L'apprendistato è un contratto di lavoro finalizzato alla formazione e alla occupazione dei giovani.
La sua duplice natura è data dal fatto che oltre al normale scambio tra prestazione di lavoro e retribuzione si aggiunge l’elemento costituito dallo scambio tra attività lavorativa e formazione dell’apprendista. Il rapporto tra formazione e lavoro nell'apprendistato si configura come una sinergia formativa che integra l'Apprendimento teorico con l'esperienza pratica. In tal senso, l'apprendistato rappresenta un potente strumento di apprendimento esperienziale. Gli apprendisti diventano soggetti attivi nel processo di costruzione delle proprie competenze. L'apprendimento avviene attraverso un ciclo continuo di azione e riflessione: le esperienze lavorative offrono materiali di apprendimento concreti, che vengono analizzati e approfonditi attraverso la formazione teorica. Questo approccio facilita lo sviluppo di competenze non solo tecniche, ma anche trasversali, come la capacità di lavorare in team, la gestione del tempo, la comunicazione efficace e l'adattabilità. La presenza di un tutor aziendale e di un referente formativo assicura un sostegno costante, promuovendo un ambiente di apprendimento inclusivo e motivante.
L’apprendistato: una tradizione secolare
L'apprendistato ha radici profonde nella tradizione italiana, affondando le sue origini nel Medioevo, quando era la principale forma di educazione e formazione professionale per i giovani. Durante questo periodo, i mestieri erano tramandati di generazione in generazione attraverso l'apprendistato. I giovani, spesso a partire dalla preadolescenza, venivano affidati a maestri artigiani per imparare il mestiere sul campo, in un sistema che combinava istruzione pratica e teorica. Con l'avvento delle città-stato e la formazione delle corporazioni artigianali, l'apprendistato divenne ancora più strutturato e regolamentato. Le corporazioni definivano gli standard di competenza e le modalità di formazione, assicurando che gli apprendisti ricevessero una formazione completa e adeguata. Questi apprendistati duravano spesso diversi anni e culminavano in una prova finale, attraverso la quale l'apprendista poteva diventare un artigiano qualificato, o maestro artigiano. Con l'avvento della rivoluzione industriale nel XIX secolo, l'Italia, come molti altri Paesi europei, vide un cambiamento radicale nel mercato del lavoro e nelle dinamiche di formazione professionale. L'apprendistato tradizionale artigianale iniziò a declinare, sostituito da nuove forme di formazione tecnica necessarie per le industrie emergenti. Tuttavia, il principio dell'apprendistato non scomparve ma si adattò alle nuove esigenze, con le fabbriche che iniziarono a formare i lavoratori direttamente nei loro stabilimenti. Il primo contratto di apprendistato promosso da Don Bosco in Italia è stato firmato l'8 febbraio 1852. Questo evento è significativo non solo per il suo valore storico, ma anche per il suo impatto duraturo sulla formazione professionale in Italia. Questo contratto è considerato uno dei primi contratti moderni di apprendistato, poiché molte delle sue clausole sono state successivamente integrate nella prassi normale dei rapporti lavorativi. Ha rappresentato un vero e proprio modello per la formazione professionale ed è ancora oggi una fonte di ispirazione per i formatori e le istituzioni educative. Il contratto prevedeva quattro firme: quella del datore di lavoro (Giuseppe Bertolino, mastro minutiere), quella del giovane apprendista, quella di Don Bosco come educatore e quella del genitore dell'apprendista. Il documento includeva clausole riguardanti la formazione e l'impiego del giovane apprendista, vincolando il datore di lavoro ad utilizzare l'apprendista solo per il mestiere specifico per cui veniva formato. Questo per evitare che i giovani venissero sfruttati per lavori non correlati alla loro formazione. Questo contratto di apprendistato non solo ha segnato l'inizio di una nuova era nella formazione professionale in Italia, ma ha anche consolidato l'importanza della collaborazione tra educatori, famiglie e datori di lavoro nel processo educativo e formativo dei giovani. Nel XX secolo, l'Italia iniziò a formalizzare e normare l'apprendistato attraverso leggi e regolamenti. Nell’Italia repubblicana è del 1955 la prima legge specifica sull'apprendistato (Legge n. 25 del 19 gennaio 1955), che stabiliva le condizioni di lavoro, la durata e i contenuti formativi degli apprendistati. Questa legge rappresentò un passo significativo verso un sistema di formazione professionale più organizzato e riconosciuto sul piano nazionale. Negli ultimi decenni, l'apprendistato in Italia ha subito diverse riforme per adattarsi ai cambiamenti economici e tecnologici. Una delle riforme più significative è stata quella introdotta dal Decreto Legislativo n. 276 del 2003, noto come “Riforma Biagi”, che ha ridefinito le tipologie di apprendistato e ha introdotto nuove formule per rispondere alle esigenze di formazione dei giovani e delle imprese. Nel 2011, con il Decreto Legislativo n. 167, il Testo Unico dell'Apprendistato ha ulteriormente semplificato e regolamentato la materia, suddividendo l'apprendistato in tre tipologie principali: di primo livello (per la qualifica e il diploma professionale), di secondo livello (professionalizzante o contratto di mestiere) e di alta formazione e ricerca.
