva subito una
contrazione e sembrava destinata alla lenta sparizione, la nascita di questo
percorso formativo con caratteristiche proprie, con valide sperimentazioni
attuate nonostante le difficoltà insite dal tipo di giovani utenti, ha aperto un
nuovo orizzonte. Anche se non in tutte le Regioni, nonostante la scarsa in-
formazione su questo canale, la FP iniziale per l’assolvimento dell’obbligo
formativo si è diffusa e ha avuto successo.
L’approvazione della legge 30/2000 sul riordino dei cicli sanzionava la
licealizzazione di tutti i percorsi scolastici e la possibilità di percorsi di FP
per giovani dai 15 ai 18 anni. La tendenza, che sembrava emergere, era di
preferire i percorsi integrati tra scuola e FP, come risulta in evidenza già
dal D.P.R. 12 luglio 2000, n. 257, “Regolamento di attuazione dell’articolo 68
della legge 17 maggio 1999, n. 144, concernente l’obbligo di frequenza
di attività formative fino al diciottesimo anno di età”. La situazione, in
prospettiva, portava a pensare ad un piccolo canale di FP iniziale rivolto a
coloro che, dopo un biennio “mirato” (art. 4, comma 3 “Nei primi due anni,
fatti salvi la caratterizzazione specifica dell’indirizzo e l’obbligo di un rigo-
roso svolgimento del relativo curricolo...”), verificata l’incapacità di conti-
nuare un percorso scolastico, possono rivolgersi alla FP. La previsione di
un piccolo canale di FP, a tempo pieno nei CFP o a tempo parziale nell’ap-
prendistato, prefigurava una limitata sopravvivenza della FP regionale,
186
nell’attesa che la scuola si attrezzasse a divenire l’unico canale formativo
italiano.
La modifica costituzionale, che ha sancito il passaggio dell’istruzione
e FP alla competenza esclusiva delle Regioni, non avrebbe modificato il
sistema scolastico italiano, perché “l’istruzione professionale” non esisteva
più, essendosi trasformata in istruzione liceale.
L’attuazione della riforma non è iniziata, sia per iniziali motivi tecnici,
ma specialmente per il cambio di Governo e la conseguente decisione di ri-
porre mano alla riforma. Il nuovo disegno di legge prevedeva un sistema d’i-
struzione e FP di competenza regionale, distinto da quello liceale, al quale
potessero accedere un consistente numero d’allievi.
Il CNOS-FAP, insieme agli Enti dell’Associazione FORMA, ha intrapreso
un nuovo cammino progettuale, per sperimentare un percorso triennale di
FP in cui si potessero inserire i giovani a partire dai 14 anni. Il “Progetto
FORMA” ha trovato interesse in alcune Regioni, che hanno deciso di speri-
mentare il percorso anticipando la riforma. La sperimentazione di questi
percorsi di FP deve tenere in conto il dettato della legge 9/99, che fissa l’ob-
bligo di frequenza di percorsi scolastici fino al compimento del quindicesimo
anno. Alcune Regioni hanno cercato, tramite un protocollo d’accordo tra
MIUR, MLPS e Regione, di potere avviare egualmente il percorso sperimen-
tale. Nell’attesa dell’abrogazione della legge 9/99 prevista nel DDL “Moratti”,
i protocolli d’intesa prevedono che: “una prima iniziativa può riguardare
la sperimentazione dell’assolvimento dell’obbligo scolastico nei percorsi di
formazione professionale, assicurando nell’arco di tali percorsi l’acquisizio-
ne di crediti corrispondenti a quelli previsti per l’assolvimento dell’obbligo
scolastico” (Protocollo Regione Lazio, art. 5).
I protocolli firmati sono stati molti, ma la loro attuazione ha incontrato
non poche difficoltà.
La sperimentazione è iniziata regolarmente in Lombardia e Veneto
fin dal mese di settembre 2002, con qualche mese di ritardo in Piemonte;
è previsto l’inizio in Lazio e in Puglia.
Le sperimentazioni prefigurano i percorsi di istruzione e FP previsti dalla
riforma legislativa, evidenziando la possibilità concreta di creare un canale
che, a partire da un triennio di qualifica, attraverso un anno di diploma por-
ta possibilità di accedere alla FP superiore (percorso continuo dai 14 ai 21
anni, con possibilità di plurime uscite verso il mondo del lavoro e di passaggi
verso i licei o l’università).
La Regione Lombardia è stata la prima a firmare il protocollo d’intesa e
ad iniziare la sperimentazione, che s’ispira alle linee guida del progetto
FORMA. A settembre 2002 ha attivato 35 sperimentazioni che interessano
650 allievi, distribuiti nelle diverse Province della Regione. Per dare unita-
rietà alla sperimentazione il modello gestionale scelto prevede la costituzione
di un Raggruppamento temporaneo d’impresa (RTI) che sia interlocutore
unico con la Regione. Al RTI hanno aderito gli Enti di FP che partecipano
alla sperimentazione. Il rapporto tra scuole superiori e FP, necessario per
187
garantire e certificare l’assolvimento dell’obbligo scolastico nel percorso spe-
rimentale, ha incontrato qualche difficoltà. Le convenzioni tra scuole e CFP,
però, hanno fissato le responsabilità ed ambiti d’intervento. Una di queste
convenzioni, che non aveva tenuto nel giusto conto le responsabilità della
scuola nell’assolvimento dell’obbligo scolastico, ha provocato un intervento
del TAR. I media, soprattutto a seguito alcuni comunicati stampa tendenziosi,
hanno lasciato supporre falsamente che tutta la sperimentazione fosse fuori
delle norme.
Il percorso formativo sperimentale valorizza l’esperienza concreta,
richiede relazioni personali amichevoli, prevede la personalizzazione, è
centrato sull’acquisizione di competenze utili e sull’attribuzione di senso agli
apprendimenti proposti. Le possibilità di successo sono notevoli quando si
opera con adolescenti che presentano uno stile d’apprendimento che privile-
gia l’intelligenza pratica, esperienziale, intuitiva, per scoperta e narrazione.
La Regione Veneto, che da sempre aveva favorito i percorsi con un’inte-
grazione forte nella FP per i giovani in uscita dalla scuola media inferiore, ha
potuto iniziare la sperimentazione del percorso triennale con 20 corsi con cir-
ca 400 allievi. Il progetto seguito si discosta da quello FORMA in alcuni aspet-
ti. Ha privilegiato la propria progettazione, che ha tenuto in conto l’esperien-
za maturata attraverso i corsi triennali nel settore grafico e quanto avviene
nella vicina Provincia di Trento. Il modello è in ogni modo confrontabile con
gli altri, rendendo possibile un monitoraggio nazionale sulle sperimentazioni.
In Piemonte il progetto, simile a quello lombardo in quanto ad organiz-
zazione (RTI di Enti interessati), ha trovato maggiore difficoltà alla partenza:
delle dieci sperimentazioni previste, solo otto sono effettivamente iniziate. La
direttiva regionale riguardante questa sperimentazione richiedeva che ogni
CFP, al momento della presentazione del progetto, documentasse di avere un
numero sufficiente di aspiranti allievi, con l’assenso firmato dei genitori. Non-
ostante che allievi e genitori avessero espresso chiaramente la loro scelta, si è
trovata molta difficoltà nel giungere alla firma delle convenzioni. Questo fat-
to ha costretto i giovani a frequentare per qualche tempo la scuola prima di
iniziare il percorso di FP; in alcuni casi i giovani hanno dovuto cambiare la
scuola cui erano iscritti in funzione dell’assolvimento dell’obbligo scolastico.
Il progetto è stato strutturato con un primo anno centrato sui saperi di base,
per poter portare gli allievi all’adempimento dell’obbligo scolastico.
Il pericolo maggiore dei progetti sperimentali è la non confrontabilità,
poiché ogni Regione può fare scelte proprie: i tre modelli presentati offrono
però percorsi simili. La partecipazione dei docenti della scuola avviene a va-
ri livelli: nella progettazione, nel monitoraggio e nella valutazione senza im-
porre un modello scolastico di percorso. In queste Regioni sembra superato
il modello che giustappone la parte teorica a quella pratica: è un percorso
unitario, progettato in rapporto alle esigenze del mercato del lavoro, ma
rispondente alle esigenze educative dell’adolescente, scandito con standard
professionali e formativi di rilevanza nazionale.
Nel secondo quadrimestre dell’anno è previsto l’avvio di sperimentazioni
in almeno tre Regioni: Liguria, Lazio e Puglia. I destinatari di questi per-
188
corsi saranno probabilmente giovani che hanno frequentato una scuola per
un quadrimestre e si trovano in situazione di essere spinti a cambiare scelta
(in altre parole sono dei drop out della secondaria). Ciò non permette, almeno
per questo anno, di prefigurare un percorso di FP simile a quello delle altre
Regioni. Motivi tecnici hanno impedito di partire prima con la sperimenta-
zione. Alcuni di questi percorsi però, già nella progettazione, non mirano
ad anticipare i percorsi di istruzione e FP previsti dalla riforma. Si tratta di
percorsi integrati tra scuola superiore e FP, già sperimentati in questi anni
per l’assolvimento dell’obbligo scolastico (Veneto) o di quello formativo
(Emilia Romagna).
Di fronte al progetto della regione Lazio sia il CNOS-FAP sia FORMA
Nazionale hanno manifestato la propria contrarietà. Prefigura, infatti, un
percorso che contraddice le linee progettuali che hanno portato alla stipula
dei protocolli d’intesa. Si tratta di un “Progetto sperimentale integrato per la
realizzazione di modelli e percorsi d’innovazione didattica, metodologica,
organizzativa che coinvolgano i sistemi dell’Istruzione e della Formazione
professionale (DPR 8 marzo 1999, n. 275, art. 11)”, come recita il frontespi-
zio delle linee guida. Scopo della sperimentazione è la verifica di modelli in
grado, se non di eliminare, quantomeno di ridurre il fenomeno della disper-
sione scolastica. Il modello prevede l’integrazione dei sistemi di istruzione e
di FP regionale, che consenta, nel rispetto delle competenze di ciascun seg-
mento, di verificare il conseguimento dell’obbligo scolastico in percorsi inte-
grati di FP attivati per l’assolvimento dell’obbligo formativo, coprogettati e
condivisi tra sistema dell’istruzione e della FP regionale. La sperimentazione
è mirata al “coinvolgimento di soggetti ad alto rischio di dispersione e di
evasione dall’obbligo sia scolastico che formativo”. È, perciò, un percorso
per fasce deboli. Non è certamente nello spirito della riforma, che vede nel-
l’istruzione e FP una valida alternativa agli studi liceali. Inoltre risulta solo
ipotetica la riduzione della dispersione scolastica se la novità del percorso
sta proprio nella presenza della scuola con i suoi metodi in tutto il triennio.
Gli allievi si troveranno a frequentare per buona parte del tempo un percorso
di tipo scolastico con gli stessi docenti che avevano a scuola, con i medesimi
metodi. Lo schema grafico del progetto giustappone in sequenza la forma-
zione nelle competenze di base e quelle di tipo professionale, facendo sup-
porre che le une sono appannaggio della scuola e le altre della FP, ridotta
a puro addestramento pratico.
Il progetto, inoltre, non richiedeva un apposito Protocollo d’intesa. Il DPR
12 luglio 2000, n. 257, Regolamento di attuazione dell’articolo 68 della legge
17 maggio 1999, n. 144, concernente l’obbligo di frequenza di attività forma-
tive fino al diciottesimo anno di età afferma: “Le istituzioni scolastiche…
possono progettare e realizzare percorsi formativi integrati. Tali percorsi, che
sono realizzati in convenzione con agenzie di formazione professionale o con
altri soggetti idonei, pubblici e privati, devono essere progettati in modo da
potenziare le capacità di scelta degli alunni e di consentire i passaggi tra il si-
stema di istruzione e quello della formazione professionale”. Il progetto esa-
minato non è innovativo rispetto a quanto già fissato nel citato regolamento.
189
È innovativa solo la fonte di finanziamento, che è la Regione, invece che il
MIUR con i fondi stanziati per l’obbligo formativo. Il progetto lascia intravedere
i percorsi integrati come il futuro della FP regionale: infatti la convenzione
prevista tra scuola e CFP, esplica la propria efficacia per due trienni assor-
bendo buona parte dei fondi destinati all’obbligo formativo.
La regione Lazio è stata capofila nell’attuazione dei percorsi dell’obbligo
formativo previsti dall’Accordo Stato Regioni; ora sembra cambiare comple-
tamente la sua visione strategica, abbandonando la valorizzazione dei per-
corsi di FP. Sembra anzi ricalcare i modelli di tipo integrativi, propri della li-
nea politica del Ministro Berlinguer, che prefigurava l’integrazione come uni-
ca vocazione della FP nella formazione iniziale. Per la rivista “Rassegna
CNOS”, che si è impegnata negli anni passati perché tale linea politica non
diventasse vincente, la scelta della Regione Lazio rimane incomprensibile.
Il progetto messo in sperimentazione nel Lazio prevede 34 corsi con
oltre 600 allievi.
Anche la sperimentazione nella Regione Puglia prevede l’integrazione tra
scuola e FP per tutto il triennio: più comprensibile l’atteggiamento degli
Enti di FP in questa Regione, che esce da una profonda crisi che non ha
permesso agli Enti di operare per anni e che ha avuto conseguenze pesanti
sui formatori.
Il percorso parlamentare della legge delega “Moratti” è giunto al termine,
con l’approvazione definitiva del Senato il giorno 27 febbraio 2003. La legge,
già dal titolo, si basa sui nuovi assetti introdotti dalle modifiche al Titolo V
della parte seconda della Costituzione, che prevede la competenza esclusiva
delle Regioni per l’istruzione e FP. La legge delega pone le basi giuridiche per
la realizzazione di un sistema regionale di istruzione e FP. Nasce una occa-
sione, ma anche una sfida da affrontare con creatività e fiducia.
Affermando il diritto/dovere all’istruzione e formazione per almeno 12
anni o fino al conseguimento di una qualifica, la legge ridefinisce i concetti
di obbligo scolastico e formativo, che si sono rilevati inefficaci nel raggiungere
lo scopo di eliminare la dispersione, l’abbandono e l’insuccesso scolastico.
Inoltre prevede il superamento della mancanza di alternative valide a studi
di tipo liceale, che ha privato troppi giovani di opportunità formative che
valorizzassero precocemente le loro inclinazioni, attitudini e capacità, con-
sentendo loro di realizzarsi come persone e come cittadini, preparandoli ad
inserirsi nel modo del lavoro e delle professioni con un adeguato bagaglio
di competenze. Il cambiamento culturale che sta alla base del passaggio
dal concetto di obbligo d’istruzione a quello di diritto/dovere all’istruzione e
formazione, riguarda in primo luogo le istituzioni, chiamate a garantirne
l’esercizio, e poi giovani e famiglie, chiamati a percepire l’istruzione e for-
mazione non come imposizione, ma come diritto.
La stessa Moratti, di fronte alla critica insistente di aver anticipato troppo
le scelte professionalizzanti, afferma che “l’opportunità di iscriversi al sistema
dell’istruzione e formazione professionale al termine del primo ciclo non
esclude, anzi, valorizza la necessità di conciliare il percorso professionaliz-
zante con la conquista dei saperi di base e di cittadinanza, così che coloro che
190
si qualificano in questo percorso possano affrontare anche i più alti livelli del-
la formazione e delle professioni” (intervento alla Camera, 11/02/03). Il qua-
dro legislativo richiede un lavoro intenso al livello di Conferenza Stato Re-
gioni, per garantire tra i due sistemi una “pari dignità”, che permetta “la cir-
colarità tra istruzione e formazione professionale, profili in uscita unitari,
l’innalzamento dei livelli qualitativi dell’istruzione e formazione professiona-
le, la garanzia di esiti superiori professionali e accademici, il potenziamento
della Formazione Tecnica Superiore ed infine la valorizzazione della forma-
zione lungo tutto l’arco della vita (long life learning)” (ibidem).
La creazione di un percorso unitario di istruzione e FP di competenza
regionale rende necessario, inoltre, aprire un dibattito sulla formazione
iniziale dei formatori dell’attuale FP regionale, sul loro stato giuridico e, con-
seguentemente, sul contratto di lavoro e sugli strumenti per l’assunzione.
FP regionale e istruzione professionale statale in questi ultimi anni si sono
sviluppate in maniera autonoma e diversificata. Il contratto di lavoro della
FP regionale, ad esempio, si è sempre più allontanato da un modello scola-
stico assumendo un’impostazione privatistica e diversificandosi sempre più
dal contratto di lavoro della scuola.
Venticinque anni d’attività
La Federazione Nazionale CNOS-FAP è stata costituita il 09/12/77.
