SVIMEZ/00_com_stampa.pdf
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Roma,18 luglio 2008
SVIMEZ, IL NON-SISTEMA MEZZOGIORNO,
PERIFERIA DELL’EUROPA
PIL A +0,7%, IN TESTA PUGLIA, MOLISE E BASILICATA
DISOCCUPAZIONE IN CALO, MA IL TASSO REALE SUPERA IL 20%
Un Mezzogiorno che non riesce a tenere il lento passo dell’economia
settentrionale, e che da sei anni consecutivi cresce meno del Centro-Nord.
Un’area periferica, un non-sistema infrastrutturale socialmente statico, dove
cresce il rischio di povertà e dove i disoccupati scompaiono dalle statistiche:
questa la fotografia che emerge dal Rapporto sull’economia del Mezzogiorno
2008 in presentazione a Roma venerdì 18 luglio.
Nel 2007 il Sud è cresciuto dello 0,7%, un punto di meno rispetto al
Centro-Nord e in calo di 0,4 punti percentuali rispetto allo scorso anno. Il
PIL per abitante è pari a 17.482 euro, il 57,5% del Centro-Nord (30.380 euro),
da cui lo separa una differenza di oltre 42 punti percentuali, pari a circa 13mila
euro.
In termini di crescita, tutte le regioni registrano segni positivi, tranne la
Calabria. In testa alle regioni del Mezzogiorno la Puglia (2%), seguita da Molise
(+1,7%), Basilicata (+1,5%) e Sardegna (+1,3%). Quasi ferme Campania
(+0,5%) e Sicilia (+0,1%).
A livello settoriale si registra nell’area una tenuta del sistema industriale,
cui corrisponde però un forte rallentamento dei servizi: tra il 2001 e il 2007 il
settore nel Mezzogiorno è cresciuto dello 0,8% contro l’1,7% dell’altra
ripartizione; anche nel 2007 ha registrato una crescita pari a un quarto di quella
del Centro-Nord.
Due le cause principali del fenomeno: investimenti che rallentano,
famiglie che non consumano. Rilevante infatti il rallentamento degli investimenti
fissi lordi dell’area (che hanno fatto segnare nel 2007 un timido +0,5% a fronte
del + 2,4% dell’anno precedente), che testimonia il peggioramento del clima di
fiducia delle imprese. Sulla stessa linea la spesa delle famiglie meridionali, ferma
al +0,8%, circa la metà di quella del Centro-Nord (+1,5%). Da sette anni la
dinamica dei consumi interni è poco più che stagnante (+0,5%), a conferma
delle difficoltà delle famiglie meridionali a sostenere il livello di spesa.
IL MEZZOGIORNO CRESCE MENO DELLE ALTRE AREE DEBOLI UE
Il quadro diventa sconsolante se confrontato con le dinamiche economiche
degli altri paesi europei. Dal 2000 al 2007 il tasso di crescita dell’economia
meridionale è stato del 2%, un dato molto lontano da quello spagnolo
(+4,9%), irlandese (+5,5%) e greco (+6,2%). In questi paesi sono state proprio
le aree deboli, per molti anni ai margini delle direttrici economiche europee, a
rilanciare i processi di crescita interni, come ha dimostrato il sorpasso
spagnolo.
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OCCUPAZIONE A CRESCITA ZERO - CONTINUA LA SCOMPARSA
DEI DISOCCUPATI – IL TASSO DI DISOCCUPAZIONE REALE AL SUD
SAREBBE DI OLTRE IL 28%
Come negli scorsi anni, continua il calo dei disoccupati: meno 66mila al
Centro-Nord e ben meno 101mila al Sud, con una flessione rispetto all’anno
precedente rispettivamente dell’8,6% e addirittura dell’11,2%. Ma non tutti i
disoccupati hanno trovato un nuovo lavoro.
Nel 2007 infatti il Mezzogiorno ha registrato un’occupazione a crescita
zero, a fronte di un aumento dell’1,4% al Centro-Nord (+234mila in valori
assoluti). Molto positivi i risultati di Puglia (+2,2%) e Molise (+2,5%), più
modesti quelli di Abruzzo (+0,8%) e Sardegna (+0,9%) mentre la Calabria segna
una forte flessione (-2%). Ma dove sono finiti i 101mila disoccupati meridionali?
Una quota consistente ha smesso di cercare un’occupazione. In
Campania, ad esempio, nel 2007 i disoccupati sono scesi di oltre 38mila unità,
e i nuovi occupati a loro volta sono scesi di 11mila unità. Situazione simile in
Calabria (crollo della disoccupazione del 16% - meno 14.600 disoccupati, ma
calo degli occupati di oltre 12mila unità), Sicilia (-13mila disoccupati e meno
14mila occupati) e Basilicata, dove i valori si annullano a vicenda (meno 2mila
occupati e disoccupati).
In altri termini, negli ultimi sei anni al Sud i disoccupati sono scesi di
635mila unità: 285mila hanno trovato un lavoro, 350mila sono “scomparsi”: non
cercano né trovano lavoro. Nel 2007 dunque al Sud gli inoccupati sono
aumentati di 147mila unità (+248mila disoccupati impliciti – 109mila
disoccupati espliciti).
Aggiungendo ai disoccupati ufficiali quelli impliciti il tasso di
disoccupazione reale al Sud nel 2007 dall’11% attuale più che
raddoppierebbe (28%), a fronte del 6,9% del Centro-Nord.
Spina nel fianco il sommerso, che riguarda al Sud circa 1 lavoratore su
5 (19,2%), a fronte del 9,1% dell’altra ripartizione. Nel 2007 i lavoratori
irregolari al Sud sono scesi di 66mila unità (-4,8%), arrivando a quota 1 milione
304mila. Agricoltura, commercio e servizi i settori dove si concentrano i
lavoratori al nero. Da segnalare la forte presenza di sommerso al Sud nel settore
industriale (11,6% contro 1,8% del Centro-Nord), segno delle forti difficoltà delle
PMI meridionali. Maglia nera alla Calabria, che nel 2007 registra 2,6 lavoratori
irregolari su 10.
FAMIGLIE E LAUREATI A RISCHIO DI POVERTA’
Rispetto al 28% del Centro-Nord, più della metà delle famiglie
monoreddito al Sud risulta esposto al rischio di povertà.
Nel 2005 il 18% delle famiglie meridionali ha percepito meno di 1.000
euro al mese e il 20% circa ha guadagnato tra 1.000 e 1.500 euro mensili. Con
differenze da regione e regione: nel 2005 più di una famiglia su 5 in Sicilia ha
guadagnato meno di 1.000 euro al mese e nelle altre regioni la percentuale varia
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dal 19 al 17%. Inoltre quasi 14 famiglie su 100 al Sud hanno più di tre persone a
carico (4,1% al Centro-Nord), con punte del 18% in Campania.
Vi sono famiglie in cui non ci si può permettere un pasto adeguato
almeno tre volte a settimana (10% sul totale meridionale), né riscaldare
adeguatamente l’abitazione (20%) o comprare vestiti necessari (28%). Quasi
il 20% delle famiglie meridionali nel 2005 ha avuto periodi in cui non poteva
acquistare medicinali. Vasca e doccia in casa mancano ancora al 2% delle
famiglie pugliesi, all’1,5 di quelle calabresi e all’1,4% delle siciliane.
Neanche raggiungere un buon livello di istruzione tutela dall’esposizione
al rischio povertà: si trova in questa situazione il 9,4% dei laureati residenti al
Sud.
MIGRAZIONI, DAL 1997 IN 600 MILA HANNO LASCIATO IL SUD
E IL NUOVO EMIGRANTE E’ PENDOLARE
Negli ultimi dieci anni, dal 1997 al 2007, oltre 600mila persone hanno
abbandonato il Mezzogiorno per trasferire la residenza al Centro-Nord.
Nel 2007 ai 120mila trasferimenti di residenza si aggiungono 150mila
pendolari di lungo raggio, che si spostano temporaneamente al Centro-Nord
per lavorare. Questi flussi di mobilità unidirezionale Sud-Nord sono un caso
unico in Europa e testimoniano la distanza economica tra le due aree.
I nuovi emigranti sono in larga parte pendolari: soprattutto maschi,
giovani (l’80% ha meno di 45 anni), single o figli che vivono in famiglia, con
un titolo di studio medio-alto e che svolgono mansioni di livello elevato nel
50% dei casi, a conferma dell’incapacità del sistema produttivo meridionale di
assorbire manodopera qualifica; alti costi delle abitazioni e contratti a termine
spingono a trasferire definitivamente la residenza.
Lombardia, Emilia Romagna e Lazio restano le tre regioni preferite
dai nuovi emigranti. Le regioni più soggette al pendolarismo di lunga distanza
verso il Nord sono la Campania (50mila unità), Sicilia (28mila) e Puglia (21mila).
IL SUD ANCORA TAGLIATO FUORI DAI FLUSSI DI IDE
Gli investimenti diretti esteri (IDE) nel 2006 (che in Italia
rappresentano appena l’1,8% del PIL contro valori medi nell’Ue del 3,7%)
sono stati concentrati per appena lo 0,66% al Mezzogiorno, contro il 99,34%
del Centro-Nord.
Più in particolare, è stata la Lombardia a ricevere il 68,2% degli IDE a
livello nazionale, seguita da Piemonte (11,36%), Lazio (7,8%) e Veneto (4,15%),
mentre Campania, Puglia e Basilicata restano ferme allo 0,16%, Sardegna a
Abruzzo allo 0,06%, Calabria e Sicilia allo 0,02% e il Molise allo 0,01%.
Forte il divario anche riguardo alla quota di IDE per abitante: negli anni
2002-2006 l’Italia ha attirato in media solo 253 euro pro capite, contro i 608
della Francia e i 1.200 euro del Regno Unito. Di questi, 241 sono concentrati nel
Centro-Nord, mentre al Sud vanno soltanto 12 euro per abitante.
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Tra i vincoli che penalizzano gli investimenti esteri nell’area la carenza di
infrastrutture, la scarsità di servizi alle imprese (aggravata da una burocrazia
inefficiente) e la criminalità organizzata.
In questo senso le aree urbane, “in altre aree europee veri motori dello
sviluppo, luogo dove si concentrano le funzioni direzionali e innovative, i mercati
e le risorse più qualificate” diventano invece al Sud “luoghi di disagio e di
svantaggio, dove le donne sono escluse dal mondo del lavoro, le emergenze
ambientali e le sperequazioni sociali sono più forti. Lo dimostra il caso Napoli”,
dove, al di là dei rifiuti, “è stata messa a nudo l’inadeguatezza del sistema
istituzionale e di governance”.
Altra forte carenza nel Mezzogiorno è data dal sistema creditizio locale,
che concentra nell’area solo il 17,6% degli sportelli. I confidi meridionali,
chiamati a svolgere un ruolo di primo piano nel sostenere il rilancio del sistema
industriale, si trovano però in condizione di forte debolezza, con un capitale
sociale medio di 470mila euro, meno della metà della media dei confidi
settentrionali, e con un volume di garanzie medio di 8,8 milioni di euro,
distante anni luce dai 42 del Nord.
MEZZOGIORNO ANCORA TROPPO POCO COMPETITIVO
In base a tre indicatori individuati dalla SVIMEZ (benessere economico,
situazione di partecipazione ed equilibrio del mercato del lavoro, livello di
sviluppo delle risorse umane e della ricerca scientifica) è stato costruito un indice
di competitività che conferma in modo evidente la debolezza del Mezzogiorno.
Sicilia, Puglia, Campania e Calabria registrano i più bassi tassi di
occupazione femminile in Europa (sotto il 30%), distanti di quasi 10 punti dalle
regioni più arretrate della Grecia e della Spagna e di quasi 20 dall’est Europa. Sul
fronte della ricerca pesa la scarsità di laureati nelle discipline scientifiche: (dal
10,4% di laureati sulla popolazione adulta in Sardegna ai 10,8% della Sicilia.
Per trovare in Europa il successivo valore più basso dovremo andare in
Extremadura, Spagna, con il 21%.
Non va meglio neanche riguardo alla spesa per ricerca e sviluppo in
percentuale del PIL: rispetto a un valore medio Ue dell’1,8%, a parte l’1,2%
della Campania tutte le regioni meridionali sono sotto il punto percentuale, fino
allo 0,4% del PIL della Calabria.
CONTINUA IL CALO DELLA SPESA PUBBLICA IN CONTO CAPITALE
La quota di spesa pubblica in conto capitale del Mezzogiorno è
passata dal 40,6% del 2001 al 35,3% nel 2007, arrivando così al livello più
basso dal 1998. Tale quota non solo è ben lontana dall’obiettivo del 45% fissato
in fase di programmazione, ma non raggiunge neppure il peso naturale del
Mezzogiorno (la media tra la sua quota di popolazione e di territorio) che è del
38% circa. Negli ultimi anni nel Mezzogiorno la spesa “aggiuntiva” nazionale e
comunitaria, data l’esiguità delle risorse, si è limitata a compensare le carenze
della spesa ordinaria.
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La quota di risorse ordinarie ha segnato un ulteriore diminuzione,
passando da 11,8 a 10,2 miliardi di euro, dal 24,5% del 2006 al 21,4% del 2007.
Il livello basso della spesa ordinaria ha ultimamente ridotto l’efficacia
delle politiche di coesione nazionale. La dispersione delle risorse aggiuntive in
molteplici interventi e la progettazione scoordinata degli stessi, gestita soprattutto
dagli enti locali, non hanno prodotto i risultati attesi.
INFRASTRUTTURE
Fatto pari a 100 il valore Italia, riguardo alla dotazione di autostrade il
Sud è fermo al 78,6%, con livelli particolarmente bassi per Molise (37,4) e
Basilicata (13,4), fino ad arrivare alla Sardegna, totalmente priva di autostrade.
Non va meglio sul fronte delle ferrovie: il 42% delle linee presenti nell’area
non sono elettrificate. Sottodotate anche le linee di trasmissione elettrica e del
gas (67,3% dell’Italia), che raggiungono percentuali ancora più basse in Basilicata
(49,2%), Molise (37,4) e Sardegna (32,2). Fa eccezione la Campania, che registra
il 123,1%.
L’indice sintetico di dotazione di reti idriche ferma il Sud al 65,6%, la
metà circa del Centro-Nord (135,2). Nel Mezzogiorno inoltre il 37% dell’acqua
immessa in rete viene perso, con percentuali particolarmente elevate in
Sardegna (43,2%) e Puglia (46,3%).
Molise e Basilicata sono totalmente prive di aeroporti; tutti gli aeroporti
meridionali hanno collegamenti stradali, ma mancano quelli ferroviari.
Particolarmente carente la presenza di strutture intermodali (37,8%) e di
magazzini all’interno dei porti, ancora troppo piccoli e orientati soprattutto al
traffico passeggeri. Scarsissima la capacità di movimentazione dei mezzi per il
trasporto merci, che dota il Sud di un indice pari a un centesimo della media
nazionale.
Unica eccezione in questo panorama, il porto industriale di Gioia Tauro,
che è tornato a essere il porto di transhipment leader nel Mediterraneo, con
3,5 milioni di TEU di traffico e una crescita del 19,1% rispetto al 2006.
Per informazioni: Ufficio stampa Elisa Costanzo: 06/27850239 – 328/1430500
SVIMEZ/01_Direttore.pdf
Roma, 18 luglio 2008
Riccardo PADOVANI
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Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del
Mezzogiorno
2,9
0,7
1,7
CRESCITA
DEL PIL
NEL 2007
Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del Mezzogiorno
0,5 0,1
1,8
0,6
2,1
1,2
8,8
Mezzogiorn
o
Centro-Nord
0,4
-0,3
0,6 0,3
1,1
0,7
5,0
2002 2003 2004 2005 2006
TASSI ANNUI DI VARIAZIONE % DEL PIL
Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del Mezzogiorno
2001 - 2007
0,7
2007
1,7
Media Cumulata
annua
Media Cumulata
annua
Mezzogiorno Centro-Nord
2,4
5,8
-2,6
2,1 1,5 2,5
1,9
13,8
Mezzogiorn
o
Centro-Nord
3,5
-2,0
2,9 2,6
-1,6
2,4
1,2
8,4
2001 2002 2003 2004 2005 2006
Media Cumulata
annua
TASSI ANNUI DI VARIAZIONE % DEGLI INVESTIMENTI FISSI LORDI TOTALI
Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del Mezzogiorno
2001 - 2007
0,5
2007
1,5
Media Cumulata
annua
Mezzogiorno Centro-Nord
1,5
4,7
-7,4
2,5 2,5 2,3
0,9
6,6
Mezzogiorno
Centro-Nord
0,7
-7,5
5,5
1,7
-4,5
7,6
0,2 1,1
2001 2002 2003 2004 2005 2006
Media Cumulata
annua
TASSI ANNUI DI VARIAZIONE % INVESTIMENTI FISSI LORDI IN MACCHINE E
ATTREZZATURE
Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del Mezzogiorno
2001 - 2007
-1,5
2007
0,6
Media Cumulata
annua
Mezzogiorno Centro-Nord
0,5
0.0
0,6
1,1 0,8
1,4
0,8
6,1
Mezzogiorn
o
Centro-Nord
0,4
-0,3
0,7 0,4 0,6 0,7 0,5
3,3
2001 2002 2003 2004 2005 2006
Media Cumulata
annua
TASSI ANNUI DI VARIAZIONE % DEI CONSUMI DELLE
FAMIGLIE
Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del Mezzogiorno
2001 - 2007
0,8
2007
1,5
2,4
1,2 0,7
2,0
1,3
2,3
1,7
12,7Mezzogiorn
o
Centro-Nord
2,7
0,1
-0,4
0,4 0,5
1,5
0,8
5,5
2001 2002 2003 2004 2005 2006
Media Cumulata
annua
TASSI ANNUI DI VARIAZIONE % DEL VALORE AGGIUNTO DEL SETTORE DEI
SERVIZI
Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del Mezzogiorno
2001 - 2007
0,6
2007
2,3
Media Cumulata
annua
Mezzogiorno Centro-Nord
PIL PRO CAPITE IN PPA
Tassi medi annui di crescita (%) 2001-2007
Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del Mezzogiorno
MEZZOGIOR
NO
2,0
GERMANIA 3,3
SPAGNA 4,9
IRLANDA 5,5
GRECIA 6,2
UE a 27 3,9
PIL IN PPA NELLE AREE “DEBOLI” E NELLE AREE
“FORTI”
Tassi medi annui di crescita (%) 2000-2005
Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del Mezzogiorno
REGIONI
CONVERGENZ
A
REGIONI
COMPETITIVIT
A’
TOTALE
ITALIA 1,5 1,7 1,7
GERMANI
A
3,0 2,8 2,8
SPAGNA 6,5 5,8 6,0
IRLANDA 7,6 7,0 7,2
GRECIA 6,6 4,4 6,5
UE a 27 4,8 3,3 3,7
Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del Mezzogiorno
INDICE SINTETICO DI
OCCUPABILITA’
Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del Mezzogiorno
PUGLIA, CAMPANIA,
SARDEGNA
MOLISE, BASILICATA,
CALABRIA, SARDEGNA
ABRUZZO
CENTRO-NORD
INDICE SINTETICO DI
OCCUPABILITA’
Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del Mezzogiorno
INDICE SINTETICO DI
FORMAZIONE E
RICERCA
Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del Mezzogiorno
MOLISE, PUGLIA, CAMPANIA,
BASILICATA, CALABRIA,
SICILIA, SARDEGNA
ABRUZZO
INDICE SINTETICO DI
FORMAZIONE E
RICERCA
Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del Mezzogiorno
INDICE SINTETICO DI
COMPETITIVITA’
ECONOMICA
Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del Mezzogiorno
PUGLIA, BASILICATA,
CAMPANIA, CALABRIA, SICILIA
ABRUZZO, MOLISE,
SARDEGNA
INDICE SINTETICO DI
COMPETITIVITA’
ECONOMICA
SPESA DELLA P.A. IN CONTO CAPITALE NEL MEZZOGIORNO
Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del Mezzogiorno
2000 2001 2002 2003 2004 200
5
2006 200
7
Miliardi di euro 2007
ORDINARIA 11,4 9,3 13,0 13,4 11,3 11,
3
11,8 10,
2PER LE AREE
SOTTOUTIL.
10,5 15,1 11,2 10,4 11,0 10,
7
10,9 12,
1COMPLESSIVA 21,9 24,4 24,3 23,8 22,3 22,
1
22,7 22,
3In % dell’Italia
ORDINARIA 27,0 22,2 26,3 26,1 23,4 23,
9
24,5 21,4
PER LE AREE
SOTTOUTIL.
75,2 81,8 83,3 79,2 78,8 78,
0
79,3 78,1
COMPLESSIVA 39,0 40,4 38,5 36,8 35,9 36,
0
36,8 35,3
STATO DI AVANZAMENTO DELLA SPESA
DEL QCS 2000-2006, Obiettivo 1 a fine 2006
Pagamenti in % delle risorse programmate
Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del Mezzogiorno
ITALIA 60,1
GERMANIA 77,3
SPAGNA 75,1
IRLANDA 82,8
UE a 15 69,1
Roma, 18 luglio 2008
Riccardo PADOVANI
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Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del
Mezzogiorno
SVIMEZ/02_Vice Direttore.pdf
Roma, 18 luglio 2008
Luca BIANCHI
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Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del Mezzogiorno
Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del Mezzogiorno
MANCATO SVILUPPO
DEL MEZZOGIORNO
DISEGUAGLIANZA
DEI REDDITI
SVILUPPO
EQUITA’
Le Regioni meridionali:
più povere e più diseguali
Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del Mezzogiorno
Le Regioni meridionali
più povere e più diseguali
Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del Mezzogiorno
Disuguaglianza
dei redditi
Il rischio povertà: le famiglie in bilico
Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del Mezzogiorno
% delle famiglie per classi di reddito
Meno di
1000 �
mensili
Tra 1000 e
1500 �
mensili
Più di 3000 �
mensili
Mezzogiorno 18,0 19,7 21,7
Centro-Nord 7,3 12,5 40,2
Le nuove povertà: anche gli occupati
sono sempre più a rischio
Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del Mezzogiorno
Mezzogiorno Centro-Nord
Lavoratori dipendenti 19,6% 4,6%
di cui: pubblici 9,0% 1,6%
privati 29,6% 7,3%
Quota dei lavoratori esposti al rischio povertà per settore
Le nuove povertà: anche gli occupati
sono sempre più a rischio
Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del Mezzogiorno
Mezzogiorno Centro-Nord
Fino alla scuola dell’obbligo 39,8% 14,8%
Media superiore 25,3% 7,5%
Laurea 9,4% 4,0%
Quota dei lavoratori esposti al rischio povertà per titolo di studio
Mezzogiorno Centro-Nord
1 percettore 51,6% 28,6%
2 percettori 27,6% 6,6%
Quota delle famiglie esposte al rischio povertà per percettori di reddito
Il Sud tra immobilità interna
e nuove migrazioni verso il Nord
Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del Mezzogiorno
Centro-Nord
Elevata mobilità interna multidirezionale
Forte pendolarismo
Consistente immigrazione dall’estero e dal Sud
Mezzogiorno
Scarsi spostamenti di breve e medio raggio
Bassa immigrazione dall’estero e non qualificata
Elevata emigrazione qualificata verso il Nord
Il Sud tra immobilità interna
e nuove migrazioni verso il Nord
Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del Mezzogiorno
Centro-Nord
Elevata mobilità interna multidirezionale
Forte pendolarismo
Consistente immigrazione dall’estero e dal Sud
Mezzogiorno
Scarsi spostamenti di breve e medio raggio
Bassa immigrazione dall’estero e non qualificata
Elevata emigrazione qualificata verso il Nord
Modello regioni industrializzate
Staticità del sistema locale e
riduzione potenzialità di sviluppo
Il Sud tra immobilità interna
e nuove migrazioni verso il Nord
Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del Mezzogiorno
Centro-Nord
Elevata mobilità interna multidirezionale
Forte pendolarismo
Consistente immigrazione dall’estero e dal Sud
Mezzogiorno
Scarsi spostamenti di breve e medio raggio
Bassa immigrazione dall’estero e non qualificata
Elevata emigrazione qualificata verso il Nord
83% della mobilità residenziale è di
breve raggio (+34% rispetto al 1996)
58% della mobilità residenziale è di
breve raggio (-4% rispetto al 1996)
Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del Mezzogiorno
I sistemi locali del lavoro
che perdono e attraggono
popolazione
VECCHIA E NUOVA EMIGRAZIONE
Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del Mezzogiorno
60.000 Rientri
20.000 Temporanei
120.000 Trasferimenti
150.000 Temporanei
Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del Mezzogiorno
I pendolari dalle Regioni
del Sud al Nord
Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del Mezzogiorno
L’identikit del nuovo emigrante meridionale
Quota sul totale dei
pendolari Sud Nord
25 - 34 anni 43%
Diploma
Laurea
44%
25%
Settore dei servizi 70%
Lavora da 1 anno
oltre 5 anni
32%
31%
Qualifica medio-alta 55%
Lavoro dipendente
di cui: a termine
90%
1/3
Accelerare il grado di apertura del Mezzogiorno
per rompere l’immobilità del sistema meridionale
INTEGRAZIONE
INTERNAZIONALIZZAZIONE
Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del Mezzogiorno
ACCESSIBILITA’
PERIFERICITA’
PROMOZIONE
DELL’EXPORT
ATTRAZIONE DEGLI
INVESTIMENTI
Accelerare il grado di apertura del Mezzogiorno
per rompere l’immobilità del sistema meridionale
INTEGRAZIONE
INTERNAZIONALIZZAZIONE
Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del Mezzogiorno
ACCESSIBILITA’
PERIFERICITA’
PROMOZIONE
DELL’EXPORT
ATTRAZIONE DEGLI
INVESTIMENTI
Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del Mezzogiorno
INDICE DI PERIFERICITA’
DELLE REGIONI EUROPEE
Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del Mezzogiorno
ACCESSIBILITA’ DEI SISTEMI
LOCALI DEL LAVORO
RAPPRESENTAZIONE
DELL’INTERAZIONE DINAMICA
TRA TESSUTO PRODUTTIVO E
RETE LOGISTICA
Accelerare il grado di apertura del Mezzogiorno
per rompere l’immobilità del sistema meridionale
INTEGRAZIONE
INTERNAZIONALIZZAZIONE
Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del Mezzogiorno
ACCESSIBILITA’
PERIFERICITA’
PROMOZIONE
DELL’EXPORT
ATTRAZIONE DEGLI
INVESTIMENTI
Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del Mezzogiorno
DEBOLEZZA STRUTTURALE DELL’EXPORT MERIDIONALE
Quota % per settore alla Pavitt
MEZZOGIORNO CENTRO-NORD
2003-2005 2006-2007 2003-2005 2006-2007
Tradizionali 25,7% 19,6% 27,8% 25,4%
Di scala 54,1% 60,9% 36,5% 38,7%
Specialistici 8,5% 8,9% 23,5% 24,8%
Alta tecnologia 11,7% 10,6% 12,1% 11,1%
Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del Mezzogiorno
ATTRAZIONE DEGLI INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI
IDE SU
INVESTIMENTI
TOTALI
ITALIA 6,6%
SPAGNA 6,8%
FRANCIA 14,6%
IRLANDA 21,1%
POLONIA 21,0%
REGNO UNITO 32,1%
IDE
Mezzogiorno 0,7
Centro-Nord 99,3
DISTRIBUZIONE TERRITORIALE
Rapporto SVIMEZ 2008
sull'economia del Mezzogiorno
ATTRAZIONE DEGLI INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI
IDE PER
ABITANTE
(2002-2006)
ITALIA 253 �
SPAGNA 490 �
FRANCIA 608 �
REGNO UNITO 1.200 �
UE a 27 680 �
IDE
Mezzogiorno 12 �
Centro-Nord 241 �
DISTRIBUZIONE TERRITORIALE
SVIMEZ/03_Novacco.pdf
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L’Italia, tra cento “divari territoriali”
ed uno strutturale “dualismo” Nord/Sud.
TRACCIA DELLA INTRODUZIONE DI NINO NOVACCO
Roma, 18 luglio 2008
1. Apro quest’anno la mia esposizione con una dichiarazione che spe-
ro possa rallegrare i molti amici meridionalisti che vedo qui presenti,
convenuti per prendere atto dei diversificati aspetti dell’annuale “Rap-
porto SVIMEZ sull’economia del Mezzogiorno” − tecnicamente e stati-
sticamente assai valido ed adeguato, ma ancora insopportabilmente non
soddisfacente per la triste “fotografia”, in bianco e nero, che nel merito
esso fornisce sulla condizione economico-sociale meridionale − e per
seguire il dibattito che ancora una volta ci proponiamo di animare sui
temi del necessario sviluppo del Sud, fattore e condizione per la crescita
dell’economia italiana, da tempo caratterizzata invece da una condizio-
ne di relativo declino.
A seguito di un invito formulato dal Presidente della Repubblica,
Sen. Giorgio Napolitano, da me sollecitato, un gruppo di istituzioni me-
ridionaliste e meridionali si è incontrato il 9 giugno scorso al Quirinale,
per concordare le modalità di una loro reciproca sistematica collabora-
zione sui temi di un più equilibrato futuro della Nazione, e per testimo-
niare unitariamente al Paese − pur nella ovvia autonomia di ognuno e
rispettosi delle caratteristiche storiche di ciascuna istituzione − il loro
sostanziale comune impegno per lo sviluppo e verso la coesione.
Sono stati perciò qui invitati − in via formale per la prima volta −
gli amici che con noi della SVIMEZ si sono incontrati al Quirinale, e
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che contiamo possano definire presto, insieme, ulteriori occasioni ed i-
niziative di comune impegno nazionale e meridionalista.
Di ciò sono lieto di dare pubblica testimonianza, rinnovando il rin-
graziamento al Presidente Napolitano per la sua sensibilità ed attenzio-
ne, ma anche per il messaggio che nell’odierna occasione Egli ci ha fat-
to pervenire, e di cui dò lettura.
2. Il meridionalismo della SVIMEZ, legato alla lettura e comprensione
dei numeri più che all’inseguimento delle non sempre chiare né signifi-
cative astrazioni della politica, è oggettivamente testardo, nel senso che
non si pone all’inseguimento di continuamente nuove ipotesi tipologi-
che di obiettivi ed interventi − che peraltro rientrano nelle doverose re-
sponsabilità dei Governi, soprattutto di quelli elettivi, e semmai di quel-
li ombra, fino ad ora tutti alquanto distratti da altre più facili o fruttuose
priorità − ma insiste da sempre sulla necessità che il Paese si decida a
scegliere ed adottare soluzioni strutturali capaci di porre rimedio al
problema dei crescenti “divari territoriali”, ed a ciò che tutti tali molte-
plici differenziali quali-quantitativi sintetizza, e che noi chiamiamo
“dualismo”, e che potremmo indicare evocando il crescente rischio di
una sorta di accelerata “disunità” dell’Italia, i cui termini abbiamo sot-
toposto al Presidente della Repubblica, garante appunto della Costitu-
zione e dell’unità dello Stato.
Lo scorso anno, al termine del dibattito sugli andamenti
dell’economia meridionale ed italiana, ebbi ad insistere qui nel sottoli-
neare l’assenza, per il Mezzogiorno, di un “disegno nazionale di politi-
ca economica”, per definire il quale avevamo vanamente sollecitato di
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intervenire nel dibattito alcuni tra i più autorevoli esponenti Parlamen-
tari della maggioranza e dell’opposizione di allora.
La situazione di oggi − pur sotto vari profili assai diversa − è tale
per cui sarebbe possibile partire ora da quelle stesse notazioni.
In effetti la SVIMEZ – che non può non ribadire le proprie perdu-
ranti preoccupazioni per gli andamenti dell’economia del Mezzogiorno
quali emergono anche quest’anno in termini di prodotto, di investimen-
ti, di occupazione, e finanche dalle tendenze demografiche di lungo pe-
riodo dell’Italia, che avranno pesanti effetti contrapposti al Nord e al
Sud − ritiene di dover confermare le non favorevoli conseguenze ed
implicazioni del vuoto nazionale in materia di politica economica, che
pur non sarà certo di per sé in grado di dare pronta soluzione (comun-
que impossibile a breve, ma che sarebbe irresponsabile non avviare con
rigore scientifico e con ogni possibile urgenza) ai problemi meridionali,
ma che in ogni caso appare essenziale per fissare i punti fermi di un ge-
nerale approccio italiano allo sviluppo ed alla coesione, in cui un riequi-
librio strategico tra le spese in conto capitale di base e quelle addizio-
nali, ed un nuovo equilibrio tecnico tra agevolazioni e infrastrutture,
che siano effettivamente incisive e determinanti (e le città e l’economia
di uno Stato-Nazione non vivono di solo arredo urbano, o di opere pa-
ra-sociali o para-culturali, ma anche di grandi opere strategiche), e che
si prospettano comunque necessari, all’interno di un quadro econome-
trico definito e coerente.
Una politica per l’Italia − ed è questo ciò che oggi serve a tutti gli
italiani, e non politiche sistematicamente e solo locali o settoriali − de-
ve oggi essere insieme capace di risolvere sia i non pochi “problemi”
presenti nel nostro Centro-Nord (che sono assai sentiti dalle sue popo-
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lazioni, come i risultati elettorali hanno confermato), sia quelli struttu-
rali che mantengono ancora irrisolta nel meridione la storica “questio-
ne”, peraltro neppure sentita ed affrontata dalla maggioranza del Paese
come prioritariamente condizionante l’unità della Nazione; esigenza,
quest’ultima, che è stata peraltro oggettivamente indebolita dalle spinte
localistiche e para-federalistiche che si sono diffuse negli ultimi de-
cenni.
Le complesse responsabilità della politica nazionale verso i proble-
mi presenti nel Nord, ed insieme verso la storica “questione meridiona-
le”, non appaiono essere al centro dell’impegno di Governo − dicevo
nel 2007 e confermo oggi −, che acconsente vengano considerati priori-
tari rispetto a quelli economici, aventi carattere strutturale e strategico,
altri temi – diritti civili, funzionamento dei tribunali, esigenze ecologi-
che ed ambientali, modeste correzioni al sistema fiscale o pensionistico,
costruzione di piccole case popolari, sostegni alle situazioni di più gra-
ve povertà sociale – che dovrebbero far parte dell’ordinario impegno di
progresso di una società mediamente ricca e mediamente avanzata.
Di fatto il nostro Paese non è stato finora in grado di definire nep-
pure le linee di un realistico e necessario programma di politica econo-
mica a lungo temine, che dal 1992 non ha trovato né nei vari Governi,
nè nel sistema istituzionale complessivo, punti e luoghi unitari di deci-
sionalità, nello spezzettamento e nella disarticolazione e nella frequente
ridefinizione delle sedi istituzionali, e nell’assenza per contro, nel Par-
lamento, di un unitario luogo di discussione e di ricerca di soluzioni,
quale potrebbe essere una autorevole “Commissione bicamerale sui
problemi nazionali della coesione”, che lo scorso anno ebbi ad evocare
come necessaria, e la cui opportunità ribadisco anche oggi.
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Su tali questioni – in ordine alle quali da decenni il Mezzogiorno ha
dialogato con personalità ed esperti di diversa ispirazione e collocazio-
ne, con Regioni e territori, con imprenditori e con sindacati – la SVI-
MEZ esprime l’augurio che un più intenso ed efficace confronto si pos-
sa avere nel prossimo futuro, anche con più specifici ed impegnativi
approfondimenti, nelle Commissioni Parlamentari, tradizionali o tema-
tiche, della Camera e del Senato, di cui è certo opportuno rivedere ruoli
e prassi, ma senza ridurre il Senato a mero costoso megafono di regio-
nalismi e localismi, contraddittorî con l’unità dello Stato, e con la dove-
rosa unitarietà degli approcci nazionali.
Per quel che la storia della SVIMEZ ha rappresentato, non possia-
mo non confermare che la natura decisiva della questione strutturale del
Sud – che resta “problema aperto”, come è stata definita dal prof. Giu-
seppe Galasso – appare comunque tale da richiedere, con ogni consenti-
ta urgenza, una sorta di autorevole “Conferenza Nazionale”, in cui Par-
lamento e Governo, e le istituzioni specializzate, e la cultura migliore
del Paese tutto, possano esprimere al meglio impegnative e se del caso
contrapposte posizioni, non certo tuttavia solo meramente declaratorie e
propagandistiche – magari con slogans di autocondanna, come “il Sud
deve salvarsi da solo”, oppure “non c’è nulla da fare finché c’è la ma-
fia”, oppure, “in fondo si sta facendo molto…” –, ma entrando nel meri-
to dei difficili problemi territoriali che condizionano la coesione nazio-
nale da costruire, premessa ad ogni pur necessaria socialità e sussidia-
rietà, con le quali è doveroso evitare ogni confusione, gravi essendo i
rischi della retorica delle parole.
Su tali temi ho ritenuto, dopo la tornata elettorale dell’aprile scorso,
di sollecitare una riflessione dei Parlamentari italiani vecchi e nuovi, in
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qualsiasi circoscrizione eletti, inviando loro una lettera − che ritroverete
ora riprodotta nel “Quaderno SVIMEZ n. 16” che vi è stato oggi conse-
gnato − su passato, presente e futuro del dualismo Nord/Sud; una sinte-
si, storica, attuale e prospettica, come aiuto a capire, a riflettere e a
decidere, alla luce delle reali condizioni di disarmonico sviluppo in cui
si trova il nostro Paese; ma anche come occasione per affermare il no-
stro convincimento in ordine alla entità, qualità e dinamica della spesa
per lo sviluppo e la coesione in Italia, che deve poter contare su un flus-
so di risorse ordinarie parametrato al “peso naturale” dei territori, e su
un adeguato e non incerto stanziamento – spendibile perché program-
mato e progettato ex-ante – di risorse straordinarie ed addizionali.
Noi della SVIMEZ non siamo quantitativisti, e non siamo quindi
noi che abbiamo mai chiesto prioritariamente soldi per il Mezzogiorno,
né abbiamo gridato di gioia per i 100 miliardi 2007-2015 destinati, sen-
za indicazioni di finalità strategiche, al Mezzogiorno con la finanziaria
2007. Ma riteniamo che un processo di sviluppo che voglia porsi – nel
quadro di un meccanismo di sviluppo – l’obiettivo della convergenza
verso la coesione economica, richiede tendenzialmente, nelle due ma-
cro-regioni del Paese, pari condizioni infrastrutturali, e afflussi di capi-
tali che nella grande Regione meridionale debole e in ritardo non pos-
sono ovviamente che essere largamente esterni, nel senso che non pos-
sono formarsi certo e solo all’interno di un’area che − come il Mezzo-
giorno − si caratterizza insieme per un più basso livello di PIL e per una
sistematica sotto-dotazione di fattori essenziali allo sviluppo produttivo,
pur presentando il Sud la disponibilità di fattori utili e determinanti per
la crescita nazionale e locale.
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Concludo queste preliminari notazioni ripetendo che la piccola
SVIMEZ, quasi sola in passato nel perseguire e nel suggerire al Paese
un organico disegno di politica economica − che è sicuramente assai
ambizioso, ma che a noi appare necessario per salvare l’unità della Na-
zione, che temiamo possa correre elevati rischi, come una crescente let-
teratura relativa al Nord sottolinea fin nei proliferanti e provocatori suoi
titoli −, non ci sembra possa fare molto di più, se non continuare, finché
risulterà utile e possibile, a predicare quello che crediamo essere obiet-
tivo e compito a lungo termine dello Stato, e dell’intera società naziona-
le.
3. Anche quest’anno ci proponiamo di mettere al centro del dibattito −
che con questa introduzione intendiamo ora sollecitare tra gli esponenti
politici delle attuali maggioranza e minoranza uscite dalle Elezioni
dell’aprile 2008 che hanno ritenuto di accogliere il nostro invito − il
tema della coesione economica nazionale. Vorremmo infatti che potes-
sero essere resi espliciti i giudizi delle forze politiche italiane in ordine
alla reale priorità ed urgenza − rispetto ai molti e troppo vari temi di
cui ogni giorno i Governi dicono di doversi occupare sol perché lo
hanno promesso agli elettori nei loro pur vaghi programmi − che esse
intendono attribuire alla squilibrata “coesistenza” della storica questio-
ne meridionale, con la cosiddetta questione settentrionale.
La prima “questione”, quella meridionale, appare caratterizzata dal-
la sistematica negatività delle condizioni del Sud, confermata dalla
molteplicità dei dati economico-sociali che vengono rilevati
dall’ISTAT e da tutti i centri e luoghi di osservazione della situazione
economica e produttiva nazionale. In proposito non è irrilevante osser-
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vare e ricordare che da diversi anni non si è determinato alcun signifi-
cativo avvicinamento strutturale tra i livelli di sviluppo del Centro-
Nord e del Mezzogiorno, ma anzi, con riferimento all’ultimo decennio,
sono proprio le regioni forti del Centro-Nord ad avere fatto segnare tas-
si di crescita più sostenuti, evidenziando così un aggravamento delle
divergenze interne al Paese, unico caso in un’Europa che tende invece,
sia pur lentamente, a convergere.
La seconda c.d. “questione”, quella settentrionale, riflette per contro
− malgrado la maggiore crescita del PIL e dell’occupazione (che peral-
tro sollecita una elevata immigrazione) la accresciuta sensibilità delle
aree storicamente forti ed avanzate dell’Italia verso i molti problemi
che esse oggi sentono come limite alla loro produttività e al loro ruolo
nei mercati concorrenziali, ma anche per le condizioni di vita in quei
territori − la lentezza dei traffici, e fin la sicurezza pubblica e privata −,
che sempre più la stampa e la politica tendono ad identificare con le
priorità cui Governo e Parlamento dovrebbero sentirsi chiamati a dedi-
carsi.
Provocatoriamente, e con grande franchezza, voglio rilevare che
tutti i Partiti politici italiani hanno sempre tendenzialmente rifiutato di
accogliere l’approccio macro-economico e strutturale del concreto me-
ridionalismo della SVIMEZ, e che anche le strutture di ricerca e le Fon-
dazioni gravitanti attorno ad alcuni Partiti si occupano generalmente
d’altro, tendendo, rispetto al dualismo Nord/Sud, a concentrare i loro
giudizi sugli andamenti a breve e sulla congiuntura, o utilizzando anche
i dati della pur essenziale “spesa pubblica in conto capitale” come me-
ro indicatore dell’impegno − letto volta a volta con ottimismo o pessi-
mismo, a seconda che in ciascun momento esse si trovino al Governo o
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all’opposizione −, ma certo poco valendosi di strumenti di analisi sofi-
sticati ed a lungo termine, capaci di incrociare gli investimenti infra-
strutturali e produttivi nel territorio − quelli ordinari, e soprattutto quel-
li straordinari e strategici − con il PIL, e con l’occupazione, e con le
dotazioni ambientali, e con l’attrattività dei territori, e magari con le as-
sai deboli tendenze degli investimenti esteri produttivi; per non dire dei
mutamenti che si stanno registrando − come ho accennato − nella stessa
demografia macro-territoriale e nazionale, che entro il 2050 vedrà au-
mentare di oltre 5 milioni gli abitanti del Centro-Nord, e diminuire di
oltre 2 milioni quelli del Sud.
Dopo la lontana stagione della programmazione degli anni ’50 e ’60
[quella di Pasquale Saraceno e di Giorgio Ruffolo, di Paolo Sylos Labi-
ni e di Giorgio Fuà, di Ezio Vanoni e di Antonio Giolitti], non si è mai
più assistito in Italia e nelle sue macro-regioni ad uno sforzo serio di
analisi economica, i governanti essendo stati travolti anch’essi
dall’onda e dalla logica dei sociologismi, cioè degli approcci volta a
volta troppo quantitativi o troppo qualitativi; troppo economici o troppo
sociali; troppo centrali oppure troppo localistici; e da logiche di svilup-
po volta a volta solo dall’alto oppure solo dal basso, che hanno distorto
nel profondo fin la validità dei più costruttivi approcci storici all’unità
dell’Italia.
Da questo punto di vista non è stato producente quel che è avvenuto
– dopo la crisi petrolifera – con la progressiva vanificazione dagli anni
’80 dell’intervento straordinario al Sud, e con l’esaltazione meridiana
del ritorno all’ordinarietà, troppi avendo espresso mal riposta fiducia
che tradizionali e ordinari Ministeri − e Regioni nate dal nulla nel ’70 −
potessero essere in grado di agevolmente farsi carico dei difficili com-
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piti connessi ad una necessariamente forte accelerazione dello sviluppo
in aree non caratterizzate da dotazioni anche solo comparabili, per enti-
tà e qualità, a quelle delle aree già da tempo più avanzate, chiamate
anch’esse a confrontarsi con sempre più vasti mercati mondiali globa-
lizzati.
Nel clima determinatosi, non si dimostrò certo costruttivo
l’impegno micro del centro-sinistra, che venne favorito da forti suoi
spezzoni interni, anti-centralisti e para-federalisti. Il Mezzogiorno fu
così di fatto abrogato dalla politica nei primi anni ’90, ed è certamente
stato errore storico del centro e della sinistra (quando la destra contava
relativamente meno di oggi) l’aver poi concorso a vanificare i pur posi-
tivi approcci [esprimo tuttavia qualche riserva su valori e massimali]
dell’unico tentativo che vi è stato − sullo stimolo di C. A. Ciampi ed at-
traverso il DPS di Fabrizio Barca − a ragionare in termini macro, sep-
pure − qualità delle strutture DPS che si sono dedicate a valide analisi a
parte, che meritano elogio − lasciandosi troppo prendere nella pania dei
formalismi che anche l’Europa di Bruxelles ci ha imposto, quando
anch’essa contribuiva a favorire i localismi, erroneamente confusi con
validi regionalismi.
4. Questa non è certo la sede né per una analisi storica, né per distri-
buire meriti e colpe. Resta che oggi, a quasi 150 anni dall’Unificazione
politica dell’Italia nel 1861, il Paese è ancora economicamente disunito
tra Nord e Sud, mentre sentiamo pesanti giudizi critici sulle “troppo e-
levate risorse” impiegate per un insoddisfacente passato, o che lo sa-
ranno per un non garantito futuro del Sud, riferite ora ai 100 miliardi i-
scritti dal Governo Prodi per il ciclo europeo 2007-2013, l’ultimo cui
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potremo attingere (per i gravi errori italiani di approccio, quali
l’accettazione − per il c.d. “Obiettivo 1” − della soglia del 75% della
media tra le Regioni Ue!); materia che abbiamo consentito venisse a
lungo regolamentata senza alcuna incisiva e determinante presenza ita-
liana, ed accettando quindi che il Sud da sviluppare − con il solo “O-
biettivo 1”, ma non con il “Fondo per la coesione”, che si lasciò fosse
riservato ad altri Paesi − sia ormai costituito solo – e per poco ancora –
da 4 Regioni meridionali su 8.
E che faremo dopo il 2013? Quale sarà la chiave di un nostro origi-
nale New Deal, che non si traduca in una sistematica arbitrarietà di finti
“progetti sponda” o di c.d. “progetti coerenti”? Manterremo i vecchi
improduttivi parametri, e le regole dell’Ue? Quante risorse l’Italia vorrà
e saprà impegnare, su fondi tutti propri e sul proprio PIL – che, quanto
alla formazione di capitale pubblico, impegna oggi il 2.6% al Nord e
l’1,5% al Sud –, senza più stanziamenti comunitari da co-finanziare do-
po il 2013? In quanto tempo ci si proporrà di cancellare l’onta interna-
zionale del dualismo italiano?
La Germania, per la sua riunificazione Est/Ovest, seppe fare assai
meglio!!
O di tutto questo pensiamo di poter continuare a non parlare, pur
essendo transitati dal non-meridionalismo di Prodi alle priorità altre di
Berlusconi, ed alle priorità federaliste ed oggettivamente nordiste ed
anti-meridionaliste di Bossi e delle Leghe, ai cui elettori del Nord an-
che la non piccola “minoranza parlamentare” specie del PD, al potere
fino a ieri, guarda oggi (come li guardò − cattolici alla Piero Bassetti e
comunisti alla Guido Fanti − nella iniziale fase “padana” degli anni
’90) con eccessiva attenzione?
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Mentre nel 1961 la SVIMEZ veniva invitata a partecipare al Comi-
tato per la Celebrazione dei 100 anni dell’Unificazione politica
dell’Italia, ed era chiamata a documentare statisticamente le dinamiche
Nord-Sud emerse nel primo Secolo, oggi rileviamo che altre sembrano
essere le priorità degli organizzatori, apparendo forse più importante
garantirsi la presenza di storici attenti anche alla parentesi fascista, o il
contributo − anti-unitario, di certo, e fuori dalla Costituzione vigente −
di chi ama ormai parlare di una “Repubblica Federale Italiana”, quasi
fosse problema maturo, ed utile per tutti gli italiani.
E tutto questo avviene perché è stata cambiata la Costituzione auto-
nomista del 1948, in cui il sottosviluppo e l’arretratezza meridionale
erano iscritti con nome e cognome, e di cui sono stati riscritti fonda-
mentali articoli del “Titolo V°”, intrisi di contenuti tendenzialmente
federalistici – cui comunque andrà in Parlamento data applicazione –
per definire operativamente i quali si dovrà traversare l’ancora poco e-
splorato “deserto”, legislativo prima e regolamentare poi, del federali-
smo fiscale, reso di non agevole praticabilità dalla difficoltà di trattare
con pari equità per un verso le Regioni Ordinarie fiscalmente più debo-
li, e per l’altro le Regioni a Statuto Speciale talvolta relativamente ric-
che, a cui a suo tempo vennero garantiti rilevanti e fin eccessivi privile-
gi. Sul federalismo fiscale molto la SVIMEZ − da sempre legata
all’idea che cittadini e territori debbano godere di pari o analoghe op-
portunità e diritti − si è comunque per quasi due lustri impegnata, tro-
vandosi poi anche vicina alla “Commissione Vitaletti”, di cui peraltro
pochi oggi parlano; come pochi amano quantificare se le risorse nazio-
nali saranno domani sufficienti insieme per il Centro-Nord e per il
Mezzogiorno, per un federalismo che nel Nord vorrebbe gestire esso –
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by-passando lo Stato e la Costituzione, ed appropriandosi in prima i-
stanza della larghissima maggioranza delle imposte a carico dei produt-
tori locali, e fin dei consumatori in quei territori – le risorse per il fede-
ralismo fiscale dell’intero Paese, ma anche per alimentare uno sviluppo
a più velocità, comunque assai costoso (altro che “riduzione delle tas-
se”, come “dividendo fiscale del federalismo”!), e necessariamente con-
trastante con la razionalità di un complesso disegno contestuale di rie-
quilibrio strutturale nazionale, che il “meridionalismo” della SVIMEZ
propone, considerandolo la vera doverosa priorità, per un prossimo
non breve futuro.
***
Perdonate, ad un italiano non più giovane e che ha superato gli 80
anni, i toni di un approccio forse sopra le righe, ma di cui non so chie-
dere scusa, perché è profondo il mio desiderio − la mia “fame”, direi −
di poter ascoltare risposte chiare sul futuro dell’unità economica
dell’Italia (e forse non solo di quella economica). In effetti, cerco ri-
sposte non generali ed evasive − o consolatorie −, che troppo tendono a
parlar d’altro, nel senso che continuano a riferirsi alle molte priorità di
una Italia che rischia purtroppo di essere considerata − dopo quella ge-
ografica − una mera “espressione” politico-amministrativa, ma che non
è certo una unitaria e forte realtà economica, e che forse non è neanche
più uno Stato-Nazione.
SVIMEZ/04_Scheda sintesi.pdf
3
SVIMEZ
Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno
RAPPORTO SVIMEZ 2008
SULL’ECONOMIA DEL MEZZOGIORNO
INTRODUZIONE E SINTESI
4
Indice
1. Il Mezzogiorno non tiene il (lento) passo dell’economia
settentrionale
p. 5
2. La mancata convergenza del Sud in una Europa che
riduce le disparità
p. 8
3. L’esigenza di una ridefinizione della politica per il Sud p. 11
4. Sui principi di attuazione del federalismo fiscale p. 14
5. I riflessi della bassa crescita sulla società meridionale p. 16
6. L’industria del Sud nel mercato globale p. 20
7. L’assenza delle politiche per l’internazionalizzazione p. 24
8. Finanziamento dello sviluppo e rafforzamento del ruolo
dei Confidi
p. 27
9. I trasporti del Sud: un “non sistema” p. 31
10. La mesoregione mediterranea: opportunità concreta per
il Mezzogiorno
p. 34
5
Introduzione e sintesi
1. IL MEZZOGIORNO NON TIENE IL (LENTO) PASSO DELL’ECONOMIA
SETTENTRIONALE
Il risultato del 2007
Il brusco peggioramento del quadro internazionale verificatosi nei primi mesi
del 2008, fa seguito a segnali di indebolimento della crescita economica già
manifestatisi nell’anno precedente. La fase di ripresa che dal 2006 aveva riguardato
anche l’Italia sembra dunque essersi ormai esaurita. In un simile quadro nazionale, il
Mezzogiorno pur seguendo il profilo congiunturale del resto del Paese si è mantenuto
su tassi di crescita stabilmente più bassi. La permanenza di un divario di crescita che
prescinde dalla dinamica del ciclo economico rappresenta un elemento che caratterizza
tutti gli anni 2000 e riflette la mancata soluzione di problemi strutturali dell’economia
meridionale, aggravatisi nel nuovo quadro internazionale.
In base a valutazioni di preconsuntivo elaborate dalla SVIMEZ, il PIL è
aumentato al Sud nel 2007 dello 0,7%, un punto in meno che nel resto del Paese, con
un calo di 0,4 punti percentuali rispetto al 2006. Con il 2007 sono ormai sei anni
consecutivi che il Mezzogiorno cresce meno del resto del Paese. Dal 2002 ad oggi
l’incremento cumulato del prodotto a prezzi concatenati delle regioni meridionali è
stato poco meno di un terzo di quello del Centro-Nord (rispettivamente, 2,4% e 6,4%).
Bisogna risalire ai primi anni ottanta e all’espansione dell’economia distrettuale nel
Centro-Nord per ritrovare un’interruzione così intensa dei processi di convergenza.
In termini di prodotto per abitante il risultato del Mezzogiorno appare meno
sfavorevole, per effetto della diversa dinamica della popolazione. Negli ultimi sette
anni infatti nonostante l’economia del Mezzogiorno sia cresciuta meno di quella del
resto del Paese (0,7% in media annua, rispetto all’1,2% del resto del Paese), l’aumento
della popolazione residente al Centro-Nord (6% rispetto all’1% al Sud nel periodo
2000-2007), dovuto principalmente all’immigrazione straniera ma anche a seguito di
movimenti migratori interni, ha comportato una lieve diminuzione del divario: dal
2000 il gap si è ridotto di 1,2 punti percentuali.
Un recupero del divario realizzato attraverso una minore crescita della
popolazione rappresenta una “via patologica” alla convergenza. I fattori che
determinano il calo demografico, la ripresa dei flussi migratori, la bassa natalità legata
a condizioni di precarietà economica, la scarsa attrazione di capitale finanziario e
6
umano dall’esterno, sono elementi di accentuazione del declino dell’area e al tempo
stesso di riduzione di potenzialità di sviluppo del Mezzogiorno.
