Argomento: 
Data: 
18 Luglio 2008
Descrizione breve: 
Lo SVIMEZ, Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, mette in luce le condizioni economico industriali del tanto dibattuto MEZZOGIORNO italiano.
Contenuto nascosto: 
SVIMEZ/00_com_stampa.pdf � � � � � ������������ ���� ��� ��� �•���������� ��•������� ��������•������ ����������•� Roma,18 luglio 2008 SVIMEZ, IL NON-SISTEMA MEZZOGIORNO, PERIFERIA DELL’EUROPA PIL A +0,7%, IN TESTA PUGLIA, MOLISE E BASILICATA DISOCCUPAZIONE IN CALO, MA IL TASSO REALE SUPERA IL 20% Un Mezzogiorno che non riesce a tenere il lento passo dell’economia settentrionale, e che da sei anni consecutivi cresce meno del Centro-Nord. Un’area periferica, un non-sistema infrastrutturale socialmente statico, dove cresce il rischio di povertà e dove i disoccupati scompaiono dalle statistiche: questa la fotografia che emerge dal Rapporto sull’economia del Mezzogiorno 2008 in presentazione a Roma venerdì 18 luglio. Nel 2007 il Sud è cresciuto dello 0,7%, un punto di meno rispetto al Centro-Nord e in calo di 0,4 punti percentuali rispetto allo scorso anno. Il PIL per abitante è pari a 17.482 euro, il 57,5% del Centro-Nord (30.380 euro), da cui lo separa una differenza di oltre 42 punti percentuali, pari a circa 13mila euro. In termini di crescita, tutte le regioni registrano segni positivi, tranne la Calabria. In testa alle regioni del Mezzogiorno la Puglia (2%), seguita da Molise (+1,7%), Basilicata (+1,5%) e Sardegna (+1,3%). Quasi ferme Campania (+0,5%) e Sicilia (+0,1%). A livello settoriale si registra nell’area una tenuta del sistema industriale, cui corrisponde però un forte rallentamento dei servizi: tra il 2001 e il 2007 il settore nel Mezzogiorno è cresciuto dello 0,8% contro l’1,7% dell’altra ripartizione; anche nel 2007 ha registrato una crescita pari a un quarto di quella del Centro-Nord. Due le cause principali del fenomeno: investimenti che rallentano, famiglie che non consumano. Rilevante infatti il rallentamento degli investimenti fissi lordi dell’area (che hanno fatto segnare nel 2007 un timido +0,5% a fronte del + 2,4% dell’anno precedente), che testimonia il peggioramento del clima di fiducia delle imprese. Sulla stessa linea la spesa delle famiglie meridionali, ferma al +0,8%, circa la metà di quella del Centro-Nord (+1,5%). Da sette anni la dinamica dei consumi interni è poco più che stagnante (+0,5%), a conferma delle difficoltà delle famiglie meridionali a sostenere il livello di spesa. IL MEZZOGIORNO CRESCE MENO DELLE ALTRE AREE DEBOLI UE Il quadro diventa sconsolante se confrontato con le dinamiche economiche degli altri paesi europei. Dal 2000 al 2007 il tasso di crescita dell’economia meridionale è stato del 2%, un dato molto lontano da quello spagnolo (+4,9%), irlandese (+5,5%) e greco (+6,2%). In questi paesi sono state proprio le aree deboli, per molti anni ai margini delle direttrici economiche europee, a rilanciare i processi di crescita interni, come ha dimostrato il sorpasso spagnolo. � � � � � ������������ ���� ��� ��� �•���������� ��•������� ��������•������ ����������•� OCCUPAZIONE A CRESCITA ZERO - CONTINUA LA SCOMPARSA DEI DISOCCUPATI – IL TASSO DI DISOCCUPAZIONE REALE AL SUD SAREBBE DI OLTRE IL 28% Come negli scorsi anni, continua il calo dei disoccupati: meno 66mila al Centro-Nord e ben meno 101mila al Sud, con una flessione rispetto all’anno precedente rispettivamente dell’8,6% e addirittura dell’11,2%. Ma non tutti i disoccupati hanno trovato un nuovo lavoro. Nel 2007 infatti il Mezzogiorno ha registrato un’occupazione a crescita zero, a fronte di un aumento dell’1,4% al Centro-Nord (+234mila in valori assoluti). Molto positivi i risultati di Puglia (+2,2%) e Molise (+2,5%), più modesti quelli di Abruzzo (+0,8%) e Sardegna (+0,9%) mentre la Calabria segna una forte flessione (-2%). Ma dove sono finiti i 101mila disoccupati meridionali? Una quota consistente ha smesso di cercare un’occupazione. In Campania, ad esempio, nel 2007 i disoccupati sono scesi di oltre 38mila unità, e i nuovi occupati a loro volta sono scesi di 11mila unità. Situazione simile in Calabria (crollo della disoccupazione del 16% - meno 14.600 disoccupati, ma calo degli occupati di oltre 12mila unità), Sicilia (-13mila disoccupati e meno 14mila occupati) e Basilicata, dove i valori si annullano a vicenda (meno 2mila occupati e disoccupati). In altri termini, negli ultimi sei anni al Sud i disoccupati sono scesi di 635mila unità: 285mila hanno trovato un lavoro, 350mila sono “scomparsi”: non cercano né trovano lavoro. Nel 2007 dunque al Sud gli inoccupati sono aumentati di 147mila unità (+248mila disoccupati impliciti – 109mila disoccupati espliciti). Aggiungendo ai disoccupati ufficiali quelli impliciti il tasso di disoccupazione reale al Sud nel 2007 dall’11% attuale più che raddoppierebbe (28%), a fronte del 6,9% del Centro-Nord. Spina nel fianco il sommerso, che riguarda al Sud circa 1 lavoratore su 5 (19,2%), a fronte del 9,1% dell’altra ripartizione. Nel 2007 i lavoratori irregolari al Sud sono scesi di 66mila unità (-4,8%), arrivando a quota 1 milione 304mila. Agricoltura, commercio e servizi i settori dove si concentrano i lavoratori al nero. Da segnalare la forte presenza di sommerso al Sud nel settore industriale (11,6% contro 1,8% del Centro-Nord), segno delle forti difficoltà delle PMI meridionali. Maglia nera alla Calabria, che nel 2007 registra 2,6 lavoratori irregolari su 10. FAMIGLIE E LAUREATI A RISCHIO DI POVERTA’ Rispetto al 28% del Centro-Nord, più della metà delle famiglie monoreddito al Sud risulta esposto al rischio di povertà. Nel 2005 il 18% delle famiglie meridionali ha percepito meno di 1.000 euro al mese e il 20% circa ha guadagnato tra 1.000 e 1.500 euro mensili. Con differenze da regione e regione: nel 2005 più di una famiglia su 5 in Sicilia ha guadagnato meno di 1.000 euro al mese e nelle altre regioni la percentuale varia � � � � � ������������ ���� ��� ��� �•���������� ��•������� ��������•������ ����������•� dal 19 al 17%. Inoltre quasi 14 famiglie su 100 al Sud hanno più di tre persone a carico (4,1% al Centro-Nord), con punte del 18% in Campania. Vi sono famiglie in cui non ci si può permettere un pasto adeguato almeno tre volte a settimana (10% sul totale meridionale), né riscaldare adeguatamente l’abitazione (20%) o comprare vestiti necessari (28%). Quasi il 20% delle famiglie meridionali nel 2005 ha avuto periodi in cui non poteva acquistare medicinali. Vasca e doccia in casa mancano ancora al 2% delle famiglie pugliesi, all’1,5 di quelle calabresi e all’1,4% delle siciliane. Neanche raggiungere un buon livello di istruzione tutela dall’esposizione al rischio povertà: si trova in questa situazione il 9,4% dei laureati residenti al Sud. MIGRAZIONI, DAL 1997 IN 600 MILA HANNO LASCIATO IL SUD E IL NUOVO EMIGRANTE E’ PENDOLARE Negli ultimi dieci anni, dal 1997 al 2007, oltre 600mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno per trasferire la residenza al Centro-Nord. Nel 2007 ai 120mila trasferimenti di residenza si aggiungono 150mila pendolari di lungo raggio, che si spostano temporaneamente al Centro-Nord per lavorare. Questi flussi di mobilità unidirezionale Sud-Nord sono un caso unico in Europa e testimoniano la distanza economica tra le due aree. I nuovi emigranti sono in larga parte pendolari: soprattutto maschi, giovani (l’80% ha meno di 45 anni), single o figli che vivono in famiglia, con un titolo di studio medio-alto e che svolgono mansioni di livello elevato nel 50% dei casi, a conferma dell’incapacità del sistema produttivo meridionale di assorbire manodopera qualifica; alti costi delle abitazioni e contratti a termine spingono a trasferire definitivamente la residenza. Lombardia, Emilia Romagna e Lazio restano le tre regioni preferite dai nuovi emigranti. Le regioni più soggette al pendolarismo di lunga distanza verso il Nord sono la Campania (50mila unità), Sicilia (28mila) e Puglia (21mila). IL SUD ANCORA TAGLIATO FUORI DAI FLUSSI DI IDE Gli investimenti diretti esteri (IDE) nel 2006 (che in Italia rappresentano appena l’1,8% del PIL contro valori medi nell’Ue del 3,7%) sono stati concentrati per appena lo 0,66% al Mezzogiorno, contro il 99,34% del Centro-Nord. Più in particolare, è stata la Lombardia a ricevere il 68,2% degli IDE a livello nazionale, seguita da Piemonte (11,36%), Lazio (7,8%) e Veneto (4,15%), mentre Campania, Puglia e Basilicata restano ferme allo 0,16%, Sardegna a Abruzzo allo 0,06%, Calabria e Sicilia allo 0,02% e il Molise allo 0,01%. Forte il divario anche riguardo alla quota di IDE per abitante: negli anni 2002-2006 l’Italia ha attirato in media solo 253 euro pro capite, contro i 608 della Francia e i 1.200 euro del Regno Unito. Di questi, 241 sono concentrati nel Centro-Nord, mentre al Sud vanno soltanto 12 euro per abitante. � � � � � ������������ ���� ��� ��� �•���������� ��•������� ��������•������ ����������•� Tra i vincoli che penalizzano gli investimenti esteri nell’area la carenza di infrastrutture, la scarsità di servizi alle imprese (aggravata da una burocrazia inefficiente) e la criminalità organizzata. In questo senso le aree urbane, “in altre aree europee veri motori dello sviluppo, luogo dove si concentrano le funzioni direzionali e innovative, i mercati e le risorse più qualificate” diventano invece al Sud “luoghi di disagio e di svantaggio, dove le donne sono escluse dal mondo del lavoro, le emergenze ambientali e le sperequazioni sociali sono più forti. Lo dimostra il caso Napoli”, dove, al di là dei rifiuti, “è stata messa a nudo l’inadeguatezza del sistema istituzionale e di governance”. Altra forte carenza nel Mezzogiorno è data dal sistema creditizio locale, che concentra nell’area solo il 17,6% degli sportelli. I confidi meridionali, chiamati a svolgere un ruolo di primo piano nel sostenere il rilancio del sistema industriale, si trovano però in condizione di forte debolezza, con un capitale sociale medio di 470mila euro, meno della metà della media dei confidi settentrionali, e con un volume di garanzie medio di 8,8 milioni di euro, distante anni luce dai 42 del Nord. MEZZOGIORNO ANCORA TROPPO POCO COMPETITIVO In base a tre indicatori individuati dalla SVIMEZ (benessere economico, situazione di partecipazione ed equilibrio del mercato del lavoro, livello di sviluppo delle risorse umane e della ricerca scientifica) è stato costruito un indice di competitività che conferma in modo evidente la debolezza del Mezzogiorno. Sicilia, Puglia, Campania e Calabria registrano i più bassi tassi di occupazione femminile in Europa (sotto il 30%), distanti di quasi 10 punti dalle regioni più arretrate della Grecia e della Spagna e di quasi 20 dall’est Europa. Sul fronte della ricerca pesa la scarsità di laureati nelle discipline scientifiche: (dal 10,4% di laureati sulla popolazione adulta in Sardegna ai 10,8% della Sicilia. Per trovare in Europa il successivo valore più basso dovremo andare in Extremadura, Spagna, con il 21%. Non va meglio neanche riguardo alla spesa per ricerca e sviluppo in percentuale del PIL: rispetto a un valore medio Ue dell’1,8%, a parte l’1,2% della Campania tutte le regioni meridionali sono sotto il punto percentuale, fino allo 0,4% del PIL della Calabria. CONTINUA IL CALO DELLA SPESA PUBBLICA IN CONTO CAPITALE La quota di spesa pubblica in conto capitale del Mezzogiorno è passata dal 40,6% del 2001 al 35,3% nel 2007, arrivando così al livello più basso dal 1998. Tale quota non solo è ben lontana dall’obiettivo del 45% fissato in fase di programmazione, ma non raggiunge neppure il peso naturale del Mezzogiorno (la media tra la sua quota di popolazione e di territorio) che è del 38% circa. Negli ultimi anni nel Mezzogiorno la spesa “aggiuntiva” nazionale e comunitaria, data l’esiguità delle risorse, si è limitata a compensare le carenze della spesa ordinaria. � � � � � ������������ ���� ��� ��� �•���������� ��•������� ��������•������ ����������•� La quota di risorse ordinarie ha segnato un ulteriore diminuzione, passando da 11,8 a 10,2 miliardi di euro, dal 24,5% del 2006 al 21,4% del 2007. Il livello basso della spesa ordinaria ha ultimamente ridotto l’efficacia delle politiche di coesione nazionale. La dispersione delle risorse aggiuntive in molteplici interventi e la progettazione scoordinata degli stessi, gestita soprattutto dagli enti locali, non hanno prodotto i risultati attesi. INFRASTRUTTURE Fatto pari a 100 il valore Italia, riguardo alla dotazione di autostrade il Sud è fermo al 78,6%, con livelli particolarmente bassi per Molise (37,4) e Basilicata (13,4), fino ad arrivare alla Sardegna, totalmente priva di autostrade. Non va meglio sul fronte delle ferrovie: il 42% delle linee presenti nell’area non sono elettrificate. Sottodotate anche le linee di trasmissione elettrica e del gas (67,3% dell’Italia), che raggiungono percentuali ancora più basse in Basilicata (49,2%), Molise (37,4) e Sardegna (32,2). Fa eccezione la Campania, che registra il 123,1%. L’indice sintetico di dotazione di reti idriche ferma il Sud al 65,6%, la metà circa del Centro-Nord (135,2). Nel Mezzogiorno inoltre il 37% dell’acqua immessa in rete viene perso, con percentuali particolarmente elevate in Sardegna (43,2%) e Puglia (46,3%). Molise e Basilicata sono totalmente prive di aeroporti; tutti gli aeroporti meridionali hanno collegamenti stradali, ma mancano quelli ferroviari. Particolarmente carente la presenza di strutture intermodali (37,8%) e di magazzini all’interno dei porti, ancora troppo piccoli e orientati soprattutto al traffico passeggeri. Scarsissima la capacità di movimentazione dei mezzi per il trasporto merci, che dota il Sud di un indice pari a un centesimo della media nazionale. Unica eccezione in questo panorama, il porto industriale di Gioia Tauro, che è tornato a essere il porto di transhipment leader nel Mediterraneo, con 3,5 milioni di TEU di traffico e una crescita del 19,1% rispetto al 2006. Per informazioni: Ufficio stampa Elisa Costanzo: 06/27850239 – 328/1430500 SVIMEZ/01_Direttore.pdf Roma, 18 luglio 2008 Riccardo PADOVANI ��������� ����� �� � Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno 2,9 0,7 1,7 CRESCITA DEL PIL NEL 2007 Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno 0,5 0,1 1,8 0,6 2,1 1,2 8,8 Mezzogiorn o Centro-Nord 0,4 -0,3 0,6 0,3 1,1 0,7 5,0 2002 2003 2004 2005 2006 TASSI ANNUI DI VARIAZIONE % DEL PIL Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno 2001 - 2007 0,7 2007 1,7 Media Cumulata annua Media Cumulata annua Mezzogiorno Centro-Nord 2,4 5,8 -2,6 2,1 1,5 2,5 1,9 13,8 Mezzogiorn o Centro-Nord 3,5 -2,0 2,9 2,6 -1,6 2,4 1,2 8,4 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Media Cumulata annua TASSI ANNUI DI VARIAZIONE % DEGLI INVESTIMENTI FISSI LORDI TOTALI Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno 2001 - 2007 0,5 2007 1,5 Media Cumulata annua Mezzogiorno Centro-Nord 1,5 4,7 -7,4 2,5 2,5 2,3 0,9 6,6 Mezzogiorno Centro-Nord 0,7 -7,5 5,5 1,7 -4,5 7,6 0,2 1,1 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Media Cumulata annua TASSI ANNUI DI VARIAZIONE % INVESTIMENTI FISSI LORDI IN MACCHINE E ATTREZZATURE Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno 2001 - 2007 -1,5 2007 0,6 Media Cumulata annua Mezzogiorno Centro-Nord 0,5 0.0 0,6 1,1 0,8 1,4 0,8 6,1 Mezzogiorn o Centro-Nord 0,4 -0,3 0,7 0,4 0,6 0,7 0,5 3,3 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Media Cumulata annua TASSI ANNUI DI VARIAZIONE % DEI CONSUMI DELLE FAMIGLIE Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno 2001 - 2007 0,8 2007 1,5 2,4 1,2 0,7 2,0 1,3 2,3 1,7 12,7Mezzogiorn o Centro-Nord 2,7 0,1 -0,4 0,4 0,5 1,5 0,8 5,5 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Media Cumulata annua TASSI ANNUI DI VARIAZIONE % DEL VALORE AGGIUNTO DEL SETTORE DEI SERVIZI Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno 2001 - 2007 0,6 2007 2,3 Media Cumulata annua Mezzogiorno Centro-Nord PIL PRO CAPITE IN PPA Tassi medi annui di crescita (%) 2001-2007 Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno MEZZOGIOR NO 2,0 GERMANIA 3,3 SPAGNA 4,9 IRLANDA 5,5 GRECIA 6,2 UE a 27 3,9 PIL IN PPA NELLE AREE “DEBOLI” E NELLE AREE “FORTI” Tassi medi annui di crescita (%) 2000-2005 Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno REGIONI CONVERGENZ A REGIONI COMPETITIVIT A’ TOTALE ITALIA 1,5 1,7 1,7 GERMANI A 3,0 2,8 2,8 SPAGNA 6,5 5,8 6,0 IRLANDA 7,6 7,0 7,2 GRECIA 6,6 4,4 6,5 UE a 27 4,8 3,3 3,7 Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno INDICE SINTETICO DI OCCUPABILITA’ Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno PUGLIA, CAMPANIA, SARDEGNA MOLISE, BASILICATA, CALABRIA, SARDEGNA ABRUZZO CENTRO-NORD INDICE SINTETICO DI OCCUPABILITA’ Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno INDICE SINTETICO DI FORMAZIONE E RICERCA Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno MOLISE, PUGLIA, CAMPANIA, BASILICATA, CALABRIA, SICILIA, SARDEGNA ABRUZZO INDICE SINTETICO DI FORMAZIONE E RICERCA Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno INDICE SINTETICO DI COMPETITIVITA’ ECONOMICA Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno PUGLIA, BASILICATA, CAMPANIA, CALABRIA, SICILIA ABRUZZO, MOLISE, SARDEGNA INDICE SINTETICO DI COMPETITIVITA’ ECONOMICA SPESA DELLA P.A. IN CONTO CAPITALE NEL MEZZOGIORNO Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno 2000 2001 2002 2003 2004 200 5 2006 200 7 Miliardi di euro 2007 ORDINARIA 11,4 9,3 13,0 13,4 11,3 11, 3 11,8 10, 2PER LE AREE SOTTOUTIL. 10,5 15,1 11,2 10,4 11,0 10, 7 10,9 12, 1COMPLESSIVA 21,9 24,4 24,3 23,8 22,3 22, 1 22,7 22, 3In % dell’Italia ORDINARIA 27,0 22,2 26,3 26,1 23,4 23, 9 24,5 21,4 PER LE AREE SOTTOUTIL. 75,2 81,8 83,3 79,2 78,8 78, 0 79,3 78,1 COMPLESSIVA 39,0 40,4 38,5 36,8 35,9 36, 0 36,8 35,3 STATO DI AVANZAMENTO DELLA SPESA DEL QCS 2000-2006, Obiettivo 1 a fine 2006 Pagamenti in % delle risorse programmate Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno ITALIA 60,1 GERMANIA 77,3 SPAGNA 75,1 IRLANDA 82,8 UE a 15 69,1 Roma, 18 luglio 2008 Riccardo PADOVANI ���������������� �� � Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno SVIMEZ/02_Vice Direttore.pdf Roma, 18 luglio 2008 Luca BIANCHI ����������� ����� ��� ���� Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno MANCATO SVILUPPO DEL MEZZOGIORNO DISEGUAGLIANZA DEI REDDITI SVILUPPO EQUITA’ Le Regioni meridionali: più povere e più diseguali Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno Le Regioni meridionali più povere e più diseguali Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno Disuguaglianza dei redditi Il rischio povertà: le famiglie in bilico Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno % delle famiglie per classi di reddito Meno di 1000 � mensili Tra 1000 e 1500 � mensili Più di 3000 � mensili Mezzogiorno 18,0 19,7 21,7 Centro-Nord 7,3 12,5 40,2 Le nuove povertà: anche gli occupati sono sempre più a rischio Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno Mezzogiorno Centro-Nord Lavoratori dipendenti 19,6% 4,6% di cui: pubblici 9,0% 1,6% privati 29,6% 7,3% Quota dei lavoratori esposti al rischio povertà per settore Le nuove povertà: anche gli occupati sono sempre più a rischio Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno Mezzogiorno Centro-Nord Fino alla scuola dell’obbligo 39,8% 14,8% Media superiore 25,3% 7,5% Laurea 9,4% 4,0% Quota dei lavoratori esposti al rischio povertà per titolo di studio Mezzogiorno Centro-Nord 1 percettore 51,6% 28,6% 2 percettori 27,6% 6,6% Quota delle famiglie esposte al rischio povertà per percettori di reddito Il Sud tra immobilità interna e nuove migrazioni verso il Nord Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno Centro-Nord Elevata mobilità interna multidirezionale Forte pendolarismo Consistente immigrazione dall’estero e dal Sud Mezzogiorno Scarsi spostamenti di breve e medio raggio Bassa immigrazione dall’estero e non qualificata Elevata emigrazione qualificata verso il Nord Il Sud tra immobilità interna e nuove migrazioni verso il Nord Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno Centro-Nord Elevata mobilità interna multidirezionale Forte pendolarismo Consistente immigrazione dall’estero e dal Sud Mezzogiorno Scarsi spostamenti di breve e medio raggio Bassa immigrazione dall’estero e non qualificata Elevata emigrazione qualificata verso il Nord Modello regioni industrializzate Staticità del sistema locale e riduzione potenzialità di sviluppo Il Sud tra immobilità interna e nuove migrazioni verso il Nord Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno Centro-Nord Elevata mobilità interna multidirezionale Forte pendolarismo Consistente immigrazione dall’estero e dal Sud Mezzogiorno Scarsi spostamenti di breve e medio raggio Bassa immigrazione dall’estero e non qualificata Elevata emigrazione qualificata verso il Nord 83% della mobilità residenziale è di breve raggio (+34% rispetto al 1996) 58% della mobilità residenziale è di breve raggio (-4% rispetto al 1996) Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno I sistemi locali del lavoro che perdono e attraggono popolazione VECCHIA E NUOVA EMIGRAZIONE Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno 60.000 Rientri 20.000 Temporanei 120.000 Trasferimenti 150.000 Temporanei Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno I pendolari dalle Regioni del Sud al Nord Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno L’identikit del nuovo emigrante meridionale Quota sul totale dei pendolari Sud Nord 25 - 34 anni 43% Diploma Laurea 44% 25% Settore dei servizi 70% Lavora da 1 anno oltre 5 anni 32% 31% Qualifica medio-alta 55% Lavoro dipendente di cui: a termine 90% 1/3 Accelerare il grado di apertura del Mezzogiorno per rompere l’immobilità del sistema meridionale INTEGRAZIONE INTERNAZIONALIZZAZIONE Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno ACCESSIBILITA’ PERIFERICITA’ PROMOZIONE DELL’EXPORT ATTRAZIONE DEGLI INVESTIMENTI Accelerare il grado di apertura del Mezzogiorno per rompere l’immobilità del sistema meridionale INTEGRAZIONE INTERNAZIONALIZZAZIONE Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno ACCESSIBILITA’ PERIFERICITA’ PROMOZIONE DELL’EXPORT ATTRAZIONE DEGLI INVESTIMENTI Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno INDICE DI PERIFERICITA’ DELLE REGIONI EUROPEE Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno ACCESSIBILITA’ DEI SISTEMI LOCALI DEL LAVORO RAPPRESENTAZIONE DELL’INTERAZIONE DINAMICA TRA TESSUTO PRODUTTIVO E RETE LOGISTICA Accelerare il grado di apertura del Mezzogiorno per rompere l’immobilità del sistema meridionale INTEGRAZIONE INTERNAZIONALIZZAZIONE Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno ACCESSIBILITA’ PERIFERICITA’ PROMOZIONE DELL’EXPORT ATTRAZIONE DEGLI INVESTIMENTI Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno DEBOLEZZA STRUTTURALE DELL’EXPORT MERIDIONALE Quota % per settore alla Pavitt MEZZOGIORNO CENTRO-NORD 2003-2005 2006-2007 2003-2005 2006-2007 Tradizionali 25,7% 19,6% 27,8% 25,4% Di scala 54,1% 60,9% 36,5% 38,7% Specialistici 8,5% 8,9% 23,5% 24,8% Alta tecnologia 11,7% 10,6% 12,1% 11,1% Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno ATTRAZIONE DEGLI INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI IDE SU INVESTIMENTI TOTALI ITALIA 6,6% SPAGNA 6,8% FRANCIA 14,6% IRLANDA 21,1% POLONIA 21,0% REGNO UNITO 32,1% IDE Mezzogiorno 0,7 Centro-Nord 99,3 DISTRIBUZIONE TERRITORIALE Rapporto SVIMEZ 2008 sull'economia del Mezzogiorno ATTRAZIONE DEGLI INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI IDE PER ABITANTE (2002-2006) ITALIA 253 � SPAGNA 490 � FRANCIA 608 � REGNO UNITO 1.200 � UE a 27 680 � IDE Mezzogiorno 12 � Centro-Nord 241 � DISTRIBUZIONE TERRITORIALE SVIMEZ/03_Novacco.pdf � �� L’Italia, tra cento “divari territoriali” ed uno strutturale “dualismo” Nord/Sud. TRACCIA DELLA INTRODUZIONE DI NINO NOVACCO Roma, 18 luglio 2008 1. Apro quest’anno la mia esposizione con una dichiarazione che spe- ro possa rallegrare i molti amici meridionalisti che vedo qui presenti, convenuti per prendere atto dei diversificati aspetti dell’annuale “Rap- porto SVIMEZ sull’economia del Mezzogiorno” − tecnicamente e stati- sticamente assai valido ed adeguato, ma ancora insopportabilmente non soddisfacente per la triste “fotografia”, in bianco e nero, che nel merito esso fornisce sulla condizione economico-sociale meridionale − e per seguire il dibattito che ancora una volta ci proponiamo di animare sui temi del necessario sviluppo del Sud, fattore e condizione per la crescita dell’economia italiana, da tempo caratterizzata invece da una condizio- ne di relativo declino. A seguito di un invito formulato dal Presidente della Repubblica, Sen. Giorgio Napolitano, da me sollecitato, un gruppo di istituzioni me- ridionaliste e meridionali si è incontrato il 9 giugno scorso al Quirinale, per concordare le modalità di una loro reciproca sistematica collabora- zione sui temi di un più equilibrato futuro della Nazione, e per testimo- niare unitariamente al Paese − pur nella ovvia autonomia di ognuno e rispettosi delle caratteristiche storiche di ciascuna istituzione − il loro sostanziale comune impegno per lo sviluppo e verso la coesione. Sono stati perciò qui invitati − in via formale per la prima volta − gli amici che con noi della SVIMEZ si sono incontrati al Quirinale, e � �� che contiamo possano definire presto, insieme, ulteriori occasioni ed i- niziative di comune impegno nazionale e meridionalista. Di ciò sono lieto di dare pubblica testimonianza, rinnovando il rin- graziamento al Presidente Napolitano per la sua sensibilità ed attenzio- ne, ma anche per il messaggio che nell’odierna occasione Egli ci ha fat- to pervenire, e di cui dò lettura. 2. Il meridionalismo della SVIMEZ, legato alla lettura e comprensione dei numeri più che all’inseguimento delle non sempre chiare né signifi- cative astrazioni della politica, è oggettivamente testardo, nel senso che non si pone all’inseguimento di continuamente nuove ipotesi tipologi- che di obiettivi ed interventi − che peraltro rientrano nelle doverose re- sponsabilità dei Governi, soprattutto di quelli elettivi, e semmai di quel- li ombra, fino ad ora tutti alquanto distratti da altre più facili o fruttuose priorità − ma insiste da sempre sulla necessità che il Paese si decida a scegliere ed adottare soluzioni strutturali capaci di porre rimedio al problema dei crescenti “divari territoriali”, ed a ciò che tutti tali molte- plici differenziali quali-quantitativi sintetizza, e che noi chiamiamo “dualismo”, e che potremmo indicare evocando il crescente rischio di una sorta di accelerata “disunità” dell’Italia, i cui termini abbiamo sot- toposto al Presidente della Repubblica, garante appunto della Costitu- zione e dell’unità dello Stato. Lo scorso anno, al termine del dibattito sugli andamenti dell’economia meridionale ed italiana, ebbi ad insistere qui nel sottoli- neare l’assenza, per il Mezzogiorno, di un “disegno nazionale di politi- ca economica”, per definire il quale avevamo vanamente sollecitato di � �� intervenire nel dibattito alcuni tra i più autorevoli esponenti Parlamen- tari della maggioranza e dell’opposizione di allora. La situazione di oggi − pur sotto vari profili assai diversa − è tale per cui sarebbe possibile partire ora da quelle stesse notazioni. In effetti la SVIMEZ – che non può non ribadire le proprie perdu- ranti preoccupazioni per gli andamenti dell’economia del Mezzogiorno quali emergono anche quest’anno in termini di prodotto, di investimen- ti, di occupazione, e finanche dalle tendenze demografiche di lungo pe- riodo dell’Italia, che avranno pesanti effetti contrapposti al Nord e al Sud − ritiene di dover confermare le non favorevoli conseguenze ed implicazioni del vuoto nazionale in materia di politica economica, che pur non sarà certo di per sé in grado di dare pronta soluzione (comun- que impossibile a breve, ma che sarebbe irresponsabile non avviare con rigore scientifico e con ogni possibile urgenza) ai problemi meridionali, ma che in ogni caso appare essenziale per fissare i punti fermi di un ge- nerale approccio italiano allo sviluppo ed alla coesione, in cui un riequi- librio strategico tra le spese in conto capitale di base e quelle addizio- nali, ed un nuovo equilibrio tecnico tra agevolazioni e infrastrutture, che siano effettivamente incisive e determinanti (e le città e l’economia di uno Stato-Nazione non vivono di solo arredo urbano, o di opere pa- ra-sociali o para-culturali, ma anche di grandi opere strategiche), e che si prospettano comunque necessari, all’interno di un quadro econome- trico definito e coerente. Una politica per l’Italia − ed è questo ciò che oggi serve a tutti gli italiani, e non politiche sistematicamente e solo locali o settoriali − de- ve oggi essere insieme capace di risolvere sia i non pochi “problemi” presenti nel nostro Centro-Nord (che sono assai sentiti dalle sue popo- � �� lazioni, come i risultati elettorali hanno confermato), sia quelli struttu- rali che mantengono ancora irrisolta nel meridione la storica “questio- ne”, peraltro neppure sentita ed affrontata dalla maggioranza del Paese come prioritariamente condizionante l’unità della Nazione; esigenza, quest’ultima, che è stata peraltro oggettivamente indebolita dalle spinte localistiche e para-federalistiche che si sono diffuse negli ultimi de- cenni. Le complesse responsabilità della politica nazionale verso i proble- mi presenti nel Nord, ed insieme verso la storica “questione meridiona- le”, non appaiono essere al centro dell’impegno di Governo − dicevo nel 2007 e confermo oggi −, che acconsente vengano considerati priori- tari rispetto a quelli economici, aventi carattere strutturale e strategico, altri temi – diritti civili, funzionamento dei tribunali, esigenze ecologi- che ed ambientali, modeste correzioni al sistema fiscale o pensionistico, costruzione di piccole case popolari, sostegni alle situazioni di più gra- ve povertà sociale – che dovrebbero far parte dell’ordinario impegno di progresso di una società mediamente ricca e mediamente avanzata. Di fatto il nostro Paese non è stato finora in grado di definire nep- pure le linee di un realistico e necessario programma di politica econo- mica a lungo temine, che dal 1992 non ha trovato né nei vari Governi, nè nel sistema istituzionale complessivo, punti e luoghi unitari di deci- sionalità, nello spezzettamento e nella disarticolazione e nella frequente ridefinizione delle sedi istituzionali, e nell’assenza per contro, nel Par- lamento, di un unitario luogo di discussione e di ricerca di soluzioni, quale potrebbe essere una autorevole “Commissione bicamerale sui problemi nazionali della coesione”, che lo scorso anno ebbi ad evocare come necessaria, e la cui opportunità ribadisco anche oggi. � �� Su tali questioni – in ordine alle quali da decenni il Mezzogiorno ha dialogato con personalità ed esperti di diversa ispirazione e collocazio- ne, con Regioni e territori, con imprenditori e con sindacati – la SVI- MEZ esprime l’augurio che un più intenso ed efficace confronto si pos- sa avere nel prossimo futuro, anche con più specifici ed impegnativi approfondimenti, nelle Commissioni Parlamentari, tradizionali o tema- tiche, della Camera e del Senato, di cui è certo opportuno rivedere ruoli e prassi, ma senza ridurre il Senato a mero costoso megafono di regio- nalismi e localismi, contraddittorî con l’unità dello Stato, e con la dove- rosa unitarietà degli approcci nazionali. Per quel che la storia della SVIMEZ ha rappresentato, non possia- mo non confermare che la natura decisiva della questione strutturale del Sud – che resta “problema aperto”, come è stata definita dal prof. Giu- seppe Galasso – appare comunque tale da richiedere, con ogni consenti- ta urgenza, una sorta di autorevole “Conferenza Nazionale”, in cui Par- lamento e Governo, e le istituzioni specializzate, e la cultura migliore del Paese tutto, possano esprimere al meglio impegnative e se del caso contrapposte posizioni, non certo tuttavia solo meramente declaratorie e propagandistiche – magari con slogans di autocondanna, come “il Sud deve salvarsi da solo”, oppure “non c’è nulla da fare finché c’è la ma- fia”, oppure, “in fondo si sta facendo molto…” –, ma entrando nel meri- to dei difficili problemi territoriali che condizionano la coesione nazio- nale da costruire, premessa ad ogni pur necessaria socialità e sussidia- rietà, con le quali è doveroso evitare ogni confusione, gravi essendo i rischi della retorica delle parole. Su tali temi ho ritenuto, dopo la tornata elettorale dell’aprile scorso, di sollecitare una riflessione dei Parlamentari italiani vecchi e nuovi, in � �� qualsiasi circoscrizione eletti, inviando loro una lettera − che ritroverete ora riprodotta nel “Quaderno SVIMEZ n. 16” che vi è stato oggi conse- gnato − su passato, presente e futuro del dualismo Nord/Sud; una sinte- si, storica, attuale e prospettica, come aiuto a capire, a riflettere e a decidere, alla luce delle reali condizioni di disarmonico sviluppo in cui si trova il nostro Paese; ma anche come occasione per affermare il no- stro convincimento in ordine alla entità, qualità e dinamica della spesa per lo sviluppo e la coesione in Italia, che deve poter contare su un flus- so di risorse ordinarie parametrato al “peso naturale” dei territori, e su un adeguato e non incerto stanziamento – spendibile perché program- mato e progettato ex-ante – di risorse straordinarie ed addizionali. Noi della SVIMEZ non siamo quantitativisti, e non siamo quindi noi che abbiamo mai chiesto prioritariamente soldi per il Mezzogiorno, né abbiamo gridato di gioia per i 100 miliardi 2007-2015 destinati, sen- za indicazioni di finalità strategiche, al Mezzogiorno con la finanziaria 2007. Ma riteniamo che un processo di sviluppo che voglia porsi – nel quadro di un meccanismo di sviluppo – l’obiettivo della convergenza verso la coesione economica, richiede tendenzialmente, nelle due ma- cro-regioni del Paese, pari condizioni infrastrutturali, e afflussi di capi- tali che nella grande Regione meridionale debole e in ritardo non pos- sono ovviamente che essere largamente esterni, nel senso che non pos- sono formarsi certo e solo all’interno di un’area che − come il Mezzo- giorno − si caratterizza insieme per un più basso livello di PIL e per una sistematica sotto-dotazione di fattori essenziali allo sviluppo produttivo, pur presentando il Sud la disponibilità di fattori utili e determinanti per la crescita nazionale e locale. � �� Concludo queste preliminari notazioni ripetendo che la piccola SVIMEZ, quasi sola in passato nel perseguire e nel suggerire al Paese un organico disegno di politica economica − che è sicuramente assai ambizioso, ma che a noi appare necessario per salvare l’unità della Na- zione, che temiamo possa correre elevati rischi, come una crescente let- teratura relativa al Nord sottolinea fin nei proliferanti e provocatori suoi titoli −, non ci sembra possa fare molto di più, se non continuare, finché risulterà utile e possibile, a predicare quello che crediamo essere obiet- tivo e compito a lungo termine dello Stato, e dell’intera società naziona- le. 3. Anche quest’anno ci proponiamo di mettere al centro del dibattito − che con questa introduzione intendiamo ora sollecitare tra gli esponenti politici delle attuali maggioranza e minoranza uscite dalle Elezioni dell’aprile 2008 che hanno ritenuto di accogliere il nostro invito − il tema della coesione economica nazionale. Vorremmo infatti che potes- sero essere resi espliciti i giudizi delle forze politiche italiane in ordine alla reale priorità ed urgenza − rispetto ai molti e troppo vari temi di cui ogni giorno i Governi dicono di doversi occupare sol perché lo hanno promesso agli elettori nei loro pur vaghi programmi − che esse intendono attribuire alla squilibrata “coesistenza” della storica questio- ne meridionale, con la cosiddetta questione settentrionale. La prima “questione”, quella meridionale, appare caratterizzata dal- la sistematica negatività delle condizioni del Sud, confermata dalla molteplicità dei dati economico-sociali che vengono rilevati dall’ISTAT e da tutti i centri e luoghi di osservazione della situazione economica e produttiva nazionale. In proposito non è irrilevante osser- � � vare e ricordare che da diversi anni non si è determinato alcun signifi- cativo avvicinamento strutturale tra i livelli di sviluppo del Centro- Nord e del Mezzogiorno, ma anzi, con riferimento all’ultimo decennio, sono proprio le regioni forti del Centro-Nord ad avere fatto segnare tas- si di crescita più sostenuti, evidenziando così un aggravamento delle divergenze interne al Paese, unico caso in un’Europa che tende invece, sia pur lentamente, a convergere. La seconda c.d. “questione”, quella settentrionale, riflette per contro − malgrado la maggiore crescita del PIL e dell’occupazione (che peral- tro sollecita una elevata immigrazione) la accresciuta sensibilità delle aree storicamente forti ed avanzate dell’Italia verso i molti problemi che esse oggi sentono come limite alla loro produttività e al loro ruolo nei mercati concorrenziali, ma anche per le condizioni di vita in quei territori − la lentezza dei traffici, e fin la sicurezza pubblica e privata −, che sempre più la stampa e la politica tendono ad identificare con le priorità cui Governo e Parlamento dovrebbero sentirsi chiamati a dedi- carsi. Provocatoriamente, e con grande franchezza, voglio rilevare che tutti i Partiti politici italiani hanno sempre tendenzialmente rifiutato di accogliere l’approccio macro-economico e strutturale del concreto me- ridionalismo della SVIMEZ, e che anche le strutture di ricerca e le Fon- dazioni gravitanti attorno ad alcuni Partiti si occupano generalmente d’altro, tendendo, rispetto al dualismo Nord/Sud, a concentrare i loro giudizi sugli andamenti a breve e sulla congiuntura, o utilizzando anche i dati della pur essenziale “spesa pubblica in conto capitale” come me- ro indicatore dell’impegno − letto volta a volta con ottimismo o pessi- mismo, a seconda che in ciascun momento esse si trovino al Governo o � � all’opposizione −, ma certo poco valendosi di strumenti di analisi sofi- sticati ed a lungo termine, capaci di incrociare gli investimenti infra- strutturali e produttivi nel territorio − quelli ordinari, e soprattutto quel- li straordinari e strategici − con il PIL, e con l’occupazione, e con le dotazioni ambientali, e con l’attrattività dei territori, e magari con le as- sai deboli tendenze degli investimenti esteri produttivi; per non dire dei mutamenti che si stanno registrando − come ho accennato − nella stessa demografia macro-territoriale e nazionale, che entro il 2050 vedrà au- mentare di oltre 5 milioni gli abitanti del Centro-Nord, e diminuire di oltre 2 milioni quelli del Sud. Dopo la lontana stagione della programmazione degli anni ’50 e ’60 [quella di Pasquale Saraceno e di Giorgio Ruffolo, di Paolo Sylos Labi- ni e di Giorgio Fuà, di Ezio Vanoni e di Antonio Giolitti], non si è mai più assistito in Italia e nelle sue macro-regioni ad uno sforzo serio di analisi economica, i governanti essendo stati travolti anch’essi dall’onda e dalla logica dei sociologismi, cioè degli approcci volta a volta troppo quantitativi o troppo qualitativi; troppo economici o troppo sociali; troppo centrali oppure troppo localistici; e da logiche di svilup- po volta a volta solo dall’alto oppure solo dal basso, che hanno distorto nel profondo fin la validità dei più costruttivi approcci storici all’unità dell’Italia. Da questo punto di vista non è stato producente quel che è avvenuto – dopo la crisi petrolifera – con la progressiva vanificazione dagli anni ’80 dell’intervento straordinario al Sud, e con l’esaltazione meridiana del ritorno all’ordinarietà, troppi avendo espresso mal riposta fiducia che tradizionali e ordinari Ministeri − e Regioni nate dal nulla nel ’70 − potessero essere in grado di agevolmente farsi carico dei difficili com- � ��� piti connessi ad una necessariamente forte accelerazione dello sviluppo in aree non caratterizzate da dotazioni anche solo comparabili, per enti- tà e qualità, a quelle delle aree già da tempo più avanzate, chiamate anch’esse a confrontarsi con sempre più vasti mercati mondiali globa- lizzati. Nel clima determinatosi, non si dimostrò certo costruttivo l’impegno micro del centro-sinistra, che venne favorito da forti suoi spezzoni interni, anti-centralisti e para-federalisti. Il Mezzogiorno fu così di fatto abrogato dalla politica nei primi anni ’90, ed è certamente stato errore storico del centro e della sinistra (quando la destra contava relativamente meno di oggi) l’aver poi concorso a vanificare i pur posi- tivi approcci [esprimo tuttavia qualche riserva su valori e massimali] dell’unico tentativo che vi è stato − sullo stimolo di C. A. Ciampi ed at- traverso il DPS di Fabrizio Barca − a ragionare in termini macro, sep- pure − qualità delle strutture DPS che si sono dedicate a valide analisi a parte, che meritano elogio − lasciandosi troppo prendere nella pania dei formalismi che anche l’Europa di Bruxelles ci ha imposto, quando anch’essa contribuiva a favorire i localismi, erroneamente confusi con validi regionalismi. 