Sociologia dell'istruzione e della formazione

Autore: 
Malizia G., Lo Grande G.
Categoria pubblicazione: 
Fuori collana
Anno: 
2019
Numero pagine: 
205
Codice: 
978-88-917-8135-2
Questo libro è nato dall’esperienza dei due autori nell’insegnamento nel curricolo di Pedagogia per la Scuola e la Formazione Professionale della Facoltà di Scienze dell’Educazione della Università Salesiana . Il titolo del corso che costituisce il punto di riferimento di questa pubblicazione non è quello tradizionale di sociologia dell’educazione, ma di sociologia delle istituzioni scolastiche e formative. Si ritornerà successivamente sulle ragioni del nome, ma per il momento si desiderava sottolineare una coincidenza dell’inciso “istituzioni scolastiche e formative” con il binomio che ca-ratterizza il titolo di questo volume “istruzione e formazione” e con i destinatari del vo-lume che sono non solo i formatori e i dirigenti della FP del CNOS-FAP e degli altri Enti di FP, ma anche gli studenti che si stanno preparando per operare nella scuola/FP, gli insegnanti e i dirigenti della scuola e gli amministratori e i politici impegnati in questi settori. Un altro punto di contatto può essere trovato nella circostanza che molti dei nostri studenti all’università possono già vantare una esperienza più o meno lunga di in-segnamento o di coordinamento e talora pure di dirigenza sia nell’istruzione che nella formazione. Accenniamo anche a una altra somiglianza tra le due categorie di riferimento. L’esperienza suggerisce che i nostri studenti come anche i dirigenti e i formatori del CNOS-FAP sono esposti alla tentazione di ritenere che la dimensione sociologica non sia poi così necessaria per la loro preparazione. Non hanno dubbi sull’apporto della formazione antropologica perché hanno bisogno di un modello di uomo e di donna e anche di cristiano/a a cui educare i loro giovani, né su quella metodologica che li aiuta a stabilire buone relazioni e a creare una comunità fra tutte le parti interessate in vista di interventi efficaci, né su quella didattica in quanto consente loro di impostare corretta-mente il processo di insegnamento-apprendimento; da qualche tempo si sono convinti della rilevanza della prospettiva organizzativa poiché può assicurare il coordinamento di tutte le attività della propria scuola o del proprio centro di formazione professionale (CFP) in funzione della realizzazione del progetto educativo/formativo, mentre ritengo-no che la conoscenza delle condizioni psicologiche individuali dello sviluppo dei loro giovani siano un prerequisito necessario della efficacia della loro azione educativa. La dimensione sociologica sembra invece riguardare il funzionamento del macrosistema educativo che sfugge al loro controllo o, se entra nel micro, diviene di competenza di figure più specializzate come le assistenti sociali. Essi, però, non tengono conto che, per esempio, anche oggi lo strumento diagnostico più sicuro del successo di un giovane a scuola e nella vita è rappresentato dalla sua condizione socio-culturale ed economica. Precisiamo subito, senza aspettare di entrare nelle varie tematiche del volume, che l’affermazione fa pensare ad una sorta di profezia che si auto-avvera , tesi formulata in forma di teorema per la prima volta dal fondatore della Scuola di Chicago, Thomas e ri-presa poi da Merton nell’asserzione che una supposizione o profezia per il solo fatto di essere stata pronunciata, fa realizzare l'avvenimento presunto, aspettato o predetto, con-fermando in tal modo la propria veridicità (Thomas e Znaniecki, 1968; Merton, 1968). Tornando all’affermazione circa la predittività delle condizioni socio-culturali, il teo-rema prevede la resistenza strutturale al cambiamento che rende difficile la mobilità ver-ticale dei figli delle classi meno abbienti. Se tale resistenza fosse rigidamente vera, renderebbe superflua l’opera educativa della scuola che intende promuovere la cultura e, di conseguenza, anche le condizioni di vita delle nuove generazioni. Per evitare sconforto o atteggiamenti di disillusione, rimandiamo alla conclusione del testo in cui, tirate le fila delle varie teorie e affermata l’insufficienza degli approcci clas-sici e la necessità di un approccio multi-dimensionale, sosteniamo, a ragion veduta, la possibilità di un’azione istruttiva e formativa della scuola/FP che, almeno dove sono ga-rantite le libertà essenziali, promuova sia le condizioni culturali, sia di vita anche delle classi popolari. L’azione educativa tende proprio a far prendere coscienza agli educandi dei propri condizionamenti perché possano “gestirli” in modo da non lasciarsi sopraffare da essi. Ma forse la rilevanza della dimensione sociologica per l’azione di un insegnan-te/formatore o di un dirigente potrà apparire in tutta la sua chiarezza solo dopo aver cer-cato di definire cos’è la sociologia dell’istruzione e della formazione, cosa che ci accin-giamo a fare, o probabilmente solo alla fine del volume, se i lettori avranno la pazienza di percorrerlo tutto.

40 anni di STORIA e di ESPERIENZE della Federazione CNOS-FAP in ITALIA e nelle REGIONI

Autore: 
Malizia G. - Tonini M.
Categoria pubblicazione: 
Fuori collana
Anno: 
2018
Numero pagine: 
202
Codice: 
Introduzione La formazione professionale qualifica in modo originale la scuola dei Salesiani fino ad assurgere a criterio di riconoscimento di essi e delle loro opere (Viganò, 1978). La Federazione Nazionale CNOS-FAP è la struttura associativa che in Italia attualizza l’esperienza di don Bosco e dei suoi fi-gli in quest’area. La Federazione CNOS-FAP è dotata di un proprio Statuto e ispirato ad una cultura associativa e a scelte istituzionali che fanno riferimento all’Ente Promotore denominato “Centro Nazionale Opere Salesiane – CNOS”. Sulle motivazioni di questa scelta, le origini e gli sviluppi del CNOS ha scritto don Pasquale Ransenigo al quale rimandiamo per un approfondimento (CNOS-FAP, 2012, pp. 9-25). Nostro compito è di presentarne sinteticamente i primi 40 anni di storia . Il periodo di tempo da illustrare è notevole e l’intreccio degli avvenimenti risulta molto complesso. Abbiamo cercato pertanto di concentrare l’attenzione su quattro fasi: - il primo decennio di attività tra la fine degli anni ’70 e della prima decade ’80; - la realizzazione del Centro di Formazione Professionale (CFP) polifunzionale nella prima metà del ’90; - la costruzione di un sistema maturo ma disomogeneo di Formazione Professionale (FP) nella prima decade agli inizi del terzo Millennio; - la resilienza della FP e del CNOS-FAP negli anni della grande crisi. Inoltre, abbiamo inquadrato l’evoluzione della Federazione all’interno delle dinamiche sociali che le hanno fatto da sfondo durante questi 40 anni e, a conclusione di questa breve storia, ne abbiamo tracciato un bilancio. In questa breve introduzione non poteva mancare un richiamo alla riflessione e all’esperienza sa-lesiana in campo professionale. Ci serviamo delle parole di uno dei nostri maggiori esperti in materia, José Manuel Prellezo: «Nel lungo e laborioso cammino percorso dai laboratori di Valdocco alle scuole tecnico-professionali salesiane sono riscontrabili tappe differenziate nelle quali, pur con qualche ombra o incertezza, emerge sempre più chiaramente l’impegno per i giovani operai come aspetto essenziale della missione dei figli di don Bosco. […] I laboratori e le scuole professionali hanno consentito ai Salesiani di attuare in modo privilegiato la loro missione giovanile e popolare, attirando le simpatie anche degli ambienti laici. Specialmente in momenti di depressione economica e di scarsa attenzione pubblica all’istruzione professionale, i laboratori e le scuole tecnico-professionali salesiane hanno offerto a numerosi ragazzi/e dei ceti meno agiati un mezzo di promozione sociale. In sintonia con lo spirito delle origini, i documenti più recenti e autorevoli ribadiscono con forza la proposta di mettere i ‘centri d’insegnamento professionale in funzione dei più bisognosi’. Nella lunga strada - 150 anni ca. - dell’impegno a favore del mondo giovanile per il mondo del lavoro non sono mancati momenti di arresto, situazioni di incertezza, scarsità di personale qualifica-to, offerte meno adeguate alle urgenze nuove del sistema produttivo in trasformazione. Ma neppure sono mancate, d’altro canto, spinte al superamento di tale stato di cose. Dagli studiosi e dagli stessi vertici della Società Salesiana è stato caldeggiato l’invito a sviluppare la creatività e lo spirito di in-ventiva e a puntare sulle professioni ‘più favorite sul mercato del lavoro’. Tale invito è stato sinte-tizzato felicemente, all’inizio del nostro secolo, con l’espressione: ‘coi tempi e con don Bosco’» (Prellezo, 1997, 50-51; Prellezo, 2013). In sintesi, si può affermare che l’originalità dell’apporto della Congregazione Salesiana e del suo Fondatore in questo campo consiste: - nella intenzionalità educativa che punta allo sviluppo integrale della personalità del giovane ap-prendista; - nella concezione promozionale che mira alla sua professionalità; - nella maturazione etica e socio-politica in vista della formazione dell’“onesto cittadino” (Viganò, 1988). 1. La nascita del CNOS-FAP e il primo decennio di attività È il momento dell’inizio formale e del periodo di consolidamento della Federazione. Ab-biamo collocato ambedue gli eventi nel trapasso socio-culturale ed economico che si è verificato fra gli Anni ‘70 e ‘80. 1.1. Tra due culture dello sviluppo formativo Un segno della profonda trasformazione che si è compiuta tra le due Decadi, ‘70 e ‘80, è of-ferto dal ricorso alla categoria della complessità che a partire dagli Anni ‘80 è divenuto sempre più frequente da parte dei sociologi per qualificare globalmente la situazione dei sistemi dei paesi occi-dentali (Malizia - Frisanco, 1991). Essa sta ad indicare la numerosità e la varietà delle componenti sociali, la forza del dinamismo che le muove e le rinnova, le incongruenze non superabili che carat-terizzano le loro relazioni. Sul piano macrostrutturale il referente è dato dalla presenza talmente ab-bondante e diversificata di rapporti che rende impossibile, o quasi, tracciare il quadro unitario di una società, mentre sul micro si sottolinea la distanza che separa le capacità di conoscenza, di scelta e di controllo del singolo da quelle del sistema. I principi d'azione si qualificano per la loro natura settoriale in quanto sono finalizzati al conseguimento degli obiettivi temporanei e specifici dei singoli sottosistemi. Riguardo a questa raffigurazione della società alcuni tendono a evidenziare la moltiplicazione delle possibilità e delle opportunità e l’ampliamento dell’organizzazione, mentre altri sottolineano la graduale ingovernabilità dei sistemi, l’assenza di un centro organizzatore e l’aumento della entropia sociale. La progressiva terziarizzazione del mondo economico e soprattutto l'intreccio terziario delle culture, che stavano portando l'Italia verso una fase di sviluppo post-industriale, implicavano una trasformazione culturale e sociale di vaste proporzioni, in quanto significavano una razionalizza-zione dei comportamenti, una ristrutturazione dei processi decisionali, un allargamento delle ca-pacità conoscitive. Il trend in questione poneva tra l'altro l'esigenza di un'alfabetizzazione informa-tica dei giovani e delle generazioni adulte e di un apprendimento attraverso le nuove tecnologie, ed era destinato a far lievitare le nuove offerte formative a fianco e in concorrenza alla scuola. Inol-tre, dopo il raggiungimento del traguardo di una soddisfazione diffusa dei bisogni primari, il paese viaggiava verso la qualità sofisticata e non era pensabile che le istituzioni formative potessero con-tinuare a limitare la loro attenzione alle sole problematiche di ordine quantitativo, pena la pro-gressiva emarginazione dalle dinamiche sociali. Nonostante i segni di crescita e di sviluppo enumerati sopra, non sono mancate problemati-che gravi rappresentate in particolare dai seguenti fenomeni: il mantenimento di forme tradizionali di povertà, anche quantitativamente appariscenti, e l'emergerne di nuove; il permanere di tassi ele-vati di disoccupazione, soprattutto giovanile; l'affermarsi di una competitività sfrenata e di un indi-vidualismo esasperato; una società polarizzata tra una forza lavoro ristretta, impegnata in attività di spessore culturale particolarmente gratificanti, e una porzione quantitativamente molto consistente di persone che svolgono mansioni ripetitive di scarso contenuto culturale. Nel 1983 il Rapporto Censis sulla situazione sociale del paese faceva notare che il sistema scolastico e di FP si trovava in una situazione di transizione fra due culture dello sviluppo formativo. Negli Anni ‘50-‘70 era prevalso «una sorta di modello lineare e semplice di sviluppo [...], basato su presupposti di quantità, unicità, centralizzazione» (Censis, 1983, 164; Malizia, 1988). Durante il periodo accennato si è assistito a un'esplosione quantitativa della domanda di scolarizzazione, si è passati da una scuola elitaria a una di massa, lo Stato si è sforzato di adeguare il sistema formativo alla domanda sociale, dando priorità alle fasce giovanili, senza però riuscire a soddisfare pienamente e in modo tempestivo le esigenze emergenti. Educazione e scuola risultavano identificate secondo la logica di una società semplice mentre il servizio statale e l'impegno finanziario del Ministero della Pubblica Istruzione occupavano un ruolo centrale rispetto alla formazione organizzata da altri enti pubblici e dai privati. L'offerta formativa si qualificava inoltre per l'uniformità in risposta ad esi-genze comuni e per il prevalere di una situazione di stabilità. Le nuove tendenze che stavano emergendo sembrano puntare verso «una specie di modello (o meglio di spunti per un modello) complesso [...] basato su presupposti di qualità, di differenziazio-ne e personalizzazione dei servizi, di molteplicità di risorse formative, di decentramento» (Censis, 1983, 164). Mentre l'offerta pubblica continua a restare agganciata ai bisogni tradizionali, la do-manda sociale pur non rinunciando al minimo garantito dallo Stato si orientava decisamente verso la qualità e l'individualizzazione dei percorsi formativi. L'eguaglianza non veniva più ricercata nell'uniformità, ma nel rispetto delle esigenze personali; si affermava la prospettiva della mobilità, della transizione, del passaggio. Emergeva l'alternanza studio-lavoro soprattutto nella fase di primo inserimento professionale in cui si venivano a intrecciare attività lavorative e di formazione, mentre l'utenza potenziale si estendeva agli adulti. Diminuiva il monopolio della scuola sull'educazione, si allargava l'offerta formativa al di là dell'istruzione formale e crescevano i soggetti che offrivano formazione oltre lo Stato. Si sentiva la necessità di superare la contrapposizione fra centralizzazione e decentramento in un'ipotesi di governo dell'istruzione che prevedeva un coordinamento e un controllo centrali accanto a un forte potere locale d'iniziativa. La formazione non poteva più essere identificata con l'azione dello Stato, ma andava considerata come un sistema allargato e diversificato che abbracciava, oltre all'intervento statale, tutto un complesso di risorse e di agenzie che agivano nell'area dell'educazione. Il “sistema formativo allar-gato” verrebbe ad includere: una pluralità di soggetti che intervengono nel settore della formazione (lo Stato, le Regioni, gli Enti locali, altri enti e privati) tra i quali realizzare ipotesi di coordi-namento, integrazione o almeno interdipendenza; iter formativi differenziati in risposta alle esi-genze di personalizzazione dei percorsi; obiettivi diversificati di apprendimento che dovrebbero essere determinati esplicitamente, valutati con mezzi idonei e certificati con modalità nuove; colle-gamenti diversificati con gli altri sistemi confinanti con il formativo (famiglia, lavoro e tempo li-bero). In tale prospettiva il compito del potere pubblico non veniva annullato, ma trasformato in un ruolo di stimolo, valutazione e supporto. Quanto in particolare alla FP, con l’approvazione nel 1978 della legge quadro n. 845/78 si concludeva una lunga evoluzione che iniziatasi negli Anni ‘50 aveva gradualmente innalzato la fi-nalità educativa globale del settore dalla prevalenza dell’addestramento alla trasmissione di una cul-tura professionale (Ghergo, 2009a). Il sistema di FP delineato dalla normativa appena richiamata «appare organico e strutturato. Esso fa riferimento ad una rete di CFP, dotati di una notevole libertà di iniziativa nel territorio di riferimento, in stretta relazione con le imprese. Il sistema di FP è inteso in senso alternativo alla scuola, (per questo motivo è stato denominato in modo forse un po’ spre-giativo ‘scuola di serie B’), volto ad offrire alla gran parte degli adolescenti e dei giovani quelli che non proseguivano gli studi dopo la terza media un’opportunità di ‘elevazione culturale’ e di qualificazione professionale, in modo da posticipare l’ingresso nel mondo del lavoro e da garantire loro una migliore dotazione umana e professionale. Dal punto di vista strategico tale impostazione conduce alla delineazione di un sistema regolato come il sistema d’istruzione ma parallelo ad esso, con tipologie formative e ordinamenti didattici definiti, ma che in un secondo tempo sono divenuti in certa parte sostanzialmente rigidi e iterativi, tanto da dare vita ad una componente di CFP a carat-tere para-scolastico» (Gandini - Nicoli, 1999, 270-271; Ghergo, 2009a). La FP di base, destinata cioè ai giovani con o senza licenza media e con bassa qualifica, aveva registrato negli anni successivi una crescita costante che però si era interrotta nel 1985-86 quando si era verificato un calo significativo degli iscritti; al contrario risultava in aumento la do-manda di corsi professionalizzanti da parte dei diplomati, degli adulti, della forza lavoro in ricon-versione, del grande pubblico (Malizia - Chistolini - Pieroni, 1990). Comunque, dopo la crisi quan-titativa della metà degli Anni ‘80 alla fine della decade (1988-89) si osserva un aumento nel dato globale che però premia i corsi di 2° livello e quelli di formazione sul lavoro, mentre quelli di 1° li-vello presentano una ripresa che, tuttavia, non li riporta sui valori degli inizi del decennio. Al di là delle problematiche di ordine quantitativo il sottosistema pubblico – Stato, Regioni ed Enti convenzionati – denotava difficoltà di slancio. Le cause erano varie: le carenze del quadro legislativo quali lo stallo della riforma della secondaria superiore che manteneva in una condizione di grave incertezza le sorti della FP di base; il prestigio non molto elevato di cui godeva la FP re-gionale, come di una scuola di serie B; l’inadeguatezza a rispondere ai bisogni del mercato di lavoro, per cui non infrequentemente la decisione sui corsi era condizionata dall’offerta più che dalla domanda; una burocratizzazione pervasiva che si manifestava tra l’altro nella trasformazione ten-denziale delle convenzioni da atto contrattuale ad atto autoritativo, nella standardizzazione soffo-cante di interventi e costi, nell’eccessivo garantismo e nella scarsa flessibilità della politica del per-sonale; la conoscenza insufficiente dei dati della spesa e la mancanza di meccanismi di controllo dei risultati reali (Relazione del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, 1987). Indubbiamente a monte incidevano le connotazioni del nuovo ciclo economico accennato sopra quali la progressiva terziarizzazione dei processi produttivi, lo sviluppo impressionante della scienza e della tecnologia, l’internazionalizzazione del mercato. In altre parole, la FP stava attraver-sando una fase di trasformazione caratterizzata dal passaggio da una mono-utenza tradizionale a una pluriutenza di portatori di esigenze nuove e diversificate, dall’ampliamento della gamma dei servizi, dalla crescita e dalla differenziazione delle offerte extrascolastiche, dall’introduzione di nuove tec-niche di autoformazione e di formazione personalizzata. 1.2. La nascita della Federazione Nazionale CNOS-FAP (fine Anni ’70) e il suo consolida-mento (Anni’80) Entro il quadro di una società in profondo cambiamento, in data 9 dicembre 1977 veniva creata presso notaio la Federazione Nazionale CNOS-FAP (Centro Nazionale Opere Salesiane - Forma-zione e Aggiornamento Professionale). Contestualmente si approvava lo Statuto e si stabilivano le cariche sociali. La Federazione era promossa dall’Ente CNOS. Questo è «un Ente con personalità giuridica ci-vilmente riconosciuta con D.P.R. 20/9/1967 n. 1016, modificato con D.P.R. 2/5/1969» (Statuto CNOS=STC, a.1) (CNOS, 1977). Il CNOS «fa parte a tutti gli effetti della Congregazione Salesia-na» che lo ha costituito per assicurare ai Salesiani la titolarità giuridica ad inserirsi nell’assetto civi-listico della società e a svolgere attività culturali, formative, educative, ricreative, assistenziali, arti-stiche e sociali, anche con finanziamenti pubblici (STC, a.2). Per conseguire le proprie finalità isti-tuzionali, il CNOS ha promosso la costituzione di Associazioni o di Federazioni settoriali a raggio nazionale, interregionale e regionale in diversi ambiti dell’attività salesiana in Italia, nelle quali esercita un’azione di guida e di controllo in ordine alla ispirazione salesiana, coinvolgendo le istitu-zioni della Congregazione che svolgono attività omogenee (STC, a 2 e 4). Una delle Federazioni settoriali che il CNOS ha costituito per realizzare i suoi scopi istituzionali è la “Federazione Nazionale Centro Nazionale Opere Salesiane-Formazione e Aggiornamento Pro-fessionale” (CNOS-FAP) (Statuto del CNOS-FAP=StF, a.1) (CNOS-FAP, 1981). Essa persegue i seguenti scopi: «a. coordinare le attività di formazione professionale svolte dagli Enti Associati, promuovendo eventuali associazioni; b. promuovere iniziative di studio, ricerca e sperimentazione in rapporto ai problemi inerenti all’orientamento e alla formazione professionale […]; c. curare la formazione e l’aggiornamento del personale docente nei Centri di Formazione Pro-fessionale; d. collaborare […] a iniziative tendenti alla formazione, qualificazione e riconversione dei lavo-ratori ad ogni livello; e. promuovere iniziative per l’orientamento professionale e scolastico […]; f. aderire alle organizzazioni regionali, nazionali e ultranazionali che perseguano le stesse finalità […]» (StF, a. 2). Anche la Federazione CNOS-FAP, al di là delle attività atte a conseguire i propri fini istitu-zionali, opera in prevalenza per la promozione e il coordinamento delle Sedi periferiche e lo fa principalmente attraverso le rispettive Delegazioni Regionali che assicurano alle suddette Sedi iden-tità associativa e servizi culturali e gestionali nel rispetto delle loro autonomie e responsabilità dirette (StF, a.2 e 6). I soci sono, essenzialmente, di quattro tipi: i soci fondatori di cui all’atto costitutivo; le isti-tuzioni salesiane, le Associazioni promosse dalle stesse o dalla Federazione Nazionale CNOS-FAP che svolgono attività di FP; membri qualificati della società salesiana; istituzioni non salesiane pur-ché operanti nell’ambito della formazione professionale ispirandosi alla Proposta formativa CNOS-FAP (StF, a.9). Organi sociali e articolazioni della Federazione sono: l’Assemblea Generale che è l’organo su-premo della Federazione; il Consiglio Direttivo Nazionale che è l’organo esecutivo delle delibera-zioni e degli indirizzi determinati dall’Assemblea Nazionale; la Giunta e la Sede Nazionale che at-traverso i propri Uffici e i relativi responsabili assicura piani annuali di attività, ricerca e sperimen-tazione a tutti i livelli; le Delegazioni Regionali; i Settori Professionali; il Collegio dei Revisori dei Conti. All’interno, poi, della Conferenza degli Ispettori Salesiani di Italia e Medio Oriente (CISI) è con-templata la presenza di un Superiore Provinciale (Ispettore) il quale, assumendo la Presidenza della Federazione CNOS-FAP, assicura il coordinamento e la coerenza con le iniziative nazionali della Congregazione Salesiana nel campo della FP e della scuola, garantendo la fedeltà della Federazione al sistema educativo, alle metodologie e allo stile di S. Giovanni Bosco. Nell’assetto istituzionale della Federazione è previsto un ruolo significativo per le Delegazioni Regionali a cui presiede il Delegato Regionale, chiamato a svolgere funzioni di rappresentanza della Federazione di fronte alle Amministrazioni Regionali e Locali (StF, a.9). A livello locale sono attive le Associazioni e/o Federazioni Locali che la Federazione promuove attraverso le delegazioni. I loro compiti si riferiscono prevalentemente alla gestione del personale e delle risorse umane e strumentali dei rispettivi CFP. Alla costituzione del CNOS-FAP hanno portato anzitutto le stesse ragioni che sono alla base del-la creazione dell’Ente CNOS e delle Associazioni da questo promosse. In particolare, hanno giocato una incidenza significativa su questa decisione: l’esigenza di legittimazione della presenza e dell’azione educativo-pastorale dei Salesiani; il bisogno di garantirsi spazi di libertà in un momento di montante statalismo; la ricerca del dialogo e del confronto con le istituzioni pubbliche, con altri enti e con le associazioni in vista di un servizio culturale ed educativo sempre più efficace alla gio-ventù; il reperimento di finanziamenti pubblici per poter esercitare l’opzione preferenziale per i più poveri (Rizzini, 1988). Passando più nello specifico della Federazione CNOS-FAP, si possono richiamare alcune moti-vazioni particolari: - la dipendenza da una associazione civile era necessaria al personale salesiano per operare nella FP ed essere retribuito con finanziamenti pubblici, non potendo tale personale es-sere alle dipendenze del medesimo Ente ecclesiastico di appartenenza; - inoltre, tali finanziamenti in base alla legge quadro erano erogati mediante conven-zioni a strutture di enti che risultassero emanazione di organizzazioni specifiche o di associazioni con finalità educative sociali; - sul piano strettamente congregazionale, si consentiva di aggregare le strutture e le iniziative locali mediante un coordinamento di livello nazionale o almeno regionale, uscendo dal settorialismo delle province religiose, o ispettorie nel linguaggio salesiano; va sottolineato che la medesima esigenza di aggregazione emergeva anche nella società civile (Viganò, 1978). Nel mondo delle politiche della formazione e del lavoro il dialogo culturale per portare avanti le nostre proposte non poteva svolgersi solo nell’ambito del singolo CFP ma richiedeva di elevarsi a livelli più alti per essere introdotto nei punti chiave dove si gioca il futuro in particolare dei giovani. Solo una Federazione che costituisse un corpo organico, sostenuto nella sua azione anche da studi di natura scientifica quali quelli condotti dall’Università Salesiana, poteva effettuare in modo vincente il confronto con i vertici del potere decisionale o con i centri di ricerca che plasmano l’opinione pubblica di un paese. Condizione di un confronto alla pari era anche la disponibilità di un personale qualificato: pure da questo punto di vista la dimensione nazionale del CNOS-FAP offriva una gran-de opportunità positiva. La natura civilistica dell’Associazione poteva facilitare il passaggio da un CFP gestito da soli religiosi come padroni a una comunità educativa che ricerca il massimo di par-tecipazione da tutti coloro che intervengono in questo progetto di crescita umana. La formula si dimostrò subito positiva. In cinque anni (1977-78/1981-82) gli allievi crebbero del 5% quasi, passando da 8.937 a 9.365, i formatori dell’8% da 714 a 777 e i Centri di 4 unità da 36 a 40 (cfr. Tav.1). Ma il balzo in avanti fu soprattutto qualitativo: i CFP si inserirono dinamicamente nel contesto sociale, mettendo a disposizione della comunità locale civile ed ecclesiale il loro patri-monio culturale, educativo e pastorale, corresponsabilizzando i laici e concorrendo mediante lo strumento dell’associazione del privato-sociale alla elaborazione delle politiche formative a livello locale e nazionale. A ciò ha concorso il rapido consolidamento del CNOS-FAP che si è compiuto negli Anni ‘80 (Rizzini, 1988). Nel 1980 all’assetto previsto dallo Statuto si aggiungeva quello normativo dei Re-golamenti della Sede Nazionale e delle Delegazioni Regionali che dotava la Federazione di artico-lazioni efficaci sul piano territoriale. Nel 1982 venivano istituiti i Settori Professionali (meccanico, elettromeccanico, elettronico, grafico e le commissioni culturale e matematico-scientifica), mentre il relativo Regolamento diveniva definitivo nel 1987: con questa nuova struttura veniva potenziata la dimensione associativa del CNOS-FAP nel senso che ogni formatore in quanto membro di un set-tore professionale specifico o di una commissione contribuisce a definire le linee generali della pro-grammazione formativa e a tradurle in pratica. Nel 1984 la rivista “Rassegna CNOS” iniziava le pubblicazioni; l’intento era di offrire ai formatori e agli operatori della FP, ai centri di studi impe-gnati in questo ambito, agli amministratori e ai politici un «periodico saggio degli studi e delle ri-cerche degli esperti e l’esperienza degli operatori dei suoi 41 Centri, impegnati oggi particolarmente nella innovazione e sperimentazione della didattica e delle tecnologie formative» (Editoriale, 1984; cfr. anche Editoriale, 1993). In questo modo, si pensava di poter dare un contributo determinante a realizzare uno dei compiti, appena ricordato, che il Rettore Maggiore dei Salesiani, don Egidio Vi-ganò, aveva assegnato fin dall’inizio alla Federazione, quello cioè di realizzare un confronto rigoroso con il mondo culturale e politico a livello nazionale ed europeo sui problemi delle politiche del lavoro e della formazione (1978). Da ultimo, nel 1989 veniva elaborata la Proposta Formativa CNOS-FAP che articolava l’attività della Federazione intorno a quattro strategie fondamentali: la costruzione della comunità formativa come soggetto e ambiente di formazione; la qualificazione educativa e professionalizzante del CFP; la tensione verso una professionalità fondata su una valida e significativa cultura del lavoro ed un progetto di vita; l’offerta del servizio di orientamento profes-sionale. Pertanto, si può senz’altro condividere il giudizio che il presidente del CNOS di allora, don Felice Rizzini, ha dato sul primo decennio del CNOS-FAP: «La consistenza della Federazione CNOS-FAP, le salde tradizioni maturate in centoquarant’anni di storia e l’assistenza prestata dagli organismi federativi, specie quelli centrali e regionali […] l’hanno resa partecipe di un forte dialogo con il Ministero e le Regioni, con gli Enti di FP, specie con quelli di ispirazione cristiana attraverso la CONFAP, e con gli altri organismi e l’hanno resa capace di esprimere una propria cultura profes-sionale e di fare scelte adeguate, conservando un certo prestigio ed autorevolezza per l’esperienza acquisita, per le ricerche di studio portate avanti con la collaborazione del laboratorio CNOS istituito presso la Facoltà di Scienze dell’Educazione dell’U.P.S., per le pubblicazioni (sussidi e rivista specializzata) e per le iniziative assunte di sperimentazione, specie sotto il profilo didattico ed a fa-vore di giovani in difficoltà e a rischio» (Rizzini, 1988, 174; cfr anche Editoriale, 1994b). In questo periodo l’attività formativa principale era quella di primo livello che però venne profondamente rinnovata nei contenuti e nell’organizzazione sulla base anche dei risultati di numerose maxisperi-mentazioni affidate dalle Regioni e dal Ministero a livello di singolo CFP. La scelta dei giovani e delle famiglie continuava a orientarsi in maniera consistente verso i Centri CNOS-FAP, anche se nel 1986-87 si notava una leggera diminuzione degli iscritti (cfr. Tav.1) anche a seguito del blocco delle iniziative in alcune Regioni, di alcuni esperimenti di pubblicizzazione del personale, della limitazione dei finanziamenti e del ricorso di alcune Regioni a forme generalizzate di aggiornamento che causarono la sospensione delle attività corsuali. Efficace fu l’attività di orientamento che i Centri di Orientamento Scolastico Professionale e Sociale (COSPES), promossi dagli Enti CNOS e CIOFS, offrivano alla Federazione, partecipando alla programmazione educativa, accompagnando gli allievi ed assistendo i formatori e i genitori. Una conferma della consistenza qualitativa e quantitativa delle attività formative poste in essere si può desumere anche dal riconoscimento della Federazione come Ente Nazionale di primo livello per poter fruire dei contributi finanziari previsti dalla legge n. 40/87. Da ultimo non si può non sottolineare un aspetto che, però, non è specifico di questo periodo, ma che costituisce una costante dei 40 anni di attività del CNOS-FAP. Si tratta dell’impegno “a fare della formazione professionale un vero e proprio sistema”, (Rizzini, 1988, 176) a cui riconoscere parità e autonomia nei confronti del sistema scuola. 2. La Federazione CNOS-FAP durante gli anni ‘90 Agli inizi della decade ’90 l'Italia ha attraversato una fase di attesa e di stanca in cui sembrava che alla fiducia nello sviluppo ulteriore si fosse sostituito il demone della de-costruzione (Censis, 1991). In ogni caso le ombre, anche molto fosche, che gravavano sul nostro cielo, non esaurivano il quadro globale che era molto più vario e complicato: accanto alle crisi e alle sfasature che si erano imposte all'attenzione generale, non andavano dimenticate le lunghe derive positive, né gli spazi e i varchi che si stavano aprendo per rinnovare e adeguare il nostro paese. Tuttavia, nel prosieguo l’attenzione verrà concentrata sugli aspetti negativi perché consentiranno di capire meglio le pro-blematiche della FP e le risposte della Federazione CNOS-FAP. 2.1. Una società inquieta in fase di attesa Nei primi anni ’90 il processo di sviluppo a lungo termine del nostro paese si trovava in un periodo di stasi e di blocco. Il sovraccarico dei soggetti, dei processi e dei comportamenti aveva portato a una ridondanza non regolata che creava più rigonfiamento che strategia. Al tempo stesso sembrava essere entrata in crisi la tensione ad innovare e a fare qualità: fantasia e creatività, che avevano accompagnato e, soprattutto, preceduto lo sviluppo degli ultimi decenni, apparivano deci-samente in ribasso, mentre la scena denotava una crescente presenza di ordinarietà, ripetitività e routine. Un altro trend negativo poteva essere visto nella tendenziale deresponsabilizzazione dei di-versi centri di decisione ad incominciare dalla famiglia sempre più propensa al consumo che all'investimento o al risparmio. Una grave sfasatura era riscontrabile anche a livello di intervento pubblico che si caratteriz-zava da una parte per l'aumento incontrollabile del suo costo e dall'altra per la caduta in verticale della sua incidenza e utilità e per la situazione di frammentazione e di crisi in cui versava il sistema di rappresentanza. Ma il pericolo più serio era costituito senz'altro dal fatto che la forza del credere si era molto ridotta sia nei riguardi della politica sia entro la società civile, mentre si affermava il fenomeno, a cui si è già accennato sopra, della de-costruzione: sembrava che si volesse abbattere tutto dall'assetto costituzionale, ai partiti di massa, ai sindacati, agli ordinamenti regionali per, poi, ripartire di nuovo da zero. Passando infine agli aspetti socio-economici della situazione del paese nella decade ’90, ci si limiterà a sottolineare i mutamenti profondi in atto nel mercato del lavoro per poterli mettere a confronto con la FP. Da una parte si riscontrava un calo delle occupazioni industriali e dei mestieri tradizionali, mentre dall'altra emergevano nuove professioni e quasi-professioni nell'industria e nel terziario: queste ultime rinviavano a paradigmi di lavoro molto diversi dai profili a cui tradizio-nalmente aveva preparato la FP (Butera, 1989). Il mercato del lavoro assumeva un carattere sem-pre più frammentato, mentre la FP si era attrezzata ad offrire formazione solo ad alcuni di questi segmenti, per cui non riusciva a soddisfare la domanda globale. Si registrava inoltre una notevole polarizzazione fra settori forti e deboli della forza lavoro e l'insorgere di una nuova stratificazione sociale; anche in questo caso storicamente la FP si era occupata quasi esclusivamente delle fasce marginali. Altri cambi nel sistema sociale ponevano problemi non semplici alla FP: l'importanza determinante della qualità della persona umana nelle aziende; l'aumento della rilevanza dell'atmo-sfera di un'organizzazione e della sua cultura; una relazione più adulta fra singolo e organizzazione; una domanda diffusa di riconversione delle proprie competenze lavorative; l'esigenza di abilità sempre più complesse; la maggiore mobilità; la richiesta di interventi in tempo reale. In ogni caso non si trattava più di formare persone che dovevano svolgere dei paradigmi di lavoro già de-finiti, ma di preparare operatori che portavano valori e capacità di innovazione, di creatività, di impegno, di qualità e di eccellenza. Va riconosciuto che la FP aveva conseguito notevoli traguardi negli ultimi 20 anni: una defini-zione più adeguata, una corrispondenza più stretta con il sistema produttivo, un'accettazione cre-scente della sua rilevanza strategica e un riconoscimento più ampio della sua autonomia (Conferenza Nazionale sulla Formazione Professionale, 1992; Ruberto, 1992; Ghergo, 2009a). Tuttavia, il mondo della FP, pur essendosi reso conto sufficientemente dell'evoluzione in atto nella realtà formativa, stentava a tradurla nel proprio sistema in strategie efficaci e generalmente accettate. Inoltre, sebbene si fossero realizzate sperimentazioni valide, i risultati tardavano a ricadere sulle strutture non solo a causa della rigidità degli ordinamenti, ma anche di operatori contrari all'innovazione. I CFP dimostravano sufficiente dinamismo, ma trovavano un freno nella propria origine perché ritenute per lo più strutture di serie B. Le imprese si rivelavano più esigenti quanto all'efficacia controllabile degli interventi e più aperte alla collaborazione con le scuole e i CFP, ma limitavano il loro interesse alla stretta funzionalità delle azioni formative con i miglioramenti produttivi e orga-nizzativi, mentre trascuravano la formazione in vista dello sviluppo prioritario delle competenze dei lavoratori e della ricerca. È stata anche rimproverata alla FP di quegli anni una considerazione inadeguata del rapporto tra la domanda e l’offerta formativa: infatti, da una parte si registrava un eccesso di offerta forma-tiva rispetto alla domanda sociale da cui seguivano non infrequentemente sovrapposizioni e irra-zionalità, mentre dall'altra l'offerta formativa si rivelava inadeguata nei confronti della domanda economica sia per la preparazione carente degli operatori pubblici sia per la scarsa disponibilità delle imprese ad assumere parte dei costi. Il dibattito sull'offerta tendeva a concentrarsi sul curricolo, sulle metodologie e sulle esigenze occupazionali dei formatori e degli operatori piuttosto che sulla formazione da acquisire al termine del percorso di FP; a sua volta la progettazione curricolare si dimostrava insufficiente soprattutto nel momento dell'analisi della professionalità presente nell'impresa. In aggiunta si riscontrava una eccessiva diversificazione tra le Regioni e non manca-vano aree ad alta concentrazione di condizioni problematiche per cui la situazione stava rasentando la polarizzazione. Il sistema di certificazione era assente o assolutamente inadeguato perché privo del fondamento solido di criteri oggettivi. Nonostante ciò, il carattere strategico della FP era riconosciuto da una porzione importante di ricercatori e di operatori che la consideravano una variabile determinante della crescita socio-economica. La FP era il sottosistema formativo che nel nostro paese si qualificava per la più grande concretezza in quanto operava nello snodo tra domanda e offerta di lavoro; in particolare essa in-terveniva nella fase di raccordo fra tre gruppi di sistemi: produttivo e scolastico; lavorativo e for-mativo; della stratificazione sociale e della promozione degli strati più deboli della società. Inoltre, presentava un grado notevole di flessibilità e di apertura verso il contesto esterno, anche se non nella misura voluta. In sostanza le strutture della FP erano chiamate a costituire il perno del sistema regionale della transizione-reinserimento, in altre parole del passaggio dalla scuola alla vita attiva e della riqualificazione dei lavoratori. Cinque erano le aree di cui essa di fatto si occupava: la FP di 1° e di 2° livello, la formazione sul lavoro, i corsi speciali, i corsi di altro tipo (Isfol, 1990). Un ruolo così impegnativo esigeva cambiamenti notevoli nelle strutture di FP: emergevano nuovi compiti di integrazione e coordinamento, si richiedeva flessibilità di organizzazione, strutture e curricoli, biso-gnava rendere i CFP capaci di gestire l'innovazione. Accanto ai problemi organizzativi, l’altra questione centrale degli inizi della decade ’90 era costituita dalla situazione degli operatori della FP che vedeva anzitutto una giustapposizione e fre-quente sostituzione o integrazione delle figure di processo (progettisti, tutor, coordinatori) alle figure di contenuto (docenti, istruttori) (Isfol, 1992). Inoltre, i compiti dei formatori tendevano a com-binarsi nelle forme più varie sia nel momento dell'assunzione che dell'organizzazione del lavoro. Si registrava anche una situazione di elevata instabilità nei ruoli per cui questi non sempre corri-spondevano alle articolazioni precedenti delle figure, né d'altra parte ne emergevano di nuovi che ottenevano un consenso generale e la loro differenziazione era talora molto forte. La struttura del mondo del lavoro in cui coesistevano modalità tradizionali e nuove e una gamma di forme interme-die esigeva dai formatori il possesso non tanto delle abilità di adattamento al cambio quanto la ca-pacità di prevenirlo e di fornire strategie adeguate di risposta. Di qui l’esigenza di disporre di categorie anche contrattuali che affrontassero la tematica dell’innovazione dei profili professionali e del relativo inquadramento. 2.2. Il CNOS-FAP e il CFP polifunzionale Le linee fondamentali della politica della Federazione CNOS-FAP agli inizi degli anni ’90 possono essere sintetizzate nei seguenti orientamenti assunti a livello di Assemblee Generali e di Consigli Direttivi Nazionali della Federazione medesima: «a) un serio impegno da parte di tutti i membri della Federazione, secondo ruoli e responsabilità diversi, coinvolgendo allievi e genitori, per approfondire i valori caratterizzanti la attività formativa salesiana. […] b) […] le iniziative assunte perché l’elevamento dell’istruzione obbligatoria dai quattordici ai sedici anni possa essere soddisfatto in una pluralità di canali, compreso quello della formazione pro-fessionale. […] c) La qualificazione del personale, salesiano e laico impegnando: il singolo CFP a diventare fulcro della formazione permanente dello stesso; le Sedi Regionali a progettare un piano regionale adegua-to; e la Sede Nazionale ad organizzare con i Settori Professionali, corsi di qualificazione di aggior-namento, seminari di studio e convegni, ed a riservare negli incontri, previsti dagli statuti e dai regolamenti, temi formativi. A questo scopo vengono ulteriormente valorizzati: la rivista «Rassegna CNOS»; gli studi-ricerche del Laboratorio CNOS; la sperimentazione di nuovi testi e sussidi mul-timediali […]. d) il potenziamento degli organismi nazionali, regionali e locali con personale specializzato e con attrezzature aggiornate e la valorizzazione delle strutture associative, conforme allo statuto ed ai vari regolamenti» (Rizzini, 1988, 176-177). A nostro parere e anche in relazione alla presentazione della situazione della FP sopra indi-cata, l’aspetto più innovativo dell’attività del CNOS-FAP nei primi anni ’90 va identificata nella elaborazione di un nuovo modello organizzativo del CFP. Come si è osservato sopra, i CFP erano stati raggiunti agli inizi della decade ‘90 da fenomeni di involuzione burocratica (Isfol, 1995). Infat-ti, non infrequentemente si notava una focalizzazione eccessiva sui bisogni degli operatori a scapito dei destinatari; inoltre, non mancavano casi in cui si privilegiava il controllo normativo sulle procedure rispetto alla verifica sostanziale sui risultati. In reazione a questi segnali degenerativi si andava diffondendo l'esigenza di elaborare un modello alternativo al CFP tradizionale. A tal fine il Laboratorio “Studi e Ricerche” del CNOS-FAP ha realizzato nella prima metà de-gli anni ‘90 quattro ricerche, tre su finanziamento del Ministero del Lavoro (Malizia et al., 1991 e 1993; Malizia et al., 1996) – rispettivamente sul coordinatore progettista, su quello di setto-re/processo e sul direttore e lo staff di direzione – e una dello stesso CNOS-FAP sul coordinatore delle attività di orientamento (Pellerey - Sarti, 1991). Sulla base dei risultati di tali investigazioni è stato possibile elaborare un modello di organizzazione delle azioni di FP che si qualifica per essere al tempo stesso formativo, comunitario, progettuale, coordinato, aperto, flessibile e qualificato (Malizia et al., 1993). In sostanza si tratta del modello del CFP polifunzionale che, mentre da una parte cerca con la pluralità delle sue offerte di adeguarsi alla complessità della società odierna, dall'altra non rinuncia, anzi mira a rafforzare il suo ruolo formativo al servizio di una gamma molto ampia di destinatari. Esso si contrappone alla formula dell’agenzia formativa (Isfol, 1995) che però non sembra trovare il conforto dei dati delle ricerche menzionate sopra. I risultati di tale impegno associativo hanno costituito il quadro di riferimento entro il quale si è collocato anche un articolo (n.7) del CCNL della formazione professionale convenzionata (1994-1997) 2.2.1. Un modello formativo e comunitario Gli studi a medio e lungo termine coincidevano in generale su una previsione: l'avvio del terzo millennio sarebbe stato contraddistinto da una vera e propria esplosione delle conoscenze in tutti i campi (Cresson - Flynn, 1995). Nel nuovo modello di società, ricerca, sapere e formazione diventavano il fondamento del sistema sociale e non sarebbero più soltanto fattori di sviluppo: in altre parole, la formazione con la ricerca e il sapere rappresentava il fondamento stesso della società post-industriale o post-moderna. Anche nella FP la centralità della formazione significa promozione integrale delle persone; in questo caso, tuttavia, tale finalità prioritaria viene raggiunta attraverso l'acquisizione di un ruolo professionale qualificato e di una specifica cultura che è professionale, umanistica ed inte-grale. In altre parole tale cultura deve essere focalizzata sulla condizione produttiva che, a sua volta, va inquadrata in una concezione globale dell'uomo e che ottiene la sua piena significatività nella dimensione etica e religiosa. La formazione è opera comune, presuppone un accordo di base sulle finalità, i contenuti, le metodologie da parte di tutte le componenti della FP, giovani e adulti, animatori e operatori, geni-tori e collaboratori. La centralità della formazione esige la costruzione di una comunità che sia allo stesso tempo soggetto e ambiente di educazione. I dati delle ricerche evidenziano la convergenza delle opinioni degli operatori della FP sulla centralità della formazione (e di una formazione di qualità) e sul modello comunitario (Malizia et al., 1991 e 1993). È chiaro che la centralità della formazione e la costruzione di una comunità sono esigenze che si impongono in ogni Centro. Esse vanno realizzate in qualsiasi tipo di CFP, qualunque sia la sua dimensione o il contenuto della sua offerta. Né la complessità delle azioni intraprese dal Centro, né la presenza o la preponderanza di corsi mirati a un pubblico adulto possono indurre a pensare che il CFP si sia trasformato in un'azienda o in un'agenzia. Il CFP rimane un'istituzione formativa e la sua riorganizzazione, pur necessaria ed urgente, resta al servizio della scelta educativa e comunitaria la quale conserva il primato anche nella FP. Ed è questa logica di fondo che distingue principalmente il CFP polifunzionale del CNOS-FAP da certe concezioni agenziali della FP. 2.2.2. Un modello progettuale In quegli anni si era andato delineando un consenso generale sulla necessità di rinnovare il modello organizzativo delle istituzioni formative, in quanto appariva del tutto superato rispetto alle esigenze attuali della società. La strategia principale di azione andava ricercata nella crescita e nella diffusione di un'adeguata cultura organizzativa che significava fondamentalmente sviluppo della capacità di avviare prassi progettuali di sistema. In altre parole, bisognava anzitutto passare da un approccio organizzativo individualistico e disintegrato ad uno integrato che si traducesse in proposte unitarie e qualificanti di Centro e di corso. In secondo luogo la dimensione progettuale non poteva essere solo una caratteristica dell'azione del singolo formatore, ma doveva connotare l'attività di tutto il sistema. Inoltre, la progettazione doveva includere come componente imprescindibile il controllo; altrimenti i risultati dell'azione organizzativa avrebbero continuato a presentarsi come casuali. In ogni caso dalle ricerche più volte menzionate emerge chiara ed inequivocabile la do-manda degli operatori di introdurre nella FP la funzione/figura del coordinatore di progetto che viene inteso come un'articolazione della funzione del formatore (Isfol, 1992; Malizia et al., 1991). In altre parole si fa strada una impostazione di natura educativa che parte dal presupposto che il CFP sia principalmente una comunità formativa e più specificamente una comunità di formatori. Ne segue che la progettazione degli interventi impegna la corresponsabilità di tutti e diventa strumento prezioso attraverso cui la comunità formativa si crea e si sviluppa: infatti, tale azione consente alla comunità del CFP di identificare la domanda sociale di formazione, di fissare gli obiettivi dei propri interventi in relazione alle esigenze del contesto, di elaborare strategie educative valide in risposta al territorio, di valutare la propria attività in rapporto alle mete che ci si è posti. In altre parole la progettazione è il cemento che unifica la comunità formatrice e il dinamismo che la fa crescere. 2.2.3. Un modello al servizio della persona La promozione integrale della persona significa che l'educando occupa il centro del sistema formativo e che pertanto questo deve fare dell'oggetto dell'educazione il soggetto della sua propria educazione. A ogni persona va assicurato il diritto ad educarsi scegliendo liberamente il proprio percorso tra una molteplicità di vie, strutture, contenuti, metodi e tempi; in sostanza, è il sistema formativo che deve adattarsi all'educando e non viceversa. Indubbiamente, tutti gli operatori, i formatori, l'intero CFP e la FP nel suo complesso sono primariamente impegnati a promuovere lo sviluppo integrale della personalità degli allievi. Tra le nuove funzioni/figure che emergono dalle nostre ricerche, una che è chiamata a svolgere partico-larmente tale servizio è senz'altro quella del coordinatore delle attività di orientamento (Pellerey - Sarti, 1991). Negli ultimi anni si era passati progressivamente dalla considerazione dell'orientamento come un insieme di servizi, spesso esterni alle istituzioni formative o almeno autonomi da esse, ad una in cui l'orientamento si presentava come un processo educativo, continuo, finalizzato a far acquisire e a far utilizzare alla persona le conoscenze, le abilità e gli atteggiamenti necessari per rispondere adeguatamente alle scelte che continuamente era chiamata ad operare, soprattutto in re-lazione all'attività professionale. Per ottimizzare, armonizzare, sincronizzare le attività formative e didattiche con valenza orientante dei diversi operatori e del Centro nel suo complesso, si è ritenu-to necessario individuare una persona, il coordinatore delle attività di orientamento, che, pur con-tinuando a far parte del corpo docente, in modo particolare si facesse carico della realizzazione coordinata e finalizzata di questo insieme di attività. 2.2.4. Un modello coordinato e integrato Nella FP era in atto un processo di differenziazione e di moltiplicazione delle funzioni, un tempo accentrate nelle figure del direttore e del formatore anche a motivo della prevalenza di strut-ture semplici, fondate su attività generalmente consolidate (Nicoli, 1991a,b,c). Queste dinamiche di riarticolazione si manifestavano con particolare chiarezza a livello di personale formativo dove sempre più si richiedevano precise specializzazioni di ruoli e funzioni. Esse a loro volta rinviavano alla introduzione di forme nuove di integrazione attraverso la creazione di figure di raccordo quali i coordinatori, in particolare di settore/processo. A sua volta l’indagine del Laboratorio “Studi e Ricerche” del CNOS-FAP sul direttore aveva messo in risalto una diffusa insoddisfazione nei confronti dell'articolazione dei suoi compiti quale delineata nel CCNL-FP (Malizia et al., 1996). Sembrava necessario un riaccorpamento e una semplificazione di quell’elenco frammentato di mansioni in un disegno sintetico ed essenziale di grandi funzioni. In particolare, sulla base dei risultati dell'indagine si sono proposte le seguenti sei: responsabilità della gestione del CFP nei confronti dell'Ente locale o di formazione; leadership della comunità degli operatori, in particolare attraverso la presidenza dell'organo collegiale dei formatori e la responsabilità della gestione del personale; motivazione del personale e cura del suo aggiornamento; direzione e coordinamento delle attività; coordinamento delle attività progettuali; innovazione dell'organizzazione del CFP. La stessa indagine ha messo in risalto anche l’emergere di un altro organismo, lo staff di direzione. In proposito, la funzione che viene indicata al primo posto è quella relativa al collegamento tra il CFP e il sistema delle imprese presenti sul territorio. A questa si aggiungono il coordinamento tra le varie attività promosse all'interno del CFP, la preparazione delle principali decisioni da prendere, la pianificazione e l'organizzazione delle attività del CFP in vista del raggiungimento degli obiettivi formativi. Lo staff non è pensato come un contraltare al direttore, ma come un sostegno al ruolo direttivo e una compartecipazione alle attività di conduzione del CFP. Dovrà svolgere consulenza al direttore, presentargli proposte, partecipare alle decisioni, eseguire le iniziative promosse e decise dal direttore, verificare le azioni formative. 2.2.5. Un modello aperto Nel campo delle istituzioni formative un impatto decisivo è stato esercitato dal nuovo mo-dello di sviluppo, l'educazione permanente: in proposito si possono ricordare due dei suoi assunti principali (Malizia, 1988). Anzitutto, lo sviluppo integrale della persona umana e in particolare, l'educazione di ogni persona, di tutta la persona, per tutta la vita, richiede il coinvolgimento lungo l'intero arco dell'esistenza, oltre che della scuola, di tutte le agenzie educative in una posizione di pari dignità formativa, anche se ciascuna di esse interverrà in tempi e forme diverse secondo la propria natura, la propria metodologia e i propri mezzi (policentricità formativa). In secondo luogo, l'educazione è una responsabilità della società intera, comunità e singoli, che sono chiamati a gestire democraticamente le iniziative formative (società educante). L'esigenza dell'apertura al contesto attraversa tutte le figure/funzioni della FP. I compiti del coordinatore di progetto convergono in questa direzione: si tratta di individuare la domanda sociale di formazione, di fissare gli obiettivi degli interventi formativi in relazione alle esigenze del con-testo, di elaborare strategie educative valide in risposta al territorio (Malizia et al., 1991). A sua volta il coordinatore di settore/processo costituisce uno snodo tra il CFP, le aziende e i singoli for-matori (Malizia et al., 1993). La funzione del coordinatore delle attività di orientamento è finalizzata tra l'altro a mantenere il coordinamento e il collegamento fra la struttura formativa e i soggetti istituzionali e sociali, il sistema scolastico e formativo, nonché gli eventuali specialisti e Centri specifici di orientamento (Pellerey - Sarti, 1991). Da ultimo, il direttore è chiamato ad assumersi la responsabilità della gestione del CFP nei confronti dell'Ente locale o di formazione. 2.2.6. Un modello flessibile La flessibilità rappresenta una caratteristica che è connessa strettamente con la nozione di si-stema aperto. Con tale aspetto si è inteso riferirsi ai problemi di sede, di organico di appartenenza, di status. Ciò che si vuole sottolineare è che il sistema del CNOS-FAP è a “geometria variabile”: la sua realizzazione può essere la più varia, tutto dipende dalle particolari condizioni di ogni Centro per cui si può andare da un'attuazione molto elementare alla più complessa; quello che va assicurato in ogni caso è la presenza in ciascun CFP delle funzioni e non delle figure e, nel contesto territoriale, delle necessarie unità specialistiche di supporto (CFP complessi, sede regionale di Ente, servizi territoriali regionali). 2.2.7. Un modello qualificato Con il termine qualificazione si è voluto significare il tipo di formazione necessario per l'e-secuzione dei vari compiti. La ricerca in questo caso fornisce indicazioni in relazione al coordinatore di progetto, al coordinatore di processo/settore, al coordinatore delle attività di orientamento e al direttore, indicando per ognuno conoscenze e competenze. Quanto ai requisiti per l'accesso alle quattro funzioni/figure, si riscontra un accordo generale su un’esperienza previa di docenza (e di managerialità per il direttore) e su un corso di formazione in servizio finalizzata. Gli operatori, però, si dividono sulla laurea che per il momento non poteva essere imposta a tutti, ma che dovrà essere introdotta in futuro in relazione anche con la generale elevazione dei livelli culturali di base per l'insegnamento. 3. Agli inizi del terzo millennio: verso un sistema maturo ma disomogeneo di FP Secondo il Libro Bianco su istruzione e formazione della Commissione europea, nella seconda metà degli anni 90 «la società europea è entrata in una fase di transizione verso una nuova forma di società», la società della conoscenza (Cresson - Flynn, 1995, 22). Tutto ciò significa che la colloca-zione di ogni individuo nella società dipenderà fondamentalmente dalle conoscenze che egli possie-de. «La società del futuro sarà quindi una società che saprà investire nell’intelligenza, una società in cui si insegna e si apprende, in cui ciascun individuo potrà costruire la propria qualifica. In altri termini una società conoscitiva» (Ibidem, 5). 3.1. L’avvento della società della conoscenza Le nuove tecnologie della comunicazione, informatiche e telematiche, hanno provocato nell’ultimo decennio uno scenario di radicale transizione sociale verso nuove forme di vita e di or-ganizzazione sociale che ha fatto parlare di “società della conoscenza” (Malizia - Nanni, 2010a e bibliografia ivi citata; Cresson - Flynn, 1995; Margiotta, 1997; Nanni, 2000). I micro-processori stanno inducendo sotto i nostri occhi una “rivoluzione globale” dagli esiti non ancora chiari e scon-tati. Ciò si estende non solo alla produzione e alla comunicazione sociale, ma anche ai modi di vita e dell’esistenza individuale, familiare, sociale, mondiale. Si sono accresciute enormemente le op-portunità di accedere all’informazione e al sapere, ma d’altra parte si richiedono adattamenti e competenze nuove che, se mancano, possono provocare emarginazione ed esclusione sociale. 3.1.1. I fattori strutturali Semplificando al massimo il discorso, si può probabilmente affermare che sul piano econo-mico lo scenario appare dominato da sei dinamiche principali: il passaggio graduale da un'economia di scala ad una della flessibilità, la progressiva terziarizzazione dei processi, l'avvento delle nuove tecnologie, la globalizzazione dei processi, l'emergere del concetto di qualità totale, la transizione da un modello meccanico di organizzazione e di gestione ad uno organico (Giovine, 1998; Malizia - Nanni, 2010a). In particolare, l'economia della flessibilità ha attribuito il primato al mercato rispetto alla produzione: la riduzione dei costi di produzione conserva la sua rilevanza, ma diviene prioritaria la capacità di risposta alla domanda del mercato nel momento, nel luogo e nel modo appropriato. L'or-ganizzazione del lavoro si contraddistingue di conseguenza per la flessibilità delle tecnologie e delle strutture, per il primato del conseguimento dei risultati sulla esecuzione fedele di prescrizioni e per l'importanza assunta dal piccolo e dal decentramento. In questo contesto i servizi finali o per la produzione si espandono dando vita ad aziende e amministrazioni specializzate (terziarizzazione esterna) o a strutture specializzate entro la grande impresa (terziarizzazione interna). Il fenomeno è connesso con due altri "trends", uno alla differen-ziazione strutturale e un altro alla integrazione. Il dato di partenza consiste nel fatto che tra i prodotti assumono rilevanza sempre maggiore i servizi immateriali ad alta tecnologia intellettuale. Il terzo fattore è dato dall'avvento delle nuove tecnologie dell'informazione. Queste sono nuove perché muta l'oggetto che non è più la produ¬zione di un pezzo o la scrittura a macchina di una lettera, ma sono operazioni di natura più intellettuale, come il controllo di processo o l'innovazione. Esse creano problemi per le occupazioni tradizionali in quanto tendono ad assumerne i compiti e perché restringono le possibilità di lavoro. Inoltre, il quasi monopolio che viene esercitato sulle nuove tecnologie dell’informazione dalle grandi potenze o, peggio, da gruppi particolari di interesse, attribuisce a questi ultimi un reale potere culturale e politico su ampi strati dell’opinione pubblica mondiale, soprattutto quelli che sono sprovvisti di sufficienti capacità di interpretare e criticare le informazioni ricevute; non solo, ma anche opera come un fattore potente di omologazione culturale che tende ad annullare le specificità delle varie entità nazionali e dei differenti gruppi. La libera circolazione mondiale delle immagini e delle parole costituisce tra l’altro uno dei grandi acceleratori della mondializzazione. Più in generale, lo sviluppo im¬pressionante della scienza e della tecnologia, che sta rivoluzio¬nando le nostre società, si caratterizza anche per la globalizzazione dei processi che non si limita alle multinazionali. Di fatto, si estende la cooperazione tra aree geografiche e si sta sviluppando l'integrazione nelle produzioni, nei mercati e negli stili di consumo. Per effetto della deregolamentazione e dell’apertura dei mercati finanziari tutte le economie sono largamente condizionate dai movimenti di masse enormi di capitali che passano con grande velocità da un luogo all’altro, attratti dalle differenze nei tassi di interesse e dalle anticipazioni speculative, e che sembrano imporre le loro esigenze persino ai governi nazionali. Al tempo stesso non si può non riconoscere che l’espansione del commercio mondiale ha esercitato un influsso positivo su vari paesi e che la crescita mondiale è stata fortemente stimolata dalle esportazioni. L'affermarsi della qualità totale significa che è quest'ul¬tima, intesa come soddisfazione del cliente, e non il profitto, a occupare il primo posto nelle finalità di un'impresa: in altre parole diviene decisiva la qualità percepita dal cliente. A monte dell'emergere di tale concezione vi sarebbe la riscoperta della finalizzazione del processo produttivo all'uomo, che tornerebbe a occupare di nuovo il centro della scena. Le conseguenze sono molto rilevanti anzitutto nei rapporti con l'esterno, in quanto diviene centrale l'impegno per identificare la domanda del clien¬te. Pertanto, in ambienti complessi, turbolenti, dinamici, incerti, imprevedibili come gli attuali, il modello organizzativo non può più essere centrato sulle procedure della dipendenza e dell'esecu-zione e sugli aspetti formali e strutturali dell'organizzazione, per cui tutto è razionalmente e scienti-ficamente predefinito attraverso una dettagliata descrizione dei sistemi di divisione e controllo del lavoro. Nel nuovo modello si vengono a richiedere alle persone capacità di innovazione, di governo dell'imprevisto e delle varianze, competenze di problem solving, abilità comunicative e relazionali. Non vi sono organizzazioni, attività professionali, competenze "al sicuro''. A tutti i diversi attori è richiesta una grande capacità, quella di governare l'incertezza, di affrontare attivamente il cambia-mento. Adattarsi, anticipare, innovare, rischiare diventano abilità "trasversali", attrezzi culturali di sopravvivenza di soggetti e organizzazioni. Questo contesto più mutevole ed incerto, se da una parte è fonte di minacce, apre dall’altra la via verso nuove opportunità. In altre parole, si sta compiendo il passaggio da un modello industriale di economia ad uno post-industriale. Il primo pone l'accento su una concezione quantitativa della crescita (“trarre più dal più”), sul volume della produzione, su una impostazione lineare, atomistica, gerarchica, dualistica e manipolativa del lavoro e della sua organizzazione. Il secondo sottolinea la qualità e l'intensità dello sviluppo (“ottenere più dal meno”), il valore della produzione, la natura simbolica, interattiva, conte-stuale, partecipativa, autonoma e intellettuale dell'attività occupazionale e della sua strutturazione. Il mondo delle aziende è dominato da imprese piccole, flessibili, dinamicizzate dalla risorsa “conoscenza”, capaci di produrre una vasta gamma di beni e servizi che sono molto spesso immateriali. Ciò comporta, “negativamente”, che le grandi imprese riducano le loro attività: le funzioni produttive di base sono conservate, mentre i servizi di supporto vengono affidati a ditte o persone esterne. Per questa via, la grande industria è riuscita a ridurre la forza lavoro in maniera anche molto drastica. Il passaggio al post-industriale si accompagna anche ad un aumento dei fenomeni di precarizzazione e di de-regolazione del lavoro che mettono in crisi il tradizionale sistema di relazioni sociali. Nel contempo la globalizzazione e la informatizzazione contribuiscono ad aumentare la disoccupazione o sotto-occupazione che, a differenza della prima e della seconda “rivoluzione industriale” del passato, non riesce più ad essere interamente assorbita dai settori emergenti (il co-siddetto “quaternario”). Ciò spinge ad un aumento delle diseguaglianze e della forbice delle profes-sionalità, tra una ristretta élite di “ingegneri della conoscenza” e una massa di persone destinate a lavori dequalificati. Sembra quasi che i nostri sistemi sociali non riescano ad assicurare a tutti un accesso equo alla prosperità, a modalità decisionali democratiche e allo sviluppo socio-culturale personale (Consiglio dell'Unione Europea, 2001). In questo contesto tra i gruppi più vulnerabili vanno senz'altro annoverate le persone che presentano specifici problemi di apprendimento e in ge-nere le fasce più deboli della popolazione (disabili, donne, giovani, popolazione rurale, ecc…). Ritornando ora alla questione occupazionale, si può dire in sintesi che il passaggio alla so-cietà della conoscenza trasforma il senso e il modo di lavorare: nascono nuove professioni, vecchi mestieri cambiano “pelle”, altri scompaiono definitivamente. Si diversificano i lavori, e prima an-cora le tipologie e le forme giuridiche dei rapporti di lavoro. C’è un’indubbia “intellettualizzazione” del lavoro. È richiesta la flessibilità e la mobilità occupazionale e la polivalenza della cultura professionale. Per rispondere al meglio a queste esigenze del mondo dell'occupazione si dovrà pensare a una nuova figura di lavoratore che non solo possieda i necessari requisiti tecnici, ma anche nuovi saperi di base (informatica-informazione, inglese, economia, organizzazione), capacità personali (comunicazione e relazione, lavoro cooperativo, apprendimento continuo) e anche vere e proprie virtù del lavoro (affrontare l'incertezza, risolvere problemi, sviluppare soluzioni creative). 3.1.2. Le dinamiche culturali La cultura della società della conoscenza risulta forte¬mente segnata dalla rivoluzione silen-ziosa dei microprocessori (Malizia - Nanni, 2010a; Nanni - Rivoltella, 2006; Botta, 2003; Malizia, 2006). L'avvento delle nuove tecnologie dell'informazione origina spinte contrastanti: moltiplicazione delle opportunità di informazione e di formazione e creazione di nuove forme di analfabetismo e di nuove marginalità; elevazione dei livelli di Cultura Generale e di competenze per l’accesso al mondo del lavoro e parcellizzazione che ostacola ogni tentativo di sintesi; poten¬zialmente personalizzante e al tempo stesso generatrice di consu¬mo passivo da parte soprattutto degli strati più deboli della popolazione; fattore di pluralismo, ma anche all’origine del relativismo etico. In altre parole i giovani portano nella scuola e nella FP la cultura del frammento che, se ha il merito di aver contribuito a mettere in crisi il dogmatismo delle grandi ideologie, pone gravi proble-mi al sistema educativo. Infatti, la cultura di quest’ultimo presenta caratteristiche opposte: tende a trasmettere una visione sistematica e organica della realtà, vorrebbe offrire ad ogni allievo gli stru-menti per costruire un proprio progetto di vita, radicato nel passato e aperto al futuro, intende aiutar-lo ad elaborare un quadro di riferimento unitario, organico, coerente, trasmette il meglio delle con-quiste della storia in continuità con il passato, forma all'impegno per il bene comune e al rispet¬to dei diritti umani che considera valori perenni da approfondire e da ampliare, ma non da ribaltare. Sul piano culturale le grandi narrazioni “metafisiche”, i grandi miti dell’Occidente – come ha scritto Lyotard – non riescono più a difendere le loro pretese di assolutezza, di unicità ed egemonia veritativa, cioè di guida vera e ideale per tutti (Lyotard, 1981). Ad un pensiero prevalentemente analitico, logico, dimostrativo si viene a contrapporre (o a preferire) un pensiero più narrativo, più espositivo; alle concettualizzazioni generali si controbilan-ciano le molte forme dell’autobiografia, del saggio esplorativo attento alle sfumature, alle contami-nazioni cognitive, ai giochi linguistici, alle ibridazioni dei punti di vista. L’assolutezza della scienza lascia il passo a modi di vedere e di esprimersi più “ermeneutici”(cioè insieme più soggettivi, più interpretativi, più comprensivi). Si parlò per questo, negli anni ottanta del secolo scorso di “pensiero debole” (Vattimo - Rovatti, 1983). Alle grandi ideologie, sulla scena delle idee di moda, sono succedute i molti racconti, le più disparate offerte di conoscenza e di saperi. La perdita delle totalità significative spesso diventa definitiva. Frequentemente il frammento non si compone ulteriormente e scade nella frammentazione irrelata (Pera, 1994; Mari, 1995). La secolarizzazione religiosa (cioè una vita sociale senza religione), più che come “logica conseguenza” del trionfo della scienza e dello sviluppo tecnologico, si è attuata a livello pratico, vale a dire nel senso che le menti e i cuori della gente si sono rivolti più che altro al consumismo, al benessere e al divertimento ma, d’altro canto, ha provocato o comunque è stata controbilanciata da un ritorno di fiamma del sacro, della magia, dei riti, di nuove forme di religiosità e da quella diffusa tendenza ad una religiosità soggettivistica e cosmica, che nelle società del soprasviluppo o comun-que in via di sviluppo ha avuto la sua classica espressione nei movimenti della New Age. Si è parlato in Occidente di neopaganesimo e di politeismo post-cristiano, ma anche di mercato del sacro, di fiera dei misteri, di nuovi percorsi di religiosità e di mistica e di nuove denominazioni religiose (Volli, 1992; Terrin, 1992). Ciò non ha solo posto problemi alle religioni ufficiali, ma dice quanto l’attenzione alla buona qualità della vita, al mondo delle emozioni e dell’affettività chiede di essere presa in considerazione poiché non esaudita né dalle agenzie tradizionali di senso (chiese, partiti, politica, scienza, tecnica), né da quella che è stata detta la “speranza tecnologica” (Nanni, 2000). Certamente lo statuto del sapere e del conoscere si è trasformato. Agli studi della mente e della logica c’è da affiancare quelli sull’intelligenza emotiva, dei bisogni, del desiderio. In questo clima si comprende come la coscienza della parzialità di ogni affermazione e della sua inevitabile configurazione storica e culturale vada bilanciata con la irriducibile pretesa di verità e certezza che ognuno viene ad avere quando fa un percorso conoscitivo. Il problema dell’identità va “composto” con quello della molteplicità, del pluralismo, della complessità, senza per forza avere la sensazione teorica e pratica di cadute nel relativismo, nell’incertezza e nella confusione “babelica” (a cui segue solo lo scetticismo) o nella perdita dell’identità personale e etnico-culturale (Morin, 1995; Nanni, 2000; Malizia - Nanni, 2004). Questi andamenti dei processi storici dell’Occidente vengono a combinarsi e a scontrarsi con gli spostamenti delle popolazioni per i motivi più svariati, da quelli di tipo economico a quelli di tipo politico, culturale, turistico, dando luogo al fenomeno della multicultura. Questa viene a ca-ratterizzare sempre più la vita interna delle nazioni e il quadro internazionale. A livello di cultura ciò tende ad esaltare il fenomeno del pluralismo a tutti i livelli; e inoltre mette in crisi i tradizionali modelli di uomo, di cultura e di sviluppo. Tutto ciò non è senza riflessi sull’istruzione e sulla formazione. 3.2. Un decennio di riforme Entro questo quadro, a partire dalla prima decade ’90 si è andata diffondendo nell'opinione pubblica la convinzione che non bastasse intervenire sull'uno o l'altro dei livelli del sistema educativo per risolvere i problemi alla radice, ma che si dovesse procedere a una ridefinizione dell'intera struttura (Malizia - Nanni, 2010a e bibliografia ivi citata; Malizia - Nanni, 2010b; Ghergo, 2009a). Più in particolare, l'esigenza di una nuova architettura nasceva anzitutto dalla riflessione sulle tra-sformazioni della società. Il contesto di accelerazione del cambiamento e gli effetti conseguenti dell'obsolescenza delle professioni e della disoccupazione rendevano urgente sostituire il modello tradizionale focalizzato sulla trasmissione delle conoscenze con uno centrato sull'acquisizione di competenze e di metodi. Al tempo stesso, si dimostrava altrettanto necessario rafforzare la forma-zione culturale generale in modo da abilitare la persona a gestire situazioni complesse dagli sviluppi imprevedibili. Inoltre, appariva urgente che il sistema educativo uscisse dalla autoreferenzialità ed entrasse in relazione con il mondo della produzione. La riforma della scuola rispondeva anche a esigenze di tipo personalistico e socio-politico, nella linea della Costituzione che disegna una co-munità nazionale fatta di membri al contempo persone, cittadini, lavoratori. Sulla domanda di riforma globale incideva la considerazione delle criticità del sistema edu-cativo esistente. Infatti, si trattava di superare la discontinuità esistente tra i diversi livelli della sco-larizzazione, di togliere l’eccessiva parcellizzazione degli indirizzi della scuola superiore e la loro eccessiva rigidità, di raccordarsi non solo con l’università e il mondo del lavoro, ma anche con i di-versi vissuti culturali delle persone, che si muovono tra i poli opposti dell’analfabetismo di ritorno e l’esigenza di una sempre più incisiva educazione permanente, fra divari non solo economici ma globalmente vitali fra Nord e Sud, fra una generazione e l’altra, fra sviluppo crescente e nuove po-vertà, fra faticosi e lenti processi di integrazione e rinnovate forme di esclusione e disagio. Il decennio delle riforme inizia con la riforma Berlinguer, legge n. 30/00 . Per quanto ri-guarda la secondaria superiore, questa aveva conservato la tradizionale durata quinquennale. Era cambiata, però, l'età minima dell'entrata, che era ormai di 13 anni in seguito alla fusione tra elemen-tare e media nella scuola di base e la riduzione a 7 anni da 8 della durata complessiva. Il percorso successivo prevedeva sia uno sbocco al termine dei primi due anni per l'assolvimento dell'obbligo formativo in altri sottosistemi - anche tramite forme di integrazione con la FP - sia un'altra uscita alla fine dei cinque verso l'istruzione universitaria o verso quella non universitaria, come la FP di secondo livello, e l'istruzione e formazione tecnica superiore. Il curricolo si articolava in aree: classico-umanistica, scientifica, tecnica e tecnologica, artistica e musicale; ciascuna di queste a sua volta era ripartita in indirizzi (tendenzialmente in numero inferiore agli attuali). Pertanto, le finalità venivano ripensate in funzione di questo complesso quadro di riferimento: da una parte si rinunciava a ogni pretesa di preparazione specialistica e si aboliva qualsiasi strutturazione gerarchica tra i differenti tipi di formazione; dall'altra si decideva di puntare a una diffusione più larga e qualificata di livelli di formazione generale, con l’intenzione di assicurare a tutti i fondamenti culturali della professione futura. Tutto questo però era previsto all’interno di un modello fortemente scuolacentrico. Infatti, né la legge n. 30/00 né il successivo piano quinquennale di attuazione traducevano in termini concreti la reciprocità e la necessaria integrazione tra scuola e FP; e non era reso operativo il principio secondo cui non è sostenibile, né culturalmente, né socialmente, l’idea di un sistema educativo composto unicamente da scuole. Sicché si continuava a mantenere la FP in una posizione di fondamentale marginalità e di subalternità rispetto alla sostanziale unicità del percorso scolastico. E ciò, mentre nella gran parte dei paesi dell'Unione Europea la FP veniva riconosciuta come parte legittima e non sussidiaria dell'offerta formativa, come canale percorribile di pari dignità con la scuola e come un ampliamento reale del diritto alla formazione. La riforma Berlinguer aveva confermato l’istituzione dell’obbligo formativo fino a 18 anni, introdotto dalla legge n.144/99 in base al quale per gli studenti che avevano assolto l’obbligo di istruzione si profilavano tre possibili percorsi che era possibile realizzare anche in forma integrata: proseguire gli studi nella scuola secondaria superiore; frequentare la FP ai fini del conseguimento di una qualifica professionale; iniziare il percorso di apprendistato, caratterizzato dalla alternanza for-mazione/lavoro. La successiva riforma Moratti, legge n. 53/03, compie in proposito un ulteriore salto di qualità, assicurando a ognuno il diritto all'istruzione e alla formazione, per almeno 12 anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica professionale entro il diciottesimo anno di età. Secondo la riforma appena citata, il sistema educativo si articola nella scuola dell'infanzia (3-6 anni), in un primo ciclo che comprende la scuola primaria (6-11) e la scuola secondaria di primo grado (11-14) , e in un secondo ciclo di cui fanno parte il sistema dei licei (14-19) e quello dell'istruzione e della formazione professionale (14-21). Quanto ai licei, sono confermati gli assi culturali tradizionali, classico, scientifico e artistico; al tempo stesso ne nascono dei nuovi, econo-mico, tecnologico, musicale, linguistico, delle scienze umane. Essi hanno durata quinquennale: l'at-tività didattica si sviluppa in due periodi biennali e in un quinto anno che prioritariamente completa il percorso disciplinare e prevede inoltre l'approfondimento delle conoscenze e delle abilità caratte-rizzanti il profilo educativo, culturale e professionale del corso di studi. Si concludono con un esame di Stato il cui superamento rappresenta titolo necessario per l'accesso all'università. Ferma restando la competenza regionale, il sistema dell'istruzione e della formazione profes-sionale (IeFP) realizza profili educativi, culturali e professionali ai quali conseguono titoli e qualifi-che professionali di differente livello, valevoli su tutto il territorio nazionale se rispondenti ai livelli essenziali di prestazione definiti su base nazionale. Inoltre, i giovani che seguono questi percorsi non soltanto si vedono garantita anno dopo anno una passerella per trasferirsi nei licei, ma hanno anche modo di proseguire dopo i quattro anni per un quinto, un sesto e un settimo anno, così da acquisire una qualifica professionale superiore. Potranno altresì disporre di un quinto anno per affrontare l'e-same di Stato per l'iscrizione all'università. L’introduzione di un percorso graduale e continuo di istruzione e formazione professionale parallelo a quello scolastico e universitario dai 14 ai 21 anni è in piena linea con le tendenze più diffuse e avanzate del nostro continente. Infatti, la FP non viene più concepita nella gran parte dei paesi europei come un addestramento finalizzato esclusivamente all'insegnamento di destrezze ma-nuali, ma rappresenta un principio pedagogico capace di rispondere alle esigenze del pieno sviluppo della persona secondo un approccio specifico fondato sull'esperienza reale e sulla riflessione in or-dine alla prassi che permette di intervenire nel processo di costruzione dell'identità personale. L’Accordo Stato-Regioni su istruzione e formazione del 2003 ha consentito di avviare già da quell’anno la sperimentazione dei percorsi triennali di istruzione e di formazione previsti dalla ri-forma Moratti. Questa offerta ha ottenuto un grande successo tra i giovani e le famiglie. Infatti, tra il 2003-04 e il 2008-09, cioè in appena 6 anni, il numero degli iscritti ha registrato un vero balzo in avanti in quanto si è quintuplicato raggiungendo la cifra di 150.489 (Isfol, 2009, 80). In discontinuità con i suoi predecessori il Ministro della Pubblica Istruzione, on. Fioroni, del governo di centro-sinistra decideva di non elaborare un’altra riforma complessiva del sistema e ha adottato un metodo diverso più pragmatico. Lo stesso approccio, anche se con finalità, contenuti e strategie differenti, è stato assunto dalla on. Gelmini che l’ha sostituito nel 2008 quando il centro-destra è tornato al governo: ma sull’azione di quest’ultima ritorneremo nella sezione successiva quando presenteremo in generale i nuovi regolamenti relativi alla secondaria di 2° grado. Con la legge n. 296/06 e il decreto 22 agosto 2007, n. 139 l’obbligo di istruzione è stato ele-vato a 16 anni, come anche l’età minima per l’ingresso nel mercato del lavoro. In proposito, va su-bito precisato che, sebbene rappresenti un passaggio necessario nella carriera formativa di un ragaz-zo, esso non possiede una natura terminale perché rientra nell’ambito del diritto-dovere di istruzione e di formazione e pertanto non è una fase di un percorso che si conclude con il conseguimento di un titolo di studio. Inoltre, esso non deve essere confuso con l’obbligo scolastico, perché può essere adempiuto anche frequentando percorsi di istruzione e formazione professionale Un altro aspetto importante dell’azione del Ministro Fioroni è stato la revisione del secondo ciclo. In particolare, sono stati reintrodotti gli istituti tecnici e professionali e al tempo stesso sono stati aboliti il liceo tecnologico ed economico, con il pericolo però di una ulteriore emarginazione della FP dato il carattere professionalizzante degli istituti, soprattutto di quelli professionali. È pur vero che il titolo che potranno conferire di norma è il diploma di istruzione secondaria superiore, ma è anche previsto che in via sussidiaria e su domanda delle Regioni questi ultimi potranno rilasciare anche qualifiche professionali. C’è da dire, in positivo, che sono attribuiti alla competenza delle Regioni le qualifiche e i diplomi professionali, inclusi in uno specifico repertorio nazionale. Con l’approvazione il 4 febbraio 2010 in seconda e definitiva lettura da parte del Consiglio dei Ministri di tre Regolamenti, uno per i licei (DPR n. 89/10), uno per gli istituti tecnici (DPR n. 88/10) e uno per quelli professionali (DPR n. 87/10), il ministro Gelmini ha avviato il completamento del progetto di riorganizzazione del sistema educativo italiano di istruzione e di formazione riguardo al suo segmento da più lungo tempo non riformato, quello dell’istruzione secondaria superiore (Tonini - Malizia, 2010; Cicatelli, 2010c). Prima di passare al loro esame, procediamo a una contestualizzazione (Malizia - Nanni, 2010a; Malizia - Nanni, 2010b). I dati mettono in evidenza che la mobilità sociale in Italia è limitata e che la scuola tende a svolgere una funzione riproduttiva delle diseguaglianze piuttosto che una funzione di lotta alle disparità sociali. Da sempre si va affermando che una strategia per affrontare questo nodo problematico con-siste nell’assicurare a tutti gli studenti i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali in tema di istruzione e di formazione. In concreto, a fronte dell’elevarsi della complessità, tipica della società globalizzata e della conoscenza, si punta su interventi a favore dell’innalzamento della preparazione di base a livello di diritto-dovere di istruzione e di formazione e di obbligo di istruzione; al tempo stesso si cerca di evitare lo spezzettamento dei saperi. Un’altra strategia fa capo alla personalizzazione del processo di insegnamento-apprendimento. Infatti, l'eguaglianza delle opportunità nell'istruzione non significa eguaglianza di trattamento, ma eguale possibilità di essere trattati in maniera diversa per poter realizzare le proprie capacità. Pertanto, il processo formativo va organizzato in modo che ciascun alunno possa procedere nell'apprendimento secondo il ritmo che gli è più congeniale. In questa linea si può leggere l’azione del Ministro Gelmini circa la revisione del secondo ciclo del sistema educativo. La finalità da lei proclamata è stata quella di elevare tutta l’offerta alla “serie A”. Piuttosto che prolungare in maniera indefinita il dibattito sulla precocità o meno della scelta a 14 anni tra secondaria di 2° grado da una parte e istruzione e formazione professionale dall’altra, il Ministro ha inteso evitare le contrapposizioni ideologiche e misurarsi in maniera con-vergente con la sfida di elaborare percorsi capaci di aiutare tutti gli studenti a trovare la strada più adeguata. “L’indifferenziazione dei percorsi, la pretesa di uccidere le propensioni individuali per pretendere, ope legis, che ogni adolescente percorra la stessa strada è la traiettoria più sicura verso gli abbandoni e le dispersioni. Diamo ad ogni persona la sua scuola, e ogni persona troverà nella sua scuola le ragioni per frequentarla con profitto” (Gelmini, 2008, 14). Ovviamente, si dovrà mantenere sempre aperta la possibilità di ripensare la propria scelta e questo per l’intero arco dell’esistenza, assicurando un sistema efficace di apprendimento per tutta la vita. Tale orientamento del ministro ha trovato da subito un’attuazione importante. Uno dei suoi primi interventi è consistito nella conferma della presenza di un canale di istruzione e formazione professionale nel nuovo obbligo di istruzione già elevato dal Ministro Fioroni a 16 anni (cfr. art. 64 della legge n. 113/08). Più articolata è la valutazione dei tre Regolamenti citati anche per la com-plessità della materia. Entrando nel merito, mentre la riforma Berlinguer aveva adottato una impostazione unitaria (tutti Licei) e quella Moratti una formula binaria (i sottosistemi dei licei e dell’istruzione e forma-zione professionale), il Ministro Gelmini in continuità con il suo predecessore, l’on. Fioroni, sembra aver optato per un modello a tre poli: i licei; gli istituti tecnici e gli istituti professionali; l’istruzione e la formazione professionale. Come ha affermato S. Cicatelli, la proposta dei Regolamenti costituisce «un riassetto operato su un impianto sostanzialmente confermativo dell’ordinamento da sempre vigente nella scuola italiana. Nessuna ‘riforma Gelmini’, dunque. E ormai anche addio alla ‘riforma Moratti’» (Cicatelli, 2010c, 1). In altre parole, si tratta di una pura e semplice razionalizzazione e modernizzazione dell’esistente sulla base del modello tradizionale della nostro secondo ciclo, con l’aggravante che i percorsi di istruzione e formazione professionale regionale tornano ad essere l’offerta per i “falliti” dei tre percorsi delle scuole statali (licei, istituti tecnici e istituti professionali), ammesso che le Regioni non decidano di affidarli agli istituti professionali. Detto questo non si può neppure non essere d’accordo con quanto Giuseppe Bertagna evi-denzia di positivo in questi Regolamenti, sempre che il Ministro Gelmini intervenga decisamente per rendere i percorsi di IeFP un canale nazionale e stabile. Riportiamo alla lettera le sue affermazioni: «Cosicché oggi si può dire che entri in vigore la ‘Morfiormini (Moratti, Fioroni, Gelmini)’, davvero la prima riforma dell’impianto degli studi secondari a partire dal ministro De Vecchi (1936) in poi. Non è perfetta. Si poteva fare meglio e forse in maniera anche più strategica. Ma il risultato ‘epoca-le’, viste le abitudini per lo più verbose della nostra classe politica e sindacale, è che finalmente c’è ed entra in vigore. E che fra tre anni il parlamento ha chiesto una seria verifica della sua applicazione. C’è da augurarsi che questa sia condotta coinvolgendo maggioranza ed opposizione, stato e regioni, governo e parti sociali perché al di là delle esasperazioni ideologiche tipiche della lotta politica contingente, la scuola è una cosa troppo seria per essere lasciata al pendolo della maggioranza e agli interessi corporativi» (Bertagna, 2010, 10). Una valutazione che fa sintesi tra queste posizioni è possibile trovarla nell’analisi di P. Fer-ratini. A suo parere la politica scolastica del ministro Gelmini consiste in un tentativo serio di ripen-sare il nostro sistema educativo sulla base di una ideologia tradizional-moderata che potrebbe essere espressa nello slogan del ritorno alla scuola del tempo che fu con la correzione apportata dai tre “i”, internet, inglese, impresa. Nello stesso tempo non si può contestare il traguardo raggiunto di aver concluso il decennio delle riforme e il sessantennio delle attese deluse introducendo un punto fermo da cui ripartire. In ogni caso, la salvezza del sistema italiano di istruzione e di formazione va cercata fondamentalmente in un ritorno al passato, in un ieri da ripristinare e in recupero della scuola di prima. Nelle parole del Ministro «Autorevolezza, autorità, gerarchia, insegnamento, studio, fatica, merito. Sono queste le parole chiave che vogliamo ricostruire, smantellando quella costruzione ideologica di vuoto pedagogismo che dal 1968 ha infettato come un virus la scuola italiana» (Ferra-tini, 2009, 725). Si tratta di richiami che hanno esercitato finora una forte efficacia di persuasione nei confronti della opinione pubblica, riducendo di molto l’incidenza delle critiche ed evitando che confluissero in un rilevante dissenso sociale. Non solo i licei e gli istituti tecnici e professionali, ma anche il sottosistema di IeFP è stato raggiunto da un processo parallelo di cambiamento. Esso si è realizzato in una forma più graduale e maggiormente attraverso lo strumento degli Accordi in Conferenza Stato-Regioni piuttosto che me-diante il ricorso ad interventi legislativi (Malizia - Nanni, 2010b; Tonini - Malizia, 2010; D’Agostino, 2010; Frisanco, 2010; Gaudio - Governatori, 2010; Poggi, 2010; Salerno, 2010). Il primo passo è stato compiuto con l’Accordo Stato-Regioni su istruzione e formazione del 2003 (a cui si è già accennato sopra) che, senza attendere lo specifico decreto legislativo, ha consentito l’attivazione in via sperimentale dei corsi di istruzione e di formazione professionale, rivolti alle ragazze e ai ragazzi che, concluso il primo ciclo di studi, manifestano la volontà di accedervi preferendoli all’offerta della secondaria di 2° grado. L’Accordo ha stabilito che i percorsi formativi debbano avere una durata almeno triennale, anche allo scopo di agevolare i passaggi fra sottosistemi, attraverso il riconoscimento di crediti formativi acquisiti non solo negli itinerari appena ricordati, ma anche nell’apprendistato. Ha inoltre deciso di attivare un percorso articolato di partenariato istituzionale a livello nazionale in raccordo con il livello regionale. La cooperazione tra Stato, Regioni e autonomie locali ha permesso di definire nel 2004 gli standard formativi minimi relativi alle competenze di base; i dispositivi di certificazione finale e in-termedia; e le modalità per riconoscimento dei crediti formativi ai fini dei passaggi tra i sistemi. Nel 2006 sono stati approvati gli standard formativi minimi delle competenze tecnico-professionali rela-tivi a 14 figure in uscita dai percorsi sperimentali. A sua volta, come si è ricordato sopra, con la legge n. 113/08 il Ministro Gelmini ha ricono-sciuto definitivamente la possibilità di adempiere il nuovo obbligo di istruzione, già elevato dal mi-nistro Fioroni a 16 anni, nei percorsi triennali sperimentali di IeFP. Infine, l’accordo Stato-Regioni del 2010 ha approvato il primo Repertorio nazionale che comprende 21 figure professionali come sbocco dei corsi triennali e 21 al termine di quattro anni. Esso, inoltre, sancisce la possibilità di ottenere qualifiche e diplomi professionali utilizzabili a livello nazionale e corrispondenti al terzo e quarto livello europeo. Ma ciò che sembra degno di rilievo è il fatto che – oltre all’evoluzione realizzata sul piano ordinamentale – la IeFP sia riuscita anche a predisporre un modello formativo proprio e avanzato. I capisaldi sono da una parte la definizione di una chiara strategia d’azione focalizzata sulla conce-zione della “persona competente” e dall’altra l’affermazione della centralità dell’“esperienza reale” nei processi di apprendimento. La prima ha permesso di superare ogni forma di giustapposizione tra istruzione e formazione professionale mediante la messa a punto di un’offerta unitaria dal valore pienamente educativo, culturale, sociale e professionale. La seconda ha consentito di costruire un processo di apprendimento su compiti reali, basati sui principi della personalizzazione, della parte-cipazione degli allievi, del compito reale, della comunità di apprendimento, del coinvolgimento della società civile. Nel complesso si può affermare che l’introduzione dei percorsi sperimentali triennali e qua-driennali ha innovato e migliorato in misura significativa il sottosistema dell’IeFP. Essi «sono di-venuti, infatti, un efficace strumento di prevenzione della dispersione scolastica e di acquisizione di una professionalità competente, accogliendo circa 150.000 giovani (Isfol, 2009); hanno un costo in-feriore rispetto al parallelo percorso scolastico statale triennale (cfr. Rapporto sul futuro della for-mazione in Italia, 2009); si sono rivelati un efficace strumento di promozione della occupabili-tà/occupazione dei giovani (cfr. i monitoraggi regionali)» (Tonini - Malizia, 2010, 16). L’offerta, inoltre, dimostra una evidente natura popolare in quanto gli iscritti provengono in prevalenza dalle classi sociali meno abbienti, da famiglie immigrate e da condizioni disagiate. Del resto, essa non si presenta come concorrenziale rispetto alla secondaria di 2° grado, ma piuttosto come complementa-re: in quanto, in caso di assenza, non verrebbe supplita da alcuna modalità scolastica. C’è purtroppo da dire che i percorsi di IeFP sono attuati a macchia di leopardo: non si ri-scontrano in tutte le Regioni e solo nel Nord vi è una copertura soddisfacente, mentre la situazione è molto carente nel Centro e nel Sud, tranne che nel Lazio e nella Sicilia. Un discorso simile va ripe-tuto per le risorse che si sono dimostrate inadeguate rispetto alla domanda dei giovani e che oltre tutto sono state oggetto negli ultimi anni di notevoli tagli. Del tutto diversa da quella sostanzialmente positiva dei percorsi sperimentali dell’IeFP è la valutazione della situazione dell’apprendistato per i minori in vista dell’adempimento del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione (Tonini - Malizia, 2010; D’Agostino, 2010; CNOS-FAP, 2010). Infatti, esso è sempre meno utilizzato dalle imprese ed è in crisi sotto l’aspetto formativo: statistiche di fonte regionale parlano di appena 36.905 minori assunti con contratto di apprendistato e di un numero intorno ai 6.500 – che è anche in calo nel tempo – di soggetti che nel 2007 hanno frequentato attività di formazione esterna rispetto ai 125.853 adolescenti tra i 14 e i 17 anni che sono fuori dei percorsi scolastici e formativi (CNOS-FAP, 2010, 2-4). Peraltro, la stessa normativa sull’apprendistato trova problemi di implementazione anche a causa della mancanza della intesa in-teristituzionale tra Ministeri (Lavoro e Istruzione) e Regioni. Certamente, un rilancio potrebbe venire dall’approvazione del Disegno di legge 3 marzo 2010, n. 1167B, che consente l’assolvimento dell’obbligo d’istruzione anche nei percorsi di apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione. Tuttavia, a nostro parere, tale provvedimento potrà raggiungere ri-sultati positivi solo a condizione che sia riorganizzata la dimensione formativa, migliorata la prepa-razione dei formatori e valorizzato l’apporto della IeFP. 3.3. Il cammino della Federazione CNOS-FAP In questo contesto l’azione della Federazione non poteva limitarsi a semplici ritocchi anche se numerosi, o concentrarsi su determinati ambiti particolarmente carenti. Al ripensamento dell’architettura del sistema educativo di istruzione e di formazione doveva corrispondere un rinno-vamento profondo della FP del CNOS-FAP. È quanto è stato avviato con coraggio e lungimiranza dalla Federazione e che non è ancora compiuto, anche se sono state poste solide fondamenta. Prima di parlare delle grandi linee di intervento del disegno complessivo è opportuno ricordare l’impegno del CNOS-FAP per una riforma del sistema educativo di istruzione e di formazione che mettesse al centro gli allievi, soprattutto quelli più marginali. 