Nel 2007, il forte rallentamento della crescita nel Mezzogiorno ha più che
compensato il differente andamento della popolazione e ha determinato un nuovo
ampliamento delle differenze di reddito medio pro capite tra le due aree, che si attesta
intorno ai 13.000 euro (pari a oltre 42 punti percentuali di differenza).
La riduzione della crescita del Mezzogiorno nel 2007 è da attribuire
principalmente alla flessione della dinamica dell’accumulazione di capitale gli
investimenti fissi lordi sono aumentati nella macroarea nel 2007 solo dello 0,5%, con
un abbassamento di circa due punti percentuali rispetto all’incremento registrato l’anno
precedente (2,4%). La flessione del ritmo di crescita degli investimenti, in presenza di
ampi margini di capacità inutilizzata, ha risentito in entrambe le ripartizioni della
maggiore incertezza del quadro congiunturale che da metà anno si è associata
all’impennata dei prezzi delle materie prime. In particolare nel Mezzogiorno, il clima
di fiducia delle imprese ha mostrato un sensibile declino nella seconda metà del 2007,
cui si è associata anche una caduta verticale del grado di utilizzo degli impianti,
ritornato ai livelli del 1999. Tale peggioramento nelle prospettive di domanda si sono
già riflesse nella componente degli investimenti, relativa agli acquisti di macchinari e
mezzi di trasporto, che nel 2007 ha fatto registrare al Sud una flessione dell’1,5%,
dopo il +7,6% del 2006.
Alla forte flessione degli investimenti si è accompagnata una persistente
debolezza nella dinamica dei consumi interni nel Mezzogiorno. In particolare, la
crescita della spesa finale delle famiglie è risultata nel Mezzogiorno (0,8%) la metà di
quella registrata nel Centro-Nord (1,5%). Negli ultimi sette anni la dinamica dei
consumi interni si è mantenuto su di un profilo poco più che stagnante ( 0,5%), a
conferma di difficoltà delle famiglie meridionali a sostenere il livello di spesa, che
vanno al di là della congiuntura. Ma che sembrano ulteriormente aggravarsi nella fase
più recente, in conseguenza dell’aumento di tensioni inflazionistiche, i cui effetti
rischiano di essere particolarmente sensibili per le classi di reddito più basse, come
noto concentrate nel Mezzogiorno.
Il mancato apporto dei servizi e la questione urbana (a partire da Napoli)
Le dinamiche settoriali degli ultimi anni hanno posto in evidenza nel
Mezzogiorno una sostanziale tenuta del settore industriale, che si è mantenuto sui ritmi
di crescita, seppur modesti, del Centro-Nord e una assai più modesta dinamica dei
servizi. Un quadro che però rischia di peggiorare ulteriormente nei prossimi mesi in
considerazione delle difficoltà congiunturali che anche il settore manifatturiero del Sud
sembra mostrare nella prima parte del 2008, come mostrato dall’andamento
dell’occupazione che nel primo trimestre del 2008 ha fatto segnare una contrazione del
4,9%. La crisi di alcuni distretti del Sud (divano in Puglia) e le difficoltà di alcuni
grandi impianti a rischio di delocalizzazione rappresentano la spia di un aggravamento
7
di difficoltà competitive di natura strutturale, sulle quali avremo modo di tornare in
seguito
Quanto ai servizi, anche le più recenti informazioni riguardo, ad esempio,
all’andamento del settore commerciale confermano e aggravano le prospettive di un settore
fortemente depresso dalla incapacità delle famiglie meridionali di mantenere gli standard di
consumo; difficoltà ulteriormente aggravate dalla accresciuta dinamica inflazionistica che
rischia di far sentire i propri effetti proprio sulle famiglie a più basso reddito.
Come anticipato, anche con riferimento al complesso degli anni 2000, la
peggiore dinamica del settore dei servizi spiega in larga misura le differenze di crescita
tra Mezzogiorno e Centro-Nord. Il terziario nel Mezzogiorno è cresciuto tra il 2001 e
il 2007 ad un tasso pari a meno della metà di quello del Centro-Nord (0,8% contro
l’1,7%); nel 2007 la crescita al Sud è meno di un quarto di quella del Nord.
l diverso modello di crescita mostrato nelle due aree suggerisce che, mentre nel
settore industriale, più esposto alla concorrenza, vi sarebbero stati nel Mezzogiorno
primi, anche se insufficienti, recuperi di produttività – specie con la espulsione dal
mercato delle imprese più inefficienti nei settori tradizionali – nel settore dei servizi i
processi di ristrutturazione, che stanno avvenendo sotto l’impulso dei cambiamenti di
regolamentazione e delle forze di mercato che spingono all’utilizzo delle economie di
scala, sarebbero in ritardo. I settori dei servizi oltre ad essere meno esposti alla
concorrenza internazionale soffrono anche una carente gestione da parte della pubblica
amministrazione. Nel caso dei servizi pubblici locali, il processo di privatizzazione,
che doveva portare ad aumenti di efficienza, è rimasto spesso incompiuto, e la
frammentazione rimane elevata.
Peso centrale nello spiegare il mancato sviluppo del terziario di mercato nel
Mezzogiorno assume la “questione” delle grandi aree urbane. Le città, nella gran parte
delle esperienze europee di questi ultimi decenni, sono il luogo dove si concentrano le
funzioni direzionali, le economie di scala del terziario, i mercati e le risorse umane più
qualificate e dove quindi si possono moltiplicare gli effetti positivi dello sviluppo. E’
in queste aree che vi è spesso concentrazione di capitale umano e agglomerazione di
imprese in settori tecnologicamente avanzati del terziario che presentano in genere
tassi di crescita più elevati. Il “potenziale vantaggio urbano” si ribalta, invece, nel Sud
in oggettiva “condizione di svantaggio”. Le aree metropolitane meridionali, da
potenziali “motori dello sviluppo” divengono luoghi della acutizzazione del disagio
sociale, dell’aggravamento delle crisi ambientali, della accentuazione delle difficoltà di
partecipazione delle donne al mondo del lavoro.
In tale quadro, non si può non citare Napoli, che assume il valore di caso limite
e al tempo stesso emblematico della condizione delle grandi aree urbane meridionali.
L’immagine dei rifiuti che invadono le strade centrali della Città rappresentano una
triste rappresentazione simbolica di alcuni aspetti sociali ed economici che
accompagnano e descrivono la inversione dell’idea di città come concentrazione di
opportunità e di servizi; fenomeni, la cui risonanza rischia di travolgere nell’immagine
interna e internazionale gli sforzi e le esperienze di progresso di molte realtà del Sud.
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Occorre prendere atto che in città come Napoli l’emergenza non è solo quella
della raccolta dei rifiuti ma quella più generale della difficoltà di accesso ai servizi, di
degrado del tessuto sociale, di mantenimento della sicurezza.
A Napoli è messa a nudo l’inadeguatezza del sistema istituzionale e di
governance del fenomeno urbano che caratterizza complessivamente la realtà italiana.
Resta in sintesi drammaticamente irrisolto il problema istituzionale del governo
metropolitano, che a Napoli per condizioni oggettive, come la impressionante densità
insediativa e i gravi problemi ambientali e sociali, appare molto più complesso e
difficile che nelle altre realtà metropolitane italiane o europee. Solo in modo
emergenziale e per la difesa della immagine del Paese, Napoli diviene elemento di
interesse nazionale, essendo rimasti inascoltati, o intrappolati nelle maglie dei richiami
al regionalismo costituzionale italiano, gli appelli a varare leggi nazionali dedicate alla
più grande conurbazione italiana.
2. LA MANCATA CONVERGENZA DEL SUD IN UNA EUROPA CHE RIDUCE LE
DISPARITA’
L’anomalia del Mezzogiorno
La creazione di un mercato comune, la costante riduzione delle barriere allo
scambio tra paesi, l’intensificarsi del commercio interno accompagnato da una
maggiore mobilità dei fattori e, non ultimo, l’uso dei Fondi strutturali come strumento
perequativo, sono elementi che hanno sostenuto e contribuito ai processi di
convergenza all’interno dell’Unione europea.
A livello continentale, infatti, gli ultimi sette anni sono stati caratterizzati da
un forte processo di convergenza che ha visto sia le economie dei Nuovi Stati membri,
sia le altre regioni dell’obiettivo “Convergenza”, sia pur in maniera più contenuta,
crescere assai più della media europea. Fa eccezione in un tale quadro proprio il nostro
Mezzogiorno. I risultati economici dell’economia meridionale negli ultimi sette anni
sembrano evidenziare non solo che quello che, a fine anni ’90, sembrava un timido
processo di convergenza si è arrestato, ma addirittura che il divario ha ripreso ad
allargarsi sia nei confronti del resto del Paese sia rispetto alle altre aree deboli
dell’Unione. Dal confronto della dinamica nel periodo 2000-2007 del prodotto interno
lordo pro capite (espresso in parità di potere d’acquisto) del Mezzogiorno con quella
dei paesi deboli dell’Ue a 27, emerge un quadro sconsolante. Il tasso di crescita
dell’economia meridionale (2,0% m.a.) è stato meno della metà di quello della Spagna
(4,9%), poco più di un terzo di quello dell’Irlanda (5,5%) e meno di un terzo di quello
della Grecia (6,2% m.a.).
Nel corso dell’ultimo settennio (2000-2007), il prodotto per abitante della
Spagna, soprattutto per effetto del contributo di crescita offerto dalle aree deboli, ha
superato il livello della Ue a 27 ed è superiore a quello del Mezzogiorno (68,8% della
media Ue a 27) di quasi 36 punti percentuali; anche la Grecia (98,6%) ha superato il
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Sud, e, tra i Nuovi Stati membri, nel 2007, la Slovacchia ha raggiunto il livello di
sviluppo del nostro Mezzogiorno, mentre Estonia, Repubblica Ceca e Slovenia lo
hanno già superato.
Anche i dati analizzati nel Rapporto relativi alle performances di tutte le 267
regioni dell’Europa confermano la “specialità” in negativo delle regioni del Sud. Le
aree comprese nell’obiettivo “Convergenza” sono cresciute tra il 2000 e il 2005 ad un
tasso del 4,8% medio annuo a fronte del 3,7% medio dell’area. Analizzando nel
dettaglio i singoli paesi, la Germania fa registrare un tasso di crescita del PIL nelle
regioni “Convergenza” pari al 3%, a fronte del 2,8% delle regioni “Competitività”. Il
processo di convergenza è ancora più evidente in Spagna dove le regioni deboli fanno
segnare un +6,5% (quasi 5 volte la crescita delle regioni “Convergenza” italiane)
superiore di quasi un punto al già sostenuto tasso di crescita delle regioni
“Competitività” (+5,8%). Se si considerano le regioni “Convergenza” e quelle in
phasing-out − cioè quelle che nel precedente ciclo di programmazione erano Obiettivo
1 −, anche la Grecia evidenzia tassi di crescita più sostenuti nelle regioni in ritardo. In
Italia, invece, nel periodo 2000-2005 il tasso di crescita medio annuo del PIL delle
regioni italiane rientranti nell’obiettivo “Convergenza” è stato inferiore a quello
rilevabile nelle regioni “Competitività e Occupazione”: 1,5% contro 1,7%.
Deboli, svantaggiate o sottoutilizzate: è in queste aree che si è giocata in
quest’ultimo decennio la partita per lo sviluppo in Europa. Irlanda, Grecia e Spagna
hanno deciso di concentrare su queste aree gli interventi e hanno così realizzato salti
nel trend di sviluppo. In Italia, invece, il potenziale di sviluppo costituito dalle regioni
meridionali è stato troppe volte vissuto e sentito come una zavorra, e non come una
risorsa da valorizzare per attivare dinamiche di crescita che possono e devono
estendersi a tutto il Paese.
Gli indicatori di competitività regionali
A fronte di tali performances negative si è cercato di approfondire quali
possano essere i fattori che determinano la mancata convergenza delle regioni
meridionali. L’analisi condotta mira a costruire una geografia delle regioni europee,
costruita sulla base di tre dimensioni: il benessere economico, la situazione di
partecipazione ed equilibrio del mercato del lavoro, il livello di sviluppo delle risorse
umane e della ricerca scientifica. Sulla base di queste tre dimensioni si è costruito un
indicatore denominato «indice di competitività», con il quale si tenta di esprimere una
valutazione di sintesi sulla situazione di vantaggio/svantaggio competitivo delle
diverse regioni europee. Tale risultato, seppure abbia un’ovvia relazione con aspetti più
strutturali dell’economia come il PIL per abitante, integra tali indicazioni con una
valutazione degli strumenti soft che un’economia ha a disposizione per fronteggiare le
sfide competitive del mercato globale.
Secondo l’indicatore relativo all’occupabilità, le regioni del Mezzogiorno
tendano a collocarsi su valori inferiori a quelli rilevabili in base al reddito pro capite.
Contribuisce a peggiorare sensibilmente la posizione delle regioni meridionali, ad
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esempio, il tasso di occupazione femminile che in Sicilia, Puglia, Campania e Calabria
non raggiunge il 30%, in assoluto il più basso valore riscontrabile in Europa; distante
di quasi 10 punti dai valori riscontrabili nelle regioni più deboli della Grecia e della
Spagna e di quasi 20 dalle regioni appartenenti ai paesi dell’Est Europa.
Il gap con le altre regioni, anche meno sviluppate, dell’Europa risulta
particolarmente rilevante nel campo della formazione del capitale umano e della
ricerca. Emerge in particolare la scarsità di laureati nelle discipline scientifiche: la
quota dei laureati in tali materie sulla popolazione adulta è pari ad appena il 10,4% in
Sardegna, al 10,5% in Puglia, al 10,8% in Sicilia. Solo alcune regioni della Romania e
del Portogallo hanno indici più bassi. Se confrontiamo le regioni del Sud con quelle dei
paesi della Ue a 15 emerge un quadro sconsolante. Il valore più basso in Spagna si
rileva nella regione dell’Extremadura con il 21%. Va sottolineato che anche le regioni
del Centro-Nord rimangono sotto i valori medi della Ue. Pesa,infine, per le stesse
prospettive di crescita del Sud, la scarsità di risorse dedicate alla ricerca e sviluppo, sia
in termini di spesa in percentuale del PIL sia in termini di addetti al settore per 1.000
abitanti. Rispetto ad un valore medio nella Ue a 27 pari all’1,8%, le regioni del
Mezzogiorno si collocano tutte sotto l’1%,con la sola eccezione della Campania con
l’1,2%; i valori minimi si registrano in Calabria con una spesa in R&S pari ad appena
lo 0,4% del PIL. Vanno sottolineati i livelli particolarmente elevati nell’indicatore di
capitale umano e ricerca scientifica fatti segnare da alcune regioni rientranti
nell’obiettivo “Convergenza” ( e quindi caratterizzate da bassi livelli del PIL pro
capite) della Germania, della Slovenia, della Repubblica Ceca, regioni che hanno fatto
segnare nella fase più recente tassi di crescita particolarmente significativi, a
dimostrazione della capacità di attivazione di processi di sviluppo degli investimenti
nel capitale umano e nella innovazione.
In base all’indice sintetico di potenzialità competitive predisposto dalla
SVIMEZ, per tutte le 271 regioni della Ue a 27 sono state costruite diverse classi. Le
regioni italiane dell’attuale obiettivo “Convergenza”, restano su valori inferiori al 70%
della media europea, denotando una sostanziale staticità se non segnali di declino. Se si
considerano le 80 regioni NUTS2 dell’obiettivo “Convergenza”, emerge come
l’indicatore sintetico di competitività calcolato collochi le regioni meridionali dal 36
posto in giù in un gruppo composto soltanto da regioni di paesi nuovi entranti, più 3
regioni del Portogallo e 3 della Grecia.
L’analisi condotta sembra contrastare con le indicazioni emergenti
dall’indicatore utilizzato dalla Ue, di una progressiva uscita di alcune regioni
meridionali dalla situazione di debolezza strutturale. L’utilizzazione di un indicatore
più complesso, proprio nel caso delle regioni del Sud Italia, determina un
abbassamento dei livelli relativi e il recupero di una sostanziale omogeneità del
Mezzogiorno, con la sola eccezione dell’Abruzzo. In particolare la posizione delle
regioni del Sud risulta particolarmente deficitaria proprio con riferimento agli
indicatori di occupabilità e soprattutto di conoscenza e occupazione.
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3. L’ESIGENZA DI UNA RIDEFINIZIONE DELLA POLITICA PER IL SUD
Di fronte ai radicali mutamenti rapidamente impostisi a partire dall’inizio di
questo decennio nel quadro macro-economico internazionale, con l’irruzione delle
grandi economie emergenti e per l’affermarsi di un mercato globale dei prodotti, delle
tecnologie, dei capitali e delle capacità individuali – mutamenti certo non congiunturali
ma tali da configurare l’apertura di una vera e propria nuova “fase storica” –,
l’economia del Mezzogiorno ha mostrato gravi e sino ad oggi insuperate difficoltà di
adeguamento. Il Mezzogiorno è risultato penalizzato più che in passato dai vincoli
strutturali afferenti al contesto economico, sociale e ambientale e dalla debolezza del
proprio apparato produttivo, mentre non è riuscito a cogliere, se non in assai limitata
misura, i nuovi vantaggi competitivi vigenti nella fase attuale, legati principalmente
alle capacità di esportazione e all’attrazione degli investimenti esteri. Da ciò sono
discesi il ridotto saggio di crescita dell’economia meridionale e il divario di sviluppo
sperimentato negli ultimi anni rispetto alle altre aree deboli dell’Unione europea,
caratterizzate invece proprio nella fase più recente – come s’è visto – da progressi
anche più sostenuti rispetto a quelle forti.
Le cause di questo peggiore andamento del Mezzogiorno sono complesse, e
rimandano in larga parte al generale prolungato ristagno dell’economia nazionale
rispetto al resto d’Europa, o comunque a problemi di dimensione nazionale, ma che
assumono per il Sud gravità del tutto particolare, tra cui soprattutto il deficit di qualità
ed efficienza della Pubblica Amministrazione, la presenza della criminalità
organizzata, il difficile avanzamento della liberalizzazione dei mercati.
Né vanno poi sottaciuti i gravi effetti di un “disegno” debole delle politiche
generali nazionali in materia di infrastrutture, istruzione, innovazione e ricerca, che –
in campi così rilevanti per lo sviluppo – hanno costantemente mancato di adattare
intensità e strumenti di intervento in funzione dei divari intercorrenti tra la macroarea
debole e quella forte del Paese.
Ma certamente l’assenza di risultati soddisfacenti in termini di crescita e di
convergenza del Mezzogiorno è in gran parte dovuta anche ad una ridotta efficacia
della politica regionale di sviluppo, nazionale e comunitaria, ai fini dell’impulso
all’aumento della competitività del territorio e all’adattamento del sistema produttivo
meridionale, mediamente così poco “aperto”, alle nuove condizioni dei mercati.
Il mancato successo della politica regionale di sviluppo trova spiegazione in
primo luogo in una dimensione della spesa pubblica in conto capitale complessiva
destinata al Mezzogiorno assai inferiore a quanto programmato. In secondo luogo, in
una forte “frammentazione” dell’intervento. Questa è in parte conseguenza implicita di
una impostazione – coerente sia con il nuovo quadro istituzionale interno, sia con
quello europeo – che affida primaria responsabilità nella conduzione della politica al
livello locale, ossia alle Regioni e alle altre Amministrazioni territoriali. Ma costituisce
pure, in buona misura, il portato – non inevitabile – della tendenza, spesso prevalente,
di ciascuna Regione a programmare di fatto l’intero intervento all’interno dei propri
confini amministrativi; e quindi della difficoltà a realizzarsi di una auspicabile più
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effettiva e stabile cooperazione tra le Regioni del Sud, e di un più forte coordinamento
fra esse e l’Amministrazione Centrale, in una prospettiva strategica riferita al
Mezzogiorno nella sua dimensione di macroarea. Il mutamento delle condizioni
strutturali del quadro macroeconomico internazionale e nazionale, prima richiamate,
sembrano peraltro confermare la necessità di un ripensamento dell’importanza
assolutamente prevalente a suo tempo assegnata, nella impostazione stessa della
politica per il Sud dopo la fine dell’intervento straordinario, ai fattori di contesto e ai
soggetti locali.
Il dato, già sottolineato, di una quota della spesa pubblica complessiva in conto
capitale nazionale destinata al Mezzogiorno decisamente al di sotto di quanto
programmato, serve di per sé a smentire l’idea, purtroppo assai diffusa, di un Sud
inondato da un fiume di pubbliche risorse, ma sta anche ad indicare come la spesa in
conto capitale aggiuntiva (comunitaria e nazionale) in tale area sia valsa negli ultimi
anni solo a compensare il deficit di spesa ordinaria. Più precisamente, i dati elaborati
dal Dipartimento per le Politiche di sviluppo e Coesione ci mostrano che la quota di
spesa pubblica in conto capitale complessivamente effettuata nelle regioni meridionali
è passata, con un progressivo declino, dal 40,4% del 2001 al 35,3% nel 2007. Si tratta
di un valore non solo ben lontano dal 45% del totale nazionale originariamente fissato
in fase di programmazione, ma che, come accade ormai da qualche anno, non eguaglia
neppure il “peso naturale” del Mezzogiorno, che può valutarsi nel 38% circa, media tra
la sua quota di popolazione (35%) e la quota del suo territorio (40,8%). Tale deludente
risultato è stato conseguito con una “spesa aggiuntiva” di circa 12 miliardi di euro
2007 all’anno.
La quota di risorse ordinarie destinate alla formazione di capitale nel
Mezzogiorno è stata pari nel 2007 ad appena il 21,4% del totale nazionale, inferiore di
circa 16 punti al citato peso naturale dell’area, e di quasi 9 punti rispetto all’obiettivo
del 30% indicato nei documenti governativi.
Partendo da simili valori di spesa ordinaria, risulta evidentemente assai
difficile qualsiasi discorso sull’effettiva addizionalità delle risorse, facendo di fatto
divenire di scarso fondamento ogni ragionamento sulla quantità delle risorse
specificamente dedicate all’accelerazione del progresso del Sud.
Il livello assai basso della spesa ordinaria ha avuto sino ad oggi una influenza
decisiva nel ridurre l’efficacia della politica di coesione nazionale. Ma a deprimere
l’efficacia dell’azione speciale hanno certamente concorso anche le carenze nella
qualità degli interventi: la dispersione delle risorse aggiuntive da finalizzare alla
accelerazione dello sviluppo sul territorio in una eccessiva molteplicità di interventi; le
lentezze e gli scoordinamenti nella concezione, progettazione e realizzazione degli
interventi stessi, tradottisi spesso nella formazione di residui.
La mancanza di una adeguata capacità di utilizzazione delle risorse stanziate
da parte dei soggetti – spesso numerosi – coinvolti nel processo di spesa, si è
manifestata anche nel caso degli interventi finanziati dai Fondi strutturali, nonostante
che i tempi d’utilizzo delle risorse “europee” siano comunque stati più veloci di quelli
dell’intervento ordinario interno. A tale proposito, le informazioni contenute nella
13
Diciottesima relazione annuale sull’esecuzione dei Fondi strutturali della
Commissione Europea, dello scorso novembre, pongono in luce, con riferimento
all’attuazione dei programmi dell’obiettivo 1 per il ciclo 2000-2006, come l’Italia, a
fine 2006, abbia fatto registrare un livello di spesa pari a circa il 62% delle risorse
programmate, di quasi 7 punti inferiore alla media della Ue a 15, a fronte di livelli di
circa il 75% sia in Germania che in Spagna, e di oltre l’82% in Irlanda. A inizio 2008,
le spese del QCS delle Regioni italiane dell’obiettivo 1 sono risultate positivamente
accresciute, arrivando all’81% delle risorse programmate, ma circa il 35% della spesa
rendicontata è da attribuire ai cosiddetti “progetti coerenti”, cioè progetti che avevano
già una copertura in altre risorse nazionali.
L’uso di tali progetti è stato particolarmente elevato nel caso degli interventi in
infrastrutture; nel settore dei trasporti, ambito di decisiva importanza strategica per il
Sud, in base agli ultimi dati disponibili relativi a fine 2006, i progetti coerenti hanno
rappresentato circa il 78% della spesa.
L’esperienza della fase di programmazione 2000-2006 ha dunque posto in
evidenza la necessità di una netta svolta sia per quanto riguarda le modalità di
programmazione e la focalizzazione della spesa, sia per quanto riguarda le modalità di
realizzazione degli interventi.
L’impostazione del nuovo QSN 2007-2013 – pur presentando alcuni
significativi elementi di novità, con la focalizzazione su aspetti particolarmente
importanti, quali l’istruzione, l’innovazione e la ricerca, l’inclusione sociale, la legalità
e sicurezza, e con l’introduzione dello strumento dei cosiddetti “obiettivi di servizio” –
si è però mossa ancora all’interno di una sostanziale continuità con la precedente fase
di programmazione.
Rispetto al percorso sin qui seguito parrebbe invece necessario procedere ad un
più forte processo di riforma interna della programmazione, che, pur evitando di
determinare “rotture” traumatiche che rischierebbero di ritardare la spesa e di far
perdere risorse, ponga più stringenti vincoli alla frammentazione, alla dispersione
territoriale e a quell’eccesso di localismi che ha non marginalmente condizionato i
risultati delle politiche.
L’ingente dotazione finanziaria programmatica (circa 100 miliardi di euro per
l’intero periodo) costituisce certo un presupposto importante, cui deve seguire però una
maggiore capacità di concentrare gli interventi su un minor numero di ambiti e su
obiettivi chiave di grande rilevanza, secondo un piano di priorità costruito non come
sommatoria di richieste dal basso, ma secondo un ben organizzato sistema di
responsabilità dei livelli di governo. Anche in questo federalismo spesso “confuso”,
occorre individuare i livelli più opportuni – locale, regionale, di cooperazione
interregionale, centrale – ai quali definire la programmazione, la realizzazione e il
finanziamento di iniziative che siano destinate alle priorità, soprattutto nel campo
dell’infrastrutturazione strategica, più strettamente connesse con la realizzazione delle
condizioni necessarie per la crescita della produttività delle imprese esistenti e per
l’attrazione degli investimenti esteri.
14
4. SUI PRINCIPI DI ATTUAZIONE DEL FEDERALISMO FISCALE
Rispetto all’insieme dei problemi che definiscono oggi la questione
meridionale, i problemi dell’assetto istituzionale della Repubblica d’Italia appaiono
della massima importanza.
La SVIMEZ ritiene al riguardo che, con la riforma del Titolo V avvenuta nel
2001, sono stati introdotti in Italia istituti importanti, anche in materia di finanza degli
Enti territoriali (art. 119 della Costituzione), che debbono essere intesi nella loro
effettiva valenza ed attuati in modo corretto in tempi brevi, per por fine alla situazione
paradossale in cui si trova ad operare il nostro sistema democratico.
Questo impegnativo compito comporta che si abbia piena consapevolezza del
fatto che le norme dell’art. 119 non sono alcunché di separato dal resto della
Costituzione; è del tutto necessario connetterle ai contenuti (tra l’altro) degli artt. 3
(uguaglianza di fatto dei cittadini) e 53 (affermazione del punto che vi è in Italia un
solo sistema tributario e che esso ha il carattere della progressività) della Costituzione.
Il tema più controverso e più controvertibile è quello del finanziamento degli
Enti territoriali, o per dire meglio, del finanziamento delle funzioni pubbliche che sono
ad essi attribuite, il così detto “federalismo fiscale”.
Rispetto ad esso vanno posti con forza due punti. Occorre, in primo luogo,
avere chiaro che qualsivoglia regime si voglia introdurre deve essere compatibile con
la tenuta dei bilanci degli Enti territoriali (questione della sostenibilità finanziaria della
riforma). Sembra del tutto evidente che i commi 2, 3 e 4 dell’art. 119 definiscono per
ciascun Ente un insieme complessivo di risorse e lo pongono a fronte di un fabbisogno:
ciò attiene alle condizioni di tenuta dei bilanci di tutti gli Enti territoriali e di ciascuno
di essi individualmente considerato. Come indicato dalla SVIMEZ in questi anni e
ripetuto in questo Rapporto, il fabbisogno va riferito al livello normale delle attività
attribuite agli Enti territoriali: dice, infatti, il comma 5 dell’articolo in questione che,
per quanto concerne “scopi diversi dal normale esercizio delle funzioni degli Enti”
debba farsi ricorso, ove ricorrano le ragioni indicate in detto comma, a “risorse
aggiuntive ed interventi speciali”. In sostanza, lo Stato provvede, in base al comma 5, a
ciò che va oltre i normali bisogni, nell’assunto che a questo livello normale già si
provveda secondo le indicazioni dei commi 2, 3 e 4 dell’articolo. A questa lettura delle
norme costituzionali si oppone l’idea che, stabilito il fabbisogno di ciascun Ente, si
attribuisca poi alle collettività più ricche risorse superiori ad esso, producendo la
conseguenza che l’insieme dei mezzi che restano disponibili per le altre (compresi
entrate e tributi propri che gli Enti stessi conferiscono) non risulti bastevole per gli Enti
delle zone più povere. Ciò attraverso operazioni di mera “appropriazione” delle risorse
che ciascuno di noi, dovunque risieda e in condizioni di uguaglianza, è tenuto a versare
per concorrere alle spese dello Stato (art. 53 della Costituzione). La pretesa dei territori
più ricchi all’appropriazione (restituzione), che è implicita nelle proposte di attuazione
dell’art. 119 della Costituzione fin qui prevalenti, è in contrasto con le norme citate
15
(art. 119, commi 2, 3 e 4) e compromette il principio della sostenibilità finanziaria
della riforma “federale”.
Il secondo punto è quello dell’autonomia, definita come il potere di variare il
livello dei servizi e in modo concomitante le pertinenti entrate. Questo potere è da
intendersi riferito all’offerta di ulteriori servizi oltre quelli rientranti nelle “funzioni
normali”. Ove, invece, esso dovesse essere esercitato dagli Enti a minore capacità
fiscale per la copertura delle “funzioni normali”, non adeguatamente assicurata in base
all’interpretazione di cui si è detto, sarebbe negata di fatto a tali Enti l’autonomia che
le nuove norme costituzionali prevedono (comma 1, art. 119).
L’effettiva attuazione della riforma costituzionale, con l’attribuzione di
maggiori funzioni e di autonomia di entrata e di spesa agli Enti territoriali, implica
anche la considerazione del ruolo e delle responsabilità dello Stato nel nuovo contesto:
minore per ampiezza di funzioni ma con una valenza maggiore ai fini della tenuta
dell’intero sistema.
Al riguardo sono da salvaguardare due principi. In primo luogo, vale sul piano
costituzionale ed ancora di più nella convinzione dei cittadini l’impegno dello Stato in
materia di diritti fondamentali delle persone (principio dello Stato assicuratore di
ultima istanza). Spetta al Governo centrale, tra l’altro, il potere di “sostituirsi a organi
delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni quando lo
richiedono la tutela dell’unità economica d’Italia ed in particolare la tutela dei livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini
territoriali dei governi locali” (art. 120, comma 2, della Costituzione). Su questa base
hanno avuto luogo gli interventi per l’emergenza rifiuti in Campania e per la copertura
dei disavanzi sanitari di alcune Regioni; su questa base vanno applicate le norme del
Testo unico degli Enti locali (art. 244) riferite, tra l’altro, all’ipotesi del dissesto. Va
nella stessa direzione la previsione di interventi dello Stato “volti a promuovere lo
sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, a rimuovere gli squilibri
economici e sociali, a favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona”, che è
affermata nel comma 5 dell’art. 119 della Costituzione.
Il secondo principio è quello dello Stato garante di ultima istanza. In realtà, la
tenuta complessiva del nostro sistema democratico e civile è affidata al sistema
pubblico nel suo complesso (alla Repubblica) ed, in ultima analisi, a ciascuno di noi,
individualmente considerato, nei limiti dei suoi poteri e delle sue responsabilità. Nel
sistema è tuttavia preminente, e si esprime nell’ordinamento costituzionale - tra l’altro,
attraverso il precetto in base al quale la tutela ultima (di ultima istanza) dell’unità
giuridica d’Italia spetta allo Stato - un ruolo forte dell’Ente centrale e, per esso, del
Parlamento e del Governo della Repubblica. Ciò vale specificatamente per la tenuta del
quadro macroeconomico, per la legislazione elettorale e, sia pure con specificazioni e
distinguo, per il sistema contabile, amministrativo e tributario.
La concorrenza, la competizione tra gli individui per l’acquisizione e l’uso
delle risorse, deve svolgersi, pertanto, entro un quadro di regole della cui correttezza e
sostanziale “fairness” lo Stato è in ultima istanza garante. Ciò vale per il sistema nel
suo complesso, ma vale anche per il segmento di esso cui è fatto riferimento attraverso
16
l’espressione “federalismo fiscale”. I comportamenti dei poteri decentrati, in termini di
servizi forniti, spesa erogata, trattamento fiscale dei cittadini e delle imprese, vanno a
determinare l’ambiente (inteso nel senso più generale) in cui l’attività economica si
svolge. Ciò che questo Rapporto ampiamente mostra è che l’attuale situazione non
soltanto non aiuta, nella direzione di un sostegno effettivo allo sviluppo delle parti
deboli d’Italia, ma costituisce esso stesso un ulteriore handicap.
5. I RIFLESSI DELLA BASSA CRESCITA SULLA SOCIETÀ MERIDIONALE
Vecchie e nuove povertà
L’evoluzione tendenzialmente divergente dai ritmi di crescita degli altri paesi
europei che caratterizza l’Italia ed al suo interno le regioni del Mezzogiorno negli anni
duemila sta gradualmente aumentando le condizioni di rischio e disagio di fasce
sempre più ampie della popolazione. Bassa crescita, domanda di lavoro e/o
produttività stagnante sono fattori determinanti di questa evoluzione.
Una lettura più attenta delle disuguaglianze presenti nel Mezzogiorno consente
di evidenziare accanto agli effetti del mancato sviluppo, anche, all’inverso, gli effetti
che un incremento della deprivazione delle famiglie e della diseguaglianza dei redditi
può esercitare nel deprimere le stesse potenzialità di crescita di un’area. Richiamare
l’esistenza di un forte nesso tra equità e crescita consente di leggere le trasformazioni
dell’economia e della società meridionale in una ottica più ampia che va al di la degli
aspetti legati all’accumulazione del capitale produttivo e che attiene anche alla più
ampia accezione di capitale sociale. L’insufficiente grado di coesione sociale,
l’incertezza dei diritti di proprietà, l’inefficienza delle Amministrazioni pubbliche,
l’illegalità diffusa e la relativa minore efficacia delle politiche pubbliche concorrono ad
ostacolare contemporaneamente sia la crescita della produttività, sia il conseguimento
di più alti livelli di eguaglianza dei redditi e di migliori condizioni di vita.
Le regioni meridionali,oltre a presentare un minor livello di benessere,
mostrano anche un più alto grado di disuguaglianza distributiva rispetto alle regioni
del Centro-Nord. In particolare, Campania, Calabria e Sicilia risultano in fondo alla
classifica, insieme ai paesi più diseguali d’Europa (Grecia, Portogallo, Lituania e
Lettonia).
Una sperequata distribuzione del reddito espone molte famiglie al rischio
povertà, soprattutto in conseguenza di congiunture negative quale quella che
caratterizza il nostro Paese nella fase più recente. L’esistenza a livello nazionale di una
“questione salariale” si acuisce fortemente nel Mezzogiorno, dove ormai anche
famiglie in cui è presente un percettore di reddito, in passato estranee al rischio di
cadere in povertà, evidenziano disagio nel far fronte a bisogni di carattere ordinario.
Significativo appare il fatto che nel Mezzogiorno oltre la metà delle famiglie
17
monoreddito (51,6%) risultano esposte al rischio di povertà, rispetto al 28,6% nel
Centro-Nord.
Nel Sud il 18% delle famiglie percepisce meno di 1.000 euro al mese (sono il
7% nel Centro-Nord); ad esse si aggiunge un ulteriore 20% circa che guadagna tra i
1.000 e i 1.500 euro. In tutte le regioni del Mezzogiorno è relativamente più frequente
una collocazione nel segmento più povero della distribuzione dei redditi (e,
simmetricamente, meno frequente l’appartenenza al quinto più ricco). I bassi tassi di
occupazione, soprattutto femminile, che caratterizzano il Mezzogiorno fanno sì che a
parità di numero di percettori, le famiglie meridionali siano più numerose e, quindi,
con più familiari a carico.
Al di la degli indicatori monetari, la condizione di disagio e vulnerabilità delle
regioni meridionali può cogliersi con riferimento ad alcune indicazioni concrete.
Il 10% delle famiglie del Mezzogiorno, più del doppio delle famiglie del
Centro-Nord, dichiara di non potersi permettere un pasto adeguato almeno tre volte alla
settimana. Il 20,9% delle famiglie del Mezzogiorno afferma, inoltre, di non potersi
permettere di riscaldare adeguatamente l’abitazione, rispetto al 5,4% del Centro-Nord.
Nel Mezzogiorno, il 19,3% delle famiglie ha avuto periodi (anche una volta soltanto
nell’anno) in cui non aveva soldi sufficienti per l’acquisto di medicinali (il 6,1% delle
famiglie al Centro-Nord). Il 28,6% delle famiglie non ha potuto acquistare i vestiti di
cui necessitava, l’8,2% delle famiglie con figli in età scolare non aveva soldi per la
scuola, il 12,8% delle famiglie non aveva sempre denaro sufficiente per i trasporti e il
24,3% ha dichiarato di non avere avuto abbastanza soldi per pagare le tasse. Le
famiglie residenti in Sicilia, Campania e Calabria sono, fra le regioni del Mezzogiorno,
quelle con le percentuali di disagio più elevate.
Il ritardo nei pagamenti delle utenze, delle rate del mutuo, dell’affitto o dei
debiti contratti con il credito al consumo, rappresenta una condizione di forte disagio
economico delle famiglie. Nel Mezzogiorno le famiglie in disagio risultano, tranne nel
caso del pagamento del mutuo, quasi il doppio di quelle del Centro-Nord.
Le condizioni oggettive di deprivazione delle famiglie trovano conferma negli
indicatori soggettivi relativi alla percezione delle famiglie delle difficoltà ad arrivare a
fine mese, nel sostenere una spesa imprevista, nel risparmiare o nel riuscire ad avere
una settimana di ferie in un anno.
Le minori opportunità di occupazione sono uno dei fattori determinanti del
rischio di povertà. Il 51,1% dei disoccupati nel Mezzogiorno è esposto al rischio di
povertà rispetto al 26,2% nel Centro-Nord, così come risultano più elevati i rischi per
gli altri inoccupati (casalinghe, studenti, inabili al lavoro, “in altra condizione”),
compresi in parte i ritirati dal lavoro. Accanto alla quantità un ruolo importante ricopre
la qualità del lavoro. Se la flessibilità nel mercato del lavoro consente solo di trasferire
una parte della disoccupazione in lavori precari o a bassa retribuzione, l’esposizione al
rischio di povertà rimane comunque elevata.
Un altro rilevante fattore di rischio è costituito dalla scarsa formazione del
capitale umano: nel Mezzogiorno il 40,6% di chi possiede un’istruzione elementare o
nessun titolo risulta esposto al rischio di povertà, rispetto al 18,1% del Centro-Nord. In
18
quest’ultima area, il 7,5% di chi ha conseguito un diploma di scuola superiore si trova
in condizione di basso reddito, mentre nel Mezzogiorno quasi un terzo (31,5%) dei
diplomati non ha redditi sufficienti. Neanche il conseguimento della laurea garantisce
comunque di raggiungere sempre livelli di reddito adeguati: il 9,4% dei laureati
residenti nel Mezzogiorno e il 4% di quelli del Centro-Nord sono esposti al rischio di
povertà.
In presenza di un forte squilibrio nella distribuzione primaria, la
redistribuzione operata dal sistema di tasse e benefici non riesce a compensare le
disparità in misura sufficiente, sia per mancanza di risorse finanziarie, sia per i
possibili ritardi e per le incoerenze delle politiche sociali
Il sistema di Welfare italiano resta legato al vecchio modello fordista,
caratterizzandosi per una elevata copertura del rischio di perdita del reddito connesso
prevalentemente ai raggiunti limiti di età degli occupati regolari, e prevedendo uno
scarso grado di protezione per le famiglie, l’infanzia e la disoccupazione e nessun tipo
di prestazione per i giovani in cerca di prima occupazione o con lavori irregolari.
Una rimodulazione delle politiche sociali si rende pertanto indispensabile per
contrastare gli effetti negativi dei ben noti vincoli che penalizzano gli individui, le
famiglie e le imprese del nostro Paese. L’invecchiamento della popolazione è
probabilmente il vincolo più pesante, sia nell’immediato che in prospettiva. Le
conseguenze negative che ne derivano sono molteplici ed incidono sia in termini di
spesa previdenziale, sia in termini di capacità contributiva al sistema e di riassetto del
sistema di protezione sociale. La progressiva partecipazione femminile al mercato del
lavoro, a partire dai livelli decisamente arretrati rispetto alla media Ue, ha acuito il
problema di una disponibilità di servizi spesso insufficienti. Le famiglie stanno
perdendo gradualmente il loro ruolo di rete di supporto, tradizionalmente affidato alle
donne, vale a dire la loro capacità di farsi carico dell’assistenza ai bambini, agli anziani
e alle persone con disabilità (destinate ad aumentare).
Questo scenario richiede al sistema di protezione sociale sia l’attivazione dei
tradizionali strumenti di sostegno al reddito, attraverso i trasferimenti monetari ai
lavoratori disoccupati o alle famiglie in condizioni di disagio, sia l’attuazione di
politiche attive che favoriscano tanto la conciliazione della famiglia con il lavoro,
quanto l’ampliamento dell’offerta di servizi di assistenza agli anziani.
Nel dibattito sulla riforma del Welfare non si può comunque prescindere dalla
considerazione delle profonde differenze che, in un’economia dualistica qual è ancora
l’Italia, permangono nella distribuzione delle risorse e dei bisogni tra le due aree del
Paese. Un esempio della scarsa coerenza del riassetto del Welfare italiano è il fatto che
importanti liberalizzazioni, come quelle dei mercati del lavoro e degli affitti, non siano
state accompagnate da sufficienti misure di salvaguardia dei soggetti più vulnerabili
dalle conseguenze prevedibili delle riforme. Gli interventi per la disoccupazione e le
politiche abitative sono in Italia al di sotto degli standard dei paesi europei più
avanzati. Né è stato possibile, in un quadro di preoccupante declino demografico e di
crescente disagio delle famiglie con minori, adottare politiche familiari più razionali e
19
incisive, con pesanti ricadute in termini di occupazione femminile e, per le famiglie a
reddito insufficiente, di povertà minorile.
Per quanto riguarda i ritardi in materia di lotta alla povertà estrema, anche
questi più volte segnalati da numerosi osservatori, si deve ricordare ancora una volta
che l’Italia è uno dei pochi paesi europei a non avere misure universali di integrazione
dei redditi insufficienti a garantire uno standard di vita minimo.
Il Sud tra immobilità interna e nuove migrazioni verso il Nord
Le situazioni di crescente disagio economico e sociale si riflettono anche sui
fenomeni di mobilità territoriale. Il carattere dualistico del mercato del lavoro italiano
determina una caratterizzazione patologica di fenomeni di per sé fisiologici come i
trasferimenti di residenza o il pendolarismo.
Il Centro-Nord emerge come un’area caratterizzata da un’elevata mobilità
interna multidirezionale; un modello molto simile a quello prevalente nei paesi ad
elevata industrializzazione, in cui una elevata mobilità interna si associa ad un
consistente flusso in entrata di immigrati dall’estero e dal Mezzogiorno. Nell’area
meridionale, al contrario, gli spostamenti di breve e medio raggio sono assai minori, e
si limitano per lo più a spostamenti di figure professionali di basso livello all’interno
della stessa città o provincia.
Il fatto che tra le regioni meridionali ci siano limitati scambi e trasferimenti di
forze lavoro temporanee o permanenti è dovuto principalmente ad una generalizzata
carenza di occasioni di impiego, che tende ad alimentare la staticità del sistema e la
fuoriuscita di risorse umane non assimilabili nell’area. Un sistema quindi di sostanziale
immobilità negli spostamenti di piccolo e medio raggio, cui invece fa riscontro una
elevata mobilità di lungo raggio verso il Centro-Nord, che solo parzialmente si riflette
nei cambi di residenza, in quanto in larga misura si caratterizza per un pendolarismo
Sud-Nord. La consistenza di trasferimenti di lungo raggio unidirezionali (con cambio
di residenza o attraverso pendolarismo) tra le due macro-regioni dell’Italia costituisce
un fatto unico tra i paesi europei.
Le dimensioni complessive del fenomeno assumono negli ultimi anni una forte
rilevanza. Per quanto riguarda i trasferimenti di residenza, i flussi in uscita dal Sud
verso il Centro-Nord si sono attestati intorno alle 120 mila unità nel biennio 2004-
2005, per poi continuare a crescere, seppur lievemente, nel successivo biennio 2006-
2007. Mentre i trasferimenti dal Centro-Nord al Mezzogiorno negli ultimi venti anni
sono rimasti sostanzialmente stabili – nell’ordine delle 65 mila unità e segnati da rientri
di persone in età pensionabile o giovani al termine del ciclo di studi – tra il 1997 e il
2007 oltre 600 mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno. Ma la cosa più
rilevante è che la gran parte di coloro che si sposta è costituito da forza lavoro giovane
e ad elevata scolarità. Sono proprio questi aspetti qualitativi che assumono particolare
valenza in un’ottica di effetti di tale fuoriuscita di capitale umano sulle potenzialità di
sviluppo dell’area.
20
Una analisi più complessiva del fenomeno della ripresa delle migrazioni Sud-
Nord non può non tenere conto, come detto, della “nuova migrazione” costituita dal
pendolarismo di lungo raggio. Una modalità di spostamento per motivi di lavoro che
ha assunto negli ultimi anni una elevata consistenza e che riflette la maggiore
precarietà dei rapporti di lavoro nelle regioni di destinazione del Centro-Nord, nonché
gli elevati costi di insediamento in quelle aree.
Nel 2007 gli occupati residenti nel Mezzogiorno ma con un posto di lavoro
nelle regioni centrali e settentrionali erano 150.000, pari al 2,3% degli occupati
residenti nel Sud e nelle Isole, dato sostanzialmente simile a quello del 2006. I posti di
lavoro del Mezzogiorno, in altri termini, sono in numero assai inferiore a quello degli
occupati.
La carenza di domanda di lavoro nel Mezzogiorno di figure professionali di
livello medio-alto costituisce la principale spinta all’emigrazione. La crescente offerta
di rapporti di lavoro temporanei e la crescita dei costi delle abitazioni spinge
moltissimi lavoratori a non trasferire la propria residenza, dando così origine a una
migrazione “precaria”, percepita come condizione transitoria e legata alla fase di
ingresso e assestamento nel mercato del lavoro. Non a caso i pendolari meridionali
sono per lo più giovani: oltre l’80% dei pendolari meridionali, infatti, ha meno di 45
anni; quasi il 50% svolge professioni di livello elevato, mentre il 40% ricopre posizioni
di livello intermedio.
La perdita di tali professionalità per il Sud, prezioso capitale umano giovane e
formato, diventa doppiamente penalizzante, in quanto determina da un lato il
fallimento economico dell’investimento formativo e dall’altro la mancanza di energie e
di competenze in loco necessarie per innescare un processo di sviluppo autonomo e
autopropulsivo.
6. L’INDUSTRIA DEL SUD NEL MERCATO GLOBALE
Per una ripresa dell’economia nel Mezzogiorno rimane centrale l’ulteriore
avanzamento del processo di industrializzazione1, da cui può venire un contributo
determinante all’innalzamento del grado di apertura del sistema verso l’estero.
Nel nuovo contesto, di un mercato sempre più globale dei prodotti, della
tecnologia e, soprattutto dei capitali, il saggio di crescita di un’economia è infatti tanto
più elevato quanto più il sistema è aperto ed è in grado di esportare beni e servizi, e
quanto più è capace di attrarre investimenti dall’estero. Le due condizioni testimoniano
di una raggiunta efficienza produttiva, di un buon livello di profitti, di un clima
favorevole alla vita delle imprese, di un’alta fiducia per produttori e investitori.
1
Con riferimento al gap di industrializzazione del Mezzogiorno, si può ricordare che nel 2005, in base ai dati più
recenti dell’archivio ASIA, gli addetti nelle unità locali delle imprese nell’industria e servizi del Sud sono risultati 274
ogni 1.000 residenti in età di lavoro (di età compresa tra 15 e 64 anni), a fronte dei 519 del Centro-Nord.
21
Il grado di apertura verso l’estero è strutturalmente molto più basso nelle
regioni meridionali rispetto a quello del Centro-Nord, ma per un certo periodo, in
particolare nella seconda metà degli anni ‘90, le esportazioni sono cresciute ad un tasso
superiore a quello del resto del Paese, determinando una tendenza al riavvicinamento.
In quel periodo, la crescita dell’export meridionale è stata più intensa anche nei
comparti tradizionali. A partire dai primi anni di questo decennio, tuttavia, la tendenza
alla convergenza si è arrestata.
Con riferimento al più recente biennio 2006-2007, le esportazioni italiane
hanno mostrato una rinnovata ed inattesa vitalità che ha interessato entrambe le aree,
ma con qualche differenziazione: nel Sud, diversamente che nel Centro-Nord, essa non
si è diffusa alle produzioni tradizionali, nelle quali sono comprese essenzialmente le
produzioni del made in Italy, per lo più operanti in imprese di piccola dimensione. Nel
Mezzogiorno i settori tradizionali - che presentano una specializzazione produttiva più
sensibile all’accresciuta concorrenza dei paesi emergenti - hanno registrato dinamiche
meno favorevoli. Il loro peso sul totale delle esportazioni manifatturiere si è fortemente
ridotto, passando dal 29,3% degli anni 2001-2003 al 19,6% registrato nel 2007.
Tali andamenti hanno coinciso con le difficoltà di sistemi produttivi di piccole
imprese locali particolarmente dinamici fino alla fine degli anni ’90, ma fortemente
inadeguati ad affrontare la crescente competitività internazionale. Soprattutto nei
sistemi produttivi del Sud, in coerenza con quanto accade nei distretti del Nord, è
proprio la dimensione a fare la differenza e, quindi, a spiegare le diverse performances.
I sistemi produttivi che presentano al loro interno imprese leader di maggiori
dimensioni registrano i risultati migliori, quelli caratterizzati dalla presenza di piccole
imprese locali appaiono in crisi.
Le difficoltà incontrate dalle imprese tradizionali meridionali sono da
ricercare, in primo luogo, nella loro attitudine ad entrare ed uscire dai mercati esteri in
funzione di variazioni del ciclo e dei prezzi relativi. Tale comportamento segnala
evidenti criticità di queste unità produttive nel radicarsi nei mercati, ed una
conseguente fragilità delle loro quote di mercato.
Le produzioni che hanno fatto da driver all’export meridionale (autoveicoli,
altri mezzi di trasporto, prodotti raffinati) sono quelle con forti economie di scala,
quasi prevalentemente costituite da grandi imprese, a proprietà esterna all’area e per le
quali è più elevata la domanda a livello mondiale. Esse costituiscono un punto di forza
dell’apparato produttivo meridionale: il loro peso sul totale delle esportazioni
manifatturiere, già pari a circa il 50% negli anni 2001-2003, è salito al 60,9% nel 2007,
a fronte del 38,7% nel Centro-Nord. Molte di queste imprese si sono localizzate nel
Mezzogiorno tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ‘60, quando venne avviato il
“secondo tempo” dell’intervento straordinario, basato su una politica di
industrializzazione trainata dalle Partecipazioni statali e dalle grandi imprese del
Centro-Nord.
Nell’ambito del processo di ristrutturazione avviato dal sistema industriale
italiano per far fronte alle crescenti pressioni competitive, un ruolo centrale hanno
avuto le medie imprese largamente specializzate nei settori tipici del made in Italy
22
(comprendenti le produzioni tradizionali e la meccanica strumentale). Le brillanti
performances delle medie imprese sono messe in luce dall’ultima Indagine
Mediobanca-Unioncamere2 , che analizza le società di capitale aventi una forza lavoro
tra i 50 e i 499 addetti e un fatturato tra i 13 e i 290 milioni di euro. Da tale analisi
emerge come le medie imprese italiane, circa 4.000, siano divenute il punto di forza
dell’apparato produttivo nazionale, sotto il profilo della competitività, solidità
finanziaria e redditività. Nel Rapporto SVIMEZ di quest’anno è stata condotta
un’analisi territoriale dei dati (relativi al 2005) messi a disposizione da Mediobanca,
che ha posto in luce come anche nel Sud vi sia la presenza di un nucleo di medie
imprese dinamiche, anche se in numero relativamente assai ridotto (333, pari all’8,2%
del totale nazionale).
Nel Mezzogiorno le medie imprese si caratterizzano per una redditività
superiore a quella generalmente conseguita dalle piccole imprese dell’area e per una
dinamica (1996-2005) delle principali grandezze economiche (fatturato, valore
aggiunto capitale investito tangibile, investimenti) migliore di quella delle medie
imprese nazionali. Esse ricoprono un ruolo di primo piano, poiché consentono al
sistema delle piccole imprese e, talora, anche all’artigianato di “qualità”, di competere
nei mercati internazionali. La media impresa industriale è, infatti, un’impresa “a rete”,
che organizza e collega il lavoro di una pluralità di aziende, prevalentemente di piccola
dimensione, con i mercati di consumo dell’economia globale.
I dati pongono in luce una propensione all’export relativamente minore delle
medie imprese meridionali. Tale circostanza si può rilevare dal confronto della quota di
export detenuta dalle medie imprese meridionali sul totale di quelle italiane (pari al
4,7%) e il loro peso in termini di numero di aziende (pari, come detto, all’8% del totale
nazionale). La loro relativamente minore capacità esportativa rispetto a quella delle
altre imprese potrebbe, inoltre, essere il riflesso, nel Mezzogiorno, di una generale
difficoltà delle piccole imprese operanti nella “rete” organizzata dalle medie di aprirsi
sui mercati e del fatto che, almeno in parte, queste ultime abbiano forme di
integrazione con imprese del Centro-Nord, che sfuggono alle rilevazioni.
Passando a considerare l’altro aspetto che caratterizza l’apertura di un
economia verso l’estero, vale a dire la capacità di un’area di attrarre investimenti
diretti esteri, va sottolineato come nell’attuale contesto di crescente globalizzazione, gli
investimenti diretti esteri (IDE), sono sempre più considerati come uno dei fattori
strategici soprattutto per il loro contributo allo sviluppo delle aree in ritardo. In
particolare, l’insediamento di un primo gruppo industriale estero può attirare altre
imprese operanti nello stesso settore, innescando un circolo virtuoso di crescita che si
autoalimenta. Secondariamente, gli investimenti esteri possono innescare processi di
spin-off per le imprese locali, favorire la formazione di filiere produttive, sostenere la
crescita dimensionale delle PMI, e non ultimo contribuire a determinare uno
spostamento della struttura produttiva verso i settori più innovativi e dove la domanda
mondiale è più dinamica.
2
Mediobanca-Unioncamere, Le medie imprese industriali italiane (1996-2005), Milano-Roma, 2008.