Ricorda, perciò, in quest’anno i venticinque d’attività.
Nel 1853, centocinquanta anni fa, don Bosco a Valdocco iniziava i primi
semplici laboratori per la FP dei suoi giovani. L’impegno dei salesiani, figli di
don Bosco, per la formazione degli “artigiani”, com’erano chiamati allora, è
continuato fino ad oggi e in tutte le parti del mondo. Nell’ultimo dopo guerra
in Italia i salesiani hanno maturato la scelta di gestire la FP tramite un’as-
sociazione, che rispondesse sempre più all’esigenza di un maggior inseri-
mento nel civile e nel sociale. Verificata l’adeguatezza del modello attraverso
la sperimentazione di forme successive di associazioni (O.S.A.G., C.N.O.S.),
anche a seguito del passaggio delle competenze in materia di FP alla Regioni,
le strutture salesiane di FP hanno dato vita alla Federazione Nazionale
CNOS-FAP.
Il CNOS-FAP oggi si propone di continuare a dare il suo apporto alla
crescita del sistema educativo e formativo italiano, per rendere attuale l’im-
pegno di don Bosco per i giovani lavoratori e per quelli che si preparano
ad entrare nel mondo del lavoro.
191
La celebrazione dei 25 anni della costituzione della federazione nazionale
CNOS-FAP è avvenuta in coincidenza con la pubblicazione della legge 53/03.
Questi due temi meritano un adeguato commento.
Il convegno per i 25 anni della Federazione CNOS-FAP
Questa parte dell’editoriale è dedicata al convegno tenuto nei giorni 3-4
aprile 2003 a Roma, via della Pisana 1111, per celebrare i 25 anni dalla
costituzione della Federazione Nazionale CNOS-FAP e riflettere sul futuro
della FP in Italia e sull’impegno dei salesiani in questo campo.
La formazione professionale nel carisma e nella missione salesiana ha
profonde radici, nate dalla scelta di don Bosco di occuparsi dei giovani del
mondo del lavoro e dei lavoratori. La Federazione CNOS-FAP è sorta da tali
radici e in questi anni si è sforzata di dare continuità all’impegno di don Bosco
per i giovani del mondo del lavoro.
La rivisitazione di 25 anni di storia e di esperienze della Federazione
CNOS-FAP non ha avuto soltanto uno scopo celebrativo e di ricordo di quanto
fatto in passato. Lo sguardo a quanto realizzato in questi anni ha voluto
essere di stimolo per continuare nella missione, valorizzando gli elementi
di entusiasmo e di innovatività che hanno permesso, nonostante le difficoltà
incontrate, la crescita della Federazione.
Essa fin dal suo nascere ha lavorato per la creazione e la valorizzazione del
sottosistema di FP, offrendo ai giovani una formazione integrale (culturale,
personale, professionale, morale e religiosa). Il modello organizzativo polifun-
zionale dei CFP le ha permesso un valido inserimento nel territorio, attraverso
risposte concrete alle richieste diversificate degli allievi, la cura del processo di
insegnamento-apprendimento e l’offerta di formazione nella dimensione
religiosa e pastorale come proposta arricchente di valori il processo formativo.
La Federazione e le sue strutture operative territoriali si sono inserite
attivamente nei processi di trasformazione dei modelli educativi maturata
in questi anni, per cui ha potuto dare un contributo valido al processo di ri-
forma in atto, in particolare nella progettazione e realizzazione dei percorsi
della formazione iniziale per l’assolvimento dell’obbligo formativo.
Sono questi i punti su cui si è concentrata la riflessione della prima
serata del convegno: la storia come radice di un rinnovato impegno di lavoro
e di crescita.
La tavola rotonda della mattina seguente ha permesso un confronto a
livello istituzionale sul tema della riforma e del futuro del sistema educativo
italiano.
193
2003Editoriale n. 2
Pur nella difficoltà di cogliere le strade concrete su cui si muoverà il
sistema educativo italiano dopo l’approvazione della legge delega Moratti
(L. n. 53/03), questa prima riflessione ha permesso di comprendere le diffi-
coltà, ma anche le speranze e le opportunità che si aprono per il lavoro nel
campo dell’educazione dei giovani attraverso i percorsi di istruzione e FP.
Il Convegno ha rappresentato un momento interessante di riflessione,
di rilettura del passato in vista di un valido impegno per il futuro, di una
crescita del senso di appartenenza ad un carisma che è fonte di speranza.
A questo scopo mira la pubblicazione degli “Atti”, che hanno un valore
di riflessione storica e politica, ma rilevano anche una forte motivazione
ideale e carismatica di apertura al futuro.
L’approvazione della legge 53/03
La pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della legge delega Moratti (G.U.
n. 77, 2 aprile 2003) ha reso definitivi i nuovi orizzonti del sistema educati-
vo italiano.
Ma l’approvazione di una legge delega suppone l’emanazione di decreti
legislativi o di altri strumenti che la rendano operativa.
Purtroppo la legge è stata approvata, come la precedente legge 30/2000,
da una sola parte politica. Questo fatto lascia intravedere un difficile percor-
so parlamentare per l’approvazione dei decreti attuativi, se si riprodurrà an-
che in tale sede il muro contro muro. Inoltre i decreti dovranno tenere in
conto della titolarità legislativa esclusiva delle Regioni, per quanto concerne
l’istruzione e FP, e concorrente, per quanto riguarda l’istruzione, stabilita
dalla riforma del Titolo V della Costituzione.
La maggior innovazione introdotta dalla riforma rispetto all’assetto con-
solidato nella storia italiana e riconfermato dalla legge 30/00 risiede nella de-
cisone di proporre due percorsi educativi distinti e diversificati nel secondo
ciclo (dai 14 ai 18/19 anni): “scolastico” (liceale) e di “istruzione e formazione
professionale”.
Accanto ai percorsi liceali mirati alla formazione culturale e aperti al-
l’università, si collocano i percorsi di istruzione e FP, aperti alla formazione
superiore, ma con finalità professionalizzanti e perciò con la possibilità
di immediata apertura al mondo del lavoro dopo il conseguimento di una
qualifica triennale.
La previsione di un percorso educativo diversificato dopo il termine del
ciclo di base comune a tutti i preadolescenti (8 anni di scolarità) risponde al-
la differenziazione nell’approccio alla cultura che viene a delinearsi a quella
età. La differenziazione dei percorsi mira ad un obiettivo formativo comune
a tutti i percorsi, l’acquisizione di un adeguato livello cultuale di base, che
attraverso un sistema di crediti, permetta passaggi tra i due sottosistemi.
A questo punto sorge la domanda sulla possibilità e sulle modalità di
realizzazione di questa parte della riforma. Infatti, il passaggio da un modello
scolastico gestito a livello nazionale a più modelli, di cui uno certamente a
194
gestione regionale, crea dei problemi sul versante culturale, politico e sindacale.
Inoltre alcuni temono che la scelta di percorsi differenti fin dal 14° anno
di età crei differenze sociali o le cristallizzi. Vi è chi pensa addirittura che
i percorsi della FP siano di tipo addestrativo, mirati solo a rispondere alla
richieste del mondo imprenditoriale. La conseguenza di questo modo di
pensare comporta il tentativo di tenere i giovani nel tradizionale percorso
scolastico per il maggior tempo possibile, pensandoli immaturi per una scel-
ta a 14 anni, senza tenere conto della fallimentare esperienza dell’attuazione
della legge 9/99.
Dal punto di vista istituzionale, la discussione ha investito particolar-
mente la collocazione degli attuali istituti tecnici tra sistema dei licei e
sistema dell’istruzione e FP. Nella logica della riforma tutti gli istituti tecnici
che hanno come obiettivo finale al termine del loro percorso un titolo pro-
fessionalizzante dovrebbero passare nel sistema regionale, con la conse-
guenza, per quanti resterebbero nel sistema liceale (licei tecnologici), di per-
dere la molteplicità degli indirizzi legati ai singoli sbocchi occupazionali.
Il pregiudizio circa l’efficienza della gestione regionale e la paura che i
migliori istituti tecnici possano perdere la loro qualità hanno spinto alcuni
settori del mondo imprenditoriale a proporre licei tecnologici con finalità di-
rettamente professionalizzanti, e perciò con una pluralità di indirizzi, quasi
a prevedere un ulteriore percorso intermedio tra quello liceale e quello pro-
fessionalizzante.
Anche il solo accennare a questi problemi evidenzia che, per quanto ri-
guarda il secondo ciclo, l’attuazione della riforma prevista dalla legge 53/03
richiede ancora molta pazienza riformatrice, riflessione e confronti.
Quasi a voler prefigurare la possibilità dei percorsi formativi di istruzione
e FP, già nell’anno 2002-03 sono state avviate sperimentazioni a livello regio-
nale, che hanno permesso di intravedere possibili scenari futuri. Le Regioni
che hanno iniziato le sperimentazioni hanno creato il clima adatto per l’am-
pliamento dell’esperienza dopo l’approvazione della legge 53/03 e la conse-
guente abrogazione della legge 9/99.
Ad estendere a tutte le Regioni le sperimentazioni ha provveduto “l’ac-
cordo quadro per la realizzazione dall’anno scolastico 2003/2004 di un’offer-
ta formativa sperimentale di istruzione e formazione professionale nelle mo-
re dell’emanazione dei decreti legislativi di cui alla legge 28 marzo 2003,
n. 53”, raggiunto il 19 giugno tra MIUR, MLPS, Regioni e autonomie locali.
La prima motivazione che ha spinto alla firma dell’accordo è precisata
in premessa: poter assicurare “un’offerta formativa in grado di soddisfare le
esigenze delle ragazze, dei ragazzi e delle loro famiglie nel rispetto delle
aspettative personali”. Va valutata positivamente la presa di coscienza che le
esigenze fondamentali da rispettare sono quelle di giovani e famiglie e non
quelle che nascono da principi ideologici, quale quello di assicurare a tutti le
stesse opportunità costringendoli a frequentare gli stessi percorsi scolastici,
o giuridici, come previsto dall’obbligo scolastico o formativo.
È poi ricordato che tale offerta formativa “non predetermina l’assetto a
regime dei percorsi del sistema dell’istruzione e della formazione professio-
195
nale”, che sarà stabilito dai “decreti delegati previsti per l’attuazione del di-
ritto-dovere di istruzione e formazione”.
Le sperimentazioni consentono però di verificare la concreta possibilità
di far nascere percorsi di istruzione e FP e di cominciare a delinearne alcuni
aspetti.
Già un anno prima dell’approvazione della legge delega, gli Enti di FP
facenti capo all’associazione FORMA hanno delineato a grandi linee un
percorso triennale dai 14 ai 17 anni per la sperimentazione. Anche in questo
anno, attraverso un “Dossier per la realizzazione del nuovo percorso dell’i-
struzione e della formazione professionale” socializzato come contributo
a tutte le Regioni, hanno cercato di contribuire alla buona riuscita delle spe-
rimentazioni.
Nel testo dell’accordo, che è stato elaborato attraverso molteplici media-
zioni tra le istituzioni interessate, l’ottica per cui si stabiliscono le sperimen-
tazioni passa dal diritto dei giovani a quella “di una efficace e mirata azione
di prevenzione, contrasto e recupero degli insuccessi, della dispersione sco-
lastica e formativa, e degli abbandoni”, spostando l’attenzione a quella parte
della FP regionale che da tempo si occupa di ragazzi “difficili”, drop-out, al-
lievi a rischio di emarginazione sociale più che alla prefigurazione di nuovi
percorsi istituzionali.
In base a questi principi “stabiliscono... che tali percorsi sperimentali
debbano essere rispondenti alle seguenti caratteristiche comuni:
– avere durata almeno triennale;
– contenere, con equivalente valenza formativa, discipline ed attività atti-
nenti sia alla formazione culturale generale sia alle aree professionali in-
teressate;
– consentire il conseguimento di una qualifica professionale riconosciuta
a livello nazionale e corrispondente almeno al secondo livello europeo
(decisione del Consiglio 85/368/CEE)”.
Sono queste le uniche caratteristiche che debbono essere assicurate a
tali percorsi su tutto il territorio nazionale.
La genericità dei contenuti dell’accordo comporterà la progettazione di
percorsi diversi da Regione a Regione, difficilmente confrontabili e valutabi-
li a livello nazionale. Potrebbe esserci il pericolo di prefigurare tanti sistemi
di istruzione e FP quante sono le Regioni italiane. Questo fatto aggrava dif-
fidenza e opposizione al progetto della differenziazione dei percorsi educati-
vi in tutta quella parte della scuola che non vede di buon occhio il passaggio
delle competenze alle Regioni per quanto riguarda l’attuale istruzione pro-
fessionale e tecnica.
Anche se i contenuti dell’accordo sono su molti punti piuttosto vaghi e
consentiranno di sperimentare percorsi molto disomogenei tra loro (alcune
Regioni tenderanno ad avere solo percorsi scolastici o integrati tra scuola
e FP, con la solita motivazione di dover assicurare a tutti una solida forma-
zione culturale), il risultato raggiunto può essere valutato positivamente
dal punto di vista politico.
196
L’accordo quadro tra Ministeri dell’istruzione e del lavoro, Regioni,
Province e Comuni per avviare in via sperimentale su tutto il territorio
nazionale una nuova offerta formativa per i ragazzi che escono dalla terza
media senza più l’obbligo di continuare nella scuola, può forse rappresenta-
re un metodo per invertire la china presa negli ultimi tempi dai processi di
riforma in campo formativo, attraverso la rinuncia alla suggestione dei
richiami politici che da mesi, anche in tema di istruzione e di formazione,
caratterizzano lo scontro dei due opposti fronti parlamentari e partitici.
L’emergenza, determinata da un vuoto legislativo pericoloso che potrebbe
danneggiare migliaia di ragazzi, ha fatto superare le logiche di schieramento
e le riserve sulla stessa riforma.
La strada imboccata con questo accordo-quadro apre di fatto l’attuazio-
ne della riforma e sembra più efficace del muro contro muro che troppe
volte finora ha prevalso.
Occorre ora iniziare con serietà un lavoro che possa portare all’approva-
zione di decreti legislativi che assicurino la spendibilità nazionale dei titoli,
la possibilità di passaggio dai percorsi formativi ai percorsi scolastici e vice-
versa, in modo da rendere possibile orientare le scelte di ragazzi e famiglie,
assicurando a tutti il diritto all’istruzione e formazione.
La sperimentazione concorre certamente a delineare e validare il model-
lo formativo, a definire un modello organizzativo, a raccogliere elementi per
sostenere le azioni delle amministrazioni regionali. Questo accordo costitui-
sce, dunque, più il positivo inizio di un percorso che un traguardo raggiunto.
A questo momento di costruzione della riforma, “Rassegna CNOS” in-
tende partecipare con il contributo della riflessione politica e pedagogica.
Inoltre, attraverso la proposta di modelli, di esperienze e di sussidi prati-
ci, cercherà di sostenere soprattutto lo sforzo degli operatori della scuola
e della FP nel rinnovare il loro impegno per la crescita dei giovani e la loro
seria preparazione alla vita adulta e al lavoro.
197
In questi ultimi anni è stato difficile comprendere le linee direttrici delle
riforme che hanno interessato il sistema educativo italiano e soprattutto
quello della FP regionale. Questo editoriale presenta alcuni degli sviluppi
avvenuti in questi ultimi mesi nell’attuazione della riforma.
I “Protocolli d’intesa”
Nel commentare nell’editoriale del precedente numero di “Rassegna
CNOS” (n. 2/2003) l’accordo quadro per l’offerta formativa sperimentale d’i-
struzione e FP, dopo aver rilevato la validità del risultato dal punto di vista
politico come superamento dello scontro frontale tra schieramenti politici,
si metteva in risalto la genericità dei contenuti dell’accordo.
Questa genericità ha causato a livello regionale la stipulazione di accor-
di che danno luogo a percorsi formativi completamente diversi, difficilmente
confrontabili a livello nazionale, con il pericolo di prefigurare tanti sistemi
d’istruzione e FP quante sono le Regioni italiane. Infatti, i Protocolli d’intesa
tra le singole regioni, il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricer-
ca scientifica e il Ministero del lavoro e delle P.S. hanno sancito la nascita di
percorsi non solo differenziati, ma completamente progettati partendo da
presupposti contrapposti.