3.3.1. La promozione della Formazione Professionale Iniziale (FPI) nella riforma Una delle direttrici dell’azione del CNOS-FAP è stata quella di opporsi alla legge n.9/99 sull'elevazione dell'obbligo scolastico nelle disposizioni che collocavano la FP in una condizione di marginalità e di subalternità rispetto alla scuola. Al contrario la posizione della Federazione era che tale innalzamento doveva essere realizzato in strutture distinte, ma formativamente equipollenti e interagenti, quelle cioè della scuola e della FP accreditata. In altre parole bisognava prevedere un sistema di offerte plurime con una collaborazione istituzionalizzata tra il sottosistema scolastico e regionale e una mobilità orizzontale garantita tramite crediti didattici certificati. L'elevazione andava attuata sulla base dei principi della diversificazione delle opzioni, della individualizzazione e della personalizzazione dei percorsi, della flessibilità dei modelli di intervento, della continuità dei livelli del sistema formativo, della integrazione delle offerte. Inoltre, ai giovani che, dopo il soddisfa-cimento dell'obbligo, non intendevano continuare gli studi nella secondaria superiore, doveva essere garantito il diritto alla formazione fino al diciottesimo anno di età, prevedendo offerte atte a consen-tire il conseguimento almeno di una qualifica professionale. E alla fine di una lunga battaglia la Fe-derazione è riuscita ad ottenere l’abrogazione della legge. Una presa di posizione analoga è stata assunta, successivamente, dalla Federazione CNOS-FAP nei confronti del Governo Prodi II, 2006-08 che aveva, tra i suoi punti programmatici, l’innalzamento dell’obbligo scolastico a 16 anni. Si riproponeva, ancora una volta, la tesi che solo la scuola era il luogo idoneo per l’istruzione obbligatoria: quindi, obbligo da assolvere a scuola fino a 16 anni e solo dopo tale data era proposta agli allievi la facoltà di scegliere la Formazione Profes-sionale Iniziale. Le proposte elaborate dalla Federazione CNOS-FAP in sintonia con gli Enti ade-renti a CONFAP e a FORMA hanno portato ad una soluzione condivisa. La sintesi normativa è sta-ta, infatti, l’obbligo di istruzione fino a 16 anni e non l’obbligo scolastico in quanto la “nuova istru-zione” poteva essere assolta anche nei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale (Nicoli, 2006, 47). Intorno agli anni duemila il CNOS-FAP è stato uno degli ispiratori dell’introduzione dell’obbligo formativo che ha consentito di estendere il diritto alla formazione a complessivi dodici anni per tutti i giovani tra i 6 e i 18 anni. Sull'esempio di altri paesi dell'UE, questa è la strada da percorrere se si vuole veramente assicurare ai giovani quell'ampia formazione di base idonea a promuovere la crescita personale, l'orientamento, la prosecuzione degli studi, l'inseri¬mento nell'atti-vità lavorativa e la partecipazione responsabile alla vita democratica. L’introduzione dell’obbligo formativo può essere considerato il momento del rilancio della FPI intesa come sistema e con finan-ziamento proprio. Solo dopo questa legge, infatti, è stato avviato in Italia il rilancio della FPI anche dal punto di vista normativo. La Federazione non ha mancato di riconoscere anche gli altri progressi significativi che si sono fatti con la legge n. 30/00 e con gli altri interventi del governo dell’Ulivo. In proposito si pos-sono ricordare la Formazione Integrata Superiore (FIS) e il potenziamento dell'apprendistato e dei tirocini. Nonostante ciò, l’azione del governo rimaneva lontana dal riconoscimento di una piena pa-rità tra scuola e FP. A ciò si giunge con la riforma Moratti almeno in linea di principio. Infatti, come si è già os-servato sopra, questa configura la FP come percorso alternativo alla scuola, al pari di questa capace di accompagnare gli allievi verso il conseguimento di obiettivi educativo-formativi. A partire dai 14 anni i ragazzi possono inserirsi nel sotto-sistema di istruzione e formazione professionale e, dopo tre anni, acquisiscono una “qualifica professionale”, dopo quattro un “diploma professionale” e at-traverso corsi triennali di formazione superiore, possono ottenere un “diploma professionale supe-riore”, in una prospettiva di crescita professionale verso ruoli tecnici di responsabilità. Dopo un decennio di acceso dibattito e di aspre contrapposizione (Campione - Ferratini - Ribolzi, 2005) riportato anche nei paragrafi precedenti, oggi, la normativa vigente stabilisce che i giovani assolvono il diritto–dovere all’istruzione e alla formazione almeno fino al conseguimento di una qualifica professionale entro il 18° anno di età, titolo professionalizzante che si consegue presso strutture formative accreditate dalle Regioni (i CFP), nel rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni definiti dalle norme generali dello Stato (legge n. 53/03; D. Lgs. n. 76/05; D. Lgs. n. 226/05, capo III). Leggi ulteriori hanno precisato il secondo ciclo che oggi risulta composto dal (sotto)sistema dell’istruzione secondaria superiore, articolato in licei, istituti tecnici e istituti professionali e dal (sotto)sistema dell’istruzione e formazione professionale, di competenza delle Regioni, nel quale i giovani possono assolvere l’obbligo di istruzione fino al sedicesimo anno di età e il diritto-dovere all’istruzione e alla formazione fino al diciottesimo anno di età (legge n. 296/06, legge n. 40/07, legge n. 133/08). Il quadro legislativo, sommariamente richiamato, recepisce molte delle istanze espresse nei documenti prodotti e socializzati dalla Federazione CNOS-FAP e condivisi anche in quelli di CONFAP e di FORMA. Questo quadro, pur ancora incompleto, presenta, a giudizio della Federa-zione CNOS-FAP, elementi strutturali positivi. La Federazione CNOS-FAP ha giudicato positivamente, in primo luogo, la possibilità offerta ai giovani di scegliere la FPI all’età di 14 anni. Si tratta di una tappa, ormai, profondamente assimi-lata dai giovani e dalle famiglie come “età idonea per una prima scelta”; collocare la scelta della FPI accanto a quella scolastica a questa età appare ragionevole perché permette di prevenire, tra l’altro, la prassi di riservare alla FPI solo i giovani che ripiegano dopo un fallimento scolastico. La normativa, sotto questo aspetto, ha recepito le istanze degli Enti di FP aderenti a CONFAP e FORMA superando le posizioni di quanti volevano riservare il prolungamento dell’istruzione obbligatoria alla sola istituzione scolastica. L’obbligo scolastico, pur storicamente meritevole, oggi appare insufficiente ad indicare il conseguimento di un livello di istruzione e di formazione adeguato ai bi-sogni di una persona che vive consapevolmente nella nostra società. La normativa vigente sulla FPI va, in secondo luogo, nella direzione della “diversificazione e dell’ampliamento dell’offerta formativa”, una via sempre sottolineata dalla Federazione CNOS-FAP e dagli Enti di Formazione Professionale aderenti a CONFAP e FORMA, una via peraltro europea, necessaria anche in Italia sia perché la scuola italiana deve affrontare il problema della dispersione scolastica che è collocata in modo particolare nei “bienni” dei percorsi del sistema dell’istruzione secondaria superiore sia perché, nell’attuale società, la scuola in generale «deve proporre sempre meno modelli omologanti e sempre più rispondere alle sfide della differenziazione, dinanzi ad un destinatario sempre più disomogeneo e ad una utenza caratterizzata, da qualche anno, dalla crescente presenza di stranieri» (Campione - Ferratini - Ribolzi, 2005, 69; Ghergo 2009a). Assumere la FPI come parte dell’intera offerta del secondo ciclo è, senza ombra di dubbio, l’esito più complesso ma anche tra i più positivi del cammino percorso in questi decenni per l’affermazione del successo formativo. Il riferimento ai soggetti che erogano la FPI rimanda, in terzo luogo, al nodo della “sussidia-rietà orizzontale”. L’introduzione del principio di sussidiarietà in tutto l’ordinamento politico e amministrativo dell’Italia, soprattutto a livello regionale, è una questione importante e, a giudizio di molti, anche decisiva. Se non si riconosce il valore pubblico delle iniziative personali e sociali, infatti, si rischia di indebolire la responsabilità dei cittadini e di rendere sempre più inefficiente il servizio pubblico. È alla luce di questa riflessione che la Federazione CNOS-FAP giudica positivo il co-involgimento degli Enti di FP nello svolgere le attività di FPI a favore dei giovani. Si tratta di una scelta che va nella direzione della valorizzazione degli organismi della società civile senza replicare a livello regionale nuove forme di centralismo. Questo risultato è il frutto di un cammino piuttosto difficile e lungo. Negli anni Ottanta del secolo scorso, infatti, la FPI era stata ricondotta all’interno delle politiche attive del lavoro; era dunque una formazione fuori del sistema scolastico ma poteva essere realizzata, oltre che direttamente dalla Regione, anche da Enti che potevano essere emana-zione delle organizzazioni democratiche dei lavoratori o associazioni con finalità formative e sociali (Legge 845/78, art. 5, comma b). Nel decennio successivo si era registrata una proposta dell’on. Mezzapesa che prevedeva che anche il sistema di FP potesse contribuire all’assolvimento dell’obbligo scolastico, allora ipotizzato fino a 16 anni. Ma la proposta non fu accolta. Negli anni duemila, il Ministro Berlinguer, dopo un obbligo scolastico innalzato fino a 15 anni, introdusse un obbligo formativo extra scolastico fino a 18 anni. La riforma complessiva, però, fu bloccata; nelle Regioni si avviò, in maniera differenziata, solo l’obbligo formativo, in molti casi svolto da una isti-tuzione scolastica che integrava il percorso con moduli di formazione professionale (i c.d. percorsi integrati). Nel periodo successivo, il Ministro Moratti, riformulando l’obbligo scolastico e l’obbligo formativo nel diritto-dovere, coinvolse anche le istituzioni formative nell’assolvimento di tale diritto-dovere. Ma anche questa proposta fu rivista nella legislatura successiva e le Regioni reagirono in modo molto differenziato, avviando modelli diversi di percorso formativo. Con il Ministro Fioroni si ripropose il dilemma tra innalzamento dell’obbligo scolastico e l’allungamento dell’istruzione obbligatoria. La soluzione fu a favore di quest’ultima, ma inquadrata in una fase temporanea. Il Ministro Gelmini, intervenendo ancora una volta sulla materia con la Legge 133/2008, ha stabilito che l’obbligo di istruzione si assolve anche nei percorsi di istruzione e formazione professionale, e sino alla completa messa a regime delle disposizioni contenute nel capo III del D.Lgs. n. 226/05, anche nei percorsi sperimentali di istruzione e formazione professionale. Le istituzioni formative, emanazione delle organizzazioni democratiche dei lavoratori o associazioni con finalità formative e sociali possono concorrere, con la FPI, all’assolvimento del diritto-dovere all’istruzione e formazione fino al diciottesimo anno di età. Questo punto di arrivo, che la Federazione CNOS-FAP giudica positivamente, è aperto ad una nuova sfida, la riforma federale dello Stato. A giudizio della Federazione CNOS-FAP la riforma si giocherà anche su questo aspetto, cioè nel progressivo supe-ramento delle differenze che esistono fra le Regioni in fatto di applicazione del principio di sussi-diarietà orizzontale al campo della FPI. Solo così si avrà un “pluralismo” anche dal punto di vista istituzionale. Non è esagerato affermare che la Federazione CNOS-FAP ha potuto dare il proprio apporto originale e qualificato soprattutto nell’organizzazione dell’offerta formativa. Ha dato le “ali” al per-corso formativo, qualificandolo sia dal punto di vista pedagogico che metodologico e didattico. La Federazione CNOS-FAP, attiva all’interno di FORMA, da subito, ha contribuito ad elaborare un PROGETTO PILOTA, un idealtipo di percorso caratterizzato da specifici obiettivi da raggiungere, da un preciso modello formativo, da standard professionali e formativi e da una peculiare metodo-logia formativa (FORMA, 2002). La sperimentazione, poi, avviata in molte Regioni, è stata segnata da una notevole documentazione che attesta la vitalità della Federazione CNOS-FAP e degli Enti dove, o come protagonisti o sotto la regia regionale, hanno partecipato attivamente al monitoraggio e alla innovazione del percorso formativo progettato. Si riportano, per offrire al lettore la vastità e la varietà delle tematiche affrontate, i titoli delle principali pubblicazioni prodotte durante la sperimen-tazione. Molte di esse sono state realizzate a livello nazionale e offerte alla Federazione come stru-mento di lavoro o di formazione, altre sono sorte nelle Regioni soprattutto come documentazione del monitoraggio effettuato. 3.3.2. L’aggiornamento del CFP polifunzionale All’inizio del 1999, la Sede Nazionale CNOS-FAP ha affidato all'Istituto di Sociologia FSE-UPS la realizzazione di un’indagine mirata alla rilevazione di elementi della situazione dei Centri del-la Federazione in riferimento ai requisiti richiesti dal regolamento attuativo della legge 196/97, art. 17, e in vista della individuazione di indicatori di qualità per un CFP polifunzionale (Malizia - Pieroni, 1999). La Federazione avvertiva infatti l'esigenza di individuare nuove forme di aiuto e di supporto soprattutto al direttore e alle figure di staff presenti nei CFP o nella Sede Regionale (impe-gnate in attività di orientamento, coordinamento, analisi, progettazione e valutazione dei fabbiso-gni), essendo questi i ruoli più coinvolti nel processo di cambiamento/rinnovamento. Più in partico-lare, avendo presente un modello organizzativo di CFP dinamico, orientato al sistema qualità e ri-spondente alla logica dell'accreditamento, si intendeva elaborare, con la collaborazione di un gruppo di esperti, un progetto di fattibilità inteso a predisporre un processo permanente di monitoraggio e valutazione delle attività della FP CNOS-FAP. Dall’indagine emerge che se molto è stato attuato in questi ultimi anni e l'obiettivo della po-lifunzionalità si è rivelato una realtà per molti Centri, la fase di completamento di certi obiettivi ri-chiede ancora ulteriori sforzi e nuove strategie d'intervento. Pertanto, stando ai risultati ottenuti at-traverso il rilevamento, si suggeriscono i seguenti passi da intraprendere, ai fini di una più completa realizzazione del modello CNOS-FAP di CFP polifunzionale. 1) Una prima proposta riguarda il conseguimento della “certificazione” del “sistema qualità”, con tutti requisiti che tale obiettivo comporta. 2) Tra essi va indubbiamente annoverata la introduzione di nuove figure: oltre a quelle che già esi-stono nella più parte dei Centri vanno previsti (meglio ancora se come figure di sistema nello staff) il responsabile dei servizi di sicurezza ed il responsabile della qualità; non ci si nasconde però che saranno sempre più richieste in un immediato futuro anche quella del responsabile delle reti informatiche e del coordinatore delle attività di integrazione (in vista di una FP indirizzata a vantaggio delle fasce deboli, sempre più ampie ed attuali in una società in rapida trasformazione tecnologica), coerentemente anche all'esigenza (avvertita in oltre la metà dei Centri e spe-rimentata in una parte degli stessi) di potenziare l'orientamento e le azioni formative a favore di questi soggetti. 3) Un altro passo da compiere in tempi brevi è quello di una sempre più decisa apertura del CFP al territorio così da assumere una piena posizione di collaborazione, concertazione, integrazione con le varie realtà di riferimento. 4) Continuare, come era stato fatto egregiamente fino a quel momento, nell'organizzazione di corsi di formazione per i formatori nelle due principali direttrici: a. corsi per tutti, mirati cioè al costante aggiornamento della formazione delle varie figure di formatori; b. corsi "ad hoc" per la preparazione di figure specialistiche, con particolare riferimento a quelle da introdurre ex-novo. 5) Effettuare un costante monitoraggio sulla “qualità” della formazione erogata nei CFP della Fe-derazione, sulla base di un modello aggiornato di CFP polifunzionale e di standard minimi di qualità e nel rispetto della giusta autonomia di ogni Centro. 6) Creare una rete informatizzata, in grado di collegare tutti i Centri, così da realizzare una infor-mazione in tempo reale su problematiche emergenti e da socializzare innovazioni e sperimenta-zioni in atto. 7) Ampliare e/o rendere accessibile a un maggior numero possibile di Centri la partecipazione a progetti/programmi multiregionali e transnazionali. Sulla base dei risultati di questa ricerca la Federazione ha ritenuto opportuno orientare lo sforzo di rinnovamento soprattutto in tre direzioni: il potenziamento della formazione dei formatori, l’attuazione dell’obbligo formativo e del diritto-dovere all’istruzione e formazione e la realizzazione di un modello organizzativo di qualità. 3.3.3. Il potenziamento della formazione dei formatori Anche in questo caso si è partiti con una ricerca che è stata realizzata dalla Sede Nazionale del CNOS-FAP nel gennaio-giugno 2000 con lo scopo sia di approfondire la conoscenza della si-tuazione della formazione del personale del CNOS-FAP, sia di elaborare la proposta di un sistema di qualità per una preparazione più adeguata degli operatori, sia di predisporre un'ipotesi di standard formatori (Malizia - Pieroni - Salatin, 2001). L’indagine evidenzia un posizionamento professionale medio attuale più che buono degli operatori CNOS-FAP (in rapporto ad altri enti italiani), ma se-gnala più o meno indirettamente alcune criticità del sistema organizzativo: - una situazione con significative eterogeneità tra gli operatori, sia a livello di percezione che di situazioni professionale (es. tra Nord e Sud, tra generazioni e tra salesiani e non salesiani); - un sistema ancora non adeguatamente orientato all’utenza e al territorio: abituato ad aspettare gli utenti più che ad andare verso di loro (forse perché non ha mai avuto gravi problemi di do-manda e di risorse), non particolarmente preoccupato di ascoltare (non a caso risultano sottodi-mensionate le competenze marketing e valutazione); - un sistema non molto aperto e tendenzialmente autoreferenziale, che collabora ancora poco con altri soggetti nel territorio; ciò può essere un limite nella prospettiva del “fare rete”; - un sistema non adeguatamente differenziato nei suoi servizi e funzioni: molto focalizzato sulla erogazione formativa tradizionale con ancora debole presenza di altri servizi (orientamento, ac-compagnamento, counselling, …) e un po’ indietro sulle nuove tecnologie didattiche e sulla FAD. Circa il dispositivo formativo proposto, sono condivisibili le indicazioni della ricerca con un impianto flessibile basato su: - formazione d’ingresso: corso formatori (master di primo ciclo o di secondo ciclo per i livelli più alti); - formazione in servizio: interventi ricorrenti con attenzione all’identità dell’Ente e alla formazione comportamentale (in presenza); sviluppo delle formule a distanza (moduli FAD) e degli stage all’estero. I dati della ricerca non vanno letti solo in sé, ma anche in rapporto ai trend osservabili a li-vello nazionale. A questo livello e in particolare in rapporto allo scenario dell’accreditamento degli operatori: - il livello generale degli operatori appare in grado di reggere la copertura delle funzioni previste e dei relativi standard (c’è anche di più rispetto agli standard minimi); - ci sono segnali incoraggianti di apertura all’innovazione, visto il rilievo dato all’analisi della nuova domanda di formazione implicito nelle risposte relative alla figura del direttore; - il modello organizzativo può reggere un orientamento alla qualità senza enormi rivoluzioni; - è possibile rilevare inoltre una complementarità tra il rilievo delle competenze “salesiane” (si-stema preventivo, carisma pedagogico...) collegate alla “mission” e le competenze professionali richieste. Sulla base di questi dati è stato elaborato un piano con una prospettiva poliennale. Esso s'in-serisce nella missione di servizio della Federazione CNOS-FAP Nazionale alle sedi locali e do-vrebbe integrarsi agli eventuali piani formativi di CFP, ai piani formativi regionali e ai piani formativi individuali, anche in funzione della implementazione delle nuove normative in materia di formazione continua e dello sviluppo della contrattazione collettiva di comparto. Dal punto di vista degli obiettivi, il piano ha carattere strategico e si propone di sistematizza-re un dispositivo di formazione iniziale degli operatori, in grado di equilibrare le componenti valoriali e professionali, di fornire le linee guida per il consolidamento di un dispositivo di formazione per-manente in servizio, compatibile e coerente con i processi d'accreditamento interno ed esterno in atto, e fornire delle proposte di percorsi per l’acquisizione e/o lo sviluppo delle competenze indivi-duate più necessarie dalla ricerca e/o segnalate dai responsabili dell’Ente. Il piano assume come criteri di base metodologici la distinzione tra la formazione di ingresso e quella in servizio, di base e specialistica, il principio di interazione tra formazione e attività professionale e la pluralità dei modi di formazione (presenziali e non presenziali). Esso muove inoltre dalla consapevolezza della triplice articolazione degli interventi a livello nazionale, regionale e locale, pur sviluppando solo le proposte relative al livello nazionale. Per facilitare la traduzione operativa del piano, si è ritenuto opportuno predisporre un cata-logo che contenga una offerta formativa permanente e sistematica per gli operatori, basata sulle buone prassi in atto presso le singole sedi. Più specificamente esso è finalizzato ai seguenti obiettivi: - «sistematizzare la formazione iniziale degli operatori, in modo da equilibrare le componenti va-loriali e professionali, soprattutto attraverso la proposta di moduli ‘comportamentali’; - fornire le linee guida per il consolidamento della formazione permanente in servizio, compatibile e coerente con i processi di accreditamento interno ed esterno in atto; - fornire delle proposte di percorsi per l’acquisizione e/o lo sviluppo delle competenze più neces-sarie individuate dalla ricerca e/o segnalate dai responsabili dell’Ente; - mettere a sistema la formazione in atto e quella in fase di progettazione e facilitare l’accesso alle informazioni disponibili per quanto riguarda le opportunità di crescita professionale» (CNOS-FAP - CePOF, 2003, 8). Pertanto, la formazione dei formatori ha raggiunto una metodologia ed una strutturazione sufficientemente stabile. Vengono proposte attività corsuali residenziali nazionali legate soprattutto alla crescita dei settori professionali, attività residenziali locali connesse in particolare ai bisogni delle varie Delegazioni regionali, attività di formazione per il personale direttivo, attività di formazione a distanza per tutti gli operatori. Il catalogo, nella sua globalità, copre tutti i settori, dall’area pedago-gico-salesiana, a quella della dottrina sociale della Chiesa, a quella metodologico-didattica, a quella tecnologica. 3.3.4. La sperimentazione dell’obbligo formativo e del diritto-dovere Si è trattato di una ricerca-azione che intendeva contribuire allo sviluppo della FP conte-stualmente e in sinergia con la riforma in corso del sistema educativo di istruzione e di formazione (Malizia - Nicoli - Pieroni, 2002). Più specificamente, l’innovazione, a cui l’indagine si è collegata dal momento del suo avvio nel 2000, è costituita dall’introduzione dell’obbligo formativo fino a 18 anni di età, che ha riconosciuto la possibilità (attraverso la Legge 144/99, art. 68) di assolvere tale obbligo in percorsi anche integrati di istruzione e formazione: 1) nel sistema di istruzione scolastica; 2) nel sistema di formazione professionale di competenza regionale; 3) nell’esercizio dell’apprendistato. Sulla base delle indicazioni legislative, il CNOS-FAP e il CIOFS/FP hanno dato vita ad un progetto sperimentale a carattere nazionale che ha occupato 2 anni, il 2000-01 e il 2001-02. Di se-guito, alcune delle dimensioni più significative. Anzitutto, l’impostazione seguita integra le esigenze professionali con le culturali e con le educative. In secondo luogo, va sottolineata l’articolazione del modello formativo in saperi (insieme di nozioni strutturate in una materia/disciplina o area culturale), competenze (un saper agire o reagire riconosciuto) e capacità personali (il complesso delle caratteristiche, quali tratti, disposizioni, vo-cazione e attitudini, che il soggetto mette in atto in diverse situazioni e che ne connotano la persona-lità) (Nicoli, 2000). Questa impostazione tiene conto degli aspetti più validi dei modelli dell’IFSOL e della Tecnostruttura delle Regioni e al tempo stesso li supera perché considera i saperi di base, trasforma correttamente le competenze trasversali in capacità personali, arricchisce il gruppo delle competenze professionali e distingue al suo interno un ambito specifico e uno trasversale. In terzo luogo, viene riconosciuta una rilevanza centrale alle istanze della personalizzazione attraverso i moduli dell’orientamento, dell’accoglienza e dell’ac-compagnamento. I Centri dell’inizio della sperimentazione sono 73 in tutto e si distribuiscono quasi alla pari tra CNOS-FAP e CIOFS/FP, 41.1% l'uno e 38.4% l'altro, mentre i Centri di Formazione Professionale degli altri Enti costituiscono un quinto del totale (20.5%). Tra il 2000-01 e il 2001-02, gli iscritti al 1° anno della sperimentazione sono cresciuti di 234, pari all’8%, passando da 2.915 a 3.149: il dato attesta del successo dell’iniziativa. Nel 2001-02 van-no aggiunti gli allievi del secondo anno, 1.918, per cui a regime si raggiunge la cifra di 5.067. Sia nel 2000-01 che nel 2001-02, la grande maggioranza degli iscritti al 1° anno della speri-mentazione (70,1% e 68,1%) si trova in una situazione di difficoltà dal punto di vista scolastico in quanto semplicemente “prosciolti dall'obbligo”: non hanno cioè conseguito la promozione al secondo anno della scuola secondaria superiore e si sono potuti iscrivere alla FP Iniziale perché al com-pimento del quindicesimo anno di età hanno dimostrato di aver osservato per almeno 9 anni le nor-me sull'obbligo scolastico. Il dato evidenzia ancora una volta i gravi limiti della legge n.9/99 sull’elevazione dell’obbligo scolastico, in quanto i ragazzi che volevano iscriversi alla FP erano co-stretti a un anno di parcheggio nella scuola secondaria superiore, senza conseguire nessun risultato utile per il loro percorso formativo neppure quello del passaggio al secondo anno della secondaria. Passando ad esaminare i flussi degli allievi, si nota che il vero abbandono è inferiore al 10% dei casi, nel 1° anno, e al 5%, nel 2° anno. Le cifre non sono drammatiche, ma rimangono significative e devono spingere a trovare le strategie per rendere solo fisiologiche le uscite prima della conclusione. In ogni caso, l’andamento complessivo dei flussi, in particolare per quanto riguarda il rapporto allievi ritirati/aggiunti, permette di attribuire alla sperimentazione un indubitabile successo in quanto le perdite, a lungo andare, si sono ridotte già a partire dal 2° anno. Nel 2001-02, i formatori coinvolti nella FPI sperimentale sono 553 e si ripartono tra 398 del CNOS-FAP (72%) e 155 del CIOFS/FP (28%). Il gradimento degli allievi relativamente al sperimentazione dell’obbligo formativo si situa globalmente sull’“abbastanza” e, in un certo numero di casi, è andato pure oltre (anche se non si ar-riva al “molto”, ci si avvicina ad esso in modo sostanziale). A sua volta, la soddisfazione dei formatori, si colloca complessivamente sull’ “abbastanza” e, in un certo numero di casi, si è spinta oltre. In generale, appare una buona predisposizione degli organismi formativi verso una prospet-tiva pedagogica orientata alla personalizzazione dei percorsi formativi, con un approccio che privi-legia la valorizzazione delle modalità attive quali il laboratorio, i compiti reali e non raramente le simulazioni ed i casi di studio. Soprattutto l’analisi delle prassi pedagogiche e didattiche rivela una ricchezza di intenti ed una concentrazione di risorse in direzione di una metodologia completa, or-ganica, ancorata ad un’impostazione educativa, culturale e professionale esplicita. Questo significa che gli organismi indagati – appartenenti alla tradizione “educativo-professionale” – si sono trovati molto a loro agio nel cogliere l’opportunità dell’obbligo formativo al fine di rilanciare la loro pro-posta formativa. Emerge anche un notevole investimento degli Enti e dei Centri in tema di metodologie di-dattiche (dopo anni di scarsa applicazione in tale ambito), segno di una tendenza profonda che può portare a frutti importanti per l’intero settore. Nasce in tal senso l’esigenza di delineare una modalità di valorizzazione stabile di tale produzione, sotto forma di un “Centro risorse educative per l’apprendimento” (CREA), ovvero una struttura di supporto alla didattica (d’aula, alternativa all’aula, mista), che può essere presente in ogni CFP, e nel contempo inserita in una rete nazionale, nella quale concentrare le risorse che consentono di dare vita a processi di formazione basati su una strategia attiva. In proposito la Federazione ha avviato subito un apposito progetto a livello naziona-le. Gli esiti della rilevazione consentono di evidenziare alcuni punti chiave dell’impegno dei Centri indagati: a) l’esigenza del rispetto dell’età evolutiva degli alunni nella fase dell’obbligo formativo; b) l’attenzione alla continuità tra i cicli, che favorisca il superamento della dispersione, e la necessità di una corretta impostazione dell’orientamento; c) l’esigenza di predisporre le condizioni per un’effettiva scelta, da parte degli alunni, dei percorsi di scuola o di FP, che abbiano pari dignità culturale, educativa e professionale, a partire dal termine della scuola secondaria di I grado, con inizio dal 14° anno di età, analogamente a quanto avviene in quasi tutti i paesi europei. In conclusione, la ricerca ribadisce l’importanza della FP come percorso alternativo alla scuola, al pari di questa capace di accompagnare gli allievi verso il conseguimento di obiettivi educativo-formativi e, quindi, all’acquisizione di una “Qualifica professionale” e di un “Diploma professionale” e, attraverso corsi triennali di formazione tecnica superiore, un “Diploma professionale superiore”. La riforma Moratti accoglie questa istanza. Dopo la sperimentazione dell’obbligo formativo la Federazione CNOS-FAP si è impegnata nel monitoraggio della sperimentazione dei percorsi trien-nali e quadriennali di qualifica e di diploma professionale i cui esiti sono documentati nel paragrafo precedente, il 3.3.1. 4. Gli anni della grande crisi: la resilienza della FP e del CNOS-FAP Come negli altri Paesi Occidentali, l’Italia ha vissuto tra il 2008 e il 2016 un periodo di profonda recessione economica. Il Rapporto Censis del 2012 ne fa una descrizione che ci sembra degna di essere riportata alla lettera perché ci fa entrare a fondo nella situazione: «La realtà si è rivelata diversa da quella che ci aspettavamo, più complicata che nelle crisi precedenti e così “perfida” da imporci una radicale rottura di schema anche interpretativo (prima ancora che decisionale e operativo). Ci siamo infatti trovati dentro fenomeni e processi non padroneggiabili, e in parte neppure comprensibili. […] ‒ sono entrati in gioco “fenomeni enormi” per dimensione e complessità fuori della nostra portata intellettuale e politica (la speculazione internazionale, la crisi dell’euro, la impotenza dell’apparato europeo, la modifica degli assetti geopolitici e altro ancora); ‒ ci sono piovuti addosso “eventi estremi” quasi con caratteristiche di catastrofi naturali (basterebbe pensare a come abbiamo vissuto la dinamica dello spread e il pericolo di default […]; ‒ e soprattutto ci siamo ritrovati nella progressiva crisi della sovranità, a tutti i livelli, visto che nessuno, in Italia e altrove, è stato in grado di esercitare un’adeguata reattività decisionale» (p. XII; Malizia - Nanni, 2015). 4.1. Elementi di scenario e le principali riforme Nonostante le gravi problematiche accennate sopra, la IeFP in generale e soprattutto quella del CNOS-FAP hanno dimostrato una notevole capacità di affrontare con successo le sfide della crisi. Citiamo solo due dati per tutti: tra il 2008-09 e il 2015-16 la prima ha aumentato i propri iscritti nel triennio da 150.489 a 300.328, ossia del doppio quasi, anche se il picco è stato raggiunto nel 2014-15 con 316.599 (e la leggera diminuzione tra il 2014-15 e il 2015-16 è del tutto comprensibile dopo 12 anni di continua crescita) (Crispolti - D’Arcangelo, 2010; Istituto Nazionale per l'Analisi delle Politiche Pubbliche-Inapp, 2017); a sua volta, gli allievi della seconda sono saliti da 18.779 nel 2008-09 a 26.472 nel 2016-17 (l’anno del 40.mo), cioè del 30% circa (Cnos-Fap - Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, 2017). Nelle due sezioni in cui si articolerà questa parte del testo si preciseranno le difficoltà del periodo e le dimensioni della relisienza della IeFP del CNOS-FAP. 4.1.1. I nodi problematici della situazione sociale Il Rapporto annuale dell’Istat mette a disposizione del Parlamento e dei cittadini i risultati dell’analisi che l’Istituto effettua ogni anno riguardo alla condizione sociale ed economica dell’Italia. Il volume del 2017 offre una sintesi delle dinamiche sociali del periodo della crisi eco-nomica non solo in retrospettiva, ma anche con uno sguardo all’attualità e alle prospettive, non sul piano delle criticità, ma anche degli aspetti positivi (Istat, 2017; Malizia et al., 2017b). I nuclei te-matici principali su cui si concentra l’esame sono sostanzialmente due: la struttura sociale interpretata attraverso i gruppi sociali in cui si distribuisce; la situazione del sistema Paese. Tale impostazione costituirà l’articolazione di base della sezione che segue. 4.1.1.1. Nove gruppi per analizzare il sistema sociale Per descrivere i gruppi in cui si distribuisce la società italiana, l’Istat ha adottato un metodo nuovo incentrato sulle famiglie piuttosto che ricorrere all’approccio tradizionale delle classi. Infatti, quest’ultimo ha perso gran parte della sua efficacia originaria a motivo della frammentazione del tessuto sociale e i suoi criteri principali di riferimento, titolo di studio, occupazione e reddito, non sembrano in grado di cogliere in maniera soddisfacente la complessità della situazione attuale. Il concetto di famiglia, invece, consente di far entrare in gioco altri criteri in aggiunta a quelli già citati e anch’essi importanti come: la dimensione familiare, l’età, il genere, la presenza di uno straniero, la disponibilità di un’abitazione. La classificazione seguita colloca nel gradino inferiore quattro tipi di famiglie: a basso red-dito con stranieri e di soli italiani, tradizionali della provincia e, infine, anziane sole e giovani di-soccupati. Esse sono tutte in condizioni economiche difficili. Le famiglie a basso reddito con stranieri ammontano a 2 milioni quasi (il 7,1% del totale) e comprendono 4,7 milioni di persone (7,8%). Le loro caratteristiche più rilevanti sarebbero le se-guenti: la presenza di almeno un componente straniero; la maggiore povertà; l’età più giovane della persona di riferimento (il principale percettore di reddito); la composizione media di 2,6 persone con un numero consistente di individui soli; la prevalenza di occupazioni non qualificate; il possesso da parte della persona di riferimento di un titolo di secondaria superiore; la residenza nel Centro-nord. Il secondo tipo di famiglie è costituito da quelle di basso reddito di soli italiani il cui numero è sostanzialmente pari a quello delle precedenti (2 milioni circa o il 7,5%), mentre i componenti sono di più (oltre 8 milioni o il 13,6%) perché includono più membri. Si contraddistinguono per: il reddito basso; l’età relativamente giovane; la composizione media di 4,3 persone; la titolarità di un contratto a tempo indeterminato e l’inquadramento come operai o addetti a operazioni manuali; il possesso di licenza media inferiore; la residenza al Sud. Il gruppo meno numeroso sia di famiglie (850 mila e 3,3%) che di membri (3,6 milioni e 6%) è rappresentato dalle famiglie tradizionali della provincia. Si differenziano per le seguenti ca-ratteristiche: l’età più avanzata; la prevalenza del modello tradizionale di capofamiglia maschio; la composizione media elevata; la predominanza di commercianti e artigiani; il possesso al massimo di licenza media inferiore; la residenza nel Meridione e nei comuni fino 50 mila abitanti. La presenza contemporanea di un titolo di studio basso e di un numero elevato di membri si riflette negativa-mente sul reddito, abbassandolo in maniera significativa. Il raggruppamento delle anziane sole e dei giovani disoccupati include 3,5 milioni di famiglie (13,8%) e 5,4 milioni di persone (8,9%). Venendo a ciò che lo specifica, si può dire che: l’età media della persona di riferimento è elevata, 65,6 anni, la sua condizione professionale si caratterizza per l’inattività e in qualche caso per la disoccupazione e il titolo di studio è basso; l’esposizione al pericolo di povertà è notevole, anche perché, oltre ai motivi appena accennati, nel 60% dei casi si tratta di persone sole. Due dei gruppi si collocano a metà della classifica, nel senso che si possono definire a reddito medio. In concreto, si tratta dei giovani blue-collar e delle famiglie degli operai in pensione. Il primo raggruppamento comprende 3 milioni circa di famiglie e 6,2 milioni di membri, cifre che tradotte in percentuali corrispondono all’11,3% e al 10,2%. Le loro caratteristiche più rilevanti sarebbero le seguenti: l’età relativamente giovane; una ridotta esposizione al pericolo della povertà; la composizione media di appena 2,1 persone; la titolarità di un contratto a tempo indeterminato e l’inquadramento come operai o addetti a operazioni manuali; il possesso di una licenza di scuola media o di un diploma di secondaria superiore; la residenza in abitazioni in affitto. A loro volta le famiglie di operai in pensione costituiscono il gruppo più numeroso a livello di famiglie (6 milioni o il 22,7%), ma non in termini di persone (10,5 milioni o il 17,3%). L’età media della persona di riferimento è alta, 72 anni, il reddito raggiunge quasi la cifra media a livello na-zionale, si tratta in prevalenza di persone sole o di coppie senza figli, il capofamiglia risulta nella più gran parte dei casi in pensione e possiede al massimo una licenza media. La classificazione dei gruppi sociali ne colloca tre nei gradini più alti. In concreto si tratta delle famiglie di impiegati, delle pensioni d’argento e della classe dirigente. Tutte e tre vengono qualificate come benestanti. Le famiglie di impiegati rappresentano il raggruppamento più numeroso quanto alle persone che lo compongono (oltre 12,2 milioni o il 20% circa), ma non in termini di famiglie (intorno a 4,6 milioni o il 17,8%). Le caratteristiche principali sarebbero le seguenti: l’età relativamente giovane della persona di riferimento che in quattro casi su dieci è una donna; la sua posizione professionale di carattere impiegatizio o di lavoratore autonomo e le buone condizioni di vita della famiglia; la prevalenza di coppie con figli e una composizione media di 2,7 persone; il possesso di almeno un diploma di secondaria superiore. Il raggruppamento indicato come pensioni d’argento include 2,4 milioni di famiglie (9,3%) e oltre 5 milioni di persone (8,6%). Si contraddistinguono per: il reddito elevato; l’età alta; la com-posizione contenuta di 2,2 persone; la condizione di pensionato; il possesso almeno di un diploma della secondaria superiore. La classe dirigente abbraccia 2 milioni circa di famiglie (7,2%) e 4,6 milioni di persone. (7,5%). Si differenziano per le seguenti caratteristiche: l’età media di 56,2 anni; la composizione di 2,5 membri; il reddito più alto con il vantaggio del 70% circa rispetto alla media e una maggioranza relativa di dirigenti e di quadri; il possesso generalizzato di un titolo universitario. Il Rapporto ha cercato di approfondire anche il tema delle diseguaglianze di reddito. In pro-posito, una precisazione da fare consiste nel distinguere due tipi di disparità: quelle tra i gruppi e quelle interne ai gruppi. Riguardo alle prime, va osservato che, se le percentuali della popolazione presenti in ciascun gruppo e le relative quote di reddito coincidessero, tutti i gruppi disporrebbero del medesimo reddi-to medio e non ci sarebbero disparità fra i gruppi, ma questo non si registra per esempio tra i gruppi che si collocano agli estremi della ripartizione dei redditi che, pertanto, sperimentano i benefici maggiori nel primo caso e gli svantaggi più rilevanti nel secondo. In particolare, la percentuale delle famiglie a basso reddito di soli italiani o con stranieri nella popolazione è significativamente supe-riore alla porzione di reddito che spetta loro. L’andamento è invece opposto per la classe dirigente, le pensioni d’argento e gli impiegati. In relazione all’anno di inizio della crisi, il 2008, lo svantaggio delle famiglie a basso reddito con stranieri cresce per cui esse sono il gruppo che più ha sofferto per la recessione, mentre la situazione di svantaggio delle famiglie a basso reddito di soli italiani è ri-masta la stessa nel tempo e quella delle famiglie di operai in pensione è in parte migliorata. Passando alle disparità nei gruppi, unicamente le anziane sole e i giovani disoccupati pre-sentano una variabilità notevole all’interno; al contrario le famiglie degli impiegati e degli operai in pensione evidenziano il livello più basso di differenze. Globalmente si può dire che nel 2015 le di-seguaglianze nei redditi dipendono per l’80% da fattori interni ai gruppi e per il 20% da disparità fra i gruppi. 4.1.1.2. La situazione economica e sociale del 2016 A livello demografico, l’invecchiamento della popolazione è l’andamento che caratterizza l’Italia nel contesto internazionale. Le nascite diminuiscono e nel 2016 si è raggiunto il record nega-tivo di sole 474 mila all’anno, il numero delle morti (608 mila) è alto in linea con l’invecchiamento, il saldo naturale si presenta negativo (-134.000), il secondo peggiore di sempre, e il saldo migratorio non colma le diminuzioni. Di conseguenza, si riscontra un calo nella popolazione residente che si riduce a 60,6 milioni. In un contesto mondiale in sviluppo sul piano economico, anche se con una lieve decelera-zione nel 2016 (+3,1% rispetto al +3,4% dell’anno precedente), la ripresa del nostro Paese, avviata nel 2015, si consolida, registrando un aumento dello 0,9% del Pil; anche quest’anno tale andamento è da attribuire alla domanda interna che sale dell’1,4%. Nonostante ciò, il trend positivo trova diffi-coltà ad affermarsi pienamente a motivo della elevata volatilità dei principali indicatori congiunturali e della disomogeneità dei dati provenienti dal comparto dei servizi, non sempre favorevoli; pure la sostanziale stabilità dell’inflazione negli ultimi tre anni non è un segnale confortante perché indica una stasi del mercato per cui, tra l’altro, la notizia dei primi mesi del 2017 su una risalita dell’inflazione va vista con favore. Inoltre, la ripresa non riesce a raggiungere nella stessa misura tutti i gruppi sociali e l’indice di grave deprivazione materiale sale dall’11,5% del 2015 all’11,9% del 2016 e incide in maniera più negativa sulla situazione dei genitori soli, in particolare con figli minori, e dei residenti nel Sud. Un segnale certamente positivo è la crescita degli investimenti fissi lordi in continuità con il 2015. In aggiunta, le importazioni di beni e servizi sono aumentate in volume più delle esportazioni, benché l’interscambio commerciale in valore sia caratterizzato da un andamento opposto. Pertanto. la quota delle esportazioni di merci italiane è aumentata rispetto a quelle mondiali, dimostrando che la capacità delle imprese italiane di competere sui mercati internazionali si sta rafforzando. Come si sa, le difficoltà dell’economia italiana sono dipese in misura considerevole anche dalla prolungata stagnazione della produttività che si è accumulata tra il 2000 e il 2014. In questo momento è in atto un lento recupero che, però, rimane fragile in quanto è da attribuire maggiormente al rinnovamento esogeno della tecnologia produttiva e meno a cause endogene connesse a un mi-glioramento delle strategie delle imprese. Tuttavia, dato che secondo le previsioni del Fondo Mone-tario Internazionale il mercato mondiale registra un’accelerazione del prodotto e del commercio che è da collegarsi con il miglioramento delle prospettive dei Paesi sviluppati, si può ragionevolmente ipotizzare sulla base degli attuali indicatori qualitativi dell’Italia che quest’ultima sia destinata a sperimentare una fase di crescita benché a tassi moderati. Le dinamiche a livello internazionale sono positive anche a livello occupazionale. Negli ultimi tre anni l’UE ha registrato in proposito un aumento costante e nel 2016 sono stati superati i tassi pre-crisi. Pure l’Italia ha partecipato a questo trend positivo, anche se in misura inferiore alla media. Il tasso di occupazione registra un aumento pure nel 2016 (+0,9%), raggiungendo la cifra del 57,2% che, però, è più bassa di quella dell’UE (66,6%), soprattutto riguardo alle donne (-13,3%). Venendo ai particolari, la crescita riguarda tutti i gruppi di età anche quello dei più giovani (15-34 anni); al tempo stesso, va tenuto presente che sono i 50enni ed oltre ad averne beneficiato maggiormente. Le donne hanno registrato l’aumento più elevato (+1,5%), ma il dato globale le vede al 48,1% rispetto agli uomini che si collocano al 66,5%. Inoltre, questa dinamica positiva coinvolge particolarmente i gradi elevati di istruzione e principalmente i laureati confermando che la formazione costituisce un fattore protettivo nel mondo del lavoro. A livello territoriale questa volta è il Sud a fare meglio delle altre circoscrizioni a riguardo alla crescita del tasso di occupazione, anche se il dato globale lo svantaggia rispetto al Centro-nord. Non ci sono differenze significative tra le percentuali di crescita degli occupati permanenti e a termine, mentre la quota del lavoro indipendente risulta leggermente in diminuzione: in ogni caso si riduce l’aumento del lavoro dipendente a termine. Diminuisce anche il tasso di disoccupazione dello 0,2% e si colloca all’11,7% e il numero dei giovani non occupati e non in formazione (Neet) continua a scendere, attestandosi a 2,2 milioni, e tra loro prevalgono quanti intendono lavorare. Inoltre, il tasso di inattività diminuisce del 2,9% e di conseguenza aumenta quello di attività. Rima-ne il problema di una situazione che colloca il nostro Paese negli ultimi posti delle classifiche UE. Il Rapporto termina con delle osservazioni di sintesi e delle indicazioni di prospettiva di cui si riportano le più rilevanti. Anzitutto, si fa notare che i gruppi sociali, emersi dalla disamina iniziale, presentano una natura strutturale e tendono a conservarsi sostanzialmente immutati nel tempo: queste loro caratteristiche spiegano come mai la nostra società non possa definirsi liquida, ma al contrario si rivela molecolare e circolare. Tali caratteristiche sono alla base di uno dei nodi proble-matici che sperimenta il nostro Paese e che consiste nella difficoltà del sistema sociale di raggiungere con i meccanismi redistributivi i settori più emarginati della popolazione come per esempio le famiglie a basso reddito con uno straniero, mentre le imposte e i contributi ricadono soprattutto sulle fasce più svantaggiate. Per affrontare questa sfida, il Rapporto richiama l’attenzione delle pubbliche autorità soprattutto su tre tipi di intervento: sarà necessario potenziare l’innovazione tecnologica, economica e sociale e modernizzare le istituzioni; si tratta anche di investire in misura adeguata nell’istruzione e nella formazione del capitale umano in quanto è una strategia di primaria importanza per realizzare la promozione sociale; altro campo di azione sono le politiche attive del lavoro perché è soprattutto nel mondo del lavoro che si riscontrano gli ostacoli maggiori allo sviluppo, in particolare per i più giovani. 4.1.2. La riforma della “Buona Scuola” e i decreti attuativi Il tema è molto ampio e sotto vari aspetti fuoriesce dagli obiettivi del presente studio. Per-tanto focalizzeremo l’attenzione sulle tematiche che interessano l’IeFP; tuttavia, all’inizio si pre-senterà brevemente la situazione della istruzione e della formazione nella quale si inseriscono i provvedimenti sotto esame. 4.1.2.1. Il sistema educativo di istruzione e di formazione: andamenti quantitativi La prima considerazione da fare riguarda i livelli di scolarizzazione degli italiani che conti-nuano ad aumentare; sul piano meno positivo va evidenziato che l’andamento in crescita si caratte-rizza per dei ritmi ancora lenti e soprattutto che il 50,9% della popolazione di 15 anni e oltre – e non si tratta solo di persone in età più avanzata – è senza titolo o ha ottenuto al massimo quello di licenza media; complessivamente la percentuale appena citata è diminuita tra il 2015 e il 2016 dello 0,4% (Censis, 2017; Istituto Giuseppe Toniolo, 2017; Malizia, 2018). Sul lato favorevole i diplomati e i qualificati della secondaria di 2° grado e della IeFP si collocano al 35,7%, guadagnando lo 0,1%, e i laureati al 13,3% con un aumento dello 0,2%. Se si fa riferimento a questi ultimi, la loro quota sale al 24,8% nella coorte 15-29 anni e tra le donne si raggiunge il 30,8% ‒ sempre nel medesimo gruppo di età. Su questa stessa linea la ripartizione degli occupati per livello d’istruzione evidenzia una modesta crescita – l’unica importante da segnalare – dei lavoratori in possesso di una laurea dal 21% al 21,3% tra il 2015 e il 2016 e che, comunque, dipende unicamente dalle donne con il loro 27,2%. Malgrado questo andamento, tuttavia le laureate sono sovrarappresentate nelle occupazioni intermedie e impiegatizie, mentre sono sottorappresentate tra quelle dirigenziali: in proposito il dato positivo è che la loro porzione tra queste ultime risulta in aumento nel tempo, anche se di poco. Prosegue il trend della riduzione degli iscritti al sistema educativo di istruzione e di forma-zione che tra il 2015-16 e il 2016-17 registra globalmente un calo dell’1%; esso, però, è inferiore nelle scuole statali dove si ferma allo 0,6% per effetto principalmente dell’aumento degli studenti della secondaria di 2° grado. La diminuzione più cospicua si riscontra nella scuola dell’infanzia e la relativa percentuale è del 4%: tale andamento va attribuito alla riduzione della natalità che in questi ultimi anni sta caratterizzando le dinamiche demografiche dell’Italia come pure al decremento del tasso di scolarizzazione nell’educazione prescolastica dal 99,9% del 2012-13 al 96,5% del 2016-17. Inoltre, a questo livello del sistema di istruzione e di formazione si registra anche un abbassamento dell’1% nel numero degli iscritti con cittadinanza non italiana che, però, costituisce una eccezione rispetto agli altri ordini e gradi di scuola i quali evidenziano ciascuno una crescita, per cui global-mente gli studenti stranieri guadagnano l’1,4% tra il 2015-16 e il 2016-17. Da ultimo, va segnalato che gli iscritti al primo anno della secondaria di 2° grado registrano nel complesso una sostanziale stabilità in quanto il loro calo si ferma allo 0,6%; anche nel 2016-17 quest’ultimo colpisce gli istituti tecnici (-0,8%) e in particolare quelli professionali (-6,5%), mentre il liceo classico segnala un in-cremento dell’1,8% per cui prosegue il processo di licealizzazione con il liceo classico, scientifico e delle scienze umane al 45,8% dei neoiscritti (a cui bisogna unire il 4,2% dell’istruzione artistica) rispetto al 32,1% degli istituti tecnici e al 17,9% dei professionali. Ben diverso rispetto a questi ultimi è il trend della IeFP (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche-Inapp, 2017; Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Direzione Generale per le Politiche Attive, i Servizi per il Lavoro e la Formazione, febbraio 2016; Malizia et al., 2016; Crispolti - D’Arcangelo, 2010). È bene ricordare che la IeFP è nata in via sperimentale nel 2003 ed è stata riconosciuta come ordinamentale solo nel 2011. In pratica si è partiti quasi da zero e nel 2015-16 si è raggiunta nel complesso dei quattro anni la cifra di 322.322 allievi in una crescita continua che solo nell’ultimo anno ha registrato una diminuzione del 2,1% che, però, si è concentrata tutta nella tipologia della sussidiarietà integrativa (realizzata presso gli istituti professionali di Stato quinquennali) mentre i CFP accreditati (o istituzioni formative = IF) guadagnano in percentuale. Le ragioni del grande successo della IeFP tra le famiglie e i giovani, vanno ricercate anzitutto nella passione educativa e nelle metodologie formative partecipative, dei formatori. Un altro motivo può essere visto nell’efficacia della IeFP nella lotta all’abbandono scolastico; in aggiunta va anche richiamata la rilevante capacità inclusiva della IeFP nei confronti degli allievi stranieri e dei disabili, di molto superiore a quella del sottosistema dell’istruzione secondaria Pure gli esiti occupazionali della IeFP sono lusinghieri. Nel 2015-16 prosegue anche il ridimensionamento del livello universitario che vede un calo dei corsi, dei docenti di ruolo e non e degli iscritti; al tempo stesso, però, continuano ad emergere segnali in senso opposto quali la crescita delle immatricolazioni e soprattutto dei laureati che rag-giungono il numero più elevato degli ultimi tre anni, come anche quella della produttività universi-taria (Censis, 2017; Istituto Giuseppe Toniolo, 2017; Malizia, 2018). Significativo è pure l’aumento degli studenti stranieri e degli iscritti alle università telematiche e a quelle non statali. Nel 2016 riprende a salire la frequenza a iniziative di apprendimento permanente degli adulti del gruppo di età 25-64 che si colloca all’8,3%, al di sopra cioè della percentuale più elevata degli ultimi anni. Si confermano gli andamenti recenti che evidenziano dati più positivi tra le donne, i re-sidenti al Centro-Nord e gli occupati, mentre coloro che non hanno lavoro sono meno coinvolti, sebbene ne abbiano maggiore bisogno. Tra i Neet, i giovani di 15-29 anni che non studiano né lavorano, si rafforza il trend alla ri-duzione che registra ancora un calo tra il 2015 e il 2016 in quanto si scende dal 25,7% al 24,3%. Il decremento si registra in tutte le Regioni tranne che nel Piemonte e nel Molise. Sul lato negativo va segnalato che 5 Regioni del Sud si collocano oltre il 30% e che l’Italia continua ad occupare il primo posto nella UE con una quota superiore al 20% rispetto alla media, 14,2%. Proseguendo il paragone a livello internazionale, la situazione si colloca sul negativo anche riguardo al possesso di un diploma di secondaria di 2° grado. Infatti, in Italia la relativa quota sul gruppo di età 25-64 raggiungeva nel 2015-16 appena il 60,1% rispetto alla media Ocse del 77,6%: peggio di noi fanno solo la Spagna, il Portogallo e la Turchia. Sul lato positivo va, però, notato che, se si guarda ai gruppi età più giovani, i divari evidenziano un trend a diminuire. Tra il 2015 e il 2016 gli investimenti in istruzione del nostro Paese sono rimasti stabili sia in percentuale del Pil (3,5%) che come quota della spesa complessiva delle pubbliche amministrazioni per consumi finali (18,5%). Il paragone con l’UE a 28 Stati è possibile solo per il 2015 e vede l’Italia al di sotto delle medie (3,8% e 18,6%), anche se di poco riguardo al secondo valore. Un aumento si registra invece riguardo alla spesa in ricerca scientifica e sviluppo (R&S) che tra il 2011 e il 2015 è cresciuta dall’1,21% del Pil all’1,33%. Nonostante questo andamento positivo, l’Italia si colloca lontano dalla media dell’UE a 28 (2,02%) e soprattutto dai dati di Paesi comparabili come Germania (2,87%) e Francia (2,23%). Dopo aver trattato degli andamenti quantitativi del sistema educativo di istruzione e di for-mazione, passiamo a quelli qualitativi che, però, saranno concentrati sulla IeFP come è stato preci-sato sopra. Le sezioni sono due, una sulla “Buona Scuola” e l’altra sul decreto legislativo n. 61/2016 che regolamenta la revisione dei percorsi dell’istruzione professionale. 4.1.2.2. La riforma della “Buona Scuola” e la IeFP Il testo originario non conteneva riferimenti alla IeFP. Tuttavia, nell’approvazione definitiva si è riusciti in parte ad ovviare a questa grave carenza e la legge n. 107/2015 ha accolto i contenuti di 3 dei 4 emendamenti di Forma che erano stato introdotti in prima lettura proprio alla Camera e poi mantenuti al Senato (Malizia et alii, 2015; Malizia - Nanni, 2015; Forma, 2015; Fidae 2015; Cisl Scuola, 18.07.2015; Diesse, 09.07.217; Flc Cgil, 14.07.2015; Guida alla nuova scuola, 10.07.2015; Tuttoscuola, agosto 2015; Falanga - Pruneri - Rivoltella - Santerini, 2014). Anzitutto, si è ottenuta la soppressione di un comma secondo il quale tutte le scuole secon-darie di 2° grado (inclusi i licei) potevano permettere ai loro studenti di conseguire in apprendistato qualifiche e diplomi professionali. Infatti, la norma non teneva conto che esse hanno un ordinamento del tutto diverso da quello dei percorsi di IeFP per obiettivi, struttura, durata, impianto pedagogico e risultati di apprendimento, e quindi non erano idonee per ottenere i titoli appena menzionati; inoltre, secondo il Titolo V della Costituzione le materie relative all’apprendistato e ai percorsi di IeFP sono di esclusiva competenza delle regioni. Nell'attuale comma 44 sono stati sostanzialmente accolti altri due emendamenti che riguar-dano le tematiche più rilevanti per l’IeFP e in particolare il riconoscimento della parità con il sotto-sistema della istruzione secondaria di 2° grado: «Nell'ambito del sistema nazionale di istruzione e formazione e nel rispetto delle competenze delle regioni, al potenziamento e alla valorizzazione delle conoscenze e delle competenze degli studenti del secondo ciclo nonché alla trasparenza e alla qualità dei relativi servizi possono concorrere anche le istituzioni formative accreditate dalle regioni per la realizzazione di percorsi di istruzione e formazione professionale, finalizzati all'assolvimento del diritto-dovere all'istruzione e alla formazione. L'offerta formativa dei percorsi di cui al presente comma è definita, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Al fine di garantire agli allievi iscritti ai percorsi di cui al presente comma pari opportunità rispetto agli studenti delle scuole statali di istruzione secondaria di secondo grado, si tiene conto, nel rispetto delle competenze delle regioni, delle disposizioni di cui alla presente legge. All'attuazione del presente comma si provvede nell'ambito delle risorse finanziarie disponibili a le-gislazione vigente e della dotazione organica dell'autonomia e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica». Non è stato invece recepito il quarto emendamento ed è stata una grave carenza. Secondo la proposta di Forma si sarebbe dovuto cogliere l’opportunità della legge su “La Buona Scuola” per innovare complessivamente l'attuale modello di organizzazione dell'istruzione tecnico professionale, in corrispondenza con i settori che contraddistinguono il mondo produttivo del XXI secolo (la tecnologia, l'economia e la finanza, i servizi alla persona e al territorio), abolendo l'anacronistica di-stinzione tra i percorsi scolastici di istruzione tecnica e professionale e le sovrapposizioni con quelli di IeFP. Tuttavia, di questo non si trova traccia nella riforma. 4.1.2.3. La revisione dei percorsi dell’istruzione professionale e il raccordo con l’IeFP Il riordino in questione trova la sua ragion d’essere nell’esigenza di garantire una identità precisa al settore dell’istruzione professionale attraverso una differente strutturazione delle offerte formative, una loro articolazione più soddisfacente e il riconoscimento di un’autonomia che non sia solo formale, ma anche reale (Decreto Legislativo 13 aprile 2017, n. 61; Relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo recante revisione dei percorsi dell’istruzione professionale…, febbraio 2017; Malizia et al., 2017a; Miur, aprile 2017; Rete Imprese Italia, marzo, 2017; Commento della CISL Scuola, maggio 2017; Decreti attuativi della legge 107/15. Non fidarsi è meglio, maggio 2017). Di conseguenza, le finalità più rilevanti del relativo provvedimento possono essere indivi-duate nelle seguenti: ovviare alle sovrapposizioni dell’istruzione professionale con l’istruzione tec-nica e i percorsi della IeFP; contemplare la possibilità per gli istituti professionali di allargare l’offerta formativa anche attraverso la realizzazione dei percorsi della IeFP, purché congruente con la programmazione regionale; potenziare gli indirizzi di studio quinquennali dell’istruzione profes-sionale e delle figure nazionali di riferimento per le qualifiche e i diplomi di IeFP in rapporto ad at-tività economiche in crescita o nuove; garantire la presenza sull’intero territorio nazionale di un si-stema di istruzione professionale e di IeFP che si estenda fino al livello terziario attraverso la realiz-zazione di una rete nazionale. Entro questo ampio quadro di finalità il decreto legislativo concentra l’attenzione su due obiettivi. Nel riordino dell’offerta dell’istruzione professionale si dovrà puntare alla revisione degli indirizzi e al rafforzamento delle attività didattiche laboratoriali in maniera coerente con i percorsi della IeFP. In secondo luogo, bisognerà preparare gli studenti ad arti, mestieri e professioni deter-minanti per lo sviluppo del sistema produttivo in vista di un saper fare di qualità, definito sintetica-mente come “made in Italy” e al tempo stesso assicurare che le competenze apprese facilitino il pas-saggio al mondo del lavoro. Per raggiungere le finalità e gli obiettivi appena menzionati, il testo in esame prevede nuovi indirizzi di studio che, di conseguenza, aumentano da 6 a 11: essi riguardano attività economiche di rilevanza nazionale, referenziate ai codici statistici ATECO (ATtività ECOnomiche) quelli, cioè, che vengono utilizzati dall’Istat per le sue indagini. Ogni istituto potrà adattarli alle necessità del contesto, tenendo conto in ogni caso delle priorità stabilite dalle Regioni. Pur confermando la strut-tura quinquennale dell’offerta, il decreto legislativo ne regolamenta una nuova articolazione, sia ri-guardo alla gestione complessiva degli orari che a quella di gruppi classe, modificando in misura notevole l’assetto organizzativo attuale che, al contrario, riproduce in gran parte il percorso ordinario della secondaria di 2° grado. Da un lato, si assume il modello dell’istruzione degli adulti, con-traddistinto da una notevole flessibilità gestionale, adeguandolo alle caratteristiche proprie dell’istruzione professionale; dall’altra, si abbandona la distribuzione dei “due bienni più uno” e si cambia adottando il biennio e il triennio unico per cui nel biennio si adempirà l’obbligo di istruzione, mentre al triennio specialistico viene riservata una impostazione più professionalizzante. Venendo ai particolari, il biennio può contare su complessive 2.112 ore, distribuite tra 1.188 di attività e insegnamenti di istruzione generale aggregati in assi culturali – di cui si parlerà più am-piamente dopo – e 924 di attività e di insegnamenti di indirizzo che includeranno il tempo da dedi-care al rafforzamento dei laboratori; all’interno del totale delle ore, una porzione che, però, deve ri-manere entro le 264 ore, è dedicata alla personalizzazione degli apprendimenti e alla realizzazione del Progetto Formativo Individuale. Inoltre, a ogni anno del triennio sono destinate 1.056 ore, ripar-tite tra 462 di attività e di insegnamenti di istruzione generale e 594 di attività e di insegnamenti di indirizzo, nel quadro di una forte caratterizzazione laboratoriale e lavorativa. Da ultimo, agli istituti professionali è permesso di organizzare in via sussidiaria percorsi di IeFP ai fini del conseguimento della qualifica e del diploma professionale purché vengano osservati i parametri stabiliti da ogni Regione. Novità sono state introdotte anche riguardo all’assetto didattico. Ricordiamo in particolare: la personalizzazione del percorso di apprendimento; la definizione di un Progetto Formativo Indivi-duale, per cui il dirigente scolastico, sentito il parere del consiglio di classe, identificherà l’insegnante che svolgerà il ruolo di tutor per sostenere gli studenti nella realizzazione del proprio Progetto; il ricorso a metodologie induttive; l’analisi e la soluzione dei problemi attraverso laboratori e in situazioni operative; il lavoro cooperativo per progetti; la gestione dei processi in contesti or-ganizzati. Di particolare rilevanza è anche l’opportunità stabilita dal decreto di avviare l’alternanza scuola-lavoro e l’apprendistato a partire dal secondo anno del biennio. Inoltre, come è stato accen-nato sopra, sempre nel biennio sono previsti gli assi culturali e cioè l’asse dei linguaggi, matematico, storico-sociale e scienze motorie: in pratica essi consistono in aggregazioni di insegnamenti tra loro omogenei che dovrebbero facilitare l’apprendimento delle competenze chiave di cittadinanza che sono incluse nell’obbligo scolastico. Ai fini della piena realizzazione delle finalità formative dell’istruzione professionale, ciascun istituto dispone di vari strumenti per l’attuazione dell’autonomia. Anzitutto, le scuole possono fare ricorso, entro l’organico dell’autonomia, alla quota del 20%, cosiddetta “dell’autonomia”, tanto nel biennio che nel triennio per perseguire gli obiettivi di apprendimento relativi ai profili in uscita di ciascun indirizzo e per rafforzare gli insegnamenti obbligatori con speciale riferimento alle attività laboratoriali; inoltre, nel triennio è loro consentito di utilizzare gli spazi di flessibilità, intesa come possibilità di articolare gli indirizzi del triennio in profili formativi, con riguardo al 40% dell’orario complessivo fissato per il terzo, il quarto e il quinto anno. Altri strumenti sono: stipulare contratti d’opera con persone del mondo del lavoro e delle professioni; avviare partenariati territoriali; istituire dipartimenti come articolazioni funzionali del collegio dei docenti; creare un comitato tecnico-scientifico; utilizzare gli spazi dell’autonomia per realizzare collegamenti con il sistema della IeFP. Il decreto stabilisce per la prima volta che gli istituti professionali e i CFP accreditati con-vergano all’interno di una Rete nazionale delle scuole professionali, collegandosi tra di loro in forma stabile e organizzata. La finalità è di promuovere l’innovazione e di rafforzare il raccordo con il sistema produttivo. In aggiunta, è prevista la creazione della “Rete nazionale dei servizi per le poli-tiche del lavoro” che è destinata a riunire le medesime istituzioni, menzionate sopra, con lo scopo di potenziare gli interventi di supporto alla transizione verso un’occupazione. Dalla nuova normativa sono disciplinati pure i passaggi tra l’istruzione professionale e la IeFP. La finalità è quella di consentire agli studenti di seguire un percorso personale di apprendi-mento, di orientamento graduale e di sviluppo, congruente con le proprie capacità, attitudini e inte-ressi. Più precisamente, si è inteso assicurare a quanti dispongono di una qualifica triennale il pas-saggio al quarto anno della istruzione professionale o della IeFP, sia presso le istituzioni scolastiche che quelle formative accreditate, in modo da ottenere un diploma professionale di tecnico. Infine, viene creato un sistema di monitoraggio dell’offerta dell’istruzione professionale per valutarne la validità e aggiornare i percorsi almeno ogni cinque anni. Tale finalità viene perseguita mediante l’istituzione di un tavolo, coordinato dal Miur, con la partecipazione degli Enti locali, delle Parti sociali e degli altri Ministeri interessati, facendo ricorso anche all’assistenza di diversi orga-nismi di natura tecnica. Venendo poi a una valutazione complessiva del decreto delegato, si può in primo luogo af-fermare che la normativa in esso contenuta risulta congruente con la nostra Costituzione e in specie con la ripartizione delle competenze tra lo Stato e le Regioni (Salerno, febbraio, 2017;Malizia et al., 2017a;Testi delle audizioni, marzo 2017; Forma, 31.01.2017 e 31.03.2017; Malizia - Nanni, 2017). In aggiunta, all’interno del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione è attribuito agli studenti un diritto soggettivo di scelta, al termine della secondaria di I grado, tra l’offerta dei diplomi quin-quennali dell’istruzione professionale e quella triennale e quadriennale della IeFP. La revisione ha notevolmente approssimato l’istruzione professionale alla IeFP rispetto all’assetto organizzativo, didattico e curricolare, introducendo nella prima gli assi culturali, le unità di apprendimento per co-noscenze, abilità e competenze, le metodologie didattiche e laboratoriali, la certificazione delle competenze, l’articolazione dei profili in uscita in termini di competenze, abilità e conoscenze, il rafforzamento dell’alternanza e dell’apprendistato: la nuova impostazione segna sicuramento un miglioramento a paragone con il modello precedente caratterizzato dalla priorità attribuita alle di-scipline, al trasferimento delle conoscenze e allo studio rispetto alle esperienze lavorative, determi-nando un parallelismo tra i due sottosistemi e permettendo all’istruzione professionale di situarsi accanto alla IeFP in una posizione di eguale dignità. Certamente positiva è la creazione della Rete nazionale delle scuole professionali che, istituita sulla base di un accordo tra Stato e Regioni, do-vrebbe assicurare l’aggiornamento dei percorsi, la definizione di un fondamento comune di riferi-mento dei profili, il conseguente riconoscimento delle figure professionali della IeFP su tutto il ter-ritorio nazionale e il confronto sistematico tra le parti interessate. È invece negativo che nel passaggio dallo schema di decreto al testo definitivo non si trovino più né il principio secondo il quale l’offerta formativa dell’istruzione professionale e quella della IeFP dovevano essere unitarie, articolate e integrate e, quindi, complementari e non concorrenziali o sostitutive, né la previsione nell’istruzione professionale di un apposito terzo anno in classi distinte per ottenere le qualifiche della IeFP: sono cambiamenti che potrebbero essere interpretati nel senso che, nonostante la revisione della normativa operata dal decreto delegato, resta la sussidiarietà inte-grativa e, quindi, sostitutiva dell’istruzione professionale nei confronti della IeFP. In aggiunta, non sono state accolte le proposte di Forma di ripristinare le classi distinte, di introdurre i livelli essenziali delle prestazioni dei percorsi di IeFP in modo che essi risultino disponibili su tutto il territorio nazionale, di procedere a una ridefinizione degli standard formativi e del repertorio dei percorsi del-la IeFP. In ogni caso, anche se si fossero risolte le problematiche appena ricordate, non si sarebbe superato il nodo fondamentale, menzionato nella sezione precedente, quello cioè di rimuovere alla radice l'anacronistica distinzione tra i percorsi scolastici di istruzione tecnica e professionale e le sovrapposizioni con quelli di IeFP; in altre parole e più radicalmente – a nostro giudizio – si sarebbe dovuto ripristinare la proposta della riforma Moratti che articolava il secondo ciclo unicamente in due canali, i licei e la IeFP. 4.1.3. La riforma del mercato del lavoro e il potenziamento della formazione professionale Oltre alla riforma della scuola, durante la XVII legislatura è stato affrontato anche la riforma del “mercato del lavoro” caratterizzato, in questo periodo, soprattutto da profonde divisioni interne tra garantiti, precari ed esclusi (Ichino, 2011; Ichino, 2015; Nicoli, 2015) e da profonde modifiche nelle mappe geografiche del lavoro a livello globale (Bentivogli – Castelvecchi 2016, Passerini 2017, De Biase 2018, Assolombarda, 2018). Dovendo restringere la vasta problematica, in questa sede ci concentriamo solo su tre aspetti. Innanzitutto presentiamo le linee essenziali della riforma del lavoro denominata Jobs Act; in secondo luogo illustriamo la sperimentazione del sistema duale, una proposta avanzata dal MLPS (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali) nel 2015; da ultimo affrontiamo la tematica emergente del rapporto tra formazione professionale e politiche passive/attive del lavoro. 4.1.3.1. La riforma del mercato del lavoro: il Jobs Act Il provvedimento più noto della XVII legislatura in materia di lavoro è certamente quello denominato Jobs Act. Appare utile richiamare alcuni aspetti della riforma, soprattutto quelli che hanno avuto dei riflessi sul sistema della formazione professionale . Il Jobs Act è, secondo vari esperti, una riforma strutturale, i cui effetti si possono vedere solo dopo alcuni anni. Tre sono, a loro giudizio, le parole che caratterizzano la riforma: flexicurity, em-ployability, europeizzazione. In estrema sintesi, la riforma punta ad aumentare la flessibilità alle im-prese affinché queste possano avvantaggiarsi di ogni opportunità per svilupparsi, combinandola, pe-rò, con la sicurezza, le tutele e i diritti per i lavoratori. Il Jobs Act interviene, innanzitutto, sul con-tratto di lavoro a tempo indeterminato rimuovendone le rigidità e incentivando le assunzioni. Avvia, in secondo luogo, la riforma dei servizi al lavoro e delle politiche attive con la finalità di spostare l’asse della spesa pubblica dalle politiche passive a quelle di attivazione delle persone disoccupate. Rimodula, infine, i vari istituti contrattuali alla luce della flessibilità, razionalizzandone la quantità ed eliminando quelli più precarizzanti (De Cesari – Pizzi – Prioschi, 2015; Studio Tirifò & Partners, 2015). Delle riforme della scuola e del lavoro si sono formulati giudizi positivi e critici. Dal nostro punto di vista possiamo riportare le posizioni nella scheda formulata da Guglielmo Malizia in uno degli Editoriali di Rassegna CNOS il quale, dopo aver illustrato il nuovo modello di stato sociale che si sta affermando in Europa, ispirato ai paradigmi dell’investimento sociale e del welfare attivo, conclude: «Se si tenta un confronto tra il paradigma dell’investimento sociale presentato sopra e le politiche del Governo Renzi riguardo al lavoro e al sistema di istruzione e di formazione (Jobs Act e Buona Scuola), si possono mettere in risalto aspetti in cui si nota una concordanza e punti in cui si registrano diversità. Tra i primi va segnalato il potenziamento del segmento 0-6 anni, il rafforzamento delle competenze trasversali e generali, il miglioramento dell’alternanza scuola-mondo del lavoro, il consolidamento dell’autonomia, l’introduzione della flexicurity e l’attenzione accresciuta alla riconciliazione tra la vita familiare e il mondo del lavoro. Tra i secondi, suscita ancora qualche interrogativo una certa deriva di scuola-centricità e stato-centricità; un altro limite può essere visto nel modesto sviluppo in Italia delle strategie del life-long learning; in aggiunta, si nota una eccessiva fiducia nelle politiche attive del lavoro e nell’offerta di lavoro; mentre si tende a trascurare le misure di protezione sociale passiva e la necessità di sostenere la domanda di lavoro da parte delle imprese; da ultimo va evidenziata la debole attenzione alla Formazione Professionale» (Malizia et al., 2015, 25-32). 4.1.3.2. La sperimentazione del sistema duale promossa dal MLPS Le riforme del mercato del lavoro e della scuola hanno introdotto anche in Italia il sistema duale, un modello formativo integrato tra scuola e lavoro mutuato dalla Germania e già applicato con successo in molti Paesi del Nord Europa. Nel sistema della formazione professionale italiano, mentre fino ad ora il rapporto con l’azienda era legato soprattutto a stage o tirocini, con questa riforma il rapporto formativo con l’impresa diviene più consistente e continuativo. Sotto questo aspetto le due riforme richiamate so-pra, il Jobs Act e la “Buona Scuola”, hanno introdotto in tutto il sistema educativo di istruzione e formazione una modalità strutturale di raccordo tra mondo formativo e mondo produttivo. Gli stru-menti più riformati sono stati l’apprendistato e l’alternanza scuola-lavoro. Va precisato, comunque, che il sistema duale non rimanda solo ad uno o alcuni interventi specifici, ma ad un approccio ge-nerale verso le politiche di transizione tra scuola e lavoro, che mira a consentire ai giovani, ancora inseriti nel percorso del diritto/dovere all’istruzione e formazione, di orientarsi nel mercato del lavo-ro, acquisire competenze spendibili e accorciare i tempi del passaggio dalla formazione all’inserimento lavorativo. Nel dettaglio, soprattutto tre sono gli strumenti introdotti dalle riforme: - l’alternanza scuola-lavoro nell’ambito del secondo ciclo di istruzione, resa obbligatoria in ogni tipo di indirizzo; - l’impresa formativa simulata che consente di sperimentare modalità didattiche strettamente legate al funzionamento aziendale e implica il rapporto con un’impresa partner; - l’apprendistato che diventa, in questo quadro, la forma privilegiata di inserimento dei giovani nel mercato del lavoro poiché consente, da un lato, il conseguimento di un titolo di studio e, dall’altro, l’esperienza professionale diretta. Per incoraggiare il ricorso a tali strumenti contrattuali, le due riforme hanno introdotto van-taggi consistenti anche per le imprese. Con il messaggio / slogan “Imparare lavorando. In Italia si può”, il MLPS, nel 2015, ha lanciato la proposta di una sperimentazione nel sistema della IeFP. Ha dato gambe a questa speri-mentazione l’Accordo Stato-Regioni del 24 settembre 2015. In estrema sintesi, la proposta prevede da una parte lo sviluppo e il rafforzamento dei sistemi di placement dei CFP e dall’altra il sostegno dei percorsi di IeFP pensati e realizzati nella modalità duale. La proposta ministeriale, nella sua globalità, ha previsto anche uno specifico piano di comu-nicazione, come la realizzazione di un evento di lancio della sperimentazione, l’elaborazione di un vademecum per le imprese sull’apprendistato di primo livello da veicolare mediante mezzi di stampa nazionale, l’organizzazione di un Roadshow sull’intero territorio nazionale, in collaborazione con Unioncamere, una campagna pubblicitaria con un sito dedicato , materiali cartacei, video, ecc.). Rapporti dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Attive-INAPP (ex Isfol) hanno documentato la potenzialità della proposta in termini sia quantitativi (oltre 20 mila allievi in un solo anno di sperimentazione, coinvolgimento della maggior parte delle Regioni, crescita quantitativa del ricorso all’istituto dell’apprendistato di 1° livello) che qualitativi (l’avvio di un rapporto strutturato ed organico con il mondo del lavoro, il potenziamento della dimensione formativa dell’impresa). L’aspetto più critico della sperimentazione, invece, è, a giudizio di molti, la persistenza della disomogeneità del sistema di Istruzione e Formazione Professionale. In altre parole, nelle Regioni dove il sistema di IeFP non c’è o + debole, anche la sperimentazione del sistema duale ha stentato a decollare. 4.1.3.3. Rapporto fra sistema della formazione professionale e politiche attive del lavoro È soprattutto la riforma dei servizi al lavoro e delle politiche attive a far emergere una que-stione nuova ma anche strutturale per l’Italia, quella del rapporto stretto fra politiche della forma-zione e politiche attive. All’origine di questo rapporto, oltre a quanto legiferato in Italia (D. Lgs. n. 150/2015, Di-sposizioni per il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive), c’è la politica dell’Unione Europea. Le politiche comunitarie, infatti, nell’attuale programmazione 2014-20, hanno affiancato al tradizionale obiettivo della occupabilità delle persone – politica che negli anni ha sostenuto una offerta formativa finalizzata allo sviluppo delle competenze professionali – il nuovo obiettivo dell’occupazione, finalizzato all’inserimento e al reinserimento occupazionale, attraverso misure di politica attiva del lavoro. Di qui la spinta a mettere in sinergia politiche formative e politiche attive del lavoro. In tale contesto, il programma europeo Garanzia Giovani, attuato anche in Italia attraverso un programma nazionale gestito dal Ministero del Lavoro in stretto raccordo con le Regioni che hanno svolto il ruolo di Organismi Intermedi, ha rappresentato un ter-reno preparatorio che, forte di linee di finanziamento significative, ha reso necessario per le istitu-zioni centrali e regionali la definizione degli elementi base di un sistema di politiche attive. Tra questi, la declinazione dei servizi e le misure da erogare ai beneficiari, la dorsale del flusso dei dati amministrativi e di monitoraggio dell’avanzamento del programma, la costituzione di una rete di soggetti accreditati ai servizi al lavoro, il rapporto tra i servizi pubblici del lavoro ed i servizi privati accreditati. L’esito del referendum costituzionale, svolto nel mese di dicembre 2016, ha influenzato la strutturazione delle politiche attive del lavoro e, di riflesso, quelle della formazione professionale. Il testo di riforma costituzionale, bocciato dal responso delle urne, prevedeva un trasferimento allo Stato delle competenze in materia di politiche attive del lavoro. Il D.lgs. n. 150/2015, anticipando la prevista ricentralizzazione, aveva definito un sistema in larga parte centralizzato, dando un ruolo centrale nella governance al Ministero del Lavoro e ad Anpal, la nuova Agenzia nazionale dedicata alle politiche attive, con uno stretto coordinamento dell’azione regionale. Dopo l’esito del referen-dum costituzionale si è quindi venuta a creare una situazione per cui da un lato le competenze sulle politiche attive sono rimaste alle Regioni, mentre il quadro della normativa nazionale riconosceva un ruolo centrale allo Stato. Ciò ha avuto l’effetto di indebolire la possibilità per il livello statale di coordinare l’azione regionale e ha determinato la necessità di trovare puntuali Accordi tra Regioni e Stato sui diversi e numerosi decreti attuativi del sistema delle politiche attive italiane. Solo a dicem-bre 2017 è stata raggiunta un’Intesa istituzionale tra Stato e Regioni che intende costituire un ele-mento di raccordo tra tutti i fondi che a diverso titolo insistono sulle politiche attive, allo scopo di razionalizzare la strategia complessiva ed individuare gli interventi sui singoli target. Anche le risorse comunitarie per il sostegno delle politiche del lavoro sono destinate, in parte al livello regionale che definisce gli interventi da finanziare e l’ammontare delle risorse da destinare a ciascun obiettivo attraverso i Programmi Operativi Regionali (POR) ed in parte al livello ministeriale con i Programmi Operativi Nazionali (PON). Ciò determina azioni autonome dello Stato e delle Regioni nell’attivazione di misure, che in diversi casi si sovrappongono e sono in concorrenza. Una ricerca recentissima, realizzata dal CNOS-FAP in collaborazione con Noviter, ha fatto emergere, tra l’altro, spunti interessanti e utili per ogni decisore politico, quali la prevalenza delle risorse destinate alle politiche attive del lavoro rispetto a quelle della formazione, la scelta politica per la c.d. formazione professionale “ordinamentale” rispetto a quella non ordinamentale, l’estrema parcellizzazione delle politiche attive del lavoro. «È ipotizzabile, concludono i curatori del Rapporto, che le iniziative di politica attiva del la-voro si struttureranno in un quadro più organico nel prossimo futuro, a partire da alcuni punti di riferimento comuni, quali la recente approvazione dei Livelli Essenziali delle Pre-stazioni da garantire ai cittadini, l’avvio a regime dell’Assegno di ricollocazione ed il con-seguente previsto raccordo tra le policy nazionali e regionali» (Cnos-Fap – Noviter, 2018, p. 9). Il 23 marzo 2018 è iniziata la XVIII legislatura della Repubblica Italiana. Il primo Governo, il Governo Conte, è in carica a partire dal 1º giugno 2018. Si tratta di un governo di coalizione nato da un accordo tra Movimento 5 Stelle e Lega dopo le elezioni politiche italiane del 2018; l'accordo è stato trovato sulla base di un programma comune denominato "Contratto per il governo del cam-biamento" (maggio 2018). Di questo contratto riportiamo quanto scritto in materia di scuola e lavo-ro, per cercarne le principali linee di tendenza nelle materie che ci riguardano: 22. SCUOLA La scuola italiana ha vissuto in questi anni momenti di grave difficoltà. Dopo le politiche dei tagli lineari e del risparmio, l’istruzione deve tornare al centro del nostro sistema Paese. La buona qualità dell’insegnamento, fin dai primi anni, rappresenta una condizione indispensa-bile per la corretta formazione dei nostri ragazzi. La nostra scuola dovrà essere in grado di fornire gli strumenti adeguati per affrontare il futuro con fiducia. Per far ciò occorre ripartire innanzitutto dai nostri docenti. In questi anni le riforme che hanno coinvolto il mondo della scuola si sono mostrate insufficienti e spesso inadeguate, come la c.d. “Buona Scuola”, ed è per questo che intendiamo superarle con urgenza per consentire un necessario cambio di rotta, intervenendo sul fenomeno delle cd. “classi pollaio”, dell’edilizia scolastica, delle gra-duatorie e titoli per l’insegnamento. Particolare attenzione dovrà essere posta alla questione dei diplomati magistrali e, in generale, al problema del precariato nella scuola dell’infanzia e nella primaria. Una delle componenti essenziali per il corretto funzionamento del sistema di istruzione è rappresentata dal personale scolastico. L’eccessiva precarizzazione e la continua frustrazione delle aspettative dei nostri insegnanti rappresentano punti fondamentali da affrontare per un reale rilancio della nostra scuola. Sarà necessario assicurare, pertanto, anche attraverso una fase transitoria, una revisione del sistema di reclutamento dei docenti, per garantire da un lato il superamento delle criticità che in questi anni hanno condotto ad un cronico precariato e dall’altro un efficace sistema di formazione. Saranno introdotti nuovi strumenti che tengano conto del legame dei docenti con il loro territorio, affrontando all’origine il problema dei trasferimenti (ormai a livelli record), che non consentono un’adeguata continuità didattica. Un altro dei fallimenti della c.d. “Buona Scuola” è stato determinato dalla possibilità della “chiamata diretta” dei docenti da parte del dirigente scolastico. Intendiamo superare questo strumento tanto inutile quanto dannoso. Una scuola che funzioni realmente ha bisogno di strumenti efficaci che assicurino e garantiscano l’inclusione per tutti gli alunni, con maggiore attenzione a coloro che presentano disabilità più o meno gravi, ai quali va garantito lo stesso insegnante per l’intero ciclo. Una scuola inclusiva è, inoltre, una scuola in grado di limitare la dispersione scolastica che in alcune regioni raggiunge percentuali non più accettabili. A tutti gli studenti deve essere consentito l’accesso agli studi, nel rispetto del principio di uguaglianza di tutti i cittadini. La cultura rappresenta un mondo in continua evoluzione. È necessario che anche i nostri studenti rimangano sempre al passo con le evoluzioni culturali e scientifiche, per una formazione che rappresenti uno strumento essenziale ad affrontare con fiducia il domani. Per consentire tutto ciò garantiremo ai nostri docenti una formazione continua. Intendiamo garantire la presenza all’interno delle nostre scuole di docenti preparati ai processi educativi e formativi specifici, assicurando loro la possibilità di implementare adeguate competenze nella gestione degli alunni con disabilità e difficoltà di apprendimento. La c.d. “Buona Scuola” ha ampliato in maniera considerevole le ore obbligatorie di alternanza scuola-lavoro. Tuttavia, quello che avrebbe dovuto rappresentare un efficace strumento di formazione dello studente si è presto trasformato in un sistema inefficace, con studenti impegnati in attività che nulla hanno a che fare con l’apprendimento. Uno strumento così delicato che non preveda alcun controllo né sulla qualità delle attività svolte né sull’attitudine che queste hanno con il ciclo di studi dello studente, non può che considerarsi dannoso. 14. LAVORO Sul tema del lavoro appare di primaria importanza garantire una retribuzione equa al lavo-ratore in modo da assicurargli una vita e un lavoro dignitosi, in condizioni di libertà, equità, sicurezza e dignità, in attuazione dei principi sanciti dall'articolo 36 della Costituzione. A tal fine si ritiene necessaria l'introduzione di una legge salario minimo orario che, per tutte le categorie di lavoratori e settori produttivi in cui la retribuzione minima non sia fissata dalla contrattazione collettiva, stabilisca che ogni ora del lavoratore non possa essere retribuita al di sotto di una certa cifra. Similmente non potranno essere più gratuiti gli apprendistati per le libere professioni. Al fine di favorire una pronta ripresa dell'occupazione e liberare le imprese dal peso di oneri, spesso inutili e gravosi, occorre porre in essere da un lato una riduzione strutturale del cuneo fiscale e dall'altro una semplificazione, razionalizzazione e riduzione, anche attraverso la digitalizzazione, degli adempimenti burocratici connessi alla gestione amministrativa dei rapporti di lavoro che incidono pesantemente sul costo del lavoro in termini di tempo, efficienza e risorse dedicate. La cancellazione totale dei voucher ha creato non pochi disagi ai tanti settori per i quali questo mezzo di pagamento rappresentava, invece, uno strumento indispensabile. La sua sostituzione con il c.d. «libretto famiglia» e con il «contratto di prestazione occasionale» ha soltanto reso più complesso il ricorso al lavoro accessorio, col rischio di un aumento del lavoro sommerso. Occorre pertanto porre in essere una riforma complessiva della normativa vigente volta ad introdurre un apposito strumento, chiaro e semplice, che non si presti ad abusi, attivabile per via telematica attraverso un'apposita piattaforma digitale, per la gestione dei rapporti di lavoro accessorio. Al fine di tutelare la sicurezza occupazionale e sociale, è importante lo sviluppo e il rafforzamento di politiche attive che facilitino l’occupazione, la ricollocazione ed adeguate misure di sostegno al reddito e di protezione sociale. Ciò potrà essere attuato anzitutto procedendo ad una profonda riforma e ad un potenziamento dei centri per l'impiego. Particolare attenzione sarà rivolta al contrasto della precarietà, causata anche dal “jobs act”, per costruire rapporti di lavoro più stabili e consentire alle famiglie una programmazione più serena del loro futuro. Favorire gli investimenti in imprese giovani, innovative e tecnologiche, significa scommettere sul futuro e valorizzare il merito e la ricerca. A tal fine appare necessaria anzitutto una profonda riorganizzazione della formazione finalizzata all’effettivo impiego e di qualità, che guardi non solo alla realtà odierna ma che investa sui settori del futuro al fine di adeguare il lavoro ai cambiamenti tecnologici e di offerta, attraverso processi di formazione continua dei lavoratori. Si dovrà inoltre favorire, nell'ambito delle scuole secondarie di secondo grado e dell'università, la nascita di nuove figure professionali idonee alle competenze richieste dalla quarta rivoluzione industriale ed in possesso degli opportuni profili, nonché prevedere misure di sostegno alle micro e piccole imprese nel rinnovamento dei loro processi produttivi, quale presupposto per lo sviluppo di una strategia che miri alla più ampia diffusione delle tecnologie avanzate. È necessario inoltre introdurre misure volte a garantire un’adeguata formazione secondaria superiore di tipo tecnico professionale, capace di assicurare ai nostri giovani l’accesso al mondo del lavoro e delle professioni manuali, tecniche e artigianali. La Federazione CNOS-FAP ha elaborato una prima valutazione del programma soprattutto attraverso la Rivista Rassegna CNOS (Malizia et al., 2018; Malizia et al. in corso di pubblicazione). Al di là dei molteplici giudizi già apparsi sulla stampa, un aspetto emerge con chiarezza: la “discontinuità” rispetto al cammino percorso soprattutto in fatto di politiche formative e del lavoro. Non c’è traccia, infatti, del sistema duale che da sperimentale è divenuto ordinamentale con la legge di Bilancio 2018 (Legge 27 dicembre 2017, n. 205), mentre c’è la volontà dichiarata di intervenire sull’Alternanza Scuola – Lavoro, sul Jobs Act e su altri provvedimenti per correggerli. Al momento in cui scriviamo questo documento è prematura ogni valutazione. Di fronte a questo scenario così articolato e complesso come sta agendo/reagendo la Federa-zione CNOS-FAP? 4.2. Il cammino della Federazione CNOS-FAP La grave crisi degli anni 2008-16 non ha fermato lo sviluppo della IeFP del CNOS-FAP; anzi le difficoltà incontrate hanno offerto l’opportunità di un ripensamento e di una revisione che hanno finito per rafforzare la Federazione. E che queste affermazioni non sono solo parole emergerà con chiarezza nella presentazione delle iniziative del quarto periodo della storia del CNOS-FAP. 4.2.1. Gli apporti di tre sperimentazioni A fronte di uno scenario così complesso, ricco di punti di forza ma connotato anche da nu-merose criticità, oltre che dal cambio di legislatura, la Federazione CNOS-FAPè riuscita a scrivere un’altra pagina, giudicata da più parti “positiva” sulla formazione professionale rendendosi prota-gonista soprattutto di tre sperimentazioni i cui risultati possono diventare patrimonio per il cammino futuro: - la sperimentazione del sistema duale; - la sperimentazione di un modello di valutazione per la IeFP; - l’introduzione delle tecnologie mobili nella didattica della IeFP. 4.2.1.1. La via duale: “Imparare lavorando. In Italia si può” La Federazione CNOS-FAP ha promosso e svolto, congiuntamente a CONFAP e FORMA, la sperimentazione del sistema duale. Si tratta di una iniziativa ancora aperta a sviluppi e approfon-dimenti. Al momento della stesura del presente documento ci limitiamo a fare riferimento alle prin-cipali iniziative, soprattutto alla elaborazione di strumenti e monitoraggi (Forma-Confap, 2017; Cnos-Fap, 2017; Nicoli 2018 in corso di stampa). Rispetto ai 148 CFP della rete FORMA, 26 sono i CFP coinvolti dalla Federazione CNOS-FAP, 50 i percorsi svolti nella modalità duale (20 sono di durata triennale e 30 di 4° anno) e 10 le Regioni coinvolte (Abruzzo, Emilia Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Sicilia, Umbria, Veneto, Puglia) anche se le attività formative nella modalità duale si sono svolte soprattutto nelle Regioni del Nord. Dei 737 allievi del CNOS-FAP iscritti ai percorsi nella modalità duale, il 22% risulta essere in apprendistato, il 56% in alternanza rafforzata e il 22% in impresa formativa simulata. Una situazione davvero lusinghiera (si tratta del primo anno) dal momento che «il dato nazionale per gli apprendisti, registrato da INAPP, si attesta al 7%» (Forma, 2017, p. 5). Per una valutazione complessiva, pur legata solo al 1° anno della sperimentazione, è utile ri-portare le prime conclusioni contenute nei vari Report citati: - Un non scontato positivo riscontro L’esperienza del primo anno dei percorsi della sperimentazione, nonostante i timori iniziali e le dif-ficoltà incontrate, ha registrato un non scontato positivo riscontro da parte degli operatori dei CFP, così come delle imprese, degli allievi e delle loro famiglie. - La proposta della stabilizzazione della modalità duale Le difficoltà del primo anno, legate soprattutto alla scarsa conoscenza dello strumento contrattuale, rafforzano il giudizio sulla opportunità di proseguire lungo il sentiero tracciato dalla sperimentazione stabilizzandola, in modo da garantire la continuità dell’intervento e il suo progressivo consoli-damento, anche rispetto alla metodologia formativa condivisa con le imprese. Su questo aspetto si fa presente che con la legge di Bilancio 2018 ‒ Legge, 27/12/2017 n. 205, G.U. 29/12/2017 ‒ la stabilizzazione è stata sancita. Ora si è in attesa di quanto intende compiere il primo Governo della XVIII Legislatura. - Proposte di miglioramento per le Istituzioni, le Associazioni di categoria e gli Enti di FP Per quanto riguarda l’azione istituzionale di Ministero e Regioni, andrebbe opportunamente valoriz-zato il carattere nazionale dell’iniziativa, anche attraverso l’attivazione della cabina di regia prevista dall’Accordo Stato-Regioni, con una maggior convergenza di modelli di intervento e di scelte di ge-stione operative per ridurre le disfunzioni e gli inutili aggravi burocratici. Un chiaro dato che emerge dal monitoraggio, a conferma di quanto affermato anche dall’INAPP, è la frammentazione del sistema IeFP italiano, che si ritrova anche nella sperimentazione del sistema duale. Sarebbe inoltre auspicabile un intervento capillare ed organico da parte delle Associazioni di cate-goria e dei sistemi camerali, per fornire alle imprese massima conoscenza e supporto per le questioni di natura giuslavoristica e amministrativa, sia direttamente, sia indirettamente. Si dovrebbe convergere verso l’obiettivo comune di rafforzare la diffusione del contratto di apprendistato forma-tivo e contrastare il pregiudizio che vuole si tratti di un contratto difficile da gestire. Infine, il lavoro congiunto degli Enti di Formazione Professionale è un evidente valore innanzitutto per i CFP stessi, grazie alla possibilità di condividere e costruire insieme una comune visione e strumenti operativi. Inoltre, il lavoro rappresenta un valore anche per le istituzioni centrali e regionali per una duplice ragione: da un lato è importante l’esperienza e la percezione degli Enti di formazione professionale che realizzano concretamente le policy nazionali e regionali e quindi possono dare riscontri per il miglioramento delle stesse, e dall’altro perché è nei CFP che spesso si raggiunge una capacità di visione concreta dell’evoluzione dei sistemi, dei bisogni degli allievi e delle imprese. In tal senso è emblematico come l’esperienza del sistema duale, nel suo essere al crocevia tra i percorsi IeFP e le politiche del lavoro, abbia rafforzato la capacità dei CFP di aprirsi alle politiche del lavoro ed al rapporto tra servizi di inserimento lavorativo e formazione. Se da un lato i CFP hanno mostrato una significativa intraprendenza nell’attivare collaborazioni con il territorio (aziende, associazioni di categoria, soggetti pubblici, ecc.), seppur con differenze regionali basate sul livello di sviluppo del sistema IeFP di riferimento, dall’altro lato, la sperimentazione ha messo in atto anche un processo di trasformazione interna volta a trovare nuove modalità organizzative e didattiche. Ad esempio dall’indagine emerge come l’introduzione del sistema duale abbia incentivato un ripensamento in termini di raccordo tra formazione e servizi al lavoro. Nello specifico, è stata messa in risalto la necessità di definire e sviluppare un rapporto con l’area dedita alle Politiche Attive del lavoro. Attualmente dai CFP campione si evince la centralità del tutor formativo nello stabilire un contatto ed un rapporto fiduciario con le imprese anziché la presenza di un servizio strutturato. - Verso una nuova identità del CFP Ciò apre una riflessione che è organizzativa, ma che riguarda anche l’identità del CFP, in conside-razione del suo crescente ruolo di snodo tra allievi ed imprese, tra formazione e lavoro. In tal senso l’esperienza della sperimentazione duale pone nuove ed ulteriori sfide in relazione alla transizione tra scuola e lavoro (Garanzia Giovani), alle risposte da dare ai lavoratori in cerca di oc-cupazione (Politiche attive nazionali e regionali), all’impatto sul lavoro della quarta rivoluzione in-dustriale (Formazione per tutto l’arco della vita). In tal senso, il CFP sempre più può considerarsi non solo luogo di formazione dei giovani, ma partner strategico delle imprese per la cura e lo svi-luppo del capitale umano. - Dalle prime incertezze alla soddisfazione generale A completamento di tutti questi aspetti che raccontano l’impegno profuso e le difficoltà affrontante dai CFP, il dato sulla elevata soddisfazione e sui risultati positivi è probabilmente il più forte ele-mento d’interesse, soprattutto in un contesto di sperimentazione che è per sua natura esplorativo, ricco di incognite e per certi versi può rappresentare il modo e la capacità dei soggetti coinvolti di affrontare il cambiamento. Da questo punto di vista la sperimentazione del sistema duale si presenta agli Enti di formazione professionale come momento di opportunità di crescita e di orientamento strategici. In conclusione, anche i soli pochi dati riportati sopra permettono di affermare che l’assunzione della modalità duale ha permesso alla Federazione CNOS-FAP, innanzitutto, di au-mentare l’attività formativa (soprattutto con i quarti anni) oltre a quella esistente e di avviarla o raf-forzarla anche in Regioni fino ad oggi piuttosto resistenti. In secondo luogo ha permesso agli opera-tori di capitalizzare una esperienza per molti aspetti “nuova” (il rapporto con le imprese, la “co-progettazione” formativa con esse, la familiarizzazione con la contrattualistica dell’apprendistato, l’impatto sull’organizzazione del CFP …) che la costringerà a ripensare e ad aggiornare anche il proprio modello organizzativo su molti aspetti. 