23
Ma l’Italia non è in grado di intercettare significativi flussi di investimenti
esteri. I dati sull’incidenza degli IDE, sul PIL o sugli investimenti fissi lordi, mostrano
quote notevolmente più basse della media europea, nonostante la modesta
accelerazione dei flussi netti in entrata negli ultimi anni. Nel triennio 2004-2006, il
rapporto tra IDE e PIL si attesta all’1,8%, nel nostro Paese, a fronte del 3,7% della
media dell’Ue a 25; quello tra IDE e investimenti fissi (pari all’6,6%), pone l’Italia
nettamente al di sotto della media europea a 25 (14,4%) e in coda ai principali
competitori internazionali. Il divario rimane elevato sia rispetto a grandi paesi, come la
Francia e il Regno Unito (che hanno attirato flussi di IDE pari nell’ordine al 3,7% e
7,1% dei PIL nazionali e al 14,6% e 32,1% dei rispettivi investimenti), sia rispetto a
paesi più piccoli ma tradizionalmente considerati a forte attrattività di IDE, come
l’Irlanda e i Paesi Bassi (i cui flussi di IDE rappresentano rispettivamente il 6,9% e
3,1%, dei loro PIL, e il 21,1% e 12,7%, degli investimenti), sia ancora rispetto a un
grande paese dell’Est, come la Polonia, che ha attratto IDE pari al 5,1% del proprio
PIL e al 21% degli investimenti nazionali.
A livello territoriale, inoltre, la distribuzione degli IDE è totalmente sbilanciata
a favore delle grandi regioni del Centro-Nord: nel biennio 2005-2006 (ultimi anni per i
quali si dispone di informazioni), i flussi in entrata nel Mezzogiorno non hanno
raggiunto l’1% dell’aggregato nazionale.
I due aspetti della internazionalizzazione, esportazioni ed IDE, sono tra di loro
correlati. Nel Rapporto di quest’anno è stata condotta un’analisi che ha attinto alle
statistiche della banca dati Reprint, dalla quale emerge nel Mezzogiorno il ruolo
cruciale della presenza delle imprese a partecipazione estera anche nel favorire la
crescita delle esportazioni. Le regioni e le industrie nelle quali è più elevato il “grado
di multinazionalità” (misurato come rapporto tra gli addetti negli stabilimenti di
imprese a partecipazione estera e gli addetti nelle unità locali manifatturiere), infatti,
sono anche quelle caratterizzate sia da più elevati livelli di propensione a esportare
(espressa dal valore medio delle esportazioni per addetto), sia da una maggiore
capacità di tenuta delle relative quote di export nel periodo 2003-2007. Ciò sembra
confermare il ruolo di stimolo diretto e indiretto che le multinazionali esercitano verso
una maggiore apertura internazionale delle aree in cui si insediano.
In particolare, la presenza delle multinazionali nel Sud appare trascurabile nei
settori tradizionali del tessile-abbigliamento, cuoio-calzature e legno. E’ questo un
ulteriore indizio di come nel Sud, a differenza che nel resto del Paese, i settori
tradizionali siano prevalentemente costituiti da aziende scarsamente attrattive per gli
investitori internazionali.
In altre parole, mentre i sistemi di piccola impresa locale, specializzati nei
settori tradizionali dei beni di consumo per la persona e per la casa, sembrano tuttora
attraversare nel Mezzogiorno una crisi più grave che in altre aree del Paese, le
esportazioni dei settori caratterizzati da una forte presenza di imprese estere hanno
conseguito risultati generalmente migliori, sostenendo la crescita complessiva della
ripartizione.
24
7. L’ASSENZA DELLE POLITICHE PER L’INTERNAZIONALIZZAZIONE
In un quadro caratterizzato da una bassa propensione ad esportare delle
imprese meridionali, soprattutto di piccola e media dimensione, e da una capacità di
attrazione di investimenti esteri dell’area di gran lunga inferiore al suo potenziale, si
può legittimamente ritenere che le politiche possano giocare un ruolo rilevante.
Per quanto riguarda le politiche di sostegno all’export, è importante favorire le
imprese meridionali, seppure relativamente poche, che già hanno avviato un’attività di
esportazione, ma soprattutto occorre contribuire a creare le condizioni affinché un
numero sempre maggiore di imprese decida di accedere ai mercati esteri.
A tal fine, si pone, a nostro avviso, l’esigenza di spostare l’azione pubblica su
un piano di intervento più ampio, che comprenda oltre alle tradizionali politiche
commerciali anche azioni di contorno, quali la promozione di filiere di prodotti,
l’incentivazione delle operazioni di cooperazione e di aggregazione tra imprese, la
tutela del made in Italy dalle contraffazioni, il finanziamento delle attività di
informazione e di consulenza alle imprese, il sostegno alla formazione.
Tuttavia, una riforma sostanziale degli strumenti di incentivazione non è stata
ancora realizzata, e dal lato quantitativo si osserva una compressione dell’intervento
pubblico. L’analisi sull’accesso agli strumenti nazionali e conferiti alle Regioni per il
sostegno all’export nel periodo 2003-2006 (tra cui i principali sono il decreto
legislativo 143/1998 - ex legge “Ossola”; la legge 394/1981 - penetrazione
commerciale all’estero; la legge 100/1990 - crediti agevolati per imprese miste
all’estero; la legge 304/1990 - gare internazionali) mostra, infatti, come, in Italia, le
agevolazioni si siano progressivamente ridotte: dagli oltre 500 milioni di euro del
2003, esse sono infatti scese a poco più di 300 milioni nel biennio 2005-2006.
Pur in un quadro di risorse per l’export complessivamente calanti, nel Centro-
Nord il sostegno all’internazionalizzazione si è comunque confermato anche negli
ultimi anni come uno dei principali obiettivi delle politiche di incentivazione. Il suo
peso relativo sul complesso delle agevolazioni concesse nell’area è andato
continuamente rafforzandosi: dal 21% al 26% tra il 2003 e il 2006. Di converso, verso
il Mezzogiorno sono stati indirizzati incentivi a sostegno dell’internazionalizzazione
che rappresentano meno dello 0,5% delle agevolazioni complessive destinate nel
quadriennio 2003-2006 all’area.
Lo scarso utilizzo delle agevolazioni nazionali e conferite, specificamente
destinate al sostegno dell’internazionalizzazione, non è stato, d’altra parte,
compensato, nel Sud, da un maggiore impegno delle agevolazioni messe in campo
dalle Regioni attraverso i Fondi strutturali. In tale ambito, l’ammontare delle relative
agevolazioni concesse alle imprese a favore della internazionalizzazione è irrisorio: 4,1
milioni di euro nel quadriennio 2003-2006, pari allo 0,1% del totale delle agevolazioni
regionali concesse. Nel Centro-Nord, invece, gli incentivi regionali alla
internazionalizzazione hanno raggiunto un ammontare ben più significativo: 229
25
milioni di euro, che rappresentano all’incirca l’11% del totale delle risorse regionali
allocate tramite i Fondi strutturali.
Questo inadeguato impegno finanziario a favore dell’internazionalizzazione
delle imprese del Sud non può che sorprendere, anche perché appare in contrasto con
quanto enunciato nei vari documenti programmatici (nazionali e regionali) dove non si
manca mai di sottolineare i vantaggi derivanti da un maggiore grado di apertura verso
l’estero. In realtà, sembra essere risultata alla fine determinante la natura
prevalentemente “passiva” della maggior parte degli strumenti di incentivazione, la cui
attivazione risulta troppo dipendente dalla domanda espressa dalle imprese. Nelle
regioni meridionali, la percentuale delle imprese che svolge una consistente attività di
esportazione risulta ancora relativamente limitata. Il basso accesso del Sud è, dunque,
in larga parte da attribuire al fatto che le imprese meridionali non sono
sufficientemente mature per avere bisogno di interventi quali quelli previsti dalle
agevolazioni in oggetto; gli stessi amministratori locali hanno, perciò, un ridotto
interesse a convogliare risorse su strumenti che non incontrano la “domanda”. E’
chiaro che la domanda di agevolazioni all’esportazione non può che svilupparsi
nell’ambito di una complessiva crescita qualitativa delle piccole imprese che tocchi
anche altri aspetti della capacità di gestione e di relazione con il mercato. Orbene, è
proprio la capacità di leggere la complessiva evoluzione delle imprese di un territorio
che avrebbe dovuto costituire il principale vantaggio della politica industriale
regionale. Ma, con tutta evidenza, per cogliere questo vantaggio non è risultata ancora
sufficiente la maturità amministrativa.
Con riferimento a quest’ultimo aspetto, occorre ricordare come forti ostacoli
all’attuazione di politiche di sostegno dell’internazionalizzazione più incisive ed
efficaci si siano prodotti anche in relazione all’attuale assetto del quadro istituzionale
italiano. A livello nazionale, infatti, anche le politiche a favore
dell’internazionalizzazione sono state oggetto del processo di decentramento; lo Stato
centrale ha conservato in materia di commercio estero solo la determinazione degli
indirizzi fondamentali. Ma il quadro istituzionale è in corso di evoluzione e ancora non
ben definito: emergono incertezze e sovrapposizioni di competenze tra i diversi
organismi nazionali e territoriali. L’esigenza di individuare forme e modalità di
coordinamento tra le singole Regioni e tra i diversi livelli territoriali di governance
(nazionale, regionale, locale), è quindi largamente riconosciuta; molto più difficile è
individuare soluzioni efficienti e condivise.
Per quanto riguarda gli investimenti diretti esteri, il livello di attrazione
dell’Italia - come messo in luce da diverse analisi - è molto più basso del potenziale,
come conseguenza sia del sottodimensionamento della struttura produttiva (nelle PMI
prevalgono assetti proprietari ostili alle fusioni e acquisizioni da parte di altre imprese),
sia della debolezza della cosiddetta “filiera istituzionale” (diffusa illegalità, scarsa
difesa dei diritti di proprietà, inefficienza della Pubblica Amministrazione), fattori di
debolezza che si accentuano nel Mezzogiorno. Le regioni meridionali sono inoltre
penalizzate dal basso livello delle infrastrutture fisiche e tecnologiche e da una
mediamente minore qualità del sistema di formazione del capitale umano, fattori che
26
possono risultare decisivi nel determinare le scelte di localizzazione delle imprese
estere. Sono questi, dunque, in sostanza i principali punti su cui devono fare leva, con
la necessaria incisività, le politiche di sostegno degli investimenti esteri.
L’ importanza delle politiche di attrazione degli IDE è ampiamente
riconosciuta in tutti i paesi europei, che presidiano tale azione con specifici organismi e
utilizzano diversi strumenti di agevolazione (fiscali, contributivi, di contesto). In
notevole misura, infatti, l’effettiva efficacia delle politiche di attrazione dipende, da un
lato, dal grado di coordinamento e di integrazione tra i diversi meccanismi di
incentivazione disponibili, dall’altro, da azioni di promozione dell’immagine del
territorio, di offerta di servizi di tipo consulenziale e di servizi cosiddetti di aftercare,
vale a dire di assistenza “continua” agli investitori, anche dopo il loro insediamento.
L’efficacia di un così complesso e articolato ventaglio di attività necessita della
disponibilità di elevate competenze specialistiche, con marcate capacità di analisi e di
individuazione delle migliori soluzioni. Per questo motivo, nella maggior parte dei
paesi europei si rileva la tendenza ad affidare l’attrazione degli IDE ad Agenzie
istituite ad hoc, specificamente e quasi del tutto esclusivamente dedite al sostegno
degli investimenti esteri.
Per quanto riguarda la politica industriale italiana, il tema dell’attrazione degli
investimenti esteri è forse quello dove si consuma la frattura più netta tra le
enunciazioni programmatiche e la loro concreta attuazione. A livello nazionale, infatti,
l’Italia non ha mai perseguito stabilmente una specifica politica di attrazione degli IDE,
tanto meno indirizzata al Mezzogiorno. Prima ancora che da una insufficienza di
risorse e di strumenti, il sostegno agli investimenti esteri è stato frenato dalla mancanza
di un’azione sistematica e duratura, dalla carenza di un coordinamento tra i vari
meccanismi di incentivazione, attuati ai diversi livelli di governance territoriale
(nazionale, regionale, locale), dall’assenza di un interlocutore nazionale privilegiato.
A partire dal 1999 anche in Italia la finalità di promozione degli IDE è stata
affidata ad una specifica agenzia, l’”Agenzia nazionale per l’attrazione degli
investimenti e lo sviluppo d’impresa” (ex “Sviluppo Italia”), operativa in tutto il
territorio nazionale. A differenza che nella maggior parte degli altri paesi europei,
tuttavia, all’Agenzia è stato attribuito un mandato molto ampio ed eterogeneo: oltre
alle politiche di attrazione degli IDE, esso comprende una pluralità di altre attività, tra
cui il sostegno allo sviluppo territoriale, alla creazione d’impresa, alla promozione del
turismo, e alla realizzazione di infrastrutture di rete di telecomunicazioni a banda larga.
Nell’ambito delle attività di promozione degli IDE, solo a partire dal 2003 è
stato istituito un programma di interventi specifico per il Mezzogiorno (“Programma
operativo pluriennale di marketing territoriale”), il cui strumento di agevolazione è
rappresentato dai cosiddetti “contratti di localizzazione”, che prevedono, oltre che la
concessione di agevolazioni agli investimenti produttivi, anche il finanziamento di
opere infrastrutturali e il sostegno dell’attività di ricerca e formazione. Il bilancio del
funzionamento dei contratti di localizzazione è stato, sin qui, alquanto deludente. Tra il
2003 e il 2007 solo 9 progetti di investimento sono stati ritenuti ammissibili, per un
totale di circa 350 milioni di euro di investimenti e 140 milioni di agevolazioni; volumi
27
chiaramente insufficienti a innescare significativi processi di spin-off o di
agglomerazione all’interno delle strutture produttive regionali. Inoltre, le erogazioni
hanno avuto inizio solo nel 2006 e hanno raggiunto poco meno del 20% delle
agevolazioni concesse, a testimonianza del basso stato di avanzamento degli interventi.
Tra i fattori che possono avere frenato la sottoscrizione dei “contratti di
localizzazione” vi sono innanzitutto le complessità procedurali: alla sovrapposizione di
due diverse procedure, quella dei contratti di programma e quella degli APQ, si
aggiungono infatti le fasi specifiche del contratto di localizzazione. Pesa, inoltre, la
stessa molteplicità dei soggetti istituzionali coinvolti (Ministero dello Sviluppo
Economico, Agenzia per l’attrazione, Regioni), contribuendo non poco a dilatare i
tempi.
Spunti di interesse scaturiscono, tuttavia, dalle nuove disposizioni previste dal
decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 all’esame del Parlamento per la sua conversione
in legge, che prefigurano una semplificazione degli strumenti di attrazione degli
investimenti (contratti di programma e contratti di localizzazione) e un iter più rapido
di approvazione degli stessi.
8. FINANZIAMENTO DELLO SVILUPPO E RAFFORZAMENTO DEL RUOLO DEI
CONFIDI
La piena affermazione del processo di crescita e internazionalizzazione del
tessuto produttivo meridionale passa in larga misura per lo sviluppo del sistema
finanziario e del mercato del credito. L’accrescimento dimensionale delle piccole e
medie imprese meridionali e l’auspicato processo di internazionalizzazione devono
tuttavia misurarsi con gli esiti del recente processo di consolidamento del sistema
bancario italiano. Tale processo, iniziato negli anni ’90, ha inciso profondamente sugli
assetti organizzativi e sui modelli di comportamento degli intermediari, ha plasmato le
relazioni banca-impresa, ha inciso sensibilmente sulla rilevanza della contiguità
territoriale e dell’intangibilità delle informazioni, traducendosi in un modello
relazionale tra domanda e offerta di credito poco in sintonia con le reali esigenze di
finanziamento dello sviluppo dell’economia meridionale, e producendo tra l’altro la
scomparsa di autonomi centri decisionali del Mezzogiorno. Le fusioni e concentrazioni
seguite alla liberalizzazione del mercato del credito, infatti, hanno spostato il baricentro
dell’industria bancaria nel Nord del Paese con conseguente indebolimento delle
relazioni di clientela tra intermediari locali e piccole imprese meridionali.
La politica del credito seguita dagli istituti del Centro-Nord, coerentemente ad
una ineccepibile ottica aziendale, si è indirizzata prevalentemente a favore della
clientela che presenta migliori combinazioni rischio-rendimento, il che penalizza il
tessuto produttivo meridionale peggiorandone le condizioni di accesso al credito; una
rarefazione del credito che appare ancora più acuta se si pensa che ha investito piccole
e medie imprese, generalmente prive – e ciò assume connotati di particolare intensità
nel Mezzogiorno – di strumenti alternativi di finanziamento.
28
La debancarizzazione del Mezzogiorno è leggibile nel calo consistente del
numero di banche con sede locale al Sud verificatosi nel corso degli anni ’90, e con
particolare vigore a partire dal 1995. Particolarmente indicativo dello spostamento
progressivo del baricentro proprietario delle banche all’esterno dell’area meridionale è
il dato sulla percentuale di sportelli gestiti da banche con sede locale al Sud: solo il
17,6% del totale. Permangono ampie e crescenti anche le differenze relative alla
presenza di sportelli bancari per abitante e per km2.
Più di un dubbio emerge pertanto in merito alla coerenza interna del modello
strategico che ha ispirato il suddetto processo di ristrutturazione e consolidamento: le
piccole e medie imprese del Mezzogiorno avrebbero avuto bisogno di un fitto tessuto
di banche locali in grado di interagire proficuamente con il territorio e di instaurare
relazioni di clientela durature e capaci di mitigare le opacità informative di imprese
sottodimensionate e operanti in contesti ambientali avversi. La direzione del
cambiamento è stata invece un’altra e se ne subiscono gli effetti in termini di scarsi
volumi intermediati con le imprese del Sud e di drenaggio di risorse a favore di mercati
più redditizi.
Se una attenuazione degli svantaggi competitivi nella facilità di accesso al
credito e nel costo dei finanziamenti è oggi, dunque, per le piccole e medie imprese
meridionali una condizione quanto mai importante per la crescita e l’avanzamento del
processo di internazionalizzazione, tale percorso può trovare un forte alleato
nell’azione delle strutture di garanzia collettive – Confidi – in virtù del ruolo che
queste possono svolgere nell’agevolare l’incontro tra domanda e offerta di credito.
Le indagini svolte nel corso degli ultimi anni hanno infatti evidenziato il ruolo
sempre più rilevante che i Confidi svolgono nel tessuto socio-economico locale, non
solo in termini di facilitazione dell’accesso al credito ma anche di sostegno allo
sviluppo del tessuto imprenditoriale e di crescita di una cultura finanziaria moderna.
L’azione concomitante di vari fenomeni (liberalizzazioni dei mercati
finanziari, processi di aggregazione del sistema bancario, riforma dell’accordo di
Basilea, adeguamento della normativa nazionale) ha, da un lato, portato a una
progressiva evoluzione della natura stessa dei Confidi, con la previsione di nuovi
servizi offerti alle imprese e con la nascita di soggetti mossi da logiche più apertamente
di “mercato” e, dall’altro, ha indotto a ripensare ruolo, struttura e mission dei Confidi
esistenti. Essi infatti sono chiamati oggi non solo ad affinare il loro tradizionale
compito di agevolazione delle PMI, generalmente prive di un rating esterno,
nell’accesso all’indebitamento bancario, ma anche a favorirne i processi di crescita,
elevazione della cultura finanziaria ed internazionalizzazione. Perché ciò possa
realizzarsi – affinché, cioè, i Confidi possano ripensare al loro modo di essere e di
operare sul mercato del credito e siano in grado di affrontare le sfide o cogliere le
opportunità offerte da Basilea II – è indispensabile avviare un processo di
ristrutturazione e riorganizzazione interna che ne assicuri il rafforzamento strutturale
ed operativo.
Con Basilea II, infatti, si introducono una rigida disciplina sui requisiti
patrimoniali delle banche – che impone loro di accantonare quote di capitale
29
proporzionali ai rischi assunti – e limiti stringenti al riconoscimento delle garanzie
consortili ai fini della mitigazione del rischio di credito, determinando nel contesto
nazionale cambiamenti radicali nelle relazioni tra banche ed imprese e,
conseguentemente, nel ruolo dei Confidi. La possibilità di superare i suddetti limiti è
legata ad un duplice percorso virtuoso che investe banche finanziatrici e Confidi. Le
prime sono chiamate ad evolvere verso più accurati sistemi di valutazione del merito
creditizio, i secondi a spingersi verso nuove configurazioni più articolate, quali le
banche di garanzia collettiva e gli intermediari finanziari di garanzia.
Tuttavia, il sistema dei Confidi operanti nel Mezzogiorno mostra attualmente
tratti di debolezza strutturale e criticità operative tali da poter costituire – in assenza di
azioni volte a favorirne il consolidamento – un serio freno al passaggio verso le su
richiamate più evolute configurazioni di Confidi, e al compimento di quel salto di
qualità in grado di rendere gli organismi di garanzia collettivi operanti al Sud
interlocutori forti e credibili nei confronti del sistema bancario.
A tale riguardo, il Rapporto di quest’anno ha dedicato un primo, breve
approfondimento proprio ad una ricognizione delle specificità che, in termini
dimensionali e di volumi di attività e requisiti patrimoniali, il sistema dei Confidi
presenta nelle due macro-aree del Paese; approfondimento che si è basato sulle
informazioni offerte dall’XI Indagine annuale sul sistema dei Confidi artigiani aderenti
a Fedart Fidi (Federazione nazionale unitaria dei consorzi e delle cooperative artigiane
di garanzia), aggiornate al 31 dicembre 20063.
Un quadro di ridotta capacità aggregativa e di minore disponibilità di mezzi
finanziari dei Confidi meridionali emerge, in particolare dalla lettura di alcuni
indicatori dimensionali, quali il numero medio di imprese associate da ciascun Confidi
(totale e artigiane) e il capitale sociale. I Confidi meridionali, infatti, associano in
media un quarto delle imprese dei Confidi centro-settentrionali (circa 1.100 a fronte di
circa 4.100). Inoltre, il capitale sociale medio dei Confidi meridionali è di 470.000
euro, meno della metà della media dei Confidi settentrionali. Infine, il dato relativo al
volume di garanzie in essere a livello regionale restituisce immediatamente l’immagine
del divario esistente tra strutture di garanzie centro-settentrionali e meridionali: in
media, un Confidi localizzato nel Mezzogiorno è esposto per un volume di garanzie di
8,8 milioni di euro, rispetto ai 42 e 32 milioni di un Confidi del Nord e del Centro.
In conclusione, il deficit strutturale ed operativo del sistema dei Confidi
meridionali rispetto a quello centro-settentrionale – che trova ampia conferma dalla
lettura dei dati territoriali –, unitamente alla presenza di una rete di banche locali
ancorate a sistemi tradizionali di rating, rischia di rendere molto più ardui nel
Mezzogiorno il percorso di consolidamento del sistema delle garanzie collettive e i
relativi processi di aggregazione territoriale delle strutture di 1° livello e potenziamento
di quelle di 2° livello; e, conseguentemente, di accentuare il divario esistente tra PMI
3
Anche se il riferimento è ai Confidi artigiani, è bene ricordare che essi rappresentano oltre un quarto del complesso
delle strutture di garanzia (251 aderenti Fedart Fidi a fronte di 919 Confidi iscritti nella sezione separata dell’elenco
degli intermediari finanziari, ex art. 155 TUB, al 31 maggio 2008), il che li rende rappresentativi per numerosità
dell’intero sistema.
30
operanti al Nord e al Sud del Paese nell’accesso al credito.
La debolezza strutturale dei Confidi meridionali e le difficoltà che essi
incontrano nell’adeguarsi al nuovo quadro normativo e regolamentare devono dunque
richiamare l’attenzione del policy maker sulla necessità di implementare e rendere
realmente efficaci politiche di incentivazione tese ad accelerare lo sviluppo ed il
consolidamento dei consorzi di garanzia collettiva, attraverso misure capaci di favorire
concretamente i processi di fusione e trasformazione in intermediari vigilati. Solo
attraverso l’avvio di un rafforzamento strutturale ed operativo i Confidi saranno infatti
in grado di affrontare le sfide e cogliere le opportunità offerte da Basilea II.
Tuttavia, la capacità di procedere autonomamente sulla via del consolidamento
e della crescita si è dimostrata debole perché deboli sono le condizioni di partenza nel
Mezzogiorno. Se si vuole escludere per il sistema dei Confidi operante al Sud non solo
il rischio di non assolvere adeguatamente al loro ruolo ma addirittura a quello di
depotenziare il loro tradizionale ruolo di agevolazione delle PMI nell’accesso
all’indebitamento bancario, e soprattutto se si intende rafforzarne il ruolo, rendendoli
protagonisti dell’atteso ed auspicato processo di internazionalizzazione del tessuto
produttivo meridionale, occorre, da un lato, proseguire nelle misure di accrescimento
patrimoniale dei Confidi – già avviate con le leggi finanziarie per il 2007 ed il 2008 –
e, dall’altro, riacquisire il pieno sostegno pubblico dello Stato e delle Regioni.
In particolare, il sostegno regionale – attraverso forme di intervento diretto
(incremento dei fondi di garanzia ai singoli Confidi) ed indiretto (fondi pubblici di
cogaranzia e controgaranzia) – deve realizzarsi senza pregiudicare l’autonomia
gestionale delle organizzazioni, da cui unicamente discende il successo delle PMI nel
territorio, e soprattutto perseguendo una logica di sistema in grado di indirizzare e
coordinare tutti gli attori coinvolti (imprese, banche, associazioni di categoria (Confidi,
agenzie di sviluppo).
Un esempio di successo in tal senso proviene ancora una volta dal Nord-Est,
dove la tumultuosa crescita della capacità imprenditoriale in Veneto trova in parte
radici proprio nel forte sostegno offerto dall’Amministrazione regionale4.
Non sembra pertanto impossibile immaginare, anche per il Mezzogiorno
d’Italia, una rinnovata attenzione della politica regionale e nazionale al sostegno al
credito. Questa potrebbe consentire, nelle forme che il legislatore vorrà definire, anche
ai Confidi meridionali di superare i limiti dimensionali e organizzativi che attualmente
li caratterizzano e di beneficiare in tal modo tutto il tessuto imprenditoriale
meridionale.
4
Sempre a tale riguardo, sono da segnalare tre casi esemplari di processi di concentrazione dei Confidi, verificatisi nel
Nord, che hanno dato vita di recente ad importanti realtà in grado di porsi come precursori di un modello evolutivo
possibile ed auspicale: la nascita, nel 2006, di una nuova società, i Confidi Province Lombarde (dall’aggregazione dei
Confidi di Legnano e dei Confidi Province Lombarde), che rappresenta ben il 60% dei finanziamenti concessi nell’anno
dal sistema dei Confidi confindustriali lombardi; la conclusione, nel settembre 2006, del lungo processo di fusione di
cooperative di garanzia che ha portato alla nascita del COGART CNA Piemonte, operante su tutto il territorio della
regione, con identiche regole e strumenti operativi; la fusione dei Confidi di Udine e Pordenone, nel Friuli Venezia
Giulia, ufficializzata nel gennaio 2008.
31
9. I TRASPORTI NEL SUD: UN “NON SISTEMA”
L’ampia analisi sin qui condotta ha messo in evidenza come il Mezzogiorno
stia affrontando le sfide della crescente integrazione internazionale senza aver risolto
alcuni deficit strutturali che ne depotenziano fortemente le capacità competitive.
Alcune di tali criticità, seppur ampiamente richiamate nella letteratura sul mancato
sviluppo del Sud e ritualmente citate nei documenti di programmazione, non hanno
trovato sino ad oggi una corispondente attenzione nelle scelte concrete di politica
economica. In tale quadro il caso più evidente è quello delle infrastrutturazione di
trasporto. Una insufficiente spesa e una inadeguata programmazione degli interventi ha
determinato nei decenni nel Mezzogiorno l’attuale situazione che nel Rapporto si
sintetizza con la definizione di un “non sistema dei trasporti”. La diffusa carenza di
collegamenti sia per la mobilità interregionale che per la logistica territoriale e la
sostanziale assenza di nodi di scambio tra le principali modalità di trasporto determina
per l’appunto un “non sistema”, in grado di condizionare pesantemente le prospettive
di sviluppo, soprattutto se si pensa al nostro Paese, e al Mezzogiorno in particolare,
come “nodo” di traffici in posizione centrale rispetto ai flussi commerciali tra i
principali mercati europei ed i paesi dell’Estremo Oriente.
Di fronte ad una situazione di sempre più fitti scambi tra sistemi “a rete”, il
Mezzogiorno si presenta ancora oggi periferico e diviso, non tanto per i vincoli
geomorfologici, ma per l’insufficienza delle dotazioni e per la scarsa accessibilità
delle infrastrutture esistenti.
La perifericità del Mezzogiorno
L’applicazione al Mezzogiorno di un indice di perifericità predisposto
dall’Eurostat, pone in luce per la macro-area meridionale nel suo complesso una
situazione di forte svantaggio rispetto alla maggior parte dei territori europei, anche
appartenenti ai paesi di recente adesione all’Ue. Tale condizione di elevate perifericità,
non compensata da un’adeguata accessibilità mediante diverse modalità di trasporto,
influenza l’accesso ai servizi, le possibilità di sviluppo economico, le condizioni di
vita. L’“isolamento” geografico ed economico e gli elevati costi di trasporto hanno
molteplici implicazioni: per la “dispersione” di risorse esterne, quali gli investimenti
nazionali ed esteri che scelgono nuove, più convenienti allocazioni; per la mancata
valorizzazione delle risorse “immobili” interne al territorio; per gli ostacoli, oggettivi,
alla “libera” circolazione delle persone; per l’emarginazione del sistema produttivo
meridionale, escluso dai mercati e dagli stimoli della concorrenza interna e
internazionale.
32
E’ stato correttamente osservato5 che “la perifericità geografica precede la
perifericità economica” e che domanda e offerta di infrastrutture sono legate da una
forte interdipendenza: da un lato, l’assenza, la scarsità o l’inaccessibilità delle
infrastrutture di trasporto e per la logistica (si pensi agli interporti o ai terminali
intermodali) sono un vincolo rilevante allo sviluppo economico e alla domanda di
infrastrutturazione; dall’altro, sono le stesse dinamiche di sviluppo che agiscono da
stimolo ad ulteriore crescita che genera domanda di infrastrutturazione.
In Italia, le politiche dei trasporti non hanno inciso in modo determinante sulle
condizioni di marginalità dei territori meridionali; hanno anzi finito per determinare un
vero e proprio “paradosso della perifericità” per cui le aree geograficamente periferiche
sono quelle che hanno subìto in misura più elevata gli effetti di politiche dei trasporti
“orientate al mercato”. Si è teso nel nostro Paese a sviluppare reti ed interconnessioni
nelle zone a più intensa domanda di infrastrutture (quelle ad elevato tasso di sviluppo)
ignorando che la carenza di infrastrutture rappresenta spesso un limite invalicabile al
dispiegarsi della produttività dei fattori.
Di fronte ad una situazione di evidente squilibrio infrastrutturale, la spesa in
conto capitale per il Mezzogiorno è rimasta negli ultimi sette anni sostanzialmente
invariata e le risorse europee, che avrebbero dovuto rappresentare un sostegno
effettivamente “addizionale” hanno, di fatto, sostituito la spesa ordinaria per
infrastrutture (che si è ridotta, complessivamente, di circa il 20%). Il divario tra le due
aree del Paese si è così consolidato. Lo stato di avanzamento del programma della
Legge Obiettivo, quale risulta dalle delibere Cipe, segnala che gran parte degli impegni
finanziari riguarda opere localizzate nel Centro-Nord: l’80,3%, per un ammontare di
70,9 miliardi di euro; il valore della spesa per il Mezzogiorno risulta, invece, al di sotto
dei 18 miliardi (il 19,7%). Una scelta che ha implicazioni significative sui collegamenti
e sulla mobilità dei territori meridionali: gran parte delle opere deliberate dal CIPE
sono infatti infrastrutture di trasporto6.
La bassa accessibilità dei sistemi produttivi del Sud
L’adeguatezza delle infrastrutture e dei servizi di trasporto va riferita alla
domanda che proviene dalle diverse economie territoriali del Paese, e in particolare
dalla macroarea meridionale. A tal fine, nel Rapporto SVIMEZ 2008 è sembrato utile
procedere a una verifica dell’accessibilità dei Sistemi locali del lavoro, sulla scorta
degli indici appositamente costruiti dall’ISFORT. Si tratta di indicatori particolarmente
efficaci, in quanto mettono a sistema le dotazioni infrastrutturali, le distanze e le
relazioni tra i nodi infrastrutturali di accesso alle reti di trasporto, con la
5
Cfr. Rapporto Annuale ISTAT 2007, p. 153.
6
Dal punto di vista delle risorse, le opere relative a strade e ferrovie rappresentano, in valore, oltre l’80% del totale
degli impegni finanziari necessari per completare le opere deliberate dal CIPE. Se si aggiungono anche le
metropolitane, tale percentuale sale al 90%.�
33
concentrazione degli operatori economici che quelle reti utilizzano, offrendo una
rappresentazione dell’“interazione dinamica” tra tessuto produttivo e rete logistica.
Da tale analisi emerge con chiarezza una netta divisione del territorio
nazionale, con un Nord che presenta elevati livelli di accessibilità, diffusi
territorialmente e tali comunque da configurare un sistema dei trasporti fortemente
connesso, e un Sud nel quale dominano bassi livelli di accessibilità, espressione della
già ricordata insufficiente dotazione infrastrutturale e scarsa integrazione sistemica, in
altre parole un “non sistema dei trasporti”.
Se si pone a confronto la situazione relativa all’accessibilità dei territori italiani
con quella – precedentemente richiamata – relativa al diverso grado di perifericità
degli stessi rispetto ai baricentri economici dell’Unione europea, si può notare una
perfetta sovrapposizione delle aree più periferiche, del nostro Paese con quelle che
presentano il più basso grado di accessibilità. In sostanza, le dotazioni di infrastrutture
di trasporto e il loro grado di integrazione sistemica risultano del tutto insufficienti a
correggere significativamente l’handicap costituito dalla maggiore “distanza”
geografica e dalle più difficili condizioni geomorfologiche del territorio meridionale.
In particolare, l’accessibilità è massima nel Nord-Ovest e nel Nord-Est, dove
l’indice utilizzato raggiunge in entrambi i casi un valore dell’80%, superiore rispetto
alla media nazionale; valore che si mantiene su livelli elevati anche nelle aree portuali
del Tirreno e dell’Adriatico settentrionali. Nel Centro, l’accessibilità è relativamente
più contenuta, con la significativa eccezione dell’area urbana di Roma. Per i Sistemi
locali del Mezzogiorno, elevati livelli di accessibilità si rilevano solo nelle aree urbane
di Napoli, Bari e Catania; le criticità più forti, invece, si registrano per la Sardegna, la
Calabria, la Basilicata e per gran parte della Sicilia.
Una maggiore accessibilità attiva e passiva del territorio meridionale si
tradurrebbe anche in un’immediata riduzione del costo di trasporto, con rilevanti effetti
sia sulle singole imprese che sul complessivo livello di competitività del sistema
produttivo della macroarea. La facilità di accesso potrebbe aprire nuovi mercati ed
accrescere la possibilità di sviluppare quelli esistenti; rendere più competitivi i prodotti
della zona di origine, riducendone i prezzi e promuovendone il consumo; consentire,
nel contempo, di importare prodotti esterni all’area, prima inaccessibili perché gravati
da elevati costi di trasporto; aprire ai mercati anche aree prima escluse, attivando
nuove relazioni tra settori, operatori e aziende e superando dipendenze a carattere
esclusivo da imprese fornitrici e clienti.
Il perseguimento di tale obiettivo richiede un assai rilevante incremento delle
dotazioni infrastrutturali, mediante nuovi investimenti, anche di grande portata, sulle
diverse scale territoriali: collegamenti verso il Centro-Nord, verso l’Europa, e verso il
Sud del Mediterraneo; connessioni interne tra le diverse regioni e province meridionali.
Proprio al tema delle prospettive di sviluppo connesse alla crescente
integrazione del Sud verso il Mediterraneo viene dedicato quest’anno uno specifico
approfondimento.
34
10. LA MESOREGIONE MEDITERRANEA: OPPORTUNITÀ CONCRETA PER IL
MEZZOGIORNO
Nel corso degli ultimi quindici anni, in seguito alla liberalizzazione degli
scambi e alla formazione di un nuovo assetto geo-economico del commercio
internazionale, il bacino del Mediterraneo ha riguadagnato una nuova centralità. Dal
1995 al 2007 la domanda di traffico marittimo di container nell’area è cresciuta in
media del 9% all’anno, un saggio particolarmente elevato, che secondo recenti
previsioni dovrebbe confermarsi almeno sino al 2015.
A tale crescita della centralità economica si è però contrapposto un progressivo
indebolimento dell’opzione mediterranea in termini politici, soprattutto da parte
dell’Unione europea. Dopo gli entusiasmi nati dalla Dichiarazione di Barcellona del
1995 nella quale l’Unione europea lanciava con i paesi mediterranei il Partenariato
Euro Mediterraneo, l’attenzione si è ridotta per lasciare spazio al tema
dell’allargamento dell’Unione ad Est. La relazione tra Europa e Mediterraneo è stata di
fatto ridotta a Politica Europea di Vicinato, nella quale l’obiettivo previsto a Barcellona
di creare entro il 2010 un’area di libero scambio sembra sfumato, o limitato ad
agevolazione commerciale, non a prospettiva di qualificate relazioni politiche.
Eppure come si diceva i cambiamenti geo-economici sembrano confermare le
ipotesi di una nuova centralità mediterranea, già oggi in termini di flussi commerciali,
ma in prospettiva anche in termini di rilevanza dei mercati.
Nel più ampio fenomeno della crescita degli scambi commerciali, il
Mediterraneo sta, inoltre, assumendo un ruolo centrale non solo come “terminale” dei
flussi di import ed export tra l’Europa e il resto del Mondo, ma anche come area di
scambio autonoma, alimentata dalla crescita economica che sta interessando i paesi
della Sponda Sud-Orientale.
Il pieno sfruttamento di queste opportunità presuppone una “strategia
integrata”, che investa tutte le articolazioni infrastrutturali del Paese (valichi alpini, reti
ferroviarie, stradali, di collegamento ai terminali portuali) per far fronte all’emergere di
una concorrenza mediterranea sempre più vasta e agguerrita.
Sotto questo profilo, l’andamento della portualità del Mezzogiorno, pur
confermando alcune potenzialità, al tempo stesso evidenzia alcune difficoltà. Dopo il
picco del 56,5% del 2003, la quota di container transitata nei porti meridionali sul
totale dei porti italiani si è, infatti, progressivamente ridotta fino a segnare il 54,2% nel
2007. Fa eccezione a tale quadro il porto di Gioia Tauro - la più importante realtà
portuale italiana – che nel 2007 ha fatto registrare un aumento dei traffici container del
19,1%, il miglior risultato tra i principali porti nazionali e del Sud-Europa.
Il vero gap strutturale che non si riesce a colmare è la mancanza di una vera ed
efficace capacità di azione, che non consente di assumere ed attuare le decisioni
35
necessarie per sfruttare le occasioni di sviluppo e quella che potrebbe e dovrebbe
essere una leadership geo-economica e strutturale difficilmente contendibile.
Su tutte queste criticità domina una carente strategia programmatica
nonostante la ridondanza dei provvedimenti (Piano generale dei trasporti e della
logistica, 2000; Programma di grandi opere strategiche della Legge Obiettivo, 2001; il
Patto per la logistica ed il connesso Piano per la logistica, 2005; Piano della Mobilità,
2007). Sono in corso di definizione ulteriori Piani regionali, senza contare parti di
programmazioni rilevanti, attivate dalla politica di sviluppo regionale nazionale e
comunitaria, che non raramente risultano poco raccordate alle programmazioni di
livello generale. Né sembra emergere una pianificazione specificamente dedicata alla
portualità, in grado di promuovere uno sviluppo del settore secondo logiche di sistema
ed interventi coerenti ed integrati.
Rilevante è anche il problema della qualità infrastrutturale, che deve essere
orientata non solo ad aumentare la capacità di attrazione dei flussi, ma anche a favorire
lo scambio modale e le interconnessioni con le reti (strada e ferrovia), risolvere le
situazioni di saturazione e di congestione delle infrastrutture e del territorio in cui sono
ubicate, e sviluppare la retro-portualità.
Quanto agli aspetti economici, va sottolineato che, pur partendo da situazioni
di arretratezza e basso reddito, i paesi del sud-est del Mediterraneo presentano
significative performances in termini di sviluppo della produzione e degli scambi
commerciali. Il tasso di crescita relativo al 2006 che nel Mediterraneo europeo si ferma
al 3% medio, con ritmi più lenti per i paesi più ricchi, nell’area extra Ue si colloca tra il
5 e il 6% nella zona balcanica, arrivando al 16% in Montenegro, anche in forza di una
notevole quota di aiuti internazionali. Nella fascia nordafricana, con una crescita
dell’8% e un’inflazione contenuta al 3%, Marocco, Tunisia e Egitto trainano lo
sviluppo della subregione.
Più legati ai settori tradizionali dell’economia, anche perché devono
permettere una sussistenza alla loro popolazione che per alcune fasce non è garantita, i
paesi non europei della regione mediterranea puntano molto al contributo dei processi
di internazionalizzazione nel promuovere accelerazioni del tasso di crescita. In alcuni
aree, in particolare quelle dei Balcani, hanno puntato molto su politiche di attrazione di
capitali internazionali.
La naturale opportunità a commerciare è sfruttata in modi diversi dai diversi
paesi e potrebbe essere maggiormente promossa per tutti. In particolare, potrebbero
fortemente rafforzarsi nel prossimo futuro gli scambi commerciali di prodotti
alimentari. Il diffondersi del benessere e il conseguente incremento della domanda di
beni alimentari potrebbe costituire una favorevole prospettiva anche per l’export del
sistema economico meridionale, dotato di una spiccata specializzazione in tale
comparto.
Se la costruzione di una regione mediterranea con una fisionomia istituzionale
in grado di darle riconoscibilità e ruolo è una prospettiva difficile ma auspicabile,
esiste un ruolo da giocare per il Mezzogiorno italiano. Per la sua posizione geografica
la parte meridionale della penisola italiana è naturalmente terra centrale nel dialogo
36
mediterraneo. Oltre a essere il prodotto di una contaminazione secolare avvenuta nel
cuore del Mediterraneo, il Mezzogiorno è oggi sempre più vivo nelle relazioni
commerciali col resto della regione mediterranea. Se le esportazioni delle regioni
meridionali sono aumentate del 43% nel periodo 2000-2007, la dinamica verso le
nazioni mediterranee non appartenenti all’Unione europea vede un incremento che
supera il 79%, per un valore complessivo superiore ai 4 miliardi di euro.
Oltre ad una legittimazione economica che sta crescendo ogni anno verso la
strada dell’integrazione, non mancano,come detto, difficoltà di natura politica. Le
scelte degli ultimi anni in termine di opzioni strategiche dell’Unione europea, hanno
privilegiato, con l’allargamento verso Est, l’asse orizzontale Ovest/Est, rispetto a
quello Nord/Sud. Anche nelle politiche di infrastrutturazione strategiche, l’asse
Berlino-Palermo, elemento decisivo per il collegamento del Mediterraneo con i mercati
centro–europei è, ben lungi dal compimento.
Le scelte politiche dei prossimi anni saranno decisive per definire la
“perificità”del Mezzogiorno, ultima pendice dell’Europa o porta di accesso verso il
Mediterraneo. L’opzione mediterranea è strategica non solo per il Mezzogiorno ma per
l’intera Unione europea. Lo sviluppo dell’area favorirebbe lo sviluppo dell’intera area
sud-orientale, di molti paesi già membri dell’Unione dell’allargamento e di altri che
potrebbero entrarvi, come la Croazia, il Montenegro, la Turchia. L’impegno
mediterraneo favorirebbe, inoltre, i rapporti con l’intero continente africano nei
confronti del quale l’Europa rischia di perdere quella posizione di privilegio che ancora
occupa.
Proprio nella prospettiva di una rinnovata centralità del Mediterraneo,
elemento fondamentale dovrebbe essere il rafforzamento dei legami intra-Mediterranei,
attraverso lo sviluppo di stabili relazioni internazionali, da realizzare attraverso una
nuova “Istituzione” Mediterranea. Al momento manca un soggetto istituzionale
meridionale in grado di rappresentare il Sud e allo stesso tempo di promuovere tali
processi. Potrebbe esistere uno spazio per un tavolo Stato-Regioni dedicato alla
promozione del dialogo per la costruzione del quadro comune mesoregionale, che
potrebbe vertere su ambiti specifici di speciale competenza per il Sud. Il primo ambito
è quello della logistica per sfruttare l’opportunità della crescita delle merci che
transitano sul Mediterraneo, per effetto dello sviluppo commerciale della Cina e
dell’India. Altro aspetto rilevante è quello della formazione; le Università del Sud
dovrebbero divenire centri di attrazione di capitale umano proveniente dall’intero
Mediterraneo, così da passare da terra di emigrazione a terra di immigrazione di
cervelli. Altri ambiti potrebbero riguardare il superamento del digital divide e la
promozione delle reti di telecomunicazione, l’agricoltura, il turismo, l’energia.
Ma cogliere le opportunità mediterranee richiede scelte coerenti di livello
nazionale e sopranazionale. L’indebolimento della politica euro-mediterranea ha di
fatto implicato, più in generale, uno spostamento della strategia dell’Unione da un
ottica Nord/Sud, cui erano particolarmente interessate le aree periferiche quali il
Mezzogiorno, verso una direttrice Ovest/Est che dà centralità alla Germania e rischia di
aumentare le perifericità delle regioni mediterranee. I paesi mediterranei dell’Unione
37
europea si trovano così in una condizione in parte contraddittoria: da un lato
condividono il percorso dell’Unione che non impedisce iniziative di collaborazione tra
paese e paese, dall’altro guardano alla possibilità di costruire relazioni privilegiate non
solo verso Nord (o più recentemente verso Est), ma anche verso Sud. Accanto al
Partenariato Euro Mediterraneo da più parti si è evocato quindi l’opportunità di creare
iniziative che rafforzassero un quadro di cooperazione intermediterraneo. Va in questa
direzione la proposta del Presidente francese Sarkozy di creare una Unione
Mediterranea. L’idea è di creare con tutti i paesi mediterranei non solo un’area di
libero scambio, ma istituzioni politiche e giuridiche comuni. A tale proposta ha fatto
seguito quella del Governo spagnolo, che ha proposta una prospettiva di Unione
Euromediterranea, che allargherebbe alla dimensione mediterranea l’orizzonte
dell’attuale Ue. Le due proposte rivelano l’esistenza di un interesse intorno alla
costruzione di un quadro formale che rafforzi le relazioni mediterranee, che appare,
invece, sostanzialmente mancare in un Italia con la testa rivolta al di sopra delle Alpi.
38
Finito di stampare il 15 luglio 2008 dall’Industria Grafica Failli Fausto s.r.l.
Via A. Meucci 25, Via Tiburtina Km. 18,300 – 00012 Guidonia Montecelio (Roma)
per conto della SVIMEZ
“Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno”
Via di Porta Pinciana 6, 00187 Roma
Tel. 06.47.850.1 • fax 06.47.850.850 • e–mail: svimez@svimez.it
SVIMEZ/05_Testo.pdf
“RAPPORTO SVIMEZ 2008
SULL’ECONOMIA DEL MEZZOGIORNO”
SINTESI
Roma, 18 luglio 2008
INDICE
p.
1. L’economia (rif. Cap. I) 1
2. L'agricoltura (rif. Cap. II) 10
3. L'industria (rif. Cap. II) 13
4. Il terziario (rif. Cap. II) 15
5. La popolazione (rif. Cap. III) 18
6. Il mercato del lavoro (rif. Cap. III) 23
7. Migrazioni e pendolarismo (rif. Cap. IV) 29
8. Spesa pubblica in conto capitale nel periodo 1996-2007 (rif. Cap. V) 33
9. Gli squilibri nelle dotazioni infrastrutturali (rif. Cap. VII) 36
10. Le infrastrutture per la mobilità (rif. Cap. XIV) 41
11. Il Mezzogiorno nel contesto europeo (rif. Cap. X) 47
12. L’ICT e Internet (rif. Cap. X) 55
13. Sicurezza e lotta alla criminalità nel Mezzogiorno (rif. Cap. XI) 58
14. Il rischio povertà nel Mezzogiorno (rif. Cap. XII) 64
15. La questione urbana (rif. Cap. XIII) 70
16. Logistica e ruolo del Mezzogiorno nel Mediterraneo (rif. Cap. XVIII) 76
1
1. L’economia
L’andamento produttivo
Nel 2007 l’economia italiana ha registrato un rallentamento della fase espansiva
mostrata nell’anno precedente. Il PIL è aumentato dell’1,5% (1,8% nel 2006), quasi
mezzo punto in più rispetto alla media del periodo 2001-2007 (1,1%) (v. Tab. 1). Il
prodotto interno lordo del Mezzogiorno è aumentato dello 0,7% in media all’anno, un
punto in meno che nel Centro-Nord (1,7%), con un calo rispetto all’aumento del 2006
(1,1%, il più elevato registrato dal 2001).
Sono sei anni consecutivi che il Mezzogiorno cresce meno del resto del Paese.
Dal 2002 al 2007, il PIL è aumentato nel Centro-Nord del 6,4% cumulativamente,
mentre al Sud la crescita è stata poco meno di un terzo (2,4%).
In termini di valore aggiunto, calcolato ai prezzi base concatenati all’anno di
riferimento 2000, il Mezzogiorno ha registrato un incremento dello 0,7% rispetto al
2006, inferiore a quello dell’anno precedente (1%) ed anche a quello del Centro-Nord,
dove si è avuto un aumento dell’1,9%, lievemente inferiore al 2% del 2006.
L’unico settore che nel 2007 ha contribuito negativamente all’aumento del
valore aggiunto nel Mezzogiorno è stato, per il terzo anno consecutivo, quello agricolo,
che è calato del 2,2%, a fronte di un aumento nel resto del Paese dell’1,5%. La crescita
del settore dell’industria in senso stretto, positiva per entrambe le aree, è stata nel
Mezzogiorno più sostenuta (1,9%) di quella del Centro-Nord (0,7%), specie se
paragonata alla dinamica negativa registrata nella media del periodo 2001-2007 (-
0,1%).
Una crescita nel Sud è segnalata nel 2007 anche per il settore delle costruzioni
(1%), dopo la flessione dell’anno precedente (-0,2%). Lo sviluppo del settore nel
Centro-Nord è stato più elevato (1,9%).
Nel 2007 l’andamento produttivo del settore dei servizi è stato positivo in
entrambe le ripartizioni, ma nel Mezzogiorno esso registra una crescita modesta (0,6%),
pari a meno della metà di quella dell’anno precedente (1,5%), e a poco più di un quarto
di quella nel Centro-Nord (2,3%), che ha mantenuto lo stesso ritmo dell’anno
precedente.
Nell’ambito delle attività terziarie, il settore del commercio ha registrato
nell’anno una dinamica stagnante (-0,1%), dopo la crescita dell’1% registrata nel 2006.
Il settore ha risentito della bassa dinamica della domanda interna a cui si sono
sovrapposti processi di ristrutturazione, che continuano a favorire la crescita della
grande distribuzione. Una forte riduzione del tasso di crescita è segnalata nel settore
dell’intermediazione finanziaria e immobiliare, 0,6% rispetto al 4,1% dello scorso anno,
a fronte del 2,7% nel Centro-Nord, con un lieve rallentamento rispetto all’anno
precedente (3%). Nel Mezzogiorno, il maggiore incremento nel 2007 si è avuto nel
settore degli alberghi, ristorazione, trasporti e comunicazioni, cresciuto dell’1,6% (1,5%
nel 2006), sebbene con una dinamica pari a circa la metà di quella registrata nel resto
del Paese (3%). Un andamento positivo si è registrato anche nel settore composito dei
servizi alle imprese e alle famiglie (0,4%), che ha risentito contemporaneamente della
ripresa della produzione manifatturiera ma anche della bassa dinamica dei redditi delle
famiglie; nel Centro-Nord la dinamica di questo settore è stata più elevata (1,4%), anche
a seguito del buon andamento del settore informatico.
2
Unità di lavoro e produttività
La crescita dell’input di lavoro, misurato nella contabilità nazionale dalle unità
standard di lavoro, registrata in Italia nel 2007 (1%) ha riguardato il Centro-Nord ma
non il Mezzogiorno. In tale ripartizione la variazione dell’input di lavoro è stata
nell’anno lievemente negativa (-0,1%), consolidando i livelli consentiti con la forte
crescita dell’1,3% del 2006, dopo tre anni consecutivi di flessione. Nel Centro-Nord,
invece, l’aumento è stato dell’1,4%, in parziale decelerazione rispetto a quello
particolarmente rilevante del 2006 (1,8%).
Nel 2007 la crescita del valore aggiunto per occupato è stata bassa, sia nel
Centro-Nord che nel Mezzogiorno, segnale delle difficoltà nel competere sui mercati:
infatti essa si tramuta in costi unitari relativamente più elevati rispetto ai paesi
concorrenti. Nel complesso, nel 2007 la produttività è cresciuta nel settore agricolo, sia
nel Mezzogiorno (1%) sia, soprattutto, nel Centro-Nord (4,2%). La produttività è,
invece, diminuita nella stessa misura (-0,3%) nell’industria, in entrambe le ripartizioni,
per un calo severo della produttività nel settore edile (-1,1% nel Mezzogiorno e -0,7%
nel Centro-Nord), mentre il prodotto per addetto nell’industria in senso stretto è rimasto
stagnante. La produttività nei servizi è cresciuta di più nel Mezzogiorno (0,8%), − dove
ha beneficiato dell’incremento del 2,3% realizzato nel commercio − che nel Centro-
Nord (0,5%). Nel complesso, vi è stato un lieve recupero delle differenze di produttività
da parte del Mezzogiorno rispetto al resto del Paese. Il livello del prodotto per addetto a
prezzi concatenati, che risultava essere pari all’80,4% del Centro-Nord nel 2006, è
aumentato nel 2007 all’80,6%. Il confronto settoriale mostra come il Mezzogiorno stia
recuperando in termini di produttività prevalentemente nel settore dei servizi, e
soprattutto in quello del commercio, mentre il divario è aumentato nell’agricoltura e,
lievemente, nelle costruzioni, rimanendo pressoché costante nell’industria in senso
stretto.
Il PIL per abitante
Nel 2007 il prodotto per abitante nel Mezzogiorno è risultato pari a 17.483 euro
(v. Tab. 3). In termini relativi, tale valore equivale al 57,5% del prodotto pro capite del
Centro-Nord, pari a 30.381 euro. Il divario si è di nuovo lievemente allargato nel 2007
rispetto al 2006 (di 0,2 punti percentuali), risentendo del rallentamento della crescita più
forte nel Mezzogiorno. In termini monetari la differenza tra i livelli di reddito medio pro
capite tra le due aree rimane ancora elevata (quasi 13.000 euro), indicando l’esistenza di
differenze profonde nella produttività dei fattori nelle due ripartizioni.