Infatti, i protocolli assicurano solo quanto stabilito nell’accordo quadro,
vale a dire la triennalità dei percorsi, la componente culturale degli stessi,
l’obiettivo finale da raggiungere (una qualifica regionale) e l’impiego dei fon-
di previsti per l’obbligo formativo. Per il resto prevedono percorsi completa-
mente diversi da Regione a Regione, raggruppabili essenzialmente in due ti-
pologie: percorsi d’istruzione e FP e percorsi scolastici integrati da moduli di
FP. Nel primo caso è prevista un’interazione tra “scuola” (attuale, non anco-
ra riformata) e FP a livello di sistemi; nel secondo l’integrazione avviene a li-
vello di percorsi, che sono svolti nel sistema “scolastico” e in parte in quello
della FP, ma la titolarità del percorso è della scuola. Il modello di percorsi in-
tegrati a titolarità della FP, previsto in alcune Regioni del Centro-Sud, ha le
sue radici nella debolezza della FP in tali Regioni; per questo gli interventi
nelle aree culturali e scientifiche sono affidati a docenti della scuola.
Le sperimentazioni che saranno effettuate saranno non confrontabili a
livello nazionale, a causa di percorsi completamente disomogenei.
L’esame di alcuni di questi Protocolli mostrerà la diversa concezione dei
percorsi. Tutti i Protocolli hanno in comune la struttura, il numero degli
articoli (sette) e i loro titoli: Articolo 1, Finalità; Articolo 2, Tipologia del-
l’offerta formativa sperimentale; Articolo 3, Organizzazione didattica;
199
2003Editoriale n. 3
Articolo 4, Standard formativi minimi, certificazione e riconoscimento
dei crediti; Articolo 5, Risorse; Articolo 6, Accordi territoriali; Articolo 7,
Monitoraggio e valutazione.
L’articolo in cui si concentrano le maggiori diversità è il secondo, in
cui sono descritte le differenti tipologie di offerta formativa; anche il primo
e il terzo servono a comprendere le differenti impostazioni. Esaminiamo
questi articoli in alcuni degli accordi.
L’art. 1 d’ogni Protocollo stabilisce come finalità “un’offerta formativa
sperimentale d’istruzione e formazione professionale che assicuri ai giovani,
in possesso del diploma di licenza media, fermo restando quanto previsto
dalla legge 21 dicembre 1978, n. 845, articolo 2, comma 2, l’accesso a per-
corsi formativi di durata triennale che consentano loro sia di potenziare le
capacità di scelta sia di acquisire competenze di base e competenze tecnico
professionali anche al fine dei passaggi tra i sistemi formativi” (prot. Abruz-
zo). Con qualche differenza lessicale, tutti protocolli hanno in comune que-
sta finalità. Alcune Regioni inseriscono particolari interessanti, quasi ad in-
trodurre quanto è specificato nell’articolo seguente. Per il Friuli Venezia
Giulia, la Campania, l’Emilia Romagna l’“offerta sperimentale d’istruzione e
formazione professionale” deve essere “integrata”, lasciando già prevedere
come potranno essere progettati i percorsi formativi.
Alcune Regioni pongono fra le finalità anche quella di “prevenire e
contrastare la dispersione scolastica” (Piemonte) o “prevenzione, contrasto e
recupero degli insuccessi e della dispersione scolastica” (Marche). L’Umbria
specifica che l’offerta è “rivolta alle ragazze e ai ragazzi che, assolto l’obbli-
go scolastico, abbiano manifestato la volontà di interrompere la prosecuzio-
ne del proprio itinerario formativo nel percorso scolastico o intendono
proseguirlo in quello della formazione professionale”. In questo Protocollo
non si parla di “diploma di licenza media” come in tutti gli altri Protocolli,
ma di “obbligo scolastico assolto”. Non è una differenza da poco. Infatti, se i
percorsi d’istruzione e FP presuppongono il conseguimento del diploma
di scuola media, chi non possiede tale titolo, non potrà accedervi. Poiché nel
futuro certamente vi saranno dei giovani che raggiungeranno il 15° anno
di età senza avere raggiunto il diploma di licenza media, il modo di espri-
mersi dell’Umbria sembra rendere possibile il loro inserimento in tali
percorsi. L’Emilia Romagna specifica che i percorsi triennali sono articolati
in un primo biennio ed “in un successivo anno che conduce a qualifiche pro-
fessionali”, portando a prevedere un percorso non unitario.
L’articolo secondo, sulla tipologia dell’offerta formativa, determina una
maggiore differenziazione tra le scelte regionali. L’esame dei commi, pur con
sfumature diverse, presenta due concezioni opposte di percorsi sperimenta-
li. Infatti, la titolarità della sperimentazione, in un primo caso, è affidata al-
le scuole superiori, con interventi integrativi del sistema formativo regiona-
le e nel secondo al sistema di FP regionale (anche quando i percorsi fossero
svolti da istituti scolastici). L’articolo è composto di un numero di commi
che varia da Regione a Regione; la sua lunghezza va da poche righe a più
pagine. Le Regioni che affidano la sperimentazione alle scuole, infatti, de-
200
terminano i possibili modi d’integrazione mentre le restanti Regioni si limi-
tano a stabilire che si tratta di un innovato percorso del sistema formativo
regionale. Per il primo tipo, il Protocollo dell’Emilia Romagna afferma nel
primo comma: “L’offerta formativa sperimentale di cui all’articolo 1 nella Re-
gione Emilia - Romagna si sostanzia nell’attivazione di percorsi formativi in-
tegrati fra l’istruzione e la formazione professionale, valorizzando le rispet-
tive specificità e promuovendo al contempo la sinergia fra i differenti ap-
procci didattici e pedagogici”. Per il secondo tipo, il Protocollo dell’Abruzzo
afferma: “I modelli sperimentali di cui all’articolo 1 che coinvolgono l’istru-
zione e la formazione professionale nella Regione Abruzzo sono caratteriz-
zati da percorsi triennali di formazione professionale finalizzati al consegui-
mento di un attestato di qualifica professionale previsto dalla normativa
vigente in materia di formazione professionale, valido per l’iscrizione ai
centri per l’impiego, nonché all’acquisizione di crediti per l’eventuale rientro
nel sistema di istruzione”.
La differenza sostanziale sta essenzialmente nella presenza del termine
“integrati” accanto a “percorsi formativi”. I Protocolli di molte Regioni af-
fermano che vi sono percorsi d’istruzione e FP triennale, senza imporre o
negare la possibilità d’integrazione dei percorsi. Il secondo comma dell’art. 2,
in questo caso, fissa soltanto l’obiettivo della qualifica. I Protocolli di altre
Regioni, di cui l’Emilia Romagna si può ritenere capofila, prevedono la sola
modalità di percorsi integrati di titolarità delle istituzioni scolastiche, alme-
no per i primi anni. Ci fermeremo a dare una valutazione critica di questa
impostazione. In questo caso i commi successivi dell’art. 2 non si limitano a
fissare degli obiettivi, ma stabiliscono anche come devono essere progettati
i percorsi. Il protocollo dell’Emilia Romagna afferma: “Tale offerta, che può
essere realizzata in tutti gli ordini e gli indirizzi di studio della scuola secon-
daria superiore, comprende elementi culturali e professionali ed è priorita-
riamente, ma non esclusivamente, rivolta agli allievi che al termine del primo
ciclo di studi manifestano l’esigenza di ulteriori approfondimenti in ordine
alla prosecuzione del proprio itinerario formativo e/o intendono rivolgersi, a
decorrere dall’a.s. 2003/2004, alla formazione professionale”. La titolarità dei
percorsi è riservata alla scuola secondaria superiore. I ragazzi che “intendo-
no rivolgersi, a decorrere dall’a.s. 2003/2004, alla formazione professionale”
devono iscriversi ad una scuola media superiore, la quale, in base alla sua
autonomia, può sottoscrivere convenzioni con organismi di FP accreditati,
per la realizzazione di percorsi integrati. I primi due anni del percorso han-
no essenzialmente finalità orientative: solo il terzo anno può avvenire la scel-
ta da parte dell’allievo di entrare in un percorso di FP per il conseguimento
di una qualifica regionale. La legge 30/2000 prevedeva l’inizio dei percorsi di
FP per il conseguimento di una qualifica dopo il biennio di scuola media su-
periore, vale a dire dopo nove anni di scolarità obbligatoria, come prevedeva
anche la legge 9/99. L’abrogazione delle due leggi per permettere l’inizio dei
percorsi d’istruzione e FP dopo il conseguimento del diploma di scuola se-
condaria di primo grado ha portato l’Emilia Romagna, ma anche la Toscana,
l’Umbria ed altre Regioni ha decidere il prolungamento del soppresso obbli-
201
go scolastico per almeno dieci anni (ma per alcune Regioni anche per dodici),
contro la logica della legge 53/03 che sancisce il diritto dovere all’istruzione
e formazione per 12 anni. Se già la legge 9/99 aveva creato gravi difficoltà ai
sistemi regionali di FP, in particolare relativamente agli Enti che operano
nella formazione iniziale, questo tipo d’approccio ne segna la fine. Gli unici
percorsi professionalizzanti potranno essere quelli degli Istituti professiona-
li (o tecnici), che in questi anni hanno perso quasi completamente, almeno
nel primo triennio, la loro natura professionalizzante. È da sperare che sap-
piano accettare il cambiamento e fornire percorsi veramente professionaliz-
zanti. Certamente oggi a farne le spese saranno “le ragazze ed i ragazzi che,
assolto l’obbligo scolastico abbiano manifestato la volontà di interrompere la
prosecuzione del proprio itinerario formativo nel percorso scolastico o in-
tendano proseguirlo in quello della formazione professionale” (Protocollo
Umbria), a cui è sottratta proprio questa opportunità. Inoltre, proprio ai gio-
vani che trovano difficoltà nella scuola è offerto un percorso pedagogico e
didattico, nel quale incontreranno metodologie e ambienti educativi com-
pletamenti diversi, che creeranno in loro ulteriori difficoltà. Infatti, se sono
più portati ad una metodologia deduttivo-scolastica si troveranno fuori posto
nei moduli di FP; se hanno un approccio all’apprendimento di tipo induttivo,
che parte dall’esperienza e dal fare, si troveranno demotivati nel percorso
scolastico. Il caso dell’Umbria è il più evidente. Soltanto la scuola secondaria
superiore è abilitata ad offrire i percorsi d’istruzione e FP sperimentali ai gio-
vani che intendono interrompere gli studi. Questi, se hanno scelto un Istitu-
to professionale, al termine dei percorsi triennali svolti nella scuola con bre-
vi moduli nel sistema di FP, conseguono il diploma di qualifica statale e l’at-
testato di qualifica professionale previsto dalla normativa vigente in mate-
ria. Non ci si rende proprio conto in base a quale “miracolo” giovani che “ab-
biano manifestato la volontà di interrompere la prosecuzione del proprio iti-
nerario formativo nel percorso scolastico” (art. 1), attraverso “modalità di-
dattica ordinaria”, anche se “arricchita da un’offerta formativa metodologi-
camente innovativa”, possano essere rimotivati fino a raggiungere non solo i
traguardi proposti ai motivati (il diploma di qualifica), ma anche l’attestato
regionale (stabilito dall’Accordo quadro nazionale). L’affermato “unificante
obiettivo di assicurare il successo formativo a tutti i giovani” non si può con-
seguire imponendo ai giovani il normale percorso, reso appetibile solo per-
ché “integrato”.
Anche il terzo articolo dei Protocolli presenta diversità secondo il gruppo
di Regioni d’appartenenza. Quelle che hanno stabilito di avvalersi solo di per-
corsi integrati a titolarità della scuola secondaria superiore si trovano a do-
vere fare i conti con le norme proprie del sistema scolastico, in altre parole
del DPR 275/99 e del DM 234/2000: per questo, in base all’autonomia delle
scuole, soltanto il 15% delle ore possono essere svolte al di fuori dei
programmi comuni. Questo fatto limita l’intervento del sistema di FP
nei percorsi integrati a poche ore, rendendolo ben poco significativo.
Resta difficile da comprendere come i Sottosegretari competenti del
Governo, che ha posto come punto irrinunciabile della riforma scolastica
202
la creazione di un sistema d’istruzione e FP di pari dignità, abbiamo potuto
firmare Accordi che prevedono percorsi sperimentali che sembrano riedizio-
ni peggiorate dei percorsi di FP previsti dalla legge 30/2000 (Berlinguer).
In questi Protocolli è soppresso il termine “anche” davanti a “integrati”,
come era previsto nell’articolo 68 della legge 144/99 per i percorsi di assolvi-
mento dell’obbligo formativo. In alcune Regioni vi saranno “solo” percorsi
di tipo scolastico fino al 18° anno; in alcuni di questi, se la scuola lo vorrà,
potrebbero trovare posto brevi moduli integrativi di FP.
Risultato certo di questo processo sarà la distruzione del già debole si-
stema della FP iniziale in molte Regioni. Questo processo determinerà anche
il fallimento dei percorsi integrati, perché le istituzioni che si sono accredi-
tate e hanno operato con molte difficoltà nel sistema della FP iniziale non
potranno sopravvivere con l’unico scopo di fare alcuni moduli formativi per
i giovani più demotivati delle scuole secondarie superiori.
La differenziazione che emerge è conseguenza non voluta della riforma
costituzionale (che trasferisce la competenza in materia d’istruzione e FP
alle Regioni) e della contrapposizione ideologica tra gli schieramenti politici.
La prospettiva che possa nascere un sistema d’istruzione e FP come previsto
dalla legge 53/03 non è confortante. Solo se i Decreti Delegati conferissero
a questo nascente sistema una strutturazione sufficientemente omogenea
su tutto il territorio nazionale, a partire dalla formazione iniziale sino alla
superiore, si potrà sperare che anche in Italia i giovani possano trovare
risposte differenziate alle diversità delle loro capacità e aspirazioni. Questo
potrà anche ridurre il fenomeno della dispersione scolastica e formativa, che
costituisce uno dei grandi deficit del sistema educativo italiano. In questa
prospettiva potrà trovare una sua valorizzazione anche l’apprendistato, strut-
turato dal DL 10 settembre 2003, n. 276.
La sperimentazione dei percorsi triennali
Nell’ambito del progetto di riforma del sistema d’istruzione e FP diverse
realtà regionali e provinciali (Lazio, Liguria, Lombardia, Molise, Piemonte,
Puglia, Veneto, Provincia di Trento) hanno firmato nel 2002 un Protocollo
d’intesa con il MIUR per anticipare in via sperimentale i percorsi triennali di
FP previsti nella Legge Moratti.
Secondo il monitoraggio svolto dall’ISFOL, il Lazio, la Lombardia, il
Veneto ed il Piemonte hanno avviato la sperimentazione nell’anno formativo
2002/03.
I corsi avviati sono stati 34 nel Lazio, 35 in Lombardia, 8 in Piemonte e
20 in Veneto. I giovani interessati sono stati rispettivamente 610, 624, 168
e 432, per un totale di 97 percorsi iniziati. Tutti i percorsi prevedevano
integrazioni più o meno vaste con il sistema dell’istruzione secondaria
superiore, determinate dalla necessità degli allievi di assolvere l’obbligo sco-
lastico fino al 15° anno. Già in un precedente editoriale si sono esaminati
criticamente alcuni di questi progetti nel loro nascere. Non tutti i corsi sono
203
partiti contemporaneamente (le attività nel Lazio si sono avviate durante
il secondo quadrimestre) e hanno avuto caratteristiche diverse sia dal punto
di vista della gestione (Lombardia e Piemonte hanno previsto come soggetto
attuatore un’ATS di Enti di FP, mentre Lazio e Veneto hanno affidato la tito-
larità ai singoli Enti).
L’ISFOL a fine giugno ha stilato un primo monitoraggio sui percorsi
in attuazione, esaminando i progetti approvati. Le Regioni hanno previsto
durate complessive variabili tra le 1000 e le 1200 ore annue (3000 - 3600
nel triennio), con azioni di accoglienza, di orientamento, di personalizzazio-
ne e di formazione per le competenze di base, trasversali e professionali.
Ogni Regione ha accompagnato e valutato le sperimentazioni attraverso
apposite commissioni.
Nella Regione Piemonte l’ATS titolare del progetto sull’andamento della
sperimentazione, in particolare sul successo, insuccesso, ritiri e rientri dei
frequentanti, evidenzia, tra le cause d’uscita dal percorso di alcuni giovani,
proprio la presenza di docenti delle scuole superiori, che li hanno costretti
ad affrontare due percorsi metodologicamente diversi, semplicemente giu-
stapposti.