4.2.1.2. La valutazione della IeFP: il progetto sperimentale VALEFP Dopo l’avvio del nuovo Sistema Nazionale di Valutazione (SNV), istituito con il DPR. n. 80 del 28 marzo 2013 e con l’emanazione del relativo Regolamento (settembre 2014), i processi e le procedure di autovalutazione di istituto ‒ previsti inizialmente per le scuole statali e paritarie – hanno affrontato in via sperimentale, e anche su stimolo della Federazione CNOS-FAP, le Istituzioni formative accreditate. Con questa sperimentazione la Federazione CNOS-FAP ha cercato di giocare d’anticipo: proporre alle Istituzioni competenti che devono adottare apposite linee guida per il sistema di IeFP un modello di valutazione sperimentato. Così, infatti, recita il comma 4 dell’art. 2 del DPR. n. 80/2013 “Regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione”: «4. Con riferimento al sistema di istruzione e formazione professionale previsto dal Capo III del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, e ferme restando le competenze dell'Invalsi di cui all'articolo 22 di detto decreto legislativo, le priorità strategiche e le modalità di valutazione ai sensi dell'articolo 6 sono definite secondo i principi del presente regolamento dal Ministro con linee guida adottate d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, previo concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali». Per affrontare concretamente la problematica il CNOS-FAP, insieme al CIOFS/FP, nel 2015 ha sottoscritto con l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI) un protocollo di Intesa per definire le modalità tecniche di accesso al Si-stema Nazionale di Valutazione (SNV) e per sperimentare un modello peculiare di valutazione in grado di mettere in evidenza gli aspetti specifici della IeFP e, nello stesso tempo, comparare questo modello con quello scolastico. Due sono state le questioni affrontate nella sperimentazione: la valutazione degli apprendi-menti basata su prove standardizzate per gli allievi della IeFP; l’impostazione dell’autovaluzione del CFP (la realizzazione di un modello “RAV” specifico per la IeFP). Il progetto sperimentale ha coinvolto, da subito, varie Istituzioni, oltre all’INVALSI: il Coordinamento Tecnico delle Regioni, la IX Commissione, l’INAPP (ex ISFOL), il MIUR, il per-sonale degli Enti di FP (sia per la scrittura delle prove con 12 formatori del CNOS-FAP e del CIOFS/FP ‒ 6 formatori per le prove di Italiano e 6 formatori per la matematica ‒ che per la speri-mentazione del modello RAV) e i vari Enti di FP per la sperimentazione. La sperimentazione della valutazione degli apprendimenti degli allievi nel contesto della IeFP è stata voluta dagli Enti per verificare la possibilità di prevedere prove specifiche per la IeFP rispetto a quelle proposte da INVALSI per le scuole. Dunque si sono adottati esercizi più adeguati al target dei destinatari, il cui contesto culturale, gli interessi e l’approccio apprenditivo trovano più possibilità con applicazioni concrete in rapporto a competenze di tipo professionale. Non si tratta di prove più facili rispetto alla esigenza di misurazione degli obiettivi richiesti, ma della ricerca di prove equivalenti realizzate in contesti vicini al mondo e agli interessi pratici dei destinatari della IeFP. In questa prospettiva, nella somministrazione delle prove nel maggio 2016, gli stessi allievi sono stati sottoposti ad una doppia modalità: una con prove tradizionali, la seconda, dopo 10 giorni dalla prima, con prove CBT costruite con criteri di maggiore concretezza e applicabilità. L’ambiente laboratoriale quotidiano ha reso più familiare e disinvolta la partecipazione degli allievi e più possibi-lista l’utilizzo dal punto di vista educativo da parte dei formatori attestato anche dalla curiosa, accolta e dialogata restituzione dei risultati agli allievi. La seconda modalità di realizzazione e applicazione delle prove ha consentito all’INVALSI di verificare una possibilità equivalente di misurare le competenze base di matematica e italiano per allievi che non sono a loro agio in situazioni di apprendimento prevalentemente, se non esclusivamente verbali. La prima fase della sperimentazione è stata condotta su 50 CFP con 92 percorsi formativi di 2° anno e circa 1700 allievi (anno 2016). La seconda fase – con le prose esclusivamente in CBT – ha coinvolto 105 CFP, 293 percorsi formativi di 2° anno e 5.190 allievi (Anno 2017). Si è trattato, secondo i coordinatori della sperimentazione, di una sfida sotto molti punti di vista. Per i formatori, innanzitutto, che si sono misurati con una modalità di accertamento delle competenze e dei saperi standardizzata e con uno strumento di misurazione costruito con gli stessi criteri previsti dal Quadro di riferimento nazionale, adottato per la costruzione delle prove destinate ai Licei, agli Istituti Tecnici e agli Istituti Professionali. Per le direzioni, poi, che hanno, con la loro adesione alla sperimentazione, scelto di mettersi alla prova all’interno di un sistema di comparazione nazionale e di autovalutazione decisamente strutturato e impegnativo. Per gli allievi della IeFP, ancora, che si sono misurati, per la prima volta, con strumenti di valutazione esterni al loro mondo. Per le Istituzioni, infine, che hanno scommesso su questo progetto superando il pregiudizio che la proposta nascondeva la volontà di creare per la IeFP solo prove più semplici. Il progetto sperimentale non è concluso. Restano ancora azioni da compiere. Ad elencarle è Arduino Salatin: - relativamente al cantiere delle prove standardizzate sarà prevista anche la prova della lingua in-glese, oltre a quelle di italiano e di matematica; - relativamente al cantiere dell’autovalutazione si prevede la stesura di linee guida per la compi-lazione del Rapporto di Autovaluzione (RAV) e la relativa formazione, una restituzione pubblica dei dati raccolti ed elaborati, l’accesso al database del MIUR per la compilazione del RAV via web; - relativamente alla messa a regime del progetto occorre l’azione del MIUR per la compilazione dell’anagrafe nazionale dei CFP e l’impegno delle Istituzioni (Stato e Regioni) ad adottare il modello, come previsto dal comma 4 dell’art. 2 citato sopra. Il progetto ha riscontrato nelle Istituzioni da subito interesse per la sua novità. Il Presidente dell’Invalsi, Anna Maria Ajello, ne richiama soprattutto due: «In primo luogo rappresenta il tentativo di predisporre e realizzare prove che siano adatte a una po-polazione scolastica abituata a curricoli diversi da quelli realizzati nelle scuole ordinamentali; ciò non vuol dire semplificare o ridurre le difficoltà per una popolazione studentesca nel senso meno provvista sul piano accademico, ma di riconoscere una specificità cognitiva, contestuale e culturale che richiede da parte di chi vuole condurre valutazioni realmente efficaci, uno sforzo di ideazione di prove che colgano quelle specificità. L’efficacia delle valutazioni, infatti, si connette alla possibilità di utilizzarne gli esiti perché coerenti e in linea con le possibilità di interventi ulteriori. In secondo luogo, la possibilità di predisporre prove diversificate smentisce le tesi di quanti ritengono rigidamente codificate le prove standardizzate e pertanto non adeguabili, che nel caso in questione invece, appaiono curvate alla necessità della popolazione studentesca di riferimento, senza venir meno ai criteri generali che presiedono alla costruzione di prove metodologicamente corrette e affidabili. In tal senso, perciò, la messa a punto di prove così articolate rappresenta anche una interessante pista di ricerca per l’INVALSI che, rispondendo ad una richiesta istituzionale di valuta-zione di sistema – in questo caso riferita potenzialmente a quello della Formazione Professionale – vede dischiudersi direzioni di ricerca innovative e più largamente rispondenti ad una popolazione studentesca la cui diversità – culturale e cognitiva – va progressivamente ampliandosi. Su un piano analogo, anche se diverso, si pone la predisposizione del Format del Rapporto di l’Autovalutazione (RAV) specificamente costruito per gli istituti di Istruzione e Formazione Professionale. L’adattamento del RAV per consentire una più perspicua riflessione a coloro che devono compilarlo, rispetto alle caratteristiche delle loro attività, rappresenta un modo ulteriore di venire incontro alla specificità dell’agire formativo nella prospettiva di servire davvero a indurre promozione di ri-flessività e a promuovere cambiamenti positivi» (Forma, 2017, pp. 5-6; Salatin, 2016, pp. 155-165). La Federazione CNOS-FAP si augura che il progetto possa trovare la necessaria conclusione e, perché il lavoro degli operatori e degli Enti di Formazione Professionale non sia vanificato, anche l’adozione del modello sperimentato da parte delle istituzioni competenti. 4.2.1.3. L’introduzione delle tecnologie mobili nella didattica della IeFP Nel 1964 usciva un saggio di Umberto Eco destinato a diventare celebre, Apocalittici e Inte-grati, in cui l’autore definiva, in relazione alle “comunicazioni di massa” e alle “teorie della cultura di massa”, i due tipi di atteggiamento che l’intellettuale tendeva alternativamente ad assumere. Gli “integrati” erano coloro che valorizzavano gli aspetti positivi della nuova realtà mentre gli “apoca-littici” evidenziavano i risvolti negati di tali novità. Noi pensiamo che si possa affermare che, in questi anni, rispetto ai cosiddetti “new media” (computer, tablet, smarphone, internet, social net-work) si sia definita un’analoga polarizzazione. Il mondo salesiano impegnato nella scuola e nella formazione professionale ha raccolto la sfida senza pregiudizi, avviando due sperimentazioni (una con la scuola salesiana e una con i CFP del CNOS-FAP) di durata triennale, supportate da consulenti e da un notevole investimento tecno-logico. Le sperimentazioni sono state arricchite dall’approccio a documenti mirati e ad esperienze all’estero: - lo studio del volume Flip your classroom di Sams e Bergmann; - Ørestad Gymnasioum di Copenaghen; - visita alla Future Tech Studio School di Warrington, Manchester. È stato costituito, allo scopo, anche un Comitato tecnico-scientifico, il cui compito è stato quello di mettere in atto una serie di interventi di supporto e di monitorare l’iter della sperimentazione. Di seguito, in maniera molto sintetica, si riportano le iniziative e gli orientamenti principali. Il supporto tecnico – scientifico alla sperimentazione Il Comitato tecnico - scientifico ha garantito in modo continuo ed estensivo un servizio di supporto per le problematiche tecnologiche, ivi compresa la consulenza sulle infrastrutture di rete e la predi-sposizione di un sito wiki per la scuola e la formazione professionale salesiana per condividere le riflessioni e le esperienze, insieme alla puntuale diffusione di news riguardanti l’individuazione di nuove App potenzialmente utili per la didattica e alla promozione di una banca-dati dove poter scambiare esperienze significative tra Scuole e CFP (esempi di UdA, prodotti significativi degli studenti e degli allievi, e-book, video a potenziale emulativo, etc.). - La declinazione della dimensione pedagogica nella sperimentazione. I membri del Comitato tecnico-scientifico hanno svolto interventi formativi nelle scuole paritarie e nei singoli CFP o aree territoriali onde discutere eventuali problematiche di carattere pedagogico e didattico (esempio: effettiva possibilità di cambiare elementi organizzativi, resistenze e vincoli, problematiche pedagogiche, come ad esempio la congruenza tra le UdA, le modalità didattiche e gli standard nazionali, cambiamento nella modalità di valutazione, etc.). Infine, i membri del Comitato tecnico-scientifico, d’intesa con i referenti delle scuole paritarie e dei Centri di Formazione Profes-sionale, hanno, fissato in modo condiviso alcuni indicatori, utili a scandire tappe di progressiva at-tuazione del progetto. Questi obiettivi minimi riguardavano sia elementi di carattere tecnologico (introduzione di metodologie di condivisione dei documenti, utilizzo di sistemi di Mobile Device Management) che di carattere organizzativo e pedagogico (definizione di un regolamento sull’uso del tablet, produ-zione di ebook sia da parte dei docenti e formatori che da parte degli allievi, introduzione di propo-ste innovative nella definizione degli orari e dello spazio scolastico/formativo, rilancio della biblio-teca come luogo dove gli allievi possono rintracciare materiali utili alla costruzione e condivisione di conoscenze, ecc.). Gli indicatori così delineati dovevano servire ad una progressiva valutazione di efficacia di un progetto del quale si intravedevano le potenzialità, ma anche le difficoltà che un’istituzione seco-lare come quella scolastica incontra quando affronta temi di innovazione didattica, cioè tra paura di cambiamento e incertezza sugli esiti. Ci si augurava così di poter analizzare compiutamente vantaggi e limiti della pad-agogia, per analogia con studi similari, che in realtà avevano già evidenziato il positivo impatto dell’introduzione del tablet sugli stili di apprendimento e sulle competenze dei no-stri allievi. a. Sperimentazione nel mondo scolastico salesiano I risultati della sperimentazione nel mondo scolastico, coordinati dal prof. Michele Pellerey, sono stati documentati nella pubblicazione del 2015 dal titolo: “La valorizzazione delle tecnologie mobili nella pratica gestionale e didattica dell’Istruzione e Formazione a livello di secondo ciclo”. La ricerca ha sviluppato, a un adeguato livello di profondità di analisi e di plausibilità delle conclusioni operative, uno studio attento delle potenzialità, e dei limiti, che queste tecnologie offro-no a livello di apprendimento scolastico, soprattutto per il secondo ciclo di istruzione e formazione. È stata esaminata la documentazione disponibile sia italiana, sia straniera, in merito a una possibile valorizzazione delle tecnologie mobili nella pratica gestionale e didattica della scuola. Sono state prese in considerazione le politiche europee in merito, le politiche scolastiche italiane, la valorizza-zione delle tecnologie digitali mobili nella vita scolastica a partire dall’esperienza italiana e da quella internazionale, la gestione dei processi di apprendimento tramite tecnologie mobili, tenendo conto dell’esperienza italiana e di quella internazionale, le tecnologie digitali e la loro valorizzazione nei differenti insegnamenti scolastici, sempre considerando il quadro che si evidenzia in Italia e all’estero. È stata accompagnata dalla sperimentazione dell’uso didattico delle tecnologie mobili nelle scuole salesiane coinvolte. L’autore, al termine dell’indagine e della sperimentazione condotta in numerose scuole sale-siane, ha formulato alcuni suggerimenti: «A conclusione della nostra indagine sembra emergere come decisiva la necessità di invertire la prospettiva di analisi da molti adottata: partire dalla considerazione delle tecnologie digitali, in par-ticolare mobili, e dalle opportunità, affordance, che esse offrono, per esaminare le problematiche relative al loro inserimento nei percorsi istruttivi e formativi del secondo ciclo del sistema d’educazione italiano. Si ritiene, invece, necessario tener conto in primo luogo delle finalità fonda-mentali e degli obiettivi di apprendimento essenziali che li caratterizzano, riletti, certo, nel contesto culturale, tecnologico e comunicativo attuale, per rimanere fedeli all’identità propria dell’istituzione educativa nella quale ci si trova ad operare. […] In tale contesto, tenendo conto della letteratura esaminata e delle esperienze prese in considerazione, emerge come prospettiva essenziale ai fini di una integrazione valida e feconda di tali tecnologie nel contesto scolastico o formativo l’attività di progettazione educativa e didattica che ai vari livelli, ma soprattutto a livello di singoli curricoli d’apprendimento, l’istituzione formativa deve tenere conto: delle finalità educative e formative dell’istituzione stessa; degli obiettivi generali e specifici che la normativa vigente indica per i vari canali istruttivi e formativi; delle caratteristiche peculiari degli studenti convolti e del loro effettivo stato di preparazione in vista del raggiungimento di tali obiettivi; delle risorse disponibili in termini di spazi, tempi, strumenti comunicativi effettivamente disponibili; delle competenze metodologiche, che i docenti sono in grado di attivare nella quotidia-nità del loro lavoro. L’esplorazione sistematica condotta nel corso di questa indagine ha portato quindi a individuare come elemento centrale della problematica derivante dall’impatto delle tecnologie digitali mobili nei processi educativi scolastici e formativi proprio l’azione progettuale di dirigenti e docenti. Come principio di riferimento è stato poi individuato quello di promuovere più che una radicale trasfor-mazione della realtà educativa a causa della loro presenza, quello di sviluppare una valida e feconda integrazione di tali strumenti nel progetto formativo proprio dell’istituzione ai suoi vari livelli di at-tuazione»” (Pellerey, 2015, pp. 163-164). b. Sperimentazione nel mondo formativo salesiano A curare la sperimentazione dei CFP salesiani è stato Roberto Franchini, il quale, oltre che coordinare la sperimentazione, ha scritto anche il Report finale pubblicato nel 2016: “L’apprendimento mobile attivo in presenza di tecnologie digitali. Rapporto finale della sperimen-tazione iCNOS del CNOS-FAP”. L’idea della sperimentazione era nata al termine di un’indagine svolta nel corso dell’anno 2012 sull’utilizzo dei dispositivi didattici nei CFP del CNOS-FAP. Quella ricerca si era posta come obiettivo la verifica della congruenza tra gli strumenti didattici allora in uso nella Federazione (con particolare riferimento ai sussidi – libri, software, etc. - e ai mediatori - es. Lavagna Interattiva Mul-timediale o altro) con il paradigma pedagogico proprio della didattica costruttivista e con la descri-zione dei traguardi di apprendimento del Quadro Europeo delle Qualifiche (ed in generale degli standard in vigore nei percorsi formativi di durata triennale). In questo modo si aveva l’intenzione di esplicitare il cosiddetto hidden curriculum (curriculum nascosto) dei formatori e dei CFP in generale, attraverso un percorso induttivo che, al posto di presupporre la pedagogia delle competenze, per immaginarne le ricadute didattiche, esplora le pratiche didattiche in essere, per mettere in evidenza i loro presupposti impliciti. Tra gli innumerevoli aspetti di pratica educativa, dal punto di vista metodologico, l’analisi ha operato nella direzione di una rassegna ragionata dei sussidi e ausili in uso nei percorsi triennali, attraverso la costruzione e la distribuzione di un questionario, volto a indagare quali sussidi/ausili erano di uso più frequente, e in quali ambiti e la raccolta mirata di evidenze (libri, software, etc.) e la loro analisi di contenuto, alla luce dei descrittori del Quadro Europeo delle Qualifiche (livello di complessità nelle conoscenze, abilità e competenze coinvolte). I risultati della ricerca evidenziarono un uso consistente dei libri di testo, come strumento utilizzato in modo pervasivo sia nel lavoro a scuola che nello studio a casa. Il libro di testo sembrava essere risorsa in qualche modo esclusiva: infatti, la biblioteca, presente in un certo numero di Centri di Formazione Professionale, non risultava utilizzata come luogo di ricerca e di apprendimento. Anche dal punto di vista dei media didattici si ottenne una conferma di un impianto didattico tradizionale prevalente, basato su strumenti di “presentazione” frontale, o nella forma classica (la-vagna) o nella forma più evoluta (PC con videoproiettore, LIM). La ricerca aveva raccolto inoltre una rassegna dei libri di testo più adottati nei CFP nell’ambito dell’insegnamento degli assi culturali ed era stata fatta un’analisi qualitativa sulla loro congruenza rispetto all’insegnamento di tali assi. A seguito di questa analisi, e dei suoi risvolti critici in qualche modo scioccanti, in un am-biente come quello salesiano, da anni impegnato nel movimento per le competenze, è nato l’interesse alla promozione della cosiddetta classe digitale, vale a dire di un’aula ove le nuove tecnologie (con particolare riferimento ai Tablet e alle applicazioni multimediali che essi hanno in dotazione) potenziano elementi di interattività, interazione e costruzione dei saperi e delle competenze. L’ipotesi, tutta da verificare, era che l’impiego estensivo del tablet potesse facilitare la didat-tica per competenze e motivare, quindi, gli allievi dal punto di vista dell’apprendimento, modellan-dosi intorno ad alcune caratteristiche: - trasformazione del ruolo del formatore, da fornitore di conoscenze a educatore, oltre che a faci-litatore di processi di ricerca e di interazione significativa; - ricerca e utilizzo attivo di risorse disponibili (conoscenze distribuite) in funzione di mandati di lavoro complessi e interdisciplinari; - produzione di oggetti multimediali che reticolano conoscenze di vari ambiti disciplinari, rappor-tandole a scopi comunicativi e costruttivi; - valutazione intesa come stima di compiti reali. L’intento progettuale consisteva dunque in una modifica profonda nell’approccio al rapporto tra insegnamento e apprendimento, spostando il baricentro dall’insegnante all’allievo, dalla parola all’azione, dall’ascolto alla collaborazione e alla negoziazione. La sperimentazione è stata accom-pagnata anche da un notevole investimento tecnologico (tablet) oltre che da supporti consulenziali. Riassumendo la storia della sperimentazione si possono richiamare tre fasi. Al termine del primo anno, che nel Report viene definita la «fase pioneristica», i curatori della sperimentazione scrivono: «In sintesi, l’esperienza del primo anno ha dimostrato che il tablet, all’interno di un uso semplicemente migliorativo, se da una parte migliora il piacere di stare in classe, dall’altra ha un impatto dubbio, se non addirittura peggiorativo, sull’apprendimento degli allievi. Occorreva dunque riflettere e fare un passo in avanti, alla ricerca delle condizioni organizzative, prima che didattiche, che potessero consentire un uso efficace dello strumento». Durante il secondo anno, la «fase di stallo», riscontrata l’insufficienza di misure semplice-mente formative (aggiornamento, confronto periodico, ecc.), si andò alla ricerca di uno strumento che potesse costituire una leva di cambiamento organizzativo, responsabilizzando direttori e coordi-natori didattici intorno ad obiettivi comuni: «In questo scenario, nacque l’idea di elaborare una Li-nea Guida sull’uso del tablet nelle organizzazioni formative, un testo concreto che rappresentasse il consenso della comunità educativa salesiana intorno agli elementi essenziali della nuova didattica. Il gruppo di progetto stese la prima bozza, che fu in seguito sottoposta ad una capillare azione di modifica, correzione e integrazione da parte dei responsabili di tutti i centri coinvolti, e infine ap-provata unanimemente» (Franchini 2016, p. 23). Il terzo anno di sperimentazione, l’anno della «ripartenza», partì dunque sotto l’egida dell’adozione delle Linee Guida, e dunque sotto un accordo sostanziale di scenario e di obiettivi concreti. Parallelamente, mentre l’adesione dei Centri di FP aumentava a macchia d’olio, cresceva la sensazione di trovarsi di fronte non semplicemente ad un miglioramento tecnologico o all’impiego di una nuova metodologia didattica, ma ad un vero e proprio cambiamento di paradigma, un terremoto paragonabile a quello provocato nel Seicento dall’invenzione della stampa. In questo scenario, si generò un nuovo slancio che, pur facendo i conti con i retaggi e i limiti delle attuali organizzazioni, contribuì a creare una rete di contatti, iniziative formative, azioni di sistema ed esperimenti organizzativi, naturalmente a densità variabile. Come supporto, in questo anno, si decise anche di consegnare ai Centri di FP coinvolti un ulteriore strumento di verifica, consistente in una check-list sulle raccomandazioni e le indicazioni operative delle Linee Guida, al fine di agevolare il confronto e l’analisi organizzativa continua dei CFP. Volendo tracciare un bilancio di questo terzo anno, si può affermare che è cresciuta sensibilmente l’adesione dei formatori, attenuando o persino annullando la divaricazione tra entusiasti e critici riscontrata all’inizio del secondo anno; parallelamente, sembra rimanere oggettivamente debole il ruolo dei direttori/coordinatori, non tanto al riguardo della loro adesione al progetto, quanto alla loro effettiva possibilità (o capacità) di indurre e strutturare il cambiamento, trasformandosi in leader educativi, oltre che responsabili organizzativi ed amministrativi. «L’impressione, si legge nella conclusione del Report, è che la rotta sia oramai tracciata, e che la forza educativa del carisma salesiano, l’iniziativa delle persone che se ne lasciano contagiare e l’effetto dirompente delle nuove tecnologie alla fine prevarranno, a disegnare, prima sperimentalmente e poi istituzionalmente, un nuovo paradigma formativo, capace di esaltare la dimensione laboratoriale, la creatività, il senso critico e la collaborazione, nel solco della vitalità della scuola salesiana e cristiana in Italia e nel mondo. In questo modo, la scuola delle competenze per la vita cesserà definitivamente di rappresentare una semplice parenetica pedagogica, per diventare lo scenario per la crescita di buoni cristiani e onesti cittadini» (Franchini, 2016, p. 25). Le due sperimentazioni hanno prodotto una vera ricchezza di stimoli, suggestioni e indica-zioni operative per continuare a innovare la scuola e la formazione professionale dei Salesiani. 4.2.2. La formazione dei formatori: i risultati di un’indagine nazionale Poiché l’ultima ricerca sui formatori risaliva a più di dieci anni prima (Malizia, Pieroni e Sa-latin, 2001), nel 2014 è parso necessario e urgente avviare uno studio su di loro, non tanto su tutti gli aspetti del loro complesso ruolo, quanto su ciò che ne rende possibile l’esercizio efficace, e cioè la formazione specialmente in servizio (Malizia - Piccini - Cicatelli, 2015). Gli obiettivi sono riassumibili nei seguenti tre: 1) descrivere lo stato dell’arte della formazione dei formatori e, in connessione, di tutto il personale del CNOS-FAP, senza tralasciare di considerare con attenzione anche quelli che non partecipano alle offerte di corsi, per determinarne la consistenza quantitativa, la distribuzione territoriale e per settori, le motivazioni e i giudizi; 2) valutare l’adeguatezza, l’efficienza e l’efficacia dell’offerta di formazione dei formatori e, in connessione, di tutto il personale, utilizzando una molteplicità di referenti come per esempio gli stessi formatori e gli altri operatori, i docenti dei corsi di aggiornamento, i Direttori dei CFP, i Segretari nazionali dei settori, i Delegati regionali; questa valutazione dovrebbe mettere in rilievo i punti di forza (eccellenze) e i quelli deboli del sistema di formazione dei formatori CNOS-FAP; 3) sulla base dei risultati delle analisi quantitative e qualitative e tenendo conto delle suggestioni dei referenti principali, elaborare una serie di proposte per correggere le possibili criticità, per adeguare la formazione dei formatori e degli altri operatori alle attuali esigenze, per introdurre le necessarie innovazioni e per potenziare l’efficienza e l’efficacia (Ghergo, 2009b 2011; Cssc…, 2006 e 2008; Cavalli - Argentin, 2010). Quanto al disegno di analisi, la ricerca ha utilizzato una pluralità di strumenti in relazione ai diversi referenti. In questa maniera si è pensato di poter assicurare un’analisi in profondità e una sufficiente oggettività nelle valutazioni. In particolare sono stati elaborati i risultati delle schede di gradimento che vengono applicate al termine di ogni corso. Allo scopo di costruire il database di tutti i frequentanti i corsi di formazione e di quelli che non hanno mai partecipato, si sono analizzati l’Archivio dei dipendenti, l’Elenco dei corsi e dei Seminari dei settori professionali. Inoltre, si sono raccolti mediante un questionario i giudizi di operatori che occupano indubbiamente un posto cen-trale dal lato dell’offerta di formazione e cioè, i Delegati regionali, i Direttori dei Centri e i Segretari nazionali dei settori e delle aree professionali. Attraverso dei focus group si è realizzato uno studio di casi con cui si sono raccolte le opinioni delle componenti principali dei CFP. La presentazione della ricerca si articolerà in due parti, una dedicata ai risultati e l’altra alle proposte. Inoltre, si concentrerà l’attenzione sugli aspetti qualitativi, mentre per quelli quantitativi rimandiamo per i dati essenziali sui formatori alla sezione n. 5.1. 4.2.2.1. La formazione in servizio nel CNOS-FAP: qualità e gradimento I dati sono attinti principalmente da tre indagini: il sondaggio tra i Delegati regionali, i Di-rettori dei Centri e i Segretari dei settori professionali, le schede di gradimento applicate al termine dei corsi e i focus group tenuti in 12 CFP rappresentativi della totalità. a. La prospettiva di referenti significativi sulla qualità della partecipazione Da un punto di vista complessivo, i corsi di formazione appaiono secondo le valutazioni dei focus group come un’esperienza importante e ricorrente nella vita dei formatori e sono percepiti come un appuntamento qualificante, sia per la sistematicità del loro svolgimento, sia per i risultati attesi e raggiunti. Per quanto riguarda i soggetti coinvolti, in genere sembra di poter dire che l’offerta di corsi riesca a raggiungere un po’ tutto il personale e che rimanga fuori solo chi proprio non vuole lasciarsi coinvolgere. La maggior parte degli intervistati è decisamente soddisfatta di questa esperienza, anche perché con l’andare del tempo, una volta sperimentata l’opportunità formativa, si partecipa volentieri e si vorrebbero avere ancora più occasioni di formazione. Nonostante il dato positivo sia il più frequente, sia quantitativamente che qualitativamente, rimane l’impressione di una partecipazione piuttosto disuguale: da una parte qualcuno rimane un po’ isolato e non vuole o non riesce a partecipare; dall’altra si nota un atteggiamento di sufficienza per cui i corsi sono frequentati più per dovere che per piacere o per interesse personale, salvo poi ricredersi a cose fatte. Sui corsi organizzati in modalità FAD il giudizio degli intervistati è pressoché unanimemente negativo: sono poco funzionali, di fatto inutili; qualcuno addirittura non ricorda nemmeno l’argomento del corso scelto e in genere parzialmente frequentato; la frequenza è piuttosto distratta e la qualità dei materiali formativi sembra essere talvolta scadente. Per rimanere all’interno degli strumenti di comunicazione a distanza, un po’ diverso è il giu-dizio sulla Newsletter Cnos, che è invece ritenuta utile, anche se talvolta contiene troppe informa-zioni e finisce per essere consultata superficialmente (si segnalano parecchi disguidi nella ricezione per posta elettronica). I più attenti utilizzano anche la rivista cartacea Rassegna Cnos, alla quale viene riconosciuto un alto livello di qualità, anche se pochi la usano come materiale di studio e ag-giornamento. I corsi regionali in genere sono dedicati ad argomenti di più immediata spendibilità nell’area professionale, mentre quelli di livello nazionale trattano tematiche più trasversali e generiche. I primi sono forse più apprezzati e partecipati in quanto rispondono ad esigenze immediate di aggior-namento ed offrono una facile trasferibilità dei contenuti appresi nella quotidiana attività d’aula. I corsi nazionali sono in genere considerati di maggior valore, sia per l’impegno che richie-dono, sia per il numero ristretto di partecipanti ammessi. I corsi di Cultura Generale o di formazione pedagogica hanno inevitabilmente una ricaduta a più lunga distanza e talvolta se ne scopre la validità e la stessa utilità solo a posteriori. Sul piano della socializzazione, i corsi nazionali sono ovviamente quelli che offrono maggiori occasioni di incontro e di scambio e sono quindi apprezzati anche per la rete di relazioni che consentono di stabilire o di rafforzare. I corsi regionali rispondono di più a esigenze pratiche locali e di aggiornamento tecnico, consentono l’incontro di operatori che probabilmente già si conoscono e sembrano essere più concentrati sul compito. Se si fa riferimento ai destinatari, i corsi per i direttori sembrano essere quelli di maggior successo: la partecipazione è ampia e regolare e, nonostante il ricordo di qualche isolato disguido organizzativo, assicurano una buona socializzazione tra persone che svolgono la stessa funzione in contesti e condizioni diverse. Spesso risultano aver partecipato non solo i direttori ma anche i coor-dinatori. Tra le categorie coinvolte viene lamentata la apparentemente scarsa attenzione alle cosiddette figure di sistema, cui si vorrebbe venissero dedicati specifici corsi almeno ogni certo numero di anni. I corsi per i formatori sono invece la maggioranza e devono affrontare un’ampia varietà di argomenti e competenze. Accanto ai corsi di carattere tecnico, che vengono apprezzati ma limitata-mente all’aggiornamento che producono, la domanda principale che viene dai partecipanti è quella di fornire strumenti per affrontare le situazioni di emergenza quasi quotidiana che si trovano a vivere con gli allievi. I corsi per formatori lasciano spesso fuori gli amministrativi, che trovano soddisfazione alle loro esigenze solo in corsi specifici. I corsi sono in genere rivolti al personale in servizio e ciò lascia emergere come fattore di-scriminante la durata del contratto di coloro che hanno un rapporto di lavoro a tempo determinato e che, quindi, possono restare esclusi se il corso cade in un periodo che non rientra nella vigenza del contratto. È generalmente apprezzata la possibilità di avere un coinvolgimento nella progettazione dei corsi, cosa che incide positivamente sui livelli di partecipazione. Come è ovvio, non è sempre pos-sibile far decidere alla base tutte le tematiche da affrontare, anche perché occorre mediare tra opi-nioni ed esigenze diverse, ma rimane il dato positivo della consultazione allargata. E quanto più è partecipata la decisione, tanto più è avvertito come un limite il numero ristretto di partecipanti, che può lasciare fuori qualcuno ancora sinceramente interessato. Una sintesi di queste posizioni, ma più critica, si può trovare nei risultati del questionario applicato ai Direttori dei Centri, ai Delegati regionali e ai Segretari nazionali dei settori e delle aree professionali, che costituiscono l’universo di quanti svolgono un ruolo di leadership nella organiz-zazione e nella gestione dell’Ente. La prima constatazione è che in nessuna delle offerte di Formazione in servizio promosse dalla Sede Nazionale la qualità della partecipazione viene ritenuta dagli intervistati molto soddisfa-cente o quasi. Tuttavia, la frequenza di un gruppo consistente di iniziative riceve una valutazione più che abbastanza positiva: si tratta dei corsi residenziali regionali/locali, del contributo dell’apporto tecno-logico e formativo delle imprese ai settori/aree, dei seminari per il personale direttivo, di quelli tec-nici per i formatori e dei corsi nazionali nell’area delle competenze tecnico professionali. La qualità della partecipazione è considerata abbastanza soddisfacente nel caso dei corsi re-sidenziali nazionali nell’area delle competenze di base, nei progetti internazionali e nelle attività formative con Fonder e si avvicina a tale livello nei seminari tematici legati ad eventi esterni e nei convegni promossi dalla CISI. La valutazione scende a poco soddisfacente riguardo ai corsi FAD. Un indicatore significativo dell’utilità delle offerte di Formazione in servizio promosse dal CNOS-FAP può essere identificato nella valorizzazione che gli operatori riservano alle risorse messe a disposizione a tale scopo dalla Sede Nazionale; in particolare, si tratta della Rassegna CNOS, delle Newsletter, delle pubblicazioni/ricerche, del Sito del CNOS-FAP, della ricerca sul successo formativo degli allievi del CNOS-FAP e del Concorso nazionale dei capolavori dei settori profes-sionali. Anche in questo caso la valutazione dei Delegati, dei Direttori e dei Segretari risulta più cri-tica di quella dei partecipanti ai focus. In sintesi, le risorse messe a disposizione dalla Sede Nazio-nale per la Formazione in servizio vengono utilizzate tra abbastanza e poco oppure poco. La ragione principale di questa situazione va ricercata in una criticità esterna alle risorse, cioè nella inadeguata socializzazione all’interno dei CFP. In secondo luogo pesa anche una carenza intrinseca ad esse e cioè il fatto che non aiutano a risolvere i problemi dei Centri. Al tempo stesso, va segnalato che in generale non sono eccessivamente teoriche o di livello troppo elevato se non la Rassegna CNOS e le pubblicazioni/ricerche e, comunque, non si possono considerare poco aggiornate. La ricerca sul successo formativo e il Concorso dei capolavori sono le risorse che presentano maggiori forme di valorizzazione e la Rassegna CNOS e le Newsletter quelle che ne hanno di meno. Il Nord è più po-sitivo del Centro e del Sud, i laici dei salesiani, i diplomati dei laureati, i Segretari dei Delegati, i più anziani dei più giovani e i più esperti dei meno. b. Il gradimento delle attività di formazione in servizio del CNOS-FAP Da quando ha ottenuto la certificazione, la Sede Nazionale CNOS-FAP provvede alla som-ministrazione di questionari di soddisfazione al termine degli interventi di Formazione in servizio, al fine di ottenere suggerimenti e indicazioni utili per le azioni future. I questionari vengono proposti agli operatori a conclusione delle diverse iniziative (corsi residenziali nazionali e regionali, seminari dei settori professionali e corsi per il personale direttivo) e, nel caso dei corsi residenziali nazionali e regionali, dall’anno 2012, una versione modificata del questionario viene proposta anche ai docenti responsabili della conduzione delle iniziative stesse. In estrema sintesi, analizzando i risultati della rilevazione sistematica del livello di soddisfazione per le attività di Formazione in servizio offerte dal CNOS-FAP ai suoi operatori, si individua una ampia area di soddisfazione, soprattutto per quanto concerne gli aspetti legati ai principali soggetti coinvolti, ossia la qualità della docenza e il coinvolgimento dei partecipanti, ma anche l’interesse e l’approfondimento dei temi affrontati. Qualche criticità relativa, anche se in termini molto contenuti, si riscontra riguardo all’approfondimento dei temi trattati, ai materiali didattici e alla funzionalità di aule e di luoghi; la Sede nazionale è già intervenuta per ovviare ai primi due problemi, limitando le problematiche da proporre nelle attività di formazione e impegnandosi a migliorare i materiali messi a disposizione. Queste indicazioni sono sostanzialmente coerenti con quanto riscontrato attraverso il que-stionario somministrato, a distanza di tempo, a Direttori, Delegati e Segretari a cui si è accennato sopra. In particolare, nel caso dei rispondenti a quest’ultimo questionario l’area della soddisfazione ammonta complessivamente all’89,9% (con un giudizio medio che si colloca fra “abbastanza” e “molto soddisfatto”). Al tempo stesso va segnalato che la maggioranza assoluta dei giudizi favore-voli si concentra sulla sufficienza, mentre solo poco più di un terzo dà una valutazione molto positi-va. Pertanto, la Sede Nazionale dovrà impegnarsi nei prossimi anni a invertire l’attuale rapporto tra abbastanza e molto soddisfacente. E, nel dettaglio, risultano essere prevalentemente motivo di soddisfazione, anche in questo caso, aspetti dell’attività formativa, quali la significatività dei contenuti proposti nelle diverse attivi-tà, l’idoneità della docenza, la trasferibilità nei CFP e il conseguimento degli obiettivi formativi. c. Punti di forza e di debolezza della formazione in servizio del CNOS-FAP Secondo i partecipanti ai focus group, i punti di forza della offerta della Sede nazionale del CNOS-FAP possono essere divisi in due categorie: da una parte ci sono le varie e numerosissime dichiarazioni che insistono sulla dimensione relazionale e sui contatti umani che accompagnano la frequenza di ogni corso; dall’altra ci si sofferma sui contenuti dei corsi e anche su alcuni aspetti par-ticolari non facilmente classificabili in maniera unitaria. Per quanto riguarda la prima categoria, gli intervistati sono pressoché unanimi nell’indicare come principale punto di forza l’occasione offerta di confrontarsi di persona e di scambiarsi espe-rienze. I corsi di formazione offrono inevitabilmente l’occasione di: incontrare nuove persone, rive-dere vecchi colleghi, stabilire relazioni interessanti e visitare nuovi luoghi. Un aspetto decisivo è infine rappresentato dai contenuti dei corsi, in relazione ai quali i giu-dizi sono ampiamente positivi. Si va da chi dice che i temi proposti costituiscono «una carta vincen-te» a chi giudica i «contenuti veramente di alto livello». Ma c’è anche chi trova che, al di là delle occasioni di incontro e della validità formativa per le persone che vi partecipano, la ricaduta è piut-tosto scarsa. Rimane quindi il dubbio se l’offerta di formazione sia correttamente tarata sulle esi-genze dei formatori – e indirettamente degli allievi – o se talvolta si raggiungano solo obiettivi di buona socializzazione. È probabile che sia oggettivamente difficile raggiungere una posizione una-nime, quanto meno per il numero dei formatori che partecipano ai corsi, ma in genere si ha l’impressione di una diffusa efficacia delle iniziative formative e che i casi di delusione rimangano un po’ isolati. Tra i punti di forza sono anche presenti alcuni aspetti particolari che è difficile raggruppare organicamente. Un primo elemento positivo può essere costituito dalla metodologia coinvolgente. Dalle parole di alcuni intervistati emerge un particolare gradimento per corsi di carattere laborato-riale, in cui si sperimenta la possibilità di mettersi concretamente alla prova in situazioni di lavoro. Un ulteriore motivo di apprezzamento viene dalla certificazione delle competenze acquisite a fine corso. Un caratteristico punto di forza è poi costituito dal concorso dei capolavori, un’iniziativa ti-picamente salesiana, che viene giudicata «una bella vetrina per il mondo Cnos». Non è solo il con-corso in sé a valere, quanto «tutto quello che ci sta dietro», dato che il concorso nazionale mobilita una grande quantità di energie nel corso dell’intero anno. Esaurito l’esame dei punti di forza è necessario passare ai punti di debolezza, cioè ai problemi e alle difficoltà che caratterizzano i corsi, su cui ci soffermeremo più a lungo per offrire alla Sede nazionale elementi precisi su cui basare il proprio impegno migliorativo. Alla dimensione logistico-organizzativa possono riferirsi tutte le critiche mosse circa le date e i luoghi dei corsi, gli aspetti burocratici, le disfunzioni comunicative, gli squilibri nella composizione dei gruppi di corsisti, le difficoltà dei CFP a sostituire i formatori inviati ai corsi. L’aspetto che appare assumere maggiore rilevanza è la collocazione spazio-temporale dei corsi: ci sono infatti problemi di calendario e di collocazione geografica, che sono ovvi ma non per questo meno impor-tanti. Innanzitutto la collocazione temporale costituisce un problema pressoché insolubile, poiché è osservazione quasi unanime che non si possa trovare il periodo ideale per svolgere i corsi. Ma si ha l’impressione che l’insolubilità del problema derivi anche dalla varietà delle persone, che hanno esigenze diverse o vivono in contesti diversi ed è quindi impossibile riuscire a conciliare tutte le loro pur legittime pretese. Soprattutto per i corsi di carattere nazionale è inevitabile dover mediare tra situazioni diversissime e chiedere perciò un minimo di adattamento e sacrificio ad ognuno. Se i corsi si svolgono in luglio, alla fine delle lezioni, ci si arriva con la stanchezza di un intero anno di lavoro, «quando – come dice un formatore – uno è scarico, soprattutto di forze psicologiche perché ha dato tutto quello che poteva dare». Inoltre, finito il corso si va in ferie e si rischia di dimenticare buona parte di quello che si è appreso, quanto meno perché non c’è la possibilità di ap-plicarlo immediatamente. La collocazione estiva spesso va anche ad interferire con le attività di chiusura dell’anno, il riordino dei laboratori, le valutazioni, e si rischia di sommare alla fatica del lavoro di un anno anche l’affanno delle incombenze finali che si sommano. C’è poi anche il rischio della sovrapposizione con iniziative formative di tipo diverso, per cui è necessario dover decidere tra più proposte e quindi dover inevitabilmente rinunciare a qualcosa. A queste difficoltà si aggiungono quelle dei Centri che prolungano la loro attività ordinaria per tutto il mese di luglio e quindi si trovano a non poter mandare nessun formatore ai corsi. Ricorda infatti un direttore che, come CFP «non riusciamo a ricalcare quello che è il calendario scolastico tradizionale». Ed è ovvio che in questa situazione non si può far assentare un formatore (o addirittu-ra più di uno) per un’intera settimana, quale è la durata dei corsi nazionali. Se invece i corsi si spostano a settembre, vanno ad interferire con le attività di inizio anno; si passa dalle ferie al corso e alla normale attività formativa senza soluzione di continuità e l’affanno che veniva prima denunciato alla fine delle lezioni si trasferisce all’inizio del nuovo anno, andando a pesare su tutta l’attività didattica. Se infine i corsi vengono distribuiti durante l’anno c’è il problema della sostituzione dei partecipanti, con il rischio di bloccare l’ordinaria attività formativa di un Centro, soprattutto se piut-tosto piccolo. A giudicare dalla quantità di osservazioni emerse nei focus group, quello delle sosti-tuzioni sembra essere il problema principale. Si tratta di una circostanza ovvia, ma non per questo meno complessa, dato che il personale inviato a frequentare un corso deve per forza essere sostituito se ci si trova nel mezzo dell’anno formativo. Non c’è solo il sovraccarico di lavoro per i colleghi che restano in sede; c’è anche il rischio di non poter assicurare il normale servizio, soprattutto se ci si trova in un CFP di piccole dimensioni. In particolare il problema si può porre nel caso dei cosiddetti richiami a ottobre: anche se di solito si tratta solo di un paio di giorni, il problema rimane ed è particolarmente avvertito perché cade proprio nel mezzo dell’attività formativa. Più in generale c’è da dire che, al di là dell’esperienza comunque positiva di muoversi da casa e fare nuovi incontri, per molti la partecipazione a un corso comporta anche l’assenza dalla famiglia e, come osserva con una certa ironia un coordinatore, «stiamo diventando tutti un po’ grandi e abbia-mo tutti un po’ famiglia; non è che sia semplice andare via». Alle difficoltà di collocazione temporale si possono legare anche quelle di collocazione geo-grafica, dato che anche la sede dei corsi può creare problemi. Da questo punto di vista, i corsi re-gionali sono più apprezzati perché consentono di rientrare a casa in giornata. Quelli nazionali invece implicano necessariamente un viaggio, che talvolta può essere anche piuttosto lungo. A tale pro-posito vengono denunciate quelle che agli occhi di qualcuno appaiono delle incongruenze poco comprensibili. Possiamo dirlo con le parole di un orientatore: «i corsi sia a Udine che a Bari li ho trovati tanto fuori mano», soprattutto se poi «a Bari non c’è nessun collega della Puglia» e quindi si avverte come uno spreco di risorse il trasferimento forzato (e inutile) di tanti corsisti. Alla scelta della sede del corso si collegano infatti le spese di trasporto, che possono incidere notevolmente. Molti ad esempio lamentano le rigide regole di rimborso, che escludono talvolta di poter viaggiare in aereo anche se il biglietto aereo spesso è più conveniente di quello ferroviario. Inoltre, le stesse modalità di rimborso impongono di non acquistare i biglietti on line e di recarsi in stazione, dove qualcuno racconta di non aver più trovato posto dopo aver fatto due ore di fila. Si tratta di disfunzioni facilmente rimediabili, ma che sono avvertite sicuramente con fastidio da chi si trova ad esserne vittima. In genere le lamentele parlano genericamente di un eccesso di burocrazia di fatto legata soprattutto alle procedure di rimborso delle spese sostenute. Completa il quadro delle difficoltà organizzative la scarsa o imperfetta comunicazione che accompagna talvolta la proposta dei corsi. Se l’informazione non circola in maniera tempestiva ed efficace, è chiaro che si creano problemi. Racconta un formatore che il direttore di un Centro «aveva 1400 mail da guardare e non le aveva guardate e non aveva avvertito nessuno». Forse c’è un po’ di esagerazione in questo episodio, ma l’abitudine ai nuovi strumenti di comunicazione elettronica può creare talvolta situazioni del genere, per cui è bene utilizzare anche canali alternativi di comu-nicazione per essere certi di raggiungere effettivamente tutti i destinatari. Ancora sul piano organizzativo possono valere le critiche mosse alla composizione disuguale dei gruppi di corsisti. È ovvio che in un gruppo di apprendimento omogeneo si può procedere più speditamente, ma spesso, come osserva un formatore, soprattutto nei corsi di carattere più tecnico, nonostante siano precisati fin dall’inizio i requisiti di partecipazione, «viene gente che neanche ha letto quei requisiti, direttori che mandano formatori che non hanno niente a che vedere con quei re-quisiti» e allora «succede che il corso va male perché non puoi andare avanti, perché devi stare ap-presso a quelli che stanno indietro o che non sanno niente». Il secondo ampio raggruppamento dei punti di debolezza dei corsi di formazione è caratte-rizzato da alcuni limiti progettuali, che possono avere una ricaduta significativa sulla qualità com-plessiva degli stessi corsi. Alcuni aspetti sono già emersi sul piano organizzativo: quando per esempio si mandano a frequentare un corso formatori con competenze troppo diverse, è chiaro che si sta minando la riuscita del corso. Più in generale, però, vale qui la classica alternativa – già vista in altre circostanze – tra corsi teorici e pratici. D’altra parte, va anche ricordato che qualcuno ha lamentato l’eccessiva spe-cializzazione di alcuni corsi, che alla fine risultano poco spendibili in classe. In vari casi ritorna inoltre l’utilità di trovarsi a frequentare il corso con un collega dello stesso CFP, perché ciò consente di discutere immediatamente l’applicazione dei contenuti appresi nel proprio contesto di lavoro. Altro difetto denunciato è la ripetitività dei corsi. Ci son poi alcuni che hanno lamentato l’impossibilità di conciliare le situazioni diverse di ogni CFP. C’è chi dichiara di essere sempre andato a frequentare corsi nel Nord Est, «dove la situazione è decisamente migliore che non da noi» e di essersi quindi sentito «un po’ avvilito» (ma questo genere di confronti può essere anche stimolante). C’è invece chi vorrebbe che i corsi fossero «più tarati sulla realtà, non solo della FP, ma proprio del Centro stesso, perché comunque tre Centri hanno tipologie e target differenti; quindi fare un corso standard è sbagliato». Più in generale sembra di notare una certa insofferenza per alcune modalità di conduzione dei corsi, che in qualche caso appaiono poco attente alle singole persone. Da una parte c’è la richiesta di essere maggiormente ascoltati quando si promuove una consultazione per la programmazione di un corso. Dall’altra parte c’è il problema del tempo libero, che andrebbe valorizzato di più, se è vero – come dice un formatore – che è solo negli intervalli dei corsi che si possono discutere i problemi professionali particolari, «confrontare situazioni, metodologie e modi di affrontare gli argomenti del corso, ma anche argomenti esterni». Infine, sempre in relazione alla gestione del tempo libero, che deve essere tenuto presente e valorizzato in quanto tale, c’è chi lamenta «che venga gestito come se fosse una colonia. L’analisi dei punti di debolezza dei corsi può risultare alla fine ingenerosa, se ci si ferma a considerare la lista delle lamentele. Nel confronto con i dati positivi, sono questi a prevalere, ma non si devono sottovalutare i difetti, che possono creare malumori capaci di condizionare la stessa fruizione dei corsi. In conclusione, se la valutazione delle varie componenti certamente non boccia la formazione in servizio, ma anzi la promuove, non si può dire che lo faccia a pieni voti. Su tutti gli aspetti menzionati c’è spazio per il miglioramento, anche se in alcuni di più e in altri di meno. Il clima e i docenti (competenza, autorevolezza e disponibilità) sembrano soddisfare maggiormente per cui in questo ambito bisogna solo avere il coraggio di mirare al massimo: gli unici punti su cui si dovrà richiedere ai docenti dei corsi un impegno maggiore riguardano l’efficacia della metodologia didat-tica, l’approfondimento degli argomenti e dei temi e, anche se in misura inferiore, la chiarezza nell’esposizione degli argomenti. I formatori non sembrano molto coinvolti nei corsi e questa situa-zione si comprende se si tiene conto che le loro attese formative sono solo abbastanza soddisfatte e gli obiettivi dei corsi risultano solo sufficientemente raggiunti: ecco altri campi in cui si richiedono miglioramenti per passare da ina valutazione discreta ad una ottimale. Pure sul piano organizzativo sono necessari potenziamenti: anzitutto riguardo all’adeguatezza delle attrezzature, delle tecnologie didattiche e dei materiali e in secondo luogo circa calendario, orari, ospitalità e luogo dei corsi. 4.2.2.2. Proposte per un potenziamento della formazione in servizio del CNOS-FAP La soddisfazione manifestata dagli interessati nei confronti della Formazione in servizio promossa dalla Sede Nazionale è senz’altro notevole, ma la sufficienza rappresenta il voto maggio-ritario. Pertanto, la Sede Nazionale dovrà intervenire efficacemente per elevare il livello di tale va-lutazione a uno più positivo. Un ambito di miglioramento riguarda le mete principali su cui finalizzare in futuro l’offerta della Sede Nazionale. Dalle risposte di Delegati, Direttori e Segretari emerge una visione della Formazione in servizio centrata sul sistema di FP e funzionale alla qualità del servizio, mentre ap-paiono ignorate del tutto o quasi le attese individuali, non solo di ruolo, di carriera e di guadagno ma anche di formazione spirituale, cosa questa che suona strana in un Ente di ispirazione religiosa come il CNOS-FAP. Anche in questo caso si nota una certa polarizzazione tra salesiani e laici nel senso che i primi tendono a finalizzare la Formazione in servizio al sistema di FP generale e locale e i secondi a dimensioni più significative per i singoli formatori quali l’aggiornamento professionale e la motivazione/rimotivazione. Sarà compito della Sede Nazionale trovare un giusto equilibrio tra le due istanze. Un gruppo di suggerimenti si concentra sui contenuti e le tipologie di competenze su cui la formazione in servizio dovrebbe concentrare maggiormente le sue offerte. Iniziamo con le proposte che si riferiscono all’allargamento del ventaglio delle conoscenze degli operatori. Nulla o quasi è suggerito dai partecipanti ai focus group a proposito delle discipline tradi-zionali delle aree scientifica, professionale e delle scienze umane. Probabilmente la scarsità di sug-gerimenti in questo ambito dipende dall’abbondanza di corsi di aggiornamento nelle aree appena ci-tate. In questo campo i Delegati, Direttori e Segretari sono molto più espliciti. La tipologia di com-petenze su cui si dovrebbe focalizzare nei prossimi anni lo sforzo di rinnovamento è costituita dalle competenze trasversali, una indicazione che sorprende in positivo perché si tratta di competenze non sempre molto valutate dai formatori; al secondo posto e a poca distanza vengono indicate le competenze tecnico-professionali relative ai settori che, sebbene siano già una eccellenza della IeFP salesiana, tuttavia richiedono un costante sviluppo. Meno considerate sono le competenze relative allo sviluppo organizzativo e gestionale delle risorse umane e quelle riguardanti l’area formativa salesiana, ma ambedue esigerebbero una maggiore attenzione le prime perché si tratta di una tipo-logia in sviluppo e la seconda perché la proposta formativa dei Centri si ispira al carisma salesiano e bisogna riconoscere che i partecipanti ai focus group sono molto più favorevoli dei Delegati, Diret-tori e Segretari a questa proposta. Uno dei problemi più delicati e importanti che gli Enti di ispira-zione cristiana debbono affrontare è l’animazione della loro identità cristiana e carismatica sia per i formatori neoassunti che per quelli in servizio: da questo punto di vista si raccomanda di rafforzare iniziative già esistenti come i percorsi “Insieme per un nuovo progetto di formazione” ed “Etica e deontologia dell’operatore della FP” e di predisporne di nuove. Un certo numero di partecipanti ai focus raccomanda lo sviluppo di iniziative di formazione in servizio su tematiche come la salute (in particolare la prevenzione dalla abuso delle droghe), il benessere, l’ecologia e la sicurezza. Un altro gruppo di proposte mira a rafforzare e ad ampliare le competenze didattiche, ge-stionali e organizzative degli operatori del CNOS-FAP. Anzitutto, va registrata la domanda di potenziare l’offerta di formazione in servizio per pre-parare figure di sistema quali orientatori, tutor, responsabili DSA (disturbi specifici di apprendimen-to), DF (diagnosi funzionale) e BES (bisogni educativi speciali). Nella stessa linea si colloca la proposta di sviluppare i corsi per la gestione d’aula in modo da realizzare una IeFP sempre più inclusiva. Tenuto conto del clima generale che caratterizza in questo momento il sistema educativo di istruzione e di formazione e il dibattito su “La buona Scuola” del governo Renzi, non poteva man-care la richiesta di potenziare l’offerta di aggiornamento a proposito della valutazione Si riscontrano operatori che denunciano problemi di vario tipo nel relazionarsi con le fami-glie. La formazione in servizio del CNOS-FAP dovrebbe occuparsi più ampiamente ed efficace-mente anche di questa area. Tra l’altro, n una vera “comunità formativa”, genitori e docenti avreb-bero bisogno di fare formazione insieme, superando un certo protagonismo individuale e una certa auto-referenzialità. Oltre che riguardo ai contenuti e alle competenze, i partecipanti ai focus group, sono state avanzate proposte circa le metodologie che la Sede nazionale dovrebbe privilegiare nella formazione in servizio. Al primo posto viene indicata una metodologia mista articolata tra aula, formazione a di-stanza e autoformazione. La metodologia d’aula rimane centrale e la ragione va ricercata nella «presenza in essa del rapporto umano, del gruppo di lavoro, dello scambio e dell’attività operativa». Metodologia d’aula non significa soltanto lezione frontale, anche se questa non può mancare (ma potrebbe essere anche svolta online), ma i corsi devono essere interattivi, con molte opportunità di interrelazioni, pratici e di natura laboratoriale «perché si impara facendo», «stimolanti e accattivanti». Una formula che può aiutare è quella dei corsi «dove i formatori poi realizzano il materiale didattico». Qualcuno suggeri-sce il ricorso a delle testimonianze: queste possono essere offerte non solo da competenti di livello scientifico elevato, ma anche da colleghi esperti dello stesso Centro o di altri Centri. Da questo pun-to di vista possono essere importanti i richiami alla formazione purché però non tolgano risorse e forze al Centro che manda i formatori. Accanto a momenti di incontro fisico e di scambio diretto, dovranno essere previsti momenti di studio personale e di formazione a distanza. Non si può lasciare tutto online perché il lavoro nei Centri è molto e le scadenze sono tante e quindi si rischia di iniziare un corso e di non terminarlo più. Può servire per questi momenti fuori dall’aula la condivisione dei contenuti dei corsi e delle unità didattiche perché si tratta di vedere realizzati in pratica da colleghi i contenuti che si sono appresi nelle lezioni frontali. Un supporto significativo per attuare nel Centro ciò che si è appreso nei corsi può essere offerto da formatori dello stesso CFP che hanno partecipato alla medesima iniziativa per cui si suggerisce che la partecipazione alla formazione in servizio dovrebbe sempre coinvolgere più di un partecipante per Centro. Una proposta che viene avanzata ancora sul piano metodologico riguarda la previsione di un esame fiale e di un attestato di qualifica. Infatti, questo potrebbe dare «più di senso a quello che uno fa» e «spingerebbe qualcuno a vivere l’esperienza del corso in maniera un po’ meno passiva». Qualcuno suggerisce che ci sia una prova di inizio per verificare il livello di competenza e una finale per valutare gli obiettivi raggiunti. Al tempo stesso bisogna dosare i contenuti per evitare di voler affrontare in un corso di 30 ore un argomento di sei mesi. In questi casi non si tratterebbe più di ri-lasciare un semplice attestato di frequenza, ma una vera certificazione di competenza. Per la formazione in servizio degli insegnanti un ruolo determinante è rivestito dalla supervi-sione del dirigente. In prima battuta, questa va concepita come un aiuto fornito dai dirigenti agli in-segnanti allo scopo di migliorare la loro pratica nel rispetto della responsabilità primaria che essi hanno nel processo di insegnamento-apprendimento. E forse questo un ambito in cui il CNOS-FAP deve avviare un cammino di riflessione e di proposte. Quanto ai sussidi, sarà necessario potenziare la valorizzazione delle risorse erogate dalla Sede Nazionale, aiutando Delegati, Direttori e Segretari a saperle socializzare ai formatori e agli altri operatori e rendendole più facilmente utilizzabili per risolvere i problemi dei Centri attraverso un loro ripensamento sul modello della ricerca sul successo formativo degli allievi e del Concorso nazionale dei capolavori. Un ultimo gruppo di proposte riguarda i destinatari, cioè i formatori e più in generale gli operatori. La prima afferma il primato delle esigenze di questi ultimi, non solo professionali e di car-riera, ma anche umane, purché funzionali alla qualità del servizio. Due sono gli aspetti su cui si concentrano le indicazioni dei partecipanti ai focus group. Uno di carattere generale insiste sulla ne-cessità da parte della dirigenza del CNOS-FAP di sviluppare in estensione e in profondità la moti-vazione alla formazione in servizio «perché il formatore non può mai dire di aver finito di imparare» e «perché con il carico di lavoro che si ha rimane ben poco tempo per l’auto-apprendimento […] per cui abbiamo la necessità di essere costantemente formati in modo da poter offrire un’informazione puntuale». L’altra proposta è molto specifica, ma è opportuno citarla non solo in quanto riflette in modo chiaro il primato dei bisogni formativi degli operatori, ma anche per il riferimento a una istanza emersa dall’analisi quantitativa condotta riguardo ai dati dell’archivio, e cioè di una attenzione par-ticolare da prestare alle esigenze specifiche degli amministrativi e. Una proiezione del primato delle esigenze dei destinatari a livello di tutto il Centro è la pro-posta che le iniziative di formazione in servizio siano mirate sui singoli CFP. Infatti, «un corso fatto in sede è più comodo, è più fruibile, risparmi sul tempo e l’organizzazione e lo puoi fare in contem-poranea ai corsi e alle normali attività». Ma la ragione più vera è che la formazione in servizio ha senso se i suoi effetti si fanno sentire positivamente in ciascun Centro, nei singoli corsi e su ogni formatore e allievo; altrimenti, è solo spreco di risorse. Pertanto gli obiettivi a questo livello vanno identificati nel rinnovamento della IeFP dall’interno e nel miglioramento della pratica pedagogica. Determinante per il successo della formazione in servizio nel singolo CFP è la creazione di un am-biente che stimoli e sostenga le iniziative di aggiornamento. Inoltre, ai fini di migliorare la frequenza alla Formazione in servizio promossa dalla Sede Nazionale del CNOS-FAP bisognerà assicurare: una attenzione maggiore alla qualità della frequen-za, rendendo i contenuti più rispondenti alle esigenze dei formatori e curando meglio la loro sele-zione più mirata in relazione alle tipologie di offerta; un personale più numeroso nei CFP – ma ciò non dipende dagli Enti di formazione –; una migliore distribuzione del carico di lavoro; un calenda-rio di offerte più rispondente alle disponibilità di tempo dei formatori. 4.2.3. Il successo formativo degli allievi del CNOS-FAP Il monitoraggio del successo formativo degli allievi del CNOS-FAP costituisce una delle evidenze più convincenti della bontà dell’offerta formativa dei CFP della Federazione. Infatti, esso consiste in una valutazione esterna che, inoltre, è molto vicina nel tempo perché è stata realizzata a partire dal 2009-10. Più precisamente si tratta di indagini che da quella data ogni anno sono state ef-fettuate sugli ex-allievi a un anno dal titolo finale di qualifica o di diploma. Per motivi di tempo e di risorse la prima fase di questo tipo di ricerca è stata focalizzata sui qualificati nel 2008-09 dei settori meccanici auto ed elettro-elettronici della IeFP salesiana; la se-conda ha riguardato gli allievi dei percorsi biennali, triennali e quadriennali sperimentali di IeFP del Cnos-Fap, qualificati nell’anno formativo 2009-10, relativamente a 5 macro-settori (auto, elettro-elettronico, grafico, industria, turismo) più vari altri (edilizia, lavorazione artistica del legno, agri-coltura, benessere, amministrazione, punto vendita) che sono stati trattati insieme per la loro ridotta consistenza numerica (Malizia et al., 2016). La terza fase riguarda non solo gli ex-allievi che hanno ottenuto dopo un triennio di formazione una prima qualifica professionale e i macro-settori appena richiamati del 2009-10 (con l’aggiunta dell’energia nel 2011-12), ma per la prima volta anche quelli che hanno conseguito un diploma di tecnico professionale. Più precisamente, finora (ma è ancora in corso) tale fase ha incluso qualificati e diplomati negli anni formativi: 2010-11/2015-16 (Malizia e alii, 2016; Malizia e Gentile, 2016, 2017 e 2018). Riguardo alla terza fase, facciamo notare che per motivi di opportunità, connessi allo slitta-mento temporale eccessivo del calendario dell’anno formativo in Sicilia, neppure nel 2017 come nel 2015 e nel 2016, è stato possibile far partecipare al monitoraggio i CFP dell’Associazione CNOS-FAP di tale Regione. Dato il peso notevole di quest’ultima sul totale degli ex-allievi, rappresentando essa oltre il 10% del dato nazionale, l’universo dei tre anni, appena citati, non coincide con quello degli ex-allievi della IeFP salesiana, qualificati e diplomati degli anni 2009-10/2012-13, come nei relativi monitoraggi (2011-14) (Malizia et alii, 2016). La metodologia di ricerca è consistita nella ricostruzione dell’universo di riferimento attra-verso le segreterie dei CFP del CNOS-FAP e in un’intervista telefonica personalizzata realizzata sulla base di un questionario. Il campione di fatto raggiunto in ogni rilevazione non è statisticamente rappresentativo in senso stretto perché non sappiamo se il 10% circa degli ex-allievi che non sono stati raggiunti in ogni indagine si distribuiscano in maniera casuale; tuttavia, tenuto conto che quanti hanno risposto in tutti i sondaggi costituiscono il 90% quasi dell’universo, lo si può ritenere co-munque rappresentativo, se non statisticamente, almeno socialmente. Perciò, dai risultati è possibile trarre, con la dovuta prudenza, generalizzazioni accettabili (Frudà, 2007). Passando poi ai risultati dei monitoraggi, ci si concentrerà sull’ultimo del 2017 in paragone con i due che sono confrontabili, del 2015 e del 2016, mentre per i precedenti ci si limiterà a consi-derare gli andamenti che si basano su dati tra loro sostanzialmente conformi e quindi consolidati (Malizia - Gentile, 2018, 2016 e 2017; Malizia et al., 2016). Incominciamo con la distribuzione in base al sesso che registra una chiara predominanza dei maschi sulle femmine (monitoraggio del 2017 : 84,3% rispetto a 15,7%) (Malizia - Gentile, 2018). Il dato riflette la vocazione tradizionale del CNOS-FAP, nato per la preparazione dei giovani ai me-stieri cosiddetti “maschili”. In proposito, va evidenziato che l’andamento conferma sostanzialmente quanto emerso da tutti i monitoraggi precedenti. L’80% circa (78,6%) proviene direttamente da un percorso regolare nella secondaria di 1° grado, concluso con il superamento del relativo esame di stato: il dato costituisce un balzo in avanti positivo dopo che negli ultimi due anni si era registrata una notevole riduzione da tre quarti circa a due terzi quasi in contrasto anche con l’andamento precedente. Al contrario, soltanto poco più di un quinto (20,3%) si è iscritto alla IeFP dopo aver frequentato per uno o più anni la secondaria di 2° grado (e nei due monitoraggi precedenti confrontabili con l’attuale si era arrivati a oltre un terzo) e appena l’1,0% non possiede nessun titolo. Se il primo dato evidenzia che sempre di più la IeFP sta assumendo la fisionomia di una istituzione formativa normale, il secondo attesta il ruolo di recupero che la FP continua ad assolvere nei confronti dei “rottamati” dei sistemi scolastici, ossia di quei soggetti che vanno incontro ad insuccessi scolastici e/o che si ritirano spontaneamente perché non ce la fanno ad andare avanti. Se si passa a considerare il titolo conseguito al termine della frequenza della IeFP, il 90%quasi (89,1%) ha ottenuto la qualifica, più del 10% (10,9%) il diploma professionale e nessuno il diploma di IP (dell’istituto professionale, cioè il diploma di scuola secondaria di 2° grado a norma del DPR n. 87/2010), essendo ormai cessata la relativa sperimentazione come è stato più volte se-gnalato. Il confronto con i due monitoraggi precedenti tra loro comparabili evidenzia una sostanziale stabilità dei qualificati e una leggera crescita dei diplomati. Gli intervistati di origine migratoria (stranieri o italiani di seconda generazione) rappresen-tano poco più del 15% (16,8%), mentre gli italiani costituiscono oltre i quattro quinti (83,2%). L’andamento è sostanzialmente stabile negli ultimi tre anni; in ogni caso, va sottolineato in positivo che i primi costituiscono più del doppio degli studenti stranieri iscritti alla secondaria di secondo grado (7% nel 2015-16) (Censis, 2017, p. 136). La distribuzione per circoscrizioni geografiche vede al primo posto il Nord Ovest con il 60% quasi (57,1%) degli intervistati; seguono il Nord Est con il 30% circa (29,7%), il Centro con oltre il 10% (12,8%) e il Sud con appena lo 0,3% a motivo, come sappiamo, dell’assenza della Sicilia. La mancanza di queste ultime informazioni comporta ovviamente una certa distorsione dell’andamento della ripartizione territoriale; inoltre, il confronto con i monitoraggi comparabili, registra una sostanziale stabilità dei dati nel tempo. A un anno dalla qualifica/diploma gli ex-allievi dichiarano di trovarsi nelle seguenti situazioni dal punto di vista dello studio e del lavoro: - oltre il 50% (54,9%) ha continuato il proprio percorso nel sistema di istruzione e di formazione e più precisamente il 30,2% nella scuola e un quarto circa (24,7%) nella FP; - un terzo quasi (32,3%) ha trovato un’occupazione; - Intorno al 10% (10,2%) non studia né lavora: - il 2,6% (70) è impegnato in altre attività come il servizio civile e le patenti europee. Il confronto fra gli ultimi tre monitoraggi evidenzia un diverso andamento tra il 2017 e i due precedenti nel senso che: anzitutto cresce del 10% quasi (8,1%) la quota di chi continua gli studi e questo per effetto dell’aumento degli iscritti alla IeFP del 12% mentre si arresta la crescita del pas-saggio all’istruzione che segna una riduzione del 3,9%; in secondo luogo diminuisce del 7,5% la percentuale degli intervistati che non lavorano e non studiano. Al tempo stesso rimane sostanzial-mente stabile intorno a un terzo il dato chi ha trovato un’occupazione. Da ultimo va sottolineato che nel complesso si consolidano tre tendenze che si erano andate delineando nei monitoraggi preceden-ti: la crescita degli ex-allievi che proseguono gli studi dopo il conseguimento del titolo, la diminu-zione di quanti non studiano e non lavorano e la stabilità della percentuale di quelli che dichiarano di aver trovato un lavoro. Per cercare di determinare i fattori che facilitano l’occupabilità, si è iniziato con l’esaminare i comparti nei quali gli ex-allievi sono riusciti a reperire un lavoro. Se i settori si considerano in se stessi, i primi due posti si situano la meccanica industriale e il turistico-alberghiero che offrono maggiori opportunità e più precisamente a un quinto circa degli intervistati (rispettivamente al 22,2% e al 19,9%); tra il 15% e il 10% si collocano l’automotive (11,6%) e l’elettrico-elettronico (10,7%); al di sotto del 10% si riscontrano “altri” comparti (9,3%), l’energia (7,2%) e il punto ven-dita (6,1%) e in percentuali inferiori al 5% si trovano il benessere (4,8%), l’agricoltura (3,5%), il grafico (2,4%), la lavorazione artistica del legno (1,5%) e l’amministrazione (0,7%). Se i settori non si prendono in considerazione in sé stessi, ma in paragone con la ripartizione generale degli ex-allievi tra i comparti, emerge che il benessere e la lavorazione artistica del legno evidenziano una sostanziale corrispondenza tra le cifre dei comparti occupazionali e quelle della qualifica/diploma, che il turistico-alberghiero, il punto vendita, il meccanico industriale, l’energia e l’agricoltura presentano un capacità occupazionale superiore (le percentuali dei settori occupazionali sono maggiori di quelle dei comparti di qualifica/diploma) e che l’elettrico-elettronico, l’automotive, il grafico e l’amministrazione si contraddistinguono per una potenzialità minore (le percentuali dei settori occupazionali sono inferiori a quelle dei settori di qualifica/diploma). Mettendo insieme i due tipi di dati si può dire che la meccanica industriale e il turistico-alberghiero sono i comparti che possono assicurare una più grande occupabilità. Come nelle edizioni passate, tutti gli intervistati dichiarano di aver partecipato ad una espe-rienza di stage durante la frequenza della IeFP nei Centri salesiani; inoltre, per quasi totalità degli ex-allievi (99,7%) essa era del tutto corrispondente alla qualifica professionale ottenuta nei CFP del CNOS-FAP. I tre quarti quasi (73,9%) ritiene anche di aver imparato molto da tale esperienza e circa un quarto si dichiara (24,5%) abbastanza soddisfatto; chi opta per le alternative poco (1,0%) o nulla (0,1%), è una percentuale del tutto irrilevante, mentre lo 0,6% non risponde. Al riguardo, va evidenziato in positivo che negli ultimi tre anni la percentuale di chi risponde molto è salita del 4,2%. Un terzo quasi (33,1%) dei qualificati e dei diplomati che hanno reperito un’occupazione, si sono rivolti al Centro che frequentavano, mentre poco più di due terzi (66.8%) non l’hanno fatto e lo 0,1% non ha risposto. Siccome tra gli ultimi tre monitoraggi si riscontra una sostanziale stabilità riguardo alla prima percentuale, ci permettiamo di richiamare in sintesi le osservazioni in proposito contenute negli ultimi due articoli sull’argomento: «il numero di coloro che ricorrono al proprio CFP per reperire un’occupazione è senz’altro consistente se si tiene conto del comportamento gran-demente prevalente tra le imprese di servirsi di conoscenze dirette o di banche dati […]; tuttavia, ci si sarebbe attesa una percentuale più alta, anzi che tutti o quasi si fossero rivolti al Centro frequenta-to perché il servizio dei CFP del CNOS-FAP, cioè dei salesiani di Don Bosco, ai loro allievi non si può limitare al conseguimento del titolo e soprattutto non dovrebbe mancare in una fase così delicata della esistenza dei giovani come quella della ricerca di un’occupazione. In un’ottica migliorativa e sulla base dei riscontri avuti, in questo e nei precedenti monitoraggi, insieme con le famiglie e con gli allievi qualificati si è deciso all’interno della Federazione CNOS-FAP di avviare un progetto di supporto alla ricerca del lavoro attraverso gli sportelli dei Servizi Al Lavoro (SAL). Questi, presenti a poco a poco in un sempre maggior numero di Centri salesiani, offrono la possibilità agli ex allievi qualificati-diplomati e alle persone in cerca di una opportunità lavorativa di essere accompagnati e guidati con il supporto della figura di un operatore con competenze orientative. Il servizio erogato viene attuato attraverso una nuova metodologia di accompagnamento al lavoro che prevede un pri-mo colloquio e successive fasi di consulenza che consentono la valutazione delle competenze e delle potenzialità del candidato con lo scopo di ottimizzare e facilitare un processo di inserimento lavo-rativo che sia soddisfacente sia per le persone che per le aziende» (Malizia e Gentile, 2016, 96, 2017, 84 e 2018, 89-90). Passando alla tipologia contrattuale di assunzione, il 40% circa (38,8%) degli ex-allievi oc-cupati lavora con un contratto atipico, oltre un terzo (34,2%) con quello di apprendistato e più di un quinto (20,3%) con uno a tempo determinato; al di sotto del 5% si collocano il tempo indeterminato (4,9%) e altre modalità contrattuali non formalizzate (1,8%). I dati del 2017 confermano quelli del 2015 e alcuni andamenti precedente, dopo i cambiamenti di direzione del 2016; si tratta cioè dell’aumento dei contratti atipici, della stabilizzazione dell’apprendistato intorno a un terzo e della diminuzione delle tipologie non formalizzate. In altre parole viene evidenziata la crescita nel tempo della instabilità contrattuale che, a sua volta, riflette la situazione di crisi economica del Paese. La maggioranza quasi assoluta degli occupati (49,7%) dichiara di essere stata assunta entro tre mesi dalla qualifica/diploma, mentre più del 15% (17,1%) ne ha messi sei e intorno a un quarto (25,4%) un anno; altre risposte ottengono il 7,6% e lo 0,2% appena non si pronuncia. Le cifre degli ultimi tre monitoraggi risultano piuttosto oscillanti per cui non emergono tendenze chiare; rimane comunque il dato positivo che la percentuale di quanti trovano un lavoro entro i sei mesi varia nel tempo tra oltre il 60% e due terzi. Nella parte terminale del sondaggio, alla richiesta di effettuare una valutazione complessiva della propria esperienza formativa nella IeFP del CNOS-FAP, gli ex-allievi hanno fatto registrare percentuali vicine al massimo sia nel manifestare il loro grado di soddisfazione per la formazione ricevuta, sia perché sarebbero disposti a compiere nuovamente la stessa scelta e la consiglierebbero anche ad altri. Tale andamento è stato confermato dalle poche indicazioni di miglioramenti dell’IeFP del CNOS- FAP che sono state espresse dagli intervistati. In conclusione si può affermare che, sul piano quantitativo i risultati del 2017 si pongono in linea di continuità con quelli degli anni passati, mettendo in chiara evidenza che gli andamenti posi-tivi registrati precedentemente si sono ormai consolidati. Ricordiamo i principali esiti che più volte abbiamo evidenziato nei nostri articoli. Anzitutto, il monitoraggio del 2017 ha confermato il sorpas-so che si è compiuto negli ultimi sei anni, della scelta di continuare la formazione dopo la qualifi-ca/diploma, rispetto a quella di passare immediatamente al lavoro, la quale certamente sottolinea le potenzialità della IeFP di rimotivare allo studio giovani che a causa dei fallimenti sperimentati nei percorsi scolastici precedenti sono esposti al pericolo di abbandonare il sistema educativo. Inoltre, il monitoraggio rinsalda i risultatati favorevoli, ottenuti precedentemente a livello sia occupazionale che formativo, quali: l’incidenza positiva della IeFP sul passaggio dei giovani al lavoro nella coorte 15-25, quella cioè che si contraddistingue per le problematiche più serie nell’inserimento occupa-zionale; la quota contenuta degli inattivi; l’apporto significativo della frequenza della IeFP alla pre-parazione dei qualificati e dei diplomati; la brevità dei tempi di attesa per reperire un’occupazione; una valutazione generale molto positiva degli ex-allievi nei confronti della propria esperienza for-mativa nella IeFP del CNOS-FAP. Non mancano certamente alcune criticità come l’aumento della precarietà di chi viene as-sunto e un ricorso al proprio CFP per trovare un lavoro ancora non molto frequente. A queste già segnalate si sono aggiunte nel monitoraggio del 2017, tre nuove criticità che, sebbene non molto ri-levanti, non vanno però trascurate: più precisamente si tratta della diminuzione della soddisfazione nei confronti dell’IeFP salesiana, del calo di quanti la rifrequenterebbero e della riduzione degli in-tervistati che consiglierebbero ad altri di fare il percorso formativo, un andamento che in ogni caso va sempre giudicato sulla base di una percentuale dell’85% e oltre di risposte positive. Comunque, si tratta di carenze limitate e che potranno essere facilmente ovviate in tempi relativamente brevi. La possibilità di dialogare direttamente con gli ex-allievi e con le famiglie nelle interviste te-lefoniche ha consentito non solo di ascoltare le loro risposte alle domande del questionario ma anche di raccogliere il racconto del vissuto degli allievi all’interno dei CFP del CNOS-FAP in maniera informale: presentiamo qui di seguito una brevissima sintesi delle valutazioni libere date in occasione del monitoraggio del 2017. Dai giudizi emersi la frequenza del CFP è stata per gli allievi e le allieve una esperienza trasformante che ha comportato mutamenti, difficoltà, maturazioni, sacrifici e gioie. L’eco di questi cambiamenti sembra risuonare nelle parole dei genitori e degli allievi quando parlano con gratitudine dell’operato dei formatori. Potremmo dire che la formula salesiana dei CFP ha dato a molti giovani una prospettiva diversa, tutta da sperimentare. Nel CFP “l’io” molto spesso incerto e individualista nel periodo adolescenziale è diventato un “noi”, permettendo ai ragazzi e alle ragazze di identificare le loro potenzialità e di avviare il circolo virtuoso della fiducia. Molti commenti positivi hanno rafforzato le convinzioni degli operatori della Federazione sulla validità dell’offerta formativa ed educativa che caratterizza i Centri del CNOS-FAP e le criticità segnalate sono state fonte di riflessione per avviare una costante e minuziosa azione migliorativa delle attività dei CFP. Il contatto con famiglie e allievi resta in molti casi anche dopo la conclusione del percorso formativo e i ricordi degli anni vissuti presso i CFP salesiani sono pieni di affetto e riconoscenza. I giovani spesso riconoscono nei direttori, nei formatori e nei salesiani conosciuti durante l’esperienza formativa le figure attraverso le quali hanno potuto mettere a fuoco e concretizzare i propri obiettivi di vita, in un clima amicale caratterizzato da una fiducia reciproca. 4.2.4. La proposta di “Il lavoro buono”. Un manuale di educazione al lavoro per i giovani Su questa tema ci limiteremo a focalizzare, attraverso particolari momenti della storia della Federazione CNOS-FAP, la forte attenzione dedicata all’educazione al lavoro attraverso la forma-zione professionale. 4.2.4.1. “L’educazione al lavoro” nella Proposta Formativa Anche solo qualche cenno ad alcuni passaggi della Proposta Formativa della Federazione CNOS-FAP (1989) attestano la grande attenzione che la Federazione ha avuto riguardo a questo tema (Cnos-Fap, 2015, pp. 22-24). Si riporta, per memoria, un passaggio tratto dal capitolo “Cultura e professionalità nel CFP del CNOS-FAP”: La prioritaria caratterizzazione formativa della Federazione CNOS-FAP motiva la proposta di un itinerario di formazione culturale professionale che mira a: - umanizzare la formazione al lavoro e la scelta professionale; - integrare l’esperienza lavorativa nell’insieme della vita di relazione; - personalizzare la scelta e la pratica professionale all’interno delle strutture e delle procedure professionali e sociali; - inserire il soggetto con competenza professionale e vitale nel mondo del lavoro e nella società civile ed ecclesiale. Il testo prosegue riportando concreti suggerimenti di intervento: - promuovere iniziative per far acquisire agli allievi una adeguata consapevolezza del significato della scelta professionale; - approfondire la dimensione etico-religiosa della formazione e della scelta professionale; - promuovere l’assunzione graduale di una concezione del lavoro inteso come spazio sociale; - offrire opportunità per sviluppare una mentalità critica; - promuovere la cultura della formazione permanente; - fare esperienze di inserimento nel contesto civile, ecclesiale e lavorativo. Si può cogliere, da subito, la visione unitaria di una cultura che è - professionale, in quanto si focalizza sulla condizione produttiva in cui i soggetti in formazione vivono e vanno ad esercitare la loro capacità di lavoro; - umanistica in quanto inquadra la professionalità in una concezione globale dell’uomo radical-mente capace di costruire una storia a misura d’uomo e una convivenza sociale a servizio di una vita personale e comunitaria, civile ed umanamente degna; - integrale, in quanto la professionalità e il lavoro ottengono la loro piena significatività nella di-mensione etica e religiosa della vita, che in particolare motivano la ricerca e la solidarietà di tutti verso il bene comune e verso una storicità culturale aperta e stimolata dalla trascendenza. Si colgono anche, da subito, significative linee operative per realizzare l’educazione al lavoro: - far maturare la consapevolezza della scelta professionale; - cogliere nel lavoro umano storico un fattore di elaborazione di una cultura specifica; - sostenere una visione del lavoro inteso come spazio sociale nel quale si instaurano rapporti di conoscenza, di disponibilità e di partecipazione alla vita civile, alle istituzioni politiche, alle or-ganizzazioni sindacali e alle presenze ecclesiali. Sin dagli inizi, dunque, la Federazione CNOS-FAP ha messo a fuoco il tema del lavoro in chiave educativa. L’attenzione specifica al «laboratorio» nel CFP e la elaborazione di una specifica collana «Problemi d’oggi» a supporto dei formatori della Cultura Generale sono state due modalità concrete – ma non le uniche - per dare attuazione a quanto auspicato dalla Proposta Formativa. Il «laboratorio attrezzato, adeguato nelle tecnologie, organizzato» è stato sempre ritenuto il primo strumento di educazione e formazione al lavoro. Gli operatori della Federazione CNOS-FAP che hanno familiarità con la storia della formazione professionale salesiana conoscono l’attenzione di don Bosco e dei suoi successori per i laboratori: «Non v’ha quindi dubbio che se noi Salesiani vogliamo lavorare proficuamente a vantaggio dei figli del popolo, dobbiamo anche noi muoverci e camminare col secolo, appropriandoci quello che in esso v’ha di buono, anzi precedendolo, se ci è possibile, sulla strada dei veraci progressi, per potere, autorevolmente ed efficacemente, compiere la nostra missione. Le scuole professionali debbono essere palestre di coscienza e di carattere e scuole fornite di quanto le moderne invenzioni hanno di meglio negli utensili e nei meccanismi, perché ai giovani alunni nulla manchi di quella cultura, di cui vantasi giustamente la moderna industria» […] Le scuole professionali «devono essere palestre di coscienza e di carattere, e scuole fornite di quanto le moderne invenzioni hanno di meglio negli utensili e nei meccanismi, perché ai giovani alunni nulla manchi di quella cultura di cui vantasi giustamente la moderna industria». È quanto afferma la prima generazione di Salesiani – siamo nel 1910 – nel presentare il Programma di Cultura Generale comune a tutti gli artigiani e i Programmi professionali per ognuno dei diversi mestieri, che voleva essere « coi tempi e con don Bosco» (Prellezo, 2013, p. 36). Gli Accordi o Intese di collaborazione con le imprese dei Settori nei quali la Federazione CNOS-FAP opera, sono il segno della volontà di continuare lungo questa strada, indicataci da don Bosco e dai suoi primi successori. La collana «Problemi d’oggi», in secondo luogo, promossa dalla Sede Nazionale e realizzata con il coinvolgimento di numerosi formatori, ha affrontato ed organizzato, con un approccio didat-tico originale, temi di Cultura Generale, temi che dovevano essere stimoli culturali per giovani orientati verso il mondo del lavoro. Di questa collana ci piace sottolineare, in modo particolare, la «modernità» metodologica e contenutistica. Ogni volume è stato impostato secondo il seguente impianto metodologico. Citiamo la presentazione riportata in ogni volumetto: L’obiettivo della collana «Problemi d’oggi» è di offrire ai docenti e agli allievi dei CFP uno stimolo e un aiuto nel processo di formazione integrale aperto alle istanze dei tempi e alle nuove metodologie. Nell’intento di creare nel giovane lavoratore la capacità critica e l’unità armonica della sua per-sonalità, il metodo di apprendimento mira a coinvolgerne, mediante il confronto con i problemi e le realtà attuali, tutta la persona, fondendo la dimensione individuale con quella sociale e comunitaria. Nell’articolazione del testo ogni argomento viene sviluppato e approntato attraverso: - stimoli - informazione - ricerca - verifica Il momento della verifica è facilitato e reso concreto mediante letture e documenti di attualità. Il lavoro è maturato in anni di ricerca, sperimentazione e collaborazione tra docenti e allievi. I temi presentano quindi l’impronta di concretezza e aderenza alla realità quotidiana del giovane lavora-tore Circa l’aspetto contenutistico, nell’arco degli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, la Sede Nazionale ha curato i seguenti volumi stampati presso la Editrice LDC: Problemi d’oggi: 1/ Il paese in cui vivi, 1986; 2/ Il mondo del lavoro, 1987; 3/ Il movimento operaio, 1988; 4/ Le ideologie politiche e la società d’oggi, 1989; 5/ Cultura oggi e società, 1991; 6/ I problemi giovanili, 1992; 7/ La famiglia, 1993; 8/ Il mio progetto di vita, 1994. Quale sussidio per l’insegnamento della religione nelle scuole secondarie superiori e nei Centri perla Formazione Professionale veniva proposto il volume Chiesa, via della salvezza, 1997. 4.2.4.2. “Educazione al lavoro» nelle Linee Guida per i percorsi di IeFP (2003) Un altro momento importante ci sembra legato al periodo della sperimentazione dei percorsi formativi di durata triennale, iniziata nell’anno 2003. Questi anni sono ricordati come gli anni delle continue riforme. La riforma legata al Ministro della Pubblica Istruzione Luigi Berlinguer (Legge Quadro in materia di Riordino dei Cicli dell'Istruzione del 2000) sostituita dalla riforma del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Letizia Moratti (Legge 28 marzo 2003 n. 53), quest’ultima preceduta dalla riforma del Ti-tolo V della Costituzione (Legge Costituzionale 3/2001). A seguire, poi, le modifiche profonde rea-lizzate dal Ministro dell’Istruzione Giuseppe Fioroni, fino al completamento della riforma comples-siva attuata dal Ministro Maria Stella Gelmini . Questi anni sono ricordati, anche, dall’avvio e dalla sperimentazione dei percorsi formativi di durata triennale, periodo in cui anche la Federazione CNOS-FAP ha svolto un ruolo molto attivo proponendo alle Istituzioni ai vari livelli un progetto complessivo e organico contenente Linee Guida generali e Guide specifiche per l’elaborazione di piani formativi personalizzati, frutto degli apporti dell’équipe della Sede Nazionale, dei Settori Professionali e di numerosi esperti coinvolti. Di questo lavoro ampio e qualificato ci preme sottolineare in questa sede, l’impostazione di fondo: l’attenzione alla valenza educativa del lavoro aggiornata alla nuova situazione: «L’elemento cardine del sistema di istruzione e formazione professionale risiede nella concezione olistica ed educativa del lavoro. Questo è inteso come una realtà composita che si rivela come opera (prodotto), azione personale e sociale e pensiero dell’uomo, ovvero frutto unitario di tutta la persona e, perciò, di ogni fattore che costituisce la realtà umana in quanto cultura. Il lavoro non è concepito come realtà esterna all’uomo, cui esso deve adeguarsi. È invece una con-dizione privilegiata attraverso cui il soggetto umano si confronta con la storia viva della civiltà, vive relazioni significative con gli altri, conosce ed esprime se stesso, agisce sulla realtà apportando ad essa un valore ed acquisendo, in tale dinamica, sempre nuove competenze. Per questo, il lavoro è concepito come occasione per l’educazione integrale della persona umana, proprio perché produrre bene, al meglio, qualsiasi cosa presuppone una persona che agisce e pensa coinvolgendo sempre tutta se stessa, l’intero della propria umanità. L’esperienza di istruzione e formazione professionale, quindi, consiste nella possibilità di fare espe-rienza, sul piano educativo, di un lavoro nel quale sia impossibile separare la teoria dalla pratica, il corpo dalla mente, la ragione dalla volontà e dai sentimenti, l’educazione intellettuale dall’educazione manuale, affettiva, sociale, espressiva, morale, religiosa, il rapporto economico da quello etico sociale, l’insegnamento dall’esempio e dalla testimonianza, la ragione strumentale da quella finale, la soggettività autonoma dalla relazione, l’indipendenza dalla dipendenza, l’istruzione dalla formazione professionale, la cultura generale da quella specifica e specialistica professionale. Così inteso, il lavoro è considerato, dai percorsi educativi dell’istruzione e formazione professionale, il giacimento educativo, culturale e didattico privilegiato che si propone all’allievo sotto forma di compiti-problemi che suscitano in esso il desiderio di mettersi alla prova in modo attivo e respon-sabile sapendo trovare quelle risposte che consentano di trasformare le proprie potenzialità in com-petenze che valorizzano conoscenze (sapere) e abilità (saper fare) consolidate nei saperi disciplinari e interdisciplinari, testimoniando in tal modo il contributo esclusivo, originale e creativo che ciascun essere umano porta anche quando svolge e ripete lo stesso lavoro di un altro. Tale impostazione comporta, in primo luogo, l’obbligo di organizzare i percorsi educativi dell’istruzione e formazione professionale con un sistematico coinvolgimento in sede di progetta-zione, di svolgimento e di verifica del mondo del lavoro. Inoltre essa implica considerare il lavoro, con i suoi compiti e i suoi problemi reali, come oggetto critico di studio e verificare se, come e quanto esso consente di realizzare le finalità del “Profilo educativo, culturale e professionale” non-ché gli obiettivi generali del processo formativo e gli obiettivi specifici di apprendimento dettati nelle “Indicazioni regionali per i piani di studio”. Ancora, questa impostazione conduce a una visio-ne del lavoro come realtà viva, non formale, che cresce con la persona, dentro la complessità sociale ed economica nella quale si svolge. A causa di ciò, i percorsi dell’istruzione e formazione profes-sionale abituano a considerare mai concluso ed autosufficiente l’apprendimento di qualsiasi lavoro, e aprono alle consapevolezze dell’educazione permanente e ricorrente che deve diventare una costante per tutti nella società e nel lavoro. Infine, quanto affermato conduce ad una visione della competenza come dimensione della persona umana sempre situata, perciò mai definibile astrattamente a priori, ma, come tale, verificabile solo a posteriori e inoltre sempre bisognosa, per essere riconosciuta, di persone competenti che la certifi-chino in azione grazie al loro giudizio» (Nicoli, 2004, pp. 13-14). Dunque, una educazione al lavoro aggiornata al nuovo contesto ma in continuità con le scelte com-piute dalla Federazione CNOS-FAP nella Proposta formativa. Va sottolineato che, in questo periodo, lo sforzo progettuale della Sede Nazionale, dei Setto-ri Professionali, degli esperti coinvolti è stato davvero notevole. La proposta, infatti, doveva tener conto del nuovo contesto istituzionale, normativo, organizzativo e progettuale. I temi affrontati sono stati numerosi: gli aspetti fondativi, la proposta di un modello di riferimento e di una coerente me-todologia, studio delle qualifiche professionali riorganizzate in comunità professionali, confronto con i modelli europei, ecc. I percorsi dovevano essere ripensati in un arco di tempo maggiore rispetto al passato: dai due anni dell’obbligo formativo ai tre o quattro anni della Istruzione e Formazione Professionale. Anche la formazione dei formatori doveva essere ripensata alla luce della nuova pro-posta. 4.2.4.3. La proposta di “Il lavoro buono. Un manuale di educazione al lavoro per i giovani” (2018) Anche in tempi molto recenti la Federazione CNOS-FAP riprende il tema del lavoro, questa volta non agganciato ad una particolare sperimentazione ma dettato dalla necessità di aggiornare l’idea di educazione al lavoro alla situazione attuale. La Federazione CNOS-FAP aveva realizzato, nel 2015, una indagine diretta da Dario Nicoli e volta a verificare la seguente tesi: se dietro alla grandissima disoccupazione giovanile, causa di una delle più grandi esclusioni delle giovani generazioni dalla vita sociale che la storia ricordi, non vi sia soltanto la crisi economica, ma un atteggiamento culturale, e di costume, di una società che ha ritenuto di sostituire al valore del lavoro – cioè della responsabilità pubblica – la prospettiva dell’estetica dei consumi, quindi dell’immagine pubblica del cittadino. Per sondare quest’ipotesi, la Federazione CNOS-FAP, avvalendosi di consulenti, ha pro-mosso un’indagine su come il lavoro viene presentato nei libri di testo dei vari corsi di studi, sia nella prospettiva dell’educazione alla cittadinanza sia in quella della storia e dell’insegnamento tecnico. L’indagine ha messo in evidenza come il tema “lavoro” non solo è un atteggiamento rilut-tante quasi che si tratti di un argomento di modesta rilevanza culturale, ma soprattutto una reale omissione come si riscontra nel caso di un tema ritenuto un vero e proprio tabù o un reale disvalore nella prospettiva della educazione dei giovani. L’esclusione del tema del lavoro dalla proposta for-mativa delle scuole sarebbe dipesa, secondo i curatori dell’indagine, da un pregiudizio di natura cul-turale e ideologica e dimostrerebbe che la disoccupazione giovanile attuale non è solo subita, ma perlomeno da una porzione non marginale della nostra società appare intenzionalmente perseguita nell’ottica di una vita che si considera umana solo quando viene liberata dal servaggio lavorativo. Il risultato della ricerca ha sollecitato i curatori ad approfondire le dimensioni culturali del problema emerso. Pertanto all’indagine sui libri di testo sono stati affiancati altri temi sulla riscoperta del valore del lavoro in un’epoca di crisi. In concreto è stata analizzata la letteratura non pre-giudizialmente critica relativa ai cambiamenti che riguardano l’area delle professioni e al tempo stesso viene offerta una riflessione compiuta sulla relazione che intercorre tra il lavoro e l’identità individuale. Un’altra sezione importante della ricerca è stata quella che approfondisce la proposta educa-tiva in alcuni Paesi di grandi tradizioni culturali: Usa, Brasile, Russia, Giappone, Cina e Turchia. In essi non solo non si riscontra l’esclusione registrata in Italia, ma si è potuto rilevare che i Paesi più attivi nella ripresa economica sono anche quelli più decisi nel proporre ai giovani il valore del lavoro come mezzo privilegiato di espressione di sé, apporto positivo al bene comune e opportunità di dare un significato profondo alla propria vita. Dopo questo lungo iter, la ricerca ha portato alla riformulazione dell’educazione al lavoro rivolta ai giovani. Determinante in proposito è l’adozione di una concezione che lo considera una esperienza fondamentale per la piena realizzazione umana e che permette alla persona di mettersi in gioco mostrando il proprio valore distintivo in quanto soggetto capace di rispondere ai bisogni e alle esigenze proprie e degli altri mettendo in gioco le proprie prerogative soggettive così da poter essere riconosciuti non da un’immagine precaria ed evanescente, ma da un ruolo legittimato dal contributo fornito in relazione al bene di tutti. In questa prospettiva ripresa economica e rilancio del valore educativo e culturale del lavoro devono andare di pari passo se si vuole veramente combattere la scandalosa esclusione dei giovani dalla vita pubblica e avvalersi della loro energia e del loro entu-siasmo per rilanciare la nostra produzione nel mondo. Tra la presentazione prevalentemente «negativa» del lavoro nei libri di testo in Italia e la ne-cessità di formulare una proposta rinnovata di educazione al lavoro, il passo è stato breve. Eccoci giunti, quindi, all’ultima opera dallo stimolante titolo: Il lavoro buono. Un manuale di educazione al lavoro per i giovani (2018). Ci limitiamo solo a tre sottolineature, rimandando alla lettura del volu-me. a. La prima è di contenuto. Perché il titolo «Il lavoro buono»? Il volume pubblicato contiene un corposo capitolo su questo particolare aspetto, importante perché fa riferimento ad una esperienza fondamentale per la piena realizzazione umana, che consente di fornire alla persona l’occasione di mettersi in gioco mostrando il proprio valore distintivo in quanto soggetto capace di rispondere ai bisogni ed alle esigenze degli altri mettendo in gioco le proprie pre-rogative soggettive, così da poter essere riconosciuti non da un’immagine precaria ed evanescente, ma da un ruolo legittimato dal contributo fornito in relazione al bene di tutti. b. La seconda è legata al lavoro nella storia. Dal momento che l’indagine ha messo in evidenza i forti limiti insiti nei libri di testo, la pubblica-zione ambisce ad offrire degli stimoli più corretti sul lavoro nella storia cercando di superare stereo-tipi e dimenticanze. Di qui la proposta di un consistente capitolo su «Il lavoro nella storia» che am-bisce completare, correggere e stimolare visioni più aggiornate di questo particolare tema. c. La terza è legata ai destinatari. A chi si rivolge questo manuale? Tra gli altri, gli studenti del secondo ciclo degli studi. Il testo, per come è formulato, può esser un testo di educazione alla responsabilità civica che, tramite un itine-rario storico, li aiuta a cogliere i dilemmi del nostro tempo e riconoscere nel “lavoro buono” una preziosa risorsa per il risveglio della nostra società; un testo di etica del lavoro per gli studenti dei percorsi tecnici e professionali, utile a coprire un grave vuoto di proposta, così che possono collocare la propria vicenda personale entro una prospettiva epica, come parte di un patrimonio comune; un testo di introduzione “alta” dei giovani alle attività di alternanza scuola-lavoro concepite come un’occasione speciale per inserirsi in modo adeguato nel reale, valorizzando le occasioni di appren-dimento e di crescita che questa propone. Dato ai formatori della Federazione, il manuale può diventare fonte di ulteriori declinazioni soprat-tutto dal punto di vista didattico; un vero laboratorio formativo. Una proposta da sviluppare, soprat-tutto, da parte dei formatori degli «assi culturali» con i giovani della IeFP e del duale. Ma questa è una storia ancora da scrivere! Al momento è importante fare riferimento a quest’ultimo percorso formativo di educazione al lavoro (Nicoli, 2018). 