4. Questa non è certo la sede né per una analisi storica, né per distri- buire meriti e colpe. Resta che oggi, a quasi 150 anni dall’Unificazione politica dell’Italia nel 1861, il Paese è ancora economicamente disunito tra Nord e Sud, mentre sentiamo pesanti giudizi critici sulle “troppo e- levate risorse” impiegate per un insoddisfacente passato, o che lo sa- ranno per un non garantito futuro del Sud, riferite ora ai 100 miliardi i- scritti dal Governo Prodi per il ciclo europeo 2007-2013, l’ultimo cui � ��� potremo attingere (per i gravi errori italiani di approccio, quali l’accettazione − per il c.d. “Obiettivo 1” − della soglia del 75% della media tra le Regioni Ue!); materia che abbiamo consentito venisse a lungo regolamentata senza alcuna incisiva e determinante presenza ita- liana, ed accettando quindi che il Sud da sviluppare − con il solo “O- biettivo 1”, ma non con il “Fondo per la coesione”, che si lasciò fosse riservato ad altri Paesi − sia ormai costituito solo – e per poco ancora – da 4 Regioni meridionali su 8. E che faremo dopo il 2013? Quale sarà la chiave di un nostro origi- nale New Deal, che non si traduca in una sistematica arbitrarietà di finti “progetti sponda” o di c.d. “progetti coerenti”? Manterremo i vecchi improduttivi parametri, e le regole dell’Ue? Quante risorse l’Italia vorrà e saprà impegnare, su fondi tutti propri e sul proprio PIL – che, quanto alla formazione di capitale pubblico, impegna oggi il 2.6% al Nord e l’1,5% al Sud –, senza più stanziamenti comunitari da co-finanziare do- po il 2013? In quanto tempo ci si proporrà di cancellare l’onta interna- zionale del dualismo italiano? La Germania, per la sua riunificazione Est/Ovest, seppe fare assai meglio!! O di tutto questo pensiamo di poter continuare a non parlare, pur essendo transitati dal non-meridionalismo di Prodi alle priorità altre di Berlusconi, ed alle priorità federaliste ed oggettivamente nordiste ed anti-meridionaliste di Bossi e delle Leghe, ai cui elettori del Nord an- che la non piccola “minoranza parlamentare” specie del PD, al potere fino a ieri, guarda oggi (come li guardò − cattolici alla Piero Bassetti e comunisti alla Guido Fanti − nella iniziale fase “padana” degli anni ’90) con eccessiva attenzione? � ��� Mentre nel 1961 la SVIMEZ veniva invitata a partecipare al Comi- tato per la Celebrazione dei 100 anni dell’Unificazione politica dell’Italia, ed era chiamata a documentare statisticamente le dinamiche Nord-Sud emerse nel primo Secolo, oggi rileviamo che altre sembrano essere le priorità degli organizzatori, apparendo forse più importante garantirsi la presenza di storici attenti anche alla parentesi fascista, o il contributo − anti-unitario, di certo, e fuori dalla Costituzione vigente − di chi ama ormai parlare di una “Repubblica Federale Italiana”, quasi fosse problema maturo, ed utile per tutti gli italiani. E tutto questo avviene perché è stata cambiata la Costituzione auto- nomista del 1948, in cui il sottosviluppo e l’arretratezza meridionale erano iscritti con nome e cognome, e di cui sono stati riscritti fonda- mentali articoli del “Titolo V°”, intrisi di contenuti tendenzialmente federalistici – cui comunque andrà in Parlamento data applicazione – per definire operativamente i quali si dovrà traversare l’ancora poco e- splorato “deserto”, legislativo prima e regolamentare poi, del federali- smo fiscale, reso di non agevole praticabilità dalla difficoltà di trattare con pari equità per un verso le Regioni Ordinarie fiscalmente più debo- li, e per l’altro le Regioni a Statuto Speciale talvolta relativamente ric- che, a cui a suo tempo vennero garantiti rilevanti e fin eccessivi privile- gi. Sul federalismo fiscale molto la SVIMEZ − da sempre legata all’idea che cittadini e territori debbano godere di pari o analoghe op- portunità e diritti − si è comunque per quasi due lustri impegnata, tro- vandosi poi anche vicina alla “Commissione Vitaletti”, di cui peraltro pochi oggi parlano; come pochi amano quantificare se le risorse nazio- nali saranno domani sufficienti insieme per il Centro-Nord e per il Mezzogiorno, per un federalismo che nel Nord vorrebbe gestire esso – � ��� by-passando lo Stato e la Costituzione, ed appropriandosi in prima i- stanza della larghissima maggioranza delle imposte a carico dei produt- tori locali, e fin dei consumatori in quei territori – le risorse per il fede- ralismo fiscale dell’intero Paese, ma anche per alimentare uno sviluppo a più velocità, comunque assai costoso (altro che “riduzione delle tas- se”, come “dividendo fiscale del federalismo”!), e necessariamente con- trastante con la razionalità di un complesso disegno contestuale di rie- quilibrio strutturale nazionale, che il “meridionalismo” della SVIMEZ propone, considerandolo la vera doverosa priorità, per un prossimo non breve futuro. *** Perdonate, ad un italiano non più giovane e che ha superato gli 80 anni, i toni di un approccio forse sopra le righe, ma di cui non so chie- dere scusa, perché è profondo il mio desiderio − la mia “fame”, direi − di poter ascoltare risposte chiare sul futuro dell’unità economica dell’Italia (e forse non solo di quella economica). In effetti, cerco ri- sposte non generali ed evasive − o consolatorie −, che troppo tendono a parlar d’altro, nel senso che continuano a riferirsi alle molte priorità di una Italia che rischia purtroppo di essere considerata − dopo quella ge- ografica − una mera “espressione” politico-amministrativa, ma che non è certo una unitaria e forte realtà economica, e che forse non è neanche più uno Stato-Nazione. SVIMEZ/04_Scheda sintesi.pdf 3 SVIMEZ Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno RAPPORTO SVIMEZ 2008 SULL’ECONOMIA DEL MEZZOGIORNO INTRODUZIONE E SINTESI 4 Indice 1. Il Mezzogiorno non tiene il (lento) passo dell’economia settentrionale p. 5 2. La mancata convergenza del Sud in una Europa che riduce le disparità p. 8 3. L’esigenza di una ridefinizione della politica per il Sud p. 11 4. Sui principi di attuazione del federalismo fiscale p. 14 5. I riflessi della bassa crescita sulla società meridionale p. 16 6. L’industria del Sud nel mercato globale p. 20 7. L’assenza delle politiche per l’internazionalizzazione p. 24 8. Finanziamento dello sviluppo e rafforzamento del ruolo dei Confidi p. 27 9. I trasporti del Sud: un “non sistema” p. 31 10. La mesoregione mediterranea: opportunità concreta per il Mezzogiorno p. 34 5 Introduzione e sintesi 1. IL MEZZOGIORNO NON TIENE IL (LENTO) PASSO DELL’ECONOMIA SETTENTRIONALE Il risultato del 2007 Il brusco peggioramento del quadro internazionale verificatosi nei primi mesi del 2008, fa seguito a segnali di indebolimento della crescita economica già manifestatisi nell’anno precedente. La fase di ripresa che dal 2006 aveva riguardato anche l’Italia sembra dunque essersi ormai esaurita. In un simile quadro nazionale, il Mezzogiorno pur seguendo il profilo congiunturale del resto del Paese si è mantenuto su tassi di crescita stabilmente più bassi. La permanenza di un divario di crescita che prescinde dalla dinamica del ciclo economico rappresenta un elemento che caratterizza tutti gli anni 2000 e riflette la mancata soluzione di problemi strutturali dell’economia meridionale, aggravatisi nel nuovo quadro internazionale. In base a valutazioni di preconsuntivo elaborate dalla SVIMEZ, il PIL è aumentato al Sud nel 2007 dello 0,7%, un punto in meno che nel resto del Paese, con un calo di 0,4 punti percentuali rispetto al 2006. Con il 2007 sono ormai sei anni consecutivi che il Mezzogiorno cresce meno del resto del Paese. Dal 2002 ad oggi l’incremento cumulato del prodotto a prezzi concatenati delle regioni meridionali è stato poco meno di un terzo di quello del Centro-Nord (rispettivamente, 2,4% e 6,4%). Bisogna risalire ai primi anni ottanta e all’espansione dell’economia distrettuale nel Centro-Nord per ritrovare un’interruzione così intensa dei processi di convergenza. In termini di prodotto per abitante il risultato del Mezzogiorno appare meno sfavorevole, per effetto della diversa dinamica della popolazione. Negli ultimi sette anni infatti nonostante l’economia del Mezzogiorno sia cresciuta meno di quella del resto del Paese (0,7% in media annua, rispetto all’1,2% del resto del Paese), l’aumento della popolazione residente al Centro-Nord (6% rispetto all’1% al Sud nel periodo 2000-2007), dovuto principalmente all’immigrazione straniera ma anche a seguito di movimenti migratori interni, ha comportato una lieve diminuzione del divario: dal 2000 il gap si è ridotto di 1,2 punti percentuali. Un recupero del divario realizzato attraverso una minore crescita della popolazione rappresenta una “via patologica” alla convergenza. I fattori che determinano il calo demografico, la ripresa dei flussi migratori, la bassa natalità legata a condizioni di precarietà economica, la scarsa attrazione di capitale finanziario e 6 umano dall’esterno, sono elementi di accentuazione del declino dell’area e al tempo stesso di riduzione di potenzialità di sviluppo del Mezzogiorno. Nel 2007, il forte rallentamento della crescita nel Mezzogiorno ha più che compensato il differente andamento della popolazione e ha determinato un nuovo ampliamento delle differenze di reddito medio pro capite tra le due aree, che si attesta intorno ai 13.000 euro (pari a oltre 42 punti percentuali di differenza). La riduzione della crescita del Mezzogiorno nel 2007 è da attribuire principalmente alla flessione della dinamica dell’accumulazione di capitale gli investimenti fissi lordi sono aumentati nella macroarea nel 2007 solo dello 0,5%, con un abbassamento di circa due punti percentuali rispetto all’incremento registrato l’anno precedente (2,4%). La flessione del ritmo di crescita degli investimenti, in presenza di ampi margini di capacità inutilizzata, ha risentito in entrambe le ripartizioni della maggiore incertezza del quadro congiunturale che da metà anno si è associata all’impennata dei prezzi delle materie prime. In particolare nel Mezzogiorno, il clima di fiducia delle imprese ha mostrato un sensibile declino nella seconda metà del 2007, cui si è associata anche una caduta verticale del grado di utilizzo degli impianti, ritornato ai livelli del 1999. Tale peggioramento nelle prospettive di domanda si sono già riflesse nella componente degli investimenti, relativa agli acquisti di macchinari e mezzi di trasporto, che nel 2007 ha fatto registrare al Sud una flessione dell’1,5%, dopo il +7,6% del 2006. Alla forte flessione degli investimenti si è accompagnata una persistente debolezza nella dinamica dei consumi interni nel Mezzogiorno. In particolare, la crescita della spesa finale delle famiglie è risultata nel Mezzogiorno (0,8%) la metà di quella registrata nel Centro-Nord (1,5%). Negli ultimi sette anni la dinamica dei consumi interni si è mantenuto su di un profilo poco più che stagnante ( 0,5%), a conferma di difficoltà delle famiglie meridionali a sostenere il livello di spesa, che vanno al di là della congiuntura. Ma che sembrano ulteriormente aggravarsi nella fase più recente, in conseguenza dell’aumento di tensioni inflazionistiche, i cui effetti rischiano di essere particolarmente sensibili per le classi di reddito più basse, come noto concentrate nel Mezzogiorno. Il mancato apporto dei servizi e la questione urbana (a partire da Napoli) Le dinamiche settoriali degli ultimi anni hanno posto in evidenza nel Mezzogiorno una sostanziale tenuta del settore industriale, che si è mantenuto sui ritmi di crescita, seppur modesti, del Centro-Nord e una assai più modesta dinamica dei servizi. Un quadro che però rischia di peggiorare ulteriormente nei prossimi mesi in considerazione delle difficoltà congiunturali che anche il settore manifatturiero del Sud sembra mostrare nella prima parte del 2008, come mostrato dall’andamento dell’occupazione che nel primo trimestre del 2008 ha fatto segnare una contrazione del 4,9%. La crisi di alcuni distretti del Sud (divano in Puglia) e le difficoltà di alcuni grandi impianti a rischio di delocalizzazione rappresentano la spia di un aggravamento 7 di difficoltà competitive di natura strutturale, sulle quali avremo modo di tornare in seguito Quanto ai servizi, anche le più recenti informazioni riguardo, ad esempio, all’andamento del settore commerciale confermano e aggravano le prospettive di un settore fortemente depresso dalla incapacità delle famiglie meridionali di mantenere gli standard di consumo; difficoltà ulteriormente aggravate dalla accresciuta dinamica inflazionistica che rischia di far sentire i propri effetti proprio sulle famiglie a più basso reddito. Come anticipato, anche con riferimento al complesso degli anni 2000, la peggiore dinamica del settore dei servizi spiega in larga misura le differenze di crescita tra Mezzogiorno e Centro-Nord. Il terziario nel Mezzogiorno è cresciuto tra il 2001 e il 2007 ad un tasso pari a meno della metà di quello del Centro-Nord (0,8% contro l’1,7%); nel 2007 la crescita al Sud è meno di un quarto di quella del Nord. l diverso modello di crescita mostrato nelle due aree suggerisce che, mentre nel settore industriale, più esposto alla concorrenza, vi sarebbero stati nel Mezzogiorno primi, anche se insufficienti, recuperi di produttività – specie con la espulsione dal mercato delle imprese più inefficienti nei settori tradizionali – nel settore dei servizi i processi di ristrutturazione, che stanno avvenendo sotto l’impulso dei cambiamenti di regolamentazione e delle forze di mercato che spingono all’utilizzo delle economie di scala, sarebbero in ritardo. I settori dei servizi oltre ad essere meno esposti alla concorrenza internazionale soffrono anche una carente gestione da parte della pubblica amministrazione. Nel caso dei servizi pubblici locali, il processo di privatizzazione, che doveva portare ad aumenti di efficienza, è rimasto spesso incompiuto, e la frammentazione rimane elevata. Peso centrale nello spiegare il mancato sviluppo del terziario di mercato nel Mezzogiorno assume la “questione” delle grandi aree urbane. Le città, nella gran parte delle esperienze europee di questi ultimi decenni, sono il luogo dove si concentrano le funzioni direzionali, le economie di scala del terziario, i mercati e le risorse umane più qualificate e dove quindi si possono moltiplicare gli effetti positivi dello sviluppo. E’ in queste aree che vi è spesso concentrazione di capitale umano e agglomerazione di imprese in settori tecnologicamente avanzati del terziario che presentano in genere tassi di crescita più elevati. Il “potenziale vantaggio urbano” si ribalta, invece, nel Sud in oggettiva “condizione di svantaggio”. Le aree metropolitane meridionali, da potenziali “motori dello sviluppo” divengono luoghi della acutizzazione del disagio sociale, dell’aggravamento delle crisi ambientali, della accentuazione delle difficoltà di partecipazione delle donne al mondo del lavoro. In tale quadro, non si può non citare Napoli, che assume il valore di caso limite e al tempo stesso emblematico della condizione delle grandi aree urbane meridionali. L’immagine dei rifiuti che invadono le strade centrali della Città rappresentano una triste rappresentazione simbolica di alcuni aspetti sociali ed economici che accompagnano e descrivono la inversione dell’idea di città come concentrazione di opportunità e di servizi; fenomeni, la cui risonanza rischia di travolgere nell’immagine interna e internazionale gli sforzi e le esperienze di progresso di molte realtà del Sud. 8 Occorre prendere atto che in città come Napoli l’emergenza non è solo quella della raccolta dei rifiuti ma quella più generale della difficoltà di accesso ai servizi, di degrado del tessuto sociale, di mantenimento della sicurezza. A Napoli è messa a nudo l’inadeguatezza del sistema istituzionale e di governance del fenomeno urbano che caratterizza complessivamente la realtà italiana. Resta in sintesi drammaticamente irrisolto il problema istituzionale del governo metropolitano, che a Napoli per condizioni oggettive, come la impressionante densità insediativa e i gravi problemi ambientali e sociali, appare molto più complesso e difficile che nelle altre realtà metropolitane italiane o europee. Solo in modo emergenziale e per la difesa della immagine del Paese, Napoli diviene elemento di interesse nazionale, essendo rimasti inascoltati, o intrappolati nelle maglie dei richiami al regionalismo costituzionale italiano, gli appelli a varare leggi nazionali dedicate alla più grande conurbazione italiana. 2. LA MANCATA CONVERGENZA DEL SUD IN UNA EUROPA CHE RIDUCE LE DISPARITA’ L’anomalia del Mezzogiorno La creazione di un mercato comune, la costante riduzione delle barriere allo scambio tra paesi, l’intensificarsi del commercio interno accompagnato da una maggiore mobilità dei fattori e, non ultimo, l’uso dei Fondi strutturali come strumento perequativo, sono elementi che hanno sostenuto e contribuito ai processi di convergenza all’interno dell’Unione europea. A livello continentale, infatti, gli ultimi sette anni sono stati caratterizzati da un forte processo di convergenza che ha visto sia le economie dei Nuovi Stati membri, sia le altre regioni dell’obiettivo “Convergenza”, sia pur in maniera più contenuta, crescere assai più della media europea. Fa eccezione in un tale quadro proprio il nostro Mezzogiorno. I risultati economici dell’economia meridionale negli ultimi sette anni sembrano evidenziare non solo che quello che, a fine anni ’90, sembrava un timido processo di convergenza si è arrestato, ma addirittura che il divario ha ripreso ad allargarsi sia nei confronti del resto del Paese sia rispetto alle altre aree deboli dell’Unione. Dal confronto della dinamica nel periodo 2000-2007 del prodotto interno lordo pro capite (espresso in parità di potere d’acquisto) del Mezzogiorno con quella dei paesi deboli dell’Ue a 27, emerge un quadro sconsolante. Il tasso di crescita dell’economia meridionale (2,0% m.a.) è stato meno della metà di quello della Spagna (4,9%), poco più di un terzo di quello dell’Irlanda (5,5%) e meno di un terzo di quello della Grecia (6,2% m.a.). Nel corso dell’ultimo settennio (2000-2007), il prodotto per abitante della Spagna, soprattutto per effetto del contributo di crescita offerto dalle aree deboli, ha superato il livello della Ue a 27 ed è superiore a quello del Mezzogiorno (68,8% della media Ue a 27) di quasi 36 punti percentuali; anche la Grecia (98,6%) ha superato il 9 Sud, e, tra i Nuovi Stati membri, nel 2007, la Slovacchia ha raggiunto il livello di sviluppo del nostro Mezzogiorno, mentre Estonia, Repubblica Ceca e Slovenia lo hanno già superato. Anche i dati analizzati nel Rapporto relativi alle performances di tutte le 267 regioni dell’Europa confermano la “specialità” in negativo delle regioni del Sud. Le aree comprese nell’obiettivo “Convergenza” sono cresciute tra il 2000 e il 2005 ad un tasso del 4,8% medio annuo a fronte del 3,7% medio dell’area. Analizzando nel dettaglio i singoli paesi, la Germania fa registrare un tasso di crescita del PIL nelle regioni “Convergenza” pari al 3%, a fronte del 2,8% delle regioni “Competitività”. Il processo di convergenza è ancora più evidente in Spagna dove le regioni deboli fanno segnare un +6,5% (quasi 5 volte la crescita delle regioni “Convergenza” italiane) superiore di quasi un punto al già sostenuto tasso di crescita delle regioni “Competitività” (+5,8%). Se si considerano le regioni “Convergenza” e quelle in phasing-out − cioè quelle che nel precedente ciclo di programmazione erano Obiettivo 1 −, anche la Grecia evidenzia tassi di crescita più sostenuti nelle regioni in ritardo. In Italia, invece, nel periodo 2000-2005 il tasso di crescita medio annuo del PIL delle regioni italiane rientranti nell’obiettivo “Convergenza” è stato inferiore a quello rilevabile nelle regioni “Competitività e Occupazione”: 1,5% contro 1,7%. Deboli, svantaggiate o sottoutilizzate: è in queste aree che si è giocata in quest’ultimo decennio la partita per lo sviluppo in Europa. Irlanda, Grecia e Spagna hanno deciso di concentrare su queste aree gli interventi e hanno così realizzato salti nel trend di sviluppo. In Italia, invece, il potenziale di sviluppo costituito dalle regioni meridionali è stato troppe volte vissuto e sentito come una zavorra, e non come una risorsa da valorizzare per attivare dinamiche di crescita che possono e devono estendersi a tutto il Paese. Gli indicatori di competitività regionali A fronte di tali performances negative si è cercato di approfondire quali possano essere i fattori che determinano la mancata convergenza delle regioni meridionali. L’analisi condotta mira a costruire una geografia delle regioni europee, costruita sulla base di tre dimensioni: il benessere economico, la situazione di partecipazione ed equilibrio del mercato del lavoro, il livello di sviluppo delle risorse umane e della ricerca scientifica. Sulla base di queste tre dimensioni si è costruito un indicatore denominato «indice di competitività», con il quale si tenta di esprimere una valutazione di sintesi sulla situazione di vantaggio/svantaggio competitivo delle diverse regioni europee. Tale risultato, seppure abbia un’ovvia relazione con aspetti più strutturali dell’economia come il PIL per abitante, integra tali indicazioni con una valutazione degli strumenti soft che un’economia ha a disposizione per fronteggiare le sfide competitive del mercato globale. Secondo l’indicatore relativo all’occupabilità, le regioni del Mezzogiorno tendano a collocarsi su valori inferiori a quelli rilevabili in base al reddito pro capite. Contribuisce a peggiorare sensibilmente la posizione delle regioni meridionali, ad 10 esempio, il tasso di occupazione femminile che in Sicilia, Puglia, Campania e Calabria non raggiunge il 30%, in assoluto il più basso valore riscontrabile in Europa; distante di quasi 10 punti dai valori riscontrabili nelle regioni più deboli della Grecia e della Spagna e di quasi 20 dalle regioni appartenenti ai paesi dell’Est Europa. Il gap con le altre regioni, anche meno sviluppate, dell’Europa risulta particolarmente rilevante nel campo della formazione del capitale umano e della ricerca. Emerge in particolare la scarsità di laureati nelle discipline scientifiche: la quota dei laureati in tali materie sulla popolazione adulta è pari ad appena il 10,4% in Sardegna, al 10,5% in Puglia, al 10,8% in Sicilia. Solo alcune regioni della Romania e del Portogallo hanno indici più bassi. Se confrontiamo le regioni del Sud con quelle dei paesi della Ue a 15 emerge un quadro sconsolante. Il valore più basso in Spagna si rileva nella regione dell’Extremadura con il 21%. Va sottolineato che anche le regioni del Centro-Nord rimangono sotto i valori medi della Ue. Pesa,infine, per le stesse prospettive di crescita del Sud, la scarsità di risorse dedicate alla ricerca e sviluppo, sia in termini di spesa in percentuale del PIL sia in termini di addetti al settore per 1.000 abitanti. Rispetto ad un valore medio nella Ue a 27 pari all’1,8%, le regioni del Mezzogiorno si collocano tutte sotto l’1%,con la sola eccezione della Campania con l’1,2%; i valori minimi si registrano in Calabria con una spesa in R&S pari ad appena lo 0,4% del PIL. Vanno sottolineati i livelli particolarmente elevati nell’indicatore di capitale umano e ricerca scientifica fatti segnare da alcune regioni rientranti nell’obiettivo “Convergenza” ( e quindi caratterizzate da bassi livelli del PIL pro capite) della Germania, della Slovenia, della Repubblica Ceca, regioni che hanno fatto segnare nella fase più recente tassi di crescita particolarmente significativi, a dimostrazione della capacità di attivazione di processi di sviluppo degli investimenti nel capitale umano e nella innovazione. In base all’indice sintetico di potenzialità competitive predisposto dalla SVIMEZ, per tutte le 271 regioni della Ue a 27 sono state costruite diverse classi. Le regioni italiane dell’attuale obiettivo “Convergenza”, restano su valori inferiori al 70% della media europea, denotando una sostanziale staticità se non segnali di declino. Se si considerano le 80 regioni NUTS2 dell’obiettivo “Convergenza”, emerge come l’indicatore sintetico di competitività calcolato collochi le regioni meridionali dal 36 posto in giù in un gruppo composto soltanto da regioni di paesi nuovi entranti, più 3 regioni del Portogallo e 3 della Grecia. L’analisi condotta sembra contrastare con le indicazioni emergenti dall’indicatore utilizzato dalla Ue, di una progressiva uscita di alcune regioni meridionali dalla situazione di debolezza strutturale. L’utilizzazione di un indicatore più complesso, proprio nel caso delle regioni del Sud Italia, determina un abbassamento dei livelli relativi e il recupero di una sostanziale omogeneità del Mezzogiorno, con la sola eccezione dell’Abruzzo. In particolare la posizione delle regioni del Sud risulta particolarmente deficitaria proprio con riferimento agli indicatori di occupabilità e soprattutto di conoscenza e occupazione. 11 3. L’ESIGENZA DI UNA RIDEFINIZIONE DELLA POLITICA PER IL SUD Di fronte ai radicali mutamenti rapidamente impostisi a partire dall’inizio di questo decennio nel quadro macro-economico internazionale, con l’irruzione delle grandi economie emergenti e per l’affermarsi di un mercato globale dei prodotti, delle tecnologie, dei capitali e delle capacità individuali – mutamenti certo non congiunturali ma tali da configurare l’apertura di una vera e propria nuova “fase storica” –, l’economia del Mezzogiorno ha mostrato gravi e sino ad oggi insuperate difficoltà di adeguamento. Il Mezzogiorno è risultato penalizzato più che in passato dai vincoli strutturali afferenti al contesto economico, sociale e ambientale e dalla debolezza del proprio apparato produttivo, mentre non è riuscito a cogliere, se non in assai limitata misura, i nuovi vantaggi competitivi vigenti nella fase attuale, legati principalmente alle capacità di esportazione e all’attrazione degli investimenti esteri. Da ciò sono discesi il ridotto saggio di crescita dell’economia meridionale e il divario di sviluppo sperimentato negli ultimi anni rispetto alle altre aree deboli dell’Unione europea, caratterizzate invece proprio nella fase più recente – come s’è visto – da progressi anche più sostenuti rispetto a quelle forti. Le cause di questo peggiore andamento del Mezzogiorno sono complesse, e rimandano in larga parte al generale prolungato ristagno dell’economia nazionale rispetto al resto d’Europa, o comunque a problemi di dimensione nazionale, ma che assumono per il Sud gravità del tutto particolare, tra cui soprattutto il deficit di qualità ed efficienza della Pubblica Amministrazione, la presenza della criminalità organizzata, il difficile avanzamento della liberalizzazione dei mercati. Né vanno poi sottaciuti i gravi effetti di un “disegno” debole delle politiche generali nazionali in materia di infrastrutture, istruzione, innovazione e ricerca, che – in campi così rilevanti per lo sviluppo – hanno costantemente mancato di adattare intensità e strumenti di intervento in funzione dei divari intercorrenti tra la macroarea debole e quella forte del Paese. Ma certamente l’assenza di risultati soddisfacenti in termini di crescita e di convergenza del Mezzogiorno è in gran parte dovuta anche ad una ridotta efficacia della politica regionale di sviluppo, nazionale e comunitaria, ai fini dell’impulso all’aumento della competitività del territorio e all’adattamento del sistema produttivo meridionale, mediamente così poco “aperto”, alle nuove condizioni dei mercati. Il mancato successo della politica regionale di sviluppo trova spiegazione in primo luogo in una dimensione della spesa pubblica in conto capitale complessiva destinata al Mezzogiorno assai inferiore a quanto programmato. In secondo luogo, in una forte “frammentazione” dell’intervento. Questa è in parte conseguenza implicita di una impostazione – coerente sia con il nuovo quadro istituzionale interno, sia con quello europeo – che affida primaria responsabilità nella conduzione della politica al livello locale, ossia alle Regioni e alle altre Amministrazioni territoriali. Ma costituisce pure, in buona misura, il portato – non inevitabile – della tendenza, spesso prevalente, di ciascuna Regione a programmare di fatto l’intero intervento all’interno dei propri confini amministrativi; e quindi della difficoltà a realizzarsi di una auspicabile più 12 effettiva e stabile cooperazione tra le Regioni del Sud, e di un più forte coordinamento fra esse e l’Amministrazione Centrale, in una prospettiva strategica riferita al Mezzogiorno nella sua dimensione di macroarea. Il mutamento delle condizioni strutturali del quadro macroeconomico internazionale e nazionale, prima richiamate, sembrano peraltro confermare la necessità di un ripensamento dell’importanza assolutamente prevalente a suo tempo assegnata, nella impostazione stessa della politica per il Sud dopo la fine dell’intervento straordinario, ai fattori di contesto e ai soggetti locali. Il dato, già sottolineato, di una quota della spesa pubblica complessiva in conto capitale nazionale destinata al Mezzogiorno decisamente al di sotto di quanto programmato, serve di per sé a smentire l’idea, purtroppo assai diffusa, di un Sud inondato da un fiume di pubbliche risorse, ma sta anche ad indicare come la spesa in conto capitale aggiuntiva (comunitaria e nazionale) in tale area sia valsa negli ultimi anni solo a compensare il deficit di spesa ordinaria. Più precisamente, i dati elaborati dal Dipartimento per le Politiche di sviluppo e Coesione ci mostrano che la quota di spesa pubblica in conto capitale complessivamente effettuata nelle regioni meridionali è passata, con un progressivo declino, dal 40,4% del 2001 al 35,3% nel 2007. Si tratta di un valore non solo ben lontano dal 45% del totale nazionale originariamente fissato in fase di programmazione, ma che, come accade ormai da qualche anno, non eguaglia neppure il “peso naturale” del Mezzogiorno, che può valutarsi nel 38% circa, media tra la sua quota di popolazione (35%) e la quota del suo territorio (40,8%). Tale deludente risultato è stato conseguito con una “spesa aggiuntiva” di circa 12 miliardi di euro 2007 all’anno. La quota di risorse ordinarie destinate alla formazione di capitale nel Mezzogiorno è stata pari nel 2007 ad appena il 21,4% del totale nazionale, inferiore di circa 16 punti al citato peso naturale dell’area, e di quasi 9 punti rispetto all’obiettivo del 30% indicato nei documenti governativi. Partendo da simili valori di spesa ordinaria, risulta evidentemente assai difficile qualsiasi discorso sull’effettiva addizionalità delle risorse, facendo di fatto divenire di scarso fondamento ogni ragionamento sulla quantità delle risorse specificamente dedicate all’accelerazione del progresso del Sud. Il livello assai basso della spesa ordinaria ha avuto sino ad oggi una influenza decisiva nel ridurre l’efficacia della politica di coesione nazionale. Ma a deprimere l’efficacia dell’azione speciale hanno certamente concorso anche le carenze nella qualità degli interventi: la dispersione delle risorse aggiuntive da finalizzare alla accelerazione dello sviluppo sul territorio in una eccessiva molteplicità di interventi; le lentezze e gli scoordinamenti nella concezione, progettazione e realizzazione degli interventi stessi, tradottisi spesso nella formazione di residui. La mancanza di una adeguata capacità di utilizzazione delle risorse stanziate da parte dei soggetti – spesso numerosi – coinvolti nel processo di spesa, si è manifestata anche nel caso degli interventi finanziati dai Fondi strutturali, nonostante che i tempi d’utilizzo delle risorse “europee” siano comunque stati più veloci di quelli dell’intervento ordinario interno. A tale proposito, le informazioni contenute nella 13 Diciottesima relazione annuale sull’esecuzione dei Fondi strutturali della Commissione Europea, dello scorso novembre, pongono in luce, con riferimento all’attuazione dei programmi dell’obiettivo 1 per il ciclo 2000-2006, come l’Italia, a fine 2006, abbia fatto registrare un livello di spesa pari a circa il 62% delle risorse programmate, di quasi 7 punti inferiore alla media della Ue a 15, a fronte di livelli di circa il 75% sia in Germania che in Spagna, e di oltre l’82% in Irlanda. A inizio 2008, le spese del QCS delle Regioni italiane dell’obiettivo 1 sono risultate positivamente accresciute, arrivando all’81% delle risorse programmate, ma circa il 35% della spesa rendicontata è da attribuire ai cosiddetti “progetti coerenti”, cioè progetti che avevano già una copertura in altre risorse nazionali. L’uso di tali progetti è stato particolarmente elevato nel caso degli interventi in infrastrutture; nel settore dei trasporti, ambito di decisiva importanza strategica per il Sud, in base agli ultimi dati disponibili relativi a fine 2006, i progetti coerenti hanno rappresentato circa il 78% della spesa. L’esperienza della fase di programmazione 2000-2006 ha dunque posto in evidenza la necessità di una netta svolta sia per quanto riguarda le modalità di programmazione e la focalizzazione della spesa, sia per quanto riguarda le modalità di realizzazione degli interventi. L’impostazione del nuovo QSN 2007-2013 – pur presentando alcuni significativi elementi di novità, con la focalizzazione su aspetti particolarmente importanti, quali l’istruzione, l’innovazione e la ricerca, l’inclusione sociale, la legalità e sicurezza, e con l’introduzione dello strumento dei cosiddetti “obiettivi di servizio” – si è però mossa ancora all’interno di una sostanziale continuità con la precedente fase di programmazione. Rispetto al percorso sin qui seguito parrebbe invece necessario procedere ad un più forte processo di riforma interna della programmazione, che, pur evitando di determinare “rotture” traumatiche che rischierebbero di ritardare la spesa e di far perdere risorse, ponga più stringenti vincoli alla frammentazione, alla dispersione territoriale e a quell’eccesso di localismi che ha non marginalmente condizionato i risultati delle politiche. L’ingente dotazione finanziaria programmatica (circa 100 miliardi di euro per l’intero periodo) costituisce certo un presupposto importante, cui deve seguire però una maggiore capacità di concentrare gli interventi su un minor numero di ambiti e su obiettivi chiave di grande rilevanza, secondo un piano di priorità costruito non come sommatoria di richieste dal basso, ma secondo un ben organizzato sistema di responsabilità dei livelli di governo. Anche in questo federalismo spesso “confuso”, occorre individuare i livelli più opportuni – locale, regionale, di cooperazione interregionale, centrale – ai quali definire la programmazione, la realizzazione e il finanziamento di iniziative che siano destinate alle priorità, soprattutto nel campo dell’infrastrutturazione strategica, più strettamente connesse con la realizzazione delle condizioni necessarie per la crescita della produttività delle imprese esistenti e per l’attrazione degli investimenti esteri. 14 4. SUI PRINCIPI DI ATTUAZIONE DEL FEDERALISMO FISCALE Rispetto all’insieme dei problemi che definiscono oggi la questione meridionale, i problemi dell’assetto istituzionale della Repubblica d’Italia appaiono della massima importanza. La SVIMEZ ritiene al riguardo che, con la riforma del Titolo V avvenuta nel 2001, sono stati introdotti in Italia istituti importanti, anche in materia di finanza degli Enti territoriali (art. 119 della Costituzione), che debbono essere intesi nella loro effettiva valenza ed attuati in modo corretto in tempi brevi, per por fine alla situazione paradossale in cui si trova ad operare il nostro sistema democratico. Questo impegnativo compito comporta che si abbia piena consapevolezza del fatto che le norme dell’art. 119 non sono alcunché di separato dal resto della Costituzione; è del tutto necessario connetterle ai contenuti (tra l’altro) degli artt. 3 (uguaglianza di fatto dei cittadini) e 53 (affermazione del punto che vi è in Italia un solo sistema tributario e che esso ha il carattere della progressività) della Costituzione. Il tema più controverso e più controvertibile è quello del finanziamento degli Enti territoriali, o per dire meglio, del finanziamento delle funzioni pubbliche che sono ad essi attribuite, il così detto “federalismo fiscale”. Rispetto ad esso vanno posti con forza due punti. Occorre, in primo luogo, avere chiaro che qualsivoglia regime si voglia introdurre deve essere compatibile con la tenuta dei bilanci degli Enti territoriali (questione della sostenibilità finanziaria della riforma). Sembra del tutto evidente che i commi 2, 3 e 4 dell’art. 119 definiscono per ciascun Ente un insieme complessivo di risorse e lo pongono a fronte di un fabbisogno: ciò attiene alle condizioni di tenuta dei bilanci di tutti gli Enti territoriali e di ciascuno di essi individualmente considerato. Come indicato dalla SVIMEZ in questi anni e ripetuto in questo Rapporto, il fabbisogno va riferito al livello normale delle attività attribuite agli Enti territoriali: dice, infatti, il comma 5 dell’articolo in questione che, per quanto concerne “scopi diversi dal normale esercizio delle funzioni degli Enti” debba farsi ricorso, ove ricorrano le ragioni indicate in detto comma, a “risorse aggiuntive ed interventi speciali”. In sostanza, lo Stato provvede, in base al comma 5, a ciò che va oltre i normali bisogni, nell’assunto che a questo livello normale già si provveda secondo le indicazioni dei commi 2, 3 e 4 dell’articolo. A questa lettura delle norme costituzionali si oppone l’idea che, stabilito il fabbisogno di ciascun Ente, si attribuisca poi alle collettività più ricche risorse superiori ad esso, producendo la conseguenza che l’insieme dei mezzi che restano disponibili per le altre (compresi entrate e tributi propri che gli Enti stessi conferiscono) non risulti bastevole per gli Enti delle zone più povere. Ciò attraverso operazioni di mera “appropriazione” delle risorse che ciascuno di noi, dovunque risieda e in condizioni di uguaglianza, è tenuto a versare per concorrere alle spese dello Stato (art. 53 della Costituzione). La pretesa dei territori più ricchi all’appropriazione (restituzione), che è implicita nelle proposte di attuazione dell’art. 119 della Costituzione fin qui prevalenti, è in contrasto con le norme citate 15 (art. 119, commi 2, 3 e 4) e compromette il principio della sostenibilità finanziaria della riforma “federale”. Il secondo punto è quello dell’autonomia, definita come il potere di variare il livello dei servizi e in modo concomitante le pertinenti entrate. Questo potere è da intendersi riferito all’offerta di ulteriori servizi oltre quelli rientranti nelle “funzioni normali”. Ove, invece, esso dovesse essere esercitato dagli Enti a minore capacità fiscale per la copertura delle “funzioni normali”, non adeguatamente assicurata in base all’interpretazione di cui si è detto, sarebbe negata di fatto a tali Enti l’autonomia che le nuove norme costituzionali prevedono (comma 1, art. 119). L’effettiva attuazione della riforma costituzionale, con l’attribuzione di maggiori funzioni e di autonomia di entrata e di spesa agli Enti territoriali, implica anche la considerazione del ruolo e delle responsabilità dello Stato nel nuovo contesto: minore per ampiezza di funzioni ma con una valenza maggiore ai fini della tenuta dell’intero sistema. Al riguardo sono da salvaguardare due principi. In primo luogo, vale sul piano costituzionale ed ancora di più nella convinzione dei cittadini l’impegno dello Stato in materia di diritti fondamentali delle persone (principio dello Stato assicuratore di ultima istanza). Spetta al Governo centrale, tra l’altro, il potere di “sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni quando lo richiedono la tutela dell’unità economica d’Italia ed in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali” (art. 120, comma 2, della Costituzione). Su questa base hanno avuto luogo gli interventi per l’emergenza rifiuti in Campania e per la copertura dei disavanzi sanitari di alcune Regioni; su questa base vanno applicate le norme del Testo unico degli Enti locali (art. 244) riferite, tra l’altro, all’ipotesi del dissesto. Va nella stessa direzione la previsione di interventi dello Stato “volti a promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, a rimuovere gli squilibri economici e sociali, a favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona”, che è affermata nel comma 5 dell’art. 119 della Costituzione. Il secondo principio è quello dello Stato garante di ultima istanza. In realtà, la tenuta complessiva del nostro sistema democratico e civile è affidata al sistema pubblico nel suo complesso (alla Repubblica) ed, in ultima analisi, a ciascuno di noi, individualmente considerato, nei limiti dei suoi poteri e delle sue responsabilità. Nel sistema è tuttavia preminente, e si esprime nell’ordinamento costituzionale - tra l’altro, attraverso il precetto in base al quale la tutela ultima (di ultima istanza) dell’unità giuridica d’Italia spetta allo Stato - un ruolo forte dell’Ente centrale e, per esso, del Parlamento e del Governo della Repubblica. Ciò vale specificatamente per la tenuta del quadro macroeconomico, per la legislazione elettorale e, sia pure con specificazioni e distinguo, per il sistema contabile, amministrativo e tributario. La concorrenza, la competizione tra gli individui per l’acquisizione e l’uso delle risorse, deve svolgersi, pertanto, entro un quadro di regole della cui correttezza e sostanziale “fairness” lo Stato è in ultima istanza garante. Ciò vale per il sistema nel suo complesso, ma vale anche per il segmento di esso cui è fatto riferimento attraverso 16 l’espressione “federalismo fiscale”. I comportamenti dei poteri decentrati, in termini di servizi forniti, spesa erogata, trattamento fiscale dei cittadini e delle imprese, vanno a determinare l’ambiente (inteso nel senso più generale) in cui l’attività economica si svolge. Ciò che questo Rapporto ampiamente mostra è che l’attuale situazione non soltanto non aiuta, nella direzione di un sostegno effettivo allo sviluppo delle parti deboli d’Italia, ma costituisce esso stesso un ulteriore handicap. 