La sperimentazione dei percorsi d’istruzione e FP prima dell’approvazio-
ne della legge di riforma ha evidenziato l’intenzione del MIUR, condivisa
da alcune Regioni, di rendere visibile la possibilità di creare un sistema
regionale di pari dignità, capace di portare a pieno compimento quel
processo d’innovazione metodologica e didattica che già i percorsi biennali
dell’obbligo formativo avevano avviato. Nell’anno 2003-04 nelle Regioni che
hanno iniziato la sperimentazione lo scorso anno i corsi avviati sono più che
raddoppiati. Anche altre Regioni hanno avviato la sperimentazione. Ci si au-
gura che il monitoraggio nazionale valuti non solo i progetti, ma l’effettivo
loro svolgimento e gli esiti. Frattanto si può ritenere che l’attività sperimen-
tale svolta abbia raggiunto un buon successo, come si rileva anche dai siti
internet regionali che la descrivono. Le sperimentazioni hanno, inoltre,
favorito interventi di formazione congiunta di formatori e docenti e la crea-
zione di materiali di supporto per l’attuazione d’innovazioni metodologiche
e didattiche.
La formazione dei docenti prevista dalla legge 53/03
La formazione dei docenti e dei formatori è fondamentale per il rinno-
varsi del sistema educativo italiano. La riforma affida all’università la
responsabilità sia della formazione iniziale sia della formazione in servizio
del corpo docente del sistema educativo italiano.
In Italia oggi il numero d’insegnanti è il più alto d’Europa, con la pre-
senza di un precariato sovente di notevole durata. Questo fatto mostra,
di fronte alla percezione diffusa del minor ruolo sociale dei docenti, che la
professione d’insegnante è scelta, per un discreto numero di persone, al solo
scopo di trovare un posto di lavoro sicuro.
204
Anche per questa causa, la legge 53/03 prevede che l’abilitazione all’in-
segnamento avvenga in un biennio successivo alla laurea di primo livello,
a cui si è ammessi a numero chiuso secondo le necessità delle scuole di
un territorio. Il problema cambierà sostanzialmente se l’Italia si adeguerà a
quanto avviene nella maggior parte delle nazioni europee, nelle quali vi è già
ora una notevole difficoltà a trovare buoni insegnanti in molti settori.
L’attribuire in parte preponderante all’università l’impegno di preparare i
futuri docenti privilegia una formazione di base scientificamente valida, ma
essenzialmente teorica. I docenti e i formatori dei percorsi d’istruzione e FP
dovrebbero, invece, essere in grado di partire dalla concretezza dell’espe-
rienza e del lavoro per motivare i giovani e portarli a traguardi culturalmen-
te validi: questo potrebbe richiedere una preparazione specifica. Infatti, se la
preparazione degli insegnanti dei due sottosistemi (licei e istruzione e FP)
sarà identica, essi tenderanno a divenire in breve tempo l’uno la brutta copia
dell’altro. In ambedue, infatti, gli insegnanti, avendo la medesima formazio-
ne e un identico approccio culturale, tenderanno a realizzare la formazione
con le medesime metodologie, per raggiungere i medesimi obiettivi. Ne è un
esempio la riforma degli Istituti professionali realizzata nel 1992, che, al di là
delle intenzioni, li ha resi copia di quelli tecnici.
Una formazione specifica sarà possibile solo se l’università saprà colla-
borare con le migliori esperienze che sono presenti nei territori, in modo
da formare non solo astrattamente i nuovi formatori, ma attraverso un
confronto vero con la professione cui si preparano. Questo permetterà ai
successivi tirocini, cui saranno chiamati i nuovi docenti, di essere veramen-
te proficui.
Inoltre, i formatori chiamati ad operare nel sistema d’istruzione e FP nel-
l’ambito tecnico - pratico potrebbero forse trovare un’adeguata formazione
nei percorsi di formazione superiore non universitaria, che dovrebbero es-
sere realizzati con le metodologie proprie della FP. Solo chi ha esercitato una
professione sarà in grado di trasmetterla ad altri; una professione si appren-
de non solo studiandola sui libri, ma esercitandola.
L’attuazione della riforma, però, richiede da subito la formazione in ser-
vizio dei docenti e formatori: è urgente cioè attivare la formazione continua
degli operatori del sistema educativo. Di fronte a questo impegno sorgono
alcune difficoltà.
In primo luogo, l’età media degli attuali docenti è alta, poiché la loro en-
trata in servizio è avvenuta soprattutto nei passati decenni, facilitata dalla
crescita notevole dei giovani da secolarizzare. In questi ultimi anni la capa-
cità del sistema scolastico di assorbire docenti è diminuita notevolmente,
con conseguente invecchiamento della categoria. L’investire in formazione
per il rinnovamento su persone oltre un certa età incontra difficoltà psicolo-
giche e, anche dal punto di vista economico, può risultare meno opportuno.
In secondo luogo, la legge affida la responsabilità della formazione in ser-
vizio all’università, ponendo problemi simili a quelli sopra esposti per la for-
mazione iniziale. In particolare agli istituti scolastici sono posti limiti nella re-
sponsabilità che riguarda uno dei punti fondamentali della propria autono-
205
mia, cioè la progettazione e attuazione della formazione dei propri operatori.
I decreti attuativi dell’art. 5. (Formazione degli insegnanti) della legge
53/03 sono chiamati a dare indicazioni rassicuranti per il bene della scuola
italiana.
L’accreditamento regionale
Il mese di luglio ha segnato il termine ultimo per completare le procedu-
re di accreditamento regionale delle strutture della FP. Pur in presenza
di norme nazionali fin troppo dettagliate, le Regioni si sono comportate in
modo molto difforme. Si ha la sensazione che, in alcuni casi, l’accredita-
mento sia stato solo un atto formale, senza nessun controllo dell’effettiva
aderenza tra il dichiarato e l’effettivo.
Il sistema d’istruzione e FP previsto dalla legge 53/03 richiede una rivisi-
tazione dei criteri di accreditamento, stabiliti nelle procedure di accredita-
mento per “l’obbligo formativo”. L’accreditamento, nato a seguito della legge
196/97 come insieme di regole per il “mercato” della FP, non si adatta alle
finalità prettamente “educative” dei nuovi percorsi d’istruzione e FP. Può
essere ritenuto uno strumento valido per stabilire chi può essere finanziato
per effettuare attività formative anche nell’ambito della formazione iniziale,
se richiederà alle strutture formative provate capacità educative.
Omologazione e sussidiarietà
La nascita di percorsi d’istruzione e FP deve tenere presente le specificità
dei percorsi formativi sperimentati in questi anni: essi hanno creato cultura
e valori. A parità di obiettivi, vale a dire di qualifiche e titoli, la riforma do-
vrà valorizzare le peculiarità e le diversità dei percorsi d’istruzione e FP.
Alcune Regioni nel modo di organizzare tali percorsi lasciano intravedere un
tentativo d’omologazione di tutta la varietà dei progetti esistenti. Potrebbe
nascere un nuovo centralismo, non più statale, ma regionale. Questo sareb-
be più pernicioso del precedente, in quanto più vicino a chi opera. È impor-
tante ricordare che, accanto al principio di sussidiarietà verticale, che chie-
de allo Stato di non intervenire là dove le soluzioni possono essere trovate ai
livelli territoriali più vicini al cittadino, esiste anche una sussidiarietà oriz-
zontale, che chiede alle pubbliche istituzioni di non sostituirsi alla società
civile in ciò che questa sa fare e organizzare. Da questo principio prende
forza l’autonomia delle istituzioni scolastiche e formative, che sono le prime
responsabili dell’attività che svolgono e hanno in sé capacità di crescita e
miglioramento.
206
2004
Chi, in questi mesi, attraverso i media, segue il cammino che sta percor-
rendo l’attuazione della riforma del sistema educativo italiano delineato dal-
la legge 53/03 rimane sconcertato dalla contrapposizione frontale continua
tra fautori e oppositori della legge.
Leggere come tutto giusto o tutto sbagliato quello che viene portato avanti
non è certamente il miglior modo per far crescere il sistema educativo
italiano. È questa la metodologia sia della maggioranza, che procede senza
coinvolgere più di tanto la società civile, sia dell’opposizione, per cui tutto
nella legge è sbagliato, compreso quello che è conseguenza naturale o appli-
cazione di quanto la stessa parte politica aveva stabilito nella precedente
legislatura.
Inoltre, sta maturando uno scontro, trasversale alle varie aree politiche e
sempre più forte, tra gli apparati centrali, in particolare del MIUR, e quelli
periferici, in particolare delle Regioni, che diventano sempre più gelosi delle
proprie competenze.
Nonostante tutto questo, si sta realizzando qualche progresso. Il Decreto
legislativo previsto per l’attuazione del primo ciclo è stato approvato; dal
prossimo anno, dovrebbe iniziare l’attuazione della riforma.
Di altri Decreti legislativi si conoscono delle bozze, più o meno ufficiali,
che fanno prevedere un percorso ancora piuttosto lungo e complesso. Non vi
è nulla di preciso che riguardi il secondo ciclo, né a proposito di come si
strutturerà il sistema dell’istruzione e della FP, né in riferimento alle istitu-
zioni dalle quali sarà costituito. Che le prospettive non siano ancora chiare e
che lo scontro in atto sia forte lo si può dedurre anche dal fatto che persino
in grafici pubblicizzati dal MIUR per far conoscere la “nuova scuola” si ri-
trovano errori che possono sembrare voluti, quale l’esistenza di un quinto
anno nel sistema d’istruzione e FP prima di passare alla “Istruzione e for-
mazione superiore” o il passaggio a questa solo dal quinto anni dei licei,
quando la legge afferma che lo sbocco in tale direzione è dopo il quarto anno.
In mezzo alle tante incertezze, possiamo segnalare due fatti che indicano
un progresso sulla strada della riforma: lo stabilizzarsi delle sperimentazioni
dei percorsi dell’istruzione e della FP e l’approvazione dell’Accordo per la
definizione degli standard formativi minimi.
Nonostante le difficoltà, l’azione delle sedi operative continua con impegno:
alcune considerazioni sul lavoro da loro svolto possono rendere evidenti
i motivi dell’impegno del CNOS-FAP in questa fase di innovazioni significa-
tive, che apre a grandi speranze ma anche a gravi rischi.
209
2004Editoriale n. 1
L’inizio delle sperimentazioni
Di fronte a una riforma che innova, se non si vogliono dare giudizi im-
motivati sulle strade intraprese, si deve provare a sperimentarne l’attuazione.
Riteniamo che il progetto dei percorsi triennali di FP, voluto da FORMA
nazionale e proposto come traccia a tutti gli Enti di FP e alle Regioni, debba
essere sperimentato per valutarne l’effettivo impatto e anche per migliorarlo.
Nelle Regioni in cui tale progetto ha trovato una buona applicazione, le spe-
rimentazioni in corso potranno testarne la validità.
In altre Regioni, le innovazioni introdotte dalla riforma sono state rece-
pite in parte, o completamente ignorate.
In alcuni casi, si stanno sperimentando percorsi nei quali è richiesta
un’integrazione curricolare, per la cultura linguistica e scientifica, da parte
della scuola. In altri casi, le sperimentazioni si realizzano soltanto in per-
corsi di titolarità della scuola, riducendo i CFP a puri erogatori di supporti
tecnico pratici, magari a giovani in difficoltà.
In entrambi i casi, ci sembra che non si stia sperimentando nulla di nuo-
vo e, soprattutto, nulla di costruttivo: nel primo caso, riteniamo che l’inte-
grazione curricolare, quando è imposta ai CFP e agli allievi, propone meto-
dologie didattiche difformi all’interno di un medesimo percorso formativo,
creando più difficoltà che vantaggi; nel secondo caso, ci sembra che non vi
sia innovazione in quanto, grazie all’autonomia, le scuole potevano muover-
si in tal senso anche prima della riforma.
L’Accordo per la definizione degli standard minimi
Il 15 gennaio 2004 è stato stipulato, in conferenza Stato Regioni, l’Ac-
cordo tra il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, il Ministro
del lavoro e delle politiche sociali, le Regioni e le Province autonome di Tren-
to e Bolzano, per la definizione degli standard formativi minimi in attuazio-
ne dell’Accordo quadro sancito in Conferenza Unificata il 19 giugno 2003.
Il Documento tecnico, parte integrante dell’Accordo, è composto da una
premessa e dal testo sugli standard formativi minimi relativi alle competenze
di base.
La premessa prende atto che si tratta di una soluzione a una situazione
contingente, in quanto si è in una complessa fase di transizione che richie-
derebbe un’azione di ampio respiro, capace di tener conto delle attribuzioni
di competenze e dei ruoli fissati dal nuovo assetto normativo. L’Accordo
trova la sua importanza nel fatto di inserirsi in un percorso di partenariato
istituzionale (anche se giunge solo ad una proposta inquadrata in una prov-
visoria cornice di riferimento sistemico, dentro la quale sono però fissate
le competenze di ambito nazionale e regionale).
Il testo presenta gli standard articolati nelle seguenti aree: dei linguaggi,
scientifica, tecnologica, storico-socio-economica.
Per ogni area, sono indicati gli standard minimi e una loro declinazione,
210
che costituisce l’ipotesi sulla quale le Regioni si impegnano a focalizzare la
sperimentazione e sulla quale è necessario avviare il monitoraggio a livello
nazionale e regionale.
Nel documento, si trova anche una importante affermazione, che merite-
rebbe una speciale attenzione. Si sostiene che gli “schemi che seguono 1 espri-
mono gli obiettivi da raggiungere e non il percorso da compiere, in quanto la
modulazione dei percorsi va costruita sui centri di interesse dei giovani, legati
allo sviluppo della persona, al contesto di riferimento, allo sviluppo delle
competenze professionali”. Con questo, si sottolinea la centralità della per-
sona del giovane di fronte al percorso da progettare per raggiungere gli obiet-
tivi (basti ricordare la diversità di impostazione, ad es., del Decreto sull’ap-
prendistato che stabiliva non solo gli obiettivi, ma anche contenuti e tempi
delle attività fuori dall’azienda, mettendo questa al centro del discorso).
Riguardo allo schema dell’Accordo, ci soffermiamo su qualche valu-
tazione particolare nel merito di quanto non ci trova in sintonia e che avremmo
voluto fosse tenuto in conto nella stesura definitiva del documento.
In primo luogo, la dizione “minimi”, riferita agli standard, non sembra
pertinente in chiave educativa; sarebbe più consono parlare di standard
“essenziali”.
Anche l’espressione “competenze di base” è ambigua perché ripropone
una visione riduttivistica della formazione; le competenze dovrebbero essere
definite per ambiti di compiti/problemi che consentono di affrontare, e com-
prese in un “sistema generale di classificazione delle competenze professio-
nali”, che specifichi i compiti che sfidano la persona.
L’espressione “obiettivi formativi” andrebbe precisata in “obiettivi
formativi generali”, per non confonderli con quelli definiti dall’équipe dei
formatori, che conoscono le effettive risorse degli allievi.
Tra le aree manca totalmente quella dell’educazione alla convivenza civile,
che non può essere rappresentata dall’area storico-socio-economica.
Infine, non c’è riferimento alcuno all’insegnamento della religione, questo
potrebbe far supporre sia non ancora percepita come reale la pari dignità
tra i due sottosistemi del secondo ciclo.
L’attività di formazione svolta dalla Federazione CNOS-FAP
In questo delicato momento di trasformazione del sistema educativo
italiano, ci sembrano opportune una riflessione e una valutazione, a partire
da dati concreti, sulle tipologie di intervento formativo svolte all’interno
della Federazione CNOS-FAP.
Tale riflessione permette di capire le scelte fatte dalle sedi operative
della Federazione in questi anni e anche il senso del sostegno fornito dagli
interventi di “Rassegna CNOS” per la creazione di un sistema rinnovato,
capace di affrontare le sfide della riforma. I dati che saranno esaminati e le
211
1 Ci si riferisce all’elenco degli standard e alle loro declinazioni (NdA).
considerazioni che saranno proposte, sono riferiti soltanto alle attività svolte
con finanziamento pubblico.
A) L’entità dell’attività formativa svolta dal 1994 ad oggi
Negli ultimi dieci anni, la quantità di formazione erogata dalle sedi
operative del Federazione è variata e si è differenziata. Non tutti gli anni
sono stati di crescita, ma le diminuzioni e gli aumenti sono avvenuti a causa
di scelte politiche o gestionali a livello nazionale e regionale.
Tab. 1 - Entità dell’attività formativa (dal 1994 al 2004)
212
Anno Numero attività Numero allievi Numero ore
formativo formative interessati svolte
1994/95 658 13.444 533.541
1995/96 663 13.696 521.860
1996/97 698 13.672 531.165
1997/98 655 12.531 503.437
1998/99 770 13.428 527.351
1999/00 874 13.854 552.312
2000/01 916 14.373 514.708
2001/02 1.142 18.118 580.928
2002/03 1.484 22.294 653.703
2003/04 1.300 20.561 677.458
I dati riportati nella Tab. 1 permettono di valutare le trasformazioni
negli interventi formativi. Infatti il numero delle attività formative, dopo un
primo periodo (1994-98) di sostanziale stabilità, aumenta in maniera rile-
vante negli anni successivi, proprio in corrispondenza del momento critico
determinato dalla legge 9/99, che ha determinato la diminuzione delle attivi-
tà rivolte ai quattordicenni. Si nota infatti un notevole aumento del numero
di attività e degli allievi iscritti, ma con una crescita che non è egualmente
rapida, segno che le nuove attività sono rivolte a piccoli gruppi di allievi.