L'Apprendistato oggi
La riforma del lavoro del 2015 è intervenuta anche sull’apprendistato. Infatti, la Legge n. 183 del 2014, conosciuta anche come "Jobs Act", delegava il Governo, tra le altre cose, a riformare e razionalizzare la normativa sui contratti di lavoro. Questa legge ha dato origine a diversi decreti legislativi, tra cui il D.lgs. n. 81/2015 che ha regolamentato l'apprendistato e le altre tipologie di contratti di lavoro, armonizzando la normativa e introducendo nuove regole. Il D.lgs. n. 81/2015 amplia il campo di applicazione dell’apprendistato rispetto alla norma previgente: esso può essere utilizzato da tutti i datori di lavoro pubblici e privati in tutti i settori, pur con limitazioni relative al numero massimo di apprendisti in rapporto al numero di lavoratori specializzati o qualificati in servizio presso il datore di lavoro. Anche le agenzie di somministrazione possono assumere apprendisti, al fine di procedere alla somministrazione a tempo indeterminato, facendosi carico dell’assolvimento degli obblighi formativi. Inoltre, è possibile attivare un contratto di apprendistato di alta formazione e di ricerca per il praticantato per l’accesso alle professioni ordinistiche. Anche sul fronte dei lavoratori assumibili la norma amplia la platea, poiché consente l’assunzione mediante contratto di apprendistato professionalizzante, dei lavoratori collocati in mobilità e dei beneficiari di trattamenti di disoccupazione senza limiti di età, al fine di consentire la loro qualificazione o riqualificazione professionale. L’art. 41, comma 2, del D.lgs. n. 81/2015 presenta le tre tipologie di apprendistato che ricalcano, pressoché fedelmente, le finalità e le peculiarità delle tre tipologie già disciplinate dal D.lgs. n. 167/2011, sebbene con notevoli elementi di novità per quanto attiene in particolare agli apprendistati di primo e di terzo livello:
- apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore (art. 43, D.lgs. n. 81/2015);
- apprendistato professionalizzante (art. 44, D.lgs. n. 81/2015);
- apprendistato di alta formazione e di ricerca (art. 45, D.lgs. n. 81/2015).
Le tre forme di apprendistato hanno diversi elementi comuni, disposizioni che rappresentano il tessuto connettivo dell’istituto, a partire dalla definizione dello stesso: l’apprendistato è un “contratto di lavoro a tempo indeterminato, finalizzato alla formazione ed alla occupazione dei giovani”. È necessario precisare che, nonostante la definizione sopra riportata, è riconosciuta alle parti la possibilità di sciogliere liberamente il rapporto al termine del periodo formativo. Ne consegue che la disciplina del recesso nel contratto di apprendistato muta in relazione ai diversi periodi che vive il contratto: durante il periodo formativo si applica la disciplina comune (quella prevista per i contratti di lavoro subordinati a tempo indeterminato); al termine di tale periodo opera la libera recedibilità delle parti, ai sensi dell’art. 2118 c.c.; nel caso in cui le parti optino per la prosecuzione del rapporto di lavoro oltre il termine fissato per la formazione, ritorna ad applicarsi la disciplina restrittiva del potere di licenziamento. Altri elementi comuni della norma sull’apprendistato riguardano:
- piano formativo individuale: è obbligatorio redigere un piano formativo individuale per l’apprendista, che deve essere integrato nel contratto e redatto in forma scritta;
- tutor o referente aziendale: il datore di lavoro deve nominare un tutor o referente aziendale che segua l’apprendista durante il percorso formativo;
- durata minima: la durata minima del contratto di apprendistato non può essere inferiore a 6 mesi.
La norma rinvia ad accordi interconfederali o a contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dalle associazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale la disciplina di alcuni elementi del contratto. In particolare, alla contrattazione sono demandati l'inquadramento retributivo dell'apprendista, eventualmente derogando alle norme generali, le modalità con cui deve essere fornito il tutoraggio all'interno dell'azienda, la percentuale di apprendisti che devono essere confermati al termine del periodo di apprendistato.
Le tre tipologie di apprendistato
Nonostante gli elementi comuni della norma, le tre tipologie di apprendistato sono fortemente diverse, in particolare si evidenzia la differenza tra l’apprendistato professionalizzante e le altre due forme di apprendistato.
L’apprendistato professionalizzante
L’apprendistato professionalizzante prevede un minor impegno formativo rispetto altre due tipologie, inoltre non si conclude con un titolo di studio, ma con una qualificazione professionale, cioè un riconoscimento meramente contrattuale. Esso prevede una formazione di due tipi:
- Formazione di base e trasversale: è con l’accordo del 20 febbraio 2014 in Conferenza Stato-Regioni “Linee guida per la disciplina del contratto di apprendistato professionalizzante” e finanziata dalle Regioni. La durata complessiva varia in base al titolo di studio dell’apprendista: 120 ore per chi ha solo la licenza di scuola secondaria di primo grado; 80 ore per chi ha un diploma di scuola secondaria di secondo grado e 40 ore per i laureati;
- Formazione tecnico-professionale: è a carico del datore di lavoro e riguarda le competenze specifiche necessarie per svolgere le mansioni previste dal contratto di apprendistato. La durata e le modalità di erogazione sono stabilite dai contratti collettivi nazionali di lavoro e dagli accordi interconfederali.