4.2.5. L’adattamento dell’Insegnamento della Religione Cattolica (IRC) alle esigenze della IeFP Anche su questo tema, il ripercorrere alcune tappe significative può essere di aiuto per guar-dare al futuro. 4.2.5.1. La “scelta” della dimensione etico-religiosa nella Proposta Formativa (1989) Su questo particolare ambito, l’educazione religiosa, la Federazione CNOS-FAP ha compiuto una scelta di campo sin dalle origini, la scelta della dimensione etico-religiosa quale parte integrante della Cultura Generale in quanto tale dimensione aiuta a cogliere le ragioni profonde e il significato plenario dell’attività lavorativa, della vita professionale e della formazione ad esse. E ciò diventa evidente quando si va al fondo delle questioni affrontate, oltre la pura e semplice abilitazione linguistico-comunicativa o l’informazione di tipo economico-giuridico o civico-politica. Dunque un approccio non disciplinare. Questa scelta è stata resa possibile da almeno due ragioni, una legata alla tradizione salesiana e una seconda dettata dalle opportunità offerte dalla Legge quadro 845/78. a. L’inscindibile legame con una ininterrotta tradizione di formazione professionale salesiana La tradizione educativa e pedagogica salesiana, in Italia e all’estero, ha avuto sempre quale scelta carismatica l’azione della formazione professionale per i giovani prossimi ad entrare nel mondo del lavoro. Tale azione si è costantemente qualificata per una sostanziale attenzione di for-mazione culturale, specifica e globale, organicamente articolata ai momenti di apprendistato vero e proprio o di tirocinio pratico all’attività lavorativa. A sua volta questa stessa attenzione ha trovato il suo senso nella precisa intenzione educativa che sorregge l’azione dei Salesiani a vantaggio dei gio-vani ed adulti dei ceti popolari. Tale intenzione educativa ha condotto i Salesiani a coniugare la formazione professionale con momenti di istruzione, con attività di orientamento, con iniziative formative e ricreative, con proposte di educazione religiosa e di catechesi, pur nella distinzione degli ambiti e dei tempi di intervento. Soggetto ultimo di questo complesso di iniziative educative sono state nel passato e sono tuttora le comunità formative che educano, non solo con l’insieme delle attività formative, ma con l’offerta di un ambiente per se stesso educativo attraverso un clima ispirato allo “spirito di famiglia salesiano” e a stili relazionali e didattici in linea con il trinomio pedagogico di don Bosco “ragione, religione, amorevolezza” nella prospettiva di formare «buoni cristiani ed onesti cittadini». Questa tradizione – afferma Carlo Nanni - si pone come “esperienza fondativa”, da cui non si può fare astrazione se si vuole intendere le posizioni attuali dei Salesiani in materia di formazione professio-nale. E nelle molteplici “questioni disputate” che si vengono ad avere e a vivere in questo campo, questa ispirazione di fondo funziona da «ragione forte» per prese di posizioni precise, identificative e distintive allo stesso tempo, nel contesto del legittimo pluralismo che la legislazione in materia permette e promuove (Nanni, 1991, pp. 89-105). b. L’impianto metodologico della formazione professionale data dalla Legge quadro n. 845/78 Una seconda ragione è data dall’impostazione della legge quadro 845/78 in materia di for-mazione professionale, impostazione che, per molti aspetti, è rimasta inalterata fino ai decenni re-centi. Questa legge è detta “legge quadro” in quanto è a fondamento dei vari sistemi formativi re-gionali, dal momento che questa materia è stata sempre di loro competenza. Per l’argomento che viene trattato, di questo testo legislativo evidenziamo solo due aspetti: l’oggetto della FP e il soggetto abilitato ad erogare il servizio. L’oggetto della formazione professionale si trova formulato nell’articolo 1: «La Repubblica promuove la formazione e l’elevazione professionale in attuazione degli articoli 3, 4, 35 e 38 della Costituzione, al fine di rendere effettivo il diritto al lavoro ed alla sua libera scelta e di favorire la crescita della personalità dei lavoratori attraverso l’acquisizione di una cultura professionale». Il testo legislativo, nel medesimo articolo, afferma che la formazione professionale è «stru-mento di politica attiva del lavoro», si svolge «nel quadro degli obiettivi della programmazione economica”, tende a favorire “l’occupazione, la produzione e l’evoluzione dell’organizzazione del lavoro in armonia con il progresso scientifico e tecnologico». In sintesi, diritto al lavoro e alla sua libera scelta, percorsi formativi imperniati su fasce di mansioni e di funzioni professionali omogenee, crescita della personalità del lavoratore attraverso l’acquisizione di una cultura professionale, nel rispetto dell’unitarietà metodologica tra contenuti tecnologici, scientifici e culturali sono gli aspetti salienti di un progetto che, progressivamente, ha dato vita ad un sistema formativo di competenza regionale, distinto da quello della scuola seconda-ria superiore. Circa il soggetto erogatore, la legge promuove nel sistema formativo professionale regionale il pluralismo dei soggetti basati sulle rispettive proposte formative. All’articolo 3, infatti, la legge-quadro fissa i principi cui le regioni devono uniformarsi per esercitare la potestà legislativa in materia di orientamento e di formazione professionale: «Le regioni esercitano, ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, la potestà legislativa in materia di orientamento e di formazione professionale in conformità ai seguenti principi: … c) organizzare il sistema di formazione professionale sviluppando le iniziative pubbliche e rispettando la molteplicità delle proposte formative». L’articolo 7, ultimo comma, stabilisce che «I programmi, che devono fondarsi sulla poliva-lenza, la continuità e l’organicità degli interventi formativi, devono poter essere adattati alle esigenze locali ed assicurare il pieno rispetto della molteplicità degli indirizzi educativi». I vari soggetti, quindi, erogatori del servizio della formazione professionale, hanno trovato in questa legge lo spazio per elaborare, per gli allievi che frequentavano i loro Centri di Formazione Professionale, specifiche «proposte formative» e «piani didattici» coerenti con la loro natura di Enti, rispettosi della normativa nazionale e regionale e rispondenti alla domanda formativa degli utenti. Questo sistema, pur diverso in tanti aspetti in quanto rispondente ai vari bisogni territoriali, convergeva progressivamente su alcuni punti. Nella maggioranza delle Regioni si delineava uno specifico percorso formativo: - Unitario-articolato in varie aree (l’area pratico/operativa, l’area tecnologica, l’area scientifica, l’area culturale, l’alternanza formazione / lavoro o stage); - breve ed essenziale (4 cicli della durata massima di 600 ore ciascuno) e centrato su fasce profes-sionali omogenee, connotate da polivalenza, organicità e continuità; - connesso strettamente alle politiche attive regionali del lavoro; - certificato mediante un attestato di qualifica, utile per l’inserimento nel mondo produttivo. Nasceva anche in Italia, secondo una suggestiva immagine di Filippo Hazon, una vera “scuola del lavoro”, alternativa e distinta dalla scuola secondaria superiore, - connotata da interventi centrati sulla professionalità e flessibile dal punto di vista organizzativo, in quanto capace di formare a ogni tipo di lavoro; - dotata di un itinerario didattico imperniato soprattutto sull’alternanza tra formazione e lavoro; - caratterizzata da una metodologia fortemente induttiva; - legata strettamente al mercato del lavoro; - attenta, oltre che alle esigenze delle imprese, anche alle esigenze educative dei suoi utenti, ossia dei giovani che l’avrebbero frequentata (Hazon, 1986, pp. 255 e ss). In conclusione tradizione salesiana, impianto metodologico-didattico e pluralismo degli Enti sono stati alla base della proposta formativa elaborata dalla Federazione CNOS-FAP ed anche della dimensione etico-religiosa. 4.2.5.2. La dimensione etico-religiosa nella “Guida di Cultura Generale” per i CFP (1991) Sin dagli inizi la Federazione CNOS-FAP ha optato per l’espressione «Cultura Generale» all’interno della quale era declinata anche la dimensione etico-religiosa. Parlando di Cultura Generale ci si riferiva al senso antropologico-pedagogico di cultura, vale a dire all'insieme di idee, valori, modelli di comportamento, tecniche espressive ed operative proprie della formazione professionale. Era detta anche “generale”, in primo luogo perché era vista con funzioni di supporto alle altre aree formative (specialmente per ciò che concerneva le abilità cono-scitive di base e le metodologie di studio e di ricerca); in secondo luogo, perché, rispetto alle altre discipline culturali, aveva assegnato, come suo oggetto specifico, l'esplorazione dell'area cosiddetta del «significato» della formazione professionale, vale a dire le idee e i valori ispiratori di fondo di tale formazione. In tal senso in alcuni luoghi si parlava anche di «area umanistica». Posta nell'insieme del corso formativo di qualificazione professionale, la cultura generale ne riceveva una doppia specificazione: a. anzitutto una intenzionalità formativa, vale a dire funzionale alla globalità delle problematiche attinenti la professionalità non riducibile quindi, ad esempio, ad un asettico insieme di informa-zioni socio-economiche; b. in secondo luogo la determinazione contenutistica propria: la prospettiva culturale del lavoro, vista sia nella sua faccia oggettiva di produzione, che nella faccia soggettiva di professionalità. Dopo l’approvazione della Legge Quadro 845/78 le Regioni hanno promosso sperimentazioni per definire il corso di formazione professionale. Di queste sperimentazioni l’area che più ha riflettuto la visione culturale del soggetto pubblico o privato è stata quella dell’area comune o uma-nistica. Una presentazione di alcune sperimentazioni, anche se solo per cenni, ne mostra le peculiarità ma anche le forti differenziazioni. Nella sperimentazione della Regione Piemonte, ad esempio, la Cultura Generale aveva come finalità quella di «promuovere nell’allievo la comprensione del mondo del lavoro nelle sue compo-nenti fondamentali – economico-organizzativo, sindacale contrattuale, sanitario-antinfortunistico e socio-culturale – per porlo in grado di produrre comunicazioni scritte ed orali ad esso sostanzial-mente riferite e di partecipare attivamente e consapevolmente alla vita di lavoro e di relazione nella sua dimensione politica, sociale, economica, culturale», (Nanni, 1985, p. 23). La sperimentazione della Regione Lazio, invece, offriva una impostazione molto neutrale in quanto proponeva, come Cultura Generale, un “Insegnamento di informazione socio – economica” pur inserito in un quadro riferito alla globalità della personalità in sviluppo e alla molteplicità dei rapporti che la formazione professionale intrattiene con i diversi mondi. Una cultura generale, quin-di, attestata sul sociale, sull’economico, sul professionale ma senza alcun riferimento esplicito al personale e ai mondi vitali della vita professionale del giovane (la cultura del sé e la cultura dell’ambiente familiare, locale, civile e, tanto meno, etico-religioso). Più articolata e ricca era la proposta di Cultura Generale contenuta nella sperimentazione della Regione Veneto. In essa obiettivi e contenuti dell'area umanistica venivano scanditi in quattro ambiti disciplinari: - lingua italiana (leggere, scrivere, esprimersi correttamente, con proprietà, essenzialità e chia-rezza); - una lingua europea (leggere e capire, con l'aiuto del vocabolario, brani del linguaggio comune e tecnico-grafici); - storia (capire e ambientare le principali vicende e testimonianze storiche dell'umanità, con par-ticolare riguardo al perìodo che va dalla Rivoluzione Industriale ai nostri giorni); - cultura civica e sociale (conoscere: la Costituzione della Repubblica Italiana e le strutture poli-tico-sociali; i problemi attuali di ordine sociale, economico, industriale, sindacale, morale, reli-gioso e della comunicazione di massa; la legislazione sociale, riguardante il lavoro in generale e il settore grafico in particolare; il contratto collettivo nazionale della categoria). Una prima bozza di proposta di Cultura Generale, elaborata nella metà degli anni Ottanta del secolo scorso dalla Federazione CNOS-FAP, si caratterizzava e si distingueva per alcuni aspetti pe-culiari rispetto alle proposte accennate sopra: a. in primo luogo per ciò che riguardava la scansione dei contenuti. La proposta faceva interagire la professionalità non solo con la trama vitale essenziale entro cui è vissuta e si espande la vita professionale: il sé, gli altri, la società, il mondo oggettivo del lavoro (come è nella proposta della Regione Veneto); ma anche con le finalità assegnate ai singoli cicli (1° ciclo = umanizzare la formazione al lavoro e la scelta professionale; 2° ciclo = socializzare l'esperienza lavorativa nell'insieme della vita di relazione; 3° ciclo = personalizzare la scelta e la pratica professionale all'interno delle strutture e delle procedure professionali e sociali; 4° ciclo = inserirsi con competenza professionale e vitale nel mondo del lavoro), nelle loro articolate dimensioni (personale, sociale, professionale, etico-religiosa). b. in secondo luogo per ciò che riguarda i presupposti teorici. È stato reso esplicito non solo il possibile apporto cristiano alla problematica del lavoro, della professionalità, della formazione professionale, ma anche la specificità del metodo educativo della tradizione salesiana per tali problemi. c. in terzo luogo per la soluzione data alla dimensione etico-religiosa della formazione professio-nale. Così si affermava nella “Premessa” della proposta: «Nella prospettiva della Guida, la dimensione etico-religiosa appartiene di essenza alla cultura generale (sia come trattazioni specifiche, sia come specificazioni possibili all'interno di ciascun tema di modulo o unità didattica) in quanto attinente all'area del significato del lavoro, della professione, della formazione professionale. Essa viene trattata nel rispetto e nei limiti di un insegnamento disciplinare e di una realtà «laicale» quale è la formazione professionale; in tal senso non va equiparata o identificata con la catechesi. Tradizioni locali o esigenze particolari degli utenti possono condurre a prevedere un insegnamento religioso a parte, senza però che questo sia a danno o porti a trascurare la presa di coscienza e l'approfondimento di tale dimensione etico-religiosa, presente nella cultura del lavoro e nella formazione professionale, a vantaggio di utenti di età evolutiva», (Nanni, 1985, p. 29). Negli anni Novanta del secolo scorso la Federazione CNOS-FAP ha aggiornata la proposta della Cultura Generale giungendo ad una nuova formulazione: la Nuova Guida di Cultura Generale per i CFP del CNOS-FAP. Scrive Carlo Nanni, nel presentare la nuova versione: «Nel quadro della proposta curricolare dei CFP del CNOS-FAP, la dimensione etico-religiosa è parte integrante della Cultura Generale, in quanto aiuta a cogliere le ragioni profonde e il significato plenario della attività lavorativa, della vita professionale e della formazione ad esse. E ciò diventa evidente quando si va al fondo delle questioni affrontate, oltre la pura e semplice abilitazione lin-guistico-comunicativa o l'informazione di tipo economico-giuridico o civico-politica. La dimensione etico-religiosa esige uno specifico approfondimento proprio in ordine ad una for-mazione professionale competente e motivata, collocata nell'insieme della vita professionale e co-munitaria. Posta in tale quadro di riferimento, essa viene iene trattata nei limiti e nei modi tipici alla proposta curricolare dei CFP del CNOS-FAP e secondo la strategia pedagogico-didattica propria. Peraltro essa trova completamento e deve cercare coordinazione ed integrazione con le forme di catechesi e con le altre attività formative extracurricolari di tipo religioso che i Centri propongono lungo l'itinerario formativo, in linea con il loro preciso impegno educativo che mira ad una educa-zione globale delle persone degli utenti e con la tradizione pedagogica salesiana. A loro volta queste iniziative extra-curricolari non sostituiscono lo specifico approfondimento etico-religioso curricolare, né si sovrappongono ad esso, sia per contenuti, sia per metodi, sia per finalità dirette e specifiche. Le une e l'altro sono piuttosto da vedere in termini di complementarità e di apporto ad una strategia pedagogica globale, coerente e coordinata. In caso contrario verrebbe ad incrinarsi l'organicità della formazione professionale; si rischierebbero spaccature formative tra quanto viene appreso nell'una e nell'altra sede di apprendimento; si verrebbe a pensare la dimensione etico—religiosa come un corpo estraneo agli intenti della forma-zione professionale, imposto forzatamente dall'ente gestore agli utenti. Ad evitare tale perdita di significatività, potrà essere utile ponderare accuratamente, in sede di programmazione formativa, le modalità di approfondimento della dimensione etico-religiosa, nell'insieme degli interventi formativi, curricolari ed extracurricolari dei diversi Centri e secondo i diversi tipi di intervento o di progetti. E sarà preziosa l'opera di un qualche coordinatore, che curi l'attuazione organica dì quanto si è programmato a livello di Centro e a livello di corso o di progetto (Nanni, 1991, pp. 101-102)». 4.2.5.3. Un sussidio organico elaborato con il coordinamento di Giuseppe Ruta (2007) Una esplicitazione aggiornata degli obiettivi della Cultura Generale elaborata negli anni Novanta del secolo scorso è stata realizzata dalla Federazione CNOS-FAP nel 2007, avvalendosi del coordinamento di Giuseppe Ruta. L’aggiornamento era reso necessario dall’evoluzione normativa riguardante la formazione professionale: l’introduzione dell’obbligo formativo prima (1999) e del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione poi (Legge n. 53/03), evoluzione che davano vita ad una nuova stagione di speri-mentazione dei percorsi formativi di durata triennale e quadriennale. Nel suo insieme l’opera realizzata si componeva di una “Guida” per i formatori e tre volumi per gli allievi. La Guida per i formatori aveva come titolo stimolante “VIVERE… Linee guida per i formatori di Cultura etica e religiosa nei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale”. Il percorso formativo di durata triennale era scandito dalla proposta etica e religiosa contenuta in tre volumi: VIVERE IN … 1. L’identità. VIVERE CON … 2. La relazione. VIVERE PER … 3. Il progetto. Rinviando alla lettura dell’opera per una sua conoscenza approfondita, in questa sede ci li-mitiamo ad illustrarne l’impianto complessivo anche per cogliere gli aspetti nuovi rispetto alle for-mulazioni precedenti. «Tre + una. Le grandi aree tematiche Nella strutturazione dei contenuti della Cultura etica e religiosa si è cercato di offrire una proposta unitaria e differenziata che potesse garantire concretamente l’apertura, l’orientamento e la flessi-bilità. È bene dichiarare i criteri dall’inizio. - La suddivisione tematica in quattro aree di cui tre “in verticale” ed autonome (identità - rela-zionalità - progettualità) e una “trasversale” e correlata alle precedenti (responsabilità) non solo permette una scansione temporale triennale (un’area per ogni anno), ma anche può offrire mate-riali per una proposta adeguatamente articolata per un secondo livello di FP. La scansione tripartita o quadripartita non è rigida, ma può garantire una buona flessibilità di-dattica (ad es. spigolando i nuclei tematici che interessano o privilegiando le UA “obbliganti” e tralasciando quelle «opzionali» d’amplificazione contenutistica). È possibile anche combinare insieme le UA per ottenere moduli ad hoc in vista di particolari finalizzazioni didattiche. Ad es. l’abbinamento delle prime UA delle tre aree può offrire un pacchetto di carattere antropologico di base, intersecando la ricerca d’identità, la sfera relazionale e la progettazione di sé in un unico movimento formativo. Si lascia al formatore e al team dei docenti-formatori la possibilità di associare le UA offerte. - Si tende a garantire sia la dimensione cognitiva sia quella riflessivo-esperienziale della CER nei CFP. Il motivo fondamentale che raccorda il cammino è la centralità del soggetto in formazione in corre-lazione con la proposta etico-religiosa del cristianesimo, dato che si sente forte e insopprimibile: «la necessità di accompagnare la persona nella scoperta di se stessa e delle sue ricchezze interiori, di speri-mentare la comunicazione gratuita e vera di questa sua ricchezza e di quella degli altri, accettati come diversi, ma non considerati come un pericolo, di imparare a pensare ed a vivere la propria esistenza come vocazione e missione al servizio degli altri nel mondo» (Domenech Corominas, 1998). Graficamente si ha: 1 IDENTITÀ 2 RELAZIONALITÀ 3 PROGETTUALITÀ 4 R E S P O N S A B I L I T À etica personale etica sociale etica progettuale Questo impianto ha richiesto una ricalibratura dei contenuti possibile mediante una migliore es-senzializzazione e una più adeguata disposizione metodologica «specifica» dei CFP. Per ogni area, che contempera nel proprio ambito dinamiche antropologiche e teologiche, sono of-ferti in connessione sinottica i prerequisiti (come indicatori analitici della situazione iniziale dei soggetti e dei loro requisiti di base), gli obiettivi (come competenze che i soggetti sono chiamati a perseguire), i nuclei tematici (i contenuti esperienziali e culturali da proporre) e degli esempi di sussidiazione. Sono evidenziate con () le Unità di Apprendimento ritenute centrali e in qualche modo obbligatorie, distinte da quelle secondarie che secondo le opportunità possono essere tralasciate ()» (Ruta, 2007° pp. 29-30; 2007b; 2008a; 2008b). La proposta, così articolata, non voleva essere un testo per l’insegnamento della Religione Cattolica ma aveva solo l’ambizione di offrire uno strumento organico e compiuto negli obiettivi e nei contenuti da offrire ai formatori che erano impegnati in questa particolare area. La proposta restava, dunque, coerente con l’impostazione precedente: uno sviluppo articolato della “dimensione etico-religiosa”. 4.2.5.4. Una nuova proposta coordinata da Maurizio Lucillo (2014 e anni successivi) Varie sono state le ragioni che hanno spinto la Federazione CNOS-FAP ad aggiornare la proposta elaborata nel 2007. Una prima ragione è legata alla sperimentazione dei percorsi di IeFP. Questa, iniziata nell’anno 2003 e continuata per quasi un decennio, ha permesso di mettere a punto un percorso formativo di durata sia triennale sia di un ulteriore anno formativo con il conseguimento di un di-ploma professionale. Sotto questo aspetto la proposta del 2007 era carente perché impostata solo su un percorso di durata triennale. Una seconda ragione è legata all’evoluzione normativa. A partire dalla legge n. 53/03 il se-condo ciclo del sistema educativo di Istruzione e Formazione comprende il (sotto)Sistema dell’Istruzione Secondaria Superiore e il (sotto)Sistema dell’Istruzione e Formazione Professionale (IeFP). Il Decreto Legislativo n. 226/05, attuativo della legge n. 53/03, tra i livelli essenziali delle prestazioni relativi al secondo ciclo che dovevano essere garantiti dallo Stato, prevede all’articolo 18, comma 1, lettera c) l’insegnamento della Religione Cattolica. L’Accordo Stato Regioni del 27 luglio 2011, nel mettere a regime il (sotto)Sistema di IeFP, ha riformulato quella parte che, tradizio-nalmente, veniva denominata l’area comune. Nell’Accordo citato sono stati definiti gli standard minimi formativi nazionali delle competenze di base (competenza linguistica, competenza matema-tica, scientifico-tecnologica, competenza storico, socio-economica) che devono essere garantite al termine del 3° e del 4° anno della IeFP. In attuazione del nuovo Concordato del 1984 è stata firmata una Intesa tra il MIUR e il Presidente della Conferenza episcopale italiana per l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche (28 giugno 2012). L’Intesa prevede, per la prima volta, li-nee guida per l’insegnamento della religione cattolica nell’Istruzione e Formazione Professionale contenenti indicazioni di competenze da raggiungere al termine del primo biennio, del terzo anno e del quarto anno formativo. Uno scenario così mutato ha spinto la Federazione CNOS-FAP ad aggiornare la proposta della dimensione etico-religiosa elaborata negli anni precedenti affidando il compito all’Università Pontificia Salesiana. Il riferimento per la stesura del nuovo progetto sono state, dunque, le Linee Guida del 2012, il cui assunto fondamentale è il riconoscimento del valore della cultura religiosa e il contributo che i principi del Cattolicesimo offrono alla formazione della persona ed al patrimonio storico, culturale, civile del popolo italiano. Alla luce delle competenze da raggiungere al termine del biennio, del terzo e del quarto anno, i curatori dei volumi, Lucillo Maurizio e Roberto Romio, hanno formulato un itinerario così scandito: - l’incontro tra l’adolescente e la religione (1° anno); - i grandi temi della fede cristiana (2° anno); - le riflessioni sull’uomo (3° anno); - la costruzione della professionalità (4° anno). Nell’insieme, l’opera è composta di 4 volumetti, uno per ciascun anno formativo e una guida all’intera opera; adotta un linguaggio semplice, adatto agli allievi della IeFP; fa riferimento al vissuto e agli interessi degli adolescenti; è scandito da nuclei tematici, articolati a loro volta in una o più Unità di Apprendimento; è corredato e supportato anche da sussidi multimediali. Così si esprimono gli autori: «Punto di partenza privilegiato è la persona dell’allievo, con il suo vissuto sia interiore che relazionale, dal quale emergono interrogativi di significato, che avviano un processo di ricerca, il quale viene portato, nel contesto didattico, ad un confronto con la fede religiosa cristiana. Il sussidio è composto da una sequenza di percorsi che consentono l’accostamento a tutti i nuclei tematici che costituiscono i contenuti della fede religiosa cristiana». (Maurizio, in corso di stampa; Maurizio 2014; Maurizio 2015; Maurizio 2016; Maurizio 2017). Si tratta di un sussidio che rispecchia ancora la scelta di fondo della Federazione, la forma-zione della dimensione etico-religiosa, anche se più vicino, nella sua formulazione, ad un libro di testo per l’Insegnamento della Religione Cattolica che tiene conto delle linee guida del 2012. 4.2.5.5. Oggi ancora “Dimensione etico-religiosa” o “Insegnamento della Religione Cattolica”? La domanda, a nostro parere, non ha ancora una risposta definiva. Ci limitiamo, pertanto, a tratteggiarne i termini della questione, riportando quanto scritto recentemente su Rassegna CNOS: «Anzitutto, vale la pena ricordare il motivo principale dell’inserimento dell’Irc nell’IeFP, operato dalle Indicazioni generali per il secondo ciclo d’intesa tra Miur e Cei . In proposito va tenuto pre-sente che non è questa l’unica posizione emersa precedentemente nel relativo dibattito in quanto non era mancato chi aveva sostenuto l’inapplicabilità della normativa del Concordato sull’Irc alla IeFP perché gli attuali percorsi di IeFP, di competenza delle Regioni, pur appartenendo oggi al sistema educativo di istruzione e formazione italiano in quanto inseriti nel secondo ciclo, non sarebbero identificabili con i percorsi propri del (sotto)sistema “Istruzione Secondaria Superiore”, ma sarebbero distinti da questi, e anche perché le istituzioni formative di ispirazione cristiana sono or-ganizzazioni di tendenza che godono della libertà di elaborare nel proprio progetto educativo mo-dalità di insegnamento della religione cattolica che si articolano con un ordinamento che non coin-cide con quello pattizio. Per i sostenitori della estensione alla IeFP la ragione è da ricercarsi nell’unitarietà del secondo ciclo di istruzione e formazione, che costituisce un caposaldo delle recenti riforme a partire da quella Moratti; l’IeFP non è più solo formazione, ma anche istruzione e consente alla pari degli altri seg-menti di assolvere l’obbligo di istruzione, assicurando a tutti i giovani il conseguimento delle me-desime competenze di base. L’Irc rientra certamente nell’area comune di tutti gli indirizzi di studio del secondo ciclo e se venisse a mancare sarebbe qualcosa di essenziale che l’IeFP si troverebbe a non offrire ai suoi allievi sul piano della loro formazione integrale. Venendo ora ai problemi e alle potenzialità, un primo aspetto da considerare riguarda la catego-rizzazione che dal dettato concordatario discende per la IeFP come scuola pubblica non universi-taria. Dei tre termini, due non sollevano alcuna perplessità: la IeFP non si può certamente classifi-care come università e va qualificata altrettanto sicuramente come un servizio pubblico, anche se a gestione non statale. I dubbi emergono riguardo all’applicazione del concetto di scuola che, se deve essere mantenuto in relazione al riconoscimento dell’opportunità di assolvere l’obbligo di istruzione all’interno della IeFP, al tempo stesso va precisato che deve essere inteso come espressione generica, comprensiva di tutti i segmenti scolastico-formativi che rientrano nell’unico sistema del secondo ciclo. Tutto questo fa pensare a una estensione di natura analogica del termine alla IeFP di cui però si sono un po’ perse le tracce nelle successive riflessioni ed elaborazioni. Un secondo aspetto riguarda il rapporto tra facoltatività dell’Irc e ispirazione cristiana delle istitu-zioni formative dato che queste sono spesso frequentate in percentuali consistenti da giovani migranti di religione non cattolica, per molti dei quali lo studio dell’Irc può apparire in contrasto con la propria fede. Se è vero che l’Irc non può più essere catechesi, e di fatto non lo è più, è anche vero che la cultura di giovani e di famiglie che per le loro tradizioni non sono in grado di applicare il concetto di laicità alle tematiche di natura religiosa, può costituire un ostacolo insormontabile, anche se spesso tali problematiche sono risolte in concreto dando la priorità ai bisogni formativi degli allievi e sacrificando qualcosa della natura dell’Irc. Certamente potrebbe aiutare a trovare una soluzione equilibrata a questo problema la valorizzazione della tradizione dei CFP di ispirazione cristiana di offrire un’area di contenuto religioso, integrata o distribuita nel quadro della cultura civica o etica insegnata al loro interno, evitando comunque ogni forma di catechesi o di proselitismo perché secondo il Concordato l’Irc è possibile solo se inserito nel quadro delle finalità della scuola. Inoltre, si potrebbe potenziare quanto emerso dalla ricerca, cioè che gli allievi di religione non cattolica scelgono l’Irc per la sua valenza formativa e culturale. In ogni caso, se la facoltatività dovesse produrre numeri consistenti di allievi che non scelgono l’Irc, sorgerebbe il problema economico del supporto ad attività alternative. Infatti, ad oggi le modalità di finanziamento della IeFP non preve-dono misure specifiche per iniziative a favore dei non avvalentisi. Un altro ambito di criticità è costituito dalla formazione e dal ruolo degli Idr. Questi sono stati di-segnati dal Concordato sulla base del profilo degli insegnanti dei diversi ordini e gradi di scuola per cui la qualificazione degli Idr della IeFP risulta per vari aspetti sovradimensionata in paragone a quella di molti formatori. Ne consegue l’impossibilità di continuare nella pratica di affidare l’Irc o un insegnamento di carattere più genericamente religioso a formatori già in servizio, i quali gene-ralmente mancano dei requisiti specifici di formazione accademica in materia teologica, anche se il problema potrebbe essere risolto con l’introduzione di un regime transitorio, subordinato a interventi di formazione in servizio come si è fatto in casi simili. Oltre ai titoli, non vanno dimenticate altre due condizioni: l’idoneità da cui non può esentare l’ispirazione cristiana dell’istituzione formativa e la nomina d’intesa con l’autorità ecclesiastica per la quale si dovrà pensare a un’applicazione analogica della normativa in vigore per le scuole statali a motivo del carattere regionale dello statuto giuridico del personale della IeFP. Sempre per analogia si può pensare che l’Irc possa disporre di un’ora settimanale che, però, nella IeFP di ispirazione cristiana deve essere considerata, a parere della Cei, come minimale. Inoltre l’Irc, in quanto disciplina scolastica, deve potersi servire di propri libri di testo, ma ciò è destinato a causare problemi nell’IeFP che invece tradizionalmente tende a non utilizzare tali sussidi, come è emerso anche dai risultati dell’indagine citati sopra. Più in generale, riguardo alla dimensione di-dattica dell’Irc si può dire che la strutturazione scolastica che discende dal Concordato, caratteriz-zata da programmi, libri di testo e valutazione formale, è destinata ad essere di impedimento nel momento in cui la si trasferisce nell’IeFP, che certamente non si ispira al modello scolastico. Pro-grammi , libri di testo e valutazione formale nella IeFP, infatti, sono piuttosto lontani dalla nor-mativa scolastica, ancor più in questo periodo in cui la IeFP si connota, anche a seguito della spe-rimentazione avviata attraverso il “sistema duale” , sempre più come “agenzia per il lavoro”. In conclusione probabilmente il risultato sarebbe stato diverso se nell’inserimento dell’Irc nella IeFP si fosse tenuto conto degli aspetti validi del paradigma formativo e si fosse tentata una ibridazione tra i due modelli, scolastico e della FP. Alla luce delle considerazioni riportate in questo articolo, tuttavia, le criticità segnalate potrebbero diventare oggetto di una specifica riflessione per declinare l’inserimento dell’Irc in maniera più coerente con la normativa del sistema di IeFP» (Malizia - Pieroni - Tonini, 2017, pp. 91-110). 4.2.6. L’alleanza con le famiglie Per presentare questa tematica utilizzeremo i risultati di una ricerca sul campo realizzata dalla Sede Nazionale del CNOS-FAP (Orlando, 2014). L’indagine ha affrontato un ampio ventaglio di problematiche tra cui anche quella della collaborazione educativa tra CFP e famiglie degli allievi: in ogni caso, la nostra disamina si focalizzerà solo su tale argomento. Significativa è anche l’ottica in base alla quale si affronterà la tematica in analisi: si tratta delle opinioni di un campione rappre-sentativo di 738 iscritti al CNOS-FAP che hanno risposto alle domande di un questionario molto ar-ticolato. Una prima area di attenzione ha cercato di identificare le proposte che i Centri fanno alle famiglie degli allievi per sostenerle nello svolgimento della loro funzione educativa nei confronti dei figli. Una maggioranza relativa dei giovani (40,2%) segnala che i loro CFP hanno offerto corsi di formazione ai genitori che in maggioranza (26,8%) vi hanno partecipato qualche volta e solo poco più del 10% (13,8%) spesso. Molto meno diffuse sono, invece, le associazioni per i genitori che sono state indicate dall’11,5% degli intervistati. In sintesi, si può affermare che diversi CFP assicurano almeno una certa offerta educativa alle famiglie. Passando alla partecipazione alla vita dei CFP, sono gli incontri con i formatori ad ottenere i maggiori consensi con le segnalazioni di spesso che si avvicinano al 50% (48,4%) e quelle di qualche volta che superano un terzo (35,1%); la stessa logica della cura del proprio figlio colloca, anche se a una certa distanza ma al secondo posto sia quanto a partecipazione assidua (29,5%) che in forma meno sistematica (39,2%), il coinvolgimento nelle decisioni su situazioni educative e disciplinari problematiche. In terza posizione si situa la partecipazione ad attività di natura extrascolastica. Anzitutto, si tratta del coinvolgimento in incontri periodici e/o in assemblee di programmazione e di gestione di alcune attività interne (spesso, 24,5%, e qualche volta, 36,2%). Segue la partecipazione a feste e a celebrazioni religiose (rispettivamente 16% e 36,3%) e a manifestazioni sportive, culturali e a gite (12,5% e 30,6%). Il coinvolgimento dei genitori in attività di natura istituzionale risulta meno diffuso e fre-quente. La definizione del progetto educativo vede una partecipazione che è considerata assidua so-lo nel 15,6% dei casi, anche se una frequenza occasionale riceve con il 40,4% il massimo dei con-sensi in questo tipo di risposta. L’altra forma di coinvolgimento istituzionale riguarda la partecipa-zione agli organi collegiali dei CFP e le percentuali sono più basse: 14,5% e 37,9% rispettivamente. La tematica è stata approfondita con un’altra domanda. Il questionario ha chiesto agli allievi di precisare le ragioni che avevano spinto i genitori a non partecipare alle attività offerte alle fami-glie. Il primo motivo che viene segnalato da una maggioranza assoluta di intervistati (51,1%) consi-ste nella mancanza di tempo. Le altre ragioni si collocano a notevole distanza: meno di un quinto (17,1%) ritiene che i genitori non siano interessati alle iniziative proposte dai CFP e intorno al 10% (11,1%) si lamenta che non si sentono adeguatamente coinvolti o evidenzia che non credono di poter essere di aiuto al CFP (8,1%). Una terza tematica molto significativa riguarda le relazioni dei genitori con i formatori. Una domanda si occupa in prima istanza di verificare la qualità dei rapporti. Le risposte sono in generale positive: il 60% quasi (56,1%) dichiara che sono di reciproco rispetto; poco al di sotto del 50% (47,3%) li qualifica come sereni e accoglienti e più del 40% (43.5%) li ritiene collaborativi. Le va-lutazioni negative sono segnalate da percentuali poco rilevanti: nell’11,5% dei casi si parla di rela-zioni professionali, ma distaccate, e tra il 2% e l’1% si collocano le indicazioni più critiche come rapporti inesistenti (2,4%), freddi (2%) o conflittuali (1,1%). Successivamente vengono approfondite le ragioni della cooperazione tra genitori e formatori, sempre secondo la prospettiva degli allievi. La motivazione che ottiene la maggioranza relativa dei consensi (43,4%) si presenta piuttosto formale: la collaborazione serve per far osservare le regole da parte degli allievi. Intorno a un terzo si collocano delle ragioni più significative da un punto di vista educativo, in quanto riguardano l’accompagnamento dei giovani: più in particolare, la cooperazione mira ad aiutarli a risolvere i loro problemi (35,4%) e ad aumentare il rendimento nei percorsi formativi (33,7%). Minore rilevanza ricevono degli obiettivi che in un CFP di ispirazione cristiana dovrebbero occupare il centro dell’attenzione e cioè l’educazione morale, spirituale e religiosa; tuttavia essi sono presenti e operanti nei CFP del CNOS-FAP e le percentuali non sono troppo basse perché si collocano tra il 30% e il 20% e riguardano le finalità di migliorare i comportamenti degli allievi (28,9%), sviluppare le doti personali (22,8%) e trasmettere valori (19,6%). La collaborazione non incide su un aspetto importante dell’educazione della personalità dei giovani e cioè l’aiuto a scegliere gli amici, mentre stupisce che più di un quinto degli intervistati non abbia preso posizione sulle ragioni della cooperazione tra genitori e formatori. La valutazione sufficientemente positiva dei rapporti tra le famiglie e i CFP trova un riscon-tro indiretto nelle percentuali veramente modeste di quanti segnalano la presenza di aspetti conflit-tuali. Appena intorno al 10% lamenta casi di disaccordo sui voti (11%), sul rendimento complessivo (9,8%) o sulla gestione della classe (8,5%). Egualmente pochi sono quelli che riferiscono tensioni sul comportamento disciplinare (8,7%), sullo stile di vita complessivo degli allievi (7,2%) e sui rapporti con i compagni di classe (4,9%). Sulla base di tutti i risultati della ricerca si è riusciti a costruire tre tipologie di famiglie di cui presenteremo quelle caratteristiche che interessano le tematiche qui in esame. La metà quasi degli intervistati (47,9%) appartengono a famiglie che si possono considerare sane e normali. Le ragioni di questa valutazione vanno viste nella natura delle relazioni tra genitori e figli in cui generalmente prevale intesa e accordo. Questo si riscontra anche per i rapporti tra le famiglie, i formatori e i CFP del CNOS-FAP che risultano, come si è visto sopra, collaborativi, accoglienti e di reciproco rispetto. Il clima d’intesa riguarda sia l’andamento negli studi sia soprattutto la trasmissione dei valori e l’apertura fiduciosa al futuro per cui la vita degli allievi si svolge in un orizzonte in cui la fede gode di una collocazione centrale. In questo contesto positivo i genitori si fanno coinvolgere nella vita dei CFP e gli operatori del CNOS-FAP dimostrano di conoscere sufficientemente la situazione delle famiglie. Un altro raggruppamento fa riferimento a un quinto circa degli intervistati (19,4%). Le loro famiglie si caratterizzano per una situazione che comprende al tempo stesso elementi di intesa e di conflittualità: la prima riguarda la normalità della loro costituzione e la seconda le problematiche per l’educazione dei figli. Questi ultimi lamentano relazioni non molto buone con i genitori, anche se non hanno difficoltà a parlare con la mamma. I rapporti con i formatori e il CFP sono conflittuali circa i comportamenti e gli stili di vita, mentre c’è sufficiente accordo per quanto riguarda la valuta-zione degli apprendimenti dei figli. In questo caso il coinvolgimento delle famiglie nella vita dei CFP risulta piuttosto modesto. L’ultima tipologia di famiglie comprende un terzo circa del campione (32,7%) e in un certo senso il suo identikit è un’immagine rovesciata del primo raggruppamento. Infatti, in queste famiglie prevalgono le tensioni e le difficoltà. Le relazioni dei figli con i genitori tendono ad essere pro-blematiche anche perché manca tra loro il dialogo e il codice familiare appare piuttosto variabile. I primi non considerano la fede in Dio qualcosa di rilevante per la loro vita; inoltre, il loro percorso scolastico si caratterizza per le difficoltà e gli insuccessi. I genitori tendono a non farsi coinvolgere nella vita dei CFP; tuttavia dimostrano rispetto per la struttura e i formatori, mentre la fiducia in loro e soprattutto la collaborazione vengono a mancare. In conclusione si può dire che le relazioni tra le famiglie e i CFP del CNOS-FAP sono suffi-cientemente positive. Infatti, nella metà quasi dei casi lo sono pienamente, mentre nell’altro 50%, pur essendo presenti aspetti problematici, tuttavia rimangono dimensioni che trovano consensi tra i genitori. Questa situazione non può accontentare il CNOS-FAP che fa dell’alleanza con le famiglie un elemento centrale del suo progetto formativo. La ricerca di cui abbiamo presentato i risultati principali insiste sulla necessità di farsi carico delle esigenze educative delle famiglie e di adottare le strategie più valide per instaurare con loro collaborazioni solide. Per orientamenti più dettagliati ci permettiamo di offrire dei suggerimenti relativi soprattutto alla compartecipazione/corresponsabilità dei genitori che, sebbene elaborati già da qualche anno, tuttavia mantengono a nostro parere auna loro validità almeno come quadro di riferimento (Malizia - Cicatelli - De Giorgi - Pieroni - Stenco, 2003; Malizia, 2015). 1) Nel coinvolgere i genitori nella vita della scuola/CFP non è sufficiente dare la parola e servirsi della loro consulenza, ma occorre fornire opportunità reali, che li mettano in grado di esercitare un proprio peso decisionale nell’azione formativa. 2) Inoltre pare necessario promuovere nella scuola/CFP attività specifiche per soli genitori, in forma programmatica e continuativa; tali attività infatti dovrebbero riguardare non solo iniziative a scopo ricreativo e culturale, ma anche più precisamente formativo. 3) Il coinvolgimento dei genitori non dovrebbe limitarsi all’organizzazione di attività extracurrico-lari, alla progettazione/realizzazione di manifestazioni religiose, ma dovrebbe estendersi ai pro-cessi di innovazione, alla scelta degli indirizzi e delle sperimentazioni, ai problemi disciplinari, alla determinazione degli orari e all’acquisto di strumenti e attrezzature. 4) Il riconoscimento di un ruolo dei genitori nella elaborazione del progetto educativo dovrebbe essere esteso a tutte le scuole/CFP. Ovviamente si tratterà di un ruolo complementare rispetto agli insegnanti e ai formatori, anche se non subordinato, e consisterà in una funzione consultiva e propositiva. 5) Bisogna fare in modo che non siano soltanto i genitori a venire alla scuola/CFP, ma anche quest’ultima dovrebbe andare presso le famiglie; in altre parole, spetta anche alla scuola/CFP partecipare con una presenza attiva e dinamica ai principali avvenimenti che riguardano la fa-miglia dell’allievo, così da far sentire la propria “vicinanza” e presenza anche all’interno del suo contesto di appartenenza. In tal modo l’alunno potrà sperimentare che il processo formativo non comincia con il varcare la soglia della scuola/CFP e non cessa quando egli si reinserisce nella vita sociale. 6) Risulta assai evidente la necessità che tutte le scuole/CFP si impegnino efficacemente a intro-durre e a sviluppare l’associazionismo per genitori e ad assicurare agli stessi un ruolo protago-nista e attivo nella conduzione delle scuole/CFP, in particolare la presenza e il funzionamento degli organi collegiali. 7) Nell’incontrare i genitori durante i colloqui periodici occorrerà portare l’attenzione non solo sull’andamento del figlio ma allargare la visione a tutta la vita della scuola/CFP, cosicché il ge-nitore avverta l’importanza di un progetto educativo integrale e se ne senta parte in causa. 8) Sarà necessario attivare tra scuola/CFP e famiglie degli alunni forme frequenti di comunicazione (servendosi dei vari e più moderni strumenti) che consentiranno di far entrare nelle famiglie “la voce” della scuola/CFP. In altre parole bisognerà mettere i genitori a diretta conoscenza delle at-tività svolte, delle decisioni prese, delle iniziative avviate, in modo che non si possa più dire di “non sapere”; e al tempo stesso si tratterà di invitare i genitori ad assumersi anch’essi le proprie responsabilità in rapporto a tutto ciò che si sta facendo in favore del figlio e della scuola/CFP nelle sue polivalenti espressioni operative. 4.2.7. Il Centro di Formazione per il lavoro, motore della buona formazione: prospettive di futuro Nel 2015 la Sede Nazionale del CNOS-FAP ha deciso di accompagnare il dibattito su “La Buona Scuola”, dedicando tre articoli a “La Buona Formazione” perché senza di essa non ci può es-sere buona scuola, nonostante lo “scolasticismo” di tanti politici, amministratori e pedagogisti del nostro Paese. Riproponiamo qui di seguito in buona parte il testo dell’ultimo saggio pubblicato su “Rassegna Cnos” che ha chiuso il dibattito, occupandosi soprattutto delle dimensioni comunitarie e organizzative in relazione con l’ambiente esterno (Malizia - Tonini, 2015a e b). Alla fine aggiunge-remo il riferimento a una nuova sfida: il CFP come impresa formativa non simulata. 4.2.7.1. Il CFP come comunità formatrice L'educazione è opera comune, presuppone un accordo di base sulle finalità, i contenuti, le metodologie da parte di tutte le componenti del centro (Malizia - Tonini, 2012; Malizia - Cicatelli - Fedeli - Pieroni, 2008). Una formazione efficace esige la costruzione di una comunità che sia allo stesso tempo soggetto e ambiente di educazione, centro propulsore e responsabile dell’esperienza formativa, in dialogo aperto con la comunità territoriale e con la domanda di sviluppo integrale della persona che proviene dai giovani. Anche nella FP la centralità della comunità formatrice significa promozione integrale delle persone; in questo caso, tuttavia, tale finalità prioritaria viene raggiunta attraverso l'acquisi¬zione di un ruolo professionale qualificato e di una specifica cultura professionale (Malizia - Tonini, 2012; Cnos-Fap, 2008 e 1989). Più in particolare la preparazione del soggetto lavoratore richiede la formazione a una serie di valori di base. Il primo di questi consiste evidentemente nella qualificazione profes¬sionale che dovrà con-sentire l'inserimento in maniera fattiva e dignitosa nel mondo del lavoro. Al tempo stesso la piena realiz¬zazione umana del soggetto lavoratore richiede la formazione della identità e della coscienza personale, la maturazione della libertà responsabile e creativa, sostenuta da conoscenze e moti-vazioni solide, lo sviluppo della capacità di relazione, di solidarietà e di comunione con gli altri, come egualmente della capacità di compartecipazione responsabile, sociale e politica. Sulla base di tali valori il destinatario della FP sarà posto in grado di esercitare un ruolo professionale specifico. Egli saprà affrontare la realtà, soprattutto quella lavorativa, con un ap-proccio globale in cui sa investire non solo la propria competenza, ma anche la propria identità personale totale; in tale accostamento si dimostrerà capace sia di mettersi in atteg¬giamento critico nei confronti anche delle conquiste del progres¬so scientifico e tecnologico, sia di far emergere nella trasfor¬mazione della realtà umana e materiale i fermenti positivi di solidarietà, di sviluppo e di servizio in vista del bene comune. Pertanto, egli potrà superare la contrapposizione artificiosa tra uomo e lavoratore e più in generale potrà vivere nel lavoro e nell'insieme della sua vicenda esisten-ziale la dimensione etico-religiosa, personale e comunitaria. In questo senso è messo in grado di ri-spondere alle complesse attese che la società post-industriale ha nei suoi riguardi. L'altro volano della centralità della formazione è costitui¬to dalla scelta di educare all'eserci-zio di una professionalità matura attraverso la proposta di una cultura che è professionale, umanistica ed integrale. In altre parole tale cultura sarà foca¬lizzata sulla condizione produttiva che, a sua volta, va inqua¬drata in una concezione globale dell'uomo e che ottiene la sua piena significatività nella dimensione etica e religiosa. Se si vuole passare agli obiettivi educativi, la FP offerta nel modello organizzativo che stia-mo proponendo dovrà fornire occa¬sioni significative per assumere e maturare conoscenze, atteggia-menti, comportamenti e abilità operative coerenti con l'esercizio efficace ed efficiente della profes-sione per cui ci si prepara o ci si riqualifica. Bisognerò anche abilitare a percepire e ad assumere gli elementi necessari per l'esercizio di un ruolo professionale adeguato. Inoltre, occorre-rà elaborare un itinerario di formazione culturale e professionale che miri a: umanizzare la for-mazione al lavoro e la scelta professionale; integrare l'esperienza lavorativa nell'insieme della vita di relazione; personalizzare la scelta e la pratica professionale all'interno delle strutture e delle procedure professionali e sociali; inserire il soggetto con competenza professionale e vitale nel mondo del lavoro e nella società. In sostanza la FP è chiamata a rispondere alla domanda personale e sociale di formazione professionale, non solo in termini quantitativi, ma anche qualitativi e globalmente umani. È a questo livello che si manifestano vari aspetti problematici. L'adeguamento dei processi di insegna-mento/apprendimento all'in¬novazione scientifico-tecnologica può risultare meramente funzionale alle imprese e tradursi in forme di selettività sociale. La domanda di autorealizzazione, se da una parte fonda l'istanza della personalizzazione dei percorsi formativi, dall'altra non è immune dal pericolo del ripiegamento nell'individualismo e nel corporativismo. Né va dimenticata la crisi delle ideologie che avevano sostenuto finora l'impegno del movimento operaio a favore della giustizia sociale o il grado particolarmente elevato di frammentazione culturale e strutturale che crea confusione e disorientamento. Sono tutte problematiche che esigono il raffor¬zamento dell'impegno per la formazione di un quadro di valori e di atteggiamenti personali di fondo Nei centri di ispirazione cristiana l’identità e l’azione educativa comunitaria trovano un ulte-riore riferimento fondativo e prospettico nella concezione cristiana della vita (Malizia, Cicatelli, Fe-deli e Pieroni, 2008; Perrone, 2008). La base è costituita anzitutto dal mistero trinitario del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, dalla dimensione comunitaria e relazionale che li unisce, dalla natura di un Dio che si manifesta come amore, paternità amorosa, dedicazione cristica e vivificazione dello Spirito, e dalla visione di una Chiesa, Corpo di Cristo e comunione che si estende in senso orizzontale e verticale. La tradizione educativa cristiana ha sempre ritenuto l'ambiente come formativo per se stesso (Nanni, 2008; Malizia - Tonini - Valente, 2008). Esso va inteso come l'insieme di elementi coesistenti e cooperanti, tali da offrire condizioni favorevoli al processo formativo in cui persone, spazio, tempo, rapporti, insegnamenti, studio, attività diverse sono elementi da considerare in una visione organica. L'ambiente formativo abbraccia l'habitat del centro e la comunità, e quest'ultima in se stessa e nella sua apertura alle famiglie, alla comunità ecclesiale, allo Stato e alla società civile. In quanto ambiente educativo cristiano, esso, per essere realmente permeato di carità e libertà, deve essere umanamente e spiritualmente ricco, caratterizzato da semplicità e povertà evangelica pur nella modernità delle attrezzature, qualificato da un clima comunitario, di partecipazione corresponsabile e di confidenza e spontaneità. Con tali punti di riferimento, perciò, il CFP di ispirazione cristiana, adottando un modello aperto di razionalità, deve promuovere l'assimilazione critica e sistematica del sapere e nell'attua-zione di questo compito si presenta come comunità formatrice che punta al coinvolgimento di tutti nell'opera formativa, alla gestione sociale da parte della comunità cristiana e alla vocazione a pro-durre cultura educativa. La comunità è perciò elemento fondante dell'educazione cristiana, poiché non si basa tanto nella tolleranza o nel semplice rispetto della libertà altrui quanto nella considera-zione dell'altro come offerta di una ricchezza che ci libera dal nostro egoismo e che si presenta con i tratti del volto di Cristo. Inoltre, se la Chiesa è anzitutto comunione, la scuola cattolica non può che definirsi in primo luogo come comunità, la quale diviene centro propulsore e responsabile di tutta la sua vita. Prima ancora che scelta pedagogica, si può quindi affermare che l'identità comunitaria del centro di ispirazione cristiana abbia un fondamento teologico nella natura della Chiesa e nella di-mensione relazionale che sottostà alla stessa Trinità e alla natura di un Dio che si rivela come amore. In questo ambiente comunitario la natura propria delle relazioni va identificata nello spirito di libertà e di carità. Come ogni vera comunità di persone, il CFP di ispirazione cristiana deve vivere di libertà e nella libertà, ma è soprattutto suo compito educare alla libertà, intesa come acquisizione di una adeguata capacità di prendere decisioni responsabili, specialmente in una società come l’attuale che tende a condizionare fortemente in senso negativo l’esercizio della libertà. Comunque, la pienezza dell’identità della comunità nel CFP di ispirazione cristiana deve essere ricercata nella carità che consiste nel lasciarsi guidare dall’amore di Dio e nel farsi servi gli uni degli altri: essa è così essenziale per la sua natura che, anche se esso insegnasse la cultura e la scienza nel modo più efficace, ma non fosse palestra viva di carità, non potrebbe essere considerato vera scuola/centro cattolico (Perrone, 2008). 4.2.7.2. Il CFP come organizzazione di servizi formativi per il lavoro A cavallo dei due millenni nei CFP si erano verificati fenomeni di involuzione burocratica (Malizia e Tonini, 2012; Malizia e Cicatelli, 2015). Infatti, non infrequentemente si notava una fo-calizzazione eccessiva sui bisogni degli operatori a scapito dei destinatari; inoltre, non mancavano casi in cui si privilegiava il controllo normativo sulle procedure rispetto alla verifica sostanziale sui risultati. In reazione a questi segnali degenerativi si è andata diffondendo l’esigenza di elaborare un modello alternativo al CFP tradizionale: più specificamente ne sono emersi tre e si tratta del CFP strategico, di quello agenziale e di quello polifunzionale. Qui ci limitiamo a ricordare sinteticamente il terzo che è quello adottato dal CNOS-FAP, mentre per la descrizione critica degli altri due riman-diamo a Malizia - Tonini, 2015a. Il modello polifunzionale, che fa capo al Cnos-Fap e alle sue ricerche, si qualifica per essere al tempo stesso formativo, comunitario, al servizio della persona, progettuale, coordinato/integrato, aperto e flessibile (Malizia - Tonini, 2012; Malizia - Cicatelli, 2015); questi aspetti sono state trattati ampiamente sopra ai nn. 2.2 e 3.3.2 per cui non verranno riesaminati qui. Ci soffermeremo invece su due dimensioni nuove che la crisi dell’ultimo decennio, in particolare quella del crollo dell’occupazione e della “desertificazione industriale del Sud”, ci hanno convinto di aggiungere (Salerno, 2015; Nicoli, 2015). Per effetto della prima problematica (Malizia e Gentile, 2015 e 2016), il CFP va considerato anche come centro di formazione professionale per il lavoro. Da qualche anno è in corso un allar-gamento delle funzioni dei centri in relazione ai servizi attivi per l’occupazione, indirizzati agli allievi dei corsi e agli adulti coinvolti nelle diverse transizioni della vita relative al loro lavoro. Di conseguenza i CFP si caratterizzano sempre di più come presidi per lo sviluppo delle risorse umane sul territorio. In proposito si prospetta la costituzione di una rete nazionale di centri al fine di para-gonare prassi e di organizzare la nuova configurazione del CFP, di stabilire collaborazioni, di rea-lizzare scambi di pratiche e di predisporre un progetto di comunicazione integrato per divulgare la notizia della loro presenza sul territorio tra le persone, gli enti e i media. La legge sul Jobs Act, n. 14/183 offre da questo punto di vista varie opportunità di sviluppo. Nel modello polifunzionale va anche prevista la creazione del laboratorio “CFP per il Mez-zogiorno”, tenuto conto delle percentuali molto elevate di dispersione scolastica e di disoccupazione giovanile che si riscontrano al Sud e del rischio di sottosviluppo permanente che questa parte del Paese corre (Svimez, 2015). Anzitutto, si mirerà a contrastare la graduale sparizione della formazione professionale nel Meridione, rilanciandola in maniera efficace. Si propone anche un modello di centro, capace di rispondere ai bisogni dei territori, comprensivo di servizi educativi e occupazionali per le persone e le imprese e in grado di raccordare recupero sociale, laboratori formativi e formule di alternanza e di diventare vivaio di ricerca autonoma del lavoro e di startup di impresa. 4.2.7.3.Il formatore come educatore professionale nella IeFP Per delineare efficacemente questa figura, bisogna partire dalle mete e dagli standard che regolano il sistema di offerta sotto forma di saperi e competenze, articolati in abilità/capacità e co-noscenze (Malizia e Cicatelli, 2015; Malizia, Nanni e Tonini, 2012; Malizia, Nicoli e Clementini, 2008; Nicoli, 2011abc e 2014). Tali mete e standard, in quanto livelli essenziali delle prestazioni, mirano alla riconoscibilità e comparabilità degli apprendimenti a garanzia degli utenti e degli altri soggetti coinvolti. Essi costituiscono il parametro di riferimento per la valutazione degli apprendi-menti dei destinatari. La competenza non è un fenomeno assimilabile al saper fare, ma un modo di essere della persona che ne valorizza tutte le potenzialità. Lavorare per competenze significa favorire la matura-zione negli allievi della consapevolezza dei propri talenti, di un rapporto positivo con la realtà so-stenuto da curiosità e volontà, in grado di riconoscere le criticità e le opportunità che si presentano, in modo che possano essere capaci di assumere responsabilità autonome nella prospettiva del servizio inteso come contributo al bene comune. L’elemento centrale di una formazione per competenze è costituito dalla possibilità di privi-legiare l’azione, significativa ed utile, in quanto situazione di apprendimento reale ed attivo che consente di porre il soggetto che apprende in relazione “vitale” con l’oggetto culturale da conoscere. Il discente è collocato in tal modo nella condizione di fare un’esperienza culturale che ne mobilita le capacità e ne sollecita le potenzialità positive. Il sapere si mostra a lui come un oggetto sensibile, una realtà ad un tempo simbolica, affettiva, implicativa, pratica ed esplicativa. Il formatore diventa, nel procedere secondo questo metodo, oltre che un esperto di una parti-colare area disciplinare, anche il “mediatore” di un sapere che “prende vita” nel rapporto con la realtà, come risorsa per risolvere problemi ed in definitiva per vivere bene. Ciò comporta, in corri-spondenza dei momenti cruciali del percorso formativo, la scelta di occasioni e di compiti che con-sentano all’allievo di fare la scoperta personale del sapere, di rapportarsi ad esso con uno spirito amichevole e curioso, di condividere con gli altri questa esperienza, di acquisire un sapere effetti-vamente personale. La metodologia propria dei percorsi di IeFP, nella logica della formazione efficace, mira a selezionare le conoscenze e le competenze chiave irrinunciabili, a disegnare situazioni di apprendi-mento per laboratori nei quali svolgere esperienze che permettano agli allievi di entrare in rapporto diretto con la conoscenza sotto forma di procedimenti di scoperta e di ricostruzione dell’oggetto co-sì da condurre ad una acquisizione autenticamente personale. Ciò consente di mettere in moto un processo di apprendimento attivo, quindi motivante e finalizzato, così da consentire una valutazione più autentica. Le risorse umane impegnate nelle attività formative devono a loro volta essere caratterizzate da una piena visione professionale fondata sulla libertà di insegnamento, non a carattere prestativo ma tesa ad una formazione efficace. Entro questo quadro, i docenti risultano in grado di operare nel-la logica del lavoro d’équipe al fine di condividere il progetto formativo e svolgere le attività colle-giali di supporto, gestire relazioni educative con i destinatari, programmare, realizzare e valutare occasioni di apprendimento attive ed efficaci all’interno di un particolare ambito del sapere, coordi-nare e collaborare entro attività a carattere interdisciplinare, impegnarsi all’esterno negli ambienti di apprendimento reali. Questa impostazione richiede il coinvolgimento di una pluralità di figure professionali e ne-cessita di una figura forte di coordinatore dell’équipe. Ciò implica un esplicito riconoscimento giu-ridico delle specificità professionali e la definizione di un adeguato organico di centro, che consenta di differenziare l’offerta formativa sia in termini di tipologie di insegnamenti, sia di orari e funzioni. Passando alla formazione dei formatori, probabilmente si è arrivati al momento in cui com-piere per quella di base un salto di qualità. Dato che nel 2007 il 60,7% possedeva una laurea, si po-trebbe richiedere per insegnare nella FP un titolo di istruzione superiore (universitaria o non univer-sitaria); in ogni caso, ciò che è decisivo a questo proposito è che gli obiettivi, i contenuti e le meto-dologie siano adeguate per preparare a svolgere il ruolo di formatore nello specifico della FP. È po-sitivo che si sia raggiunta la parità sul piano percentuale tra uomini e donne; non sarebbe però au-spicabile una femminilizzazione del corpo dei formatori perché tra l’altro comporterebbe una svalu-tazione sociale del ruolo a scapito proprio delle stesse donne. Inoltre, dovrebbero continuare i pro-cessi di ricambio generazionale che si sono registrati nella prima decade del 2000 (Malizia e Cicatelli, 2015). Per quanto riguarda la formazione in servizio, gli Enti di FP la considerano un’azione fon-damentale per l’animazione e l’affermazione della propria “proposta formativa” (Tonini, 2005). Comunque, per i particolari riguardanti il CNOS.FAP rimandiamo sopra alla sezione n. 4.2.2. 4.2.7.4.Una leadership morale e condivisa per la formazione La concezione di leader a cui facciamo riferimento si colloca all’interno dei modelli comuni-tario o collegiale e soprattutto culturale di organizzazione (Bush, 2008 e 2010; Malizia - Tonini, 2015) e di una concezione integrata tra leadership istruttiva (instructional) e trasformativa (tran-sformational) (Paletta, 2015; Bush, 2008). a. Una definizione della leadership In primo luogo, l’attenzione va focalizzata sulla dimensione valoriale del ruolo del dirigente la cui autorità e influsso devono fondarsi anzitutto su una concezione adeguata del giusto e del be-ne. Ciò che è centrale è «la capacità di agire in un modo che è congruente con un sistema morale e rimane tale nel tempo». Il leader morale si può definire come un dirigente che «è in grado di: testi-moniare una coerenza piena tra principi e prassi; applicare i principi alle nuove situazioni; creare una mentalità e una terminologia condivise; spiegare e giustificare le decisioni in termini morali; reinterpretare e riaffermare i principi se necessario» (Bush, 2010, pp. 184-185). Nel contesto in cui viviamo è certamente di particolare importanza la funzione, che potrem-mo definire di “management dei significati” per cui il leader è chiamato impegnarsi a favore del de-linearsi di sistemi di significati educativi condivisi fra i differenti soggetti (Sergiovanni, 2002, 2000, 2009). Ci sembra che in questo momento uno dei mali maggiori che travaglia la scuola e la FP sia l’incapacità di insegnanti/formatori e di studenti/allievi di dare e di trovare un senso profondo nelle cose che fanno a scuola/centro per cui mancano di passione, di entusiasmo e di motivazioni profonde nel loro mestiere di docenti/formatori e di studenti/allievi: pertanto, diventa necessario e urgente che il leader li aiuti a recuperare significato e ragioni dell’educare e dell’essere educati. Tutto ciò è ancora più vero per i CFP di ispirazione cristiana dove visione e missione hanno la loro giustifica-zione ultima nel messaggio del Vangelo. In questa direzione è anche interpretabile il processo di “dematerializzazione” che interessa le organizzazioni e in particolare la scuola/centro nel senso cioè di una minore importanza attribuita alle variabili strutturali a favore della preminenza dei soggetti che ne fanno parte, assieme ai quali si attivano processi di co-costruzione di una cultura condivisa, la quale, poi, fonda proprio quegli stessi processi. Dunque, il nuovo perno della professionalità del personale dirigente sembra essere costituito dalla capacità di dialogo e di mediazione fra differenti soggetti e il centro viene così a configurarsi come “CFP dei significati”, in cui i vari soggetti sono portatori di senso per la vita attraverso la loro specifica professionalità e il leader diventa il gestore delle mediazioni culturali perché tutto assuma e mantenga natura formativa. A questo punto conviene richiamare i più importanti principi organizzativi che costituiscono il quadro di riferimento del nostro modello di leader. Anzitutto, egli è un professionista riflessivo nel senso che il suo operare è caratterizzato dalla circolarità fra teoria e pratica e attinge contempo-raneamente a tre fonti: la scienza, l’esperienza e l’intuizione creativa. L’agire dei professionisti si fonda su una intuizione informata dalla teoria e dalla pratica: infatti, la scienza spiega i fenomeni, ci aiuta a criticare le pratiche, ma non le produce; le pratiche professionali nascono dall’esperienza at-traverso tentativi ed errori e sforzi intuitivi, ma vanno valutate dalla teoria; a sua volta l’intuizione creativa viene facilitata dalla scienza e va resa fattibile attraverso l’esperienza. Passando sul piano più strutturale, un principio importante riguarda le strategie per realizzare l’integrazione nel centro. Mentre nel passato il mantenimento dell’unità veniva affidato princi-palmente a modalità di carattere gestionale come il controllo e la gestione, ora in ambienti molto di-namici, con relazioni deboli sul piano organizzativo, che richiedono prestazioni straordinarie, anche per l’effetto dell’introduzione dell’autonomia, le varie componenti devono ricercare il collegamento in primo luogo nei valori. In altre parole l’integrazione gestionale e strutturale si completa e si supera in quella culturale. A sua volta la progettazione assume un carattere strategico e non più dettagliato. Ciò significa definire gli orientamenti di fondo, creare consenso sulle finalità, dare autonomia, assegnare responsabilità e valutare processi e risultati, garantendo che le azioni educative incarnino i valori condivisi. Ciò che è decisivo sono le capacità di autogestione, cioè la capacità delle varie componenti di sapersi gestire e collegare con le mete concordate. Per assicurare il consenso dei vari attori, il primo passo da fare è scegliere una modalità normativa che ottiene l’adesione delle persone perché queste sono convinte della validità delle attività formative poste in essere e percepiscono il loro coinvolgimento come intrinsecamente soddisfacente: su questa base si sviluppano i requisiti di lavoro, si decidono gli interventi da realizzare e si procede alla loro verifica. Particolarmente importante è la strategia motivazionale che non dovrebbe essere più princi-palmente “remunerativa” per cui viene fatto solo quello che è ricompensato e non viene fatto quello non è ricompensato, ma invece “espressiva”, nel senso che quello che è ricompensante, che mi rea-lizza, viene fatto e bene, o “morale”, nel senso che si è disposti a realizzare con impegno tutto quello che si ritiene buono e giusto. Il controllo dovrà basarsi sulla socializzazione professionale come strategia di lungo termine, cioè sulla formazione iniziale e in servizio, mentre nel breve e nel medio ciò che conta è arrivare a scopi e valori condivisi che possono offrire il collante che unisce le varie componenti in organizzazioni a legami deboli e in continuo cambiamento come i centri. b. Le funzioni del dirigente Incominciamo da quelle generali (Malizia - Bocca - Cicatelli - De Giorgi, 2004; Sergiovanni, 2002, 2000, 2009; Malizia - Tonini, 2015). - La funzione tecnica che consiste nell’uso di valide tecniche di gestione (pianificazione, gestione del tempo, coordinamento, programmazione, organizzazione ed altre). Una buona gestione tec-nica del lavoro formativo resta indispensabile per il funzionamento dei centri, in quanto assicura un senso di affidabilità, continuità ed efficienza. - La funzione di gestione delle relazioni umane che si esprime nella capacità di rapportarsi con le persone, si esplica nel sostegno al miglioramento e ha come base la motivazione e lo sviluppo degli allievi e del personale, a partire da quello formativo, nella prospettiva della collegialità e dell’autonomia. - La funzione educativa in senso stretto che deriva dalla conoscenza esperta dell’educazione e fa percepire il dirigente come leader riconosciuto dai propri docenti (formatore di insegnanti in quanto ha una forte pratica didattica maturata sul campo). - La funzione simbolica che parte dalla funzione di “capo” con cui il leader viene percepito e dal suo ruolo di rappresentare l’unità del centro. In particolare questa forza simbolica si esprime nella capacità di finalizzazione, di visione, o di far cogliere il senso delle cose, di indicare le priorità, di orientare ed identificare le varie componenti del centro e interpretare i loro sentimenti e aspettative; - La funzione culturale che è la forza chiave per creare un’identità condivisa attorno ai valori di-stintivi del centro, per inserire i nuovi collaboratori e allievi, per costruire un pensiero comune e una comunità formatrice. Il compito della leadership come costruzione di cultura è quello di in-fondere valori, creando l’ordine morale che lega il leader alle persone attorno a lui. Praticare le funzioni simbolica e culturale rappresenta oggi la base per la costruzione di una comunità formativa di successo e attraversa dinamicamente tutte le altre dimensioni “ordinarie” del lavoro formativo (tecnica, umana ed educativa). La leadership va esercitata in funzione del contesto. Per dirigere un centro efficace occorre tener conto di diverse possibili strategie: - quella basata sullo scambio, in cui le varie parti operano in nome di rapporti di forza e di con-venienze reciproche; - quella basata sulla costruzione, come offerta di condizioni che permettono di crescere con uno sforzo comune; - quella basata sull’unione, come capacità di valorizzare le relazioni tra le persone a partire dal riconoscimento della leadership; - quella basata sul legame, come riconoscimento di un “noi” e dell’autorità morale del leader in nome di idee e valori comuni. Il personale direttivo dovrebbe creare le seguenti condizioni: - sviluppare i valori comuni, trasformando i collaboratori da subordinati (che rispondono a pro-cedure e regole) in una comunità di leader (che rispondono ad idee e valori); - costruire in loro capacità di iniziativa, di autocontrollo, di autogestione e di auto-responsabilizzazione; - sviluppare l’empowerment (conferimento di potere) attraverso la delega e lo stimolo dell’iniziativa, ma chiedendo anche conto dei risultati; - esprimere capacità di realizzazione, passando da un potere su ad un potere per, dal controllo all’influenza e alla facilitazione; - sviluppare la collegialità come strategia e non come semplice adempimento, a partire dall’esempio personale di cooperazione, dal riconoscimento dei collaboratori, dalla coerenza ri-spetto ai valori conclamati; - enfatizzare la motivazione intrinseca delle persone rispetto a quella estrinseca (ricompense eco-nomiche o materiali); - assumere un orientamento alla qualità, come elemento distintivo del servizio del centro; - valorizzare la semplicità, rispetto alle architetture organizzative complesse; - riflettere in azione, evitando una navigazione a vista e promuovendo il confronto sulle buone pratiche e la ricerca educativa. Qui non si intende parlare del dirigente solo come di un professionista bensì anche dell'edu-catore, del formatore di uomini e quindi è opportuno cercare di indicare i requisiti personali. Dal punto di vista umano, siamo di fronte alla necessità di persone che presentano una forte passione per la relazione di servizio e per l'educazione in genere, persone che concepiscono il fe-nomeno educativo come una compartecipazione di diversi soggetti e non come espansione di uno stile proprio che si impone. Occorre anche una buona dote di ottimismo e di spirito di intrapresa, congiunta alla capacità di contenere ansia e preoccupazioni evitando di investire di tutto questo ogni collaboratore. Dal punto di vista professionale, il personale direttivo deve possedere una notevole cono-scenza del sistema educativo di istruzione e di formazione sul piano giuridico, istituzionale, meto-dologico e delle procedure operative. Esso necessita nel contempo di una capacità di individuazione del senso di tutti questi processi, pur non dovendo necessariamente diventare specialista in ognuno di essi, al fine di delineare uno stile gestionale organico ed orientato alla qualità. Ciò significa saper cogliere nell'insieme dei processi di cui si è responsabili le componenti di coerenza o non coerenza con il disegno adottato ed inoltre i segnali di conferma o smentita dello stesso, comprese le oppor-tunità future. Le sue competenze professionali dirette si riferiscono all'ambito delle relazioni interne, con la gestione dei collaboratori e la guida dell'organizzazione, ed inoltre a quello dei rapporti esterni, dove è richiesta la cura delle relazioni di rete e la ricerca delle opportunità di intervento. Tutto ciò ha una precisa ricaduta sui requisiti manageriali del personale direttivo, a cui è ri-chiesta una leadership basata sui fattori di guida, testimonianza e responsabilità. Esso deve saper esprimere da un lato il legame o l'identificazione nel progetto formativo, dall'altro la capacità di in-terpretare le opportunità ed i vincoli delineando una strategia di intervento che richiede una continua modificazione ed una capacità di indirizzo dei collaboratori verso le mete delineate. Per il dirigente/educatore cattolico che opera nei centri di ispirazione cristiana la consapevo-lezza della missione ecclesiale del centro e del suo progetto formativo conferiscono alla sua profes-sionalità caratteristiche specifiche: l'articolazione del rapporto fede-cultura-vita, il particolare signi-ficato pedagogico e teologico della comunità formatrice e il valore ecclesiale del suo servizio. 4.2.7.5. Il CFP come impresa formativa (non simulata): una nuova sfida L’esperienza formativa in contesti reali e “in assetto lavorativo” viene ritenuta sempre più oggi un’opportunità essenziale sia in vista dell’inserimento lavorativo, che in termini strettamente educativi. Il raccordo scuola/Fp lavoro, nelle riforme recenti si è realizzato soprattutto: - nella impresa formativa simulata; - nell’istituto dell’apprendistato accendendo contratti di lavoro; - nell’alternanza “rafforzata”. In generale, la scelta delle Regioni nel promuovere la sperimentazione del sistema duale è stata, secondo i monitoraggi più recenti, quella di privilegiare l’impresa formativa simulata (IFS) al primo anno e lasciare la scelta tra l’alternanza rafforzata e l’apprendistato negli anni successivi, ma con una grande eterogeneità di soluzioni che rischiano di compromettere le possibilità di una regia istituzionale nazionale. In tale deriva si può collocare anche la marginalizzazione di fatto subita dalle esperienze di “imprese formativa” (non simulata) che – al contrario – potrebbero (e dovrebbero) rappresentare un fattore di significativa discontinuità nel panorama formativo italiano, così come è avvenuto in altri paesi europei. Il Cedefop ha curato nel 2012 uno studio dal titolo Trends in VET policy in Europe 2010-12 Progress towards the Bruges communiqué, in cui vengono analizzati tra gli altri anche i progressi in materia di formazione al e sul lavoro. Tra questi, si possono ricavare interessanti elementi dalla se-zione dedicata al Work based learning e al Fostering innovative and entrepreneurial skills. Il Work-based learning rappresenta un ponte tra istruzione, formazione e lavoro. È un ap-proccio che ha una lunga tradizione in Europa, anche se le modalità organizzative e formative di ri-ferimento sono molto differenziate. Esso può essere ricondotto oggi alle teorie dell’”apprendistato cognitivo” e alle pratiche della “didattica professionale”. La formazione alla creatività e l’innovazione stanno invece diventando sempre più un aspetto decisivo dei nuovi curricoli della VET, orientati a formare skill e attitudini imprenditoriali. Solo a titolo esemplificativo si rileva come l’Austria, la Danimarca, la Francia, la Slovenia includano, ad esempio, specifici insegnamenti di “business/industry projects”. In Austria queste competenze sono parte dell’esame finale di qualifica. L’Irlanda del Nord ha lanciato nel 2011 il programma “Skills Strategy Success through skills - Transforming futures” finalizzato alla popolazione giovanile a più bassa qualificazione. Questa strategia include l’iniziativa “Made not Born programme” che inco-raggia lo sviluppo di competenze di leadership e le management skills in un ambiente aziendale reale. Anche alla luce di questi stimoli alcuni Enti di Formazione Professionale hanno deciso di cimentarsi con questa nuova sfida: l’impresa formativa (non) simulata. a Il contributo del CNOS-FAP (anno 2015) Avvalendosi della collaborazione di vari consulenti, il CNOS-FAP ha curato uno studio spe-cifico: L’impresa didattica/formativa: verso nuove forme di organizzazione dei CFP. Stimoli per la Federazione CNOS-FAP. La ricerca promossa ha: - analizzato la normativa esistente (e in corso di definizione) in materia di impresa formativa, sul piano giuridico generale, giuslavoristico, amministrativo e fiscale, comparandola a quella di altri Paesi europei (come ad esempio le “Entreprises de Formation par le travail” in Belgio o le “Stu-dent Companies” in Norvegia); - analizzato le esperienze esistenti nella Formazione Professionale in Italia (e nel privato sociale ad essa eventualmente collegato), al fine di identificare le buone pratiche e i relativi profili giuridici e modelli organizzativi più efficaci; - individuato le questioni cruciali, gli ostacoli e i possibili fattori di successo da considerare ai fini di una possibile trasferibilità del modello di “impresa formativa sociale” nei contesti degli enti di FP in Italia; - definito dei criteri guida organizzativi da proporre in eventuali sperimentazioni ad hoc promosse dal CNOS-FAP. Lo studio ha offerto, nel complesso, una sintetica rassegna di studi di caso in Europa e in Italia, una riflessione finalizzata ad individuare ed estrapolare aspetti rilevanti dei modelli organiz-zativi emergenti dalla letteratura e dallo studio dei casi analizzati, delle proposte progettuali per de-finire i possibili elementi costitutivi prioritari del modello organizzativo di un’impresa formativa nel medio periodo, e le fattispecie giuridiche e organizzative che possono essere consigliate ai re-sponsabili e agli operatori dei CFP e assunte come tali nel breve periodo (Cnos-Fap, 2015). In questo contesto la Federazione CNOS-FAP sta progettando una nuova ricerca-azione dal-lo stimolante titolo: FARE INTRAPRESA FORMATIVA. Un’alleanza vocazionale tra CFP ed im-prese madrine. Una pagina che è ancora da scrivere, ambisce ad elaborare una specifica risposta alla neces-sità di avviare una gestione integrata dei rapporti con le imprese tra servizi al lavoro e servizi for-mativi, a rinnovare il metodo relativo all’insegnamento della cultura del duale, a qualificare la pro-posta della “Intrapresa formativa – IF”, dove questa appare sempre più la formula pedagogica ed organizzativa propria del Centro di Formazione Professionale rinnovato. In questo nuovo CFP gli allievi, a parere dei proponenti della ricerca-azione, devono essere chiamati a far parte (ingaggio) di gruppi di lavoro che emulano le organizzazioni operative al fine di svolgere compiti di realtà dal valore professionale, civico ed espressivo di sé; tali compiti devono, inoltre, essere gestiti sia da imprese madrine ed enti partner nella formula della commessa esterna sia dal Centro stesso nella formula dell’autocommessa; lo stile adottato dai diversi attori, infine, è di impronta vocazionale, orientato alla scoperta dei talenti di ciascuno entro relazioni dotate di valore reale, il metodo è finalizzato all’acquisizione da parte degli allievi di una conoscenza autentica, in-tesa come capacità di padroneggiare le risorse (saperi, abilità, tratti della personalità) al fine di ri-spondere alle sfide, portando a termine compiti e risolvendo i problemi via via incontrati, in modo da fornire una risposta soddisfacente ai beneficiari della propria opera. b Il contributo di Scuola Centrale Formazione (SCF) Uno studio più recente ed aggiornato su questo tema – porta la data del 2018 - è il testo Im-presa formativa. Esperienze a confronto, curato dall’Ente Scuola Centrale Formazione (SCF). Il testo offre un quadro normativo e organizzativo più aggiornato rispetto allo studio precedente; anche questo studio analizza casi di studio europei e italiani e propone possibili itinerari da speri-mentare. Ci sembra davvero stimolante la conclusione, che riportiamo integralmente con solo qual-che adattamento grafico (Scuola Centrale Formazione, 2018): (inserito nella bibliografia?) “UNA POSSIBILE «ROAD MAP” A conclusione dell’analisi su alcuni casi relativi alle imprese formative, si può sintetizzare come la complessità dell’esperienza sia quella di perseguire obiettivi produttivi e formativi nello stesso tempo come la denominazione stessa delle imprese suggerisce. Se sono stati individuati i fattori chiave connessi alle linee guida (raccolte nei tre ambiti sopra de-scritti: partnership, organizzazione, educazione) una riflessione conclusiva può essere fatta riguardo il processo attraverso cui si può dare vita ad un’impresa formativa. Le esperienze analizzate hanno permesso di comprendere quale sia una modalità «idealtipica» (che non necessariamente deve essere seguita alla lettera da tutti coloro che vogliono promuovere espe-rienze di impresa formativa) che ha permesso lo stabilirsi e il consolidarsi delle realtà esaminate. Molto spesso la realtà è nata da una sperimentazione limitata, promossa con un progetto pilota, che ha permesso di “inquadrare” in un contesto territoriale ed economico specifico gli elementi di fatti-bilità dell’impresa. La business idea è stata successivamente approfondita e, dopo un successivo e dettagliato esame di fattibilità e sostenibilità economica (business plan) ha portato alla costituzione del primo nucleo dell’impresa. In molti casi l’iniziativa è sorta come “laboratorio molto strutturato” per poi diventare una realtà imprenditoriale a tutti gli effetti. Sulla base delle esperienze analizzate si può azzardare una “road map” (che rappresenti una sorta di percorso idealtipico a 4 step che dovrebbe seguire un Cfp o una scuola) per la costituzione di un’impresa formativa. Step 1: Dall’idea di base al legame con il territorio Ciò che si dovrebbe fare in questa fase è aprirsi a più opportunità evitando di non considerare tutte le ipotesi possibili. In un certo senso questa è la fase della creatività dove si può e si deve “guardare in grande”. Congiuntamente alla identificazione di una idea è importante stringere i legami con gli attori istituzionali e sociali del territorio. Ogni realtà formativa ha certamente legami con il territorio di riferimento che, in una fase di possibile promozione di un’impresa formativa (quando si è ancora nella fase nascente dell’idea), è imprescindibile si rinforzi per iniziare a stabilire un dialogo finaliz-zato a identificare concrete partnership (istituzionali e non) e possibili fonti di finanziamento. Step 2: Analizzare lo specifico ambito di intervento In questa fase si deve concretizzare l’idea di base (è la parte di percorso in cui le idee emerse anche in forma sommaria dalla fase precedente vengono passate all’esame di realtà) definendo: a. la business idea coerente con i percorsi formativi che si hanno in essere e/o che si vogliono atti-vare; b. le risorse necessarie; c. le eventuali azioni di fundraising e/o di attivazione di specifici progetti pilota finanziati; d. la definizione di un business plan. In questa fase è bene scegliere azioni davvero fattibili (si può sempre “aumentare” successivamente) e sostenibili nel lungo periodo. Step 3: Promuovere attività sperimentali È la fase di avvio delle attività e qui si deve soprattutto prevedere un monitoraggio costante di: a. la qualità dell’impresa formativa come agente formativo; b. la qualità dell’impresa formativa come attività di business. Ciò significa strutturare ruoli organizzativi di presidio (tutor formativo e tutor aziendale), percorsi per promuovere l’apprendimento in impresa, strumenti per valutare l’apprendimento, strumenti per valutare la sostenibilità economica. Step 4: Valutare e consolidare le esperienze L’ultimo step è quello del consolidamento. Dopo che la fase precedente ha «avuto successo» si deve consolidare (sulla base degli esiti dell’azione di monitoraggio) il modello e prevedere un suo even-tuale allargamento. In sintesi: una possibile road map per la promozione e il consolidamento dell’impresa formativa: Step Cosa fare Errori da evitare STEP 1 DALL’IDEA DI BASE AL LEGAME CON IL TERRI-TORIO  Definire più concretamente un’idea di massima  Rinforzare i legami con il territorio  Allargare le possibili ipotesi  Volere avere già la «propo-sta completa»  Rimanere ancorati ai legami esistenti  Censurare le idee sulla base della «non fattibilità prati-ca» STEP 2 ANALIZZARE LO SPECIFI-CO AMBITO DI INTERVENTO  Definire la business idea coerente con i percorsi formativi  Identificare le risorse ne-cessarie  Ipotizzare percorsi di fi-nanziamento  Definire il business plan  Non circoscrivere l’ambito di intervento e le dimensio-ni STEP 3 PROMUOVERE ATTIVITÀ SPERIMENTALI  Monitorare costantemente le attività sia sul piano del valore formativo sia su quello della sostenibilità economica  Dotarsi di strumenti  Non progettare specifici strumenti di monitoraggio STEP 4 VALUTARE E CONSOLI-DARE LE ESPERIENZE  Valutare l’impatto com-plessivo dell’esperienza  Non dotarsi di strumenti adeguati di valutazione Come accennato all’inizio di questo paragrafo, con queste brevi citazioni abbiamo voluto richiamare solamente un dibattito in corso che sta coinvolgendo la Federazione CNOS-FAP, ma non solo, nella ricerca di un nuovo modello di CFP, una pagina davvero stimolante ancora da scrivere. 4.2.8. Nuove sfide per la Federazione CNOS-FAP: Servizi al lavoro e progettazione europea Consideriamo le sfide che illustriamo brevemente come un cantiere aperto. Si tratta di attività recenti, delle quali è prematuro farne un bilancio. Tuttavia la descrizione di queste due sfide, che desideriamo si sviluppino nei prossimi anni, ci sembra importante. 4.2.8.1. La promozione dei Servizi al Lavoro (SAL) La Federazione CNOS-FAP ha messo a punto un progetto nuovo denominato «Servizi al Lavoro» (SAL). Il progetto consiste nell’apertura di « sportelli» dentro o fuori il Centro di Formazione Pro-fessionale, comunque autonomi, dotati di personale proprio, attrezzati per erogare: - servizi alla persona: informazione, accoglienza, orientamento professionale, consulenza orienta-tiva, accompagnamento al lavoro, facilitazione all’incontro tra domanda e offerta di lavoro; - servizi alle imprese: formazione su misura per le imprese, formazione delle risorse umane, con-sulenza aziendale, risposte all’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Anche i soli cenni sono sufficienti per mettere in evidenza il salto di qualità che il Centro di Formazione Professionale sta compiendo rispetto all’organizzazione precedente dove il tutor curava i rapporti con le imprese soprattutto per la realizzazione dello stage, dei tirocini e della formazione continua. Attualmente il personale dedicato allo sportello coordina tutta l’azione che il CFP compie in rapporto alle imprese e al territorio in maniera permanente e stabile. Due sono state le motivazioni che hanno spinto a promuovere questo progetto. Una prima motivazione è stata la sperimentazione del sistema duale. I CFP, come già detto anche all’interno di questo testo, hanno potenziato e rafforzato i sistemi di orientamento e di placement. Dallo stimolo a diventare CFP accreditati dal MLPS alla progettazione di uno sportello dedicato, il passo è stato breve. Una seconda motivazione è legata al potenziamento delle politiche attive del lavoro che si sta realizzando in questi anni in Italia. Come è stato riportato da una ricerca recente promossa dal CNOS-FAP, oggi, il valore complessivo degli avvisi di politica attiva regionale ha superato il valore degli avvisi rivolti alla formazione professionale. Si tratta di una linea di tendenza molto importante. L’insieme di questi fattori spinge la Federazione CNOS-FAP a realizzare in Italia una rete di sportelli che diventino, nel medio periodo, autonomi anche dal punto di vista finanziario per far sì che questa attività non gravi sui finanziamenti della IeFP che nei tempi più vicini a noi sono dimi-nuiti. Ma questa è una sfida ancora aperta. Il carattere “salesiano” e “carismatico” del servizio è stato illustrato in maniera efficace nella Linea Guida per i Servizi al Lavoro che la Sede Nazionale ha progettato: «Se ai tempi di don Bosco i fanciulli “pericolanti” erano coloro che venivano attirati dalle città dei primi opifici alla ricerca di una qualche forma di sopravvivenza, esponendosi ad ogni sorta di insidie materiali e morali, anche oggi si impone una risposta concreta ed umana all’emergenza lavoro dei giovani e degli adulti, spesso tenuti sospesi a mezz’aria, in bilico tra realtà e finzione. Una filosofia di vita fondamentalmente scettica ha sostituito l’etica del lavo-ro, ovvero l’idea di realizzare se stessi occupandoci degli altri, con l’estetica dei consumi, ov-vero la ricerca di un’identità mediante il mascheramento ed il perseguimento compulsivo di ciò che ci rende apprezzabili dagli altri (Baudrillard 1976). Liberato dalla schiavitù della routine, l’essere umano ha la possibilità di infondere nelle cose che fa, qualcosa della propria anima, ma si trova di fronte il percolo del disincantamento, che significa fare le cose per sopravvivere o farle per vendere (marketing). Il lavoro “cattivo” è quello che persegue i valori d’urto: novità (“cambiare, cambiare!”), in-tensità (avvincere) e stranezza (provocare). I prodotti ed i servizi del lavoro cattivo provocano uno stato di urgenza permanente, coltivano il “narciso frettoloso” sempre agitato, sempre in-soddisfatto. Il lavoro “buono” comporta il lavorare per gli altri, sapendo fornire loro prodotti e servizi che possano appagare le esigenze dell’animo umano, sulla base di valori di relazione: stabilità (certezza, fondatezza), durata (continuità nel tempo, ma anche miglioramento), fedeltà (essere prossimi come garanzia di risposta alle esigenze). In altri termini: l’humanitas, una concezione etica basata sull'ideale di un'umanità positiva, fiduciosa nelle proprie capacità, sensibile e attenta ai valori interpersonali, ai valori romani e ai sentimenti . Quest’ultimo valore è strettamente legato al valore della tecnica (dal greco τέχνη (téchne), "arte" nel senso di "perizia", "saper fare", "saper operare"), l'insieme delle norme applicate e seguite in una attività, sia essa esclusivamente intellettuale o anche manuale. In questo modo, si fonda un’etica del lavoro ben fatto, la disposizione propria del lavoro arti-gianale che mira a “fare bene una cosa per se stessa”, e ciò richiede necessariamente una mae-stria tale da consentire al soggetto il dominio completo dell’intera opera. Ad essa si associa l’etica dell’alterità: il lavoratore è una persona che si coinvolge nel lavoro in modo da mobili-tare le risorse buone proprie e quelle della comunità cui appartiene. La persona, per corri-spondere alla propria essenza di soggetto teso all’autenticità, è chiamata a valorizzare i propri talenti attraverso un servizio reso ad altre persone e quindi a volti umani che manifestano una richiesta da cui si genera una relazione che a sua volta implica un coinvolgimento ed una re-sponsabilità. Per questo la disoccupazione, prima che un problema economico, rappresenta un’offesa alla dignità umana ed un impoverimento del carattere sociale della vita pubblica. […] Si tratta di uno strumento dal forte carattere operativo e nel contempo aperto ad una varietà di soluzioni circa il legame che può insistere con i Centri di Formazione Professionale e le altre Opere salesiane. Pur in presenza di diverse soluzioni gestionali, rimane fermo il valore centrale che questo ser-vizio assume per l’impegno del movimento salesiano nell’attuale fase; con ciò si intende il va-lore educativo e sociale di un servizio che persegue la valorizzazione di ogni persona, nessuna esclusa, che intenda assumere un ruolo lavorativo positivo, al fine di farne emergere talenti e capacità, formare saperi e competenze, fornirgli le opportunità di inserimento nella società sulla base di un profilo di lavoro buono. Nel contempo, si intende valorizzare il ruolo delle imprese in quanto ambienti ricchi di valenze pedagogiche, soggetti che svolgono un ruolo formativo e promozionale svolto tramite l’azione economica e sociale a favore dei singoli e delle collettività (Cnos-Fap, 2014, pp 7-8; 18-19)». 4.2.8.2. La strategia della internazionalizzazione della Federazione CNOS-FAP Da qualche anno la Federazione CNOS-FAP ha messo a punto una nuova iniziativa passando dalla «occasionalità» (partecipazione occasionale a bandi) ad una «azione strutturata» (uno dei servizi permanenti di formazione e di coordinamento della Sede nazionale). La Federazione, come noto, ha, tra i suoi obiettivi, quello di favorire la cultura e lo scambio di esperienze transnazionali tra i giovani e tra gli operatori per far maturare in loro la consapevolezza di essere anche cittadini d’Europa e la crescita nella prospettiva di uno sviluppo solidale per tutti e per ciascuno. Per dare gambe a questo ambizioso obiettivo la Sede Nazionale ha organizzato un gruppo di progettazione con lo scopo di: - promuovere e coordinare tutte le attività formative di carattere internazionale; - coordinare la formazione di operatori che intendono specializzarsi in questo ambito; - costituire solide partnership europee ed extraeuropee. Partecipando alle opportunità europee, i formatori coinvolti nel progetto si sono dati anche obiettivi da raggiungere nel medio termine: - promuovere l'internazionalizzazione del profilo degli allievi e degli studenti e aumentare il loro potenziale di occupabilità; - promuovere il continuo sviluppo della professionalità del personale delle Associazioni, qualifi-cando e migliorando le loro competenze educative, pedagogiche, didattiche e tecniche; - migliorare la qualità dell’offerta formativa del CNOS-FAP e promuovere la “cultura” della for-mazione professionale a livello europeo e internazionale; - promuovere a livello internazionale il «marchio» salesiano CNOS-FAP e la visione salesiana del-la IeFP; - rafforzare a livello europeo e internazionale i legami con gli attori del mercato, al fine di miglio-rare il potenziale di occupabilità degli allievi e degli studenti; - migliorare la sostenibilità finanziaria del CNOS-FAP attraverso la promozione di una diversifi-cazione delle fonti di finanziamento pubblico-privato. Anche questo progetto, come quello richiamato sopra, è in fieri. Al momento si può afferma-re che la Federazione CNOS-FAP: - ha potenziato sia il settore progettazione della Sede Nazionale sia il coordinamento delle Asso-ciazioni regionali per aumentare le opportunità di partecipazione ai progetti europei; - cura la formazione continua degli operatori coinvolti; - sta potenziando il partenariato in Europa in ottica multiattore e dell’advocacy presso le istitu-zioni e i network UE su temi VET; - favorisce la progettazione integrata (formazione professionale, inclusione sociale, cooperazione internazionale); - colloca anche nell’ottica europea sperimentazioni italiane quali sistema duale, i servizi al lavoro, l’integrazione di soggetti vulnerabili. 5. Il retaggio dei primi 40 anni È tutt’altro che semplice delinearlo perché le iniziative sono state davvero numerose e le linee di azione risultano diversificate e complesse. C’è anche il rischio di una notevole soggettività dato che mancano studi storici adeguati e soprattutto manca il distacco necessario dagli eventi con-siderati. Alcune iniziative, poi, sono ancora in fieri. Al tempo stesso ci sembra doveroso fare un ten-tativo di redigere un bilancio, focalizzando l’attenzione sugli aspetti positivi perché sono quelli più utili per costruire un futuro altrettanto (e se possibile anche più) luminoso del passato e del presente. 