Le ore di formazione hanno invece un andamento diverso: il loro numero
oscilla di anno in anno senza grandi variazioni, per poi iniziare una crescita
costante negli ultimi tre anni. Questo significa che le sedi operative si sono
impegnate anche tipologie di attività di breve durata, sia in integrazione
con le scuole, sia nell’apprendistato, sia rivolte ad occupati e disoccupati.
Nell’anno in corso, vi è una certa inversione di tendenza: diminuiscono il
numero di attività e di allievi, mentre cresce il numero di ore svolte, segno
dell’aumento della durata media delle singole attività. L’indice che meglio
misura la quantità di impegno formativo svolte nella Federazione è espresso
dalle ore/allievo effettuate ogni anno: a partire dal 1998/99, si osserva una
continua diminuzione fino al 2000/01, passando da 9.620.921 nel 1998/99 a
9.128.280 nel 1999/00 a 8.633.247 nel 2000/01. La diminuzione è sostanzial-
mente dovuta alla crisi determinata nella formazione iniziale dalla legge 9/99
e non risolta dalle opportunità offerta dall’obbligo formativo voluto dall’art.
68 della legge 144/99. Con l’anno 2001/02, anche questo parametro risulta in
lenta crescita: raggiunge 8.904.479 ore/allievo, sale a 10.356.710 nel 2002/03
e a 10.931.038 nel 2003/04. Gli incrementi maggiori sono dovuti ad una sta-
bilizzazione/crescita delle attività per i giovani nell’ambito del diritto dovere
di istruzione e formazione; tali attività hanno una durata annuale di 1.000-
1.200 ore e sono frequentate da un numero di allievi in aumento.
B) Una presenza differenziata nelle Regioni
La quantità di attività svolta2 nelle singole Regioni italiane è molto diffe-
rente. In alcune Regioni, la Federazione non è presente (Trentino Alto Adige,
Marche, Molise), in altre, pur avendo una presenza strutturale (Basilicata e
Calabria), in questi anni non ha svolto attività. In due Regioni (Toscana
e Campania) la Federazione ha potuto iniziare l’attività, ma la situazione po-
litico-istituzionale non lascia prospettive di continuità (nell’anno in corso,
sono attive solo iniziative partite lo scorso anno e non ne sono state avviate
di nuove). È recente, e si sta sviluppando, l’attività nella Valle d’Aosta.
Tab. 2 - Attività della Federazione nelle diverse Regioni (anno 2003/04)
213
Regione Numero attività Numero allievi Numero ore Numero ore/
formative interessati svolte allievo svolte
Abruzzo 4 669 28.364 457.080
Campania 4 60 3.500 53.000
Emilia Rom. 26 379 18.717 262.075
Friuli VG 278 4.123 22.656 315.634
Lazio 45 834 49.830 925.060
Liguria 32 477 14.134 226.390
Lombardia 131 2.526 59.713 873.570
Piemonte 326 4.877 147.751 2.405.216
Puglia 12 210 11.500 199.200
Sardegna 95 1.463 92.850 1.372.120
Sicilia 96 1.739 89.600 1.638.950
Toscana 1 17 1.000 17.000
Umbria 27 337 26.101 334.277
Valle Aosta 12 193 4.918 68.370
Veneto 174 2.657 106.824 1.783.096
Italia 1.300 20.561 677.458 10.931.038
2 I dati riportati sono frutto di elaborazione di schede trasmesse dalle sedi operative e
possono contenere qualche imprecisione.
La tabella Tab. 2 (che riporta dati relativi all’anno 2003/04) permette di
constare una diversa diffusione delle attività di FP nelle varie Regioni.
Le Regioni del Nord sono quelle in cui si svolge la maggior parte del-
l’attività della Federazione; in particolare, in Piemonte e Veneto l’attività
di formazione, in questi anni, ha visto una buona crescita; al contrario,
pur restando significativa, negli anni, l’attività in Lombardia osserva una pic-
cola contrazione; nell’Emilia Romagna, l’attività svolta nei due CFP presenti
rimane abbastanza costante; il Centro di Udine, unico nel Friuli V.G., dopo
alcuni anni di difficoltà, sembra aprirsi alla crescita (l’alto numero di attività
segnala la significativa presenza di attività di breve durata, organizzate a
moduli, rivolte agli apprendisti).
L’attività svolta dal CNOS-FAP nelle Regioni dell’Italia centrale è molto
inferiore. Solo nel Lazio raggiunge un livello significativo, che si mantiene
costante negli anni. In Umbria si sviluppa un costante volume di attività.
Il tentativo di iniziare l’attività anche in Toscana sembra destinata a non aver
seguito, a causa delle scelte regionali in materia di FP iniziale.
Nel Sud, l’attività è limitata a qualche Regione. L’Abruzzo sembra in una
situazione di sostanziale stabilità. In Puglia, l’attività, pur ridotta a poco, è
ripresa, dopo anni di grave crisi che aveva interessato tutti gli Enti. In Campania,
vanno a conclusione i percorsi biennali iniziati, ma non si intravedono
prospettive di nuove attività nel campo della formazione iniziale.
In Sicilia e Sardegna, invece, le sedi operative della Federazione svolgono
un’attività consistente. In particolare in Sardegna l’attività, legata spe-
cialmente allo sviluppo dei percorsi per l’assolvimento dell’obbligo formativo,
ha visto una crescita rilevante in questi ultimi anni: si passa da 13.650 ore di
attività e 228 allievi nel 1999/00, a oltre 90.000 ore e 1.400 allievi nel 2003/04.
C) Tipologie degli interventi formativi
La Federazione CNOS-FAP è attiva nei molteplici campi della FP. In par-
ticolare potremmo parlare, seguendo lo schema previsto dal DM 166/01 sul-
l’accreditamento delle sedi operative, di formazione iniziale, di formazione
superiore e di formazione continua, anche se in ognuna di esse è sembrato
opportuno operare delle suddivisioni.
214
215
Tipologia * Attività Allievi Ore Ore allievo
Formazione iniziale 439 7.307 482.960 8.002.390
Specializzazione 34 533 32.720 516.800
Integrazioni con scuole 101 1.535 13.189 192.650
Integrazione con IPSIA 48 794 12.712 214.256
(4° e 5° anno)
Interventi per fasce 24 275 16.868 186.030
deboli di utenza
Post diploma 69 1.064 47.739 748.125
IFTS 8 190 6.480 171.370
Apprendistato 283 4.208 13.040 181.448
Formazione occupati 250 3.674 36.890 565.744
e disoccupati
Totale 1.256 19.580 662.598 10.778.813
* I totali di questa tabella non corrispondono a quelli della precedente, poiché mancano in questa
ultima alcune attività formative non catalogabili nelle suddivisioni riportate.
La tabella (Tab. 3) presenta l’attività svolta nell’anno in corso, distinta in
tipologie: le prime cinque si riferiscono alla formazione rivolta ai giovani nel-
la fascia compresa tra i 14 e i 18 anni, l’età del diritto e dovere all’istruzione
e formazione; le seguenti due tipologie riguardano la formazione superiore e
le ultime due quella continua.
Anche ad un primo sguardo appare evidente che l’attività maggiore è
concentrata nei percorsi di formazione iniziale. Circa un terzo delle attività for-
mative e degli allievi, ma oltre il 70% delle ore e quasi il 75% delle ore/allievo si
riferiscono a questa categoria, rendendo evidente che la fascia dei giovani co-
stituisce il centro di interesse dei CFP della Federazione. Sono corsi di durata
annuale media di 1.100 ore, rivolti a 16/17 giovani per corso. Le sperimentazioni
di percorsi triennali di istruzione e FP iniziati in questi ultimi due anni (come
attuazione della legge 53/03, dell’Accordo Regioni, MIUR e MLPS e relativi pro-
tocolli regionali) riguardano 71 primi anni e 6 secondi anni. I primi e secondi
anni dei percorsi progettati per l’assolvimento dell’obbligo formativo a norma
del art. 68 della 144/99 costituiscono la maggior parte degli interventi.
La formazione iniziale, nell’anno in corso, ha avuto una crescita notevole
in numero di attività, di allievi e di ore. Molto meno numerose appaiono le
attività di specializzazione: in questa categoria si sono raccolte le attività
rivolte ai giovani qualificati nei corsi biennali, che hanno potuto continuare
in percorsi mirati a specializzare la professionalità acquisita nel percorso
biennale. Si tratta di corsi annuali di durata variabile (dalle 600 alle 1.200
ore) secondo le Regioni (in media, oltre le 950 ore/corso). Tali attività sono
presenti solo in alcune Regioni.
Tab. 3 - Tipologie degli interventi formativi (anno 2003/04)
La possibilità di iscrizione dei quattordicenni ai percorsi di FP ha provoca-
to una diminuzione di attività di integrazione di percorsi scolastici con attività
di FP, che costituivano una delle possibilità previste dal regolamento attuativo
della Legge 9/99 per tale fascia di età. Si tratta di interventi brevi (in media, po-
co più di 120 ore) di tipo orientativo e pre-professionalizzante, oppure di percorsi
professionalizzanti rivolti a giovani di classi superiori di istituti scolastici.
I percorsi di qualifica riservati ai giovani frequentanti gli ultimi due an-
ni degli istituti professionali (durata media di 300 ore per anno) sono stati at-
tivati solo in alcune Regioni: da più di dieci anni costituiscono una forma di
interazione tra il scuole e CFP che ha interessato in maniera variabile i CFP
della Federazione.
Queste categorie di interventi costituiscono oltre l’80% dell’attività svolta
nei CFP della Federazione nell’anno formativo 2003/2004 e perciò anche
l’80% dell’attività dei formatori è rivolta alla formazione dei giovani. Ciò è
coerente con la tradizione più che centenaria di impegno dei salesiani e del-
le loro strutture al servizio dei giovani che si preparano ad entrare nel mon-
do del lavoro. I corsi attivati sono pluriennali, di lunga durata, ad alta valen-
za educativa, mirati alla formazione del cittadino lavoratore aperto ai valori
cristiani: per queste caratteristiche corrispondono al meglio alla mission
educativa del CNOS-FAP.
Tra le iniziative in favore di fasce deboli sono inserite attività eterogenee,
ma che hanno in comune l’obiettivo di offrire un sostegno e un’opportunità
formativa a utenze svantaggiate, quali persone con disabilità, carcerati, ex-
tracomunitari, ecc. Gli interventi, anche se non numerosi, sono significativi
della capacità di risposta alle richieste di alcuni territori in cui non sono pre-
senti organizzazioni specializzate per tali utenze.
Per quanto riguarda la formazione superiore, nei due ambiti specifici dei
corsi post diploma e IFTS, l’attività svolta all’interno della Federazione non
è rilevante. I corsi rivolti ai giovani diplomati è distribuita nelle varie Regio-
ni, con corsi di alto profilo tecnologico e di discreta durata. Solo in alcuni
CFP, sono attivi percorsi di istruzione e formazione tecnica superiore. A li-
vello nazionale, la formazione superiore raggiunge poco più dell’8% delle ore
e del 6% degli allievi.
La formazione continua, nelle due sezioni dei corsi per apprendisti e di
corsi rivolti a occupati o a disoccupati adulti, raggiunge un numero notevo-
le di persone attraverso attività di durata molto più breve. Infatti, pur inte-
ressando soltanto circa il 7% delle ore di attività, raggiunge il 40% dell’uten-
za. Questo rende evidente che, normalmente, si tratta di moduli formativi di
breve durata. In genere, gli utenti sono giovani di oltre 18 anni (tranne qual-
che intervento in apprendistato) o anche adulti in cerca di rafforzamento o
di riqualificazione della loro professionalità.
Per concludere, l’attività svolta all’interno della Federazione CNOS-FAP
trova il suo centro nella formazione iniziale, ma è significativamente presente
in tutti i settori in cui si articolano gli interventi di FP, rispondendo con questo
alle diversificate richieste dei territori in cui opera.
216
L’anno scolastico 2003-2004 è giunto al termine. Non sono bastati né
l’approvazione parlamentare della legge delega di riforma del sistema edu-
cativo né l’emanazione del primo decreto attuativo sul primo ciclo per
placare gli animi e passare alla verifica della riforma attraverso la sua messa
in opera. Sembra, invece, che l’anno debba terminare tra scioperi e manife-
stazioni di protesta contro la riforma. La polarizzazione destra - sinistra ren-
de impossibile giungere ad una legge condivisa di riforma del sistema edu-
cativo italiano. Inoltre un numero notevole di addetti ai lavori vede con po-
ca simpatia qualsiasi cambiamento rispetto a quanto è stato abituato a fare:
quest’atteggiamento è comprensibile, se si tiene conto dell’età media dei
lavoratori del mondo della scuola.
Nell’anno scolastico appena terminato l’attuazione sperimentale della
riforma si è rafforzata nei percorsi del primo ciclo e in quelli triennali del
sottosistema istruzione e FP. Per quanto riguarda il primo ciclo, la speri-
mentazione si può considerare chiusa; dal prossimo anno, in base al Decreto
legislativo già emanato, tutte le scuole primarie (ex elementari) saranno
tenute ad attuare i nuovi percorsi.
La sperimentazione dei percorsi triennali d’istruzione e formazione
professionale (IeFP) continuerà; infatti, il decreto legislativo riguardante il
secondo ciclo non è ancora stato approvato e su di esso permangono opinio-
ni contraddittorie. La stabilizzazione e la crescita delle sperimentazioni dei
percorsi triennali possono favorire la progettazione condivisa a livello regio-
nale del percorso del quarto anno di IeFP mirato al conseguimento del
diploma professionale, in vista di una sua sperimentazione.
Queste considerazioni rendono opportuna una riflessione su quanto
andrà maturando nei prossimi mesi.
Il cammino dei decreti delegati
Il 21 maggio 2004 il Consiglio dei Ministri ha approvato in via prelimi-
nare due schemi di decreti legislativi in attuazione della delega conferita al
Governo dalla legge n. 53 del 2003. Essi saranno sottoposti al parere della
Conferenza unificata, per la prevista intesa, e delle Commissioni parlamen-
tari, in vista dell’emanazione. I tempi della definitiva approvazione sono
determinati per legge e si può ritenere che saranno emanati all’inizio del
nuovo anno scolastico. Ne esaminiamo brevemente i contenuti, aggiungendo
alcune valutazioni di merito.
217
2004Editoriale n. 2
Lo schema di decreto sull’alternanza
Il primo schema di decreto ha l’obiettivo di disciplinare “l’alternanza
scuola-lavoro come modalità di realizzazione della formazione del secondo
ciclo, sia nel sistema dei licei sia nel sistema dell’istruzione e della formazio-
ne professionale”. Agli studenti che hanno compiuto il quindicesimo anno di
età è assicurata la possibilità di svolgere l’intera formazione dai 15 ai 18 an-
ni attraverso l’alternanza di studio e di lavoro. L’avvicinamento delle realtà
scolastiche al mondo del lavoro è stato uno degli obiettivi delle riforme stu-
diate e avviate in questi anni. L’alternanza costituisce uno degli strumenti
per avvicinare gli studenti e le scuole al mondo del lavoro. L’intenzione è
certamente buona. Il valore dell’alternanza dipenderà in modo significativo
dalla progettazione dei percorsi che le istituzioni scolastiche e formative
sapranno sviluppare in accordo con le imprese. La responsabilità di tutto il
percorso rimane dell’istituzione scolastica o formativa, che opera sulla base
di apposite convenzioni con imprese disponibili ad accogliere gli studenti per
periodi di apprendimento in situazione lavorativa. La partecipazione a
percorsi in alternanza non è però assicurata a tutti coloro che lo richiedono,
ma è limitata dall’entità delle risorse finanziarie disponibili.
Lo schema di decreto stabilisce le finalità dell’alternanza (art. 2), la tipo-
logia di convenzioni tra istituzioni scolastiche e formative e imprese (art. 3),
l’organizzazione didattica (art. 4), il sistema tutoriale (art. 5), la valutazione,
certificazione e riconoscimento dei crediti (art. 6), i percorsi integrati tra
scuola e FP (art. 7), le risorse disponibili (art. 8), la disciplina transitoria (art.
9). Trattandosi dello schema e non del decreto definitivo, sembra più utile
soffermarsi su alcune osservazioni che presentare in modo completo il testo.