Consumi e investimenti
Nel 2007 la crescita dei consumi finali interni è risultata nel Centro-Nord pari
all’1,6% con un incremento più che doppio rispetto a quello del Mezzogiorno (0,7%)
(v. Tab. 4). Parte della differenza è attribuibile alla spesa delle Amministrazioni
pubbliche, che è aumentata nelle due le ripartizioni, dopo la diminuzione per entrambe
nel 2006, con un incremento nel Centro-Nord (1,6%) molto più elevato di quello del
3
Sud (0,6%). La crescita della spesa finale delle famiglie è risultata nel Mezzogiorno
(0,8%) la metà di quella registrata nel resto del Paese (1,5%).
Il rallentamento che ha caratterizzato la dinamica degli investimenti nel 2007 è
stato maggiore nel Mezzogiorno (0,5%, a fronte del 2,4% del 2006) che nel Centro-
Nord (1,5%, rispetto al 2,5% del 2006) (v. Tab. 5). Nel Sud gli andamenti della
componente delle costruzioni e di quella relativa a macchinari e mezzi di trasporto sono
stati divergenti: la prima è cresciuta nel 2007 dell’1,9%, accelerando lievemente rispetto
l’anno precedente (1,7%), ma a un tasso comunque inferiore a quello medio del periodo
2001-2007 (2,5%); gli investimenti in macchinari, attrezzature e mezzi di trasporto si
sono invece ridotti dell’1,5%, dopo la crescita eccezionale del 7,6% registrata nel 2006.
Se quindi è continuato al Sud il ciclo positivo degli investimenti in edilizia, il
peggioramento delle prospettive della domanda ha invece ridotto gli acquisti di
macchinari e mezzi di trasporto, che hanno risentito anche di un effetto “di rimbalzo”
della forte crescita dell’anno precedente. Nel resto del Paese, la divergenza fra le
dinamiche delle diverse componenti è meno ampia: gli investimenti in costruzioni sono
cresciuti del 2,4%, rispetto all’1,5% registrato l’anno precedente, mentre quelli in
macchinari, attrezzature e mezzi di trasporto sono aumentati dello 0,6%, solo un quarto
dell’incremento del 2006 (2,3%) e ad un tasso inferiore a quello del periodo 2001-2007
(0,9%).
Le esportazioni di merci
La dinamica delle esportazioni nelle due ripartizioni è risultata differenziata: le
esportazioni del Mezzogiorno sono cresciute nel 2007 dell’11,8%, quelle del resto del
Paese del 7,7% (v. Tab. 6). Le esportazioni sono aumentate soprattutto verso i paesi
extra Ue, con una crescita per il Mezzogiorno (13,8%) superiore a quella registrata nel
Centro-Nord (10,6%). Verso i paesi dell’Ue, le esportazioni sono aumentate nel Sud del
10,6%, quasi il doppio dell’incremento del Centro-Nord (5,8%).
Le esportazioni hanno presentato nel 2007 una dinamica crescente in tutte le
regioni del Sud. Particolarmente positivi sono stati i risultati in Calabria (30,1%),
Basilicata (21,7%), specialmente grazie alle vendite di prodotti manufatti (in particolare
autoveicoli) e Sicilia (19,8%), soprattutto per i prodotti petroliferi. Ottimo anche il
risultato dell’Abruzzo (11,8%) – che segna una crescita nei mercati Ue (16,8%) contro
una riduzione del 2% nei paesi extra Ue – e quello della Campania (10,9%) che
diversamente dal 2006 rafforza la crescita verso i paesi extra Ue (20,4%). Per le altre
regioni meridionali i risultati sono positivi ma mostrano una crescita minore.
Nel complesso, la quota delle esportazioni del Mezzogiorno sul totale nazionale
è risultata, nel 2007, essere pari all’11,7%, con un lieve incremento rispetto al 2006
(11,1%). La crescita delle esportazioni nel Sud, pur partendo da una quota sul totale
nazionale che sottorappresenta il potenziale economico dell’area, suggerisce che il ciclo
internazionale solleciti anche l’economia di queste regioni. Vi sono quindi le possibilità
che l’industria meridionale non assista solo da spettatrice alla fase di ripresa della
domanda internazionale ma ne sfrutti le potenzialità, in modo da evitare un ulteriore
allargamento del gap di crescita con il resto dell’Italia.
4
L’andamento dell’economia nelle regioni
Nel 2007 la crescita del prodotto interno lordo si riduce in entrambe le aree,
rallentando, nel Centro-Nord, dal 2,1% del 2006 al 1,7% del 2007, e, nel Mezzogiorno,
dall’1,1% allo 0,7% (v. Tab. 7). Le regioni del Sud rimangono, in cinque casi su otto,
con tassi di crescita inferiori al valore medio nazionale (1,5%); solo tre regioni
meridionali raggiungono tassi di crescita tra l’1,5% e il 2%, valore massimo segnato
dalla Puglia. La Calabria è l’unica regione del Paese che registra una riduzione del tasso
di crescita del PIL (-1%). La Sicilia sembra essere approdata ad una fase di stagnazione,
essendo il tasso di crescita del 2007 pari a 0,1%, dopo lo 0,2% nell’anno precedente.
Anche la Campania non ha espanso in modo significativo il prodotto, crescendo
nell’ultimo biennio al di sotto dell’1%, con un valore dello 0,5% nel 2007 (0,3% nel
2006). Nella media del periodo 2001-2007, le variazioni positive sono state molto
modeste in tutte le regioni del Mezzogiorno, con l’eccezione, da un lato, della Sardegna
che realizza il risultato migliore dell’area, con un tasso medio annuo dell’1,5%, anche
superiore al dato nazionale; e, dall’altro, dell’Abruzzo, la cui crescita risulta – unico
caso a scala nazionale – per il complesso del periodo nulla.
Tutte le regioni del Mezzogiorno hanno continuato a mostrare negli anni dal
2000 al 2007 un livello di prodotto pro capite nettamente inferiore a quello medio
italiano, mentre nel Centro-Nord questo avviene solo per l’Umbria (v, Tab. 8). In
particolare, anche la Puglia, che nel 2007 ha registrato la maggiore performance
produttiva, ha un reddito pro capite pari solo al 67,1% di quello medio del Paese; la
regione con le performances peggiori, ovvero la Calabria, è pari al 64,3%; un livello
prossimo a quello delle due più grandi regioni meridionali, la Campania (63,9%) e la
Sicilia (64,9%).
5
Tab. 1. Tassi annui di variazione del PIL e della domanda interna
media
annua
cumu-
lata
PIL 2,2 0,4 -0,3 0,6 0,3 1,1 0,7 0,7 5,0
Domanda interna 0,8 0,2 1,5 0,9 -0,2 1,2 0,7 0,7 5,3
Domanda interna al netto delle scorte e oggetti di valore 1,8 0,1 1,4 1,0 0,3 0,7 0,7 0,8 6,1
Consumi finali interni 1,4 0,6 1,0 0,6 0,7 0,3 0,7 0,8 5,6
Spese per consumi finali delle famiglie 0,4 -0,3 0,7 0,4 0,6 0,7 0,8 0,5 3,3
Spese per consumi finali delle AAPP e delle ISP 4,1 2,8 1,8 1,0 0,9 -0,5 0,6 1,5 11,2
Investimenti fissi lordi 3,5 -2,0 2,9 2,6 -1,6 2,4 0,5 1,2 8,4
PIL 1,7 0,5 0,1 1,8 0,6 2,1 1,7 1,2 8,8
Domanda interna 1,7 1,5 0,2 1,6 1,1 2,1 1,5 1,4 10,1
Domanda interna al netto delle scorte e oggetti di valore 1,5 1,6 0,1 1,7 1,3 1,7 1,5 1,3 9,8
Consumi finali interni 1,2 0,5 0,9 1,5 1,2 1,5 1,6 1,2 8,7
Spese per consumi finali delle famiglie 0,5 0,0 0,6 1,1 0,8 1,4 1,5 0,8 6,1
Spese per consumi finali delle AAPP e delle ISP 3,8 2,2 2,0 3,0 2,5 1,7 1,6 2,4 18,2
Investimenti fissi lordi 2,4 5,8 -2,6 2,1 1,5 2,5 1,5 1,9 13,8
PIL 1,8 0,5 0,0 1,5 0,6 1,8 1,5 1,1 7,9
Domanda interna 1,5 1,1 0,6 1,4 0,7 1,8 1,2 1,2 8,7
Domanda interna al netto delle scorte e oggetti di valore 1,6 1,2 0,5 1,5 1,0 1,4 1,3 1,2 8,7
Consumi finali interni 1,3 0,5 0,9 1,2 1,0 1,1 1,3 1,1 7,8
Spese per consumi finali delle famiglie 0,5 -0,1 0,6 0,9 0,8 1,2 1,3 0,7 5,3
Spese per consumi finali delle AAPP e delle ISP 3,9 2,5 1,9 2,3 1,9 0,9 1,3 2,1 15,6
Investimenti fissi lordi 2,7 3,7 -1,2 2,3 0,7 2,5 1,2 1,7 12,4
Fonte:
Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT e SVIMEZ.
Aggregati 2001 2002 2003
2001-2007
Mezzogiorno
Centro-Nord
Italia
2004 2005 2006 2007
6
Tab. 2. Variazioni % del prodotto, dell'occupazione e della produttività
Agricoltura, silvicoltura e pesca -3,0 -0,2 1,9 0,5 -4,8 -0,7 -0,13 0,00
Industria 0,1 1,5 0,0 1,2 0,1 0,3 0,03 0,43
In senso stretto 0,3 1,3 0,4 1,2 -0,1 0,2 0,04 0,32
Costruzioni e lavori del Genio civile -0,2 2,1 -0,6 1,4 0,4 0,7 -0,01 0,11
Servizi 1,5 2,3 1,7 2,2 -0,2 0,1 1,12 1,59
- Commercio, riparazioni autoveicoli e di beni personali e della casa 1,0 1,3 1,7 1,9 -0,7 -0,6 0,11 0,16
- Alberghi e ristoranti, trasporti e comunicazioni 1,5 1,9 1,3 1,2 0,2 0,7 0,17 0,23
- Intermediazione monetaria e finanziaria; attività immobiliari 4,1 3,0 4,3 3,7 -0,2 -0,7 0,93 0,80
- Altre attività di servizi -0,4 2,2 0,8 2,0 -1,2 0,1 -0,11 0,38
Totale settori extragricoli 1,2 2,1 1,3 1,9 -0,1 0,2 1,16 2,03
Totale 1,0 2,0 1,3 1,8 -0,3 0,2 1,05 2,03
Agricoltura, silvicoltura e pesca -2,2 1,5 -3,1 -2,6 1,0 4,2 -0,09 0,03
Industria 1,6 0,9 1,9 1,2 -0,3 -0,3 0,33 0,26
In senso stretto 1,9 0,7 1,8 0,8 0,1 -0,1 0,27 0,16
Costruzioni e lavori del Genio civile 1,0 1,9 2,1 2,6 -1,1 -0,7 0,07 0,09
Servizi 0,6 2,3 -0,3 1,7 0,8 0,5 0,41 1,56
- Commercio, riparazioni autoveicoli e di beni personali e della casa -0,1 1,8 -2,3 0,8 2,3 0,9 -0,01 0,22
- Alberghi e ristoranti, trasporti e comunicazioni 1,6 3,0 1,1 1,9 0,4 1,1 0,18 0,36
- Intermediazione monetaria e finanziaria; attività immobiliari 0,6 2,7 1,2 3,5 -0,6 -0,8 0,14 0,73
- Altre attività di servizi 0,4 1,4 -0,4 1,0 0,8 0,4 0,10 0,25
Totale settori extragricoli 0,8 1,9 0,3 1,6 0,5 0,3 0,74 1,83
Totale 0,7 1,9 -0,1 1,4 0,7 0,5 0,66 1,86
(a) Valore aggiunto al costo dei fattori al lordo dei servizi bancari imputati.
(b) Unità di lavoro.
(c) Valore aggiunto per unità di lavoro.
(d) Variazioni assolute del valore aggiunto settoriale tra l'anno t e l'anno t-1 in % del valore aggiunto complessivo dell'anno t-1 .
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT e SVIMEZ.
Contributo dei settori
alla variazione del
prodotto complessivo
(d)
Mezzo-
giorno
Centro-
Nord
2006
2007
Settori di attività
Prodotto (a) Occupazione (b)
Produttività
(c)
Mezzo-
giorno
Centro-
Nord
Mezzo-
giorno
Centro-
Nord
Mezzo-
giorno
Centro-
Nord
Tab. 3. Prodotto per abitante del Mezzogiorno e sue componenti
(indici: Centro-Nord = 100)
2000 13.962,7 56,3 82,1 82,1 68,6
2001 14.721,8 56,8 81,9 81,9 69,3
2002 15.260,2 57,0 81,5 81,4 69,9
2003 15.621,5 57,1 82,1 82,1 69,6
2004 16.082,0 57,0 82,3 82,2 69,2
2005 16.501,1 57,6 83,0 82,4 69,4
2006 17.019,4 57,7 83,0 81,9 69,6
2007 17.482,8 57,5 83,2 82,3 69,2
(a) Calcolato su valori a prezzi correnti
(b) Calcolato su valori concatenati - anno di riferimento 2000
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT e SVIMEZ.
Anni per unità di lavoro
euro
correnti (a) (a) (b)
Unità di
lavoro per
abitante
Prodotto per abitante Prodotto
7
Tab. 4. Tassi annui di variazione % dei consumi finali interni
media
annua
cumu-
lata
Spese per consumi finali delle famiglie 0,4 -0,3 0,7 0,4 0,6 0,7 0,8 0,5 3,3
Alimentari, bevande e tabacco -1,7 0,6 1,3 -0,6 0,8 0,6 0,0 0,1 1,0
Vestiario e calzature -0,4 -1,2 -1,5 -2,4 -1,2 0,6 1,0 -0,7 -5,1
Abitazioni e spese connesse -0,2 -1,0 1,0 1,5 1,3 -0,6 0,1 0,3 2,2
Altri beni e servizi 2,0 -0,1 0,7 0,9 0,4 1,6 1,6 1,0 7,4
Spese per consumi finali delle AAPP e delle ISP 4,1 2,8 1,8 1,0 0,9 -0,5 0,6 1,5 11,2
Totale 1,4 0,6 1,0 0,6 0,7 0,3 0,7 0,8 5,6
Spese per consumi finali delle famiglie 0,5 0,0 0,6 1,1 0,8 1,4 1,5 0,8 6,1
Alimentari, bevande e tabacco -0,6 0,1 0,3 0,0 1,5 1,7 0,4 0,5 3,5
Vestiario e calzature 0,2 -1,3 -1,5 -2,5 -0,6 2,1 1,4 -0,3 -2,3
Abitazioni e spese connesse -0,1 0,4 1,1 1,1 1,0 0,0 0,4 0,6 4,0
Altri beni e servizi 1,3 -0,1 0,8 2,0 0,7 2,1 2,6 1,3 9,6
Spese per consumi finali delle AAPP e delle ISP 3,8 2,2 2,0 3,0 2,5 1,7 1,6 2,4 18,2
Totale 1,2 0,5 0,9 1,5 1,2 1,5 1,6 1,2 8,7
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT e SVIMEZ.
Categorie 2001 2002 2003
2001-2007
Mezzogiorno
Centro-Nord
2004 2005 2006 2007
Tab. 5. Tassi di variazione % degli investimenti fissi lordi per branca proprietaria e branca produttrice
media
annua
cumu-
lata
PER BRANCA PROPRIETARIA
Agricoltura, silvicoltura e pesca -9,0 1,2 8,7 7,0 -1,1 -3,5 -5,7 -0,5 -3,5
Industria -2,9 -6,1 5,0 -7,1 -3,3 -2,8 1,0 -2,4 -15,6
- In senso stretto -4,7 -6,3 1,6 -2,0 -3,9 -0,8 0,9 -2,2 -14,5
-Costruzioni e opere del Genio civile 5,8 -5,4 20,6 -26,5 -0,2 -12,7 1,9 -3,4 -21,3
Servizi 7,2 -0,6 1,8 6,0 -1,1 4,4 0,7 2,6 19,6
- Commercio, riparazioni, alberghi e rist, trasp e comunicaz. 16,3 3,2 0,5 8,4 -2,3 7,1 1,9 4,9 39,5
- Intermediazione monetaria e finanziaria; attività immob. 1,4 -1,6 4,2 7,0 1,6 6,7 0,6 2,8 21,3
- Altre attività di servizi 7,9 -3,5 -0,8 1,1 -4,8 -4,0 -0,9 -0,8 -5,4
PER BRANCA PRODUTTRICE
Costruzioni e lavori del Genio civile 6,3 3,0 0,9 3,4 0,7 1,7 1,9 2,5 19,2
Macchine, attrezzature, mezzi di trasporto e altri prodotti 0,7 -7,5 5,5 1,7 -4,5 7,6 -1,5 0,2 1,1
Totale 3,5 -2,0 2,9 2,6 -1,6 2,4 0,5 1,2 8,4
PER BRANCA PROPRIETARIA
Agricoltura, silvicoltura e pesca 2,4 8,6 1,9 7,6 -1,4 -4,4 2,9 2,4 18,2
Industria 3,2 3,5 -7,0 -1,6 -0,6 3,2 0,6 0,1 0,8
- In senso stretto 0,9 3,1 -5,4 -1,3 -1,1 4,2 -0,1 0,0 0,0
-Costruzioni e opere del Genio civile 23,2 7,0 -18,2 -3,7 2,8 -4,6 6,2 1,1 8,2
Servizi 2,0 6,8 -0,5 3,6 2,6 2,6 1,8 2,7 20,3
- Commercio, riparazioni, alberghi e rist, trasp e comunicaz. 2,0 10,1 -0,4 6,6 -0,5 -1,3 6,3 3,2 24,7
- Intermediazione monetaria e finanziaria; attività immob. 1,7 5,1 -0,1 0,8 7,3 6,5 -1,3 2,8 21,4
- Altre attività di servizi 2,7 4,4 -1,7 4,1 -2,0 0,7 1,3 1,3 9,7
PER BRANCA PRODUTTRICE
Costruzioni e lavori del Genio civile 3,6 7,0 3,0 1,7 0,4 1,5 2,4 2,8 21,1
Macchine, attrezzature, mezzi di trasporto e altri prodotti 1,5 4,7 -7,4 2,5 2,5 2,3 0,6 0,9 6,6
Totale 2,4 5,8 -2,6 2,1 1,5 2,5 1,5 1,9 13,8
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT e SVIMEZ.
Branche 2001 2002 2003
2001-2007
Mezzogiorno
Centro-Nord
2004 2005 2006 2007
8
Tab. 6. Esportazioni nel 2007 nelle regioni italiane
Ue extra Ue Totale 2005 2006 2007
Piemonte 36.963,6 4,0 9,9 5,9 68,6 68,4 67,2
Valle d'Aosta 869,5 66,5 23,6 47,6 57,4 56,0 63,2
Lombardia 101.295,7 7,3 10,6 8,6 60,1 60,0 59,3
Trentino A.A. 4.685,6 6,1 17,5 11,3 49,2 54,3 51,7
Veneto 6.145,9 7,2 10,2 8,0 74,0 72,7 72,1
Friuli V.G. 47.525,2 -1,4 9,1 2,7 61,6 61,5 59,1
Liguria 12.331,1 11,2 11,5 11,3 61,6 61,1 61,1
Emilia Romagna 45.898,3 10,5 11,6 11,0 58,1 58,7 58,5
Toscana 26.264,8 5,2 8,7 6,9 53,0 52,1 51,3
Umbria 3.612,9 11,6 10,9 11,3 54,2 54,3 54,4
Marche 12.344,7 5,7 9,2 6,8 65,5 67,5 66,7
Lazio 13.165,2 2,3 14,5 7,6 58,0 56,5 53,7
Abruzzo 7.315,6 16,8 -2,0 11,8 74,1 73,3 76,6
Molise 628,4 1,8 3,3 2,4 60,5 59,9 59,5
Campania 9.303,1 4,6 20,4 10,9 59,0 60,5 57,1
Puglia 7.122,0 3,3 4,1 3,5 67,6 66,5 66,4
Basilicata 2.096,0 19,4 30,5 21,7 85,0 79,1 77,6
Calabria 427,9 0,8 70,9 30,1 59,6 58,3 45,2
Sicilia 9.523,4 16,0 23,6 19,8 45,5 49,3 47,7
Sardegna 4.683,3 12,8 2,7 8,0 55,8 52,2 54,6
Centro-Nord 311.102,6 5,8 10,6 7,7 60,7 60,7 59,6
- Nord-Ovest 151.459,9 6,9 10,6 8,3 59,3 62,2 61,4
- Nord-Est 104.255,0 4,4 10,7 6,9 64,7 60,7 59,3
- Centro 55.387,6 5,0 10,3 7,3 56,9 56,7 55,5
Mezzogiorno 41.099,7 10,6 13,8 11,8 61,2 61,3 60,7
Italia (a) 352.202,2 6,3 10,9 8,1 60,8 60,8 59,7
(a) Escluse le esportazioni non localizzabili territorialmente.
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT.
Regioni Milioni di euro
Variazioni rispetto al 2006 Quota % delle esportazioni
Paesi verso l'Ue
Tab. 7. Prodotto interno lordo ai prezzi di mercato nelle regioni italiane (tassi medi
annui di variazione % calcolati su valori concatenati-anno di riferimento 2000)
Piemonte 0,9 -0,3 0,1 2,3 -0,3 1,5 0,7 0,7
Valle d'Aosta 1,8 1,1 1,2 1,5 -0,5 1,6 1,7 1,2
Lombardia 2,3 1,1 0,2 0,9 1,3 2,3 1,3 1,3
Trentino Alto Adige -1,1 -0,7 0,6 1,4 0,9 1,7 1,7 0,6
Veneto 0,9 -1,1 1,4 2,7 -0,2 2,2 1,8 1,1
Friuli Venezia Giulia 3,1 -0,4 -2,2 0,2 2,4 2,8 1,0 1,0
Liguria 2,2 -1,9 -0,4 1,0 1,0 2,9 2,1 1,0
Emilia-Romagna 1,2 -0,2 -0,5 0,2 0,2 2,0 2,1 0,7
Toscana 2,2 0,7 0,5 0,6 -0,1 2,3 1,1 1,0
Umbria 3,0 -0,9 -0,3 2,1 0,9 2,5 3,2 1,5
Marche 2,1 2,1 -0,3 1,7 1,3 2,3 1,8 1,6
Lazio 2,1 2,7 -0,6 5,2 0,9 1,6 3,1 2,1
Abruzzo 0,9 0,2 -2,1 -2,6 1,0 1,5 0,9 0,0
Molise 0,9 0,6 -1,8 1,6 0,2 1,3 1,7 0,6
Campania 3,1 2,1 -0,6 0,8 -1,6 0,3 0,5 0,6
Puglia 1,7 -0,5 -1,0 1,4 0,6 1,8 2,0 0,8
Basilicata -0,5 0,8 -1,5 1,3 -0,3 1,7 1,5 0,4
Calabria 2,8 -0,2 1,3 1,9 -3,1 2,4 -1,0 0,6
Sicilia 2,4 -0,3 -0,2 0,0 2,4 0,2 0,1 0,6
Sardegna 1,8 -0,5 2,7 0,9 2,5 2,0 1,3 1,5
Centro - Nord 1,7 0,5 0,1 1,8 0,6 2,1 1,7 1,2
- Nord-Ovest 1,9 0,5 0,1 1,3 0,9 2,2 1,2 1,1
- Nord-Est 1,1 -0,6 0,2 1,3 0,3 2,1 1,8 0,9
- Centro 2,2 1,8 -0,2 3,1 0,6 1,9 2,3 1,7
Mezzogiorno 2,2 0,4 -0,3 0,6 0,3 1,1 0,7 0,7
Italia 1,8 0,5 0,0 1,5 0,6 1,8 1,5 1,1
Fonte: Elaborazoni SVIMEZ su dati ISTAT e SVIMEZ.
Regioni 2001 2002 2003 2001-20072004 2005 2006 2007
9
Tab. 8. Prodotto interno lordo pro capite nelle regioni italiane
2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007
Piemonte 28.188,5 111,7 110,6 110,0 110,3 110,2 109,4 109,3 108,9
Valle d'Aosta 33.929,8 129,5 128,1 128,8 130,1 131,5 131,0 130,8 131,1
Lombardia 33.185,4 131,2 131,3 131,7 131,4 129,9 128,4 128,5 128,2
Trentino Alto Adige 32.042,6 130,0 126,3 124,6 124,7 124,9 124,8 124,1 123,8
Veneto 30.231,4 118,8 117,5 115,2 116,3 117,1 116,7 116,6 116,8
Friuli Venezia Giulia 29.191,8 110,4 111,6 111,2 109,7 109,4 111,8 113,2 112,8
Liguria 27.210,9 101,7 103,0 101,3 102,0 102,0 102,5 103,8 105,1
Emilia-Romagna 31.773,5 128,4 126,8 125,2 124,0 122,5 122,6 122,2 122,8
Toscana 28.257,7 108,8 109,8 109,9 110,2 109,5 109,2 109,6 109,2
Umbria 25.036,7 96,1 96,9 94,7 93,9 94,4 94,3 94,9 96,7
Marche 26.056,1 99,9 100,4 101,3 100,4 100,1 100,1 100,5 100,7
Lazio 30.571,6 115,2 115,4 118,0 117,4 120,3 120,7 118,4 118,1
Abruzzo 21.195,5 86,9 86,1 85,4 83,9 80,7 82,3 82,2 81,9
Molise 19.603,5 73,2 72,9 72,6 71,6 72,3 74,2 74,8 75,7
Campania 16.547,9 63,1 64,1 65,2 64,8 65,0 64,8 64,3 63,9
Puglia 17.355,8 66,1 66,2 66,0 65,9 65,6 65,7 66,3 67,1
Basilicata 18.654,1 70,1 69,0 69,4 69,1 69,7 70,1 71,1 72,1
Calabria 16.652,1 62,2 62,7 62,8 63,7 64,7 64,7 65,8 64,3
Sicilia 16.789,3 64,4 64,7 64,7 64,9 64,6 65,9 65,5 64,9
Sardegna 20.391,0 75,8 77,0 76,0 77,5 77,7 78,2 78,8 78,8
Centro - Nord 30.380,9 118,7 118,4 118,2 118,1 118,0 117,6 117,4 117,4
- Nord-Ovest 31.187,3 122,6 122,4 122,3 122,4 121,5 120,4 120,6 120,5
- Nord-Est 30.861,5 122,4 121,1 119,4 119,2 119,0 119,1 119,0 119,2
- Centro 28.822,7 109,7 110,2 111,4 111,0 112,1 112,2 111,4 111,4
Mezzogiorno 17.482,8 66,8 67,2 67,3 67,4 67,2 67,7 67,8 67,5
Italia 25.882,1 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
(a) Calcolati su valori a prezzi correnti.
Fonte: Elaborazoni SVIMEZ su dati ISTAT e SVIMEZ.
Regioni 2007 (euro)
Indici: Italia = 100 (a)
10
2. L’agricoltura
Nel 2007 è continuato il trend congiunturale negativo che ha caratterizzato
l’agricoltura meridionale a partire dal 2005. Rispetto al 2006, il settore primario del
Mezzogiorno ha mostrato una flessione del 2,5% nella produzione e del 2,2% nel valore
aggiunto (Tab. 1), facendo rilevare una situazione molto diversa da quella del resto del
Paese dove, in termini reali, la produzione è cresciuta dell’1%, più di quanto non siano
cresciuti i consumi intermedi (0,3%), con un conseguente aumento del valore aggiunto
dell’1,5%. Questo andamento è il risultato di diversi fattori, riconducibili, sia
all’attuazione della riforma Fishler e al processo di disaccoppiamento che ha avuto
inizio nel 2005, sia ad aspetti specifici, produttivi e di mercato, legati ai comparti
produttivi caratteristici dell’agricoltura meridionale. In ogni caso, nell’ultimo biennio si
è registrata una perdita di valore aggiunto agricolo, per il Mezzogiorno, di circa il 5%, a
fronte di un incremento dell’1,2% per il Centro-Nord.
La flessione del settore primario meridionale nel suo complesso è il risultato di
dinamiche differenziate a livello regionale. In particolare, un andamento molto negativo
ha caratterizzato la Puglia e la Calabria: nella prima la produzione e il valore aggiunto
hanno subito, tra il 2006 e il 2007, riduzioni dell’ordine dell’8%; nel caso della
Calabria, queste riduzioni sono state relativamente più contenute (-3,9% per la
produzione e -4,6% per il valore aggiunto), in ogni modo decisamente più intense che
per la media della ripartizione. Una riduzione del valore aggiunto più contenuta di
quella media del Mezzogiorno, compresa tra l’1,3% e l’1,5%, è rilevabile, invece, per
l’Abruzzo, il Molise e la Sicilia. Nel caso di Abruzzo e Sicilia, la produzione ha
accusato una flessione relativamente più marcata (-3,9% e -1,9%, rispettivamente), per
effetto soprattutto di una contrazione dei consumi intermedi; mentre, è all’incremento di
questi ultimi che appare legata la riduzione del valore aggiunto che si registra in Molise.
Basilicata, Campania e Sardegna sono le sole regioni del Mezzogiorno in cui sia la
produzione, sia il valore aggiunto hanno sperimentato nel 2007 andamenti positivi, con
incrementi medi del 2,4%.
Se le differenze tra regioni, ed in particolare la performance molto negativa della
Calabria e della Puglia, evidenziano problematiche congiunturali legate a specifiche
colture e sistemi produttivi, la natura strutturale del “malessere” dell’agricoltura
meridionale è messa in luce dall’insoddisfacente andamento del processo di
accumulazione. Nel 2007 gli investimenti in valori correnti nell’agricoltura del
Mezzogiorno ammontano a 3.564 milioni di euro, in netta flessione rispetto ai due anni
precedenti (-2,3%). Dopo il triennio 2002-2005 caratterizzato da tassi di crescita positivi
dell’aggregato, a partire dal 2006 si registra nel Mezzogiorno un processo di
disinvestimento, che sembra acuirsi nel 2007, anno in cui si assiste, al contrario, ad una
ripresa nel Centro-Nord (+5,4%).
Nel 2007 il valore della produzione agricola (PLV) meridionale è stato pari a
16.200 milioni di euro; in termini reali, questo aggregato ha subito, rispetto al 2006, una
riduzione pari al 2,5%. L’andamento della PLV appare tuttavia significativamente
diversificato tra i diversi comparti del settore primario. In termini reali, le colture
legnose sono quelle che fanno registrare la contrazione più importante (-10,1%); le
foraggere mostrano un decremento meno marcato (-2,4%), mentre le colture erbacee
fanno registrare solo una leggera cedenza (-0,4%). Nel caso degli allevamenti zootecnici
e dei “servizi annessi” si registrano, invece, degli incrementi, rispettivamente di circa il
11
3% e l’1%. A livello regionale, la maggiore riduzione del valore delle colture legnose si
è registrata in Puglia e in Calabria, dove i decrementi, a prezzi costanti, sono stati pari
rispettivamente a -15,4% e -16,6%. Riduzioni minori si sono avute in Sicilia (-8%) e in
Basilicata (-4%). Campania e Sardegna, al contrario, hanno mostrato andamenti positivi
(rispettivamente +4% e +0,4%).
Il peso del Mezzogiorno sulle importazioni ed esportazioni italiane è, per il
2007, pari nel primo caso al 19% e nel secondo caso al 27,4% circa (Tab. 2). A livello
regionale, la Puglia, la Campania e la Sicilia conservano il ruolo di aree strategiche per
le esportazioni del Mezzogiorno. Per quanto riguarda, invece, le importazioni, alle
regioni menzionate vanno aggiunte la Sardegna e l’Abruzzo.
Il 2007, anche per il settore agricolo, ha segnato un andamento positivo delle
esportazioni rispetto all’anno precedente. Come mostra la Tab. 2, l’aumento, pari al
10% a livello italiano, è stato leggermente più contenuto per il Mezzogiorno, dove si è
attestato sul 9% circa, a fronte del 10% del Centro-Nord.
Molto diversificate sono le situazioni a livello regionale. Dal lato delle
esportazioni, l’Abruzzo e, in particolar modo, la Calabria (-18,9% rispetto al 2006)
hanno ridotto il proprio peso sull’export complessivo dell’area meridionale. Situazione
positiva, invece, si rileva per le altre regioni, con tassi di crescita che vanno dall’11,1%
della Basilicata al 32,7% del Molise; fa eccezione la sola Sicilia, che ha mostrato una
sostanziale stabilità rispetto all’anno precedente.
Tab. 1. Produzione, consumi intermedi e valore aggiunto dell'agricoltura a prezzi di base dal 2000 al 2007
Aggregati 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007
Produzione 16.153,0 15.745,5 15.089,8 15.285,4 16.673,3 16.191,2 15.710,4 15.310,0
Consumi intermedi 5.370,9 5.440,6 5.105,6 5.206,3 5.243,0 5.157,0 5.111,5 5.039,1
Valore aggiunto 11.506,5 10.856,5 10.546,3 10.672,9 11.982,5 11.497,7 11.155,2 10.915,4
Produzione 28.886,6 28.763,9 28.390,5 26.601,1 29.339,4 28.348,7 28.056,7 28.348,1
Consumi intermedi 11.577,1 11.425,8 11.576,3 11.299,4 11.739,6 11.535,6 11.329,3 11.368,3
Valore aggiunto 18.250,2 18.169,4 17.585,2 16.059,6 18.248,3 17.391,3 17.350,4 17.606,5
Produzione 45.039,6 44.509,4 43.481,1 41.895,7 46.019,7 44.546,5 43.764,0 43.647,3
Consumi intermedi 16.948,0 16.866,5 16.680,5 16.505,4 16.981,0 16.691,1 16.440,1 16.404,7
Valore aggiunto 28.091,6 29.025,9 28.131,8 26.755,9 30.253,4 28.911,6 28.508,3 28.507,2
Produzione -2,5 -4,2 1,3 9,1 -2,9 -3,0 -2,5
Consumi intermedi 1,3 -6,2 2,0 0,7 -1,6 -0,9 -1,4
Valore aggiunto -5,6 -2,9 1,2 12,3 -4,0 -3,0 -2,2
Produzione -0,4 -1,3 -6,3 10,3 -3,4 -1,0 1,0
Consumi intermedi -1,3 1,3 -2,4 3,9 -1,7 -1,8 0,3
Valore aggiunto -0,4 -3,2 -8,7 13,6 -4,7 -0,2 1,5
Produzione -1,2 -2,3 -3,6 9,8 -3,2 -1,8 -0,3
Consumi intermedi -0,5 -1,1 -1,0 2,9 -1,7 -1,5 -0,2
Valore aggiunto 3,3 -3,1 -4,9 13,1 -4,4 -1,4 0,0
(a) L'utilizzo degli indici a catena comporta la perdita di additività delle componenti concatenate espresse in termini monetari. Infatti la somma dei
valori concatenati delle componenti di un aggregato non è uguale al valore concatenato dell'aggregato stesso.
Il concatenamento attraverso gli indici di tipo Laspeyres garantisce tuttavia la proprietà di additività per l'anno di riferimento e per l'anno seguente.
Fonte : Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT.
Valori concatenati, anno di riferimento 2000 (milioni di euro) (a)
Mezzogiorno
Centro-Nord
Italia
Mezzogiorno
Centro-Nord
Italia
Variazioni percentuali annue
12
Tab. 2. Scambi con l'estero di prodotti dell'agricoltura per regione (Anno 2007)
Milioni
di euro %
Milioni
di Euro % Import Export
Abruzzo 212 2,1 34 0,7 25,2 -2,6
Molise 13 0,1 1 0,0 -13,5 32,7
Campania 695 6,9 297 6,1 1,1 13,8
Puglia 579 5,7 575 11,9 24,8 17,1
Basilicata 34 0,3 19 0,4 16,8 11,1
Calabria 81 0,8 57 1,2 -18,0 -18,9
Sicilia 187 1,8 336 6,9 4,7 0,0
Sardegna 121 1,2 8 0,2 11,8 98,4
Mezzogiorno 1.921 19,0 1.328 27,4 9,8 9,2
Centro-Nord 8.211 81,0 3.518 72,6 0,2 10,3
Italia 10.132 100,0 4.847 100,0 1,9 10,0
Fonte : Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT.
Regioni
Import Export Var. % 2006-07
13
3. L’industria
1. A livello territoriale, nel 2007, l’evoluzione del prodotto industriale, rispetto
all’anno precedente, è risultata disomogenea. Nell’area meridionale si è passati dal
modesto incremento osservato nel 2006, +0,3%, all’1,9% del 2007. Nello stesso arco
temporale il Centro-Nord ha sperimentato un percorso inverso: lo 0,7% registrato nel
2007 si confronta con l’1,3% dell’anno precedente.
Sebbene il risultato di prodotto conseguito nel 2007 dall’industria meridionale
rappresenti un indubbio miglioramento rispetto all’anno precedente, il ritardo
complessivamente accumulato nell’ultimo sessennio sia nei confronti dei principali
paesi europei (Germania, Francia e Spagna) come, soprattutto, verso i nuovi competitor
presenti nella stessa Europa a 27 - quali Slovenia, Polonia, Turchia - appare notevole.
Nel periodo 2001-2007 la variazione cumulata del prodotto industriale è risultata
sostanzialmente stazionaria nel Meridione (-0,5%) ad anche nel Centro-Nord (-0,7%).
Nello stesso arco temporale, l’output industriale è complessivamente aumentato del
15,2% nell’Euro-zone, del 17,5% in Germania e del 13,8% in Spagna; i nuovi
competitors summenzionati hanno fatto registrare incrementi totali in tutti i casi
superiori ai 40 punti percentuali.
2. Nel corso del 2007, l’export meridionale di merci è cresciuto,
complessivamente, dell’11,8%; al netto dei prodotti energetici il progresso realizzato è
risultato pari al 9,7%, due punti percentuali in più di quanto verificatosi nel Centro-Nord.
In linea generale, nel 2007 il contributo maggiore alla crescita delle esportazioni
meridionali, analogamente a quanto avvenuto dal 2003, è stato offerto da tre settori:
autoveicoli (+14,4%), altri mezzi di trasporto (+45,1%), macchine ed apparecchi
meccanici (+19,7%) che appartengono alla c.d. macro-branca “di scala”. Nel 2007, oltre
a questi tre settori va segnalata la performance assai positiva delle altre industrie
manifatturiere: +33,8%, che fa seguito al buon risultato conseguito anche nel 2006
(+22,4%). Nel Centro-Nord, invece, il trend espansivo si è diffuso su un numero
maggiore di settori. In particolare, diverse produzioni tipiche del made in Italy (ad
esempo: legno e prodotti in legno, mobili) hanno offerto, diversamente da quanto
avvenuto nel Sud, un sostegno apprezzabile all’export totale centrosettentrionale dopo
una prima fase, a cavallo del nuovo millennio, di difficoltà. Nel 2007, a sintesi degli
andamenti riscontrati, per ogni euro esportato dal sistema industriale meridionale 60
centesimi provenivano dai soli settori di scala, macro-branca quasi prevalentemente
composta, è bene ricordare, da grandi imprese a proprietà esterna all’area. Di converso,
il raggruppamento costituito dalle produzioni tradizionali, in cui sono essenzialmente
ricomprese le attività del made in Italy, ha progressivamente perso peso, passando da
una quota del 29,3% nel 2003 al 19,6% del 2007.
3. Nel 2007, l’evoluzione della produttività apparente del lavoro del settore
industriale nel suo complesso, misurata dal valore aggiunto per unità di lavoro, è stata
pressoché stazionaria in entrambe le macro-aree. Essa, precisamente, è aumentata di
appena lo 0,1% nel Mezzogiorno ed è diminuita dello stesso valore nel resto del Paese.
Il costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP) dell’industria manifatturiera
meridionale ha segnato nel 2007 un incremento del 3,1%, di sei decimi di punto
percentuale maggiore di quello riscontrato nella ripartizione centro-settentrionale Nel
14
medio periodo, il mancato sviluppo della produttività pesa sulla competitività delle
imprese manifatturiere sia del Centro-Nord che, in misura maggiore, del Mezzogiorno.
Tra il 2002 ed il 2007, il costo unitario del lavoro è, in ogni anno, aumentato in
entrambe le due macro-aree mentre nell’industria dei principali competitor europei vi è
stata una variazione di segno opposto.
La quota dei profitti lordi sul valore aggiunto dell’industria manifatturiera nel
2007 è aumentata, rispetto all’anno precedente, in entrambe le ripartizioni: dal 26,8% al
27,6% nel Mezzogiorno, e dal 29,5% al 30,1% nel Centro-Nord. In termini relativi, la
quota dei profitti lordi dell’industria manifatturiera meridionale, posta uguale a 100
quella del Centro-Nord, è risultata, nel 2007, pari a 91,6. Il miglioramento osservato, nel
2007, in entrambe le ripartizioni nella profittabilità è da attribuire ad una accelerazione
nei prezzi praticati dalle imprese.
Tab. 1. Variazioni percentuali rispetto all'anno precedente, variazione media
annua e cumulata, del valore aggiunto dell'industria in senso stretto (a)
Media Cumu-
annua lata
Mezzogiorno 0,2 2,6 -4,8 -1,8 1,4 0,3 1,9 -0,1 -0,5
Centro-Nord -0,3 -0,8 -2,3 1,3 -0,7 1,3 0,7 -0,1 -0,7
Italia -0,2 -0,3 -2,7 0,9 -0,4 1,2 0,8 -0,1 -0,7
Mezzogiorno 0,4 0,3 -5,0 -2,4 1,9 0,3 2,0 -0,4 -2,6
Centro-Nord -0,4 -1,4 -2,3 1,2 -0,8 1,3 0,9 -0,2 -1,5
Italia -0,3 -1,1 -2,7 0,7 -0,4 1,2 1,0 -0,2 -1,7
EU 27 0,9 0,0 0,5 2,9 0,9 3,4 3,2 1,7 12,3
Euro zone 2,9 0,0 0,2 2,7 1,0 3,5 4,1 2,0 15,2
Germania 1,1 -1,4 0,4 4,7 1,2 5,3 5,3 2,3 17,5
Grecia 8,0 3,5 5,2 -2,8 8,3 2,2 -1,5 3,2 24,6
Spagna 3,3 0,0 1,8 1,0 1,6 2,6 2,7 1,9 13,8
Francia 2,1 0,5 1,8 1,1 1,4 0,8 1,6 1,3 9,7
Polonia -0,8 -0,5 7,8 10,5 3,5 10,0 7,7 5,4 44,3
Portogallo 1,8 -0,5 0,2 0,6 -1,2 2,1 3,0 0,8 6,0
Slovenia 3,6 4,9 4,9 4,1 3,7 8,2 7,6 5,3 43,3
Finlandia 4,9 3,6 2,6 4,9 3,6 10,5 5,4 5,1 41,3
Regno Unito -1,5 -2,0 -0,3 0,8 -1,9 0,0 0,4 -0,6 -4,4
Turchia -7,3 2,7 7,8 11,3 8,6 8,3 5,5 5,1 41,9
Fonte: Per l'Italia, ISTAT per gli anni dal 2000 al 2007. Per il Mezzogiorno ed il
Centro-Nord, elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT per il 2001-2006; valutazioni
SVIMEZ per il 2007. Per i paesi europei: EUROSTAT.
2001-2007
Industria in senso stretto
Di cui: manifatturiera
Industria in senso stretto
2004 2005 2006 2007Ripartizioni e Paesi 2001 2002 2002
15
4. Il terziario
Il prodotto
Nel 2007, a scala nazionale, il valore aggiunto del settore terziario ha registrato
una crescita dell’1,5% rispetto al 2006, 0,3 punti in meno dell’incremento dell’anno
precedente e otto decimi di punto in più rispetto al settore industriale.
L’aumento è stato particolarmente elevato nel settore composto da alberghi,
ristoranti, trasporti e comunicazioni (2,7%), favorito da un lieve incremento della
domanda complessiva di beni e servizi per il turismo, a sua volta riconducibile
all’aumento di flussi turistici dall’estero. Di particolare rilievo è stata anche la crescita
del settore dell’intermediazione monetaria e finanziaria e delle attività immobiliari
(2,3%). Nel settore dei servizi destinati alle imprese e alle famiglie la dinamica (1,1%) è
stata inferiore a quella media dell’intera economia.
Le differenze territoriali negli andamenti delle attività terziarie sono risultate nel
2007 particolarmente rilevanti: nel Mezzogiorno, esse sono infatti cresciute solo dello
0,6%, circa un quarto dell’incremento registrato nel Centro-Nord (2,3%) e inferiore a
quella – pur contenuta - registrata nella stessa area nella media del periodo 2000-2007
(0,8%, contro l’1,7% nel Centro-Nord).
La differenza più consistente tra le due macroaree si riscontra nel settore
dell’intermediazione monetaria e finanziaria, dove la crescita del Centro-Nord è
superiore di oltre due punti percentuali rispetto a quella registrata nel Mezzogiorno
(rispettivamente, 2,7% e 0,6%). Tale diversità può riflettere le differenze negli
andamenti del reddito delle famiglie, nonché la diversa crescita dell’attività produttiva. I
redditi da lavoro dipendente a prezzi correnti sono cresciuti nel Centro-Nord di oltre il
50% in più di quelli del Mezzogiorno (rispettivamente 3,9% e 2,4%).
Nel Mezzogiorno è il settore del commercio a presentare il peggiore risultato in
termini di crescita nell’ambito del comparto terziario, con una lieve riduzione (-0,1%),
in controtendenza rispetto all’incremento dell’1,8% nel Centro-Nord (dopo l’1,3% del
2006). Tale aumento è imputabile in gran parte al settore della media e grande
distribuzione, maggiormente diffusa in queste regioni.
Anche il settore degli alberghi e ristoranti evidenzia differenze consistenti tra le
due aree: nel Mezzogiorno il tasso di crescita del 2007 (1,6%) è solo marginalmente più
elevato rispetto all’anno precedente; il Centro-Nord ha invece accresciuto
considerevolmente il prodotto, con un incremento del 3,0% nel 2007 a fronte dell’1,9%
nell’anno precedente, grazie ad una maggiore intensità dei flussi turistici che riflette
anche la maggiore competitività del settore di queste aree rispetto al Mezzogiorno.
Le “altre attività di servizi” hanno mostrato nel Mezzogiorno un tendenziale
miglioramento (0,4%), superando la contrazione del 2006 (-0,4%); nel Centro-Nord,
invece, la crescita – pur confermandosi nettamente maggiore che al Sud – è risultata in
decelerazione rispetto all’anno precedente (1,4% a fronte del 2,2% del 2006).
Questa differenza nella crescita dei settori terziari nelle due ripartizioni si riflette
anche nella composizione settoriale. Infatti, al forte aumento del processo di
terziarizzazione nelle regioni del Centro-Nord corrisponde una riduzione di quello
manifatturiero; nel Mezzogiorno, al contrario, si registra un rallentamento nei settori dei
servizi, mentre la crescita del manifatturiero è più elevata che nel resto del Paese. Il
differenziale negativo della crescita dei servizi nel Mezzogiorno registrato nel 2007 può
16
essere imputato a diverse cause: da un lato, una spesa per consumi da parte delle
famiglie che è cresciuta nell’anno dello 0,8%, la metà di quanto è aumentata nel resto
del Paese, con un indebolimento specie dei consumi alimentari e in generi non durevoli,
diminuiti dello 0,2%; dall’altro, un basso livello dell’attività produttiva, che non
incentiva la domanda di servizi per le imprese. Infine, il costo del lavoro per unità di
prodotto cresce più nei servizi del Mezzogiorno che nel resto del Paese, rendendo gli
stessi meno competitivi. Questo, d’altronde, può essere la spia di processi di
ristrutturazione incompleti, specie nel comparto distributivo e bancario, che d’altronde
la bassa domanda rende più onerosi e complessi.
L’occupazione
Nel 2007 l’occupazione nel settore terziario, misurata in termini di unità di
lavoro, è cresciuta dell’1,1% nel complesso del Paese, ed anche in questo caso con ritmi
diseguali tra le due ripartizioni: +1,7% nel Centro-Nord e -0,3% nel Mezzogiorno, dove
si è registrata una perdita di 12 mila unità di lavoro.
La differenza è in parte connessa con la diversa intensità di sviluppo
dell’occupazione dipendente e indipendente nelle due aree, che a sua volta risente delle
difformità strutturali delle due economie.
Tra i dipendenti l’andamento è positivo solo nel Centro-Nord, con un aumento
del 2,5% rispetto al 2006, mentre nel Mezzogiorno si è avuta una riduzione dello 0,2%,
particolarmente elevata nel settore del commercio (-3,5%). La minore domanda ha
quindi innestato un processo di scrematura dal mercato delle unità marginali,
rafforzando i già presenti processi di concentrazione e aumento dimensionale.
Riguardo agli indipendenti, in entrambe le ripartizioni si è assistito ad una
riduzione delle unità di lavoro. Nel Mezzogiorno, come anche nel Centro-Nord, fanno
eccezione i settori degli alberghi e ristoranti e quello dell’intermediazione finanziaria
che seguono un sia pur modesto processo di crescita.
A seguito degli andamenti del valore aggiunto e dell’occupazione, nel 2007 la
produttività del settore terziario nel Mezzogiorno è cresciuta dello 0,8%, superiore a
quella registrata nel Centro-Nord (0,5%). L’aumento nettamente più elevato si è avuto,
per entrambe le aree, nel commercio (2,3% nel Sud e 0,9% al Nord), grazie al
rafforzarsi della rete della grande distribuzione.
17
Tab. 2. Tassi di variazione delle unità di lavoro totali per ramo di attività economica
Servizi 2,2 2,1 0,0 -0,2 -0,3 1,7 -0,3 0,8
- Commercio , riparazioni autoveicoli e di beni personali e della casa 1,5 1,6 -1,0 -2,2 -1,1 1,7 -2,3 -0,3
- Alberghi e ristoranti, trasporti e comunicaziioni 2,0 4,1 1,7 1,2 1,1 1,3 1,1 1,8
- Intermediazione monetaria e finanziaria; attività immob. 4,4 5,5 1,3 0,5 0,5 4,3 1,2 2,5
- Altre attività di servizi 1,9 0,5 -0,5 0,0 -0,8 0,8 -0,4 0,2
Totale settori extragricoli 2,6 1,9 0,3 0,0 -0,1 1,4 -0,1 0,9
Totale economia 2,5 1,3 -0,2 -0,1 -0,2 1,4 -0,4 0,6
Servizi 2,2 1,7 1,5 1,0 0,6 2,2 1,7 1,6
- Commercio , riparazioni autoveicoli e di beni personali e della casa 1,7 0,4 2,0 0,3 -0,7 1,9 0,8 0,9
- Alberghi e ristoranti, trasporti e comunicaziioni 1,4 1,6 2,3 0,9 0,9 1,2 1,9 1,5
- Intermediazione monetaria e finanziaria; attività immob. 4,2 4,9 2,6 2,0 1,3 3,7 3,5 3,2
- Altre attività di servizi 1,8 0,8 0,2 1,0 0,9 2,0 1,0 1,1
Totale settori extragricoli 2,5 1,8 1,6 1,1 1,0 2,1 1,7 1,7
Totale economia 2,4 1,5 1,2 1,1 0,7 2,0 1,5 1,5
Fonte : Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT e SVIMEZ.
Settori 2001 2002 2003 2007 Media 2001-07
Mezzogiorno
Centro-nord
2004 2005 2006
Tab. 1. Tassi annui di variazione del valore aggiunto ai prezzi base nei servizi e nel totale economia
(tassi medi annui di variazione % calcolati su valori concatenati. anno di riferimento 2000)
Servizi 2,7 0,1 -0,4 0,4 0,5 1,5 0,6 0,8
- Commercio , riparazioni autoveicoli e di beni personali e della casa 2,7 -5,2 -3,2 -1,3 -3,2 1,0 -0,1 -1,3
- Alberghi e ristoranti, trasporti e comunicazioni 3,4 -0,2 -0,6 0,4 3,9 1,5 1,6 1,4
- Intermediazione monetaria e finanziaria; attività immob. 2,1 2,9 -0,3 -0,5 -0,1 4,1 0,6 1,2
- Altre attività di servizi 2,8 0,5 0,7 1,9 1,2 -0,4 0,4 1,0
Totale settori extragricoli 2,4 0,7 -1,0 0,2 0,9 1,2 0,8 0,7
Totale economia 2,0 0,5 -0,9 0,7 0,7 1,0 0,7 0,7
Servizi 2,4 1,2 0,7 2,0 1,3 2,3 2,3 1,7
- Commercio , riparazioni autoveicoli e di beni personali e della casa 2,0 -1,3 -1,9 3,2 0,8 1,3 1,8 0,8
- Alberghi e ristoranti, trasporti e comunicazioni 4,1 1,1 0,9 1,5 2,9 1,9 3,0 2,2
- Intermediazione monetaria e finanziaria; attività immob. 2,5 2,6 2,0 1,1 1,3 3,0 2,7 2,2
- Altre attività di servizi 1,3 1,1 0,3 2,7 0,4 2,2 1,4 1,3
Totale settori extragricoli 1,9 0,7 0,0 1,8 0,8 2,1 1,9 1,3
Totale economia 1,8 0,6 -0,2 2,0 0,7 2,0 1,9 1,3
Fonte : Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT e SVIMEZ.
2007
Mezzogiorno
Centro-Nord
Media
2001-072004 2005 2006Settori 2001 2002 2003
18
5. La popolazione
1. Alla fine del 2007 la popolazione italiana ammontava a 59,5 milioni di
abitanti di cui 38,7 milioni residenti nelle regioni del Centro-Nord e poco meno di 21
milioni nel Mezzogiorno (v. Tab. 1). Rispetto all’anno precedente il Paese nel suo
complesso è cresciuto di circa 400 mila unità: aumento che si è concentrato
prevalentemente nelle regioni centro-settentrionali. Il Centro-Nord infatti ha visto
aumentare la sua popolazione di circa 330 mila unità, un valore leggermente inferiore a
quello di due anni prima (384 mila), ma in ogni caso significativo, pari alla consistenza
demografica di una città come Bari. Il Mezzogiorno, viceversa, pur crescendo poco (63
mila unità), ha tuttavia recuperato rispetto al 2005, quando aveva fatto registrare un
decremento di circa 4 mila unità. Il Centro-Nord grazie a una sostenuta dinamica
migratoria estera e interna, continua a far registrare considerevoli ritmi di incremento. Il
Mezzogiorno, invece, non riesce ad intercettare in misura adeguata i flussi migratori
esteri né a esercitare una adeguata forza di contenimento dei flussi migratori verso il
Nord, in presenza per altro di una fecondità in costante calo soprattutto nelle sue regioni
più grandi e, in passato, più prolifiche.
Significativo, a questo proposito, è l’entità della popolazione straniera residente
nelle due ripartizioni. Nel Mezzogiorno al 1° gennaio 2007 risiedevano poco meno di
350 mila stranieri, pari all’1,6% della popolazione meridionale: uno stock 7,5 volte
inferiore a quello residente nelle regioni centro-settentrionali, dove gli stranieri residenti
assommavano a 2,6 milioni e costituivano il 7% circa della popolazione.
Proprio alla diversa dinamica migratoria va imputata la differenza nel tasso di
incremento tra Centro-Nord e Mezzogiorno nel 2007, con quello centro-settentrionale
che è risultato circa tre volte più alto di quello meridionale (8,6‰ contro 3‰), e che si
colloca tra i più alti tassi di accrescimento dei paesi dell’Unione Europea a 27.