5.1. Una crescita quantitativa tendenziale Ci è sembrato utile suddividere questo arco di tempo in tre periodi. Un primo bilancio lo ri-serviamo ai primi 25 anni, periodo che si caratterizzano per la nascita e per la prima crescita della Federazione CNOS.-FAP. Un secondo periodo, 10 anni circa, è legato alla prima importante speri-mentazione che ha dato vita e consistenza al (sotto)sistema di IeFP. Il terzo periodo, più vicino ai nostri giorni, è caratterizzato da una nuova sperimentazione, più breve ma ugualmente importante, l’avvio «inedito» per l’Italia del sistema duale. 5.1.1. Lo sviluppo dei primi 25 anni (1977 – 2002): un aumento quantitativo costante Nei primi quindici anni (1977-78/1991-92) l’aumento del sistema di FP del CNOS-FAP con qualche eccezione è stato in generale costante, ma al tempo stesso è rimasto entro limiti contenuti: infatti, si è restati in una fascia compresa tra il 10 e il 30% (cfr. Tav.1). Sono stati i corsi ad espan-dersi maggiormente, del 29,9%, passando da 411 a 534 e facendo quindi registrare una crescita in valori assoluti di 123. Anche i formatori registrano un andamento in costante aumento (+161 in va-lori assoluti), anche se percentualmente più contenuto dei corsi (+22,6%). Gli allievi presentano una battuta di arresto tra il 1981-82 e il 1986-87 nel senso che si riscontra una crescita zero (numeri indici 104,8 e 104,7 rispettivamente); comunque, nei quindici anni l’aumento è di 1.816, pari al 20,3% in percentuale. A loro volta, i centri sono in crescita, anche se solo di tre, da 36 a 39, e dopo aver regi-strato nel 1986-87 un aumento di 6. Tav. 1 – Evoluzione del sistema di FP del CNOS-FAP (anni scelti: in VA e IND) Sistema di FP del Cnos-fap 1977-78 1981-82 1986-87 1991-92 1996-97 2001-02 VA IND. VA IND. VA IND. VA IND. VA IND. VA IND. Centri 36 100,0 40 111,1 42 116,7 39 108,3 42 116,7 54 150,0 Corsi 411 100,0 448 109,0 477 116,1 534 129,9 698 169,8 1.125 273,7 Allievi 8.937 100,0 9.365 104,8 9.354 104,7 10.753 120,3 13.672 153,0 18.435 206,3 Formatori 714 100,0 777 108,8 827 115,8 875 122,6 880 123,2 1.177 164,8 Legenda: VA=Valori Assoluti; IND=Numeri Indici Fonte: Rielaborazione su dati CNOS-FAP Il primo balzo in avanti si realizza nel 1996-97 con gli allievi che crescono della metà (+53%; o +4.375 soggetti) rispetto all’anno della fondazione della Federazione; tra il 1996-97 e il 2001-02 continua l’espansione di un altro 50% per cui al termine dei 25 anni gli iscritti risultano più che raddoppiati (+106,3%, o +9,498). L’aumento è ancora maggiore nei corsi che tra il 1977-78 e 2001-02 sono quasi triplicati, essendo saliti da 411 a 1.125 (+714). Nel 1996-97 i Centri ritornano sui valori del 1986-87, 42 unità, e nel 2001-02 si attestano su 54 con un salto del 50% (+18) rispetto agli inizi. In questo secondo periodo (1991-92/2001-02), l’andamento dei formatori è al contrario molto contenuto e tra il 1991-92 e il 1996-97 la crescita è pressoché zero, anche se poi nel quinquennio successivo l’aumento supera il 40% e nei 25 anni si colloca al 64.8%, pari a 463. Nel 2001-02 (cfr. Tav. 2) oltre la metà degli allievi della Federazione (53,5%) frequentano corsi che in base alla terminologia della futura riforma Moratti possiamo chiamare di secondo ciclo: specificamente, più di un terzo (36,3%) è iscritto alla formazione professionale iniziale, il 10,7% ai corsi dell’istruzione obbligatoria in integrazione con la scuola e il 5,4% a corsi in integrazione con la media superiore. Un 10% quasi (8,8%) è collocato nella formazione superiore: il 7,8% nel post-diploma e l’1% negli IFTS. Il 35,8% è impegnato nella formazione sul lavoro: apprendistato (13.9%) e formazione continua di occupati e disoccupati. Gli allievi delle fasce deboli sono 343, pari al 2% circa. In sintesi, intorno agli anni 2000, si può dire che i CFP del CNOS-FAP sono diventati poli-funzionali, presentano cioè un’offerta formativa molteplice, e al tempo stesso hanno conservato la loro tradizionale attenzione alla fascia 14-18 anni. Tav. 2 – Tipologia di attività formative e di allievi (anno 2001-02; in VA e %) Tipologia di attività formative Corsi Allievi VA % VA % Istruzione obbligatoria 120 10,7 2.179 11,8 Formazione professionale iniziale 392 34,8 6.687 36,3 Integrazione scuola media superiore 58 5,1 994 5,4 Fasce deboli 30 27 343 1,9 Apprendistato 161 14,3 2.561 13,9 Post-diploma 65 5,8 1.441 7,8 IFTS 9 0,8 187 1,0 Form. continua occupati e disoccupati 290 25,8 4.043 21,9 Totale 1.125 100,0 18.435 100,0 Legenda: VA=Valori Assoluti; %=Percentuali Fonte: Rielaborazione su dati CNOS-FAP 5.1.2. Gli anni della sperimentazione dei percorsi di IeFP (2003 – 2011) Nell’anno formativo 2003-04 inizia la sperimentazione dei percorsi formativi di durata triennale in tutte le Regioni, sperimentazione terminata nel 2011 quando l’Accordo Stato – Regioni di quell’anno metteva a regime il sistema di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP). L’obbligo formativo, introdotto dalla legge n. 144/1999, la riforma costituzionale con la Legge n. 3/2001 e la legge 53/03 sono la base giuridica della messa a punto del (sotto)Sistema di Istruzione e Formazione Professionale quale articolazione del secondo ciclo. In questo contesto come ha agito la Federazione CNOS-FAP? Per rispondere a questa do-manda si sono riportare due tavole, una contenente dati globali, un’altra contenente dati regionali focalizzati soprattutto sul numero di allievi intercettati dalla sperimentazione della IeFP. Se al ter-mine dei 25 anni gli iscritti si sono più che raddoppiati, in questo decennio gli allievi che hanno fre-quentato i percorsi formativi di IeFP hanno continuato ad aumentare, come si evince dalla Tav. 3, passando da 8.842 a 13.211, anche se non in forma continua. Si registrano, infatti, variazioni in più o in meno, determinate soprattutto dalle politiche adottate dalle Regioni, le prime titolari della spe-rimentazione. In positivo si registrano i numeri consistenti di molte Associazioni regionali: Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Piemonte, Sicilia, Veneto, associazioni che hanno avviato e sostenuto la sperimentazione triennale e, in qualche territorio, anche del quarto anno, avvalendosi di una politica regionale favorevole. In negativo si riscontrano le situazioni più critiche delle Associazioni regionali operanti in Sardegna e in Abruzzo. La Regione Sardegna, avendo deciso di chiudere, in un triennio, la speri-mentazione, fa passare l’Associazione CNOS-FAP dai 1.463 allievi del 2003-04 ai 114 anel 2011. La Regione Abruzzo, che a sua volta ha chiuso la sperimentazione dei percorsi triennali, fa passare l’Associazione CNOS-FAP da 669 allievi (anno 2003-04) a 109 (2011-12). Situazioni difficili sono da registrare anche in altre Regioni che non hanno adottato la spe-rimentazione o l’hanno avviata in maniera residuale. La Regione Umbria, ad esempio, non ha avviato la sperimentazione; gli allievi riportati nella Tav. 4 frequentano corsi del diritto-dovere ma non i per-corsi formativi sperimentali. La Regione Emilia-Romagna ha allievi a partire dal secondo anno del percorso formativo triennale e la Regione Puglia ha avviato una sperimentazione di dimensioni limitate, così come la Valle d’Aosta che ha introdotto la IeFP solo dopo il 16 anno. Per debolezze interne e per scelte politiche le Associazioni CNOS-FAP Campania e Calabria non sono riuscite ad avviare attività formative in maniera strutturata. Tav. 3 – Numero allievi e corsi totali e nella IeFP (anno 2003 – 2011) Anno Allievi Allievi della IeFP Corsi Corsi nella IeFP 2003 / 2004 20.561 8.842 1.300 540 2004 / 2005 21.176 11.322 1.300 647 2005 / 2006 26.409 13.206 1.503 713 2006 /2007 25.932 14.057 1.495 766 2007 / 2008 20.609 10.369 1.295 598 2008 / 2009 18.779 12.203 1.061 614 2009 / 2010 20.100 12.620 1.173 646 2010 / 2011 22.954 13.517 1.645 740 2011 / 2012 24.779 13.211 1.749 690 Fonte: Rielaborazione su dati CNOS-FAP Tav. 4 – Allievi per Regione sulla base delle attività formative 14-18 anni (anno 2003 – 2011) 2003/2004 2004/2005 2005/2006 2006/2007 2007/2008 2008/2009 2009/2010 2010/2011 2011/2012 Abruzzo 669 1.013 490 286 208 60 121 201 109 Calabria 30 16 Campania 60 11 Emilia R. 379 517 310 313 409 475 558 384 326 Friuli-V. G. 4.123 4.505 706 607 272 272 444 1775 802 Lazio 834 1.013 904 804 849 891 891 1196 1026 Liguria 477 503 353 358 238 354 268 251 252 Lombardia 2.526 1,123 891 885 784 1163 968 1112 1296 Piemonte 4.877 5.712 4972 6482 3208 4477 4321 3456 3964 Puglia 210 143 126 224 162 150 110 102 150 Sardegna 1.463 1.885 654 384 126 90 163 649 114 Sicilia 1.739 1.772 1672 1707 2178 1928 2302 2045 2438 Toscana 17 Umbria 337 384 433 343 193 431 600 296 295 Valle d’A. 193 241 45 44 55 70 68 46 226 Veneto 2.657 2.335 1497 1538 1677 1849 1889 1995 2202 Totali 20.561 21.176 13.206 14.057 10.369 12.203 12.719 13.517 13.211 Fonte: Rielaborazione su dati CNOS-FAP 5.1.3. Gli anni della sperimentazione del sistema duale (2012 – 2017) In questa terza fase vanno sottolineati almeno due provvedimenti, rilevanti per il (sot-to)Sistema di Istruzione e Formazione Professionale. Il primo è legato all’Intesa del 16 dicembre 2010 riguardante l’adozione di Linee – Guida per realizzare organici raccordi tra i percorsi degli Istituti Professionali e i percorsi di IeFP. In pratica, nella cornice unitaria del secondo ciclo, per erogare l’offerta della IeFP, sulla base dell’Intesa possono agire sia le istituzioni formative accreditate dalle Regioni, sia le istituzioni scolastiche (gli Istituti Professionali, in particolare) con un ruolo complementare e integrativo. I monitoraggi attesteranno, in verità, che in alcune Regioni il ruolo delle istituzioni scolastiche è stato sostitutivo più che integrativo, vista la debolezza della IeFP di competenza regionale di quel territorio. Il secondo è legato all’Accordo Stato – Regioni per l’avvio di un’altra sperimentazione, quella denominata “Azioni di accompagnamento, sviluppo e rafforzamento del sistema duale nell’ambito dell’Istruzione e Formazione Professionale” (24 settembre 2015), sperimentazione di breve durata perché con la Legge di Bilancio 2018 il Governo ha reso da sperimentale a ordinamentale questa modalità. In questo nuovo contesto come ha operato la Federazione CNOS-FAP? Anche in questo secondo caso, per rispondere alla domanda, si sono riportate due tavole, una contenente dati globali, un’altra dati regionali focalizzati soprattutto sul numero di allievi nella IeFP. Prendendo il dato globale possiamo senz’altro affermare che la Federazione CNOS-FAP, nella stagione delle sperimentazioni, ha continuato a crescere. Considerando, infatti, gli allievi, i beneficiari dell’intera offerta formativa, dai 18.435 (dato dell’anno 2001-02) la Federazione è pas-sata ai 25.980 (dato dell’anno 2017-18), nonostante le drastiche riduzioni o chiusure avvenute in al-cune Regioni, già segnalate nel punto precedente. Tale conferma positiva tendenziale è confermata anche analizzando il numero di allievi rela-tivo al diritto-dovere (14 – 18 anni): dagli 8.842 (dato dell’anno 2003-04) la Federazione è passata ai 16.179 (dato dell’anno 2017-18); in pratica ha raddoppiato il numero degli allievi. In positivo, si possono registrare anche in questo arco di tempo la crescita quantitativa e l’avvio del 4° anno in Regioni dove era assente nel periodo precedente (Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Piemonte, Veneto). Analizzando i dati degli anni 2016-17 e 2017-18 più in particolare, si possono registrare crescite quantitative notevoli, per effetto della sperimentazione del sistema duale (tavv. 5 e 6). In negativo, si confermano i rilievi già segnalati sopra per alcune Regioni, soprattutto del Centro e del Sud. La Federazione CNOS-FAP non è riuscita ad avviare attività formative in maniera continuativa e stabile nelle regioni della Calabria e della Campania, ha continuato tale attività in maniera residuale in Sardegna e in Puglia, ha registrato scarsi effetti in Abruzzo e in Umbria (tavv. 5 e 6). Tav. 5 – Numero allievi e corsi totali e nella IeFP (anno 2012 – 2017) Anno Allievi Allievi della IeFP Corsi Corsi nella IeFP 2012/2013 24.489 14.220 1702 731 2013/2014 25.374 14.295 1.678 746 2014/2015 22.384 13.392 1.493 728 2015/2016 20.489 12.977 1.598 780 2016/2017 26.477 16.563 1.807 1015 2017/2018 25.980 16.179 1.708 970 Fonte: Rielaborazione su dati CNOS-FAP Tav. 6 – Allievi per Regione sulla base delle attività formative 14-18 anni (anno 2012 – 2017) 2012/2013 2013/2014 2014/2015 2015/2016 2016/2017 2017/2018 Abruzzo 74 156 56 528 125 196 Calabria 35 40 Campania 22 30 74 Emilia R. 308 328 335 396 367 416 Friuli-V. G. 1.065 1.034 649 441 655 631 Lazio 1.053 1.108 1.110 1.074 1.420 1.596 Liguria 320 285 373 234 290 296 Lombardia 1.387 1.610 1.709 1.778 2.711 2.794 Piemonte 4.195 3.666 3.807 4.224 5.562 5.471 Puglia 68 77 129 122 85 121 Sardegna 79 42 80 195 173 206 Sicilia 2.512 2,279 1.471 1.456 1.481 516 Toscana 89 138 Umbria 230 293 233 200 201 232 Valle d’A. 795 938 902 95 120 102 Veneto 2.134 2.457 2.538 2.199 3.254 3.350 Totali 14.220 14.295 13.392 12.977 16.563 16.179 A completamento di questo quadro si riporta anche la crescita quantitativa degli operatori impegnati dalla Federazione, soffermandoci soprattutto su quelli assunti a tempo indeterminato. La Federazione CNOS-FAP, iniziata l’attività con 714, è passata già a 1.177 nell’anno 2001/2012. Al termine della stagione della prima sperimentazione gli operatori si attestano a 1.333 (di cui 154 a tempo determinato). Oggi, anno 2017/2018 gli operatori sono 1.619 (di cui 277 a tempo determina-to). In quarant’anni la Federazione CNOS-FAP ha più che raddoppiato il proprio organico, segna-lando che, accanto a quello stabilizzato ruotano numerosi altri operatori coinvolti con altre modalità contrattuali. Con 40 anni di storia la Federazione CNOS-FAP si appresta ad affrontare il futuro con 15 Associazioni regionali, 5 Enti non salesiani diventati soci della Federazione e 67 Centri di Forma-zione Professionale che operano in 16 Regioni. Eroga 1.708 corsi di formazione professionale arti-colati in IeFP (970), Formazione Professionale Superiore (99), continua (288), altre attività anche non finanziate dall’Ente pubblico (351). Intercetta 25.980 allievi di cui 18.179 sono in diritto-dovere, 1.718 in formazione professionale superiore, 4.618 in formazione professionale continua, 3.465 in altre attività formative, anche non finanziate dall’ente pubblico. Per svolgere questo volume di attività coinvolge 1.342 operatori a tempo indeterminato, 277 a tempo determinato e numerosi formatori assunti con altre forme contrattuali. 5.2. L’impegno per una pari dignità della Formazione Professionale In questo caso, si farà riferimento alle parole di uno dei Presidenti del CNOS-FAP che si è battuto per la realizzazione di tale impegno. Una delle linee fondamentali costanti della politica della Federazione è consistita nella «piena valorizzazione della formazione di base di primo livello, in-novandola fortemente, come risposta alle esigenze di una larga fascia di giovani che non accedono alla scuola secondaria superiore o sono emarginati dal sistema scolastico, e come autentica risorsa per elevare la qualificazione dell’operaio e renderlo capace di rinnovamento. A questo scopo si desidera fare della formazione professionale un vero e proprio sistema […] che, nel quadro della formazione permanente, preveda interventi di primo, secondo e terzo li-vello, e rientri periodici per mettere il lavoratore in grado di affrontare i cambi sempre più incalzanti» (Rizzini, 1988, p. 176; cfr. anche Editoriale, 1987 e 1999). Fare della IeFP «un vero e proprio sistema»: ci sembra questo il filo conduttore che ha guidato la Federazione CNOS-FAP in questi 40 anni promuovendo le sue politiche formative e af-frontando, di volta in volta, le problematiche che allontanavano o facilitavano il raggiungimento di questo obiettivo. Per comprendere la fatica di questo lungo cammino può essere utile ripercorrere le tappe più importanti, anche se per cenni, della IeFP italiana nella quale la Federazione CNOS-FAP si è ci-mentata. Progressivamente, infatti, si è attuata una radicale trasformazione della valenza dei percorsi formativi offerti dalla Formazione professionale. Questo cambiamento, che ha visto alternarsi fasi critiche in cui ha prevalso un orientamento politico avverso e fasi di valorizzazione, si è concentrato, in particolare, su tre segmenti: - l’inserimento della FP nel sistema educativo di Istruzione e Formazione; - la delineazione di una filiera professionalizzante dai 15 ai 19 anni ed anche oltre; - l’inserimento nell’offerta formativa del “duale italiano” con alternanza prolungata ed apprendi-stato. 5.2.1. La Formazione Professionale nel sistema educativo di Istruzione e Formazione Mentre fino al 1999 i CFP si collocavano al di fuori dell’istruzione obbligatoria fissata in 8 anni di studio, con l’introduzione dell'obbligo formativo, sancito dall'articolo 68 della Legge n. 144 del 1999, si è avviato un percorso che ha portato con la legge n. 53 del 2003 all’inserimento della Formazione professionale nel sistema educativo di Istruzione e Formazione per l’assolvimento del diritto-dovere. Si è compiuto così un evento storico, e precisamente l’inclusione, nell’ambito del nuovo sistema educativo, del sistema di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP). Il valore storico di quanto è accaduto si può riconoscere nel confronto, per opposto, con l’introduzione della scuola media unica nel 1962 che veniva realizzata – al contrario - eliminando l’avviamento professionale, considerato come un fattore di discriminazione e diseguaglianza sociale. Mentre allora ha prevalso il criterio dell’uniformità e della unicità di un percorso formativo ge-neralistico, l’ulteriore elevazione dell’obbligo di istruzione, portato a 16 anni mediante il diritto-dovere, è avvenuta facendo riferimento al principio della pari opportunità dei cittadini e dell’equivalenza formativa dei percorsi, che quindi si presentano cammini differenti, ma equivalenti dal punto di vista del valore formativo. Questo passaggio riflette la crescente complessità sociale ed in particolare le differenze di condizione della popolazione, tenuto presente anche dei fenomeni immigratori, dell’overeducation, della disoccupazione giovanile e dei NEET. L’attuazione della legge n. 53 del 2003 ha portato quindi alla creazione di un «doppio cana-le» nel sistema educativo, anche se molto disomogeneo nella sua consistenza, ma non rigido e con la possibilità di passaggi reciproci, che colloca la Formazione professionale in diritto-dovere di Istruzione e Formazione nel secondo ciclo. 5.2.2. Dai percorsi di IeFP ad una filiera professionalizzante verticale La possibilità di scelta dei giovani comprendente l’offerta della formazione professionale si è arricchita nel tempo acquisendo la caratteristica di una filiera professionalizzante continuativa, in verticale, che interessa almeno la fascia d’età 15-19 anni, comprendente la qualifica professionale triennale di livello europeo (EQF 3), il diploma professionale o quarto anno (EQF 4) ed infine l’anno di specializzazione tecnica superiore – IFTS (EQF 4) ‒aperta all’Istruzione Tecnica Superiore – ITS (EQF 5), una formazione superiore non universitaria. In questo modo, la formazione professionale acquisisce un ventaglio di opportunità formative in verticale in grado di soddisfare le attese di un’utenza plurale che desidera inserirsi nel mondo del lavoro con titoli professionalizzanti di valore reale, riconosciuti nell’ambito comunitario, secondo una dinamica progressiva. Occorre aggiungere anche che il sistema italiano non prevede una rigida separazione di que-sto canale da quello dell’istruzione; infatti diversi allievi dei corsi IeFP gestiti dalle istituzioni for-mative accreditate, una volta acquisita la qualifica o il diploma professionale, si candidano per il passaggio all’istruzione tecnica o professionale al fine di poter acquisire un diploma di Stato. Va detto poi che l’accesso ai corsi di questa filiera non è limitato all’età del diritto dovere di istruzione e formazione, ovvero ai 18 anni, ma – specie per il diploma quadriennale, gli IFTS e gli ITS – risulta possibile anche oltre, in forza del diritto formativo di cui è titolare ogni cittadino. Que-sta opportunità, che in un primo tempo è stata limitata dalle Regioni e Province autonome ai soli minorenni, vede ultimamente un numero crescente di allievi che, provenendo da percorsi differenti di studio, di lavoro o di non lavoro, decidono di arricchire la propria preparazione al fine di assumere ruoli sociali riconosciuti e coerenti con le necessità dell’economia. Negli ultimi anni questa opzione risulta accentuata dal fenomeno dei «lavori orfani» - circa 250 mila richieste di lavoro che non trovano candidature soddisfacenti – e dalla pressante richiesta delle imprese ai CFP di figure formate nei diversi ruoli previsti. 5.2.3. L’introduzione della “via italiana al sistema duale” Dal 2014, l’offerta formativa nel nostro Paese è stata arricchita ulteriormente tramite l’inserimento dei percorsi del “duale italiano”, comprendente due significati differenti: in primo luogo indica una specifica tipologia di offerta formativa che si aggiunge alle altre, connotata da ca-ratteristiche sue proprie in particolar modo in riferimento al rapporto con le imprese, alla durata dell’alternanza, al contratto di apprendistato, alla formula progettuale e infine alle tipologie di uten-za cui si rivolge; in secondo luogo si riferisce ad un approccio formativo ed organizzativo che enfa-tizza ulteriormente il metodo peculiare della formazione professionale, applicabile pertanto all’intero ventaglio della sua offerta formativa, caratterizzato da un accordo più stretto con le imprese partner nella logica della corresponsabilità formativa, dal superamento del disciplinarismo, dalla metodolo-gia dei compiti di realtà, dalla configurazione organizzativa dell’intrapresa formativa. Da questo duplice significato discende la nuova tipologia di offerta formativa sollecitata an-che dall’introduzione del duale nella strategia della Istruzione e Formazione Professionale, e carat-terizzata da sette tipi di azioni, ognuna riferita ad un mix di utenti potenziali: - ragazzi provenienti dalla secondaria di primo grado, intenzionati a scegliere un percorso di istruzione e formazione professionale che permetta loro di apprendere un mestiere e inserirsi in tempi brevi nel mondo del lavoro; - giovani in cerca di primo impiego, dotati di un titolo di studio che non consente un facile inse-rimento nel mondo del lavoro; - disoccupati che hanno perso il lavoro e desiderano trovarne uno più stabile e coerente con le proprie caratteristiche (anche in collegamento con i servizi per il lavoro); - giovani e giovani-adulti dispersi e NEET che vogliono rimettersi in gioco con percorsi di for-mazione-lavoro basati su un accordo forte tra CFP e imprese (anche in collegamento con i nuovi CPIA-Centri Provinciali per l'Istruzione degli Adulti); - occupati che desiderano incrementare la propria professionalità o cambiare tipo di professione (es. percorsi a qualifica per adulti). I percorsi formativi del duale, dopo un inizio sperimentale, sono diventati ordinamentali a seguito della Legge di Bilancio 2018. Questa nuova modalità potenzia nei CFP la partnership con le imprese prevedendo una stretta integrazione tra la componente formativa e quella dei servizi per il lavoro, quest’ultima introdotta in quasi tutte le strutture a partire dalle norme nazionali e regionali miranti all’incremento dell’occupazione. In definitiva, mentre fino al 1997 sembrava che la formazione professionale fosse destinata a dover abbandonare l’ambito giovanile per dedicarsi esclusivamente alla formazione degli adulti e delle imprese, i tre cambiamenti indicati hanno portato ad uno scenario totalmente diverso e per molti versi innovativo, coerente con la preoccupazione per il rilancio dello sviluppo e dell’occupazione, specie a favore dei giovani, la componente che più di altre ha pagato le conse-guenze della crisi economica. Certamente, questa nuova configurazione dei CFP esige un ripensa-mento della propria missione ed una diversa gestione formativa ed organizzativa, in una direzione che ricorda quella delle Academy dei Paesi più avanzati nell’ambito delle politiche formative. Anche solo sfogliando la Rivista Rassegna CNOS si può evincere come la Federazione CNOS-FAP sia stata sempre attiva e propositiva per il raggiungimento degli obiettivi sopra richia-mati. La partecipazione alle sperimentazioni, la produzione di documentazioni pertinenti, le ricerche, i monitoraggi, gli studi ed i confronti europei sono stati gli strumenti più utilizzati per essere, nei vari contesti, voce attiva e propositiva. 5.3. I giovani e la formazione integrale Un primo criterio ispiratore dell’azione della Federazione nei 40 anni trascorsi consiste nella visione unitaria del giovane destinatario dei nostri interventi, senza dicotomie tra cultura e pratica, fra intelletto e corpo, fra rapporti personali e prestazioni, tra contenuti e tecnica (Malizia et alii, 2016; Orlando, 2014; Van Looy - Malizia, 1998). Ciò ha permesso di delineare un iter formativo in cui lo sviluppo cognitivo, quello tecnico, quello socio-politico e quello morale e religioso non costituiscono comportamenti stagni, ma sono tra loro fortemente intrecciati in modo da contribuire alla crescita della capacità della persona di accostare in modo attivo e maturo la realtà. È un orientamento che ha portato a potenziare nell’attività formativa i processi di persona-lizzazione in modo da educare soggetti solidi, maturi, consapevoli e capaci di assumere responsabilità sociali e professionali conformi alla propria vocazione. Per affrontare in modo vincente le sfide della “infosocietà” non basta una preparazione tecnico-professionale adeguata, ma i giovani devono essere capaci di: pensare in modo autonomo e critico; essere intellettualmente curiosi; instaurare rapporti positivi e stabili con gli altri, intrecciando con essi un dialogo fecondo, valorizzandoli, collaborando in progetti comuni; risolvere i conflitti; gestire il cambiamento con originalità e libertà; vivere la vita come vocazione e servizio. La personalità che si è intesa sviluppare in modo globale non coincide con un io separato o isolato rispetto alla comunità e al contesto di appartenenza. La soggettività, se rimane ripiegata su se stessa, può trasformarsi in un impedimento alla formazione integrale proprio perché manca l’apporto dell’altro. Al contrario il processo educativo deve tradursi in un iter in cui ciascuna individualità cresce con e grazie a quelle di tutti i soggetti con i quali si entra in relazione: infatti, per liberarsi del proprio centrismo è necessario assicurare un incontro dinamico tra differenze. Se orientare significa porre l’individuo in grado di prendere coscienza di sé e di progredire per l’adeguamento dei suoi studi e della sua professione alle mutevoli esigenze della vita, si capisce la stretta connessione dell’orientamento con la maturazione della personalità e anche l’importanza di una riaffermazione delle sue caratteristiche in chiave pedagogica e salesiana. Gli allievi della FP, sia per l’età che per la condizione di svantaggio in cui molti si trovano, hanno bisogno di tale accompagnamento da vicino, rispettoso e al tempo stesso propositivo, che li aiuti a conoscere le loro potenzialità, che li guidi nella complessità della realtà sociale, che li sostenga nella elaborazione di un progetto di vita come servizio agli altri secondo la propria opzione vocazionale. L’obiettivo finale è la costruzione dell’identità personale e sociale del soggetto in un adeguato progetto di vita, inteso come compito aperto alla realtà comunitaria e sociale, e come appello all’attuazione dei valori che danno senso alla vita. Passando più nello specifico, si è trattato di avviare alla ricerca della identità, di formare alla progettualità e all’autonomia decisionale e di far acquisire una maturità professionale adeguata che permetta di combinare sapere, saper essere, saper fare. Un ulteriore passaggio, piuttosto recente, è stato quello di assumere la qualità come criterio ispiratore dell’attività formativa (Isfol, 2003, Cnos-Fap, 2008; Malizia et al., 2016). A questo punto è opportuno richiamarne le dimensioni principali. 5.3.1. La qualità pedagogica e didattica salesiana La qualità pedagogica del percorso di formazione, sia esso tecnico che professionale, pone la persona al centro dell’attenzione educativa: il giovane viene accolto così come è. La pedagogia sa-lesiana dà particolare attenzione alla persona che è portatrice di valori etici, di potenzialità cognitive ed affettive, di progetti. Facendo leva su queste potenzialità i formatori e i docenti preparano questa persona ad inserirsi nella società e nel mondo del lavoro in maniera attiva e critica, forte di una co-scienza di cittadino e di lavoratore, attento e aperto alla complessità della società italiana, europea e mondiale. Tutto ciò prende forma in un progetto educativo e formativo, che tiene conto dei tempi, dei modi e dei ritmi di apprendimento che sono propri di ciascuno per assicurare a tutti il successo formativo. La qualità pedagogica ispira e stimola la qualità didattica. Qualità didattica significa, per i Salesiani, curare in modo particolare tre aspetti: - l’orientamento alle competenze che tende ad assicurare un insieme integrato di conoscenze, abi-lità, competenze, valori, atteggiamenti e comportamenti, finalizzato al conseguimento di una qualifica professionale o di un diploma di Stato; - l’apprendimento attraverso il fare che consente agli allievi e agli studenti, realizzando “capola-vori” di progressiva complessità, di sperimentare attivamente le proprie competenze anche at-traverso l’errore, di collegare l’operatività al sapere e al saper essere, di ritrovare il senso dell’apprendere e di riflettere sull’esperienza compiuta; - la pluralità dei contesti di apprendimento che superano di gran lunga l’uso povero dell’aula e del laboratorio perché valorizzano anche le opportunità formative che provengono dal mondo del lavoro e dal territorio. 5.3.2. La qualità dei risultati: una proposta di “valutazione” La valutazione è, in primo luogo, un processo formativo che riguarda gli allievi e gli studenti che sono aiutati a prendere coscienza del raggiungimento degli obiettivi di apprendimento, dei mi-glioramenti compiuti, delle risorse attivate e delle difficoltà incontrate. La valutazione è, in secondo luogo, un processo formativo che riguarda il servizio stesso che è spinto ad un miglioramento conti-nuo rispetto agli obiettivi raggiunti, le strategie adottate, i mezzi messi in campo. 5.3.3. La qualità dell’organizzazione a sostegno del progetto educativo È sempre questa visione di qualità a spingere i Salesiani a pensare all’organizzazione del CFP o della scuola non come una “agenzia”, ma come luoghi di apprendimento e comunità educative strutturati in modo da favorire la partecipazione e l’iniziativa degli allievi e delle famiglie. Sono anche centri di servizi che offrono, oltre che istruzione e formazione, anche orientamento, accom-pagnamento al lavoro, aggiornamento continuo. Data la complessità delle funzioni formative ed educative, l’équipe formatrice è composta di diverse figure professionali di sistema, chiamate tutte ad agire all’interno del progetto educativo. 5.3.4. La qualità del ciclo di vita del processo formativo Ogni CFP o ogni scuola a indirizzo tecnico corre, nel tempo, il pericolo dell’autoreferenzialità. Per prevenirlo, i Salesiani, in primo luogo, verificano che la propria offerta sia una risposta ai bisogni del territorio, oltre che dei giovani; cura, in secondo luogo, una rete di re-lazioni che agevolano i giovani nel loro diritto di compiere scelte anche reversibili e nell’apprendimento che, oggi, è sempre più permanente e aperto, cioè dato anche dai contesti non formali e in formali e non solo formali. 5.4. Il modello organizzativo del CFP polifunzionale Una società sempre più complessa come l’attuale richiede che le persone vengano preparate ad affrontare le esigenze che da questa situazione derivano (Malizia e Tonini, 2015a e b; Van Looy - Malizia, 1998). Le organizzazioni formative e in particolare i formatori, non potranno più accon-tentarsi di contenuti e di processi consolidati e in parte ripetitivi, ma dovranno divenire attori capaci di gestire la diversità, la varietà e il cambio. Da questo punto di vista, grande è stato l’impegno del CNOS-FAP per preparare gli operatori a lavorare sempre più per progetti anziché per programmi, per obiettivi anziché per procedure, per processi anziché per routine. Nella società dell’informazione la trasmissione delle conoscenze da parte del formatore perde di priorità a motivo dell’apporto molto significativo che può essere offerto dalle nuove tecnologie, mentre egli è chiamato sempre di più a svolgere un ruolo di mediazione tra l'educando e le in-formazioni per aiutare quest'ultimo a integrarle in un quadro sistematico di conoscenze. La sua fun-zione consiste più nel formare la personalità degli allievi e nell'aprire l'accesso al mondo reale che non nel trasmettere nozioni programmate, più nel fare da guida alle fonti che non nell'essere lui stesso fonte o trasmettitore di conoscenze. Circa la funzione/figura del dirigente va accettato anche nei nostri CFP l’allargamento che la riflessione e l’esperienza propongono in questo ambito: essa comprende oltre agli aspetti pedagogici e di animazione, anche compiti di natura manageriale. La funzione/figura del dirigente deve avere come terreno di azione un’area qualificata dalla compresenza di amministrativo e di educativo e della finalizzazione dell’organizzativo a sostegno dell’azione educativa. In particolare, il dirigente è chiamato a potenziare il clima dei rapporti con i docenti in tre direzioni: l’instaurazione di un’atmosfera di familiarità, il riconoscimento di una giusta autonomia al personale, l’attribuzione ad esso di una posizione di corresponsabilità nella vita dei CFP. Entro questo quadro, l’attenzione va focalizzata sulla dimensione valoriale del ruolo del di-rigente la cui autorità e influsso devono fondarsi anzitutto su una concezione adeguata del giusto e del bene. Ciò che è centrale è «la capacità di agire in un modo che è congruente con un sistema mo-rale e rimane tale nel tempo». Il leader morale si può definire come un dirigente che «è in grado di: testimoniare una coerenza piena tra principi e prassi; applicare i principi alle nuove situazioni; creare una mentalità e una terminologia condivise; spiegare e giustificare le decisioni in termini morali; reinterpretare e riaffermare i principi se necessario» (Bush, 2010, 184-185). Il rinnovamento e il potenziamento del ruolo del dirigente si inserisce in un progetto più ambizioso finalizzato alla diffusione nei Centri della Federazione di una nuova cultura organizzativa ispirata a un modello al tempo stesso formativo, comunitario, al servizio della persona, progettuale, coordinato/integrato, aperto e flessibile. Questo significa che la progettazione degli interventi dovrebbe consentire alla comunità formativa di identificare la domanda so¬ciale di formazione, di fissare gli obiettivi dei propri inter¬venti in relazione alle esigenze del contesto, di elaborare stra¬tegie educative valide in risposta al territorio, di valutare la propria attività in rapporto alle mete che ci si è posti. A loro volta, coordinamento e integrazione vogliono dire essenzialmente sincro¬nizzazione e armonizzazione delle azioni di un gruppo di persone e delle attività di tutte le articolazioni di una organizzazione in vista del raggiungimento di mete condivise; si tratta di favorire la combinazione più efficace degli sforzi dei singoli individui che compongono un gruppo o di più sottogruppi di un'or¬ganizzazione più ampia. L’esigenza dell’apertura al contesto si basa sulla considerazione che i Centri possono conser¬varsi solo sulla base di un flusso continuo di risorse da e per l'ambiente per cui lo scambio con il contesto costituisce il meccanismo fondamentale che consente il funzionamento dell'organizzazione. Nonostante il riferimento a un modello, l’organizzazione deve rimanere fles-sibile nel senso che la realizzazione del modello può essere la più varia mentre tutto dipende dalle particolari condizioni di ogni CFP per cui si può andare da un'attuazione molto ele¬mentare alla più complessa; quello che va assicurato in ogni caso è la presenza in ciascun CFP delle funzioni e non delle figure e, nel contesto territoriale, delle necessarie unità specialistiche di supporto. Le crisi dell’ultimo decennio, in particolare quella del crollo dell’occupazione e della “de-sertificazione industriale del Sud”, ci hanno convinto di aggiungere altre due dimensioni al modello del CFP polifunzionale. Per effetto della prima problematica, il CFP va considerato anche come centro di formazione professionale per il lavoro. Nel modello polifunzionale va anche prevista la creazione del laboratorio “CFP per il Mezzogiorno”, tenuto conto delle percentuali molto elevate di dispersione scolastica e di disoccupazione giovanile che si riscontrano al Sud e del rischio di sot-tosviluppo permanente che questa parte del Paese corre. Pertanto un impegno fondamentale è stato ed è quello di migliorare la formazione iniziale e in servizio del personale, in particolare per quanto riguarda gli aspetti salesiani. Sullo sfondo il cri-terio guida è quello di preparare il personale a rispondere in modo sempre più efficace ai bisogni complessi, vari e mutevoli dei destinatari dei nostri CFP. Più immediatamente un progetto di for-mazione in servizio va calibrato sulle esigenze dei formatori considerati non come utenti anonimi, standard, ma come persone concrete con le loro attese specifiche. Essenziale è anche preparare i formatori a lavorare per competenze perché significa favorire la maturazione negli allievi della con-sapevolezza dei propri talenti, di un rapporto positivo con la realtà sostenuto da curiosità e volontà, in grado di riconoscere le criticità e le opportunità che si presentano, in modo che possano essere capaci di assumere responsabilità autonome nella prospettiva del servizio inteso come contributo al bene comune. In conclusione si può dire che il cuore del nostro discorso è stato il CFP come comunità formatrice la cui finalità prioritaria è l’educazione intesa come sviluppo pieno della personalità dei propri allievi. L’organizzazione del CFP polifunzionale per il lavoro ha senso in quanto opera al servizio di un progetto che è eminentemente formativo, anche se trova nella professionalità la sua caratterizzazione distintiva. Motori principali delle diverse attività sono il formatore come educatore professionale e il dirigente come responsabile di una leadership morale e condivisa per la formazione dei giovani. 5.5. Il processo di insegnamento-apprendimento Molti degli orientamenti che riguardano questa sezione sono stati anticipati sopra ai nn. 5.3. e 5.4 per cui qui ci limitiamo ad indicazioni conclusive (Malizia et alii, 2016; Malizia - Piccini - Ci-catelli, 2015). Il nuovo ciclo economico rinvia a una nuova professionalità in cui predomina il lavoro pen-sato, fatta cioè di competenze più avanzate, di co¬noscenze più teoriche, di caratteristiche più spinte di riflessi¬vità, di libertà, di risposta, di adattamento e di controllo. La ricaduta sulla formazione è chiara: si esige una formazione di base più solida che comprenda un bagaglio di cognizioni tecnico-scientifiche più sofisticate, capacità di pensiero astratto più elevate, disponibilità alla formazione ri-corrente, possesso di abilità organizzative, progettuali, e di innovazione, capacità di sapersi relazio-nare con gli altri e di saper affrontare il cam¬biamento, senza farsi travolgere, ma conferendo ad esso un signi¬ficato umano e ponendolo al servizio dello sviluppo individuale e sociale. La nuova do-manda di formazione del sotto¬sistema economico ha portato i Centri salesiani a rafforzare la forma-zione della capacità di adeguarsi e di domi¬nare il ritmo accelerato del cambio tecnologico e scienti-fico. Il potenziamento del processo di insegnamento-apprendimento dei nostri CFP è stato collo-cato nel quadro dell’innovazione pedagogica degli ultimi anni. Più in particolare questa richiede una maggiore integrazione tra momenti formativi istituzionalizzati e momenti formativi informali in una prospettiva globale di educazione permanente e differenziata. La FP ha adottato le metodologie pro-prie di una pedagogia dei diversi e della differenza. La FP salesiana si caratterizza per alcune scelte di campo sul piano metodologico che vanno conservate. Anzitutto va ricordata l’attenzione al valore educativo del lavoro senza distinguere troppo tra attività manuale e intellettuale, una opzione importante sia dal punto di vista della moti-vazione dell’allievo sia da quella della preparazione professionale da dare. Un secondo aspetto è l’interesse per il giovane che viene accolto così come è, e di cui si considerano non solo le carenze, ma anche le potenzialità di maturazione. A ciò si aggiunge l’attenzione all’inserimento nel mondo del lavoro che, però, non porta mai a trascurare un orizzonte più ampio di formazione in cui ci sia spazio per attività mirate alla maturazione globale della persona. Da ultimo, va notato il progressivo allargamento dell’offerta a tutte le categorie di persone che richiedono interventi specifici di formazione professionale senza limitarsi ai giovani. Le caratte-ristiche dell’attuale sviluppo economico, in particolare il ritmo elevato di cambiamento e l’esigenza di livelli più alti di competenze, hanno portato a questo ampliamento dei destinatari che, tuttavia, rientrano sempre in quelle classi popolari che sono oggetto della nostra missione. L’allargamento degli utenti si è accompagnata anche a un ampliamento della gamma dei settori della FP offerta dalla Federazione. 5.6. Federazione CNOS-FAP e imprese Un capitolo particolarmente nuovo, rispetto ai decenni passati, è relativo al rapporto tra la Federazione CNOS-FAP e il mondo delle imprese. Per sviluppare questo tema ci serviremo, in modo particolare, di tre strumenti; oo studio effettuato da José Manuel Prellezo sulla storia della formazione professionale salesiana, che ci ha aiutato a ricostruire le origini salesiane del rapporto con le imprese e del «capolavoro» in particolare; la pubblicazione annuale sull’esperienza del Concorso Nazionale dei Capolavori, poi, che è servita per la descrizione della collaborazione con le imprese; sui contenuti della collaborazione con il mondo del lavoro, infine, facciamo riferimento agli Accordi/Intese repereibili sul sito www.cnos-fap.it (Prellezo, 2013; CNOS-FAP, 2010) In generale ci chiediamo: sul legame tra scuola e lavoro come si è mosso il mondo salesiano che in Italia è promotore e gestore sia di scuole paritarie che di Centri di Formazione Professionale accreditati? La Federazione CNOS-FAP, per dialogare con le imprese si è dotata, sin dalle sue origini, di Settori e di Aree Professionali le cui finalità sono state l'innovazione dell’offerta formativa. L’Associazione CNOS/Scuola, invece, che ha una storia più breve (è sorta nel 1995), ha promosso l’innovazione attraverso la costituzione di reti con il territorio e in tempi recenti con l’alternanza scuola-lavoro. Volendo riassumere l’approccio salesiano più recente adottato per dialogare con le imprese, due ci sembrano le modalità scelte, l’una più culturale, l’altra più operativa. 5.6.1. Modalità culturale: manuali per i docenti e i formatori La prima modalità è consistita nella compilazione di strumenti di lavoro da mettere a disposizione dei docenti e dei formatori contenenti stimoli per riflettere sul complesso rapporto tra mondo formativo e mondo produttivo. Per brevità facciamo riferimento solo a due strumenti di lavoro recenti: - Nicoli D. (a cura di), L’intelligenza nelle mani. Educazione al lavoro nella formazione professionale pubblicato presso Rubbettino nel 2014; - Nicoli D., Il lavoro buono. Un manuale di educazione al lavoro per i giovani pubblicato presso Rubbettino nel 2018. Con il primo volume ci si è posti il compito di fornire una lettura appropriata in chiave educativa e sociale dell’esperienza della formazione professionale, quale importante componente del sistema educativo italiano, oggi caratterizzata dall’armonizzazione di pedagogia della persona e didattica attiva aperta alla partecipazione delle varie componenti della società civile a cominciare dall’impresa. Il volume contiene numerosi temi: la Formazione Professionale contestualizzata nel più ampio quadro europeo e nei suoi aspetti pedagogici, didattici e organizzativi; il lavoro nella sua valenza formativa; l’orientamento alla scelta. Il volume si conclude con una breve storia della Formazione Professionale in Italia dal dopoguerra agli anni Duemila, storia oggi ancora poco conosciuta dal vasto pubblico. La seconda oubblicazione, destinata sia agli studenti del secondo ciclo, dell’Università e degli Istituti Tecnici Superiori che a genitori, docenti, educatori e orientatori, è un manuale di educazione al lavoro, centrato su tre assi portanti. Si propone il concetto di lavoro inteso - come ambito d’azione tramite il quale ciascuno partecipa pienamente, spinto da un’urgenza interiore (vocazione) e in un atteggiamento di servizio, ad un’opera comune, condividendo con gli altri non solo le prestazioni, ma anche i significati del vivere; - come esperienza che non può essere ridotta alle vicende psicologiche dell’individuo, ma ad un legame sociale entro cui il singolo entra in un gioco di relazioni, di bisogni e di attese che risultano indispensabili per chiarire il proprio io ed il compito cui si è chiamati; - come legame intenso tra le generazioni nel quale l’adulto-maestro, assieme alle abilità tecniche, trasmette ai giovani un modo di stare nel mondo e ne riceve in cambio, tramite l’entusiasmo di cui essi sono portatori, uno slancio di fiducia e di vivezza. Con queste opzioni di fondo, il volume contiene una proposta di una “storia del lavoro” nuova per molti aspetti e una “visione di lavoro buono e le sue virtù” visione stimolante per la situazione attuale: si tratta di «una sorta di pellegrinaggio culturale – afferma l’autore - che ci consente di cogliere, in questo passaggio d’epoca, la rilevanza speciale del «lavoro buono» come occasione per contribuire fattivamente allo scuotimento di una società incagliata affinché si possa risvegliare e mettere a frutto le proprie capacità generative». (Nicoli, 2018, p. 9). 5.6.2. Modalità operativa: sinergie con le imprese La seconda modalità è consistita nello stipulare Accordi o Intese con Imprese a supporto dell’innovazione che il singolo Settore o Area + chiamato a realizzare. La ricerca dell’impresa era dettata, però, non tanto dalla ricerca di avere una qualunque collaborazione quanto dalle necessità che ogni Settore o Area aveva per introdurre innovazioni nel proprio ambito. Questa ricerca mirata ha permesso, nel tempo, di dare vita ad vero e proprio sistema di relazioni che ha fatto crescere sia il singolo Settore o Area che la Federazione nel suo insieme. Naturalmente questo cammino non è stato né lineare né uniforme. Ad oggi, come si vedrà anche nel seguito di queste pagine, non è ancora compiuto per tutti i Settori e le Aree. Tuttavia si sta rivelando un “cammino razionale e virtuoso” che ha guidato e guida ancora oggi il mondo salesiano nel processo di rinnovamento della propria offerta scolastica e formativa. Va anche precisato che questo sistema di Accordi/Intese – iniziato intorno agli anni duemila ‒ si è sviluppato a livello nazionale, senza mortificare quella rete di rapporti che ogni Centro di Formazione Professionale in particolare ha avuto con il proprio territorio. Con ritmi e velocità diverse, i settori dell’automotive, della meccanica industriale, dell’elettricità, della grafica, dell’energia, dell’alberghiero hanno trovato nelle piccole, medie e grandi imprese l’apporto per sostenere l’innovazione che si rendeva necessaria per migliorare in maniera continua la propria offerta formativa. Piuttosto che elencare i contenuti dei singoli Accordi/Intese ci sembra più utile individuare quelle che, a nostro giudizio, appaiono le principali forme di collaborazione realizzate o in via di realizzazione. 5.6.2.1. La collaborazione per la formazione dei formatori e dei docenti Una prima forma di collaborazione con le imprese si è realizzata nella formazione dei formatori e dei docenti. Varie imprese collaborano per la formazione e l’aggiornamento che ogni anno il mondo salesiano organizza per i propri operatori soprattutto nel versante tecnologico e nella cultura d’impresa. Esemplificando, le forme più diffuse sono: - l’aggiornamento tecnologico; - la dotazione di manuali aggiornati su temi specifici; - l’accesso ai cataloghi FAD della formazione aziendale; - la possibilità di beneficiare di visite tecniche presso le Academy delle imprese; - in tempi più recenti la possibilità di sviluppare l’Alternanza Scuola – Lavoro (ASL); - le consulenze per l’aggiornamento dei piani formativi. 5.6.2.. La collaborazione per l’innovazione tecnologica e strumentale Una seconda forma di collaborazione è andata nella direzione dell’aggiornamento strumentale, l’aggiornamento dei “laboratori” in particolare, convinti che un “laboratorio aggiornato” concorre in maniera decisiva alla qualità dell’offerta formativa.In questo ambito le modalità di collaborazione sono state molto diverse, andando dalle agevolazioni economiche fino alla dotazione di strumenti aggiornati in forma gratuita. 5.6.2.3. L’apporto per l’innovazione strutturale degli edifici Una azienda in particolare, la Schneider Electric, ha collaborato con il mondo salesiano in un particolare ambito proponendo soluzioni per il risparmio energetico nella gestione degli edifici. È stata socializzata anche una guida operativa: La gestione sostenibile delle case salesiane: una pro-posta di Schneider Electric (2015). La proposta si rivela originale non solo per le soluzioni tecnolo-giche avanzate ma anche per le applicazioni didattiche possibili: un edificio ristrutturato diventa an-che “luogo didattico” per gli allievi. Schneider Electric, è universalmente noto, è lo specialista globale nella gestione dell’energia, con attività in oltre 100 Paesi in tutto il mondo. Offre soluzioni integrate per diversi segmenti di mercato, occupando una posizione di leadership nei comparti energia e infrastrutture, processi indu-striali, “building automation” e “data center”, industria 4.0, vantando inoltre una vasta presenza nell’ambito delle applicazioni per il residenziale. Di qui la proposta di collaborazione con le opere salesiane per la ricerca di soluzioni energetiche applicate agli edifici a destinazione formativa quali l’involucro degli edifici (pareti esterne, serramenti, coperture, solai, schermature, ecc.), il settore degli impianti (termici, elettrici, trattamento aria, ecc.), la gestione dei flussi energetici (gestione e monitoraggio dei flussi energetici, il sistema di gestione dell’energia SGE, ecc.). 5.6.2.4. Il sostegno al “Nazionale dei Capolavori dei Settori Professionali” Anche questa collaborazione è caratteristica per il panorama italiano e, per molti aspetti, origi-nale. Va precisato, in verità, che l’idea del “Concorso dei Capolavori” era presente, pur in modalità diverse, sin dalle origini della Congregazione Salesiana. Già don Bosco, infatti, con una chiara preoccupazione preventiva e con una esplicita finalità pratica “ quella di evitare i gravi pericoli morali presenti nelle officine della città e di dare una risposta concreta «alla gioventù abbandonata e pericolante”, bisognosa di apprendere un mestiere ‒ aprì tra gli anni cinquanta e sessanta dell’Ottocento ben sei laboratori: calzolai (1853), sarti (1853), legatori (1854), falegnami (1856), tipografi (1861), fabbri (1862). Scrive lo storico salesiano Pietro Stella, riportato da Josè Manuel Prellezo in un suo recente stu-dio: «Tra l’antico modo di stabilire rapporti di lavoro tra capo d’arte padrone di bottega con gli apprendisti e il nuovo modello della scuola tecnica prevista dalla legge organica sull’istruzione, don Bosco preferì percorrere la sua terza via: quella cioè dei grandi laboratori di sua proprietà, il cui ciclo di produzione, di livello popolare e scolastico, era anche un utile tirocinio per i giovani apprendisti». (Prellezo, 2013, p. 11). Quest’approccio eminentemente pratico, concepito prevalentemente come preparazione per un’arte o un mestiere manuale mediante concrete e prolungate esercitazioni di laboratorio, è all’origine delle successive Scuole di arti e mestieri, ulteriormente ripensate come “Scuole profes-sionali” che daranno vita ad una visione più organica del lavoro e della formazione culturale e pro-fessionale dei giovani. In un documento del 1910 si legge: Le scuole professionali devono «essere palestre di coscienza e di carattere, e scuole fornite di quanto le moderne invenzioni hanno di meglio negli utensili e nei meccanismi, perché ai giovani alunni nulla manchi di quella cultura, di cui vantasi giustamente la moderna industria». (Prellezo, 2013, p. 36). Le scuole professionali devono: «formare operai intelligenti, abili e laboriosi». (Prellezo, 2013, p. 37). Scendendo a indicazioni dettagliate, nel documento si legge anche: «l’ammettere l’alunno all’apprendimento il dì stesso che entra in labora-torio e l’alternagli l’insegnamento con il lavoro, costituisce quel metodo eminentemente teorico-pratico, che è il più atto ad abituare i giovani all’officina». (Prellezo, 2013, p. 36). Per stimolare l’attività e favorire l’emulazione degli allievi, infine, si proponevano: «esami, premi, incoraggiamenti, compartecipazione ai frutti del loro lavoro (la co-siddetta “mancia settimanale”), esposizioni generali e particolari degli oggetti co-struiti dagli allievi durante l’anno scolastico». (Prellezo, 2013, p. 37). È interessante notare il ricorrente richiamo, sin dalle origini, alle esposizioni dei prodotti realizzati nel periodo formativo. Uno stile, questo, che rifletteva anche il contesto culturale del tem-po, segnato dal progressivo sviluppo industriale che stimolava e caldeggiava iniziative simili a vari livelli quali esposizioni regionali, nazionali, universali. Un primo elenco di “prodotti” realizzati dai giovani si può leggere nella documentazione elaborata in occasione della 2° Esposizione organizzata nell’estate del 1904 a Valdocco, alla quale parteciparono 58 scuole professionali salesiane, e che era articolata in cinque sezioni: Arti grafiche ed affini, Arti liberali, Mestieri (falegnami, calzolai, sarti e fabbri), Colonie agricole, Didattica. I documenti salesiani e alcuni giornali dell’epoca parlano di: - pregevolissimi lavori delle scuole dei falegnami ed ebanisti (Torino – Valdocco, Liegi, Milano, San Benigno, Sampierdarena; - pregevoli saggi delle scuole di Disegno, di Plastica e di Scultura, con le statue provenienti dalle scuole di Statuaria di Valdocco e di Barcellona – Sarrià; - artistiche produzioni ceramiche dell’Istituto S. Ambrogio di Milano; - lavori svariatissimi, semplici ed eleganti di molte scuole di Calzoleria e Sartoria; - documenti e saggi didattici riguardanti la cultura professionale; - didattica agraria dell’Istituto S. Benedetto di Parma; - l’atlante didattico-professionale di Liegi; - la collezione dei cartelloni del Musée scolaire dell’Émile Deyrolle, destinato alla casa d’Arequipa. La Federazione CNOS-FAP ha voluto rilanciare, adattandola alla situazione attuale, questa prassi salesiana valorizzando soprattutto la collaborazione con le imprese. Così, il 18 aprile 2008, sono stati convocati a Roma, presso l’Istituto Teresa Gerini, 50 allievi per misurarsi con la realizza-zione di uno specifico “capolavoro”. Provenivano da varie Regioni italiane e frequentavano, presso i Centri di Formazione Professionale (CFP) della Federazione CNOS-FAP, percorsi formativi spe-rimentali di durata triennale nei settori della meccanica industriale, dell’auto, dell’elettricità e dell’elettronica, della grafica. Prendeva così il via il “Concorso nazionale dei capolavori dei settori professionali”. Ancora oggi l’iniziativa si propone di raggiungere vari obiettivi: - stimolare gli allievi a misurarsi sulla realizzazione di un «capolavoro», elaborato d’intesa con le imprese del settore, che rispecchia le competenze che deve raggiungere al termine del percorso formativo; - promuovere il miglioramento continuo del settore e del singolo CFP, soprattutto dal punto di vi-sta tecnologico e della cultura d'impresa; - approfondire e consolidare il rapporto locale e nazionale con il mondo delle imprese del settore; - favorire lo scambio di esperienze tra regioni diverse; - premiare l'eccellenza tra gli allievi. In questa iniziativa le imprese sono protagoniste - nel collaborare ad elaborare la prova/capolavoro da sottoporre agli allievi; - nel valutare il manufatto; - nel segnalare gli allievi più meritevoli; - nel collaborare con la federazione CNOS-FAP a sostenere l’iniziativa Ogni edizione può contare sulla presenza di numerose imprese a partire dai grandi marchi internazionali, segno eloquente della condivisione della proposta. I marchi riportati sotto sono riferiti all’anno 2017: 5.6.2.5 Altre modalità di collaborazione Meritevoli di attenzione sono anche altre modalità di collaborazione. Ci limitiamo ad elencarne solo alcune che ci sembrano particolarmente significative.  Il CFP del CNOS-FAP come centro accreditato dall’impresa per la formazione continua Così Heidenhain per la meccanica industriale, Meusburger per lo sviluppo degli stampi, Schneider Electric per il potenziamento della domotica, Schneider Electric e Siemens per l’attuale ambito dell’Industria 4.0.  La promozione di premi e gare Varie aziende promuovono premi o gare specifiche per i giovani dei CFP e delle scuole salesiane. A solo titolo esemplificativo ricordiamo, tra le iniziative più recenti: - il Campionato Fresatori e Tornitori promosso dall’Agenzia per il Lavoro Randstad e Siemens; - il Micro Automation Project promosso da Schneider Electric, - la Iunior Welding Cup promosso dall’Istituto Italiano della Saldatura.  La presenza delle imprese nelle Fondazioni di partecipazione Diverse imprese sono presenti nelle Fondazioni di partecipazione che hanno dato vita agli Istituti Tecnici Superiori (ITS) ove si trova anche il CNOS-FAP. Questa presenza si sta rivelando davvero prestigiosa e strategica.  Sostegno nella partecipazione del CNOS-FAP alle principali fiere Molte imprese hanno sostenuto il CNOS-FAP al fine di ottenere facilitazioni e/o agevolazioni per la partecipazione alle principali fiere nazionali e internazionali: - Autopromotec, - Salone dell'automobile di Francoforte, - MECSPE, ecc. 5.6.2.6. Focus su tre collaborazioni particolari Pur considerando “importanti” tutti gli Accordi sottoscritti, alcuni di questi hanno avuto caratte-rizzazioni, pesi e interventi specifici. Riteniamo doveroso offrire un focus su tre collaborazioni par-ticolari. a Il Contributo di Fiat Group Automobiles Spa (FGA) – oggi Fiat Chrysler Automobiles (FCA) Il Settore automotive ha iniziato la strategia del “raccordo” con le imprese del Settore dando vita ad un polo, il “Polo formativo tecnologico” nel 2006. Ma il salto di qualità l’ha compiuto con l’Accordo con FGA - Fiat Group Automobiles (oggi FCA) nel 2008 e CNH Industrial nel 2011. Il progetto, denominato TechPro2, Technical Professional Program, le cui caratteristiche sono de-scritte anche nell’apposito sito http://www.techpro2.com/it, iniziato nel 2008, è attivo ancora oggi ed è diffuso in varie parti del mondo. Il progetto è stato pensato per offrire una formazione tecnica specializzata ai giovani che hanno terminato la scuola dell’obbligo e che spesso provengono da situazioni disagiate o da quartieri pro-blematici. Il Protocollo di Intesa sottoscritto con FIAT nel 2008 e rinnovato nel 2012, ha contribuito - ad innovare i CFP del CNOS-FAP attraverso l’allestimento di laboratori attrezzati; - ad aggiornare i formatori attraverso una formazione mirata; - a facilitare gli allievi nell’ingresso del mondo del lavoro attraverso l’opportunità dello stage presso la rete di FIAT. Complessivamente con questo progetto FCA e CNH Industrial hanno allestito oltre 50 laboratori in vari Paesi del Mondo, di cui quasi venti in Italia. Il progetto ha previsto, per ogni laboratorio, la do-tazione di vetture sulle quali esercitarsi, componenti Power Train, attrezzature di diagnosi, attrezza-ture generali e specifiche, PC dedicati, manualistica, formazione formatori generale e specialistica. «Complessivamente, in otto anni di vita, il progetto TechPro2 ha formato quasi 13 mila giovani con oltre 380 mila ore di lezione e sono stati avviati più di 5 mila stage e tirocini presso le reti assisten-ziali di FCA e CNH Industrial: cosi il Comunicato Stampa del 7 giugno 2016 che riporta dati pre-sentati nel Sustainability Report del Gruppo FCA. b Domotica e automazione industriale promosso da Schneider Electric Anche la collaborazione con Schneider Electric ha superato i confini nazionali espandendosi in varie parti del mondo. Iniziata negli anni duemila in Italia con la collaborazione per la formazione formatori, il rinnova-mento / potenziamento di laboratori negli ambiti della domotica e dell’automazione industriale, la collaborazione per la ristrutturazione di edifici secondo l’ottica del risparmio energetico, l’agevolazione o donazioni di materiale didattico, nel 2017 la collaborazione è divenuta «mondiale». Scheider Electric si è impegnata in quell’anno a finanziare progetti presentati da scuole tecniche e professionali particolarmente bisognose ubicate in varie parti del mondo: «La Fondazione di Scheider Electric finanzia progetti presentati da scuole tecniche e professionali salesiane nel mondo per 2 milioni di euro. Cinque i progetti internazionali scelti fra le scuole tecniche e professionali salesiane, finalizzati ad uno sviluppo umano e sociale sostenibile, così il Comunicato Stampa dell’11 maggio 2017. c Le tecnologie mobili nella scuola e nella formazione professionale salesiana È opinione condivisa che le più profonde trasformazioni culturali in ogni ambito, dunque anche in quello pedagogico e didattico, si avverano quando sono precedute da altrettanto profonde trasfor-mazioni tecnologiche, tali da richiedere una riformulazione dei modi consueti di pensare e agire. Anche l’introduzione delle tecnologie mobili, in particolare del tablet, nella didattica sta richiedendo mutamenti nel modo di concepire il rapporto tra insegnamento e apprendimento. A ben vedere il nuovo dispositivo mal si adatta agli scenari pedagogici consueti ma, non appena utilizzato, richiama una nuova pedagogia, o pad-agogia dell’apprendimento finendo per mettere a dura prova la capacità di cambiamento delle istituzioni che lo adottano: i CFP e le scuole, concepite per l’accoglienza dello studente sedentario, saranno in grado di trasformarsi in funzione del nomadismo dello studente digitale? Per rispondere a questo ed altri quesiti il CNOS-FAP e il CNOS/Scuola hanno avviato, in anni re-centi, una sperimentazione nelle proprie scuole e nei propri Centri di Formazione Professionale (CFP) per studiare, indagare, verificare e socializzare domande, progetti e buone pratiche relativi all’introduzione dei dispositivi digitali nella didattica. Essendo l’obiettivo di questa nota raccontare il rapporto del mondo salesiano con le imprese, in questa sede ci limitiamo ad evidenziare con chi il mondo salesiano si è confrontato e a quali risultati è giunto per avviare questa sperimentazione. La collaborazione si è sviluppata, in modo particolare, con Apple, giungendo ai seguenti ri-sultati: - Accreditamento di un CFP da parte di Apple Il 15 febbraio 2016 l’Istituto Salesiano San Marco ha ricevuto il titolo di Apple Distinguished School dopo un discreto periodo di sperimentazione. Il titolo Apple Distinguished School viene ri-conosciuto ai programmi presentati dagli Istituti che si sono contraddistinti per innovazione, leader-ship ed eccellenza nella didattica, e che esprimono l’idea di ambiente di apprendimento esemplare secondo Apple. - Rapporti scientifici sulla sperimentazione CNOS-FAP e CNOS/Scuola hanno documentato la sperimentazione triennale curando la stesura di appositi Report e strumenti di lavoro. La problematica è stata affrontata dal punto di vista educativo, didattico, organizzativo e tecnologi-co. - Linee Guida per l’apprendimento attivo in presenza di tecnologie Oltre ai Rapporti è stata elaborata anche un’agile Linea Guida per i docenti e i formatori. È stata immaginata come uno strumento di lavoro che li guida ad un uso «uso intelligente» degli strumenti appartenenti alla famiglia delle tecnologie mobili. Quanto raccontato è il cammino percorso dal mondo salesiano, un cammino che ha già supe-rato la durata di un decennio. Si tratta di una strada avviata nel passato ma che, con i necessari ag-giustamenti, continua ancora oggi. La sperimentazione dei percorsi formativi nella modalità duale e l’Alternanza Scuola – La-voro che coinvolge, in modo particolare, le scuole sono le sfide più recenti e l’occasione più propizia per approfondire ulteriormente la collaborazione con le Imprese. Enti di Formazione Professionale e Istituti di ricerca cominciano a documentare casi di stu-dio esemplari significativi, segno che il rapporto con le imprese sta diventando sempre più intenso. In modo particolare le esperienze più recenti dimostrano come il ruolo formativo dell’impresa di-venga sempre più esplicito. Affermavamo all’inizio di questa nota che il legame tra scuola e lavoro non è un percorso privo di ostacoli. I pericoli di piegare le finalità di una istituzione scolastica o formativa alle esigenze dell’impresa sono sempre presenti. Il racconto, però, ha mostrato che il rapporto è riuscito ad andare oltre alle difficoltà. L’impresa si è messa in gioco su tanti fronti. L’alleanza, poi, con una istituzione formativa ha fatto sì che i risultati conseguiti abbiano puntato alla finalità fondamentale che è la formazione globale della persona. 5.7. La dimensione religiosa e pastorale Per superare la dicotomia o giustapposizione tra la Formazione Professionale e l’educazione cristiana si è cercato di realizzare un processo di evangelizzazione integrato nella vita dei Centri CFP (Van Looy e Malizia, 1998). Il relativo iter comprende le seguenti articolazioni: - un ambiente di vita permeato dei valori evangelici; - una cultura che sia focalizzata sull’integralità della persona, soprattutto che tenga conto della sua dimensione spirituale e religiosa; - momenti ed esperienze esplicite di evangelizzazione; - proposta a coloro che lo vogliono di un cammino di educazione alla fede da attuare in comunione con la comunità cristiana. Gli obiettivi sono identificati nei seguenti: - trasmettere agli allievi una concezione umanistica ed evangelica della realtà sociale; - offrire a tutti o a gruppi specifici esperienze spirituali e di apertura a Dio sia nella vita ordinaria sia in momenti significativi dell’attività formativo; - dare l’opportunità di effettuare esperienze di servizio gratuito e di solidarietà con le persone in situazione di svantaggio; - proporre la possibilità di un accompagnamento personale da parte di qualche educatore cristiano. Un aspetto centrale nel potenziamento del processo di evangelizzazione è costituito dal rafforzamento della comunità educativo-pastorale. Infatti, in una prospettiva pastorale non basta il personale preparato, un curricolo adeguato o attrezzature di avanguardia; è anche necessaria una comunità di persone che abbiano coscienza della globalità della proposta pastorale salesiana, che interagiscano in modo sistematico e reciproco sulla base del progetto educativo-pastorale locale, che verifichino continuamente e, di conseguenza, migliorino e innovino i processi educativi e pastorali, che si impegnino ad aprirsi al territorio, in particolare al mondo giovanile, e che realizzino un iter sistematico di formazione permanente. Se l'educazione viene ad assumere una posizione centrale nella società, è chiaro che il servizio più significativo che possiamo offrire alle nuove generazioni consiste proprio in una formazione solida. Questa non va intesa naturalmente in un senso riduttivo come semplice istruzione o adde-stramento, ma deve fornire a ognuno le capacità per vivere al meglio nella società della conoscenza. L’eredità di 40 anni di storia e di esperienza pone la Federazione CNOS-FAP in una posizione di vantaggio nel realizzare questo compito. Con il sostegno di Dio, di Maria Ausiliatrice e del nostro Fondatore, come Salesiani ci impegniamo a operare in futuro anche più efficacemente che nei primi 40 anni per offrire a tutti i giovani, specialmente a quelli più emarginati, un orizzonte di senso e di significato, una guida al loro agire e conoscenze e competenze adeguate per la vita e per il lavoro, in modo da aiutarli ad acquisire quella prepa¬razione valoriale, culturale e professionale elevata che consenta loro di inserirsi da protagonisti in un mondo sempre più artico¬lato e complesso. A supporto di queste istanze religiose e pastorali la Federazione CNOS-FAP ha adottato il modello organizzativo e di gestione adeguato alle normative vigenti (D. Lgs. 8 giugno 2011, n. 231 e successivi provvedimenti) ma ritenuto anche un utile strumento per rafforzare l’azione formativa e preventiva con tutti i soggetti che agiscono in una struttura salesiana. Il Codice etico, in particolare, è di aiuto e di guida per far sì che tutti gli operatori agiscano, dal punto di vista educativo, religioso e pastorale, nella medesima direzione, mettendo in atto quella comunità educativo-pastorale che è alla base di ogni efficace azione educativa (Cnos-Fap, 2008). L’ultimo strumento di magistero salesiano, a supporto dei CFP della Federazione, in ordine di tempo, è il sussidio elaborato dalla Congregazione Salesiana: La pastorale giovanile salesiana. Quadro di riferimento (2014), un manuale, così lo presenta il curatore Fabio Attard, Consigliere Generale per la Pastorale Giovanile, che deve ispirare ogni comunità educativo-pastorale per far sì che in ogni casa (Scuola, Centro di Formazione Professionale) ci sia una chiara proposta di evan-gelizzazione e di educazione; uno strumento di formazione di tutti coloro – salesiani, educatori ed educatrici – che sono corresponsabili della missione salesiana. (Dicastero per la pastorale giovanile salesiana, p. 9) 5.8. Pubblicazioni e RASSEGNA CNOS Da sempre la Federazione CNOS-FAP ha documentato e pubblicato studi, ricerche e speri-mentazioni e dal 1984 la Rivista Rassegna CNOS. In un particolare periodo, quello della sperimentazione dell’anno 2003, è nata una documentazione che riteniamo più organica e sistematica: la collana «Studi, Progetti, Esperienze per una nuova formazione professionale». La collana, oggi, ha raggiunto il lusinghiero numero di circa 200 pub-blicazioni. Ci piace dare qualche cenno sugli inizi della Collana, anni fecondi di studi e di ricerche e successivamente sulle caratteristiche della Rivista. 5.8.1. Studi, progetti, esperienze per una nuova formazione professionale I testi che hanno ispirato e guidato il monitoraggio della sperimentazione nelle Regioni sono, in particolare: D. NICOLI, Linee guida per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 1 ed. 2004, 2 ed. 2008; CNOS/FAP e CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati nelle comunità professionali alimentazione, aziendale e amministrativa, commerciale e delle vendite, elettrica ed elettronica, estetica, grafica e multimediale, legno e arredamento, meccanica, sociale e sanitaria, tessile e moda, turistica e alberghiera, (Anni 2003-2004); G. MALIZIA – D. ANTONIETTI – M. TONINI, Le parole chiave della formazione professionale, 2 ed. 2007 . Studi e forme di ricerca – azione hanno approfondito aspetti del percorso formativo triennale e quadriennale, dell’apprendistato, dei percorsi destrutturati, delle anagrafi formative. Si ricordano, in particolare: D. NICOLI – G. TACCONI, Valutazione e certificazione degli apprendimenti. Rico-gnizione dello stato dell’arte e ricerca nella pratica educativa della Federazione CNOS-FAP, il 1° volume nel 2007 e il 2° volume nel 2008; S. D’AGOSTINO, Apprendistato nei percorsi di diritto-dovere, 2007, G. MALIZIA – V. PIERONI, Percorsi/progetti formativi “destrutturati”. Linee guida per l’inclusione socio-lavorativa di giovani svantaggiati, 2005; A. ALFANO, Un progetto alter-nativo al carcere. I sussidi utilizzati nel Centro polifunzionale diurno di Roma, 2006; G. MALIZIA, Diritto - dovere all’istruzione e alla formazione e anagrafe formativa. Problemi e prospettive, 2007. Sull’identità del formatore e sulla sua formazione sono stati promossi vari studi. Si ricordano, innanzitutto, gli studi coordinati da M. Pellerey: M. PELLEREY, Processi formativi e dimensione spirituale e morale della persona. Dare senso e prospettiva al proprio impegno nell’apprendere lungo tutto l’arco della vita, 2007 e M. BAY – D. GRZADZIEL – M. PELLEREY, Promuovere la crescita nelle competenze strategiche che hanno le loro radici nelle dimensioni morali e spirituali della persona, 2010. Sono da ricordare, inoltre, le pubblicazioni di G. Tacconi e S. Fontana sulla formazione al sistema preventivo di don Bosco, G. TACCONI, Insieme per un nuovo progetto di formazione, 2003, S. FONTANA – G.TACCONI – M. VISENTIN, Etica e deontologia dell’operatore della FP, 2003; i volumi di G. Ruta che hanno concorso a sistematizzare la formazione all’insegnamento della religione nella FP, G. RUTA (a cura di), Etica della persona e del lavoro, 2004, Vivere, Linee guida per i formatori di Cultura etica e religiosa nei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale, 2007. Per sostenere gli operatori della FP nella delicata azione di interazione con la famiglia e il mondo del lavoro, la Sede Nazionale ha elaborato alcune ricerche-azioni. Si segnalano: M. BECCIU – A. R. COLASANTI, La corresponsabilità CFP – famiglia: i genitori nei CFP. Esperienza triennale nel CFP CNOS-FAP (2004 – 2006), 2006; G. MALIZIA – V. PIERONI, Accompagna-mento al lavoro degli allievi qualificati nei percorsi triennali del diritto – dovere. Linee guida e raccolta di buone pratiche per svolgere le attività, 2009; G. MALIZIA – V. PIERONI – A. SAN-TOS FERMINO, Individuazione e raccolta di buone prassi mirate all’accoglienza, formazione e integrazione degli immigrati, 2009; oltre a due guide operative per gli operatori curate da F. GHERGO, Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo. Una proposta di percorsi per la creazione d’impresa, 2 ed. 2009a e da E. MARSILII, Dalla ricerca al rapporto di lavoro. Opportu-nità, regole e strategie, 2007. Aspetti di carattere di filiera e di carattere europeo messi a disposizione degli operatori per la loro formazione sono stati dati attraverso la pubblicazione dei volumi: M. PELLEREY (a cura di), Studio sull’intera filiera formativa professionalizzante alla luce delle strategie di Lisbona a partire dalla formazione superiore non accademica, 2008; M. COLASANTO (a cura di), Il punto sulla formazione professionale in Italia in rapporto agli obiettivi di Lisbona, 2008; G. MALIZIA, Politiche educative di istruzione e formazione. La dimensione internazionale, 2008; D. NICOLI, I sistemi di Istruzione e Formazione professionale (VET) in Europa, 2009. Non potevano mancare studi sugli aspetti pedagogici ed educativi degli allievi che frequen-tano i percorsi formativi triennali. Ricerche e monitoraggi sono stati documentati in vari volumi. Si ricordano, tra gli altri: G. MALIZIA – M. BECCIU – A. R. COLASANTI – R. MION – V. PIE-RONI, Stili di vita degli allievi/e dei percorsi formativi del diritto-dovere, 2007, G. MALIZIA – V. PIERONI, Follow-up della transizione al lavoro degli allievi/e dei percorsi triennali sperimentali di IeFP, 2008. Avvalendosi della consulenza del CENSIS la Federazione CNOS-FAP ha indagato con studi e ricerche mirate su specifiche questioni: la scelta dei giovani, la carenza di proposte di for-mazione nelle Regioni del Sud e il rapporto tra Enti di FP e imprese. I risultati sono riportati nei volumi: C. DONATI – L. BELLESI, Giovani e percorsi professionalizzanti: un gap da colmare?, 2007; L. BELLESI – C. DONATI, Ma davvero la formazione professionale non serve? Indagine conoscitiva sul mondo imprenditoriale, 2008; C. DONATI – L. BELLESI, Verso una prospettiva di lungo periodo per il sistema della formazione professionale. Il ruolo della rete formativa, 2009. Il monitoraggio delle sperimentazioni ha permesso alla Federazione e agli Enti di FP aderenti a CONFAP e a FORMA di essere protagonisti della sperimentazione e di documentarne gli esiti. Si riportano, per evidenziarne la quantità e la vastità, i principali testi: Emilia Romagna: E. LODINI – I. VANNINI, Istruzione e formazione: il monitoraggio dell’integrazione, 2006; G. SACCHI, Istruzione e formazione: l’integrazione possibile, 2006. Lazio: G. MALIZIA – V. PIERONI, Le sperimentazioni del diritto-dovere nei CPF del CNOS-FAP e del CIOFS/FP del Lazio, 2007. Liguria: R. FRANCHINI – CERRI R. (a cura di), Per una istruzione e formazione profes-sionale di eccellenza. Un laboratorio per la riforma del sistema educativo, 2005; D. NICOLI – M. PALUMBO – G. MALIZIA (a cura di), Per una istruzione e formazione professionale di eccellenza. Nuovi percorsi formativi per la riforma del sistema educativo, 2005. Lombardia: REGIONE LOMBARDIA. ISTRUZIONE E FORMAZIONE PROFESSIO-NALE, Progetto sperimentale triennale: linee guida dell’area professionale alimentare, commercio e vendite, edile e del territorio, elettrica, estetica, grafica e multimediale, meccanica, servizi impresa, 2003. Piemonte: G. MALIZIA – D. NICOLI – V. PIERONI (a cura di), Una formazione di successo. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali di istruzione e formazione professionale in Piemonte 2002 – 2006, 2006; D. NICOLI – M. COMOGLIO (a cura di), Una formazione efficace. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali di istruzione e formazione professionale in Piemonte 2002 –2006, 2008. Puglia: C. NALDI – L. CAPUTO, L’esperienza di formazione formatori nel progetto 2003. La riflessività dell’operatore come via per la prevenzione e la cura educativa degli allievi della formazione professionale iniziale, 2008; C. LANESE, Ci sono dei posti vuoti in classe. Analisi della dispersione scolastica e linee di intervento, 2009. Sardegna: CNOS-FAP SARDEGNA (a cura di), Repertorio dei profili professionali e dei corrispondenti percorsi formativi in Sardegna, 2003; CNOS/FAP (a cura di), Guide metodologiche per l’elaborazione di piani e di percorsi formativi, 2003; CNOS/FAP (a cura di), Il portfolio delle competenze individuali, 2003; CNOS/FAP (a cura di), L’orientamento in Sardegna. Un modello operativo di intervento, 2003. Sicilia: G. MALIZIA – V. PIERONI, Le sperimentazioni del diritto – dovere nei CFP del CNOS-FAP e del CIOFS/FP della Sicilia, 2007. Veneto: D. NICOLI – M. LOZZI – C. CATANIA – G. MALIZIA, Studio, ricerca, valuta-zione, monitoraggio delle politiche di formazione e istruzione, 2004; FORMA VENETO, Metodo-logie e strumenti per un nuovo modello regionale di riconoscimento delle qualifiche nel secondario e per un coerente processo di adeguamento delle competenze degli operatori della formazione pro-fessionale, 2004; CNOS/FAP (a cura di), Rapporto dell’esperienza sull’apprendimento per compe-tenze in 22 CFP degli Enti aderenti a Forma della Regione Veneto, 2006 (paper). 5.8.2. Rassegna CNOS, dal 1984 una voce che continua Dal 1984, anno della sua fondazione ad opera dei Salesiani, Rassegna CNOS affronta, con taglio interdisciplinare, i molteplici aspetti del sistema educativo di Istruzione e Formazione ita-liano, approfondendone, in particolare, gli ambiti ordinamentali, progettuali ed organizzativi inqua-drati nel più ampio orizzonte europeo e internazionale. La Rivista, a tale scopo, con il contributo dei suoi collaboratori, promuove e diffonde Studi, Ricerche, Progetti ed Esperienze realizzati dalla Federazione CNOS-FAP, ma non solo, ri-flette anche sui principali Rapporti e aggiorna uno specifico Osservatorio sulle politiche formative europee, nazionali e regionali. La Rivista, da sempre quadrimestrale, è stampata in circa 1.500 copie e viene spedita agli interlocutori istituzionali di livello europeo, nazionale e regionale, ai vari Enti di ricerca, alle Uni-versità, agli Enti di Formazione Professionale e ai rispettivi operatori. È coordinata da una Condirezione, da un Comitato Scientifico e da un gruppo di Collabo-ratori. La sua struttura è rimasta, nella intelaiatura generale, stabile: STUDI, ESPERIENZE, VI-TA CNOS. Oggi, benché più articolata, mantiene ancora una organizzazione vicina a quella originaria: Studi e ricerche, Progetti e esperienze, Osservatorio sulle politiche formative, Schede su Libri e Rapporti. Un allegato, che ha l’intento di offrire soprattutto materiali utilizzabili per la didattica, è “UNA RIVISTA” nella Rivista Rassegna CNOS per il suo spessore di pagine. Completano il nume-ro della Rivista l’Editoriale e alcune rubriche complementari quali: suggerimenti per l’uso didattico del film su temi vicini al mondo giovanile, della Formazione Professionale e del lavoro e indicazioni bibliografiche. Nei suoi «34 anni di vita», la Rivista è stata sempre fedele alla sua scadenza quadrime-strale. Ci piace ricordare per memoria e per affetto l’Editoriale del primo numero della Rivista, (Anno 1 – numero 0 – ottobre del 1984: «Il CNOS (Centro Nazionale Opere Salesiane), con la pubblicazione della presente Rassegna intende offrire agli Operatori della formazione professionale, ai Centri di Studio del settore e a quanti, soprattutto a livello regionale, sono delegati dalla Comunità alla promozione e al controllo delle iniziative pubbliche e convenzionate nel campo della F.P., un periodico saggio degli studi e delle ricerche degli esperti e l'esperienza degli operatori dei suoi 41 Centri, impegnati oggi particolarmente nella innovazione e sperimentazione della didattica e delle tecnologie formative. Modesto contributo dell'Ente alla vasta ricerca di «nuova professionalità», e di conseguente innovazione nel campo formativo: compito che ci appare del tutto primario e che non può non essere assunto globalmente dalla Comunità Nazionale nei confronti di tanti giovani inoccupati come dei lavoratori, oggi duramente provati dall'incertezza dell'occupa-zione. Con «Rassegna CNOS» l'Ente si pone modestamente in dialogo e confronto con le numerose, dotte ed esperimentate pubblicazioni, fiorite anche nel campo specifico in questo decennio e con le Istituzioni, di cui sono espressione, portando idee ed esperienze, in fedeltà alla Sua originale ispirazione, che non può non rifarsi alla sua memoria storica, a Don Bosco educatore e alla sua creazione geniale e prediletta «la Scuola di Lavoro». Oggi sono da più parti segnalate le forti carenze della formazione professionale; in particolare si vuol rilevare la separatezza esistente fra ricerca scientifica e tecnologica da una parte e formazione professionale dall'altra, ancor più il mancato coordinamento di quest'ultima con i processi produttivi, soggetti a rapida trasformazione per il cambio di or-ganizzazione del lavoro e per l'introduzione di nuove tecnologie. Il campo si fa ancor più vasto e di difficile interpretazione quando si tenga conto delle problematiche relative ai nuovi atteggiamenti assunti dall'uomo-lavoratore nei confronti del lavoro stesso e delle domande di «nuova professionalità», più umanizzante e più partecipativa. Il mondo Salesiano, che fa riferimento al CNOS, mentre avverte la sfida dell'o-dierna società postindustriale alle sue strutture formative, trova allo stesso tempo nella sua storia centenaria tra i giovani lavoratori e nella sua pedagogia umanistica e cristiana validi stimoli e fondamento ad approfondire la sua Proposta formativa per farne strumento di «educazione» a favore dell'«uomo-lavoratore» ed elemento di trasformazione dello stesso mondo produttivo. Le sottolineature sono nostre. Ci servono per evidenziare come alcune caratteristiche delle origini siano ancora presenti oggi nel suo impianto progettuale: - il «compito primario» o, possiamo dire oggi, la stretta connessione tra mondo del lavoro e for-mazione professionale: Modesto contributo dell'Ente alla vasta ricerca di «nuova professionalità», e di conseguente innovazione nel campo formativo; - lo «stile» mai spigoloso o di rottura ma «preciso e chiaro» nelle proposte: in dialogo e confronto con le numerose, dotte ed esperimentate pubblicazioni, fio-rite anche nel campo specifico in questo decennio e con le Istituzioni; - i «riferimenti fondativi passati» per affrontare le «sfide del futuro»: trova allo stesso tempo nella sua storia centenaria tra i giovani lavoratori e nella sua pedagogia umanistica e cristiana validi stimoli e fondamento ad approfondire la sua Proposta formativa per farne strumento di «educazione» a favore dell'«uomo-lavoratore» ed elemento di trasformazione dello stesso mondo pro-duttivo 6. La Federazione CNOS-FAP nelle Regioni tra numeri e attività 6.1. Abruzzo 6.2. Calabria 6.3. Campania 6.4. Emilia-Romagna 6.5. Friuli-Venezia Giulia 6.6. Lazio 6.7. Liguria 6.8. Lombardia 6.9. Piemonte 6.10. Puglia 6.11. Sardegna 6.12. Sicilia 6.13. Toscana 6.14. Umbria 6.15. Valle d’Aosta 6.16. Veneto Conclusione Ci piace concludere questo excursus riportando alcuni passaggi di un discorso autorevole che don Egidio Viganò, VII Successo di don Bosco, offrì ai Delegati della prima Assemblea CNOS-FAP del 1978: «Mi sembra che il ruolo e l'importanza di questa Federazione è non tanto di natura socio giu-ridica, ma di natura socio-culturale. È impossibile un dialogo, un confronto culturale nel mondo del lavoro, oggi a livello di ogni singolo Centro di Formazione Professionale, sia che questo operi a Selargius, a Sesto S. Giovanni o a Lecce. Non perché a questo livello ciò non si possa fare, ma risulterebbe condizionato dall'ambito ristretto e locale. Un più valido confronto si deve fare a livello del mondo del lavoro, che è una realtà molto complessa, organizzata e, purtroppo, troppo politicizzata e con una cultura monopolizzata da ideo-logie che sono spesso anticulturali. Non per questo dobbiamo abbandonare il campo e lasciare questo mondo culturale: ma dob-biamo far valere la nostra presenza non isolatamente, come formiche che arrivano per caso, ma come un corpo organico. […] D. Bosco era un uomo dalle vedute larghe e sapeva essere all'altezza di trattare con i Ministri del Regno e con il Papa sui problemi che riguardavano la Chiesa e le relazioni tra Chiesa e Stato. Questo tipo di politica, Don Bosco l'ha fatta: una politica a lettere maiuscole, una politica che rico-nosce alla cultura una grande importanza nel processo di crescita di un paese e di una nazione, sotto il profilo civile che noi sappiamo illuminato ed irrobustito dal Vangelo, anche se ciò non potrà essere sempre manifestato apertamente, perché il Vangelo c'illumina su certi valori che sono fondamentali … La conclusione di questa seconda riflessione è dunque: CAPACRÀ DI SOSTENERE IL CONFRONTO CULTURALE, sommando e facendo convergere tutte le forze disponibili su quali-ficanti progetti e programmi che impegnano la nostra presenza nel conseguimento di questo obietti-vo», (Viganò, 2012, pp 95-96). La storia della Federazione CNOS-FAP è stato anche questo: attraverso il confronto culturale proporre a tutte le componenti della società, come mondo salesiano, una formazione professionale che sia “educativa” per puntare allo sviluppo integrale della personalità del giovane/adulto, “profes-sionale” per facilitargli il difficile inserimento nella società e nel mondo del lavoro, fondata su basi “etiche e socio-politiche” per dotarlo di una formazione che punti al «buon cristiano e onesto citta-dino», l’ispirazione dell’«umanesimo educativo di don Bosco». Bibliografia ASSOLOMBARDA – ADAPT, Il futuro del lavoro, paper on-line, Milano, 2018. AVALLONE F., La metamorfosi del lavoro, Milano, Angeli, 1995. BENTIVOGLI M., Abbiamo rovinato l’Italia? Perché non si può fare a meno del sindacato, Roma. Castelvecchi, 2017. BERTAGNA G., Entra in vigore la “Morfiormini” (Moratti, Fioroni, Gelmini), in “Nuova Secon-daria”, 27(2010)7, 9-10. BOTTA P. 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Tra due culture dello sviluppo formativo 1.2. La nascita della Federazione Nazionale CNOS-FAP (fine anni ’70) e il suo consolidamento (anni ’80) 2. La Federazione CNOS-FAP durante gli anni ‘90 2.1. Una società inquieta in fase di attesa 2.2. Il CNOS-FAP e il CFP polifunzionale 2.2.1. Un modello formativo e comunitario 2.2.2. Un modello progettuale 2.2.3. Un modello al servizio della persona 2.2.4. Un modello coordinato e integrato 2.2.5. Un modello aperto 2.2.6. Un modello flessibile 2.2.7. Un modello qualificato 3. Agli inizi del terzo millennio: verso un sistema maturo ma disomogeneo di FP 3.1. L’avvento della società della conoscenza 3.1.1. I fattori strutturali 3.1.2. Le dinamiche culturali 3.2. Un decennio di riforme 3.3. Il cammino della Federazione CNOS-FAP 3.3.1. La promozione della Formazione Professionale Iniziale (FPI) nella riforma 3.3.2. L’aggiornamento del CFP polifunzionale 3.3.3. Il potenziamento della formazione dei formatori 3.3.4. La sperimentazione dell’obbligo formativo e del diritto-dovere 4. Gli anni della grande crisi: la resilienza della FP e del CNOS-FAP 4.1. Elementi di scenario e le principali riforme 4.1.1. I nodi problematici della situazione sociale 4.1.1.1. Nove gruppi per analizzare il sistema sociale 4.1.1.2. La situazione economica e sociale nel 2016 4.1.2. La riforma della “Buona Scuola” e i decreti attuativi 4.1.2.1. Il sistema educativo di istruzione e formazione: andamenti quantitativi 4.1.2.2. La riforma della “Buona Scuola” e la IeFP 4.1.2.3. La revisione dei percorsi dell’istruzione professionale e il raccordo con l’IeFP 4.1.3. La riforma del mercato del lavoro e potenziamento della formazione professionale 4.1.3.1. La riforma del mercato del lavoro: il Jobs Act 4.1.3.2. La sperimentazione del sistema duale promossa dal MLPS 4.1.3.3. Il rapporto tra sistema della formazione professionale e politiche attive del lavoro 4.2. Il cammino della Federazione CNOS-FAP 4.2.1. Gli apporti di tre sperimentazioni: 4.2.1.1. La via duale: «Imparare lavorando. In Italia si può» 4.2.1.2. La valutazione della IeFP: il progetto sperimentale VALEFP 4.2.1.3. L’introduzione delle tecnologie mobili nella didattica della IeFP: a. Sperimentazione nel mondo scolastico salesiano b. Sperimentazione nel mondo formativo salesiano 4.2.2. La formazione dei formatori 4.2.2.1. La formazione in servizio nel CNOS-FAP: qualità e gradimento a. la prospettiva di referenti significativi sulla qualità della partecipazione b. il gradimento delle attività di formazione in servizio del CNOS-FAP c. punti di forza e di debo9lezza della formazione in servizio del CNOS-FAP 4.2.2.2. Proposte per un potenziamento della formazione in servizio del CNOS-FAP 4.2.3. Il successo formativo degli allievi del CNOS-FAP 4.2.4. La proposta di «Il lavoro buono» 4.2.4.1. L’educazione al lavoro nella Proposta Formativa (1989) 4.2.4.2. L’educazione al lavoro nelle Linee Guida per i percorsi di IeFP (2003) 4.2.4.3. La proposta di «Il lavoro buono. Un manuale di educazione al lavoro per i giovani» (2018) 4.2.5. L’adattamento della IRC alle esigenze della IeFP 4.2.5.1. La scelta della dimensione etico-religiosa nella Proposta Formativa (1989) a. L’inscindibile legame con una ininterrotta tradizione di formazione professionale salesiana b. L’impianto metodologico della formazione professionale data dalla legge 845/78 4.2.5.2. La dimensione etico-religiosa nella “Guida di Cultura Generale” per i CFP (1991) 4.2.5.3. Un sussidio organico elaborato con il coordinamento del prof. Giuseppe Ruta (2007) 4.2.5.4. Una nuova proposta coordinata dal prof. Lucillo Maurizio (2014 e anni seguenti) 4.2.5.5. Oggi ancora «Dimensione etico-religiosa» o «Insegnamento della Religione Cattolica?» 4.2.6. L’alleanza con le famiglie 4.2.7. Il Centro di Formazione per il lavoro motore della buona formazione 4.2.7.1. Il CFP come comunità formatrice 4.2.7.2. Il CFP come organizzazione di servizi formativi per il lavoro 4.2.7.3. Il formatore come educatore professionale nella IeFP 4.2.7.4. Una leadership morale e condivisa per la formazione a. una definizione della leadership b. le funzioni del dirigente 4.2.7.5. Il CFP come «Impresa formativa (non simulata)»: una nuova sfida a. il contributo del CNOS-FAP (anno 2015) b. il contributo di Scuola Centrale Formazione (anno 2018) 4.2.8. Nuove sfide per la Federazione CNOS-FAP 4.2.8.1. Servizi al Lavoro (SAL) 4.2.8.2. La strategia della internazionalizzazione della Federazione CNOS-FAP 5. Il retaggio dei 40 anni 5.1. Una crescita quantitativa tendenziale ma disomogenea 5.1.1. Lo storico dei primi 25 anni (1977-2002): un aumento quantitativo costante 5.1.2. Gli anni della sperimentazione dei percorsi di IeFP (2003 – 2011) 5.1.3. Gli anni della sperimentazione del sistema duale (2012 – 2017) 5.2. L’impegno per una pari dignità della formazione professionale 5.2.1. La formazione professionale nel sistema educativo di Istruzione e Formazione 5.2.2. Dai percorsi di IeFP ad una filiera professionalizzante verticale 5.2.3. L’introduzione della «via italiana al sistema duale» 5.3. I giovani e la formazione integrale 5.3.1. La qualità pedagogica e didattica salesiana 5.3.2. La qualità dei risultati: una proposta di «valutazione» 5.3.3. La qualità dell’organizzazione a sostegno del progetto educativo 5.3.4. La qualità del ciclo di vita del processo formativo 5.4. Il modello organizzativo del CFP polifunzionale 5.5. Il processo di insegnamento-apprendimento 5.6. Federazione CNOS-FAP e imprese 5.6.1. Modalità culturale: manuali per i docenti e i formatori 5.6.2. Modalità operativo: sinergia con le imprese 5.6.2.1. La collaborazione per la formazione dei formatori e dei docenti 5.6.2.2. La collaborazione per l’innovazione tecnologica e strumentale 5.6.2.3. L’apporto per l’innovazione strutturale degli edifici 5.6.2.4. Il sostegno al «Concorso Nazionale dei Capolavori dei Settori Professionali» 5.6.2.5. Altre modalità di collaborazione 5.6.2.6. Focus su tre collaborazioni particolari a. il contributo di Fiat Chrysler Automobiles (FCA) b. Domotica e automazione industriale promossa da Schneider Electric c. Le tecnologie mobili nella scuola e nella formazione professionale salesiana 5.7. La dimensione religiosa e pastorale 5.8. Pubblicazioni e Rassegna CNOS 5.8.1. Studi Progetti Esperienze per una nuova formazione professionale 5.8.2. Rassegna CNOS: dal 1984 una voce che continua ancora oggi 6. La Federazione CNOS-FAP nelle Regioni tra numeri e attività 6.1. Abruzzo 6.2. Calabria 6.3. Campania 6.4. Emilia-Romagna 6.5. Friuli-Venezia Giulia 6.6. Lazio 6.7. Liguria 6.8. Lombardia 6.9. Piemonte 6.10. Puglia 6.11. Sardegna 6.12. Sicilia 6.13. Toscana 6.14. Umbria 6.15. Valle d’Aosta 6.16. Veneto

Coi tempi e con Don Bosco - Contratto di apprendizzaggio

Autore: 
CNOS-FAP
Categoria pubblicazione: 
Fuori collana
Anno: 
2018
Numero pagine: 
32
Don Bosco, contratto apprendizzaggio, educatore ante litteram, apprendistato, aspetti innovativi

Il laboratorio di Nazaret 1 Sussidio per l'Educazione Religiosa nei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale

Autore: 
Lucillo Maurizio
Categoria pubblicazione: 
Fuori collana
Anno: 
2014
Numero pagine: 
126
Codice: 
978-88-05-88474-2