Poiché la riforma del sistema educativo lascia molto spazio all’autono-
mia didattica in tutti i percorsi, riesce poco comprensibile la presenza di un
intero articolo avente lo scopo di fissare l’organizzazione didattica dei per-
corsi in alternanza. Certamente è importante affermare che l’esperienza fuo-
ri dall’aula è parte integrante e non aggiuntiva al percorso formativo; meno
comprensibile, in questo contesto, che possa anche essere realizzata in pe-
riodi diversi da quelli fissati dal calendario delle lezioni.
La sensazione derivante da una prima valutazione lascia supporre che il
decreto si limiti ad introdurre esperienze di stage o tirocini reiterabili per
più anni all’interno o magari accanto ai normali percorsi invece di stabilire
le modalità che permettono al percorso in alternanza di portare, attraverso
una propria metodologia, gli allievi a raggiungere i medesimi obiettivi dei
normali percorsi. L’alternanza autentica1 si dovrebbe invece inserire in un’in-
tesa vasta tra l’organismo scolastico/formativo e l’impresa a partire dalla
condivisione del profilo educativo culturale professionale, attraverso la defi-
nizione del piano formativo e l’individuazione delle strategie e delle modali-
tà d’apprendimento, fino all’erogazione del servizio e alla verifica degli esiti.
218
1 Cfr. Nicoli D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema
dell’istruzione e della formazione professionale, Roma, Tipografia Pio XI, 2004, 233-286.
L’alternanza non deve limitarsi, come gli stage o tirocini, a consentire all’al-
lievo di incontrare il mondo del lavoro e verificare la sua capacità di esperi-
re un ruolo lavorativo. A questo scopo basterebbe inserire moduli formativi
aggiuntivi nel normale percorso, senza richiedere la responsabilità e il
coinvolgimento di tutti gli insegnanti. L’introduzione e la sperimentazione di
questa nuova metodologia didattica richiede un profondo cambiamento di
mentalità sia da parte del personale scolastico sia di tutto quel variegato
mondo del lavoro che in questo contesto è stato indicato con il termine im-
presa (istituzioni pubbliche e private).
Lo schema di decreto sul diritto dovere
Il secondo schema di decreto legislativo approvato dal Governo norma
il “Diritto-dovere all’istruzione e alla formazione, ai sensi dell’articolo 2,
comma 1, lettera c) della legge 28 marzo 2003, n. 53”.
Il Decreto prevede il superamento e la ridefinizione dei concetti di “ob-
bligo scolastico”, molto radicato nella cultura italiana (lo schema afferma
che è previsto all’articolo 34 della Costituzione) e di “obbligo formativo”, in-
trodotto dalla legge 17 maggio 1999, n. 144, articolo 68. Il citato articolo del-
la “Costituzione italiana”, però, afferma che “L’istruzione inferiore, imparti-
ta per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita”, ma non afferma che l’ob-
bligo debba essere assolto frequentando la scuola, anche se solo le scuole sta-
tali ne assicurano la gratuità. L’equivalenza dei concetti di obbligo di istru-
zione e di obbligo scolastico si è talmente radicata nel modo comune di pen-
sare che si sono sentite affermazioni di incostituzionalità dello schema, per-
ché abolisce l’obbligo (che invece ridefinisce ed amplia) sostituendolo con il
diritto/dovere di istruzione e formazione per dodici anni. Per molti la scuola
pubblica (intesa come scuola statale nonostante la presenza di scuole pub-
bliche paritarie) è l’unica vera agenzia di istruzione, per cui non insistere sul-
l’obbligo di frequentarla diviene equivalente a volere una diminuzione dell’i-
struzione del popolo italiano. La legge 53/03 e lo schema di decreto legislati-
vo partono dal concetto di diritto all’istruzione e formazione, per cui è capo-
volto il modo di affrontare il problema: al primo posto vi è il diritto dell’al-
lievo, che crea obblighi per le istituzioni e persone che hanno il dovere di
rendere usufruibile tale diritto. Le istituzioni, pubbliche e private, e le per-
sone che si occupano di istruzione e di formazione hanno il dovere per ren-
dere il proprio servizio sempre più di qualità, in modo che il titolare del di-
ritto possa trovare una risposta adeguata. Già alcuni anni fa, un editoriale di
“Rassegna CNOS” 2 affermava, parlando di innalzamento dell’obbligo a 16
anni, che “il termine ‘obbligo’ rimanda ad un’imposizione più che ad un’op-
portunità. Ciò che ci sembra obbligatorio è che lo Stato italiano crei le mi-
gliori condizioni organizzative perché questa opportunità diventi reale ...
Le riforme sono da fare al più presto, superando i dibattiti di principio per
219
2 Cfr. “Rassegna CNOS”, anno 12 (1996) n. 2, 9-10.
affrontare i problemi in concreto... Più specificamente, come indicato nel ‘Li-
bro bianco’, il criterio base è quello di mettere il giovane al centro del dis-
corso e di ristrutturare, attorno a questo centro, i problemi di rapporto tra
formazione all’occupazione e cultura generale, di interconnessione tra scuo-
la e impresa, della parità di diritti in materia di istruzione e formazione e
della precedenza da riservare alle categorie più svantaggiate”. Se alcune di
queste suggestioni sono state recepite nella legge e nello schema di decreto,
non ci può che far piacere, anche se i dibattiti di principio, nella realtà poli-
tica del Paese, non sono certamente superati.
Lo schema di decreto definisce (art. 1) il concetto di “Diritto-dovere
all’istruzione e alla formazione”, pone i principi per la “Realizzazione del
diritto-dovere all’istruzione e alla formazione” (art. 2), descrive come realiz-
zare una “Anagrafe nazionale degli studenti” (art. 3), le “Azioni per il suc-
cesso formativo e la prevenzione degli abbandoni” (art. 4), la metodologia
per il “Riconoscimento dei crediti e certificazione” (art. 5), i “Passaggi tra i
percorsi del sistema educativo di istruzione e di formazione” (art. 6), come
attuare la “Vigilanza sull’assolvimento del diritto-dovere e sanzioni” (art. 7),
la “Gradualità dell’attuazione del diritto-dovere all’istruzione e alla forma-
zione” (art. 8), il “Monitoraggio” (art. 9), e la “Norma di copertura finanzia-
ria” (art. 10).
Il punto più controverso deriva dall’equiparazione, nel secondo ciclo, tra
i percorsi della FP e quelli della scuola per l’assolvimento al diritto dovere.
Il contrasto è ideologico perché non parte dall’analisi della situazione dei
preadolescenti. Gli oppositori sono convinti che la bipartizione della scuola
nei due percorsi porterà a una separazione culturale e sociale dell’intera gio-
ventù, con una precoce predeterminazione delle esistenze e delle carriere.
L’opinione pubblica, però, sembra indifferente rispetto al lato ideologico del-
la contesa. Una recente indagine ha rilevato come la maggioranza dei citta-
dini intervistati ponga come obiettivo prioritario dell’istruzione secondaria la
preparazione dei giovani al mondo del lavoro, affermando che finora la scuo-
la non è riuscita a raggiungere questo obiettivo. Inoltre, con i nove anni di
scuola dell’obbligo determinati dalla legge 9/99, per tre ragazzi ogni dieci
l’obbligo è rimasto opzionale: si iscrivono sì alla scuola, ma poi restano a ca-
sa o per la strada. Quello che occorre è accompagnare con una strategia di
persuasione l’allungamento del diritto-dovere fino ai 18 anni. Da un sistema
educativo ricco di competenze, di professionalità, di possibilità di scelta di
percorsi differenziati e adatti alle diverse propensioni si fuggirà meno.
Entrando nel merito dello schema, il primo articolo riprende i concetti
già espressi nella legge, assicurando che in tutti i percorsi, anche in quelli
dell’apprendistato, saranno rispettati “i livelli essenziali di prestazione cui
tutte le istituzioni formative di cui all’articolo 2 comma 4 sono tenute per ga-
rantire il diritto personale, sociale e civile all’istruzione e ad una formazione
di qualità”. L’apprendistato è indicato come “sistema”: non si comprende che
senso abbia il termine, poiché l’apprendistato è un tipo di contratto di lavo-
ro, nel quale è assicurato anche un percorso formativo che porta ai titoli e al-
le qualifiche dell’IeFP. Sarebbe opportuno usare il termine sistema per indi-
220
care il complessivo percorso di educazione, riservando il termine di sottosi-
stema all’insieme dei percorsi dei licei e di quelli dell’istruzione e della FP.
Il contratto di apprendistato consente di adempiere il diritto dovere all’istru-
zione e formazione fino al 18° anno perché ha come obiettivo il conse-
guimento di una qualifica e apparterrà perciò al sottosistema dell’istruzione
e della FP.
Lo stesso articolo al comma 4 afferma: “Nelle istituzioni scolastiche sta-
tali la fruizione del diritto di cui al comma 3 non è soggetta a tasse di iscri-
zione e di frequenza”. La gratuità costituisce il modo concreto per rendere
usufruibile il diritto e non gravoso il dovere. Poiché questo vale solo per le
scuole statali, si fa una suddivisione dei giovani non in base al loro diritto-
dovere, ma in base al tipo di scelta che fanno. In questo la centralità del gio-
vane e della sua possibilità di scelta è completamente lasciata in ombra. È ve-
ro che non è compito di questo decreto risolvere il problema del finanzia-
mento delle scuole paritarie, ma un problema irrisolto crea difficoltà all’in-
sieme della riforma. E nel futuro, sarà gratuita l’iscrizione solo ai licei,
che resteranno statali, o anche alle istituzioni e CFP del sottosistema dell’i-
struzione e della FP, che diverranno regionali? Le Regioni, infatti, sono
parte costitutiva della Repubblica, ma non sono lo Stato 3. Una risposta
parziale s’intravede nell’art. 8, comma 1 dove si afferma che “l’iscrizione e la
frequenza gratuite di cui all’articolo 1, comma 4, ricomprendono i primi due
anni degli istituti secondari superiori e dei percorsi sperimentali di istruzio-
ne e formazione professionale realizzati sulla base dell’accordo in sede di
Conferenza unificata del 19 giugno 2003”. Questo farebbe supporre che an-
che il sottosistema di competenza regionale dovrà essere gratuito. Sarebbe
meglio esprimerlo chiaramente anche nell’articolo 1.
L’analisi dell’art. 3 “Anagrafe nazionale degli studenti” sembra alimenta-
re dubbi sulla creazione di un sottosistema regionale autonomo e diversifi-
cato. Tutto il sistema educativo avrà una sola anagrafe nazionale (art. 3,
comma 1), che “presso il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ri-
cerca raccoglie i dati sui percorsi scolastici, formativi e in apprendistato dei
singoli studenti a partire dal primo anno della scuola primaria”. Poiché ana-
grafi regionali e provinciali erano previste per l’obbligo formativo, non
si comprende quale futuro sia loro riservato e come interagiranno con l’ana-
grafe nazionale, che avrà come unico riferimento locale l’anagrafe della
popolazione (comma 2).
Soltanto quando si parla di vigilanza (art. 7), “il Comune, ove hanno
la residenza i giovani che sono soggetti al predetto dovere” è nominato come
primo responsabile, cui fanno seguito i responsabili delle istituzioni scolasti-
che e formative presso le quali i giovani sono iscritti, e i servizi per l’impiego.
Nel suo complesso, inoltre, lo schema di decreto non rende evidente la
pari dignità dei due sottosistemi del secondo ciclo. Nell’editoriale del n. 81
di “Professionalità”, il prof. Colasanto nota come lo schema di decreto non
fa nulla per “rimuovere l’immagine di minorità che la legge in qualche modo
221
3 Cfr. Costituzione della Repubblica Italiana, art. 114.
induce quando prefigura percorsi per i licei di cinque anni e di quattro inve-
ce ... per l’istruzione e la formazione professionale. Sembra scontato in
questo modo che la ricca, nonostante tutto, esperienza degli istituti tecnici
sia destinata a confluire nei licei tecnologici, per assicurarsi una continuità
con il proprio passato. È proprio questo che si vuole?”.
Inoltre, scorrendo i contenuti dello schema di decreto, si nota come a
livello nazionale si tenda a non affrontare le difficoltà sorte nelle sperimen-
tazioni dei percorsi triennali a livello regionale, dovute alla notevole diversi-
tà di scelte di politica scolastica.
La possibilità di iniziare i percorsi di istruzione e FP nei CFP dopo il con-
seguimento del diploma di fine primo ciclo non è assicurata da questo de-
creto; molte Regioni perciò continueranno ad imporre l’iscrizione ad una
delle attuali scuole secondarie superiori, in qualche caso prolungando di fat-
to “l’obbligo scolastico”. Purtroppo questo avviene soprattutto in Regioni in
cui è molto alta la fuga dalla scuola, anche già prima del termine del primo
ciclo. Il muro dell’ideologia è ben più difficile da abbattere rispetto a quello
di Berlino! Nella prospettiva di superare questa difficoltà, il futuro decreto
potrebbe aggiungere all’art. 1 comma 3 all’affermazione che il diritto si rea-
lizza “nel secondo ciclo che comprende il sistema dei licei e il sistema dell’i-
struzione e della formazione professionale”, l’espressione “tramite percorsi
autonomi e differenziati di pari dignità”, rendendo più facile prevedere la
possibilità di scelta del percorso nei CFP. Lo stesso potrebbe avvenire per il
comma 4 dell’art. 2 dove si recita che “l’iscrizione è effettuata presso le isti-
tuzioni del sistema dei licei o presso quelle del sistema di istruzione e for-
mazione professionale”, in cui si potrebbe precisare “che realizzano percor-
si autonomi, differenziati e di pari dignità coerenti con il profilo educativo,
culturale e professionale”.
Ogni riforma trova difficoltà nell’essere accettata e può presentare aspet-
ti problematici: quella della scuola, che interessa milioni di famiglie e che
pone interrogativi ad oltre un milione di operatori, non potrà essere accetta-
ta e condivisa da tutti. Il pericolo che ne scaturisce è che, per scontentare
meno persone possibili, si giunga a una riforma che sembri cambiare tutto
per poi lasciare sostanzialmente tutto immutato. Questo fatto costituirebbe
una grande disgrazia per tutti i giovani che si trovano in una situazione di
difficoltà nell’attuale struttura educativa, nata da un modo di concepire la
scuola che risponde, soprattutto per il secondo ciclo, ad esigenze troppo da-
tate dal punto di vista sociale e culturale.
Una valutazione sulle sperimentazioni
La sperimentazione dei percorsi triennali nata dall’Accordo in conferen-
za unificata del 19 giugno 2003, pur non coinvolgendo tutte le Regioni allo
stesso modo e con i limiti dovuti a decisioni politiche e a motivi finanziari,
permette di prefigurare come potrebbero essere realizzati i percorsi di istru-
zione e FP.
222
Non tutte le sperimentazioni in atto sono ugualmente innovative e co-
erenti con lo spirito della riforma, ma provano che tali percorsi sono ricer-
cati dai giovani, contribuendo alla loro formazione integrale e al loro inseri-
mento o reinserimento nel processo educativo. Essi possono condurre gli al-
lievi ad una crescita sotto il profilo educativo, culturale e sociale attraverso
una pedagogia e una metodologia didattica capace di mettere in luce quan-
to di positivo vi è in ciascuno di loro.
Già la sperimentazione dell’obbligo formativo seguita alla legge 144/99
aveva rilevato la capacità del sistema formativo di far acquisire a giovani,
per la maggior parte espulsi dalla scuola secondaria, superiore fiducia in se
stessi, riconciliandoli con l’istruzione e la cultura. Il monitoraggio svolto sul
follow-up degli allievi che hanno seguito i percorsi dell’obbligo formativo nei
CFP CNOS-FAP e CIOFS/FP ha rilevato che il 39,2% dei qualificati dopo il
percorso biennale ha proseguito nella sua formazione, grazie alla capacità
dei tali percorsi di rimotivare alla scuola e allo studio. Questo è avvenuto so-
prattutto nelle Regioni del Nord, dove i qualificati avrebbero potuto facil-
mente trovare lavoro.
Nelle Regioni in cui si sono avviati percorsi triennali, che hanno preso
come modello quello che FORMA aveva proposto 4 nella prospettiva della ri-
forma Moratti, il numero di allievi che chiedono l’iscrizione è in continuo
aumento, mentre le Regioni incontrano difficoltà di ordine finanziario nel
dare risposte adeguate. È questo un segno di congruenza delle proposte edu-
cative dei progetti triennali con le richieste di giovani e famiglie. Diversa è la
sorte delle sperimentazioni nelle Regioni in cui si è offerta solo un’integra-
zione professionalizzante ai normali curricoli del primo anno dell’attuale
scuola secondaria superiore (normalmente istituti professionali o tecnici).