Gli effetti della crescita demografica indotti dalla componente esogena sono
chiaramente visibili sulla struttura per età della popolazione delle due ripartizioni. Al
Centro-Nord una presenza straniera più numerosa e stabile, ma soprattutto giovane, ha
determinato un complessivo effetto di “ringiovanimento” della piramide delle età,
particolarmente evidente nella fascia d’età prescolare, tra 0 e 4 anni, e in quella
lavorativa compresa tra 20 e 49 anni. Nel caso della popolazione al di sotto dei 5 anni,
l’aumento delle nascite di bambini stranieri, dovuto alla più intensa fecondità delle
donne straniere (doppia rispetto a quella della popolazione centro-settentrionale nel
2006), ha prodotto un apprezzabile ampliamento della base della piramide delle età,
talché al di sotto della classe d’età prescolare l’incidenza dei bambini stranieri è oggi
pari al 13% circa, una quota quasi doppia rispetto agli stranieri residenti nel Centro-
Nord.
2. L’andamento della natalità riflette i mutamenti dei comportamenti riproduttivi
intervenuti, a partire dalla seconda metà degli anni ’90, nel Mezzogiorno e nel Centro-
Nord. A fronte di una relativa costanza del tasso di mortalità (attestatosi all'8,7‰ negli
ultimi due anni), il Mezzogiorno ha conosciuto una progressiva contrazione delle
nascite in rapporto alla popolazione, talché il contributo della componente endogena
alla crescita nel 2007 è sceso sotto l’1‰ (v. Tab. 2). Nel Centro-Nord l’aumento della
fecondità, indotto dalla ripresa delle nascite da parte delle donne italiane e dal
contributo riproduttivo di quelle straniere, ha portato lo scorso anno la natalità della
ripartizione ad attestarsi sullo stesso livello di quella meridionale, vale a dire al 9,5‰.
19
Ciononostante, la dinamica naturale che ne è risultata è stata ancora una volta negativa
(-0,3‰), a causa di un più alto livello della mortalità, pari al 9,7‰. Nel Mezzogiorno
soltanto Campania e Puglia evidenziano allo tempo stesso una natalità più alta e una
mortalità più bassa del livello medio dell’area, con ritmi di crescita naturale superiori:
considerevolmente più alto nel caso della Campania, dove l’incremento è risultato pari
al 2,6‰; solo di poco superiore alla media dell’area, nel caso pugliese (1,1‰). La
Sicilia, pur avendo una natalità (pari al 9,8‰) più alta di quella pugliese, ha conosciuto
un incremento naturale inferiore a quello del Mezzogiorno (lo 0,5‰), a causa di una
mortalità (pari al 9,3‰) superiore alla media. Il resto delle regioni, infine, da tempo non
fornisce più alcun contributo alla crescita naturale del Sud, sia perché si trova a
fronteggiare saldi naturali negativi (è il caso di Abruzzo, Molise e Sardegna), sia perché
mostra una crescita prossima allo zero (è il caso della Calabria).
Al Centro-Nord, in regioni come la Lombardia, la Valle d’Aosta, il Veneto, il
Lazio e il Trentino Alto Adige l’aumento della natalità e la diminuzione della mortalità
(indotta da un lato da una sostanziale stabilità dei decessi, e dall’altra dalla crescita della
popolazione residente in conseguenza dei flussi migratori), ha fatto registrare incrementi
naturali positivi in molti casi superiori a quello medio del Sud.
3. Nel 2007 il Mezzogiorno ha perso circa 52 mila residenti a favore delle
regioni del Centro-Nord, ad un ritmo di 2,5 abitanti ogni mille. Quasi la metà delle
perdite migratorie dell’intera area è imputabile alla sola Campania (-25,2 mila) che, con
un tasso migratorio interno negativo (-4,3‰) quasi doppio rispetto a quello medio del
Mezzogiorno, ha perso una quota di residenti superiore al guadagno migratorio
dell’intero Nord-Est (+23,7 mila). Puglia e Sicilia evidenziano un saldo migratorio
all’incirca simile - rispettivamente 9,9‰ e 9,2‰ - ma entrambe presentano tassi
migratori interni inferiori alla media (-2,4‰ e -1,8‰). Calabria e Basilicata presentano
un tasso negativo interno superiore a quello medio (rispettivamente -3,9‰ e -3,7‰). Le
uniche regioni in cui aumentano i residenti sono: l’Abruzzo, con un 2,4 mila residenti in
più, la Sardegna, con circa 300 nuovi residenti, e il Molise, il cui guadagno migratorio è
inferiore al centinaio di unità.
Per quanto riguarda l’interscambio di popolazione con l’estero, nel 2007
Abruzzo e Calabria hanno intercettato circa un quinto del saldo migratorio con l’estero
del Mezzogiorno, pari a 23,3 mila nuovi iscritti al netto dei cancellati, esibendo un tasso
migratorio positivo quasi doppio rispetto a quello medio del Sud: rispettivamente il
7,1‰ e il 7,0‰ contro il 3,7‰. Campania e Sicilia, le due regioni più grandi, pur
accogliendo oltre un terzo degli immigrati stranieri nel Mezzogiorno con l’estero (circa
35 mila), mostrano tassi inferiori a quello medio (rispettivamente 3,2‰ e 3,3‰).
La crescita del Centro-Nord si basa ormai esclusivamente sui guadagni di
popolazione che derivano dal positivo andamento della bilancia migratoria. Nel 2007
nei comuni centro-settentrionali si sono iscritti quasi 342 mila nuovi residenti al netto
dei cancellati, pari a circa 9 iscritti ogni mille abitanti. Il 37% si è indirizzato verso i
comuni del Nord-Ovest mentre il restante 63% si è diviso equamente tra i comuni del
Nord-Est e quelli del Centro. Oltre il 90% dei nuovi residenti nel Centro-Nord (pari a
circa 312 mila individui) proveniva dall’estero. La componente interna
dell’interscambio migratorio del Centro-Nord nel 2007 ha fatto registrare un modesto
incremento, in valori assoluti, del quale si sono avvantaggiate le regioni del Nord-Est,
che continuano a esercitare una forza di attrazione sui flussi migratori meridionali
20
superiore a quella delle regioni centrali e nord-occidentali, tale da far registrare ritmi di
incremento migratorio interno pari a circa il doppio di quello medio del Centro-Nord.
Totale di cui:
stranieri (b)
Mezzogiorno 20.760 20.756 20.819 342 -4 63
Centro-Nord 37.992 38.376 38.706 2.597 384 331
Italia 58.752 59.131 59.525 2.939 380 394
% sul totale
della
popolazione
Mezzogiorno 35,3 35,1 35,0 1,6 -0,2 3,0
Centro-Nord 64,7 64,9 65,0 6,7 10,1 8,6
Italia 100,0 100,0 100,0 4,9 6,5 6,7
(a) Stima.
(b) 2006.
Fonte : Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT.
Tab. 1. Ammontare della popolazione italiana residente, variazioni 2005-2007, distribuzione
percentuale e tasso di variazione medio annuo, per ripartizione
Ripartizioni territoriali
Popolazione residente a fine anno Variazione totale
2005 2006
2007 (a)
2005-06 2006-07
(migliaia di unità)
Distribuzione percentuale Variazione media
annua (per 1.000 ab.)
21
2005 2006 2007 (a) 2005 2006 2007 (a) 2005 2006 2007 (a)
Piemonte 8,6 8,7 8,7 11,1 10,7 10,6 -2,5 -2,0 -1,9
Valle d'Aosta 9,4 9,5 9,9 10,6 9,8 9,8 -1,2 -0,3 0,1
Lombardia 9,8 10,0 10,0 9,1 8,8 8,8 0,7 1,2 1,2
Liguria 7,5 7,5 7,5 13,3 12,8 12,8 -5,8 -5,3 -5,3
Trentino Alto Adige 10,9 10,7 10,6 8,4 8,3 8,1 2,5 2,4 2,5
Veneto 9,8 9,8 9,9 9,1 8,7 8,9 0,7 1,1 1,0
Friuli Venezia Giulia 8,4 8,5 8,6 11,5 11,2 10,9 -3,1 -2,7 -2,3
Emilia Romagna 9,2 9,3 9,6 11,1 10,7 10,7 -1,9 -1,4 -1,1
Toscana 8,7 8,8 8,9 11,3 10,8 11,0 -2,6 -2,0 -2,1
Umbria 9,0 9,0 8,9 11,5 10,9 10,5 -2,5 -1,9 -1,6
Marche 8,8 9,0 8,9 10,2 10,1 10,1 -1,4 -1,1 -1,2
Lazio 9,6 9,5 9,8 9,4 9,0 8,8 0,2 0,5 1,0
Abruzzo 8,6 8,7 8,7 10,4 10,0 10,3 -1,8 -1,3 -1,6
Molise 7,9 8,0 7,8 11,1 11,0 10,3 -3,2 -3,0 -2,5
Campania 10,8 10,8 10,7 8,4 8,1 8,1 2,4 2,7 2,6
Puglia 9,5 9,4 9,1 8,2 8,1 8,0 1,3 1,3 1,1
Basilicata 8,2 8,3 8,1 9,6 9,4 9,5 -1,4 -1,1 -1,4
Calabria 9,1 9,1 9,0 9,0 8,8 8,7 0,1 0,3 0,3
Sicilia 10,1 10,0 9,8 9,4 9,2 9,3 0,7 0,8 0,5
Sardegna 8,0 8,0 8,1 8,5 8,3 8,4 -0,5 -0,3 -0,3
Mezzogiorno 9,7 9,7 9,5 8,9 8,7 8,7 1,1 1,0 0,8
Centro-Nord 9,5 9,5 9,5 10,2 9,9 9,7 -0,7 -0,4 -0,3
- Nord-Est 9,5 9,5 9,7 10,0 9,7 9,7 -0,4 -0,2 0,0
- Nord-Ovest 9,2 9,4 9,4 10,1 9,8 9,7 -0,9 -0,4 -0,3
- Centro 9,2 9,2 9,3 10,3 9,9 9,8 -1,0 -0,7 -0,5
Italia 9,5 9,5 9,5 9,7 9,4 9,4 -0,1 0,1 0,1
(a) Stima.
Fonte:
Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT.
Tab. 2. Natalità, mortalità e incremento naturale della popolazione italiana residente, per regione. Anni 2005-
2007 (valori per 1.000 ab.)
Regioni Natalità Mortalità Incremento naturale
Tab. 3. Iscrizioni e cancellazioni anagrafiche (a) per trasferimento di residenza interno o estero. Anni 2006 e 2007
2006 2007 2007 2006 2007 2007 2006 2007 2007 2006 2007 2007
Abruzzo 2,2 2,4 1,8 4,1 9,3 7,1 0,4 2,6 1,9 6,7 14,3 10,9
Molise -0,2 0,0 0,1 0,6 1,3 4,0 -0,2 -0,1 -0,3 0,3 1,2 3,8
Campania -25,5 -25,2 -4,3 7,5 18,5 3,2 1,7 17,1 3,0 -16,2 11,6 2,0
Puglia -9,8 -9,9 -2,4 3,7 11,4 2,8 -0,8 -0,8 -0,2 -6,9 0,8 0,2
Basilicata -2,1 -2,2 -3,7 0,2 1,8 3,0 -0,1 -0,1 -0,1 -2,0 -0,5 -0,8
Calabria -7,8 -7,9 -3,9 0,6 14,0 7,0 0,0 0,0 0,0 -7,2 6,2 3,1
Sicilia -7,5 -9,2 -1,8 4,0 16,6 3,3 -0,5 -0,5 -0,1 -4,0 7,0 1,4
Sardegna 1,7 0,3 0,2 1,7 4,3 2,6 1,0 0,5 0,3 4,3 5,1 3,1
Mezzogiorno -49,8 -51,6 -2,5 22,8 77,1 3,7 2,1 18,7 0,9 -24,9 45,7 2,2
Centro-Nord 71,4 46,1 1,2 198,9 312,3 8,1 131,0 -16,7 -0,4 401,4 341,7 8,9
- Nord-Est 30,1 23,7 2,1 64,7 89,2 8,0 -7,8 -7,6 -0,7 87,1 105,4 9,4
- Nord-Ovest 21,8 9,1 0,6 79,5 127,3 8,1 -12,5 -9,7 -0,6 88,9 126,6 8,1
- Centro 20,6 13,3 1,2 57,2 95,7 8,3 149,7 0,6 0,1 227,5 109,7 9,5
Italia 17,7 -5,5 -0,1 218,1 389,4 6,6 129,7 2,1 0,0 365,4 387,4 6,6
(a) Dati relativi al bilancio anagrafico della popolazione residente.
(b) Saldo tra iscrizioni e cancellazioni anagrafiche dovute ad operazioni di rettifica anagrafica.
Fonte : Elaborazioni Svimez su dati ISTAT.
Tasso
migratorio
netto totale
(per 1.000
ab.)
(c) Il saldo migratorio interno non risulta nullo a causa dallo sfasamento temporale delle registrazioni anagrafiche tra comune di cancellazione e comune
di iscrizione.
Tasso
migratorio con
l'estero (per
1.000 ab.)
Saldo migratorio
per altro motivo
(b) (migliaia di
unità)
Tasso migratorio
per altro motivo
(b) (per 1.000
ab.)
Saldo totale
(migliaia di unità)Regioni
Saldo migratorio
interno
(migliaia di unità)
Tasso
migratorio
interno (per
1.000 ab.)
Saldo migratorio
estero
(migliaia di
unità)
22
Fig. 1. Piramide delle età della popolazione italiana e straniera residente nel Mezzogiorno e
nel Centro-Nord al 1° gennaio 2007
Mezzogiorno
1,0 0,8 0,6 0,4 0,2 0,0 0,2 0,4 0,6 0,8 1,0
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100 e più
MaschiFemmine
StranieriStraniere
Centro-Nord
1,0 0,8 0,6 0,4 0,2 0,0 0,2 0,4 0,6 0,8 1,0
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100 e più
Maschi
Femmine
Straniere Stranieri
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT.
23
6. Il mercato del lavoro
La situazione del mercato del lavoro in Italia nel 2007 presenta luci ed ombre:
un sensibile rallentamento nella crescita dell’occupazione si accompagna a
un’ulteriore flessione della disoccupazione.
Riguardo all’occupazione, il dato medio relativo al 2007 evidenzia andamenti
dissimili tra Mezzogiorno e Centro-Nord. Nel Centro-Nord gli occupati aumentano di
234 mila unità (+1,4%), mentre nel Mezzogiorno resta stabile sui livelli del 2006.
Nelle regioni meridionali la stagnazione dell’occupazione segue un anno di lieve
ripresa, interrompendo il recupero della flessione registrata nella prima parte degli
anni 2000 (v. Tab. 1).
Nello stesso periodo nel Centro-Nord l’occupazione è aumentata di circa un
milione e mezzo di unità, in forza soprattutto della regolarizzazione dei lavoratori
immigrati. Molto più mobili e flessibili della popolazione residente, infatti, gli
immigrati hanno cercato di integrarsi dove la disoccupazione era più bassa.
Nel Mezzogiorno, invece, la stagnazione della domanda di lavoro si è combinata
con un’ulteriore contrazione dell’offerta determinando una flessione del tasso di
partecipazione al mercato del lavoro di quasi un punto. Mentre cresce dell’1,0% nel
Centro-Nord, nel 2007 nelle regioni meridionali la forza di lavoro si è ridotta per il
quinto anno consecutivo (-1,4%). La riduzione della forza di lavoro al Sud (circa 420
mila unità in meno rispetto al 2002, pari al -1,1% all’anno) sembra sottendere un diffuso
effetto di “scoraggiamento” che spinge soprattutto i giovani e le donne anche di età più
elevata a non partecipare più alla ricerca di lavoro, o prolungando gli studi o
rifugiandosi nel lavoro sommerso, o scegliendo la strada dell’emigrazione verso il
Centro-Nord.
Se analizziamo l’andamento dell’occupazione nelle diverse regioni meridionali,
emergono profonde differenze sia nel risultato medio dell’anno, sia nell’andamento
all’interno dei quattro trimestri. Con riferimento al 2007, vanno segnalati per il secondo
anno consecutivo i risultati molto positivi del Molise (2,5%) e della Puglia (2,2%). Saldi
positivi si rilevano anche in Sardegna (0,9%) e Abruzzo (0,8%); non così per le altre
regioni. La contrazione dell’occupazione è particolarmente accentuata in Calabria (-
2,0%) e intorno al punto percentuale per le altre regioni. In Campania (-0,7%), per il
secondo anno consecutivo, l’aumento dell’occupazione industriale (2,4%) viene
annullato dalla flessione nei servizi (-0,9%) (v. Tab. 2).
I risultati positivi di Puglia e Molise sono dovuti all’incremento dell’occupazione
nei servizi (4,0%, pari a circa 31 mila occupati in più), cui si aggiunge (solo per il Molise)
il trend particolarmente favorevole dell’occupazione agricola.
Nel 2007 la crescita dell’occupazione a livello nazionale riflette andamenti
positivi nelle due componenti tipiche e atipiche. Nel complesso gli “atipici” registrano
un incremento di 128 mila unità, pari al 2,7% (6,8% nel 2006); le posizioni dipendenti a
tempo determinato full time aumentano di 19 mila unità (+1,1%; +9,3% nel 2006),
mentre i lavoratori a tempo parziale aumentano di 109 mila unità (+3,6%; +5,4% nel
2006) (v. Tab. 4).
In entrambe le ripartizioni tali componenti evidenziano un ruolo significativo
nella dinamica dell’occupazione. Nel Mezzogiorno l’incremento delle forme
contrattuali non standard (17 mila unità, pari all’1,2%) compensa l’analoga flessione
dell’occupazione tipica (-0,3%). Nell’ambito degli atipici, i contratti a termine full time
24
subiscono una lieve flessione, mentre aumentano decisamente per il secondo anno
consecutivo i lavoratori con contratti a tempo parziale (27 mila unità pari al 3,7%).
Le riforme succedutesi negli ultimi anni hanno certamente reso più facile
l’ingresso nel mercato del lavoro (come dimostrato dal sensibile calo della
disoccupazione giovanile), ma hanno determinato un forte aumento della flessibilità che
nelle aree territoriali meno sviluppate e per le fasce deboli del mercato del lavoro
(giovani e donne) si è trasformata spesso in precarietà.
L’analisi per classi d’età evidenzia una correlazione inversa tra età e stabilità
dell’occupazione. La quota dei rapporti a termine passa dal 48,5% tra i giovanissimi in
età 15-19 anni al 7,5% per le persone con oltre 35 anni ed è maggiore nel Centro-Nord
(55,6%) rispetto al Mezzogiorno (33,7%) (Tab. 4). La presenza di maggiori opportunità
di lavoro al Centro-Nord, infatti, determina una maggiore partecipazione al mercato del
lavoro dei giovanissimi, che tuttavia accettano occupazioni a termine in attesa di trovare
una collocazione definitiva. Nel Mezzogiorno, viceversa, la carenza di opportunità
diminuisce la partecipazione, orientando i giovani ad un prolungamento più o meno
forzato del periodo di istruzione. Nella classe d’età tra i 15 ed i 19 anni infatti il tasso di
occupazione nel complesso molto basso (7,6%) è pari al 5,7% nel Mezzogiorno ed al
9% al Centro-Nord.
L’elevata propensione verso i rapporti a termine trova ulteriore conferma se si
considerano i giovani occupati nel 2007 che non avevano un’occupazione nell’anno
precedente. A livello nazionale fra gli under 20 la quota dei rapporti a termine sul totale
si attesta al 54,4%, per poi scendere gradualmente con il passaggio a classi di età più
elevata fino al 37,3% per le persone con 35 anni ed oltre. Per le persone che hanno
trovato occupazione nell’ultimo anno la modalità del rapporto a termine rimane
prevalente e si attesta per il complesso della popolazione al 45,5% (41% al
Mezzogiorno e 48% al Centro-Nord). Interessante notare che al Sud si registra una più
alta quota di occupati a termine over 35 e a conferma di un anomalo utilizzo della
flessibilità.
Un altro indicatore della più elevata precarietà del lavoro nelle regioni
meridionali si ricava dalla maggiore consistenza dei flussi in entrata e in uscita. Sul
totale nazionale degli occupati la quota del Mezzogiorno era pari al 26,9%, mentre
quella sugli occupati che hanno trovato un’occupazione nel corso dell’anno sale al
41,6%.
Il ritardo con cui nel Mezzogiorno si accede al mercato del lavoro è dimostrato
anche dai tassi di occupazione per classi d’età e titolo di studio. Per la classe d’età da 15
a 24 anni il tasso di occupazione è al Mezzogiorno del 17,2% a fronte del 30,3% del
Centro-Nord (v. Tab. 2 ). Il divario con le regioni del Nord è particolarmente elevato
per i diplomi biennali, triennali e quinquennali. I dati sembrano evidenziare che la
presenza di opportunità di lavoro rende possibile trovare un’occupazione per quasi il
70% dei giovani laureati triennali del Centro-Nord a fronte del 33% del Mezzogiorno.
Divari consistenti si rilevano anche per la laurea. In generale i tassi di occupazione per i
giovani di 25-34 anni sono pari al 78,5% per i diplomati ed all’80% per i laureati nel
Centro-Nord; invece nel Mezzogiorno tra i giovani della stessa età poco più del 50% dei
diplomati e dei laureati è occupato. Nell’area il titolo di studio elevato viene pienamente
valorizzato solo al di sopra dei 35 anni, quando i laureati del Sud raggiungono un tasso
di occupazione superiore all’ 80%, mentre con l’avanzare dell’età il divario si accresce
per i titoli di studio meno elevati.
25
Con la componente implicita il tasso di disoccupazione nel Sud è il 28%
I dati relativi al 2007 danno conferma di un mercato del lavoro che si va sempre
più spaccando in due parti, con un Centro-Nord che aumenta l’occupazione di oltre 230
mila unità e il Mezzogiorno che invece risulta a crescita zero.
Parallelamente a questi dati, si conferma il paradosso di una disoccupazione che
cala più al Sud che al Nord. Le persone in cerca di occupazione sono infatti diminuite
nel 2007 di 67 mila unità nel Centro-Nord (circa un quarto della crescita
dell’occupazione) e di ben 101 mila unità al Sud. Viene da chiedersi: dato che queste
100 mila persone che fino ad un anno fa cercavano lavoro non risulta che l’abbiano
trovato, che fine hanno fatto?
Nel corso del scorso anno è cresciuto moltissimo il numero di coloro che possiamo
considerare ai margini della partecipazione tra le “non forze di lavoro”. Nel 2007, infatti, le
componenti di coloro che secondo l’ISTAT “cercano lavoro non attivamente” e che “non
cercano lavoro ma sono disponibili a lavorare” sono aumentate nel Sud di ben 248 mila
unità. Dunque quella che potremmo definire una inoccupazione involontaria nel
Mezzogiorno aumenta, e anche significativamente invece che diminuire (+147 mila unità,
sintesi di -109 mila disoccupati espliciti e +248 mila disoccupati impliciti). Nel medesimo
periodo nel Centro-Nord la crescita dell’occupazione determina un contemporaneo calo
della disoccupazione e delle non forze lavoro (v. Tab. 5).
A questo punto, che senso ha parlare di un tasso di disoccupazione al Sud
dell’11,3% nel 2007, inferiore di circa 1,2 punti rispetto al 2006 e di ben 8 punti rispetto
al 2000, a fronte di un tasso di occupazione che lo scorso anno si è ridotto di un decimo
di punto e che dal 2001 è rimasto stazionario (46,6%)? In valori assoluti ciò equivale ad
una riduzione in sei anni al Sud di 635 mila unità, ma di questi disoccupati “scomparsi”
meno della la metà (285 mila) ha trovato un’occupazione, mentre i restanti 350 mila
hanno smesso di dichiararsi in cerca di occupazione e non hanno svolto azioni
codificate di ricerca di lavoro .
Se più correttamente aggiungessimo ai disoccupati ufficiali questa componente
di disoccupazione implicita, il tasso di disoccupazione aumenterebbe al Sud di oltre 15
punti ed al Centro-Nord di meno di 3 punti percentuali. Un tasso di disoccupazione
corretta che tenga conto anche di coloro che cercano lavoro non attivamente e di coloro
che pur non cercando sono disponibili a lavorare salirebbe quindi al 28,2% al Sud,
rispetto all’11% ufficiale, e al 6,9% rispetto al 4% ufficiale nel Centro-Nord. Peraltro un
tasso così ricalcolato farebbe recuperare anche la correlazione tra andamento
dell’occupazione e della disoccupazione al Sud persasi negli ultimi anni. Basti vedere
come la ripresa occupazionale del 2006 si riflette in una contrazione del tasso di
disoccupazione, cui fa seguito una ripresa nel 2007.
Pur essendo considerato essenziale anche a livello comunitario, occorre prendere
atto che al Sud l’indicatore ufficiale della disoccupazione non funziona e non può essere
usato per dimostrare successi che in realtà nascondono ulteriori fallimenti. E’ come
rallegrarsi perché diminuiscono i malati, quando i pazienti sono tutti deceduti.
26
Tab. 1.
Occupati, disoccupati e forze di lavoro nel 2007 e variazioni medie annue
Media 2007
(migliaia
di unità)
Occupati 6.516 0,3 1,6 0,0 1,6 2,4 1,7 -0,4 -0,4 -0,3 1,6 0,0
Persone in cerca di occupazione 808 3,3 6,1 0,3 -3,5 -7,8 -5,0 -1,7 -8,6 -6,0 -14,8 -11,2
Forze di lavoro 7.324 0,9 2,4 0,0 0,6 0,5 0,5 -0,6 -1,7 -1,2 -0,7 -1,4
Occupati 16.706 0,2 0,8 1,8 1,8 1,6 1,3 2,3 1,2 1,1 2,0 1,4
Persone in cerca di occupazione 698 -1,3 -3,0 -6,9 -11,1 -11,8 -4,2 0,9 2,4 -0,5 -6,9 -8,6
Forze di lavoro 17.404 0,1 0,5 1,1 0,9 0,8 1,0 2,2 1,2 1,0 1,6 1,0
Occupati 23.222 0,3 1,0 1,2 1,7 1,9 1,4 1,5 0,7 0,7 1,9 1,0
Persone in cerca di occupazione 1.506 1,2 1,9 -2,8 -6,7 -9,4 -4,7 -0,7 -4,3 -3,7 -11,4 -10,0
Forze di lavoro 24.728 0,4 1,1 0,8 0,8 0,7 0,9 1,3 0,3 0,4 0,9 0,3
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT. Indagine continua sulle forze di lavoro.
Mezzogiorno
Centro-Nord
Italia
2005 2006 2007Aggregati
Variazioni % rispetto all'anno precedente
1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004
Tab. 2. Variazione degli occupati, dei disoccupati e delle forze di lavoro nel 2007
(valori in migliaia di unità)
Var. ass. Var. % Var. ass. Var. % Var. ass. Var. %
Piemonte 11,1 0,6 4,4 5,7 15,5 0,8
Valle d'Aosta 1,1 1,9 0,1 7,9 1,2 2,1
Lombardia 32,1 0,8 -11,3 -6,9 20,8 0,5
Trentino Alto Adige 5,8 1,3 -0,3 -2,1 5,5 1,2
Veneto 17,4 0,8 -15,2 -17,1 2,2 0,1
Friuli Venezia Giulia 3,1 0,6 -0,5 -2,6 2,6 0,5
Liguria 12,4 1,9 1,0 3,1 13,4 2,0
Emilia-Romagna 35,3 1,8 -9,6 -14,3 25,7 1,3
Toscana 4,2 0,3 -8,7 -11,1 -4,5 -0,3
Umbria 12,2 3,4 -1,5 -7,9 10,7 2,9
Marche 6,6 1,0 -2,3 -7,6 4,3 0,6
Lazio 93,0 4,4 -22,2 -12,8 70,8 3,1
Abruzzo 3,9 0,8 -1,5 -4,4 2,4 0,4
Molise 2,8 2,5 -2,2 -18,3 0,6 0,5
Campania -11,7 -0,7 -38,4 -15,0 -50,0 -2,5
Puglia 27,6 2,2 -22,6 -12,3 5,0 0,4
Basilicata -2,1 -1,0 -2,6 -11,2 -4,7 -2,1
Calabria -12,4 -2,0 -14,6 -16,0 -26,9 -3,8
Sicilia -14,2 -0,9 -13,0 -5,5 -27,2 -1,6
Sardegna 5,4 0,9 -6,5 -8,8 -1,1 -0,2
Mezzogiorno -0,6 0,0 -101,4 -11,2 -101,9 -1,4
Centro-Nord 234,2 1,4 -66,0 -8,6 168,2 1,0
- Nord-Ovest 56,6 0,8 -5,7 -2,1 50,9 0,7
- Nord-Est 61,6 1,2 -25,5 -13,6 36,1 0,7
- Centro 115,9 2,5 -34,8 -11,5 81,2 1,6
Italia 233,6 1,0 -167,4 -10,0 66,2 0,3
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT. Indagine continua sulle forze di lavoro.
Occupati Disoccupati Forze di lavoroRegioni
27
Tab. 3. Andamento tendenziale degli occupati per posizione, carattere dell'occupazione e tipologia di orario nel 2007
Variazioni assolute (in migliaia di unità)
Ass. % 2006 2007 Ass. % 2006 2007 Ass. % 2006 2007
Totale occupati 0 0,0 100,0 100,0 234 1,4 100,0 100,0 234 1,0 100,0 100,0
- tempo pieno -27 -0,5 88,7 88,3 151 1,1 85,9 85,7 125 0,6 86,7 86,4
- tempo parziale 27 3,7 11,3 11,7 82 3,6 14,1 14,3 109 3,6 13,3 13,6
Autonomi 4 0,2 26,7 26,7 -22 -0,5 26,3 25,8 -19 -0,3 26,4 26,1
Imprenditori 2 1,8 5,5 5,6 -30 -12,1 5,8 5,1 -29 -8,3 5,7 5,2
Liberi professionisti 4 1,5 15,7 15,9 31 3,8 19,3 20,1 36 3,2 18,2 18,9
Lavoratori in proprio -4 -0,4 65,4 65,0 -19 -0,8 58,2 58,0 -24 -0,7 60,3 60,0
Soci di cooperativa 1 4,4 0,8 0,8 8 30,2 0,6 0,8 8 21,2 0,6 0,8
Coadiuvanti familiari -3 -2,8 6,5 6,3 0 -0,1 7,2 7,2 -3 -0,8 7,0 7,0
Co.co.co 3 3,3 4,9 5,1 -15 -4,6 7,4 7,1 -12 -2,9 6,7 6,5
Prestatori d'opera occasionali 2 8,3 1,2 1,3 3 4,8 1,7 1,8 5 5,5 1,5 1,6
- tempo pieno 8 0,5 88,3 88,4 -4 -0,1 87,4 87,0 4 0,1 87,7 87,4
- tempo parziale -5 -2,6 11,7 11,6 -17 -3,1 12,6 13,0 -22 -2,9 12,3 12,6
Dipendenti -3 -0,1 73,3 73,3 255 2,1 73,7 74,2 252 1,5 73,6 73,9
permanenti 5 0,1 82,1 82,3 201 1,9 88,7 88,5 206 1,4 86,9 86,8
- tempo pieno -25 -0,7 90,8 90,0 126 1,3 86,5 86,1 101 0,8 87,6 87,1
- tempo parziale 30 8,3 9,2 10,0 74 5,1 13,5 13,9 104 5,8 12,4 12,9
a termine -8 -1,0 17,9 17,7 55 4,0 11,3 11,5 47 2,1 13,1 13,2
- tempo pieno -11 -1,6 79,6 79,2 29 2,8 78,0 77,1 19 1,1 78,6 77,9
- tempo parziale 2 1,2 20,4 20,8 26 8,5 22,0 22,9 28 5,8 21,4 22,1
Tipici -17 -0,3 78,2 78,0 122 0,9 79,5 79,1 105 0,6 79,1 78,8
Atipici 17 1,2 21,8 22,0 112 3,3 20,5 20,9 129 2,7 20,9 21,2
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT. Indagine continua sulle forze di lavoro.
Carattere dell'occupazione e
tipologia di orario
Mezzogiorno Centro-Nord Italia
Incidenza % Incidenza % Incidenza %Var. 2006-07 Var. 2006-07 Var. 2006-07
Tab. 4. Occupati per condizione nell'anno precedente, ripartizione territoriale ed età. Anno 2007 (composizione %)
Occupati a
termine ed
occasionali
Dipendenti a
tempo
indeterminato
Autonomi Totale
Occupati a
termine ed
occasionali
Dipendenti a
tempo
indeterminato
Autonomi Totale
Occupati a
termine ed
occasionali
Dipendenti a
tempo
indeterminato
Autonomi Totale
15-19 anni
Mezzogiorno 21,5 65,9 12,6 100,0 40,0 51,8 8,1 100,0 33,7 56,6 9,6 100,0
Centro-Nord 45,4 48,6 6,0 100,0 61,7 30,5 7,8 100,0 55,6 37,2 7,1 100,0
Totale 38,0 53,9 8,0 100,0 54,4 37,7 7,9 100,0 48,5 43,6 8,0 100,0
20-29 anni
Mezzogiorno 21,5 59,5 18,9 100,0 45,2 40,3 14,5 100,0 28,2 54,1 17,7 100,0
Centro-Nord 21,3 65,1 13,5 100,0 59,2 30,4 10,4 100,0 27,8 59,2 13,0 100,0
Totale 21,4 63,7 14,9 100,0 53,6 34,4 12,0 100,0 27,9 57,8 14,4 100,0
30-34 anni
Mezzogiorno 12,4 62,2 25,4 100,0 40,0 39,7 20,3 100,0 16,2 59,1 24,7 100,0
Centro-Nord 9,7 70,5 19,8 100,0 43,4 39,7 16,9 100,0 11,8 68,6 19,7 100,0
Totale 10,4 68,4 21,3 100,0 41,8 39,7 18,4 100,0 12,9 66,0 21,0 100,0
35 anni e oltre
Mezzogiorno 8,8 64,0 27,2 100,0 37,6 36,9 25,5 100,0 10,9 62,0 27,1 100,0
Centro-Nord 5,0 68,0 27,0 100,0 37,1 37,6 25,3 100,0 6,2 66,9 27,0 100,0
Totale 6,1 66,9 27,1 100,0 37,3 37,3 25,4 100,0 7,5 65,5 27,0 100,0
15 anni e oltre
Mezzogiorno 11,0 63,1 25,8 100,0 41,0 39,5 19,5 100,0 14,7 60,3 25,1 100,0
Centro-Nord 8,1 67,9 24,0 100,0 48,8 34,4 16,8 100,0 10,8 65,7 23,5 100,0
Totale 8,9 66,6 24,5 100,0 45,5 36,5 17,9 100,0 11,9 64,2 24,0 100,0
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT. Indagine continua sulle forze di lavoro.
Età e
ripartizioni
Occupati un anno prima Non occupati un anno prima Totale
28
Tab. 5. Occupati, disoccupati impliciti e espliciti e tasso di disoccupazione corretto
-
2004 6.431 1.135 1.422 2.557 28,4
2005 6.411 1.067 1.484 2.551 28,5
2006 6.516 909 1.501 2.410 27,0
2007 6.516 808 1.749 2.557 28,2
Var. 2006-07 -1 -101 248 147
Var. 2004-07 85 -328 328 0
2004 15.973 639 825 1.464 8,4
2005 16.152 630 821 1.452 8,2
2006 16.472 577 764 1.341 7,5
2007 16.706 530 698 1.229 6,9
Var. 2006-07 234 -47 -66 -113
Var. 2004-07 733 -109 -127 -235
(a) Risultante dalla somma di coloro che, pur appartenendo alle "non forze di lavoro", dichiarano di
cercare lavoro non attivamente e di coloro che non cercano lavoro ma sono disponibili a lavorare .
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT. Indagine continua sulle forze di lavoro.
Anni Occupati Disoccupazione
esplicita
Disoccupazione
implicita (a)
Mezzogiorno
Centro-Nord
Disoccupazione
corretta
Tasso di
disoccupazione
corretto
15-24 anni 18,2 13,3 32,9 22,2 15,3 17,2
25-34 35,5 50,3 56,6 56,2 54,6 52,8
35-44 37,0 55,5 62,2 70,5 85,2 61,7
45-54 34,7 56,2 70,3 74,9 92,6 60,7
55-64 20,0 33,4 36,0 51,2 69,2 33,8
Totale 15-64 27,6 41,3 55,6 54,2 70,6 46,5
15-24 anni 19,3 18,6 68,6 40,4 31,9 30,3
25-34 59,8 79,4 83,8 81,7 78,5 80,1
35-44 64,4 79,7 84,8 88,0 90,6 84,2
45-54 57,4 75,6 79,2 86,7 92,9 79,4
55-64 20,7 30,7 32,2 48,1 64,0 33,7
Totale 15-64 34,1 59,0 73,8 74,1 80,7 65,4
Fonte: Vedi Tab. 1.
classi di età - Media 2007 (valori percentuali)
Totale
Centro-Nord
Mezzogiorno
Tab. 6. Tasso di occupazione per titolo di studio, ripartizione geografica e classe
Classi di età Licenza
elementare
Licenza
media
Diploma
2-3 anni
Diploma
4-5 anni
Laurea
breve,
laurea,
dottorato
29
7. Migrazioni e pendolarismo
In base ai dati ISTAT, nel biennio 2004-2005 i trasferimenti di residenza dal Sud
al Centro-Nord si sono attestati intorno alle 120 mila unità, per poi continuare a
crescere, seppur lievemente, nel successivo biennio 2006-2007. Mentre i trasferimenti
dal Centro-Nord al Mezzogiorno negli ultimi venti anni sono rimasti sostanzialmente
stabili – nell’ordine delle 65 mila unità e segnati da rientri di persone in età pensionabile
o giovani al termine del ciclo di studi – tra il 1997 e il 2007 oltre 600 mila persone
hanno abbandonato il Mezzogiorno. Ma la cosa più rilevante è che la gran parte di
coloro che si sposta è costituito da forza lavoro giovane e ad elevata scolarità. Tale
fuoriuscita di capitale umano ha pesanti conseguenze sulle potenzialità di sviluppo
dell’area.
Nel 2000 in tutte le regioni meridionali il migrante-tipo apparteneva mediamente
in un caso su cinque alla classe di età 25-29 anni; in Puglia e Sardegna addirittura in un
caso su quattro. Nel 2005 il fenomeno ha registrato ancora la prevalenza dei 25-29enni,
ma in Abruzzo, Molise e Basilicata si è assistito a una crescita di migranti appartenenti
alla classe superiore (30-34 anni).
La nuova fase migratoria, riflettendo i profondi mutamenti intervenuti nella
società meridionale, si caratterizza per la presenza rilevante di giovani con un più
elevato grado di scolarizzazione. Nel 2005, infatti, oltre la metà (52,2%) di coloro che
hanno lasciato il Mezzogiorno per una regione del Centro-Nord, aveva un titolo di
studio medio-alto (diploma superiore il 35,8% e laurea il 16,4%).
Nel 2007 gli occupati residenti nel Mezzogiorno con un posto di lavoro nelle
regioni centro-settentrionali o in paesi esteri sono stati 150.000, pari al 2,3% degli
occupati residenti nell’area, dato sostanzialmente in linea con quello del 2006.
Per quanto riguarda i pendolari, l’incidenza di coloro che lavorano fuori regione
sul totale degli occupati è particolarmente elevata in Molise e Basilicata, dove si attesta
intorno al 3,5%, mentre è più contenuta nelle Isole e, in particolare, in Sardegna (1,2%).
Gli spostamenti dalle regioni meridionali verso quelle del Centro-Nord sono solo in
minima parte compensati da movimenti in direzione contraria. Ad eccezione
dell’Abruzzo, dove i movimenti pendolari in ingresso più che compensano quelli in
uscita, il saldo tra afflussi e deflussi è negativo in tutte le regioni meridionali ed assume
maggiore consistenza nelle regioni più grandi e popolose, Campania, Puglia e Sicilia.
Le regioni che presentano un più consistente grado di attrazione di lavoratori
residenti altrove, sono la Lombardia, l’Emilia-Romagna e il Lazio, con afflussi pari
rispettivamente a 97.000, 68.000 e 61.000 unità. La Lombardia assorbe pendolari che
provengono principalmente da altre regioni settentrionali, sebbene oltre un quarto
provenga dal Mezzogiorno. In Emilia Romagna i meridionali contano per oltre un terzo
del totale dei lavoratori da fuori regione, mentre nel Lazio la quota dei meridionali è
circa dell’80%.
Dal punto di vista sociale i pendolari di lungo raggio sono prevalentemente
maschi, giovani (circa il 60% ha meno di 35 anni mentre oltre l’80% ne ha meno di 45),
single o figli che ancora vivono in famiglia, dipendenti a termine e collaboratori,
prevalentemente impiegati a tempo pieno. Svolgono professioni di livello elevato in
quasi il 50% dei casi, mentre un altro 40% svolge mansioni di livello intermedio. La
propensione al pendolarismo, crescente con il livello professionale, è incentivata dalle
30
maggiori retribuzioni e dalle migliori condizioni di lavoro che generalmente si
associano a livelli professionali più elevati.
In definitiva, il pendolarismo di lunga distanza sembra garantire opportunità di
occupazione a giovani che hanno completato e/o stanno completando un lungo periodo
d’istruzione, ma che non trovano opportunità nelle regioni di residenza o cominciano ad
orientarsi per lavorare fuori. Dal punto di vista settoriale in termini assoluti prevalgono i
servizi, ma relativamente più importante è il settore industriale e l’edilizia.
Sempre in termini assoluti, le regioni di destinazione più importanti sono
Lombardia, Lazio ed Emilia Romagna, con valori relativi significativi in regioni più
piccole caratterizzate da bassi tassi di disoccupazione, come il Trentino A.A., il Friuli
V.G. e le Marche.
Tab. 1. Iscrizioni e cancellazioni anagrafiche (a) per trasferimento di residenza interno o estero. Anni 2006 e 2007
2006 2007 2007 2006 2007 2007 2006 2007 2007 2006 2007 2007
Abruzzo 2,2 2,4 1,8 4,1 9,3 7,1 0,4 2,6 1,9 6,7 14,3 10,9
Molise -0,2 0,0 0,1 0,6 1,3 4,0 -0,2 -0,1 -0,3 0,3 1,2 3,8
Campania -25,5 -25,2 -4,3 7,5 18,5 3,2 1,7 17,1 3,0 -16,2 11,6 2,0
Puglia -9,8 -9,9 -2,4 3,7 11,4 2,8 -0,8 -0,8 -0,2 -6,9 0,8 0,2
Basilicata -2,1 -2,2 -3,7 0,2 1,8 3,0 -0,1 -0,1 -0,1 -2,0 -0,5 -0,8
Calabria -7,8 -7,9 -3,9 0,6 14,0 7,0 0,0 0,0 0,0 -7,2 6,2 3,1
Sicilia -7,5 -9,2 -1,8 4,0 16,6 3,3 -0,5 -0,5 -0,1 -4,0 7,0 1,4
Sardegna 1,7 0,3 0,2 1,7 4,3 2,6 1,0 0,5 0,3 4,3 5,1 3,1
Mezzogiorno -49,8 -51,6 -2,5 22,8 77,1 3,7 2,1 18,7 0,9 -24,9 45,7 2,2
Centro-Nord 71,4 46,1 1,2 198,9 312,3 8,1 131,0 -16,7 -0,4 401,4 341,7 8,9
- Nord-Est 30,1 23,7 2,1 64,7 89,2 8,0 -7,8 -7,6 -0,7 87,1 105,4 9,4
- Nord-Ovest 21,8 9,1 0,6 79,5 127,3 8,1 -12,5 -9,7 -0,6 88,9 126,6 8,1
- Centro 20,6 13,3 1,2 57,2 95,7 8,3 149,7 0,6 0,1 227,5 109,7 9,5
Italia 17,7 -5,5 -0,1 218,1 389,4 6,6 129,7 2,1 0,0 365,4 387,4 6,6
(a) Dati relativi al bilancio anagrafico della popolazione residente.
(b) Saldo tra iscrizioni e cancellazioni anagrafiche dovute ad operazioni di rettifica anagrafica.
Fonte : Elaborazioni Svimez su dati ISTAT.
Tasso
migratorio
netto totale
(per 1.000
ab.)
(c) Il saldo migratorio interno non risulta nullo a causa dallo sfasamento temporale delle registrazioni anagrafiche tra comune di cancellazione e comune
di iscrizione.
Tasso
migratorio con
l'estero (per
1.000 ab.)
Saldo migratorio
per altro motivo
(b) (migliaia di
unità)
Tasso migratorio
per altro motivo
(b) (per 1.000
ab.)
Saldo totale
(migliaia di unità)Regioni
Saldo migratorio
interno
(migliaia di unità)
Tasso
migratorio
interno (per
1.000 ab.)
Saldo migratorio
estero
(migliaia di
unità)
Fig. 1. Trasferimenti di residenza tra il Mezzogiorno e il Centro-Nord dal 1990 al 2005 (unità)
Fonte : Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT.
-100.000
-80.000
-60.000
-40.000
-20.000
0
20.000
40.000
60.000
80.000
100.000
120.000
140.000
160.000
1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005
Anni
Un
ità
Immigrazioni Emigrazioni Saldo
31
Tab. 5. Pendolari residenti nel Mezzogiorno che lavorano nel
Centro-Nord in base alle caratteristiche individuali, familiari e del
lavoro svolto. Anno 2007
Caratteristiche
Valori
assoluti
(x 1000)
Composi-
zioni %
Incidenza % sul
totale
dell'occupazione
Sesso
Maschi 115 76,4 2,7
Femmine 35 23,6 1,6
Classe di età
15-24 anni 24 16,1 5,4
25-34 anni 64 42,7 4,1
35-44 anni 34 22,6 1,7
45-54 anni 20 13,4 1,2
55 e più 8 5,1 0,9
Titolo di studio
Nessuno, elementare 10 6,8 1,6
Licenza media 36 24,0 1,6
Superiori 65 43,5 2,5
Laurea + post laurea 39 25,7 3,9
Stato civile
Celibe/nubile 85 56,5 4,6
Coniugato/a 61 40,7 1,4
Altro 4 2,8 1,1
Ruolo nel nucleo
Persona singole 19 12,5 3,3
Caponucleo o partner 64 42,5 1,4
Figlio 68 44,9 4,9
Settore di attività
Agricoltura 2 1,2 0,4
Industria in senso stretto 22 14,4 2,4
Costruzioni 25 16,6 3,9
Servizi 102 67,8 2,3
Job tenure
Meno di un anno 49 32,4 5,6
1 a 3 anni 29 19,5 4,0
3 a 5 anni 25 16,8 2,7
5 anni e più 47 31,4 1,2
Livello professionale
Alta 70 46,6 3,1
Media 59 39,2 2,0
Bassa 21 14,2 1,6
Posizione nella professione
Indipendenti 13 8,7 0,8
- Collaboratori 5 3,2 4,3
- Altri indipendenti 8 5,6 0,5
Dipendenti 137 91,3 2,9
- A termine 47 31,1 5,5
- Permanenti 91 60,2 2,3
Tipologia di orario
A tempo pieno 142 94,6 2,5
A tempo parziale 8 5,4 1,1
Totale 150 100,0 2,3
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT. Indagine continua sulle
forze di lavoro .
32
Fig. 2. Pendolari dalle regioni del Mezzogiorno verso il Centro-Nord e quota sull'occupazione regionale
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT. Indagine continua sulle forze di lavoro.
15
4
50
27
7
13
28
8
2,9
3,4
2,9
2,1
1,2
3,5
2,1
1,9
0
10
20
30
40
50
60
Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna
0
1
2
3
4
5
6
valori assoluti (migliaia di unità) % su occupazione regionale
Dal Mezzogiorno 150 mila
pendolari verso il Centro-Nord
pari al 2,3% degli occupati.
33
8. Spesa pubblica in conto capitale nel periodo 1996-2007
La spesa complessiva in conto capitale del Paese, mostra nel 2007 una leggera
ripresa rispetto all’anno precedente, passando da 61,8 miliardi di euro in valori costanti
2007, a 63,2 miliardi, in linea con la crescita economica realizzata nell’anno:
l’incidenza sul PIL infatti è rimasta invariata al 4,1%, percentuale confermata per il
terzo anno consecutivo: sia in valore assoluto che in termini relativi la spesa del 2007
rimane inferiore a quella realizzata nel 2003. In tale contesto la quota di spesa in conto
capitale effettuata nel Mezzogiorno, che aveva accennato ad una ripresa nel 2006, è
nuovamente diminuita e rappresenta con il 35,3% del totale la quota più bassa registrata
a partire dal 1998. Appare ormai rituale ricordare che questa percentuale, che eguaglia
quella relativa al peso demografico del Mezzogiorno, è sensibilmente più bassa della
percentuale posta come obiettivo da raggiungere nei documenti governativi. A questo
riguardo va sottolineato che l’obiettivo fissato negli anni passati nel 45% del totale era
stato portato l’anno scorso, nel Quadro Finanziario Unico, al 43% da raggiungere nel
2015 e quest’anno, per la stessa scadenza, si indica il 42,6%: di fronte all’insuccesso
delle politiche si abbassa l’obiettivo.
La riduzione della quota del Mezzogiorno è l’effetto della diminuzione in valore
assoluto della spesa in conto capitale effettuata in tale area, passata tra il 2006 e il 2007
da 22,7 a 22,3 miliardi di euro in valori costanti 2007, a fronte dell’aumento registrato
nel Centro-Nord, da 39,1 a 40,9 miliardi di euro. Responsabile di tale andamento è la
spesa ordinaria, diminuita da 11,8 a 10,2 miliardi di euro, che si conferma l’elemento di
debolezza dell’attività di investimento nel Mezzogiorno: la sua incidenza sulla spesa
ordinaria complessiva del Paese è scesa nel 2007 al 21,4%, allontanandosi ancor più
dall’obiettivo del 30% indicato nei documenti governativi; obiettivo fissato già in
misura inferiore rispetto ad una equa distribuzione territoriale della spesa in conto
capitale quale sarebbe quella corrispondente al peso del Mezzogiorno in termini di
valore medio tra popolazione e superficie (38%) o almeno in termini di sola
popolazione (35%).
In questa situazione la spesa aggiuntiva ha avuto una funzione sostitutiva della
spesa ordinaria, ma questo aspetto è rimasto nascosto: l’accento è stato posto, invece,
prevalentemente se non esclusivamente, sul suo ammontare, quale annuncio di un
impegno del Governo del momento per lo sviluppo del Mezzogiorno. Si è quindi
osservato che tali risorse erano sprecate, visti i risultati negativi in termini di
riduzione del divario, senza considerare appunto che esse erano utilizzate per effettuare
gli interventi che nel Centro-Nord trovano finanziamento nelle risorse ordinarie e non
per dotare il Mezzogiorno di infrastrutture tali da equipararlo al resto del Paese e farlo
uscire dalla situazione di sottosviluppo.
A questo riguardo ha rilievo analizzare la distribuzione della spesa in conto
capitale tra investimenti e trasferimenti, utilizzando nuovamente i dati dei Conti
Pubblici Territoriali, considerati questa volta al netto delle voci “Partecipazioni
azionarie e conferimenti” e “Concessioni di credito e anticipazioni”. Da tali dati risulta
che la spesa per investimenti nel Mezzogiorno si è ridotta nel 2007 rispetto all’anno
precedente, sia in valore assoluto, passando in valori costanti da 11,4 miliardi di euro a
11,1 miliardi, che in percentuale sull’Italia, dal 32,9% al 32,1%. Quanto al peso degli
investimenti in infrastrutture sul totale della spesa in conto capitale del Mezzogiorno,
pari al 55,9% nel 2006 e al 56% nel 2007, ancora deboli sono gli effetti delle decisioni
34
del CIPE che hanno spostato risorse dai trasferimenti alle infrastrutture. La spesa per
trasferimenti nel Mezzogiorno, pur in continua diminuzione a partire dal 2002, infatti,
rappresenta una quota elevata, il 40,4% della spesa complessiva del Paese.
Tab. 1. Spesa della P.A. in conto capitale complessiva (a) nel periodo 1998-2007, nel Mezzogiorno e nel Centro-Nord
(miliardi di euro 2007) (b)
1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007
Mezzogiorno 11,6 11,7 11,4 9,3 13,0 13,4 11,3 11,3 11,8 10,2
Centro-Nord 29,3 31,6 30,7 32,6 36,5 38,0 36,9 36,2 36,2 37,5
Italia 40,9 43,3 42,1 41,9 49,6 51,5 48,1 47,5 48,0 47,7
- in % del PIL 3,0 3,1 3,0 2,9 3,4 3,5 3,3 3,2 3,2 3,1
- Mezzogiorno in % dell'Italia 28,4 27,0 27,0 22,2 26,3 26,1 23,4 23,9 24,5 21,4
Mezzogiorno 8,4 9,9 10,5 15,1 11,2 10,4 11,0 10,7 10,9 12,1
Centro-Nord 3,0 3,2 3,5 3,4 2,2 2,7 3,0 3,0 2,9 3,4
Italia 11,4 13,0 14,0 18,5 13,5 13,1 14,0 13,7 13,8 15,5
- in % del PIL 0,8 0,9 1,0 1,3 0,9 0,9 0,9 0,9 0,9 1,0
- Mezzogiorno in % dell'Italia 73,9 75,7 75,2 81,8 83,3 79,2 78,8 78,0 79,3 78,1
Mezzogiorno 20,0 21,6 21,9 24,4 24,3 23,8 22,3 22,1 22,7 22,3
Centro-Nord 32,2 34,7 34,2 36,0 38,8 40,8 39,8 39,2 39,1 40,9
Italia 52,3 56,3 56,1 60,4 63,1 64,5 62,1 61,3 61,8 63,2
- in % del PIL 3,9 4,1 3,9 4,2 4,3 4,4 4,2 4,1 4,1 4,1
- Mezzogiorno in % dell'Italia 38,3 38,3 39,0 40,4 38,5 36,8 35,9 36,0 36,8 35,3
(a) Spesa in c/capitale del Conto consolidato P.A. al netto di eurotassa, cartolarizzazioni, sentenza IVA, debito ex ISPA, ecc.; gli apporti
al capitale di Ferrovie Spa per omogeneità di confronto sono stati aggiunti anche negli anni precedenti al 2001.
(b) La spesa a prezzi costanti è stata calcolata applicando ai valori correnti il deflatore del PIL.
(c) Comprensiva delle erogazioni del FAS e di quelle della programmazione comunitaria e del relativo cofinanziamento nazionale.
Fonte : Elaborazioni SVIMEZ su dati DPS - Quadro Finanziario Unico.