5. I RIFLESSI DELLA BASSA CRESCITA SULLA SOCIETÀ MERIDIONALE Vecchie e nuove povertà L’evoluzione tendenzialmente divergente dai ritmi di crescita degli altri paesi europei che caratterizza l’Italia ed al suo interno le regioni del Mezzogiorno negli anni duemila sta gradualmente aumentando le condizioni di rischio e disagio di fasce sempre più ampie della popolazione. Bassa crescita, domanda di lavoro e/o produttività stagnante sono fattori determinanti di questa evoluzione. Una lettura più attenta delle disuguaglianze presenti nel Mezzogiorno consente di evidenziare accanto agli effetti del mancato sviluppo, anche, all’inverso, gli effetti che un incremento della deprivazione delle famiglie e della diseguaglianza dei redditi può esercitare nel deprimere le stesse potenzialità di crescita di un’area. Richiamare l’esistenza di un forte nesso tra equità e crescita consente di leggere le trasformazioni dell’economia e della società meridionale in una ottica più ampia che va al di la degli aspetti legati all’accumulazione del capitale produttivo e che attiene anche alla più ampia accezione di capitale sociale. L’insufficiente grado di coesione sociale, l’incertezza dei diritti di proprietà, l’inefficienza delle Amministrazioni pubbliche, l’illegalità diffusa e la relativa minore efficacia delle politiche pubbliche concorrono ad ostacolare contemporaneamente sia la crescita della produttività, sia il conseguimento di più alti livelli di eguaglianza dei redditi e di migliori condizioni di vita. Le regioni meridionali,oltre a presentare un minor livello di benessere, mostrano anche un più alto grado di disuguaglianza distributiva rispetto alle regioni del Centro-Nord. In particolare, Campania, Calabria e Sicilia risultano in fondo alla classifica, insieme ai paesi più diseguali d’Europa (Grecia, Portogallo, Lituania e Lettonia). Una sperequata distribuzione del reddito espone molte famiglie al rischio povertà, soprattutto in conseguenza di congiunture negative quale quella che caratterizza il nostro Paese nella fase più recente. L’esistenza a livello nazionale di una “questione salariale” si acuisce fortemente nel Mezzogiorno, dove ormai anche famiglie in cui è presente un percettore di reddito, in passato estranee al rischio di cadere in povertà, evidenziano disagio nel far fronte a bisogni di carattere ordinario. Significativo appare il fatto che nel Mezzogiorno oltre la metà delle famiglie 17 monoreddito (51,6%) risultano esposte al rischio di povertà, rispetto al 28,6% nel Centro-Nord. Nel Sud il 18% delle famiglie percepisce meno di 1.000 euro al mese (sono il 7% nel Centro-Nord); ad esse si aggiunge un ulteriore 20% circa che guadagna tra i 1.000 e i 1.500 euro. In tutte le regioni del Mezzogiorno è relativamente più frequente una collocazione nel segmento più povero della distribuzione dei redditi (e, simmetricamente, meno frequente l’appartenenza al quinto più ricco). I bassi tassi di occupazione, soprattutto femminile, che caratterizzano il Mezzogiorno fanno sì che a parità di numero di percettori, le famiglie meridionali siano più numerose e, quindi, con più familiari a carico. Al di la degli indicatori monetari, la condizione di disagio e vulnerabilità delle regioni meridionali può cogliersi con riferimento ad alcune indicazioni concrete. Il 10% delle famiglie del Mezzogiorno, più del doppio delle famiglie del Centro-Nord, dichiara di non potersi permettere un pasto adeguato almeno tre volte alla settimana. Il 20,9% delle famiglie del Mezzogiorno afferma, inoltre, di non potersi permettere di riscaldare adeguatamente l’abitazione, rispetto al 5,4% del Centro-Nord. Nel Mezzogiorno, il 19,3% delle famiglie ha avuto periodi (anche una volta soltanto nell’anno) in cui non aveva soldi sufficienti per l’acquisto di medicinali (il 6,1% delle famiglie al Centro-Nord). Il 28,6% delle famiglie non ha potuto acquistare i vestiti di cui necessitava, l’8,2% delle famiglie con figli in età scolare non aveva soldi per la scuola, il 12,8% delle famiglie non aveva sempre denaro sufficiente per i trasporti e il 24,3% ha dichiarato di non avere avuto abbastanza soldi per pagare le tasse. Le famiglie residenti in Sicilia, Campania e Calabria sono, fra le regioni del Mezzogiorno, quelle con le percentuali di disagio più elevate. Il ritardo nei pagamenti delle utenze, delle rate del mutuo, dell’affitto o dei debiti contratti con il credito al consumo, rappresenta una condizione di forte disagio economico delle famiglie. Nel Mezzogiorno le famiglie in disagio risultano, tranne nel caso del pagamento del mutuo, quasi il doppio di quelle del Centro-Nord. Le condizioni oggettive di deprivazione delle famiglie trovano conferma negli indicatori soggettivi relativi alla percezione delle famiglie delle difficoltà ad arrivare a fine mese, nel sostenere una spesa imprevista, nel risparmiare o nel riuscire ad avere una settimana di ferie in un anno. Le minori opportunità di occupazione sono uno dei fattori determinanti del rischio di povertà. Il 51,1% dei disoccupati nel Mezzogiorno è esposto al rischio di povertà rispetto al 26,2% nel Centro-Nord, così come risultano più elevati i rischi per gli altri inoccupati (casalinghe, studenti, inabili al lavoro, “in altra condizione”), compresi in parte i ritirati dal lavoro. Accanto alla quantità un ruolo importante ricopre la qualità del lavoro. Se la flessibilità nel mercato del lavoro consente solo di trasferire una parte della disoccupazione in lavori precari o a bassa retribuzione, l’esposizione al rischio di povertà rimane comunque elevata. Un altro rilevante fattore di rischio è costituito dalla scarsa formazione del capitale umano: nel Mezzogiorno il 40,6% di chi possiede un’istruzione elementare o nessun titolo risulta esposto al rischio di povertà, rispetto al 18,1% del Centro-Nord. In 18 quest’ultima area, il 7,5% di chi ha conseguito un diploma di scuola superiore si trova in condizione di basso reddito, mentre nel Mezzogiorno quasi un terzo (31,5%) dei diplomati non ha redditi sufficienti. Neanche il conseguimento della laurea garantisce comunque di raggiungere sempre livelli di reddito adeguati: il 9,4% dei laureati residenti nel Mezzogiorno e il 4% di quelli del Centro-Nord sono esposti al rischio di povertà. In presenza di un forte squilibrio nella distribuzione primaria, la redistribuzione operata dal sistema di tasse e benefici non riesce a compensare le disparità in misura sufficiente, sia per mancanza di risorse finanziarie, sia per i possibili ritardi e per le incoerenze delle politiche sociali Il sistema di Welfare italiano resta legato al vecchio modello fordista, caratterizzandosi per una elevata copertura del rischio di perdita del reddito connesso prevalentemente ai raggiunti limiti di età degli occupati regolari, e prevedendo uno scarso grado di protezione per le famiglie, l’infanzia e la disoccupazione e nessun tipo di prestazione per i giovani in cerca di prima occupazione o con lavori irregolari. Una rimodulazione delle politiche sociali si rende pertanto indispensabile per contrastare gli effetti negativi dei ben noti vincoli che penalizzano gli individui, le famiglie e le imprese del nostro Paese. L’invecchiamento della popolazione è probabilmente il vincolo più pesante, sia nell’immediato che in prospettiva. Le conseguenze negative che ne derivano sono molteplici ed incidono sia in termini di spesa previdenziale, sia in termini di capacità contributiva al sistema e di riassetto del sistema di protezione sociale. La progressiva partecipazione femminile al mercato del lavoro, a partire dai livelli decisamente arretrati rispetto alla media Ue, ha acuito il problema di una disponibilità di servizi spesso insufficienti. Le famiglie stanno perdendo gradualmente il loro ruolo di rete di supporto, tradizionalmente affidato alle donne, vale a dire la loro capacità di farsi carico dell’assistenza ai bambini, agli anziani e alle persone con disabilità (destinate ad aumentare). Questo scenario richiede al sistema di protezione sociale sia l’attivazione dei tradizionali strumenti di sostegno al reddito, attraverso i trasferimenti monetari ai lavoratori disoccupati o alle famiglie in condizioni di disagio, sia l’attuazione di politiche attive che favoriscano tanto la conciliazione della famiglia con il lavoro, quanto l’ampliamento dell’offerta di servizi di assistenza agli anziani. Nel dibattito sulla riforma del Welfare non si può comunque prescindere dalla considerazione delle profonde differenze che, in un’economia dualistica qual è ancora l’Italia, permangono nella distribuzione delle risorse e dei bisogni tra le due aree del Paese. Un esempio della scarsa coerenza del riassetto del Welfare italiano è il fatto che importanti liberalizzazioni, come quelle dei mercati del lavoro e degli affitti, non siano state accompagnate da sufficienti misure di salvaguardia dei soggetti più vulnerabili dalle conseguenze prevedibili delle riforme. Gli interventi per la disoccupazione e le politiche abitative sono in Italia al di sotto degli standard dei paesi europei più avanzati. Né è stato possibile, in un quadro di preoccupante declino demografico e di crescente disagio delle famiglie con minori, adottare politiche familiari più razionali e 19 incisive, con pesanti ricadute in termini di occupazione femminile e, per le famiglie a reddito insufficiente, di povertà minorile. Per quanto riguarda i ritardi in materia di lotta alla povertà estrema, anche questi più volte segnalati da numerosi osservatori, si deve ricordare ancora una volta che l’Italia è uno dei pochi paesi europei a non avere misure universali di integrazione dei redditi insufficienti a garantire uno standard di vita minimo. Il Sud tra immobilità interna e nuove migrazioni verso il Nord Le situazioni di crescente disagio economico e sociale si riflettono anche sui fenomeni di mobilità territoriale. Il carattere dualistico del mercato del lavoro italiano determina una caratterizzazione patologica di fenomeni di per sé fisiologici come i trasferimenti di residenza o il pendolarismo. Il Centro-Nord emerge come un’area caratterizzata da un’elevata mobilità interna multidirezionale; un modello molto simile a quello prevalente nei paesi ad elevata industrializzazione, in cui una elevata mobilità interna si associa ad un consistente flusso in entrata di immigrati dall’estero e dal Mezzogiorno. Nell’area meridionale, al contrario, gli spostamenti di breve e medio raggio sono assai minori, e si limitano per lo più a spostamenti di figure professionali di basso livello all’interno della stessa città o provincia. Il fatto che tra le regioni meridionali ci siano limitati scambi e trasferimenti di forze lavoro temporanee o permanenti è dovuto principalmente ad una generalizzata carenza di occasioni di impiego, che tende ad alimentare la staticità del sistema e la fuoriuscita di risorse umane non assimilabili nell’area. Un sistema quindi di sostanziale immobilità negli spostamenti di piccolo e medio raggio, cui invece fa riscontro una elevata mobilità di lungo raggio verso il Centro-Nord, che solo parzialmente si riflette nei cambi di residenza, in quanto in larga misura si caratterizza per un pendolarismo Sud-Nord. La consistenza di trasferimenti di lungo raggio unidirezionali (con cambio di residenza o attraverso pendolarismo) tra le due macro-regioni dell’Italia costituisce un fatto unico tra i paesi europei. Le dimensioni complessive del fenomeno assumono negli ultimi anni una forte rilevanza. Per quanto riguarda i trasferimenti di residenza, i flussi in uscita dal Sud verso il Centro-Nord si sono attestati intorno alle 120 mila unità nel biennio 2004- 2005, per poi continuare a crescere, seppur lievemente, nel successivo biennio 2006- 2007. Mentre i trasferimenti dal Centro-Nord al Mezzogiorno negli ultimi venti anni sono rimasti sostanzialmente stabili – nell’ordine delle 65 mila unità e segnati da rientri di persone in età pensionabile o giovani al termine del ciclo di studi – tra il 1997 e il 2007 oltre 600 mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno. Ma la cosa più rilevante è che la gran parte di coloro che si sposta è costituito da forza lavoro giovane e ad elevata scolarità. Sono proprio questi aspetti qualitativi che assumono particolare valenza in un’ottica di effetti di tale fuoriuscita di capitale umano sulle potenzialità di sviluppo dell’area. 20 Una analisi più complessiva del fenomeno della ripresa delle migrazioni Sud- Nord non può non tenere conto, come detto, della “nuova migrazione” costituita dal pendolarismo di lungo raggio. Una modalità di spostamento per motivi di lavoro che ha assunto negli ultimi anni una elevata consistenza e che riflette la maggiore precarietà dei rapporti di lavoro nelle regioni di destinazione del Centro-Nord, nonché gli elevati costi di insediamento in quelle aree. Nel 2007 gli occupati residenti nel Mezzogiorno ma con un posto di lavoro nelle regioni centrali e settentrionali erano 150.000, pari al 2,3% degli occupati residenti nel Sud e nelle Isole, dato sostanzialmente simile a quello del 2006. I posti di lavoro del Mezzogiorno, in altri termini, sono in numero assai inferiore a quello degli occupati. La carenza di domanda di lavoro nel Mezzogiorno di figure professionali di livello medio-alto costituisce la principale spinta all’emigrazione. La crescente offerta di rapporti di lavoro temporanei e la crescita dei costi delle abitazioni spinge moltissimi lavoratori a non trasferire la propria residenza, dando così origine a una migrazione “precaria”, percepita come condizione transitoria e legata alla fase di ingresso e assestamento nel mercato del lavoro. Non a caso i pendolari meridionali sono per lo più giovani: oltre l’80% dei pendolari meridionali, infatti, ha meno di 45 anni; quasi il 50% svolge professioni di livello elevato, mentre il 40% ricopre posizioni di livello intermedio. La perdita di tali professionalità per il Sud, prezioso capitale umano giovane e formato, diventa doppiamente penalizzante, in quanto determina da un lato il fallimento economico dell’investimento formativo e dall’altro la mancanza di energie e di competenze in loco necessarie per innescare un processo di sviluppo autonomo e autopropulsivo. 6. L’INDUSTRIA DEL SUD NEL MERCATO GLOBALE Per una ripresa dell’economia nel Mezzogiorno rimane centrale l’ulteriore avanzamento del processo di industrializzazione1, da cui può venire un contributo determinante all’innalzamento del grado di apertura del sistema verso l’estero. Nel nuovo contesto, di un mercato sempre più globale dei prodotti, della tecnologia e, soprattutto dei capitali, il saggio di crescita di un’economia è infatti tanto più elevato quanto più il sistema è aperto ed è in grado di esportare beni e servizi, e quanto più è capace di attrarre investimenti dall’estero. Le due condizioni testimoniano di una raggiunta efficienza produttiva, di un buon livello di profitti, di un clima favorevole alla vita delle imprese, di un’alta fiducia per produttori e investitori. 1 Con riferimento al gap di industrializzazione del Mezzogiorno, si può ricordare che nel 2005, in base ai dati più recenti dell’archivio ASIA, gli addetti nelle unità locali delle imprese nell’industria e servizi del Sud sono risultati 274 ogni 1.000 residenti in età di lavoro (di età compresa tra 15 e 64 anni), a fronte dei 519 del Centro-Nord. 21 Il grado di apertura verso l’estero è strutturalmente molto più basso nelle regioni meridionali rispetto a quello del Centro-Nord, ma per un certo periodo, in particolare nella seconda metà degli anni ‘90, le esportazioni sono cresciute ad un tasso superiore a quello del resto del Paese, determinando una tendenza al riavvicinamento. In quel periodo, la crescita dell’export meridionale è stata più intensa anche nei comparti tradizionali. A partire dai primi anni di questo decennio, tuttavia, la tendenza alla convergenza si è arrestata. Con riferimento al più recente biennio 2006-2007, le esportazioni italiane hanno mostrato una rinnovata ed inattesa vitalità che ha interessato entrambe le aree, ma con qualche differenziazione: nel Sud, diversamente che nel Centro-Nord, essa non si è diffusa alle produzioni tradizionali, nelle quali sono comprese essenzialmente le produzioni del made in Italy, per lo più operanti in imprese di piccola dimensione. Nel Mezzogiorno i settori tradizionali - che presentano una specializzazione produttiva più sensibile all’accresciuta concorrenza dei paesi emergenti - hanno registrato dinamiche meno favorevoli. Il loro peso sul totale delle esportazioni manifatturiere si è fortemente ridotto, passando dal 29,3% degli anni 2001-2003 al 19,6% registrato nel 2007. Tali andamenti hanno coinciso con le difficoltà di sistemi produttivi di piccole imprese locali particolarmente dinamici fino alla fine degli anni ’90, ma fortemente inadeguati ad affrontare la crescente competitività internazionale. Soprattutto nei sistemi produttivi del Sud, in coerenza con quanto accade nei distretti del Nord, è proprio la dimensione a fare la differenza e, quindi, a spiegare le diverse performances. I sistemi produttivi che presentano al loro interno imprese leader di maggiori dimensioni registrano i risultati migliori, quelli caratterizzati dalla presenza di piccole imprese locali appaiono in crisi. Le difficoltà incontrate dalle imprese tradizionali meridionali sono da ricercare, in primo luogo, nella loro attitudine ad entrare ed uscire dai mercati esteri in funzione di variazioni del ciclo e dei prezzi relativi. Tale comportamento segnala evidenti criticità di queste unità produttive nel radicarsi nei mercati, ed una conseguente fragilità delle loro quote di mercato. Le produzioni che hanno fatto da driver all’export meridionale (autoveicoli, altri mezzi di trasporto, prodotti raffinati) sono quelle con forti economie di scala, quasi prevalentemente costituite da grandi imprese, a proprietà esterna all’area e per le quali è più elevata la domanda a livello mondiale. Esse costituiscono un punto di forza dell’apparato produttivo meridionale: il loro peso sul totale delle esportazioni manifatturiere, già pari a circa il 50% negli anni 2001-2003, è salito al 60,9% nel 2007, a fronte del 38,7% nel Centro-Nord. Molte di queste imprese si sono localizzate nel Mezzogiorno tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ‘60, quando venne avviato il “secondo tempo” dell’intervento straordinario, basato su una politica di industrializzazione trainata dalle Partecipazioni statali e dalle grandi imprese del Centro-Nord. Nell’ambito del processo di ristrutturazione avviato dal sistema industriale italiano per far fronte alle crescenti pressioni competitive, un ruolo centrale hanno avuto le medie imprese largamente specializzate nei settori tipici del made in Italy 22 (comprendenti le produzioni tradizionali e la meccanica strumentale). Le brillanti performances delle medie imprese sono messe in luce dall’ultima Indagine Mediobanca-Unioncamere2 , che analizza le società di capitale aventi una forza lavoro tra i 50 e i 499 addetti e un fatturato tra i 13 e i 290 milioni di euro. Da tale analisi emerge come le medie imprese italiane, circa 4.000, siano divenute il punto di forza dell’apparato produttivo nazionale, sotto il profilo della competitività, solidità finanziaria e redditività. Nel Rapporto SVIMEZ di quest’anno è stata condotta un’analisi territoriale dei dati (relativi al 2005) messi a disposizione da Mediobanca, che ha posto in luce come anche nel Sud vi sia la presenza di un nucleo di medie imprese dinamiche, anche se in numero relativamente assai ridotto (333, pari all’8,2% del totale nazionale). Nel Mezzogiorno le medie imprese si caratterizzano per una redditività superiore a quella generalmente conseguita dalle piccole imprese dell’area e per una dinamica (1996-2005) delle principali grandezze economiche (fatturato, valore aggiunto capitale investito tangibile, investimenti) migliore di quella delle medie imprese nazionali. Esse ricoprono un ruolo di primo piano, poiché consentono al sistema delle piccole imprese e, talora, anche all’artigianato di “qualità”, di competere nei mercati internazionali. La media impresa industriale è, infatti, un’impresa “a rete”, che organizza e collega il lavoro di una pluralità di aziende, prevalentemente di piccola dimensione, con i mercati di consumo dell’economia globale. I dati pongono in luce una propensione all’export relativamente minore delle medie imprese meridionali. Tale circostanza si può rilevare dal confronto della quota di export detenuta dalle medie imprese meridionali sul totale di quelle italiane (pari al 4,7%) e il loro peso in termini di numero di aziende (pari, come detto, all’8% del totale nazionale). La loro relativamente minore capacità esportativa rispetto a quella delle altre imprese potrebbe, inoltre, essere il riflesso, nel Mezzogiorno, di una generale difficoltà delle piccole imprese operanti nella “rete” organizzata dalle medie di aprirsi sui mercati e del fatto che, almeno in parte, queste ultime abbiano forme di integrazione con imprese del Centro-Nord, che sfuggono alle rilevazioni. Passando a considerare l’altro aspetto che caratterizza l’apertura di un economia verso l’estero, vale a dire la capacità di un’area di attrarre investimenti diretti esteri, va sottolineato come nell’attuale contesto di crescente globalizzazione, gli investimenti diretti esteri (IDE), sono sempre più considerati come uno dei fattori strategici soprattutto per il loro contributo allo sviluppo delle aree in ritardo. In particolare, l’insediamento di un primo gruppo industriale estero può attirare altre imprese operanti nello stesso settore, innescando un circolo virtuoso di crescita che si autoalimenta. Secondariamente, gli investimenti esteri possono innescare processi di spin-off per le imprese locali, favorire la formazione di filiere produttive, sostenere la crescita dimensionale delle PMI, e non ultimo contribuire a determinare uno spostamento della struttura produttiva verso i settori più innovativi e dove la domanda mondiale è più dinamica. 2 Mediobanca-Unioncamere, Le medie imprese industriali italiane (1996-2005), Milano-Roma, 2008. 23 Ma l’Italia non è in grado di intercettare significativi flussi di investimenti esteri. I dati sull’incidenza degli IDE, sul PIL o sugli investimenti fissi lordi, mostrano quote notevolmente più basse della media europea, nonostante la modesta accelerazione dei flussi netti in entrata negli ultimi anni. Nel triennio 2004-2006, il rapporto tra IDE e PIL si attesta all’1,8%, nel nostro Paese, a fronte del 3,7% della media dell’Ue a 25; quello tra IDE e investimenti fissi (pari all’6,6%), pone l’Italia nettamente al di sotto della media europea a 25 (14,4%) e in coda ai principali competitori internazionali. Il divario rimane elevato sia rispetto a grandi paesi, come la Francia e il Regno Unito (che hanno attirato flussi di IDE pari nell’ordine al 3,7% e 7,1% dei PIL nazionali e al 14,6% e 32,1% dei rispettivi investimenti), sia rispetto a paesi più piccoli ma tradizionalmente considerati a forte attrattività di IDE, come l’Irlanda e i Paesi Bassi (i cui flussi di IDE rappresentano rispettivamente il 6,9% e 3,1%, dei loro PIL, e il 21,1% e 12,7%, degli investimenti), sia ancora rispetto a un grande paese dell’Est, come la Polonia, che ha attratto IDE pari al 5,1% del proprio PIL e al 21% degli investimenti nazionali. A livello territoriale, inoltre, la distribuzione degli IDE è totalmente sbilanciata a favore delle grandi regioni del Centro-Nord: nel biennio 2005-2006 (ultimi anni per i quali si dispone di informazioni), i flussi in entrata nel Mezzogiorno non hanno raggiunto l’1% dell’aggregato nazionale. I due aspetti della internazionalizzazione, esportazioni ed IDE, sono tra di loro correlati. Nel Rapporto di quest’anno è stata condotta un’analisi che ha attinto alle statistiche della banca dati Reprint, dalla quale emerge nel Mezzogiorno il ruolo cruciale della presenza delle imprese a partecipazione estera anche nel favorire la crescita delle esportazioni. Le regioni e le industrie nelle quali è più elevato il “grado di multinazionalità” (misurato come rapporto tra gli addetti negli stabilimenti di imprese a partecipazione estera e gli addetti nelle unità locali manifatturiere), infatti, sono anche quelle caratterizzate sia da più elevati livelli di propensione a esportare (espressa dal valore medio delle esportazioni per addetto), sia da una maggiore capacità di tenuta delle relative quote di export nel periodo 2003-2007. Ciò sembra confermare il ruolo di stimolo diretto e indiretto che le multinazionali esercitano verso una maggiore apertura internazionale delle aree in cui si insediano. In particolare, la presenza delle multinazionali nel Sud appare trascurabile nei settori tradizionali del tessile-abbigliamento, cuoio-calzature e legno. E’ questo un ulteriore indizio di come nel Sud, a differenza che nel resto del Paese, i settori tradizionali siano prevalentemente costituiti da aziende scarsamente attrattive per gli investitori internazionali. In altre parole, mentre i sistemi di piccola impresa locale, specializzati nei settori tradizionali dei beni di consumo per la persona e per la casa, sembrano tuttora attraversare nel Mezzogiorno una crisi più grave che in altre aree del Paese, le esportazioni dei settori caratterizzati da una forte presenza di imprese estere hanno conseguito risultati generalmente migliori, sostenendo la crescita complessiva della ripartizione. 24 7. L’ASSENZA DELLE POLITICHE PER L’INTERNAZIONALIZZAZIONE In un quadro caratterizzato da una bassa propensione ad esportare delle imprese meridionali, soprattutto di piccola e media dimensione, e da una capacità di attrazione di investimenti esteri dell’area di gran lunga inferiore al suo potenziale, si può legittimamente ritenere che le politiche possano giocare un ruolo rilevante. Per quanto riguarda le politiche di sostegno all’export, è importante favorire le imprese meridionali, seppure relativamente poche, che già hanno avviato un’attività di esportazione, ma soprattutto occorre contribuire a creare le condizioni affinché un numero sempre maggiore di imprese decida di accedere ai mercati esteri. A tal fine, si pone, a nostro avviso, l’esigenza di spostare l’azione pubblica su un piano di intervento più ampio, che comprenda oltre alle tradizionali politiche commerciali anche azioni di contorno, quali la promozione di filiere di prodotti, l’incentivazione delle operazioni di cooperazione e di aggregazione tra imprese, la tutela del made in Italy dalle contraffazioni, il finanziamento delle attività di informazione e di consulenza alle imprese, il sostegno alla formazione. Tuttavia, una riforma sostanziale degli strumenti di incentivazione non è stata ancora realizzata, e dal lato quantitativo si osserva una compressione dell’intervento pubblico. L’analisi sull’accesso agli strumenti nazionali e conferiti alle Regioni per il sostegno all’export nel periodo 2003-2006 (tra cui i principali sono il decreto legislativo 143/1998 - ex legge “Ossola”; la legge 394/1981 - penetrazione commerciale all’estero; la legge 100/1990 - crediti agevolati per imprese miste all’estero; la legge 304/1990 - gare internazionali) mostra, infatti, come, in Italia, le agevolazioni si siano progressivamente ridotte: dagli oltre 500 milioni di euro del 2003, esse sono infatti scese a poco più di 300 milioni nel biennio 2005-2006. Pur in un quadro di risorse per l’export complessivamente calanti, nel Centro- Nord il sostegno all’internazionalizzazione si è comunque confermato anche negli ultimi anni come uno dei principali obiettivi delle politiche di incentivazione. Il suo peso relativo sul complesso delle agevolazioni concesse nell’area è andato continuamente rafforzandosi: dal 21% al 26% tra il 2003 e il 2006. Di converso, verso il Mezzogiorno sono stati indirizzati incentivi a sostegno dell’internazionalizzazione che rappresentano meno dello 0,5% delle agevolazioni complessive destinate nel quadriennio 2003-2006 all’area. Lo scarso utilizzo delle agevolazioni nazionali e conferite, specificamente destinate al sostegno dell’internazionalizzazione, non è stato, d’altra parte, compensato, nel Sud, da un maggiore impegno delle agevolazioni messe in campo dalle Regioni attraverso i Fondi strutturali. In tale ambito, l’ammontare delle relative agevolazioni concesse alle imprese a favore della internazionalizzazione è irrisorio: 4,1 milioni di euro nel quadriennio 2003-2006, pari allo 0,1% del totale delle agevolazioni regionali concesse. Nel Centro-Nord, invece, gli incentivi regionali alla internazionalizzazione hanno raggiunto un ammontare ben più significativo: 229 25 milioni di euro, che rappresentano all’incirca l’11% del totale delle risorse regionali allocate tramite i Fondi strutturali. Questo inadeguato impegno finanziario a favore dell’internazionalizzazione delle imprese del Sud non può che sorprendere, anche perché appare in contrasto con quanto enunciato nei vari documenti programmatici (nazionali e regionali) dove non si manca mai di sottolineare i vantaggi derivanti da un maggiore grado di apertura verso l’estero. In realtà, sembra essere risultata alla fine determinante la natura prevalentemente “passiva” della maggior parte degli strumenti di incentivazione, la cui attivazione risulta troppo dipendente dalla domanda espressa dalle imprese. Nelle regioni meridionali, la percentuale delle imprese che svolge una consistente attività di esportazione risulta ancora relativamente limitata. Il basso accesso del Sud è, dunque, in larga parte da attribuire al fatto che le imprese meridionali non sono sufficientemente mature per avere bisogno di interventi quali quelli previsti dalle agevolazioni in oggetto; gli stessi amministratori locali hanno, perciò, un ridotto interesse a convogliare risorse su strumenti che non incontrano la “domanda”. E’ chiaro che la domanda di agevolazioni all’esportazione non può che svilupparsi nell’ambito di una complessiva crescita qualitativa delle piccole imprese che tocchi anche altri aspetti della capacità di gestione e di relazione con il mercato. Orbene, è proprio la capacità di leggere la complessiva evoluzione delle imprese di un territorio che avrebbe dovuto costituire il principale vantaggio della politica industriale regionale. Ma, con tutta evidenza, per cogliere questo vantaggio non è risultata ancora sufficiente la maturità amministrativa. Con riferimento a quest’ultimo aspetto, occorre ricordare come forti ostacoli all’attuazione di politiche di sostegno dell’internazionalizzazione più incisive ed efficaci si siano prodotti anche in relazione all’attuale assetto del quadro istituzionale italiano. A livello nazionale, infatti, anche le politiche a favore dell’internazionalizzazione sono state oggetto del processo di decentramento; lo Stato centrale ha conservato in materia di commercio estero solo la determinazione degli indirizzi fondamentali. Ma il quadro istituzionale è in corso di evoluzione e ancora non ben definito: emergono incertezze e sovrapposizioni di competenze tra i diversi organismi nazionali e territoriali. L’esigenza di individuare forme e modalità di coordinamento tra le singole Regioni e tra i diversi livelli territoriali di governance (nazionale, regionale, locale), è quindi largamente riconosciuta; molto più difficile è individuare soluzioni efficienti e condivise. Per quanto riguarda gli investimenti diretti esteri, il livello di attrazione dell’Italia - come messo in luce da diverse analisi - è molto più basso del potenziale, come conseguenza sia del sottodimensionamento della struttura produttiva (nelle PMI prevalgono assetti proprietari ostili alle fusioni e acquisizioni da parte di altre imprese), sia della debolezza della cosiddetta “filiera istituzionale” (diffusa illegalità, scarsa difesa dei diritti di proprietà, inefficienza della Pubblica Amministrazione), fattori di debolezza che si accentuano nel Mezzogiorno. Le regioni meridionali sono inoltre penalizzate dal basso livello delle infrastrutture fisiche e tecnologiche e da una mediamente minore qualità del sistema di formazione del capitale umano, fattori che 26 possono risultare decisivi nel determinare le scelte di localizzazione delle imprese estere. Sono questi, dunque, in sostanza i principali punti su cui devono fare leva, con la necessaria incisività, le politiche di sostegno degli investimenti esteri. L’ importanza delle politiche di attrazione degli IDE è ampiamente riconosciuta in tutti i paesi europei, che presidiano tale azione con specifici organismi e utilizzano diversi strumenti di agevolazione (fiscali, contributivi, di contesto). In notevole misura, infatti, l’effettiva efficacia delle politiche di attrazione dipende, da un lato, dal grado di coordinamento e di integrazione tra i diversi meccanismi di incentivazione disponibili, dall’altro, da azioni di promozione dell’immagine del territorio, di offerta di servizi di tipo consulenziale e di servizi cosiddetti di aftercare, vale a dire di assistenza “continua” agli investitori, anche dopo il loro insediamento. L’efficacia di un così complesso e articolato ventaglio di attività necessita della disponibilità di elevate competenze specialistiche, con marcate capacità di analisi e di individuazione delle migliori soluzioni. Per questo motivo, nella maggior parte dei paesi europei si rileva la tendenza ad affidare l’attrazione degli IDE ad Agenzie istituite ad hoc, specificamente e quasi del tutto esclusivamente dedite al sostegno degli investimenti esteri. Per quanto riguarda la politica industriale italiana, il tema dell’attrazione degli investimenti esteri è forse quello dove si consuma la frattura più netta tra le enunciazioni programmatiche e la loro concreta attuazione. A livello nazionale, infatti, l’Italia non ha mai perseguito stabilmente una specifica politica di attrazione degli IDE, tanto meno indirizzata al Mezzogiorno. Prima ancora che da una insufficienza di risorse e di strumenti, il sostegno agli investimenti esteri è stato frenato dalla mancanza di un’azione sistematica e duratura, dalla carenza di un coordinamento tra i vari meccanismi di incentivazione, attuati ai diversi livelli di governance territoriale (nazionale, regionale, locale), dall’assenza di un interlocutore nazionale privilegiato. A partire dal 1999 anche in Italia la finalità di promozione degli IDE è stata affidata ad una specifica agenzia, l’”Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa” (ex “Sviluppo Italia”), operativa in tutto il territorio nazionale. A differenza che nella maggior parte degli altri paesi europei, tuttavia, all’Agenzia è stato attribuito un mandato molto ampio ed eterogeneo: oltre alle politiche di attrazione degli IDE, esso comprende una pluralità di altre attività, tra cui il sostegno allo sviluppo territoriale, alla creazione d’impresa, alla promozione del turismo, e alla realizzazione di infrastrutture di rete di telecomunicazioni a banda larga. Nell’ambito delle attività di promozione degli IDE, solo a partire dal 2003 è stato istituito un programma di interventi specifico per il Mezzogiorno (“Programma operativo pluriennale di marketing territoriale”), il cui strumento di agevolazione è rappresentato dai cosiddetti “contratti di localizzazione”, che prevedono, oltre che la concessione di agevolazioni agli investimenti produttivi, anche il finanziamento di opere infrastrutturali e il sostegno dell’attività di ricerca e formazione. Il bilancio del funzionamento dei contratti di localizzazione è stato, sin qui, alquanto deludente. Tra il 2003 e il 2007 solo 9 progetti di investimento sono stati ritenuti ammissibili, per un totale di circa 350 milioni di euro di investimenti e 140 milioni di agevolazioni; volumi 27 chiaramente insufficienti a innescare significativi processi di spin-off o di agglomerazione all’interno delle strutture produttive regionali. Inoltre, le erogazioni hanno avuto inizio solo nel 2006 e hanno raggiunto poco meno del 20% delle agevolazioni concesse, a testimonianza del basso stato di avanzamento degli interventi. Tra i fattori che possono avere frenato la sottoscrizione dei “contratti di localizzazione” vi sono innanzitutto le complessità procedurali: alla sovrapposizione di due diverse procedure, quella dei contratti di programma e quella degli APQ, si aggiungono infatti le fasi specifiche del contratto di localizzazione. Pesa, inoltre, la stessa molteplicità dei soggetti istituzionali coinvolti (Ministero dello Sviluppo Economico, Agenzia per l’attrazione, Regioni), contribuendo non poco a dilatare i tempi. Spunti di interesse scaturiscono, tuttavia, dalle nuove disposizioni previste dal decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 all’esame del Parlamento per la sua conversione in legge, che prefigurano una semplificazione degli strumenti di attrazione degli investimenti (contratti di programma e contratti di localizzazione) e un iter più rapido di approvazione degli stessi. 8. FINANZIAMENTO DELLO SVILUPPO E RAFFORZAMENTO DEL RUOLO DEI CONFIDI La piena affermazione del processo di crescita e internazionalizzazione del tessuto produttivo meridionale passa in larga misura per lo sviluppo del sistema finanziario e del mercato del credito. L’accrescimento dimensionale delle piccole e medie imprese meridionali e l’auspicato processo di internazionalizzazione devono tuttavia misurarsi con gli esiti del recente processo di consolidamento del sistema bancario italiano. Tale processo, iniziato negli anni ’90, ha inciso profondamente sugli assetti organizzativi e sui modelli di comportamento degli intermediari, ha plasmato le relazioni banca-impresa, ha inciso sensibilmente sulla rilevanza della contiguità territoriale e dell’intangibilità delle informazioni, traducendosi in un modello relazionale tra domanda e offerta di credito poco in sintonia con le reali esigenze di finanziamento dello sviluppo dell’economia meridionale, e producendo tra l’altro la scomparsa di autonomi centri decisionali del Mezzogiorno. Le fusioni e concentrazioni seguite alla liberalizzazione del mercato del credito, infatti, hanno spostato il baricentro dell’industria bancaria nel Nord del Paese con conseguente indebolimento delle relazioni di clientela tra intermediari locali e piccole imprese meridionali. La politica del credito seguita dagli istituti del Centro-Nord, coerentemente ad una ineccepibile ottica aziendale, si è indirizzata prevalentemente a favore della clientela che presenta migliori combinazioni rischio-rendimento, il che penalizza il tessuto produttivo meridionale peggiorandone le condizioni di accesso al credito; una rarefazione del credito che appare ancora più acuta se si pensa che ha investito piccole e medie imprese, generalmente prive – e ciò assume connotati di particolare intensità nel Mezzogiorno – di strumenti alternativi di finanziamento. 28 La debancarizzazione del Mezzogiorno è leggibile nel calo consistente del numero di banche con sede locale al Sud verificatosi nel corso degli anni ’90, e con particolare vigore a partire dal 1995. Particolarmente indicativo dello spostamento progressivo del baricentro proprietario delle banche all’esterno dell’area meridionale è il dato sulla percentuale di sportelli gestiti da banche con sede locale al Sud: solo il 17,6% del totale. Permangono ampie e crescenti anche le differenze relative alla presenza di sportelli bancari per abitante e per km2. Più di un dubbio emerge pertanto in merito alla coerenza interna del modello strategico che ha ispirato il suddetto processo di ristrutturazione e consolidamento: le piccole e medie imprese del Mezzogiorno avrebbero avuto bisogno di un fitto tessuto di banche locali in grado di interagire proficuamente con il territorio e di instaurare relazioni di clientela durature e capaci di mitigare le opacità informative di imprese sottodimensionate e operanti in contesti ambientali avversi. La direzione del cambiamento è stata invece un’altra e se ne subiscono gli effetti in termini di scarsi volumi intermediati con le imprese del Sud e di drenaggio di risorse a favore di mercati più redditizi. Se una attenuazione degli svantaggi competitivi nella facilità di accesso al credito e nel costo dei finanziamenti è oggi, dunque, per le piccole e medie imprese meridionali una condizione quanto mai importante per la crescita e l’avanzamento del processo di internazionalizzazione, tale percorso può trovare un forte alleato nell’azione delle strutture di garanzia collettive – Confidi – in virtù del ruolo che queste possono svolgere nell’agevolare l’incontro tra domanda e offerta di credito. Le indagini svolte nel corso degli ultimi anni hanno infatti evidenziato il ruolo sempre più rilevante che i Confidi svolgono nel tessuto socio-economico locale, non solo in termini di facilitazione dell’accesso al credito ma anche di sostegno allo sviluppo del tessuto imprenditoriale e di crescita di una cultura finanziaria moderna. L’azione concomitante di vari fenomeni (liberalizzazioni dei mercati finanziari, processi di aggregazione del sistema bancario, riforma dell’accordo di Basilea, adeguamento della normativa nazionale) ha, da un lato, portato a una progressiva evoluzione della natura stessa dei Confidi, con la previsione di nuovi servizi offerti alle imprese e con la nascita di soggetti mossi da logiche più apertamente di “mercato” e, dall’altro, ha indotto a ripensare ruolo, struttura e mission dei Confidi esistenti. Essi infatti sono chiamati oggi non solo ad affinare il loro tradizionale compito di agevolazione delle PMI, generalmente prive di un rating esterno, nell’accesso all’indebitamento bancario, ma anche a favorirne i processi di crescita, elevazione della cultura finanziaria ed internazionalizzazione. Perché ciò possa realizzarsi – affinché, cioè, i Confidi possano ripensare al loro modo di essere e di operare sul mercato del credito e siano in grado di affrontare le sfide o cogliere le opportunità offerte da Basilea II – è indispensabile avviare un processo di ristrutturazione e riorganizzazione interna che ne assicuri il rafforzamento strutturale ed operativo. Con Basilea II, infatti, si introducono una rigida disciplina sui requisiti patrimoniali delle banche – che impone loro di accantonare quote di capitale 29 proporzionali ai rischi assunti – e limiti stringenti al riconoscimento delle garanzie consortili ai fini della mitigazione del rischio di credito, determinando nel contesto nazionale cambiamenti radicali nelle relazioni tra banche ed imprese e, conseguentemente, nel ruolo dei Confidi. La possibilità di superare i suddetti limiti è legata ad un duplice percorso virtuoso che investe banche finanziatrici e Confidi. Le prime sono chiamate ad evolvere verso più accurati sistemi di valutazione del merito creditizio, i secondi a spingersi verso nuove configurazioni più articolate, quali le banche di garanzia collettiva e gli intermediari finanziari di garanzia. Tuttavia, il sistema dei Confidi operanti nel Mezzogiorno mostra attualmente tratti di debolezza strutturale e criticità operative tali da poter costituire – in assenza di azioni volte a favorirne il consolidamento – un serio freno al passaggio verso le su richiamate più evolute configurazioni di Confidi, e al compimento di quel salto di qualità in grado di rendere gli organismi di garanzia collettivi operanti al Sud interlocutori forti e credibili nei confronti del sistema bancario. A tale riguardo, il Rapporto di quest’anno ha dedicato un primo, breve approfondimento proprio ad una ricognizione delle specificità che, in termini dimensionali e di volumi di attività e requisiti patrimoniali, il sistema dei Confidi presenta nelle due macro-aree del Paese; approfondimento che si è basato sulle informazioni offerte dall’XI Indagine annuale sul sistema dei Confidi artigiani aderenti a Fedart Fidi (Federazione nazionale unitaria dei consorzi e delle cooperative artigiane di garanzia), aggiornate al 31 dicembre 20063. Un quadro di ridotta capacità aggregativa e di minore disponibilità di mezzi finanziari dei Confidi meridionali emerge, in particolare dalla lettura di alcuni indicatori dimensionali, quali il numero medio di imprese associate da ciascun Confidi (totale e artigiane) e il capitale sociale. I Confidi meridionali, infatti, associano in media un quarto delle imprese dei Confidi centro-settentrionali (circa 1.100 a fronte di circa 4.100). Inoltre, il capitale sociale medio dei Confidi meridionali è di 470.000 euro, meno della metà della media dei Confidi settentrionali. Infine, il dato relativo al volume di garanzie in essere a livello regionale restituisce immediatamente l’immagine del divario esistente tra strutture di garanzie centro-settentrionali e meridionali: in media, un Confidi localizzato nel Mezzogiorno è esposto per un volume di garanzie di 8,8 milioni di euro, rispetto ai 42 e 32 milioni di un Confidi del Nord e del Centro. In conclusione, il deficit strutturale ed operativo del sistema dei Confidi meridionali rispetto a quello centro-settentrionale – che trova ampia conferma dalla lettura dei dati territoriali –, unitamente alla presenza di una rete di banche locali ancorate a sistemi tradizionali di rating, rischia di rendere molto più ardui nel Mezzogiorno il percorso di consolidamento del sistema delle garanzie collettive e i relativi processi di aggregazione territoriale delle strutture di 1° livello e potenziamento di quelle di 2° livello; e, conseguentemente, di accentuare il divario esistente tra PMI 3 Anche se il riferimento è ai Confidi artigiani, è bene ricordare che essi rappresentano oltre un quarto del complesso delle strutture di garanzia (251 aderenti Fedart Fidi a fronte di 919 Confidi iscritti nella sezione separata dell’elenco degli intermediari finanziari, ex art. 155 TUB, al 31 maggio 2008), il che li rende rappresentativi per numerosità dell’intero sistema. 30 operanti al Nord e al Sud del Paese nell’accesso al credito. La debolezza strutturale dei Confidi meridionali e le difficoltà che essi incontrano nell’adeguarsi al nuovo quadro normativo e regolamentare devono dunque richiamare l’attenzione del policy maker sulla necessità di implementare e rendere realmente efficaci politiche di incentivazione tese ad accelerare lo sviluppo ed il consolidamento dei consorzi di garanzia collettiva, attraverso misure capaci di favorire concretamente i processi di fusione e trasformazione in intermediari vigilati. Solo attraverso l’avvio di un rafforzamento strutturale ed operativo i Confidi saranno infatti in grado di affrontare le sfide e cogliere le opportunità offerte da Basilea II. Tuttavia, la capacità di procedere autonomamente sulla via del consolidamento e della crescita si è dimostrata debole perché deboli sono le condizioni di partenza nel Mezzogiorno. Se si vuole escludere per il sistema dei Confidi operante al Sud non solo il rischio di non assolvere adeguatamente al loro ruolo ma addirittura a quello di depotenziare il loro tradizionale ruolo di agevolazione delle PMI nell’accesso all’indebitamento bancario, e soprattutto se si intende rafforzarne il ruolo, rendendoli protagonisti dell’atteso ed auspicato processo di internazionalizzazione del tessuto produttivo meridionale, occorre, da un lato, proseguire nelle misure di accrescimento patrimoniale dei Confidi – già avviate con le leggi finanziarie per il 2007 ed il 2008 – e, dall’altro, riacquisire il pieno sostegno pubblico dello Stato e delle Regioni. In particolare, il sostegno regionale – attraverso forme di intervento diretto (incremento dei fondi di garanzia ai singoli Confidi) ed indiretto (fondi pubblici di cogaranzia e controgaranzia) – deve realizzarsi senza pregiudicare l’autonomia gestionale delle organizzazioni, da cui unicamente discende il successo delle PMI nel territorio, e soprattutto perseguendo una logica di sistema in grado di indirizzare e coordinare tutti gli attori coinvolti (imprese, banche, associazioni di categoria (Confidi, agenzie di sviluppo). Un esempio di successo in tal senso proviene ancora una volta dal Nord-Est, dove la tumultuosa crescita della capacità imprenditoriale in Veneto trova in parte radici proprio nel forte sostegno offerto dall’Amministrazione regionale4. Non sembra pertanto impossibile immaginare, anche per il Mezzogiorno d’Italia, una rinnovata attenzione della politica regionale e nazionale al sostegno al credito. Questa potrebbe consentire, nelle forme che il legislatore vorrà definire, anche ai Confidi meridionali di superare i limiti dimensionali e organizzativi che attualmente li caratterizzano e di beneficiare in tal modo tutto il tessuto imprenditoriale meridionale. 4 Sempre a tale riguardo, sono da segnalare tre casi esemplari di processi di concentrazione dei Confidi, verificatisi nel Nord, che hanno dato vita di recente ad importanti realtà in grado di porsi come precursori di un modello evolutivo possibile ed auspicale: la nascita, nel 2006, di una nuova società, i Confidi Province Lombarde (dall’aggregazione dei Confidi di Legnano e dei Confidi Province Lombarde), che rappresenta ben il 60% dei finanziamenti concessi nell’anno dal sistema dei Confidi confindustriali lombardi; la conclusione, nel settembre 2006, del lungo processo di fusione di cooperative di garanzia che ha portato alla nascita del COGART CNA Piemonte, operante su tutto il territorio della regione, con identiche regole e strumenti operativi; la fusione dei Confidi di Udine e Pordenone, nel Friuli Venezia Giulia, ufficializzata nel gennaio 2008. 