Pur non avendo a disposizione dati consolidati, sembra che si sia trovata una
certa difficoltà nel reperire allievi e ad attivare questi percorsi sperimentali
integrati.
Un rinnovato percorso professionalizzante trova tra giovani e famiglie
una forte attrazione. Se poi il percorso triennale non si presentasse come
chiuso, ma fosse aperto al proseguimento fino a un diploma di FP superiore,
la dignità e l’attrattiva del sottosistema dell’istruzione e della FP sarebbe ga-
rantita. Da questo punto di vista è importante progettare il quarto anno di di-
ploma professionale, aperto sia al mondo del lavoro sia ai percorsi di istru-
zione e FP, in modo da permettere a quanti lo desiderano la prosecuzione
del percorso formativo. È necessario, perciò, che le Regioni se ne facciano
carico senza pensare che, dopo il triennio sperimentale, la soluzione più
semplice sia facilitare il rientro dei qualificati nei percorsi degli istituti tec-
nici o professionali. Senza negare la possibilità di passerelle, solo l’attivazio-
ne del quarto anno del percorso di IeFP permette a chi frequenta il triennio
di intravedere un percorso aperto, togliendo la FP dalla situazione residuale.
Se, infatti, gli attuali percorsi triennali si presentano senza la prospettiva di
223
4 Cfr. FORMA, Progetto pilota per il sistema di istruzione e formazione professionale: linee
guida, in “Rassegna CNOS”, anno 18 (2002), n. 2, 96-122.
una filiera verticale dai 14 al 21 anni, la FP sarà sempre percepita come si-
stema di serie B, con minore dignità rispetto al sistema liceale.
Quali prospettive
L’attuazione della riforma è legata al decreto di attuazione del secondo
ciclo e ai problemi connessi.
La legge prevede la suddivisione del secondo ciclo in due tipologie di
percorsi: quelli liceali, quinquennali e indirizzati a dare una cultura di base
che porti agli studi universitari, e quelli dell’istruzione e FP, almeno trienna-
li, aperti alle professioni e alla formazione superiore. Esiste la possibilità di
passaggio da un sistema all’altro: in particolare dopo i primi quattro anni del
percorso liceale si può passare all’istruzione e formazione superiore, e dopo
il quarto anno dei percorsi professionalizzanti si può frequentare un anno di
tipo liceale per giungere all’esame di Stato e all’università. A questi passaggi
previsti dalla legge si possono aggiungere quelli dovuti al riconoscimento di
crediti. Delle cosiddette passerelle si fa un gran discutere: talora nella pro-
gettazione dei percorsi di IeFP (mai viceversa) sembra più importante crea-
re condizioni per i passaggi che sviluppare logicamente un percorso con fi-
nalità ben definite.
Nello strutturare il secondo ciclo, si avranno certamente difficoltà a de-
terminare quali delle istituzioni scolastiche sono destinate a far parte del sot-
tosistema dell’istruzione e FP di competenza regionale. La logica vorrebbe
che tutti i percorsi che portano a titoli e qualifiche professionalizzanti en-
trassero a fare parte di questo sistema. Se per gli istituti professionali non
dovrebbero esserci dubbi, per gli istituti tecnici, poiché la riforma prevede l’i-
stituzione di licei tecnologici, sorgono problemi. Una parte del sistema delle
imprese sembra volere che gli istituti tecnici restino nel sistema liceale di
competenza del MIUR, conservando però la loro capacità professionalizzan-
te. La stessa legge 53/03, affermando che “i licei artistico, economico e tec-
nologico si articolano in indirizzi per corrispondere ai diversi fabbisogni for-
mativi”, lascerebbe intravedere la possibilità che i licei si diversifichino in fi-
liere professionalizzanti, corrispondenti ai principali indirizzi degli attuali
istituti tecnici. Una siffatta lettura del testo intenderebbe riferire i “diversi
fabbisogni formativi” non tanto agli allievi quanto al modo imprenditoriale
presente in un determinato territorio. La professionalità acquisita in tali
percorsi sarebbe, perciò, immediatamente spendibile sul mercato del lavoro.
Se così fosse, la riforma porterebbe alla costruzione non di due sottosistemi,
ma di tre. Il primo, costituito dagli attuali licei, avrebbe come scopo la for-
mazione generale degli allievi e la loro preparazione agli studi universitari; il
secondo, costituito essenzialmente dagli attuali istituti tecnici, avrebbe come
fine l’istruzione generale e tecnico-professionalizzante degli allievi, che alla
fine del percorso potrebbero scegliere un percorso universitario o di forma-
zione superiore oppure l’inserimento lavorativo; il terzo, che continuerebbe
ad essere residuale e “abbandonato alle regioni”, avrebbe come scopo la pre-
224
parazione professionale di quanti si trovassero in difficoltà nei percorsi li-
ceali. La proposta della creazione di “poli tecnologici”, fatta da Confindustria
a Vicenza il 20 aprile 2004, pone “il futuro dell’istruzione tecnica” in tale pro-
spettiva. In questi poli, inoltre, i licei tecnologici dovrebbero assicurare
un’offerta stabile di formazione superiore. In un polo tecnologico dovrebbe-
ro trovare posto anche i percorsi triennali e quadriennali di IeFP; è evidente,
però, lo sforzo di tenere gli attuali istituti tecnici fuori del sistema d’istruzione
e FP regionale.
D’altra parte, l’esclusiva competenza legislativa regionale nel sottosistema
dell’istruzione e della FP potrebbe far emergere situazioni molto diverse
tra Regione e Regione. Invece di un sistema differenziato, ma unitario,
d’istruzione e FP potrebbero nascere sistemi non confrontabili sia per consi-
stenza numerica sia per strutturazione.
È fondamentale, perciò, che il previsto decreto per l’attuazione del
secondo ciclo riesca a trovare una formulazione che assicuri riconoscibilità
nazionale al sottosistema d’istruzione e FP e ne eviti la marginalizzazione.
225
In questi anni, l’editoriale di “Rassegna CNOS” ha cercato di monitorare,
valutare e sostenere i processi di cambiamento che hanno investito il sistema
educativo italiano, e in special modo la FP regionale.
Chi negli ultimi nove anni ha curato in modo particolare questi interventi
è giunto al termine del suo impegno e con questo editoriale si congeda dai
lettori, nella speranza di aver saputo contribuire positivamente al processo di
innovazione sviluppatosi in questi anni.
Le prospettive di una riforma in un momento di debolezza del Governo
Anche in questa legislatura, al primo confronto serio con un test eletto-
rale, il Governo entra in un momento di difficoltà, che non può non interes-
sare anche la riforma del sistema educativo. Inoltre, la crisi finanziaria at-
tuale rende difficile pensare a una riforma da realizzare senza investimenti.
Nell’opposizione, poi, il modo di valutare la riforma del sistema educati-
vo italiano presenta visioni molto diverse. Vi è chi vorrebbe che, in caso di
vittoria elettorale, fossero abrogate tutte le leggi di riforma promosse dall’at-
tuale maggioranza, a cominciare da quelle relative alla riforma della scuola,
e chi pensa di dovere solo migliorare le riforme. L’attuale opposizione, per
quanto riguarda la scuola, dà la sensazione di partire da un dogma, che ri-
tiene incontestabile: l’istruzione, che è la parte ritenuta più importante nel
processo educativo, può essere affidata solo alla scuola. Perciò in essa le gio-
vani generazioni debbono essere trattenute il più possibile. Per questo, prima
dei sedici anni di età, i percorsi di FP non solo non sarebbero opportuni, ma
addirittura dannosi. Il perché di tanta sicurezza sulla necessità che i giovani,
per il loro bene, frequentino la scuola almeno per dodici anni è difficile da
capire. Infatti, esaminando quanto avvenuto in questi anni, si sa che non ba-
sta prolungare l’obbligo scolastico per costringere gli adolescenti ad andare
a scuola e tanto meno ad imparare. Basta constatare che esiste ancora un
certo numero di adolescenti che non conseguono la licenza media dopo qua-
rant’anni dall’innalzamento dell’obbligo scolastico ai quattordici anni. Anche
l’abrogata legge 9/99, innalzando l’obbligo al quindicesimo anno di età, ha
aumentato le iscrizioni alla scuola secondaria, ma, per molti di coloro che si
sono iscritti soltanto a motivo della legge, la permanenza è stata inutile o an-
che dannosa. I prosciolti dall’obbligo per il solo motivo di aver compiuto il
quindicesimo anno sono stati in numero rilevante, come ha messo in luce
l’analisi delle iscrizioni ai percorsi biennali dell’obbligo formativo: chi ha
intrapreso tali percorsi dopo avere frequentato un anno di secondaria supe-
riore, nella maggior parte dei casi, non era stato promosso o aveva abban-
227
2004Editoriale n. 3
donato la frequenza durante tale anno. La necessità di frequentare percorsi
scolastici per il primo biennio del secondo ciclo prescinde dalla rilevazione
della realtà e parte dalla convinzione indimostrabile che solo un approccio
deduttivo alla conoscenza sia autentico. Non importa che l’Europa percorra
altre strade. Non interessa che, nel marzo 2001, il Consiglio Europeo abbia
posto tra i suoi obiettivi la realizzazione di un sistema di istruzione e forma-
zione organizzato sulla qualità; non si tiene conto che la Dichiarazione
di Copenaghen chieda una maggiore cooperazione europea in materia di
istruzione e FP: l’unica cosa importante è che i giovani in Italia non possano
iscriversi alla FP.
Se la scuola italiana, a confronto di quelle delle nazioni nelle quali esi-
stono consolidati percorsi di FP iniziale (cfr. la Germania), fosse veramente
più produttiva in termini di cultura, potremmo non contestare queste prese
di posizione. Ma l’indagine empirica presentata nel 2002 dall’OCSE e cono-
sciuta come P.I.S.A., prendendo in esame le competenze dei giovani a quin-
dici anni (perciò prima che i nostri alunni potessero entrare nella FP), pone
l’Italia al ventiseiesimo posto. Per quanto riguarda la comprensione della
lettura, l’Italia si situa tra il diciannovesimo e il ventiquattresimo posto, se-
condo le scale utilizzate: il che non è il massimo se si continua ad insistere
che per non perdere le radici umanistiche della nostra cultura non ci si deve
iscrivere precocemente alla FP!
Se anche frequentando la scuola le conoscenze medie dei nostri ragazzi
sono inferiori a quelle dei coetanei della maggior parte dei Paesi industria-
lizzati, non si capisce quale pericolo per la loro formazione culturale succes-
siva debba risiedere nel frequentare la FP!
Non si comprende perché proprio i partiti di sinistra, che dovrebbero es-
sere più sensibili al sociale e attenti ai giovani con maggiori difficoltà, inve-
ce di cercare soluzioni innovative per motivarli allo studio siano così attac-
cati ad una loro scolarizzazione forzata e ostili alla FP come strumento di
un’educazione che si fondi sulla cultura del lavoro e prepari al lavoro.
Talora si ha l’impressione che si voglia discutere di FP per evitare il pro-
blema fondamentale: quale sarà la sorte dell’istruzione professionale e tecnica?
Negli anni novanta si è assistito alla licealizzazione dei percorsi sia
tecnici sia professionali, fino alla legge Berlinguer che li trasformava anche
nominalmente in licei tecnici e tecnologici. L’acquisizione di competenze
professionali veniva sempre più rimandata e la FP ridotta a supporto inte-
grativo dell’istruzione.
La legge 53/03 introduce come innovazione fondamentale percorsi pro-
fessionalizzanti di istruzione e di FP, di competenza regionale in base alla
riforma costituzionale. Quale sarà il futuro dei percorsi “professionali”
attuali? Se divenissero di competenza regionale in quanto professionaliz-
zanti, in che cosa si distinguerebbero dagli attuali percorsi triennali speri-
mentali della FP? Che senso avrà ancora parlare di percorsi integrati, se
tutti avessero gli stessi obiettivi, cioè qualifiche triennali e, dopo un quarto
anno, diplomi professionali?
Se tutti i percorsi “regionali” troveranno standard comuni a livello di
228
competenze di base e anche professionali, le critiche che ora riguardano so-
lo la FP investirebbero tutti questi percorsi.
Sono problemi di grande rilevanza, che non si risolvono ritornando a li-
cealizzare tutti i percorsi, o almeno quelli tecnici. Nemmeno ha senso affer-
mare che fino al sedicesimo anno tutti i percorsi debbono essere di tipo li-
ceale, perché la conseguenza di questa scelta è nota a tutti: la moltiplicazio-
ne della dispersione.
Tra l’altro, nei principali Paesi europei, viene messa in discussione la con-
vinzione che fino ai sedici anni di età si debba frequentare esclusivamente la
scuola e non la FP. La Spagna è ritornata, con la legge del 2002, ad abbassa-
re l’età della scelta a quattordici anni; in Francia, è messo in discussione il
“College unique” fino ai sedici anni, a causa della dispersione che produce; in
Inghilterra, il “National Curriculum” prevede forti differenziazioni nei per-
corsi. L’idea centrale dell’uniformità degli ordini di scuola come garanzia di
eguaglianza, che è stata alla base delle riforme degli anni settanta, è da rite-
nersi superata. Diversità di percorsi non significa disuguaglianza, se si met-
te al centro della riflessione il raggiungimento di standard di competenze e di
obiettivi educativi più che l’unicità dei programmi e dei percorsi.
Anche le più importanti riforme varate nella passata legislatura in mate-
ria scolastica non vanno nel senso dell’uniformità, ma della differenziazione
e di una nuova progettualità educativa. In questo senso può essere letta l’au-
tonomia delle istituzioni scolastiche, che è divenuta norma costituzionale.
Anche la legge 62/2000 sulla scuola paritaria rompe il pregiudizio che iden-
tificava il servizio pubblico scolastico con il servizio statale. Questi elemen-
ti, uniti alla riforma costituzionale che ha dato alle Regioni la legislazione
primaria in materia di istruzione e FP, sono le premesse della riforma Mo-
ratti. Una controriforma del sistema scolastico nel secondo ciclo potrebbe
solo portare all’istituzione di un biennio unico, non professionalizzante, di
competenza dello Stato, per poi avere dopo questo dei percorsi di istruzione
e FP di competenza regionale. Le conseguenze sarebbero esattamente con-
trarie alle aspettative di chi progetta questo tipo di riforma: una sempre mag-
giore dispersione delle fasce di giovani socialmente più deboli, come ha di-
mostrato la precedente legge 9/99 e la situazione dei Paesi europei in cui non
si ha differenziazione.
In questo contesto non si capisce con quale criterio alcune Regioni ab-
biano rifiutato percorsi di FP sperimentali, imponendo, in modi piuttosto
strani, percorsi integrati che probabilmente assommano i possibili difetti dei
percorsi scolastici e quelli della FP. Infatti, nonostante la buona volontà di
scuole e Centri, i giovani si trovano di fronte ad approcci educativi e didatti-
ci non omogenei che, invece di facilitare il loro apprendimento, incrementa-
no le difficoltà. Agenzie ed Enti di FP, inoltre, vedrebbero ridursi il loro ruo-
lo a quello di addestratori pratici: il percorso educativo sarebbe progettato
partendo dalla premessa che solo la scuola dà la cultura, perché questo è il
suo compito, mentre la FP fornisce competenze pratiche, perché solo questo
saprebbe fare. Espressioni quali “cultura del lavoro”, “formazione ai ruoli
professionali”, “proposta formativa di un Ente” non avrebbero alcun senso:
229
forse sarebbe opportuno rileggere alcuni articoli della legge 845/78, votata
allora da tutti gli schieramenti politici, per capire come questo modo di
concepire la FP rappresenti una regressione culturale.
Lo schema di decreto legislativo sull’INVALSI
La serie dei decreti legislativi attuativi della legge 53/03 continua ad ar-
ricchirsi. Dopo l’emanazione del decreto sul primo ciclo, il Governo ha ap-
provato tre schemi di decreto, che sono in attesa di approvazione definitiva
dopo l’iter stabilito. Ci soffermiamo, non avendolo preso in considerazione in
precedenti editoriali, sullo “Schema di decreto legislativo concernente la isti-
tuzione del Servizio Nazionale di valutazione del sistema di istruzione e di
istruzione e formazione nonché riordino dell’Istituto nazionale per la valu-
tazione del sistema dell’istruzione ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53”
approvato dal Consiglio dei Ministri il 23 marzo 2004.
Alcuni presupposti possono aiutare la comprensione del testo dello sche-
ma. Tra questi, emerge la dimensione personalistica e sociale del valore del
capitale umano che è valutato. Il partire dal valore della persona permette
un’impostazione complessiva della valutazione lungo tutto l’arco della vita,
senza fermarsi alla pura misurazione delle dimensioni che mettono in risal-
to i risvolti economici della formazione.