Spesa ordinaria
Spesa per le aree sottoutilizzate (c)
Spesa complessiva
35
Tab. 2. Spesa della P.A. in conto capitale per investimenti e trasferimenti (a) nel periodo 2000-2007, nel
Mezzogiorno e nel Centro-Nord (miliardi di euro 2007) (b)
2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007
Mezzogiorno 11,0 12,6 11,5 10,9 11,9 11,6 11,4 11,1
Centro-Nord 21,1 23,0 23,7 24,8 27,1 24,4 23,4 23,6
Italia 32,1 35,6 35,1 35,8 39,1 36,0 34,8 34,7
- Mezzogiorno in % dell'Italia 34,3 35,4 32,6 30,6 30,6 32,2 32,9 32,1
Mezzogiorno 11,1 11,5 12,1 11,3 10,1 9,1 9,0 8,7
Centro-Nord 12,8 11,6 12,8 12,1 11,1 11,1 11,9 12,8
Italia 23,9 23,1 24,8 23,4 21,3 20,2 20,9 21,5
- Mezzogiorno in % dell'Italia 46,5 50,0 48,7 48,2 47,6 45,1 43,1 40,4
Mezzogiorno 22,1 24,1 23,5 22,2 22,1 20,7 20,4 19,8
Centro-Nord 33,8 34,5 36,4 37,0 38,3 35,5 35,3 36,4
Italia 56,0 58,7 59,9 59,2 60,3 56,2 55,7 56,2
- Mezzogiorno in % dell'Italia 39,5 41,1 39,3 37,5 36,6 36,8 36,7 35,3
(a) Comprensiva delle erogazioni del FAS e di quelle della programmazione comunitaria e del relativo cofinanziamento
nazionale. Sono escluse le voci "Partecipazioni azionarie e conferimenti" e "Concessioni di crediti ed anticipazioni".
(b) La spesa a prezzi costanti è stata calcolata applicando ai valori correnti il deflatore del PIL.
Fonte : Elaborazioni SVIMEZ su dati DPS - CPT.
Spesa per investimenti
Spesa per trasferimenti
Spesa complessiva
36
9. Gli squilibri nelle dotazioni infrastrutturali
Le infrastrutture per la mobilità
Secondo l’indice sintetico di dotazione di infrastrutture per la mobilità, ottenuto
mettendo “a sistema” dotazioni di base (reti: strade, ferrovie), con la capacità di
movimentazione e di servizio (rappresentata dagli indici relativi ai nodi di scambio:
porti, aeroporti, centri intermodali) il valore del Mezzogiorno, posta l’Italia pari a 100,
risulta pari a 49,4, meno della metà di quello ricavabile con riferimento al Centro-Nord
(115,7).
Dall’analisi quantitativa della viabilità stradale emerge che, nel complesso, il
Mezzogiorno è in linea con la media nazionale, come risultante, però, di una dotazione
deficitaria delle rete autostradale (l’indice è pari a 78,6 rispetto a 114,8 del Centro-
Nord), e di una assai maggiore dotazione di strade di interesse nazionale (ex statali), con
un indice pari a 158, circa il doppio rispetto al Centro-Nord. E’ comunque evidente che
quest’ultima compensa solo quantitativamente la carenza di autostrade, che
rappresentano in tutti i paesi la componente più funzionale, più sicura, più servita da
connessioni e raccordi, essenziale per i collegamenti sulle scale territoriali nazionali ed
internazionali.
Acqua
La dotazione di reti idriche di adduzione è particolarmente carente nel
Mezzogiorno; il livello dell’indice (posta l’Italia = 100) è pari a poco più di un terzo di
quello del Centro-Nord (58,9 contro 141,9). Per quanto riguarda le reti di distribuzione,
la distanza del Mezzogiorno dal resto del Paese è meno marcata, ma pur sempre assai
rilevante: 72,2, rispetto al 128,4 del Centro-Nord.
L’indice sintetico di dotazione di reti idriche pone complessivamente il
Mezzogiorno ad un livello (65,6) pari a poco meno della metà di quello rilevabile per il
Centro-Nord (135,2).
I prelievi idrici per uso potabile ammontano a livello nazionale a 8,7 miliardi di
metri cubi, di cui circa il 35% interessa il Mezzogiorno, una distribuzione territoriale
sostanzialmente analoga a quella della popolazione residente. La potabilizzazione
risulta nel complesso limitata al 31% dell’acqua prelevata, ed è praticata più nel Nord
(33,8%) che nel Sud (26,1%).
In Italia il 30,1% dell’acqua – che nel complesso alimenta la rete di distribuzione
a partire dai serbatoi di raccolta – non raggiunge le utenze finali. Nel Mezzogiorno,
dove lo stato di efficienza delle infrastrutture è particolarmente critico, le perdite
ammontano in media al 37,4% del totale dell’acqua immessa in rete, a fronte di una
quota assai più modesta (26,6%) nel resto del Paese. La dispersione delle risorse idriche
raggiunge livelli particolarmente elevati in Puglia (46,3%), Sardegna (43,2%) e
Abruzzo (38,6%).
Nel Mezzogiorno assume, inoltre, un particolare rilievo la forte irregolarità
nell’erogazione del servizio, con il 21,8% delle famiglie residenti che nel 2007 hanno
lamentato un’irregolare fornitura di acqua potabile, contro il 9,2% del Centro-Nord;
livelli particolarmente elevati si hanno in Calabria (30,6%) e Sicilia (30,1%).
37
Ambiente
Il ciclo completo di depurazione dell’acqua interessa a livello nazionale poco più
della metà della popolazione (55,4%), quota che nel Mezzogiorno sale al 61,9% e nel
Centro-Nord si limita ad un più modesto 51,8%. Tra le regioni meridionali, elevati
livelli di copertura del servizio si rilevano in Puglia (95,6%) e Sardegna (84,6%);
condizioni particolarmente critiche si rilevano, invece, in Sicilia e Calabria, nelle quali
la depurazione completa interessa, rispettivamente, solo il 27,8% ed il 41,9% della
popolazione.
La popolazione che risulta priva del servizio di depurazione rappresenta il 3,2%
del totale a scala nazionale, ma arriva al 5,1% nel Mezzogiorno e, al suo interno,
raggiunge un massimo in Campania (11,5%) e Calabria (7%).
Quanto al ciclo dei rifiuti, si rileva per l’area meridionale una situazione
particolarmente critica, essendo prevalente il ricorso allo smaltimento indifferenziato in
discarica (l’indice medio è pari a 116,4 rispetto al 90,8 del Centro-Nord). L’apparente
relativo minor ricorso allo smaltimento in discarica in Campania (43,3) che si rileva
dalla tabella è in larga misura da attribuire alla quota rilevante di rifiuti provenienti
dagli impianti di trattamento meccanico-biologico, stoccati, in attesa di essere avviati
allo smaltimento in siti non solo regionali.
Decisamente modesta appare nel Mezzogiorno il ricorso a pratiche più efficienti
di smaltimento, quali l’incenerimento, il compostaggio e la termovalorizzazione.
L’indice risulta nel Sud (46,1) pari ad un terzo di quello del resto del Paese (130,1).
Energia
La dotazione di reti di distribuzione di energia elettrica presenta nel
Mezzogiorno un deficit, rispetto al Centro-Nord, di oltre il 30% ed è ancora più
accentuato nelle reti di distribuzione di energia a bassa-media tensione (l’indice è pari a
75,6, contro 116,9 del Centro-Nord).
Meno diffusa risulta al Sud anche la rete secondaria di distribuzione di gas, con
un indice medio di dotazione pari a meno della metà di quello nazionale (44,6) e ad
appena un terzo di quello delle regioni centro-settentrionali (138,2).
La sintesi della dotazione di infrastrutture energetiche (distribuzione di energia
elettrica e del gas) indica per tutto il Mezzogiorno una valore molto distante (67,3) dalla
media nazionale e, a livello regionale, solo la Campania si colloca al di sopra di essa
(123,2). Situazioni particolarmente deficitarie si rilevano in Sardegna (32,3), Calabria
(56,0), Basilicata (49,2) e Molise (37,4).
38
TAB. 1 - Indici sintetici di dotazione infrastrutturale per la mobilità (numeri indici: Italia = 100,0)
Nodi di scambio Reti
Regioni
Porti Aeroporti Centri intermodali
Indice
sintetico
(a)
Strade Ferrovie Indice
sintetico
Indice
Sintetico
Abruzzo 22,6 53,2 1,2 11,4 122,3 65,7 89,7 45,1
Molise 43,3 37,2 0,8 10,9 110,5 41,2 67,5 36,8
Campania 33,7 24,2 1,5 10,6 134,4 169,9 151,1 62,3
Puglia 207,6 81,3 1,4 28,4 100,4 82,0 90,7 61,6
Basilicata 0,0 31,3 0,7 1,0 92,7 34,8 56,8 14,5
Calabria 46,4 116,6 0,6 15,1 122,0 82,4 100,3 53,3
Sicilia 34,8 99,6 0,8 13,8 95,3 57,4 73,9 42,3
Sardegna 77,8 239,3 1,0 26,5 71,0 4,6 18,1 20,5
Mezzogiorno 71,3 80,5 1,1 18,3 101,6 64,7 81,1 49,4
- Sud 83,5 55,0 1,2 17,6 113,9 87,1 99,6 55,9
- Isole 45,5 134,3 0,8 17,1 83,5 31,8 51,6 35,7
Centro-Nord 115,7 110,7 156,1 126,0 98,9 124,3 110,9 115,7
- Nord-Ovest 48,6 112,0 357,9 124,9 106,1 134,1 119,3 121,1
- Nord-Est 284,7 88,2 20,7 80,4 89,9 105,1 97,2 91,2
- Centro 41,8 131,0 10,9 39,1 101,3 135,1 117,0 81,2
Italia 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
(a) Calcolato su dotazioni di base, capacità di movimentazione e di servizio. Alle regioni prive di dotazione viene
attribuito il valore dell’area di appartenenza, ponderato dalla dotazione di reti.
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT.
Tab. 2. Dotazione di reti idriche rispetto alla popolazione (numeri indici: Italia = 100,0)
Rete idrica
Ripartizioni territoriali
Adduzione Distribuzione
Indice
sintetico
Mezzogiorno 58,9 72,2 65,6
Centro-Nord 141,9 128,4 135,2
Italia 100,0 100,0 100,0
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati del Comitato per la Vigilanza sull’uso delle risorse idriche.
39
Tab. 3. Volumi di acqua per uso potabile per regione - Anno 2005 (valori assoluti e indici di servizio)
Acqua (milioni di metri cubi) Indici di servizio (%)
Regioni Prelevata
(A)
Potabilizzata
(B)
Immessa
(C)
Erogata
(D)
Potabiliz-
zazione
(B/A)
Erogazione
(D/C)
Dispersione
[(C-D)/C]
Abruzzo 293,2 14,8 197,5 116,8 5,1 59,1 40,9
Molise 165,2 25,4 42,9 26,3 15,3 61,4 38,6
Campania 960,3 40,0 731,3 462,2 4,2 63,2 36,8
Puglia 174,5 100,3 458,0 245,8 57,5 53,7 46,3
Basilicata 307,3 256,0 92,7 61,2 83,3 66,1 33,9
Calabria 346,9 51,7 239,4 169,3 14,9 70,7 29,3
Sicilia 553,8 161,7 560,8 385,4 29,2 68,7 31,3
Sardegna 249,0 145,8 232,7 132,2 58,5 56,8 43,2
Mezzogiorno 3.050,2 795,6 2.555,1 1.599,2 26,1 62,6 37,4
- Sud 2.247,4 488,1 1.761,7 1.081,6 21,7 61,4 38,6
- Isole 802,8 307,4 793,4 517,6 38,3 65,2 34,8
Centro-Nord 5.655,6 1.913,8 5.244,2 3.851,4 33,8 73,4 26,6
- Nord-Ovest 2.402,7 1.068,0 2.284,1 1.750,4 44,5 76,6 23,4
- Nord-Est 1.601,9 538,2 1.426,4 1.045,5 33,6 73,3 26,7
- Centro 1.651,1 307,6 1.533,7 1.055,5 18,6 68,8 31,2
Italia 8.705,8 2.709,3 7.799,4 5.450,6 31,1 69,9 30,1
Fonte: ISTAT, Sistema delle indagini sulle acque, 2006.
Tab. 4. Acqua erogata per abitante e irregolarità nella distribuzione dell'acqua
Acqua erogata (a) (litri/ab. per giorno) Regioni
Valori assoluti In % del Centro-Nord
Irregolarità nella distribuzione
dell'acqua (b)
Abruzzo 245 88,3 17,4
Molise 225 80,8 12,8
Campania 219 78,7 18,1
Puglia 165 59,6 17,1
Basilicata 282 101,6 15,3
Calabria 231 83,3 30,6
Sicilia 210 75,8 30,5
Sardegna 219 78,8 15,1
Mezzogiorno 211 76,0 21,8
- Sud 210 75,7 19,3
- Isole 213 76,5 26,7
Centro-Nord 278 100,0 9,2
- Nord-Ovest 308 111,0 9,0
- Nord-Est 258 92,8 6,5
- Centro 255 92,0 12,1
Italia 254 91,5 13,2
(a) Acqua effettivamente consumata per i diversi tipi di utilizzo nel 2005.
(b)% di famiglie che denunciano irregolarità nell'erogazione dell'acqua nel 2007.
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT.
40
Tab. 5. Depurazione e trattamento dei rifiuti (valori percentuali e numeri indici rispetto alla popolazione)
Distribuzione della popolazione
per livello di depurazione (%)
Gestione dei rifiuti
(indici Italia = 100,0) Regioni
Quota di
popolazione
priva di
fognatura (%) Completa Parziale Assente Totale
Discarica
rifiuti
Trattamento
rifiuti (a)
Abruzzo 0,0 51,9 45,5 2,6 100,0 235,5 92,0
Molise 0,0 76,0 23,0 0,9 100,0 574,1 91,2
Campania 0,3 62,1 26,2 11,5 100,0 43,3 47,5
Puglia 3,6 95,6 0,8 0,0 100,0 60,6 26,0
Basilicata 0,0 51,6 44,9 3,5 100,0 347,9 61,0
Calabria 0,0 41,9 51,1 7,0 100,0 113,8 90,1
Sicilia 3,0 37,8 55,4 3,8 100,0 147,5 17,0
Sardegna 0,0 84,6 15,0 0,5 100,0 151,2 75,2
Mezzogiorno 1,5 61,9 31,5 5,1 100,0 116,4 46,1
- Sud 1,2 67,8 24,9 6,1 100,0 101,2 53,1
- Isole 2,3 49,4 45,3 3,0 100,0 148,4 31,4
Centro-Nord 0,1 51,8 45,9 2,2 100,0 90,8 130,1
- Nord-Ovest 0,0 68,5 29,1 2,4 100,0 80,5 121,0
- Nord-Est 0,3 49,3 50,0 0,5 100,0 145,5 142,4
- Centro 0,0 31,4 64,9 3,7 100,0 51,5 130,4
Italia 0,6 55,4 40,8 3,2 100,0 100,0 100,0
(a) Incenerimento, compostaggio, bio-stabilizzazione e termo-valorizzazione.
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT.
Tab. 6. Dotazione di infrastrutture energetiche rispetto al territorio (numeri indici: Italia = 100,0)
Rete elettrica
Regioni
Media tensione Alta tensione Totale
Rete secondaria di
trasporto del gas
Indice
sintetico
Abruzzo 64,4 65,9 65,2 91,3 73,9
Molise 27,1 38,2 32,4 46,8 37,4
Campania 132,0 143,4 137,5 94,1 123,2
Puglia 22,2 159,5 88,1 59,8 80,5
Basilicata 36,9 87,3 61,1 23,5 49,2
Calabria 25,0 112,4 67,0 30,7 56,0
Sicilia 157,8 27,7 95,3 45,2 76,9
Sardegna 60,6 36,2 48,9 0,0 32,3
Mezzogiorno 75,6 81,8 78,6 44,6 67,3
Centro-Nord 116,9 112,5 114,8 138,2 122,5
- Nord-Ovest 178,1 126,9 153,5 173,4 159,5
- Nord-Est 126,1 79,4 103,7 147,2 117,6
- Centro 46,2 133,4 88,1 93,7 91,1
Italia 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT
41
10. Le infrastrutture per la mobilità
L’imponente dimensione dei processi di globalizzazione, con la crescente
unificazione e integrazione dei mercati, individuano le infrastrutture di trasporto – e
ancor più – il “sistema” dei trasporti come condizione necessaria allo sviluppo e alla
crescita equilibrata di una macroarea.
Di fronte ad un quadro di scambi sempre più fitti tra sistemi “a rete” – di
produzione, di commercializzazione, di servizi, articolati sul piano territoriale e sul
piano funzionale – il Mezzogiorno si presenta ancora oggi periferico e diviso, non solo
rispetto al “cuore” del sistema produttivo nazionale, delle grandi aree produttive
dell’Europa continentale e della “nuova” Unione a 27, ma anche rispetto alle
opportunità del Mediterraneo e dei traffici provenienti dall’Oriente.
L’analisi condotta evidenzia come le infrastrutture esistenti siano non solo
insufficienti a soddisfare la domanda attuale dei territori meridionali, ma anche non in
grado di fornire un servizio adeguato alla vita civile e produttiva, in termini di
accessibilità, di potenzialità di collegamento interregionali e tra province e a sostegno
della logistica dei Sistemi produttivi locali.
Ne emerge una situazione che configura un evidente “non sistema” dei trasporti,
caratterizzato da carenza di collegamenti per la mobilità interregionale e per la logistica
territoriale e dall’assenza di nodi di scambio tra le principali modalità di trasporto. Una
situazione in grado di condizionare – ove non si pongano in essere interventi che
possano facilmente condurre ad un suo strutturale miglioramento – ogni ragionevole
prospettiva di sviluppo, soprattutto se si pensa al nostro Paese, e al Mezzogiorno in
particolare, come “porta di accesso” ai mercati europei dei traffici commerciali dell’Est
asiatico, attraverso la rotta del Canale di Suez ed il Mediterraneo.
1. Strade e ferrovie
Dal 1970 al 2005, la rete autostradale del nostro Paese è aumentata del 67%,
mentre nella media dell’UE a 15 l’incremento è di circa il 150%. In particolare, la
Germania unita ha più che raddoppiato la propria rete, la Francia l’ha aumentata di 6
volte e la Spagna di più di 28 volte. Nello stesso arco di tempo, la domanda di mobilità
stradale ha avuto una crescita vorticosa: in Italia, il trasporto merci è cresciuto del 275%
e nell’UE a 15 del 215%; il traffico automobilistico privato è aumentato,
rispettivamente, del 197% e del 162%.
Come conseguenza di questo sviluppo delle dotazioni decisamente inadeguato e
assai più contenuto che negli altri principali paesi europei, la rete autostradale del nostro
Paese ha sostanzialmente esaurito la sua capacità di offerta ed è diventata sempre più
esposta alla congestione e al blocco1.
La dotazione di reti ferroviarie del nostro Paese risulta tuttora più bassa della
media europea e resta confermata la limitata capacità di trasferire su rotaia una quota
significativa di mobilità stradale, che rappresenterebbe un rimedio essenziale ai pesanti
squilibri modali e all’impatto ambientale: il trasporto passeggeri del nostro Paese si
1 Secondo le stime dell’ultima revisione del Libro Bianco sui trasporti della Commissione Europea, i
costi della congestione ammontano mediamente all’1% del PIL dell’UE, una percentuale che per l’Italia
rappresenta un onere (in gran parte sommerso) pari a circa 14-15 miliardi di euro all’anno.
42
concentra per il 91% su strada e solo per il 5% su ferrovia (in Germania e in Francia è
l’8%), mentre nel trasporto interno delle merci l’86% viaggia su strada e il 9% su rotaia
(in Germania e in Francia è il 14%).
Con riferimento alla dotazione stradale, il Mezzogiorno è sostanzialmente
allineato ai valori medi nazionali, ma con una componente autostradale, fondamentale
per i collegamenti nazionali ed internazionali, più modesta (78,6% della media
nazionale, a fronte di 114,8% del Centro-Nord). Le regioni continentali del Sud
registrano in complesso uno svantaggio relativamente minore rispetto al resto del Paese
(l’indice, posta l’Italia= 100, è pari a 92,3). Tale situazione è però dovuta all’elevata
concentrazione di autostrade in due sole regioni (Campania e Abruzzo), mentre: tutte le
altre si trovano ben al di sotto della media nazionale, con livelli particolarmente bassi
per alcune come la Basilicata (l’indice è pari a 13,4) e il Molise (37,4). La Sardegna è
tuttora priva di tratte autostradali.
Con riferimento allo sviluppo ferroviario il Mezzogiorno rimane su livelli
nettamente più bassi rispetto al resto del Paese, associando, per di più, alla minore
dotazione quantitativa una più modesta qualità. L’inadeguatezza funzionale della rete
ferroviaria nel Mezzogiorno appare evidente se si considera che le linee non elettrificate
(quasi totalmente a binario unico) coprono una quota della rete dell’area pari al 42,4%,
rispetto al 23% del Centro-Nord).
Salendo nella scala qualitativa della dotazione ferroviaria, le linee a binario
singolo elettrificato del Mezzogiorno si situano (indice 92,4) poco sotto la media
nazionale, ma alcune regioni presentano valori nettamente superiori (Sicilia, Campania,
Basilicata e Abruzzo) e altre invece significativamente inferiori (Molise, Puglia e
Calabria).
Considerando la dotazione sintetica quantitativa ponderata sulla qualità
tecnologica delle reti (si veda l’indice sintetico riportato nella sesta colonna di Tab. 6),
l’indice della rete totale del Mezzogiorno è pari a 64,7 (Italia= 100) e scende
notevolmente in Sardegna (4,6), Basilicata (34,8) e Molise (41,2).
2. Nodi di scambio: stazioni ferroviarie, porti, centri intermodali e aeroporti
Un’ulteriore elemento di dotazione infrastrutturale è individuabile nei punti di
accesso alla rete ferroviaria, cioè le stazioni (v. Tab. 6) per le quali, in rapporto al
territorio, il Mezzogiorno presenta un indice di dotazione pari a 92,0, mentre per il
Centro-Nord è pari a 104,3. Valori nettamente superiori al dato nazionale si rilevano in
Abruzzo, Campania e Calabria.
La dotazione di infrastrutture portuali nel Mezzogiorno è superiore a quella del
Centro-Nord, sia nel numero dei porti (192,7% della media nazionale, contro 49,4), sia
nella superficie degli accosti (136,9 contro 79,8).
Ma se si passa a valutare la dimensione operativa, si può agevolmente constatare
un netto ridimensionamento della preminenza meridionale nella portualità: la
Campania, ad esempio, che presenta un indice superiore alla media nazionale, è
particolarmente carente negli accosti (che nel caso della Basilicata risultano quasi
inesistenti). Per Sardegna, Sicilia, Calabria e Puglia si conferma, invece – anche se su
livelli inferiori a quelli rilevabili con riferimento al numero dei porti – una notevole
capacità di attracco dei porti.
43
Per ovviare alla limitata capacità di movimentazione e lavorazione delle merci
nei porti, la disponibilità dei centri intermodali, specie se collegati alle infrastrutture
portuali, può essere determinante per cogliere le opportunità di sviluppo logistico del
Mezzogiorno nel Mediterraneo. Purtroppo, proprio questa fondamentale categoria
infrastrutturale risulta estremamente carente nell’area: complessivamente, l’indice di
dotazione risulta pari a 37,8 rispetto alla media nazionale, con valori relativamente più
elevati in Sicilia (60,0) e Sardegna (73,1), mentre altre due regioni (Molise e Basilicata)
sono del tutto prive di tali infrastrutture.
Una situazione di ancor più grave carenza si rileva nella “capacità di
movimentazione” dei mezzi utilizzati nel trasporto di merci (container, semirimorchi e
casse mobili); in quest’ambito, la dotazione del Mezzogiorno non va oltre un indice pari
a 1,0 (un centesimo della media nazionale) mentre le singole regioni meridionali non
superano il valore di 1,4 (in Campania).
Un’ultima tipologia fondamentale tra i nodi di scambio è quella aeroportuale,
soprattutto per la logistica delle persone, ma anche per quella delle merci. In
quest’ambito il Mezzogiorno presenta un’accettabile dotazione di infrastrutture, sia nel
numero di strutture (104,0), sia nel numero di piste (102,1) e relative superfici (95,6),
nonostante due regioni meridionali (Molise e Basilicata) siano completamente
sprovviste di aeroporti. Sono soprattutto le Isole, insieme a Calabria e Puglia, a
presentare le maggiori dotazioni a livello regionale, mentre le dotazioni di minore entità
si rilevano in Campania (le cui infrastrutture dovrebbero riferirsi ad un bacino d’utenza
comprendente anche Molise e Basilicata), la cui infrastrutturazione per le tre categorie
fin qui considerate è pari o inferiore ad un quinto di quella nazionale.
Le dotazioni potenzialmente significative per capacità di servizio – le aree di
sedime ed i parcheggi – presentano indici molto bassi nel Mezzogiorno (rispettivamente
78,0 e 65,5 rispetto alla media nazionale.
Le infrastrutture aeroportuali del Mezzogiorno risultano carenti anche nella
disponibilità di collegamenti con le altre modalità, cioè nella capacità di sviluppare
l’integrazione logistica e lo scambio modale. Tutti gli aeroporti del Mezzogiorno hanno,
infatti, collegamenti stradali, ma sono del tutto privi di collegamenti ferroviari.
Ciò rappresenta un vero handicap nelle potenzialità di sfruttamento a fini
turistici di questo patrimonio infrastrutturale. Questo vale, in parte, anche per i flussi di
merci, soprattutto per quelle a più elevato valore aggiunto, che sono quelle che meglio
si prestano alle caratteristiche proprie del trasporto aereo.
44
Tab. 1. Dotazione di infrastrutture stradali rispetto al territorio (numeri indici: Italia = 100)
Regioni e ripartizioni
territoriali Comunali
Provinciali
e regionali
Di interesse
nazionale
(ex statali)
Autostrade Autostrade a tre corsie
Indice
sintetico (a)
Abruzzo 124,0 116,0 129,4 150,6 8,7 122,3
Molise 108,0 113,6 179,8 37,4 - 110,5
Campania 138,4 117,8 137,7 149,8 159,4 134,4
Puglia 107,1 81,4 116,6 74,5 - 100,4
Basilicata 90,3 99,8 141,9 13,4 - 92,7
Calabria 127,6 109,1 131,2 90,1 - 122,0
Sicilia 86,5 100,3 209,7 113,2 - 95,3
Sardegna 75,7 43,7 179,8 - - 71,0
Mezzogiorno 102,8 91,1 158,0 78,6 35,0 101,6
- Sud 117,4 103,4 132,7 92,3 50,1 113,9
- Isole 81,3 72,9 195,2 58,5 - 83,5
Centro-Nord 98,1 106,2 60,0 114,8 130,8 98,9
- Nord-Ovest 103,8 117,5 47,8 149,6 154,0 106,1
- Nord-Est 89,2 92,4 73,1 107,0 129,7 89,9
- Centro 101,8 109,5 58,2 88,4 93,4 101,3
Italia 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
(a) Basato sulla ponderazione delle principali categorie elementari in funzione della loro capacità di servizio.
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati conto nazionale Trasporti, ANAS.
Tab. 2. Dotazione di infrastrutture ferroviarie rispetto al territorio (numeri indici: Italia = 100)
Rete FS
Elettrificata Non elettrificata
Regioni e
ripartizioni
territoriali
Totale
A binario
doppio
A binario
semplice
A binario
doppio
A binario
semplice
Indice
sintetico
rete FS (a)
Indice
sintetico
rete totale
(b)
Abruzzo 88,6 51,2 118,2 - 113,2 65,7 69,4
Molise 113,3 23,2 62,5 - 290,0 41,2 60,0
Campania 142,9 185,9 113,4 - 112,1 169,9 165,5
Puglia 79,1 82,9 80,2 - 73,3 82,0 81,4
Basilicata 67,5 11,0 125,9 - 91,2 34,8 39,0
Calabria 105,0 76,9 88,4 - 161,3 82,4 88,3
Sicilia 100,1 29,3 160,9 - 141,6 57,4 63,7
Sardegna 33,1 - - 599,2 107,6 4,6 12,8
Mezzogiorno 85,8 55,3 92,4 117,3 122,1 64,7 69,1
- Sud 98,2 82,7 98,8 - 120,1 87,1 89,6
- Isole 67,7 15,1 83,1 289,8 125,2 31,8 39,1
Centro-Nord 109,8 130,8 105,2 88,0 84,7 124,3 121,3
- Nord-Ovest 129,7 131,7 150,8 - 107,5 134,1 132,0
- Nord-Est 91,4 110,5 90,7 - 65,8 105,1 102,0
- Centro 109,5 151,6 75,4 268,9 82,2 135,1 131,2
Italia 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
(a) Indice sintetico basato sulla ponderazione delle diverse categorie elementari in funzione della loro capacità di
servizio.
(b) Indice sintetico comprendente la rete ferroviaria in concessione e gestione commissariale governativa.
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT.
45
Tab. 3. Dotazione di stazioni ferroviarie rispetto al territorio e capacità di servizio rispetto alla
popolazione (numeri indici: Italia = 100)
Dotazione Capacità di servizio
Regioni Totale stazioni
(2005)
Stazioni presenziate
(2005)
Totale stazioni
(2005)
Stazioni presenziate
(2005)
Abruzzo 115,5 120,9 164,5 172,1
Molise 74,7 39,5 226,3 119,8
Campania 114,7 90,0 74,7 58,6
Puglia 66,2 98,6 48,4 72,0
Basilicata 76,1 35,3 166,9 77,6
Calabria 110,7 47,7 169,2 72,9
Sicilia 79,8 111,2 79,4 110,8
Sardegna 84,8 89,8 79,5 84,1
Mezzogiorno 92,0 87,0 90,8 85,9
- Sud 97,2 78,0 96,2 77,2
- Isole 81,0 106,2 79,5 104,2
Centro-Nord 104,3 107,0 105,0 107,8
- Nord-Ovest 120,9 148,1 114,3 140,0
- Nord-Est 94,4 87,7 94,0 87,4
- Centro 93,6 75,9 103,2 83,7
Italia 100,0 100,0 100,0 100,0
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT.
Tab. 4. Dotazione di infrastrutture portuali rispetto alla popolazione (numeri indici: Italia = 100)
Regioni Porti (n.) Accosti (lunghezza) Piazzali (superficie) Magazzini (capacità)
Abruzzo 95,8 146,2 22,6 16,1
Molise 97,4 102,4 63,7 0,0
Campania 107,9 68,5 29,5 40,4
Puglia 176,5 142,7 303,9 20,6
Basilicata 52,6 2,4 0,0 0,0
Calabria 202,7 125,6 66,8 2,1
Sicilia 286,5 174,2 42,3 12,8
Sardegna 377,5 310,5 109,6 3,0
Mezzogiorno 192,7 136,9 95,6 19,9
- Sud 137,5 103,3 113,0 24,3
- Isole 309,1 208,0 59,0 10,4
Centro-Nord 49,4 79,8 102,4 143,8
- Nord-Ovest 16,1 46,8 44,7 56,4
- Nord-Est 42,2 122,6 249,8 362,2
- Centro 102,1 83,2 36,9 49,3
Italia 100,0 100,0 100,0 100,0
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati Ministero Infrastrutture e Trasporti.
46
Tab. 5. Dotazione di infrastrutture intermodali rispetto alla popolazione (numeri indici: Italia = 100)
Centri intermodali
Regioni
n. Superficie
Capacità di
movimentazione
Disponibilità
di binari
Abruzzo 47,5 3,1 1,2 11,6
Molise 0,0 0,0 0,0 0,0
Campania 21,0 3,5 1,4 18,0
Puglia 29,7 15,2 1,2 21,8
Basilicata 0,0 0,0 0,0 0,0
Calabria 29,5 7,5 0,6 7,2
Sicilia 60,0 17,0 0,6 50,0
Sardegna 73,1 8,4 0,9 89,5
Mezzogiorno 37,8 9,7 1,0 29,9
- Sud 25,7 7,2 1,1 15,8
- Isole 63,2 14,9 0,7 59,7
Centro-Nord 135,3 151,2 156,1 139,7
- Nord-Ovest 156,8 193,0 359,2 173,3
- Nord-Est 125,1 187,1 19,3 146,2
- Centro 115,6 59,3 10,5 87,6
Italia 100,0 100,0 100,0 100,0
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT.
Tab. 6. Dotazione di infrastrutture aeroportuali rispetto alla popolazione (numeri indici: Italia = 100)
Regioni Aeroporti (n.)
Piste
(n.)
Superficie
piste (mq)
Aree di
sedime (mq)
Aree di
parcheggio (mq)
Abruzzo 91,9 73,8 74,2 63,0 32,5
Molise 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0
Campania 20,7 16,6 18,1 24,0 30,2
Puglia 117,8 118,3 110,2 125,1 52,8
Basilicata 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0
Calabria 179,5 192,2 167,1 141,3 66,7
Sicilia 119,5 134,4 127,5 69,7 72,1
Sardegna 289,7 232,7 217,6 154,2 260,9
Mezzogiorno 104,0 102,1 95,6 78,0 65,5
- Sud 76,6 75,2 69,9 71,9 40,2
- Isole 161,7 158,8 149,8 90,7 119,0
Centro-Nord 97,8 98,9 102,4 112,0 118,9
- Nord-Ovest 77,1 80,5 84,8 98,9 138,8
- Nord-Est 118,6 103,9 99,0 94,7 77,5
- Centro 105,9 119,1 129,9 147,1 132,0
Italia 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT.
47
11. Il Mezzogiorno nel contesto europeo
I risultati economici dell’economia meridionale negli ultimi sette anni
evidenziano non solo l’arresto di quello che, a fine anni ’90, sembrava un timido
processo di convergenza, ma addirittura che il divario ha ripreso ad allargarsi sia nei
confronti del resto del Paese, sia rispetto alle altre aree deboli dell’Unione. Dal
confronto della dinamica nel periodo 2000-2007 del prodotto interno lordo pro capite
(espresso in parità di potere d’acquisto) del Mezzogiorno con quella dei paesi deboli
dell’UE27, emerge un quadro sconsolante. Il tasso di crescita dell’economia
meridionale (2,0% m.a.) è stato meno della metà di quello della Spagna (4,9%), poco
più di un terzo di quello dell’Irlanda (5,5%) e meno di un terzo di quello della Grecia
(6,2% m.a.).
Nel corso dell’ultimo settennio (2000-2007), il prodotto per abitante della
Spagna, soprattutto per effetto del contributo di crescita offerto dalle aree deboli, ha
superato il livello della Ue a 27 ed è superiore a quello del Mezzogiorno (68,8% della
media Ue27) di quasi 36 punti percentuali; anche la Grecia (98,6%) ha superato il Sud,
e, tra i Nuovi Stati membri, nel 2007, la Slovacchia ha raggiunto il livello di sviluppo
del nostro Mezzogiorno, mentre Estonia, Repubblica Ceca e Slovenia lo hanno già
superato.
Anche i dati relativi alle performance di tutte le 267 regioni dell’Europa
confermano la specialità in negativo delle regioni del Sud. Le aree comprese
nell’Obiettivo “Convergenza” sono cresciute tra il 2000 e il 2005 ad un tasso del 4,8%
medio annuo, a fronte del 3,7% medio dell’area. Analizzando nel dettaglio i singoli
paesi, la Germania fa registrare un tasso di crescita del PIL nelle regioni “Convergenza”
pari al 3%, a fronte del 2,8% delle regioni “Competitività”. Il processo di convergenza è
ancora più evidente in Spagna dove le regioni deboli fanno segnare un +6,5% (quasi 5
volte la crescita delle regioni “Convergenza” italiane) superiore di quasi un punto al già
sostenuto tasso di crescita delle regioni “Competitività” (+5,8%). Se si considerano le
regioni “Convergenza” e quelle in phasing-out, cioè quelle che nel precedente Ciclo di
programmazione erano Obiettivo 1, anche la Grecia evidenzia tassi di crescita più
sostenuti nelle regioni in ritardo. In Italia, invece, nel periodo 2000-05 il tasso di
crescita medio annuo del PIL delle regioni italiane rientranti nell’obiettivo
“Convergenza” è stato inferiore a quello rilevabile nelle regioni “Competitività e
Occupazione”: 1,5% contro 1,7%.
Gli indicatori di competitività regionali
A fronte di tali performance negative si è cercato di approfondire quali possono
essere i fattori che determinano la mancata convergenza delle regioni meridionali.
L’analisi condotta mira a costruire una geografia delle regioni europee, costruita sulla
base di tre dimensioni: il benessere economico, la situazione di partecipazione ed
equilibrio del mercato del lavoro, il livello di sviluppo delle risorse umane e della
ricerca scientifica. Sulla base di queste tre dimensioni si costruito un indicatore
denominato «indice di competitività», con il quale si tenta di esprimere una valutazione
di sintesi sulla situazione di vantaggio/svantaggio competitivo delle diverse regioni
europee. Tale risultato, seppure abbia un’ovvia relazione con aspetti più strutturali
dell’economia come il PIL per abitante, integra tali indicazioni con una valutazione
48
degli strumenti soft che un’economia ha a disposizione per fronteggiare le sfide
competitive del mercato globale.
Secondo l’indicatore relativo all’occupabilità le regioni del Mezzogiorno
tendono a collocarsi su valori inferiori a quelli rilevabili in base al reddito pro capite.
Contribuisce a peggiorare sensibilmente la posizione delle regioni meridionali, ad
esempio, il tasso di occupazione femminile che in Sicilia, Puglia, Campania, Calabria
non raggiunge il 30%, in assoluto il più basso valore riscontrabile in Europa; distante di
quasi 10 punti dai valori riscontrabili nelle regioni più deboli della Grecia e della
Spagna e di quasi 20 dalle regioni appartenenti ai Paesi dell’Est Europa.
Il gap con le altre regioni, anche meno sviluppate, dell’Europa risulta
particolarmente rilevante nel campo della formazione del capitale umano e della ricerca.
Emerge, in particolare, che la quota dei laureati nelle discipline scientifiche sulla
popolazione adulta è pari ad appena il 10,4% in Sardegna, al 10,5% in Puglia, al 10,8%
in Sicilia. Solo alcune regioni della Romania e del Portogallo hanno indici più bassi. Se
confrontiamo le regioni del Sud con quelle dei paesi della Ue a 15 emerge un quadro
sconsolante. Il valore più basso in Spagna si rileva nella regione della Extremadura con
il 21%. Va sottolineato che anche le regioni del Centro-Nord rimangono sotto i valori
medi della Ue.
Pesa, infine, per le stesse prospettive di crescita del Sud, la scarsità di risorse
dedicate alla ricerca e sviluppo, sia in termini di spesa in percentuale del PIL sia in
termini di addetti al settore per 1.000 abitanti. Rispetto ad un valore medio nella Ue a 27
pari al 1,8%, le regioni del Mezzogiorno si collocano tutte sotto l’1%, con la sola
eccezione della Campania con l’1,2%; i valori minimi si registrano in Calabria con una
spesa in R&S pari ad appena lo 0,4% del PIL.
Vanno sottolineati i livelli particolarmente elevati nell’indicatore di capitale
umano e ricerca scientifica fatti segnare da alcune regioni rientranti nell’Obiettivo
Convergenza (e quindi caratterizzate da bassi livelli del PIL pro capite) della Germania,
della Slovenia, della Repubblica Ceca, regioni che hanno fatto segnare nella fase più
recente tassi di crescita particolarmente significativi, a dimostrazione della capacità di
attivazione di processi di sviluppo degli investimenti nel capitale umano e nella
innovazione.
In base all’indice sintetico di potenzialità competitive predisposto dalla SVIMEZ
per tutte le 271 regioni della Ue a 27 sono state costruite diverse classi. Le regioni
italiane dell’attuale Obiettivo “Convergenza” restano su valori inferiori al 70% della
media europea denotando una sostanziale staticità se non segnali di declino. Se si
considerano le 80 regioni NUTS2 dell’Obiettivo “Convergenza”, emerge come
l’indicatore sintetico di competitività calcolato collochi le regioni meridionali dal 36°
posto in giù in un gruppo composto soltanto da regioni di paesi nuovi entranti, più 3
regioni del Portogallo e 3 della Grecia.
L’analisi condotta sembra contrastare con le indicazioni emergenti dall’indicatore
utilizzato dalla Ue, di una progressiva uscita di alcune regioni meridionali dalla
situazione di debolezza strutturale. L’utilizzazione di un indicatore più complesso,
proprio nel caso delle regioni del Sud Italia, determina un abbassamento dei livelli
relativi e il recupero di una sostanziale omogeneità del Mezzogiorno, con la sola
eccezione dell’Abruzzo. In particolare la posizione delle regioni del Sud risulta
particolarmente deficitaria proprio con riferimento agli indicatori di occupabilità e
soprattutto di conoscenza e occupazione.
49
Tab. 1. Livelli e dinamica del PIL pro capite al 2007
PIL pro capite
PPA (a) N.I. UE27=100
Rango al
2007
Rango al
2000
Guadagni
e/o perdite
2000-07
Var. %
2006-07
Tasso medio
annuo di
crescita
2000-2007
Austria 31.784 128,4 4 4 0 5,9 3,3
Belgio 29.560 119,4 8 8 0 4,9 3,0
Germania 28.355 114,6 11 9 -2 5,6 3,3
Danimarca 30.862 124,7 5 5 0 4,3 3,0
Spagna 25.910 104,7 13 14 1 4,9 4,9
Finlandia 29.433 118,9 9 10 1 6,9 4,0
Francia 27.549 111,3 12 13 1 4,6 3,3
Grecia 24.393 98,6 15 16 1 6,5 6,2
Irlanda 36.299 146,7 2 6 4 6,0 5,5
Italia 25.208 101,8 14 12 -2 3,7 1,8
- Centro-Nord 29.590 119,5 7 2 -5 3,7 1,6
- Mezzogiorno 17.028 68,8 22 20 -2 3,3 2,0
Lussemburgo 70.253 283,8 1 1 0 7,0 6,1
Olanda 32.638 131,9 3 3 0 6,2 3,5
Portogallo 18.316 74,0 20 19 -1 4,5 3,0
Svezia 30.709 124,1 6 7 1 4,7 3,5
Regno Unito 29.318 118,4 10 11 1 5,6 4,0
Cipro 22.770 92,0 16 15 -1 5,3 4,3
Repubblica Ceca 20.163 81,5 18 21 3 9,0 6,4
Estonia 17.765 71,8 21 25 4 10,4 11,1
Ungheria 15.933 64,4 24 22 -2 4,2 5,9
Lituania 14.868 60,1 25 26 1 12,5 10,3
Lettonia 14.419 58,3 26 27 1 14,1 10,9
Malta 19.205 77,6 19 17 -2 6,2 2,7
Polonia 13.523 54,6 27 24 -3 9,6 5,7
Slovenia 22.426 90,6 17 18 1 8,5 5,9
Slovacchia 17.004 68,7 23 23 0 13,4 8,6
Romania 10.006 40,4 28 29 1 9,4 10,7
Bulgaria 9.441 38,1 29 28 -1 9,2 8,6
UE27 24.752 100,0 - - - 5,2 3,9
UE25 25.695 103,8 - - - 5,1 3,7
UE15 27.583 111,4 - - - 4,6 3,4
USA 38.597 155,9 - - - 4,1 3,5
Giappone 28.259 114,2 - - - 5,0 3,5
(a) Parità di potere di acquisto.
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati SVIMEZ, ISTAT ed EUROSTAT.
Paesi
50
Tab. 2. Tasso medio annuo di crescita del PIL in PPA e del PIL pro capite in PPA delle regioni NUTS2 per obiettivo dei
Fondi strutturali 2007-13 e Paese. Anni 2000-05
Tasso medio annuo di crescita del PIL in PPA Tasso medio annuo di crescita del PIL per abitante in PPA
Obiettivo
Convergenza Phasing-out
Phasing-
in
Obiettivo
Competitività
e occupazione
Totale Obiettivo Convergenza
Phasing-
out
Phasing-
in
Obiettivo
Competitività
e occupazione
Totale
Austria - 3,8 - 3,2 3,2 - 3,6 - 2,6 2,6
Belgio - 2,5 - 3,0 3,0 - 2,3 - 2,5 2,5
Germania 3,0 2,4 - 2,8 2,8 3,9 2,4 - 2,5 2,7
Danimarca - - - 2,8 2,8 - - - 2,5 2,5
Spagna 6,5 6,5 5,9 5,8 6,0 5,5 5,1 4,0 4,0 4,5
Finlandia - - 3,0 3,2 3,2 - - 3,6 2,8 2,9
Francia 5,1 - - 3,3 3,4 3,7 - - 2,7 2,7
Grecia 4,9 7,5 4,4 - 6,5 4,7 7,0 4,3 - 6,2
Irlanda - - 7,6 7,0 7,2 - - 5,4 5,3 5,3
Italia 1,5 0,8 1,8 1,7 1,7 1,4 0,9 1,6 0,9 1,1
Lussemburgo - - - 6,2 6,2 - - - 5,0 5,0
Olanda - - - 3,3 3,3 - - - 2,8 2,8
Portogallo 3,0 4,8 5,2 3,3 3,2 2,5 3,0 4,8 2,4 2,6
Svezia - - - 3,2 3,2 - - - 2,8 2,8
Regno Unito 4,4 5,1 3,9 4,2 4,2 4,1 5,0 3,9 3,7 3,7
Cipro - - 6,0 - 6,0 - - 4,2 - 4,2
Repubblica Ceca 5,3 - - 6,5 5,6 5,4 - - 6,7 5,6
Estonia 10,3 - - - 10,3 10,7 - - - 10,7
Ungheria 4,6 - 7,5 - 5,9 5,0 - 7,4 - 6,2
Lituania 9,2 - - - 9,2 9,8 - - - 9,8
Lettonia 9,2 - - - 9,2 9,9 - - - 9,9
Malta 2,4 - - - 2,4 1,7 - - - 1,7
Polonia 4,5 - - - 4,5 4,6 - - - 4,6
Slovenia 5,5 - - - 5,5 5,4 - - - 5,4
Slovacchia 6,5 - - 9,3 7,3 6,5 - - 9,9 7,3
Romania 9,2 - - - 9,2 10,0 - - - 10,0
Bulgaria 7,2 - - - 7,2 8,4 - - - 8,4
UE27 4,8 5,3 5,5 3,3 3,7 5,0 4,8 4,5 2,7 3,4
UE25 4,4 5,3 5,5 3,3 3,6 4,4 4,8 4,5 2,7 3,2
UE15 3,7 5,3 5,1 3,3 3,5 3,4 4,8 3,9 2,7 2,9
(a) Parità di potere d'acquisto a valori correnti.
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati EUROSTAT.
Paesi
51
Fig. 1. Regioni NUTS2 secondo le classi dell'indice sintetico di benessere economico
Fonte : Elaborazioni SVIMEZ su dati SVIMEZ, ISTAT ed EUROSTAT.
52
Fig. 2. Regioni NUTS2 secondo le classi dell'indice sintetico di occupabilità
Fonte : Elaborazioni SVIMEZ su dati SVIMEZ, ISTAT ed EUROSTAT.
53
Fig. 3. Regioni NUTS2 secondo le classi dell'indice sintetico di formazione e ricerca
Fonte : Elaborazioni SVIMEZ su dati SVIMEZ, ISTAT ed EUROSTAT.
54
Fig. 4. Regioni NUTS2 secondo le classi dell'indice sintetico di competitività economica
Fonte : Elaborazioni SVIMEZ su dati SVIMEZ, ISTAT ed EUROSTAT.
55
12. L’ICT e internet
Secondo indagini condotte a livello europeo sull’utilizzo di Internet nelle
famiglie, l’Italia detiene l'ultimo posto della classifica, con percentuali di diffusione
inferiori al 40%. Nel nostro Paese, inoltre, il fenomeno è esclusivo appannaggio delle
giovani generazioni, soprattutto di sesso maschile, mentre la percentuale di donne con
figli che utilizzano internet è ferma al 30%, in vistosa crescita rispetto al 2005 (+15%),
ma molto lontana dalla media europea (60% circa) e dalle nazioni più informatizzate, i
cui valori superano il 90%.
Secondo uno studio dell'AICA condotto su Italia, Francia e Spagna, i tecnici
italiani sono più vecchi di due anni rispetto ai colleghi francesi e di ben 3 anni rispetto
agli spagnoli. Tecnici che fanno fatica ad aggiornarsi con continuità: la partecipazione
italiana alla formazione continua è di 6,1 contro una media europea del 9,6, che arriva a
32,1 in Svezia.
Negli ultimi anni il divario tecnologico Nord-Sud si è accentuato: possiedono un
personal computer poco più del 50% delle famiglie del Centro-Nord e il 43% delle
famiglie meridionali; l'accesso ad internet è presente nel 32,6% delle famiglie
meridionali e in quasi il 42% di quelle centro-settentrionali; la connessione a banda
larga riguarda il 17,9% delle famiglie del Sud contro il 24,8% di quelle del Nord. È
importante notare la differenza nell'utilizzo di internet, che tra Nord e Sud è di oltre 10
punti percentuali (38,5% al Nord e 27,9% nel Mezzogiorno).
Il luogo dove maggiormente si utilizza internet è la propria casa, seguito dal
posto di lavoro e di studio. Anche in questo caso vi sono forti differenze tra Nord e Sud
imputabili, probabilmente, alla mancanza di connessione in banda larga e, quando
invece presente, al suo elevato costo di accesso.
Il digital divide rimane anche nel campo della formazione. Sul totale della
popolazione di età superiore ai 3 anni che usa il computer, ha frequentato corsi di
informatica il 30,9% nelle regioni centrosettentrionali e solo l'11% in quelle
meridionali.
Riguardo all’informatizzazione delle aziende, dalle analisi emerge che si trovano
Pc in oltre il 97% delle imprese con più di 10 addetti nel Nord, nel 95% nel Centro e
nel 96% nel Mezzogiorno, ma lo utilizzano soltanto una minoranza: il 44% degli addetti
al Centro-Nord e il 30,8% al Sud.
Inoltre le imprese che hanno un proprio sito web nel Mezzogiorno sono solo il
48,5%, a fronte di una media superiore al 60% nel Centro-Nord. Sono poco meno del
27% quelle che nel Mezzogiorno hanno una rete intranet, contro quasi il 34% del
Centro-Nord. Sempre nel Mezzogiorno sono solo il 9,4% le imprese che utilizzano
sistemi ERP1 (16% circa nel Centro-Nord); quelle che utilizzano applicazioni CRM2
1 Secondo le stime dell’ultima revisione del Libro Bianco sui trasporti della Commissione Europea, i
costi della congestione ammontano mediamente all’1% del PIL dell’UE, una percentuale che per l’Italia
rappresenta un onere (in gran parte sommerso) pari a circa 14-15 miliardi di euro all’anno.
2 CRM - Customer Relationship Management. Qualsiasi applicazione software realizzata per gestire i
rapporti tra azienda fornitrice e clienti potenziali o attivi, con una duplice finalità: acquisire nuovi clienti
e soddisfare i clienti già acquisiti. Gli scopi di un software CRM non sono quelli di gestire i rapporti coi
clienti in termini di flussi esecutivi di operazioni materiali documentate (vendita, fatturazione, resi,
incassi, ecc.) per i quali si utilizzano da decenni i software gestionali classici (prodotti back-end),
56
sono il 21% al Sud e superiori al 25% nel Nord.
Le imprese comunque hanno bisogno di personale specializzato in ICT e
lamentano, soprattutto al Nord Est, la carenza di candidati, mentre pesa nel
Mezzogiorno la mancanza di esperienza. Secondo una ricerca della NetConsulting per
Microsoft, nelle aziende il principale ostacolo allo sviluppo era costituito dal basso
livello di competenze interne (circa il 70% dei casi). Per questo più del 28% delle
imprese del Centro-Nord e del 18% del Mezzogiorno ha fatto ricorso ad altre aziende
per reperire personale già formato.
Il digital divide Nord-Sud si fa sentire che nella pubblica amministrazione.
Meno di un quinto dei Comuni italiani ha organizzato attività formative nel campo
informatico; nel Mezzogiorno solo il 5% dei dipendenti è stato coinvolto in corsi di
questo tipo.
Riguardo alle dotazioni informatiche, oltre ai pc, nella PA sono diffusi i GIS e i
CAD3, deputati a gestire dati georeferenziati, che cioè possono e devono essere
visualizzati su una mappa del territorio (per i Piani Territoriali, il Catasto, i dati
riguardanti sorgenti, pozzi, tombini, condutture ecc.).
Passando al tipo di collegamento, invece, la banda larga è presente in poco meno
del 59% dei Comuni (53,6% nel Mezzogiorno). Le Regioni meridionali con il minor
numero di propri dipendenti connessi ad internet sono la Campania e la Sicilia. La
circoscrizione che utilizza maggiormente internet è invece il Nord-Est ( 71,6% dei
dipendenti).
Tutte le Amministrazioni forniscono on line servizi informativi, più dell'80%
offre modulistica; ma sul fronte della piena interattività resta ancora molto da fare:
viene garantita solo dal 3% dei Comuni, da poco meno dell'11% delle Province e dal
54,5% delle Regioni. I pagamenti on-line, prassi comune e consolidata in tutte le
nazioni europee, sono possibili in Italia nel 9,4% dei Comuni e nel 31,8% delle Regioni;
nel Mezzogiorno solo il 7,5% dei Comuni e due Regioni sono abilitati al servizio.
Tab. 1. Utilizzo del pc, di internet e luogo principale del suo utilizzo
Ripartizioni
territoriali
Persone di 3
anni e più che
usano un
computer
Personedi 6
anni e più che
usano internet
Casa Lavoro
Mezzogiorno 33,9 27,9 19,9 8,9
Centro-Nord 44,1 38,5 28,8 16,6
Italia 40,5 34,8 25,6 13,9
Fonte: ISTAT. Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione:
disponibilità nelle famiglie e utilizzo degli individui. Roma 2007
piuttosto gestire proprio tutti quei rapporti che precedono e seguono l'atto di vendita formale di un bene o
servizio (prodotti front-end).
3 GIS - Sistemi Informativi Geografici. Permette l'acquisizione, la registrazione, l'analisi, la
visualizzazione e la restituzione di informazioni e dati georeferenziati. CAD - Computer Aided Design.
Progettazione assistita dal computer; indica genericamente programmi software per il disegno tecnico
vettoriale in 2 e/o 3 dimensioni.
57
Tab. 2. Persone di 6 anni e più che usano il personal computer e Internet
per modalità di acquisizione delle abilità di utilizzo di
Ripartizioni
territoriali
Studio
individuale
Studio
attraverso
pratica
Colleghi,
parenti,
amici
Corsi di
formazione su
iniziativa del
datore di
lavoro
A scuola o
all'università
Mezzogiorno 41,5 76,3 62,9 19,7 35,0
Centro-Nord 44,8 75,9 63,5 12,8 33,7
Italia 42,4 76,2 63,1 17,7 34,6
Mezzogiorno 40,5 76,7 64,7 15,3 27,3
Centro-Nord 47,4 76,7 66,0 11,7 29,1
Italia 42,4 76,7 65,1 14,3 27,8
Fonte: ISTAT. Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione:
disponibilità nelle famiglie e utilizzo degli individui. Roma 2007
Personal computer
Internet
Tab. 3. Imprese informatizzate con almeno 10 addetti che utilizzano tecnologie dell'informazione
e della comunicazione (ICT) di base e avanzate
Imprese
con E-mail
Imprese con
Internet
Imprese
con Lan
Imprese
con
sito Web
Imprese con
Intranet
Imprese che
utilizzano
sistemi ERP
Imprese che
utilizzano
applicazioni
CRM
Mezzogiorno 94,6 96,6 58,6 48,5 26,7 9,4 21,1
Nord-ovest 97,3 98,0 62,5 62,6 35,2 16,6 23,5
Nord-est 97,1 98,2 62,9 62,9 33,1 16,6 25,2
Centro 95,8 97,1 61,8 57,9 32,6 14,5 25,2
Italia 96,4 97,6 61,7 59,0 32,4 14,8 23,8
Fonte: ISTAT. Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione nelle imprese - Anno 2007.