1 L’adolescente sta intraprendendo la sua strada nella vita, con un’idea che sta diventando sempre più precisa: essere se stesso e dipendere sempre meno dagli adulti. La religione fa quasi sempre parte della sua esperienza, ma egli tende a riferirla al mondo infantile che è alle spalle e tende a considerarla non più adatta alle sue nuove aspirazioni. Eppure non si può negare che la religione continui ad essere presente e ad avere importanza nella vita. > È possibile un incontro tra l’adolescente e la religione? > Può essere fatto nel percorso di istruzione e di formazione professionale? > In quale modo? Questo sussidio di Educazione religiosa considera la religione come una importante parte della nostra cultura e della nostra vita personale e sociale. Studiare con impegno e serietà la religione significa comprendere i contenuti della nostra storia, delle espressioni dell’arte e della letteratura, della ricerca scientifica e delle realizzazioni tecnologiche. Consente, inoltre, di scoprire i fondamenti e i valori delle nostre istituzioni civili, giuridiche, economiche. È una materia che ha un’importante valenza educativa, in quanto fa esplorare i valori e le finalità che stanno alla base di buona parte dell’educazione che abbiamo ricevuta. Questo sussidio vuole costituire uno strumento di aiuto per tentare la realizzazione di questo incontro. Non pretende di portare a credere e ad aderire alla fede cristiana, ma intende far comprendere le ragioni del suo esserci e della sua influenza sulla nostra vita personale e sociale. Esso porta il titolo di Laboratorio per richiamare l’attività didattica che più caratterizza il percorso di Istruzione e Formazione Professionale. Il Laboratorio è il luogo dove il ragazzo e la ragazza sono attivi. Presentazione Coordinamento editoriale: Lia Ferrara Redazione: studiobajetta - Milano Coordinamento tecnico-grafico: Michele Pomponio Progetto grafico e impaginazione: studiobajetta - Milano Copertina: Piergiuseppe Anselmo Foto di copertina: ??? Le immagini provengono dall’Archivio SEI. I brani biblici sono tratti dalla versione ufficiale a cura della CEI © 2008 Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Santa Caterina da Siena per gentile concessione. Il sussidio è stato readatto da Lucillo Maurizio. Roberto Romio ha collaborato per la impostazione pedagogica e didattica. © 2014 by SEI - Società Editrice Internazionale - Torino www.seieditrice.com Prima edizione: 2014 Ristampa 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 2014 2015 2016 2017 2018 Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione dell’opera o di parti di essa con qualsiasi mezzo, compresa stampa, copia fotostatica, microfilm e memorizzazione elettronica, se non espressamente autorizzata per iscritto. Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da: CLEARedi, Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni Editoriali, Corso di Porta Romana 108, 20122 Milano e-mail autorizzazioni@clearedi.org sito web www.clearedi.org L’Editore dichiara la propria disponibilità a regolarizzare errori di attribuzione o eventuali omissioni sui detentori di diritto di copyright non potuti reperire. Stampa: Vincenzo Bona - Torino 2 3 Non apprendono ascoltando una lezione, ma svolgendo un lavoro, misurando in esso le proprie capacità e affrontando le difficoltà e i problemi che praticamente si presentano. Il Laboratorio è anche un luogo di riflessione. Si pensa al proprio futuro di adulti. Si impara a conoscere i problemi e a cercare le soluzioni. È anche il luogo nel quale si sta accanto agli altri, dove si comunicano e si condividono i problemi. È un luogo nel quale si cresce e ci si realizza come lavoratori e come uomini e donne responsabili. Il sussidio è stato titolato Laboratorio di Nazaret, per fare esplicitamente riferimento a quel laboratorio di Giuseppe nel quale Gesù ha trascorso gran parte della sua vita, apprendendo ed esercitando un mestiere, da autentico uomo, che gli ha permesso di guadagnarsi da vivere assieme alla sua famiglia. In quel laboratorio ha potuto pensare al significato della sua vita e alla missione che il Padre gli aveva affidato. Lì ha incontrato i suoi amici, ha sentito parlare delle grandi attese del suo popolo e della figura di Giovanni il Battezzatore, e assieme agli altri ha deciso di andare a incontrarlo. Sei invitato a entrare in questo laboratorio: > per conoscere meglio quello che sei capace di essere prima ancora di quello che sei capace di fare; > per indagare i problemi della tua vita assieme ai tuoi compagni e compagne; > per confrontarti con la proposta cristiana per dare un senso alla tua vita personale, relazionale, professionale. Buon lavoro! I Nuclei tematici Esso è composto da quattro Nuclei tematici che comprendono quattro argomenti caratteristici dell’Educazione religiosa. Come è fatto il sussidio Nucleo tematico La vita adolescente 1 PER INTRODURCI Cominciamo questo percorso parlando dell’adolescente, ossia di noi stessi. Siamo certamente interessati a capire chi siamo, in un momento della vita nel quale vogliamo diventare padroni di noi stessi e, nello stesso tempo, stentiamo a capirci e ad accettarci per quello che siamo. Non ci piace affidarci al mondo degli adulti, anche se essi sono pronti a darci aiuto e sicurezza. Preferiamo rivolgerci ai ragazzi e alle ragazze della nostra età, guardare come vivono loro e prendere coraggio imitandoli nei loro atteggiamenti di fronte alla vita. L’amicizia esercita una grande attrattiva e vogliamo cercarla. Anche se è difficile trovare l’amico o l’amica vero e sincero. Diventare grandi comporta fare delle scelte, nelle quali dobbiamo mettere in gioco la nostra libertà, ma anche la nostra responsabilità. Talvolta abbiamo la tentazione di vivere spensieratamente alla giornata, ma ci rendiamo conto che siamo chiamati a creare un progetto da realizzare. LA PROPOSTA Ci proponiamo un itinerario con alcuni passaggi. Innanzitutto tenteremo di comprendere noi stessi nella condizione adolescenziale, con tutti i problemi e i conflitti che essa comporta. In seguito cercheremo di > esaminare responsabilmente il nostro desiderio di stare con gli altri, di vivere come loro, di conformarci agli stili di vita accettati; > considerare il valore dell’amicizia e le difficoltà che comporta realizzarla nella verità, nella sincerità, nell’apertura vicendevole; > analizzare le condizioni di vita nelle quali ci troviamo e operare scelte responsabili, non lasciandosi condizionare dall’ambiente che ci circonda; > assumere progressivamente un progetto di vita, basato su valori e su convinzioni. UdA 1. Chi è l’adolescente UdA 2. Gli altri preferiti UdA 3. Mai senza amici UdA 4. È necessario scegliere UdA 5. La chiamata alla vita Nucleo tematico PER INTRODURCI Nell’ambiente nel quale viviamo le ragazze e i ragazzi hanno quasi tutti fatto un’esperienza religiosa, pur con diverso impegno e partecipazione. Sappiamo che a questa età si mette in crisi tutto ciò che si è vissuto nel passato, anche la pratica religiosa. Ci sono ragazze e ragazzi che abbandonano tutto ciò che ha a che fare con la religione, e ce ne sono altri che vivono la religione con convinzione e trovano un senso in essa. La religione è anche una grande esperienza sociale e culturale. Essa ha contribuito a formare il nostro vivere insieme e ciò in cui crediamo. La religione ha assunto i grandi interrogativi che coinvolgono l’esistenza umana e ha cercato di dar loro una risposta. Nell’esprimersi la religione ha elaborato un suo linguaggio specifico che è necessario conoscere per comprenderne le manifestazioni. LA PROPOSTA Si propone di esaminare con serietà la propria esperienza religiosa e il significato che essa ha per la maturazione della persona. Si propone lo studio della religione come fenomeno che ha coinvolto tutte le società e tutte le culture. I grandi interrogativi che l’uomo si pone sono gli interrogativi anche dell’uomo religioso, che nella sua fede cerca una risposta alla portata delle sue capacità di comprensione. Il linguaggio della religione non può essere lo stesso che si usa per la realtà materiale. Riguarda ciò a cui si crede e quale senso ha l’esistenza. sNon può essere il linguaggio della descrizione e della misurazione, ma quello dell’espressione delle idee e degli affetti. UdA 6. L’esperienza della religione UdA 7. La religione nella società e nella cultura UdA 8. Gli interrogativi dell’uomo UdA 9. Il linguaggio della religione 2 La religione Nucleo tematico PER INTRODURCI Nell’UdA precedente siamo partiti dall’osservazione di una celebrazione della Messa fatta più di gesti ripetuti e seguiti per abitudine che di partecipazione viva e significativa. Si è constatato che questa celebrazione è poco invitante e risulta spesso noiosa. Eppure la celebrazione della Messa viene considerata la manifestazione centrale della fede cristiana. In essa i credenti affermano di realizzare il loro incontro con Dio, che salva e introduce nella vita nuova con Lui. I riti sono sì abituali e sempre ripetuti, ma hanno un significato. Il linguaggio religioso è difficile non solo per chi lo osserva dal di fuori; anche il credente prova difficoltà e si pone delle domande per comprendere. È proprio il credente colui che deve rendere ragione, innanzitutto a se stesso, della propria fede e di come egli la vive. Solo in un secondo tempo potrà dare spiegazione agli altri. La fede è la dimensione portante della religione cristiana. Essa vuole offrire la interpretazione di fondo dell’esistenza umana. Dire perché si esiste e dire per quale scopo si esiste. LA PROPOSTA Se la fede è così importante, perché è così difficile da comprendere? L’esperienza della scuola ci dice che ci sono tante difficoltà che, inizialmente, sembrano insuperabili. Poi, con la spiegazione e con lo studio, si riesce a entrare nella loro logica, a capirle, fino a padroneggiarle. Anche per il linguaggio religioso vale la stessa logica. È necessario essere interessati, fare lo sforzo di apprendere, attraverso l’ascolto e la riflessione. Forse non c’è interesse per la religione e ci si giustifica dicendo che è incomprensibile? Che ne pensate? Possiamo fare lo sforzo di capire in che cosa consistono la fede e la sua celebrazione nella Messa? È un invito a seguire un percorso di conoscenza e di comprensione. UdA 10. L’esperienza del male e la proposta cristiana UdA 11. Vendetta o perdono? UdA 12. La conversione UdA 13. La Parola di Dio UdA 14. Il memoriale di Gesù 3 Il significato della fede e della celebrazione cristiana Nucleo tematico UdA 15. Di o parla nella storia di un popolo UdA 16. In Gesù Cristo Dio parla a ogni uomo 4 La Bibbia Jean-Léon Gérome, Mosè sul Monte Sinai, 1895-1900, Collezione privata PER INTRODURCI La Bibbia è il testo che fonda la fede religiosa degli ebrei e dei cristiani. Esso è nato all’interno di una pluralità di esperienze storiche che si sono susseguite in oltre un millennio. A differenza delle altre culture antiche che fondano la loro religione nei miti, ossia in costruzioni immaginarie delle vicende degli dèi e degli uomini, la Bibbia fa riferimento a fatti situati nella storia, nel senso dato alla storia dagli antichi. Eventi fondamentali sono stati vissuti dal popolo ebraico e dalle prime comunità cristiane. In questi eventi i credenti hanno sentito la presenza di Dio come attore e partecipe delle vicende umane. Gli eventi sono stati interpretati e impressi nella memoria delle comunità. Sono stati trasmessi da una generazione all’altra. Hanno dato vita a racconti, a feste, a celebrazioni. Infine, affinché non se ne perdesse la memoria, sono stati messi per iscritto. LA PROPOSTA Si descrivono gli eventi di Abramo e della sua migrazione, di Mosè e della liberazione dall’Egitto, della disfatta a opera degli assiri e dei babilonesi, il sorgere dell’attesa del Messia fino alla venuta di Gesù e alla formazione della sua comunità di credenti in Lui morto e risorto. Si descrivono gli eventi fondamentali: • di Abramo e della sua peregrinazione alla ricerca di una terra dove poter vivere e della sofferta ricerca di una discendenza; • di Mosè, della sua lotta contro il faraone d'Egitto, della liberazione del suo popolo, del cammino verso la terra di libertà promessa; • della disfatta del regno ad opera degli assiri e dei neobabilonesi e dell'opera di sostegno dei profeti; • del sorgere della promessa del Messia e della lunga attesa; • della venuta di Gesù, dell'annuncio del vangelo del regno, della sua morte e risurrezione, e della nascita della comunità dei credenti in lui. 1. Si parte dal prendere in considerazione la figura dell’adolescente. Egli sente il bisogno di comprendere la propria identità, sia riflettendo su se stesso, sia confrontandosi con le ragazze e i ragazzi della sua età. 3. Considerando le difficoltà che comporta il linguaggio religioso, si analizzano i punti fondamentali della fede cristiana e della sua celebrazione. 2. Si affronta poi la religione, esplorando il suo significato per la persona e per la società umana. 4. Un’ultima parte introduce alla conoscenza della Bibbia, che è il testo su cui si fonda la fede cristiana. 4 5 Nucleo tematico 1 La vita adolescente UdA 1. Chi è l’adolescente 8 UdA 2. Gli altri preferiti 13 UdA 3. Mai senza amici 17 UdA 4. È necessario scegliere 21 UdA 5. La chiamata alla vita 25 Verifichiamo e valutiamo il cammino percorso 31 Nucleo tematico 2 La religione UdA 6 L’esperienza della religione 34 UdA 7 La religione nella società e nella cultura 40 UdA 8 Gli interrogativi dell’uomo 47 UdA 9 Il linguaggio della religione 54 Verifichiamo e valutiamo il cammino percorso 61 Nucleo tematico 3 Il significato della fede e della celebrazione cristiana UdA 10. L’esperienza del male e la proposta cristiana 64 UdA 11. Vendetta o perdono? 71 UdA 12. La conversione 79 UdA 13. La Parola di Dio 86 UdA 14. Il memoriale di Gesù 92 Verifichiamo e valutiamo il cammino percorso 99 Nucleo tematico 4 La Bibbia UdA 15. Dio parla nella storia di un popolo 102 UdA 16. In Gesù Cristo Dio parla a ogni uomo 112 Verifichiamo e valutiamo il cammino percorso 121 Parole chiave 122w Le Unità di Apprendimento Indice Ciascuna UdA costituisce un percorso che parte da un avvenimento, che fa parte dell’esperienza vissuta delle ragazze e dei ragazzi della tua età. Si tratta di esperienze che pongono degli interrogativi. L’avvenimento, perciò, non è considerato solo in quanto avviene, ma in quanto esso pone delle domande. Le domande, a loro volta, muovono alla ricerca di risposte. Per meglio mettere a fuoco la ricerca, vengono offerte delle testimonianze tratte da affermazioni di ragazze e di ragazzi che hanno vissuto il problema. Si analizzano e si esprime il proprio parere. La riflessione costituisce un primo contributo a comprendere l’interrogativo. Ad esso fa seguito il confronto con un testo di un autore che ha espresso il proprio parere sull’interrogativo. Si è poi invitati ad una riflessione personale o al lavoro di gruppo. Si giunge al confronto con un testo del Vangelo o della Bibbia per dare una risposta personale religiosa al proprio cammino di ricerca, seguito, ancora, dalla riflessione personale o dal lavoro di gruppo. Il risultato del percorso effettuato viene espresso con un compito per te. 8 UdA 9 UdA 1 1 Chi è l’adolescente Chi è l’adolescente L’AVVENIMENTO Le persone che ti incontrano ripetono sempre le stesse frasi: “Come sei cresciuto!”, “Sei diventata una donna!”. Alle volte queste espressioni danno fastidio. Sembra che gli adulti non abbiano di meglio da fare che occuparsi degli affari degli altri e trovare qualcosa da dire di loro. Però ci sono occasioni in cui essere riconosciuti come “diventati grandi” fa piacere. Specialmente se quelli che lo dicono sono persone di fronte alle quali ci teniamo ad essere ritenuti tali e non considerati più come dei bambini. Però non è un periodo tranquillo della vita. Essere diventati grandi non vuol sempre dire stare meglio. Certo, non vogliamo più saperne di quando eravamo ragazze e ragazzi "delle medie". Mai! Forse agli altri appariamo sicuri, perfino spavaldi. Diciamo che non abbiamo paura di niente. Però, se si dovesse chiedere a una ragazza o a un ragazzo di 14-15 anni di descrivere se stesso, potrebbe rispondere che si sente spesso in uno stato confusionale. Stenta a capire se stesso. Passa da momenti di entusiasmo e di voglia di vivere alla grande, a momenti di tristezza, insicurezza, scontentezza di sé. L’INTERROGATIVO È forse il caso di fermarsi a pensare? Oppure è meglio non farlo? Pensare crea ansia! È una perdita di tempo! Possiamo chiederci perché siamo così. Oppure è meglio che viviamo senza porci problemi? Ma che cosa vogliano dalla nostra vita? Oppure prendiamo la vita come viene senza porci problemi? TESTIMONIANZE Leggiamo alcune espressioni di ragazze e di ragazzi. Non so più se sono normale! Vorrei prendere mia sorella per il collo e strozzarla! Lei ha tre anni più di me. Mi considera ancora una bambina. Si vanta di avere tante amiche e amici, di divertirsi e di fare quello che vuole. Io non riesco ad avere amiche e amici; almeno quelli veri. Mi sento spesso sola e nessuno mi considera. Che sia colpa di mia sorella che mi ha sempre fatto fare la sua schiavetta? (Silvia) Ci sono giornate nelle quali sono in grande forma. Sono allegro e anche spaccone. Mi piace farmi vedere forte, raccontare cose alla grande, fare scherzi a tutti specialmente alle ragazze. Ci sono altre giornate nelle quali mi sento un niente. Non ho voglia di ridere e neanche di parlare. Mi sembra di non essere interessante. Ho paura di non farcela né a scuola né con gli altri. Se le ragazze mi guardano penso che vogliano prendermi in giro. (Daniele) ANALISI DELLE AFFERMAZIONI Ricorda che analizzare significa: • innanzitutto comprendere che cosa vuol dire chi parla; • chiedersi il perché delle sue affermazioni; • chiedersi che cosa determina il valore di quello che la persona dice. Ora analizza le affermazioni dei ragazzi riportate sopra seguendo i passaggi indicati. Esprimi poi il tuo parere. RIFLETTI Spesso capita di essere inquieti, insoddisfatti, di non riuscire ad accettare la famiglia e le condizioni di vita. Si litiga con i genitori, con le sorelle e con i fratelli. Viene voglia di chiudersi in se stessi e di non parlare con nessuno. Oppure di andarsene fuori e stare il più lontano possibile dalla famiglia. 10 Nucleo 1 La vita adolescente 11 UdA 1 Chi è l’adolescente Laboratorio per la riflessione personale o per il lavoro di gruppo Laboratorio per la riflessione personale o per il lavoro di gruppo > Ti rendi conto che non cresci solo fisicamente, ma che cambia anche il modo nel quale tu ti senti? > Vivi la vita giorno per giorno come capita, oppure rifletti su ciò che avviene? > Le esperienze nuove ti fanno sentire più consapevole e responsabile di te stesso? A CONFRONTO CON IL VANGELO Si è cominciato prendendo in considerazione la condizione dell’adolescente. Si sono messi in evidenza alcuni atteggiamenti e stati d’animo. Talvolta si può aver esagerato nell’individuare espressioni estreme. Una cosa sembra certa: non si tratta di un’età tranquilla. L’attività formativa non si interessa solo dell’addestramento professionale, ma tiene conto della persona nella scuola. Non basta essere un bravo meccanico o elettrotecnico o informatico. È necessario che il meccanico, l’elettrotecnico, l’informatico sia un vero uomo o una vera donna, capace di dare senso alla propria vita anche per mezzo della propria professione. L’IRC, assieme alle altre attività formative, intende prendere sul serio la condizione dell’adolescente. Vuole aiutare a conoscerla e a interpretarla. Vuole, soprattutto, metterla a confronto con il Vangelo per conoscere l’aiuto che esso può dare a comprendere meglio se stessi. Il Vangelo di Luca presenta l’unico episodio della vita di Gesù in un’età simile alla nostra attuale adolescenza. Al compimento dei dodici anni un ragazzo ebreo raggiungeva l’età nella quale assumeva la responsabilità della vita adulta. Pur restando legato alla propria famiglia, iniziava l’attività lavorativa normale e contribuiva al mantenimento della famiglia stessa. Il raggiungimento dei dodici anni comportava la partecipazione ai grandi eventi della vita sociale. Uno di questi era costituito dal pellegrinaggio a Gerusalemme in occasione della festa della Pasqua. Anche per Gesù è giunto il tempo di entrare nel mondo dei grandi e di partecipare al viaggio alla città santa. > Ti sembrano espressioni esagerate? > Ti ritrovi qualche volta o spesso in queste condizioni? > Che cosa dici della tua giornata? A CONFRONTO CON UN TESTO Esaminiamo le seguenti affermazioni di uno studioso italiano. Il compito specifico dell’adolescenza è la formazione dell’identità. Si tratta di un processo dinamico che permette all’adolescente di essere se stesso nel divenire. L’identità è costante nel tempo, anche se dinamica e accrescitiva. È per questo che si parla di “costruzione” dell’identità. (S. De Pieri, Identità e adolescenza, in COSPES, L’età incompiuta, Leumann 1995, p. 8) Per la comprensione del testo 1. In primo luogo si afferma che a questa età stai dando forma (identità) alla tua persona: ossia stai delineando chi sei, che cosa vuoi essere, come vuoi essere. 2. In secondo luogo si dice che questo procedimento avviene nel corso del tempo. Non si tratta di un avvenimento improvviso, che accade in un istante, ma di un procedimento esteso lungo tutta l’adolescenza; perciò in un periodo di quattro-cinque anni. 3. I termini “dinamica” e “accrescitiva” significano che la formazione dell’identità avviene in una continua trasformazione della persona e che essa cresce attraverso le diverse esperienze che si fanno. Prova ad analizzare una giornata tipo. • Al mattino mi alzo. Di che umore sono? • Riesco a fare ciò che mi è necessario tranquillamente oppure nascono subito i primi conflitti? • Uscendo da casa per andare a scuola, saluto o sbatto la porta? • Sui mezzi pubblici e per strada mi comporto “civilmente” oppure sono litigioso e scostante? • A scuola svolgo il mio lavoro oppure creo confusione e scompiglio? • Mi interessa quello che viene detto e fatto o mi disimpegno appena posso? • Il ritorno a casa è sereno o conflittuale? • Dedico tempo allo studio oppure faccio altro? • Passo gran parte del tempo fuori? • Torno a casa solo per cena e poi esco ancora fino a tardi? 12 Nucleo 1 La vita adolescente 13 Gli altri preferiti 2 L’AVVENIMENTO Il legame con la propria famiglia diventa sempre più tenue. A casa si va per mangiare e per dormire. Nella propria stanza si fanno i compiti, si ascolta musica, si fanno giochi, si naviga in internet… Qualche volta si parla con i genitori, ma non ci si scopre troppo. Se si hanno problemi, raramente si affrontano con loro. Si cerca, invece, il confronto con le proprie amiche e con i propri amici. Si ricorre a loro perché anch’essi vivono la stessa esperienza e sentono i problemi alla stessa maniera. Il confronto con loro dà una certa sicurezza. Si fa come fanno gli altri. Si ha la percezione di essere ascoltati e accolti. L’INTERROGATIVO Il rapporto con i genitori sta cambiando: quali sono gli aspetti positivi del cambiamento e quali gli aspetti negativi? Facciamone un elenco. È necessaria una rottura con la famiglia o si può instaurare un rapporto nuovo? In che modo? Il rapporto con gli amici quali vantaggi offre e quali pericoli può comportare? Facciamone una mappa. UdA Si possono immaginare l’entusiasmo e l’eccitazione per un ragazzo che esce per la prima volta dal villaggio dove è sempre vissuto e va a incontrare un mondo del quale ha sentito descrivere la grandezza e lo splendore. La curiosità e il fascino della città lo coinvolgono totalmente ed egli si immerge in questa esperienza dimenticando tutto il resto. I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”. Ed egli rispose loro: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Scese dunque con loro e venne a Nazaret e stava loro sottomesso. (Lc 2, 41-51) Per la comprensione del testo Gesù assume il suo ruolo di adulto. Partecipa com’è suo diritto e dovere al grande atto sociale della celebrazione della Pasqua. Ma il gesto che egli compie è inaspettato e sconvolgente. Lascia la sua famiglia per dedicarsi all’ascolto della Parola di Dio e ad annunciarla agli uomini del suo popolo. Inizia la manifestazione della presenza misteriosa di Dio nella sua persona. Gesù con il suo gesto afferma che ha un progetto da realizzare nella sua vita, e che esso va al di là della sua famiglia e del suo paese. Jean-Auguste- Dominique Ingres, Gesù tra i dottori, 1862, Montauban, Musée Ingres. Laboratorio per la riflessione personale o per il lavoro di gruppo Un compito per te > Che cosa ti suggerisce il gesto di Gesù? > Può costituire un esempio per la tua vita? > La tua vita richiede un superamento della famiglia? > In quale senso? Immagina di aver effettuato una scelta importante. > Come hai ragionato per prenderla? > Come l’hai presentata ai tuoi genitori? Nucleo tematico La vita adolescente 1 PER INTRODURCI Cominciamo questo percorso parlando dell’adolescente, ossia di noi stessi. Siamo certamente interessati a capire chi siamo, in un momento della vita nel quale vogliamo diventare padroni di noi stessi e, nello stesso tempo, stentiamo a capirci e ad accettarci per quello che siamo. Non ci piace affidarci al mondo degli adulti, anche se essi sono pronti a darci aiuto e sicurezza. Preferiamo rivolgerci ai ragazzi e alle ragazze della nostra età, guardare come vivono loro e prendere coraggio imitandoli nei loro atteggiamenti di fronte alla vita. L’amicizia esercita una grande attrattiva e vogliamo cercarla. Anche se è difficile trovare l’amico o l’amica vero e sincero. Diventare grandi comporta fare delle scelte, nelle quali dobbiamo mettere in gioco la nostra libertà, ma anche la nostra responsabilità. Talvolta abbiamo la tentazione di vivere spensieratamente alla giornata, ma ci rendiamo conto che siamo chiamati a creare un progetto da realizzare. LA PROPOSTA Ci proponiamo un itinerario con alcuni passaggi. Innanzitutto tenteremo di comprendere noi stessi nella condizione adolescenziale, con tutti i problemi e i conflitti che essa comporta. In seguito cercheremo di > esaminare responsabilmente il nostro desiderio di stare con gli altri, di vivere come loro, di conformarci agli stili di vita accettati; > considerare il valore dell’amicizia e le difficoltà che comporta realizzarla nella verità, nella sincerità, nell’apertura vicendevole; > analizzare le condizioni di vita nelle quali ci troviamo e operare scelte responsabili, non lasciandosi condizionare dall’ambiente che ci circonda; > assumere progressivamente un progetto di vita, basato su valori e su convinzioni. UdA 1. Chi è l’adolescente UdA 2. Gli altri preferiti UdA 3. Mai senza amici UdA 4. È necessario scegliere UdA 5. La chiamata alla vita 8 UdA 9 UdA 1 1 Chi è l’adolescente Chi è l’adolescente L’AVVENIMENTO Le persone che ti incontrano ripetono sempre le stesse frasi: “Come sei cresciuto!”, “Sei diventata una donna!”. Alle volte queste espressioni danno fastidio. Sembra che gli adulti non abbiano di meglio da fare che occuparsi degli affari degli altri e trovare qualcosa da dire di loro. Però ci sono occasioni in cui essere riconosciuti come “diventati grandi” fa piacere. Specialmente se quelli che lo dicono sono persone di fronte alle quali ci teniamo ad essere ritenuti tali e non considerati più come dei bambini. Però non è un periodo tranquillo della vita. Essere diventati grandi non vuol sempre dire stare meglio. Certo, non vogliamo più saperne di quando eravamo ragazze e ragazzi "delle medie". Mai! Forse agli altri appariamo sicuri, perfino spavaldi. Diciamo che non abbiamo paura di niente. Però, se si dovesse chiedere a una ragazza o a un ragazzo di 14-15 anni di descrivere se stesso, potrebbe rispondere che si sente spesso in uno stato confusionale. Stenta a capire se stesso. Passa da momenti di entusiasmo e di voglia di vivere alla grande, a momenti di tristezza, insicurezza, scontentezza di sé. L’INTERROGATIVO È forse il caso di fermarsi a pensare? Oppure è meglio non farlo? Pensare crea ansia! È una perdita di tempo! Possiamo chiederci perché siamo così. Oppure è meglio che viviamo senza porci problemi? Ma che cosa vogliano dalla nostra vita? Oppure prendiamo la vita come viene senza porci problemi? TESTIMONIANZE Leggiamo alcune espressioni di ragazze e di ragazzi. Non so più se sono normale! Vorrei prendere mia sorella per il collo e strozzarla! Lei ha tre anni più di me. Mi considera ancora una bambina. Si vanta di avere tante amiche e amici, di divertirsi e di fare quello che vuole. Io non riesco ad avere amiche e amici; almeno quelli veri. Mi sento spesso sola e nessuno mi considera. Che sia colpa di mia sorella che mi ha sempre fatto fare la sua schiavetta? (Silvia) Ci sono giornate nelle quali sono in grande forma. Sono allegro e anche spaccone. Mi piace farmi vedere forte, raccontare cose alla grande, fare scherzi a tutti specialmente alle ragazze. Ci sono altre giornate nelle quali mi sento un niente. Non ho voglia di ridere e neanche di parlare. Mi sembra di non essere interessante. Ho paura di non farcela né a scuola né con gli altri. Se le ragazze mi guardano penso che vogliano prendermi in giro. (Daniele) ANALISI DELLE AFFERMAZIONI Ricorda che analizzare significa: • innanzitutto comprendere che cosa vuol dire chi parla; • chiedersi il perché delle sue affermazioni; • chiedersi che cosa determina il valore di quello che la persona dice. Ora analizza le affermazioni dei ragazzi riportate sopra seguendo i passaggi indicati. Esprimi poi il tuo parere. RIFLETTI Spesso capita di essere inquieti, insoddisfatti, di non riuscire ad accettare la famiglia e le condizioni di vita. Si litiga con i genitori, con le sorelle e con i fratelli. Viene voglia di chiudersi in se stessi e di non parlare con nessuno. Oppure di andarsene fuori e stare il più lontano possibile dalla famiglia. 10 Nucleo 1 La vita adolescente 11 Chi è l’adolescente UdA 1 Laboratorio per la riflessione personale o per il lavoro di gruppo Laboratorio per la riflessione personale o per il lavoro di gruppo > Ti rendi conto che non cresci solo fisicamente, ma che cambia anche il modo nel quale tu ti senti? > Vivi la vita giorno per giorno come capita, oppure rifletti su ciò che avviene? > Le esperienze nuove ti fanno sentire più consapevole e responsabile di te stesso? A CONFRONTO CON IL VANGELO Si è cominciato prendendo in considerazione la condizione dell’adolescente. Si sono messi in evidenza alcuni atteggiamenti e stati d’animo. Talvolta si può aver esagerato nell’individuare espressioni estreme. Una cosa sembra certa: non si tratta di un’età tranquilla. L’attività formativa non si interessa solo dell’addestramento professionale, ma tiene conto della persona nella scuola. Non basta essere un bravo meccanico o elettrotecnico o informatico. È necessario che il meccanico, l’elettrotecnico, l’informatico sia un vero uomo o una vera donna, capace di dare senso alla propria vita anche per mezzo della propria professione. L’IRC, assieme alle altre attività formative, intende prendere sul serio la condizione dell’adolescente. Vuole aiutare a conoscerla e a interpretarla. Vuole, soprattutto, metterla a confronto con il Vangelo per conoscere l’aiuto che esso può dare a comprendere meglio se stessi. Il Vangelo di Luca presenta l’unico episodio della vita di Gesù in un’età simile alla nostra attuale adolescenza. Al compimento dei dodici anni un ragazzo ebreo raggiungeva l’età nella quale assumeva la responsabilità della vita adulta. Pur restando legato alla propria famiglia, iniziava l’attività lavorativa normale e contribuiva al mantenimento della famiglia stessa. Il raggiungimento dei dodici anni comportava la partecipazione ai grandi eventi della vita sociale. Uno di questi era costituito dal pellegrinaggio a Gerusalemme in occasione della festa della Pasqua. Anche per Gesù è giunto il tempo di entrare nel mondo dei grandi e di partecipare al viaggio alla città santa. > Ti sembrano espressioni esagerate? > Ti ritrovi qualche volta o spesso in queste condizioni? > Che cosa dici della tua giornata? A CONFRONTO CON UN TESTO Esaminiamo le seguenti affermazioni di uno studioso italiano. Il compito specifico dell’adolescenza è la formazione dell’identità. Si tratta di un processo dinamico che permette all’adolescente di essere se stesso nel divenire. L’identità è costante nel tempo, anche se dinamica e accrescitiva. È per questo che si parla di “costruzione” dell’identità. (S. De Pieri, Identità e adolescenza, in COSPES, L’età incompiuta, Leumann 1995, p. 8) Per la comprensione del testo 1. In primo luogo si afferma che a questa età stai dando forma (identità) alla tua persona: ossia stai delineando chi sei, che cosa vuoi essere, come vuoi essere. 2. In secondo luogo si dice che questo procedimento avviene nel corso del tempo. Non si tratta di un avvenimento improvviso, che accade in un istante, ma di un procedimento esteso lungo tutta l’adolescenza; perciò in un periodo di quattro-cinque anni. 3. I termini “dinamica” e “accrescitiva” significano che la formazione dell’identità avviene in una continua trasformazione della persona e che essa cresce attraverso le diverse esperienze che si fanno. Prova ad analizzare una giornata tipo. • Al mattino mi alzo. Di che umore sono? • Riesco a fare ciò che mi è necessario tranquillamente oppure nascono subito i primi conflitti? • Uscendo da casa per andare a scuola, saluto o sbatto la porta? • Sui mezzi pubblici e per strada mi comporto “civilmente” oppure sono litigioso e scostante? • A scuola svolgo il mio lavoro oppure creo confusione e scompiglio? • Mi interessa quello che viene detto e fatto o mi disimpegno appena posso? • Il ritorno a casa è sereno o conflittuale? • Dedico tempo allo studio oppure faccio altro? • Passo gran parte del tempo fuori? • Torno a casa solo per cena e poi esco ancora fino a tardi? 12 Nucleo 1 La vita adolescente 13 2 Gli altri preferiti L’AVVENIMENTO Il legame con la propria famiglia diventa sempre più tenue. A casa si va per mangiare e per dormire. Nella propria stanza si fanno i compiti, si ascolta musica, si fanno giochi, si naviga in internet… Qualche volta si parla con i genitori, ma non ci si scopre troppo. Se si hanno problemi, raramente si affrontano con loro. Si cerca, invece, il confronto con le proprie amiche e con i propri amici. Si ricorre a loro perché anch’essi vivono la stessa esperienza e sentono i problemi alla stessa maniera. Il confronto con loro dà una certa sicurezza. Si fa come fanno gli altri. Si ha la percezione di essere ascoltati e accolti. L’INTERROGATIVO Il rapporto con i genitori sta cambiando: quali sono gli aspetti positivi del cambiamento e quali gli aspetti negativi? Facciamone un elenco. È necessaria una rottura con la famiglia o si può instaurare un rapporto nuovo? In che modo? Il rapporto con gli amici quali vantaggi offre e quali pericoli può comportare? Facciamone una mappa. UdA Si possono immaginare l’entusiasmo e l’eccitazione per un ragazzo che esce per la prima volta dal villaggio dove è sempre vissuto e va a incontrare un mondo del quale ha sentito descrivere la grandezza e lo splendore. La curiosità e il fascino della città lo coinvolgono totalmente ed egli si immerge in questa esperienza dimenticando tutto il resto. I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”. Ed egli rispose loro: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Scese dunque con loro e venne a Nazaret e stava loro sottomesso. (Lc 2, 41-51) Per la comprensione del testo Gesù assume il suo ruolo di adulto. Partecipa com’è suo diritto e dovere al grande atto sociale della celebrazione della Pasqua. Ma il gesto che egli compie è inaspettato e sconvolgente. Lascia la sua famiglia per dedicarsi all’ascolto della Parola di Dio e ad annunciarla agli uomini del suo popolo. Inizia la manifestazione della presenza misteriosa di Dio nella sua persona. Gesù con il suo gesto afferma che ha un progetto da realizzare nella sua vita, e che esso va al di là della sua famiglia e del suo paese. Jean-Auguste- Dominique Ingres, Gesù tra i dottori, 1862, Montauban, Musée Ingres. Laboratorio per la riflessione personale o per il lavoro di gruppo Un compito per te > Che cosa ti suggerisce il gesto di Gesù? > Può costituire un esempio per la tua vita? > La tua vita richiede un superamento della famiglia? > In quale senso? Immagina di aver effettuato una scelta importante. > Come hai ragionato per prenderla? > Come l’hai presentata ai tuoi genitori? 14 Nucleo 1 La vita adolescente 15 UdA 2 Laboratorio per la riflessione personale o per il lavoro di gruppo Laboratorio per la riflessione personale o per il lavoro di gruppo Gli altri preferiti A CONFRONTO CON UN TESTO Una studiosa dei problemi adolescenziali offre questa considerazione. Il gruppo dei pari è […] come un laboratorio sociale nel quale il ragazzo e la ragazza possono sperimentare scelte e comportamenti autonomi; i coetanei vengono identificati come il più importante oggetto di confronto […] le relazioni amicali offrono all’adolescente molteplici opportunità per conoscere le strategie che gli altri usano per affrontare problemi simili a quelli in cui si sente impegnato […] per esplorare nuovi spazi e per valutare in modo autonomo, al di là del controllo degli adulti, il proprio comportamento e le proprie scelte. (Maria Luisa Pombeni in Psicologia dell’adolescenza, Bologna, Il Mulino, 1991, pp. 225 ss.) > I genitori possono ancora essere di aiuto? > Fino a che punto? > Quali difficoltà si incontrano nel parlare dei propri problemi con i genitori? > Rivolgersi ai propri compagni e amici può dare veramente sicurezza? > Quale limite può avere il parere degli amici? > Che cosa si intende per “gruppo dei pari”? > In che senso si parla di “laboratorio sociale”? > Perché i coetanei costituiscono il più importante elemento di confronto? A CONFRONTO CON IL VANGELO Il Vangelo non è un manuale di formule che dà le soluzioni ai problemi della vita. Esso presenta Gesù di fronte a situazioni concrete di vita. Dal suo comportamento e dalle sue parole possiamo ricavare degli orientamenti per le nostre scelte. Gesù, nell’evento del suo battesimo, ha una manifestazione di Dio Padre che lo proclama suo Figlio e gli invia il suo Spirito Santo perché egli cominci la sua vita di annunciatore del Regno di Dio. Da quel momento Gesù lascia la sua casa, sua madre e i suoi parenti, diventa un maestro che si muove da un villaggio all’altro della Galilea, parla alla gente, compie guarigioni, riunisce attorno a sé un gruppo di discepoli che vivono con lui. La scelta di Gesù impensierisce la sua famiglia. Come mai è così cambiato? Non sarà mica uscito di senno? È il caso di lasciarlo fare o bisogna costringerlo a ritornare a casa tra i suoi? Gesù seguito da una moltitudine di discepoli, miniatura araba del XVII secolo. TESTIMONIANZE Io ho parecchi amici con i quali mi trovo bene, perché posso parlare dei miei problemi, perché so che possono aiutarmi. Mi considero alla pari, al loro livello, ci aiutiamo a vicenda, siamo uniti, siamo alla pari. Non sono né io migliore di loro, né loro migliori di me. (Guido) L’amicizia, secondo me, è alla base dell’adolescente, perché l’adolescente si sente spesso insicuro, sente un senso di timore di fronte alla vita che non sa come affrontare. I genitori sono un’entità troppo lontana per poter chiedere a loro un aiuto, e quindi l’amico è uno che vive con te la stessa esperienza, è uno che ti può arricchire e che tu puoi arricchire. Per questo, secondo me, l’amicizia è fondamentale. Io ho molti amici con i quali posso parlare e condividere esperienze, confidando nell'aiuto reciproco. (Margherita) ANALISI DELLE AFFERMAZIONI Quali aspetti del rapporto con gli altri vengono messi in evidenza? Perché si parla di sicurezza? Che cosa danno gli amici che i genitori non possono dare? Esprimi il tuo parere. RIFLETTI Man mano che cresciamo ci rendiamo conto che la vita è nelle nostre mani. Gli altri, anche i genitori, non possono viverla al nostro posto. Però ci accorgiamo anche che non sempre è facile gestire da soli la propria vita. Non sempre siamo capaci di risolvere i problemi che si presentano. È necessario fare delle domande per capire le difficoltà che si incontrano. E c’è bisogno di trovare delle risposte da parte di persone delle quali ci si può fidare. 16 Nucleo 1 La vita adolescente 17 Questi pensieri preoccupano i suoi, che decidono di andarlo a cercare e di riportarlo a casa. Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; dicevano infatti: “È fuori di sé”. […] Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, mandarono a chiamarlo. Attorno a lui era seduta una folla, e gli dissero: “Ecco, tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle stanno fuori e ti cercano”. Ma egli rispose: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?”.Girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno a lui, disse: “Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre”. (Mc 3, 21, 31-35) Per la comprensione del testo Gesù si trova di fronte a due esigenze: realizzare il progetto che Dio Padre gli ha affidato e onorare il rapporto con la sua famiglia come esige il suo amore di figlio. La sua decisione è di realizzare il suo progetto di vita e di estendere a tutti quelli che stanno con lui il rapporto affettivo di una nuova e grande famiglia. UdA 3 Mai senza amici L’AVVENIMENTO Il rapporto con i coetanei non è fatto solo di confronto sui problemi che sorgono, di ricerca di sicurezza nei momenti di incertezza e di confusione. Non è fatto solo di discussione per decidere su che cosa si vuol fare. Esso è anche fatto di affettività; di star bene insieme; di comprensione e di aiuto vicendevole. Basta mettersi vicini di banco o incontrarsi all’entrata della scuola e subito scatta un rapporto di comunicazione. Si parla facilmente di quello che succede in classe, del rapporto con gli insegnanti, delle paure delle interrogazioni. Inizialmente si è un po’ superficiali e non ci si scopre più di tanto, poi si passa alla confidenza, al trasmettere i propri sentimenti o le proprie paure. Si può dire che la cosa che più piace a scuola è trovare tanta gente simpatica e divertirsi a stare insieme. L’INTERROGATIVO Pensate che il bisogno di amicizia sia molto importante? Perché? Perché si dice che si sta bene con gli altri? Che cosa ci si aspetta dalla confidenza? Ci sono difficoltà nell’instaurare veramente un’amicizia? Quali? Laboratorio per la riflessione personale o per il lavoro di gruppo > Quale suggerimento possiamo ricavare per valutare il nostro rapporto con la famiglia e quello con gli amici? > Genitori e amici si trovano su due fronti contrari oppure no? > Quale valore viene suggerito dall’atteggiamento di Gesù? Un compito per te > Come si può spiegare ai genitori il proprio bisogno di stare con gli altri?

Dossier "Istruzione e Formazione Professionale" (IeFP)

Autore: 
CNOS-FAP
Categoria pubblicazione: 
Fuori collana
Anno: 
2014
Numero pagine: 
74
Dossier “Istruzione e Formazione Professionale” (IeFP) Aggiornato a Settembre 2014 A cura del CNOS-FAP 3 SOMMARIO 1. VISIONE DI INSIEME DEL SISTEMA DI ISTRUZIONE E FORMAZIONE PROFESSIONALE p. 5 2. IEFP: ASPETTI QUALI-QUANTITATIVI p. 25 3. IEFP: ASPETTI TEMATICI p. 41 4. ALCUNE PROPOSTE PER POTENZIARE L’OFFERTA DI IEFP p. 69 INDICE p. 73 5 1. VISIONE DI INSIEME DEL SISTEMA DI ISTRUZIONE E FORMAZIONE PROFESSIONALE 1.1. Il sistema di Istruzione e Formazione vigente 1.1.1. I principali orientamenti europei in materia di Istruzione e Formazione È utile distinguere i due periodi per richiamare i principali orientamenti europee: la “Strategia di Lisbona” (2000 - 2010) e il progetto “Europa 2020”. a. La “Strategia di Lisbona” Il 23 e 24 marzo 2000 il Consiglio europeo tenne a Lisbona (da cui l’appellativo Strategia di Lisbona) una sessione straordinaria dedicata ai temi economici e sociali dell’Unione europea. È noto l’obiettivo dichiarato: realizzare in Europa, entro il 2010, “l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale”. È nel perseguimento di tale obiettivo che vennero avviate una serie di ambiziose riforme, il cui status è stato periodicamente valutato in occasione dei Consigli europei di primavera. All’interno di questa strategia globale è stato messo il ruolo fondamentale dell’istruzione quale parte integrante delle politiche economiche e sociali, declinato, soprattutto, come attività di apprendimento lungo tutto l’arco della vita1. Per promuovere l’apprendimento permanente vennero fissati quattro rilevanti obiettivi politici trasversali: − elaborare framework nazionali che contenessero ed inquadrassero tutti i titoli e le qualifiche rilasciate ai diversi livelli, dalla scuola di base fino all’Università; − attuare delle misure per valutare e convalidare l’apprendimento non formale ed informale; − istituire sistemi di orientamento per promuovere e sostenere l’apprendimento permanente; − attuare iniziative per rafforzare la mobilità transnazionale. Dopo la focalizzazione dell’obiettivo di rendere l’istruzione e formazione in Europa un punto di riferimento a livello mondiale per il 20102 da parte del Consiglio europeo di Barcellona (2002), il Consiglio dell’Unione europea (Istruzione, Gioventù e Cultura) emanò, sempre nel 2002, a Copenaghen una Dichiarazione volta a promuovere una maggiore cooperazione in materia di Istruzione e Formazione 1 Conclusioni della presidenza, Consiglio europeo di Lisbona 23/24 marzo 2000. 2 Dichiarazione dei Ministri europei dell’Istruzione e Formazione Professionale e della Commissione europea, riuniti a Copenaghen il 29 e 30 novembre 2002. 6 Professionale. Venne pertanto introdotto il metodo della Cooperazione rafforzata nell’Istruzione e Formazione Professionale (VET) su quattro finalità, in particolare: − rafforzare la dimensione europea dell’istruzione e formazione professionale; − trasparenza, informazione, orientamento; − riconoscimento delle competenze e delle qualifiche; − garanzia della qualità. Allo scopo di attuare gli obiettivi prefissati nella strategia per lo sviluppo dell’Istruzione e Formazione Professionale individuata a Barcellona e Copenaghen, ed in sintonia con la strategia più generale di promozione dell’apprendimento permanente, il Consiglio europeo definì successivamente un programma generale per promuovere la mobilità (programma lifelong learning) ed individuò alcune aree di intervento specifico, il cui frutto furono specifiche Raccomandazioni: − lo sviluppo di un Quadro europeo per la trasparenza delle qualifiche e delle competenze (European Qualification Framework - EQF); − l’introduzione di una Metodologia per il trasferimento dei crediti per l’Istruzione e la Formazione Professionale (European Credit system for Vocational Education and Training - ECVET); − la definizione di un Quadro di riferimento per l’assicurazione della qualità (European Quality Assurcance Reference framework for Vocational Education and Training - EQAVET); − la definizione di un Quadro europeo per le competenze chiave. Inoltre, il processo di Copenaghen ha portato alla realizzazione di strumenti per facilitare la mobilità e la trasparenza delle qualifiche (Europass) e di strumenti per promuovere l’informazione e l’orientamento sulle opportunità di formazione e di carriera nell’Unione europea (portale PLOTEUS e Euroguidance network). Con l’emanazione di queste Raccomandazioni, tra la fine del 2006 e giugno del 2009, viene portato a compimento il processo politico delineato tra Lisbona e Copenaghen. Si tratta di atti non vincolanti ma fortemente impegnativi che possono modificare l’organizzazione dei sistemi scolastici e formativi nazionali, pur rimanendo questi ultimi di materia soggetta alla giurisdizione nazionale. b. Verso “Europa 2020” La Strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione è stata la risposta comune dell’Europa per affrontare le sfide della globalizzazione, del mutamento demografico e della società della conoscenza. Ma nonostante gli sforzi comuni, questi obiettivi sono stati raggiunti solo in parte e la dura crisi economica ha reso queste sfide ancora più pressanti. Per emergere dalla crisi e preparare l’Europa futura la Commissione ha proposto la “strategia 20203”. La Strategia Europa 2020 succede a quella di Lisbona, condividendone alcuni aspetti, e propone un progetto per l’economia sociale di mercato europea sulla base di tre obiettivi prioritari: 3 Comunicazione della Commissione Europa 2020, una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, Com(2010) 2020 7 − crescita intelligente, attraverso lo sviluppo di un’economia basata sulla conoscenza e sull’innovazione; − crescita sostenibile, attraverso la promozione di un’economia a basse emissioni inquinanti, efficiente e sotto il profilo dell’impiego delle risorse e competitiva; − crescita inclusiva, attraverso la promozione di un’economia con un alto tasso di occupazione che favorisca la coesione sociale e territoriale. I progressi verso la realizzazione di questi obiettivi saranno valutati sulla base di cinque traguardi principali da raggiungere a livello di Unione europea, che gli Stati membri dovranno tradurre in obiettivi nazionali da definire in funzione delle rispettive situazioni di partenza. Nel raggiungimento di questi obiettivi l’istruzione, la formazione e l’apprendimento permanente devono avere un ruolo chiave. I cinque indicatori della strategia Europa 2020 sono: − il 75% delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni deve avere un lavoro; − innalzare al 3% del PIL i livelli di investimento pubblico e privato nella ricerca e nello sviluppo; − ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 20% rispetto ai livelli del 1990 e portare al 20% la quota delle fonti di energia rinnovabili nel consumo finale di energia; − il tasso di abbandono scolastico deve essere inferiore al 10% e almeno il 40% dei giovani deve avere una laurea o un diploma; − 20 milioni di persone in meno devono essere a rischio povertà. Sono state individuate, inoltre, sette iniziative faro: l’Unione dell’innovazione; Youth on the move; un’agenda europea del digitale; un’Europa efficiente sotto il profilo delle risorse; una politica industriale per l’era della globalizzazione; un’agenda per nuove competenze per nuovi posti di lavori; la piattaforma europea contro la povertà. La Strategia “Europa 2020” è stata adottata dall’Unione Europea in occasione del Consiglio europeo dei Capi di Stato e di Governo del 17 giugno 2010. Anche nel campo formativo è stato definito un quadro strategico per la cooperazione europea nel prossimi dieci anni: ET 2020. Il programma prende le mosse dai progressi realizzati nel quadro del programma di lavoro “Istruzione e Formazione 2010” e dalla Comunicazione della Commissione europea “Nuove competenze per nuovi lavori” del 2008 che, alla luce delle previsione sull’evoluzione dell’occupazione e dei fabbisogni di competenze in Europa stimati da Cedefop fino al 23020, suggerisce agli Stati membri una strategia centrata sulla capacità di riorientare l’offerta di istruzione e formazione alla domanda delle imprese e de4i fabbisogni professionali richiesti. Il programma ET 2020 adotta il Metodo del Coordinamento aperto ed identifica quattro obiettivi: − rendere l’apprendimento permanente e la mobilità una realità concreta; − migliorare la qualità e l’efficienza dell’istruzione e della formazione; − promuovere equità, coesione sociale e cittadinanza attiva; − stimolare la creatività e l’innovazione, inclusa l’imprenditorialità, a tutti i livelli dell’istruzione e della formazione. 8 All’interno di questo rinnovato sforzo di avanzamento comune per la promozione dei sistemi di istruzione e formazione e dell’apprendimento permanente, il Consiglio dei Ministri europei per l’istruzione e la formazione ha approvato 5 nuovi obiettivi quantitativi (benchmark) da raggiungere entro il 2020: − almeno il 95% dei bambini tra i 4 e l’età di inizio della scuola primaria dovrebbero partecipare all’istruzione preelementare; − la quota di abbandoni precoci dall’istruzione e formazione dovrebbe essere inferiore al 10%; − la quota di giovani con scarse prestazioni in lettura, matematica e scienze dovrebbe essere inferiore al 15%; − la quota delle persone tra 30 e 34 anni con un titolo a livello terziario dovrebbe essere almeno il 40%; − una media di almeno il 15% di adulti dovrebbe partecipare alla formazione permanente. 1.1.2. 2° ciclo: un sistema unitario e articolato in due (sotto)sistemi Il sistema educativo di Istruzione e Formazione italiano si articola, nel secondo ciclo, in due segmenti o “(sotto)sistemi”: − quello dell’Istruzione Secondaria Superiore − quello dell’Istruzione e Formazione professionale (IeFP) Il primo, di competenza statale, comprende percorsi di durata quinquennale che si svolgono nei Licei, negli Istituti Tecnici, negli Istituti Professionali. Il secondo, di competenza regionale ma all’interno di vincoli statali (i c.d. Livelli essenziali delle Prestazioni - LEP), comprende percorsi di Istruzione e Formazione Professionale di durata triennale e quadriennale. Attualmente ci sono: − 22 percorsi formativi di durata triennale per acquisire una qualifica professionale − 21 percorsi formativi di durata quadriennale (3+1) per acquisire un diploma professionale. Dopo il 15° anno di età il giovane può optare per la via formativa dell’apprendistato per la Qualifica e il Diploma professionale. Il (sotto)sistema di IeFP, nato in forma sperimentale nel 2003 a seguito dell’approvazione della legge 53/03, è andato formalmente a regime nell’anno formativo 2011/2012 come sistema di pari dignità e parte integrante nel secondo ciclo del sistema educativo italiano di Istruzione e Formazione. 9 1.1.3. 2° ciclo: visualizzazione grafica del (sotto)sistema di IeFP 10 1.2. La IeFP nel 2° ciclo: elementi essenziali di ordinamento 1.2.1. Competenze dello Stato e competenze delle Regioni a. Competenze dello Stato Prima della Legge n. 53/03 (la c.d. riforma Moratti) esisteva la Formazione Professionale come ambito formativo parallelo (cioè al di fuori) al sistema scolastico e con finalità rivolte allo sviluppo di competenze per l’inserimento lavorativo. Con la Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 “Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione” e con la Legge 53/03 “Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale” e successiva decretazione, la vecchia Formazione Professionale lascia il posto alla «Istruzione e Formazione Professionale» (IeFP) che entra a far parte del 2° ciclo del sistema educativo di Istruzione e Formazione come suo “secondo ambito o (sotto)sistema”, con pari dignità rispetto a quello dell’Istruzione. La riforma ha avuto due effetti: − ha avviato il superamento della divisione tra la dimensione della cultura appannaggio esclusivo della scuola e quella del lavoro dominio riservato alla Formazione Professionale; − i percorsi di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP), inseriti nel secondo ciclo, assumono un’impronta educativa e culturale, oltre che professionale. Sia il sistema di Istruzione, sia quello di IeFP, infatti, condividono un unico Profilo Educativo, Culturale e Professionale4 e devono garantire un nucleo omogeneo di risultati al termine dei percorsi sulla base del principio della “equivalenza formativa”. b. Competenza delle Regioni Il Titolo V della Costituzione vigente (e anche quello in via di riforma) prevede che la IeFP rientri nelle competenze esclusive delle Regioni. Questo significa che, fissati alcuni “standard comuni” dallo Stato (i c.d. Livelli Essenziali delle Prestazioni, i LEP, definiti dal Capo III del D. Lgs. 226/05), le Regioni definiscono, con legislazione propria, il (sotto)sistema di IeFP tenendo conto delle caratteristiche e delle esigenze del territorio. Dopo l’approvazione della legge 53/03 e successiva decretazione le Regioni, quindi, con vari Accordi interistituzionali hanno progressivamente organizzato un (sotto)sistema di IeFP, prima nella forma sperimentale, dall’anno 2011/2012 messo a regime. Questo (sotto)sistema punta a: − proporre, a giovani in età compresa tra i 14 e i 18 anni, percorsi di durata triennale e quadriennale, secondo quanto previsto dal Capo III del D. Lgs. 226/05; 4 Si tratta del Profilo educativo, culturale e professionale dello studente a conclusione del secondo ciclo del sistema educativo di Istruzione e Formazione (Allegato A al D. Lgs. 226/05). 11 − permettere ai giovani di conseguire almeno una qualifica professionale entro il 18° anno di età, come indicato dall’art. 2, comma 1, lettera c della Legge 53/03; − permettere, a chi frequenta questi percorsi, di assolvere al diritto-dovere all’istruzione e alla formazione, normato dall’art. 2, comma 1, lettera c) della Legge 53/03 e all’obbligo di istruzione, elevato a 10 anni dalla legge 26.12.06, n. 296, articolo 1, comma 622; − offrire all’allievo la possibilità di proseguire la formazione nei percorsi di Formazione Superiore a carattere terziario (percorsi di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore - IFTS e percorsi di Istruzione Tecnica Superiore - ITS); − offrire una formazione adeguata per inserirsi con competenza nel mondo del lavoro e per accedere alla formazione per tutto l’arco della vita. 1.2.2. IeFP nel «Diritto – dovere all’istruzione e formazione» e nell’«Obbligo di istruzione» Il Diritto-dovere all’istruzione e formazione è stato introdotto dalla legge 53/03 ed è entrato in vigore con il D.Lgs n. 76/05. Prima della sua introduzione, in Italia esistevano: − l’obbligo scolastico, coincidente con l’obbligo di frequenza nella scuola fino al sedicesimo anno di età (15 in prima applicazione)5; − l’obbligo formativo, equivalente all’obbligo di mantenersi in un circuito formativo fino ai 18 anni, al di fuori dalla scuola (percorsi di Formazione Professionale) ed anche in situazione lavorativa (apprendistato)6. Il “Diritto - dovere all’istruzione e formazione” ha unito e superato i due obblighi precedenti, introducendo, accanto al “dovere” (corrispondente all’“obbligo”), anche il “diritto” della persona. È stata superata, così, la storica separazione tra “Istruzione” e “Formazione”. Il “Diritto-dovere all’istruzione e formazione” ha una durata di almeno dodici anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età. Esso si realizza “nelle istituzioni del primo e del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e di formazione, costituite dalle istituzioni scolastiche e dalle istituzioni formative accreditate dalle Regioni” (art. 2, comma 1, lettera c) della Legge 53/03). Nel 2007 è stato introdotto l’obbligo di istruzione della durata di 10 anni, entrato in vigore nell’anno 2007/2008. Il nuovo obbligo: − si inserisce all’interno del “Diritto - dovere all’istruzione e formazione”; − consiste nell’acquisizione di competenze e di saperi di base che garantiscono ad ogni persona i diritti di cittadinanza attiva; 5 Legge 20 gennaio 1999, n. 9, “Disposizioni urgenti per l’elevamento dell’obbligo di istruzione”, all’art. 1, comma 1: A decorrere dall’anno scolastico 1999-2000 l’obbligo di istruzione è elevato da otto a dieci anni. L’istruzione obbligatoria è gratuita. In sede di prima applicazione, fino all’approvazione di un generale riordino del sistema scolastico e formativo, l’obbligo di istruzione ha durata novennale. Mediante programmazione da definire nel quadro del suddetto riordino, sarà introdotto l’obbligo di istruzione e formazione fino al diciottesimo anno di età, a conclusione del quale tutti i giovani possano acquisire un diploma di scuola secondaria superiore o una qualifica professionale. 6 Legge 17 maggio 1999, n. 144, art. 68: Obbligo di frequenza di attività formative. 12 − si assolve sia in un percorso scolastico (Licei, Istituti Tecnici, Istituti Professionali), sia nei percorsi di IeFP regionali. 1.2.3. Offerta scolastica e formativa dopo la scuola secondaria di 1° grado: qualifiche e diplomi professionali vigenti A normativa vigente, al giovane che ha concluso positivamente il percorso scolastico dopo la scuola secondaria di 1° grado, il sistema educativo di Istruzione e Formazione italiano permette di scegliere fra tre tipi di percorso: − un percorso scolastico, di durata quinquennale, nel Liceo, nell’Istituto tecnico o nell’Istituto Professionale, attivato da una istituzione scolastica statale o paritaria  Allo studente che termina positivamente il percorso viene rilasciato un diploma di istruzione liceale, tecnica o professionale corrispondente al IV livello EQF7. − un percorso formativo di durata triennale e/o quadriennale, nel (sotto)sistema di IeFP, attivato da istituzioni formative accreditate8 dalle Regioni (gli attuali CFP) o da Istituti Professionali accreditati dalle Regioni che intervengono in via sussidiaria e integrativa.  All’allievo che termina positivamente il percorso viene rilasciato una qualifica (dopo il percorso di durata triennale) o un diploma professionale (dopo il quarto anno) valevoli su tutto il territorio nazionale e corrispondenti, rispettivamente, al III e IV livello europeo dell’EQF (European Qualification Framework)9. − un percorso formativo, di durata triennale o quadriennale, nell’istituto dell’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, dopo il 15° anno di età.  All’allievo che termina positivamente il percorso viene rilasciato una qualifica o un diploma professionale valevoli su tutto il territorio nazionale e corrispondenti, rispettivamente, al III e IV livello europeo dell’EQF (European Qualification Framework)10. Attraverso la frequenza di percorsi formativi di durata triennale, che hanno la durata annuale di almeno 990 ore, gli allievi acquisiscono: − le competenze linguistiche, matematiche, scientifico-tecnologiche, storiche e socio-economiche, 7 Cfr. la tavola in ISFOL, Primo Rapporto italiano di referenziazione delle qualificazioni al quadro europeo EQF, libri del Fondo Sociale Europeo 2014, p. 81. 8 Manca, ancora, una terminologia univoca per definire i soggetti. Oltre a quella citata sopra è ancora diffusa, infatti, l’espressione “agenzia formativa accreditata” per indicare la medesima istituzione. Nella C.U. del 16 dicembre 2010 si è precisato che per istituzioni formative si intendono le strutture formative accreditate dalle Regioni per il diritto-dovere all’istruzione e alla formazione, ivi compreso l’assolvimento dell’obbligo di istruzione di cui al Regolamento emanato dal Ministro della P.I. n. 139/07. 9 Op. cit, p 81. 10 Op. cit. p. 81. 13 − le competenze tecnico-professionali comuni a tutti i processi produttivi (qualità, sicurezza, igiene e salvaguardia ambientale), − le competenze professionali coerenti con la figura professionale di riferimento, anche attraverso le attività pratiche di laboratorio, − esperienza nel mondo del lavoro attraverso lo stage, durante il 2° e il 3° anno, presso aziende del settore. La qualifica professionale conseguita al termine del percorso permette al giovane di: − inserirsi nel mondo del lavoro, − continuare nel 4° anno di formazione, − reinserirsi in un percorso scolastico. I percorsi formativi quadriennali permettono di acquisire un diploma professionale. Attraverso la frequenza di un percorso formativo del 4° anno, che ha la durata di almeno 990 ore, gli allievi acquisiscono: − le competenze linguistiche, matematiche, scientifico-tecnologiche, storiche e socio-economiche, − le competenze tecnico-professionali comuni a tutti i processi produttivi (qualità, sicurezza, igiene e salvaguardia ambientale), − le competenze professionali coerenti con l’indirizzo scelto, anche attraverso le attività pratiche di laboratorio, − esperienza nel mondo del lavoro attraverso lo stage o il project work presso una azienda del settore. Il Diploma professionale permette al giovane di − inserirsi nel mondo del lavoro, − continuare nella formazione superiore: un percorso di Istruzione Formazione Tecnica Superiore (IFTS) e, dopo il conseguimento del diploma di istruzione, un percorso di Istruzione Tecnica Superiore (ITS), − reinserirsi in un percorso scolastico. Il Decreto Interministeriale dell’11 novembre 2011, che ha recepito l’Accordo in sede Conferenza Stato - Regioni del 27 luglio 2011: − stabilisce la messa a regime dei percorsi di durata triennale e quadriennali finalizzati al conseguimento dei titoli di qualifica e di diploma professionale; − istituisce il Repertorio nazionale dell’offerta di IeFP per la sua spendibilità nazionale ed europea; − definisce gli standard minimi formativi relativi alle competenze di base linguistiche, matematiche, scientifiche, tecnologiche, storico-sociali ed economiche tenendo conto del Profilo educativo, culturale e professionale (D. Lgs. 226/05) e dei saperi e delle competenze relativi agli assi culturali che caratterizzano l’obbligo di istruzione (D.M. n. 139/2007); − adotta i modelli degli attestati della qualifica e del diploma professionale; − definisce le modalità per l’attestazione intermedia delle competenze acquisite dagli studenti che interrompono i percorsi formativi. Si riportano le qualifiche e i diplomi professionali vigenti: 14 Qualifiche Professionali Diplomi professionali 1. Operatore dell’abbigliamento 2. Operatore delle calzature 3. Operatore delle produzioni chimiche 4. Operatore edile 5. Operatore elettrico 6. Operatore elettronico 7. Operatore grafico Indirizzo 1: stampa e allestimento Indirizzo 2: multimedia 8. Operatore di impianti termoidraulici 9. Operatore delle lavorazioni artistiche 10. Operatore del legno 11. Operatore del montaggio e della manutenzione di imbarcazioni da diporto 12. Operatore alla riparazione dei veicoli a motore Indirizzo 1: Riparazioni parti e sistemi meccanici ed elettromeccanici dei veicolo Indirizzo 2: Riparazioni di carrozzeria 13. Operatore meccanico 14. Operatore del benessere: Indirizzo 1: Acconciatura Indirizzo 2: Estetica 15. Operatore della ristorazione Indirizzo 1: Preparazione pasti Indirizzo 2: Servizi di sala e bar 16. Operatore ai servizi di promozione e di accoglienza Indirizzo 1: strutture ricettive Indirizzo 2: Servizi del turismo 17. Operatore amministrativo 18. Operatore ai servizi di vendita 19. Operatore dei sistemi dei servizi logistici 20. Operatore della trasformazione agroalimentare 21. Operatore agricolo: Indirizzo 1: allevamento animali Indirizzo 2: Coltivazioni arboree, erbacee e ortofloricole Indirizzo 3: Silvicoltura e salvaguardia dell’ambiente 22. Operatore del mare e delle acque interne 1. Tecnico edile 2. Tecnico elettrico 3. Tecnico elettronico 4. Tecnico grafico 5. Tecnico delle lavorazioni artistiche 6. Tecnico del legno 7. Tecnico riparatore di veicoli a motore 8. Tecnico per la conduzione e la manutenzione di impianti automatizzati 9. Tecnico per l’automazione industriale 10. Tecnico dei trattamenti estetici 11. Tecnico dei servizi di sala e bar 12. Tecnico dei servizi di impresa 13. Tecnico commerciale delle vendite 14. Tecnico agricolo 15. Tecnico dei servizi di animazione turistico - sportiva e del tempo libero 16. Tecnico dell’abbigliamento 17. Tecnico dell’acconciatura 18. Tecnico di cucina 19. Tecnico di impianti termici 20. Tecnico dei servizi di promozione e accoglienza 21. Tecnico della trasformazione agroalimentare 15 1.2.4. Soggetti accreditati ad agire nel (sotto)sistema di IeFP A normativa vigente nel (sotto)sistema di IeFP agiscono: − in “via ordinaria” le istituzioni formative accreditate (storicamente i Centri di Formazione Professionale, detti anche CFP) che organizzano percorsi formativi di durata triennale o quadriennale e percorsi formativi nell’istituto dell’Apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale; − in “via sussidiaria” (cioè dove le istituzioni formative accreditate non sono attive) gli Istituti Professionali di Stato accreditati dalle Regioni. Sulla base della Intesa del 16 dicembre 2010 (Atti 129/CU) gli Istituti Professionali di Stato possono organizzare, se accreditati dalle Regioni: − una offerta sussidiaria “integrativa”: gli studenti iscritti ai percorsi quinquennali degli Istituti Professionali finalizzati all’acquisizione dei Diplomi di Istruzione professionale possono conseguire, al termine del terzo anno, anche il titolo di una Qualifica Professionale; − una offerta sussidiaria “complementare”: gli Istituti Professionali attivano classi che assumono gli standard formativi e la regolamentazione dell’ordinamento dei percorsi di IeFP, determinati da ciascuna Regione. 1.2.5. Esame di qualifica e diploma professionale a conclusione dei percorsi di IeFP Con l’anno scolastico/formativo 2013/14 si sono effettuati i primi esami di qualifica dei percorsi “a regime” di IeFP utili per l’acquisizione delle qualifiche professionali triennali, titoli professionalizzanti che hanno valore nazionale11. Questo è valso anche per i percorsi di IeFP effettuati in regime sussidiario dagli IPS. I percorsi sussidiari, infatti, sono stati formalmente avviati dall’a.s. 2011/12 a seguito della sottoscrizione dell’intesa in Conferenza Unificata del 16/12/2010 (recepita con DM 4/11) e dell’Accordo in Conferenza Stato Regioni del 27/07/2011 (recepito con DM 11 novembre 2011)12. Le modalità di svolgimento degli esami di qualifica nell’ambito dei “nuovi” percorsi IeFP rientrano tra i Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) definiti dall’art. 20 del D.Lgs. 226/0513. 11 In alcune Regioni la messa a regime è stata anticipata di un anno. I primi esami non più sperimentali, pertanto, sono stati svolti nel giugno 2013. 12 Da precisare che il percorso di “Operatore del mare e delle acque interne” è stato avviato invece nel 2012/13 a seguito dell’Accordo del 19/01/2012 (recepito con DM 23 aprile 2012). 13 Cfr. art. 20 del D. Lgs. 226/05: Livelli essenziali della valutazione e certificazione delle competenze 1. Le Regioni assicurano, quali livelli essenziali riferiti alla valutazione e certificazione delle competenze: a. che gli apprendimenti e il comportamento degli studenti siano oggetto di valutazione collegiale e di certificazione, periodica e annuale, da parte dei docenti e degli esperti di cui all’articolo 19; b. che a tutti gli studenti iscritti ai percorsi sia rilasciata certificazione periodica e annuale delle competenze, che documenti il livello di raggiungimento degli obiettivi formativi; c. che, previo superamento di appositi esami, lo studente consegua la qualifica di operatore professionale con riferimento alla relativa figura professionale, a conclusione dei percorsi di durata triennale, ovvero il diploma professionale di tecnico, a conclusione dei percorsi di durata almeno quadriennale; 16 In assenza del Regolamento previsto dal comma 4, dell’art. 15 del D.Lgs. 226/05, le Regioni hanno adottato un Documento di indirizzo (20 febbraio 2014) per definire gli elementi minimi comuni per gli esami conclusivi dei percorsi di IeFP: − ammissione degli allievi frequentanti all’esame conclusivo; − composizione della Commissione; − finalità e tipologia delle prove; − configurazione della prova professionale; − modalità di accertamento; − rilascio del titolo; − periodo di svolgimento dell’esame. Il quadro che emerge da un primo monitoraggio effettuato dalla CGIL (tutte le Regioni esclusa la Valle d’Aosta e le Province Autonome di Trento e Bolzano) è “desolante” per il numero e la complessità delle disposizioni, per le divaricazioni incredibili su aspetti che riguardano la tenuta stessa del sistema nazionale di IeFP (cfr. FLC CGIL del 29 07 2014). Sono in elaborazione anche un Accordo e Linee Guida per definire le modalità di passaggio tra i sistemi di Istruzione e IeFP e viceversa. 1.2.6. Titoli rilasciati dal (sotto)sistema di IeFP. Peculiarità del “Diploma professionale” Con l’ingresso della IeFP nel sistema educativo di Istruzione e Formazione, sia le Qualifiche, sia i Diplomi professionali diventano titoli validi - al pari di quelli scolastici - per l’assolvimento dell’obbligo di istruzione (10 anni) e del diritto dovere di istruzione e formazione (12 anni). Sono spendibili e riconoscibili su tutto il territorio nazionale, perché riferiti a standard comuni, concordati tra le Regioni e approvati con Accordi Stato Regioni o in Conferenza Unificata e corrispondono a precisi livelli europei: − III livello EQF: la Qualifica professionale − IV livello EQF: il Diploma professionale14. Prima della Legge 53/03 le Qualifiche professionali rilasciate dalle Regioni avevano un valore solo territoriale e non erano equiparabili ai titoli di studio rilasciati dalla scuola. d. che, ai fini della continuità dei percorsi, di cui all’articolo 1, comma 13, il titolo conclusivo dei percorsi di istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS) assuma la denominazione di «diploma professionale di tecnico superiore»; e. che nelle commissioni per gli esami di cui alla lettera c) sia assicurata la presenza dei docenti e degli esperti di cui all’articolo 19; f. che le competenze certificate siano registrate sul «libretto formativo del cittadino» di cui all’articolo 2, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. 2. Ai fini della valutazione annuale e dell’ammissione agli esami è necessaria la frequenza di almeno tre quarti della durata del percorso. 14 Cfr. il quadro di referenziazione delle qualificazioni italiane all’EQF in ISFOL, Primo Rapporto italiano di referenziazione delle qualificazioni al quadro europeo EQF, Libri del Fondo Sociale Europeo, 2014, pp. 81 - 82. 17 Peculiarità del “Diploma professionale” In forma ricorrente in Italia si torna a discutere sulla durata del secondo ciclo di studi, dopo che nel decennio scorso erano stati fatti due tentativi - purtroppo infruttuosi - per risolvere questa anomalia tutta italiana nell’ambito dei progetti di riforma del sistema educativo: quello tentato da Berlinguer nel 2001 ed il successivo provato da Moratti nel 2003. Va detto che la grande maggioranza dei Paesi con cui l’Italia si confronta rilascia il titolo di baccalaureato a 18 anni. A fronte di questo quadro, al momento, in Italia si segnalano due esperienze: a. il Decreto 4 agosto 2010 del MAE, di concerto con il MIUR, dispone che tutti i Licei italiani all’estero a decorrere dall’anno scolastico 2010/2011, statali o paritari, hanno una durata quadriennale. b. in tempi più recenti il MIUR ha autorizzato sperimentazione di percorsi liceali di durata quadriennale. La scelta della “durata quadriennale”, oltre che permettere un risparmio di risorse, è motivata anche da una diversa metodologia di fondo che mette al centro lo studente, gli fornisce le migliori risorse per stimolarne la curiosità e il coinvolgimento. Queste caratteristiche di carattere metodologiche e di durata sono già presenti in Italia nella sperimentazione del IV anno del (sotto)sistema di IeFP. Il Diploma professionale viene rilasciato a 18 anni e corrisponde al IV livello di referenziazione EQF. Questa esperienza positiva può essere tenuta presente quando si affronta il “riordino” del secondo ciclo. 1.2.7. Finanziamento vigente per il (sotto)sistema di IeFP Il finanziamento del (sotto)sistema di IeFP ha una storia particolare. Semplificando un po’ si può affermare che il fabbisogno finanziario dell’offerta di IeFP oggi è coperto: − per il 28% da trasferimenti statali − per il 42% dalle Regioni − per il 30% da risorse comunitarie. Nella presente scheda si riportano informazioni circa il finanziamento statale. • Finanziamento dell’obbligo di frequenza di attività formative L’introduzione dell’obbligo di frequenza di attività formative (Legge 17 maggio 199, n. 144) era stato accompagnato da un finanziamento ministeriale a partire dall’anno 2000. L’obbligo di frequenza di attività formative o, come più comunemente detto, “obbligo formativo” veniva finanziato con 430 miliardi di lire da parte dello Stato. La cifra veniva ripartita tra le Regioni secondo criteri stabiliti dall’art. 9 del DPR. n. 257 del 12 luglio 2000. Con l’approvazione della Legge 53/03 e la riformulazione dell’obbligo scolastico e dell’obbligo formativo nel diritto-dovere all’istruzione e formazione il finanziamento non è stato cambiato. 18 Infatti il MLPS stanziava la cifra di € 204.700.000,00 ripartiti secondo i criteri stabiliti dal citato articolo 9 del DPR. n. 257 del 12 luglio 2000. • Finanziamento dopo l’introduzione dell’obbligo di istruzione Modifiche a questa prassi sono state apportate dopo l’innalzamento dell’obbligo di istruzione15. Il finanziamento statale prevedeva, allora, − un contributo del Ministero della Pubblica Istruzione finalizzato esclusivamente all’assolvimento dell’obbligo di istruzione nei percorsi sperimentali di IeFP (80% della somma in base al numero degli studenti iscritti annualmente e 20% ai percorsi realizzati dalle istituzioni scolastiche); − un contributo del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale finalizzato alla prosecuzione dei percorsi sperimentali di IeFP. La cifra del Ministero del lavoro era di €. 202,109,570,00 (anno 2008). Il Ministero della P.I. stanziava, con provvedimento proprio, €. 40,000.000,00. La cifra verrà soppressa dopo qualche anno. • Finanziamento dall’anno 2014 (Accordo del 5 agosto 2014) A decorrere dall’anno 2014 (Accordo del 5 agosto 2014) le risorse stanziate dal solo MLPS finalizzate all’assolvimento del diritto-dovere nei percorsi di IeFP sono ripartite: − per l’80% sulla base del numero di studenti annualmente iscritti ai percorsi di IeFP realizzati dalle istituzioni formative accreditate ai sensi del Capo III del D. Lgs. 226/05; − per il 20% sulla base del numero complessivo degli studenti qualificati e diplomati in esito ai percorsi di IeFP realizzati dalle Istituzioni formative accreditate e dagli Istituti professionali di Stato in regime di sussidiarietà. Al momento della stesura del presente dossier la cifra non è nota. Va precisato tuttavia che nel tempo, oltre alla soppressione della cifra stanziata dal MIUR, anche le risorse stanziate dal MLPS hanno subito una contrazione. Nell’anno 2013 sono scese a € 189.109.570,00. 1.2.8. I percorsi formativi IFTS e ITS dopo quelli della IeFP • Accesso ai percorsi di Istruzione Formazione Tecnica Superiore (IFTS) Chi possiede un diploma di Istruzione Secondaria Superiore o un Diploma professionale di tecnico (D.Lgs. 226/05, art. 20, c. 1, lett. c) nonché l’ammissione al quinto anno dei percorsi liceali può accedere a percorsi di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS), progettati e gestiti da soggetti associati e finalizzati al rilascio di un certificato di specializzazione tecnica superiore afferente al IV livello 15 Cfr. il provvedimento del Ministro della P.I. di concerto con il Ministro del Lavoro del 29.11.2007 che: - Nell’articolo 1 disciplina la prima attuazione dell’obbligo di istruzione - Nell’articolo 2 definisce i criteri generali che devono possedere le strutture formative accreditate - Nell’articolo 3 definisce i criteri di riparto dei contributi statali - Nell’articolo 4 definisce le misure di sistema - Nell’articolo 5 apre alla possibilità di avviare percorsi e progetti sperimentali. 19 del sistema di referenziazione adottato per l’EQF. Un recente Decreto del MIUR/MLPS (7 febbraio 2013) ridefinisce i percorsi di specializzazione tecnica superiore in 20 specializzazioni. • Accesso ai percorsi di Istruzione Tecnica Superiore (ITS) Chi possiede, invece, un Diploma di Istruzione Secondaria Superiore può accedere a percorsi realizzati da Istituti Tecnici Superiori (ITS) e conseguire, alla conclusione positiva del percorso, un diploma di tecnico superiore, valido su tutto il territorio nazionale e con riferimento al V livello della classificazione comunitaria adottata per la referenziazione EQF. Una tabella di correlazione tra l’intera offerta di Istruzione e Formazione tecnica e professionale secondaria e post-secondaria e le aree economiche e professionali permette una efficace visione di insieme16. 16 Tabella tratta da MLPS, Istruzione e Formazione Professionale: una filiera professionalizzante a.f. 2012-13. Rapporto di monitoraggio delle azioni formative realizzate nell’ambito del diritto-dovere, ISFOL, dicembre 2013, pp. 15-16. 20 Tavola indicativa della correlazione tra l’offerta di IeFP e le aree economico-professionali17 - Area economica e professionale Qualifiche IeFP Diplomi IeFP Specializzazioni IFTS Istituti Tecnici Istituti Professionali 1.Agro-alimentare − Agricoltura, silvicoltura e pesca − Produzioni alimentari Operatore della trasformazione agroalimentare Operatore agricolo (allevamento animali; colti-vazioni arboree; silvicoltura e salvaguardia dell’ambiente) Operatore del mare e delle acque dolci Tecnico della trasformazione agroalimentare Tecnico agricolo AGRARIA, AGROALIMENTARE E AGROINDUSTRIA (produzioni e trasformazio-ni; viticoltura ed enologia; gestione dell’ambiente e del territorio) SERVIZI PER L’AGRICOLTURA E LO SVILUPPO RURALE 2.Manifattura e artigianato − Chimica − Estrazione, gas, petrolio, carbone, minerali e lavorazioni pietre − Vetro, ceramica e materiale da costruzione − Legno e arredo − Carta e cartotecnica − TAC e sistema moda Operatore del legno Tecnico del legno Tecniche per la realizzazione artigianale del made in Italy COSTRUZIONI, AMBIENTE E TERRITORIO PRODUZIONI ARTIGIANALI Operatore delle lavorazioni artistiche Operatore dell’abbigliamento Tecnico delle lavorazioni artistiche Tecnico dell’abbigliamento SISTEMA MODA Tessile, abbigliamento e moda, calzature e moda Operatore delle calzature Operatore delle produzioni chimiche CHIMICA, MATERIALI E BIOTECNOLOGIE (chimica e materiali, biotecnologie sanitarie, biotecnologie ambientali) 17 Elaborazione ISFOL dall’allegato B del Decreto Interministeriale sugli IFTS del 7 febbraio 2013. 21 3.Meccanica, impianti e costruzioni − Meccanica, produzione e manutenzione di macchine − Edilizia − Servizi di public utilities Tecniche di manuten-zione, riparazione e col-laudo di apparecchi e dispositivi diagnostici MANUTENZIONE E ASSISTENZA TECNICA Operatore edile Tecnico edile Tecniche di organizza-zione e gestione del cantiere edile COSTRUZIONE, AMBIENTE E TERRITORIO (geotecnica) Tecniche innovative per l’edilizia Operatore meccanico Operatore alla ripara-zione dei veicoli a motore (2 indirizzi) Tecnico riparatore dei veicoli a motore Tecniche di disegno e progettazione industriale MECCANICA, MECCATRONICA (meccanica e mecca-tronica, energia) Tecnico per l’automazione industriale Tecniche di industrializ-zazione del prodotto e del processo Operatore del montag-gio e della manuten-zione di imbarcazione a diporto Tecnico per la condu-zione e manutenzione di impianti automatizzati Tecniche di installazio-ne e manutenzione di impianti civili e industriali Tecniche per la pro-grammazione della pro-duzione e della logistica Tecniche dei sistemi di sicurezza ambientali e qualità dei processi industriali Operatore elettrico Operatore elettronico Operatore di impianti termoidraulici Tecnico elettrico Tecnico elettronico Tecnico di impianti termici Tecniche di monitorag-gio e gestione del terri-torio e dell’ambiente ELETTROTECNICA ED ELETTRONICA (elettrotecnica, elettronica, automazione) 22 4.Cultura, informazione e tecnologie informatiche − Stampa ed editoria − Servizi di informatica − Servizi telecomu-nicazioni e poste − Servizi culturali e di spettacolo Tecniche di allestimento scenico Operatore grafico (stampa e allestimento, multimedia) Tecnico grafico GRAFICA E COMUNICAZIONE Tecniche di produzione multimediale Tecniche per la pro-gettazione e gestione di database Tecniche per la sicu-rezza delle reti e dei sistemi Tecniche per la pro-gettazione e lo svilup-po di applicazioni informatiche Tecniche per l’integrazione dei sistemi e di apparati TLC Tecniche di informatica medica INFORMATICA E TELECOMUNICAZIONI (informatica, telecomunicazioni) 23 5. Servizi commerciali, trasporti e logistica − Servizi di distribu-zione commerciale − Servizi finanziari e assicurativi − Area comune: ser-vizi alle imprese Operatore di sistemi e dei servizi logistici TRASPORTI E LOGISTICA (Conduzione del mezzo, logistica) SERVIZI COMMERCIALI Operatore amministra-tivo segretariale Operatore ai servizi di vendita Tecnico commerciale delle vendite Tecnico dei servizi di impresa Tecnico per l’amministrazione economico-finanziaria AMMINISTRAZIONE FINANZA E MARKETING (relazioni internazionali per il marketing, sistemi informativi aziendali) 6. Turismo e sport − Servizi turistici − Servizi attività ri-creative e sportive Operatore della ristorazione (preparazione pasti, servizi di sala e bar) Tecnico di cucina Tecnico di servizi di sala e bar Tecniche di progetta-zione e realizzazione di processi artigianali e di trasformazione agroa-limentare con produ-zioni tipiche del terri-torio e della tradizione enogastronomica TURISMO SERVIZI PER L’ENOGASTRONOMIA E L’OSPITALITÀ ALBERGHIERA (enogastronomia, servizi di sala e vendita, accoglienza turistica) Operatore ai servizi di promozione e acco-glienza turistica (strutture ricettive, servizi del turismo) Tecnico di servizi di promozione e accoglienza Tecnico dei servizi di animazione turistico-sportiva e del tempo libero Tecniche per la pro-mozione di prodotti e servizi turistici con at-tenzione alle risorse, opportunità ed eventi del territorio 7. Servizi alla persona − Servizi socio-sanitari − Servizi di educa-zione e formazione − Servizi alla persona Operatore del benessere Tecnico trattamenti estetici Tecnico dell’acconciatura SERVIZI SOCIO-SANITARI 25 2. IEFP: ASPETTI QUALI-QUANTITATIVI 2.1. “Iscritti” nel (sotto)sistema di IeFP: una crescita rapida ma non in tutte le Regioni a. “Iscritti” totali oggi Oggi la IeFP conta più di 300 mila iscritti se si includono anche i quarti anni18: +18% di iscritti rispetto all’anno 2011/2012 e + 52% rispetto all’anno 2010/2011. Gli oltre 300 mila iscritti sono l’11,4% del totale degli studenti dell’Istruzione Secondaria di II grado (cfr. Tab.1). Tab. 1: b. “Iscritti” suddivisi tra IF e IPS accreditati Nel primo periodo della sperimentazione gli iscritti erano nella quasi totalità presso le istituzioni formative accreditate. Nell’anno formativo 2009/2010 la maggior parte degli iscritti al primo anno frequentava una istituzione formativa (60,9%). Dall’anno 2011/2012 anche gli Istituti professionali di Stato, accreditati dalle Regioni, hanno avviato percorsi formativi triennali. Il MLPS, nell’ultimo rapporto di Monitoraggio, riporta i dati aggiornati al 2012/201319:  290.619 iscritti ai percorsi formativi triennali di cui: o 127.992 iscritti presso le istituzioni formative accreditate; o 162.627 presso gli Istituti Professionali accreditati. 18 MLPS, Istruzione e Formazione Professionale: una filiera professionalizzante, a.f. 2012/2013. Rapporto di monitoraggio delle azioni formative realizzate nell’ambito del diritto-dovere, ISFOL p.7. 19 MLPS, cit. p. 7-8. 26  9.471 iscritti al percorso formativi del IV anno di cui: o 8.181 iscritti presso le istituzioni formative accreditate; o 1.290 iscritti presso le scuole. c. “Iscritti” e “percorsi” suddivisi per Regioni (nelle IF e negli IPS) Note sulle tabelle 2 e 3 riportate nelle pagine successive: • Circa gli iscritti: le quattro Regioni con il maggior numero di iscritti risultano essere Lombardia, Sicilia, Piemonte e Puglia, che da sole coprono il 45,1% dell’offerta. Il 56% degli iscritti dell’a.f. 2012/13 frequenta le istituzioni scolastiche. • Circa i percorsi: le tre Regioni con il maggior numero di percorsi attivati risultano essere Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna. Insieme fanno il 35% del totale dei percorsi. • Circa i soggetti: Soprattutto nel Nord (in misura significativa anche nel Lazio e in Sicilia) c’è, ancora oggi, un sistema plurale ove agiscono istituzioni formative accreditate e Istituti Professionali di Stato in via sussidiaria. Al Centro e al Sud Italia è avvenuta, invece, una progressiva contrazione dell’offerta erogata dalle istituzioni formative accreditate a favore della sola offerta scolastica: dal 35,5% dell’anno formativo 2003/2004 l’offerta è passata all’11/6%del 2012/2013. 27 Tab.2: “Iscritti” nella IeFP per Regione, per anno e per istituzione educativa scelta – a.f. 2012/201320 Regioni Totale iscritti a.f. 2012-13 Di cui c/o Istituzioni formative Di cui c/o Istituzioni scolastiche Di cui iscritti I anno Di cui iscritti II anno Di cui iscritti III anno Piemonte 25.827 15.587 10.240 12.403 10.384 3.040 Valle D’Aosta 643 203 440 190 260 193 Lombardia 52.069 39.184 12.885 20.187 17.079 14.803 Bolzano 5.276 5.276 0 2.487 1.580 1.209 Trento 4.864 4.864 0 1.648 1.587 1.629 Veneto 21.598 20.052 1.546 8.156 7.401 6.041 Friuli Venezia Giulia 4.263 3.924 339 1.602 1.637 1.024 Liguria 5.576 2.058 3.518 2.602 2.075 899 Emilia Romagna 21.741 7.335 14.406 7.957 10.163 3.621 Toscana 18.399 2.750 15.649 6.345 6.030 6.024 Umbria 3.124 139 2.985 1.557 1.428 139 Marche 9.012 432 8.580 3.381 3.020 2.611 Lazio 21.765 10.316 11.449 8.112 7.190 6.463 Abruzzo 5.244 473 4.771 2.090 1.666 1.488 Molise 795 99 696 371 236 188 Campania 23.515 0 23.515 9.809 8.225 5.481 Puglia 24.403 2.272 22.131 9.677 7.896 6.830 Basilicata 1.834 60 1.774 918 856 60 Calabria 11.893 2.047 9.846 2.780* 2.700 6.413 Sicilia 28.778 10.921 17.857 14.650 11.320 2.808 Sardegna 0 0 0 0 0 0 ---------------- ---------------- ---------------- ---------------- ---------------- ---------------- ---------------- Nord-Est 57.742 41.451 16.291 21.850 22.368 13.524 Nord Ovest Centro 84.115 52.300 57.032 13.637 27.083 38.663 35.382 19.395 29.798 17.668 18.935 15.237 Sud 66.006 4.951 61.055 25.645* 21.579 20.460 Isole 28.778 10.921 17.857 14.650 11.320 2.808 Totale 290.619 127.992 162.627 116.922* 102.733 70.964 20 MLPS, cit. p. 33. 28 Tab.3: “Percorsi” di IeFP per Regione e per istituzione educativa – a.f. 2011/12 e 2012/201321 Regioni Totale percorsi a.f. 2012-13 Di cui c/o Istituzioni formative Di cui c/o Istituzioni scolastiche Totale percorsi a.f. 2011-12 scarto tra 2012-13 e 2011-12 (v.a.) Piemonte 1.216 742 474 1.135 7,1 Valle D’Aosta 30 12 18 32 - 6,3 Lombardia 2.499 1.937 562 2.333 7,1 Bolzano 295 295 0 135 118,5 Trento 239 239 0 137 74,5 Veneto 1.025 955 70 994 3,1 Friuli Venezia Giulia 269 247 22 294 - 8,5 Liguria 267 109 158 112 138,4 Emilia Romagna 1.176 373 803 890 32,1 Toscana 879 152 727 699 25,8 Umbria 165 13 152 105 57,1 Marche 443 23 420 296 49,7 Lazio 975 449 526 465 109,7 Abruzzo 245 28 217 126 94,4 Molise 37 8 29 9 311,1 Campania 1.079 0 1.079 465 132,0 Puglia 1.146 118 1.028 1.326 -13,6 Basilicata 117 31 86 124 - 5,6 Calabria 633 127 506 570 11,1 Sicilia 1.243 509 734 697 78,3 Sardegna 0 0 0 145 -100,0 ------------------ Nord-Ovest ------------------ 4.012 ------------------ 2.800 ------------------ 1.212 ---------------- 3.612 ----------------- 11,1 Nord-Est 3.004 2.109 895 2.450 22,6 Centro 2.462 637 1.825 1.565 57,3 Sud 3.257 312 2.945 2.620 24,3 Isole 1.243 509 734 842 47,6 Totale 13.978 6.367 7.611 11.089 26,1 21 MLPS, cit. p. 32 29 d. Gli “iscritti” nelle regioni del SUD Malgrado sia ormai consolidato in varie parti del Paese un sistema educativo pubblico allargato, nel Sud la scelta è pressoché unica sulla scuola, anche quando un numero significativo di giovani si iscrive senza frequentare (cft. Tab. 4). Tab. 4: percentuale di allievi del 1° anno nelle istituzioni formative accreditate nel Meridione d’Italia a.f. 2003/2004 – 2012/2013. 2.2. Tre obiettivi messi a segno dal (sotto)sistema di IeFP a. Uno strumento efficace per combattere la dispersione scolastica Obiettivo europeo in ET 2020 Come noto, Europa 2020, ha individuato l’obiettivo di puntare ad avere la soglia degli abbandoni precoci dall’istruzione e formazione al di sotto del 10%. La situazione italiana? ISTAT fotografa la seguente situazione: il tasso di abbandono scolastico in Italia è del 17,6%, molto alto rispetto alla media dei 28 Paesi dell’Ue, scesa al 12,7% e all’obiettivo da raggiungere nel 2020, il 10%. L’Italia, con questa percentuale di dispersione è in compagnia della spagna (24,9%), Malta (22,6%) e il Portogallo (20,8%). La media nazionale si aggrava in particolari Regioni italiane, soprattutto nelle Regioni meridionali. I rimedi finora adottati I principali interventi di carattere generale svolti contro l’abbandono scolastico negli ultimi anni sono stati realizzati con i Piani Operatovi Nazionali (PON) per le scuole statali. Ad una prima valutazione svolta dal MIUR (2007) risulta che i risultati “non sono all’altezza delle aspettative sia per i dati sulle promozioni, che sulle votazioni e 30 sulle assenze, dimostrando che sono necessari tempi lunghi e cambiamenti profondi per vedere effetti delle azioni intraprese, speso estemporanee e frammentarie”22. Dai cenni riportati emerge chiaramente che la IeFP non appare tra gli strumenti efficaci per combattere la dispersione scolastica. Eppure in Italia la IeFP è un efficace strumento antidispersione. Ad affermarlo con abbondanza di dati è l’ISFOL23 richiamando l’attenzione su due aspetti: - la IeFP delle istituzioni formative si è rivelata capace di intercettare molti giovani che nel transito dal 1° al 2° ciclo della scuola secondaria superiore più facilmente si disperdono, soprattutto tra gli iscritti degli Istituti Professionali. - le istituzioni formative si sono rivelate in questi anni più efficaci nel recupero della dispersione scolastica, nella motivazione/rimotivazione allo studio, nell’efficacia formativa e nella creazione di opportunità occupazionali rispetto agli interventi degli Istituti Professionali Peraltro molti dei giovani che abbandonano i percorsi vengono successivamente “recuperati” all’interno del sistema della Istruzione e Formazione Professionale, dal 2010-11 filiera ordinamentale del sistema educativo nazionale. I percorsi IeFP risultano infatti particolarmente appetibili per utenze caratterizzate da stili cognitivi legati all’operatività e che necessitano di azioni di supporto e di accompagnamento. Coloro che hanno frequentato un percorso IeFP all’interno delle Istituzioni formative accreditate forniscono feedback significativi in termini di gradimento. Un aspetto di particolare interesse di tali percorsi consiste nella presenza di esperienze di lavoro (stage, laboratori, lavoro per progetti) assai più utilizzate di quanto avvenga nei percorsi scolastici del secondo ciclo. Le esperienze collegate alla sfera del “saper fare” costituiscono un elemento particolarmente efficace nel motivare e coinvolgere gli allievi, anche in vista di una applicazione pratica delle competenze acquisite. Le metodologie didattiche attive e le misure di accompagnamento all’utenza contribuiscono ad accrescere l’attrattività della filiera ed il successo formativo degli allievi, a cui si accompagnano, di norma, buoni esiti occupazionali. Infatti, a 3 anni dalla qualifica, risulta aver trovato il primo impiego il 50% dei qualificati in esito ai percorsi triennali, con risultati migliori degli allievi dei Centri accreditati rispetto a quelli provenienti dai percorsi IeFP svolti a scuola. Tuttavia buona parte della popolazione in fase di scelta formativa (e della popolazione in generale) sembra non conoscere la filiera IeFP, venendone in contatto solo dopo uno o più insuccessi formativi. b. Una offerta che passa dal “ripiego” alla “scelta vocazionale” Tradizionalmente la vecchia Formazione Professionale prima, la IeFP agli inizi è stata percepita come una proposta per quei giovani che non avevano particolari motivazioni a proseguire negli studi, una proposta di “ripiego”, dunque. 22 MIUR, La ricerca continua. La dispersione scolastica nelle regioni del Mezzogiorno d’Italia: l’esperienza dei PON, 2007. 23 ISFOL, Audizione dell’ISFOL presso la VII Commissione Cultura, Scienza e Istruzione della Camera dei Deputati in occasione dell’indagine conoscitiva sulle strategie per contrastare la dispersione scolastica, 10 giugno 2014. 31 Lo conferma ancora il dato ISFOL che il 73% degli allievi della IeFP, nel 2011, aveva avuto una iscrizione in una scuola secondaria superiore. Tuttavia in questi anni si è manifestato il fenomeno che, là dove le Regioni hanno permesso ai giovani e alle famiglie di scegliere dopo la conclusione positiva della scuola secondaria di primo grado, questa scelta sia diventata per molti “scelta vocazionale ordinaria”: La quota di iscritti che ha scelto la IeFP come prima scelta è, come minimo, pari al 46,2% corrispondente alla percentuale di 14enni al primo anno24. Le Regioni che hanno favorito questo processo sono state: Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Sicilia, Province autonome di Trento e Bolzano, Veneto e, con modalità particolari, in Emilia Romagna. c. Una IeFP capace di essere “inclusiva” Sempre sulla base del Monitoraggio ISFOL 201325 il (sotto)sistema di IeFP appare come il segmento più inclusivo del Sistema educativo di Istruzione e Formazione italiano: la percentuale di stranieri è più altra nella IeFP (15,5%) che in tutta l’Istruzione secondaria di 2° grado (6,6%) e, in particolare, nell’Istruzione Professionale (12,6%). Così pure la percentuale degli allievi con disabilità sul totale degli iscritti è del 7% nella IeFP, quasi doppia rispetto a quella delle scuole secondarie di II grado (3,9%). 2.3. Un (sotto)sistema che a. Crea “occupazione” ISFOL, per conto del MLPS, ha realizzato in questi anni due indagini sugli esiti occupazionali dei giovani che frequentano la IeFP.  La prima indagine nazionale26 La prima indagine nazionale sugli esiti formativi e occupazionali è stata effettuata negli anni 2010/2011 su un campione nazionale di 3.600 giovani qualificati nell’a.s.f. 2006/2007 nei percorsi triennali a titolarità istituzione formativa e istituzione scolastica. Si riporta, per brevità, il testo del Comunicato Stampa, rinviando al testo per l’approfondimento: I percorsi triennali di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) sono un importante canale di accesso al mercato del lavoro: già a 3 mesi dal conseguimento della qualifica un giovane su due ha trovato il suo primo impiego e dopo tre anni la quota degli occupati sale al 59%. L’IeFP è anche un valido strumento per stimolare la prosecuzione degli studi. 24 MLPS, Istruzione e Formazione Professionale: una filiera professionalizzante. a.f. 2012-2013. Rapporto di monitoraggio delle azioni formative realizzate nell’ambito del diritto-dovere, ISFOL 2013. 25 MLPS, I percorsi di IeFP tra inclusione, lavoro e cittadinanza attiva. Gli allievi di origine straniera nella IeFP: percorsi, inclusione e occupabilità. Sintesi dei principali risultati, ISFOL, 21 maggio 2014. 26 ISFOL, Gli esiti formativi e occupazionali dei percorsi triennali. Seminario ISFOL dalla formazione al lavoro, 22 giugno 2011. 32 Al termine del percorso un terzo dei partecipanti decide di svolgere un’altra esperienza formativa e dopo 3 anni un giovane su dieci sta ancora studiando. È quanto emerge da un’indagine dell’Isfol, avviata nel luglio 2010 e terminata a febbraio di quest’anno. Lo studio ha analizzato la situazione lavorativa di un ampio campione di giovani, intervistati a 3 anni dall’acquisizione della qualifica. Coloro che si iscrivono all’istruzione e formazione professionale, provengono soprattutto da famiglie di estrazione operaia (55%). I loro genitori hanno solitamente un titolo di studio che non supera la licenza media (61%): “L’IeFP ricopre quindi un ruolo fondamentale nel favorire l’occupazione dei giovani - ha dichiarato il presidente dell’Isfol Sergio Trevisanato - ed ha anche, ma non solo, una rilevante funzione di recupero per i ragazzi con carriere scolastiche non lineari, demotivati e con una condizione socio-culturale caratterizzata spesso da disagio e a forte rischio di esclusione sociale. A questi giovani viene facilitata una professionalizzazione mirata ad un buon inserimento professionale che non esclude una rimotivazione verso l’apprendimento”. Tra coloro che risultano occupati al momento dell’intervista (il 64% dei maschi e il 52% delle femmine) ben il 60% dichiara di svolgere un’occupazione perfettamente coerente con il proprio percorso formativo. Si tratta, inoltre, in gran parte di lavoro dipendente (87%), mentre solo l’8% è autonomo e il 5% ha un contratto di collaborazione. Tra i lavoratori dipendenti il contratto più diffuso è quello di apprendistato (36%), segue il contratto a tempo indeterminato (33%) e a tempo determinato (25%). Per quanto riguarda la distribuzione per aree geografiche, il tipo di contratto più diffuso nelle Regioni del Nord e del Centro è l’apprendistato, nel Sud invece è il contratto a tempo indeterminato. Tra chi ha proseguito gli studi subito dopo la qualifica, il 68% ha scelto il IV anno dei percorsi IeFP, il 9% corsi post-diploma o post-qualifica e il 18,5% la scuola superiore. Dall’indagine è emersa una maggiore performance da parte delle agenzie formative, sia nel grado di soddisfazione da parte dei giovani sia sotto il profilo degli esiti occupazionali. Ad un anno della qualifica il 70% dei ragazzi provenienti dalle agenzie formative ha trovato un primo lavoro (85% dopo due anni) contro il 50% di quelli provenienti dalle scuole (78% dopo due anni). Questa disparità si riscontra anche in merito allo stage, di cui risultano più soddisfatti i giovani provenienti dagli enti rispetto a quelli degli istituti scolatici.  La seconda indagine nazionale27 La seconda indagine nazionale si riferisce ad un periodo più difficile rispetto a quello precedente. Terminata nel 2013, l’indagine ha coinvolto un campione nazionale di 5.000 qualificati nei percorsi triennali di IeFP nell’a.s.f. 2008/09. I giovani qualificati sono stati intervistati a più di 3 anni dalla qualifica professionale, al fine di controllare la variabile “occasionalità” del primo inserimento nel mercato del lavoro e rilevare condizioni lavorative possibilmente più strutturate.  Elementi generali che emergono dall’Indagine: 27 ISFOL, I percorsi di IeFP tra inclusione, lavoro e cittadinanza attiva. Occupati dalla formazione. Seconda indagine nazionale sugli esiti occupazionali dei qualificati nei percorsi di IeFP, 21 maggio 2014. 33 Questa indagine rappresenta la II edizione di quella conclusa nel 2011 sugli esiti dei qualificati nell’a.s.f. 2006/2007, realizzata quindi in uno scenario nazionale di pre-crisi. La comparazione dei risultati tiene quindi conto delle attuali difficoltà lavorative dei giovani nel nostro Paese, i cui tassi di disoccupazione sono notoriamente allarmanti (nell’ultimo trimestre 2013, il tasso di disoccupazione dei 15-24enni era pari al 41,6%, in aumento di circa 3 punti percentuali rispetto all’inizio dello stesso anno). Se i risultati della prima indagine rappresentavano, infatti, una situazione molto positiva per i giovani in uscita dai percorsi di IeFP, sia per quanto riguardava l’inserimento lavorativo sia per il recupero dell’apprendimento, la fotografia attuale rimanda ad un quadro di maggiore e diffusa fragilità sul versante lavoro. Tuttavia, emerge con forza anche la maggiore “tenuta” riguardo all’inserimento dei qualificati in uscita dai Centri accreditati rispetto a quelli delle scuole. Come si vedrà dal presente contributo, la variabile “tipologia di istituzione formativa” (agenzia/scuola), insieme a quella “area geografica”, rappresentano un connubio che incide più fortemente nel determinare migliori performance lavorative, nonché un più alto grado di soddisfazione sia rispetto all’attività lavorativa sia all’esperienza formativa realizzata. L’identikit del campione di qualificati rispecchia il quadro di una filiera ad utenza per lo più maschile (57%), italiana (90%), residente nel Nord Italia (78, 5%) e proveniente per il 70% dalle agenzie formative. Rispetto al background socio-culturale il 60% dei giovani appartiene a famiglie con bassi livelli di istruzione e il 50% a famiglie di estrazione operaia. Per quanto riguarda l’esperienza della ex scuola media si rileva un aumento, rispetto alla indagine precedente, della quota di giovani fuoriusciti dall’esame di stato con un giudizio superiore a “sufficiente” (il 64% contro il 55,5% della prima indagine), come pure la quota di giovani (38%) che si è iscritto ai percorsi di IeFP direttamente dopo la ex scuola media. Tale quadro conferma, quindi, la natura di percorsi che, pur essendo tradizionalmente efficaci con una utenza debole dal punto di vista socio-culturale, riescono sempre più ad attrarre giovani che invece li scelgono per “vocazione” immediatamente dopo il I ciclo di istruzione28.  Alcuni dati sugli aspetti occupazionali: il 50% dei giovani risulta occupato (contro il 59% della precedente indagine) e il 42,1% disoccupato, con una quota del 23,5% di ex lavoratori che hanno perso il lavoro e il 18,6% di giovani in cerca di occupazione che non hanno lavorato prima, rappresentando questi ultimi il doppio rispetto alla indagine del 2011. I giovani in formazione risultano il 6,6% (contro il 9,7 della indagine 2011), mentre cala il numero degli inattivi (1,3%) che nella precedente indagine erano il 4%. Analizzando in modo più dettagliato la condizione degli occupati, risulta evidente come la crisi economica in atto in Italia e negli altri Paesi abbia avuto un pesante impatto sul mercato del lavoro e, di conseguenza, anche sulle potenzialità occupazionali espresse dalle diverse filiere formative, inclusi i percorsi di IeFP. Tuttavia i dati sugli esiti mostrano migliori performance occupazionali da parte delle agenzie formative i cui qualificati sembrano inserirsi più facilmente nel mondo del lavoro (55%) rispetto a quelli delle scuole (38%), che tendono invece a continuare gli studi più facilmente anche perché inseriti in prevalenza in un ciclo quinquennale. 