31 9. I TRASPORTI NEL SUD: UN “NON SISTEMA” L’ampia analisi sin qui condotta ha messo in evidenza come il Mezzogiorno stia affrontando le sfide della crescente integrazione internazionale senza aver risolto alcuni deficit strutturali che ne depotenziano fortemente le capacità competitive. Alcune di tali criticità, seppur ampiamente richiamate nella letteratura sul mancato sviluppo del Sud e ritualmente citate nei documenti di programmazione, non hanno trovato sino ad oggi una corispondente attenzione nelle scelte concrete di politica economica. In tale quadro il caso più evidente è quello delle infrastrutturazione di trasporto. Una insufficiente spesa e una inadeguata programmazione degli interventi ha determinato nei decenni nel Mezzogiorno l’attuale situazione che nel Rapporto si sintetizza con la definizione di un “non sistema dei trasporti”. La diffusa carenza di collegamenti sia per la mobilità interregionale che per la logistica territoriale e la sostanziale assenza di nodi di scambio tra le principali modalità di trasporto determina per l’appunto un “non sistema”, in grado di condizionare pesantemente le prospettive di sviluppo, soprattutto se si pensa al nostro Paese, e al Mezzogiorno in particolare, come “nodo” di traffici in posizione centrale rispetto ai flussi commerciali tra i principali mercati europei ed i paesi dell’Estremo Oriente. Di fronte ad una situazione di sempre più fitti scambi tra sistemi “a rete”, il Mezzogiorno si presenta ancora oggi periferico e diviso, non tanto per i vincoli geomorfologici, ma per l’insufficienza delle dotazioni e per la scarsa accessibilità delle infrastrutture esistenti. La perifericità del Mezzogiorno L’applicazione al Mezzogiorno di un indice di perifericità predisposto dall’Eurostat, pone in luce per la macro-area meridionale nel suo complesso una situazione di forte svantaggio rispetto alla maggior parte dei territori europei, anche appartenenti ai paesi di recente adesione all’Ue. Tale condizione di elevate perifericità, non compensata da un’adeguata accessibilità mediante diverse modalità di trasporto, influenza l’accesso ai servizi, le possibilità di sviluppo economico, le condizioni di vita. L’“isolamento” geografico ed economico e gli elevati costi di trasporto hanno molteplici implicazioni: per la “dispersione” di risorse esterne, quali gli investimenti nazionali ed esteri che scelgono nuove, più convenienti allocazioni; per la mancata valorizzazione delle risorse “immobili” interne al territorio; per gli ostacoli, oggettivi, alla “libera” circolazione delle persone; per l’emarginazione del sistema produttivo meridionale, escluso dai mercati e dagli stimoli della concorrenza interna e internazionale. 32 E’ stato correttamente osservato5 che “la perifericità geografica precede la perifericità economica” e che domanda e offerta di infrastrutture sono legate da una forte interdipendenza: da un lato, l’assenza, la scarsità o l’inaccessibilità delle infrastrutture di trasporto e per la logistica (si pensi agli interporti o ai terminali intermodali) sono un vincolo rilevante allo sviluppo economico e alla domanda di infrastrutturazione; dall’altro, sono le stesse dinamiche di sviluppo che agiscono da stimolo ad ulteriore crescita che genera domanda di infrastrutturazione. In Italia, le politiche dei trasporti non hanno inciso in modo determinante sulle condizioni di marginalità dei territori meridionali; hanno anzi finito per determinare un vero e proprio “paradosso della perifericità” per cui le aree geograficamente periferiche sono quelle che hanno subìto in misura più elevata gli effetti di politiche dei trasporti “orientate al mercato”. Si è teso nel nostro Paese a sviluppare reti ed interconnessioni nelle zone a più intensa domanda di infrastrutture (quelle ad elevato tasso di sviluppo) ignorando che la carenza di infrastrutture rappresenta spesso un limite invalicabile al dispiegarsi della produttività dei fattori. Di fronte ad una situazione di evidente squilibrio infrastrutturale, la spesa in conto capitale per il Mezzogiorno è rimasta negli ultimi sette anni sostanzialmente invariata e le risorse europee, che avrebbero dovuto rappresentare un sostegno effettivamente “addizionale” hanno, di fatto, sostituito la spesa ordinaria per infrastrutture (che si è ridotta, complessivamente, di circa il 20%). Il divario tra le due aree del Paese si è così consolidato. Lo stato di avanzamento del programma della Legge Obiettivo, quale risulta dalle delibere Cipe, segnala che gran parte degli impegni finanziari riguarda opere localizzate nel Centro-Nord: l’80,3%, per un ammontare di 70,9 miliardi di euro; il valore della spesa per il Mezzogiorno risulta, invece, al di sotto dei 18 miliardi (il 19,7%). Una scelta che ha implicazioni significative sui collegamenti e sulla mobilità dei territori meridionali: gran parte delle opere deliberate dal CIPE sono infatti infrastrutture di trasporto6. La bassa accessibilità dei sistemi produttivi del Sud L’adeguatezza delle infrastrutture e dei servizi di trasporto va riferita alla domanda che proviene dalle diverse economie territoriali del Paese, e in particolare dalla macroarea meridionale. A tal fine, nel Rapporto SVIMEZ 2008 è sembrato utile procedere a una verifica dell’accessibilità dei Sistemi locali del lavoro, sulla scorta degli indici appositamente costruiti dall’ISFORT. Si tratta di indicatori particolarmente efficaci, in quanto mettono a sistema le dotazioni infrastrutturali, le distanze e le relazioni tra i nodi infrastrutturali di accesso alle reti di trasporto, con la 5 Cfr. Rapporto Annuale ISTAT 2007, p. 153. 6 Dal punto di vista delle risorse, le opere relative a strade e ferrovie rappresentano, in valore, oltre l’80% del totale degli impegni finanziari necessari per completare le opere deliberate dal CIPE. Se si aggiungono anche le metropolitane, tale percentuale sale al 90%.� 33 concentrazione degli operatori economici che quelle reti utilizzano, offrendo una rappresentazione dell’“interazione dinamica” tra tessuto produttivo e rete logistica. Da tale analisi emerge con chiarezza una netta divisione del territorio nazionale, con un Nord che presenta elevati livelli di accessibilità, diffusi territorialmente e tali comunque da configurare un sistema dei trasporti fortemente connesso, e un Sud nel quale dominano bassi livelli di accessibilità, espressione della già ricordata insufficiente dotazione infrastrutturale e scarsa integrazione sistemica, in altre parole un “non sistema dei trasporti”. Se si pone a confronto la situazione relativa all’accessibilità dei territori italiani con quella – precedentemente richiamata – relativa al diverso grado di perifericità degli stessi rispetto ai baricentri economici dell’Unione europea, si può notare una perfetta sovrapposizione delle aree più periferiche, del nostro Paese con quelle che presentano il più basso grado di accessibilità. In sostanza, le dotazioni di infrastrutture di trasporto e il loro grado di integrazione sistemica risultano del tutto insufficienti a correggere significativamente l’handicap costituito dalla maggiore “distanza” geografica e dalle più difficili condizioni geomorfologiche del territorio meridionale. In particolare, l’accessibilità è massima nel Nord-Ovest e nel Nord-Est, dove l’indice utilizzato raggiunge in entrambi i casi un valore dell’80%, superiore rispetto alla media nazionale; valore che si mantiene su livelli elevati anche nelle aree portuali del Tirreno e dell’Adriatico settentrionali. Nel Centro, l’accessibilità è relativamente più contenuta, con la significativa eccezione dell’area urbana di Roma. Per i Sistemi locali del Mezzogiorno, elevati livelli di accessibilità si rilevano solo nelle aree urbane di Napoli, Bari e Catania; le criticità più forti, invece, si registrano per la Sardegna, la Calabria, la Basilicata e per gran parte della Sicilia. Una maggiore accessibilità attiva e passiva del territorio meridionale si tradurrebbe anche in un’immediata riduzione del costo di trasporto, con rilevanti effetti sia sulle singole imprese che sul complessivo livello di competitività del sistema produttivo della macroarea. La facilità di accesso potrebbe aprire nuovi mercati ed accrescere la possibilità di sviluppare quelli esistenti; rendere più competitivi i prodotti della zona di origine, riducendone i prezzi e promuovendone il consumo; consentire, nel contempo, di importare prodotti esterni all’area, prima inaccessibili perché gravati da elevati costi di trasporto; aprire ai mercati anche aree prima escluse, attivando nuove relazioni tra settori, operatori e aziende e superando dipendenze a carattere esclusivo da imprese fornitrici e clienti. Il perseguimento di tale obiettivo richiede un assai rilevante incremento delle dotazioni infrastrutturali, mediante nuovi investimenti, anche di grande portata, sulle diverse scale territoriali: collegamenti verso il Centro-Nord, verso l’Europa, e verso il Sud del Mediterraneo; connessioni interne tra le diverse regioni e province meridionali. Proprio al tema delle prospettive di sviluppo connesse alla crescente integrazione del Sud verso il Mediterraneo viene dedicato quest’anno uno specifico approfondimento. 34 10. LA MESOREGIONE MEDITERRANEA: OPPORTUNITÀ CONCRETA PER IL MEZZOGIORNO Nel corso degli ultimi quindici anni, in seguito alla liberalizzazione degli scambi e alla formazione di un nuovo assetto geo-economico del commercio internazionale, il bacino del Mediterraneo ha riguadagnato una nuova centralità. Dal 1995 al 2007 la domanda di traffico marittimo di container nell’area è cresciuta in media del 9% all’anno, un saggio particolarmente elevato, che secondo recenti previsioni dovrebbe confermarsi almeno sino al 2015. A tale crescita della centralità economica si è però contrapposto un progressivo indebolimento dell’opzione mediterranea in termini politici, soprattutto da parte dell’Unione europea. Dopo gli entusiasmi nati dalla Dichiarazione di Barcellona del 1995 nella quale l’Unione europea lanciava con i paesi mediterranei il Partenariato Euro Mediterraneo, l’attenzione si è ridotta per lasciare spazio al tema dell’allargamento dell’Unione ad Est. La relazione tra Europa e Mediterraneo è stata di fatto ridotta a Politica Europea di Vicinato, nella quale l’obiettivo previsto a Barcellona di creare entro il 2010 un’area di libero scambio sembra sfumato, o limitato ad agevolazione commerciale, non a prospettiva di qualificate relazioni politiche. Eppure come si diceva i cambiamenti geo-economici sembrano confermare le ipotesi di una nuova centralità mediterranea, già oggi in termini di flussi commerciali, ma in prospettiva anche in termini di rilevanza dei mercati. Nel più ampio fenomeno della crescita degli scambi commerciali, il Mediterraneo sta, inoltre, assumendo un ruolo centrale non solo come “terminale” dei flussi di import ed export tra l’Europa e il resto del Mondo, ma anche come area di scambio autonoma, alimentata dalla crescita economica che sta interessando i paesi della Sponda Sud-Orientale. Il pieno sfruttamento di queste opportunità presuppone una “strategia integrata”, che investa tutte le articolazioni infrastrutturali del Paese (valichi alpini, reti ferroviarie, stradali, di collegamento ai terminali portuali) per far fronte all’emergere di una concorrenza mediterranea sempre più vasta e agguerrita. Sotto questo profilo, l’andamento della portualità del Mezzogiorno, pur confermando alcune potenzialità, al tempo stesso evidenzia alcune difficoltà. Dopo il picco del 56,5% del 2003, la quota di container transitata nei porti meridionali sul totale dei porti italiani si è, infatti, progressivamente ridotta fino a segnare il 54,2% nel 2007. Fa eccezione a tale quadro il porto di Gioia Tauro - la più importante realtà portuale italiana – che nel 2007 ha fatto registrare un aumento dei traffici container del 19,1%, il miglior risultato tra i principali porti nazionali e del Sud-Europa. Il vero gap strutturale che non si riesce a colmare è la mancanza di una vera ed efficace capacità di azione, che non consente di assumere ed attuare le decisioni 35 necessarie per sfruttare le occasioni di sviluppo e quella che potrebbe e dovrebbe essere una leadership geo-economica e strutturale difficilmente contendibile. Su tutte queste criticità domina una carente strategia programmatica nonostante la ridondanza dei provvedimenti (Piano generale dei trasporti e della logistica, 2000; Programma di grandi opere strategiche della Legge Obiettivo, 2001; il Patto per la logistica ed il connesso Piano per la logistica, 2005; Piano della Mobilità, 2007). Sono in corso di definizione ulteriori Piani regionali, senza contare parti di programmazioni rilevanti, attivate dalla politica di sviluppo regionale nazionale e comunitaria, che non raramente risultano poco raccordate alle programmazioni di livello generale. Né sembra emergere una pianificazione specificamente dedicata alla portualità, in grado di promuovere uno sviluppo del settore secondo logiche di sistema ed interventi coerenti ed integrati. Rilevante è anche il problema della qualità infrastrutturale, che deve essere orientata non solo ad aumentare la capacità di attrazione dei flussi, ma anche a favorire lo scambio modale e le interconnessioni con le reti (strada e ferrovia), risolvere le situazioni di saturazione e di congestione delle infrastrutture e del territorio in cui sono ubicate, e sviluppare la retro-portualità. Quanto agli aspetti economici, va sottolineato che, pur partendo da situazioni di arretratezza e basso reddito, i paesi del sud-est del Mediterraneo presentano significative performances in termini di sviluppo della produzione e degli scambi commerciali. Il tasso di crescita relativo al 2006 che nel Mediterraneo europeo si ferma al 3% medio, con ritmi più lenti per i paesi più ricchi, nell’area extra Ue si colloca tra il 5 e il 6% nella zona balcanica, arrivando al 16% in Montenegro, anche in forza di una notevole quota di aiuti internazionali. Nella fascia nordafricana, con una crescita dell’8% e un’inflazione contenuta al 3%, Marocco, Tunisia e Egitto trainano lo sviluppo della subregione. Più legati ai settori tradizionali dell’economia, anche perché devono permettere una sussistenza alla loro popolazione che per alcune fasce non è garantita, i paesi non europei della regione mediterranea puntano molto al contributo dei processi di internazionalizzazione nel promuovere accelerazioni del tasso di crescita. In alcuni aree, in particolare quelle dei Balcani, hanno puntato molto su politiche di attrazione di capitali internazionali. La naturale opportunità a commerciare è sfruttata in modi diversi dai diversi paesi e potrebbe essere maggiormente promossa per tutti. In particolare, potrebbero fortemente rafforzarsi nel prossimo futuro gli scambi commerciali di prodotti alimentari. Il diffondersi del benessere e il conseguente incremento della domanda di beni alimentari potrebbe costituire una favorevole prospettiva anche per l’export del sistema economico meridionale, dotato di una spiccata specializzazione in tale comparto. Se la costruzione di una regione mediterranea con una fisionomia istituzionale in grado di darle riconoscibilità e ruolo è una prospettiva difficile ma auspicabile, esiste un ruolo da giocare per il Mezzogiorno italiano. Per la sua posizione geografica la parte meridionale della penisola italiana è naturalmente terra centrale nel dialogo 36 mediterraneo. Oltre a essere il prodotto di una contaminazione secolare avvenuta nel cuore del Mediterraneo, il Mezzogiorno è oggi sempre più vivo nelle relazioni commerciali col resto della regione mediterranea. Se le esportazioni delle regioni meridionali sono aumentate del 43% nel periodo 2000-2007, la dinamica verso le nazioni mediterranee non appartenenti all’Unione europea vede un incremento che supera il 79%, per un valore complessivo superiore ai 4 miliardi di euro. Oltre ad una legittimazione economica che sta crescendo ogni anno verso la strada dell’integrazione, non mancano,come detto, difficoltà di natura politica. Le scelte degli ultimi anni in termine di opzioni strategiche dell’Unione europea, hanno privilegiato, con l’allargamento verso Est, l’asse orizzontale Ovest/Est, rispetto a quello Nord/Sud. Anche nelle politiche di infrastrutturazione strategiche, l’asse Berlino-Palermo, elemento decisivo per il collegamento del Mediterraneo con i mercati centro–europei è, ben lungi dal compimento. Le scelte politiche dei prossimi anni saranno decisive per definire la “perificità”del Mezzogiorno, ultima pendice dell’Europa o porta di accesso verso il Mediterraneo. L’opzione mediterranea è strategica non solo per il Mezzogiorno ma per l’intera Unione europea. Lo sviluppo dell’area favorirebbe lo sviluppo dell’intera area sud-orientale, di molti paesi già membri dell’Unione dell’allargamento e di altri che potrebbero entrarvi, come la Croazia, il Montenegro, la Turchia. L’impegno mediterraneo favorirebbe, inoltre, i rapporti con l’intero continente africano nei confronti del quale l’Europa rischia di perdere quella posizione di privilegio che ancora occupa. Proprio nella prospettiva di una rinnovata centralità del Mediterraneo, elemento fondamentale dovrebbe essere il rafforzamento dei legami intra-Mediterranei, attraverso lo sviluppo di stabili relazioni internazionali, da realizzare attraverso una nuova “Istituzione” Mediterranea. Al momento manca un soggetto istituzionale meridionale in grado di rappresentare il Sud e allo stesso tempo di promuovere tali processi. Potrebbe esistere uno spazio per un tavolo Stato-Regioni dedicato alla promozione del dialogo per la costruzione del quadro comune mesoregionale, che potrebbe vertere su ambiti specifici di speciale competenza per il Sud. Il primo ambito è quello della logistica per sfruttare l’opportunità della crescita delle merci che transitano sul Mediterraneo, per effetto dello sviluppo commerciale della Cina e dell’India. Altro aspetto rilevante è quello della formazione; le Università del Sud dovrebbero divenire centri di attrazione di capitale umano proveniente dall’intero Mediterraneo, così da passare da terra di emigrazione a terra di immigrazione di cervelli. Altri ambiti potrebbero riguardare il superamento del digital divide e la promozione delle reti di telecomunicazione, l’agricoltura, il turismo, l’energia. Ma cogliere le opportunità mediterranee richiede scelte coerenti di livello nazionale e sopranazionale. L’indebolimento della politica euro-mediterranea ha di fatto implicato, più in generale, uno spostamento della strategia dell’Unione da un ottica Nord/Sud, cui erano particolarmente interessate le aree periferiche quali il Mezzogiorno, verso una direttrice Ovest/Est che dà centralità alla Germania e rischia di aumentare le perifericità delle regioni mediterranee. I paesi mediterranei dell’Unione 37 europea si trovano così in una condizione in parte contraddittoria: da un lato condividono il percorso dell’Unione che non impedisce iniziative di collaborazione tra paese e paese, dall’altro guardano alla possibilità di costruire relazioni privilegiate non solo verso Nord (o più recentemente verso Est), ma anche verso Sud. Accanto al Partenariato Euro Mediterraneo da più parti si è evocato quindi l’opportunità di creare iniziative che rafforzassero un quadro di cooperazione intermediterraneo. Va in questa direzione la proposta del Presidente francese Sarkozy di creare una Unione Mediterranea. L’idea è di creare con tutti i paesi mediterranei non solo un’area di libero scambio, ma istituzioni politiche e giuridiche comuni. A tale proposta ha fatto seguito quella del Governo spagnolo, che ha proposta una prospettiva di Unione Euromediterranea, che allargherebbe alla dimensione mediterranea l’orizzonte dell’attuale Ue. Le due proposte rivelano l’esistenza di un interesse intorno alla costruzione di un quadro formale che rafforzi le relazioni mediterranee, che appare, invece, sostanzialmente mancare in un Italia con la testa rivolta al di sopra delle Alpi. 38 Finito di stampare il 15 luglio 2008 dall’Industria Grafica Failli Fausto s.r.l. Via A. Meucci 25, Via Tiburtina Km. 18,300 – 00012 Guidonia Montecelio (Roma) per conto della SVIMEZ “Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno” Via di Porta Pinciana 6, 00187 Roma Tel. 06.47.850.1 • fax 06.47.850.850 • e–mail: svimez@svimez.it SVIMEZ/05_Testo.pdf “RAPPORTO SVIMEZ 2008 SULL’ECONOMIA DEL MEZZOGIORNO” SINTESI Roma, 18 luglio 2008 INDICE p. 1. L’economia (rif. Cap. I) 1 2. L'agricoltura (rif. Cap. II) 10 3. L'industria (rif. Cap. II) 13 4. Il terziario (rif. Cap. II) 15 5. La popolazione (rif. Cap. III) 18 6. Il mercato del lavoro (rif. Cap. III) 23 7. Migrazioni e pendolarismo (rif. Cap. IV) 29 8. Spesa pubblica in conto capitale nel periodo 1996-2007 (rif. Cap. V) 33 9. Gli squilibri nelle dotazioni infrastrutturali (rif. Cap. VII) 36 10. Le infrastrutture per la mobilità (rif. Cap. XIV) 41 11. Il Mezzogiorno nel contesto europeo (rif. Cap. X) 47 12. L’ICT e Internet (rif. Cap. X) 55 13. Sicurezza e lotta alla criminalità nel Mezzogiorno (rif. Cap. XI) 58 14. Il rischio povertà nel Mezzogiorno (rif. Cap. XII) 64 15. La questione urbana (rif. Cap. XIII) 70 16. Logistica e ruolo del Mezzogiorno nel Mediterraneo (rif. Cap. XVIII) 76 1 1. L’economia L’andamento produttivo Nel 2007 l’economia italiana ha registrato un rallentamento della fase espansiva mostrata nell’anno precedente. Il PIL è aumentato dell’1,5% (1,8% nel 2006), quasi mezzo punto in più rispetto alla media del periodo 2001-2007 (1,1%) (v. Tab. 1). Il prodotto interno lordo del Mezzogiorno è aumentato dello 0,7% in media all’anno, un punto in meno che nel Centro-Nord (1,7%), con un calo rispetto all’aumento del 2006 (1,1%, il più elevato registrato dal 2001). Sono sei anni consecutivi che il Mezzogiorno cresce meno del resto del Paese. Dal 2002 al 2007, il PIL è aumentato nel Centro-Nord del 6,4% cumulativamente, mentre al Sud la crescita è stata poco meno di un terzo (2,4%). In termini di valore aggiunto, calcolato ai prezzi base concatenati all’anno di riferimento 2000, il Mezzogiorno ha registrato un incremento dello 0,7% rispetto al 2006, inferiore a quello dell’anno precedente (1%) ed anche a quello del Centro-Nord, dove si è avuto un aumento dell’1,9%, lievemente inferiore al 2% del 2006. L’unico settore che nel 2007 ha contribuito negativamente all’aumento del valore aggiunto nel Mezzogiorno è stato, per il terzo anno consecutivo, quello agricolo, che è calato del 2,2%, a fronte di un aumento nel resto del Paese dell’1,5%. La crescita del settore dell’industria in senso stretto, positiva per entrambe le aree, è stata nel Mezzogiorno più sostenuta (1,9%) di quella del Centro-Nord (0,7%), specie se paragonata alla dinamica negativa registrata nella media del periodo 2001-2007 (- 0,1%). Una crescita nel Sud è segnalata nel 2007 anche per il settore delle costruzioni (1%), dopo la flessione dell’anno precedente (-0,2%). Lo sviluppo del settore nel Centro-Nord è stato più elevato (1,9%). Nel 2007 l’andamento produttivo del settore dei servizi è stato positivo in entrambe le ripartizioni, ma nel Mezzogiorno esso registra una crescita modesta (0,6%), pari a meno della metà di quella dell’anno precedente (1,5%), e a poco più di un quarto di quella nel Centro-Nord (2,3%), che ha mantenuto lo stesso ritmo dell’anno precedente. Nell’ambito delle attività terziarie, il settore del commercio ha registrato nell’anno una dinamica stagnante (-0,1%), dopo la crescita dell’1% registrata nel 2006. Il settore ha risentito della bassa dinamica della domanda interna a cui si sono sovrapposti processi di ristrutturazione, che continuano a favorire la crescita della grande distribuzione. Una forte riduzione del tasso di crescita è segnalata nel settore dell’intermediazione finanziaria e immobiliare, 0,6% rispetto al 4,1% dello scorso anno, a fronte del 2,7% nel Centro-Nord, con un lieve rallentamento rispetto all’anno precedente (3%). Nel Mezzogiorno, il maggiore incremento nel 2007 si è avuto nel settore degli alberghi, ristorazione, trasporti e comunicazioni, cresciuto dell’1,6% (1,5% nel 2006), sebbene con una dinamica pari a circa la metà di quella registrata nel resto del Paese (3%). Un andamento positivo si è registrato anche nel settore composito dei servizi alle imprese e alle famiglie (0,4%), che ha risentito contemporaneamente della ripresa della produzione manifatturiera ma anche della bassa dinamica dei redditi delle famiglie; nel Centro-Nord la dinamica di questo settore è stata più elevata (1,4%), anche a seguito del buon andamento del settore informatico. 2 Unità di lavoro e produttività La crescita dell’input di lavoro, misurato nella contabilità nazionale dalle unità standard di lavoro, registrata in Italia nel 2007 (1%) ha riguardato il Centro-Nord ma non il Mezzogiorno. In tale ripartizione la variazione dell’input di lavoro è stata nell’anno lievemente negativa (-0,1%), consolidando i livelli consentiti con la forte crescita dell’1,3% del 2006, dopo tre anni consecutivi di flessione. Nel Centro-Nord, invece, l’aumento è stato dell’1,4%, in parziale decelerazione rispetto a quello particolarmente rilevante del 2006 (1,8%). Nel 2007 la crescita del valore aggiunto per occupato è stata bassa, sia nel Centro-Nord che nel Mezzogiorno, segnale delle difficoltà nel competere sui mercati: infatti essa si tramuta in costi unitari relativamente più elevati rispetto ai paesi concorrenti. Nel complesso, nel 2007 la produttività è cresciuta nel settore agricolo, sia nel Mezzogiorno (1%) sia, soprattutto, nel Centro-Nord (4,2%). La produttività è, invece, diminuita nella stessa misura (-0,3%) nell’industria, in entrambe le ripartizioni, per un calo severo della produttività nel settore edile (-1,1% nel Mezzogiorno e -0,7% nel Centro-Nord), mentre il prodotto per addetto nell’industria in senso stretto è rimasto stagnante. La produttività nei servizi è cresciuta di più nel Mezzogiorno (0,8%), − dove ha beneficiato dell’incremento del 2,3% realizzato nel commercio − che nel Centro- Nord (0,5%). Nel complesso, vi è stato un lieve recupero delle differenze di produttività da parte del Mezzogiorno rispetto al resto del Paese. Il livello del prodotto per addetto a prezzi concatenati, che risultava essere pari all’80,4% del Centro-Nord nel 2006, è aumentato nel 2007 all’80,6%. Il confronto settoriale mostra come il Mezzogiorno stia recuperando in termini di produttività prevalentemente nel settore dei servizi, e soprattutto in quello del commercio, mentre il divario è aumentato nell’agricoltura e, lievemente, nelle costruzioni, rimanendo pressoché costante nell’industria in senso stretto. Il PIL per abitante Nel 2007 il prodotto per abitante nel Mezzogiorno è risultato pari a 17.483 euro (v. Tab. 3). In termini relativi, tale valore equivale al 57,5% del prodotto pro capite del Centro-Nord, pari a 30.381 euro. Il divario si è di nuovo lievemente allargato nel 2007 rispetto al 2006 (di 0,2 punti percentuali), risentendo del rallentamento della crescita più forte nel Mezzogiorno. In termini monetari la differenza tra i livelli di reddito medio pro capite tra le due aree rimane ancora elevata (quasi 13.000 euro), indicando l’esistenza di differenze profonde nella produttività dei fattori nelle due ripartizioni. Consumi e investimenti Nel 2007 la crescita dei consumi finali interni è risultata nel Centro-Nord pari all’1,6% con un incremento più che doppio rispetto a quello del Mezzogiorno (0,7%) (v. Tab. 4). Parte della differenza è attribuibile alla spesa delle Amministrazioni pubbliche, che è aumentata nelle due le ripartizioni, dopo la diminuzione per entrambe nel 2006, con un incremento nel Centro-Nord (1,6%) molto più elevato di quello del 3 Sud (0,6%). La crescita della spesa finale delle famiglie è risultata nel Mezzogiorno (0,8%) la metà di quella registrata nel resto del Paese (1,5%). Il rallentamento che ha caratterizzato la dinamica degli investimenti nel 2007 è stato maggiore nel Mezzogiorno (0,5%, a fronte del 2,4% del 2006) che nel Centro- Nord (1,5%, rispetto al 2,5% del 2006) (v. Tab. 5). Nel Sud gli andamenti della componente delle costruzioni e di quella relativa a macchinari e mezzi di trasporto sono stati divergenti: la prima è cresciuta nel 2007 dell’1,9%, accelerando lievemente rispetto l’anno precedente (1,7%), ma a un tasso comunque inferiore a quello medio del periodo 2001-2007 (2,5%); gli investimenti in macchinari, attrezzature e mezzi di trasporto si sono invece ridotti dell’1,5%, dopo la crescita eccezionale del 7,6% registrata nel 2006. Se quindi è continuato al Sud il ciclo positivo degli investimenti in edilizia, il peggioramento delle prospettive della domanda ha invece ridotto gli acquisti di macchinari e mezzi di trasporto, che hanno risentito anche di un effetto “di rimbalzo” della forte crescita dell’anno precedente. Nel resto del Paese, la divergenza fra le dinamiche delle diverse componenti è meno ampia: gli investimenti in costruzioni sono cresciuti del 2,4%, rispetto all’1,5% registrato l’anno precedente, mentre quelli in macchinari, attrezzature e mezzi di trasporto sono aumentati dello 0,6%, solo un quarto dell’incremento del 2006 (2,3%) e ad un tasso inferiore a quello del periodo 2001-2007 (0,9%). Le esportazioni di merci La dinamica delle esportazioni nelle due ripartizioni è risultata differenziata: le esportazioni del Mezzogiorno sono cresciute nel 2007 dell’11,8%, quelle del resto del Paese del 7,7% (v. Tab. 6). Le esportazioni sono aumentate soprattutto verso i paesi extra Ue, con una crescita per il Mezzogiorno (13,8%) superiore a quella registrata nel Centro-Nord (10,6%). Verso i paesi dell’Ue, le esportazioni sono aumentate nel Sud del 10,6%, quasi il doppio dell’incremento del Centro-Nord (5,8%). Le esportazioni hanno presentato nel 2007 una dinamica crescente in tutte le regioni del Sud. Particolarmente positivi sono stati i risultati in Calabria (30,1%), Basilicata (21,7%), specialmente grazie alle vendite di prodotti manufatti (in particolare autoveicoli) e Sicilia (19,8%), soprattutto per i prodotti petroliferi. Ottimo anche il risultato dell’Abruzzo (11,8%) – che segna una crescita nei mercati Ue (16,8%) contro una riduzione del 2% nei paesi extra Ue – e quello della Campania (10,9%) che diversamente dal 2006 rafforza la crescita verso i paesi extra Ue (20,4%). Per le altre regioni meridionali i risultati sono positivi ma mostrano una crescita minore. Nel complesso, la quota delle esportazioni del Mezzogiorno sul totale nazionale è risultata, nel 2007, essere pari all’11,7%, con un lieve incremento rispetto al 2006 (11,1%). La crescita delle esportazioni nel Sud, pur partendo da una quota sul totale nazionale che sottorappresenta il potenziale economico dell’area, suggerisce che il ciclo internazionale solleciti anche l’economia di queste regioni. Vi sono quindi le possibilità che l’industria meridionale non assista solo da spettatrice alla fase di ripresa della domanda internazionale ma ne sfrutti le potenzialità, in modo da evitare un ulteriore allargamento del gap di crescita con il resto dell’Italia. 4 L’andamento dell’economia nelle regioni Nel 2007 la crescita del prodotto interno lordo si riduce in entrambe le aree, rallentando, nel Centro-Nord, dal 2,1% del 2006 al 1,7% del 2007, e, nel Mezzogiorno, dall’1,1% allo 0,7% (v. Tab. 7). Le regioni del Sud rimangono, in cinque casi su otto, con tassi di crescita inferiori al valore medio nazionale (1,5%); solo tre regioni meridionali raggiungono tassi di crescita tra l’1,5% e il 2%, valore massimo segnato dalla Puglia. La Calabria è l’unica regione del Paese che registra una riduzione del tasso di crescita del PIL (-1%). La Sicilia sembra essere approdata ad una fase di stagnazione, essendo il tasso di crescita del 2007 pari a 0,1%, dopo lo 0,2% nell’anno precedente. Anche la Campania non ha espanso in modo significativo il prodotto, crescendo nell’ultimo biennio al di sotto dell’1%, con un valore dello 0,5% nel 2007 (0,3% nel 2006). Nella media del periodo 2001-2007, le variazioni positive sono state molto modeste in tutte le regioni del Mezzogiorno, con l’eccezione, da un lato, della Sardegna che realizza il risultato migliore dell’area, con un tasso medio annuo dell’1,5%, anche superiore al dato nazionale; e, dall’altro, dell’Abruzzo, la cui crescita risulta – unico caso a scala nazionale – per il complesso del periodo nulla. Tutte le regioni del Mezzogiorno hanno continuato a mostrare negli anni dal 2000 al 2007 un livello di prodotto pro capite nettamente inferiore a quello medio italiano, mentre nel Centro-Nord questo avviene solo per l’Umbria (v, Tab. 8). In particolare, anche la Puglia, che nel 2007 ha registrato la maggiore performance produttiva, ha un reddito pro capite pari solo al 67,1% di quello medio del Paese; la regione con le performances peggiori, ovvero la Calabria, è pari al 64,3%; un livello prossimo a quello delle due più grandi regioni meridionali, la Campania (63,9%) e la Sicilia (64,9%). 5 Tab. 1. Tassi annui di variazione del PIL e della domanda interna media annua cumu- lata PIL 2,2 0,4 -0,3 0,6 0,3 1,1 0,7 0,7 5,0 Domanda interna 0,8 0,2 1,5 0,9 -0,2 1,2 0,7 0,7 5,3 Domanda interna al netto delle scorte e oggetti di valore 1,8 0,1 1,4 1,0 0,3 0,7 0,7 0,8 6,1 Consumi finali interni 1,4 0,6 1,0 0,6 0,7 0,3 0,7 0,8 5,6 Spese per consumi finali delle famiglie 0,4 -0,3 0,7 0,4 0,6 0,7 0,8 0,5 3,3 Spese per consumi finali delle AAPP e delle ISP 4,1 2,8 1,8 1,0 0,9 -0,5 0,6 1,5 11,2 Investimenti fissi lordi 3,5 -2,0 2,9 2,6 -1,6 2,4 0,5 1,2 8,4 PIL 1,7 0,5 0,1 1,8 0,6 2,1 1,7 1,2 8,8 Domanda interna 1,7 1,5 0,2 1,6 1,1 2,1 1,5 1,4 10,1 Domanda interna al netto delle scorte e oggetti di valore 1,5 1,6 0,1 1,7 1,3 1,7 1,5 1,3 9,8 Consumi finali interni 1,2 0,5 0,9 1,5 1,2 1,5 1,6 1,2 8,7 Spese per consumi finali delle famiglie 0,5 0,0 0,6 1,1 0,8 1,4 1,5 0,8 6,1 Spese per consumi finali delle AAPP e delle ISP 3,8 2,2 2,0 3,0 2,5 1,7 1,6 2,4 18,2 Investimenti fissi lordi 2,4 5,8 -2,6 2,1 1,5 2,5 1,5 1,9 13,8 PIL 1,8 0,5 0,0 1,5 0,6 1,8 1,5 1,1 7,9 Domanda interna 1,5 1,1 0,6 1,4 0,7 1,8 1,2 1,2 8,7 Domanda interna al netto delle scorte e oggetti di valore 1,6 1,2 0,5 1,5 1,0 1,4 1,3 1,2 8,7 Consumi finali interni 1,3 0,5 0,9 1,2 1,0 1,1 1,3 1,1 7,8 Spese per consumi finali delle famiglie 0,5 -0,1 0,6 0,9 0,8 1,2 1,3 0,7 5,3 Spese per consumi finali delle AAPP e delle ISP 3,9 2,5 1,9 2,3 1,9 0,9 1,3 2,1 15,6 Investimenti fissi lordi 2,7 3,7 -1,2 2,3 0,7 2,5 1,2 1,7 12,4 Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT e SVIMEZ. Aggregati 2001 2002 2003 2001-2007 Mezzogiorno Centro-Nord Italia 2004 2005 2006 2007 6 Tab. 2. Variazioni % del prodotto, dell'occupazione e della produttività Agricoltura, silvicoltura e pesca -3,0 -0,2 1,9 0,5 -4,8 -0,7 -0,13 0,00 Industria 0,1 1,5 0,0 1,2 0,1 0,3 0,03 0,43 In senso stretto 0,3 1,3 0,4 1,2 -0,1 0,2 0,04 0,32 Costruzioni e lavori del Genio civile -0,2 2,1 -0,6 1,4 0,4 0,7 -0,01 0,11 Servizi 1,5 2,3 1,7 2,2 -0,2 0,1 1,12 1,59 - Commercio, riparazioni autoveicoli e di beni personali e della casa 1,0 1,3 1,7 1,9 -0,7 -0,6 0,11 0,16 - Alberghi e ristoranti, trasporti e comunicazioni 1,5 1,9 1,3 1,2 0,2 0,7 0,17 0,23 - Intermediazione monetaria e finanziaria; attività immobiliari 4,1 3,0 4,3 3,7 -0,2 -0,7 0,93 0,80 - Altre attività di servizi -0,4 2,2 0,8 2,0 -1,2 0,1 -0,11 0,38 Totale settori extragricoli 1,2 2,1 1,3 1,9 -0,1 0,2 1,16 2,03 Totale 1,0 2,0 1,3 1,8 -0,3 0,2 1,05 2,03 Agricoltura, silvicoltura e pesca -2,2 1,5 -3,1 -2,6 1,0 4,2 -0,09 0,03 Industria 1,6 0,9 1,9 1,2 -0,3 -0,3 0,33 0,26 In senso stretto 1,9 0,7 1,8 0,8 0,1 -0,1 0,27 0,16 Costruzioni e lavori del Genio civile 1,0 1,9 2,1 2,6 -1,1 -0,7 0,07 0,09 Servizi 0,6 2,3 -0,3 1,7 0,8 0,5 0,41 1,56 - Commercio, riparazioni autoveicoli e di beni personali e della casa -0,1 1,8 -2,3 0,8 2,3 0,9 -0,01 0,22 - Alberghi e ristoranti, trasporti e comunicazioni 1,6 3,0 1,1 1,9 0,4 1,1 0,18 0,36 - Intermediazione monetaria e finanziaria; attività immobiliari 0,6 2,7 1,2 3,5 -0,6 -0,8 0,14 0,73 - Altre attività di servizi 0,4 1,4 -0,4 1,0 0,8 0,4 0,10 0,25 Totale settori extragricoli 0,8 1,9 0,3 1,6 0,5 0,3 0,74 1,83 Totale 0,7 1,9 -0,1 1,4 0,7 0,5 0,66 1,86 (a) Valore aggiunto al costo dei fattori al lordo dei servizi bancari imputati. (b) Unità di lavoro. (c) Valore aggiunto per unità di lavoro. (d) Variazioni assolute del valore aggiunto settoriale tra l'anno t e l'anno t-1 in % del valore aggiunto complessivo dell'anno t-1 . Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT e SVIMEZ. Contributo dei settori alla variazione del prodotto complessivo (d) Mezzo- giorno Centro- Nord 2006 2007 Settori di attività Prodotto (a) Occupazione (b) Produttività (c) Mezzo- giorno Centro- Nord Mezzo- giorno Centro- Nord Mezzo- giorno Centro- Nord Tab. 3. Prodotto per abitante del Mezzogiorno e sue componenti (indici: Centro-Nord = 100) 2000 13.962,7 56,3 82,1 82,1 68,6 2001 14.721,8 56,8 81,9 81,9 69,3 2002 15.260,2 57,0 81,5 81,4 69,9 2003 15.621,5 57,1 82,1 82,1 69,6 2004 16.082,0 57,0 82,3 82,2 69,2 2005 16.501,1 57,6 83,0 82,4 69,4 2006 17.019,4 57,7 83,0 81,9 69,6 2007 17.482,8 57,5 83,2 82,3 69,2 (a) Calcolato su valori a prezzi correnti (b) Calcolato su valori concatenati - anno di riferimento 2000 Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT e SVIMEZ. Anni per unità di lavoro euro correnti (a) (a) (b) Unità di lavoro per abitante Prodotto per abitante Prodotto 7 Tab. 4. Tassi annui di variazione % dei consumi finali interni media annua cumu- lata Spese per consumi finali delle famiglie 0,4 -0,3 0,7 0,4 0,6 0,7 0,8 0,5 3,3 Alimentari, bevande e tabacco -1,7 0,6 1,3 -0,6 0,8 0,6 0,0 0,1 1,0 Vestiario e calzature -0,4 -1,2 -1,5 -2,4 -1,2 0,6 1,0 -0,7 -5,1 Abitazioni e spese connesse -0,2 -1,0 1,0 1,5 1,3 -0,6 0,1 0,3 2,2 Altri beni e servizi 2,0 -0,1 0,7 0,9 0,4 1,6 1,6 1,0 7,4 Spese per consumi finali delle AAPP e delle ISP 4,1 2,8 1,8 1,0 0,9 -0,5 0,6 1,5 11,2 Totale 1,4 0,6 1,0 0,6 0,7 0,3 0,7 0,8 5,6 Spese per consumi finali delle famiglie 0,5 0,0 0,6 1,1 0,8 1,4 1,5 0,8 6,1 Alimentari, bevande e tabacco -0,6 0,1 0,3 0,0 1,5 1,7 0,4 0,5 3,5 Vestiario e calzature 0,2 -1,3 -1,5 -2,5 -0,6 2,1 1,4 -0,3 -2,3 Abitazioni e spese connesse -0,1 0,4 1,1 1,1 1,0 0,0 0,4 0,6 4,0 Altri beni e servizi 1,3 -0,1 0,8 2,0 0,7 2,1 2,6 1,3 9,6 Spese per consumi finali delle AAPP e delle ISP 3,8 2,2 2,0 3,0 2,5 1,7 1,6 2,4 18,2 Totale 1,2 0,5 0,9 1,5 1,2 1,5 1,6 1,2 8,7 Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT e SVIMEZ. Categorie 2001 2002 2003 2001-2007 Mezzogiorno Centro-Nord 2004 2005 2006 2007 Tab. 5. Tassi di variazione % degli investimenti fissi lordi per branca proprietaria e branca produttrice media annua cumu- lata PER BRANCA PROPRIETARIA Agricoltura, silvicoltura e pesca -9,0 1,2 8,7 7,0 -1,1 -3,5 -5,7 -0,5 -3,5 Industria -2,9 -6,1 5,0 -7,1 -3,3 -2,8 1,0 -2,4 -15,6 - In senso stretto -4,7 -6,3 1,6 -2,0 -3,9 -0,8 0,9 -2,2 -14,5 -Costruzioni e opere del Genio civile 5,8 -5,4 20,6 -26,5 -0,2 -12,7 1,9 -3,4 -21,3 Servizi 7,2 -0,6 1,8 6,0 -1,1 4,4 0,7 2,6 19,6 - Commercio, riparazioni, alberghi e rist, trasp e comunicaz. 16,3 3,2 0,5 8,4 -2,3 7,1 1,9 4,9 39,5 - Intermediazione monetaria e finanziaria; attività immob. 1,4 -1,6 4,2 7,0 1,6 6,7 0,6 2,8 21,3 - Altre attività di servizi 7,9 -3,5 -0,8 1,1 -4,8 -4,0 -0,9 -0,8 -5,4 PER BRANCA PRODUTTRICE Costruzioni e lavori del Genio civile 6,3 3,0 0,9 3,4 0,7 1,7 1,9 2,5 19,2 Macchine, attrezzature, mezzi di trasporto e altri prodotti 0,7 -7,5 5,5 1,7 -4,5 7,6 -1,5 0,2 1,1 Totale 3,5 -2,0 2,9 2,6 -1,6 2,4 0,5 1,2 8,4 PER BRANCA PROPRIETARIA Agricoltura, silvicoltura e pesca 2,4 8,6 1,9 7,6 -1,4 -4,4 2,9 2,4 18,2 Industria 3,2 3,5 -7,0 -1,6 -0,6 3,2 0,6 0,1 0,8 - In senso stretto 0,9 3,1 -5,4 -1,3 -1,1 4,2 -0,1 0,0 0,0 -Costruzioni e opere del Genio civile 23,2 7,0 -18,2 -3,7 2,8 -4,6 6,2 1,1 8,2 Servizi 2,0 6,8 -0,5 3,6 2,6 2,6 1,8 2,7 20,3 - Commercio, riparazioni, alberghi e rist, trasp e comunicaz. 2,0 10,1 -0,4 6,6 -0,5 -1,3 6,3 3,2 24,7 - Intermediazione monetaria e finanziaria; attività immob. 1,7 5,1 -0,1 0,8 7,3 6,5 -1,3 2,8 21,4 - Altre attività di servizi 2,7 4,4 -1,7 4,1 -2,0 0,7 1,3 1,3 9,7 PER BRANCA PRODUTTRICE Costruzioni e lavori del Genio civile 3,6 7,0 3,0 1,7 0,4 1,5 2,4 2,8 21,1 Macchine, attrezzature, mezzi di trasporto e altri prodotti 1,5 4,7 -7,4 2,5 2,5 2,3 0,6 0,9 6,6 Totale 2,4 5,8 -2,6 2,1 1,5 2,5 1,5 1,9 13,8 Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT e SVIMEZ. Branche 2001 2002 2003 2001-2007 Mezzogiorno Centro-Nord 2004 2005 2006 2007 8 Tab. 6. Esportazioni nel 2007 nelle regioni italiane Ue extra Ue Totale 2005 2006 2007 Piemonte 36.963,6 4,0 9,9 5,9 68,6 68,4 67,2 Valle d'Aosta 869,5 66,5 23,6 47,6 57,4 56,0 63,2 Lombardia 101.295,7 7,3 10,6 8,6 60,1 60,0 59,3 Trentino A.A. 4.685,6 6,1 17,5 11,3 49,2 54,3 51,7 Veneto 6.145,9 7,2 10,2 8,0 74,0 72,7 72,1 Friuli V.G. 47.525,2 -1,4 9,1 2,7 61,6 61,5 59,1 Liguria 12.331,1 11,2 11,5 11,3 61,6 61,1 61,1 Emilia Romagna 45.898,3 10,5 11,6 11,0 58,1 58,7 58,5 Toscana 26.264,8 5,2 8,7 6,9 53,0 52,1 51,3 Umbria 3.612,9 11,6 10,9 11,3 54,2 54,3 54,4 Marche 12.344,7 5,7 9,2 6,8 65,5 67,5 66,7 Lazio 13.165,2 2,3 14,5 7,6 58,0 56,5 53,7 Abruzzo 7.315,6 16,8 -2,0 11,8 74,1 73,3 76,6 Molise 628,4 1,8 3,3 2,4 60,5 59,9 59,5 Campania 9.303,1 4,6 20,4 10,9 59,0 60,5 57,1 Puglia 7.122,0 3,3 4,1 3,5 67,6 66,5 66,4 Basilicata 2.096,0 19,4 30,5 21,7 85,0 79,1 77,6 Calabria 427,9 0,8 70,9 30,1 59,6 58,3 45,2 Sicilia 9.523,4 16,0 23,6 19,8 45,5 49,3 47,7 Sardegna 4.683,3 12,8 2,7 8,0 55,8 52,2 54,6 Centro-Nord 311.102,6 5,8 10,6 7,7 60,7 60,7 59,6 - Nord-Ovest 151.459,9 6,9 10,6 8,3 59,3 62,2 61,4 - Nord-Est 104.255,0 4,4 10,7 6,9 64,7 60,7 59,3 - Centro 55.387,6 5,0 10,3 7,3 56,9 56,7 55,5 Mezzogiorno 41.099,7 10,6 13,8 11,8 61,2 61,3 60,7 Italia (a) 352.202,2 6,3 10,9 8,1 60,8 60,8 59,7 (a) Escluse le esportazioni non localizzabili territorialmente. Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT. Regioni Milioni di euro Variazioni rispetto al 2006 Quota % delle esportazioni Paesi verso l'Ue Tab. 7. Prodotto interno lordo ai prezzi di mercato nelle regioni italiane (tassi medi annui di variazione % calcolati su valori concatenati-anno di riferimento 2000) Piemonte 0,9 -0,3 0,1 2,3 -0,3 1,5 0,7 0,7 Valle d'Aosta 1,8 1,1 1,2 1,5 -0,5 1,6 1,7 1,2 Lombardia 2,3 1,1 0,2 0,9 1,3 2,3 1,3 1,3 Trentino Alto Adige -1,1 -0,7 0,6 1,4 0,9 1,7 1,7 0,6 Veneto 0,9 -1,1 1,4 2,7 -0,2 2,2 1,8 1,1 Friuli Venezia Giulia 3,1 -0,4 -2,2 0,2 2,4 2,8 1,0 1,0 Liguria 2,2 -1,9 -0,4 1,0 1,0 2,9 2,1 1,0 Emilia-Romagna 1,2 -0,2 -0,5 0,2 0,2 2,0 2,1 0,7 Toscana 2,2 0,7 0,5 0,6 -0,1 2,3 1,1 1,0 Umbria 3,0 -0,9 -0,3 2,1 0,9 2,5 3,2 1,5 Marche 2,1 2,1 -0,3 1,7 1,3 2,3 1,8 1,6 Lazio 2,1 2,7 -0,6 5,2 0,9 1,6 3,1 2,1 Abruzzo 0,9 0,2 -2,1 -2,6 1,0 1,5 0,9 0,0 Molise 0,9 0,6 -1,8 1,6 0,2 1,3 1,7 0,6 Campania 3,1 2,1 -0,6 0,8 -1,6 0,3 0,5 0,6 Puglia 1,7 -0,5 -1,0 1,4 0,6 1,8 2,0 0,8 Basilicata -0,5 0,8 -1,5 1,3 -0,3 1,7 1,5 0,4 Calabria 2,8 -0,2 1,3 1,9 -3,1 2,4 -1,0 0,6 Sicilia 2,4 -0,3 -0,2 0,0 2,4 0,2 0,1 0,6 Sardegna 1,8 -0,5 2,7 0,9 2,5 2,0 1,3 1,5 Centro - Nord 1,7 0,5 0,1 1,8 0,6 2,1 1,7 1,2 - Nord-Ovest 1,9 0,5 0,1 1,3 0,9 2,2 1,2 1,1 - Nord-Est 1,1 -0,6 0,2 1,3 0,3 2,1 1,8 0,9 - Centro 2,2 1,8 -0,2 3,1 0,6 1,9 2,3 1,7 Mezzogiorno 2,2 0,4 -0,3 0,6 0,3 1,1 0,7 0,7 Italia 1,8 0,5 0,0 1,5 0,6 1,8 1,5 1,1 Fonte: Elaborazoni SVIMEZ su dati ISTAT e SVIMEZ. Regioni 2001 2002 2003 2001-20072004 2005 2006 2007 9 Tab. 8. Prodotto interno lordo pro capite nelle regioni italiane 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 Piemonte 28.188,5 111,7 110,6 110,0 110,3 110,2 109,4 109,3 108,9 Valle d'Aosta 33.929,8 129,5 128,1 128,8 130,1 131,5 131,0 130,8 131,1 Lombardia 33.185,4 131,2 131,3 131,7 131,4 129,9 128,4 128,5 128,2 Trentino Alto Adige 32.042,6 130,0 126,3 124,6 124,7 124,9 124,8 124,1 123,8 Veneto 30.231,4 118,8 117,5 115,2 116,3 117,1 116,7 116,6 116,8 Friuli Venezia Giulia 29.191,8 110,4 111,6 111,2 109,7 109,4 111,8 113,2 112,8 Liguria 27.210,9 101,7 103,0 101,3 102,0 102,0 102,5 103,8 105,1 Emilia-Romagna 31.773,5 128,4 126,8 125,2 124,0 122,5 122,6 122,2 122,8 Toscana 28.257,7 108,8 109,8 109,9 110,2 109,5 109,2 109,6 109,2 Umbria 25.036,7 96,1 96,9 94,7 93,9 94,4 94,3 94,9 96,7 Marche 26.056,1 99,9 100,4 101,3 100,4 100,1 100,1 100,5 100,7 Lazio 30.571,6 115,2 115,4 118,0 117,4 120,3 120,7 118,4 118,1 Abruzzo 21.195,5 86,9 86,1 85,4 83,9 80,7 82,3 82,2 81,9 Molise 19.603,5 73,2 72,9 72,6 71,6 72,3 74,2 74,8 75,7 Campania 16.547,9 63,1 64,1 65,2 64,8 65,0 64,8 64,3 63,9 Puglia 17.355,8 66,1 66,2 66,0 65,9 65,6 65,7 66,3 67,1 Basilicata 18.654,1 70,1 69,0 69,4 69,1 69,7 70,1 71,1 72,1 Calabria 16.652,1 62,2 62,7 62,8 63,7 64,7 64,7 65,8 64,3 Sicilia 16.789,3 64,4 64,7 64,7 64,9 64,6 65,9 65,5 64,9 Sardegna 20.391,0 75,8 77,0 76,0 77,5 77,7 78,2 78,8 78,8 Centro - Nord 30.380,9 118,7 118,4 118,2 118,1 118,0 117,6 117,4 117,4 - Nord-Ovest 31.187,3 122,6 122,4 122,3 122,4 121,5 120,4 120,6 120,5 - Nord-Est 30.861,5 122,4 121,1 119,4 119,2 119,0 119,1 119,0 119,2 - Centro 28.822,7 109,7 110,2 111,4 111,0 112,1 112,2 111,4 111,4 Mezzogiorno 17.482,8 66,8 67,2 67,3 67,4 67,2 67,7 67,8 67,5 Italia 25.882,1 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 (a) Calcolati su valori a prezzi correnti. Fonte: Elaborazoni SVIMEZ su dati ISTAT e SVIMEZ. Regioni 2007 (euro) Indici: Italia = 100 (a) 10 2. L’agricoltura Nel 2007 è continuato il trend congiunturale negativo che ha caratterizzato l’agricoltura meridionale a partire dal 2005. Rispetto al 2006, il settore primario del Mezzogiorno ha mostrato una flessione del 2,5% nella produzione e del 2,2% nel valore aggiunto (Tab. 1), facendo rilevare una situazione molto diversa da quella del resto del Paese dove, in termini reali, la produzione è cresciuta dell’1%, più di quanto non siano cresciuti i consumi intermedi (0,3%), con un conseguente aumento del valore aggiunto dell’1,5%. Questo andamento è il risultato di diversi fattori, riconducibili, sia all’attuazione della riforma Fishler e al processo di disaccoppiamento che ha avuto inizio nel 2005, sia ad aspetti specifici, produttivi e di mercato, legati ai comparti produttivi caratteristici dell’agricoltura meridionale. In ogni caso, nell’ultimo biennio si è registrata una perdita di valore aggiunto agricolo, per il Mezzogiorno, di circa il 5%, a fronte di un incremento dell’1,2% per il Centro-Nord. La flessione del settore primario meridionale nel suo complesso è il risultato di dinamiche differenziate a livello regionale. In particolare, un andamento molto negativo ha caratterizzato la Puglia e la Calabria: nella prima la produzione e il valore aggiunto hanno subito, tra il 2006 e il 2007, riduzioni dell’ordine dell’8%; nel caso della Calabria, queste riduzioni sono state relativamente più contenute (-3,9% per la produzione e -4,6% per il valore aggiunto), in ogni modo decisamente più intense che per la media della ripartizione. Una riduzione del valore aggiunto più contenuta di quella media del Mezzogiorno, compresa tra l’1,3% e l’1,5%, è rilevabile, invece, per l’Abruzzo, il Molise e la Sicilia. Nel caso di Abruzzo e Sicilia, la produzione ha accusato una flessione relativamente più marcata (-3,9% e -1,9%, rispettivamente), per effetto soprattutto di una contrazione dei consumi intermedi; mentre, è all’incremento di questi ultimi che appare legata la riduzione del valore aggiunto che si registra in Molise. Basilicata, Campania e Sardegna sono le sole regioni del Mezzogiorno in cui sia la produzione, sia il valore aggiunto hanno sperimentato nel 2007 andamenti positivi, con incrementi medi del 2,4%. Se le differenze tra regioni, ed in particolare la performance molto negativa della Calabria e della Puglia, evidenziano problematiche congiunturali legate a specifiche colture e sistemi produttivi, la natura strutturale del “malessere” dell’agricoltura meridionale è messa in luce dall’insoddisfacente andamento del processo di accumulazione. Nel 2007 gli investimenti in valori correnti nell’agricoltura del Mezzogiorno ammontano a 3.564 milioni di euro, in netta flessione rispetto ai due anni precedenti (-2,3%). Dopo il triennio 2002-2005 caratterizzato da tassi di crescita positivi dell’aggregato, a partire dal 2006 si registra nel Mezzogiorno un processo di disinvestimento, che sembra acuirsi nel 2007, anno in cui si assiste, al contrario, ad una ripresa nel Centro-Nord (+5,4%). Nel 2007 il valore della produzione agricola (PLV) meridionale è stato pari a 16.200 milioni di euro; in termini reali, questo aggregato ha subito, rispetto al 2006, una riduzione pari al 2,5%. L’andamento della PLV appare tuttavia significativamente diversificato tra i diversi comparti del settore primario. In termini reali, le colture legnose sono quelle che fanno registrare la contrazione più importante (-10,1%); le foraggere mostrano un decremento meno marcato (-2,4%), mentre le colture erbacee fanno registrare solo una leggera cedenza (-0,4%). Nel caso degli allevamenti zootecnici e dei “servizi annessi” si registrano, invece, degli incrementi, rispettivamente di circa il 11 3% e l’1%. A livello regionale, la maggiore riduzione del valore delle colture legnose si è registrata in Puglia e in Calabria, dove i decrementi, a prezzi costanti, sono stati pari rispettivamente a -15,4% e -16,6%. Riduzioni minori si sono avute in Sicilia (-8%) e in Basilicata (-4%). Campania e Sardegna, al contrario, hanno mostrato andamenti positivi (rispettivamente +4% e +0,4%). Il peso del Mezzogiorno sulle importazioni ed esportazioni italiane è, per il 2007, pari nel primo caso al 19% e nel secondo caso al 27,4% circa (Tab. 2). A livello regionale, la Puglia, la Campania e la Sicilia conservano il ruolo di aree strategiche per le esportazioni del Mezzogiorno. Per quanto riguarda, invece, le importazioni, alle regioni menzionate vanno aggiunte la Sardegna e l’Abruzzo. Il 2007, anche per il settore agricolo, ha segnato un andamento positivo delle esportazioni rispetto all’anno precedente. Come mostra la Tab. 2, l’aumento, pari al 10% a livello italiano, è stato leggermente più contenuto per il Mezzogiorno, dove si è attestato sul 9% circa, a fronte del 10% del Centro-Nord. Molto diversificate sono le situazioni a livello regionale. Dal lato delle esportazioni, l’Abruzzo e, in particolar modo, la Calabria (-18,9% rispetto al 2006) hanno ridotto il proprio peso sull’export complessivo dell’area meridionale. Situazione positiva, invece, si rileva per le altre regioni, con tassi di crescita che vanno dall’11,1% della Basilicata al 32,7% del Molise; fa eccezione la sola Sicilia, che ha mostrato una sostanziale stabilità rispetto all’anno precedente. Tab. 1. Produzione, consumi intermedi e valore aggiunto dell'agricoltura a prezzi di base dal 2000 al 2007 Aggregati 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 Produzione 16.153,0 15.745,5 15.089,8 15.285,4 16.673,3 16.191,2 15.710,4 15.310,0 Consumi intermedi 5.370,9 5.440,6 5.105,6 5.206,3 5.243,0 5.157,0 5.111,5 5.039,1 Valore aggiunto 11.506,5 10.856,5 10.546,3 10.672,9 11.982,5 11.497,7 11.155,2 10.915,4 Produzione 28.886,6 28.763,9 28.390,5 26.601,1 29.339,4 28.348,7 28.056,7 28.348,1 Consumi intermedi 11.577,1 11.425,8 11.576,3 11.299,4 11.739,6 11.535,6 11.329,3 11.368,3 Valore aggiunto 18.250,2 18.169,4 17.585,2 16.059,6 18.248,3 17.391,3 17.350,4 17.606,5 Produzione 45.039,6 44.509,4 43.481,1 41.895,7 46.019,7 44.546,5 43.764,0 43.647,3 Consumi intermedi 16.948,0 16.866,5 16.680,5 16.505,4 16.981,0 16.691,1 16.440,1 16.404,7 Valore aggiunto 28.091,6 29.025,9 28.131,8 26.755,9 30.253,4 28.911,6 28.508,3 28.507,2 Produzione -2,5 -4,2 1,3 9,1 -2,9 -3,0 -2,5 Consumi intermedi 1,3 -6,2 2,0 0,7 -1,6 -0,9 -1,4 Valore aggiunto -5,6 -2,9 1,2 12,3 -4,0 -3,0 -2,2 Produzione -0,4 -1,3 -6,3 10,3 -3,4 -1,0 1,0 Consumi intermedi -1,3 1,3 -2,4 3,9 -1,7 -1,8 0,3 Valore aggiunto -0,4 -3,2 -8,7 13,6 -4,7 -0,2 1,5 Produzione -1,2 -2,3 -3,6 9,8 -3,2 -1,8 -0,3 Consumi intermedi -0,5 -1,1 -1,0 2,9 -1,7 -1,5 -0,2 Valore aggiunto 3,3 -3,1 -4,9 13,1 -4,4 -1,4 0,0 (a) L'utilizzo degli indici a catena comporta la perdita di additività delle componenti concatenate espresse in termini monetari. Infatti la somma dei valori concatenati delle componenti di un aggregato non è uguale al valore concatenato dell'aggregato stesso. Il concatenamento attraverso gli indici di tipo Laspeyres garantisce tuttavia la proprietà di additività per l'anno di riferimento e per l'anno seguente. Fonte : Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT. Valori concatenati, anno di riferimento 2000 (milioni di euro) (a) Mezzogiorno Centro-Nord Italia Mezzogiorno Centro-Nord Italia Variazioni percentuali annue 12 Tab. 2. Scambi con l'estero di prodotti dell'agricoltura per regione (Anno 2007) Milioni di euro % Milioni di Euro % Import Export Abruzzo 212 2,1 34 0,7 25,2 -2,6 Molise 13 0,1 1 0,0 -13,5 32,7 Campania 695 6,9 297 6,1 1,1 13,8 Puglia 579 5,7 575 11,9 24,8 17,1 Basilicata 34 0,3 19 0,4 16,8 11,1 Calabria 81 0,8 57 1,2 -18,0 -18,9 Sicilia 187 1,8 336 6,9 4,7 0,0 Sardegna 121 1,2 8 0,2 11,8 98,4 Mezzogiorno 1.921 19,0 1.328 27,4 9,8 9,2 Centro-Nord 8.211 81,0 3.518 72,6 0,2 10,3 Italia 10.132 100,0 4.847 100,0 1,9 10,0 Fonte : Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT. Regioni Import Export Var. % 2006-07 13 3. L’industria 1. A livello territoriale, nel 2007, l’evoluzione del prodotto industriale, rispetto all’anno precedente, è risultata disomogenea. Nell’area meridionale si è passati dal modesto incremento osservato nel 2006, +0,3%, all’1,9% del 2007. Nello stesso arco temporale il Centro-Nord ha sperimentato un percorso inverso: lo 0,7% registrato nel 2007 si confronta con l’1,3% dell’anno precedente. Sebbene il risultato di prodotto conseguito nel 2007 dall’industria meridionale rappresenti un indubbio miglioramento rispetto all’anno precedente, il ritardo complessivamente accumulato nell’ultimo sessennio sia nei confronti dei principali paesi europei (Germania, Francia e Spagna) come, soprattutto, verso i nuovi competitor presenti nella stessa Europa a 27 - quali Slovenia, Polonia, Turchia - appare notevole. Nel periodo 2001-2007 la variazione cumulata del prodotto industriale è risultata sostanzialmente stazionaria nel Meridione (-0,5%) ad anche nel Centro-Nord (-0,7%). Nello stesso arco temporale, l’output industriale è complessivamente aumentato del 15,2% nell’Euro-zone, del 17,5% in Germania e del 13,8% in Spagna; i nuovi competitors summenzionati hanno fatto registrare incrementi totali in tutti i casi superiori ai 40 punti percentuali. 2. Nel corso del 2007, l’export meridionale di merci è cresciuto, complessivamente, dell’11,8%; al netto dei prodotti energetici il progresso realizzato è risultato pari al 9,7%, due punti percentuali in più di quanto verificatosi nel Centro-Nord. In linea generale, nel 2007 il contributo maggiore alla crescita delle esportazioni meridionali, analogamente a quanto avvenuto dal 2003, è stato offerto da tre settori: autoveicoli (+14,4%), altri mezzi di trasporto (+45,1%), macchine ed apparecchi meccanici (+19,7%) che appartengono alla c.d. macro-branca “di scala”. Nel 2007, oltre a questi tre settori va segnalata la performance assai positiva delle altre industrie manifatturiere: +33,8%, che fa seguito al buon risultato conseguito anche nel 2006 (+22,4%). Nel Centro-Nord, invece, il trend espansivo si è diffuso su un numero maggiore di settori. In particolare, diverse produzioni tipiche del made in Italy (ad esempo: legno e prodotti in legno, mobili) hanno offerto, diversamente da quanto avvenuto nel Sud, un sostegno apprezzabile all’export totale centrosettentrionale dopo una prima fase, a cavallo del nuovo millennio, di difficoltà. Nel 2007, a sintesi degli andamenti riscontrati, per ogni euro esportato dal sistema industriale meridionale 60 centesimi provenivano dai soli settori di scala, macro-branca quasi prevalentemente composta, è bene ricordare, da grandi imprese a proprietà esterna all’area. Di converso, il raggruppamento costituito dalle produzioni tradizionali, in cui sono essenzialmente ricomprese le attività del made in Italy, ha progressivamente perso peso, passando da una quota del 29,3% nel 2003 al 19,6% del 2007. 3. Nel 2007, l’evoluzione della produttività apparente del lavoro del settore industriale nel suo complesso, misurata dal valore aggiunto per unità di lavoro, è stata pressoché stazionaria in entrambe le macro-aree. Essa, precisamente, è aumentata di appena lo 0,1% nel Mezzogiorno ed è diminuita dello stesso valore nel resto del Paese. Il costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP) dell’industria manifatturiera meridionale ha segnato nel 2007 un incremento del 3,1%, di sei decimi di punto percentuale maggiore di quello riscontrato nella ripartizione centro-settentrionale Nel 14 medio periodo, il mancato sviluppo della produttività pesa sulla competitività delle imprese manifatturiere sia del Centro-Nord che, in misura maggiore, del Mezzogiorno. Tra il 2002 ed il 2007, il costo unitario del lavoro è, in ogni anno, aumentato in entrambe le due macro-aree mentre nell’industria dei principali competitor europei vi è stata una variazione di segno opposto. La quota dei profitti lordi sul valore aggiunto dell’industria manifatturiera nel 2007 è aumentata, rispetto all’anno precedente, in entrambe le ripartizioni: dal 26,8% al 27,6% nel Mezzogiorno, e dal 29,5% al 30,1% nel Centro-Nord. In termini relativi, la quota dei profitti lordi dell’industria manifatturiera meridionale, posta uguale a 100 quella del Centro-Nord, è risultata, nel 2007, pari a 91,6. Il miglioramento osservato, nel 2007, in entrambe le ripartizioni nella profittabilità è da attribuire ad una accelerazione nei prezzi praticati dalle imprese. Tab. 1. Variazioni percentuali rispetto all'anno precedente, variazione media annua e cumulata, del valore aggiunto dell'industria in senso stretto (a) Media Cumu- annua lata Mezzogiorno 0,2 2,6 -4,8 -1,8 1,4 0,3 1,9 -0,1 -0,5 Centro-Nord -0,3 -0,8 -2,3 1,3 -0,7 1,3 0,7 -0,1 -0,7 Italia -0,2 -0,3 -2,7 0,9 -0,4 1,2 0,8 -0,1 -0,7 Mezzogiorno 0,4 0,3 -5,0 -2,4 1,9 0,3 2,0 -0,4 -2,6 Centro-Nord -0,4 -1,4 -2,3 1,2 -0,8 1,3 0,9 -0,2 -1,5 Italia -0,3 -1,1 -2,7 0,7 -0,4 1,2 1,0 -0,2 -1,7 EU 27 0,9 0,0 0,5 2,9 0,9 3,4 3,2 1,7 12,3 Euro zone 2,9 0,0 0,2 2,7 1,0 3,5 4,1 2,0 15,2 Germania 1,1 -1,4 0,4 4,7 1,2 5,3 5,3 2,3 17,5 Grecia 8,0 3,5 5,2 -2,8 8,3 2,2 -1,5 3,2 24,6 Spagna 3,3 0,0 1,8 1,0 1,6 2,6 2,7 1,9 13,8 Francia 2,1 0,5 1,8 1,1 1,4 0,8 1,6 1,3 9,7 Polonia -0,8 -0,5 7,8 10,5 3,5 10,0 7,7 5,4 44,3 Portogallo 1,8 -0,5 0,2 0,6 -1,2 2,1 3,0 0,8 6,0 Slovenia 3,6 4,9 4,9 4,1 3,7 8,2 7,6 5,3 43,3 Finlandia 4,9 3,6 2,6 4,9 3,6 10,5 5,4 5,1 41,3 Regno Unito -1,5 -2,0 -0,3 0,8 -1,9 0,0 0,4 -0,6 -4,4 Turchia -7,3 2,7 7,8 11,3 8,6 8,3 5,5 5,1 41,9 Fonte: Per l'Italia, ISTAT per gli anni dal 2000 al 2007. Per il Mezzogiorno ed il Centro-Nord, elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT per il 2001-2006; valutazioni SVIMEZ per il 2007. Per i paesi europei: EUROSTAT. 2001-2007 Industria in senso stretto Di cui: manifatturiera Industria in senso stretto 2004 2005 2006 2007Ripartizioni e Paesi 2001 2002 2002 15 4. Il terziario Il prodotto Nel 2007, a scala nazionale, il valore aggiunto del settore terziario ha registrato una crescita dell’1,5% rispetto al 2006, 0,3 punti in meno dell’incremento dell’anno precedente e otto decimi di punto in più rispetto al settore industriale. L’aumento è stato particolarmente elevato nel settore composto da alberghi, ristoranti, trasporti e comunicazioni (2,7%), favorito da un lieve incremento della domanda complessiva di beni e servizi per il turismo, a sua volta riconducibile all’aumento di flussi turistici dall’estero. Di particolare rilievo è stata anche la crescita del settore dell’intermediazione monetaria e finanziaria e delle attività immobiliari (2,3%). Nel settore dei servizi destinati alle imprese e alle famiglie la dinamica (1,1%) è stata inferiore a quella media dell’intera economia. Le differenze territoriali negli andamenti delle attività terziarie sono risultate nel 2007 particolarmente rilevanti: nel Mezzogiorno, esse sono infatti cresciute solo dello 0,6%, circa un quarto dell’incremento registrato nel Centro-Nord (2,3%) e inferiore a quella – pur contenuta - registrata nella stessa area nella media del periodo 2000-2007 (0,8%, contro l’1,7% nel Centro-Nord). La differenza più consistente tra le due macroaree si riscontra nel settore dell’intermediazione monetaria e finanziaria, dove la crescita del Centro-Nord è superiore di oltre due punti percentuali rispetto a quella registrata nel Mezzogiorno (rispettivamente, 2,7% e 0,6%). Tale diversità può riflettere le differenze negli andamenti del reddito delle famiglie, nonché la diversa crescita dell’attività produttiva. I redditi da lavoro dipendente a prezzi correnti sono cresciuti nel Centro-Nord di oltre il 50% in più di quelli del Mezzogiorno (rispettivamente 3,9% e 2,4%). Nel Mezzogiorno è il settore del commercio a presentare il peggiore risultato in termini di crescita nell’ambito del comparto terziario, con una lieve riduzione (-0,1%), in controtendenza rispetto all’incremento dell’1,8% nel Centro-Nord (dopo l’1,3% del 2006). Tale aumento è imputabile in gran parte al settore della media e grande distribuzione, maggiormente diffusa in queste regioni. Anche il settore degli alberghi e ristoranti evidenzia differenze consistenti tra le due aree: nel Mezzogiorno il tasso di crescita del 2007 (1,6%) è solo marginalmente più elevato rispetto all’anno precedente; il Centro-Nord ha invece accresciuto considerevolmente il prodotto, con un incremento del 3,0% nel 2007 a fronte dell’1,9% nell’anno precedente, grazie ad una maggiore intensità dei flussi turistici che riflette anche la maggiore competitività del settore di queste aree rispetto al Mezzogiorno. Le “altre attività di servizi” hanno mostrato nel Mezzogiorno un tendenziale miglioramento (0,4%), superando la contrazione del 2006 (-0,4%); nel Centro-Nord, invece, la crescita – pur confermandosi nettamente maggiore che al Sud – è risultata in decelerazione rispetto all’anno precedente (1,4% a fronte del 2,2% del 2006). Questa differenza nella crescita dei settori terziari nelle due ripartizioni si riflette anche nella composizione settoriale. Infatti, al forte aumento del processo di terziarizzazione nelle regioni del Centro-Nord corrisponde una riduzione di quello manifatturiero; nel Mezzogiorno, al contrario, si registra un rallentamento nei settori dei servizi, mentre la crescita del manifatturiero è più elevata che nel resto del Paese. Il differenziale negativo della crescita dei servizi nel Mezzogiorno registrato nel 2007 può 16 essere imputato a diverse cause: da un lato, una spesa per consumi da parte delle famiglie che è cresciuta nell’anno dello 0,8%, la metà di quanto è aumentata nel resto del Paese, con un indebolimento specie dei consumi alimentari e in generi non durevoli, diminuiti dello 0,2%; dall’altro, un basso livello dell’attività produttiva, che non incentiva la domanda di servizi per le imprese. Infine, il costo del lavoro per unità di prodotto cresce più nei servizi del Mezzogiorno che nel resto del Paese, rendendo gli stessi meno competitivi. Questo, d’altronde, può essere la spia di processi di ristrutturazione incompleti, specie nel comparto distributivo e bancario, che d’altronde la bassa domanda rende più onerosi e complessi. L’occupazione Nel 2007 l’occupazione nel settore terziario, misurata in termini di unità di lavoro, è cresciuta dell’1,1% nel complesso del Paese, ed anche in questo caso con ritmi diseguali tra le due ripartizioni: +1,7% nel Centro-Nord e -0,3% nel Mezzogiorno, dove si è registrata una perdita di 12 mila unità di lavoro. La differenza è in parte connessa con la diversa intensità di sviluppo dell’occupazione dipendente e indipendente nelle due aree, che a sua volta risente delle difformità strutturali delle due economie. Tra i dipendenti l’andamento è positivo solo nel Centro-Nord, con un aumento del 2,5% rispetto al 2006, mentre nel Mezzogiorno si è avuta una riduzione dello 0,2%, particolarmente elevata nel settore del commercio (-3,5%). La minore domanda ha quindi innestato un processo di scrematura dal mercato delle unità marginali, rafforzando i già presenti processi di concentrazione e aumento dimensionale. Riguardo agli indipendenti, in entrambe le ripartizioni si è assistito ad una riduzione delle unità di lavoro. Nel Mezzogiorno, come anche nel Centro-Nord, fanno eccezione i settori degli alberghi e ristoranti e quello dell’intermediazione finanziaria che seguono un sia pur modesto processo di crescita. A seguito degli andamenti del valore aggiunto e dell’occupazione, nel 2007 la produttività del settore terziario nel Mezzogiorno è cresciuta dello 0,8%, superiore a quella registrata nel Centro-Nord (0,5%). L’aumento nettamente più elevato si è avuto, per entrambe le aree, nel commercio (2,3% nel Sud e 0,9% al Nord), grazie al rafforzarsi della rete della grande distribuzione. 17 Tab. 2. Tassi di variazione delle unità di lavoro totali per ramo di attività economica Servizi 2,2 2,1 0,0 -0,2 -0,3 1,7 -0,3 0,8 - Commercio , riparazioni autoveicoli e di beni personali e della casa 1,5 1,6 -1,0 -2,2 -1,1 1,7 -2,3 -0,3 - Alberghi e ristoranti, trasporti e comunicaziioni 2,0 4,1 1,7 1,2 1,1 1,3 1,1 1,8 - Intermediazione monetaria e finanziaria; attività immob. 4,4 5,5 1,3 0,5 0,5 4,3 1,2 2,5 - Altre attività di servizi 1,9 0,5 -0,5 0,0 -0,8 0,8 -0,4 0,2 Totale settori extragricoli 2,6 1,9 0,3 0,0 -0,1 1,4 -0,1 0,9 Totale economia 2,5 1,3 -0,2 -0,1 -0,2 1,4 -0,4 0,6 Servizi 2,2 1,7 1,5 1,0 0,6 2,2 1,7 1,6 - Commercio , riparazioni autoveicoli e di beni personali e della casa 1,7 0,4 2,0 0,3 -0,7 1,9 0,8 0,9 - Alberghi e ristoranti, trasporti e comunicaziioni 1,4 1,6 2,3 0,9 0,9 1,2 1,9 1,5 - Intermediazione monetaria e finanziaria; attività immob. 4,2 4,9 2,6 2,0 1,3 3,7 3,5 3,2 - Altre attività di servizi 1,8 0,8 0,2 1,0 0,9 2,0 1,0 1,1 Totale settori extragricoli 2,5 1,8 1,6 1,1 1,0 2,1 1,7 1,7 Totale economia 2,4 1,5 1,2 1,1 0,7 2,0 1,5 1,5 Fonte : Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT e SVIMEZ. Settori 2001 2002 2003 2007 Media 2001-07 Mezzogiorno Centro-nord 2004 2005 2006 Tab. 1. Tassi annui di variazione del valore aggiunto ai prezzi base nei servizi e nel totale economia (tassi medi annui di variazione % calcolati su valori concatenati. anno di riferimento 2000) Servizi 2,7 0,1 -0,4 0,4 0,5 1,5 0,6 0,8 - Commercio , riparazioni autoveicoli e di beni personali e della casa 2,7 -5,2 -3,2 -1,3 -3,2 1,0 -0,1 -1,3 - Alberghi e ristoranti, trasporti e comunicazioni 3,4 -0,2 -0,6 0,4 3,9 1,5 1,6 1,4 - Intermediazione monetaria e finanziaria; attività immob. 2,1 2,9 -0,3 -0,5 -0,1 4,1 0,6 1,2 - Altre attività di servizi 2,8 0,5 0,7 1,9 1,2 -0,4 0,4 1,0 Totale settori extragricoli 2,4 0,7 -1,0 0,2 0,9 1,2 0,8 0,7 Totale economia 2,0 0,5 -0,9 0,7 0,7 1,0 0,7 0,7 Servizi 2,4 1,2 0,7 2,0 1,3 2,3 2,3 1,7 - Commercio , riparazioni autoveicoli e di beni personali e della casa 2,0 -1,3 -1,9 3,2 0,8 1,3 1,8 0,8 - Alberghi e ristoranti, trasporti e comunicazioni 4,1 1,1 0,9 1,5 2,9 1,9 3,0 2,2 - Intermediazione monetaria e finanziaria; attività immob. 2,5 2,6 2,0 1,1 1,3 3,0 2,7 2,2 - Altre attività di servizi 1,3 1,1 0,3 2,7 0,4 2,2 1,4 1,3 Totale settori extragricoli 1,9 0,7 0,0 1,8 0,8 2,1 1,9 1,3 Totale economia 1,8 0,6 -0,2 2,0 0,7 2,0 1,9 1,3 Fonte : Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT e SVIMEZ. 2007 Mezzogiorno Centro-Nord Media 2001-072004 2005 2006Settori 2001 2002 2003 18 5. La popolazione 1. Alla fine del 2007 la popolazione italiana ammontava a 59,5 milioni di abitanti di cui 38,7 milioni residenti nelle regioni del Centro-Nord e poco meno di 21 milioni nel Mezzogiorno (v. Tab. 1). Rispetto all’anno precedente il Paese nel suo complesso è cresciuto di circa 400 mila unità: aumento che si è concentrato prevalentemente nelle regioni centro-settentrionali. Il Centro-Nord infatti ha visto aumentare la sua popolazione di circa 330 mila unità, un valore leggermente inferiore a quello di due anni prima (384 mila), ma in ogni caso significativo, pari alla consistenza demografica di una città come Bari. Il Mezzogiorno, viceversa, pur crescendo poco (63 mila unità), ha tuttavia recuperato rispetto al 2005, quando aveva fatto registrare un decremento di circa 4 mila unità. Il Centro-Nord grazie a una sostenuta dinamica migratoria estera e interna, continua a far registrare considerevoli ritmi di incremento. Il Mezzogiorno, invece, non riesce ad intercettare in misura adeguata i flussi migratori esteri né a esercitare una adeguata forza di contenimento dei flussi migratori verso il Nord, in presenza per altro di una fecondità in costante calo soprattutto nelle sue regioni più grandi e, in passato, più prolifiche. Significativo, a questo proposito, è l’entità della popolazione straniera residente nelle due ripartizioni. Nel Mezzogiorno al 1° gennaio 2007 risiedevano poco meno di 350 mila stranieri, pari all’1,6% della popolazione meridionale: uno stock 7,5 volte inferiore a quello residente nelle regioni centro-settentrionali, dove gli stranieri residenti assommavano a 2,6 milioni e costituivano il 7% circa della popolazione. Proprio alla diversa dinamica migratoria va imputata la differenza nel tasso di incremento tra Centro-Nord e Mezzogiorno nel 2007, con quello centro-settentrionale che è risultato circa tre volte più alto di quello meridionale (8,6‰ contro 3‰), e che si colloca tra i più alti tassi di accrescimento dei paesi dell’Unione Europea a 27. Gli effetti della crescita demografica indotti dalla componente esogena sono chiaramente visibili sulla struttura per età della popolazione delle due ripartizioni. Al Centro-Nord una presenza straniera più numerosa e stabile, ma soprattutto giovane, ha determinato un complessivo effetto di “ringiovanimento” della piramide delle età, particolarmente evidente nella fascia d’età prescolare, tra 0 e 4 anni, e in quella lavorativa compresa tra 20 e 49 anni. Nel caso della popolazione al di sotto dei 5 anni, l’aumento delle nascite di bambini stranieri, dovuto alla più intensa fecondità delle donne straniere (doppia rispetto a quella della popolazione centro-settentrionale nel 2006), ha prodotto un apprezzabile ampliamento della base della piramide delle età, talché al di sotto della classe d’età prescolare l’incidenza dei bambini stranieri è oggi pari al 13% circa, una quota quasi doppia rispetto agli stranieri residenti nel Centro- Nord. 2. L’andamento della natalità riflette i mutamenti dei comportamenti riproduttivi intervenuti, a partire dalla seconda metà degli anni ’90, nel Mezzogiorno e nel Centro- Nord. A fronte di una relativa costanza del tasso di mortalità (attestatosi all'8,7‰ negli ultimi due anni), il Mezzogiorno ha conosciuto una progressiva contrazione delle nascite in rapporto alla popolazione, talché il contributo della componente endogena alla crescita nel 2007 è sceso sotto l’1‰ (v. Tab. 2). Nel Centro-Nord l’aumento della fecondità, indotto dalla ripresa delle nascite da parte delle donne italiane e dal contributo riproduttivo di quelle straniere, ha portato lo scorso anno la natalità della ripartizione ad attestarsi sullo stesso livello di quella meridionale, vale a dire al 9,5‰. 19 Ciononostante, la dinamica naturale che ne è risultata è stata ancora una volta negativa (-0,3‰), a causa di un più alto livello della mortalità, pari al 9,7‰. Nel Mezzogiorno soltanto Campania e Puglia evidenziano allo tempo stesso una natalità più alta e una mortalità più bassa del livello medio dell’area, con ritmi di crescita naturale superiori: considerevolmente più alto nel caso della Campania, dove l’incremento è risultato pari al 2,6‰; solo di poco superiore alla media dell’area, nel caso pugliese (1,1‰). La Sicilia, pur avendo una natalità (pari al 9,8‰) più alta di quella pugliese, ha conosciuto un incremento naturale inferiore a quello del Mezzogiorno (lo 0,5‰), a causa di una mortalità (pari al 9,3‰) superiore alla media. Il resto delle regioni, infine, da tempo non fornisce più alcun contributo alla crescita naturale del Sud, sia perché si trova a fronteggiare saldi naturali negativi (è il caso di Abruzzo, Molise e Sardegna), sia perché mostra una crescita prossima allo zero (è il caso della Calabria). Al Centro-Nord, in regioni come la Lombardia, la Valle d’Aosta, il Veneto, il Lazio e il Trentino Alto Adige l’aumento della natalità e la diminuzione della mortalità (indotta da un lato da una sostanziale stabilità dei decessi, e dall’altra dalla crescita della popolazione residente in conseguenza dei flussi migratori), ha fatto registrare incrementi naturali positivi in molti casi superiori a quello medio del Sud. 3. Nel 2007 il Mezzogiorno ha perso circa 52 mila residenti a favore delle regioni del Centro-Nord, ad un ritmo di 2,5 abitanti ogni mille. Quasi la metà delle perdite migratorie dell’intera area è imputabile alla sola Campania (-25,2 mila) che, con un tasso migratorio interno negativo (-4,3‰) quasi doppio rispetto a quello medio del Mezzogiorno, ha perso una quota di residenti superiore al guadagno migratorio dell’intero Nord-Est (+23,7 mila). Puglia e Sicilia evidenziano un saldo migratorio all’incirca simile - rispettivamente 9,9‰ e 9,2‰ - ma entrambe presentano tassi migratori interni inferiori alla media (-2,4‰ e -1,8‰). Calabria e Basilicata presentano un tasso negativo interno superiore a quello medio (rispettivamente -3,9‰ e -3,7‰). Le uniche regioni in cui aumentano i residenti sono: l’Abruzzo, con un 2,4 mila residenti in più, la Sardegna, con circa 300 nuovi residenti, e il Molise, il cui guadagno migratorio è inferiore al centinaio di unità. Per quanto riguarda l’interscambio di popolazione con l’estero, nel 2007 Abruzzo e Calabria hanno intercettato circa un quinto del saldo migratorio con l’estero del Mezzogiorno, pari a 23,3 mila nuovi iscritti al netto dei cancellati, esibendo un tasso migratorio positivo quasi doppio rispetto a quello medio del Sud: rispettivamente il 7,1‰ e il 7,0‰ contro il 3,7‰. Campania e Sicilia, le due regioni più grandi, pur accogliendo oltre un terzo degli immigrati stranieri nel Mezzogiorno con l’estero (circa 35 mila), mostrano tassi inferiori a quello medio (rispettivamente 3,2‰ e 3,3‰). La crescita del Centro-Nord si basa ormai esclusivamente sui guadagni di popolazione che derivano dal positivo andamento della bilancia migratoria. Nel 2007 nei comuni centro-settentrionali si sono iscritti quasi 342 mila nuovi residenti al netto dei cancellati, pari a circa 9 iscritti ogni mille abitanti. Il 37% si è indirizzato verso i comuni del Nord-Ovest mentre il restante 63% si è diviso equamente tra i comuni del Nord-Est e quelli del Centro. Oltre il 90% dei nuovi residenti nel Centro-Nord (pari a circa 312 mila individui) proveniva dall’estero. La componente interna dell’interscambio migratorio del Centro-Nord nel 2007 ha fatto registrare un modesto incremento, in valori assoluti, del quale si sono avvantaggiate le regioni del Nord-Est, che continuano a esercitare una forza di attrazione sui flussi migratori meridionali 20 superiore a quella delle regioni centrali e nord-occidentali, tale da far registrare ritmi di incremento migratorio interno pari a circa il doppio di quello medio del Centro-Nord. Totale di cui: stranieri (b) Mezzogiorno 20.760 20.756 20.819 342 -4 63 Centro-Nord 37.992 38.376 38.706 2.597 384 331 Italia 58.752 59.131 59.525 2.939 380 394 % sul totale della popolazione Mezzogiorno 35,3 35,1 35,0 1,6 -0,2 3,0 Centro-Nord 64,7 64,9 65,0 6,7 10,1 8,6 Italia 100,0 100,0 100,0 4,9 6,5 6,7 (a) Stima. (b) 2006. Fonte : Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT. Tab. 1. Ammontare della popolazione italiana residente, variazioni 2005-2007, distribuzione percentuale e tasso di variazione medio annuo, per ripartizione Ripartizioni territoriali Popolazione residente a fine anno Variazione totale 2005 2006 2007 (a) 2005-06 2006-07 (migliaia di unità) Distribuzione percentuale Variazione media annua (per 1.000 ab.) 21 2005 2006 2007 (a) 2005 2006 2007 (a) 2005 2006 2007 (a) Piemonte 8,6 8,7 8,7 11,1 10,7 10,6 -2,5 -2,0 -1,9 Valle d'Aosta 9,4 9,5 9,9 10,6 9,8 9,8 -1,2 -0,3 0,1 Lombardia 9,8 10,0 10,0 9,1 8,8 8,8 0,7 1,2 1,2 Liguria 7,5 7,5 7,5 13,3 12,8 12,8 -5,8 -5,3 -5,3 Trentino Alto Adige 10,9 10,7 10,6 8,4 8,3 8,1 2,5 2,4 2,5 Veneto 9,8 9,8 9,9 9,1 8,7 8,9 0,7 1,1 1,0 Friuli Venezia Giulia 8,4 8,5 8,6 11,5 11,2 10,9 -3,1 -2,7 -2,3 Emilia Romagna 9,2 9,3 9,6 11,1 10,7 10,7 -1,9 -1,4 -1,1 Toscana 8,7 8,8 8,9 11,3 10,8 11,0 -2,6 -2,0 -2,1 Umbria 9,0 9,0 8,9 11,5 10,9 10,5 -2,5 -1,9 -1,6 Marche 8,8 9,0 8,9 10,2 10,1 10,1 -1,4 -1,1 -1,2 Lazio 9,6 9,5 9,8 9,4 9,0 8,8 0,2 0,5 1,0 Abruzzo 8,6 8,7 8,7 10,4 10,0 10,3 -1,8 -1,3 -1,6 Molise 7,9 8,0 7,8 11,1 11,0 10,3 -3,2 -3,0 -2,5 Campania 10,8 10,8 10,7 8,4 8,1 8,1 2,4 2,7 2,6 Puglia 9,5 9,4 9,1 8,2 8,1 8,0 1,3 1,3 1,1 Basilicata 8,2 8,3 8,1 9,6 9,4 9,5 -1,4 -1,1 -1,4 Calabria 9,1 9,1 9,0 9,0 8,8 8,7 0,1 0,3 0,3 Sicilia 10,1 10,0 9,8 9,4 9,2 9,3 0,7 0,8 0,5 Sardegna 8,0 8,0 8,1 8,5 8,3 8,4 -0,5 -0,3 -0,3 Mezzogiorno 9,7 9,7 9,5 8,9 8,7 8,7 1,1 1,0 0,8 Centro-Nord 9,5 9,5 9,5 10,2 9,9 9,7 -0,7 -0,4 -0,3 - Nord-Est 9,5 9,5 9,7 10,0 9,7 9,7 -0,4 -0,2 0,0 - Nord-Ovest 9,2 9,4 9,4 10,1 9,8 9,7 -0,9 -0,4 -0,3 - Centro 9,2 9,2 9,3 10,3 9,9 9,8 -1,0 -0,7 -0,5 Italia 9,5 9,5 9,5 9,7 9,4 9,4 -0,1 0,1 0,1 (a) Stima. Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT. Tab. 2. Natalità, mortalità e incremento naturale della popolazione italiana residente, per regione. Anni 2005- 2007 (valori per 1.000 ab.) Regioni Natalità Mortalità Incremento naturale Tab. 3. Iscrizioni e cancellazioni anagrafiche (a) per trasferimento di residenza interno o estero. Anni 2006 e 2007 2006 2007 2007 2006 2007 2007 2006 2007 2007 2006 2007 2007 Abruzzo 2,2 2,4 1,8 4,1 9,3 7,1 0,4 2,6 1,9 6,7 14,3 10,9 Molise -0,2 0,0 0,1 0,6 1,3 4,0 -0,2 -0,1 -0,3 0,3 1,2 3,8 Campania -25,5 -25,2 -4,3 7,5 18,5 3,2 1,7 17,1 3,0 -16,2 11,6 2,0 Puglia -9,8 -9,9 -2,4 3,7 11,4 2,8 -0,8 -0,8 -0,2 -6,9 0,8 0,2 Basilicata -2,1 -2,2 -3,7 0,2 1,8 3,0 -0,1 -0,1 -0,1 -2,0 -0,5 -0,8 Calabria -7,8 -7,9 -3,9 0,6 14,0 7,0 0,0 0,0 0,0 -7,2 6,2 3,1 Sicilia -7,5 -9,2 -1,8 4,0 16,6 3,3 -0,5 -0,5 -0,1 -4,0 7,0 1,4 Sardegna 1,7 0,3 0,2 1,7 4,3 2,6 1,0 0,5 0,3 4,3 5,1 3,1 Mezzogiorno -49,8 -51,6 -2,5 22,8 77,1 3,7 2,1 18,7 0,9 -24,9 45,7 2,2 Centro-Nord 71,4 46,1 1,2 198,9 312,3 8,1 131,0 -16,7 -0,4 401,4 341,7 8,9 - Nord-Est 30,1 23,7 2,1 64,7 89,2 8,0 -7,8 -7,6 -0,7 87,1 105,4 9,4 - Nord-Ovest 21,8 9,1 0,6 79,5 127,3 8,1 -12,5 -9,7 -0,6 88,9 126,6 8,1 - Centro 20,6 13,3 1,2 57,2 95,7 8,3 149,7 0,6 0,1 227,5 109,7 9,5 Italia 17,7 -5,5 -0,1 218,1 389,4 6,6 129,7 2,1 0,0 365,4 387,4 6,6 (a) Dati relativi al bilancio anagrafico della popolazione residente. (b) Saldo tra iscrizioni e cancellazioni anagrafiche dovute ad operazioni di rettifica anagrafica. Fonte : Elaborazioni Svimez su dati ISTAT. Tasso migratorio netto totale (per 1.000 ab.) (c) Il saldo migratorio interno non risulta nullo a causa dallo sfasamento temporale delle registrazioni anagrafiche tra comune di cancellazione e comune di iscrizione. Tasso migratorio con l'estero (per 1.000 ab.) Saldo migratorio per altro motivo (b) (migliaia di unità) Tasso migratorio per altro motivo (b) (per 1.000 ab.) Saldo totale (migliaia di unità)Regioni Saldo migratorio interno (migliaia di unità) Tasso migratorio interno (per 1.000 ab.) Saldo migratorio estero (migliaia di unità) 22 Fig. 1. Piramide delle età della popolazione italiana e straniera residente nel Mezzogiorno e nel Centro-Nord al 1° gennaio 2007 Mezzogiorno 1,0 0,8 0,6 0,4 0,2 0,0 0,2 0,4 0,6 0,8 1,0 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 e più MaschiFemmine StranieriStraniere Centro-Nord 1,0 0,8 0,6 0,4 0,2 0,0 0,2 0,4 0,6 0,8 1,0 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 e più Maschi Femmine Straniere Stranieri Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT. 23 6. Il mercato del lavoro La situazione del mercato del lavoro in Italia nel 2007 presenta luci ed ombre: un sensibile rallentamento nella crescita dell’occupazione si accompagna a un’ulteriore flessione della disoccupazione. Riguardo all’occupazione, il dato medio relativo al 2007 evidenzia andamenti dissimili tra Mezzogiorno e Centro-Nord. Nel Centro-Nord gli occupati aumentano di 234 mila unità (+1,4%), mentre nel Mezzogiorno resta stabile sui livelli del 2006. Nelle regioni meridionali la stagnazione dell’occupazione segue un anno di lieve ripresa, interrompendo il recupero della flessione registrata nella prima parte degli anni 2000 (v. Tab. 1). Nello stesso periodo nel Centro-Nord l’occupazione è aumentata di circa un milione e mezzo di unità, in forza soprattutto della regolarizzazione dei lavoratori immigrati. Molto più mobili e flessibili della popolazione residente, infatti, gli immigrati hanno cercato di integrarsi dove la disoccupazione era più bassa. Nel Mezzogiorno, invece, la stagnazione della domanda di lavoro si è combinata con un’ulteriore contrazione dell’offerta determinando una flessione del tasso di partecipazione al mercato del lavoro di quasi un punto. Mentre cresce dell’1,0% nel Centro-Nord, nel 2007 nelle regioni meridionali la forza di lavoro si è ridotta per il quinto anno consecutivo (-1,4%). La riduzione della forza di lavoro al Sud (circa 420 mila unità in meno rispetto al 2002, pari al -1,1% all’anno) sembra sottendere un diffuso effetto di “scoraggiamento” che spinge soprattutto i giovani e le donne anche di età più elevata a non partecipare più alla ricerca di lavoro, o prolungando gli studi o rifugiandosi nel lavoro sommerso, o scegliendo la strada dell’emigrazione verso il Centro-Nord. Se analizziamo l’andamento dell’occupazione nelle diverse regioni meridionali, emergono profonde differenze sia nel risultato medio dell’anno, sia nell’andamento all’interno dei quattro trimestri. Con riferimento al 2007, vanno segnalati per il secondo anno consecutivo i risultati molto positivi del Molise (2,5%) e della Puglia (2,2%). Saldi positivi si rilevano anche in Sardegna (0,9%) e Abruzzo (0,8%); non così per le altre regioni. La contrazione dell’occupazione è particolarmente accentuata in Calabria (- 2,0%) e intorno al punto percentuale per le altre regioni. In Campania (-0,7%), per il secondo anno consecutivo, l’aumento dell’occupazione industriale (2,4%) viene annullato dalla flessione nei servizi (-0,9%) (v. Tab. 2). I risultati positivi di Puglia e Molise sono dovuti all’incremento dell’occupazione nei servizi (4,0%, pari a circa 31 mila occupati in più), cui si aggiunge (solo per il Molise) il trend particolarmente favorevole dell’occupazione agricola. Nel 2007 la crescita dell’occupazione a livello nazionale riflette andamenti positivi nelle due componenti tipiche e atipiche. Nel complesso gli “atipici” registrano un incremento di 128 mila unità, pari al 2,7% (6,8% nel 2006); le posizioni dipendenti a tempo determinato full time aumentano di 19 mila unità (+1,1%; +9,3% nel 2006), mentre i lavoratori a tempo parziale aumentano di 109 mila unità (+3,6%; +5,4% nel 2006) (v. Tab. 4). In entrambe le ripartizioni tali componenti evidenziano un ruolo significativo nella dinamica dell’occupazione. Nel Mezzogiorno l’incremento delle forme contrattuali non standard (17 mila unità, pari all’1,2%) compensa l’analoga flessione dell’occupazione tipica (-0,3%). Nell’ambito degli atipici, i contratti a termine full time 24 subiscono una lieve flessione, mentre aumentano decisamente per il secondo anno consecutivo i lavoratori con contratti a tempo parziale (27 mila unità pari al 3,7%). Le riforme succedutesi negli ultimi anni hanno certamente reso più facile l’ingresso nel mercato del lavoro (come dimostrato dal sensibile calo della disoccupazione giovanile), ma hanno determinato un forte aumento della flessibilità che nelle aree territoriali meno sviluppate e per le fasce deboli del mercato del lavoro (giovani e donne) si è trasformata spesso in precarietà. L’analisi per classi d’età evidenzia una correlazione inversa tra età e stabilità dell’occupazione. La quota dei rapporti a termine passa dal 48,5% tra i giovanissimi in età 15-19 anni al 7,5% per le persone con oltre 35 anni ed è maggiore nel Centro-Nord (55,6%) rispetto al Mezzogiorno (33,7%) (Tab. 4). La presenza di maggiori opportunità di lavoro al Centro-Nord, infatti, determina una maggiore partecipazione al mercato del lavoro dei giovanissimi, che tuttavia accettano occupazioni a termine in attesa di trovare una collocazione definitiva. Nel Mezzogiorno, viceversa, la carenza di opportunità diminuisce la partecipazione, orientando i giovani ad un prolungamento più o meno forzato del periodo di istruzione. Nella classe d’età tra i 15 ed i 19 anni infatti il tasso di occupazione nel complesso molto basso (7,6%) è pari al 5,7% nel Mezzogiorno ed al 9% al Centro-Nord. L’elevata propensione verso i rapporti a termine trova ulteriore conferma se si considerano i giovani occupati nel 2007 che non avevano un’occupazione nell’anno precedente. A livello nazionale fra gli under 20 la quota dei rapporti a termine sul totale si attesta al 54,4%, per poi scendere gradualmente con il passaggio a classi di età più elevata fino al 37,3% per le persone con 35 anni ed oltre. Per le persone che hanno trovato occupazione nell’ultimo anno la modalità del rapporto a termine rimane prevalente e si attesta per il complesso della popolazione al 45,5% (41% al Mezzogiorno e 48% al Centro-Nord). Interessante notare che al Sud si registra una più alta quota di occupati a termine over 35 e a conferma di un anomalo utilizzo della flessibilità. Un altro indicatore della più elevata precarietà del lavoro nelle regioni meridionali si ricava dalla maggiore consistenza dei flussi in entrata e in uscita. Sul totale nazionale degli occupati la quota del Mezzogiorno era pari al 26,9%, mentre quella sugli occupati che hanno trovato un’occupazione nel corso dell’anno sale al 41,6%. Il ritardo con cui nel Mezzogiorno si accede al mercato del lavoro è dimostrato anche dai tassi di occupazione per classi d’età e titolo di studio. Per la classe d’età da 15 a 24 anni il tasso di occupazione è al Mezzogiorno del 17,2% a fronte del 30,3% del Centro-Nord (v. Tab. 2 ). Il divario con le regioni del Nord è particolarmente elevato per i diplomi biennali, triennali e quinquennali. I dati sembrano evidenziare che la presenza di opportunità di lavoro rende possibile trovare un’occupazione per quasi il 70% dei giovani laureati triennali del Centro-Nord a fronte del 33% del Mezzogiorno. Divari consistenti si rilevano anche per la laurea. In generale i tassi di occupazione per i giovani di 25-34 anni sono pari al 78,5% per i diplomati ed all’80% per i laureati nel Centro-Nord; invece nel Mezzogiorno tra i giovani della stessa età poco più del 50% dei diplomati e dei laureati è occupato. Nell’area il titolo di studio elevato viene pienamente valorizzato solo al di sopra dei 35 anni, quando i laureati del Sud raggiungono un tasso di occupazione superiore all’ 80%, mentre con l’avanzare dell’età il divario si accresce per i titoli di studio meno elevati. 