Tecnologie dell'informazione e della
comunicazione di base
Tecnologie dell'informazione e della comunicazione
avanzate
Circoscrizioni e
ripartizioni
territoriali
58
13. Sicurezza e lotta alla criminalità nel Mezzogiorno
1. L’andamento della delittuosità
Negli ultimi anni si è registrata, nel nostro Paese, una ripresa della delittuosità,
che ha interrotto la fase decrescente che aveva caratterizzato il periodo dal 1998 al
2001. Con riferimento, in particolare, al 2006, ultimo anno per il quale sono al momento
disponibili dati completi ufficiali sulle denunce fatte all’Autorità giudiziaria dalle Forze
dell’ordine (v. Tab. 1), si rileva, rispetto al 2005, un incremento del totale dei reati pari
al 6,2% nel Mezzogiorno (dopo il 4,6% dell’anno precedente) e al 7,9% nel Centro-
Nord (dopo il 7,5%).
Ancora una volta, come già negli anni precedenti, l’andamento nel Mezzogiorno
è stato più favorevole - o, meglio, meno sfavorevole - di quello del Centro-Nord; un
risultato che ha ulteriormente consolidato la situazione di relativa minore diffusione
della delittuosità rilevabile – con riferimento al complesso dei reati e, quindi,
prescindendo dalla loro tipologia – nell’area meridionale, dove, nel 2006, si sono contati
36,7 delitti per 1.000 abitanti, rispetto ai 52,6 nel resto del Paese (nel 2005 erano stati
rispettivamente 34,6 e 49,2).
Nel 2006 sono sensibilmente cresciuti i delitti appartenenti alla “criminalità
violenta” e più nel Mezzogiorno (12,4%) che nel Centro-Nord (9,9%); nell’area
meridionale il numero di tali reati, rapportato alla popolazione, risulta comunque
decisamente inferiore (7 ogni mille abitanti contro i circa 10 nel Nord).
All’interno di questo gruppo, gli omicidi consumati (esclusi quelli imputabili
alla mafia), in costante diminuzione negli ultimi anni, hanno registrato nel 2006 ancora
una riduzione nel Mezzogiorno, pari a –5,9% (da 238 a 224), mentre nel Centro-Nord si
è avuta una crescita del 13,4% (da 254 a 288). Una tendenza analoga si riscontra per gli
omicidi tentati, con una flessione del 6,9% nel Sud e un aumento del 4,5% nel Nord.
Aumenti maggiori nel Mezzogiorno si rilevano per le percosse (11,7%), per i
danneggiamenti con incendio (ben il 32,8% in più) e per le lesioni dolose (24,2%).
Per le violenze sessuali, un reato drammaticamente in crescita da molti anni, che
ha contribuito notevolmente ad accrescere il senso di insicurezza della popolazione, in
particolare di quella femminile, si rileva che a livello nazionale le denunce nel 2006
sono state 4.513 a fronte delle 4.020 dell’anno precedente, con un incremento del
12,3%. Nel Mezzogiorno le denunce per violenza sessuale sono aumentate dell’8,5%,
un incremento inferiore a quello del Centro-Nord (13,7%), che contrasta, però, con la
flessione, sia pur lieve, registrata nell’area nel 2005.
Per quanto riguarda la “criminalità diffusa”, un’altra tipologia di reato che incide
in misura notevole sulla percezione di insicurezza, ed anche sul totale dei delitti, nel
2006 si è avuto nel Mezzogiorno un aumento complessivo dell’8,3% (5,8% nel Centro-
Nord), con un balzo notevole (28,7%) per le rapine commesse in negozi, strade e
abitazioni e, soprattutto, per le truffe informatiche (55,8%), un reato che sta crescendo a
ritmi elevatissimi da alcuni anni. E’ da rilevare che per quest’ultimo reato i casi
verificatisi nel Mezzogiorno sono, in rapporto alla popolazione, più numerosi di quelli
rilevabili nel resto del Paese: 23 ogni 10 mila abitanti contro 19.
I reati ascrivibili alla “criminalità organizzata” hanno registrato una lieve
crescita in ambedue le ripartizioni del Paese e, a conferma che gli “interessi” delle
organizzazioni criminali sono sparsi in tutto il territorio nazionale, in rapporto alla
59
popolazione residente essi sono solo di poco più numerosi nel Mezzogiorno: 96 per
100.000 abitanti contro 88,7 nel Centro-Nord.
Nel 2006 nel Mezzogiorno sono stati commessi 106 omicidi per motivi di mafia
e 38 sono quelli tentati; rispetto all’anno precedente se ne sono avuti, rispettivamente, 2
e 1 in meno. Nel corso del tempo il numero di omicidi legati alle varie mafie si è
fortemente ridimensionato, a dimostrazione di un cambio di strategia da parte delle
associazioni criminali volto ad una minore visibilità; si consideri che nel 1990 gli
omicidi mafiosi nel Mezzogiorno furono ben 506, scesi poi a 230 nel 1995 e a 141 nel
2000.
Scendendo al dettaglio regionale, si rileva che – con riferimento al complesso
dei reati - la maggiore diffusione relativa di fatti delittuosi si ha in Liguria, con 67 reati
ogni 1.000 abitanti, seguita da Lazio (59), Emilia-Romagna (58), Piemonte (55) e
Lombardia (55). Tutte le regioni meridionali si collocano sensibilmente al di sotto dei
suddetti valori, con punte più elevate (comprese tra il 35 e il 39 per mille) nelle quattro
regioni in cui è radicata la presenza della criminalità organizzata, e in Abruzzo, che
risente soprattutto dell’elevato numero di furti in abitazioni ed esercizi commerciali.
Nel 2006 in Campania sono stati commessi complessivamente 140 omicidi
volontari, il 42% di tutti quelli avvenuti nel Mezzogiorno ed oltre un quinto del totale
nazionale; rispetto all’anno precedente ce ne sono stati 12 in più, pari al +9,4%. Altri
156 omicidi si sono verificati nelle rimanenti regioni “a rischio”: 33 in Puglia, 61 in
Calabria e 62 in Sicilia, tutte in diminuzione rispetto all’anno prima e pari,
rispettivamente, a -5,7%, -11,6% e –11,4%.
La Campania risulta la regione di gran lunga più colpita anche per quanto
riguarda le rapine, con oltre 17 mila casi (il 67% del totale Mezzogiorno e oltre un terzo
dell’intero Paese), in aumento dell’8,5% sull’anno precedente. A distanza seguono la
Lombardia con 8.134 rapine (+17,2%), il Lazio e la Sicilia con poco meno di 4.800
rapine, in aumento rispettivamente del 17,1% e del 22,2% rispetto al 2005.
L’incremento della criminalità negli ultimi anni trova un suo evidente riscontro
nell’aumento della percezione di insicurezza dei cittadini. Come si vede dalla Tab. 3,
infatti, la quota delle famiglie che avvertono molto o abbastanza il rischio criminalità
nella zona in cui vivono, che era gradualmente scesa dal 32,5% nel 1999 al 27,4% nel
2003, è salita al 29,2% nel 2005, al 31,3% nel 2006 e al 34,6% nel 2007.
I dati riferiti alle due grandi ripartizioni evidenziano che nei primi anni duemila
il rischio criminalità era percepito in misura pressochè analoga; negli anni successivi
esso si è accresciuto più al Nord che nel Sud: la quota di famiglie “insicure” è infatti
salita, nel 2007, rispettivamente al 35,0% e al 33,8%, rispettando, così, la differenza
territoriale prima evidenziata nella diffusione relativa dei reati.
A livello regionale, si rileva che in Campania, con riferimento all’anno 2007,
ben il 54% delle famiglie hanno dichiarato di avvertire molto o abbastanza presente il
rischio criminalità nella zona in cui abitano; si tratta di una quota che si pone nettamente
al di sopra della media nazionale e di quella del Mezzogiorno. Nell’ambito meridionale,
seguono la Puglia con una quota del 35,5%, la Sicilia con il 27,7%, e l’Abruzzo, che, da
regione tra le più tranquille, ha visto aumentare notevolmente negli ultimi due anni la
percezione di insicurezza, giungendo ad un livello (23,8%, dal 13,1% del 2005)
superiore a quello della Calabria (22,6%). Dai giudizi espressi dalle famiglie, il Molise
e la Basilicata, con valori rispettivamente del 12,0% e del 9,7%, risultano nettamente le
regioni più tranquille.
60
Nell’ambito del Centro-Nord vanno segnalati i casi della Lombardia e del Lazio,
non solo per l’elevata percezione di insicurezza – la denuncia rispettivamente il 41,4% e
il 46,3% delle famiglie – ma anche perchè essa ha registrato una fortissima impennata
rispetto ad appena due anni prima, il 2005: di 10 punti in Lombardia e di circa 15 nel
Lazio.
2. La lotta alle organizzazioni mafiose
Nell’ambito della lotta alle organizzazioni mafiose, uno degli strumenti ritenuti
più efficaci è la confisca dei beni mafiosi, regolata dalla legge 109 del 1996; essa, però,
continua ad essere caratterizzata da ritardi e difficoltà: tra il provvedimento di sequestro
e la confisca definitiva, infatti, trascorrono mediamente 10 anni.
In Italia, dal 1983 al 31 dicembre 2007, sono stati confiscati alle organizzazioni
mafiose 8.017 immobili e, di questi, solo poco più della metà (4.205) sono stati destinati
a riutilizzo per finalità sociali. Larga parte delle confische ha ovviamente riguardato il
Mezzogiorno (6.792 immobili) ed in particolare la Sicilia, che assomma poco meno
della metà delle confische. La regione siciliana è anche quella in cui si rileva la quota
più elevata di case e terreni inutilizzati o ancora nella disponibilità dei mafiosi: ben
2.226 su 3.683, pari al 60%. A notevole distanza seguono, per numero di immobili
confiscati, la Campania (1.237) e la Calabria (1.173) che, rispetto alla regione siciliana,
mostrano una minore quota di beni destinati: rispettivamente il 37,2% e il 33,7%.
Per quanto riguarda le aziende, ne sono state confiscate alla mafia 987, di cui
730 già destinate e 257, pari al 26%, ancora gestite dall’Agenzia del Demanio; si tratta
di una quota decisamente inferiore a quella rilevata per gli immobili. Nel Mezzogiorno
le aziende confiscate sono 709, di cui 514 già destinate; la Sicilia e la Campania
assorbono circa l’80% delle confische e delle aziende destinate a riutilizzo.
3. Il costo per lo sviluppo dei ritardi nella giustizia civile
Gli imprenditori italiani, per avere giustizia in una causa civile, devono attendere
in media 1.765 giorni (4 anni, 10 mesi e 5 giorni) tra primo e secondo grado di giudizio,
mentre per una procedura fallimentare l’attesa arriva, in media, a 3.140 giorni (8 anni, 7
mesi e 10 giorni). Gli oneri che le imprese subiscono a causa della lentezza della
giustizia sono stimati da Confartigianato nell’ordine dei 2,3 miliardi di euro/anno (v.
Tab. 2).
La durata media più elevata si ha in Basilicata, con 3.391 giorni (9 anni e 4
mesi); seguita dalla Liguria (2.910), dalla Puglia (2.596) e dalle Marche (2.277). I tempi
più brevi si riscontrano, invece, nel Trentino Alto-Adige (970 giorni).
I tempi si allungano considerevolmente in tutte le regioni, nei procedimenti
fallimentari, raggiungendo i valori massimi in Calabria (5.784 giorni, pari a 15 anni e 10
mesi) e in Sicilia (5.611); ma tutte le regioni meridionali presentano tempi assai più
lunghi rispetto al resto delle regioni italiane.
Il costo dei ritardi della giustizia civile è stimato per il Mezzogiorno in 8.762
milioni di euro, pari al 37,6% del totale nazionale, una quota elevata se si considera la
più modesta dimensione dell’apparato produttivo meridionale. In termini di rapporto
costo/impresa, infatti, il valore per il Mezzogiorno risulta pari a 434 euro, a fronte dei
61
359 per il Centro-Nord. I maggiori costi si rilevano per il Lazio (593 euro), segue la
Campania (590), Basilicata (541) e Puglia (482).
In sette anni, dal 1997 al 2004, la durata media delle procedure fallimentari è
aumentata mediamente di due anni.
Anche nel caso della durata dei procedimenti in materia di lavoro, previdenza e
assistenza (v. Tab. 3) si osservano tempi lunghi, con una rilevante articolazione nelle
diverse aree del Paese. Si conferma la maggiore lentezza della giustizia nel
Mezzogiorno, dove la durata media dei procedimenti, nel primo grado di giudizio, è di
895 giorni, circa un anno in più rispetto al Centro-Nord (562 giorni). Anche in questo
caso le differenze tra gli estremi della graduatoria sono insostenibili, perchè si va dai 3
anni e 10 mesi a Taranto agli 8 mesi necessari, mediamente, per lo stesso procedimento
a Torino.
Il differenziale territoriale a sfavore del Mezzogiorno si conferma nei
procedimenti in appello, anche se le distanze tra rispetto al Nord sono meno rilevanti
(710 giorni contro 513). Tra i 10 distretti più “lenti”, ben 7 interessano il Mezzogiorno e
assai rilevanti appaiono le distanze medie tra i distretti “meno virtuosi” e quelli più
rapidi: a Reggio Calabria occorrono mediamente 3 anni 10 mesi e 5 giorni, a Trento
sono sufficienti 3 mesi e 10 giorni.
62
Tab. 1. Delitti denunciati all'Autorità giudiziaria dalle forze dell'ordine nel 2006, per tipologia di delitti
N.
Per
100.000
ab.
Var. %
su 2005 N.
Per
100.000
ab.
Var. %
su 2005 N.
Per
100.000
ab.
Var. %
su 2005
CRIMINALITA' DIFFUSA 465.582 2.242,7 8,3 1.294.971 3.408,6 5,8 1.760.553 2996,6 6,5
Furti 386.185 1.860,2 3,9 1.199.016 3.156,0 5,9 1.585.201 2698,1 5,4
Rapine meno gravi (a) 19.606 94,4 28,7 16.645 43,8 23,3 36.251 61,7 26,2
Ricettazione 11.886 57,3 -3,0 18.156 47,8 -2,1 30.042 51,1 -2,4
Truffe e frodi informatiche 47.905 230,8 55,8 61.154 161,0 2,3 109.059 185,6 20,5
CRIMINALITA' VIOLENTA 148.385 714,9 12,4 362.970 955,3 9,9 511.355 870,4 10,6
Danneggiamenti 81.900 394,5 9,9 262.353 690,6 13,7 344.253 585,9 12,8
Danneggiamento seguito da incendio 7.181 34,6 32,8 2.923 7,7 -16,7 10.104 17,2 13,3
Estorsioni 3.071 14,8 3,9 2.329 6,1 -10,6 5.400 9,2 -2,9
Lesioni dolose 22.767 109,7 24,2 36.376 95,7 -5,0 59.143 100,7 4,4
Minacce 26.952 129,8 9,0 44.904 118,2 7,2 71.856 122,3 7,9
Omicidi volontari consumati (b) 224 1,2 -5,9 288 0,7 13,4 512 0,9 4,1
Omicidio preteritenzionale 18 0,1 28,6 20 0,1 -16,7 38 0,1 0,0
Percosse 4.344 20,9 11,7 9.465 24,9 1,5 13.809 23,5 4,5
Sequestri di persona per motivi sessuali 74 0,4 -14,0 228 0,6 12,3 302 0,5 4,5
Tentato omicidio (b) 676 3,3 -6,9 749 2,0 4,5 1.425 2,4 -1,2
Violenze sessuali 1.178 5,7 8,5 3.335 8,8 13,7 4.513 7,7 12,3
CRIMINALITA' ORGANIZZATA 19.931 96,0 0,6 33.696 88,7 0,7 53.627 91,3 0,7
Associazione per delinquere 492 2,4 -24,7 582 1,5 -2,8 1.074 1,8 -14,2
Associazione per delinquere di tipo mafioso 107 0,5 -23,6 21 0,1 61,5 128 0,2 -16,3
Attentati 267 1,3 16,6 351 0,9 13,6 618 1,1 14,9
Contrabbando 756 3,6 21,2 394 1,0 -8,8 1.150 2,0 8,9
Incendi 6.517 31,4 3,0 6.142 16,2 -1,3 12.659 21,5 0,9
Omicidio di tipo mafioso 106 0,5 -1,9 3 0,0 200,0 109 0,2 0,0
Rapine gravi (c) 945 4,6 1,2 2.549 6,7 2,9 3.494 5,9 2,5
Sequestri di persona a scopo estorsivo 117 0,6 -35,0 161 0,4 -14,4 278 0,5 -24,5
Sfruttamento prostituzione e pornografia 406 2,0 11,8 1.362 3,6 -0,4 1.768 3,0 2,2
Stupefacenti 10.180 49,0 -0,4 22.126 58,2 1,3 32.306 55,0 0,8
Tentati omicidi di tipo mafioso 38 0,2 -2,6 5 0,0 0,0 43 0,1 -2,3
REATI ECONOMICI 5.636 27,1 -4,1 6.959 18,3 -9,4 12.595 21,4 -7,1
Contraffazione di marchi e prodotti industriali 758 3,7 -4,2 1.428 3,8 -18,0 2.186 3,7 -13,7
Delitti informatici 699 3,4 68,4 1.695 4,5 28,9 2.394 4,1 38,4
Riciclaggio e impiego di denaro 504 2,4 2,9 689 1,8 -7,4 1.193 2,0 -3,3
Usura 196 0,9 -6,2 157 0,4 -14,7 353 0,6 -10,2
Violazione alla proprietà intellettuale 3.479 16,8 -12,4 2.990 7,9 -19,2 6.469 11,0 -15,7
ALTRI DELITTI 122.748 591,3 -5,5 310.612 817,6 16,7 433.360 737,6 9,4
TOTALE 762.313 3.672,0 6,2 2.009.177 5.288,5 7,9 2.771.490 4717,3 7,5
(a) Rapine in esercizi commerciali, in pubblica via, in abitazione.
(b) Esclusi quelli di tipo mafioso.
(c) Rapine in banca, uffici postali, rappresentanti di preziosi, trasporto valori, automezzi pesanti.
Fonte:
Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT e Ministero dell'Interno.
Tipologia di delitto
Mezzogiorno Centro-Nord Italia
63
Tab. 2. Tempi e costi della giustizia civile
Regioni
Durata
procedimento
civile I e II grado
(giorni)
Durata
fallimento
(giorni)
Costo recupero
crediti
(milioni €)
Costo connessi
al fallimento
(milioni €)
Costo ritardi
giustizia civile
(milioni €)
Numero
Imprese Costo/impresa (€)
Piemonte 1.087 2.352 25,3 124,0 149,3 464.917 321
Valle d'Aosta 1.023 2.212 0,4 1,4 1,9 14.786 125
Lombardia 1.527 2.151 171,7 162,3 334,1 953.178 350
Trentino-Alto Adige 970 1.567 2,2 5,4 7,5 109.879 69
Veneto 1.701 2.527 40,4 100,7 141,1 510.916 276
Friuli-Venezia Giulia 1.247 2.481 5,3 32,9 38,2 116.358 329
Liguria 2.910 3.287 32,9 25,7 58,6 166.678 352
Emilia-Romagna 1.876 3.036 55,7 109,7 165,5 475.410 348
Toscana 1.794 3.323 52,5 116,2 168,7 413.950 407
Umbria 1.786 3.275 14,5 13,9 28,5 94.297 302
Marche 2.277 3.081 41,5 40,7 82,2 177.464 463
Lazio 1.683 2.834 188,9 139,6 328,6 553.983 593
Abruzzo 1.621 4.151 28,3 33,7 62,0 149.489 415
Molise 1.586 4.963 6,1 1,8 8,0 36.856 217
Campania 1.910 3.502 211,8 108,9 320,7 543.970 590
Puglia 2.596 4.598 129,8 62,7 192,6 399.236 482
Basilicata 3.391 4.217 30,5 3,7 34,2 63.154 541
Calabria 1.827 5.784 48,2 16,1 64,3 182.035 353
Sicilia 1.974 5.611 110,8 38,7 149,5 473.816 315
Sardegna 1.773 3.447 17,9 27,0 44,9 172.652 260
Italia 1.765 3.140 1.157,1 1.174,2 2.331,3 6.073.024 384
Fonte: Elaborazioni Ufficio Studi Confartigianato su dati ISTAT e Infocamere.
Tab. 3. Durata dei procedimenti in materia di lavoro, previdenza e assistenza per fasi del processo (valori medi in giorni), per
Distretto di Corte di Appello. Anno 2005
Distretti di Corte d’Appello Primo grado Distretti di Corte d’Appello Grado di Appello
Taranto (sez.) 1.385 Reggio Calabria 1.400
Catanzaro 1.250 Napoli 1.385
Messina 1.218 Bologna 1.089
Napoli 1.097 Messina 948
Reggio Calabria 973 Catanzaro 943
Bari 937 Roma 794
Ancona 926 Caltanissetta 790
Caltanissetta 904 L’Aquila 783
Potenza 858 Perugia 697
Salerno 842 Venezia 681
Venezia 780 Palermo 647
Catania 777 Campobasso 627
Palermo 760 Firenze 617
L’Aquila 750 Salerno 581
Perugia 743 Catania 547
Lecce 711 Trieste 540
Bologna 680 Cagliari 523
Cagliari 672 Ancona 505
Sassari (sez.) 669 Potenza 505
Trieste 651 Genova 480
Roma 609 Taranto (sez.) 467
Genova 606 Bari 457
Firenze 586 Lecce 392
Campobasso 524 Milano 387
Brescia 520 Sassari (sez.) 364
Bolzano (sez.) 518 Brescia 284
Milano 382 Torino 273
Trento 313 Bolzano (sez.) 214
Torino 241 Trento 110
Mezzogiorno 895 Mezzogiorno 710
Centro-Nord 562 Centro-Nord 513
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT, Sistema Informativo territoriale sulla Giustizia.
64
14. Il rischio povertà nel Mezzogiorno
Le regioni meridionali,oltre a presentare un minor livello di benessere, mostrano
anche un più alto grado di disuguaglianza distributiva rispetto alle regioni del Centro-
Nord. In particolare, Campania, Calabria e Sicilia risultano in fondo alla classifica,
insieme ai paesi più diseguali d’Europa (Grecia, Portogallo, Lituania e Lettonia).
Una sperequata distribuzione del reddito espone molte famiglie al rischio
povertà, soprattutto in conseguenza di congiunture negative quale quella che
caratterizza il nostro Paese nella fase più recente. L’esistenza a livello nazionale di una
“questione salariale” si acuisce fortemente nel Mezzogiorno, dove ormai anche famiglie
in cui è presente un percettore di reddito, in passato estranee al rischio di cadere in
povertà, evidenziano disagio nel far fronte a bisogni di carattere ordinario. Significativo
appare il fatto che nel Mezzogiorno oltre la metà delle famiglie monoreddito (51,6%)
risultano esposte al rischio di povertà, rispetto al 28,6% nel Centro-Nord.
La distribuzione per classi di reddito monetario fornisce una prima idea
dell’ordine di grandezza delle differenze (Tab. 1). Cominciando dai livelli più alti, due
quinti delle famiglie del Centro-Nord (40,2%) e circa un quinto di quelle del
Mezzogiorno (21,7%) ha entrate superiori ai 3 mila euro mensili. Nello stesso tempo, il
33,5% delle famiglie meridionali e il 18,4% di quelle del Centro-Nord ha un reddito
compreso fra i 500 e i 1.500 euro al mese. Infine, in fondo alla scala dei redditi, risulta
che il 22,7% delle famiglie siciliane ha percepito nel 2005 meno di mille euro al mese,
così come il 19,1% delle famiglie calabresi, il 18,0% di quelle residenti in Basilicata e il
17% circa di quelle pugliesi, campane e molisane. In Abruzzo e Sardegna, la
percentuale di famiglie che si trovano in questa condizione è compresa fra l’11 e il 12%.
Nel resto d’Italia, ha meno di mille euro al mese il 7,3% delle famiglie. Fra le famiglie a
basso reddito, una piccola minoranza ha redditi infimi: il 4,2% delle famiglie del
Mezzogiorno e l’1,4% di quelle del Centro-Nord hanno percepito nel 2005 meno di 500
euro al mese.
Al di là degli indicatori monetari la condizione di disagio e vulnerabilità delle
regioni meridionali può cogliersi con riferimento ad alcune indicazioni concrete.
Il 10% delle famiglie del Mezzogiorno, più del doppio delle famiglie del Centro-
Nord, dichiara di non potersi permettere un pasto adeguato almeno tre volte alla
settimana. Il 20,9% delle famiglie del Mezzogiorno afferma, inoltre, di non potersi
permettere di riscaldare adeguatamente l’abitazione, rispetto al 5,4% del Centro-Nord.
Nel Mezzogiorno, il 19,3% delle famiglie ha avuto periodi (anche una volta soltanto
nell’anno) in cui non aveva soldi sufficienti per l’acquisto di medicinali (il 6,1% delle
famiglie al Centro-Nord). Il 28,6% delle famiglie non ha potuto acquistare i vestiti di
cui necessitava, l’8,2% delle famiglie con figli in età scolare non aveva soldi per la
scuola, il 12,8% delle famiglie non aveva sempre denaro sufficiente per i trasporti e il
24,3% ha dichiarato di non avere avuto abbastanza soldi per pagare le tasse. Le famiglie
residenti in Sicilia, Campania e Calabria sono fra le regioni del Mezzogiorno quelle con
le percentuali di disagio più elevate (Fig. 1).
Il ritardo nei pagamenti delle utenze, delle rate del mutuo, dell’affitto o dei
debiti contratti con il credito al consumo rappresenta una condizione di forte disagio
economico delle famiglie. Nel Mezzogiorno le famiglie in disagio risultano, tranne nel
caso del pagamento del mutuo, quasi il doppio di quelle del Centro-Nord. Le condizioni
oggettive di deprivazione delle famiglie trovano conferma negli indicatori soggettivi
65
relativi alla percezione delle famiglie delle difficoltà ad arrivare a fine mese, nel
sostenere una spesa imprevista, nel risparmiare o nel riuscire ad avere una settimana di
ferie in un anno (Fig. 2).
Le minori opportunità di occupazione sono uno dei fattori determinanti del
rischio di povertà. Il 51,1% dei disoccupati nel Mezzogiorno è esposto al rischio di
povertà rispetto al 26,2% nel Centro-Nord, così come risultano più elevati i rischi per
gli altri inoccupati (casalinghe, studenti, inabili al lavoro, “in altra condizione“),
compresi in parte i ritirati dal lavoro. Accanto alla quantità un ruolo importante ricopre
la qualità del lavoro. Se la flessibilità nel mercato del lavoro consente solo di trasferire
una parte della disoccupazione in lavori precari o a bassa retribuzione, l’esposizione al
rischio di povertà rimane comunque elevata. Un altro rilevante fattore di rischio è
costituito dalla scarsa formazione del capitale umano: nel Mezzogiorno il 40,6% di chi
possiede un’istruzione elementare o nessun titolo risulta esposto al rischio di povertà,
rispetto al 18,1% del Centro-Nord. In quest’ultima area, il 7,5% di chi ha conseguito un
diploma di scuola superiore si trova in condizione di basso reddito, mentre nel
Mezzogiorno quasi un terzo (31,5%) dei diplomati non ha redditi sufficienti. Neanche il
conseguimento della laurea garantisce comunque di raggiungere sempre livelli di
reddito adeguati: il 9,4% dei laureati residenti nel Mezzogiorno e il 4% di quelli del
Centro-Nord sono esposti al rischio di povertà (Tab. 2).
66
Fig. 1. Indici di concentrazione di Gini nei paesi europei e nelle regioni italiane - Anno 2005
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT.
0 5 10 15 20 25 30 35 40 45
Lettonia
Portogallo
Lituania
Calabria
Sicilia
Campania
Grecia
Ungheria
Romania
Polonia
Estonia
Puglia
Regno Unito
Italia
Islanda
Irlanda
Spagna
Molise
Sardegna
Norvegia
Cipro
Abruzzo
Slovacchia
Malta
Lussemburgo
Belgio
Basilicata
Germania
Francia
Paesi Bassi
Finlandia
Rep. Ceca
Austria
Svezia
Slovenia
Danimarca
Bulgaria
Indice di concentrazione (Gini)
0 5 10 15 20 25 30 35 40 45
Lettonia
Portogallo
Lituania
Calabria
Sicilia
Campania
Grecia
Ungheria
Romania
Polonia
Estonia
Puglia
Regno Unito
Italia
Islanda
Irlanda
Spagna
Molise
Sardegna
Norvegia
Cipro
Abruzzo
Slovacchia
Malta
Lussemburgo
Belgio
Basilicata
Germania
Francia
Paesi Bassi
Finlandia
Rep. Ceca
Austria
Svezia
Slovenia
Danimarca
Bulgaria
Indice di concentrazione (Gini)
67
Regioni Meno di 6.000
6.000 -
12.000
12.000 -
18.000
18.000 -
24.000
24.000 -
36.000
Più di
36.000 Totale
Abruzzo 2,4 8,8 19,0 15,4 23,3 31,0 100,0
Molise 2,5 14,8 16,2 17,6 25,2 23,7 100,0
Campania 4,6 13,0 16,3 19,9 22,7 23,5 100,0
Puglia 3,8 12,9 19,4 20,6 23,0 20,3 100,0
Basilicata 4,0 14,0 21,1 18,8 24,9 17,2 100,0
Calabria 4,1 15,0 23,3 18,0 20,0 19,6 100,0
Sicilia 5,0 17,7 23,7 16,0 19,2 18,4 100,0
Sardegna 3,2 8,7 15,7 15,3 31,2 26,0 100,0
Mezzogiorno 4,2 13,8 19,7 18,1 22,5 21,7 100,0
Centro-Nord 1,4 5,9 12,5 14,9 25,0 40,2 100,0
Italia 2,3 8,4 14,8 16,0 24,2 34,3 100,0
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT.
Tab. 1. Distribuzione delle famiglie per classi di reddito netto familiare (inclusi i fitti imputati). Anno
2005
Fig. 2. Indicatori di deprivazione materiale delle famiglie per aree. Anno 2006 (valori percentuali)
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT.
4,5
5,4
28,9
6,1
11,2
1,9
4,3
5,7
10
20,9
59,4
19,3
28,6
8,2
12,8
24,3
0 10 20 30 40 50 60 70
Alimentazione
Riscaldare la casa
Una settimana di ferie
Medicine
Vestiti necessari
Scuola
Trasporti
Tasse
Centro-Nord Mezzogiorno
68
Fig. 3. Famiglie che dichiarano di avere arretrati per tipo di spesa, per condizione economica
percepita e per aree. Anno 2006 (valori percentuali)
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT.
10,8
1
6,6
10,8
11,3
22,3
60,5
21
0,8
15,2
18,4
21,6
41,3
77,8
0 20 40 60 80 100
Affitto
ARRETRATI
Mutuo
Bollette
Debiti diversi dal mutuo
Arriva a fine mese con
molta difficoltà
DIFFICOLTA'
ECONOMICHE
Non può sostenere una
spesa imprevista (600 €)
Non è riuscita a risparmiare
Centro-Nord Mezzogiorno
69
Mezzogiorno Centro-Nord Italia
ETA'
Fino a 15 anni 41,1 13,5 24,5
16-24 anni 41,7 11,7 24,8
25-49 anni 33,2 9,3 17,6
50-64 anni 27,7 8,4 14,8
65 anni o più 32,1 16,9 21,7
TITOLO DI STUDIO
Nessuno, elementare 40,6 18,1 26,7
Media inferiore 38,8 11,2 20,5
Media superiore 25,3 7,5 13,6
Laurea 9,4 4,0 5,7
CONDIZIONE
Dipendenti 19,6 4,6 8,8
Autonomi 34,7 10,5 17,7
Disoccupati 51,1 26,2 40,8
Altri non occupati 40,6 18,4 28,8
Ritirati dal lavoro 27,9 12,7 16,7
SETTORE
Pubblico 9,0 1,6 4,3
Privato 29,6 7,3 13,2
TIPO DI CONTRATTO
A termine 34,8 13,7 22,6
Non ha scadenza 15,9 3,3 6,6
ORARIO DI LAVORO
30 o più 23,1 5,7 10,6
meno di 30 28,7 9,5 15,4
LAVORO IN PASSATO
si 33,1 14,5 20,3
no 44,7 21,6 34,8
Totale 34,4 11,5 19,6
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT.
Tab. 2. Esposizione al rischio di povertà per macroaree e per caratteristiche degli
individui. Anno 2005 (valori percentuali)
70
15. La questione urbana
Dei 162 Sistemi locali selezionati dall’ISTAT, solo 41 possiedono sia le
caratteristiche morfologiche che funzionali “urbane” e sono indicati pertanto come vere
e proprie “regioni metropolitane”. Di questi 41, solo 14 sono presenti nel Mezzogiorno.
Si tratta di Caserta, Salerno e Napoli in Campania; la sola Pescara in Abruzzo; Lecce e
Bari in Puglia; Paola e Catanzaro in Calabria; Palermo, Messina e Catania in Sicilia;
Cagliari e Sassari in Sardegna.
Aspetti demografici e socio-economici
Nel Mezzogiorno i saldi migratori dei sistemi urbani risultano molto deboli e
divengono in alcuni casi nettamente negativi per le “regioni metropolitane”. Nel Centro-
Nord, con la sola eccezione di Genova tutte le aree metropolitane presentano nel 2007
un saldo migratorio totale positivo. Il saldo migratorio totale risulta nel 2007 in tutte le
delle aree metropolitane del Sud negativo: dal -0,5 per mille di Catania al -6,7 per mille
di Napoli (v. Tab. 1). Quest’ultima, se si guarda al saldo complessivo della popolazione,
è l’area metropolitana italiana – con la sola eccezione di Genova - in maggiore
decrescita demografica, e ciò nonostante abbia il tasso di natalità più alto di tutte le altre
aree urbane.
Le performances economiche delle città meridionali mostrano una complessiva
debolezza. Esse registrano una certa vitalità imprenditoriale ma in settori tradizionali
(commercio, alberghi, ristoranti, costruzioni). I tassi di attività delle aree urbane del Sud
si discostano di pochi decimali dal valore medio della ripartizione e evidenziano una
condizione di maggiore difficoltà nelle province interessate dalla conurbazione Napoli-
Caserta (v. Tab. 2).
Rete di città
I sistemi territoriali del Mezzogiorno denotano scarsa interrelazione reciproca e
mobilità tra le diverse città. La ripartizione con la più elevata quota percentuale di
spostamenti delle persone per lavoro sul totale della popolazione è infatti il Nord–Est
(70,1%) mentre l’Italia meridionale peninsulare si ferma al 52,7% e registra invece la
percentuale più elevata di spostamenti per motivi di studio (47,3%), spesso un primo
passo verso il trasferimento delle risorse umane più qualificate verso il Nord (v. Tab. 3).
Il medesimo indicatore, calcolato rispetto alla popolazione residente, mostra la
Lombardia e l’Emilia Romagna come le regioni dove gli spostamenti per motivi di
lavoro sono relativamente più alti (rispettivamente 36,8% e 36,7%) (v. Tab. 4). La
Campania, al contrario, registra la più alta percentuale di spostamenti per motivi di
studio (20,9%) e la più bassa per motivi di lavoro (20,1%).
Gli andamenti dei dati comunali confermano l’interdipendenza tra città e territori
regionali. Nei 13 comuni italiani di maggiore dimensione, ovvero quelli che contano
una popolazione di oltre 250 mila persone residenti (Roma, Milano, Napoli, Torino,
Palermo, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Catania, Venezia, Verona, Messina), il 46,7%
(4.252.009 unità) della popolazione residente effettua spostamenti quotidiani verso il
luogo abituale di studio o di lavoro (47% è il valore nazionale).
71
I valori percentuali massimi si rilevano a Verona (50,3%, pari a 127.465 unità) e
a Milano (50,2%, pari a 630.556 unità), quelli minimi a Napoli (38,4%, pari a 385.957
unità) e Catania (40,5%, pari a 126.952 unità).
La condizione ambientale
Dall’insieme dei dati raccolti dall’APAT (Agenzia per la protezione
dell’ambiente e per i servizi tecnici) sulla qualità ambientale nelle aree metropolitane
italiane emerge una situazione complessiva difficile per quelle del Mezzogiorno. Le
aree urbane meridionali si collocano agli ultimi posti (segnalando spesso un progressivo
peggioramento rispetto ai dati degli anni precedenti) nei giudizi sintetici e nelle
classifiche nazionali e in riferimento a significativi indicatori che rinviano spesso a un
problema di arretratezza del sistema di servizi pubblici locali. Alcuni di questi servizi,
specie quelli che richiedono un elevato livello di efficienza e la presenza di un tessuto di
aziende altamente specializzate, denunciano uno stato di grave arretratezza dei sistemi
urbani meridionali. Tra questi, la raccolta differenziata dei rifiuti segna uno dei punti
più bassi delle performances ambientali delle aree urbane meridionali e dell’intero
Mezzogiorno. All’ultimo posto tra le grandi città italiane per percentuale di raccolta
differenziata si colloca Messina, che con Napoli, Reggio Calabria, Foggia, Taranto,
Catania presentano percentuali inferiori al 10%, rispetto a una media nazionale del 17%,
ben lontana, peraltro, dall’obiettivo del 40% fissato con la legge Finanziaria per il 2007.
I grandi centri del Sud mostrano solo in alcuni casi performances accettabili,
come nel caso della qualità dell’aria; il più delle volte anche grazie a condizioni di
vantaggio date dal contesto ambientale costiero o rurale o dal progressivo abbandono di
attività industriali urbane o periurbane.
Con riferimento alla presenza di impianti industriali dal forte impatto ambientale
nelle aree urbane, la situazione appare poco confortante o in alcuni casi decisamente
grave. Se nelle città del Nord le progressive dismissioni hanno generalmente lasciato
spazio a forti investimenti immobiliari e allo sviluppo di attività terziarie, direzionali e
di ricerca, nel Sud la mancanza di una robusta azione di riqualificazione urbana e
funzionale lascia sul campo, insieme, opportunità di sviluppo mancate e condizioni e
rischi ambientali gravi.
Particolarmente significativa in questo senso è la condizione dei Comuni di
Napoli e Taranto, dove permangono, rispettivamente, 11 (43 nell’intera provincia) e 8
stabilimenti a rischio di incidente rilevante, prossimi o interclusi nel tessuto urbano.
Significativi progressi sono stati realizzati da molte città meridionali nelle
dotazioni di verde pubblico pro capite. In particolare, Napoli evidenzia un progresso
quantitativamente significativo, +451,3% tra il 2000 e il 2006, pur nel contesto della
densità insediativa massima tra i 24 capoluoghi esaminati, pari a 8.315 abitanti per Kmq
.
72
IL CASO DI NAPOLI
Negli ultimi mesi si sono verificati una serie di eventi che hanno caratterizzato in
modo drammaticamente negativo l’immagine di Napoli in Italia e nel mondo.
La risposta istituzionale è giunta a colpi di commissariamenti (per i rifiuti, per il
traffico, per l’emergenza Rom), inserendosi in una tradizione che paradossalmente nelle
grandi città trasforma le emergenze commissariali in una pratica ordinaria. Tale pratica
denuncia l’inefficacia del sistema di governance istituzionale e costituisce in tal senso
l’indicatore di un problema molto più vasto, che incide fortemente sulla capacità di
governare un area metropolitana difficile come quella di Napoli.
Nella conurbazione napoletana infatti si sovrappongono una altissima densità di
popolazione, la presenza di rischi ambientali di natura idrogeologica, un’alta
concentrazione di siti industriali a rischio di incidente rilevante, una diffusa presenza
della criminalità organizzata, circostanze che fanno della più grande area metropolitana
del Mezzogiorno un’area unica per rischi e criticità.
Emerge un forte problema di governance: solo agendo su tutti e tre i termini di
riferimento - istituzioni, economia e territorio - si può essere in grado di restituire alle
grandi aree urbane il livello di coesione e competitività che le politiche comunitarie
sollecitano da tempo.
L’esame di alcuni indicatori permette però di gettare una nuova luce sul
capoluogo campano. Secondo il Rapporto APAT 2007 sulla Qualità dell’ambiente
urbano, ad esempio, Napoli produce una quantità di rifiuti pro capite sotto la media
delle altre città italiane con più di 150.000 abitanti (604 Kg di rifiuti urbani contro 622).
Il problema vero sta nella mancata funzionalità del sistema dei servizi: la raccolta
differenziata dei rifiuti solidi urbani è ferma all’8,9%, in lieve diminuzione rispetto alle
rilevazioni precedenti.
Con riferimento al verde pubblico, poi, Napoli registra la migliore performance
tra tutte le città metropolitane; nel periodo 2000-2006 il verde pubblico pro capite è
cresciuto infatti del 451%, attestandosi sulla soglia dei 28,5 mq/abitante. A differenza di
quanto rilevato in tutte le altre grandi città del Mezzogiorno, tra il 2000 e il 2006 a
Napoli non si sono registrate interruzioni e razionamenti dell’erogazione dell’acqua.
Eppure la percezione nelle famiglie del problema della sporcizia nelle strade è
passata dal 39,4% del 2002 al 52,8% del campione intervistato nel 2007, con uno stacco
di quasi venti punti percentuali dalla media italiana. Altra spina nel fianco il tasso di
attività femminile, che nella provincia di Napoli è non solo più basso della media
nazionale, ma anche dei valori medi delle altre Regioni del Mezzogiorno.
Considerando che nelle altre città campane si registra una maggiore capacità di
generare valore aggiunto, i dati sul PIL pro capite elaborati dalla SVIMEZ mostrano
invece per Napoli un’inversione di marcia.
In questa situazione è evidente che l’emergenza più generale è quella di
contrasto alla periferizzazione della città, alla difficoltà di accesso ai servizi, al degrado
del tessuto sociale.
Da alcuni anni il Comune di Napoli ha attivato un servizio speciale periferie, con
il compito di attuare il programma di riqualificazione del 1995. L’intera cintura urbana
che comprende Scampia, San Pietro a Patierno, Barra, Ponticelli, Poggioreale,
Secondigliano e Pianura è stata individuata come area di svantaggio che comprende
73
oltre un terzo della superficie comunale e che appare difficilmente aggredibile con le
sole risorse attivabili attraverso le Zone franche urbane.
La “città” studiata dagli economisti dello sviluppo e dai sociologi presenta oggi
al suo interno due tendenze contrapposte. Da un lato è, potenzialmente il luogo dove si
concentrano le funzioni direzionali, le economie di scala del terziario, i mercati e le
risorse umane più qualificate e dove quindi si possono moltiplicare gli effetti positivi
dello sviluppo. Dall’altro lato, presenta anche le condizioni per moltiplicare il degrado
in caso di sviluppo insufficiente e per accumulare diseconomie da congestione e da
sottosviluppo superabili solo immaginando soluzioni innovative”.
Anche per Napoli, dunque, come per le altre città europee, il cammino è segnato
dall’intensità che possono assumere le forze positive rispetto al lavoro contrario che può
essere svolto dalle seconde: si tratta di zone che non possono vivere in bilico tra crescita
e arretramento, pena una prospettiva di instabilità, o peggio, tale da rendere sempre più
difficile il loro governo.
Tab. 1 .
Indicatori demografici delle città italiane nel 2007(a) (valori per 1000 abitanti) e variazione
assoluta della popolazione 2005-07
Aree
metropolitane
Crescita
naturale
Saldo
migratorio
interno
Saldo
migratorio
esterno
Saldo
migratorio
per altro
motivo
Saldo
migratorio
totale
Crescita
totale
Popolazione
2005-07 (var.
ass.)
Napoli 4,0 -8,4 1,2 0,5 -6,7 -2,7 -13,5
Bari 1,8 -3,2 1,3 -0,9 -2,8 -1,0 -0,5
Palermo 2,7 -3,1 0,9 -0,7 -2,8 -0,1 -2,1
Catania 2,1 -0,1 0,5 -0,9 -0,5 1,6 3,2
Torino -0,3 -2,6 4,8 0,4 2,7 2,4 7,8
Genova -5,5 -2,5 4,1 -1,9 -0,4 -5,9 10,9
Milano 1,2 -5,0 6,5 -0,8 0,7 1,9 103,9
Verona 1,9 2,4 8,3 -0,5 10,2 12,1 13,2
Venezia -0,9 -0,5 5,9 -0,6 4,8 3,9 4,0
Bologna -2,4 3,2 4,7 -0,9 7,0 4,7 -9,2
Firenze -2,4 -2,4 6,5 -0,7 3,4 1,0 0,4
Roma 1,3 0,2 5,7 42,6 48,4 49,8 196,1
Mezzogiorno 1,0 -2,4 1,1 0,1 -1,2 -0,2 -12,9
Centro-Nord -0,5 1,9 5,2 3,4 10,5 10,1 327,1
- Nord-Ovest -0,5 1,3 5,1 -0,7 5,6 5,1 122,5
- Nord-Est -0,2 2,7 5,8 -0,7 7,8 7,6 8,1
- Centro -0,7 1,8 5,0 13,1 19,9 19,2 196,5
Italia 0,0 0,4 3,8 2,3 6,4 6,4 314,2
(a) Dati al 1° gennaio.
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT.
74
Tab. 2. Tassi di attività per sesso, nelle province della
Campania e nelle regioni meridionali - Anno 2001
Regioni e province Maschi Femmine Totale
Abruzzo 58,2 35,4 46,4
Molise 57,2 33,4 44,9
Campania 57,9 30,8 43,8
- Caserta 57,1 30,5 43,3
- Benevento 54,6 34,6 44,2
- Napoli 58,7 29,7 43,6
- Avellino 56,7 32,0 44,0
- Salerno 57,5 32,3 44,5
Puglia 58,5 30,2 43,7
Basilicata 57,6 33,8 45,4
Calabria 54,4 31,7 42,7
Sud 57,5 31,4 44,0
Isole 57,8 31,3 44,0
Nord-Ovest 62,5 41,0 51,3
Nord-Est 63,3 42,4 52,5
Centro 60,2 39,3 49,2
Italia 60,5 37,6 48,6
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT, Censimento 2001.
Tab. 3. Composizione percentuale della popolazione residente che si sposta
giornalmente per motivo dello spostamento nelle ripartizioni italiane
Unità % Unità % Unità %
Sud 2.724.778 47,3 3.039.793 52,7 5.764.571 100,0
Isole 1.247.537 46,7 1.424.842 53,3 2.672.379 100,0
Nord-Ovest 2.300.304 30,3 5.300.725 69,7 7.601.029 100,0
Nord-Est 1.632.664 29,9 3.825.226 70,1 5.457.890 100,0
Centro 1.792.121 34,0 3.476.371 66,0 5.268.492 100,0
Italia 9.697.404 36,2 17.066.957 63,8 26.764.361 100,0
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT, Censimento 2001.
Circoscrizioni
territoriali
Studio Lavoro Totale
75
Tab. 4. Percentuale della popolazione residente che
si sposta giornalmente per motivo dello spostamento
Regioni Studio Lavoro Totale
Piemonte 14,7 34,8 49,5
Valle d'Aosta 14,2 36,1 50,3
Lombardia 16,1 36,8 52,9
Trentino-Alto Adige 17,1 35,5 52,6
Veneto 16,1 35,8 52,0
Friuli-Venezia Giulia 14,2 34,5 48,6
Liguria 13,3 29,9 43,2
Emilia-Romagna 14,4 36,7 51,1
Toscana 14,9 33,5 48,3
Umbria 15,6 31,7 47,3
Marche 15,6 33,7 49,3
Lazio 17,9 30,3 48,2
Abruzzo 17,3 28,6 45,9
Molise 17,0 25,8 42,8
Campania 20,9 20,1 41,0
Puglia 19,1 22,3 41,5
Basilicata 18,1 24,2 42,3
Calabria 18,9 20,3 39,3
Sicilia 19,2 20,4 39,6
Sardegna 17,9 25,1 43,1
Italia 17,0 29,9 47,0
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT, Censimento 2001.
76
16. Logistica e ruolo del Mezzogiorno nel Mediterraneo
Nel più ampio fenomeno della crescita degli scambi commerciali, il
Mediterraneo sta assumendo un ruolo centrale non solo come “terminale” dei flussi di
import ed export tra l’Europa e l’Estremo Oriente, ma anche come area di scambio
autonoma, alimentata dalla crescita economica che sta interessando i paesi della Sponda
Sud-Orientale. Grande importanza stanno acquisendo le partnerships commerciali
dell’Europa e dell’Italia, in particolare, con i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente.
La dimensione degli scambi ha ormai assunto proporzioni tali da essere pienamente
confrontabile con quella consolidata con altre aree economiche mondiali, come il Nord
America, verso le quali l’economia europea è tradizionalmente orientata.
Il pieno sfruttamento di queste opportunità presuppone una “strategia integrata”,
che investa tutte le articolazioni infrastrutturali del Paese a partire dai valichi alpini, e da
questi alle reti ferroviarie, prima ancora che stradali, di collegamento ai terminali
portuali ed alle connesse strutture di movimentazione e lavorazione.
Poter disporre di un adeguato apparato di infrastrutture logistiche per l’Italia è
necessario non solo per far fronte alla tradizionale concorrenza dei paesi del Nord
Europa, quanto anche all’emergente concorrenza dei paesi mediterranei
La scelta di molti tra i paesi del Mediterraneo Sud Orientale di intensificare i
propri investimenti nello sviluppo della portualità, delle aree retroportuali e degli
interporti risponde ad una precisa strategia di sviluppo economico che dovrebbe
consentire a questi paesi una più rapida uscita della loro condizione di sottosviluppo.
I segnali più evidenti della crescita infrastrutturale e logistica della Sponda Sud-
Orientale del Mediterraneo sono percepibili dalla dinamica dei traffici marittimi
containerizzati, che presentano ritmi di sviluppo ben più significativi di quelli, già
rilevanti, dei paesi del Sud Europa. Nel periodo 2001-2005, nei principali porti del
Mediterraneo i traffici container sono cresciuti ad un tasso medio annuo del 10,1%,
passando da 19,1 a 28,3 milioni di TEU.
Sotto questo profilo, particolarmente preoccupante è l’andamento della
portualità del Mezzogiorno, nella quale si concentra ancora la maggior parte del traffico
container nazionale, che presenta evidenti segnali di cedimento. Dopo il picco del
56,5% del 2003, la quota di container transitata nei porti meridionali sul totale dei porti
italiani si è, infatti, progressivamente ridotta fino a segnare il 54,2% nel 2007.
Nell’ultimo anno, peraltro, tale tendenza di medio periodo sembra essersi invertita,
Gioia Tauro che rappresenta la più importante realtà portuale italiana ha fatto registrare
un aumento dei traffici container del 19,1%, un risultato migliore di qualsiasi altro
porto, tra quelli principali a livello nazionale e del Sud-Europa.
Rispetto a queste sfide /opportunità emerge una assai modesta capacità di
reazione del nostro Paese alle aggressioni competitive degli altri sistemi portuali del
Sud-Europa e della riva Sud del Mediterraneo.
È purtroppo la grande distanza che separa la consapevolezza dei limiti e delle
opportunità da una vera ed efficace capacità di azione, il vero gap strutturale che non si
riesce a colmare, che non consente di assumere ed attuare le decisioni necessarie per
sfruttare le occasioni di sviluppo e quella che dovrebbe essere una leadership geo-
economica e strutturale difficilmente contendibile.
Rilevante è anche il problema della qualità infrastrutturale, che deve essere
orientata non solo ad aumentare la capacità di attrazione dei flussi, ma anche alla
77
razionalizzazione dell’esistente, cioè a favorire lo scambio modale e le interconnessioni
con le reti (strada e ferrovia), risolvere le situazioni di saturazione e di congestione delle
infrastrutture e del territorio in cui sono ubicate e sviluppare la retro-portualità. Ciò al
fine di poter sfruttare le evidenti e rilevanti possibilità di “lavorazione” dei transiti, sia
nelle aree portuali sia nel raccordo con gli interporti di terra.
Per la sua posizione geografica e per le sue tradizioni il Mezzogiorno può
giocare un ruolo importante nella costruzione di una regione mediterranea con una
fisionomia istituzionale in grado di darle riconoscibilità. Oltre a essere il prodotto di una
contaminazione secolare avvenuta nel cuore del Mediterraneo, il Mezzogiorno è oggi
sempre più vivo nelle relazioni commerciali col resto della regione mediterranea. Se le
esportazioni delle regioni meridionali sono aumentate del 43% nel periodo 2000-2007, a
fronte di un aumento nazionale nello stesso periodo che si è attestato al 35%, la
dinamica verso le nazioni mediterranee non appartenenti all’Unione Europea vede un
incremento che supera il 79%, per un valore complessivo superiore ai 4 miliardi di
Euro.
La prospettiva mediterranea deve tuttavia confrontarsi con consistenti difficoltà
di natura politico-istituzionale. La prima è quella delle scelte della politica estera,
nazionale ed europea. Le scelte degli ultimi anni in termine di opzioni strategiche
dell’Unione europea, hanno privilegiato, con l’allargamento verso Est, l’asse
orizzontale Ovest/Est, rispetto a quello Nord/Sud. Anche nelle politiche di
infrastrutturazione strategiche, l’asse Berlino-Palermo, elemento decisivo per il
collegamento del Mediterraneo con i mercati centro–europei è, ben lungi dal
compimento. Le scelte politiche dei prossimi anni saranno decisive per definire la
“perificità”del Mezzogiorno, ultima pendice dell’Europa o porta di accesso verso il
Mediterraneo.
IL CASO DI GIOIA TAURO
Gioia Tauro rappresenta un caso esemplare di come nel Mezzogiorno si è potuto
dar vita in tempi relativamente rapidi ad una grande opera che in tempi altrettanto rapidi
è riuscita a raggiungere una posizione di rilievo a livello mondiale. Nel 2007 con 3,5
milioni di TEU raggiunge il suo record storico e, con una crescita del traffico container
del 19,1% rispetto all’anno precedente, è risultato il più dinamico tra i principali porti
italiani e del Sud Europa. Si consolida così un primato dopo la flessione del biennio
precedente.
Il traffico container nel Mediterraneo dovrebbe aumentare fino al 2015 ad un
tasso medio annuo del 10%, quasi un raddoppio del volume attuale. Gioia Tauro, quale
principale porta di accesso nazionale ai mercati del Centro-Nord e dell’Europa Centro-
Settentrionale, non può non intercettare una quota consistente di tale offerta. Una parte
significativa dell’incremento previsto dei flussi commerciali sarà gestito con operazioni
di transhipment, il porto, infatti, almeno nel breve non dovrebbe mutare la propria
specializzazione.
Una quota di container via via crescente si prevede che sarà instradata lungo un
corridoio di transito che da Gioia Tauro raggiunge i mercati dell’Europa Centrale,
oppure i porti del Nord Europa per essere reimbarcati alla volta della Costa Est del Nord
America.