Il datore di lavoro ha l’obbligo di fornire all’apprendista un percorso formativo individuale, che può essere svolto sia internamente all’azienda che esternamente, in collaborazione con enti di formazione accreditati.
L’apprendistato duale
In queste tipologie, l'apprendista è contemporaneamente uno studente; deve infatti essere iscritto a un percorso di studio formale che è integrato con l'attività lavorativa. Inoltre, il datore di lavoro deve possedere capacità strutturali, ossia spazi per consentire lo svolgimento della formazione interna; capacità tecniche, ossia una disponibilità strumentale per lo svolgimento della formazione interna; capacità formative, garantendo la disponibilità di uno o più tutor aziendali per lo svolgimento dei compiti formativi. L’apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore è rivolto ai giovani dai 15 ai 25 anni ed è finalizzato – come dice il nome - al raggiungimento di una qualifica o diploma IeFP, ad un diploma di istruzione secondaria superiore o ad un certificato di specializzazione tecnica superiore (IFTS). L’apprendistato di alta formazione e di ricerca è invece rivolto a giovani dai 18 ai 29 anni, per conseguire titoli di studio universitari, ITS, o svolgere attività di ricerca nell’ambito di un dottorato accademico o industriale. In queste due forme di apprendistato, che sono appunto definite “duali”, l’impegno formativo è nettamente maggiore. Esso, infatti, coincide con il monte ore dei piani di studio dei diversi percorsi formativi, suddivisa tra formazione interna all’azienda e formazione esterna, cioè presso le istituzioni formative. La quota di formazione esterna, in base al Decreto ministeriale del 12 ottobre 2015, varia in relazione all’annualità di corso, comunque sempre compresa tra il 50% ed il 70% del monte ore del percorso di studio. Quindi, assunto che un contratto di lavoro a tempo pieno è di circa 1.800 ore annue ed un percorso di studio ha un monte ore di circa 1.000 ore l’anno, un apprendistato duale ha un carico formativo di 1.000 ore di studio, di cui 500-700 in istituzioni formative e 300-500 in azienda, oltre a circa 800 ore di ulteriore attività lavorativa. La disciplina precedente al D.lgs. n. 81/2015 non riconosceva all’impresa un minor costo del lavoro in virtù del maggior impegno formativo di queste due tipologie, ma il costo del lavoro era ridotto in misura identica con l’apprendistato professionalizzante, con la previsione di meri sgravi contributivi ed un sottoinquadramento di due livelli dell’apprendista. È il D.lgs. n. 81/2015 che opera invece, come avviene nel resto d’Europa, uno scambio più consistente tra formazione e retribuzione. Infatti, nell’apprendistato di primo e terzo livello, oltre agli sgravi contributivi ed al sottoinquadramento di due livelli, vi è anche un’ulteriore riduzione della retribuzione in base alle ore di formazione svolte internamente e fuori dall’azienda: il datore di lavoro è esonerato da ogni obbligo retributivo per le ore di formazione che si svolgono presso istituzioni formative esterne, mentre per le ore di formazione svolte in azienda, il datore di lavoro deve riconoscere una retribuzione pari al 10% di quella che sarebbe dovuta in base all’inquadramento.
I numeri dell’apprendistato
Nonostante la spinta data all’apprendistato per la qualifica ed il diploma professionale con il sistema duale, non deve stupire se a tutt’oggi l’apprendistato professionalizzante si conferma la tipologia nettamente più utilizzata dalle imprese, con un peso pari al 97,9% di tutti i contratti di apprendistato, con 532.957 rapporti di lavoro rilevati nel 2021. L’apprendistato per la qualifica ed il diploma professionale rappresenta l’1,9% dei contratti di apprendistato con 10.233 apprendisti e l’apprendistato di alta formazione e ricerca pesa per il solo 0,2% con 1.177 contratti.
Bibliografia
Inapp, XXI Rapporto di monitoraggio sull’apprendistato in Italia, luglio 2023.
Gentilini D. - G. Occhiocupo (a cura di), La disciplina del contratto di apprendistato dopo il Jobs Act. Normativa, dottrina e giurisprudenza, Inapp Report n. 23/2021.
Gentilini D., Le novità in materia di apprendistato introdotte dal D.lgs. n. 81/2015 (Jobs act): la via italiana al sistema duale, in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale; n. 1, pp. 107-123, 2017.
D.lgs. n. 81/2015 recante "disciplina organica dei contratti e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell'art. 1, comma 7 della Legge 10 dicembre 2014, n. 183, pubblicato sulla G.U. n. 144 del 24 giugno 2015, supplemento ordinario.
Autore
Eugenio Gotti Esperto di Politiche del Lavoro e della Formazione.
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