25 Con la componente implicita il tasso di disoccupazione nel Sud è il 28% I dati relativi al 2007 danno conferma di un mercato del lavoro che si va sempre più spaccando in due parti, con un Centro-Nord che aumenta l’occupazione di oltre 230 mila unità e il Mezzogiorno che invece risulta a crescita zero. Parallelamente a questi dati, si conferma il paradosso di una disoccupazione che cala più al Sud che al Nord. Le persone in cerca di occupazione sono infatti diminuite nel 2007 di 67 mila unità nel Centro-Nord (circa un quarto della crescita dell’occupazione) e di ben 101 mila unità al Sud. Viene da chiedersi: dato che queste 100 mila persone che fino ad un anno fa cercavano lavoro non risulta che l’abbiano trovato, che fine hanno fatto? Nel corso del scorso anno è cresciuto moltissimo il numero di coloro che possiamo considerare ai margini della partecipazione tra le “non forze di lavoro”. Nel 2007, infatti, le componenti di coloro che secondo l’ISTAT “cercano lavoro non attivamente” e che “non cercano lavoro ma sono disponibili a lavorare” sono aumentate nel Sud di ben 248 mila unità. Dunque quella che potremmo definire una inoccupazione involontaria nel Mezzogiorno aumenta, e anche significativamente invece che diminuire (+147 mila unità, sintesi di -109 mila disoccupati espliciti e +248 mila disoccupati impliciti). Nel medesimo periodo nel Centro-Nord la crescita dell’occupazione determina un contemporaneo calo della disoccupazione e delle non forze lavoro (v. Tab. 5). A questo punto, che senso ha parlare di un tasso di disoccupazione al Sud dell’11,3% nel 2007, inferiore di circa 1,2 punti rispetto al 2006 e di ben 8 punti rispetto al 2000, a fronte di un tasso di occupazione che lo scorso anno si è ridotto di un decimo di punto e che dal 2001 è rimasto stazionario (46,6%)? In valori assoluti ciò equivale ad una riduzione in sei anni al Sud di 635 mila unità, ma di questi disoccupati “scomparsi” meno della la metà (285 mila) ha trovato un’occupazione, mentre i restanti 350 mila hanno smesso di dichiararsi in cerca di occupazione e non hanno svolto azioni codificate di ricerca di lavoro . Se più correttamente aggiungessimo ai disoccupati ufficiali questa componente di disoccupazione implicita, il tasso di disoccupazione aumenterebbe al Sud di oltre 15 punti ed al Centro-Nord di meno di 3 punti percentuali. Un tasso di disoccupazione corretta che tenga conto anche di coloro che cercano lavoro non attivamente e di coloro che pur non cercando sono disponibili a lavorare salirebbe quindi al 28,2% al Sud, rispetto all’11% ufficiale, e al 6,9% rispetto al 4% ufficiale nel Centro-Nord. Peraltro un tasso così ricalcolato farebbe recuperare anche la correlazione tra andamento dell’occupazione e della disoccupazione al Sud persasi negli ultimi anni. Basti vedere come la ripresa occupazionale del 2006 si riflette in una contrazione del tasso di disoccupazione, cui fa seguito una ripresa nel 2007. Pur essendo considerato essenziale anche a livello comunitario, occorre prendere atto che al Sud l’indicatore ufficiale della disoccupazione non funziona e non può essere usato per dimostrare successi che in realtà nascondono ulteriori fallimenti. E’ come rallegrarsi perché diminuiscono i malati, quando i pazienti sono tutti deceduti. 26 Tab. 1. Occupati, disoccupati e forze di lavoro nel 2007 e variazioni medie annue Media 2007 (migliaia di unità) Occupati 6.516 0,3 1,6 0,0 1,6 2,4 1,7 -0,4 -0,4 -0,3 1,6 0,0 Persone in cerca di occupazione 808 3,3 6,1 0,3 -3,5 -7,8 -5,0 -1,7 -8,6 -6,0 -14,8 -11,2 Forze di lavoro 7.324 0,9 2,4 0,0 0,6 0,5 0,5 -0,6 -1,7 -1,2 -0,7 -1,4 Occupati 16.706 0,2 0,8 1,8 1,8 1,6 1,3 2,3 1,2 1,1 2,0 1,4 Persone in cerca di occupazione 698 -1,3 -3,0 -6,9 -11,1 -11,8 -4,2 0,9 2,4 -0,5 -6,9 -8,6 Forze di lavoro 17.404 0,1 0,5 1,1 0,9 0,8 1,0 2,2 1,2 1,0 1,6 1,0 Occupati 23.222 0,3 1,0 1,2 1,7 1,9 1,4 1,5 0,7 0,7 1,9 1,0 Persone in cerca di occupazione 1.506 1,2 1,9 -2,8 -6,7 -9,4 -4,7 -0,7 -4,3 -3,7 -11,4 -10,0 Forze di lavoro 24.728 0,4 1,1 0,8 0,8 0,7 0,9 1,3 0,3 0,4 0,9 0,3 Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT. Indagine continua sulle forze di lavoro. Mezzogiorno Centro-Nord Italia 2005 2006 2007Aggregati Variazioni % rispetto all'anno precedente 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 Tab. 2. Variazione degli occupati, dei disoccupati e delle forze di lavoro nel 2007 (valori in migliaia di unità) Var. ass. Var. % Var. ass. Var. % Var. ass. Var. % Piemonte 11,1 0,6 4,4 5,7 15,5 0,8 Valle d'Aosta 1,1 1,9 0,1 7,9 1,2 2,1 Lombardia 32,1 0,8 -11,3 -6,9 20,8 0,5 Trentino Alto Adige 5,8 1,3 -0,3 -2,1 5,5 1,2 Veneto 17,4 0,8 -15,2 -17,1 2,2 0,1 Friuli Venezia Giulia 3,1 0,6 -0,5 -2,6 2,6 0,5 Liguria 12,4 1,9 1,0 3,1 13,4 2,0 Emilia-Romagna 35,3 1,8 -9,6 -14,3 25,7 1,3 Toscana 4,2 0,3 -8,7 -11,1 -4,5 -0,3 Umbria 12,2 3,4 -1,5 -7,9 10,7 2,9 Marche 6,6 1,0 -2,3 -7,6 4,3 0,6 Lazio 93,0 4,4 -22,2 -12,8 70,8 3,1 Abruzzo 3,9 0,8 -1,5 -4,4 2,4 0,4 Molise 2,8 2,5 -2,2 -18,3 0,6 0,5 Campania -11,7 -0,7 -38,4 -15,0 -50,0 -2,5 Puglia 27,6 2,2 -22,6 -12,3 5,0 0,4 Basilicata -2,1 -1,0 -2,6 -11,2 -4,7 -2,1 Calabria -12,4 -2,0 -14,6 -16,0 -26,9 -3,8 Sicilia -14,2 -0,9 -13,0 -5,5 -27,2 -1,6 Sardegna 5,4 0,9 -6,5 -8,8 -1,1 -0,2 Mezzogiorno -0,6 0,0 -101,4 -11,2 -101,9 -1,4 Centro-Nord 234,2 1,4 -66,0 -8,6 168,2 1,0 - Nord-Ovest 56,6 0,8 -5,7 -2,1 50,9 0,7 - Nord-Est 61,6 1,2 -25,5 -13,6 36,1 0,7 - Centro 115,9 2,5 -34,8 -11,5 81,2 1,6 Italia 233,6 1,0 -167,4 -10,0 66,2 0,3 Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT. Indagine continua sulle forze di lavoro. Occupati Disoccupati Forze di lavoroRegioni 27 Tab. 3. Andamento tendenziale degli occupati per posizione, carattere dell'occupazione e tipologia di orario nel 2007 Variazioni assolute (in migliaia di unità) Ass. % 2006 2007 Ass. % 2006 2007 Ass. % 2006 2007 Totale occupati 0 0,0 100,0 100,0 234 1,4 100,0 100,0 234 1,0 100,0 100,0 - tempo pieno -27 -0,5 88,7 88,3 151 1,1 85,9 85,7 125 0,6 86,7 86,4 - tempo parziale 27 3,7 11,3 11,7 82 3,6 14,1 14,3 109 3,6 13,3 13,6 Autonomi 4 0,2 26,7 26,7 -22 -0,5 26,3 25,8 -19 -0,3 26,4 26,1 Imprenditori 2 1,8 5,5 5,6 -30 -12,1 5,8 5,1 -29 -8,3 5,7 5,2 Liberi professionisti 4 1,5 15,7 15,9 31 3,8 19,3 20,1 36 3,2 18,2 18,9 Lavoratori in proprio -4 -0,4 65,4 65,0 -19 -0,8 58,2 58,0 -24 -0,7 60,3 60,0 Soci di cooperativa 1 4,4 0,8 0,8 8 30,2 0,6 0,8 8 21,2 0,6 0,8 Coadiuvanti familiari -3 -2,8 6,5 6,3 0 -0,1 7,2 7,2 -3 -0,8 7,0 7,0 Co.co.co 3 3,3 4,9 5,1 -15 -4,6 7,4 7,1 -12 -2,9 6,7 6,5 Prestatori d'opera occasionali 2 8,3 1,2 1,3 3 4,8 1,7 1,8 5 5,5 1,5 1,6 - tempo pieno 8 0,5 88,3 88,4 -4 -0,1 87,4 87,0 4 0,1 87,7 87,4 - tempo parziale -5 -2,6 11,7 11,6 -17 -3,1 12,6 13,0 -22 -2,9 12,3 12,6 Dipendenti -3 -0,1 73,3 73,3 255 2,1 73,7 74,2 252 1,5 73,6 73,9 permanenti 5 0,1 82,1 82,3 201 1,9 88,7 88,5 206 1,4 86,9 86,8 - tempo pieno -25 -0,7 90,8 90,0 126 1,3 86,5 86,1 101 0,8 87,6 87,1 - tempo parziale 30 8,3 9,2 10,0 74 5,1 13,5 13,9 104 5,8 12,4 12,9 a termine -8 -1,0 17,9 17,7 55 4,0 11,3 11,5 47 2,1 13,1 13,2 - tempo pieno -11 -1,6 79,6 79,2 29 2,8 78,0 77,1 19 1,1 78,6 77,9 - tempo parziale 2 1,2 20,4 20,8 26 8,5 22,0 22,9 28 5,8 21,4 22,1 Tipici -17 -0,3 78,2 78,0 122 0,9 79,5 79,1 105 0,6 79,1 78,8 Atipici 17 1,2 21,8 22,0 112 3,3 20,5 20,9 129 2,7 20,9 21,2 Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT. Indagine continua sulle forze di lavoro. Carattere dell'occupazione e tipologia di orario Mezzogiorno Centro-Nord Italia Incidenza % Incidenza % Incidenza %Var. 2006-07 Var. 2006-07 Var. 2006-07 Tab. 4. Occupati per condizione nell'anno precedente, ripartizione territoriale ed età. Anno 2007 (composizione %) Occupati a termine ed occasionali Dipendenti a tempo indeterminato Autonomi Totale Occupati a termine ed occasionali Dipendenti a tempo indeterminato Autonomi Totale Occupati a termine ed occasionali Dipendenti a tempo indeterminato Autonomi Totale 15-19 anni Mezzogiorno 21,5 65,9 12,6 100,0 40,0 51,8 8,1 100,0 33,7 56,6 9,6 100,0 Centro-Nord 45,4 48,6 6,0 100,0 61,7 30,5 7,8 100,0 55,6 37,2 7,1 100,0 Totale 38,0 53,9 8,0 100,0 54,4 37,7 7,9 100,0 48,5 43,6 8,0 100,0 20-29 anni Mezzogiorno 21,5 59,5 18,9 100,0 45,2 40,3 14,5 100,0 28,2 54,1 17,7 100,0 Centro-Nord 21,3 65,1 13,5 100,0 59,2 30,4 10,4 100,0 27,8 59,2 13,0 100,0 Totale 21,4 63,7 14,9 100,0 53,6 34,4 12,0 100,0 27,9 57,8 14,4 100,0 30-34 anni Mezzogiorno 12,4 62,2 25,4 100,0 40,0 39,7 20,3 100,0 16,2 59,1 24,7 100,0 Centro-Nord 9,7 70,5 19,8 100,0 43,4 39,7 16,9 100,0 11,8 68,6 19,7 100,0 Totale 10,4 68,4 21,3 100,0 41,8 39,7 18,4 100,0 12,9 66,0 21,0 100,0 35 anni e oltre Mezzogiorno 8,8 64,0 27,2 100,0 37,6 36,9 25,5 100,0 10,9 62,0 27,1 100,0 Centro-Nord 5,0 68,0 27,0 100,0 37,1 37,6 25,3 100,0 6,2 66,9 27,0 100,0 Totale 6,1 66,9 27,1 100,0 37,3 37,3 25,4 100,0 7,5 65,5 27,0 100,0 15 anni e oltre Mezzogiorno 11,0 63,1 25,8 100,0 41,0 39,5 19,5 100,0 14,7 60,3 25,1 100,0 Centro-Nord 8,1 67,9 24,0 100,0 48,8 34,4 16,8 100,0 10,8 65,7 23,5 100,0 Totale 8,9 66,6 24,5 100,0 45,5 36,5 17,9 100,0 11,9 64,2 24,0 100,0 Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT. Indagine continua sulle forze di lavoro. Età e ripartizioni Occupati un anno prima Non occupati un anno prima Totale 28 Tab. 5. Occupati, disoccupati impliciti e espliciti e tasso di disoccupazione corretto - 2004 6.431 1.135 1.422 2.557 28,4 2005 6.411 1.067 1.484 2.551 28,5 2006 6.516 909 1.501 2.410 27,0 2007 6.516 808 1.749 2.557 28,2 Var. 2006-07 -1 -101 248 147 Var. 2004-07 85 -328 328 0 2004 15.973 639 825 1.464 8,4 2005 16.152 630 821 1.452 8,2 2006 16.472 577 764 1.341 7,5 2007 16.706 530 698 1.229 6,9 Var. 2006-07 234 -47 -66 -113 Var. 2004-07 733 -109 -127 -235 (a) Risultante dalla somma di coloro che, pur appartenendo alle "non forze di lavoro", dichiarano di cercare lavoro non attivamente e di coloro che non cercano lavoro ma sono disponibili a lavorare . Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT. Indagine continua sulle forze di lavoro. Anni Occupati Disoccupazione esplicita Disoccupazione implicita (a) Mezzogiorno Centro-Nord Disoccupazione corretta Tasso di disoccupazione corretto 15-24 anni 18,2 13,3 32,9 22,2 15,3 17,2 25-34 35,5 50,3 56,6 56,2 54,6 52,8 35-44 37,0 55,5 62,2 70,5 85,2 61,7 45-54 34,7 56,2 70,3 74,9 92,6 60,7 55-64 20,0 33,4 36,0 51,2 69,2 33,8 Totale 15-64 27,6 41,3 55,6 54,2 70,6 46,5 15-24 anni 19,3 18,6 68,6 40,4 31,9 30,3 25-34 59,8 79,4 83,8 81,7 78,5 80,1 35-44 64,4 79,7 84,8 88,0 90,6 84,2 45-54 57,4 75,6 79,2 86,7 92,9 79,4 55-64 20,7 30,7 32,2 48,1 64,0 33,7 Totale 15-64 34,1 59,0 73,8 74,1 80,7 65,4 Fonte: Vedi Tab. 1. classi di età - Media 2007 (valori percentuali) Totale Centro-Nord Mezzogiorno Tab. 6. Tasso di occupazione per titolo di studio, ripartizione geografica e classe Classi di età Licenza elementare Licenza media Diploma 2-3 anni Diploma 4-5 anni Laurea breve, laurea, dottorato 29 7. Migrazioni e pendolarismo In base ai dati ISTAT, nel biennio 2004-2005 i trasferimenti di residenza dal Sud al Centro-Nord si sono attestati intorno alle 120 mila unità, per poi continuare a crescere, seppur lievemente, nel successivo biennio 2006-2007. Mentre i trasferimenti dal Centro-Nord al Mezzogiorno negli ultimi venti anni sono rimasti sostanzialmente stabili – nell’ordine delle 65 mila unità e segnati da rientri di persone in età pensionabile o giovani al termine del ciclo di studi – tra il 1997 e il 2007 oltre 600 mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno. Ma la cosa più rilevante è che la gran parte di coloro che si sposta è costituito da forza lavoro giovane e ad elevata scolarità. Tale fuoriuscita di capitale umano ha pesanti conseguenze sulle potenzialità di sviluppo dell’area. Nel 2000 in tutte le regioni meridionali il migrante-tipo apparteneva mediamente in un caso su cinque alla classe di età 25-29 anni; in Puglia e Sardegna addirittura in un caso su quattro. Nel 2005 il fenomeno ha registrato ancora la prevalenza dei 25-29enni, ma in Abruzzo, Molise e Basilicata si è assistito a una crescita di migranti appartenenti alla classe superiore (30-34 anni). La nuova fase migratoria, riflettendo i profondi mutamenti intervenuti nella società meridionale, si caratterizza per la presenza rilevante di giovani con un più elevato grado di scolarizzazione. Nel 2005, infatti, oltre la metà (52,2%) di coloro che hanno lasciato il Mezzogiorno per una regione del Centro-Nord, aveva un titolo di studio medio-alto (diploma superiore il 35,8% e laurea il 16,4%). Nel 2007 gli occupati residenti nel Mezzogiorno con un posto di lavoro nelle regioni centro-settentrionali o in paesi esteri sono stati 150.000, pari al 2,3% degli occupati residenti nell’area, dato sostanzialmente in linea con quello del 2006. Per quanto riguarda i pendolari, l’incidenza di coloro che lavorano fuori regione sul totale degli occupati è particolarmente elevata in Molise e Basilicata, dove si attesta intorno al 3,5%, mentre è più contenuta nelle Isole e, in particolare, in Sardegna (1,2%). Gli spostamenti dalle regioni meridionali verso quelle del Centro-Nord sono solo in minima parte compensati da movimenti in direzione contraria. Ad eccezione dell’Abruzzo, dove i movimenti pendolari in ingresso più che compensano quelli in uscita, il saldo tra afflussi e deflussi è negativo in tutte le regioni meridionali ed assume maggiore consistenza nelle regioni più grandi e popolose, Campania, Puglia e Sicilia. Le regioni che presentano un più consistente grado di attrazione di lavoratori residenti altrove, sono la Lombardia, l’Emilia-Romagna e il Lazio, con afflussi pari rispettivamente a 97.000, 68.000 e 61.000 unità. La Lombardia assorbe pendolari che provengono principalmente da altre regioni settentrionali, sebbene oltre un quarto provenga dal Mezzogiorno. In Emilia Romagna i meridionali contano per oltre un terzo del totale dei lavoratori da fuori regione, mentre nel Lazio la quota dei meridionali è circa dell’80%. Dal punto di vista sociale i pendolari di lungo raggio sono prevalentemente maschi, giovani (circa il 60% ha meno di 35 anni mentre oltre l’80% ne ha meno di 45), single o figli che ancora vivono in famiglia, dipendenti a termine e collaboratori, prevalentemente impiegati a tempo pieno. Svolgono professioni di livello elevato in quasi il 50% dei casi, mentre un altro 40% svolge mansioni di livello intermedio. La propensione al pendolarismo, crescente con il livello professionale, è incentivata dalle 30 maggiori retribuzioni e dalle migliori condizioni di lavoro che generalmente si associano a livelli professionali più elevati. In definitiva, il pendolarismo di lunga distanza sembra garantire opportunità di occupazione a giovani che hanno completato e/o stanno completando un lungo periodo d’istruzione, ma che non trovano opportunità nelle regioni di residenza o cominciano ad orientarsi per lavorare fuori. Dal punto di vista settoriale in termini assoluti prevalgono i servizi, ma relativamente più importante è il settore industriale e l’edilizia. Sempre in termini assoluti, le regioni di destinazione più importanti sono Lombardia, Lazio ed Emilia Romagna, con valori relativi significativi in regioni più piccole caratterizzate da bassi tassi di disoccupazione, come il Trentino A.A., il Friuli V.G. e le Marche. Tab. 1. Iscrizioni e cancellazioni anagrafiche (a) per trasferimento di residenza interno o estero. Anni 2006 e 2007 2006 2007 2007 2006 2007 2007 2006 2007 2007 2006 2007 2007 Abruzzo 2,2 2,4 1,8 4,1 9,3 7,1 0,4 2,6 1,9 6,7 14,3 10,9 Molise -0,2 0,0 0,1 0,6 1,3 4,0 -0,2 -0,1 -0,3 0,3 1,2 3,8 Campania -25,5 -25,2 -4,3 7,5 18,5 3,2 1,7 17,1 3,0 -16,2 11,6 2,0 Puglia -9,8 -9,9 -2,4 3,7 11,4 2,8 -0,8 -0,8 -0,2 -6,9 0,8 0,2 Basilicata -2,1 -2,2 -3,7 0,2 1,8 3,0 -0,1 -0,1 -0,1 -2,0 -0,5 -0,8 Calabria -7,8 -7,9 -3,9 0,6 14,0 7,0 0,0 0,0 0,0 -7,2 6,2 3,1 Sicilia -7,5 -9,2 -1,8 4,0 16,6 3,3 -0,5 -0,5 -0,1 -4,0 7,0 1,4 Sardegna 1,7 0,3 0,2 1,7 4,3 2,6 1,0 0,5 0,3 4,3 5,1 3,1 Mezzogiorno -49,8 -51,6 -2,5 22,8 77,1 3,7 2,1 18,7 0,9 -24,9 45,7 2,2 Centro-Nord 71,4 46,1 1,2 198,9 312,3 8,1 131,0 -16,7 -0,4 401,4 341,7 8,9 - Nord-Est 30,1 23,7 2,1 64,7 89,2 8,0 -7,8 -7,6 -0,7 87,1 105,4 9,4 - Nord-Ovest 21,8 9,1 0,6 79,5 127,3 8,1 -12,5 -9,7 -0,6 88,9 126,6 8,1 - Centro 20,6 13,3 1,2 57,2 95,7 8,3 149,7 0,6 0,1 227,5 109,7 9,5 Italia 17,7 -5,5 -0,1 218,1 389,4 6,6 129,7 2,1 0,0 365,4 387,4 6,6 (a) Dati relativi al bilancio anagrafico della popolazione residente. (b) Saldo tra iscrizioni e cancellazioni anagrafiche dovute ad operazioni di rettifica anagrafica. Fonte : Elaborazioni Svimez su dati ISTAT. Tasso migratorio netto totale (per 1.000 ab.) (c) Il saldo migratorio interno non risulta nullo a causa dallo sfasamento temporale delle registrazioni anagrafiche tra comune di cancellazione e comune di iscrizione. Tasso migratorio con l'estero (per 1.000 ab.) Saldo migratorio per altro motivo (b) (migliaia di unità) Tasso migratorio per altro motivo (b) (per 1.000 ab.) Saldo totale (migliaia di unità)Regioni Saldo migratorio interno (migliaia di unità) Tasso migratorio interno (per 1.000 ab.) Saldo migratorio estero (migliaia di unità) Fig. 1. Trasferimenti di residenza tra il Mezzogiorno e il Centro-Nord dal 1990 al 2005 (unità) Fonte : Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT. -100.000 -80.000 -60.000 -40.000 -20.000 0 20.000 40.000 60.000 80.000 100.000 120.000 140.000 160.000 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 Anni Un ità Immigrazioni Emigrazioni Saldo 31 Tab. 5. Pendolari residenti nel Mezzogiorno che lavorano nel Centro-Nord in base alle caratteristiche individuali, familiari e del lavoro svolto. Anno 2007 Caratteristiche Valori assoluti (x 1000) Composi- zioni % Incidenza % sul totale dell'occupazione Sesso Maschi 115 76,4 2,7 Femmine 35 23,6 1,6 Classe di età 15-24 anni 24 16,1 5,4 25-34 anni 64 42,7 4,1 35-44 anni 34 22,6 1,7 45-54 anni 20 13,4 1,2 55 e più 8 5,1 0,9 Titolo di studio Nessuno, elementare 10 6,8 1,6 Licenza media 36 24,0 1,6 Superiori 65 43,5 2,5 Laurea + post laurea 39 25,7 3,9 Stato civile Celibe/nubile 85 56,5 4,6 Coniugato/a 61 40,7 1,4 Altro 4 2,8 1,1 Ruolo nel nucleo Persona singole 19 12,5 3,3 Caponucleo o partner 64 42,5 1,4 Figlio 68 44,9 4,9 Settore di attività Agricoltura 2 1,2 0,4 Industria in senso stretto 22 14,4 2,4 Costruzioni 25 16,6 3,9 Servizi 102 67,8 2,3 Job tenure Meno di un anno 49 32,4 5,6 1 a 3 anni 29 19,5 4,0 3 a 5 anni 25 16,8 2,7 5 anni e più 47 31,4 1,2 Livello professionale Alta 70 46,6 3,1 Media 59 39,2 2,0 Bassa 21 14,2 1,6 Posizione nella professione Indipendenti 13 8,7 0,8 - Collaboratori 5 3,2 4,3 - Altri indipendenti 8 5,6 0,5 Dipendenti 137 91,3 2,9 - A termine 47 31,1 5,5 - Permanenti 91 60,2 2,3 Tipologia di orario A tempo pieno 142 94,6 2,5 A tempo parziale 8 5,4 1,1 Totale 150 100,0 2,3 Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT. Indagine continua sulle forze di lavoro . 32 Fig. 2. Pendolari dalle regioni del Mezzogiorno verso il Centro-Nord e quota sull'occupazione regionale Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT. Indagine continua sulle forze di lavoro. 15 4 50 27 7 13 28 8 2,9 3,4 2,9 2,1 1,2 3,5 2,1 1,9 0 10 20 30 40 50 60 Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna 0 1 2 3 4 5 6 valori assoluti (migliaia di unità) % su occupazione regionale Dal Mezzogiorno 150 mila pendolari verso il Centro-Nord pari al 2,3% degli occupati. 33 8. Spesa pubblica in conto capitale nel periodo 1996-2007 La spesa complessiva in conto capitale del Paese, mostra nel 2007 una leggera ripresa rispetto all’anno precedente, passando da 61,8 miliardi di euro in valori costanti 2007, a 63,2 miliardi, in linea con la crescita economica realizzata nell’anno: l’incidenza sul PIL infatti è rimasta invariata al 4,1%, percentuale confermata per il terzo anno consecutivo: sia in valore assoluto che in termini relativi la spesa del 2007 rimane inferiore a quella realizzata nel 2003. In tale contesto la quota di spesa in conto capitale effettuata nel Mezzogiorno, che aveva accennato ad una ripresa nel 2006, è nuovamente diminuita e rappresenta con il 35,3% del totale la quota più bassa registrata a partire dal 1998. Appare ormai rituale ricordare che questa percentuale, che eguaglia quella relativa al peso demografico del Mezzogiorno, è sensibilmente più bassa della percentuale posta come obiettivo da raggiungere nei documenti governativi. A questo riguardo va sottolineato che l’obiettivo fissato negli anni passati nel 45% del totale era stato portato l’anno scorso, nel Quadro Finanziario Unico, al 43% da raggiungere nel 2015 e quest’anno, per la stessa scadenza, si indica il 42,6%: di fronte all’insuccesso delle politiche si abbassa l’obiettivo. La riduzione della quota del Mezzogiorno è l’effetto della diminuzione in valore assoluto della spesa in conto capitale effettuata in tale area, passata tra il 2006 e il 2007 da 22,7 a 22,3 miliardi di euro in valori costanti 2007, a fronte dell’aumento registrato nel Centro-Nord, da 39,1 a 40,9 miliardi di euro. Responsabile di tale andamento è la spesa ordinaria, diminuita da 11,8 a 10,2 miliardi di euro, che si conferma l’elemento di debolezza dell’attività di investimento nel Mezzogiorno: la sua incidenza sulla spesa ordinaria complessiva del Paese è scesa nel 2007 al 21,4%, allontanandosi ancor più dall’obiettivo del 30% indicato nei documenti governativi; obiettivo fissato già in misura inferiore rispetto ad una equa distribuzione territoriale della spesa in conto capitale quale sarebbe quella corrispondente al peso del Mezzogiorno in termini di valore medio tra popolazione e superficie (38%) o almeno in termini di sola popolazione (35%). In questa situazione la spesa aggiuntiva ha avuto una funzione sostitutiva della spesa ordinaria, ma questo aspetto è rimasto nascosto: l’accento è stato posto, invece, prevalentemente se non esclusivamente, sul suo ammontare, quale annuncio di un impegno del Governo del momento per lo sviluppo del Mezzogiorno. Si è quindi osservato che tali risorse erano sprecate, visti i risultati negativi in termini di riduzione del divario, senza considerare appunto che esse erano utilizzate per effettuare gli interventi che nel Centro-Nord trovano finanziamento nelle risorse ordinarie e non per dotare il Mezzogiorno di infrastrutture tali da equipararlo al resto del Paese e farlo uscire dalla situazione di sottosviluppo. A questo riguardo ha rilievo analizzare la distribuzione della spesa in conto capitale tra investimenti e trasferimenti, utilizzando nuovamente i dati dei Conti Pubblici Territoriali, considerati questa volta al netto delle voci “Partecipazioni azionarie e conferimenti” e “Concessioni di credito e anticipazioni”. Da tali dati risulta che la spesa per investimenti nel Mezzogiorno si è ridotta nel 2007 rispetto all’anno precedente, sia in valore assoluto, passando in valori costanti da 11,4 miliardi di euro a 11,1 miliardi, che in percentuale sull’Italia, dal 32,9% al 32,1%. Quanto al peso degli investimenti in infrastrutture sul totale della spesa in conto capitale del Mezzogiorno, pari al 55,9% nel 2006 e al 56% nel 2007, ancora deboli sono gli effetti delle decisioni 34 del CIPE che hanno spostato risorse dai trasferimenti alle infrastrutture. La spesa per trasferimenti nel Mezzogiorno, pur in continua diminuzione a partire dal 2002, infatti, rappresenta una quota elevata, il 40,4% della spesa complessiva del Paese. Tab. 1. Spesa della P.A. in conto capitale complessiva (a) nel periodo 1998-2007, nel Mezzogiorno e nel Centro-Nord (miliardi di euro 2007) (b) 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 Mezzogiorno 11,6 11,7 11,4 9,3 13,0 13,4 11,3 11,3 11,8 10,2 Centro-Nord 29,3 31,6 30,7 32,6 36,5 38,0 36,9 36,2 36,2 37,5 Italia 40,9 43,3 42,1 41,9 49,6 51,5 48,1 47,5 48,0 47,7 - in % del PIL 3,0 3,1 3,0 2,9 3,4 3,5 3,3 3,2 3,2 3,1 - Mezzogiorno in % dell'Italia 28,4 27,0 27,0 22,2 26,3 26,1 23,4 23,9 24,5 21,4 Mezzogiorno 8,4 9,9 10,5 15,1 11,2 10,4 11,0 10,7 10,9 12,1 Centro-Nord 3,0 3,2 3,5 3,4 2,2 2,7 3,0 3,0 2,9 3,4 Italia 11,4 13,0 14,0 18,5 13,5 13,1 14,0 13,7 13,8 15,5 - in % del PIL 0,8 0,9 1,0 1,3 0,9 0,9 0,9 0,9 0,9 1,0 - Mezzogiorno in % dell'Italia 73,9 75,7 75,2 81,8 83,3 79,2 78,8 78,0 79,3 78,1 Mezzogiorno 20,0 21,6 21,9 24,4 24,3 23,8 22,3 22,1 22,7 22,3 Centro-Nord 32,2 34,7 34,2 36,0 38,8 40,8 39,8 39,2 39,1 40,9 Italia 52,3 56,3 56,1 60,4 63,1 64,5 62,1 61,3 61,8 63,2 - in % del PIL 3,9 4,1 3,9 4,2 4,3 4,4 4,2 4,1 4,1 4,1 - Mezzogiorno in % dell'Italia 38,3 38,3 39,0 40,4 38,5 36,8 35,9 36,0 36,8 35,3 (a) Spesa in c/capitale del Conto consolidato P.A. al netto di eurotassa, cartolarizzazioni, sentenza IVA, debito ex ISPA, ecc.; gli apporti al capitale di Ferrovie Spa per omogeneità di confronto sono stati aggiunti anche negli anni precedenti al 2001. (b) La spesa a prezzi costanti è stata calcolata applicando ai valori correnti il deflatore del PIL. (c) Comprensiva delle erogazioni del FAS e di quelle della programmazione comunitaria e del relativo cofinanziamento nazionale. Fonte : Elaborazioni SVIMEZ su dati DPS - Quadro Finanziario Unico. Spesa ordinaria Spesa per le aree sottoutilizzate (c) Spesa complessiva 35 Tab. 2. Spesa della P.A. in conto capitale per investimenti e trasferimenti (a) nel periodo 2000-2007, nel Mezzogiorno e nel Centro-Nord (miliardi di euro 2007) (b) 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 Mezzogiorno 11,0 12,6 11,5 10,9 11,9 11,6 11,4 11,1 Centro-Nord 21,1 23,0 23,7 24,8 27,1 24,4 23,4 23,6 Italia 32,1 35,6 35,1 35,8 39,1 36,0 34,8 34,7 - Mezzogiorno in % dell'Italia 34,3 35,4 32,6 30,6 30,6 32,2 32,9 32,1 Mezzogiorno 11,1 11,5 12,1 11,3 10,1 9,1 9,0 8,7 Centro-Nord 12,8 11,6 12,8 12,1 11,1 11,1 11,9 12,8 Italia 23,9 23,1 24,8 23,4 21,3 20,2 20,9 21,5 - Mezzogiorno in % dell'Italia 46,5 50,0 48,7 48,2 47,6 45,1 43,1 40,4 Mezzogiorno 22,1 24,1 23,5 22,2 22,1 20,7 20,4 19,8 Centro-Nord 33,8 34,5 36,4 37,0 38,3 35,5 35,3 36,4 Italia 56,0 58,7 59,9 59,2 60,3 56,2 55,7 56,2 - Mezzogiorno in % dell'Italia 39,5 41,1 39,3 37,5 36,6 36,8 36,7 35,3 (a) Comprensiva delle erogazioni del FAS e di quelle della programmazione comunitaria e del relativo cofinanziamento nazionale. Sono escluse le voci "Partecipazioni azionarie e conferimenti" e "Concessioni di crediti ed anticipazioni". (b) La spesa a prezzi costanti è stata calcolata applicando ai valori correnti il deflatore del PIL. Fonte : Elaborazioni SVIMEZ su dati DPS - CPT. Spesa per investimenti Spesa per trasferimenti Spesa complessiva 36 9. Gli squilibri nelle dotazioni infrastrutturali Le infrastrutture per la mobilità Secondo l’indice sintetico di dotazione di infrastrutture per la mobilità, ottenuto mettendo “a sistema” dotazioni di base (reti: strade, ferrovie), con la capacità di movimentazione e di servizio (rappresentata dagli indici relativi ai nodi di scambio: porti, aeroporti, centri intermodali) il valore del Mezzogiorno, posta l’Italia pari a 100, risulta pari a 49,4, meno della metà di quello ricavabile con riferimento al Centro-Nord (115,7). Dall’analisi quantitativa della viabilità stradale emerge che, nel complesso, il Mezzogiorno è in linea con la media nazionale, come risultante, però, di una dotazione deficitaria delle rete autostradale (l’indice è pari a 78,6 rispetto a 114,8 del Centro- Nord), e di una assai maggiore dotazione di strade di interesse nazionale (ex statali), con un indice pari a 158, circa il doppio rispetto al Centro-Nord. E’ comunque evidente che quest’ultima compensa solo quantitativamente la carenza di autostrade, che rappresentano in tutti i paesi la componente più funzionale, più sicura, più servita da connessioni e raccordi, essenziale per i collegamenti sulle scale territoriali nazionali ed internazionali. Acqua La dotazione di reti idriche di adduzione è particolarmente carente nel Mezzogiorno; il livello dell’indice (posta l’Italia = 100) è pari a poco più di un terzo di quello del Centro-Nord (58,9 contro 141,9). Per quanto riguarda le reti di distribuzione, la distanza del Mezzogiorno dal resto del Paese è meno marcata, ma pur sempre assai rilevante: 72,2, rispetto al 128,4 del Centro-Nord. L’indice sintetico di dotazione di reti idriche pone complessivamente il Mezzogiorno ad un livello (65,6) pari a poco meno della metà di quello rilevabile per il Centro-Nord (135,2). I prelievi idrici per uso potabile ammontano a livello nazionale a 8,7 miliardi di metri cubi, di cui circa il 35% interessa il Mezzogiorno, una distribuzione territoriale sostanzialmente analoga a quella della popolazione residente. La potabilizzazione risulta nel complesso limitata al 31% dell’acqua prelevata, ed è praticata più nel Nord (33,8%) che nel Sud (26,1%). In Italia il 30,1% dell’acqua – che nel complesso alimenta la rete di distribuzione a partire dai serbatoi di raccolta – non raggiunge le utenze finali. Nel Mezzogiorno, dove lo stato di efficienza delle infrastrutture è particolarmente critico, le perdite ammontano in media al 37,4% del totale dell’acqua immessa in rete, a fronte di una quota assai più modesta (26,6%) nel resto del Paese. La dispersione delle risorse idriche raggiunge livelli particolarmente elevati in Puglia (46,3%), Sardegna (43,2%) e Abruzzo (38,6%). Nel Mezzogiorno assume, inoltre, un particolare rilievo la forte irregolarità nell’erogazione del servizio, con il 21,8% delle famiglie residenti che nel 2007 hanno lamentato un’irregolare fornitura di acqua potabile, contro il 9,2% del Centro-Nord; livelli particolarmente elevati si hanno in Calabria (30,6%) e Sicilia (30,1%). 37 Ambiente Il ciclo completo di depurazione dell’acqua interessa a livello nazionale poco più della metà della popolazione (55,4%), quota che nel Mezzogiorno sale al 61,9% e nel Centro-Nord si limita ad un più modesto 51,8%. Tra le regioni meridionali, elevati livelli di copertura del servizio si rilevano in Puglia (95,6%) e Sardegna (84,6%); condizioni particolarmente critiche si rilevano, invece, in Sicilia e Calabria, nelle quali la depurazione completa interessa, rispettivamente, solo il 27,8% ed il 41,9% della popolazione. La popolazione che risulta priva del servizio di depurazione rappresenta il 3,2% del totale a scala nazionale, ma arriva al 5,1% nel Mezzogiorno e, al suo interno, raggiunge un massimo in Campania (11,5%) e Calabria (7%). Quanto al ciclo dei rifiuti, si rileva per l’area meridionale una situazione particolarmente critica, essendo prevalente il ricorso allo smaltimento indifferenziato in discarica (l’indice medio è pari a 116,4 rispetto al 90,8 del Centro-Nord). L’apparente relativo minor ricorso allo smaltimento in discarica in Campania (43,3) che si rileva dalla tabella è in larga misura da attribuire alla quota rilevante di rifiuti provenienti dagli impianti di trattamento meccanico-biologico, stoccati, in attesa di essere avviati allo smaltimento in siti non solo regionali. Decisamente modesta appare nel Mezzogiorno il ricorso a pratiche più efficienti di smaltimento, quali l’incenerimento, il compostaggio e la termovalorizzazione. L’indice risulta nel Sud (46,1) pari ad un terzo di quello del resto del Paese (130,1). Energia La dotazione di reti di distribuzione di energia elettrica presenta nel Mezzogiorno un deficit, rispetto al Centro-Nord, di oltre il 30% ed è ancora più accentuato nelle reti di distribuzione di energia a bassa-media tensione (l’indice è pari a 75,6, contro 116,9 del Centro-Nord). Meno diffusa risulta al Sud anche la rete secondaria di distribuzione di gas, con un indice medio di dotazione pari a meno della metà di quello nazionale (44,6) e ad appena un terzo di quello delle regioni centro-settentrionali (138,2). La sintesi della dotazione di infrastrutture energetiche (distribuzione di energia elettrica e del gas) indica per tutto il Mezzogiorno una valore molto distante (67,3) dalla media nazionale e, a livello regionale, solo la Campania si colloca al di sopra di essa (123,2). Situazioni particolarmente deficitarie si rilevano in Sardegna (32,3), Calabria (56,0), Basilicata (49,2) e Molise (37,4). 38 TAB. 1 - Indici sintetici di dotazione infrastrutturale per la mobilità (numeri indici: Italia = 100,0) Nodi di scambio Reti Regioni Porti Aeroporti Centri intermodali Indice sintetico (a) Strade Ferrovie Indice sintetico Indice Sintetico Abruzzo 22,6 53,2 1,2 11,4 122,3 65,7 89,7 45,1 Molise 43,3 37,2 0,8 10,9 110,5 41,2 67,5 36,8 Campania 33,7 24,2 1,5 10,6 134,4 169,9 151,1 62,3 Puglia 207,6 81,3 1,4 28,4 100,4 82,0 90,7 61,6 Basilicata 0,0 31,3 0,7 1,0 92,7 34,8 56,8 14,5 Calabria 46,4 116,6 0,6 15,1 122,0 82,4 100,3 53,3 Sicilia 34,8 99,6 0,8 13,8 95,3 57,4 73,9 42,3 Sardegna 77,8 239,3 1,0 26,5 71,0 4,6 18,1 20,5 Mezzogiorno 71,3 80,5 1,1 18,3 101,6 64,7 81,1 49,4 - Sud 83,5 55,0 1,2 17,6 113,9 87,1 99,6 55,9 - Isole 45,5 134,3 0,8 17,1 83,5 31,8 51,6 35,7 Centro-Nord 115,7 110,7 156,1 126,0 98,9 124,3 110,9 115,7 - Nord-Ovest 48,6 112,0 357,9 124,9 106,1 134,1 119,3 121,1 - Nord-Est 284,7 88,2 20,7 80,4 89,9 105,1 97,2 91,2 - Centro 41,8 131,0 10,9 39,1 101,3 135,1 117,0 81,2 Italia 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 (a) Calcolato su dotazioni di base, capacità di movimentazione e di servizio. Alle regioni prive di dotazione viene attribuito il valore dell’area di appartenenza, ponderato dalla dotazione di reti. Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT. Tab. 2. Dotazione di reti idriche rispetto alla popolazione (numeri indici: Italia = 100,0) Rete idrica Ripartizioni territoriali Adduzione Distribuzione Indice sintetico Mezzogiorno 58,9 72,2 65,6 Centro-Nord 141,9 128,4 135,2 Italia 100,0 100,0 100,0 Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati del Comitato per la Vigilanza sull’uso delle risorse idriche. 39 Tab. 3. Volumi di acqua per uso potabile per regione - Anno 2005 (valori assoluti e indici di servizio) Acqua (milioni di metri cubi) Indici di servizio (%) Regioni Prelevata (A) Potabilizzata (B) Immessa (C) Erogata (D) Potabiliz- zazione (B/A) Erogazione (D/C) Dispersione [(C-D)/C] Abruzzo 293,2 14,8 197,5 116,8 5,1 59,1 40,9 Molise 165,2 25,4 42,9 26,3 15,3 61,4 38,6 Campania 960,3 40,0 731,3 462,2 4,2 63,2 36,8 Puglia 174,5 100,3 458,0 245,8 57,5 53,7 46,3 Basilicata 307,3 256,0 92,7 61,2 83,3 66,1 33,9 Calabria 346,9 51,7 239,4 169,3 14,9 70,7 29,3 Sicilia 553,8 161,7 560,8 385,4 29,2 68,7 31,3 Sardegna 249,0 145,8 232,7 132,2 58,5 56,8 43,2 Mezzogiorno 3.050,2 795,6 2.555,1 1.599,2 26,1 62,6 37,4 - Sud 2.247,4 488,1 1.761,7 1.081,6 21,7 61,4 38,6 - Isole 802,8 307,4 793,4 517,6 38,3 65,2 34,8 Centro-Nord 5.655,6 1.913,8 5.244,2 3.851,4 33,8 73,4 26,6 - Nord-Ovest 2.402,7 1.068,0 2.284,1 1.750,4 44,5 76,6 23,4 - Nord-Est 1.601,9 538,2 1.426,4 1.045,5 33,6 73,3 26,7 - Centro 1.651,1 307,6 1.533,7 1.055,5 18,6 68,8 31,2 Italia 8.705,8 2.709,3 7.799,4 5.450,6 31,1 69,9 30,1 Fonte: ISTAT, Sistema delle indagini sulle acque, 2006. Tab. 4. Acqua erogata per abitante e irregolarità nella distribuzione dell'acqua Acqua erogata (a) (litri/ab. per giorno) Regioni Valori assoluti In % del Centro-Nord Irregolarità nella distribuzione dell'acqua (b) Abruzzo 245 88,3 17,4 Molise 225 80,8 12,8 Campania 219 78,7 18,1 Puglia 165 59,6 17,1 Basilicata 282 101,6 15,3 Calabria 231 83,3 30,6 Sicilia 210 75,8 30,5 Sardegna 219 78,8 15,1 Mezzogiorno 211 76,0 21,8 - Sud 210 75,7 19,3 - Isole 213 76,5 26,7 Centro-Nord 278 100,0 9,2 - Nord-Ovest 308 111,0 9,0 - Nord-Est 258 92,8 6,5 - Centro 255 92,0 12,1 Italia 254 91,5 13,2 (a) Acqua effettivamente consumata per i diversi tipi di utilizzo nel 2005. (b)% di famiglie che denunciano irregolarità nell'erogazione dell'acqua nel 2007. Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT. 40 Tab. 5. Depurazione e trattamento dei rifiuti (valori percentuali e numeri indici rispetto alla popolazione) Distribuzione della popolazione per livello di depurazione (%) Gestione dei rifiuti (indici Italia = 100,0) Regioni Quota di popolazione priva di fognatura (%) Completa Parziale Assente Totale Discarica rifiuti Trattamento rifiuti (a) Abruzzo 0,0 51,9 45,5 2,6 100,0 235,5 92,0 Molise 0,0 76,0 23,0 0,9 100,0 574,1 91,2 Campania 0,3 62,1 26,2 11,5 100,0 43,3 47,5 Puglia 3,6 95,6 0,8 0,0 100,0 60,6 26,0 Basilicata 0,0 51,6 44,9 3,5 100,0 347,9 61,0 Calabria 0,0 41,9 51,1 7,0 100,0 113,8 90,1 Sicilia 3,0 37,8 55,4 3,8 100,0 147,5 17,0 Sardegna 0,0 84,6 15,0 0,5 100,0 151,2 75,2 Mezzogiorno 1,5 61,9 31,5 5,1 100,0 116,4 46,1 - Sud 1,2 67,8 24,9 6,1 100,0 101,2 53,1 - Isole 2,3 49,4 45,3 3,0 100,0 148,4 31,4 Centro-Nord 0,1 51,8 45,9 2,2 100,0 90,8 130,1 - Nord-Ovest 0,0 68,5 29,1 2,4 100,0 80,5 121,0 - Nord-Est 0,3 49,3 50,0 0,5 100,0 145,5 142,4 - Centro 0,0 31,4 64,9 3,7 100,0 51,5 130,4 Italia 0,6 55,4 40,8 3,2 100,0 100,0 100,0 (a) Incenerimento, compostaggio, bio-stabilizzazione e termo-valorizzazione. Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT. Tab. 6. Dotazione di infrastrutture energetiche rispetto al territorio (numeri indici: Italia = 100,0) Rete elettrica Regioni Media tensione Alta tensione Totale Rete secondaria di trasporto del gas Indice sintetico Abruzzo 64,4 65,9 65,2 91,3 73,9 Molise 27,1 38,2 32,4 46,8 37,4 Campania 132,0 143,4 137,5 94,1 123,2 Puglia 22,2 159,5 88,1 59,8 80,5 Basilicata 36,9 87,3 61,1 23,5 49,2 Calabria 25,0 112,4 67,0 30,7 56,0 Sicilia 157,8 27,7 95,3 45,2 76,9 Sardegna 60,6 36,2 48,9 0,0 32,3 Mezzogiorno 75,6 81,8 78,6 44,6 67,3 Centro-Nord 116,9 112,5 114,8 138,2 122,5 - Nord-Ovest 178,1 126,9 153,5 173,4 159,5 - Nord-Est 126,1 79,4 103,7 147,2 117,6 - Centro 46,2 133,4 88,1 93,7 91,1 Italia 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT 41 10. Le infrastrutture per la mobilità L’imponente dimensione dei processi di globalizzazione, con la crescente unificazione e integrazione dei mercati, individuano le infrastrutture di trasporto – e ancor più – il “sistema” dei trasporti come condizione necessaria allo sviluppo e alla crescita equilibrata di una macroarea. Di fronte ad un quadro di scambi sempre più fitti tra sistemi “a rete” – di produzione, di commercializzazione, di servizi, articolati sul piano territoriale e sul piano funzionale – il Mezzogiorno si presenta ancora oggi periferico e diviso, non solo rispetto al “cuore” del sistema produttivo nazionale, delle grandi aree produttive dell’Europa continentale e della “nuova” Unione a 27, ma anche rispetto alle opportunità del Mediterraneo e dei traffici provenienti dall’Oriente. L’analisi condotta evidenzia come le infrastrutture esistenti siano non solo insufficienti a soddisfare la domanda attuale dei territori meridionali, ma anche non in grado di fornire un servizio adeguato alla vita civile e produttiva, in termini di accessibilità, di potenzialità di collegamento interregionali e tra province e a sostegno della logistica dei Sistemi produttivi locali. Ne emerge una situazione che configura un evidente “non sistema” dei trasporti, caratterizzato da carenza di collegamenti per la mobilità interregionale e per la logistica territoriale e dall’assenza di nodi di scambio tra le principali modalità di trasporto. Una situazione in grado di condizionare – ove non si pongano in essere interventi che possano facilmente condurre ad un suo strutturale miglioramento – ogni ragionevole prospettiva di sviluppo, soprattutto se si pensa al nostro Paese, e al Mezzogiorno in particolare, come “porta di accesso” ai mercati europei dei traffici commerciali dell’Est asiatico, attraverso la rotta del Canale di Suez ed il Mediterraneo. 1. Strade e ferrovie Dal 1970 al 2005, la rete autostradale del nostro Paese è aumentata del 67%, mentre nella media dell’UE a 15 l’incremento è di circa il 150%. In particolare, la Germania unita ha più che raddoppiato la propria rete, la Francia l’ha aumentata di 6 volte e la Spagna di più di 28 volte. Nello stesso arco di tempo, la domanda di mobilità stradale ha avuto una crescita vorticosa: in Italia, il trasporto merci è cresciuto del 275% e nell’UE a 15 del 215%; il traffico automobilistico privato è aumentato, rispettivamente, del 197% e del 162%. Come conseguenza di questo sviluppo delle dotazioni decisamente inadeguato e assai più contenuto che negli altri principali paesi europei, la rete autostradale del nostro Paese ha sostanzialmente esaurito la sua capacità di offerta ed è diventata sempre più esposta alla congestione e al blocco1. La dotazione di reti ferroviarie del nostro Paese risulta tuttora più bassa della media europea e resta confermata la limitata capacità di trasferire su rotaia una quota significativa di mobilità stradale, che rappresenterebbe un rimedio essenziale ai pesanti squilibri modali e all’impatto ambientale: il trasporto passeggeri del nostro Paese si 1 Secondo le stime dell’ultima revisione del Libro Bianco sui trasporti della Commissione Europea, i costi della congestione ammontano mediamente all’1% del PIL dell’UE, una percentuale che per l’Italia rappresenta un onere (in gran parte sommerso) pari a circa 14-15 miliardi di euro all’anno. 42 concentra per il 91% su strada e solo per il 5% su ferrovia (in Germania e in Francia è l’8%), mentre nel trasporto interno delle merci l’86% viaggia su strada e il 9% su rotaia (in Germania e in Francia è il 14%). Con riferimento alla dotazione stradale, il Mezzogiorno è sostanzialmente allineato ai valori medi nazionali, ma con una componente autostradale, fondamentale per i collegamenti nazionali ed internazionali, più modesta (78,6% della media nazionale, a fronte di 114,8% del Centro-Nord). Le regioni continentali del Sud registrano in complesso uno svantaggio relativamente minore rispetto al resto del Paese (l’indice, posta l’Italia= 100, è pari a 92,3). Tale situazione è però dovuta all’elevata concentrazione di autostrade in due sole regioni (Campania e Abruzzo), mentre: tutte le altre si trovano ben al di sotto della media nazionale, con livelli particolarmente bassi per alcune come la Basilicata (l’indice è pari a 13,4) e il Molise (37,4). La Sardegna è tuttora priva di tratte autostradali. Con riferimento allo sviluppo ferroviario il Mezzogiorno rimane su livelli nettamente più bassi rispetto al resto del Paese, associando, per di più, alla minore dotazione quantitativa una più modesta qualità. L’inadeguatezza funzionale della rete ferroviaria nel Mezzogiorno appare evidente se si considera che le linee non elettrificate (quasi totalmente a binario unico) coprono una quota della rete dell’area pari al 42,4%, rispetto al 23% del Centro-Nord). Salendo nella scala qualitativa della dotazione ferroviaria, le linee a binario singolo elettrificato del Mezzogiorno si situano (indice 92,4) poco sotto la media nazionale, ma alcune regioni presentano valori nettamente superiori (Sicilia, Campania, Basilicata e Abruzzo) e altre invece significativamente inferiori (Molise, Puglia e Calabria). Considerando la dotazione sintetica quantitativa ponderata sulla qualità tecnologica delle reti (si veda l’indice sintetico riportato nella sesta colonna di Tab. 6), l’indice della rete totale del Mezzogiorno è pari a 64,7 (Italia= 100) e scende notevolmente in Sardegna (4,6), Basilicata (34,8) e Molise (41,2). 2. Nodi di scambio: stazioni ferroviarie, porti, centri intermodali e aeroporti Un’ulteriore elemento di dotazione infrastrutturale è individuabile nei punti di accesso alla rete ferroviaria, cioè le stazioni (v. Tab. 6) per le quali, in rapporto al territorio, il Mezzogiorno presenta un indice di dotazione pari a 92,0, mentre per il Centro-Nord è pari a 104,3. Valori nettamente superiori al dato nazionale si rilevano in Abruzzo, Campania e Calabria. La dotazione di infrastrutture portuali nel Mezzogiorno è superiore a quella del Centro-Nord, sia nel numero dei porti (192,7% della media nazionale, contro 49,4), sia nella superficie degli accosti (136,9 contro 79,8). Ma se si passa a valutare la dimensione operativa, si può agevolmente constatare un netto ridimensionamento della preminenza meridionale nella portualità: la Campania, ad esempio, che presenta un indice superiore alla media nazionale, è particolarmente carente negli accosti (che nel caso della Basilicata risultano quasi inesistenti). Per Sardegna, Sicilia, Calabria e Puglia si conferma, invece – anche se su livelli inferiori a quelli rilevabili con riferimento al numero dei porti – una notevole capacità di attracco dei porti. 