78
Accanto alla movimentazione, solo mare o anche via terra, si dovrebbero
accrescere le attività volte alla manipolazione delle merci per le fasi di lavorazione
finale prima di raggiungere i mercati di consumo. Ciò potrà consentire al porto di Gioia
Tauro di assumere le caratteristiche proprie di un polo logistico integrato in grado di
offrire rilevanti opportunità di crescita all’economia del Mezzogiorno.
Le condizioni per Gioia Tauro di assumere le caratteristiche di moderno porto
gatway e più in generale di affermarsi come piastra logistica nazionale sono assicurate
da un’ampia disponibilità di aree nel retroporto, da una rete di collegamenti consolidata
via mare e via terra e dalla vicinanza dell’aeroporto di Lamezia Terme. Questi vantaggi
competitivi potranno essere sfruttati se si realizzerà il potenziamento dell’assetto
logistico dell’intera area (interporto, intermodalità, qualità della rete) e l’ottimizzazione
delle reti di collegamento con i sistemi intermodali sia ferroviario sia autostradale.
Già oggi, pur in presenza dei vincoli derivanti dalle attuali carenze nelle
dotazioni infrastrutturali, sono in atto importanti iniziative che vanno oltre la mera
funzione di transhipment del porto. A Gioia Tauro, è insediato un centro logistico per
l’industria automobilistica gestito dalla società “ICO BLG Automobile Logistics Italia”
costituita come joint venture tra la BLG Italia, controllata dal gruppo BLG Logistics di
Brema, e la società ICO, controllata dal gruppo giapponese NYK. L’attività del centro
riguarda la distribuzione delle autovetture in Italia - in un prossimo futuro anche verso i
paesi rivieraschi del Mediterraneo e dei Balcani - e la fornitura di servizi relativi al
lavaggio, ceratura e deceratura delle autovetture, l’installazione di parti accessorie e
piccoli interventi di verniciatura. A questa prima fase dovrebbe far seguito lo sviluppo
di servizi ad alto valore aggiunto quali il disassemblaggio parziale e totale e, infine, la
distribuzione di parti di ricambio.
Un assetto fortemente orientato alla logistica emerge dal Piano di Sviluppo
Strategico per l’Area Ampia di Gioia Tauro. Il piano, che testimonia di un nuovo livello
di pianificazione nazionale verso quest’area strategica, fornisce un quadro sintetico
delle priorità di sviluppo per il porto e il retroporto indicando le opportunità da cogliere
e i molteplici ostacoli da rimuovere. In proposito si sta avviando ad essere molto più
che una semplice opportunità l’insediamento di un rigassificatore ed una piastra del
freddo legata al processo della rigassificazione.
LA GRANDE REGIONE MEDITERRANEA, IL MEZZOGIORNO E L’EUROPA
Negli ultimi dieci anni è stato intenso il dibattito intorno alla regione
mediterranea. Dopo gli entusiasmi nati dalla Dichiarazione di Barcellona del 1995, con
cui l’Unione Europea lanciava con i paesi mediterranei il Partenariato Euro
Mediterraneo (PEM), l’attenzione si è rivolta al tema dell’allargamento a Est. La
relazione tra Europa e Mediterraneo è stata di fatto ridotta a Politica Europea di
Vicinato (PEV), nella quale l’obiettivo previsto a Barcellona di creare entro il 2010
un’area di libero scambio sembra sfumato. Recentemente i governi francese e spagnolo
hanno rilanciato l’idea di un’Unione mediterranea. Si tratta di proposte che manifestano
l’importanza del tema, ma le misure politiche stentano ancora ad avviarsi.
Dal punto di vista economico, i paesi che si affacciano sul Mediterraneo vivono
condizioni piuttosto differenziate. I membri mediterranei dell’Unione Europea
appartengono tutti alla fascia dei paesi ad alto reddito pro capite e si attestano, con
79
l’eccezione della Francia, al di sotto della media dell’area dell’Euro. In base ai dati
forniti dalla Banca Mondiale il reddito medio dell’area Euro era nel 2006 di 34.307
dollari. Il dato più basso tra i membri dell’UE che si affacciano al Mediterraneo è
quello della Slovenia, con 18.660 dollari annui. Intorno ai 30.000 dollari, tutti gli altri,
con Francia e Italia al di sopra e Grecia e Spagna attestate intorno ai 27.000. Il
Mezzogiorno, pur con un livello di redditi inferiore di circa il 40 % alla media Euro, si
colloca assai al di sopra degli altri paesi della regione mediterranea. La fascia
nordafricana e mediorientale ha una media complessiva di 2.507 dollari annui, con la
punta massima della Libia oltre i 7000 dollari, in ragione delle sue ricchezze minerarie
ed energetiche distribuite su una popolazione relativamente scarsa, e quella inferiore
dell’Egitto (1.360) che con risorse naturale molto più scarse deve nutrire oltre 74
milioni di persone. Non differiscono di molto gli altri paesi della regione, con la
Turchia, che presenta un livello di 5.400 dollari annui e la zona balcanica, dove anche la
Croazia non raggiunge i 10.000 dollari l’anno. Fa eccezione a questa condizione lo
stato di Israele, che supera i 20.000 dollari, a cui corrisponde in stridente contrasto il
dato dei “territori palestinesi occupati”, Cisgiordania e Striscia di Gaza, in cui i quasi
quattro milioni di persone dispongono di soli 930 dollari l’anno.
Per la sua posizione geografica, la parte meridionale della penisola italiana è
terra centrale nel dialogo mediterraneo. Se le esportazioni delle regioni meridionali sono
aumentate del 43% nel periodo 2000-2007, a fronte di un aumento nazionale del 35%,
la dinamica verso le nazioni mediterranee non appartenenti all’Unione Europea vede un
incremento che supera il 79%, per un valore complessivo superiore ai 4 miliardi di
Euro. Rispetto alle merci del meridione italiano destinate ai paesi extra UE, l’area
mediterranea assorbe il 26%. Destinatari principali sono la Turchia, la Libia e la
Tunisia. Ma in generale con tutti i paesi della regione si assiste ad un aumento degli
scambi commerciali del Mezzogiorno italiano.
Dal punto di vista delle infrastrutture, però, negli ultimi anni le scelte strategiche
dell’Unione europea hanno privilegiato l’asse orizzontale Ovest/Est rispetto a quello
Nord/Sud; per questo l’asse Berlino-Palermo, elemento decisivo per il collegamento del
Mediterraneo con i mercati centro–europei è ben lungi dal compimento.
Le scelte politiche dei prossimi anni saranno decisive per definire la
“perificità”del Mezzogiorno. Proprio nella prospettiva di una rinnovata centralità del
Mediterraneo, elemento fondamentale dovrebbe essere il rafforzamento dei legami
intro-Mediterranei, attraverso lo sviluppo di stabili relazioni internazionali, da realizzare
attraverso una nuova “Istituzione” Mediterranea. Al momento manca un soggetto
istituzionale meridionale in grado di rappresentare il Sud e allo stesso tempo di
promuovere tali processi. Potrebbe esistere uno spazio per un tavolo Stato-Regioni
dedicato alla promozione del dialogo per la costruzione del quadro comune
mesoregionale, che potrebbe vertere su ambiti specifici di speciale competenza per il
Sud e funzionali al quadro Mediterraneo.
80
TAB. 1. Traffico container nei porti italiani (migliaia di TEU, s.d.i.)
Anni
Porti
2002 2003 2004 2005 2006 2007
Variazione %
2006-07
Gioia Tauro 3.009 3.149 3.261 3.161 2.938 3.500 19,1
Genova 1.531 1.606 1.619 1.625 1.657 1.855 11,9
La Spezia 975 1.007 1.040 1.024 1.137 1.190 4,7
Taranto 472 658 763 717 892 756 -15,2
Livorno 520 541 639 659 658 752 14,3
Cagliari 74 314 501 660 687 700 1,9
Napoli 444 433 348 374 445 450 1,1
Salerno 375 417 412 419 359 385 7,2
Venezia 262 284 291 290 317 329 3,8
Trieste 185 120 175 198 220 266 20,9
Savona 55 54 90 220 231 243 5,2
Ravenna 161 160 169 169 162 190 17,3
Ancona 94 76 65 64 76 107 40,8
Palermo 11 15 24 28 27 32 18,5
Catania 13 14 12 15 14 16 14,3
Monfalcone 1 0 2 1 1 1 0,0
Civitavecchia 21 25 36 45 33 n.d. n.d.
Trapani 17 13 10 0 9 n.d. n.d.
Mar. Carrara 10 9 8 7 4 n.d. n.d.
Brindisi 1 2 4 2 3 n.d. n.d.
Bari 12 24 20 10 n.d. n.d. n.d.
TOTALE 8.243 8.921 9.493 9.688 9.878 10.772 9,1
MEZZOGIORNO 4.428 5.039 5.355 5.386 5.374 5.839 8,7
- Quota % su Totale 53,7 56,5 56,4 55,6 54,4 54,2
CENTRO-NORD 3.815 3.882 4.138 4.302 4.504 4.933 9,5
- Quota % su Totale 46,3 43,5 43,6 44,4 45,6 45,8
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati Confetra.
81
TAB. 2. Indici sintetici di dotazione di nodi di scambio e di reti per la mobilità logistica e la
movimentazione dei flussi (numeri indici: Italia = 100,0)
Regioni Nodi di scambio(a) Reti(b) Indice sintetico
Abruzzo 11,4 89,7 45,1
Molise 10,9 67,5 36,8
Campania 10,6 151,1 62,3
Puglia 28,4 90,7 61,6
Basilicata 1,0 56,8 14,5
Calabria 15,1 100,3 53,3
Sicilia 13,8 73,9 42,3
Sardegna 26,5 18,1 20,5
Mezzogiorno 18,3 81,1 49,4
- Sud 17,6 99,6 55,9
- Isole 17,1 51,6 35,7
Centro-Nord 126,0 110,9 115,7
- Nord-Ovest 124,9 119,3 121,1
- Nord-Est 80,4 97,2 91,2
- Centro 39,1 117,0 81,2
Italia 100,0 100,0 100,0
(a) Calcolato su dotazioni di base, capacità di movimentazione e di servizio. Alle regioni prive di dotazione viene
attribuito il valore dell’area di appartenenza, ponderato dalla dotazione di reti.
(b) Calcolato sulla dotazione delle varie tipologie di strade e di reti ferroviarie.
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT.
Tab. 3. Esportazioni del Mezzogiorno verso i Paesi extra Ue
Valori assoluti Variazione
2007 2000-2007
Turchia 916.511 5,7 48,5
Marocco 254.295 1,6 240,3
Algeria 219.697 1,4 269,2
Tunisia 687.877 4,3 34,9
Libia 797.768 4,9 86,1
Egitto 361.011 2,2 167,5
Libano 291.692 1,8 70,1
Siria 323.235 2,0 296,8
Israele 330.808 2,0 30,6
Terr. Palestinese 74 0,0 -2,6
Giordania 14.404 0,1 8,3
Mediterraneo 4.197.373 26,0 79,0
Totale extra UE 16.169.021 100,0 43,9
Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT.
% su totale
extra UEPaesi
SVIMEZ/06_Schede regioni.pdf
REGIONE ABRUZZO
INDICATORI STRUTTURALI 2002 2003 2004 2005 2006 2007
Abruzzo 0,2 -2,1 -2,6 1,0 1,5 0,9
Mezzogiorno 0,4 -0,3 0,6 0,3 1,1 0,7
Centro-Nord 0,5 0,1 1,8 0,6 2,1 1,7
Italia 0,5 0,0 1,5 0,6 1,8 1,5
Abruzzo 19.361,7 19.454,6 19.311,2 20.049,9 20.640,1 21.195,5
Mezzogiorno 15.260,2 15.621,5 16.082,0 16.501,1 17.019,4 17.482,8
Centro-Nord 26.781,6 27.365,8 28.216,4 28.656,9 29.475,1 30.380,9
Italia 22.660,7 23.181,3 23.919,5 24.372,1 25.109,3 25.882,1
Abruzzo 72,3 71,1 68,4 70,0 70,0 69,8
Mezzogiorno 57,0 57,1 57,0 57,6 57,7 57,5
Centro-Nord 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
POPOLAZIONE 2006 2007 Var. 2006-07
Popolazione residente (migliaia di unità) 1.310,0 1.321,9 0,9
Tasso di incremento naturale (per 1.000 ab.) -1,3 -1,6
Tasso di natalità (per 1.000 ab.) 8,7 8,7
Tasso di mortalità (per 1.000 ab.) 10,0 10,3
Saldo migratorio Abruzzo (migliaia di unità) 6,7 14,3
Saldo migratorio Mezzogiorno (migliaia di unità) -24,9 45,7
MIGRAZIONI Media 2006 2007
2000-05
Saldo migratorio interno (migliaia di unità) -0,2 2,2 2,4
Mezzogiorno (migliaia di unità) -66,5 -49,8 -51,6
Principali regioni di destinazione (%) Lazio (33,9) e Lombardia (15,6)
Caratteristiche migranti più di 14 anni (2005)
- Diploma di scuola superiore (%) 39,7
- Laurea (%) 22,1
PENDOLARI 2007
Pendolari di lungo raggio verso il Centro-Nord (unità) 15.000
% sull'occupazione regionale 2,9
Pendolari totali (unità) 201.000
MERCATO DEL LAVORO 2006 2007
Tasso di disoccupazione (%) 6,5 6,2
Tasso di disoccupazione maschile (%) 4,6 3,9
Tasso di disoccupazione femminile (%) 9,5 9,8
Persone in cerca di occupazione (unità) 35.000 33.000
Tasso di occupazione (15-64 anni) totale (%) 57,6 57,8
Tasso di occupazione (15-64 anni) maschile (%) 70,4 71,4
Tasso di occupazione (15-64 anni) femminile (%) 44,7 44,1
Irregolari (unità) 61.000 60.000
Tasso di irregolarità (%) 11,8 11,6
Segue: REGIONE ABRUZZO
INFRASTRUTTURE (Indici Nazionali=100; ultimo anno disponibile) Abruzzo Mezzogiorno Centro-Nord
Porti 22,6 71,3 115,7
Aeroporti 53,2 80,5 110,7
Centri intermodali 1,2 1,1 156,1
Strade 122,3 101,6 98,9
Ferrovie 65,7 64,7 124,3
Rete elettrica 65,2 78,6 114,8
POVERTA' (dati 2005) Abruzzo Mezzogiorno Centro-Nord
Percentuale di famiglie con reddito < 12.000 euro 11,2 18,0 7,3
Famiglie con più di tre persone a carico (%) 7,9 13,9 4,1
Spesa media per abitazione (euro) 275 245 348
Rapporto spesa/reddito 12,3 12,8 14,0
Percentuale affittuari 12,5 19,1 17,8
Abitazione sprovvista di: Gabinetto interno (%) 0,0 0,3 0,4
Vasca/doccia (%) 0,6 1,3 0,5
Acqua calda (%) 0,5 0,9 0,5
INTERNAZIONALIZZAZIONE 2006 2007 Var. 2006-07
Esportazioni (milioni di euro)
Abruzzo 6.545,5 7.315,6 11,8
Mezzogiorno 36.763,9 41.099,7 11,8
Centro-Nord 288.994,1 311.102,6 7,7
2005 2006
Numero imprese a partecipazione estera (unità) 63 65
Valori percentuali (Italia=100) 0,9 0,9
Numero di addetti alle imprese a partecipazione estera (unità) 19.482 19.809
Valori percentuali (Italia=100) 2,2 2,3
Investimenti diretti esteri (migliaia di euro) 98.161
Valori percentuali (Italia=100) 0,06
Grado di multinazionalità 5,7
TURISMO 2006 2007 Var. 2006-07
Presenze turistiche totali 7.449,6 7.360,3 -1,2
Presenze turistiche straniere 994,9 986,8 -0,8
CRIMINALITA' 2006 2007
Percentuale famiglie con senso di rischio 17,1 23,8
2006 Var. 2005-06
Reati denunciati 50.590 3,2
Omicidi volontari 6 -40,0
Rapine 482 15,6
Estorsioni 128 -17,4
RISORSE UMANE E INNOVAZIONE Abruzzo Ue 27
Occupati nei settori ICT (% sul totale occupati) 12,3 15,5
Spesa in R & S (% del PIL) 1,1 1,8
Popolazione con laurea (%) 14,6 22,7
Dotazione nelle amministrazioni locali Italia
Personal computer per 100 dipendenti 80,9 74,7
Comuni dotati di rete locali - LAN (%) 85,1 90,9
PIL (variazione %)
PIL per abitante (valori assoluti a prezzi correnti)
PIL per abitante in % del Centro-Nord
REGIONE MOLISE
INDICATORI STRUTTURALI 2002 2003 2004 2005 2006 2007
Molise 0,6 -1,8 1,6 0,2 1,3 1,7
Mezzogiorno 0,4 -0,3 0,6 0,3 1,1 0,7
Centro-Nord 0,5 0,1 1,8 0,6 2,1 1,7
Italia 0,5 0,0 1,5 0,6 1,8 1,5
Molise 16.460,3 16.607,7 17.297,4 18.075,1 18.789,7 19.603,5
Mezzogiorno 15.260,2 15.621,5 16.082,0 16.501,1 17.019,4 17.482,8
Centro-Nord 26.781,6 27.365,8 28.216,4 28.656,9 29.475,1 30.380,9
Italia 22.660,7 23.181,3 23.919,5 24.372,1 25.109,3 25.882,1
Molise 61,5 60,7 61,3 63,1 63,7 64,5
Mezzogiorno 57,0 57,1 57,0 57,6 57,7 57,5
Centro-Nord 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
POPOLAZIONE 2006 2007 Var. 2006-07
Popolazione residente (migliaia di unità) 320,1 320,5 0,1
Tasso di incremento naturale (per 1.000 ab.) -3,0 -2,5
Tasso di natalità (per 1.000 ab.) 8,0 7,8
Tasso di mortalità (per 1.000 ab.) 11,0 10,3
Saldo migratorio Abruzzo (migliaia di unità) 0,3 1,2
Saldo migratorio Mezzogiorno (migliaia di unità) -24,9 45,7
MIGRAZIONI Media 2006 2007
2000-05
Saldo migratorio interno (migliaia di unità) -0,5 -0,2 0,0
Mezzogiorno (migliaia di unità) -66,5 -49,8 -51,6
Principali regioni di destinazione (%) Lazio (35,0) ed Emilia Romagna (18,2)
Caratteristiche migranti più di 14 anni (2005)
- Diploma di scuola superiore (%) 34,6
- Laurea (%) 27,3
PENDOLARI 2007
Pendolari di lungo raggio verso il Centro-Nord (unità) 4.000
% sull'occupazione regionale 3,4
Pendolari totali (unità) 43.000
MERCATO DEL LAVORO 2006 2007
Tasso di disoccupazione (%) 10,0 8,1
Tasso di disoccupazione maschile (%) 7,2 6,4
Tasso di disoccupazione femminile (%) 14,5 10,9
Persone in cerca di occupazione (unità) 12.000 10.000
Tasso di occupazione (15-64 anni) totale (%) 52,3 53,6
Tasso di occupazione (15-64 anni) maschile (%) 66,4 66,5
Tasso di occupazione (15-64 anni) femminile (%) 38,1 40,4
Irregolari (unità) 22.000 21.000
Tasso di irregolarità (%) 18,0 17,0
Segue: REGIONE MOLISE
INFRASTRUTTURE (Indici Nazionali=100) Molise Mezzogiorno Centro-Nord
Porti 43,3 71,3 115,7
Aeroporti 37,2 80,5 110,7
Centri intermodali 0,8 1,1 156,1
Strade 110,5 101,6 98,9
Ferrovie 41,2 64,7 124,3
Rete elettrica 32,4 78,6 114,8
POVERTA' (dati 2005) Molise Mezzogiorno Centro-Nord
Percentuale di famiglie con reddito < 12.000 euro 17,3 18,0 7,3
Famiglie con più di tre persone a carico (%) 7,6 13,9 4,1
Spesa media per abitazione (euro) 240 245 348
Rapporto spesa/reddito 12,1 12,8 14,0
Percentuale affittuari 11,1 19,1 17,8
Abitazione sprovvista di: Gabinetto interno (%) 0,0 0,3 0,4
Vasca/doccia (%) 0,6 1,3 0,5
Acqua calda (%) 0,3 0,9 0,5
INTERNAZIONALIZZAZIONE 2006 2007 Var. 2006-07
Esportazioni (milioni di euro)
Molise 613,8 628,4 2,4
Mezzogiorno 36.763,9 41.099,7 11,8
Centro-Nord 288.994,1 311.102,6 7,7
2005 2006
Numero imprese a partecipazione estera (unità) 7 5
Valori percentuali (Italia=100) 0,1 0,1
Numero di addetti alle imprese a partecipazione estera (unità) 351 222
Valori percentuali (Italia=100) 0,0 0,0
Investimenti diretti esteri (migliaia di euro) 21.313
Valori percentuali (Italia=100) 0,01
Grado di multinazionalità 0,6
TURISMO 2006 2007 Var. 2006-07
Presenze turistiche totali 742,5 654,2 -11,9
Presenze turistiche straniere 59,7 75,4 26,3
CRIMINALITA' 2006 2007
Percentuale famiglie con senso di rischio 6,6 12,0
2006 Var. 2005-06
Reati denunciati 8.518 13,3
Omicidi volontari 4 -20,0
Rapine 39 -9,3
Estorsioni 29 -19,4
RISORSE UMANE E INNOVAZIONE Molise Ue 27
Occupati nei settori ICT (% sul totale occupati) 11,4 15,5
Spesa in R & S (% del PIL) 0,4 1,8
Popolazione con laurea (%) 13,4 22,7
Dotazione nelle amministrazioni locali Italia
Personal computer per 100 dipendenti 86,8 74,7
Comuni dotati di rete locali - LAN (%) 78,6 90,9
PIL (variazione %)
PIL per abitante (valori assoluti a prezzi correnti)
PIL per abitante in % del Centro-Nord
REGIONE CAMPANIA
INDICATORI STRUTTURALI 2002 2003 2004 2005 2006 2007
Campania 2,1 -0,6 0,8 -1,6 0,3 0,5
Mezzogiorno 0,4 -0,3 0,6 0,3 1,1 0,7
Centro-Nord 0,5 0,1 1,8 0,6 2,1 1,7
Italia 0,5 0,0 1,5 0,6 1,8 1,5
Campania 14.764,0 15.025,8 15.542,1 15.796,4 16.154,0 16.547,9
Mezzogiorno 15.260,2 15.621,5 16.082,0 16.501,1 17.019,4 17.482,8
Centro-Nord 26.781,6 27.365,8 28.216,4 28.656,9 29.475,1 30.380,9
Italia 22.660,7 23.181,3 23.919,5 24.372,1 25.109,3 25.882,1
Campania 55,1 54,9 55,1 55,1 54,8 54,5
Mezzogiorno 57,0 57,1 57,0 57,6 57,7 57,5
Centro-Nord 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
POPOLAZIONE 2006 2007 Var. 2006-07
Popolazione residente (migliaia di unità) 5.790,2 5.816,6 0,5
Tasso di incremento naturale (per 1.000 ab.) 2,7 2,6
Tasso di natalità (per 1.000 ab.) 10,8 10,7
Tasso di mortalità (per 1.000 ab.) 8,1 8,1
Saldo migratorio Abruzzo (migliaia di unità) -16,2 11,6
Saldo migratorio Mezzogiorno (migliaia di unità) -24,9 45,7
MIGRAZIONI Media 2006 2007
2000-05
Saldo migratorio interno (migliaia di unità) -24,9 -25,5 -25,2
Mezzogiorno (migliaia di unità) -66,5 -49,8 -51,6
Principali regioni di destinazione (%) Emilia Romagna (20,7) e Lazio (20,5)
Caratteristiche migranti più di 14 anni (2005)
- Diploma di scuola superiore (%) 36,5
- Laurea (%) 14,2
PENDOLARI 2007 % su (A)
Pendolari di lungo raggio verso il Centro-Nord (unità) (A) 50.000
% sull'occupazione regionale 2,9
Pendolari totali (unità) 629.000
Pendolari di età 25-44 anni 32.000 63,9
In possesso di titolo di studio medio-alto 34.000 68,4
Impiegati nel settore dei servizi 31.000 62,3
Con professionalità alta 23.000 46,4
Dipendenti con contratto a termine 13.000 27,1
MERCATO DEL LAVORO 2006 2007
Tasso di disoccupazione (%) 12,9 11,2
Tasso di disoccupazione maschile (%) 10,3 9,5
Tasso di disoccupazione femminile (%) 17,9 14,6
Persone in cerca di occupazione (unità) 256.000 217.000
Tasso di occupazione (15-64 anni) totale (%) 44,1 43,7
Tasso di occupazione (15-64 anni) maschile (%) 60,1 59,9
Tasso di occupazione (15-64 anni) femminile (%) 28,5 27,9
Irregolari (unità) 373.000 344.000
Tasso di irregolarità (%) 20,7 19,0
Segue: REGIONE CAMPANIA
INFRASTRUTTURE (Indici Nazionali=100) Campania Mezzogiorno Centro-Nord
Porti 33,7 71,3 115,7
Aeroporti 24,2 80,5 110,7
Centri intermodali 1,5 1,1 156,1
Strade 134,4 101,6 98,9
Ferrovie 169,9 64,7 124,3
Rete elettrica 137,5 78,6 114,8
POVERTA' (dati 2005) Campania Mezzogiorno Centro-Nord
Percentuale di famiglie con reddito < 12.000 euro 17,6 18,0 7,3
Famiglie con più di tre persone a carico (%) 18,5 13,9 4,1
Spesa media per abitazione (euro) 267 245 348
Rapporto spesa/reddito 13,6 12,8 14,0
Percentuale affittuari 27,7 19,1 17,8
Abitazione sprovvista di: Gabinetto interno (%) 0,5 0,3 0,4
Vasca/doccia (%) 1,1 1,3 0,5
Acqua calda (%) 0,7 0,9 0,5
INTERNAZIONALIZZAZIONE 2006 2007 Var. 2006-07
Esportazioni (milioni di euro)
Campania 8.392,0 9.303,1 10,9
Mezzogiorno 36.763,9 41.099,7 11,8
Centro-Nord 288.994,1 311.102,6 7,7
2005 2006
Numero imprese a partecipazione estera (unità) 89 101
Valori percentuali (Italia=100) 1,3 1,4
Numero di addetti alle imprese a partecipazione estera (unità) 11.326 9.472
Valori percentuali (Italia=100) 1,3 1,1
Investimenti diretti esteri (migliaia di euro) 245.991
Valori percentuali (Italia=100) 0,16
Grado di multinazionalità 1,1
TURISMO 2006 2007 Var. 2006-07
Presenze turistiche totali 19.145,9 19.774,7 3,3
Presenze turistiche straniere 8.155,8 8.373,4 2,7
CRIMINALITA' 2006 2007
Percentuale famiglie con senso di rischio 51,3 53,9
2006 Var. 2005-06
Reati denunciati 229.375 6,9
Omicidi volontari 140 9,4
Rapine 17.144 8,5
Estorsioni 1.102 15,3
RISORSE UMANE E INNOVAZIONE Campania Ue 27
Occupati nei settori ICT (% sul totale occupati) 11,0 15,5
Spesa in R & S (% del PIL) 1,1 1,8
Popolazione con laurea (%) 11,2 22,7
Dotazione nelle amministrazioni locali Italia
Personal computer per 100 dipendenti 52,5 74,7
Comuni dotati di rete locali - LAN (%) 89,3 90,9
PIL (variazione %)
PIL per abitante (valori assoluti a prezzi correnti)
PIL per abitante in % del Centro-Nord
REGIONE PUGLIA
INDICATORI STRUTTURALI 2002 2003 2004 2005 2006 2007
Puglia -0,5 -1,0 1,4 0,6 1,8 2,0
Mezzogiorno 0,4 -0,3 0,6 0,3 1,1 0,7
Centro-Nord 0,5 0,1 1,8 0,6 2,1 1,7
Italia 0,5 0,0 1,5 0,6 1,8 1,5
Puglia 14.962,2 15.284,0 15.702,1 16.022,6 16.656,6 17.355,8
Mezzogiorno 15.260,2 15.621,5 16.082,0 16.501,1 17.019,4 17.482,8
Centro-Nord 26.781,6 27.365,8 28.216,4 28.656,9 29.475,1 30.380,9
Italia 22.660,7 23.181,3 23.919,5 24.372,1 25.109,3 25.882,1
Puglia 55,9 55,9 55,6 55,9 56,5 57,1
Mezzogiorno 57,0 57,1 57,0 57,6 57,7 57,5
Centro-Nord 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
POPOLAZIONE 2006 2007 Var. 2006-07
Popolazione residente (migliaia di unità) 4.069,9 4.075,0 0,1
Tasso di incremento naturale (per 1.000 ab.) 1,3 1,1
Tasso di natalità (per 1.000 ab.) 9,4 9,1
Tasso di mortalità (per 1.000 ab.) 8,1 8,0
Saldo migratorio Abruzzo (migliaia di unità) -6,9 0,8
Saldo migratorio Mezzogiorno (migliaia di unità) -24,9 45,7
MIGRAZIONI Media 2006 2007
2000-05
Saldo migratorio interno (migliaia di unità) -12,3 -9,8 -9,9
Mezzogiorno (migliaia di unità) -66,5 -49,8 -51,6
Principali regioni di destinazione (%)
Caratteristiche migranti più di 14 anni (2005)
- Diploma di scuola superiore (%) 37,3
- Laurea (%) 19,2
PENDOLARI 2007 % su (A)
Pendolari di lungo raggio verso il Centro-Nord (unità) (A) 27.000
% sull'occupazione regionale 2,1
Pendolari totali (unità) 391.000
Pendolari di età 25-44 anni 17.000 63,9
In possesso di titolo di studio medio-alto 17.000 61,8
Impiegati nel settore dei servizi 18.000 68,8
Con professionalità alta 13.000 49,8
Dipendenti con contratto a termine 9.000 35,2
MERCATO DEL LAVORO 2006 2007
Tasso di disoccupazione (%) 12,8 11,2
Tasso di disoccupazione maschile (%) 10,3 9,0
Tasso di disoccupazione femminile (%) 17,7 15,5
Persone in cerca di occupazione (unità) 184.000 161.000
Tasso di occupazione (15-64 anni) totale (%) 45,7 46,7
Tasso di occupazione (15-64 anni) maschile (%) 63,4 63,7
Tasso di occupazione (15-64 anni) femminile (%) 28,5 30,0
Irregolari (unità) 217.000 225.000
Tasso di irregolarità (%) 16,2 16,4
Segue: REGIONE PUGLIA
INFRASTRUTTURE (Indici Nazionali=100) Puglia Mezzogiorno Centro-Nord
Porti 207,6 71,3 115,7
Aeroporti 81,3 80,5 110,7
Centri intermodali 1,4 1,1 156,1
Strade 100,4 101,6 98,9
Ferrovie 82,0 64,7 124,3
Rete elettrica 88,1 78,6 114,8
POVERTA' (dati 2005) Puglia Mezzogiorno Centro-Nord
Percentuale di famiglie con reddito < 12.000 euro 16,7 18,0 7,3
Famiglie con più di tre persone a carico (%) 13,9 13,9 4,1
Spesa media per abitazione (euro) 252 245 348
Rapporto spesa/reddito 13,2 12,8 14,0
Percentuale affittuari 19,7 19,1 17,8
Abitazione sprovvista di: Gabinetto interno (%) 0,2 0,3 0,4
Vasca/doccia (%) 2,0 1,3 0,5
Acqua calda (%) 0,7 0,9 0,5
INTERNAZIONALIZZAZIONE 2006 2007 Var. 2006-07
Esportazioni (milioni di euro)
Puglia 6.877,9 7.122,0 3,5
Mezzogiorno 36.763,9 41.099,7 11,8
Centro-Nord 288.994,1 311.102,6 7,7
2005 2006
Numero imprese a partecipazione estera (unità) 47 41
Valori percentuali (Italia=100) 0,7 0,6
Numero di addetti alle imprese a partecipazione estera (unità) 6.898 6.977
Valori percentuali (Italia=100) 0,8 0,8
Investimenti diretti esteri (migliaia di euro) 247.269
Valori percentuali (Italia=100) 0,16
Grado di multinazionalità 0,9
TURISMO 2006 2007 Var. 2006-07
Presenze turistiche totali 10.320,8 10.605,3 2,8
Presenze turistiche straniere 1.497,4 1.548,4 3,4
CRIMINALITA' 2006 2007
Percentuale famiglie con senso di rischio 34,2 35,5
2006 Var. 2005-06
Reati denunciati 146.252 2,8
Omicidi volontari 33 -5,7
Rapine 2.005 -14,8
Estorsioni 571 -10,1
RISORSE UMANE E INNOVAZIONE Puglia Ue 27
Occupati nei settori ICT (% sul totale occupati) 9,4 15,5
Spesa in R & S (% del PIL) 0,6 1,8
Popolazione con laurea (%) 10,5 22,7
Dotazione nelle amministrazioni locali Italia
Personal computer per 100 dipendenti 74,6 74,7
Comuni dotati di rete locali - LAN (%) 94,3 90,9
PIL (variazione %)
PIL per abitante (valori assoluti a prezzi correnti)
PIL per abitante in % del Centro-Nord
Lombardia (24,7) ed Emilia Romagna(23,8)
REGIONE BASILICATA
INDICATORI STRUTTURALI 2002 2003 2004 2005 2006 2007
Basilicata 0,8 -1,5 1,3 -0,3 1,7 1,5
Mezzogiorno 0,4 -0,3 0,6 0,3 1,1 0,7
Centro-Nord 0,5 0,1 1,8 0,6 2,1 1,7
Italia 0,5 0,0 1,5 0,6 1,8 1,5
Basilicata 15.731,6 16.011,5 16.672,9 17.094,3 17.857,7 18.654,1
Mezzogiorno 15.260,2 15.621,5 16.082,0 16.501,1 17.019,4 17.482,8
Centro-Nord 26.781,6 27.365,8 28.216,4 28.656,9 29.475,1 30.380,9
Italia 22.660,7 23.181,3 23.919,5 24.372,1 25.109,3 25.882,1
Basilicata 58,7 58,5 59,1 59,7 60,6 61,4
Mezzogiorno 57,0 57,1 57,0 57,6 57,7 57,5
Centro-Nord 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
POPOLAZIONE 2006 2007 Var. 2006-07
Popolazione residente (migliaia di unità) 591,3 590,0 -0,2
Tasso di incremento naturale (per 1.000 ab.) -1,1 -1,4
Tasso di natalità (per 1.000 ab.) 8,3 8,1
Tasso di mortalità (per 1.000 ab.) 9,4 9,5
Saldo migratorio Abruzzo (migliaia di unità) -2,0 -0,5
Saldo migratorio Mezzogiorno (migliaia di unità) -24,9 45,7
MIGRAZIONI Media 2006 2007
2000-05
Saldo migratorio interno (migliaia di unità) -2,0 -2,1 -2,2
Mezzogiorno (migliaia di unità) -66,5 -49,8 -51,6
Principali regioni di destinazione (%)
Caratteristiche migranti più di 14 anni (2005)
- Diploma di scuola superiore (%) 38,1
- Laurea (%) 20,2
PENDOLARI 2007
Pendolari di lungo raggio verso il Centro-Nord (unità) 7.000
% sull'occupazione regionale 3,5
Pendolari totali (unità) 64.000
MERCATO DEL LAVORO 2006 2007
Tasso di disoccupazione (%) 10,5 9,5
Tasso di disoccupazione maschile (%) 7,9 6,3
Tasso di disoccupazione femminile (%) 15,2 15,3
Persone in cerca di occupazione (unità) 23.000 21.000
Tasso di occupazione (15-64 anni) totale (%) 50,3 49,6
Tasso di occupazione (15-64 anni) maschile (%) 66,2 64,9
Tasso di occupazione (15-64 anni) femminile (%) 34,3 34,1
Irregolari (unità) 46.000 43.000
Tasso di irregolarità (%) 20,6 19,2
Segue: REGIONE BASILICATA
INFRASTRUTTURE (Indici Nazionali=100) Basilicata Mezzogiorno Centro-Nord
Porti 0,0 71,3 115,7
Aeroporti 31,3 80,5 110,7
Centri intermodali 0,7 1,1 156,1
Strade 92,7 101,6 98,9
Ferrovie 34,8 64,7 124,3
Rete elettrica 61,1 78,6 114,8
POVERTA' (dati 2005) Basilicata Mezzogiorno Centro-Nord
Percentuale di famiglie con reddito < 12.000 euro 18,0 18,0 7,3
Famiglie con più di tre persone a carico (%) 9,6 13,9 4,1
Spesa media per abitazione (euro) 239 245 348
Rapporto spesa/reddito 13,1 12,8 14,0
Percentuale affittuari 14,9 19,1 17,8
Abitazione sprovvista di: Gabinetto interno (%) 0,1 0,3 0,4
Vasca/doccia (%) 0,7 1,3 0,5
Acqua calda (%) 1,3 0,9 0,5
INTERNAZIONALIZZAZIONE 2006 2007 Var. 2006-07
Esportazioni (milioni di euro)
Basilicata 1.721,6 2.096,0 21,7
Mezzogiorno 36.763,9 41.099,7 11,8
Centro-Nord 288.994,1 311.102,6 7,7
2005 2006
Numero imprese a partecipazione estera (unità) 21 18
Valori percentuali (Italia=100) 0,3 0,3
Numero di addetti alle imprese a partecipazione estera (unità) 6.093 1.107
Valori percentuali (Italia=100) 0,7 0,1
Investimenti diretti esteri (migliaia di euro) 246.100
Valori percentuali (Italia=100) 0,16
Grado di multinazionalità 5,3
TURISMO 2006 2007 Var. 2006-07
Presenze turistiche totali 1.743,7 1.856,8 6,5
Presenze turistiche straniere 174,1 188,7 8,4
CRIMINALITA' 2006 2007
Percentuale famiglie con senso di rischio 11,2 9,7
2006 Var. 2005-06
Reati denunciati 12.720 13,4
Omicidi volontari 4 -20,0
Rapine 40 -32,2
Estorsioni 41 -26,8
RISORSE UMANE E INNOVAZIONE Basilicata Ue 27
Occupati nei settori ICT (% sul totale occupati) 10,0 15,5
Spesa in R & S (% del PIL) 0,5 1,8
Popolazione con laurea (%) 11,4 22,7
Dotazione nelle amministrazioni locali Italia
Personal computer per 100 dipendenti 80,3 74,7
Comuni dotati di rete locali - LAN (%) 96,2 90,9
PIL (variazione %)
PIL per abitante (valori assoluti a prezzi correnti)
PIL per abitante in % del Centro-Nord
Lombardia (24,3) ed Emilia Romagna(22,3)
REGIONE CALABRIA
INDICATORI STRUTTURALI 2002 2003 2004 2005 2006 2007
Calabria -0,2 1,3 1,9 -3,1 2,4 -1,0
Mezzogiorno 0,4 -0,3 0,6 0,3 1,1 0,7
Centro-Nord 0,5 0,1 1,8 0,6 2,1 1,7
Italia 0,5 0,0 1,5 0,6 1,8 1,5
Calabria 14.226,9 14.773,2 15.464,5 15.780,4 16.518,0 16.652,1
Mezzogiorno 15.260,2 15.621,5 16.082,0 16.501,1 17.019,4 17.482,8
Centro-Nord 26.781,6 27.365,8 28.216,4 28.656,9 29.475,1 30.380,9
Italia 22.660,7 23.181,3 23.919,5 24.372,1 25.109,3 25.882,1
Calabria 53,1 54,0 54,8 55,1 56,0 54,8
Mezzogiorno 57,0 57,1 57,0 57,6 57,7 57,5
Centro-Nord 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
POPOLAZIONE 2006 2007 Var. 2006-07
Popolazione residente (migliaia di unità) 1.998,0 2.004,7 0,3
Tasso di incremento naturale (per 1.000 ab.) 0,3 0,3
Tasso di natalità (per 1.000 ab.) 9,1 9,0
Tasso di mortalità (per 1.000 ab.) 8,8 8,7
Saldo migratorio Abruzzo (migliaia di unità) -7,2 6,2
Saldo migratorio Mezzogiorno (migliaia di unità) -24,9 45,7
MIGRAZIONI Media 2006 2007
2000-05
Saldo migratorio interno (migliaia di unità) -9,2 -7,8 -7,9
Mezzogiorno (migliaia di unità) -66,5 -49,8 -51,6
Principali regioni di destinazione (%)
Caratteristiche migranti più di 14 anni (2005)
- Diploma di scuola superiore (%) 34,5
- Laurea (%) 21,6
PENDOLARI 2007
Pendolari di lungo raggio verso il Centro-Nord (unità) 13.000
% sull'occupazione regionale 2,1
Pendolari totali (unità) 187.000
MERCATO DEL LAVORO 2006 2007
Tasso di disoccupazione (%) 12,9 11,2
Tasso di disoccupazione maschile (%) 11,2 9,4
Tasso di disoccupazione femminile (%) 15,9 14,5
Persone in cerca di occupazione (unità) 91.000 76.000
Tasso di occupazione (15-64 anni) totale (%) 45,6 44,9
Tasso di occupazione (15-64 anni) maschile (%) 59,5 58,9
Tasso di occupazione (15-64 anni) femminile (%) 31,8 31,0
Irregolari (unità) 181.000 171.000
Tasso di irregolarità (%) 27,2 26,0
Segue: REGIONE CALABRIA
INFRASTRUTTURE (Indici Nazionali=100) Calabria Mezzogiorno Centro-Nord
Porti 46,4 71,3 115,7
Aeroporti 116,6 80,5 110,7
Centri intermodali 0,6 1,1 156,1
Strade 122,0 101,6 98,9
Ferrovie 82,4 64,7 124,3
Rete elettrica 67,0 78,6 114,8
POVERTA' (dati 2005) Calabria Mezzogiorno Centro-Nord
Percentuale di famiglie con reddito < 12.000 euro 19,1 18,0 7,3
Famiglie con più di tre persone a carico (%) 11,1 13,9 4,1
Spesa media per abitazione (euro) 228 245 348
Rapporto spesa/reddito 12,0 12,8 14,0
Percentuale affittuari 14,5 19,1 17,8
Abitazione sprovvista di: Gabinetto interno (%) 0,4 0,3 0,4
Vasca/doccia (%) 1,5 1,3 0,5
Acqua calda (%) 1,2 0,9 0,5
INTERNAZIONALIZZAZIONE 2006 2007 Var. 2006-07
Esportazioni (milioni di euro)
Calabria 329,0 427,9 30,1
Mezzogiorno 36.763,9 41.099,7 11,8
Centro-Nord 288.994,1 311.102,6 7,7
2005 2006
Numero imprese a partecipazione estera (unità) 16 15
Valori percentuali (Italia=100) 0,2 0,2
Numero di addetti alle imprese a partecipazione estera (unità) 1.280 1.267
Valori percentuali (Italia=100) 0,1 0,1
Investimenti diretti esteri (migliaia di euro) 29.963
Valori percentuali (Italia=100) 0,02
Grado di multinazionalità 0,4
TURISMO 2006 2007 Var. 2006-07
Presenze turistiche totali 8.155,1 8.687,4 6,5
Presenze turistiche straniere 1.479,2 1.520,4 2,8
CRIMINALITA' 2006 2007
Percentuale famiglie con senso di rischio 26,6 22,2
2006 Var. 2005-06
Reati denunciati 73.529 4,7
Omicidi volontari 61 -11,6
Rapine 655 -14,7
Estorsioni 393 12,0
RISORSE UMANE E INNOVAZIONE Calabria Ue 27
Occupati nei settori ICT (% sul totale occupati) 11,7 15,5
Spesa in R & S (% del PIL) 0,4 1,8
Popolazione con laurea (%) 12,3 22,7
Dotazione nelle amministrazioni locali Italia
Personal computer per 100 dipendenti 68,9 74,7
Comuni dotati di rete locali - LAN (%) 77,5 90,9
PIL (variazione %)
PIL per abitante (valori assoluti a prezzi correnti)
PIL per abitante in % del Centro-Nord
Lombardia (29,3) ed Emilia Romagna(16,8)
REGIONE SICILIA
INDICATORI STRUTTURALI 2002 2003 2004 2005 2006 2007
Sicilia -0,3 -0,2 0,0 2,4 0,2 0,1
Mezzogiorno 0,4 -0,3 0,6 0,3 1,1 0,7
Centro-Nord 0,5 0,1 1,8 0,6 2,1 1,7
Italia 0,5 0,0 1,5 0,6 1,8 1,5
Sicilia 14.662,2 15.053,9 15.451,1 16.054,2 16.439,9 16.789,3
Mezzogiorno 15.260,2 15.621,5 16.082,0 16.501,1 17.019,4 17.482,8
Centro-Nord 26.781,6 27.365,8 28.216,4 28.656,9 29.475,1 30.380,9
Italia 22.660,7 23.181,3 23.919,5 24.372,1 25.109,3 25.882,1
Sicilia 54,7 55,0 54,8 56,0 55,8 55,3
Mezzogiorno 57,0 57,1 57,0 57,6 57,7 57,5
Centro-Nord 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
POPOLAZIONE 2006 2007 Var. 2006-07
Popolazione residente (migliaia di unità) 5.016,9 5.026,1 0,2
Tasso di incremento naturale (per 1.000 ab.) 0,8 0,5
Tasso di natalità (per 1.000 ab.) 10,0 9,8
Tasso di mortalità (per 1.000 ab.) 9,2 9,3
Saldo migratorio Abruzzo (migliaia di unità) -4,0 7,0
Saldo migratorio Mezzogiorno (migliaia di unità) -24,9 45,7
MIGRAZIONI Media 2006 2007
2000-05
Saldo migratorio interno (migliaia di unità) -15,6 -7,5 -9,2
Mezzogiorno (migliaia di unità) -66,5 -49,8 -51,6
Principali regioni di destinazione (%)
Caratteristiche migranti più di 14 anni (2005)
- Diploma di scuola superiore (%) 33,5
- Laurea (%) 12,2
PENDOLARI 2007 % su (A)
Pendolari di lungo raggio verso il Centro-Nord (unità) (A) 28.000
% sull'occupazione regionale 1,9
Pendolari totali (unità) 370.000
Pendolari di età 25-44 anni 21.000 73,4
In possesso di titolo di studio medio-alto 22.000 75,0
Impiegati nel settore dei servizi 21.000 72,9
Con professionalità alta 15.000 51,7
Dipendenti con contratto a termine 10.000 34,4
MERCATO DEL LAVORO 2006 2007
Tasso di disoccupazione (%) 13,5 13,0
Tasso di disoccupazione maschile (%) 11,2 10,6
Tasso di disoccupazione femminile (%) 17,8 17,3
Persone in cerca di occupazione (unità) 235.000 222.000
Tasso di occupazione (15-64 anni) totale (%) 45,0 44,6
Tasso di occupazione (15-64 anni) maschile (%) 61,1 60,7
Tasso di occupazione (15-64 anni) femminile (%) 29,6 29,0
Irregolari (unità) 340.000 317.000
Tasso di irregolarità (%) 22,0 20,5
Segue: REGIONE SICILIA
INFRASTRUTTURE (Indici Nazionali=100) Sicilia Mezzogiorno Centro-Nord
Porti 34,8 71,3 115,7
Aeroporti 99,6 80,5 110,7
Centri intermodali 0,8 1,1 156,1
Strade 95,3 101,6 98,9
Ferrovie 57,4 64,7 124,3
Rete elettrica 95,3 78,6 114,8
POVERTA' (dati 2005) Sicilia Mezzogiorno Centro-Nord
Percentuale di famiglie con reddito < 12.000 euro 22,7 18,0 7,3
Famiglie con più di tre persone a carico (%) 14,7 13,9 4,1
Spesa media per abitazione (euro) 217 245 348
Rapporto spesa/reddito 12,4 12,8 14,0
Percentuale affittuari 16,6 19,1 17,8
Abitazione sprovvista di: Gabinetto interno (%) 0,0 0,3 0,4
Vasca/doccia (%) 1,4 1,3 0,5
Acqua calda (%) 1,5 0,9 0,5
INTERNAZIONALIZZAZIONE 2006 2007 Var. 2006-07
Esportazioni (milioni di euro)
Sicilia 7.947,9 9.523,4 19,8
Mezzogiorno 36.763,9 41.099,7 11,8
Centro-Nord 288.994,1 311.102,6 7,7
2005 2006
Numero imprese a partecipazione estera (unità) 45 47
Valori percentuali (Italia=100) 0,6 0,7
Numero di addetti alle imprese a partecipazione estera (unità) 2.138 2.151
Valori percentuali (Italia=100) 0,2 0,3
Investimenti diretti esteri (migliaia di euro) 30.135
Valori percentuali (Italia=100) 0,02
Grado di multinazionalità 0,3
TURISMO 2006 2007 Var. 2006-07
Presenze turistiche totali 14.574,5 14.590,7 0,1
Presenze turistiche straniere 5.705,5 5.920,1 3,8
CRIMINALITA' 2006 2007
Percentuale famiglie con senso di rischio 24,9 27,7
2006 Var. 2005-06
Reati denunciati 186.223 9,9
Omicidi volontari 62 -11,4
Rapine 4.745 22,2
Estorsioni 585 -12,4
RISORSE UMANE E INNOVAZIONE Sicilia Ue 27
Occupati nei settori ICT (% sul totale occupati) 10,9 15,5
Spesa in R & S (% del PIL) 0,8 1,8
Popolazione con laurea (%) 10,8 22,7
Dotazione nelle amministrazioni locali Italia
Personal computer per 100 dipendenti 51,8 74,7
Comuni dotati di rete locali - LAN (%) 90,4 90,9
PIL (variazione %)
PIL per abitante (valori assoluti a prezzi correnti)
PIL per abitante in % del Centro-Nord
Lombardia (30,1) ed Emilia Romagna(17,1)
REGIONE SARDEGNA
INDICATORI STRUTTURALI 2002 2003 2004 2005 2006 2007
Sardegna -0,5 2,7 0,9 2,5 2,0 1,3
Mezzogiorno 0,4 -0,3 0,6 0,3 1,1 0,7
Centro-Nord 0,5 0,1 1,8 0,6 2,1 1,7
Italia 0,5 0,0 1,5 0,6 1,8 1,5
Sardegna 17.226,5 17.975,7 18.596,4 19.062,9 19.794,4 20.391,0
Mezzogiorno 15.260,2 15.621,5 16.082,0 16.501,1 17.019,4 17.482,8
Centro-Nord 26.781,6 27.365,8 28.216,4 28.656,9 29.475,1 30.380,9
Italia 22.660,7 23.181,3 23.919,5 24.372,1 25.109,3 25.882,1
Sardegna 64,3 65,7 65,9 66,5 67,2 67,1
Mezzogiorno 57,0 57,1 57,0 57,6 57,7 57,5
Centro-Nord 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
POPOLAZIONE 2006 2007 Var. 2006-07
Popolazione residente (migliaia di unità) 1.659,4 1.664,0 0,3
Tasso di incremento naturale (per 1.000 ab.) -0,3 -0,3
Tasso di natalità (per 1.000 ab.) 8,0 8,1
Tasso di mortalità (per 1.000 ab.) 8,3 8,4
Saldo migratorio Abruzzo (migliaia di unità) 4,3 5,1
Saldo migratorio Mezzogiorno (migliaia di unità) -24,9 45,7
MIGRAZIONI Media 2006 2007
2000-05
Saldo migratorio interno (migliaia di unità) -1,8 1,7 0,3
Mezzogiorno (migliaia di unità) -66,5 -49,8 -51,6
Principali regioni di destinazione (%) Lombardia (24,6) e Lazio (15,5)
Caratteristiche migranti più di 14 anni (2005)
- Diploma di scuola superiore (%) 34,6
- Laurea (%) 13,9
PENDOLARI 2007
Pendolari di lungo raggio verso il Centro-Nord (unità) 8.000
% sull'occupazione regionale 1,2
Pendolari totali (unità) 204.000
MERCATO DEL LAVORO 2006 2007
Tasso di disoccupazione (%) 10,8 9,9
Tasso di disoccupazione maschile (%) 8,5 7,2
Tasso di disoccupazione femminile (%) 14,6 14,2
Persone in cerca di occupazione (unità) 74.000 67.000
Tasso di occupazione (15-64 anni) totale (%) 52,3 52,8
Tasso di occupazione (15-64 anni) maschile (%) 66,2 66,4
Tasso di occupazione (15-64 anni) femminile (%) 38,2 39,0
Irregolari (unità) 131.000 123.000
Tasso di irregolarità (%) 21,4 19,8
Segue: REGIONE SARDEGNA
INFRASTRUTTURE (Indici Nazionali=100) Sardegna Mezzogiorno Centro-Nord
Porti 77,8 71,3 115,7
Aeroporti 239,3 80,5 110,7
Centri intermodali 1,0 1,1 156,1
Strade 71,0 101,6 98,9
Ferrovie 4,6 64,7 124,3
Rete elettrica 48,9 78,6 114,8
POVERTA' (dati 2005) Sardegna Mezzogiorno Centro-Nord
Percentuale di famiglie con reddito < 12.000 euro 11,9 18,0 7,3
Famiglie con più di tre persone a carico (%) 7,4 13,9 4,1
Spesa media per abitazione (euro) 248 245 348
Rapporto spesa/reddito 11,7 12,8 14,0
Percentuale affittuari 11,9 19,1 17,8
Abitazione sprovvista di: Gabinetto interno (%) 0,8 0,3 0,4
Vasca/doccia (%) 0,3 1,3 0,5
Acqua calda (%) 0,6 0,9 0,5
INTERNAZIONALIZZAZIONE 2006 2007 Var. 2006-07
Esportazioni (milioni di euro)
Sardegna 4.336,1 4.683,3 8,0
Mezzogiorno 36.763,9 41.099,7 11,8
Centro-Nord 288.994,1 311.102,6 7,7
2005 2006
Numero imprese a partecipazione estera (unità) 28 26
Valori percentuali (Italia=100) 0,4 0,4
Numero di addetti alle imprese a partecipazione estera (unità) 6.194 5.890
Valori percentuali (Italia=100) 0,7 0,7
Investimenti diretti esteri (migliaia di euro) 97.674
Valori percentuali (Italia=100) 0,06
Grado di multinazionalità 1,8
TURISMO 2006 2007 Var. 2006-07
Presenze turistiche totali 10.530,9 11.851,2 12,5
Presenze turistiche straniere 3.241,8 3.859,4 19,1
CRIMINALITA' 2006 2007
Percentuale famiglie con senso di rischio 15,5 18,6
2006 Var. 2005-06
Reati denunciati 55.106 3,3
Omicidi volontari 20 -16,7
Rapine 524 12,9
Estorsioni 119 21,4
RISORSE UMANE E INNOVAZIONE Sardegna Ue 27
Occupati nei settori ICT (% sul totale occupati) 9,3 15,5
Spesa in R & S (% del PIL) 0,7 1,8
Popolazione con laurea (%) 10,4 22,7
Dotazione nelle amministrazioni locali Italia
Personal computer per 100 dipendenti 97,7 74,7
Comuni dotati di rete locali - LAN (%) 94,4 90,9
PIL (variazione %)
PIL per abitante (valori assoluti a prezzi correnti)
PIL per abitante in % del Centro-Nord