Inoltre, le disposizioni riconoscono le competenze dei docenti nella valu-
tazione degli studenti e delle scuole nella gestione per la qualità. Il servizio di
valutazione esterna, infatti, ha come fine il confronto tra classi e scuole su
alcuni risultati degli apprendimenti degli studenti e di rilevare la qualità
complessiva dell’offerta formativa. Questo consente di portare le scuole
all’autovalutazione e di garantire i livelli essenziali delle prestazioni, con
riferimento anche al sottosistema dell’istruzione e della FP.
La valutazione è affidata all’INVALSI, Ente autonomo di ricerca, sogget-
to alla vigilanza del MIUR.
Analizziamo alcuni punti particolari dello schema di decreto.
L’art. 1, “Istituzione del Servizio nazionale di valutazione del sistema di
istruzione e di formazione”, al primo comma precisa che obiettivo di tale si-
stema è “valutare l’efficienza e l’efficacia del sistema di istruzione e di istru-
zione e formazione professionale, inquadrando la valutazione nel contesto
internazionale”. Nello stesso comma, emergono alcune difficoltà legate al si-
stema della FP: per “la formazione professionale tale valutazione concerne
esclusivamente i livelli essenziali di prestazione come definiti ai sensi del-
l’articolo 7, comma 1, lettera c) e comma 2 della legge 28 marzo 2003, n. 53
e deve essere effettuata tenuto conto degli altri soggetti istituzionali che già
operano a livello nazionale nel settore della valutazione delle politiche na-
zionali finalizzate allo sviluppo delle risorse umane”. Sia le Regioni sia, a li-
vello nazionale, il MLPS si riservano di poter continuare il loro lavoro di mo-
nitoraggio e valutazione sui risultati dei percorsi di FP, che si estendono a
tutto l’arco della vita lavorativa e non soltanto alla formazione iniziale fina-
230
lizzata all’ingresso nel mondo del lavoro. Il secondo comma precisa che al
raggiungimento degli obiettivi fissati concorrono le istituzioni scolastiche e
formative, che, inoltre, “forniscono all’Istituto nazionale di valutazione i da-
ti dallo stesso richiesti”.
L’art. 2, per il conseguimento dei fini sopra descritti, riordina il già esi-
stente INVALSI, che ridefinisce come “Istituto Nazionale per la valutazione
del sistema di istruzione e di formazione” (comma 1), “ente di ricerca con
personalità giuridica di diritto pubblico ed autonomia amministrativa, con-
tabile, patrimoniale, regolamentare e finanziaria” (comma 2), “soggetto alla
vigilanza del Ministero dell’istruzione, università e ricerca” (comma 3). Il
MIUR stabilirà con una propria direttiva “relativamente al sistema dell’i-
struzione” le priorità dell’Istituto di valutazione, mentre le linee guida relati-
ve al sistema dell’istruzione e della FP sono definite d’intesa con la Confe-
renza Unificata (comma 3). Il sommarsi di competenze diverse nella stessa
materia, in modo speciale dopo le modifiche costituzionali, rende evidente la
difficoltà di creare un efficace sistema nazionale, soprattutto se continue-
ranno a prevalere le contrapposizioni di schieramento politico nel raggiun-
gere i necessari accordi istituzionali.
L’art. 3 descrive i compiti dell’INVALSI: in particolare esso “effettua veri-
fiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze e abilità degli studenti e sul-
la qualità complessiva dell’offerta delle istituzioni di istruzione e di istruzio-
ne e formazione professionale, anche nel contesto dell’apprendimento per-
manente” (comma 1 lettera a), “predispone, nell’ambito delle prove previste
per l’esame di Stato conclusivo dei cicli di istruzione, per la loro scelta da
parte del Ministro, le prove a carattere nazionale,” (comma 1, lettera b). Ven-
gono inoltre precisate altre possibili attività che l’Istituto può svolgere.
Il comma 2 precisa: “Gli esiti delle attività svolte ai sensi del comma 1 so-
no oggetto di apposite relazioni del Ministro” e “possono segnalare indicato-
ri ritenuti utili al miglioramento della qualità complessiva del Sistema”. An-
che per questo articolo esistono le solite precisazioni quando si tratta di
istruzione e FP.
Per il resto, lo schema di decreto legislativo stabilisce la struttura dell’I-
stituto e i suoi vari organi, la dotazione di personale, il patrimonio e le ri-
sorse finanziarie. Il Presidente è proposto dal Ministro dell’Istruzione Uni-
versità e Ricerca e nominato, su delibera del Consiglio dei Ministri, dal Pre-
sidente della Repubblica; i cinque membri del Comitato direttivo sono no-
minati dal MIUR; tra loro uno è designato dal MLPS e uno dalla Conferenza
Stato-Regioni.
La possibilità di usufruire di alcune unità di personale comandato pro-
veniente dalle Amministrazioni pubbliche, in particolare della scuola, po-
trebbe forse delineare un limite all’autonomia dell’Istituto.
231
Il decreto sulla formazione dei docenti
Il Decreto Delegato ex art. 5 della legge 53/03 sulla formazione dei docen-
ti è ancora allo studio e di esso non si hanno che delle ipotesi di stesura.
L’articolo 5 della legge fissa alcuni punti riguardanti la formazione iniziale e
continua dei docenti. La formazione dei docenti della scuola dell’infanzia,
del primo ciclo e del secondo ciclo è di pari dignità e si svolge essenzialmen-
te nelle Università attraverso la frequenza di corsi di laurea specialistica e di
corsi accademici di 2° livello preordinati all’acquisizione delle competenze di-
sciplinari, pedagogiche, didattiche, organizzative, relazionali e organizzative.
Nel trattare delle modalità essenziali della formazione iniziale e del pro-
filo dei docenti del sistema dell’istruzione e FP sorgono problemi: i requisiti
richiesti ai formatori e docenti concorrono alla determinazione dei livelli es-
senziali delle prestazioni del sistema, per questo sono di competenza statale.
Il Ministro, di intesa con il MLPS e la Conferenza Unificata, determina per-
ciò gli insegnamenti e le aree disciplinari che assicurano la valenza naziona-
le dei titoli e delle qualifiche.
È pensabile che per operare in alcune aree, ad esempio buona parte di
quelle fissate nell’Accordo del 15 gennaio 2004, cioè l’area dei linguaggi, l’a-
rea scientifica, tecnologica e storico-socio-economica, sia richiesta a forma-
tori e docenti una formazione iniziale non dissimile da quella richiesta per
gli insegnanti dei licei. Però, per un notevole numero di formatori che ope-
rano in aree specialistiche tecnico pratiche, un percorso del genere sarebbe
improponibile, pena lo snaturamento dei percorsi di istruzione e FP. Anche
la formazione degli insegnanti nelle aree “comuni” sarebbe opportuno fosse
sviluppata in percorsi universitari appropriati (in Germania la formazione
degli insegnanti della Berufsshule viene attuata in appositi percorsi universi-
tari), perché il percorso di istruzione e FP risulti omogeneo e non la giustap-
posizione di un pezzo di istruzione di tipo liceale a un percorso di tipo pra-
tico, quasi di “apprendistato”.
La situazione dei docenti presenti oggi nella scuola, e in special modo il
grande numero di precari, la diminuzione degli allievi dovuta a cause demo-
grafiche impongono di stabilire norme precise per limitare l’accesso alla pro-
fessione docente. Questo fatto non deve mettere in ombra che al centro del-
la riforma del sistema scolastico non si debbono porre i problemi degli inse-
gnanti, ma gli alunni: in caso contrario, si trascineranno negli anni i proble-
mi, aggravandoli invece di risolverli.
I corsi di laurea specialistici sono affidati alle Università, magari in ac-
cordo tra loro e con il concorso di più Facoltà. Saranno i regolamenti di Ate-
neo a disciplinare l’istituzione e l’organizzazione di un’apposita struttura co-
me “Centro di servizio per la formazione degli insegnanti”, di cui saranno
fissati i compiti.
Per l’accesso all’insegnamento è necessario svolgere attività di tirocinio,
con assunzione di insegnamento e la supervisione di un tutor. Si accede
quindi ad un contratto di formazione lavoro, riservato ai laureati e ai diplo-
mati specialisti, abilitati, iscritti in apposito albo regionale.
232
Per la formazione permanente degli insegnanti verranno creati centri di
eccellenza, sempre legati agli Atenei che svolgono la formazione iniziale, in
accordo con altri Enti formativi. Sono ignorate tutte le possibilità di forma-
zione che una istituzione scolastica autonoma potrebbe liberamente decide-
re di utilizzare per la formazione continua.
I principi enucleati dipendono essenzialmente da quanto già fissa l’art. 5
della legge. Si spera che la formazione degli insegnanti e la loro assunzione
porti a un miglioramento della scuola italiana e della funzione docente.
L’ISFOL
In questo ultimo periodo è giunto al termine il percorso di trasformazio-
ne dell’ISFOL, che, dopo un periodo piuttosto lungo di gestione commissa-
riale dovuta al cambio di Statuto, ha trovato il suo assetto definitivo. La com-
posizione del nuovo Consiglio di Amministrazione dell’Ente rende evidenti i
cambiamenti istituzionali maturati in questi anni e, soprattutto, l’importan-
za assunta dalle Regioni e anche dal MIUR nel complesso dei temi su cui l’I-
SFOL esprime la sua competenza. Gli scopi istituzionali dell’Ente sono, in-
fatti, le attività di ricerca e studio, sperimentazione, assistenza tecnica in ma-
teria di fabbisogni formativi, qualificazioni, struttura delle professioni, pro-
fessionalità emergenti; programmazione e progettazione formativa, offerta
di formazione, rapporti tra sistemi formativi, valutazione; aspetti curricola-
ri, metodologici, didattici e normativi, multimedialità; politiche dell’impiego
e specifiche sezioni e fasce del mercato del lavoro.
È stato nominato presidente Sergio Trevisanato, già Commissario Straor-
dinario presso lo stesso Ente dal maggio al giugno scorso e Dirigente nel-
l’ambito della FP in Veneto.
Il periodo di grandi innovazioni che sta attraversando il sistema scolasti-
co e formativo richiede l’apporto di tutti: ci auguriamo che l’ISFOL possa
continuare e accrescere la propria capacità di supporto alle trasformazioni
che in questi anni particolarmente il sistema della FP iniziale, superiore,
continua e permanente sta affrontando.
Infatti, le vicende del “Rapporto ISFOL” in questi ultimi due anni hanno
messo in luce una situazione di difficoltà: nonostante fosse stata annunciata,
non si è avuta la presentazione del “Rapporto 2002”; del “Rapporto 2003” è
stata fatta una presentazione a un gruppo ristretto di esperti e in grave ritar-
do (essendo stato stampato nel marzo 2004). Auguriamo che a novembre pos-
sa essere disponibile il “Rapporto 2004”, come importante supporto e stimo-
lo a quanti lavorano nel settore in questi momenti di grandi trasformazioni.
Carta qualità della formazione professionale iniziale
per i giovani dai 14 ai 18 anni
L’Area Sistemi Formativi dell’ISFOL ha elaborato, sulla base del con-
fronto con le esperienza di Enti e Associazioni di Enti di FP rappresentativi
a livello nazionale, la “Carta qualità della formazione professionale iniziale per
233
i giovani dai 14 ai 18 anni”. Essa rappresenta un impegno da parte di tutti gli
Enti ad assicurare qualità nelle attività formative, delineandone i requisiti e
rendendoli trasparenti per i soggetti che sono potenziali utilizzatori della FP
iniziale, in particolare giovani e famiglie. La “Carta” si propone di rendere
evidente che la FP costituisce una componente essenziale del secondo ciclo
del rinnovato sistema educativo italiano. I percorsi della FP iniziale si svi-
luppano a partire dalla domanda dei giovani e delle famiglie, assicurando il
diritto a scelte reversibili in un sistema educativo e formativo aperto e flessi-
bile. Descrive la qualità pedagogica e didattica, che permette di raggiungere
i risultati secondo gli standard definiti. Inoltre precisa la qualità organizza-
tiva delle sedi formative: sono comunità educative e luoghi di apprendimen-
to, in cui sono presenti diverse figure professionali ed équipe di formatori in
grado di orientare e guidare i giovani attraverso un vero processo formativo.
Il breve ed elegante libretto che l’ISFOL ha stampato, presentato e mes-
so a disposizione degli operatori della FP costituisce un importante punto di
riferimento sia per gli Enti sia per i destinatari del servizio formativo, ma
anche per chi in sede politica deve promuovere una collocazione più visibile
del sistema formativo italiano, molte volte poco apprezzato più per non co-
noscenza che per i limiti che alcune volte può mostrare.
La presentazione dei risultati della ricerca Excelsior
A partire dal 1996, Unioncamere (Unione italiana delle Camere di com-
mercio, industria, artigianato e agricoltura) aggiorna i dati del suo sistema
informativo “Excelsior” per l’occupazione e la formazione attraverso un’in-
dagine che consente di leggerne nel tempo trasformazioni e tendenze. Il 22
giungo 2004 sono stati presentati i dati dell’indagine condotta sulle previsioni
occupazionali e professionali delle imprese per il 2004. Per quanto riguarda
i livelli formativi attesi dalle imprese, l’ultima indagine segnala la riduzione
della domanda di lavoratori con qualificazione minima, la contenuta richiesta
di qualifiche professionali e di diplomi e la crescita della richiesta di laureati.
Questo fatto rappresenta un’inversione di tendenza rispetto ad anni prece-
denti, in cui la richiesta di lavoratori con qualificazione minima era in cre-
scita. La variazione, però, è ancora troppo piccola per pensare ad un cambio
stabile di tendenza. Inoltre, l’indagine “Excelsior” si riferisce alle previsioni
occupazionali delle imprese: sarà necessario confrontare i dati con quelli
che verranno rilevati al termine del periodo, anche se l’esperienza di anni
conferma che le tendenze rilevate nell’indagine sulle previsioni non si disco-
stano in modo sensibile dalle rilevazioni conclusive.
La ricerca mette in evidenza il diffondersi della formazione continua
nelle imprese. Inoltre è un fatto significativo che ormai un’impresa su dieci
ospita regolarmente stage e tirocini formativi, in maniera più marcata nel
Centro Nord.
Per quanto riguarda i saldi occupazionali, è prevista una crescita limitata
e non omogenea di occupati nelle varie aree e nei vari settori. Inoltre conti-
nua ad essere elevata la percentuale di assunzioni che prevedono esperienza
lavorativa generica o specifica del settore, di fronte ad una diminuzione di
234
richiesta di operai specializzati: si ha un aumento solo per conduttori di
impianti e macchinari, addetti alle macchine utensili e movimento terra.
Bastino questi accenni per destare l’interesse per i dati che il sistema
“Excelsior” mette a disposizione anche di coloro che, attraverso la FP, mira-
no a rispondere alle attese formative dei giovani in modo che trovino meno
difficoltà nel momento di entrare nel mondo del lavoro.
235
Anno 1996
Editoriale n. 1 .............................................................................................. 7
Editoriale n. 2 .............................................................................................. 13
Editoriale n. 3 .............................................................................................. 23
Anno 1997
Editoriale n. 1 .............................................................................................. 33
Editoriale n. 2 .............................................................................................. 43
Editoriale n. 3 .............................................................................................. 53
Anno 1998
Editoriale n. 1 .............................................................................................. 65
Editoriale n. 2 .............................................................................................. 73
Editoriale n. 3 .............................................................................................. 83
Anno 1999
Editoriale n. 1 .............................................................................................. 87
Editoriale n. 2 .............................................................................................. 95
Editoriale n. 3 .............................................................................................. 103
Anno 2000
Editoriale n. 1 .............................................................................................. 113
Editoriale n. 2 .............................................................................................. 121
Editoriale n. 3 .............................................................................................. 129
Anno 2001
Editoriale n. 1 .............................................................................................. 137
Editoriale n. 2 .............................................................................................. 145
Editoriale n. 3 .............................................................................................. 151
Anno 2002
Editoriale n. 1 .............................................................................................. 161
Editoriale n. 2 .............................................................................................. 167
Editoriale n. 3 .............................................................................................. 175
Anno 2003
Editoriale n. 1 .............................................................................................. 185
Editoriale n. 2 .............................................................................................. 193
Editoriale n. 3 .............................................................................................. 199
237
IndiceIndice
Anno 2004
Editoriale n. 1 .............................................................................................. 209
Editoriale n. 2 .............................................................................................. 217
Editoriale n. 3 .............................................................................................. 227
238
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Finito di stampare: Settembre 2004