43 Per ovviare alla limitata capacità di movimentazione e lavorazione delle merci nei porti, la disponibilità dei centri intermodali, specie se collegati alle infrastrutture portuali, può essere determinante per cogliere le opportunità di sviluppo logistico del Mezzogiorno nel Mediterraneo. Purtroppo, proprio questa fondamentale categoria infrastrutturale risulta estremamente carente nell’area: complessivamente, l’indice di dotazione risulta pari a 37,8 rispetto alla media nazionale, con valori relativamente più elevati in Sicilia (60,0) e Sardegna (73,1), mentre altre due regioni (Molise e Basilicata) sono del tutto prive di tali infrastrutture. Una situazione di ancor più grave carenza si rileva nella “capacità di movimentazione” dei mezzi utilizzati nel trasporto di merci (container, semirimorchi e casse mobili); in quest’ambito, la dotazione del Mezzogiorno non va oltre un indice pari a 1,0 (un centesimo della media nazionale) mentre le singole regioni meridionali non superano il valore di 1,4 (in Campania). Un’ultima tipologia fondamentale tra i nodi di scambio è quella aeroportuale, soprattutto per la logistica delle persone, ma anche per quella delle merci. In quest’ambito il Mezzogiorno presenta un’accettabile dotazione di infrastrutture, sia nel numero di strutture (104,0), sia nel numero di piste (102,1) e relative superfici (95,6), nonostante due regioni meridionali (Molise e Basilicata) siano completamente sprovviste di aeroporti. Sono soprattutto le Isole, insieme a Calabria e Puglia, a presentare le maggiori dotazioni a livello regionale, mentre le dotazioni di minore entità si rilevano in Campania (le cui infrastrutture dovrebbero riferirsi ad un bacino d’utenza comprendente anche Molise e Basilicata), la cui infrastrutturazione per le tre categorie fin qui considerate è pari o inferiore ad un quinto di quella nazionale. Le dotazioni potenzialmente significative per capacità di servizio – le aree di sedime ed i parcheggi – presentano indici molto bassi nel Mezzogiorno (rispettivamente 78,0 e 65,5 rispetto alla media nazionale. Le infrastrutture aeroportuali del Mezzogiorno risultano carenti anche nella disponibilità di collegamenti con le altre modalità, cioè nella capacità di sviluppare l’integrazione logistica e lo scambio modale. Tutti gli aeroporti del Mezzogiorno hanno, infatti, collegamenti stradali, ma sono del tutto privi di collegamenti ferroviari. Ciò rappresenta un vero handicap nelle potenzialità di sfruttamento a fini turistici di questo patrimonio infrastrutturale. Questo vale, in parte, anche per i flussi di merci, soprattutto per quelle a più elevato valore aggiunto, che sono quelle che meglio si prestano alle caratteristiche proprie del trasporto aereo. 44 Tab. 1. Dotazione di infrastrutture stradali rispetto al territorio (numeri indici: Italia = 100) Regioni e ripartizioni territoriali Comunali Provinciali e regionali Di interesse nazionale (ex statali) Autostrade Autostrade a tre corsie Indice sintetico (a) Abruzzo 124,0 116,0 129,4 150,6 8,7 122,3 Molise 108,0 113,6 179,8 37,4 - 110,5 Campania 138,4 117,8 137,7 149,8 159,4 134,4 Puglia 107,1 81,4 116,6 74,5 - 100,4 Basilicata 90,3 99,8 141,9 13,4 - 92,7 Calabria 127,6 109,1 131,2 90,1 - 122,0 Sicilia 86,5 100,3 209,7 113,2 - 95,3 Sardegna 75,7 43,7 179,8 - - 71,0 Mezzogiorno 102,8 91,1 158,0 78,6 35,0 101,6 - Sud 117,4 103,4 132,7 92,3 50,1 113,9 - Isole 81,3 72,9 195,2 58,5 - 83,5 Centro-Nord 98,1 106,2 60,0 114,8 130,8 98,9 - Nord-Ovest 103,8 117,5 47,8 149,6 154,0 106,1 - Nord-Est 89,2 92,4 73,1 107,0 129,7 89,9 - Centro 101,8 109,5 58,2 88,4 93,4 101,3 Italia 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 (a) Basato sulla ponderazione delle principali categorie elementari in funzione della loro capacità di servizio. Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati conto nazionale Trasporti, ANAS. Tab. 2. Dotazione di infrastrutture ferroviarie rispetto al territorio (numeri indici: Italia = 100) Rete FS Elettrificata Non elettrificata Regioni e ripartizioni territoriali Totale A binario doppio A binario semplice A binario doppio A binario semplice Indice sintetico rete FS (a) Indice sintetico rete totale (b) Abruzzo 88,6 51,2 118,2 - 113,2 65,7 69,4 Molise 113,3 23,2 62,5 - 290,0 41,2 60,0 Campania 142,9 185,9 113,4 - 112,1 169,9 165,5 Puglia 79,1 82,9 80,2 - 73,3 82,0 81,4 Basilicata 67,5 11,0 125,9 - 91,2 34,8 39,0 Calabria 105,0 76,9 88,4 - 161,3 82,4 88,3 Sicilia 100,1 29,3 160,9 - 141,6 57,4 63,7 Sardegna 33,1 - - 599,2 107,6 4,6 12,8 Mezzogiorno 85,8 55,3 92,4 117,3 122,1 64,7 69,1 - Sud 98,2 82,7 98,8 - 120,1 87,1 89,6 - Isole 67,7 15,1 83,1 289,8 125,2 31,8 39,1 Centro-Nord 109,8 130,8 105,2 88,0 84,7 124,3 121,3 - Nord-Ovest 129,7 131,7 150,8 - 107,5 134,1 132,0 - Nord-Est 91,4 110,5 90,7 - 65,8 105,1 102,0 - Centro 109,5 151,6 75,4 268,9 82,2 135,1 131,2 Italia 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 (a) Indice sintetico basato sulla ponderazione delle diverse categorie elementari in funzione della loro capacità di servizio. (b) Indice sintetico comprendente la rete ferroviaria in concessione e gestione commissariale governativa. Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT. 45 Tab. 3. Dotazione di stazioni ferroviarie rispetto al territorio e capacità di servizio rispetto alla popolazione (numeri indici: Italia = 100) Dotazione Capacità di servizio Regioni Totale stazioni (2005) Stazioni presenziate (2005) Totale stazioni (2005) Stazioni presenziate (2005) Abruzzo 115,5 120,9 164,5 172,1 Molise 74,7 39,5 226,3 119,8 Campania 114,7 90,0 74,7 58,6 Puglia 66,2 98,6 48,4 72,0 Basilicata 76,1 35,3 166,9 77,6 Calabria 110,7 47,7 169,2 72,9 Sicilia 79,8 111,2 79,4 110,8 Sardegna 84,8 89,8 79,5 84,1 Mezzogiorno 92,0 87,0 90,8 85,9 - Sud 97,2 78,0 96,2 77,2 - Isole 81,0 106,2 79,5 104,2 Centro-Nord 104,3 107,0 105,0 107,8 - Nord-Ovest 120,9 148,1 114,3 140,0 - Nord-Est 94,4 87,7 94,0 87,4 - Centro 93,6 75,9 103,2 83,7 Italia 100,0 100,0 100,0 100,0 Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT. Tab. 4. Dotazione di infrastrutture portuali rispetto alla popolazione (numeri indici: Italia = 100) Regioni Porti (n.) Accosti (lunghezza) Piazzali (superficie) Magazzini (capacità) Abruzzo 95,8 146,2 22,6 16,1 Molise 97,4 102,4 63,7 0,0 Campania 107,9 68,5 29,5 40,4 Puglia 176,5 142,7 303,9 20,6 Basilicata 52,6 2,4 0,0 0,0 Calabria 202,7 125,6 66,8 2,1 Sicilia 286,5 174,2 42,3 12,8 Sardegna 377,5 310,5 109,6 3,0 Mezzogiorno 192,7 136,9 95,6 19,9 - Sud 137,5 103,3 113,0 24,3 - Isole 309,1 208,0 59,0 10,4 Centro-Nord 49,4 79,8 102,4 143,8 - Nord-Ovest 16,1 46,8 44,7 56,4 - Nord-Est 42,2 122,6 249,8 362,2 - Centro 102,1 83,2 36,9 49,3 Italia 100,0 100,0 100,0 100,0 Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati Ministero Infrastrutture e Trasporti. 46 Tab. 5. Dotazione di infrastrutture intermodali rispetto alla popolazione (numeri indici: Italia = 100) Centri intermodali Regioni n. Superficie Capacità di movimentazione Disponibilità di binari Abruzzo 47,5 3,1 1,2 11,6 Molise 0,0 0,0 0,0 0,0 Campania 21,0 3,5 1,4 18,0 Puglia 29,7 15,2 1,2 21,8 Basilicata 0,0 0,0 0,0 0,0 Calabria 29,5 7,5 0,6 7,2 Sicilia 60,0 17,0 0,6 50,0 Sardegna 73,1 8,4 0,9 89,5 Mezzogiorno 37,8 9,7 1,0 29,9 - Sud 25,7 7,2 1,1 15,8 - Isole 63,2 14,9 0,7 59,7 Centro-Nord 135,3 151,2 156,1 139,7 - Nord-Ovest 156,8 193,0 359,2 173,3 - Nord-Est 125,1 187,1 19,3 146,2 - Centro 115,6 59,3 10,5 87,6 Italia 100,0 100,0 100,0 100,0 Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT. Tab. 6. Dotazione di infrastrutture aeroportuali rispetto alla popolazione (numeri indici: Italia = 100) Regioni Aeroporti (n.) Piste (n.) Superficie piste (mq) Aree di sedime (mq) Aree di parcheggio (mq) Abruzzo 91,9 73,8 74,2 63,0 32,5 Molise 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 Campania 20,7 16,6 18,1 24,0 30,2 Puglia 117,8 118,3 110,2 125,1 52,8 Basilicata 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 Calabria 179,5 192,2 167,1 141,3 66,7 Sicilia 119,5 134,4 127,5 69,7 72,1 Sardegna 289,7 232,7 217,6 154,2 260,9 Mezzogiorno 104,0 102,1 95,6 78,0 65,5 - Sud 76,6 75,2 69,9 71,9 40,2 - Isole 161,7 158,8 149,8 90,7 119,0 Centro-Nord 97,8 98,9 102,4 112,0 118,9 - Nord-Ovest 77,1 80,5 84,8 98,9 138,8 - Nord-Est 118,6 103,9 99,0 94,7 77,5 - Centro 105,9 119,1 129,9 147,1 132,0 Italia 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT. 47 11. Il Mezzogiorno nel contesto europeo I risultati economici dell’economia meridionale negli ultimi sette anni evidenziano non solo l’arresto di quello che, a fine anni ’90, sembrava un timido processo di convergenza, ma addirittura che il divario ha ripreso ad allargarsi sia nei confronti del resto del Paese, sia rispetto alle altre aree deboli dell’Unione. Dal confronto della dinamica nel periodo 2000-2007 del prodotto interno lordo pro capite (espresso in parità di potere d’acquisto) del Mezzogiorno con quella dei paesi deboli dell’UE27, emerge un quadro sconsolante. Il tasso di crescita dell’economia meridionale (2,0% m.a.) è stato meno della metà di quello della Spagna (4,9%), poco più di un terzo di quello dell’Irlanda (5,5%) e meno di un terzo di quello della Grecia (6,2% m.a.). Nel corso dell’ultimo settennio (2000-2007), il prodotto per abitante della Spagna, soprattutto per effetto del contributo di crescita offerto dalle aree deboli, ha superato il livello della Ue a 27 ed è superiore a quello del Mezzogiorno (68,8% della media Ue27) di quasi 36 punti percentuali; anche la Grecia (98,6%) ha superato il Sud, e, tra i Nuovi Stati membri, nel 2007, la Slovacchia ha raggiunto il livello di sviluppo del nostro Mezzogiorno, mentre Estonia, Repubblica Ceca e Slovenia lo hanno già superato. Anche i dati relativi alle performance di tutte le 267 regioni dell’Europa confermano la specialità in negativo delle regioni del Sud. Le aree comprese nell’Obiettivo “Convergenza” sono cresciute tra il 2000 e il 2005 ad un tasso del 4,8% medio annuo, a fronte del 3,7% medio dell’area. Analizzando nel dettaglio i singoli paesi, la Germania fa registrare un tasso di crescita del PIL nelle regioni “Convergenza” pari al 3%, a fronte del 2,8% delle regioni “Competitività”. Il processo di convergenza è ancora più evidente in Spagna dove le regioni deboli fanno segnare un +6,5% (quasi 5 volte la crescita delle regioni “Convergenza” italiane) superiore di quasi un punto al già sostenuto tasso di crescita delle regioni “Competitività” (+5,8%). Se si considerano le regioni “Convergenza” e quelle in phasing-out, cioè quelle che nel precedente Ciclo di programmazione erano Obiettivo 1, anche la Grecia evidenzia tassi di crescita più sostenuti nelle regioni in ritardo. In Italia, invece, nel periodo 2000-05 il tasso di crescita medio annuo del PIL delle regioni italiane rientranti nell’obiettivo “Convergenza” è stato inferiore a quello rilevabile nelle regioni “Competitività e Occupazione”: 1,5% contro 1,7%. Gli indicatori di competitività regionali A fronte di tali performance negative si è cercato di approfondire quali possono essere i fattori che determinano la mancata convergenza delle regioni meridionali. L’analisi condotta mira a costruire una geografia delle regioni europee, costruita sulla base di tre dimensioni: il benessere economico, la situazione di partecipazione ed equilibrio del mercato del lavoro, il livello di sviluppo delle risorse umane e della ricerca scientifica. Sulla base di queste tre dimensioni si costruito un indicatore denominato «indice di competitività», con il quale si tenta di esprimere una valutazione di sintesi sulla situazione di vantaggio/svantaggio competitivo delle diverse regioni europee. Tale risultato, seppure abbia un’ovvia relazione con aspetti più strutturali dell’economia come il PIL per abitante, integra tali indicazioni con una valutazione 48 degli strumenti soft che un’economia ha a disposizione per fronteggiare le sfide competitive del mercato globale. Secondo l’indicatore relativo all’occupabilità le regioni del Mezzogiorno tendono a collocarsi su valori inferiori a quelli rilevabili in base al reddito pro capite. Contribuisce a peggiorare sensibilmente la posizione delle regioni meridionali, ad esempio, il tasso di occupazione femminile che in Sicilia, Puglia, Campania, Calabria non raggiunge il 30%, in assoluto il più basso valore riscontrabile in Europa; distante di quasi 10 punti dai valori riscontrabili nelle regioni più deboli della Grecia e della Spagna e di quasi 20 dalle regioni appartenenti ai Paesi dell’Est Europa. Il gap con le altre regioni, anche meno sviluppate, dell’Europa risulta particolarmente rilevante nel campo della formazione del capitale umano e della ricerca. Emerge, in particolare, che la quota dei laureati nelle discipline scientifiche sulla popolazione adulta è pari ad appena il 10,4% in Sardegna, al 10,5% in Puglia, al 10,8% in Sicilia. Solo alcune regioni della Romania e del Portogallo hanno indici più bassi. Se confrontiamo le regioni del Sud con quelle dei paesi della Ue a 15 emerge un quadro sconsolante. Il valore più basso in Spagna si rileva nella regione della Extremadura con il 21%. Va sottolineato che anche le regioni del Centro-Nord rimangono sotto i valori medi della Ue. Pesa, infine, per le stesse prospettive di crescita del Sud, la scarsità di risorse dedicate alla ricerca e sviluppo, sia in termini di spesa in percentuale del PIL sia in termini di addetti al settore per 1.000 abitanti. Rispetto ad un valore medio nella Ue a 27 pari al 1,8%, le regioni del Mezzogiorno si collocano tutte sotto l’1%, con la sola eccezione della Campania con l’1,2%; i valori minimi si registrano in Calabria con una spesa in R&S pari ad appena lo 0,4% del PIL. Vanno sottolineati i livelli particolarmente elevati nell’indicatore di capitale umano e ricerca scientifica fatti segnare da alcune regioni rientranti nell’Obiettivo Convergenza (e quindi caratterizzate da bassi livelli del PIL pro capite) della Germania, della Slovenia, della Repubblica Ceca, regioni che hanno fatto segnare nella fase più recente tassi di crescita particolarmente significativi, a dimostrazione della capacità di attivazione di processi di sviluppo degli investimenti nel capitale umano e nella innovazione. In base all’indice sintetico di potenzialità competitive predisposto dalla SVIMEZ per tutte le 271 regioni della Ue a 27 sono state costruite diverse classi. Le regioni italiane dell’attuale Obiettivo “Convergenza” restano su valori inferiori al 70% della media europea denotando una sostanziale staticità se non segnali di declino. Se si considerano le 80 regioni NUTS2 dell’Obiettivo “Convergenza”, emerge come l’indicatore sintetico di competitività calcolato collochi le regioni meridionali dal 36° posto in giù in un gruppo composto soltanto da regioni di paesi nuovi entranti, più 3 regioni del Portogallo e 3 della Grecia. L’analisi condotta sembra contrastare con le indicazioni emergenti dall’indicatore utilizzato dalla Ue, di una progressiva uscita di alcune regioni meridionali dalla situazione di debolezza strutturale. L’utilizzazione di un indicatore più complesso, proprio nel caso delle regioni del Sud Italia, determina un abbassamento dei livelli relativi e il recupero di una sostanziale omogeneità del Mezzogiorno, con la sola eccezione dell’Abruzzo. In particolare la posizione delle regioni del Sud risulta particolarmente deficitaria proprio con riferimento agli indicatori di occupabilità e soprattutto di conoscenza e occupazione. 49 Tab. 1. Livelli e dinamica del PIL pro capite al 2007 PIL pro capite PPA (a) N.I. UE27=100 Rango al 2007 Rango al 2000 Guadagni e/o perdite 2000-07 Var. % 2006-07 Tasso medio annuo di crescita 2000-2007 Austria 31.784 128,4 4 4 0 5,9 3,3 Belgio 29.560 119,4 8 8 0 4,9 3,0 Germania 28.355 114,6 11 9 -2 5,6 3,3 Danimarca 30.862 124,7 5 5 0 4,3 3,0 Spagna 25.910 104,7 13 14 1 4,9 4,9 Finlandia 29.433 118,9 9 10 1 6,9 4,0 Francia 27.549 111,3 12 13 1 4,6 3,3 Grecia 24.393 98,6 15 16 1 6,5 6,2 Irlanda 36.299 146,7 2 6 4 6,0 5,5 Italia 25.208 101,8 14 12 -2 3,7 1,8 - Centro-Nord 29.590 119,5 7 2 -5 3,7 1,6 - Mezzogiorno 17.028 68,8 22 20 -2 3,3 2,0 Lussemburgo 70.253 283,8 1 1 0 7,0 6,1 Olanda 32.638 131,9 3 3 0 6,2 3,5 Portogallo 18.316 74,0 20 19 -1 4,5 3,0 Svezia 30.709 124,1 6 7 1 4,7 3,5 Regno Unito 29.318 118,4 10 11 1 5,6 4,0 Cipro 22.770 92,0 16 15 -1 5,3 4,3 Repubblica Ceca 20.163 81,5 18 21 3 9,0 6,4 Estonia 17.765 71,8 21 25 4 10,4 11,1 Ungheria 15.933 64,4 24 22 -2 4,2 5,9 Lituania 14.868 60,1 25 26 1 12,5 10,3 Lettonia 14.419 58,3 26 27 1 14,1 10,9 Malta 19.205 77,6 19 17 -2 6,2 2,7 Polonia 13.523 54,6 27 24 -3 9,6 5,7 Slovenia 22.426 90,6 17 18 1 8,5 5,9 Slovacchia 17.004 68,7 23 23 0 13,4 8,6 Romania 10.006 40,4 28 29 1 9,4 10,7 Bulgaria 9.441 38,1 29 28 -1 9,2 8,6 UE27 24.752 100,0 - - - 5,2 3,9 UE25 25.695 103,8 - - - 5,1 3,7 UE15 27.583 111,4 - - - 4,6 3,4 USA 38.597 155,9 - - - 4,1 3,5 Giappone 28.259 114,2 - - - 5,0 3,5 (a) Parità di potere di acquisto. Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati SVIMEZ, ISTAT ed EUROSTAT. Paesi 50 Tab. 2. Tasso medio annuo di crescita del PIL in PPA e del PIL pro capite in PPA delle regioni NUTS2 per obiettivo dei Fondi strutturali 2007-13 e Paese. Anni 2000-05 Tasso medio annuo di crescita del PIL in PPA Tasso medio annuo di crescita del PIL per abitante in PPA Obiettivo Convergenza Phasing-out Phasing- in Obiettivo Competitività e occupazione Totale Obiettivo Convergenza Phasing- out Phasing- in Obiettivo Competitività e occupazione Totale Austria - 3,8 - 3,2 3,2 - 3,6 - 2,6 2,6 Belgio - 2,5 - 3,0 3,0 - 2,3 - 2,5 2,5 Germania 3,0 2,4 - 2,8 2,8 3,9 2,4 - 2,5 2,7 Danimarca - - - 2,8 2,8 - - - 2,5 2,5 Spagna 6,5 6,5 5,9 5,8 6,0 5,5 5,1 4,0 4,0 4,5 Finlandia - - 3,0 3,2 3,2 - - 3,6 2,8 2,9 Francia 5,1 - - 3,3 3,4 3,7 - - 2,7 2,7 Grecia 4,9 7,5 4,4 - 6,5 4,7 7,0 4,3 - 6,2 Irlanda - - 7,6 7,0 7,2 - - 5,4 5,3 5,3 Italia 1,5 0,8 1,8 1,7 1,7 1,4 0,9 1,6 0,9 1,1 Lussemburgo - - - 6,2 6,2 - - - 5,0 5,0 Olanda - - - 3,3 3,3 - - - 2,8 2,8 Portogallo 3,0 4,8 5,2 3,3 3,2 2,5 3,0 4,8 2,4 2,6 Svezia - - - 3,2 3,2 - - - 2,8 2,8 Regno Unito 4,4 5,1 3,9 4,2 4,2 4,1 5,0 3,9 3,7 3,7 Cipro - - 6,0 - 6,0 - - 4,2 - 4,2 Repubblica Ceca 5,3 - - 6,5 5,6 5,4 - - 6,7 5,6 Estonia 10,3 - - - 10,3 10,7 - - - 10,7 Ungheria 4,6 - 7,5 - 5,9 5,0 - 7,4 - 6,2 Lituania 9,2 - - - 9,2 9,8 - - - 9,8 Lettonia 9,2 - - - 9,2 9,9 - - - 9,9 Malta 2,4 - - - 2,4 1,7 - - - 1,7 Polonia 4,5 - - - 4,5 4,6 - - - 4,6 Slovenia 5,5 - - - 5,5 5,4 - - - 5,4 Slovacchia 6,5 - - 9,3 7,3 6,5 - - 9,9 7,3 Romania 9,2 - - - 9,2 10,0 - - - 10,0 Bulgaria 7,2 - - - 7,2 8,4 - - - 8,4 UE27 4,8 5,3 5,5 3,3 3,7 5,0 4,8 4,5 2,7 3,4 UE25 4,4 5,3 5,5 3,3 3,6 4,4 4,8 4,5 2,7 3,2 UE15 3,7 5,3 5,1 3,3 3,5 3,4 4,8 3,9 2,7 2,9 (a) Parità di potere d'acquisto a valori correnti. Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati EUROSTAT. Paesi 51 Fig. 1. Regioni NUTS2 secondo le classi dell'indice sintetico di benessere economico Fonte : Elaborazioni SVIMEZ su dati SVIMEZ, ISTAT ed EUROSTAT. 52 Fig. 2. Regioni NUTS2 secondo le classi dell'indice sintetico di occupabilità Fonte : Elaborazioni SVIMEZ su dati SVIMEZ, ISTAT ed EUROSTAT. 53 Fig. 3. Regioni NUTS2 secondo le classi dell'indice sintetico di formazione e ricerca Fonte : Elaborazioni SVIMEZ su dati SVIMEZ, ISTAT ed EUROSTAT. 54 Fig. 4. Regioni NUTS2 secondo le classi dell'indice sintetico di competitività economica Fonte : Elaborazioni SVIMEZ su dati SVIMEZ, ISTAT ed EUROSTAT. 55 12. L’ICT e internet Secondo indagini condotte a livello europeo sull’utilizzo di Internet nelle famiglie, l’Italia detiene l'ultimo posto della classifica, con percentuali di diffusione inferiori al 40%. Nel nostro Paese, inoltre, il fenomeno è esclusivo appannaggio delle giovani generazioni, soprattutto di sesso maschile, mentre la percentuale di donne con figli che utilizzano internet è ferma al 30%, in vistosa crescita rispetto al 2005 (+15%), ma molto lontana dalla media europea (60% circa) e dalle nazioni più informatizzate, i cui valori superano il 90%. Secondo uno studio dell'AICA condotto su Italia, Francia e Spagna, i tecnici italiani sono più vecchi di due anni rispetto ai colleghi francesi e di ben 3 anni rispetto agli spagnoli. Tecnici che fanno fatica ad aggiornarsi con continuità: la partecipazione italiana alla formazione continua è di 6,1 contro una media europea del 9,6, che arriva a 32,1 in Svezia. Negli ultimi anni il divario tecnologico Nord-Sud si è accentuato: possiedono un personal computer poco più del 50% delle famiglie del Centro-Nord e il 43% delle famiglie meridionali; l'accesso ad internet è presente nel 32,6% delle famiglie meridionali e in quasi il 42% di quelle centro-settentrionali; la connessione a banda larga riguarda il 17,9% delle famiglie del Sud contro il 24,8% di quelle del Nord. È importante notare la differenza nell'utilizzo di internet, che tra Nord e Sud è di oltre 10 punti percentuali (38,5% al Nord e 27,9% nel Mezzogiorno). Il luogo dove maggiormente si utilizza internet è la propria casa, seguito dal posto di lavoro e di studio. Anche in questo caso vi sono forti differenze tra Nord e Sud imputabili, probabilmente, alla mancanza di connessione in banda larga e, quando invece presente, al suo elevato costo di accesso. Il digital divide rimane anche nel campo della formazione. Sul totale della popolazione di età superiore ai 3 anni che usa il computer, ha frequentato corsi di informatica il 30,9% nelle regioni centrosettentrionali e solo l'11% in quelle meridionali. Riguardo all’informatizzazione delle aziende, dalle analisi emerge che si trovano Pc in oltre il 97% delle imprese con più di 10 addetti nel Nord, nel 95% nel Centro e nel 96% nel Mezzogiorno, ma lo utilizzano soltanto una minoranza: il 44% degli addetti al Centro-Nord e il 30,8% al Sud. Inoltre le imprese che hanno un proprio sito web nel Mezzogiorno sono solo il 48,5%, a fronte di una media superiore al 60% nel Centro-Nord. Sono poco meno del 27% quelle che nel Mezzogiorno hanno una rete intranet, contro quasi il 34% del Centro-Nord. Sempre nel Mezzogiorno sono solo il 9,4% le imprese che utilizzano sistemi ERP1 (16% circa nel Centro-Nord); quelle che utilizzano applicazioni CRM2 1 Secondo le stime dell’ultima revisione del Libro Bianco sui trasporti della Commissione Europea, i costi della congestione ammontano mediamente all’1% del PIL dell’UE, una percentuale che per l’Italia rappresenta un onere (in gran parte sommerso) pari a circa 14-15 miliardi di euro all’anno. 2 CRM - Customer Relationship Management. Qualsiasi applicazione software realizzata per gestire i rapporti tra azienda fornitrice e clienti potenziali o attivi, con una duplice finalità: acquisire nuovi clienti e soddisfare i clienti già acquisiti. Gli scopi di un software CRM non sono quelli di gestire i rapporti coi clienti in termini di flussi esecutivi di operazioni materiali documentate (vendita, fatturazione, resi, incassi, ecc.) per i quali si utilizzano da decenni i software gestionali classici (prodotti back-end), 56 sono il 21% al Sud e superiori al 25% nel Nord. Le imprese comunque hanno bisogno di personale specializzato in ICT e lamentano, soprattutto al Nord Est, la carenza di candidati, mentre pesa nel Mezzogiorno la mancanza di esperienza. Secondo una ricerca della NetConsulting per Microsoft, nelle aziende il principale ostacolo allo sviluppo era costituito dal basso livello di competenze interne (circa il 70% dei casi). Per questo più del 28% delle imprese del Centro-Nord e del 18% del Mezzogiorno ha fatto ricorso ad altre aziende per reperire personale già formato. Il digital divide Nord-Sud si fa sentire che nella pubblica amministrazione. Meno di un quinto dei Comuni italiani ha organizzato attività formative nel campo informatico; nel Mezzogiorno solo il 5% dei dipendenti è stato coinvolto in corsi di questo tipo. Riguardo alle dotazioni informatiche, oltre ai pc, nella PA sono diffusi i GIS e i CAD3, deputati a gestire dati georeferenziati, che cioè possono e devono essere visualizzati su una mappa del territorio (per i Piani Territoriali, il Catasto, i dati riguardanti sorgenti, pozzi, tombini, condutture ecc.). Passando al tipo di collegamento, invece, la banda larga è presente in poco meno del 59% dei Comuni (53,6% nel Mezzogiorno). Le Regioni meridionali con il minor numero di propri dipendenti connessi ad internet sono la Campania e la Sicilia. La circoscrizione che utilizza maggiormente internet è invece il Nord-Est ( 71,6% dei dipendenti). Tutte le Amministrazioni forniscono on line servizi informativi, più dell'80% offre modulistica; ma sul fronte della piena interattività resta ancora molto da fare: viene garantita solo dal 3% dei Comuni, da poco meno dell'11% delle Province e dal 54,5% delle Regioni. I pagamenti on-line, prassi comune e consolidata in tutte le nazioni europee, sono possibili in Italia nel 9,4% dei Comuni e nel 31,8% delle Regioni; nel Mezzogiorno solo il 7,5% dei Comuni e due Regioni sono abilitati al servizio. Tab. 1. Utilizzo del pc, di internet e luogo principale del suo utilizzo Ripartizioni territoriali Persone di 3 anni e più che usano un computer Personedi 6 anni e più che usano internet Casa Lavoro Mezzogiorno 33,9 27,9 19,9 8,9 Centro-Nord 44,1 38,5 28,8 16,6 Italia 40,5 34,8 25,6 13,9 Fonte: ISTAT. Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione: disponibilità nelle famiglie e utilizzo degli individui. Roma 2007 piuttosto gestire proprio tutti quei rapporti che precedono e seguono l'atto di vendita formale di un bene o servizio (prodotti front-end). 3 GIS - Sistemi Informativi Geografici. Permette l'acquisizione, la registrazione, l'analisi, la visualizzazione e la restituzione di informazioni e dati georeferenziati. CAD - Computer Aided Design. Progettazione assistita dal computer; indica genericamente programmi software per il disegno tecnico vettoriale in 2 e/o 3 dimensioni. 57 Tab. 2. Persone di 6 anni e più che usano il personal computer e Internet per modalità di acquisizione delle abilità di utilizzo di Ripartizioni territoriali Studio individuale Studio attraverso pratica Colleghi, parenti, amici Corsi di formazione su iniziativa del datore di lavoro A scuola o all'università Mezzogiorno 41,5 76,3 62,9 19,7 35,0 Centro-Nord 44,8 75,9 63,5 12,8 33,7 Italia 42,4 76,2 63,1 17,7 34,6 Mezzogiorno 40,5 76,7 64,7 15,3 27,3 Centro-Nord 47,4 76,7 66,0 11,7 29,1 Italia 42,4 76,7 65,1 14,3 27,8 Fonte: ISTAT. Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione: disponibilità nelle famiglie e utilizzo degli individui. Roma 2007 Personal computer Internet Tab. 3. Imprese informatizzate con almeno 10 addetti che utilizzano tecnologie dell'informazione e della comunicazione (ICT) di base e avanzate Imprese con E-mail Imprese con Internet Imprese con Lan Imprese con sito Web Imprese con Intranet Imprese che utilizzano sistemi ERP Imprese che utilizzano applicazioni CRM Mezzogiorno 94,6 96,6 58,6 48,5 26,7 9,4 21,1 Nord-ovest 97,3 98,0 62,5 62,6 35,2 16,6 23,5 Nord-est 97,1 98,2 62,9 62,9 33,1 16,6 25,2 Centro 95,8 97,1 61,8 57,9 32,6 14,5 25,2 Italia 96,4 97,6 61,7 59,0 32,4 14,8 23,8 Fonte: ISTAT. Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione nelle imprese - Anno 2007. Tecnologie dell'informazione e della comunicazione di base Tecnologie dell'informazione e della comunicazione avanzate Circoscrizioni e ripartizioni territoriali 58 13. Sicurezza e lotta alla criminalità nel Mezzogiorno 1. L’andamento della delittuosità Negli ultimi anni si è registrata, nel nostro Paese, una ripresa della delittuosità, che ha interrotto la fase decrescente che aveva caratterizzato il periodo dal 1998 al 2001. Con riferimento, in particolare, al 2006, ultimo anno per il quale sono al momento disponibili dati completi ufficiali sulle denunce fatte all’Autorità giudiziaria dalle Forze dell’ordine (v. Tab. 1), si rileva, rispetto al 2005, un incremento del totale dei reati pari al 6,2% nel Mezzogiorno (dopo il 4,6% dell’anno precedente) e al 7,9% nel Centro- Nord (dopo il 7,5%). Ancora una volta, come già negli anni precedenti, l’andamento nel Mezzogiorno è stato più favorevole - o, meglio, meno sfavorevole - di quello del Centro-Nord; un risultato che ha ulteriormente consolidato la situazione di relativa minore diffusione della delittuosità rilevabile – con riferimento al complesso dei reati e, quindi, prescindendo dalla loro tipologia – nell’area meridionale, dove, nel 2006, si sono contati 36,7 delitti per 1.000 abitanti, rispetto ai 52,6 nel resto del Paese (nel 2005 erano stati rispettivamente 34,6 e 49,2). Nel 2006 sono sensibilmente cresciuti i delitti appartenenti alla “criminalità violenta” e più nel Mezzogiorno (12,4%) che nel Centro-Nord (9,9%); nell’area meridionale il numero di tali reati, rapportato alla popolazione, risulta comunque decisamente inferiore (7 ogni mille abitanti contro i circa 10 nel Nord). All’interno di questo gruppo, gli omicidi consumati (esclusi quelli imputabili alla mafia), in costante diminuzione negli ultimi anni, hanno registrato nel 2006 ancora una riduzione nel Mezzogiorno, pari a –5,9% (da 238 a 224), mentre nel Centro-Nord si è avuta una crescita del 13,4% (da 254 a 288). Una tendenza analoga si riscontra per gli omicidi tentati, con una flessione del 6,9% nel Sud e un aumento del 4,5% nel Nord. Aumenti maggiori nel Mezzogiorno si rilevano per le percosse (11,7%), per i danneggiamenti con incendio (ben il 32,8% in più) e per le lesioni dolose (24,2%). Per le violenze sessuali, un reato drammaticamente in crescita da molti anni, che ha contribuito notevolmente ad accrescere il senso di insicurezza della popolazione, in particolare di quella femminile, si rileva che a livello nazionale le denunce nel 2006 sono state 4.513 a fronte delle 4.020 dell’anno precedente, con un incremento del 12,3%. Nel Mezzogiorno le denunce per violenza sessuale sono aumentate dell’8,5%, un incremento inferiore a quello del Centro-Nord (13,7%), che contrasta, però, con la flessione, sia pur lieve, registrata nell’area nel 2005. Per quanto riguarda la “criminalità diffusa”, un’altra tipologia di reato che incide in misura notevole sulla percezione di insicurezza, ed anche sul totale dei delitti, nel 2006 si è avuto nel Mezzogiorno un aumento complessivo dell’8,3% (5,8% nel Centro- Nord), con un balzo notevole (28,7%) per le rapine commesse in negozi, strade e abitazioni e, soprattutto, per le truffe informatiche (55,8%), un reato che sta crescendo a ritmi elevatissimi da alcuni anni. E’ da rilevare che per quest’ultimo reato i casi verificatisi nel Mezzogiorno sono, in rapporto alla popolazione, più numerosi di quelli rilevabili nel resto del Paese: 23 ogni 10 mila abitanti contro 19. I reati ascrivibili alla “criminalità organizzata” hanno registrato una lieve crescita in ambedue le ripartizioni del Paese e, a conferma che gli “interessi” delle organizzazioni criminali sono sparsi in tutto il territorio nazionale, in rapporto alla 59 popolazione residente essi sono solo di poco più numerosi nel Mezzogiorno: 96 per 100.000 abitanti contro 88,7 nel Centro-Nord. Nel 2006 nel Mezzogiorno sono stati commessi 106 omicidi per motivi di mafia e 38 sono quelli tentati; rispetto all’anno precedente se ne sono avuti, rispettivamente, 2 e 1 in meno. Nel corso del tempo il numero di omicidi legati alle varie mafie si è fortemente ridimensionato, a dimostrazione di un cambio di strategia da parte delle associazioni criminali volto ad una minore visibilità; si consideri che nel 1990 gli omicidi mafiosi nel Mezzogiorno furono ben 506, scesi poi a 230 nel 1995 e a 141 nel 2000. Scendendo al dettaglio regionale, si rileva che – con riferimento al complesso dei reati - la maggiore diffusione relativa di fatti delittuosi si ha in Liguria, con 67 reati ogni 1.000 abitanti, seguita da Lazio (59), Emilia-Romagna (58), Piemonte (55) e Lombardia (55). Tutte le regioni meridionali si collocano sensibilmente al di sotto dei suddetti valori, con punte più elevate (comprese tra il 35 e il 39 per mille) nelle quattro regioni in cui è radicata la presenza della criminalità organizzata, e in Abruzzo, che risente soprattutto dell’elevato numero di furti in abitazioni ed esercizi commerciali. Nel 2006 in Campania sono stati commessi complessivamente 140 omicidi volontari, il 42% di tutti quelli avvenuti nel Mezzogiorno ed oltre un quinto del totale nazionale; rispetto all’anno precedente ce ne sono stati 12 in più, pari al +9,4%. Altri 156 omicidi si sono verificati nelle rimanenti regioni “a rischio”: 33 in Puglia, 61 in Calabria e 62 in Sicilia, tutte in diminuzione rispetto all’anno prima e pari, rispettivamente, a -5,7%, -11,6% e –11,4%. La Campania risulta la regione di gran lunga più colpita anche per quanto riguarda le rapine, con oltre 17 mila casi (il 67% del totale Mezzogiorno e oltre un terzo dell’intero Paese), in aumento dell’8,5% sull’anno precedente. A distanza seguono la Lombardia con 8.134 rapine (+17,2%), il Lazio e la Sicilia con poco meno di 4.800 rapine, in aumento rispettivamente del 17,1% e del 22,2% rispetto al 2005. L’incremento della criminalità negli ultimi anni trova un suo evidente riscontro nell’aumento della percezione di insicurezza dei cittadini. Come si vede dalla Tab. 3, infatti, la quota delle famiglie che avvertono molto o abbastanza il rischio criminalità nella zona in cui vivono, che era gradualmente scesa dal 32,5% nel 1999 al 27,4% nel 2003, è salita al 29,2% nel 2005, al 31,3% nel 2006 e al 34,6% nel 2007. I dati riferiti alle due grandi ripartizioni evidenziano che nei primi anni duemila il rischio criminalità era percepito in misura pressochè analoga; negli anni successivi esso si è accresciuto più al Nord che nel Sud: la quota di famiglie “insicure” è infatti salita, nel 2007, rispettivamente al 35,0% e al 33,8%, rispettando, così, la differenza territoriale prima evidenziata nella diffusione relativa dei reati. A livello regionale, si rileva che in Campania, con riferimento all’anno 2007, ben il 54% delle famiglie hanno dichiarato di avvertire molto o abbastanza presente il rischio criminalità nella zona in cui abitano; si tratta di una quota che si pone nettamente al di sopra della media nazionale e di quella del Mezzogiorno. Nell’ambito meridionale, seguono la Puglia con una quota del 35,5%, la Sicilia con il 27,7%, e l’Abruzzo, che, da regione tra le più tranquille, ha visto aumentare notevolmente negli ultimi due anni la percezione di insicurezza, giungendo ad un livello (23,8%, dal 13,1% del 2005) superiore a quello della Calabria (22,6%). Dai giudizi espressi dalle famiglie, il Molise e la Basilicata, con valori rispettivamente del 12,0% e del 9,7%, risultano nettamente le regioni più tranquille. 60 Nell’ambito del Centro-Nord vanno segnalati i casi della Lombardia e del Lazio, non solo per l’elevata percezione di insicurezza – la denuncia rispettivamente il 41,4% e il 46,3% delle famiglie – ma anche perchè essa ha registrato una fortissima impennata rispetto ad appena due anni prima, il 2005: di 10 punti in Lombardia e di circa 15 nel Lazio. 2. La lotta alle organizzazioni mafiose Nell’ambito della lotta alle organizzazioni mafiose, uno degli strumenti ritenuti più efficaci è la confisca dei beni mafiosi, regolata dalla legge 109 del 1996; essa, però, continua ad essere caratterizzata da ritardi e difficoltà: tra il provvedimento di sequestro e la confisca definitiva, infatti, trascorrono mediamente 10 anni. In Italia, dal 1983 al 31 dicembre 2007, sono stati confiscati alle organizzazioni mafiose 8.017 immobili e, di questi, solo poco più della metà (4.205) sono stati destinati a riutilizzo per finalità sociali. Larga parte delle confische ha ovviamente riguardato il Mezzogiorno (6.792 immobili) ed in particolare la Sicilia, che assomma poco meno della metà delle confische. La regione siciliana è anche quella in cui si rileva la quota più elevata di case e terreni inutilizzati o ancora nella disponibilità dei mafiosi: ben 2.226 su 3.683, pari al 60%. A notevole distanza seguono, per numero di immobili confiscati, la Campania (1.237) e la Calabria (1.173) che, rispetto alla regione siciliana, mostrano una minore quota di beni destinati: rispettivamente il 37,2% e il 33,7%. Per quanto riguarda le aziende, ne sono state confiscate alla mafia 987, di cui 730 già destinate e 257, pari al 26%, ancora gestite dall’Agenzia del Demanio; si tratta di una quota decisamente inferiore a quella rilevata per gli immobili. Nel Mezzogiorno le aziende confiscate sono 709, di cui 514 già destinate; la Sicilia e la Campania assorbono circa l’80% delle confische e delle aziende destinate a riutilizzo. 3. Il costo per lo sviluppo dei ritardi nella giustizia civile Gli imprenditori italiani, per avere giustizia in una causa civile, devono attendere in media 1.765 giorni (4 anni, 10 mesi e 5 giorni) tra primo e secondo grado di giudizio, mentre per una procedura fallimentare l’attesa arriva, in media, a 3.140 giorni (8 anni, 7 mesi e 10 giorni). Gli oneri che le imprese subiscono a causa della lentezza della giustizia sono stimati da Confartigianato nell’ordine dei 2,3 miliardi di euro/anno (v. Tab. 2). La durata media più elevata si ha in Basilicata, con 3.391 giorni (9 anni e 4 mesi); seguita dalla Liguria (2.910), dalla Puglia (2.596) e dalle Marche (2.277). I tempi più brevi si riscontrano, invece, nel Trentino Alto-Adige (970 giorni). I tempi si allungano considerevolmente in tutte le regioni, nei procedimenti fallimentari, raggiungendo i valori massimi in Calabria (5.784 giorni, pari a 15 anni e 10 mesi) e in Sicilia (5.611); ma tutte le regioni meridionali presentano tempi assai più lunghi rispetto al resto delle regioni italiane. Il costo dei ritardi della giustizia civile è stimato per il Mezzogiorno in 8.762 milioni di euro, pari al 37,6% del totale nazionale, una quota elevata se si considera la più modesta dimensione dell’apparato produttivo meridionale. In termini di rapporto costo/impresa, infatti, il valore per il Mezzogiorno risulta pari a 434 euro, a fronte dei 61 359 per il Centro-Nord. I maggiori costi si rilevano per il Lazio (593 euro), segue la Campania (590), Basilicata (541) e Puglia (482). In sette anni, dal 1997 al 2004, la durata media delle procedure fallimentari è aumentata mediamente di due anni. Anche nel caso della durata dei procedimenti in materia di lavoro, previdenza e assistenza (v. Tab. 3) si osservano tempi lunghi, con una rilevante articolazione nelle diverse aree del Paese. Si conferma la maggiore lentezza della giustizia nel Mezzogiorno, dove la durata media dei procedimenti, nel primo grado di giudizio, è di 895 giorni, circa un anno in più rispetto al Centro-Nord (562 giorni). Anche in questo caso le differenze tra gli estremi della graduatoria sono insostenibili, perchè si va dai 3 anni e 10 mesi a Taranto agli 8 mesi necessari, mediamente, per lo stesso procedimento a Torino. Il differenziale territoriale a sfavore del Mezzogiorno si conferma nei procedimenti in appello, anche se le distanze tra rispetto al Nord sono meno rilevanti (710 giorni contro 513). Tra i 10 distretti più “lenti”, ben 7 interessano il Mezzogiorno e assai rilevanti appaiono le distanze medie tra i distretti “meno virtuosi” e quelli più rapidi: a Reggio Calabria occorrono mediamente 3 anni 10 mesi e 5 giorni, a Trento sono sufficienti 3 mesi e 10 giorni. 62 Tab. 1. Delitti denunciati all'Autorità giudiziaria dalle forze dell'ordine nel 2006, per tipologia di delitti N. Per 100.000 ab. Var. % su 2005 N. Per 100.000 ab. Var. % su 2005 N. Per 100.000 ab. Var. % su 2005 CRIMINALITA' DIFFUSA 465.582 2.242,7 8,3 1.294.971 3.408,6 5,8 1.760.553 2996,6 6,5 Furti 386.185 1.860,2 3,9 1.199.016 3.156,0 5,9 1.585.201 2698,1 5,4 Rapine meno gravi (a) 19.606 94,4 28,7 16.645 43,8 23,3 36.251 61,7 26,2 Ricettazione 11.886 57,3 -3,0 18.156 47,8 -2,1 30.042 51,1 -2,4 Truffe e frodi informatiche 47.905 230,8 55,8 61.154 161,0 2,3 109.059 185,6 20,5 CRIMINALITA' VIOLENTA 148.385 714,9 12,4 362.970 955,3 9,9 511.355 870,4 10,6 Danneggiamenti 81.900 394,5 9,9 262.353 690,6 13,7 344.253 585,9 12,8 Danneggiamento seguito da incendio 7.181 34,6 32,8 2.923 7,7 -16,7 10.104 17,2 13,3 Estorsioni 3.071 14,8 3,9 2.329 6,1 -10,6 5.400 9,2 -2,9 Lesioni dolose 22.767 109,7 24,2 36.376 95,7 -5,0 59.143 100,7 4,4 Minacce 26.952 129,8 9,0 44.904 118,2 7,2 71.856 122,3 7,9 Omicidi volontari consumati (b) 224 1,2 -5,9 288 0,7 13,4 512 0,9 4,1 Omicidio preteritenzionale 18 0,1 28,6 20 0,1 -16,7 38 0,1 0,0 Percosse 4.344 20,9 11,7 9.465 24,9 1,5 13.809 23,5 4,5 Sequestri di persona per motivi sessuali 74 0,4 -14,0 228 0,6 12,3 302 0,5 4,5 Tentato omicidio (b) 676 3,3 -6,9 749 2,0 4,5 1.425 2,4 -1,2 Violenze sessuali 1.178 5,7 8,5 3.335 8,8 13,7 4.513 7,7 12,3 CRIMINALITA' ORGANIZZATA 19.931 96,0 0,6 33.696 88,7 0,7 53.627 91,3 0,7 Associazione per delinquere 492 2,4 -24,7 582 1,5 -2,8 1.074 1,8 -14,2 Associazione per delinquere di tipo mafioso 107 0,5 -23,6 21 0,1 61,5 128 0,2 -16,3 Attentati 267 1,3 16,6 351 0,9 13,6 618 1,1 14,9 Contrabbando 756 3,6 21,2 394 1,0 -8,8 1.150 2,0 8,9 Incendi 6.517 31,4 3,0 6.142 16,2 -1,3 12.659 21,5 0,9 Omicidio di tipo mafioso 106 0,5 -1,9 3 0,0 200,0 109 0,2 0,0 Rapine gravi (c) 945 4,6 1,2 2.549 6,7 2,9 3.494 5,9 2,5 Sequestri di persona a scopo estorsivo 117 0,6 -35,0 161 0,4 -14,4 278 0,5 -24,5 Sfruttamento prostituzione e pornografia 406 2,0 11,8 1.362 3,6 -0,4 1.768 3,0 2,2 Stupefacenti 10.180 49,0 -0,4 22.126 58,2 1,3 32.306 55,0 0,8 Tentati omicidi di tipo mafioso 38 0,2 -2,6 5 0,0 0,0 43 0,1 -2,3 REATI ECONOMICI 5.636 27,1 -4,1 6.959 18,3 -9,4 12.595 21,4 -7,1 Contraffazione di marchi e prodotti industriali 758 3,7 -4,2 1.428 3,8 -18,0 2.186 3,7 -13,7 Delitti informatici 699 3,4 68,4 1.695 4,5 28,9 2.394 4,1 38,4 Riciclaggio e impiego di denaro 504 2,4 2,9 689 1,8 -7,4 1.193 2,0 -3,3 Usura 196 0,9 -6,2 157 0,4 -14,7 353 0,6 -10,2 Violazione alla proprietà intellettuale 3.479 16,8 -12,4 2.990 7,9 -19,2 6.469 11,0 -15,7 ALTRI DELITTI 122.748 591,3 -5,5 310.612 817,6 16,7 433.360 737,6 9,4 TOTALE 762.313 3.672,0 6,2 2.009.177 5.288,5 7,9 2.771.490 4717,3 7,5 (a) Rapine in esercizi commerciali, in pubblica via, in abitazione. (b) Esclusi quelli di tipo mafioso. (c) Rapine in banca, uffici postali, rappresentanti di preziosi, trasporto valori, automezzi pesanti. Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT e Ministero dell'Interno. Tipologia di delitto Mezzogiorno Centro-Nord Italia 63 Tab. 2. Tempi e costi della giustizia civile Regioni Durata procedimento civile I e II grado (giorni) Durata fallimento (giorni) Costo recupero crediti (milioni €) Costo connessi al fallimento (milioni €) Costo ritardi giustizia civile (milioni €) Numero Imprese Costo/impresa (€) Piemonte 1.087 2.352 25,3 124,0 149,3 464.917 321 Valle d'Aosta 1.023 2.212 0,4 1,4 1,9 14.786 125 Lombardia 1.527 2.151 171,7 162,3 334,1 953.178 350 Trentino-Alto Adige 970 1.567 2,2 5,4 7,5 109.879 69 Veneto 1.701 2.527 40,4 100,7 141,1 510.916 276 Friuli-Venezia Giulia 1.247 2.481 5,3 32,9 38,2 116.358 329 Liguria 2.910 3.287 32,9 25,7 58,6 166.678 352 Emilia-Romagna 1.876 3.036 55,7 109,7 165,5 475.410 348 Toscana 1.794 3.323 52,5 116,2 168,7 413.950 407 Umbria 1.786 3.275 14,5 13,9 28,5 94.297 302 Marche 2.277 3.081 41,5 40,7 82,2 177.464 463 Lazio 1.683 2.834 188,9 139,6 328,6 553.983 593 Abruzzo 1.621 4.151 28,3 33,7 62,0 149.489 415 Molise 1.586 4.963 6,1 1,8 8,0 36.856 217 Campania 1.910 3.502 211,8 108,9 320,7 543.970 590 Puglia 2.596 4.598 129,8 62,7 192,6 399.236 482 Basilicata 3.391 4.217 30,5 3,7 34,2 63.154 541 Calabria 1.827 5.784 48,2 16,1 64,3 182.035 353 Sicilia 1.974 5.611 110,8 38,7 149,5 473.816 315 Sardegna 1.773 3.447 17,9 27,0 44,9 172.652 260 Italia 1.765 3.140 1.157,1 1.174,2 2.331,3 6.073.024 384 Fonte: Elaborazioni Ufficio Studi Confartigianato su dati ISTAT e Infocamere. Tab. 3. Durata dei procedimenti in materia di lavoro, previdenza e assistenza per fasi del processo (valori medi in giorni), per Distretto di Corte di Appello. Anno 2005 Distretti di Corte d’Appello Primo grado Distretti di Corte d’Appello Grado di Appello Taranto (sez.) 1.385 Reggio Calabria 1.400 Catanzaro 1.250 Napoli 1.385 Messina 1.218 Bologna 1.089 Napoli 1.097 Messina 948 Reggio Calabria 973 Catanzaro 943 Bari 937 Roma 794 Ancona 926 Caltanissetta 790 Caltanissetta 904 L’Aquila 783 Potenza 858 Perugia 697 Salerno 842 Venezia 681 Venezia 780 Palermo 647 Catania 777 Campobasso 627 Palermo 760 Firenze 617 L’Aquila 750 Salerno 581 Perugia 743 Catania 547 Lecce 711 Trieste 540 Bologna 680 Cagliari 523 Cagliari 672 Ancona 505 Sassari (sez.) 669 Potenza 505 Trieste 651 Genova 480 Roma 609 Taranto (sez.) 467 Genova 606 Bari 457 Firenze 586 Lecce 392 Campobasso 524 Milano 387 Brescia 520 Sassari (sez.) 364 Bolzano (sez.) 518 Brescia 284 Milano 382 Torino 273 Trento 313 Bolzano (sez.) 214 Torino 241 Trento 110 Mezzogiorno 895 Mezzogiorno 710 Centro-Nord 562 Centro-Nord 513 Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT, Sistema Informativo territoriale sulla Giustizia. 