28 ISFOL, cit, 21 maggio 2014, p. 3 e ss. 34 La condizione dei qualificati che risulta dall’incrocio tra le variabili “struttura formativa/area geografica” (tab. sotto riportata) mostra come il vantaggio competitivo di conseguire la qualifica professionale in un’agenzia, piuttosto che in una scuola sia più alto al Nord. Ciò sembra essere legato alla maggiore capacità delle agenzie del Nord di connettersi con i fabbisogni del tessuto produttivo locale. Se si considera infatti la stessa area geografica, ovvero le regioni del Nord, le agenzie formative favoriscono migliori sbocchi occupazionali rispetto al contesto scolastico, mentre al Sud la variabile “istituzione formativa” sembra non presentare alcuna incidenza. Si conferma l’evidenza che la formazione, seppur connotata da alti livelli di professionalizzazione, risulti limitata nelle sue potenzialità, in assenza di un tessuto produttivo che promuova occupazione: Condizione prevalente dei qualificati per istituzione formativa e area geografica (valore %) (base dati 5.041) Istituzione Formativa Area geografica Occupati In cerca di lavoro Inattivi-studenti Totale Basi Istituzione Formativa Accreditata Nord ovest Nord est Centro Sud e Isole 55,4 61,5 30,0 27,7 39,4 32,7 60,0 62,6 5,2 5,8 10,0 9,7 100 100 100 100 1.928 1.278 190 155 Scuola Nord ovest Nord est Centro Sud e Isole 38,5 50,5 39,6 27,8 45,4 39,8 44,3 62,5 16,1 9,7 16,1 9,7 100 100 100 100 434 319 273 464 Fonte: ISFOL, Seconda indagine sugli esiti dei percorsi di IeFP/(2013)  Alcuni dati sui motivi del successo: Infine, viene ampiamente confermato non solo un elevato grado di soddisfazione dei giovani per l’esperienza didattica realizzata nei percorsi di IeFP, ma anche l’effetto traino, esercitato da questi, verso l’ulteriore formazione post qualifica. Sono gli stessi protagonisti a confermarlo: o l’82,6% rifarebbe infatti la scelta di iscriversi ai percorsi o e, in una scala da 1 a 10, il voto medio che danno all’esperienza formativa svolta è di 8,4. Apprezzano soprattutto il rapporto con i compagni e con i docenti, ma anche gli argomenti e i modi in cui avviene l’apprendimento, valutando positivamente la capacità dei docenti di suscitare interesse. Il dato rilevante, che riguarda trasversalmente molte dimensioni dell’esperienza realizzata, conferma l’incidenza della variabile istituzione formativa rispetto al gradimento per i percorsi: i più entusiasti si rivelano infatti i qualificati delle agenzie, confermando in pieno i risultati emersi nell’indagine precedente. Parimenti soddisfatti si dimostrano anche gli allievi stranieri e quelli residenti al Nord, dove le realtà dei Centri accreditati sono tra l’altro più diffuse e consolidate. Subito dopo la qualifica, un giovane su 3, come nella prima indagine, continua a formarsi, soprattutto nei IV anni di IeFP e, con percentuali più contenute, nella scuola secondaria di II grado. I motivi sono per lo più “occupazionali”, legati alla convinzione di poter trovare un lavoro migliore con un altro diploma (31%), anche se risulta pure ampia la quota di intervistati che riferisce ragioni più “motivazionali”, legate alla ritrovata voglia di studiare (29%). 35 A distanza di tre anni, diminuisce di 3 punti, invece, la quota di giovani che troviamo ancora nei percorsi di studio (6,6%), due terzi dei quali all’Università. In conclusione, come già rilevato nella prima edizione dell’indagine, la filiera della IeFP si conferma come un canale attivo ed efficace. Sebbene in un contesto strutturale di crisi economico-occupazionale, riesce a rispondere o sia alla funzione di professionalizzare giovani che “vocazionalmente” scelgono un percorso di inserimento più rapido nel mondo del lavoro, o sia di recupero alla formazione di coloro che, per stili cognitivi e di apprendimento, preferiscono formarsi attraverso metodologie didattiche improntate alla pratica, al laboratorio, con periodi di stage, che attualizzano maggiormente l’apprendimento nell’esperienza29. b. “Fa risparmiare” la collettività Una prima riflessione sui valori della spesa storica della IeFP iniziale è stata effettuata dal prof. Giulio Salerno.30 Lo studio portava alla seguente conclusione: a fronte di una spesa sostenuta dalla collettività per un percorso annuale di IeFP svolto nell’Istituto Professionale di Stato ammontante a € 7.611.26 (MIUR, La scuola in cifre 2009-2010, settembre 2011), il costo medio di corso annuale per allievo svolto nell’anno 2010-2011 in una istituzione formativa accreditata ammontava a € 5.100,0031. Un secondo studio, del 2013 recente, è stato effettuato da G. Zagardo, ricercatore.32 Del testo si riportano due osservazioni conclusive (pp. 32 – 32): a. Il calo complessivo delle risorse Nel tempo, la IeFP appare ridimensionata in termini di finanziamenti, in quanto si è avuta una diminuzione del complessivo intervento statale (da € 204,700,000,00 nel 2003 a € 189.109.570,00 nel 2011), ma anche regionale, limitatamente alle risorse proprie impegnate al SUD e nelle ISOLE (tra il 2007 e il 2011 le risorse proprie impegnate dalle Regioni del Mezzogiorno per sostenere i percorsi di IeFP sono diminuite da € 30.738.710,00 a 25.203.2010,00). b. I costi delle IeFP nelle istituzioni formative rispetto a quelli degli IPS I costi dei percorsi svolti nelle istituzioni formative accreditate appaiono inferiori per la comunità di oltre il 20% rispetto a quelli sostenuti dalle istituzioni scolastiche, gli Istituti Professionali di Stato in particolare. La tesi del risparmio per la collettività non cambia neppure dopo la pubblicazione da parte del MIUR della spesa annuale per studente distinta per livello di istruzione (cfr. G.U. n. 153 del 4 luglio 2014 in cui è stato pubblicato il Decreto Ministeriale 26 giugno 2014, di approvazione del modello di dichiarazione dell’IMU e della TASI per gli enti non commerciali, con le relative istruzioni): 29 ISFOL, cit. 21 maggio 2014, p. 9. 30 SALERNO G.M., Valori di spesa storica, standard i costi unitari e costi standard della IeFP iniziale, in Rassegna CNOS, 2/2012, pp. 141-158. 31 ZAGARDO G., I cambiamenti nella IeFP, Tuttoscuola gennaio 2013. 32 ISFOL, Percorsi di IeFP, un’analisi comparata dei costi di Regioni e PA, Occasional Paper, n. 12 aprile 2013. 36 Tabella. Spesa Annuale per studente distinta per livello di istruzione (CMS) Scuola dell’infanzia Scuola Primaria Istruzione secondaria di primo grado Istruzione secondaria di secondo grado Spesa annua nelle istituzioni educative per studente € 5.739,17 € 6.634,15 € 6.835,85 € 6.914,31 Fonte: Education at glance OECD 2.4. È un esempio di “pluralismo istituzionale” La Formazione Professionale per i giovani nasce con l’opzione del “pluralismo”. È la legge-quadro 845/78 a sancirlo. Uno dei principi fondamentali che la legge-quadro stabilisce, perché le Regioni vi si conformino nell’esercizio della loro potestà legislativa e amministrativa in materia di orientamento e Formazione Professionale recita, infatti: organizzare il sistema di Formazione Professionale sviluppando le iniziative pubbliche e rispettando la molteplicità delle proposte formative (art. 3, lettera c) della Legge-quadro 845/78). Tentativi successivi di riforma del sistema della Formazione Professionale hanno ruotato, in modo particolare, intorno alla durata dell’istruzione obbligatoria: una istruzione da effettuare anche dentro la IeFP o solo nella scuola? Il dibattito, durato per decenni, si è concluso (almeno sembra!) solo recentemente con il riconoscimento che l’obbligo di istruzione elevato a 10 anni si può assolvere anche nei percorsi di IeFP. Infatti, la L. 27.12.06, n. 296, art. 1. c. 622 ha innalzato l’obbligo di istruzione a dieci anni. Nel documento tecnico, allegato al DM. della Pubblica Istruzione del 22.08.07, n. 139, sono indicate le competenze chiave di cittadinanza attese al termine dell’istruzione obbligatoria. La Legge 06.08.08 n. 133, art 64, c. 4bis, consente di assolvere l’obbligo di istruzione, oltre che nei percorsi scolastici, anche nei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale di cui al Capo III del D.lgs. 17.10.05, n. 226, e - fino alla completa messa a regime delle disposizioni dello stesso Decreto - nei percorsi sperimentali di Istruzione e Formazione Professionale di cui all’Accordo del 19.06.2003, realizzati da strutture formative accreditate ai sensi del DM 29.11.07. Ma qual è la situazione del pluralismo delle Regioni oggi? Il “pluralismo” sancito a livello nazionale ed anche costituzionale, rischia di essere eliminato a livello territoriale. Nel recente passato i pericoli del “pluralismo” ruotavano attorno al dibattito: obbligo scolastico o obbligo di istruzione? Oggi i pericoli del pluralismo ruotano a. attorno a scelte ideologiche (azione “sostitutiva degli Istituti Professionali di Stato) b. attorno a ragioni di bilancio (carenza delle risorse finanziarie) delle Regioni. La tabella allegata ( tabella 5) riporta la situazione attuale in fatto di pluralismo. La tabella 5, offrendo un panorama nazionale del rapporto tra istituzioni formative accreditate e ruolo sussidiario degli Istituti Professionali di Stato, permette di 37 cogliere il senso della sussidiarietà, oggi. Ragioni di carattere ideologico (esempi eclatanti sono Abruzzo e Sardegna che hanno cancellato con un atto di Delibera i percorsi formativi triennali erogati dalle istituzioni formative accreditate) e/o ragioni di bilancio (le risorse finanziarie statali sono diminuite nel tempo a fronte di una domanda crescente di IeFP) aiutano a comprendere la situazione nazionale che oscilla tra un sistema plurale (istituzioni formative + IPS in via sussidiaria) e sistema scolastico (solo IPS). Nella Tabella 5 dell’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale non si fa cenno perché è pressoché assente in quasi tutte le Regioni33. Si riporta, quindi, solo l’offerta di durata triennale e quadriennale dove è attiva. Scrive ISFOL: “I dati relativi alla disaggregazione centri accreditati / scuole sembrano disegnare uno scenario di progressiva sostituzione più che dell’auspicata sussidiarietà, degli interventi IeFP realizzati presso le scuole rispetto a quelli erogati dai Centri”34. 33 ZAGARDO G. – SALERNO G., Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) nell’a. f. 2012/13, Roma 2014. 34 MLPS, I percorsi di IeFP tra inclusione, lavoro e cittadinanza attiva, ISFOL, paper, 21 maggio 2014, p. 38 Tab. 5 – “Sistema plurale” e “offerta scolastica” (aggiornata a gennaio 2014) Regione Offerta formativa Rilievi Abruzzo • Percorsi formativi triennali • Ruolo quasi esclusivo degli IPS La G.R. Del Turco (2005 – 2008) ha soppresso i percorsi formativi triennali erogati dai CFP • Oggi l’offerta delle istituzioni formative accreditate è del tutto marginale Basilicata • Percorsi formativi triennali • IPS in partenariato con Agenzie provinciali • Ruolo del tutto marginale delle istituzioni formative Calabria • Percorsi formativi triennali • Ruolo quasi esclusivo degli IPS • Ruolo del tutto marginale delle istituzioni formative Campania • Percorsi formativi triennali • Ruolo pressoché esclusivo degli IPS Nell’a.s. 2014/2015 le istituzioni formative potranno svolgere attività purché in rete con gli IPS. • Ruolo del tutto marginale delle istituzioni formative Emilia Romagna • Percorsi formativi triennali • IV anno: previsto • Sistema plurale: istituzioni formative accreditate e IPS in via sussidiaria • Nei percorsi erogati dai CFP: dopo i 15 anni Friuli V. Giulia • Percorsi formativi triennali • IV anno • Sistema plurale: istituzioni formative accreditate e IPS in via sussidiaria Lazio • Percorsi formativi triennali • Percorsi formativi biennali • Sistema plurale: istituzioni formative accreditate e IPS in via sussidiaria Liguria • Percorsi formativi triennali • IV anno • Sistema plurale: istituzioni formative accreditate e IPS in via sussidiaria Lombardia • Percorsi formativi triennali • IV anno • V anno nella IeFP • Sistema plurale: istituzioni formative accreditate e IPS in via sussidiaria Marche • Percorsi formativi triennali • Ruolo pressoché esclusivo degli IPS • Ruolo del tutto marginale delle istituzioni formative Molise • Percorsi formativi triennali • Ruolo pressoché esclusivo degli IPS • Ruolo del tutto marginale delle istituzioni formative Piemonte • Percorsi formativi triennali • Percorsi formativi biennali • Percorsi formativi annuali • IV anno • Sistema plurale: istituzioni formative accreditate e IPS in via sussidiaria 39 (Segue) Regione Offerta formativa Rilievi Puglia • Percorsi formativi triennali • Ruolo quasi esclusivo degli IPS • Ruolo del tutto marginale delle istituzioni formative Sardegna • Percorsi formativi triennali • Ruolo esclusivo degli IPS La Giunta Soru (2004-2008) ha azzerato i percorsi formativi triennali erogati dai CFP • Ruolo del tutto marginale delle istituzioni formative Sicilia • Percorsi formativi triennali • IV anno • Sistema plurale: istituzioni formative accreditate e IPS in via sussidiaria • Difficoltà enormi per la situazione politica e amministrativa Toscana • Percorsi formativi triennali • Ruolo quasi esclusivo degli IPS • Ruolo del tutto marginale delle istituzioni formative Umbria • Percorsi formativi triennali • Ruolo quasi esclusivo degli IPS • Ruolo del tutto marginale delle istituzioni formative Valle d’Aosta • Percorsi formativi triennali • Ruolo esclusivo degli IPS • Le istituzioni formative intervengono con percorsi dopo i 16 anni Veneto • Percorsi formativi triennali • Sistema plurale: istituzioni formative accreditate e IPS in via sussidiaria Provincia autonoma di Bolzano • Percorsi formativi triennali • IV anno • Attività svolte da scuole provinciali Provincia autonoma di Trento • Percorsi formativi triennali • IV anno • Sistema plurale: istituzioni formative accreditate 41 3. IEFP: ASPETTI TEMATICI 3.1. La IeFP da offerta extrascolastica ad offerta ordinamentale35 Il Decreto Interministeriale dell’11 novembre 201136, che ha recepito l’Accordo in sede Conferenza Stato - Regioni del 27 luglio 2011, afferma che, a partire dall’anno 2011/2012, i percorsi formativi triennali di IeFP sono a regime. A partire dall’anno 2011/2012 cessa, quindi, la sperimentazione dei percorsi ed inizia la messa a regime dell’ordinamento che prevede, a riforma completa, oltre ai percorsi formativi di durata triennale, quelli di durata quadriennale e la formazione nell’esercizio dell’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale. Qual è stato l’iter normativo che ha portato a questo risultato? Tre sono le tappe fondamentali. a. La stagione della Legge Quadro 845/78 (anni Ottanta del secolo scorso) La Formazione Professionale ricade, in base alla Costituzione, sotto la competenza legislativa e amministrativa delle Regioni. Con l’emanazione della Legge Quadro 845/7837 tutta la Formazione Professionale, compresa quella iniziale, era stata ricondotta all’interno delle politiche attive del lavoro. Le successive riforme che si sono dispiegate dal 1999 in poi hanno prodotto un nuovo scenario per la Formazione Professionale Iniziale (FPI), sviluppando e potenziando anche la formazione del “cittadino” accanto a quella del “lavoratore”. b. La stagione della riforme – anni duemila Una prima iniziativa legislativa dava vita all’innalzamento dell’obbligo di istruzione da 8 a 10 anni (Legge 9/199938) e all’avvio dell’obbligo di frequenza di attività formative fino al compimento del 18° anno di età, assolvibile in percorsi anche integrati di istruzione e formazione nel sistema scolastico, nel sistema della formazione professionale di competenza regionale, nell’esercizio dell’apprendistato (Legge 144/199939). 35 Scheda a cura del CNOS-FAP. 36 Decreto 11 novembre 2011, Recepimento dell’Accordo tra il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano, riguardante gli atti necessari per il passaggio a nuovo ordinamento dei percorsi di istruzione e formazione professionale di cui al decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, sancito in sede di Conferenza Stato Regioni il 27 luglio 2011 (G.U. n. 296 del 21.12.2011 - S.O). n. 269). 37 Legge 21 dicembre 1978, n. 845, Legge-quadro in materia di Formazione Professionale (GU n.362 del 30-12-1978). 38 Legge 20 gennaio 1999, n. 9, “Disposizioni urgenti per l’elevamento dell’obbligo di istruzione” (in GU 27 gennaio 1999, n. 21). 39 Art. 68 della Legge 17 maggio 1999, n. 144, “Misure in materia di investimenti, delega al Governo per il riordino degli incentivi all’occupazione e della normativa che disciplina l’INAIL, nonché disposizioni per il riordino degli enti previdenziali” pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 118 del 22 maggio 1999 - Supplemento Ordinario n. 99. 42 La Legge 53/0340, successivamente, in coerenza al Titolo V della Costituzione41 riformato nel 2001 (articoli 117 e 118), ha introdotto in forma sperimentale i percorsi di Istruzione e Formazione Professionale di durata triennale, destinati ai giovani di età compresa tra i 14 e i 17 anni42, che si concludono con il conseguimento di una qualifica professionale riconosciuta a livello nazionale e corrispondente almeno al secondo livello europeo. Il successivo elevamento dell’obbligo di istruzione a 16 anni (Legge n. 296/200643) aveva formalmente abolito questa opportunità, pur avendone autorizzata la prosecuzione fino alla messa a regime del nuovo ordinamento. A regime, inoltre, le strutture formative accreditate dal Ministero della Pubblica Istruzione (i c.d. Centri di Formazione Professionale - CFP) avrebbero potuto realizzare percorsi e progetti per prevenire e contrastare la dispersione scolastica e favorire il successo nell’assolvimento dell’obbligo. I percorsi e progetti dovevano, in ogni caso, rispettare gli obiettivi di apprendimento specificati nel Regolamento ministeriale del 22/8/2007. Un successivo provvedimento, la Legge 133 del 200844, ha previsto l’assolvimento dell’obbligo di istruzione anche nei percorsi sperimentali triennali di Istruzione e Formazione Professionale, in coerenza della “equivalenza formativa” di tutti i percorsi del secondo ciclo. c. La situazione della IeFP attuale Anche alla luce del breve excursus si evince che la Formazione Professionale Iniziale era extrascolastica fino agli anni Duemila. Con la legge 53/03 ed i successi decreti legislativi (D. Lgs 76/05 e D. Lgs. 226/05) è entrata a far parte dell’ordinamento del sistema educativo di Istruzione e Formazione nel secondo ciclo. 40 Legge 28 marzo 2003, n. 53, “Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 77 del 2 Aprile 2003. 41 Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, “Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 248 del 24 ottobre 2001. 42 La disciplina dei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) coinvolge le competenze dei Ministeri (MIUR e MLPS) e delle Regioni. I percorsi di IeFP, pertanto, sono stati disciplinati da vari Accordi interistituzionali per definirne le caratteristiche. Si richiamano i principali: - 19.01.2003: la CU sancisce l’avvio sperimentale dei percorsi di IeFP definendone gli aspetti essenziali dell’ordinamento: durata, destinatari, tipo di qualifica rilasciata, contenuti fondamentali, ecc; - 15.01.2004: la CSR definisce gli standard formativi minimi relativi alle competenze di base; - 28.10.2004: la CU definisce le modalità della certificazione finale e intermedia dei percorsi; - 24.11.2005: l’Accordo definisce il riconoscimento reciproco dei titoli in uscita dai percorsi sperimentali triennali; - 05.10.2006: l’Accordo definisce gli standard formativi minimi relativi alle competenze tecnico professionali. Gli Accordi citati tenevano conto anche di alcuni decreti legislativi applicativi della Legge 53/03: - D.Lgs. 76/05 che ha definito le norme generali sul diritto-dovere all’istruzione e alla formazione; - D.Lgs. 226/05 che ha definito i livelli essenziali delle prestazioni dei percorsi di IeFP. 43 Art. 1, comma 622, della Legge 27 dicembre 2006, n. 296, “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 299 del 27 dicembre 2006 - Supplemento ordinario n. 244. 44 Art. 64, 4bis della Legge 6 agosto 2008, n. 133, “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria” pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 195 del 21 agosto 2008 - Suppl. Ordinario n. 196. 43 A normativa vigente, infatti, i giovani sono tenuti ad assolvere il diritto-dovere all’istruzione e alla formazione almeno fino al conseguimento di una qualifica professionale entro il 18° anno di età, titolo professionalizzante che si consegue presso le “istituzioni formative” accreditate dalle Regioni, nel rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni definiti dal Capo III del D. Lgs. n. 226/05. Tale opportunità si colloca all’interno del secondo ciclo che, oggi, risulta composto: − dal (sotto)sistema dell’Istruzione Secondaria Superiore, articolato in Licei, Istituti Tecnici e Istituti Professionali ove agiscono istituzioni scolastiche statali e paritarie; − dal (sotto)sistema dell’Istruzione e Formazione Professionale, di competenza delle Regioni, nel quale i giovani assolvono l’obbligo di istruzione fino al 16° anno di età e il diritto-dovere all’istruzione e alla formazione fino al 18° anno di età frequentando percorsi di IeFP di durata triennale e quadriennale attivati in via ordinaria dalle istituzioni formative accreditate e in via sussidiaria e complementare dagli Istituti Professionali di Stato. Dopo questo cammino, i punti fermi dell’ordinamento finora raggiunti sono: − l’età della scelta: dopo la conclusione positiva del 1° ciclo un giovane può scegliere la IeFP oltre che i percorsi scolastici, anche se non mancano Regioni che hanno normative ancora difformi; − le finalità istituzionali del percorso formativo: permette l’assolvimento dell’obbligo di istruzione e di assolvere al diritto-dovere all’istruzione e formazione; − le caratteristiche del progetto formativo: ο ha una durata di tre o di quattro anni; ο ha una connotazione fortemente professionalizzante imperniata sulle competenze tecnico-professionali oltre che di base; ο ha un raccordo stretto con il mondo del lavoro (stage e project work messo a regime); − i titoli rilasciati: le qualifiche (oggi 22) e i diplomi professionali (oggi 21) ο sono inseriti in un elenco nazionale; ο sono classificati per aree professionali; ο corrispondono ai livelli 3 e 4 dell’EQF; − i soggetti accreditati: i soggetti che operano in questo campo devono rispettare requisiti nazionali oltre che quelli previsti dagli accreditamenti regionali. A normativa vigente sono: ο le istituzioni formative accreditate ο gli Istituti Professionali di Stato accreditati dalle Regioni; 44 − un finanziamento nazionale: Oggi il fabbisogno finanziario a sostegno dell’offerta di IeFP è coperto per il 28% da trasferimenti statali, per il 42% dalle Regioni, per il restante 30% da risorse comunitarie. I trasferimenti statali alle Regioni sono a carico del solo MLPS con la somma di € 189.109.570,00. 3.2. Il Diploma di quattro anni esiste già in Italia: il tecnico di Istruzione e Formazione Professionale45 3.2.1. Riprende il dibattito sul diploma di quattro anni Da qualche tempo è ripreso in Italia il dibattito relativo alla durata del secondo ciclo di studi, dopo che nel decennio scorso erano stati fatti due tentativi - purtroppo infruttuosi - per risolvere questa anomalia tutta italiana nell’ambito dei progetti di riforma del sistema educativo: quello tentato da Berlinguer nel 2001 ed il successivo provato da Moratti-Bertagna nel 200346. L’argomento che viene citato in prevalenza è di natura economica, e non si tratta di una questione secondaria poiché le risorse umane e strumentali ora impegnate nel 13^ anno del percorso degli studi potrebbero risolvere molti problemi connessi alla numerosità delle classi, agli spazi, alle tecnologie e strumentazioni didattiche. L’argomento economico non può essere però limitato soltanto sul lato della spesa pubblica, ma deve riguardare anche quello del dispendio privato di energie derivante dal progressivo prolungamento dei percorsi degli studi secondari - il diploma a 19 anni - ed universitari - lo strano caso aritmetico di una riforma che volendo ridurre il curricolo di quattro anni ha finito per portarlo a cinque. In riferimento alla scuola, già nel 1969, ma soprattutto con il “Progetto 92” gli Istituti Professionali, fino ad allora di durata triennale, sono stati quinquennalizzati con l’aggiunta di un biennio finalizzato più all’accesso all’Università che all’approfondimento della preparazione professionale, mentre all’inizio del decennio scorso hanno avuto lo stesso esito gli ultimi due istituti di durata quadriennale, il Magistrale e la Scuola d’arte. La propensione protettiva tipica della pedagogia diffusa nel nostro Paese, unita ad una concezione astratta del sapere, ha portato ad una liceizzazione strisciante dell’istruzione senza chiedersi se questo corrispondesse al processo di maturazione psichico e sociale delle persone. Tutto ciò ha avuto un brusco impatto nella crisi economica che stiamo attraversando, consegnando una componente rilevante delle giovani generazioni all’inattività ed all’insignificanza sociale. La questione economica riferita al prolungamento dei tempi dell’istruzione a carico dei giovani porta diritto al tema più rilevante posto in gioco dalla proposta di un 45 Da Editoriale di Rassegna CNOS, 1/2014. Autore, Dario Nicoli, Docente dell’Università Cattolica degli Studi di Brescia 46 Si veda il recente seminario organizzato alla Camera dalla deputata Milena Santerini dei Popolari per l’Italia, dal titolo «Diplomarsi con successo a 18 anni». http://www.aetnanet.org/catania-scuola-notizie-2484872.html. 45 diploma secondario a 18 anni, quello relativo alla “dotazione necessaria” di un cittadino del nostro tempo, non meramente diligente, bensì “autonomo e responsabile”, visto in una prospettiva di formazione lungo tutto il corso della vita, unitamente al tema di quale metodologia sia più appropriata per la sua formazione. Questo tema decisivo è stato affrontato nella riforma del sistema educativo, che in effetti risulta realizzato soltanto a metà, visto che si è limitata alla scrittura dei traguardi di apprendimento definiti con le nuove indicazioni e linee guida nazionali, ma che non ha incluso la necessaria revisione degli elementi strutturali della scuola: le discipline, gli orari, la figura dell’insegnante, l’organizzazione e le strutture della cooperazione scolastica. Nella gran parte della scuola italiana, perlomeno nella secondaria di primo e di secondo grado, domina una didattica per trasferimento (le lezioni teoriche) basata sulla docenza frontale; questo metodo richiede alcune condizioni per poter essere efficace, e precisamente l’omogeneità della classe, la motivazione dei ragazzi, un tempo adeguato di lavoro domestico da parte degli studenti per poter assimilare individualmente il sapere. Tutto ciò è progressivamente venuto meno negli ultimi anni non solo in Italia, ma in tutti i Paesi sviluppati: le classi sono oggi molto diversificate per etnia, lingua, cultura, motivazioni; lo studio a casa sta diminuendo anche nei Licei, mentre negli Istituti Tecnici e Professionali, dopo la riduzione delle ore settimanali da 38-40 a 32, non si è potuto quasi mai affermare. Nel contempo, la cultura dominante del “politicamente corretto” tende a ridurre la capacità della scuola di suscitare entusiasmo: i docenti cercano di evitare il confronto sul terreno dei valori perché critico, quindi il dibattito langue e si scivola progressivamente sulla mera ripetizione di nomenclature. In questo quadro, i ragazzi più curiosi cercano risposte immediate ai lori interrogativi ricorrendo ad Internet, senza passare per i propri docenti spesso attardati dal tentativo di omogenizzare con le sole proprie forze i variegati livelli di partenza degli studenti. In questo modo, i contenuti scolastici risultano ancora più avulsi dalla realtà, e non ricevono da questa la necessaria validazione, in grado di convincere gli studenti dell’utilità di ciò che stanno per apprendere. Di fronte a queste difficoltà, negli ultimi tre decenni ha prevalso la tattica dell’abbassamento progressivo delle mete della scuola, e questo processo ha contribuito a ridurre ulteriormente l’interesse dei ragazzi in un circolo vizioso che non pare trovare soluzione. Questo stato di cose ha addirittura mosso alcuni docenti ad avanzare l’assurda proposta di prolungare la scuola superiore fino a sei anni: più che una soluzione, si tratta della dichiarazione di non volontà di revisione delle pratiche didattiche per un loro miglioramento, adattandole ai tempi ed alla necessità di formare un cittadino consapevole della realtà, critico e nel contempo capace di azione autonoma e responsabile. 46 3.2.2. Alcune esperienze significative di percorsi quadriennali Va detto che la grande maggioranza dei Paesi con cui ci confrontiamo rilascia il titolo di baccalaureato a 18 anni47. Ad esempio, nel Regno Unito, l’obbligo scolastico termina all’età di 16 anni con il conseguimento del GCSE - General Certificate of Secondary Education (in Scozia chiamato Standard Grades). Successivamente è possibile, ma non obbligatorio, proseguire gli studi fino a 18 anni con la Tertiary Education (Istruzione Terziaria). Questo biennio può essere frequentato presso scuole secondarie o Istituti di Formazione Professionale (Further Education Colleges). È anche possibile intraprendere percorsi formativi più articolati, strutturati su due anni, come l’AVCE - Advanced Vocational Certificate of Education o l’Edexcel National Diploma, che garantiscono una buona qualifica professionale e i requisiti per l’iscrizione a una laurea di primo livello. In alternativa alla Formazione Professionale e ai certificati A-level, alcune scuole preparano all’International Baccalaureate (IB), esame riconosciuto a livello internazionale che, come i precedenti, si sostiene all’età di 18 anni e consente l’accesso all’università. In Francia, un Paese con un sistema educativo più prossimo al nostro, la maturità francese (Baccalauréat, informalmente anche Bac) è il titolo di studio che conseguono gli allievi francesi a 18 anni, alla fine del ciclo di studio delle scuole superiori. Può essere paragonato alla maturità italiana ma le scuole superiori in Francia hanno la durata di tre (liceo generale e tecnologico) o quattro anni (liceo professionale o tecnologico) a differenza dei cinque in Italia. Anche in Germania il percorso secondario degli studi, il cosiddetto Gymnasium (medie più liceo), dura 12 anni a differenza dei nostri 13: i Land, competenti per questo tipo di istruzione, stanno procedendo sostanzialmente uniti in questa direzione. Mentre il “sistema duale” - l’apprendistato con formazione mista interna ed esterna - consente ai ragazzi (quasi la metà della popolazione) di concludere il percorso degli studi a 17 anni con una qualifica professionale. La differenza tra questi casi e la realtà italiana non consiste solo nel minor carico di contenuti (anche le nuove Indicazioni nazionali non riescono a liberarsi dall’enciclopedismo tipico della nostra scuola) a favore di “nuclei del sapere” meglio identificati in riferimento a ciò che effettivamente consente di formare il cittadino del futuro, ma soprattutto nella metodologia dell’apprendimento sullo sfondo di una visione positiva del rapporto tra scuola e realtà sociale. Come afferma Vittoria Gallina, il problema non è tanto: «la durata del percorso, ma la sua qualità in relazione a due aspetti fondamentali dal punto di vista formativo: la capacità della scuola di orientare alla acquisizione di saperi e saper fare specifici, attraverso l’opportunità di sperimentare conoscenze nuove, di approfondirle in senso teorico, e di praticarle, agendo sulla motivazione, la creatività e la curiosità, che sono le molle fondamentali per operare scelte consapevoli e per aiutare i giovani a scoprirsi come soggetti autonomi; l’offerta di occasioni di studio e riflessione sul senso di quello che 47 Cfr. Euridyce (2012), The structure of the European education systems 2011/12: schematic diagrams, http://www.indire.it/lucabas/lkmw_file/eurydice///structure_education_systems_EN.pdf 47 si è appreso e di quello che si vorrà/potrà apprendere, in vista dell’acquisizione di solide competenze per costruirsi una prospettiva di futuro»48. Va inoltre segnalato che, come disposto dal Decreto 4 agosto 2010 il Ministro degli Affari Esteri, di concerto col MIUR, tutti i Licei italiani all’estero a decorrere dall’anno scolastico 2010/2011, statali e paritari, hanno durata quadriennale, sulla base del seguente quadro orario settimanale obbligatorio relativo al liceo classico: 1° anno 2° anno 3° anno 4° anno Lingua e letteratura italiana 5 5 5 5 Lingua e cultura latina 4 3 3 3 Lingua e cultura greca 4 3 3 3 Lingua e cultura straniera 3 3 3 3 Lingua e cultura locale 4 4 4 4 Storia 3 3 3 Storia e geografia 5 Filosofia 3 3 3 Matematica 5 3 3 3 Fisica 3 3 3 Scienze naturali 2 2 2 2 Storia dell’arte 2 2 2 Scienze motorie e sportive 1 1 1 1 Religione cattolica o attività alternative 1 1 1 1 Totale ore 34 36 36 36 Se si può fare all’estero, perché questo non è possibile in Italia? 3.2.3. La sperimentazione di licei quadriennali Ha fatto discutere ultimamente l’autorizzazione del MIUR a sperimentare alcuni percorsi di liceo quadriennale realizzata in Lombardia in tre istituti paritari: “Collegio San Carlo” di Milano, (Liceo internazionale per l’intercultura) “Guido Carli” di Brescia, (Liceo internazionale per l’impresa), “Olga Fiorini” di Busto Arsizio, (Liceo internazionale per l’innovazione). Sono gli stessi dirigenti ed insegnanti a confermare la bontà del progetto, i cui primi risultati confermano una migliore qualità formativa, una maggiore motivazione e impegno tra gli studenti, una reale ricerca ed innovazione metodologica tra i docenti. L’intento di fondo non consiste tanto nel “fare economia”, quanto nell’adottare strategie e metodi che agevolino lo sviluppo degli studenti tramite maggiori opportunità formative, così da rendere più efficace l’apprendimento; la scelta di fondo consiste nell’“imparare vedendo e imparare facendo”, piuttosto che solo 48 V. GALLINA, Istruzione secondaria superiore: un confronto “europeo”, 23/01/2012, http://www.educationduepuntozero.it/studi-e-ricerche/istruzione-secondaria-superiore-confronto-europeo-4030842910.shtml 48 “imparare ascoltando”, nello studiare meglio e apprendere con maggiore efficacia. Tutto ciò comporta inoltre una facilitazione dell’inserimento nel mondo del lavoro49. Sulla scorta di queste prime esperienze, si sono candidate anche scuole pubbliche come il “Tosi” di Busto Arsizio, l’“Anti” di Verona ed il “Majorana” di Brindisi che inizieranno nel 2014-2015, insieme al Liceo paritario “Don Bosco” di Catania che intende associarsi all’iniziativa sperimentale. Tutte scuole note per la loro capacità di innovazione mostrata continuamente negli ultimi anni: non si può certo pensare che la riduzione di un anno degli studi secondari si possa realizzare in contesti che non hanno saputo usufruire degli stimoli e delle opportunità resi possibili da vari progetti che hanno riguardato il sistema educativo nazionale. Ne è una prova quanto afferma Claudio Pardini, dirigente dell’Istituto Anti: «Gli obiettivi di apprendimento restano gli stessi del percorso a cinque anni; non è previsto, infatti, un Esame di Stato differente, ma il credito scolastico partirà dal II anno anziché dal III. Abbiamo intenzione di aumentare l’offerta formativa anche potenziando il legame con le aziende e quindi l’alternanza scuola-lavoro, che continuerà a prevedere, come già succede ora, una fase a scuola con lezioni fatte da figure che vengono dal mondo produttivo e una fase in azienda. Non si può comunque generalizzare; per quanto riguarda la didattica ci saranno percorsi calibrati sulla base dei diversi indirizzi, con materie obbligatorie ed altre opzionali»50. Questa sperimentazione, numericamente molto contenuta, si muove entro un quadro di riferimento piuttosto divergente rispetto all’assetto ordinario scolastico, quasi fosse una sorta di “riforma autentica” gestita dal basso e non imposta tramite un ordinamento, sulla scorta delle migliori esperienze internazionali che hanno da tempo abbandonato lo strumento della “riforma globale” tramite leggi del tipo “anno zero” per perseguire un approccio più concreto che prevede appunto un’iniziativa locale svolta sulla base di deroghe alle disposizioni normative in vigore. Si sviluppano gli stessi contenuti delle linee guida nazionali, riportati a quattro anni, ma il fuoco della sperimentazione è posto sul metodo che consiste in un ventaglio di dispositivi di potenziamento (“supporti integrativi”): docenti madrelingua, visite didattiche e stage anche all’estero per una conoscenza diretta del mondo e del lavoro, didattica personalizzata, docenti formati ad hoc per un tutoraggio ed un accompagnamento allo studio. Le soluzioni adottate prevedono circostanze eccezionali fatte di disponibilità finanziarie (per le scuole paritarie), famiglie coinvolte, leadership imprenditive, docenti motivati, organizzazione flessibile, didattica personalizzata, largo impiego delle tecnologie digitali, entusiasmo. Un insieme di condizioni che rende difficilmente trasferibile il modello. Ma ciò rivela che il punto decisivo non è dato dalla lunghezza degli studi, quanto dall’approccio formativo di fondo: mettere al centro lo studente, fornirgli le migliori risorse per stimolarne la curiosità e il coinvolgimento. Tutti elementi che risultano già attuati in un’altra esperienza presente nel nostro contesto nazionale. Il Diploma 49 Cfr. A. GAVOSTO, La diminuzione di un anno di scuola e G. ADERNÒ, Verso il liceo in quattro anni. Maturità con un anno di anticipo, «Tuttoscuola», 537, dicembre 2013. 50 http://www.orizzontescuola.it/news/spazi-tempi-metodologie-quali-cambiamenti-nel-liceo-quattro-anni 49 quadriennale di Istruzione e Formazione Professionale, offerto ai giovani che hanno acquisito la qualifica professionale di IeFP. 3.2.4. Il diploma quadriennale di Istruzione e Formazione Professionale La Legge 53/03 ha delineato un’offerta formativa equivalente tra il percorso dell’Istruzione e quello dell’Istruzione e Formazione Professionale; quest’ultima prevede, oltre alla qualifica professionale triennale, un successivo quarto anno finalizzato al conseguimento del diploma professionale di Tecnico, un vero e proprio titolo di studio che consente l’inserimento lavorativo nelle funzioni di tecnico, oltre alla possibilità di proseguire gli studi nel terzo livello dell’Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS) per conseguire una specializzazione. Si tratta di un’esperienza già attiva da alcuni anni, diffusa in contesti territoriali vivaci dal punto di vista del sistema formativo, normata dalla Conferenza Stato Regioni nel 27 luglio 2011 con propri standard formativi riferiti alle seguenti 21 figure di tecnico: 1. tecnico edile 2. tecnico elettrico 3. tecnico elettronico 4. tecnico grafico 5. tecnico delle lavorazioni artistiche 6. tecnico del legno 7. tecnico riparatore di veicoli a motore 8. tecnico per la conduzione e la manutenzione di impianti automatizzati 9. tecnico per l’automazione industriale 10. tecnico dei trattamenti estetici 11. tecnico dei servizi di sala e bar 12. tecnico dei servizi di impresa 13. tecnico commerciale delle vendite 14. tecnico agricolo 15. tecnico dei servizi di animazione turistico-sportiva e del tempo libero 16. tecnico dell’abbigliamento 17. tecnico dell’acconciatura 18. tecnico di cucina 19. tecnico di impianti termici 20. tecnico dei servizi di promozione e accoglienza 21. tecnico della trasformazione agroalimentare. Il diploma di IeFP rappresenta un titolo di validità nazionale, corrispondente al IV livello europeo e quindi spendibile in ambito comunitario. Si riferisce alla figura del “Tecnico”, ovvero una persona, dotata di una buona cultura tecnica, in grado di intervenire nei processi di lavoro con competenze non solo operative in relazione ai processi, ma anche di programmazione, coordinamento e verifica, sapendo assumere gradi soddisfacenti di autonomia e responsabilità, in relazione con i responsabili delle unità operative in cui operano. 50 I titoli di Istruzione e Formazione Professionale il cui rilascio risulta di competenza esclusiva delle Regioni e Province Autonome, non sono assimilabili ai “vecchi” titoli professionalizzanti di competenza dello Stato. Questi ultimi semplicemente vengono meno, e sono sostituiti da una nuova generazione di titoli di competenza regionale che hanno validità sul territorio nazionale (e, si spera, europeo) in quanto rispondenti ai livelli essenziali delle prestazioni ed ai criteri fissati dalle indicazioni elaborate congiuntamente dalle Regioni. Gli iscritti dei percorsi quadriennali finalizzati al diploma nel 2012/13 ammontano a 9.471 unità, con un incremento del 26,8% rispetto all’anno precedente. La crescita è spiegata in parte dal consolidamento delle pratiche formative in quasi tutte le realtà territoriali. Il modello, già presente in Lombardia, Trento, Bolzano e Liguria, era vigente dall’anno formativo 2011/12 anche in Piemonte e Sicilia. Da quest’anno è stato esteso al Friuli Venezia Giulia, con 59 unità. Il 57% di tutti gli iscritti al IV anno si trova in Lombardia e il 24% in Sicilia. Tali iscritti frequentano nella quasi totalità le istituzioni formative, coprendo l’86,4% del totale. Regioni IV anno IF IV anno IS Totale IV anno Piemonte 362 0 362 Lombardia 5.297 141 5.438 Bolzano 585 0 585 Trento 681 0 681 Friuli Venezia Giulia 59 0 59 Liguria 118 0 118 Sicilia 1.079 1.149 2.228 Totale 8.181 1.290 9.471 Iscritti ai percorsi quadriennali per Istituzioni formative (IF) o Istituzioni scolastiche (IS) e per Regione/Provincia Autonoma - a.f. 2012-1351. 3.2.5. La metodologia Il cardine del modello formativo risiede nella relazione tra individuo e ambiente, mediata dalla cultura. Ciò consente di suscitare processi di costruzione della conoscenza che risultano pertanto situati nelle attività proprie di un contesto. Il percorso formativo è costituito dalla sequenza delle esperienze che sollecitano il coinvolgimento dell’allievo e quindi ne mobilitano le risorse intrinseche. Nel momento in cui assolvono a compiti reali e significativi e risolvono i problemi, tesi a risultati utili e significativi, gli studenti fanno esperienza personale del sapere, quella che rimane come bagaglio e padronanza reale. Il lavoro costituisce l’occasione per fare esperienza del mondo in senso pienamente culturale; ma l’agire umano appare nel suo giusto valore se la persona si alimenta anche con la contemplazione, la poesia e l’arte. 51 ISFOL, Istruzione e Formazione professionale: una filiera professionalizzante a.f. 2012-13. Rapporto di monitoraggio delle azioni formative realizzate nell’ambito del diritto-dovere, Roma, 2013, p. 38. 51 Il produrre opere che abbiano un’esistenza loro propria, nei vari ambiti professionali, culturali e di cittadinanza, costituisce una metodologia di apprendimento molto vantaggiosa; essa consente di liberare l’attività cognitiva dal suo carattere astratto, rendendola pubblica, negoziale e sociale; rende tale attività accessibile alla riflessione; favorisce il sentimento di comunità creando un mito, una tradizione che rimane nel gruppo che l’ha vissuta. Nel contesto professionalizzante, realizzare opere permette agli allievi di entrare in rapporto con i membri della comunità professionale più vasta che unisce organismi formativi, soggetti economici e professionali, organismi culturali e di ricerca, servizi attivi per il lavoro. Il compito reale, mentre consente una valutazione attendibile e partecipata, stimola l’allievo ad un inserimento autonomo e responsabile nella realtà. L’integrazione con il territorio e il mondo produttivo non è solo un metodo di lavoro, è un fattore imprescindibile per l’elaborazione del piano dell’offerta formativa dei Centri di Formazione Professionale. Gli strumenti per intrecciare la progettazione didattica dei CFP con i piani di sviluppo locali e le esigenze formative degli allievi sono quelli offerti dall’autonomia didattica e organizzativa. Esistono due grandi modelli di diploma IeFP: il modello dell’alternanza formazione-lavoro, presente in particolare in Provincia di Trento e nella Provincia di Bolzano nella formula dell’apprendistato; il modello formativo organico con un project work significativo, presente nella gran parte delle altre Regioni. In riferimento al modello Piemontese, nel quarto anno di Diploma è prevista un’area formativa denominata project work che qualifica l’esperienza di stage: un progetto rilevante e coerente con le competenze richieste all’allievo, applicato ad una situazione-problema espressa da situazioni organizzative reali e rispetto alla quale si avanza una proposta applicabile. Si tratta in effetti di un’esperienza di alternanza formativa, opportunamente concordata con le imprese partner, mediante la quale l’allievo, dopo una fase di osservazione e interpretazione della realtà aziendale di riferimento, elabora e realizza un progetto rispondente a compiti coerenti con le finalità del percorso formativo e significativo per l’organizzazione stessa. È pertanto necessaria una formazione dell’allievo all’utilizzo di strumenti di rilevazione del contesto organizzativo aziendale e di progettazione professionale. Si possono prevedere diverse tipologie di progetto: studio di un’organizzazione di lavoro; studio di un processo produttivo/di servizio; ricostruzione del prodotto/servizio e del suo “ciclo di vita”; analisi di mercato; audit della qualità; progettazione di un processo tecnico/di una unità di servizio; ecc. All’interno di ogni project work è possibile prevedere approfondimenti legati alle varie aree delle competenze di base (per esempio, per quanto riguarda l’area scientifica è possibile studiare l’elaborazione di preventivi e la pianificazione di costi, ricavi e rischi e descrivere il fenomeno chimico-fisico che è alla base del prodotto o del processo di analisi). Tale progetto diviene anche materiale su cui sviluppare la valutazione finale. 52 3.2.6. Il primo diploma europeo in Italia Tutto ciò fa del diploma di formazione un fenomeno nuovo rispetto alla tradizione della Formazione Professionale regionale, poiché consente di delineare un cammino formativo verso l’alto, con una durata e standard formativi coerenti con il modello europeo EQF che al livello 4 prevede i seguenti riferimenti: Conoscenze Abilità Competenze Nel EQF, le conoscenze sono descritte come teoriche e/o pratiche. Nel EQF, le abilità sono descritte come cogniti-ve (uso del pensiero logico, intuitivo e creati-vo) e pratiche (che im-plicano la destrezza ma-nuale e l’uso di metodi, materiali, attrezzature e strumenti). Nel EQF, la competenza è descritta in termini di re-sponsabilità e autonomia. Livello 4 Gli esiti di apprendimento rilevanti per il Livello 4 sono  Conoscenze pratiche e teoriche in ampi contesti in un ambito di lavoro o di studio.  Una gamma di abilità cognitive e pratiche necessarie per creare soluzioni a problemi specifici in un ambito di lavoro o di studio.  Autogestirsi all’interno di linee guida in contesti di lavoro o di studio soli-tamente prevedibili, ma soggetti al cambiamento.  Supervisionare il lavoro di routine di altre perso-ne, assumendosi una certa responsabilità per la valutazione e il miglio-ramento delle attività di lavoro o di studio. Il riferimento ad EQF fa sì che il diploma di tecnico IeFP, quadriennale, possieda lo stesso livello del diploma di scuola secondaria superiore quinquennale. Ciò mostra con evidenza lampante che quest’ultimo impone ai nostri giovani un anno ulteriore di studi che non consente loro alcun avanzamento nel livello di padronanza, ma, semplicemente, persegue in cinque anni ciò che gli altri paesi realizzano in quattro. Il livello 5, infatti, si riferisce alla formazione terziaria, ovvero il tecnico ITS (due anni dopo il diploma di Stato, quindi ottenibile a 21 anni) o specializzato superiore IFTS (un anno dopo il diploma professionale, quindi ottenibile a 19 anni). Si presenta nella pagina successiva lo schema esplicativo. 53 Età 21191817QUALIFICA(3 anni)IeFPDIPLOMA(1 anno)SPECIALIZ-ZAZIONE(1 anno)DIPLOMA(5 anni)ITS(2 anni)EQF543ISTRUZIONE Il percorso IeFP consente di “risparmiare” un anno per poter ottenere il diploma secondario di livello EQF 4 ed un altro per la specializzazione IFTS di livello EQF 5. La spiegazione di questo risiede nel superamento della commistione tra le due finalità dei percorsi professionalizzanti, introdotta negli istituti professionali con la legge del 1969, quella riferita all’inserimento lavorativo e quella proiettata all’iscrizione universitaria: voler tenere insieme queste due finalità ha portato ad una liceizzazione dei percorsi professionali con conseguente aumento del numero di discipline insegnate e dell’astrattezza dei contenuti impartiti. Ciò ha creato un impatto critico nei confronti dei giovani ed è la spiegazione principale dell’elevato livello di dispersione scolastica in questo ambito dell’istruzione. Il diploma di IeFP non vuole intellettualizzare la gioventù, ma fornire ad essa una formazione dal carattere autenticamente “popolare”, vale a dire significativa ed utile, riscontrabile nel reale, appresa secondo il metodo dell’ “imparare facendo”. Con essa avviene un’integrazione più apprezzabile dai giovani tra la cultura degli assi culturali e quella professionale, in una prospettiva centrata sulla figura del cittadino coinvolto, autonomo e responsabile, il cui lavoro è concepito come cultura che riflette una visione della realtà ed un’etica ovvero un modo di agire in essa per scopi buoni. In tal modo, la natura di questi percorsi risulta decisamente lontana dal modello dell’addestramento: infatti, la solidità del bagaglio culturale fornito può consentire ai giovani diplomati, con un modulo integrativo successivo, di prepararsi agli esami per il Diploma di Stato per potersi inserire all’Università. 3.2.7. Un’offerta formativa da estendere Il Diploma professionale di valore europeo rilasciato dalle Regioni e Province Autonome presenta indicatori di grande valore: un tasso di dispersione formativa 54 dimezzato rispetto a quello degli istituti professionali; una maggiore rapidità di inserimento ed una più elevata presenza di occupazioni coerenti52. Essendo il nostro un Paese basato su una normativa corporativa di accesso a molte professioni, centrata per lo più sul requisito del possesso di un titolo di studio scolastico quinquennale, occorre un’opera di modernizzazione normativa che riporti il nostro Paese di fatto entro il quadro comunitario. Siamo di fronte ad una proposta formativa attraente ed insieme dotata di valore professionale. ISFOL ci ricorda che «altre regioni potrebbero attivare nei prossimi anni percorsi di diploma quadriennale e si può stimare sull’intero territorio nazionale un bacino di circa 22/23.000 potenziali allievi»53. Il monitoraggio effettuato da questo istituto mostra un’offerta di percorsi caratterizzati da metodologie didattiche attive, laboratori e stage ben organizzati in grado di formare diplomati dotati di un potenziale di professionalità tale da permettere loro di inserirsi agevolmente nel mondo del lavoro. Relativamente pochi sono i giovani sotto inquadrati, a differenza di quanto accade per diplomati e laureati dei percorsi dell’istruzione. Infine, si tratta di una formazione non “full stop” vale a dire rinchiusa nella fase iniziale della vita, ma aperta alla continuazione del cammino di apprendimento entro una “filiera lunga tecnico-professionale” da cui si può procedere verso la formazione tecnica superiore. Per tutti questi aspetti, si spiega la proposta dell’ISFOL finalizzata all’estensione di tale offerta su tutto il territorio nazionale, eliminando la disparità di diritti derivante da una struttura a macchie di leopardo: «Con riferimento al IV anno, prosecuzione ideale della qualifica professionale triennale, sarebbe opportuno che tale offerta formativa potesse estendersi a tutto il territorio nazionale, dal momento che oltre la metà dei qualificati sceglie di proseguire in verticale, nei territori in cui questa offerta è erogata. Ciò anche in vista del fatto che la qualificazione rilasciata con il diploma di IV anno, nel quadro dell’European Qualification Framework, è di livello formalmente equivalente al diploma di maturità, rendendola quindi particolarmente appetibile. Tuttavia su questa possibilità influisce negativamente la scarsità di risorse a disposizione»54. L’esperienza dei diplomi professionali regionali dimostra che il valore del tempo non sta nella durata, ma in ciò che ne facciamo: se forniamo una formazione di valore ed attenta ai giovani ed al loro desiderio di riuscita, in quattro anni si possono ottenere maggiori risultati che in un’offerta quinquennale non dotata degli stessi requisiti. 52 G. MALIZIA - V. PIERONI, L’inserimento dei giovani qualificati nella FPI, Sede Nazionale del CNOS-FAP, 2012. 53 ISFOL, op. cit., p. 36. 54 Ivi, p. 6. 55 3.3. La IeFP tra Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) e norme regionali Per una nuova governance della IeFP55 Giulio M. Salerno56 3.3.1. Uno sguardo sui principi costituzionali relativi alla IeFP L’Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) è ha una lunga storia alle spalle, ma dal punto di vista costituzionale è stata riconosciuta soltanto a partire dal 2001, con l’approvazione della riforma del Titolo V della seconda Parte della Costituzione (legge cost. n. 3 del 2001). Tale riconoscimento identitario è avvenuto con due particolari modalità: per sottrazione e per attribuzione di competenza. Per sottrazione, nel senso che il settore ordinamentale della IeFP è stato ricavato da quello più ampio dell’istruzione; e per attribuzione di competenza, nel senso che la IeFP è stata attribuita alla competenza - legislativa e conseguentemente amministrativa - delle Regioni. Ciò è avvenuto con un semplice ma importantissimo tratto di penna, nella parte in cui nel nuovo art. 117, comma 3, della Costituzione, dopo aver riconosciuto che l’istruzione rientra tra le materie di competenza concorrente delle Regioni (essendo quindi riservata allo Stato la determinazione legislativa dei principi fondamentali), si è precisato che dalla materia dell’istruzione deve farsi “esclusione dell’istruzione e della formazione professionale”. In tal modo, sulla base del principio costituzionale per cui ciò che non è attribuito espressamente alla competenza dello Stato è di competenza residuale regionale (cfr. art. 117, comma 4, Cost.), la IeFP è stata direttamente assegnata alla competenza legislativa della Regione, a differenza dell’istruzione per così dire restante, quella cioè scolastica. Tali scaturigini hanno comportato conseguenze di grande rilievo, alcune senz’altro considerabili positivamente, altre meno. La distinzione tra istruzione scolastica e IeFP, e la contemporanea attribuzione alla competenza propria delle Regioni – effetti immediati e diretti delle innovazioni costituzionali cui si è adesso accennato – hanno reso evidente quell’irresistibile autonomia funzionale ed organizzativa della logica formativa che da lungo tempo l’istruzione professionalizzante reclamava, affermando nello stesso tempo la sua propria originalità e la medesima dignità rispetto all’istruzione scolastica. A questi principi costituzionali la legge n. 53 del 2003 sul sistema nazionale di istruzione e formazione ha dato prima e fondamentale attuazione. I successivi svolgimenti legislativi determinatisi in sede statale e i conseguenti accordi e intese sanciti tra Stato e Regioni, se in parte hanno indebolito tale impostazione - soprattutto nel momento in cui si è consentito l’intervento cosiddetto sussidiario degli istituti professionali di Stato - hanno affrontato con non poche difficoltà, alcuni rallentamenti e indietreggiamenti, e qualche improvvisa accelerazione le numerose questioni collegate all’implementazione di un sistema nazionale di IeFP intrinsecamente articolato in realtà regionali molto diverse l’una dall’altra. In 55 Articolo pubblicato in Rassegna CNOS, n. 1/2014. 56 Ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l’Università di Macerata. 56 definitiva, volendosi trarre un bilancio di quanto avvenuto dal 2001 ad oggi, si è voluto consentire la coesistenza di differenziati sistemi regionali di IeFP ove realizzare impostazioni e visioni politicamente e ideologicamente differenziate, se non addirittura opposte, in ordine all’offerta educativa pubblica nel suo complesso, alla presenza del privato sociale, al ruolo dell’istruzione professionalizzante e ai rapporti tra quest’ultima e i percorsi scolastici. Tuttavia, va aggiunto che entrambi i settori ordinamentali dedicati alla funzione formativa dei giovani, cioè scuola e IeFP, sono egualmente assoggettati ai “principi generali dell’istruzione” stabiliti dalla legge dello Stato ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. n) della Costituzione. Insomma deve riconoscersi che il comune “cappello” costituito dall’istruzione - cui appartengono sia la scuola che la IeFP - ha determinato un vincolo ordinamentale di inestricabile collegamento dell’IeFP anche con lo Stato, e di cui il costante riferimento della IeFP agli apparati ministeriali dell’istruzione è immediato, palese e inevitabile riscontro. Come qui vedremo meglio, lo Stato agisce, anzi deve agire, quale autorità “prima” di definizione dei principi legislativi essenziali di ciascun sistema formativo e comuni ad entrambi, e quale autorità “ultima” di garanzia dell’attuazione e del funzionamento dell’istruzione complessivamente intesa, e dunque a fini di salvaguardia della corretta ed efficiente applicazione dei principi costituzionali e legislativi che guidano entrambi i settori, scuola e IeFP, egualmente e paritariamente componenti dell’ambito ordinamentale dell’istruzione. 3.3.2. Il ruolo “primo” e “ultimo” dello Stato nei confronti della IeFP Innanzitutto, infatti, deve riconoscersi che anche nella IeFP, proprio in quanto materia rientrante nell’istruzione ai sensi dell’art. 117, comma 3, Cost., sono in giuoco diritti civili di rilevanza costituzionale, quali, ad esempio, il diritto all’istruzione da parte dei discenti, la libertà di insegnamento da parte dei docenti, il diritto di istituire “istituti di educazione” da parte di enti e privati, la pari libertà degli iscritti alle istituzioni private che chiedono un trattamento paritario (tutti diritti che sono garantiti dall’art. 33 Cost.), così come il diritto di libero accesso alle istituzioni educative, il diritto di usufruire dell’istruzione obbligatoria gratuita, il diritto di accedere ai gradi più alti degli studi, il diritto di accedere a prestazioni pubbliche - “borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze che devono essere attribuite per concorso” - che vanno apprestate ed erogate dalla “Repubblica”, cioè dal complesso delle pubbliche amministrazioni rispettivamente competenti (diritti garantiti dall’art. 34 Cost.). Si tratta dunque di diritti individuali e collettivi, espressivi di garanzie di libertà e di socialità, che vanno assicurati nell’ambito della IeFP sull’intero territorio nazionale ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. m. Cost., e rispetto ai quali, pertanto, spetta allo Stato la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili”. Insomma, la riforma costituzionale del 2001 ha prodotto la pariordinazione tra l’istruzione scolastica e la IeFP nell’ambito del comune settore dell’istruzione, nel senso che ha comportato l’accostamento e l’inserzione della IeFP, al pari della 57 scuola, rispetto a tutte quelle disposizioni costituzionali che disciplinano le attività educative allorquando in tali attività si congiungono profili di istruzione e profili di formazione professionalizzante. Più esattamente, prima della riforma costituzionale del 2001 la disciplina della formazione professionale era per lo più ristretta al settore della formazione e dell’elevazione professionale dei lavoratori, ai sensi dell’art. 35, comma 2, Cost., e dunque collegata agli aspetti formativi attinenti al mondo del lavoro e dunque direttamente dipendente dalle esigenze, dalle istanze e dai bisogni presenti nei rapporti economici. Invece, dal 2001 la IeFP ha acquisito lo specifico riconoscimento costituzionale di attività propriamente e direttamente riconducibile all’ambito della “istruzione” al pari della scuola, alla quale viceversa la Costituzione originariamente riconosceva una sorta di sostanziale esclusività nell’ambito delle attività formative degli adolescenti. Insomma, a partire dal 2001, gli artt. 33 e 34 Cost. vanno riletti e reinterpretati in stretta connessione con la nuova e più ampia configurazione della materia della “istruzione” risultante dall’inserimento, all’interno di quest’ultima, della IeFP considerata come quello specifico ambito dell’istruzione che è riservato alla competenza “propria” - e non soltanto concorrente - delle Regioni. In questo modo, può concludersi, la IeFP è entrata di pieno diritto nell’ambito dei “rapporti etico-sociali” disciplinati nel Titolo II della Prima parte della Costituzione. Ma gli effetti dell’inserzione della IeFP nell’ambito della istruzione e l’equiparazione dell’IeFP alla scuola nell’adempimento della funzione educativa rivolta ai giovani, là dove e nella misura in cui essa si colleghi all’istruzione professionalizzante, non sono limitati a quanto adesso sintetizzato. Infatti, va rilevato che allo Stato non soltanto spetta definire, come detto sopra, “i livelli essenziali delle prestazioni” relativi, come si è appena visto, sia alla scuola che anche alla IeFP, ma deve pure intervenire quando i diritti civili e sociali di rilevanza costituzionale siano messi in pericolo dall’inazione degli enti di decentramento territoriali cui spettano ordinariamente le funzioni pubbliche relative alla IeFP. Infatti, l’art. 120, comma 2, Cost. prevede, tra l’altro, che “il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni (…) quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica (…) e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali”. Ciò significa che la Costituzione, se da un parte è stata modificata a partire dal 2001 nel senso dell’accresciuto decentramento istituzionale, d’altra parte è stata integrata attribuendo al Governo centrale una competenza specifica, quella di sostituirsi agli enti decentrati qualora sia necessario mantenere l’“unità giuridica” della Repubblica, ossia quell’essenziale parità di condizione giuridica tra i consociati senza la quale verrebbe meno l’unitarietà dello Stato, assicurando, in particolare, il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni - definiti, come già ricordati, con leggi poste dallo stesso Stato - quando il comportamento degli enti decentrati non consente o addirittura pregiudica il predetto rispetto a causa di un esercizio insufficiente o scorretto dei relativi poteri. Nel caso della IeFP, che è qui alla nostra attenzione, l’esercizio della competenza legislativa e amministrativa delle Regioni, 58 particolarmente garantita e rafforzata dalla precisazione posta nel sopra richiamato art. 117, comma 3, Cost., costituisce un anello indispensabile per l’effettivo funzionamento della IeFP: senza norme legislative appositamente predisposte da ciascuna Regione il sistema della IeFP delineato nei principi essenziali dalle norme statali, infatti, è concretamente irrealizzabile; senza un idoneo apparato amministrativo regionale che dia attuazione alle discipline legislative - sia quelle statali di principio, sia, conseguentemente, quelle regionali - nessun percorso di IeFP può essere attivato. In definitiva, senza il concorso idoneo e congruente di entrambe le competenze regionali - sia sul versante della legislazione che su quello dell’amministrazione - la IeFP rimane lettera morta, l’unità giuridica tra i cittadini si spezza irrimediabilmente, il livello essenziale delle prestazioni - definito dalle norme statali - è definitivamente compromesso. La Costituzione offre allora una soluzione, il potere sostitutivo del Governo della Repubblica, che può apparire assai drastica, ma che non è un’arbitraria invasione di competenza, né un’usurpazione. In ogni ordinamento costituzionale anche a forte decentramento istituzionale, non può non essere consentito al potere centrale l’intervento suppletivo nei confronti dei poteri autonomistici al fine di ristabilire il corretto esercizio delle competenze quando siano in discussione profili, aspetti, interessi direttamente ed immediatamente inerenti alla tutela dei diritti costituzionali, individuali e collettivi, e in particolare quando sia in giuoco quella minima ed essenziale unitarietà del sistema decisionale pubblico senza la quale si comprometterebbe gravemente - se non irrimediabilmente - il senso stesso di appartenenza dei cittadini al medesimo Stato. 3.3.3. La geopardizzazione della IeFP: un’evidente violazione dei principi costituzionali Tutto ciò considerato, allora, appare davvero in contraddizione con il quadro dei principi costituzionale la condizione giuridica degli adolescenti, dei giovani e delle relative famiglie che vivono e risiedono in quelle Regioni ove, a differenza di altre, manca la normativa legislativa necessaria per consentire lo svolgimento a regime dei percorsi di IeFP, o dove non viene predisposta l’attuazione amministrativa indispensabile per consentire di usufruire della IeFP, ovvero, ancora, non vengono appostate le risorse finanziarie nelle corrispondenti voci di bilancio, sicché risulta impossibile l’attivazione del percorsi di IeFP. L’approntamento dei percorsi educativi della IeFP, in altri termini, non è espressione di una mera discrezionalità politica rimessa alla libera scelta delle Regioni; ben diversamente, è adempimento di una funzione pubblica rimessa per Costituzione alla competenza regionale nel rispetto di principi generali stabiliti dalla Stato al quale compete la salvaguardia del relativo rispetto. La mancanza della IeFP in tutto il territorio nazionale non è soltanto una perdita secca per la nostra collettività, per il compiuto sviluppo formativo dei giovani, per la predisposizione delle professionalità richieste dal mondo del lavoro; è, dal punto di vista qui in considerazione, una palese e grave violazione dei diritti costituzionalmente previsti e garantiti a tutti i giovani che intendono assolvere, come riconosciuto espressamente dalla legge dello Stato, l’obbligo di istruzione ed 59 esercitare il diritto-dovere di istruzione e formazione per il tramite di percorsi educativi che siano strettamente coniugati con la formazione professionalizzante. Questo è ormai a tutti gli effetti un diritto civile da garantire in modo eguale su tutto il territorio nazionale, e che non può essere negato sulla base di scelte discrezionali dei livelli di governo regionali: là dove ciò si verifichi, si configura un assetto giuridico contrario ai principi costituzionali. Parimenti, appare intollerabile, giuridicamente e soprattutto costituzionalmente, una condizione di palese differenziazione, se non di assoluto squilibrio, tra i sistemi di IeFP predisposti e concretamente nelle Regioni che ne consentono lo svolgimento. Quanti e quali siano i “modelli” di IeFP effettivamente sussistenti, è tema di approfondite e complesse analisi di cui soli gli esperti del settore sono pienamente consapevoli. Quale sia la distanza, se non la contrapposizione tra i modelli regionali di IeFP sussistenti in prassi - perché così legificati e amministrati dalle singole Regioni - e il sistema nazionale di istruzione e formazione come è stato delineato dalle normative statali di principio, è un dato di fatto noto a tutti. Eppure, gli adolescenti, i giovani e le relative famiglie si trovano di fronte ad un ginepraio di differenziate modalità e condizioni di accesso, frequenza, assolvimento e riconoscimento dei percorsi di IeFP, tutte praticamente diverse da Regione a Regione. Le formule più varie escogitate da livello regionale per non dare luogo ad una vera IeFP distinta, autonoma e pariordinata rispetto ai percorsi di istruzione scolastica (i bienni integrati, il primo anno obbligatorio nella scuola, e così via) costituiscono certo l’esempio più eclatante della nostra fantasia istituzionale, ma sono tutti palesemente incostituzionali. In qualche occasione la Corte costituzionale ha avuto la possibilità di dichiararlo a chiare lettere (come ad esempio nel caso della sent. n. 309 del 2010 nei confronti di una legge della Regione Toscana). Ma nella quasi totalità dei casi, il Governo non ha impugnato - nei ristretti termini che gli sono consentiti dalle procedure di giustizia costituzionale - le leggi regionali, che così hanno dato luogo a modalità attuative della IeFP che devono ritenersi costituzionalmente invalide, e che tuttavia rimangono efficaci e dunque giuridicamente cogenti sin quando non ne sarà accertata l’incostituzionalità da parte della Corte costituzionale. E ancora l’intervento cosiddetto “sussidiario” degli Istituti professionali di Stato - ma in realtà in sostituzione delle istituzioni formative riconosciute come tali dai singoli ordinamenti regionali - avviene, in via generale, secondo un regime stabilito non con norme di legge, ma con regolamento e sulla base di un accordo raggiunto in sede di Conferenza unificata tra lo Stato e gli enti del decentramento territoriale, e dunque in spregio al principio di legalità su cui deve fondarsi l’attività amministrativa. Del resto l’intervento dei Professionali di Stato potrebbe essere ritenuto legittimamente "sussidiario" solo se attivato dallo Stato in via temporaneamente sostitutiva rispetto all’oggettiva mancanza dei percorsi regionali di IeFP e per assicurare i livelli essenziali delle prestazioni. Al contrario, si tratta di un intervento permanentemente sostitutivo dei percorsi di IeFP di competenza regionale e che viene attivato per decisione autonoma delle stesse Regioni che illegittimamente rinunciano all’attivazione dei loro percorsi. Talora, poi, a livello regionale, l’applicazione del regime cosiddetto sussidiario è decisa soltanto sulla base di 60 decisioni assunte non in via legislativa, ma addirittura con atti meramente amministrativi. Ancora, può segnalarsi che l’erogazione di risorse finanziarie da parte delle Regioni per lo svolgimento di attività connesse alla IeFP a favore delle istituzioni scolastiche statali, si pone in violazione del principio costituzionale, tante volte ribadito dalla Corte costituzionale, che proibisce a ciascun livello di governo di destinare le proprie risorse finanziarie per lo svolgimento di attività poste in essere da soggetti o istituzioni appartenenti ad altri livelli di governo, e ciò in base al principio di autonomia finanziaria di ciascun ente territoriale sancito dall’art. 119 Cost. La confusione e la sovrapposizione dei ruoli altera ulteriormente il quadro attuativo della IeFP, determinando una condizione di palese difformità rispetto ai principi costituzionali. La geopardizzazione del sistema nazionale di IeFP, che nei fatti si presenta frazionato tra una molteplicità di differenziati - e talora inesistenti - sistemi regionali, ha prodotto una condizione di disarticolazione che non appare più tollerabile a fronte del rispetto dei principi di “unità” del sistema educativo nazionale di istruzione e formazione, principi che la Costituzione garantisce proprio nel momento stesso in cui assegna allo Stato una pluralità di compiti e funzioni che assumono le seguenti finalità complessivamente unificanti: definire i principi generali in materia di istruzione; intervenire nell’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti dalle autorità regionali direttamente e primariamente competenti nell’erogazione dell’IeFP; e provvedere sia all’effettivo rispetto del principio di unità del sistema nazionale di istruzione e formazione, che alla garanzia dei diritti costituzionali ad esso collegati sull’intero territorio nazionale, agendo in via sostitutiva in caso di inadempienza da parte dei livelli decentrati di governo. 3.3.4. Quali rimedi e quali possibili soluzioni? Quali rimedi sono ipotizzabili e quali soluzioni si possono apprestare per affrontare una condizione di geopardizzazione della IeFP che rischia non solo di ostacolare e di precludere la positiva evoluzione di un settore formativo che, come dimostrano le analisi più recenti, dimostra di offrire percorsi educativi apprezzati dai giovani e dalla famiglie, ma anche di costituire quella premessa di fatto che possa condurre sino all’implosione del sistema nazionale di istruzione e formazione, per come quest’ultimo è stato definito a partire dalla riforma costituzionale del 2001 e dalla successiva legge di attuazione n. 53 del 2003. La disarticolazione della IeFP, dunque, non è una condizione che le Regioni - neppure quelle che continuano a guardare con sufficienza o indifferenza alla IeFP - dovrebbero considerare con favore; infatti, una grave inefficienza complessiva dell’istruzione professionalizzante potrebbe giustificare la richiesta di riforme così incisive sino al punto da indurre - pure inserendosi nella prospettiva di riforma del Titolo V di cui si parla insistentemente proprio in questi giorni - a proporre la riduzione o addirittura la cancellazione di quella ampia sfera di autonomia che è stata riconosciuta alle Regioni con la revisione costituzionale del 2001. Il rischio da evitare, insomma, è quello di una controriforma che riporterebbe l’orologio all’indietro, non solo cancellando d’un colpo esperienze 61 senz’altro positive, ma allontanandoci ancor di più dalla realizzazione di quel modello di connessione tra istruzione e formazione cui l’Europa costantemente ci sollecita. Se allora, a nostro avviso, la risposta non può non orientarsi nella predisposizione di una più efficiente governance della IeFP che, nel rispetto delle autonomie regionali, assicuri una configurazione unitaria dei sistemi regionali, almeno tre strade andrebbero contemporaneamente seguite: completare la definizione delle norme statali che delineano dal centro l’assetto unitario della IeFP; fornire un quadro unitario e leggibile di tutte le regole sinora prodotte nelle varie sedi concertative tra lo Stato e le autonomie territoriali; e procedere, là dove necessario, a quegli interventi sostitutivi indispensabili per supplire a gravi e palesi inadempienze o distorsioni applicative in sede regionale. Innanzitutto, lo Stato deve assumersi per intero le proprie responsabilità nella definizione dei “principi generali” e soprattutto nella precisazione dei “livelli essenziali delle prestazioni” che devono essere assicurati a livello regionale. Il decreto legislativo n. 226 del 2005, elaborato in una fase per così dire primordiale nella costruzione del sistema nazionale di istruzione e formazione, presenta pecche, lacune, imprecisioni e difetti: esso alterna roboanti affermazioni di principio a deboli prescrizioni di dettaglio. La riscrittura di questo decreto legislativo appare pertanto necessario, non solo perché in alcuni aspetti esso appare superato dalle scelte compiute dalla legislazione successiva (senza che tuttavia si sia proceduto al necessario coordinamento delle rispettive normative), ma anche perché in mancanza di una definizione consistentemente prescrittiva dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire a livello regionale, non sarà possibile ottenere una governance sufficientemente unitaria del sistema della IeFP sull’intero territorio nazionale. Quella che appariva una scommessa nel 2005 - cioè la nascita di un sistema di IeFP che potesse affiancarsi alla scuola in posizione di parità nell’offerta formativa - ormai è una realtà sostenuta da numeri alquanto consistenti che esprimono, anzi, una tendenza sempre più favorevole. Tuttavia, la gracilità delle scelte istituzionali tuttora presenti al centro dell’ordinamento possono mettere a repentaglio quanto sinora fatto. A ciò occorre dunque porre rimedio. Ancora, appare necessario intervenire anche a valle della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire nelle singole Regioni, attivando un meccanismo corretto e affidabile di valutazione a livello centrale di quanto concretizzato in sede regionale. A tal proposito, l’art. 15, comma 4, del d.lgs. n. 226 del 2005 prevede un apposito regolamento ministeriale per definire le modalità di accertamento dei livelli essenziali delle prestazioni da parte delle Regioni, regolamento da adottare ai sensi dell’art. 7, comma 1, lett. c della Legge n. 53 del 2003, regolamento per il quale tuttavia è necessaria l’intesa tra Stato e Regioni ai sensi del successivo comma 2. Dobbiamo però chiederci se davvero sia necessaria tale intesa, dato che la Costituzione, come abbiamo visto, rimette allo Stato la competenza sui livelli essenziali delle prestazioni. Tale regolamento, come noto, non è stato adottato. La difficoltà di trovare l’intesa con le Regioni ha determinato nei fatti l’impossibilità di 62 adottare il regolamento, e conseguentemente non sono state stabilite quelle modalità oggettive, certe e neutrali per verificare il rispetto dei livelli essenziali. Dunque, se non si è riusciti a trovare l’intesa dopo tanto tempo, a nostro avviso nulla impedisce di modificare la legge del 2003, sopprimendo la necessità dell’intesa tra Stato e Regioni, che, come detto, non è costituzionalmente necessaria. In tal modo si potrebbe anche avviare il superamento di quei criteri per molti aspetti imprecisi ed imprecisati che tuttora presiedono alle variegate modalità regionali di accreditamento delle istituzioni formative. Attualmente tali criteri discendono da un decreto interministeriale del 29 novembre 2007, al quale è seguita l’intesa in sede di Conferenza tra Stato e Regioni del 20 marzo del 2008, intesa che è base di riferimento per le molteplici - e va aggiunto - più diverse normative regionali di attuazione. L’incertezza della normativa statale collocata alla base di questo fondamentale aspetto del regime della IeFP - normativa statale che, per di più, è collocata al livello normativo delle fonti secondarie, in palese violazione dell’art. 117, comma 2, lett. m) che rimette tale compito alla legge dello Stato - ha prodotto e produce notevole discrezionalità, se non addirittura consistente arbitrarietà, ai singoli modelli di accreditamento approntati a livello regionale, accrescendo così l’incertezza nell’approntamento dei percorsi di IeFP e differenziando ingiustificatamente non solo le condizioni di accesso delle istituzioni formative nelle diverse realtà regionali, ma anche e conseguentemente il livello essenziale delle prestazioni che è concretamente assicurato a secondo dalla disciplina effettivamente prescelta dalle Regioni. In secondo luogo, va rilevato che le regole che disciplinano a livello centrale - e dunque con funzione sostanzialmente unificante rispetto ai singoli sistemi regionali - la materia della IeFP, appaiono per alcuni aspetti insufficienti, per altri aspetti sovrabbondanti e contraddittorie. Per di più, esse sono in gran parte - e più o meno propriamente - distribuite in numerosi atti che sono scaturiti da accordi o intese o pareri formulati in sede di Conferenza Stato-Regione o in sede di Conferenza Unificata; tali atti, inoltre, frequentemente sono stati formulati con modalità più “descrittive” che “prescrittive”, e con formule aperte a molteplici modalità interpretative ed applicative, risultando così pericolosamente ambigui e forieri di eccessiva discrezionalità in sede attuativa. All’interno di questo ginepraio di atti assunti in via per lo più collaborativa tra lo Stato e gli enti territoriali, non è facile districarsi né per gli organi competenti, né per le istituzioni formative, né tanto meno per coloro che intendono usufruire dell’offerta di IeFP. E, come noto, la scarsa conoscibilità delle regole, anche quando soltanto derivante dal loro frazionamento tra una pluralità di testi non opportunamente coordinati, è causa di inefficienza per l’apparato amministrativo destinato ad applicare una normativa “oscura” e sin troppo malleabile. A tal proposito, anzi, può ricordarsi che la Corte costituzionale ha recentemente sanzionato una legge mal scritta, proprio perché lesiva del principio costituzionale del buon andamento delle pubbliche amministrazioni sancito nell’art. 97 Cost. (cfr. sent. n. 70 del 2013). Appare allora indispensabile che, mediante un’apposita autorizzazione o delega legislativa, il Parlamento conferisca al Governo il compito di riunire in un apposito testo unico le discipline che a vario titolo concernono la IeFP a livello centrale, e 63 dunque, a partire dalle norme legislative, andrebbero raccolte, sistematizzate e coordinate le numerose norme, regole, principi che sinora sono state adottate in materia di IeFP negli atti sinora approvati in via collaborativa nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni e in quella Unificata; tra l’altro, come noto, tali atti non sono di facile reperibilità e non sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale. L’autorizzazione non dovrebbe poi limitarsi al solo coordinamento formale, ma dovrebbe consentire, tra l’altro, anche il riordino delle regole che si sono succedute nel tempo, l’eliminazione di quelle ormai superate e obsolete, e la corretta precisazione in termini prescrittivi dei principi di comportamento sinora delineati in via per lo più discorsiva. L’effetto giuridico sarebbe quello della legificazione di regole che sinora sono state collocate in una pluralità di atti che, pur non costituendo fonti del diritto, hanno avuto la capacità di orientare cogentemente l’azione legislativa delle Regioni. Si perderebbe certamente qualcosa in termini di flessibilità, ma si guadagnerebbe molto su quello della chiarezza e dell’univocità delle regole. Il testo unico della IeFP sarebbe, insomma, un passo indispensabile per conferire quell’unitarietà della regolazione che appare necessaria conseguire per consentire una migliore e più efficiente governance a livello regionale. Conseguentemente, anche le disarmonie e le contraddizioni presenti in vario modo a livello regionale sarebbero più facilmente individuabili e conseguentemente potrebbe essere più agevolmente corrette dallo stesso legislatore regionale. Infine, deve notarsi che la condizione di inesistenza della IeFP in alcune Regioni, in ragione di volontà politiche contrarie alla predisposizione di un’offerta educativa alternativa alla scuola e congiunta all’istruzione professionalizzante, appare ormai una distorsione non più sopportabile rispetto alla tutela dell’unità giuridica che la Costituzione garantisce, e nello stesso tempo una lesione gravissima di diritti costituzionalmente rilevanti e che vanno assicurati su tutto il territorio nazionale. L’attivazione dell’art. 120, secondo comma, Cost. e conseguentemente delle procedure prevista dalla legge di attuazione (cfr. art. 8 della legge n. 131 del 2003), rientra nelle competenze e nelle responsabilità proprie del Governo, tanto più se si tratta anche di assicurare nell’ambito della IeFP la coerente ed efficiente allocazione di quelle risorse finanziarie che provengono dallo Stato proprio a tale scopo. Va aggiunto che l’art. 8, comma 1, legge n. 131 del 2003, prevede anche la possibilità di esercitare il potere sostitutivo nei confronti degli atti normativi delle Regioni e degli enti locali. Il potere in questione non dovrebbe essere considerato un’usurpazione delle competenze regionali, ma una temporanea sostituzione da parte dello Stato al fine di tutelare esigenze costituzionalmente prevalenti. Da ultimo, può ricordarsi che di fronte all’inazione o allo scorretto esercizio legislativo delle competenze regionali, come noto, i cittadini hanno scarse possibilità di reazione, non potendo accedere direttamente alla Corte costituzionale; ma il recente esempio della dichiarazione di illegittimità costituzionale delle leggi elettorali sulla base di una semplice azione di accertamento (cfr. sent. n. 1 del 2014), deve fare riflettere i legislatori regionali. 64 3.5. La valutazione degli apprendimenti e di sistema della IeFP: proposta di una sperimentazione per completare la riforma della IeFP “VALEF” SPERIMENTAZIONE DI UN SISTEMA DI AUTOVAZIONE PER L’ISTRUZIONE E FORMAZIONE PROFESSIONALE (IeFP) DOCUMENTO BASE PREMESSA Negli anni Duemila gli Enti di Formazione Professionale, in dialogo con gli organismi di governo nazionale e territoriale, hanno dato il loro contributo per progettare e sperimentare i percorsi di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) di durata triennale e quadriennale. Questo sforzo è stato accompagnato da azioni di monitoraggio per verificarne la coerenza rispetto agli obiettivi prefissati. Gli Accordi interistituzionali che hanno accompagnato la sperimentazione hanno permesso di realizzare un percorso formativo dotato di standard formativi relativi alle competenze di base e alle competenze tecnico-professionali comuni e specifiche, organizzato per aree professionali, con titoli di qualifica e diploma professionale collocati nel 3 e 4 livello europeo (EQF). Resta da affrontare in maniera sistematica il problema della valutazione degli apprendimenti e di sistema. L’Istituto Invalsi ha già sperimentato, in qualche regione, un modello di valutazione degli apprendimenti. Il presente progetto ha l’obiettivo di avviare una sperimentazione che per realizzare un modello di valutazione che tiene conto del Regolamento del Sistema Nazionale di Valutazione e delle peculiarità che sono proprie del (sotto)sistema di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP). IL CONTESTO Con il Regolamento del Sistema Nazionale di Valutazione (DPR 80 del 28 marzo 2013) in materia di Istruzione e Formazione, il nostro Paese risponde agli impegni assunti nel 2011 dall’Italia con l’Unione europea, in vista della programmazione dei fondi strutturali 2014/2020. Nel comma 4 dell’art. 2 si afferma che le priorità strategiche e le modalità di valutazione del sistema di IeFP ai sensi dell’articolo 6 del previsto dal Capo III del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, sono definite secondo i principi dello stesso regolamento dal Ministro con linee guida adottate d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 9 del Decreto Legislativo 28 agosto 1997, n. 281, previo concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali. La presente proposta mira a colmare questo vuoto, con un intervento coerente con la natura del compito delle istituzioni formative. 65 OGGETTO ED AZIONI È in questa prospettiva che si pone la presente proposta: tramite essa, intendiamo realizzare una sperimentazione fondata dal punto di vista scientifico e metodologico e coinvolgente un numero contenuto di organismi formativi diffusi su tutto il territorio nazionale, al fine di elaborare ed implementare un modello di qualità dell’istituzione formativa (in prevalenza costituita da Centri di formazione professionale) nel prossimo triennio, sulla base di un modello specifico per la Formazione Professionale e coerente con il modello VALeS, al termine del quale sia possibile fornire alla Conferenza unificata una linea guida validata dall’esperienza. La sperimentazione, che vedrà il concorso degli Enti di Formazione Professionale aderenti a Forma, del Centro Studi Scuola Cattolica (CSSC) e delle Regioni in cui sono collocati gli organismi formativi coinvolti, si concentrerà su tre azioni previste dal Regolamento: 1) La produzione annuale dei documenti “Il CFP in chiaro”; 2) L’autovalutazione dei CFP; 3) La pubblicizzazione dei risultati raggiunti e l’elaborazione della Linea guida per la qualità dell’IeFP. IL MODELLO DI QUALITÀ DELLA FORMAZIONE Il modello di qualità che si intende adottare sarà delineato in mondo coerente con la natura dell’azione educativa e formativa svolta dai Centri di Formazione Professionale (CFP). Tale azione risulta caratterizzata dalla capacità di replica ad alcune sfide che si pongono, sapendo valorizzare positivamente le forze vitali presenti. Le sfide sono costituite dall’utenza e dalle sue caratteristiche prevalenti (bassi livelli di istruzione, notevole varietà etnica, sociale e culturale), dalle richieste dei contesti socio-economici di riferimento, dalla varietà e mutevolezza delle politiche formative locali, dall’ambivalenza del ruolo delle istituzioni scolastiche. Per replicare a tali sfide, la Formazione Professionale fa leva sulle seguenti forze vitali: l’elemento fondativo (o carisma), la comunità educativa e professionale, i legami con il territorio, la metodologia, il lavoro di rete. Tale contesto non si presta ad essere adeguatamente compreso a partire dal modello prevalente di analisi della qualità, un approccio che possiamo definire “meccanico” poiché basato esclusivamente sul binomio input-output; viceversa, occorre un approccio più appropriato, che possiamo definire “vitale”, centrato sui processi di attivazione tramite i quali l’organismo è in grado di replicare alle sfide ed a cogliere le opportunità formative che gli si presentano. Si tratta di comprendere in che modo i CFP si dispongo nel replicare alle sfide che sono chiamati a fronteggiare, e come perseguono di conseguenza i seguenti fattori della qualità della formazione: 1. Grado di attrazione e tenuta degli allievi; 2. Metodologia didattica laboratoriale, valutazione autentica, capolavori e concorsi; 3. Successo formativo interno (apprendimenti); 66 4. Efficacia sociale (occupazione); 5. Continuità formativa. IL METODO SPERIMENTALE In coerenza con il modello della qualità indicato, nel progetto sperimentale si intende adottare la seguente metodologia: 1) Costituzione di un Nucleo tecnico di rilevazione a livello sia nazionale sia regionale che, sulla base dei sistemi informativi esistenti, quelli già utilizzati per la redazione dei rapporti di qualità a cura del Centro studi scuola cattolica, sia in grado di fornire dei report denominati “Il CFP in chiaro” tramite i quali fornire elementi sintetici di analisi e verifica del servizio erogato dalle sedi formative sperimentali sulla base dei dati relativi agli utenti (ciclo di vita dall’iscrizione fino alla continuità formativa), agli apprendimenti (Invalsi o sistemi regionali di rilevazione), oltre a ulteriori elementi significativi integrati dalla stessa scuola. 2) Elaborazione da parte dei CFP coinvolti, sulla base di un formato inviato dal Nucleo tecnico, di un Rapporto di autovalutazione in formato elettronico, secondo un quadro di riferimento risultante dall’adattamento al caso dei CFP del modello Invalsi elaborato per le scuole, e formulazione di un Piano di miglioramento. 3) Monitoraggio del processo di autovalutazione da parte del Nucleo tecnico, articolato in tre azioni: a. analisi progressiva dei Rapporti di autovalutazione e comparazione dei punti di forza/punti di miglioramento indicati con i dati dell’anno successivo per rilevare permanenze e scostamenti da includere nel report successivo “Il CFP in chiaro”; b. visite ordinarie da parte del Nucleo tecnico presso le sedi formative per raccogliere i segnali vivi della realtà indagata; c. interventi consulenziali e formativi ad hoc nelle realtà che segnalano criticità accentuate e problematiche gestionali e metodologiche, al fine di qualificare i piani di miglioramento elaborati. 4) Rendicontazione sociale da parte delle istituzioni formative tramite pubblicazione e diffusione dei risultati raggiunti, in base ad indicatori e linguaggi chiari e comparabili, al fine di garantire trasparenza, condivisione e promozione della comunità educativa e formativa attivata. 5) Elaborazione di una Linea guida per l’autovalutazione del sistema di Istruzione e formazione professionale, a seguito del triennio sperimentale, così da giungere ad una proposta validata dall’esperienza. ORGANIZZAZIONE E RISORSE La sperimentazione sarà gestita tramite due organismi: 67 1) Il Gruppo guida nazionale, composto da esponenti ed esperti degli Enti di Formazione Professionale interessati, dai rappresentanti dei Ministeri (MIUR e MLPS), delle Regioni e dagli esperti indicati dall’Invalsi. 2) Il Nucleo tecnico di rilevazione con il compito di elaborare il report “Cfp in chiaro”, di realizzare il monitoraggio compresa la consulenza e formazione, di fornire al Gruppo guida gli elementi metodologici per la validazione della proposta di Linea guida. La proposta è estesa a tutti gli Enti di Formazione Professionale che vogliano farne parte con preferenza - per omogeneità statistica - per coloro che fanno parte della compagine interessata alla legge 40; l’adesione è sancita sulla base della condivisione dell’impostazione e del quadro degli impegni previsti per l’intero triennio formativo 2014-2017. Si prevede che la compagine sperimentale possa essere definita da 10 / 15 Centri di Formazione Professionale distribuiti su tutto il territorio nazionale. Si precisa che i costi dell’iniziativa sono totalmente coperti dagli stessi Enti di Formazione Professionale promotori ed aderenti, avvalendosi anche degli eventuali contributi previsti dalle Regioni e da Invalsi. 69 4. ALCUNE PROPOSTE PER POTENZIARE L’OFFERTA DELLA IEFP Si riportano solo alcune proposte che possono, nel medio termine, fare opera di “manutenzione” e “aggiornamento” del (sotto)sistema di IeFP. 4.1. Adottare il Regolamento previsto dal D.Lgs. 226/05 per il rispetto dei LEP Il (sotto)sistema di IeFP, di competenza regionale, ha nel rispetto dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) definiti dallo Stato, la sua dimensione di “sistema nazionale”. I LEP sono stati definiti dal Capo III del D. Lgs. 226/05 e sono: Art. 15: Livelli essenziali delle prestazioni Art. 16: livelli essenziali dell’offerta formativa Art. 17: livelli essenziali dell’orario minimo annuale e dell’articolazione dei percorsi formativi Art. 18: livelli essenziali dei percorsi Art. 19: livelli essenziali dei requisiti dei docenti Art. 20: livelli essenziali della valutazione e certificazione delle competenze Art. 21: livelli essenziali delle strutture e dei relativi servizi Art. 22: valutazione Il D. Lgs. 226/05 rimanda ad uno specifico Regolamento governativo per definire le modalità di accertamento del rispetto dei LEP Si riporta, per comodità, l’art. 15. Art. 15. Livelli essenziali delle prestazioni 1. L’iscrizione e la frequenza ai percorsi di istruzione e formazione professionale rispondenti ai livelli essenziali definiti dal presente Capo e garantiti dallo Stato, anche in relazione alle indicazioni dell’Unione europea, rappresentano assolvimento del diritto-dovere all’istruzione e formazione, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 76, e dal profilo educativo, culturale e professionale di cui all’allegato A. 2. Nell’esercizio delle loro competenze legislative esclusive in materia di istruzione e formazione professionale e nella organizzazione del relativo servizio le Regioni assicurano i livelli essenziali delle prestazioni definiti dal presente Capo. 3. I livelli essenziali di cui al presente Capo costituiscono requisiti per l’accreditamento delle istituzioni che realizzano i percorsi di cui al comma 1 da parte delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano e, relativamente alle istituzioni formative, anche per l’attribuzione dell’autonomia di cui all’articolo 1, comma 4. 4. Le modalità di accertamento del rispetto dei livelli essenziali di cui al presente Capo sono definite con il regolamento previsto dall’articolo 7, comma 1, lettera c), della legge 28 marzo 2003, n. 53. 70 5. I titoli e le qualifiche rilasciati a conclusione dei percorsi di istruzione e formazione professionale di durata almeno quadriennale rispondenti ai requisiti di cui al comma 2 costituiscono titolo per l’accesso all’istruzione e formazione tecnica superiore, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 69 della legge 17 maggio 1999, n. 144, fermo restando il loro valore a tutti gli altri effetti previsti dall’ordinamento giuridico. 6. I titoli e le qualifiche conseguiti al termine dei percorsi del sistema di istruzione e formazione professionale di durata almeno quadriennale consentono di sostenere l’esame di Stato, utile anche ai fini degli accessi all’università e all’alta formazione artistica, musicale e coreutica, previa frequenza di apposito corso annuale, realizzato d’intesa con le università e con l’alta formazione artistica, musicale e coreutica, e ferma restando la possibilità di sostenere, come privatista, l’esame di Stato secondo quanto previsto dalle disposizioni vigenti in materia. 7. Le qualifiche professionali conseguite attraverso l’apprendistato di cui all’articolo 48 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 costituiscono crediti formativi per il proseguimento nei percorsi di cui al Capo II e al presente Capo, secondo le modalità di riconoscimento indicate dall’art. 51, comma 2, del citato decreto legislativo n. 276 del 2003.  Proposta a. L’adozione di questo Regolamento potrebbe concorrere a rafforzare la dimensione di “sistema nazionale” al (sotto)sistema di IeFP, oggi molto frantumato dalle singole politiche regionali. 4.2. “Diritto-dovere all’istruzione e formazione” e “Obbligo di istruzione” Alla luce della normativa e della sua attuazione (monitoraggi recenti attuati dal MLPS attraverso ISFOL) un giovane assolve al diritto-dovere all’istruzione e formazione e all’obbligo di istruzione frequentando: − un corso di formazione di durata triennale − un corso di formazione di durata quadriennale − un percorso formativo all’interno dell’istituto dell’apprendistato. Alla luce dei monitoraggi vigenti si può affermare che: − l’offerta formativa per conseguire la qualifica professionale è garantita in tutte le Regioni attraverso ο o un “sistema plurale” ove c’è l’apporto delle Istituzioni Formative (IF) e, in via sussidiaria degli Istituti Professionali di Stato (IPS) accreditati (soprattutto nelle Regioni del Centro Nord); ο o attraverso l’apporto dei soli IPS accreditati (soprattutto nelle Regioni del Centro Sud ad eccezione del Lazio e della Sicilia); − L’offerta formativa per conseguire il diploma professionale è ancora molto limitata e circoscritta. È attivo infatti nelle sole Regioni del Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Piemonte, Sicilia, Province autonoma di Trento e Bolzano. In Emilia Romagna e Veneto è annunciato. 71 − L’offerta formativa per conseguire la qualifica o il diploma professionale attraverso l’istituto dell’Apprendistato. Questa offerta è, praticamente, ancora ai nastri di partenza.  Proposte: a. Vista la carenza delle istituzioni formative accreditate in molte Regioni, soprattutto del Sud e vista la debolezza strutturale del Mezzogiorno che poggia esclusivamente sull’offerta formativa erogata dagli IPS accreditati afflitti da una grande dispersione scolastica, avviare, attraverso una sperimentazione nazionale, l’attivazione di iniziative pilota sostenuta da Istituzioni Formative in aree del Mezzogiorno individuate come particolarmente critiche per la dispersione scolastica e il degrado sociale. b. Potenziare gradualmente il IV anno su tutto il territorio nazionale; ciò consentirebbe di allargare di alcune migliaia il bacino di utenza dei percorsi di IeFP e permetterebbe di rispondere ad una domanda diffusa di formazione da parte delle imprese57. Dare, inoltre, al titolo del IV anno una sua definizione giuridica coerente con la normativa vigente. c. Ripensare profondamente l’istituto dell’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale che, benché profondamente riformato, non è decollato. Una sinergia effettiva e messa a sistema tra imprese e CFP permetterebbe una sburocratizzazione nella direzione di un contratto formativo e potrebbe dare vita ad una ulteriore opportunità formativa. d. Riorganizzare la filiera della IeFP nell’ottica di un percorso autonomo. Ciò comporterebbe una stabilizzazione dell’offerta dei percorsi di IFTS e l’accesso diretto ai percorsi ITS dopo la conclusione positiva di questi ultimi. 4.3. Riorganizzare il ruolo dei soggetti del (sotto)sistema di IeFP Oggi agiscono due soggetti nel (sotto)sistema di IeFP: − in “via ordinaria” le istituzioni formative accreditate (storicamente i Centri di Formazione Professionale, detti anche CFP) che organizzano percorsi formativi di durata triennale o quadriennale e percorsi formativi nell’istituto dell’Apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale; − in “via sussidiaria” (cioè dove le istituzioni formative accreditate non sono attive) gli Istituti Professionali di Stato accreditati dalle Regioni. I Rapporti ISFOL hanno messo in evidenza come l’attuale Istituto Professionale di Stato non si sia rivelato del tutto adeguato ad erogare percorsi di qualifica professionale. 57 ISFOL, Audizione dell’ISFOL presso la VII Commissione, Scienza e Istruzione della Camera dei Deputati in occasione dell’indagine conoscitiva sulle strategie per contrastare la dispersione scolastica, 10 giugno 2014, 72  Proposte: a. Un rigoroso accreditamento nazionale valevole per tutti i soggetti che operano nell’ambito del diritto-dovere potrebbe colmare questa criticità costringendo anche gli Istituti Professionali a riformarsi evitando l’attuale ambigua situazione. b. Una normativa più puntuale sulla “sussidiarietà” degli Istituti Professionali di Stato potrebbe costringerli ad una definizione più puntuale della loro offerta. Un intervento degli Istituti Professionali di Stato configurato nella “sussidiarietà complementare” faciliterebbe l’orientamento degli allievi e delle famiglie. 4.4. Definizione di un costo standard per i percorsi di IeFP Oggi ogni Regione definisce il finanziamento del percorso formativo con criteri propri. Si assiste, così, alla situazione paradossale che un medesimo percorso formativo che deve avere la durata minima 990 ore annuali sia finanziato: - in Abruzzo: € 75.536,00 - in Emilia Romagna: € 103.000,00 - in Friuli Venezia Giulia: € 91.000,00 circa (gestione affidata ATI) - in Lombardia € 90.000,00 - in Umbria € 79.020,00 e € 51.120,00 per i percorsi dell’obbligo di istruzione  Proposte: a. La definizione di un costo standard nazionale, strettamente connesso ai LEP, potrebbe portare maggiore omogeneità nel finanziamento del (sotto)sistema di IeFP. b. La definizione - progressiva - di un finanziamento nazionale su base capitaria potrebbe essere la soluzione più incisiva per sostenere e stabilizzare il “sistema plurale” (Istituzioni formative e Istituti Professionali di Stato). 73 INDICE SOMMARIO p. 3 1. VISIONE DI INSIEME DEL SISTEMA DI ISTRUZIONE E FORMAZIONE PROFESSIONALE p. 5 1.1. Il sistema di istruzione e formazione vigente p. 5 1.1.1. I principali orientamenti europei in materia di istruzione e formazione p. 5 1.1.2. 2° ciclo: un sistema unitario e articolato in due (sotto)sistemi p. 8 1.1.3. 2° ciclo: visualizzazione grafica del (sotto)sistema p. 9 1.2. La IeFP nel 2° ciclo: elementi essenziali di ordinamento p. 10 1.2.1. Competenze dello Stato e competenze delle Regioni p. 10 1.2.2. IeFP nel «Diritto-dovere all’istruzione e formazione» e nell’«Obbligo di istruzione» p. 11 1.2.3. Offerta scolastica e formativa dopo la scuola secondaria di 1° grado: qualifiche e diplomi professionali vigenti p. 12 1.2.4. Soggetti accreditati ad agire nel (sotto)sistema di IeFP p. 15 1.2.5. Esame di qualifica e diploma professionale a conclusione dei percorsi di IeFP p. 15 1.2.6. Titoli rilasciati dal (sotto)sistema di IeFP. Peculiarità del “Diploma professionale” p.16 1.2.7. Finanziamento vigente per il (sotto)sistema di IeFP p. 17 1.2.8. I percorsi formativi IFTS e ITS dopo quelli della IeFP p. 18 2. IEFP: ASPETTI QUALI-QUANTITATIVI p. 25 2.1. “Iscritti” nel (sotto)sistema di IeFP: una crescita rapida ma non in tutte le Regioni p. 25 2.2. Tre obiettivi messi a segno dal (sotto)sistema di IeFP p. 29 2.3. Un (sotto)sistema che p. 31 2.4. È un esempio di “pluralismo istituzionale” p. 36 3. IEFP: ASPETTI TEMATICI p. 41 3.1. La IeFP da offerta extrascolastica ad offerta ordinamentale p. 41 3.2. Il Diploma di quattro anni esiste già in Italia: il tecnico di Istruzione e Formazione Professionale p. 44 3.2.1. Riprende il dibattito sul diploma di quattro anni p. 44 74 3.2.2. Alcune esperienze significative di percorsi quadriennali p. 46 3.2.3. La sperimentazione di licei quadriennali p. 47 3.2.4. Il diploma quadriennale di Istruzione e Formazione Professionale p. 49 3.2.5. La metodologia p. 50 3.2.6. Il primo diploma europeo in Italia p. 52 3.2.7. Un’offerta formativa da estendere p. 53 3.3. La IeFP tra Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) e norme regionali. Per una nuova governace della IeFP p. 55 3.3.1. Uno sguardo sui principi costituzionali relativi alla IeFP p. 55 3.3.2. Il ruolo “primo” e “ultimo” dello Stato nei confronti della IeFP p. 56 3.3.3. La geopardizzazione della IeFP: un’evidente violazione dei principi costituzionali p. 58 3.3.4. Quali rimedi e quali possibili soluzioni? p. 60 3.4. La valutazione degli apprendimenti e di sistema della IeFP: proposta di una sperimentazione per completare la riforma della IeFP p. 64 4. ALCUNE PROPOSTE PER POTENZIARE L’OFFERTA DELLA IEFP p. 69 4.1. Adottare il Regolamento previsto dal D.Lgs. 226/05 per il rispetto dei LEP p. 69 4.2. “Diritto-dovere all’istruzione e formazione” e “Obbligo di istruzione” p. 70 4.3. Riorganizzare il ruolo dei soggetti del (sotto)sistema di IeFP p. 71 4.4. Definizione di un costo standard per i percorsi di IeFP p. 72

Un modello formativo per l'apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale

Autore: 
Dario Nicoli - Giulia Carfagnini
Categoria pubblicazione: 
Fuori collana
Anno: 
2014
Numero pagine: 
50
Un modello formativo per l’apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale DARIO NICOLI GIULIA CARFAGNINI Ottobre 2014 3 SOMMARIO Parte prima: Impostazione del tema Il contrasto culturale sull’istituto dell’apprendistato in Italia p. 5 Caratteristiche dell’Apprendistato p. 7 L’apprendistato in Italia p. 8 L’apprendistato per il diritto-dovere ed i diplomi p. 9 Parte seconda: La ricerca La regolazione regionale dell’apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale p. 11 Presenza di corsi o progetti attivati sul territorio p. 13 Focus group p. 20 – La Provincia Autonoma di Bolzano p. 20 – La Provincia Autonoma di Trento p. 21 – La Regione Piemonte p. 23 Parte terza: Riflessioni e proposte Riflessioni sulla ricerca p. 31 Una proposta per qualificare la formazione in apprendistato p. 34 Bibliografia e sitografia p. 47 5 Parte prima: Impostazione del tema Il contrasto culturale sull’istituto dell’apprendistato in Italia Com’è noto, l’ordinamento italiano in tema di formazione al lavoro risente di due fonti ispiratrici: dal lato del sistema educativo esso presenta un’impostazione a prevalenza scolastica statale, abbastanza vicina al modello Francese centrato sull’idea della cultura generale fornita a tutti i cittadini, mentre dal lato delle politiche del lavoro esso include l’istituto dell’apprendistato ispirato questa volta al modello Tedesco centrato sulla collaborazione tra scuola ed impresa per una formazione di carattere “duale”. Ma alla prova dei fatti, queste due componenti, che già appaiono contrastanti sul piano della visione generale, non risultano tra di loro compatibili neppure sul profilo della realizzazione pratica; da un lato l’impianto scolasticistico dominante allontana una parte dei giovani dallo studio, quelli che possiedono un’intelligenza pratica e sociale, mentre dall’altro l’istituto dell’apprendistato - specie quello rivolto ai minori - risulta uno strumento difficilmente interessante per le piccole e piccolissime imprese, quelle nelle quali si ritrova la maggioranza degli occupati italiani. Si tratta della difficile conciliazione tra una visione idealistica del sapere e la propensione dei giovani “popolari” per un approccio pratico alla conoscenza, quello in cui l’intelligenza viene attivata dalle mani. Da parte loro, le imprese italiane, specie quelle piccole e piccolissime, in cui è impegnata la grande maggioranza dei lavoratori, appartengono ad un orizzonte culturale pragmatico, quello del “lavoro ben fatto” di lontana origine medioevale, per le quali vale un processo di apprendistato ”di bottega” di lunga durata, in cui il passaggio culturale avviene tramite l’affiancamento ad una figura esperta (il “maestro”) sul lavoro, contrassegnato non da uno sforzo di teorizzazione, bensì dalla definizione di casistiche di sequenze di operazioni connesse ad una “saggezza” di orientamenti per il lavoro pratico. Di conseguenza, pur parlando ambedue di apprendistato, siamo di fronte a due rappresentazioni culturali tendenzialmente incompatibili, e ciò spiega la scarsa rilevanza di quest’istituto specie per i minori di 18 anni, ovvero i ragazzi sottoposti al diritto-dovere di istruzione e formazione. D’altro canto, ogni qualvolta emerge la problematica dell’occupazione giovanile, riprende una campagna di “rilancio dell’apprendistato” sperando che da esso promanino tutte le qualità desiderate. Così, in questi anni di crisi economica si è 6 molto parlato di apprendistato ed i vari governi che si sono succeduti, si sono adoperati per riformare continuamente questo istituto con progetti di riforma, finalizzati a valorizzare le molteplici potenzialità dello strumento per favorire la transizione dei giovani nel mondo del lavoro, per sostenere le imprese e i sistemi produttivi locali nello sviluppo delle competenze disponibili e necessarie, per stimolare il dialogo e la collaborazione fra i sistemi formativi e produttivi. Da ultimo, il Testo Unico sull’Apprendistato, definitivamente approvato a luglio 2011, ha consegnato alle parti sociali ed alla contrattazione collettiva la titolarità nella regolazione ed implementazione di tutta la formazione “tecnico - professionale”. In particolare il Testo Unico cambia l’assetto di competenze e i ruoli degli attori coinvolti nell’attuazione delle tre tipologie individuate (Art. 3 Apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale - Art. 4 Apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere - Art. 5 Apprendistato di alta formazione e di ricerca); chiarisce i target di riferimento, gli obiettivi formativi di ciascuna tipologia contrattuale, nonché i tempi e i modi di definizione degli aspetti di sistema necessari al pieno funzionamento del ripensato istituto (Art. 6 Standard professionali, standard formativi e certificazione delle Competenze). L’attenzione riservata all’apprendistato come strumento di contrasto alla disoccupazione giovanile non è scemata nel 2013, anno nel quale sono state avviate alcune iniziative, a livello comunitario e nazionale, per promuovere la diffusione di questa tipologia di contratto. Il Consiglio dell’Unione europea con la Raccomandazione del 22 aprile 2013 sull’istituzione di una “Garanzia per i giovani” ha invitato gli Stati a garantire ai giovani con meno di 25 anni un’opportunità di formazione o un’offerta di lavoro qualitativamente valida, anche mediante il ricorso all’apprendistato, entro quattro mesi dall’inizio della disoccupazione o dall’uscita dal sistema di istruzione formale. Al fine di conseguire gli obiettivi previsti dalla “Garanzia per i giovani” in Italia, l’articolo 5 del decreto legge n. 76/2013 (convertito con modificazioni in Legge 9 agosto 2013, n. 99) ha istituito una apposita struttura di missione che coinvolge oltre al Ministero del Lavoro e alle sue agenzie tecniche (ISFOL e Italia Lavoro), l’INPS, il Ministero dell’Istruzione, il Ministero dello Sviluppo Economico, il Dipartimento della Gioventù, le Regioni e Province Autonome, le Province e Unioncamere. Per realizzare gli obiettivi previsti dalla “Garanzia per i giovani”, il Governo, in collaborazione con Regioni, Province e altre istituzioni, ha predisposto un Piano nazionale che è stato approvato dalla Commissione europea all’inizio di gennaio 2014. Il Piano include tra le azioni finanziabili l’offerta di contratti di apprendistato. 7 Caratteristiche dell’Apprendistato Un elemento che accomuna tutti i sistemi di apprendistato è il fatto che questi si fondano e si costruiscono sull’identificazione e la definizione delle professioni che possono essere apprese attraverso un percorso di apprendimento. Ovvero a monte dei processi di implementazione del sistema e dell’attivazione dei percorsi individuali si colloca l’individuazione delle figure professionali, delle qualifiche e/o dei titoli professionali rispetto ai quali è possibile attivare un contratto di apprendistato. All’identificazione puntuale delle professioni oggetto di apprendistato segue dunque l’elaborazione di riferimenti professionali e/o formativi, che divengono gli obiettivi verso i quali traguardare i percorsi di crescita professionale degli apprendisti e il canovaccio rispetto al quale strutturare i percorsi di formazione in apprendistato: • progetti formativi, e definire, quindi, contenuti omogenei nel trasferimento di competenze; • piani e programmi d’apprendimento, e contribuire a guidare il processo di definizione delle modalità del trasferimento di competenze; • piani e programmi di monitoraggio dell’apprendimento, e contribuire ad orientare il processo di controllo delle competenze trasferite e apprese; • impianti d’esaminazione intermedi e finali, e contribuire a strutturare le modalità dell’esaminazione intermedia e/o finale delle competenze apprese; • il rilascio/possesso della qualifica professionale, e contribuire all’identificazione delle eventuali competenze parziali. La centralità di tali dispositivi nella “modellatura” dei percorsi di apprendistato è alla base della grande attenzione che agli stessi è riservata nella descrizione dei sistemi nazionali. Si rinvengono tre macro passaggi che costituiscono l’ossatura rispetto alla quale si dispiegano le varie e specifiche modalità di elaborazione proprie di ogni contesto: • l’identificazione del fabbisogno professionale; • l’elaborazione degli standard, ovvero la “stesura” dei riferimenti per la formazione e il trasferimento delle competenze in apprendistato; • la valutazione e validazione dei riferimenti professionali e/o formativi e l’attribuzione della titolarità di “qualifica” al profilo professionale in oggetto. A valle dell’elaborazione degli standard di riferimento per l’apprendistato, è quasi ovunque la componente istituzionale a livello centrale a validare gli elaborati quali profili oggetto di formazione ed apprendimento ed a conferire loro titolarità come qualifiche e/o certificazioni a validità nazionale. Generalmente è il Ministero della formazione e/o dell’educazione (con le specifiche configurazioni nazionali) a conferire ufficialità e validità nazionale agli standard di riferimento professionali. La validazione da parte del Ministero è generalmente un atto formale, che segue all’approvazione dell’elaborato da parte principalmente delle parti sociali. 8 Un elemento generalmente presente nella illustrazione dello standard professionale è l’indicazione delle competenze che la figura professionale in oggetto deve possedere, individuate a partire dalla specificazione dei compiti che essa svolge. L’apprendistato in Italia L’apprendistato italiano è un cantiere aperto da almeno quindici anni, che ha conosciuto un ulteriore momento importante di riforma con l’approvazione del Testo Unico (D. Lgs. 167/2011). In questo percorso di riforma, l’istituto dell’apprendistato riveste un ruolo importante e strategico, soprattutto in termini di potenzialità che esso può esprimere, in particolare per gli apprendisti minori. Infatti, il contratto di apprendistato in diritto-dovere viene indicato come uno strumento innovativo e fondamentale per i giovani che sono usciti precocemente dai percorsi scolastici, che non deve essere inteso solamente come un contratto di lavoro, ma come strumento di unione e transizione tra il sistema formativo ed il mercato del lavoro. In merito alla formazione, viene sottolineata l’importanza della presenza di una offerta formativa più vicina ai fabbisogni individuali e del mercato del lavoro e, di conseguenza, si ribadisce la necessità di individuare sinergie tra il mondo del lavoro e quello della scuola per capire i fabbisogni delle imprese, che dovrebbero essere coinvolte, insieme alle parti sociali, nella progettazione di percorsi formativi efficaci e di qualità. Il nuovo Testo Unico, inoltre, prevede una decisa partecipazione delle parti sociali, attraverso la contrattazione collettiva nazionale, territoriale o aziendale, anche con il coinvolgimento degli enti bilaterali. Si stabilisce inoltre che i titoli di qualifica acquisibili attraverso tale tipologia contrattuale sono quelli individuati e standardizzati per i percorsi triennali dell’istruzione e formazione a tempo pieno, che hanno riconoscimento a livello nazionale; inoltre si determina a 400 ore annue quel monte ore di formazione congruo per l’acquisizione del titolo, che può essere erogato sia all’interno che all’esterno dell’impresa, purché la formazione sia strutturata in osservanza dell’Accordo in Conferenza Stato Regioni del luglio 2011. L’età minima per l’accesso all’apprendistato per il diritto – dovere viene fissata a 15 anni. Si comprende così il nuovo impulso che i decisori hanno inteso dare all’apprendistato in diritto-dovere, sia perché il contratto di apprendistato favorisce l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro e permette il conseguimento di un titolo di studio anche attraverso un’esperienza lavorativa in un contesto lavorativo reale, sia perché è un utile strumento per combattere la dispersione scolastica. 9 L’apprendistato per il diritto-dovere ed i diplomi Si tratta della forma «basilare» di apprendistato espressamente finalizzata al conseguimento di una qualifica professionale. Vale a dire l’unica vera forma di apprendistato, giacché quello “professionalizzante” è in realtà un contratto di ingresso al lavoro, incentivato fiscalmente, ma senza un reale contraccambio formativo. Per tale motivo, l’apprendistato per il diritto dovere di istruzione e formazione per essere attivato richiede un accordo tra lo Stato, rappresentato non solo dal Ministero del Lavoro, ma anche dal Ministero dell’Istruzione, e le Regioni, per la definizione dei contenuti e della durata dell’attività di Formazione Professionale rispondente ai requisiti della riforma Moratti (l. n. 53/2003). Tale tipologia è strettamente correlata alla riforma dell’ordinamento scolastico prevista dalla legge n. 53/2003 e rappresenta un percorso alternativo alla formazione scolastica tale da consentire l’acquisizione di un titolo di studio attraverso l’assolvimento di un obbligo formativo con lo strumento dell’alternanza scuola-lavoro. C’è, quindi, un diretto collegamento tra obbligo formativo del minore e attività lavorativa: in sostanza, si vuole garantire al quindicenne di poter terminare il corso di studio obbligatorio attraverso il sistema dell’alternanza. Da ciò discendeva, secondo la circolare n. 40/2004 (del MdL), una conseguenza destinata a mutare l’attuale sistema: l’apprendistato qualificante sarebbe dovuto essere l’unico contratto di lavoro stipulabile per i minori di diciotto anni che non fossero già in possesso di una qualifica professionale. Ciò significa che un rapporto di lavoro subordinato «normale», non si potrà più stipulare, in quanto il giovane sarà, comunque, tenuto a rispettare il «diritto-dovere» di istruzione e formazione fino al compimento del diciottesimo anno. Tuttavia, le intese necessarie tra Ministero del Lavoro, Ministero dell’Istruzione e le Regioni per la definizione dei contenuti e della durata dell’attività di Formazione Professionale sono state stipulate con molta lentezza e quindi l’apprendistato per il diritto dovere di istruzione e formazione non è stato, in larghissima parte del Paese, utilizzato, tant’è che i giovani al di sotto dei 18 anni sono stati assunti con contratto di apprendistato secondo la disciplina prevista dalla legge n. 196/1997. Hanno fatto eccezione a questo panorama le Regioni Lombardia e Veneto, le prime che hanno stipulato rispettivamente, in data 29 settembre 2010 e in data 22 febbraio 2011, un’intesa con il Ministero del Lavoro e il Ministero dell’Istruzione, per la definizione dei contenuti e della durata dei percorsi formativi in apprendistato per l’espletamento per il diritto dovere di istruzione e formazione. L’accordo della Regione Lombardia ha previsto una fase di sperimentazione quadriennale ed un percorso di 400 ore annue di formazione esterne o interne all’azienda, mentre l’intesa sottoscritta dalla Regione Veneto prevede da parte sua che il monte ore di formazione formale relativo alle competenze di base dovrà essere indicativamente di 400 ore per ciascuna annualità. 10 Occorre ricordare un dato normativo importante: l’istruzione obbligatoria, successivamente al d.lgs. n. 276/2003, è stata rimodulata dall’art. 1, comma 622, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Finanziaria 2007), che ha previsto una durata del periodo di istruzione pari a 10 anni con conseguente innalzamento dell’età di ammissione al lavoro da 15 a 16 anni. L’innalzamento dell’età per l’ammissione al lavoro a 16 anni ha generato alcuni interrogativi, in particolare se tale limite minimo dovesse valere anche in riferimento all’utilizzo di una tipologia contrattuale che costituisce proprio una modalità per “l’espletamento del diritto dovere di istruzione e formazione”. La problematica è stata superata sulla base delle previsioni contenute nella legge n. 183/2010, cd. Collegato lavoro, secondo cui l’ultimo anno dell’obbligo di istruzione (fino a sedici anni) può essere assolto anche nei percorsi di apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione, previa intesa fra le Regioni, il Ministero del Lavoro, il Ministero dell’Istruzione, sentite le parti sociali. Secondo questa tipologia contrattuale, i giovani, tra i 15 e i 18 anni, frequentano dei percorsi in alternanza con il lavoro, che dovrebbero avere la durata di 400 ore annue e attraverso questi percorsi triennali dovrebbero acquisire una qualifica professionale. A tal proposito, come prima descritto, l’intesa sottoscritta dalla Regione Lombardia ha previsto 400 ore annue di formazione interna e/o esterna all’azienda e una durata del contratto, non superiore a tre anni, determinata in riferimento alla qualifica da conseguire. Ma vediamo come tutto ciò si è applicato realmente nell’ambito delle disposizioni regionali relativamente a questa prima tipologia di apprendistato. Questa si è svolta secondo due modalità successive: - l’analisi delle disposizioni normative delle Regioni e delle Province Autonome e dei progetti formativi attivati, indagine effettuata tramite analisi della documentazione e la mobilitazione dei referenti locali CNOS-FAP; - tre focus group presso tre contesti significativi circa il tema oggetto di ricerca: la Provincia Autonoma di Bolzano e di Trento e la Regione Piemonte. 11 Parte seconda: La ricerca La regolazione regionale dell’apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale A distanza di quasi due anni dall’entrata in vigore dell’art. 3 del TUA e dalla sottoscrizione dell’Accordo per la regolamentazione dei profili formativi dell’apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale, pressoché tutte le Regioni, ad eccezione della Valle d’Aosta e del Lazio, hanno disciplinato questa tipologia di apprendistato. Soltanto tre Regioni (Umbria, Campania, Puglia) prevedono il rinvio ad una successiva regolamentazione per la definizione delle specifiche di attuazione ed articolazione della formazione, mentre tutte le altre Amministrazioni hanno regolamentato nel dettaglio la tipologia di apprendistato di cui all’art. 3 del D.Lgs. 167/2011. Nel dettare la regolamentazione dell’apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale, le Regioni definiscono l’articolazione della formazione (interna o esterna all’azienda, strutturata o non strutturata) e la sua durata massima1, la disciplina dei profili formativi, i servizi e gli strumenti da mettere a disposizione dei beneficiari e dei destinatari, ed il sistema di monitoraggio delle attività. Su questi aspetti le Regioni hanno adottato scelte anche molto diverse tra loro, che rendono poco agevole la clusterizzazione e la comparazione fra gruppi omogenei di Regioni. Una prima differenza rilevabile riguarda il monte ore e l’articolazione della formazione. Molte Regioni, infatti, hanno applicato una distinzione tra apprendisti minorenni, che si collocano nella fascia d’età del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione, e apprendisti maggiorenni, a cui viene data la possibilità di abbreviare il percorso formativo e di vedersi riconosciute le competenze acquisite in precedenza. Piemonte, Emilia Romagna, Toscana, Abruzzo, Molise prevedono un monte ore di formazione per i minorenni più ampio di quello stabilito per i maggiori di 18 anni. In Piemonte, ad esempio, il monte ore previsto per i minorenni è di 990 ore annue, tra formazione strutturata e non strutturata, interna e esterna; per i maggiorenni sono 1 L’Accordo per la regolamentazione dei profili formativi dell’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale siglato, il 15 marzo 2012, in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome stabilisce che la durata della formazione, interna o esterna all'azienda, non possa essere inferiore alle 400 ore annue. 12 previste invece 790 ore, articolate come per i minori. In Emilia Romagna la differenza è tra le 1.000 ore di formazione formale annue per il primo gruppo (minorenni) e le 400 ore annue per il secondo (maggiorenni); in Toscana c’è uno scarto di 390 ore tra i due gruppi, infatti i minorenni svolgono 990 ore di formazione annue e i maggiorenni 600 ore annue. In Abruzzo le ore previste sono 700 per i minorenni e 400 per i maggiorenni. Lo schema seguente riporta in sintesi l’articolazione che le Regioni e le Province Autonome hanno previsto per la formazione destinata ai giovani con contratto di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale. L’attività formativa è di solito articolata in formazione strutturata e non strutturata: la prima, generalmente riferita alle competenze di base e professionali comuni, può realizzarsi sia presso il soggetto formativo sia presso l’azienda; la seconda, più legata alle competenze professionali acquisibili on the job, viene usualmente erogata all’interno dell’impresa. Le aziende possono erogare formazione solo nel rispetto dei requisiti previsti a livello regionale. Un secondo aspetto da considerare riguarda i contenuti dei percorsi formativi. Secondo quanto stabilito nell’Accordo del 15 marzo 2012, questi fanno riferimento all’aggregato di competenze definite per gli analoghi percorsi di IeFP, ossia: alle competenze di base riferite alla formazione per gli assi culturali (asse culturale dei linguaggi, asse culturale matematico, asse culturale scientifico-tecnologico e asse culturale storico-sociale); alle competenze professionali comuni riferite alla formazione in materia di sicurezza e igiene, qualità e tecnologie informatiche e alle competenze professionali specifiche per i diversi profili. Le qualifiche ed i diplomi in esito ai percorsi formativi devono, in ogni caso, far riferimento alle figure dei repertori regionali delle qualifiche e dei diplomi, correlate con le figure definite a livello nazionale. Interessante è anche la previsione, all’interno della documentazione regionale sulla regolamentazione dell’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, di strumenti di accompagnamento per supportare le imprese nell’utilizzo di tale forma contrattuale e per sviluppare il sistema regionale di apprendistato. Si fa riferimento ad esempio, alla Lombardia, che ha elaborato una Guida facile all’apprendistato per imprese e giovani, in collaborazione con Assolombarda; lo stesso ha fatto la Regione Piemonte con la Guida per i Giovani e la Guida per le Imprese, in cui attraverso un indice semplice, fatto di FAQ, è possibile informarsi su tutto ciò che è necessario sapere per l’attivazione e la gestione del contratto di apprendistato. Tutte le Regioni hanno previsto un sistema di monitoraggio delle attività. Le modalità di monitoraggio differiscono da Regione a Regione. 13 Presenza di corsi o progetti attivati sul territorio Dopo aver analizzato la presenza della normativa in quasi tutte le Regioni, abbiamo approfondito l’indagine andando ad osservare la presenza di corsi/progetti attivati sul territorio. Si riporta sinteticamente il quadro emerso. REGIONE NORMATIVA ORE/ALLIEVI PREVISTI NOTE FONTE Abruzzo Deliberazione di Giunta Regionale 16/04/2012, n. 235 Si prevedono percor-si per un monte ore non inferiore a 700 ore annue per gli ap-prendisti minorenni; per un monte ore non inferiore a 400 ore annue nel caso di ap-prendisti di età superiore ai 18 anni. Alla Sede Nazionale del CNOS-FAP non risultano corsi attivi. Sito istituzionale della Regione www.fareapprendistato.it www.nuovoapprendistato.gov.it Delegato regionale CNOS-FAP, don Roberto Formenti Benedetto D’Angelo Basilicata DGR n. 485 del 24/04/2012 Delibera di Giunta Regionale 8/08/2012, n.1101 L’intesa stabilisce una durata dei per-corsi formativi allinea-ta all’offerta naziona-le e regionale di IeFP e pari ad almeno 990 ore. Sito istituzionale della Regione www.fareapprendistato.it www.nuovoapprendistato.gov.it Calabria Deliberazione di Giunta Regionale del 18/04/2012 e n. 190 del 26/04/2012, Allegato 1 I percorsi formativi prevedono la fre-quenza di attività di formazione, interna o esterna all’azienda, per un monte ore minimo di 400 ore annue. Alla Sede Nazionale del CNOS-FAP non risultano corsi attivi. Sito istituzionale della Regione www.fareapprendistato.it www.nuovoapprendistato.gov.it Campania Legge regionale n. 20 del 10/07/2012 Il monte ore annuo non può essere infe-riore a 400 ore e può essere ridotto nel caso di riconoscimen-to del possesso di crediti formativi per apprendisti di età superiore a 18 anni. Alla Sede Nazionale del CNOS-FAP non risultano corsi attivi. Sito istituzionale della Regione www.fareapprendistato.it www.nuovoapprendistato.gov.it Delegato regionale CNOS-FAP, don Gianni Vanni Emilia Romagna Deliberazione della Giunta Regionale n. 775 dell’11/06/12 Deliberazione della Giunta Regionale n. 1716 La Regione ha definito che i profili formativi di cui all’art. 3 del D.Lgs. n.167/2011 corri-spondono alle qualifi-che professionali Forte sensibilizzazione e richiesta per il contratto da parte di imprese e famiglie! Ci Sito istituzionale della Regione www.fareapprendistato.it www.nuovoapprendistato.gov.it Don Fabrizio Bonalume AECA, Fabio Belletti; Bruno Timoncini Consorzio Formazione & 14 del 19/11/12 regionali conseguibili nel sistema di IeFP già correlate con le figure nazionali. Si fa riferimento all’Accordo Stato/Regioni del 15/3/2012 che preve-de uno standard di almeno 400 ore di formazione formale all’anno. stanno “provando”, ma ancora nulla di attivo. Lavoro, Stefano Bolognesi Delegato regionale CNOS-FAP, don Gianni Danesi Friuli Venezia Giulia Delibera n. 513 del 29/03/2012 Decreto del Pres. n. 123/Pres. del 5/06/2012 22 figure triennali approvate a livello nazionale e dei rela-tivi 33 profili a livello regionale. La durata complessi-va del percorso for-mativo è pari a 500 ore per gli apprendisti minorenni e soggetti al diritto dovere di istruzione e formazio-ne, di 400 ore per i maggiorenni e per coloro che non sono soggetti al diritto do-vere; tuttavia la dura-ta della formazione strutturata esterna all’azienda non può essere inferiore alle 40 ore annue. Alla Sede Nazionale del CNOS-FAP non risultano corsi attivi. Sito istituzionale della Regione www.fareapprendistato.it www.nuovoapprendistato.gov.it CFP Bearzi di Udine, Cristina Salvador Delegato regionale CNOS-FAP, don Fabrizio Emanuelli Lazio Non regolamentato Delegato regionale CNOS-FAP, don Antonio Petrosino Liguria DGR, 553 del 18/05/2012 Legge Regionale 5/04/2012, n. 13 I percorsi formativi si articolano in: percorsi finalizzati all’acquisizione della qualifica di IeFP, il cui impegno formativo non può essere infe-riore all’anno o supe-riore ai tre anni; per-corsi finalizzati all’acquisizione del diploma professiona-le, da intendersi come il naturale prosegui-mento al IV anno dei Al momento non ci sono corsi attivi, risulta in programma-zione l’assunzione di massimo 50 apprendisti. Sito istituzionale della Regione www.fareapprendistato.it www.nuovoapprendistato.gov.it Delegato Regionale CNOS-FAP, don Fabio Bianchini 15 percorsi triennali di qualifica. Questi per-corsi, di durata an-nuale, sono riservati a giovani in possesso di una qualifica pro-fessionale coerente con la figura di tec-nico, conseguita sia nel sistema di IeFP sia presso Istituti Professionali di Stato. Lombardia Decreto n. 7111 del 3/08/2012 Delibera Giunta regionale 6/06/2012, n. IX/3576 Il monte ore previsto di formazione struttu-rata non deve essere inferiore a 400 ore annue. Sono inoltre previste ore (max 52) da dedicare ad azioni di supporto al per-corso formativo. Per il conseguimento della qualifica di IeFP o del diploma profes-sionale si fa riferi-mento alle figure previste nell’Accordo tra Governo, Regioni e Province Autonome per la regolamenta-zione dei profili formativi dell’apprendistato. Alla Sede Nazionale del CNOS-FAP non risultano corsi attivi. Sito istituzionale della Regione www.fareapprendistato.it www.nuovoapprendistato.gov.it Enaip, Bernasconi Antonio Fondazione Clerici, Cesana Paolo CFP Milano, Arosio Giorgio don Alessandro Ticozzi Delegato Regionale CNOS-FAP, Marche Legge regionale 17/05/2012, n.14 Accordo per la regolamentazione dei profili formativi dell’apprendistato per la qualifica e il diploma professio-nale del 24/09/2012 Sito istituzionale della Regione www.fareapprendistato.it www.nuovoapprendistato.gov.it Molise Deliberazione della Giunta Re-gionale n. 537 dell’8/08/2012 Deliberazione della Giunta Re-gionale n. 644 del 23/10/2012 Sito istituzionale della Regione www.fareapprendistato.it www.nuovoapprendistato.gov.it 16 Piemonte Intesa tra la Regione (Assessorato al lavoro e Forma-zione Professio-nale) e le Parti sociali più rappre-sentative sul terri-torio regionale, 10/04/2012; D.G.R. n. 70-3780 del 27 aprile 2012 di recepimento dell’art. 3 del D.Lgs. n.167/2011; D.D. n. 480 del 30/08/2012 di Approvazione del Bando 2012-2014 per la sperimenta-zione di percorsi formativi in apprendistato per la qualifica profes-sionale di cui all’art. 3 del D. Lgs. n. 167/2011 e dello schema di proposta di candi-datura; D.D. n. 67 del 14 febbraio 2013 di “Parziale modifica alla DD n. 480 del 30/08/2012 di ap-provazione del Bando 2012-2014 relativo alla speri-mentazione di percorsi formativi in apprendistato per la qualifica professionale di cui all’art. 3 del D.Lgs. n. 167/2011.”; D.D. n. 144 del 28/03/2013 di approvazione degli aspetti di Apprendisti in diritto-dovere di istruzione e formazione (15-17 anni) 990 ore annue (500 in modalità strutturata e 490 in modalità non strutturata) di cui: 320 erogate presso il soggetto attuatore; 670 erogate presso l’impresa (di cui 180 ore strutturata e 490 ore non strutturata). Apprendisti che hanno compiuto 18 anni 790 ore annue (400 in modalità strutturata e 390 in modalità non strutturata) di cui: 140 erogate presso il soggetto attuatore; 650 erogate presso l’impresa di cui 260 ore strutturata e 390 ore non strutturata. Con il D.D. n.480 del 30.8.2012 è stato emanato il Bando 2012-2014 per la sperimentazione di percorsi formativi in apprendistato per la qualifica professionale di cui all’art.3 del D.Lgs.n. 167/2011. Risultano una decina di corsi avviati. Sito istituzionale della Regione www.fareapprendistato.it www.nuovoapprendistato.gov.it Forma, Fabrizio Berta Cavaglià Roberto Giraudo Maurizio Delegato regionale CNOS-FAP, don Stefano Colombo Pietro Viotti – Regione Piemonte 17 dettaglio per l’attivazione di percorsi formativi per il diploma pro-fessionale di cui all’art. 3 del D.Lgs. n. 167/2011.; D.G.R. n. 34-5829 del 21/05/2013 di “Parziale modifica alla DGR n. 70-3780 del 27/04/2012 mediante ridefini-zione delle fonti di finanziamento delle attività al fine di dare continuità e stabilizzazione all’offerta formati-va in apprendista-to per la qualifica e per il diploma professionale nel periodo 2015-2017. Puglia La Regione Puglia con la Legge n. 31 del 22/10/2012 ha accolto il disposto dell’art. 3 del D. Lgs. n. 167/2011. Disegno di legge n. 07/2012 del 24 aprile 2012 Sito istituzionale della Regione www.fareapprendistato.it www.nuovoapprendistato.gov.it Delegato regionale CNOS-FAP, don Giovanni Monaco Sardegna Accordo tra la Regione e le Parti sociali coinvolte, 08 febbraio 2013 Alla Sede Nazionale del CNOS-FAP non risultano corsi attivi. Sito istituzionale della Regione www.fareapprendistato.it www.nuovoapprendistato.gov.it Delegato regionale CNOS-FAP, don Simone Indiati Sicilia Accordo tra la Re-gione e le Parti sociali coinvolte e l’ufficio Scolastico in data 15/06/2012 sulla “Regolamentazione dell’apprendistato per la qualifica e per il diploma La Regione recepisce quanto previsto dal D.lgs.167/2011, i profili formativi dell’apprendistato, indicati nell’Accordo approvato in Conferenza Stato-Regioni il 15 marzo 2012 e le aree Alla Sede Nazionale del CNOS-FAP non risultano corsi attivi. Sito istituzionale della Regione www.fareapprendistato.it www.nuovoapprendistato.gov.it Delegato regionale CNOS-FAP, don Luigi Sansone 18 professionale” professionali di riferimento definite dall’Accordo in Conferenza Unificata del 27/07/2011. Toscana Allegato A alla Deliberazione di Giunta Regionale 10/07/2012, n. 609 Deliberazione della Giunta regionale 18/05/2012 Legge regionale 2/05/2012, n. 12 L’attività di formazione è strutturata per un totale di 600 ore annue per il numero degli anni di durata del periodo formativo previsto dal contratto. Formazione strutturata: presso le agenzie formative, 400 ore; presso le imprese, 200 ore. Ulteriore formazione presso l’impresa, 390 ore per ciascuna annualità. Totale ore per ciascuna annualità, 990. Alla Sede Nazionale del CNOS-FAP non risultano corsi attivi. Sito istituzionale della Regione www.fareapprendistato.it www.nuovoapprendistato.gov.it Trentino Alto Adige Provincia Autonoma di Bolzano: Legge provinciale n. 12 del 4/07/2012 Legge provinciale 28/06/2012, n. 138 Allegato 1 approvato dalla Giunta Provinciale il 23/07/2012 Allegato 2 approvato dalla Giunta Provinciale il 23/07/2012 Provincia Autonoma di Trento: Protocollo d’intesa in materia di apprendistato per la qualifica e per il diploma Provincia Autonoma di Bolzano L’attività formativa si articola in: per l’apprendistato triennale 400 ore annue presso la scuola professionale; per l’apprendistato quadriennale 400 ore all’anno nei primi tre anni presso la scuola professionale e ulte-riori 400 ore per il IV anno, articolate in 160 ore presso la scuola professionale e 240 ore di forma-zione extrascolastica. La formazione nelle scuole professionali potrà svolgersi in 2 forme: in un percorso a blocchi da 9 a 11 settimane; in uno, due Provincia Autonoma di Trento: Sono ancora nella fase preparatoria per cui da un lato l’Agenzia inizierà i colloqui con i giovani e le famiglie per identificare coloro che intendono candidarsi a questo percorso lavorativo-scolastico. Nel frattempo le associazioni dei datori di lavoro dovrebbero identificare le I contatti con la Provincia Autonoma di Bolzano li ha curati direttamente il Professor Nicoli. (Peter Litturi) Per la Provincia Autonoma di Trento: Sito istituzionale della Regione www.fareapprendistato.it www.nuovoapprendistato.gov.it Frisanco Mauro Carlini Daniela Pitton Luigi 19 professionale di cui all’art. 3 del D.Lgs. 14/09/2011 n. 167 tra la Provincia Autono-ma di Trento e le parti sociali - 08/02/2013 giorni a settimana. Sono previste 108 figure professionali articolate in 59 figure di operatore (percorsi triennali) e 49 figure di tecnico (percorsi quadriennali). aziende interessate e per quali professioni. Umbria Deliberazione della Giunta Regionale 24/04/2012, n.441 Allegato A Deliberazione della Giunta Regionale 24/04/2012, n.441 Alla Sede Nazionale del CNOS-FAP non risultano corsi attivi. Sito istituzionale della Regione www.fareapprendistato.it www.nuovoapprendistato.gov.it Delegato regionale CNOS-FAP, don Rozmus Tadeusz Veneto Legge Regionale, n. 21, 8/06/2012 Accordo del 23/04/2012 DGR n. 1284 del 03/07/2012 Allegato A e B, DGR n. 1284 del 03/07/2012 Decreto n. 530 del 13/07/2012 Allegato A - B - C - D - E del Decreto n. 530 del 13/07/2012 Delibera Giunta Regionale 7/08/2012, n. 736 Allegato A della Delibera Giunta Regionale 7/08/2012, n. 736 DDR n. 1102 del 13/12/2012 La durata annuale della formazione strutturata è pari a 440 ore: 120 di for-mazione interna e 320 ore di formazione esterna per gli ap-prendisti under 18; 320 di formazione interna e 120 ore di formazione esterna per gli apprendisti over 18. Si prevede l’erogazione della formazione di base e trasversale esterna all’azienda attraverso un sistema articolato in moduli di 40 ore che possono essere combinati in base al titolo di studio posse-duto dall’apprendista fino al raggiungimen-to del monte ore com-plessivo di 120 ore annue. Le figure na-zionali di riferimento per le qualifiche e i diplomi professionali conseguibili sono quelle definite nell’Accordo Stato Re-gioni del 15/03/2012. Risultano assunti 290 apprendisti (dato grezzo in quanto in attesa dell’avvio dell’attività). Sito istituzionale della Regione www.fareapprendistato.it www.nuovoapprendistato.gov.it Segatto Ruggero Delegato regionale CNOS-FAP, don Luigi Enrico Peretti 20 Focus group Dopo aver analizzato la presenza della normativa in quasi tutte le Regioni ed osservato la presenza di corsi/progetti attivati sul territorio, abbiamo approfondito tramite dei focus group le realtà in cui l’apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale è attivo. La Provincia Autonoma di Bolzano Il giorno 03/02/2014 alle ore 13.00, si è svolto il primo incontro di studio della ricerca – azione sull’apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale. Il professor Litturi ha illustrato il modello di apprendistato utilizzato nella Provincia Autonoma di Bolzano, che rispecchia molto il modello tedesco e del quale si riportano alcuni aspetti significativi. Un termine importante è “beruf”, che significa professione da cui “berufung” vocazione – mi sento chiamato. Partendo da questi termini il professore spiega la fondamentale relazione che l’apprendista deve avere con il suo Maestro, definita una relazione vocazionale. La professione deve essere considerata come “centro organizzatore” di tutta la conoscenza. Un altro aspetto rilevante è il concetto di “azione completa/conclusa”, nessuna azione può avvenire se non viene preventivamente creata una rappresentazione mentale, una pre-azione del fare. “La mano non esiste senza il cervello – il cervello non impara senza la mano”. Centrale è il concetto di “memoria di lavoro” – se non si trascrive il processo del lavoro è difficile andare a capire dove si è sbagliato e migliorare, perché non se ne ha memoria. Purtroppo in Italia non c’è mai stato un vero e proprio apprendistato in quanto non è considerato come percorso di crescita e formazione; vi sono alcuni che lo considerano addirittura come “sfruttamento”. È quindi molto difficile dibattere sulla creazione di vari profili e professionalità. L’apprendistato dovrebbe essere considerato come un cantiere in cui si lavora per un costante miglioramento, dove c’è un continuo bisogno di ripensamenti, aggiustamenti, riforme, tutto questo è riportato nel concetto di “flessibilità professionale”. Sono tre i soggetti fondamentali per la riuscita di un buon apprendistato: l’azienda, l’apprendista visto nelle sue relazioni fondamentali (specie la famiglia) ed il sistema scuola. 21 Nella Provincia Autonoma di Bolzano, anche a fronte delle più recenti normative in materia di apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale, non vi sono state grandi differenze rispetto al passato per quanto riguarda gli apprendisti. Nella Provincia ci sono attualmente 130 profili professionali e, sulla base del profilo dell’apprendista, l’azienda costituisce un contratto con lui e questo prevede poi anche la formazione a scuola di circa 36 giorni all’anno per tre anni (per tutti i profili viene scritto il piano formativo aziendale). Rispetto al passato si è alzata l’età media degli apprendisti. La Provincia Autonoma di Trento Si riporta un importante comunicato (Comunicato nr. 2195 del 04/09/2014) della Giunta riguardante le novità introdotte in tema di alternanza scuola-lavoro. Nuova importante tappa nel percorso intrapreso dalla Provincia per far convergere da un lato le attese dei ragazzi e dall’altro quelle del sistema economico trentino. Le novità sono contenute nelle decisioni che ha assunto la Giunta provinciale, su proposta del presidente e assessore all’istruzione e riguardano il campo della Formazione Professionale e in particolare dell’apprendistato: si tratta nello specifico del programma annuale della Formazione Professionale per l’anno scolastico 2014/2015 e dei criteri per l’assegnazione delle risorse agli enti pubblici e paritari per la sua realizzazione. Fra i punti di discontinuità rispetto al passato, i principali sono due: • un forte rafforzamento del rapporto scuola-lavoro con l’avvio di nuovi interventi per accompagnare e supportare gli studenti nella fase di transizione tra l’esperienza formativa e la vita lavorativa, e per sviluppare l’attività di inserimento in azienda da parte delle istituzioni formative; • l’avvio di un sistema formativo duale che assegni alle istituzioni formative un ruolo primario nell’apprendistato di base per la qualifica e il diploma, per studenti compresi nella fascia fra i quindici e i venticinque anni. Il piano dell’offerta formativa per l’anno scolastico 2014/15 riguarda 6.094 studenti. 10.870 le ore di formazione previste, 4.264 ore in più rispetto allo scorso anno e 4 classi in più attivate. Sono attivati 31 quarti anni per il diploma professionale e 4 corsi integrativi (V anno) per il conseguimento dell’esame di Stato, per complessive 3.960 ore. L’apprendistato in Trentino assume quindi a tutti gli effetti la fisionomia di un’offerta formativa “parallela” rispetto a quella tradizionale, che rafforza le partnership tra azienda e mondo della scuola e favorisce un maggiore coinvolgimento delle istituzioni formative nell’orientamento al lavoro. “Si tratta di un modello nuovo di apprendistato rispetto a quello fino ad oggi sperimentato in Trentino: il ragazzo viene accompagnato dalla scuola in azienda, la 22 scuola definisce con l’azienda il piano formativo individualizzato e tiene conto nella programmazione delle attività formative proprie dell’azienda e del suo settore di riferimento. Inoltre, la scuola valuta le competenze in ingresso del ragazzo ed è in grado di garantirgli un percorso che porta all’acquisizione di un titolo spendibile durante tutto l’arco della vita lavorativa”. Fra le novità contenute nelle decisioni assunte oggi dalla Giunta, abbiamo in sintesi: • L’avvio del quinto anno per il conseguimento dell’esame di stato nei settori Produzioni industriali e artigianali, Manutenzione e assistenza tecnica, Servizi per l’enogastronomia e l’ospitalità alberghiera, Servizi commerciali; • La previsione di finanziamenti specifici per l’avvio dei poli formativi in cui realizzare la prossimità fisica della scuola e della Formazione Professionale con imprese e centri di ricerca, ponendo una particolare attenzione, per questo primo anno, ai settori della meccatronica e della comunicazione-design; • L’avvio di un nuovo modello di finanziamento dell’Alta Formazione Professionale che incentiva i risultati ottenuti dai percorsi in termini di rapporti con le imprese, anche non del territorio, internazionalizzazione, attrattività dei percorsi. Questo modello di finanziamento che potrebbe in futuro essere esteso a tutti i percorsi della Formazione Professionale; • Un particolare investimento nella formazione carceraria, nella convinzione che i percorsi in carcere siano uno strumento importante per la riqualificazione anche lavorativa delle persone che stanno affrontando dei periodi di detenzione. In crescita rispetto al passato risulta essere anche l’investimento complessivo: euro 44.885.580,00 (a fronte di un investimento passato di euro 43.910.730,00). Continuano ad essere confermati e rafforzati, fra gli altri, gli interventi nei confronti dei ragazzi con bisogni speciali e in situazione di disagio, nonché nei confronti dei ragazzi stranieri con forti problemi di inserimento linguistico. Così come delineato, il programma della Formazione Professionale rappresenta un primo importante passaggio nella realizzazione degli obiettivi della legislatura. A partire dall’autunno dovranno essere poste in essere tutta una serie di azioni di riqualificazione dell’offerta formativa, facendo sì che essa possa promuovere in maniera ancora più incisiva il futuro professionale dei giovani, sposandosi al contempo con le prospettive di crescita e innovazione del nostro territorio, delineate anche all’interno della strategia di specializzazione intelligente (Smart Specialization) e in stretto raccordo con le filiere formative degli istituti tecnici e dell’università. 23 La Regione Piemonte Tenutosi il 27 febbraio 2014. Durante l’incontro si è svolta una riflessione circa l’esito della prima fase di applicazione della nuova norma sull’apprendistato per il diritto-dovere ed i diplomi, e sulle linee di intervento per la revisione del dispositivo regionale nella stessa materia. I contenuti emergenti sono i seguenti: - Gli Enti di formazione hanno investito notevolmente su questo progetto, cercando di proporre un modello di servizio formativo personalizzato centrato sulle reali necessità delle aziende e degli apprendisti, destrutturando il modello della formazione d’aula. Nonostante ciò vi sono state criticità, la più rilevante delle quali è costituita dal licenziamento di cinque ragazzi che hanno scelto questa soluzione per non dover svolgere la formazione esterna vissuta come un “ritorno a scuola”. - Le imprese hanno mostrato una scarsa propensione a fare uso di questo strumento, trattandosi di un rapporto indeterminato a tempo pieno, un fattore che scoraggia gli imprenditori, anche quelli meglio disposti per motivi culturali (ad esempio Bosch che vedrebbe di buon occhio un tipo di formazione simile a quella del “modello duale” tedesco). Vi è poi il vincolo della multilocalizzazione sul territorio nazionale. Questa situazione, connessa alla mancanza di informazioni adeguate da parte delle imprese, spiega anche il fenomeno dell’“errore di avviamento”, vale a dire l’attivazione di un contratto di apprendistato senza la conoscenza delle reali condizioni e dei vincoli di tale dispositivo. Da qui l’idea di una revisione del modello, al fine di renderlo più flessibile ed offrendo alle imprese elementi di interesse quali la riduzione dei costi, la limitazione degli orari, il supporto degli organismi bilaterali e degli Enti di formazione anche per delegare il carico burocratico, che risulta decisamente gravoso. Questo modello prevede maggiori costi, poiché è più elevato il coinvolgimento dell’impresa. Ciò che sta emergendo individua nell’apprendistato un modello formativo di tipo nuovo, dall’elevato valore metodologico, un prototipo che può rinnovare le pratiche didattiche sulla base di un legame molto stretto tra impresa ed Ente di formazione. Si tratta di un intervento rivolto a giovani che non desiderano svolgere un’attività formativa strutturata, e che mostrano sia demotivazione sia difficoltà di apprendimento. È una sfida che riguarda il “vero” apprendistato, quello di primo livello, poiché l’apprendistato professionalizzante non presenta quel carattere di “causa mista” che qualifica questo istituto, trattandosi in realtà di un dispositivo di ingresso al lavoro il cui interesse è legato a motivi fiscali e poco gravoso per la formazione esterna. È quindi necessario un approfondimento seminariale, che la Regione Piemonte intende organizzare nel breve tempo, chiedendo anche l’apporto del CNOS-FAP circa la ricerca nazionale in via di completamento. Tale seminario avrà il compito di approfondire la conoscenza di ciò che sta accadendo, in particolare 24 l’approccio formativo degli enti i quali mostrano che il sistema si è messo in gioco, e richiede di essere valorizzato, delineando un quadro di riferimento più consono a una formazione che – tenendo conto del contesto economico basato sulle medio-piccole e piccolissime imprese – assume un profilo “implicito” o “latente”. Si delinea un nuovo paradigma formativo con proprie caratteristiche e propri requisiti di qualità, che può essere assimilato al “modello duale” specie nella versione del Canton Ticino. Nella Regione Piemonte, l’Apprendistato per il conseguimento della qualifica e del diploma professionale è stato disciplinato ai sensi: - dell’Intesa tra la Regione Piemonte (Assessorato al lavoro e Formazione Professionale) e le Parti sociali più rappresentative sul territorio regionale, sottoscritta in data 10 aprile 2012; - della D.G.R. n. 70-3780 del 27 aprile 2012 di recepimento dell’art. 3 del D.Lgs. n.167/2011; - della D.D. n., n. 480 del 30 agosto 2012 di Approvazione del Bando 2012-2014 per la sperimentazione di percorsi formativi in apprendistato per la qualifica professionale di cui all’art. 3 del D. Lgs. n. 167/2011 e dello schema di proposta di candidatura; - della D.D. n. 67 del 14 febbraio 2013 di “Parziale modifica alla DD n. 480 del 30/08/2012 di approvazione del Bando 2012-2014 relativo alla sperimentazione di percorsi formativi in apprendistato per la qualifica professionale di cui all’art. 3 del D.Lgs. n. 167/2011.”; - della D.D. n. 144 del 28 marzo 2013 di approvazione degli aspetti di dettaglio per l’attivazione di percorsi formativi per il diploma professionale di cui all’art. 3 del D.Lgs. n. 167/2011.; - della D.G.R. n. 34-5829 del 21 maggio 2013 di “Parziale modifica alla DGR n. 70-3780 del 27/04/2012 mediante ridefinizione delle fonti di finanziamento delle attività al fine di dare continuità e stabilizzazione all’offerta formativa in apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale nel periodo 2015-2017. Per consultare e scaricare la normativa sopra citata è possibile visitare la sezione Apprendistato del Sito istituzionale alla pagina: http://www.regione.piemonte.it/formazione/apprendistato/apprendistato1imprese.htm L’offerta formativa pubblica è individuabile in 4 aree territoriali. Ogni area raggruppa più bacini territoriali nei quali sono individuati più Centri per l’impiego (CPI) così come rappresentati nella tabella sottostante. 25 Tabella 1 - AREE TERRITORIALI Con D.D. 8 ottobre 2012, n. 571 sono stati individuati gli operatori aventi titolo all’erogazione della formazione (D.D. n. 480 del 30 agosto 2012 e D.D. n. 144 del 28 marzo 2013). La formazione viene erogata dal Soggetto Attuatore individuato nell’area territoriale in cui è localizzata l’impresa. Nella fattispecie: Area Capofila ATS Telefono Fax e-mail 1. Nord: Enaip 011-2179800 011-2179899 apprendistato@enaip.piemonte.it 2. Sud-Est: Casa di Carità arti e mestieri 011-2212610 011-2212600 segreteria.presidenza@casadicarita.org 3. Sud-Ovest: CNOS-FAP 011-5224407 011-5224696 piemonte@cnosfap.net 4. TO: Immaginazione e lavoro 011-5620017 011-5623033 formazione@immaginazioneelavoro.it Si riporta di seguito l’elenco dei progetti approvati e finanziati. (Al momento sono stati presentati solamente progetti formativi per il conseguimento della qualifica professionale). 26 A.T.S. 1 - Enaip Progetto: 1 approvato con D.D. n. 230 del 21 maggio 2013 Corsi Numero allievi Ore di formazione* interne esterne OPERATORE EDILE 1 670 320 OPERATORE IMPIANTI TERMO-IDRAULICI 1 670 320 OPERATORE ALLA RIPARAZIONE DEI VEICOLI A MOTORE - RIPARAZIONE PARTI E SISTEMI MECCANICI E ELETTROMECCANICI DEL VEICOLO A MOTORE 1 670 320 OPERATORE AI SERVIZI DI VENDITA 2 670 320 *Si specifica che le ore di formazione previste per i percorsi formativi variano in base all’età degli apprendisti  Soggetti in diritto-dovere di istruzione e formazione (15-17 anni) Durata annua del percorso: 990 ore (500 in modalità strutturata e 490 in modalità non strutturata) di cui: - 320 erogate presso il soggetto attuatore; - 670 erogate presso l’impresa.  Soggetti che hanno compiuto 18 anni Durata annua del percorso: 790 ore (400 in modalità strutturata e 390 in modalità non strutturata) di cui: - 140 erogate presso il soggetto attuatore; - 650 erogate presso l’impresa. Progetto: 2 approvato con D.D. n. 273 del 12 giugno 2013 Corsi Numero allievi Ore di formazione interne esterne OPERATORE MECCANICO - MONTAGGIO E MANUTENZIONE 1 670 320 OPERATORE GRAFICO - STAMPA E ALLESTIMENTO 1 670 320 OPERATORE ELETTRONICO 1 670 320 OPERATORE DEL BENESSERE - ACCONCIATURA 1 670 320 Progetto: 3 approvato con D.D. n. 273 del 12 giugno 2013 Corsi Numero allievi Ore di formazione interne esterne OPERATORE DEL BENESSERE - ACCONCIATURA 1 670 320 Progetto: 4 approvato con D.D. n. 401 del 30 luglio 2013 Corsi Numero allievi Ore di formazione interne esterne OPERATORE MECCANICO - COSTRUZIONI SU MU 1 670 320 OPERATORE MECCANICO - SALDOCARPENTERIA 1 670 320 OPERATORE ALLA RIPARAZIONE DEI VEICOLI A MOTORE - RIPARAZIONE PARTI E SISTEMI MECCANICI E ELETTROMECCANICI DEL VEICOLO A MOTORE 1 670 320 27 Progetto: 5 approvato con D.D. n. 401 del 30 luglio 2013 Corsi Numero allievi Ore di formazione interne esterne OPERATORE MECCANICO - SALDOCARPENTERIA 1 670 320 OPERATORE EDILE 1 670 320 Progetto: 6 approvato con D.D. n. 825 del 20 dicembre 2013 Corsi Numero allievi Ore di formazione interne esterne OPERATORE DELLA RISTORAZIONE - PREPARAZIONE PASTI 2 670 320 OPERATORE AI SERVIZI DI VENDITA 1 670 320 OPERATORE ALLA RIPARAZIONE DEI VEICOLI A MOTORE - RIPARAZIONE PARTI E SISTEMI MECCANICI E ELETTROMECCANICI DEL VEICOLO A MOTORE 1 670 320 OPERATORE ELETTRICO 1 670 320 A.T.S. 2 – Casa di Carità Arti e mestieri Progetto: 1 approvato con D.D. n. 273 del 12 giugno 2013 Corsi Numero allievi Ore di formazione interne esterne OPRATORE AI SERVIZI DI VENDITA 3 650 140 OPERATORE DELLA RISTORAZIONE - SERVIZI DI SALA E BAR 1 650 140 OPERATORE DI IMPIANTI TERMO-IDRAULICI 1 650 140 Progetto: 2 approvato con D.D. n. 273 del 12 giugno 2013 Corsi Numero allievi Ore di formazione interne esterne OPERATORE DEL BENESSERE - ACCONCIATURA 1 670 320 OPERATORE DELLA RISTORAZIONE - SERVIZI DI SALA E BAR 1 670 320 OPERATORE EDILE 1 670 320 OPERATORE AMMINISTRATIVO-SEGRETARIALE 2 670 320 Progetto: 3 approvato con D.D n. 313 del 05 luglio 2013 Corsi Numero allievi Ore di formazione interne esterne OPERATORE EDILE 4 650 140 Progetto: 4 approvato con D.D. n. 313 del 05 luglio 2013 Corsi Numero allievi Ore di formazione interne esterne OPERATORE EDILE 1 650 140 28 A.T.S. 3 – CNOS-FAP Progetto: 1 approvato con D.D. n. 219 del 15 maggio 2013 Corsi Numero allievi Ore di formazione interne esterne OPERATORE MECCANICO - SALDOCARPENTERIA 1 670 320 OPERATORE ELETTRICO 1 670 320 OPERATORE DELLA TRASFORMAZIONE AGROALIMENTARE - PANIFICAZIONE E PASTICCERIA 1 670 320 OPERATORE GRAFICO - STAMPA E ALLESTIMENTO 2 670 320 Progetto: 2 approvato con D.D. n. 219 del 15 maggio 2013 Corsi Numero allievi Ore di formazione interne esterne OPERATORE EDILE 2 670 320 OPERATORE DELLA TRASFORMAZIONE AGROALIMENTARE - CONSERVAZIONE E TRASFORMAZIONE DEGLI ALIMENTI 1 670 320 OPERATORE DELLA RISTORAZIONE - SERVIZI DI SALA E BAR 1 670 320 OPERATORE MECCANICO - MONTAGGIO E MANUTENZIONE 1 670 320 Progetto: 3 approvato con D.D. n. 219 del 15 maggio 2013 Corsi Numero allievi Ore di formazione interne esterne OPERATORE DELLA TRASFORMAZIONE AGROALIMENTARE - CONSERVAZIONE E TRASFORMAZIONE DEGLI ALIMENTI 2 670 320 OPERATORE DELLA RISTORAZIONE - SERVIZI DI SALA E BAR 2 670 320 Progetto: 4 approvato con D.D. n. 219 del 15 maggio 2013 Corsi Numero allievi Ore di formazione interne esterne OPERATORE MECCANICO - MONTAGGIO E MANUTENZIONE 1 650 140 A.T.S. 4 – Immaginazione e Lavoro Progetto: 1 approvato con D.D. n. 165 dell’ 11 aprile 2013 Corsi Numero allievi Ore di formazione interne esterne OPERATORE DEL BENESSERE - ACCONCIATURA 3 670 320 OPERATORE DELLA RISTORAZIONE - SERVIZI DI SALA E BAR 2 670 320 29 Progetto: 2 approvato con D.D. n. 165 dell’ 11 aprile 2013 Corsi Numero allievi Ore di formazione interne esterne OPERATORE ELETTRONICO 1 670 320 OPERATORE GRAFICO - STAMPA E ALLESTIMENTO 1 670 320 OPERATORE DI IMPIANTI TERMO-IDRAULICI 1 670 320 OPERATORE AMMINISTRATIVO-SEGRETARIALE 1 670 320 OPERATORE MECCANICO - MONTAGGIO E MANUTENZIONE 1 670 320 Progetto: 3 approvato con D.D. n. 165 dell’ 11 aprile 2013 Corsi Numero allievi Ore di formazione interne esterne OPERATORE AI SERVIZI DI PROMOZIONE ED ACCOGLIENZA - STRUTTURE RICETTIVE 2 650 140 OPERATORE DELL’ABBIGLIAMENTO - CONFEZIONI ARTIGIANALI 2 650 140 OPERATORE DELLA TRASFORMAZIONE AGROALIMENTARE - PANIFICAZIONE E PASTICCERIA 1 650 140 Progetto: 4 approvato con D.D. n. 482 del 5 settembre 2013 Corsi Numero allievi Ore di formazione interne esterne OPERATORE MECCANICO - SALDOCARPENTERIA 1 670 320 OPERATORE GRAFICO - STAMPA E ALLESTIMENTO 1 670 320 OPERATORE AI SERVIZI DI VENDITA 1 670 320 OPERATORE ELETTRONICO 1 650 140 OPERATORE DEL LEGNO 1 670 320 OPERATORE MECCANICO - MONTAGGIO E MANUTENZIONE 1 670 320 OPERATORE EDILE 3 670 320 OPERATORE ALLA RIPARAZIONE DEI VEICOLI A MOTORE - RIPARAZIONE PARTI E SISTEMI MECCANICI ED ELETTROMECCANICI DEL VEICOLO A MOTORE 2 670 320 OPERATORE MECCANICO 1 650 140 OPERATORE ALLA RIPARAZIONE DEI VEICOLI A MOTORE - RIPARAZIONI DI CARROZZERIA 2 670 320 Progetto: 5 approvato con D.D. n. 520 del 20 settembre 2013 Corsi Numero allievi Ore di formazione interne esterne OPERATORE MECCANICO 1 650 140 Totale progetti per A.T.S.: Enaip 6 Casa di Carità 4 CNOS-FAP 4 Immaginazione e Lavoro 5 Totale complessivo 19 Totale apprendisti coinvolti 80 31 Parte terza: Riflessioni e proposte Riflessioni sulla ricerca La rilevazione condotta si inserisce nella più ampia ricerca - azione svolta dal CNOS-FAP volta a monitorare l’applicazione nel contesto nazionale della normativa circa l’apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale. La prima fase - come abbiamo visto - si è concentrata sull’analisi degli aspetti quantitativi (numeri assoluti, distribuzione territoriale, tipologie di figure, utenti, imprese coinvolte…), in riferimento ai dati resi disponibili dalle indagini in corso. La prima parte della ricerca ha consentito di giungere alle seguenti conclusioni: • in quasi tutte le Regioni e Province Autonome è previsto un dispositivo normativo che recepisce la normativa nazionale, consentendo l’attuazione dell’apprendistato per la qualifica ed il diploma professionale; ciò significa che dal punto di vista istituzionale le operazioni necessarie sono state svolte dalla grande maggioranza degli Enti citati. • La soluzione normativa adottata è piuttosto varia: si va da accordi e delibere fino a vere e proprie linee guida ed a discipline specifiche come nel caso della Provincia Autonoma di Bolzano. • Di contro, nonostante le disposizioni normative, solo alcune Regioni, a quanto è dato di sapere, hanno bandito progetti per gli aspetti formativi degli interventi. Ciò rileva la difficoltà di attivazione di questo intervento, segno che le difficoltà emergenti dalla ricerca non sono da attribuire prioritariamente all’inazione di Regioni e Province Autonome. • Non esiste un sistema informativo rigoroso a base nazionale dal quale sia possibile dedurre i dati relativi all’ampiezza e distribuzione dell’apprendistato per la qualifica ed il diploma professionale; i dati a nostra disposizione indicano peraltro una consistenza irrisoria di giovani minorenni in contratto di apprendistato del primo tipo, vale a dire per la qualifica ed il diploma professionale. Se una Regione come il Piemonte, normalmente molto attiva e orientata ad una formazione realmente qualificante, ha potuto raccogliere solamente 80 soggetti, ciò significa che siamo di fronte ad un insuccesso di questa tipologia contrattuale un tempo definita “a causa mista”, e ciò va spiegato in modo rigoroso. • Le informazioni raccolte presso i testimoni privilegiati contattati indicano la presenza di varie criticità, che vanno dall’impreparazione dei consulenti del lavoro (figure centrali per l’attivazione dei dispositivi di apprendistato) che in 32 gran parte non conoscono la normativa, all’assenza di bandi per l’offerta formativa, alle difficoltà da parte degli Enti convenzionati di conoscere e coinvolgere gli apprendisti, fino alla problematicità dei corsi attivati sia per la motivazione di studenti ed imprese sia per la frequenza che risulta soggetta alle variabilità connesse alle necessità produttive delle imprese. Uno dei punti di criticità che rileva con riferimento a questa tipologia di apprendistato risiede nel fatto che il datore di lavoro non ha alcuna convenienza ad assumere un giovane tra i 15 e i 18 anni, al posto di un diplomato visto che i vantaggi che gliene derivano sono esattamente gli stessi, mentre gli oneri che ricadano su di lui, in particolare dal punto di vista organizzativo sono profondamente diversi. D’altra parte, un giovane tra i 15 e i 18 anni che si trova in una condizione esterna rispetto alle due opportunità formative previste - scuola e Formazione Professionale2 - normalmente si presenta carente di quelle competenze di “socializzazione lavorativa” (riconoscimento dei ruoli, gestione delle regole, effettuazione dei compiti attribuiti, comunicazione…) che l’impresa considera sempre più decisive nell’ambito delle caratteristiche dei lavoratori desiderati. Di conseguenza, il datore di lavoro si ritroverebbe con un giovane da seguire, che un po’ lo aiuterebbe nel lavoro, ma con l’aggiunta di un aggravio formativo che lo assenterebbe dal lavoro non per 120 ore, ma per 400 ore. Si aggiunga inoltre il vincolo di assunzione, richiesto ex ante, vale a dire prima di una possibile verifica delle reali caratteristiche del giovane. Per tale ragione, a prescindere dai datori di lavoro - che possono anche manifestare un forte senso di filantropia - quali possono essere le imprese realmente interessate ad un contratto di questo tipo? Se si fosse innalzato il sistema delle convenienze (non era pensabile che ad un datore di lavoro, a cui si chiedeva questo impegno, le istituzioni pubbliche dessero in cambio gli stessi vantaggi che dava per assumere il giovane neo laureato che intendeva frequentare un master strettamente legato alle attività che svolgeva quell’azienda) forse tale tipologia contrattuale avrebbe avuto una maggiore appetibilità. Emerge quindi una forte criticità di questo istituto, rivelativo del contrasto culturale di cui parlavamo all’inizio del presente rapporto, ed evidente nei seguenti aspetti: - la tipologia di giovane corrispondente all’identikit medio del candidato all’apprendistato del primo tipo è tale da non consentire da parte del titolare dell’impresa un’aspettativa di produttività immediata, ma neppure di un processo formativo non problematico effettuato nella modalità 2 È noto peraltro che in diverse Regioni italiane, specie nel Meridione, l’offerta di percorsi gestiti dai CFP è pressoché assente e che ciò influenza direttamente l’alto numero di soggetti in dispersione scolastica (si vedano i vari rapporti Isfol sul sistema di Istruzione e Formazione Professionale) 33 dell’affiancamento nell’espletazione di compiti relativamente autonomi, vale a dire fidando delle qualità autoformative del destinatario; - la rilevanza del monte ore necessario per la formazione esterna comporta l’assenza di questa risorsa umana per un periodo di tempo consistente, sottraendolo anche all’impresa comunque ben disposta ad uno sforzo formativo reale; - la rigidità delle norme e delle soluzioni organizzative rende l’esperienza di apprendistato del primo tipo particolarmente irrazionale, con “corsi” che solitamente sono collocati lontano dall’abitazione e dalla sede dell’impresa; - la soluzione formativa “istituzionale” – vale a dire nella modalità “corso” – confligge con la condizione e la prospettiva del giovane apprendista il quale, dopo aver “conquistato” uno status di lavoratore, sia pure a causa mista, viene chiamato a “ritornare tra i banchi” ovvero alla condizione dalla quale era sfuggito; - l’obbligo di assunzione, in questo quadro di incertezza, risulta un passo avventato nella logica della gestione delle risorse umane da parte di una qualsiasi impresa che agisca razionalmente; ciò specie tenendo conto del fatto che con lo stesso costo, ma con minore gravame orario per la formazione esterna, sono disponibili giovani diplomati certamente più scolarizzati e dotati generalmente di una migliore “socializzazione” alle regole ed ai comportamenti organizzativi. Di conseguenza a quanto detto, appare evidente come l’istituto dell’apprendistato per la qualifica ed il diploma professionale, se pure sulla carta può rappresentare una soluzione interessante per i giovani drop-out di cui l’Italia abbonda, così che possano svolgere un percorso formativo tutto centrato sull’apprendimento in situazione reale, in realtà non risultano le condizioni di convenienza per l’impresa affinché ciò possa effettivamente rappresentare un’alternativa razionale all’assunzione di un soggetto già preparato oppure - più facilmente - all’implicazione di un diplomato. Affrontare questo punto significa porre l’istituto dell’apprendistato del primo tipo su un binario positivo; oltre a ciò, occorre una proposta di modello formativo che integri gli aspetti culturali con quelli dell’esercizio reale del ruolo lavorativo, ciò di cui parleremo più avanti. Il quadro emerso nella prima parte ha permesso di selezionare le Regioni da approfondire per i focus group cosi da poter riportare una fotografia dell’apprendistato in Italia quanto più aggiornata e veritiera possibile. Il quadro come si può notare nelle tabelle precedenti è molto deludente: l’apprendistato del primo tipo in Italia non decolla e il tasso di disoccupazione resta tra i più alti in Europa. Quasi tutte le Regioni hanno ottemperato dal punto di vista normativo, ma poi quando si passa dalla teoria alla pratica i numeri degli iscritti sono limitatissimi, ad eccezione della Provincia Autonoma di Bolzano che però - come vedremo - adotta in buona parte il modello duale tipico dell’area culturale Tedesca. 34 La questione della difficile intesa tra le istituzioni coinvolte non è il vero problema, ma il riflesso di una duplice concezione dell’apprendistato che rivela una tensione tra una concezione formale della cultura ed una di tono decisamente operativo. L’impresa, anche quella meglio disposta, vede tutto l’apparato formativo (progetto formativo individuale, tutor interno, bilancio delle competenze, formazione esterna, valutazione/accertamento, certificazione) come mera burocrazia perché non gli attribuisce valore considerando perdita di tempo rispetto alla realtà “concreta” del lavoro. Sul fondo vi sono due temi rilevanti: - la cultura del lavoro delle piccole e piccolissime imprese che spesso è di tipo meramente operativo, con scarsa capacità cognitiva, e quindi povera dal punto di vista delle modalità di trasmissione da una generazione all’altra. - Inoltre lo stato dell’istruzione scolastica, troppo basata su insegnamenti inerti che vengono quindi giudicati “teorici” e quindi poco utili dal punto di vista “pratico”. È come se i due mondi - scuola e lavoro - si siano polarizzati dal punto di vista culturale e non riescano a trovare intese consistenti specie nei punti in cui devono necessariamente cooperare, come l’apprendistato. Tenuto conto di ciò, occorre mettere a fuoco l’idea di un’intesa formativa in grado di affrontare positivamente i tre nodi seguenti: 1. la cultura del lavoro nell’intreccio tra tradizione di mestiere e nuovi apporti (es.: sicurezza/qualità, nuove tecnologie, globalizzazione e nuovi mercati/nuove forme di commercio on line, nuove valenze culturali connesse al lavoro semi-artigianale, comunicazione e marketing...); 2. le modalità di trasmissione di tale cultura specie tramite il ruolo esplicito del tutor, ma anche attraverso il modo di essere di tutta l’impresa; 3. la natura dell’incontro/cooperazione tra il mondo aziendale e le istituzioni formative esterne (giustapposizione o cooperazione?). In ultimo, vi è il punto centrale del modo in cui viene implicato l’apprendista: come individuo da addestrare e casomai da riempire di saperi “minimi”, oppure come protagonista del processo formativo di iniziazione al lavoro. Una proposta per qualificare la formazione in apprendistato Lo strumento dell’apprendistato rappresenta un paradosso tipicamente italiano: sulla sua necessità si riscontra un consenso generale, ma sulla sua realizzazione continua a pesare il dilemma formativo che ne ha reso finora difficile l’applicazione, specie per le tipologie dell’obbligo di istruzione e dei diplomi. 35 Circa la sua necessità, non ci sono dubbi: nell’intento di semplificare la complessità dei contratti di lavoro, serve un canale di ingresso principale non oneroso per le imprese, che consenta di definire un percorso graduale e valutato di avvio al lavoro. La non onerosità si riscontra nel beneficio della fiscalizzazione degli oneri sociali; inoltre è assicurato il non automatismo del riconoscimento agli apprendisti della qualifica di inquadramento dopo il decorso del periodo massimo di durata previsto dal contratto collettivo. Ciò lo rende uno strumento basato sui criteri della discrezionalità e della flessibilità. Circa la formazione, va ricordato che quello dell’apprendistato continua ad essere un contratto a causa mista: il beneficio della formazione, richiamato nell’art. 1 del Decreto legislativo 167/2011 (“L’apprendistato è un contratto di lavoro a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e alla occupazione dei giovani”), dovrebbe essere a vantaggio sia del giovane, che vede accresciuto il proprio capitale personale tramite un’esperienza qualificante, sia dell’impresa che può avvalersi di una persona competente, per la quale ha investito risorse formative. Ma ciò è reso difficile dalla struttura del mercato del lavoro italiano, dove oltre il 90% degli addetti è inserito in imprese medio-piccole e piccolissime; inoltre è decisamente ostacolato dalla cultura dell’apprendimento propria di gran parte di queste imprese, per le quali la formazione non deve essere strutturata in corsi, perché si ritiene che la pratica di lavoro sia di per sé stessa formativa. Ciò era probabilmente vero in un contesto sociale ed economico stabile, dove la dinamica del cambiamento era lenta e senza discontinuità, nel quale i giovani erano disposti a percorsi lunghi di addestramento con corrispettivi di salario molto contenuti. Le innovazioni tecnologiche, organizzative, di prodotto-servizio e di mercato che hanno modificato radicalmente lo scenario sociale ed economico, introducendoci nella terza rivoluzione industriale, hanno reso problematica la possibilità di una trasmissione del sapere da una generazione all’altra. Il nuovo contesto sociale rende difficile una comunicazione “naturale” tra le generazioni; ciò ridimensiona il potere formativo della pratica dell’affiancamento e richiede un vero e proprio progetto formativo in cui si alternino in modo intelligente pratiche di lavoro, moduli strutturati e studio individuale. Naturalmente occorre distinguere tra imprese qualificanti ed imprese con pratiche di lavoro fortemente routinarie. Le prime, ponendosi al centro del flusso culturale del nostro tempo, assicurano a chi vi opera un continuo stimolo cognitivo: si tratta delle learning organization, strutture che si collocano nel cuore dei processi innovativi, in grado di apprendere dall’esperienza e di modificarsi continuamente in base alle sfide ed opportunità emergenti. L’apprendista che entra in queste organizzazioni è immerso in un contesto dotato di un notevole potenziale formativo; l’esito di questa possibilità è però garantito da una dedizione speciale del personale nei confronti del nuovo entrato, il cui percorso va delineato, accompagnato ed assistito con attività appropriate. Quindi, la qualità formativa delle learning organization è garantita 36 dall’investimento umano nel tutoring e nel teaching, e ciò deve impegnare il personale tecnico e direttivo, piuttosto che figure estranee al processo di lavoro, pena il venir meno del valore formativo di quanto viene acquisito. Siccome questo ha un costo, bisogna che le imprese investano consapevolmente in tale direzione, convinte di realizzare un investimento di cui godranno in seguito i benefici. Le imprese le cui attività sono prevalentemente routinarie hanno invece necessità di una consistente formazione integrativa esterna fatta di corsi, di stage presso organizzazioni qualificanti, del contributo puntuale di esperti che assicurino uno standard più elevato rispetto a quello contenuto nei processi operativi. Le pratiche di lavoro ripetitive sono infatti povere dal punto di vista cognitivo ed il loro valore non può ridursi unicamente a fattori quali il comportamento organizzativo e la precisione esecutiva. Ciò comporta una collaborazione più forte tra imprese, loro associazioni ed istituzioni formative in grado di assicurare un percorso autenticamente qualificante, perché il cuore della cultura professionale e civica non risiede esclusivamente nell’impresa, ma è condiviso entro una rete formativa più ampia. Un’impresa di questo tipo si può dire formativa quando è in grado di cogliere il valore, ma anche i limiti dell’esperienza operativa, e sa avvalersi di apporti derivanti dall’esterno al fine di assicurarsi risorse umane che le consentano nel tempo un effettivo salto di qualità. Il cuore della questione formativa: l’apprendista Chi è l’apprendista? È la persona protagonista dell’apprendimento di un mestiere entro un’impresa formativa. Egli è non solo utente, ma co-protagonista del processo formativo secondo un approccio integrato che ne sollecita il coinvolgimento sulla base di compiti-problemi caratteristici del lavoro. Stiamo parlando di una formazione consistente, con risultati di apprendimento veri e verificabili: la logica dell’apprendistato procede pertanto dall’esperienza verso la competenza. Quest’ultima non va intesa come una mera disposizione operativa: si tratta infatti della caratteristica della persona, mediante la quale essa è in grado di affrontare efficacemente un’area di problemi connessi ad un particolare ruolo o funzione. Per tale motivo, sarebbe preferibile parlare di “persona competente” piuttosto che di competenza. Essa viene dimostrata dalla persona tramite performance rese in un preciso contesto organizzativo di fronte a “giudici” rappresentati da esponenti del mondo professionale di riferimento. La persona competente è in grado di mobilitare le risorse possedute (capacità, conoscenze, abilità) al fine di condurre a soluzione un compito-problema. La competenza non è pertanto riducibile né a un sapere, né a ciò che si è acquisito con la formazione. Essa richiede necessariamente una prova concreta, nella quale il titolare si impegni in modo autonomo e responsabile. Vi possono essere competenze culturali, sociali, professionali. Queste ultime possono essere intese come competenze in senso proprio, poiché mobilitano un’interazione organica tra soggetti (centro di formazione, persona, impresa) e prevedono una precisa prova professionale definita come “capolavoro”. 37 Tra l’apprendista, l’impresa e l’istituzione formativa si instaura un patto orientativo-formativo, mediante il quale l’organismo che eroga orientamento o formazione si impegna a fornire all’utente tutti gli strumenti, i servizi e le relazioni necessarie al raggiungimento di un determinato esito, mentre l’utente, a sua volta, si vincola a corrispondere ai criteri di impegno e di comportamento necessari per poter svolgere in modo adeguato il percorso. Il paradigma formativo Il rilancio dell’istituto dell’apprendistato deve essere l’occasione per delineare un vero e proprio paradigma formativo peculiare, nelle sue diverse configurazioni (professionalizzante, per il diritto-dovere, per i diplomi), sulla base di un’intesa forte tra imprese, loro associazioni ed istituzioni formative. Occorre un paradigma formativo ad hoc, per il quale si propongono i seguenti criteri fondativi: • concezione alta dell’istituto dell’apprendistato in quanto esperienza realmente qualificante, in grado di formare la persona in senso ampio ed unitario, di sollecitare il profilo formativo dell’imprenditore e di fornire stimoli per la crescita culturale dell’azienda; • concezione alta della figura dell’apprendista visto come un soggetto dotato di ampia autonomia ed una certa responsabilità, in grado di svolgere un insieme di compiti che mettono in moto le diverse dimensioni dell’intelligenza: cognitiva, operativa, relazione, sociale, riflessiva; • visione unitaria delle finalità e degli obiettivi dell’azione formativa, contestuale al processo lavorativo, così da perseguire le diverse competenze dell’apprendista, senza separazioni tra area professionale ed area generale, così da configurare un modello formativo organico; • centralità dell’apprendista nel processo formativo, sollecitando pertanto la sua capacità di conduzione consapevole e volitiva del proprio cammino, sulla base di un grado crescente di autonomia e responsabilità; • valorizzazione della figura dell’imprenditore in qualità di “maestro” (mastro), titolare di un metodo peculiare di formazione delle nuove leve, centrato sull’esperienza, l’esempio, il colloquio, l’accompagnamento, la valorizzazione delle potenzialità personali entro un contesto di impresa a struttura comunitaria (e non raramente familiare); • valorizzazione del ruolo dell’organismo formativo espletato entro un Centro risorse in grado di fornire un servizio molteplice, dialogante, fondato sulla co-progettazione e co-formazione, attento alle esigenze specifiche dell’impresa, flessibile, finalizzato alla crescita culturale dell’imprenditore e della stessa impresa; 38 • riferimento al contesto europeo, anche tramite l’assunzione dei profili definiti entro il quadro comunitario EQF3 e del supplemento al certificato europeo Europass. Sulla base di questi criteri, è necessario avviare attività sperimentali da realizzare in diversi contesti territoriali che, una volta valutate opportunamente, possano indicare un modello di intervento ordinario così da rilanciare operativamente l’istituto dell’apprendistato qualificandolo in chiave formativa ed organizzativa. Maestro del lavoro e impresa formativa Perché l’apprendista possa avvalersi di una reale formazione qualificante, occorre un’organizzazione appropriata, con processi di lavoro stimolanti e sfidanti, in cui sia presente la figure del maestro del lavoro così che si configuri una reale “impresa pedagogica”. La regola aurea dell’apprendistato può essere riassunta nella frase “Insegnando si impara”. Il “Maestro” rappresenta una persona dotata di dignità e prestigio, un “grande” riconosciuto tale entro una comunità che condivide un sistema di valori. In quanto tale, egli è anche guida, non nel senso che possiede un metodo “didattico” formalizzato, ma perché, essendo riconosciuto come punto di riferimento, volentieri le persone della comunità si attengono a ciò che dice, lasciandosi guidare da lui ed in definitiva obbedendogli. Di conseguenza, l’Imprenditore - maestro è il titolare di un’impresa, specialmente di piccole e piccolissime dimensioni, che ama tanto il suo lavoro da desiderare di insegnarlo ad altri. È in possesso di una competenza pedagogica che ne caratterizza il rapporto con l’apprendista sapendolo accogliere, accompagnare, essendo in grado di trasferirgli saperi ed abilità, ma soprattutto di far maturare in lui la formazione di competenze tramite compiti e problemi. Sa sollecitare la passione per il lavoro e nel contempo è in grado di educare ad un’etica che rappresenta una disciplina di vita. L’impresa formativa è quindi quell’organizzazione che presenta i requisiti necessari a consentire l’apprendimento e la maturazione di apprendisti, secondo uno stile ed un metodo formativo centrato sulla persona, entro un contesto sociale ad un tempo disciplinato e coinvolgente. Il ruolo dell’Ente di formazione L’Istituzione formativa (Centro di Istruzione e Formazione Professionale) è la struttura che eroga un’offerta formativa nell’ambito del sistema di Istruzione e 3 Inteso come riferimento generale, da qualificare ulteriormente a partire dal contesto reale in cui si svolge l’azione lavorativa e formativa. 39 Formazione Professionale finalizzata a promuovere il successo formativo di ogni allievo fornendo ad esso un’informazione adeguata ed utile sulle diverse opportunità formative, una possibilità di orientamento che gli consenta di riconoscere i propri talenti e competenze (sia pure parziali), un percorso di formazione personalizzato e continuativo, un supporto per il passaggio alla vita attiva in ogni momento di transizione in cui si venga a trovare, un’occasione di formazione continua e permanente. Esso opera in stretto accordo con le imprese del settore sia nella versione dell’accompagnamento formativo quando il destinatario è un apprendista sia nella versione dell’alternanza formazione-lavoro quando il destinatario è un allievo del corso. In questa struttura opera in particolare il Coordinatore tutor, una figura indispensabile in ogni azione di Istruzione e Formazione Professionale che ha il compito di concordare con l’impresa il contributo dei due organismi in funzione delle necessità formative e organizzative, coordinare le diverse figure coinvolte, presiedere alle fasi di progettazione, facilitare i processi di apprendimento e sostenere il miglioramento continuo dell’attività formativa e didattica. Spetta al tutor la cura del Portfolio delle competenze individuali. La progettazione si concretizza in un Piano formativo decisamente personalizzato: un documento elaborato dal team dei formatori che delinea in chiave logica e cronologica le principali attività/prodotti con relative competenze mirate, specificando, in riferimento ad ogni attività-prodotto, il rapporto tra compiti e finalità formative, le risorse necessarie, le modalità di orientamento e valutazione, l’intesa circa la compilazione del Portfolio. Il Piano formativo, che prevede le occasioni di personalizzazione e le forme in cui queste vengono attivate, non è un programma precostituito, ma si sviluppa passo passo lungo il percorso valorizzando le occasioni di apprendimento informale e non formale proprie dell’attività di lavoro e introducendo moduli formali che integrano, arricchiscono e completano il processo formativo. Il percorso così delineato si svolge tramite unità di apprendimento che corrispondono alle aree di compito gestite dall’apprendista e che portano a risultati tangibili e significativi, che forniscono indicazioni rilevanti per la valutazione ed il prosieguo del percorso. Aspetti metodologici Il modello formativo proposto è centrato su risultati di apprendimento (knowledge outcome) e quindi, in coerenza con il sistema EQF europeo, è fondato sul concetto di competenza intesa come la «comprovata capacità di utilizzare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e personale. Nel contesto del Quadro europeo delle qualifiche le competenze sono descritte in termini di responsabilità e autonomia». Quattro sono i motivi della rilevanza di questo dispositivo: • Illustra in modo univoco i risultati dell’apprendimento. EQF facilita e potenzia la libera circolazione (mobilità) delle persone nello spazio comune europeo. Per questo è necessario disporre di un quadro comune di riferimento che renda 40 “trasparenti” cioè comprensibili formalmente e semanticamente i risultati di apprendimento finali di ciascun titolo/certificato. • Pone al centro dell’apprendimento le competenze. La competenza non è più intesa come nel passato come una somma di componenti (sapere, saper fare e saper essere), ma come una padronanza della persona dimostrata nell’azione: essa indica la capacità di mobilitazione della stessa, a fronte di compiti e sfide, finalizzata a delineare un quadro di intervento, di reperire mezzi e strumenti, di delineare collaborazioni, al fine di portare a termine quanto intrapreso in modo positivo. • Propone una relazione “attiva” tra competenze, abilità e conoscenze. La prospettiva della competenza non coglie la persona come “possessore” di saperi inerti, ma richiede ad essa di esibire evidenze tali da dimostrare non solo che sa o sa fare, ma che sa agire e reagire sapendo mobilitare in modo pertinente ed appropriato ciò che sa e sa fare. • Valorizza allo stesso tempo i risultati di apprendimento formali, non formali ed informali. Essendo basato sugli esiti dell’apprendimento (learning outcomes), articolati in otto diversi livelli, EQF è applicabile a tutte le qualifiche ottenute attraverso percorsi formativi formali, non formali ed informali. Inoltre si propone come un riferimento del percorso di accrescimento delle competenze lungo tutto il corso della vita. Un tale sistema consente di superare la giustapposizione tra il momento formale del percorso formativo e l’esercizio effettivo del ruolo lavorativo. Ciò in forma di una concezione olistica, partecipata e dinamica del sapere. Olistica, nel senso che ogni esperienza significativa agita nel reale è in grado di mobilitare abilità e conoscenze connesse ad una varietà di campi del sapere. Partecipata, perché l’apprendista è posto in grado, svolgendo esperienze significative nell’ambito del lavoro (ma anche della cittadinanza e di occasioni culturali non strettamente lavorative), di scoprire le diverse dimensioni del reale sia nella loro evidenza esteriore (progetto, tecnicità, funzionalità) sia in quelle più implicite connesse alla struttura formale dei saperi mobilitati; dinamica, perché ogni occasione di apprendimento in contesto reale e con un approccio olistico non si limita alla riproduzione di ciò che è già noto, ma consente, riflettendo sul reale e problematizzandolo, di aprire nuove occasioni di conoscenza e quindi di azione consapevole. L’approccio del processo insegnamento/apprendimento per competenze si basa sull’analisi dei problemi e delle situazioni da risolvere di volta in volta sul campo e non su una sequenza statica di saperi che, essendo ancorati alle esperienze, richiedono un coinvolgimento diretto della persona ed un processo che ne possa consentire lo svelamento e la conquista mediante l’azione. Ciò significa che tale processo si realizza in modo costruttivo, tramite Unità di Apprendimento. L’Unità di Apprendimento rappresenta la struttura di base dell’azione formativa; essa costituisce l’insieme delle occasioni che consentono all’allievo di entrare in un rapporto personale con il sapere, affrontando compiti che conducono a prodotti di cui 41 egli possa andare orgoglioso e che costituiscono oggetto di una valutazione attendibile. Essa prevede sempre compiti reali (o simulati) e relativi prodotti che i destinatari sono chiamati a realizzare ed indica le risorse (capacità, conoscenze, abilità) che egli è tenuto a mobilitare per diventare competente. L’insieme delle Unità di Apprendimento definisce il Piano formativo unitario. Si tratta di un documento che indica la progressione per fasi del cammino formativo, indicando il rapporto di coerenza tra l’apporto dell’azienda e quello del CFP. Per ogni fase, il piano formativo indica le Unità di Apprendimento che consentono di mobilitare le buone disposizioni degli allievi così che diventino competenti, ovvero protagonisti del proprio progetto personale di vita e di formazione/lavoro secondo una prospettiva professionale, sociale e personale. Per mezzo della Rubrica delle competenze, ovvero un costrutto che consente di definire i legami tra le competenze, i saperi essenziali, i compiti e le evidenze attivati, infine i livelli dei padronanza, è possibile giungere ad una valutazione attendibile, tramite la raccolta sistematica delle evidenze che, al termine delle varie UdA realizzate, segnalano il progresso degli apprendimenti della persona, ovvero: prodotti, processi, linguaggi, riflessioni, comportamenti… Tali evidenze sono osservate tramite una griglia unitaria di valutazione, concordata nell’ambito dell’équipe formativa-lavorativa, che fornisce i criteri della ricognizione dei fattori utili al compito valutativo. È su queste basi che si propone una nuova impostazione dell’esperienza di apprendistato come intreccio organico di esercizio del ruolo e di crescita formativa progettata e verificata, riferita a tutte le dimensioni del sapere (cognitiva, pratica, affettiva e relazionale, sociale, della metacompetenza); in tal modo il processo formativo risulta da una varietà di combinazioni delle diverse modalità di apprendimento proposte all’apprendista: - lettura di documenti e comprensione delle consegne - affiancamento di personale esperto - esecuzione di compiti semplici di supporto - visite, incontri e testimonianze - gestione di compiti autonomi - gestione di progetti - ricerca e lettura di testi - gestione di dati e statistiche - docenza da parte di formatori ed esperti - presentazione di elaborati e progetti. Impresa e CFP concorrono insieme alla definizione ed alla gestione del progetto formativo, condividendo l’impostazione metodologica e svolgendo insieme le diverse fasi del percorso: - elaborazione delle rubriche delle competenze - progettazione - gestione dei processi formativi - verifica e valutazione 42 - attestazione e certificazione. Inoltre, tale collaborazione consente di valutare anche l’azione formativa in senso ampio e di validare e migliorare continuamente il dispositivo metodologico, le rubriche delle competenze e gli strumenti di gestione organizzativa e documentale. Si tratta, come più volte sottolineato, di evitare il dualismo tra teoria e pratica che risulta fortemente deleterio se si vuole effettivamente formare persone autenticamente competenti. Nel contempo, va evitata la standardizzazione dei ruoli e dei percorsi e la caduta dell’attività in routine, per favorire l’efficacia formativa presso l’apprendista, ma anche per rendere possibile la crescita della consapevolezza e della metodologia gestionale delle risorse umane da parte dell’impresa e l’innovazione metodologica e didattica presso il Centro di Formazione Professionale. L’approccio di corresponsabilità tra impresa e CFP deve potersi collocare entro una rete di standard e di pratiche che veda coinvolti anche sul piano formale le rispettive associazioni. Tale intesa può assumere la forma di un marchio di qualità, tramite il quale i contraenti decidono di: - condividere un approccio metodologico centrato su valori e criteri d’azione nella formazione di allievi apprendisti; - condividere lo strumento chiave del lavoro formativo ovvero le rubriche delle competenze (che indicano traguardi, compiti, saperi essenziali e livelli); - collaborare nella progettazione, nella erogazione e nella valutazione e certificazione dei percorsi formativi; - delineare una metodologia di condivisione di prodotti, sussidi, pratiche didattico-formative; - documentare e pubblicizzare il lavoro comune proponendolo presso le sedi istituzionali, gli attori sociali e culturali, le autorità nazionali ed europee come esperienza emblematica di formazione consistente, che vede integrati momenti informali, non formali e formali, nella logica della comunità di apprendimento. Gli strumenti operativi Tre sono gli strumenti operativi su cui si regge il metodo proposto: a) Agenda dell’apprendista L’agenda rappresenta lo strumento nel quale l’apprendista dà conto delle attività svolte, delle documentazioni rilevanti del proprio percorso e delle riflessioni effettuate. Essa esprime il principio della centralità dell’apprendista nel processo formativo e mira a porre in evidenza la sua consapevolezza circa il cammino formativo, finalizzato ad una crescita di autonomia e responsabilità. L’agenda viene quindi gestita direttamente dall’apprendista, è aggiornata di norma almeno ogni settimana sulla base delle schede previste per ogni fase dell’attività; è a 43 sua volta oggetto di valutazione da parte dell’imprenditore e del tutor del Centro risorse. b) Guida per l’imprenditore-maestro La guida costituisce lo strumento con cui l’imprenditore-maestro progetta, gestisce, accompagna, verifica e valuta il percorso dell’apprendista nella prospettiva della sua crescita personale e qualificazione professionale. Essa indica i passi e le attività che l’imprenditore pone in atto nelle diverse fasi del percorso, valorizzando il potenziale formativo del ruolo e dell’azienda, ma soprattutto scoprendo e mettendo a frutto i talenti dell’apprendista, soggetto principale dell’intervento. La guida, tramite la compilazione di alcune schede di osservazione, verifica e valutazione, consente all’imprenditore di mantenere una visione unitaria e dinamica del percorso formativo, potendo così cogliere l’evoluzione del cammino apportando opportunamente correzioni, miglioramenti e passaggi di fase. c) Manuale del Centro risorse Il Centro risorse rappresenta il luogo – e nel contempo il servizio – reso dall’organismo formativo che assiste l’imprenditore-maestro e l’apprendista nell’esperienza in svolgimento, secondo un approccio unitario e di corresponsabilità. L’attività del Centro consiste nella progettazione, nell’assistenza all’imprenditore, nella presa in carico dei vari aspetti del percorso formativo nelle diverse modalità possibili (corso in gruppo, accompagnamento individuale, formazione a distanza assistita), nella co-valutazione nei momenti previsti, infine nell’attestazione delle attività formative svolte dall’apprendista e dalla certificazione delle competenze e dei saperi appresi. Un piano di lavoro Sulla base di quanto esposto, è possibile realizzare progetti di formazione per apprendisti, sulla base dei seguenti obiettivi: - Rilanciare l’istituto dell’apprendistato come occasione di apprendimento sostanziale sulla base di una concezione culturale e formativa del lavoro. - Orientare i giovani verso il lavoro e la cultura del lavoro. - Dare valore all’investimento umano e al capitale umano dell’apprendista. - Rimotivare la partecipazione degli apprendisti e delle imprese alle azioni formative di apprendistato. - Promuovere un approccio formativo olistico, partecipato, dinamico, che consideri in modo unitario, sulla base di un piano formativo organico, occasioni formali, informali e non formali di apprendimento, valorizzando le diverse modalità di apprendimento proposte all’apprendista. - Riferire il piano formativo ad un elenco di risultati di apprendimento descritti sotto forma di competenze articolate in abilità e conoscenze. - Certificare le acquisizioni ottenute sotto forma di padronanza delle competenze acquisite, riferite ai livelli EQF. 44 - Sviluppare una stretta alleanza formativa tra aziende e Centri di Formazione Professionale sulla base di una piena corresponsabilità del progetto formativo in tutte le sue fasi. - Rendere possibile il trasferimento della sperimentazione e del prototipo nei diversi ambiti e territori nazionali. Le fasi del progetto sono: A) Progettazione dell’intervento sperimentale. Questa azione prevede una prima macroprogettazione e condivisione del progetto a partire dai risultati di apprendimento individuati sotto forma di competenze articolate in abilità e conoscenze. B) Definizione di una procedura sperimentale. Nel definire la procedura sperimentale vanno assicurati i seguenti risultati:  le evidenze finali delle competenze ed i livelli di padronanza da parte della persona che ne è titolare;  i saperi essenziali ed i compiti che delineano il cammino formativo della persona (questo punto ed il precedente si realizzano tramite rubriche delle competenze);  il percorso formativo sotto forma di Unità di Apprendimento nelle quali si alternano le diverse occasioni proposte all’apprendista (visite, incontri e testimonianze, affiancamento, gestione di compiti, gestione di progetti, ricerca e lettura di testi, gestione di dati e statistiche, docenza da parte di formatori ed esperti, presentazione di elaborati e progetti) con una modalità innovativa e coinvolgente del datore di lavoro/tutor sia nel percorso interno che esterno di formazione;  la valutazione attendibile e la certificazione delle competenze. C) Formazione essenziale degli attori di lavoro delle aziende coinvolte. È necessario trasferire ai datori di lavoro (titolari o tutor aziendali) alcuni saperi minimi e competenze in merito a:  normativa dell’apprendistato,  aspetti psico pedagogici con particolare riferimento ad adolescenti e giovani,  aspetti metodologici didattici relativi all’apprendimento tramite esercizio di ruolo,  fonti di informazione e modalità di collaborazione (compreso il marchio di qualità). D) Definizione di un percorso istituzionale ottimale. Si intende evidenziare all’interno della normativa vigente (nazionale e regionale) il percorso ottimale che possa portare al successo della sperimentazione andando a individuare le risorse e i canali più opportuni, compreso il dispositivo relativo al marchio di qualità. 45 E) Definizione del progetto in base alle tipologie di destinatari ed ai settori coinvolti. Si intende tenere conto dei settori coinvolti e delle tipologie di destinatari a cui si rivolge il progetto, avendo anche un’attenzione alla dimensione di genere e alla multietnicità dei destinatari. F) Elaborazione di alcuni prototipi di esperienze pilota di cui almeno uno nell’ambito dell’apprendistato in diritto-dovere di istruzione e formazione, ed almeno un altro nell’apprendistato professionalizzante. G) Valutazione attendibile e certificazione delle competenze degli apprendisti. Elaborazione di modalità di valutazione attendibile, tramite prove reali ed evidenze delle competenze, ed inoltre di certificazione degli esiti formativi in riferimento ai livelli di padronanza delle competenze acquisite da parte degli apprendisti. H) Riconoscimento della capacità formativa dell’azienda. Studio di una modalità di riconoscimento della capacità formativa delle singole aziende (e quindi dei titolari e/o tutor) anche in base a eventuali codici di comportamento elaborati dalle associazioni di categoria. I) Monitoraggio in itinere e finale della sperimentazione. Si prevedono momenti di monitoraggio in itinere e finale in merito alle azioni formative previste nel progetto. J) Rapporto finale e trasferibilità del prototipo. Si prevede la redazione di un rapporto finale in merito agli esiti della sperimentazione e la messa in atto di azioni di trasferibilità del modello sperimentato. 47 Bibliografia e sitografia Volumi – Arendt H. (1999), Vita Activa. La condizione umana, Bompiani, Milano. – Bertagna G. (2006), Pensiero manuale. La scommessa di un sistema educativo di istruzione e di formazione di pari dignità, Rubbettino, Soveria Mannelli. – Bocca G., Pedagogia del lavoro. 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