64 14. Il rischio povertà nel Mezzogiorno Le regioni meridionali,oltre a presentare un minor livello di benessere, mostrano anche un più alto grado di disuguaglianza distributiva rispetto alle regioni del Centro- Nord. In particolare, Campania, Calabria e Sicilia risultano in fondo alla classifica, insieme ai paesi più diseguali d’Europa (Grecia, Portogallo, Lituania e Lettonia). Una sperequata distribuzione del reddito espone molte famiglie al rischio povertà, soprattutto in conseguenza di congiunture negative quale quella che caratterizza il nostro Paese nella fase più recente. L’esistenza a livello nazionale di una “questione salariale” si acuisce fortemente nel Mezzogiorno, dove ormai anche famiglie in cui è presente un percettore di reddito, in passato estranee al rischio di cadere in povertà, evidenziano disagio nel far fronte a bisogni di carattere ordinario. Significativo appare il fatto che nel Mezzogiorno oltre la metà delle famiglie monoreddito (51,6%) risultano esposte al rischio di povertà, rispetto al 28,6% nel Centro-Nord. La distribuzione per classi di reddito monetario fornisce una prima idea dell’ordine di grandezza delle differenze (Tab. 1). Cominciando dai livelli più alti, due quinti delle famiglie del Centro-Nord (40,2%) e circa un quinto di quelle del Mezzogiorno (21,7%) ha entrate superiori ai 3 mila euro mensili. Nello stesso tempo, il 33,5% delle famiglie meridionali e il 18,4% di quelle del Centro-Nord ha un reddito compreso fra i 500 e i 1.500 euro al mese. Infine, in fondo alla scala dei redditi, risulta che il 22,7% delle famiglie siciliane ha percepito nel 2005 meno di mille euro al mese, così come il 19,1% delle famiglie calabresi, il 18,0% di quelle residenti in Basilicata e il 17% circa di quelle pugliesi, campane e molisane. In Abruzzo e Sardegna, la percentuale di famiglie che si trovano in questa condizione è compresa fra l’11 e il 12%. Nel resto d’Italia, ha meno di mille euro al mese il 7,3% delle famiglie. Fra le famiglie a basso reddito, una piccola minoranza ha redditi infimi: il 4,2% delle famiglie del Mezzogiorno e l’1,4% di quelle del Centro-Nord hanno percepito nel 2005 meno di 500 euro al mese. Al di là degli indicatori monetari la condizione di disagio e vulnerabilità delle regioni meridionali può cogliersi con riferimento ad alcune indicazioni concrete. Il 10% delle famiglie del Mezzogiorno, più del doppio delle famiglie del Centro- Nord, dichiara di non potersi permettere un pasto adeguato almeno tre volte alla settimana. Il 20,9% delle famiglie del Mezzogiorno afferma, inoltre, di non potersi permettere di riscaldare adeguatamente l’abitazione, rispetto al 5,4% del Centro-Nord. Nel Mezzogiorno, il 19,3% delle famiglie ha avuto periodi (anche una volta soltanto nell’anno) in cui non aveva soldi sufficienti per l’acquisto di medicinali (il 6,1% delle famiglie al Centro-Nord). Il 28,6% delle famiglie non ha potuto acquistare i vestiti di cui necessitava, l’8,2% delle famiglie con figli in età scolare non aveva soldi per la scuola, il 12,8% delle famiglie non aveva sempre denaro sufficiente per i trasporti e il 24,3% ha dichiarato di non avere avuto abbastanza soldi per pagare le tasse. Le famiglie residenti in Sicilia, Campania e Calabria sono fra le regioni del Mezzogiorno quelle con le percentuali di disagio più elevate (Fig. 1). Il ritardo nei pagamenti delle utenze, delle rate del mutuo, dell’affitto o dei debiti contratti con il credito al consumo rappresenta una condizione di forte disagio economico delle famiglie. Nel Mezzogiorno le famiglie in disagio risultano, tranne nel caso del pagamento del mutuo, quasi il doppio di quelle del Centro-Nord. Le condizioni oggettive di deprivazione delle famiglie trovano conferma negli indicatori soggettivi 65 relativi alla percezione delle famiglie delle difficoltà ad arrivare a fine mese, nel sostenere una spesa imprevista, nel risparmiare o nel riuscire ad avere una settimana di ferie in un anno (Fig. 2). Le minori opportunità di occupazione sono uno dei fattori determinanti del rischio di povertà. Il 51,1% dei disoccupati nel Mezzogiorno è esposto al rischio di povertà rispetto al 26,2% nel Centro-Nord, così come risultano più elevati i rischi per gli altri inoccupati (casalinghe, studenti, inabili al lavoro, “in altra condizione“), compresi in parte i ritirati dal lavoro. Accanto alla quantità un ruolo importante ricopre la qualità del lavoro. Se la flessibilità nel mercato del lavoro consente solo di trasferire una parte della disoccupazione in lavori precari o a bassa retribuzione, l’esposizione al rischio di povertà rimane comunque elevata. Un altro rilevante fattore di rischio è costituito dalla scarsa formazione del capitale umano: nel Mezzogiorno il 40,6% di chi possiede un’istruzione elementare o nessun titolo risulta esposto al rischio di povertà, rispetto al 18,1% del Centro-Nord. In quest’ultima area, il 7,5% di chi ha conseguito un diploma di scuola superiore si trova in condizione di basso reddito, mentre nel Mezzogiorno quasi un terzo (31,5%) dei diplomati non ha redditi sufficienti. Neanche il conseguimento della laurea garantisce comunque di raggiungere sempre livelli di reddito adeguati: il 9,4% dei laureati residenti nel Mezzogiorno e il 4% di quelli del Centro-Nord sono esposti al rischio di povertà (Tab. 2). 66 Fig. 1. Indici di concentrazione di Gini nei paesi europei e nelle regioni italiane - Anno 2005 Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT. 0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 Lettonia Portogallo Lituania Calabria Sicilia Campania Grecia Ungheria Romania Polonia Estonia Puglia Regno Unito Italia Islanda Irlanda Spagna Molise Sardegna Norvegia Cipro Abruzzo Slovacchia Malta Lussemburgo Belgio Basilicata Germania Francia Paesi Bassi Finlandia Rep. Ceca Austria Svezia Slovenia Danimarca Bulgaria Indice di concentrazione (Gini) 0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 Lettonia Portogallo Lituania Calabria Sicilia Campania Grecia Ungheria Romania Polonia Estonia Puglia Regno Unito Italia Islanda Irlanda Spagna Molise Sardegna Norvegia Cipro Abruzzo Slovacchia Malta Lussemburgo Belgio Basilicata Germania Francia Paesi Bassi Finlandia Rep. Ceca Austria Svezia Slovenia Danimarca Bulgaria Indice di concentrazione (Gini) 67 Regioni Meno di 6.000 6.000 - 12.000 12.000 - 18.000 18.000 - 24.000 24.000 - 36.000 Più di 36.000 Totale Abruzzo 2,4 8,8 19,0 15,4 23,3 31,0 100,0 Molise 2,5 14,8 16,2 17,6 25,2 23,7 100,0 Campania 4,6 13,0 16,3 19,9 22,7 23,5 100,0 Puglia 3,8 12,9 19,4 20,6 23,0 20,3 100,0 Basilicata 4,0 14,0 21,1 18,8 24,9 17,2 100,0 Calabria 4,1 15,0 23,3 18,0 20,0 19,6 100,0 Sicilia 5,0 17,7 23,7 16,0 19,2 18,4 100,0 Sardegna 3,2 8,7 15,7 15,3 31,2 26,0 100,0 Mezzogiorno 4,2 13,8 19,7 18,1 22,5 21,7 100,0 Centro-Nord 1,4 5,9 12,5 14,9 25,0 40,2 100,0 Italia 2,3 8,4 14,8 16,0 24,2 34,3 100,0 Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT. Tab. 1. Distribuzione delle famiglie per classi di reddito netto familiare (inclusi i fitti imputati). Anno 2005 Fig. 2. Indicatori di deprivazione materiale delle famiglie per aree. Anno 2006 (valori percentuali) Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT. 4,5 5,4 28,9 6,1 11,2 1,9 4,3 5,7 10 20,9 59,4 19,3 28,6 8,2 12,8 24,3 0 10 20 30 40 50 60 70 Alimentazione Riscaldare la casa Una settimana di ferie Medicine Vestiti necessari Scuola Trasporti Tasse Centro-Nord Mezzogiorno 68 Fig. 3. Famiglie che dichiarano di avere arretrati per tipo di spesa, per condizione economica percepita e per aree. Anno 2006 (valori percentuali) Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT. 10,8 1 6,6 10,8 11,3 22,3 60,5 21 0,8 15,2 18,4 21,6 41,3 77,8 0 20 40 60 80 100 Affitto ARRETRATI Mutuo Bollette Debiti diversi dal mutuo Arriva a fine mese con molta difficoltà DIFFICOLTA' ECONOMICHE Non può sostenere una spesa imprevista (600 €) Non è riuscita a risparmiare Centro-Nord Mezzogiorno 69 Mezzogiorno Centro-Nord Italia ETA' Fino a 15 anni 41,1 13,5 24,5 16-24 anni 41,7 11,7 24,8 25-49 anni 33,2 9,3 17,6 50-64 anni 27,7 8,4 14,8 65 anni o più 32,1 16,9 21,7 TITOLO DI STUDIO Nessuno, elementare 40,6 18,1 26,7 Media inferiore 38,8 11,2 20,5 Media superiore 25,3 7,5 13,6 Laurea 9,4 4,0 5,7 CONDIZIONE Dipendenti 19,6 4,6 8,8 Autonomi 34,7 10,5 17,7 Disoccupati 51,1 26,2 40,8 Altri non occupati 40,6 18,4 28,8 Ritirati dal lavoro 27,9 12,7 16,7 SETTORE Pubblico 9,0 1,6 4,3 Privato 29,6 7,3 13,2 TIPO DI CONTRATTO A termine 34,8 13,7 22,6 Non ha scadenza 15,9 3,3 6,6 ORARIO DI LAVORO 30 o più 23,1 5,7 10,6 meno di 30 28,7 9,5 15,4 LAVORO IN PASSATO si 33,1 14,5 20,3 no 44,7 21,6 34,8 Totale 34,4 11,5 19,6 Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT. Tab. 2. Esposizione al rischio di povertà per macroaree e per caratteristiche degli individui. Anno 2005 (valori percentuali) 70 15. La questione urbana Dei 162 Sistemi locali selezionati dall’ISTAT, solo 41 possiedono sia le caratteristiche morfologiche che funzionali “urbane” e sono indicati pertanto come vere e proprie “regioni metropolitane”. Di questi 41, solo 14 sono presenti nel Mezzogiorno. Si tratta di Caserta, Salerno e Napoli in Campania; la sola Pescara in Abruzzo; Lecce e Bari in Puglia; Paola e Catanzaro in Calabria; Palermo, Messina e Catania in Sicilia; Cagliari e Sassari in Sardegna. Aspetti demografici e socio-economici Nel Mezzogiorno i saldi migratori dei sistemi urbani risultano molto deboli e divengono in alcuni casi nettamente negativi per le “regioni metropolitane”. Nel Centro- Nord, con la sola eccezione di Genova tutte le aree metropolitane presentano nel 2007 un saldo migratorio totale positivo. Il saldo migratorio totale risulta nel 2007 in tutte le delle aree metropolitane del Sud negativo: dal -0,5 per mille di Catania al -6,7 per mille di Napoli (v. Tab. 1). Quest’ultima, se si guarda al saldo complessivo della popolazione, è l’area metropolitana italiana – con la sola eccezione di Genova - in maggiore decrescita demografica, e ciò nonostante abbia il tasso di natalità più alto di tutte le altre aree urbane. Le performances economiche delle città meridionali mostrano una complessiva debolezza. Esse registrano una certa vitalità imprenditoriale ma in settori tradizionali (commercio, alberghi, ristoranti, costruzioni). I tassi di attività delle aree urbane del Sud si discostano di pochi decimali dal valore medio della ripartizione e evidenziano una condizione di maggiore difficoltà nelle province interessate dalla conurbazione Napoli- Caserta (v. Tab. 2). Rete di città I sistemi territoriali del Mezzogiorno denotano scarsa interrelazione reciproca e mobilità tra le diverse città. La ripartizione con la più elevata quota percentuale di spostamenti delle persone per lavoro sul totale della popolazione è infatti il Nord–Est (70,1%) mentre l’Italia meridionale peninsulare si ferma al 52,7% e registra invece la percentuale più elevata di spostamenti per motivi di studio (47,3%), spesso un primo passo verso il trasferimento delle risorse umane più qualificate verso il Nord (v. Tab. 3). Il medesimo indicatore, calcolato rispetto alla popolazione residente, mostra la Lombardia e l’Emilia Romagna come le regioni dove gli spostamenti per motivi di lavoro sono relativamente più alti (rispettivamente 36,8% e 36,7%) (v. Tab. 4). La Campania, al contrario, registra la più alta percentuale di spostamenti per motivi di studio (20,9%) e la più bassa per motivi di lavoro (20,1%). Gli andamenti dei dati comunali confermano l’interdipendenza tra città e territori regionali. Nei 13 comuni italiani di maggiore dimensione, ovvero quelli che contano una popolazione di oltre 250 mila persone residenti (Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Catania, Venezia, Verona, Messina), il 46,7% (4.252.009 unità) della popolazione residente effettua spostamenti quotidiani verso il luogo abituale di studio o di lavoro (47% è il valore nazionale). 71 I valori percentuali massimi si rilevano a Verona (50,3%, pari a 127.465 unità) e a Milano (50,2%, pari a 630.556 unità), quelli minimi a Napoli (38,4%, pari a 385.957 unità) e Catania (40,5%, pari a 126.952 unità). La condizione ambientale Dall’insieme dei dati raccolti dall’APAT (Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici) sulla qualità ambientale nelle aree metropolitane italiane emerge una situazione complessiva difficile per quelle del Mezzogiorno. Le aree urbane meridionali si collocano agli ultimi posti (segnalando spesso un progressivo peggioramento rispetto ai dati degli anni precedenti) nei giudizi sintetici e nelle classifiche nazionali e in riferimento a significativi indicatori che rinviano spesso a un problema di arretratezza del sistema di servizi pubblici locali. Alcuni di questi servizi, specie quelli che richiedono un elevato livello di efficienza e la presenza di un tessuto di aziende altamente specializzate, denunciano uno stato di grave arretratezza dei sistemi urbani meridionali. Tra questi, la raccolta differenziata dei rifiuti segna uno dei punti più bassi delle performances ambientali delle aree urbane meridionali e dell’intero Mezzogiorno. All’ultimo posto tra le grandi città italiane per percentuale di raccolta differenziata si colloca Messina, che con Napoli, Reggio Calabria, Foggia, Taranto, Catania presentano percentuali inferiori al 10%, rispetto a una media nazionale del 17%, ben lontana, peraltro, dall’obiettivo del 40% fissato con la legge Finanziaria per il 2007. I grandi centri del Sud mostrano solo in alcuni casi performances accettabili, come nel caso della qualità dell’aria; il più delle volte anche grazie a condizioni di vantaggio date dal contesto ambientale costiero o rurale o dal progressivo abbandono di attività industriali urbane o periurbane. Con riferimento alla presenza di impianti industriali dal forte impatto ambientale nelle aree urbane, la situazione appare poco confortante o in alcuni casi decisamente grave. Se nelle città del Nord le progressive dismissioni hanno generalmente lasciato spazio a forti investimenti immobiliari e allo sviluppo di attività terziarie, direzionali e di ricerca, nel Sud la mancanza di una robusta azione di riqualificazione urbana e funzionale lascia sul campo, insieme, opportunità di sviluppo mancate e condizioni e rischi ambientali gravi. Particolarmente significativa in questo senso è la condizione dei Comuni di Napoli e Taranto, dove permangono, rispettivamente, 11 (43 nell’intera provincia) e 8 stabilimenti a rischio di incidente rilevante, prossimi o interclusi nel tessuto urbano. Significativi progressi sono stati realizzati da molte città meridionali nelle dotazioni di verde pubblico pro capite. In particolare, Napoli evidenzia un progresso quantitativamente significativo, +451,3% tra il 2000 e il 2006, pur nel contesto della densità insediativa massima tra i 24 capoluoghi esaminati, pari a 8.315 abitanti per Kmq . 72 IL CASO DI NAPOLI Negli ultimi mesi si sono verificati una serie di eventi che hanno caratterizzato in modo drammaticamente negativo l’immagine di Napoli in Italia e nel mondo. La risposta istituzionale è giunta a colpi di commissariamenti (per i rifiuti, per il traffico, per l’emergenza Rom), inserendosi in una tradizione che paradossalmente nelle grandi città trasforma le emergenze commissariali in una pratica ordinaria. Tale pratica denuncia l’inefficacia del sistema di governance istituzionale e costituisce in tal senso l’indicatore di un problema molto più vasto, che incide fortemente sulla capacità di governare un area metropolitana difficile come quella di Napoli. Nella conurbazione napoletana infatti si sovrappongono una altissima densità di popolazione, la presenza di rischi ambientali di natura idrogeologica, un’alta concentrazione di siti industriali a rischio di incidente rilevante, una diffusa presenza della criminalità organizzata, circostanze che fanno della più grande area metropolitana del Mezzogiorno un’area unica per rischi e criticità. Emerge un forte problema di governance: solo agendo su tutti e tre i termini di riferimento - istituzioni, economia e territorio - si può essere in grado di restituire alle grandi aree urbane il livello di coesione e competitività che le politiche comunitarie sollecitano da tempo. L’esame di alcuni indicatori permette però di gettare una nuova luce sul capoluogo campano. Secondo il Rapporto APAT 2007 sulla Qualità dell’ambiente urbano, ad esempio, Napoli produce una quantità di rifiuti pro capite sotto la media delle altre città italiane con più di 150.000 abitanti (604 Kg di rifiuti urbani contro 622). Il problema vero sta nella mancata funzionalità del sistema dei servizi: la raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani è ferma all’8,9%, in lieve diminuzione rispetto alle rilevazioni precedenti. Con riferimento al verde pubblico, poi, Napoli registra la migliore performance tra tutte le città metropolitane; nel periodo 2000-2006 il verde pubblico pro capite è cresciuto infatti del 451%, attestandosi sulla soglia dei 28,5 mq/abitante. A differenza di quanto rilevato in tutte le altre grandi città del Mezzogiorno, tra il 2000 e il 2006 a Napoli non si sono registrate interruzioni e razionamenti dell’erogazione dell’acqua. Eppure la percezione nelle famiglie del problema della sporcizia nelle strade è passata dal 39,4% del 2002 al 52,8% del campione intervistato nel 2007, con uno stacco di quasi venti punti percentuali dalla media italiana. Altra spina nel fianco il tasso di attività femminile, che nella provincia di Napoli è non solo più basso della media nazionale, ma anche dei valori medi delle altre Regioni del Mezzogiorno. Considerando che nelle altre città campane si registra una maggiore capacità di generare valore aggiunto, i dati sul PIL pro capite elaborati dalla SVIMEZ mostrano invece per Napoli un’inversione di marcia. In questa situazione è evidente che l’emergenza più generale è quella di contrasto alla periferizzazione della città, alla difficoltà di accesso ai servizi, al degrado del tessuto sociale. Da alcuni anni il Comune di Napoli ha attivato un servizio speciale periferie, con il compito di attuare il programma di riqualificazione del 1995. L’intera cintura urbana che comprende Scampia, San Pietro a Patierno, Barra, Ponticelli, Poggioreale, Secondigliano e Pianura è stata individuata come area di svantaggio che comprende 73 oltre un terzo della superficie comunale e che appare difficilmente aggredibile con le sole risorse attivabili attraverso le Zone franche urbane. La “città” studiata dagli economisti dello sviluppo e dai sociologi   presenta oggi al suo interno due tendenze contrapposte. Da un lato è, potenzialmente il luogo dove si concentrano le funzioni direzionali, le economie di scala del terziario, i mercati e le risorse umane più qualificate e dove quindi si possono moltiplicare gli effetti positivi dello sviluppo. Dall’altro lato, presenta anche le condizioni per moltiplicare il degrado in caso di sviluppo insufficiente e per accumulare diseconomie da congestione e da sottosviluppo superabili solo immaginando soluzioni innovative”. Anche per Napoli, dunque, come per le altre città europee, il cammino è segnato dall’intensità che possono assumere le forze positive rispetto al lavoro contrario che può essere svolto dalle seconde: si tratta di zone che non possono vivere in bilico tra crescita e arretramento, pena una prospettiva di instabilità, o peggio, tale da rendere sempre più difficile il loro governo. Tab. 1 . Indicatori demografici delle città italiane nel 2007(a) (valori per 1000 abitanti) e variazione assoluta della popolazione 2005-07 Aree metropolitane Crescita naturale Saldo migratorio interno Saldo migratorio esterno Saldo migratorio per altro motivo Saldo migratorio totale Crescita totale Popolazione 2005-07 (var. ass.) Napoli 4,0 -8,4 1,2 0,5 -6,7 -2,7 -13,5 Bari 1,8 -3,2 1,3 -0,9 -2,8 -1,0 -0,5 Palermo 2,7 -3,1 0,9 -0,7 -2,8 -0,1 -2,1 Catania 2,1 -0,1 0,5 -0,9 -0,5 1,6 3,2 Torino -0,3 -2,6 4,8 0,4 2,7 2,4 7,8 Genova -5,5 -2,5 4,1 -1,9 -0,4 -5,9 10,9 Milano 1,2 -5,0 6,5 -0,8 0,7 1,9 103,9 Verona 1,9 2,4 8,3 -0,5 10,2 12,1 13,2 Venezia -0,9 -0,5 5,9 -0,6 4,8 3,9 4,0 Bologna -2,4 3,2 4,7 -0,9 7,0 4,7 -9,2 Firenze -2,4 -2,4 6,5 -0,7 3,4 1,0 0,4 Roma 1,3 0,2 5,7 42,6 48,4 49,8 196,1 Mezzogiorno 1,0 -2,4 1,1 0,1 -1,2 -0,2 -12,9 Centro-Nord -0,5 1,9 5,2 3,4 10,5 10,1 327,1 - Nord-Ovest -0,5 1,3 5,1 -0,7 5,6 5,1 122,5 - Nord-Est -0,2 2,7 5,8 -0,7 7,8 7,6 8,1 - Centro -0,7 1,8 5,0 13,1 19,9 19,2 196,5 Italia 0,0 0,4 3,8 2,3 6,4 6,4 314,2 (a) Dati al 1° gennaio. Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT. 74 Tab. 2. Tassi di attività per sesso, nelle province della Campania e nelle regioni meridionali - Anno 2001 Regioni e province Maschi Femmine Totale Abruzzo 58,2 35,4 46,4 Molise 57,2 33,4 44,9 Campania 57,9 30,8 43,8 - Caserta 57,1 30,5 43,3 - Benevento 54,6 34,6 44,2 - Napoli 58,7 29,7 43,6 - Avellino 56,7 32,0 44,0 - Salerno 57,5 32,3 44,5 Puglia 58,5 30,2 43,7 Basilicata 57,6 33,8 45,4 Calabria 54,4 31,7 42,7 Sud 57,5 31,4 44,0 Isole 57,8 31,3 44,0 Nord-Ovest 62,5 41,0 51,3 Nord-Est 63,3 42,4 52,5 Centro 60,2 39,3 49,2 Italia 60,5 37,6 48,6 Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT, Censimento 2001. Tab. 3. Composizione percentuale della popolazione residente che si sposta giornalmente per motivo dello spostamento nelle ripartizioni italiane Unità % Unità % Unità % Sud 2.724.778 47,3 3.039.793 52,7 5.764.571 100,0 Isole 1.247.537 46,7 1.424.842 53,3 2.672.379 100,0 Nord-Ovest 2.300.304 30,3 5.300.725 69,7 7.601.029 100,0 Nord-Est 1.632.664 29,9 3.825.226 70,1 5.457.890 100,0 Centro 1.792.121 34,0 3.476.371 66,0 5.268.492 100,0 Italia 9.697.404 36,2 17.066.957 63,8 26.764.361 100,0 Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT, Censimento 2001. Circoscrizioni territoriali Studio Lavoro Totale 75 Tab. 4. Percentuale della popolazione residente che si sposta giornalmente per motivo dello spostamento Regioni Studio Lavoro Totale Piemonte 14,7 34,8 49,5 Valle d'Aosta 14,2 36,1 50,3 Lombardia 16,1 36,8 52,9 Trentino-Alto Adige 17,1 35,5 52,6 Veneto 16,1 35,8 52,0 Friuli-Venezia Giulia 14,2 34,5 48,6 Liguria 13,3 29,9 43,2 Emilia-Romagna 14,4 36,7 51,1 Toscana 14,9 33,5 48,3 Umbria 15,6 31,7 47,3 Marche 15,6 33,7 49,3 Lazio 17,9 30,3 48,2 Abruzzo 17,3 28,6 45,9 Molise 17,0 25,8 42,8 Campania 20,9 20,1 41,0 Puglia 19,1 22,3 41,5 Basilicata 18,1 24,2 42,3 Calabria 18,9 20,3 39,3 Sicilia 19,2 20,4 39,6 Sardegna 17,9 25,1 43,1 Italia 17,0 29,9 47,0 Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT, Censimento 2001. 76 16. Logistica e ruolo del Mezzogiorno nel Mediterraneo Nel più ampio fenomeno della crescita degli scambi commerciali, il Mediterraneo sta assumendo un ruolo centrale non solo come “terminale” dei flussi di import ed export tra l’Europa e l’Estremo Oriente, ma anche come area di scambio autonoma, alimentata dalla crescita economica che sta interessando i paesi della Sponda Sud-Orientale. Grande importanza stanno acquisendo le partnerships commerciali dell’Europa e dell’Italia, in particolare, con i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente. La dimensione degli scambi ha ormai assunto proporzioni tali da essere pienamente confrontabile con quella consolidata con altre aree economiche mondiali, come il Nord America, verso le quali l’economia europea è tradizionalmente orientata. Il pieno sfruttamento di queste opportunità presuppone una “strategia integrata”, che investa tutte le articolazioni infrastrutturali del Paese a partire dai valichi alpini, e da questi alle reti ferroviarie, prima ancora che stradali, di collegamento ai terminali portuali ed alle connesse strutture di movimentazione e lavorazione. Poter disporre di un adeguato apparato di infrastrutture logistiche per l’Italia è necessario non solo per far fronte alla tradizionale concorrenza dei paesi del Nord Europa, quanto anche all’emergente concorrenza dei paesi mediterranei La scelta di molti tra i paesi del Mediterraneo Sud Orientale di intensificare i propri investimenti nello sviluppo della portualità, delle aree retroportuali e degli interporti risponde ad una precisa strategia di sviluppo economico che dovrebbe consentire a questi paesi una più rapida uscita della loro condizione di sottosviluppo. I segnali più evidenti della crescita infrastrutturale e logistica della Sponda Sud- Orientale del Mediterraneo sono percepibili dalla dinamica dei traffici marittimi containerizzati, che presentano ritmi di sviluppo ben più significativi di quelli, già rilevanti, dei paesi del Sud Europa. Nel periodo 2001-2005, nei principali porti del Mediterraneo i traffici container sono cresciuti ad un tasso medio annuo del 10,1%, passando da 19,1 a 28,3 milioni di TEU. Sotto questo profilo, particolarmente preoccupante è l’andamento della portualità del Mezzogiorno, nella quale si concentra ancora la maggior parte del traffico container nazionale, che presenta evidenti segnali di cedimento. Dopo il picco del 56,5% del 2003, la quota di container transitata nei porti meridionali sul totale dei porti italiani si è, infatti, progressivamente ridotta fino a segnare il 54,2% nel 2007. Nell’ultimo anno, peraltro, tale tendenza di medio periodo sembra essersi invertita, Gioia Tauro che rappresenta la più importante realtà portuale italiana ha fatto registrare un aumento dei traffici container del 19,1%, un risultato migliore di qualsiasi altro porto, tra quelli principali a livello nazionale e del Sud-Europa. Rispetto a queste sfide /opportunità emerge una assai modesta capacità di reazione del nostro Paese alle aggressioni competitive degli altri sistemi portuali del Sud-Europa e della riva Sud del Mediterraneo. È purtroppo la grande distanza che separa la consapevolezza dei limiti e delle opportunità da una vera ed efficace capacità di azione, il vero gap strutturale che non si riesce a colmare, che non consente di assumere ed attuare le decisioni necessarie per sfruttare le occasioni di sviluppo e quella che dovrebbe essere una leadership geo- economica e strutturale difficilmente contendibile. Rilevante è anche il problema della qualità infrastrutturale, che deve essere orientata non solo ad aumentare la capacità di attrazione dei flussi, ma anche alla 77 razionalizzazione dell’esistente, cioè a favorire lo scambio modale e le interconnessioni con le reti (strada e ferrovia), risolvere le situazioni di saturazione e di congestione delle infrastrutture e del territorio in cui sono ubicate e sviluppare la retro-portualità. Ciò al fine di poter sfruttare le evidenti e rilevanti possibilità di “lavorazione” dei transiti, sia nelle aree portuali sia nel raccordo con gli interporti di terra. Per la sua posizione geografica e per le sue tradizioni il Mezzogiorno può giocare un ruolo importante nella costruzione di una regione mediterranea con una fisionomia istituzionale in grado di darle riconoscibilità. Oltre a essere il prodotto di una contaminazione secolare avvenuta nel cuore del Mediterraneo, il Mezzogiorno è oggi sempre più vivo nelle relazioni commerciali col resto della regione mediterranea. Se le esportazioni delle regioni meridionali sono aumentate del 43% nel periodo 2000-2007, a fronte di un aumento nazionale nello stesso periodo che si è attestato al 35%, la dinamica verso le nazioni mediterranee non appartenenti all’Unione Europea vede un incremento che supera il 79%, per un valore complessivo superiore ai 4 miliardi di Euro. La prospettiva mediterranea deve tuttavia confrontarsi con consistenti difficoltà di natura politico-istituzionale. La prima è quella delle scelte della politica estera, nazionale ed europea. Le scelte degli ultimi anni in termine di opzioni strategiche dell’Unione europea, hanno privilegiato, con l’allargamento verso Est, l’asse orizzontale Ovest/Est, rispetto a quello Nord/Sud. Anche nelle politiche di infrastrutturazione strategiche, l’asse Berlino-Palermo, elemento decisivo per il collegamento del Mediterraneo con i mercati centro–europei è, ben lungi dal compimento. Le scelte politiche dei prossimi anni saranno decisive per definire la “perificità”del Mezzogiorno, ultima pendice dell’Europa o porta di accesso verso il Mediterraneo. IL CASO DI GIOIA TAURO Gioia Tauro rappresenta un caso esemplare di come nel Mezzogiorno si è potuto dar vita in tempi relativamente rapidi ad una grande opera che in tempi altrettanto rapidi è riuscita a raggiungere una posizione di rilievo a livello mondiale. Nel 2007 con 3,5 milioni di TEU raggiunge il suo record storico e, con una crescita del traffico container del 19,1% rispetto all’anno precedente, è risultato il più dinamico tra i principali porti italiani e del Sud Europa. Si consolida così un primato dopo la flessione del biennio precedente. Il traffico container nel Mediterraneo dovrebbe aumentare fino al 2015 ad un tasso medio annuo del 10%, quasi un raddoppio del volume attuale. Gioia Tauro, quale principale porta di accesso nazionale ai mercati del Centro-Nord e dell’Europa Centro- Settentrionale, non può non intercettare una quota consistente di tale offerta. Una parte significativa dell’incremento previsto dei flussi commerciali sarà gestito con operazioni di transhipment, il porto, infatti, almeno nel breve non dovrebbe mutare la propria specializzazione. Una quota di container via via crescente si prevede che sarà instradata lungo un corridoio di transito che da Gioia Tauro raggiunge i mercati dell’Europa Centrale, oppure i porti del Nord Europa per essere reimbarcati alla volta della Costa Est del Nord America. 78 Accanto alla movimentazione, solo mare o anche via terra, si dovrebbero accrescere le attività volte alla manipolazione delle merci per le fasi di lavorazione finale prima di raggiungere i mercati di consumo. Ciò potrà consentire al porto di Gioia Tauro di assumere le caratteristiche proprie di un polo logistico integrato in grado di offrire rilevanti opportunità di crescita all’economia del Mezzogiorno. Le condizioni per Gioia Tauro di assumere le caratteristiche di moderno porto gatway e più in generale di affermarsi come piastra logistica nazionale sono assicurate da un’ampia disponibilità di aree nel retroporto, da una rete di collegamenti consolidata via mare e via terra e dalla vicinanza dell’aeroporto di Lamezia Terme. Questi vantaggi competitivi potranno essere sfruttati se si realizzerà il potenziamento dell’assetto logistico dell’intera area (interporto, intermodalità, qualità della rete) e l’ottimizzazione delle reti di collegamento con i sistemi intermodali sia ferroviario sia autostradale. Già oggi, pur in presenza dei vincoli derivanti dalle attuali carenze nelle dotazioni infrastrutturali, sono in atto importanti iniziative che vanno oltre la mera funzione di transhipment del porto. A Gioia Tauro, è insediato un centro logistico per l’industria automobilistica gestito dalla società “ICO BLG Automobile Logistics Italia” costituita come joint venture tra la BLG Italia, controllata dal gruppo BLG Logistics di Brema, e la società ICO, controllata dal gruppo giapponese NYK. L’attività del centro riguarda la distribuzione delle autovetture in Italia - in un prossimo futuro anche verso i paesi rivieraschi del Mediterraneo e dei Balcani - e la fornitura di servizi relativi al lavaggio, ceratura e deceratura delle autovetture, l’installazione di parti accessorie e piccoli interventi di verniciatura. A questa prima fase dovrebbe far seguito lo sviluppo di servizi ad alto valore aggiunto quali il disassemblaggio parziale e totale e, infine, la distribuzione di parti di ricambio. Un assetto fortemente orientato alla logistica emerge dal Piano di Sviluppo Strategico per l’Area Ampia di Gioia Tauro. Il piano, che testimonia di un nuovo livello di pianificazione nazionale verso quest’area strategica, fornisce un quadro sintetico delle priorità di sviluppo per il porto e il retroporto indicando le opportunità da cogliere e i molteplici ostacoli da rimuovere. In proposito si sta avviando ad essere molto più che una semplice opportunità l’insediamento di un rigassificatore ed una piastra del freddo legata al processo della rigassificazione. LA GRANDE REGIONE MEDITERRANEA, IL MEZZOGIORNO E L’EUROPA Negli ultimi dieci anni è stato intenso il dibattito intorno alla regione mediterranea. Dopo gli entusiasmi nati dalla Dichiarazione di Barcellona del 1995, con cui l’Unione Europea lanciava con i paesi mediterranei il Partenariato Euro Mediterraneo (PEM), l’attenzione si è rivolta al tema dell’allargamento a Est. La relazione tra Europa e Mediterraneo è stata di fatto ridotta a Politica Europea di Vicinato (PEV), nella quale l’obiettivo previsto a Barcellona di creare entro il 2010 un’area di libero scambio sembra sfumato. Recentemente i governi francese e spagnolo hanno rilanciato l’idea di un’Unione mediterranea. Si tratta di proposte che manifestano l’importanza del tema, ma le misure politiche stentano ancora ad avviarsi. Dal punto di vista economico, i paesi che si affacciano sul Mediterraneo vivono condizioni piuttosto differenziate. I membri mediterranei dell’Unione Europea appartengono tutti alla fascia dei paesi ad alto reddito pro capite e si attestano, con 79 l’eccezione della Francia, al di sotto della media dell’area dell’Euro. In base ai dati forniti dalla Banca Mondiale il reddito medio dell’area Euro era nel 2006 di 34.307 dollari. Il dato più basso tra i membri dell’UE che si affacciano al Mediterraneo è quello della Slovenia, con 18.660 dollari annui. Intorno ai 30.000 dollari, tutti gli altri, con Francia e Italia al di sopra e Grecia e Spagna attestate intorno ai 27.000. Il Mezzogiorno, pur con un livello di redditi inferiore di circa il 40 % alla media Euro, si colloca assai al di sopra degli altri paesi della regione mediterranea. La fascia nordafricana e mediorientale ha una media complessiva di 2.507 dollari annui, con la punta massima della Libia oltre i 7000 dollari, in ragione delle sue ricchezze minerarie ed energetiche distribuite su una popolazione relativamente scarsa, e quella inferiore dell’Egitto (1.360) che con risorse naturale molto più scarse deve nutrire oltre 74 milioni di persone. Non differiscono di molto gli altri paesi della regione, con la Turchia, che presenta un livello di 5.400 dollari annui e la zona balcanica, dove anche la Croazia non raggiunge i 10.000 dollari l’anno. Fa eccezione a questa condizione lo stato di Israele, che supera i 20.000 dollari, a cui corrisponde in stridente contrasto il dato dei “territori palestinesi occupati”, Cisgiordania e Striscia di Gaza, in cui i quasi quattro milioni di persone dispongono di soli 930 dollari l’anno. Per la sua posizione geografica, la parte meridionale della penisola italiana è terra centrale nel dialogo mediterraneo. Se le esportazioni delle regioni meridionali sono aumentate del 43% nel periodo 2000-2007, a fronte di un aumento nazionale del 35%, la dinamica verso le nazioni mediterranee non appartenenti all’Unione Europea vede un incremento che supera il 79%, per un valore complessivo superiore ai 4 miliardi di Euro. Rispetto alle merci del meridione italiano destinate ai paesi extra UE, l’area mediterranea assorbe il 26%. Destinatari principali sono la Turchia, la Libia e la Tunisia. Ma in generale con tutti i paesi della regione si assiste ad un aumento degli scambi commerciali del Mezzogiorno italiano. Dal punto di vista delle infrastrutture, però, negli ultimi anni le scelte strategiche dell’Unione europea hanno privilegiato l’asse orizzontale Ovest/Est rispetto a quello Nord/Sud; per questo l’asse Berlino-Palermo, elemento decisivo per il collegamento del Mediterraneo con i mercati centro–europei è ben lungi dal compimento. Le scelte politiche dei prossimi anni saranno decisive per definire la “perificità”del Mezzogiorno. Proprio nella prospettiva di una rinnovata centralità del Mediterraneo, elemento fondamentale dovrebbe essere il rafforzamento dei legami intro-Mediterranei, attraverso lo sviluppo di stabili relazioni internazionali, da realizzare attraverso una nuova “Istituzione” Mediterranea. Al momento manca un soggetto istituzionale meridionale in grado di rappresentare il Sud e allo stesso tempo di promuovere tali processi. Potrebbe esistere uno spazio per un tavolo Stato-Regioni dedicato alla promozione del dialogo per la costruzione del quadro comune mesoregionale, che potrebbe vertere su ambiti specifici di speciale competenza per il Sud e funzionali al quadro Mediterraneo. 80 TAB. 1. Traffico container nei porti italiani (migliaia di TEU, s.d.i.) Anni Porti 2002 2003 2004 2005 2006 2007 Variazione % 2006-07 Gioia Tauro 3.009 3.149 3.261 3.161 2.938 3.500 19,1 Genova 1.531 1.606 1.619 1.625 1.657 1.855 11,9 La Spezia 975 1.007 1.040 1.024 1.137 1.190 4,7 Taranto 472 658 763 717 892 756 -15,2 Livorno 520 541 639 659 658 752 14,3 Cagliari 74 314 501 660 687 700 1,9 Napoli 444 433 348 374 445 450 1,1 Salerno 375 417 412 419 359 385 7,2 Venezia 262 284 291 290 317 329 3,8 Trieste 185 120 175 198 220 266 20,9 Savona 55 54 90 220 231 243 5,2 Ravenna 161 160 169 169 162 190 17,3 Ancona 94 76 65 64 76 107 40,8 Palermo 11 15 24 28 27 32 18,5 Catania 13 14 12 15 14 16 14,3 Monfalcone 1 0 2 1 1 1 0,0 Civitavecchia 21 25 36 45 33 n.d. n.d. Trapani 17 13 10 0 9 n.d. n.d. Mar. Carrara 10 9 8 7 4 n.d. n.d. Brindisi 1 2 4 2 3 n.d. n.d. Bari 12 24 20 10 n.d. n.d. n.d. TOTALE 8.243 8.921 9.493 9.688 9.878 10.772 9,1 MEZZOGIORNO 4.428 5.039 5.355 5.386 5.374 5.839 8,7 - Quota % su Totale 53,7 56,5 56,4 55,6 54,4 54,2 CENTRO-NORD 3.815 3.882 4.138 4.302 4.504 4.933 9,5 - Quota % su Totale 46,3 43,5 43,6 44,4 45,6 45,8 Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati Confetra. 81 TAB. 2. Indici sintetici di dotazione di nodi di scambio e di reti per la mobilità logistica e la movimentazione dei flussi (numeri indici: Italia = 100,0) Regioni Nodi di scambio(a) Reti(b) Indice sintetico Abruzzo 11,4 89,7 45,1 Molise 10,9 67,5 36,8 Campania 10,6 151,1 62,3 Puglia 28,4 90,7 61,6 Basilicata 1,0 56,8 14,5 Calabria 15,1 100,3 53,3 Sicilia 13,8 73,9 42,3 Sardegna 26,5 18,1 20,5 Mezzogiorno 18,3 81,1 49,4 - Sud 17,6 99,6 55,9 - Isole 17,1 51,6 35,7 Centro-Nord 126,0 110,9 115,7 - Nord-Ovest 124,9 119,3 121,1 - Nord-Est 80,4 97,2 91,2 - Centro 39,1 117,0 81,2 Italia 100,0 100,0 100,0 (a) Calcolato su dotazioni di base, capacità di movimentazione e di servizio. Alle regioni prive di dotazione viene attribuito il valore dell’area di appartenenza, ponderato dalla dotazione di reti. (b) Calcolato sulla dotazione delle varie tipologie di strade e di reti ferroviarie. Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT. Tab. 3. Esportazioni del Mezzogiorno verso i Paesi extra Ue Valori assoluti Variazione 2007 2000-2007 Turchia 916.511 5,7 48,5 Marocco 254.295 1,6 240,3 Algeria 219.697 1,4 269,2 Tunisia 687.877 4,3 34,9 Libia 797.768 4,9 86,1 Egitto 361.011 2,2 167,5 Libano 291.692 1,8 70,1 Siria 323.235 2,0 296,8 Israele 330.808 2,0 30,6 Terr. Palestinese 74 0,0 -2,6 Giordania 14.404 0,1 8,3 Mediterraneo 4.197.373 26,0 79,0 Totale extra UE 16.169.021 100,0 43,9 Fonte: Elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT. % su totale extra UEPaesi SVIMEZ/06_Schede regioni.pdf REGIONE ABRUZZO INDICATORI STRUTTURALI 2002 2003 2004 2005 2006 2007 Abruzzo 0,2 -2,1 -2,6 1,0 1,5 0,9 Mezzogiorno 0,4 -0,3 0,6 0,3 1,1 0,7 Centro-Nord 0,5 0,1 1,8 0,6 2,1 1,7 Italia 0,5 0,0 1,5 0,6 1,8 1,5 Abruzzo 19.361,7 19.454,6 19.311,2 20.049,9 20.640,1 21.195,5 Mezzogiorno 15.260,2 15.621,5 16.082,0 16.501,1 17.019,4 17.482,8 Centro-Nord 26.781,6 27.365,8 28.216,4 28.656,9 29.475,1 30.380,9 Italia 22.660,7 23.181,3 23.919,5 24.372,1 25.109,3 25.882,1 Abruzzo 72,3 71,1 68,4 70,0 70,0 69,8 Mezzogiorno 57,0 57,1 57,0 57,6 57,7 57,5 Centro-Nord 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 POPOLAZIONE 2006 2007 Var. 2006-07 Popolazione residente (migliaia di unità) 1.310,0 1.321,9 0,9 Tasso di incremento naturale (per 1.000 ab.) -1,3 -1,6 Tasso di natalità (per 1.000 ab.) 8,7 8,7 Tasso di mortalità (per 1.000 ab.) 10,0 10,3 Saldo migratorio Abruzzo (migliaia di unità) 6,7 14,3 Saldo migratorio Mezzogiorno (migliaia di unità) -24,9 45,7 MIGRAZIONI Media 2006 2007 2000-05 Saldo migratorio interno (migliaia di unità) -0,2 2,2 2,4 Mezzogiorno (migliaia di unità) -66,5 -49,8 -51,6 Principali regioni di destinazione (%) Lazio (33,9) e Lombardia (15,6) Caratteristiche migranti più di 14 anni (2005) - Diploma di scuola superiore (%) 39,7 - Laurea (%) 22,1 PENDOLARI 2007 Pendolari di lungo raggio verso il Centro-Nord (unità) 15.000 % sull'occupazione regionale 2,9 Pendolari totali (unità) 201.000 MERCATO DEL LAVORO 2006 2007 Tasso di disoccupazione (%) 6,5 6,2 Tasso di disoccupazione maschile (%) 4,6 3,9 Tasso di disoccupazione femminile (%) 9,5 9,8 Persone in cerca di occupazione (unità) 35.000 33.000 Tasso di occupazione (15-64 anni) totale (%) 57,6 57,8 Tasso di occupazione (15-64 anni) maschile (%) 70,4 71,4 Tasso di occupazione (15-64 anni) femminile (%) 44,7 44,1 Irregolari (unità) 61.000 60.000 Tasso di irregolarità (%) 11,8 11,6 Segue: REGIONE ABRUZZO INFRASTRUTTURE (Indici Nazionali=100; ultimo anno disponibile) Abruzzo Mezzogiorno Centro-Nord Porti 22,6 71,3 115,7 Aeroporti 53,2 80,5 110,7 Centri intermodali 1,2 1,1 156,1 Strade 122,3 101,6 98,9 Ferrovie 65,7 64,7 124,3 Rete elettrica 65,2 78,6 114,8 POVERTA' (dati 2005) Abruzzo Mezzogiorno Centro-Nord Percentuale di famiglie con reddito < 12.000 euro 11,2 18,0 7,3 Famiglie con più di tre persone a carico (%) 7,9 13,9 4,1 Spesa media per abitazione (euro) 275 245 348 Rapporto spesa/reddito 12,3 12,8 14,0 Percentuale affittuari 12,5 19,1 17,8 Abitazione sprovvista di: Gabinetto interno (%) 0,0 0,3 0,4 Vasca/doccia (%) 0,6 1,3 0,5 Acqua calda (%) 0,5 0,9 0,5 INTERNAZIONALIZZAZIONE 2006 2007 Var. 2006-07 Esportazioni (milioni di euro) Abruzzo 6.545,5 7.315,6 11,8 Mezzogiorno 36.763,9 41.099,7 11,8 Centro-Nord 288.994,1 311.102,6 7,7 2005 2006 Numero imprese a partecipazione estera (unità) 63 65 Valori percentuali (Italia=100) 0,9 0,9 Numero di addetti alle imprese a partecipazione estera (unità) 19.482 19.809 Valori percentuali (Italia=100) 2,2 2,3 Investimenti diretti esteri (migliaia di euro) 98.161 Valori percentuali (Italia=100) 0,06 Grado di multinazionalità 5,7 TURISMO 2006 2007 Var. 2006-07 Presenze turistiche totali 7.449,6 7.360,3 -1,2 Presenze turistiche straniere 994,9 986,8 -0,8 CRIMINALITA' 2006 2007 Percentuale famiglie con senso di rischio 17,1 23,8 2006 Var. 2005-06 Reati denunciati 50.590 3,2 Omicidi volontari 6 -40,0 Rapine 482 15,6 Estorsioni 128 -17,4 RISORSE UMANE E INNOVAZIONE Abruzzo Ue 27 Occupati nei settori ICT (% sul totale occupati) 12,3 15,5 Spesa in R & S (% del PIL) 1,1 1,8 Popolazione con laurea (%) 14,6 22,7 Dotazione nelle amministrazioni locali Italia Personal computer per 100 dipendenti 80,9 74,7 Comuni dotati di rete locali - LAN (%) 85,1 90,9 PIL (variazione %) PIL per abitante (valori assoluti a prezzi correnti) PIL per abitante in % del Centro-Nord REGIONE MOLISE INDICATORI STRUTTURALI 2002 2003 2004 2005 2006 2007 Molise 0,6 -1,8 1,6 0,2 1,3 1,7 Mezzogiorno 0,4 -0,3 0,6 0,3 1,1 0,7 Centro-Nord 0,5 0,1 1,8 0,6 2,1 1,7 Italia 0,5 0,0 1,5 0,6 1,8 1,5 Molise 16.460,3 16.607,7 17.297,4 18.075,1 18.789,7 19.603,5 Mezzogiorno 15.260,2 15.621,5 16.082,0 16.501,1 17.019,4 17.482,8 Centro-Nord 26.781,6 27.365,8 28.216,4 28.656,9 29.475,1 30.380,9 Italia 22.660,7 23.181,3 23.919,5 24.372,1 25.109,3 25.882,1 Molise 61,5 60,7 61,3 63,1 63,7 64,5 Mezzogiorno 57,0 57,1 57,0 57,6 57,7 57,5 Centro-Nord 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 POPOLAZIONE 2006 2007 Var. 2006-07 Popolazione residente (migliaia di unità) 320,1 320,5 0,1 Tasso di incremento naturale (per 1.000 ab.) -3,0 -2,5 Tasso di natalità (per 1.000 ab.) 8,0 7,8 Tasso di mortalità (per 1.000 ab.) 11,0 10,3 Saldo migratorio Abruzzo (migliaia di unità) 0,3 1,2 Saldo migratorio Mezzogiorno (migliaia di unità) -24,9 45,7 MIGRAZIONI Media 2006 2007 2000-05 Saldo migratorio interno (migliaia di unità) -0,5 -0,2 0,0 Mezzogiorno (migliaia di unità) -66,5 -49,8 -51,6 Principali regioni di destinazione (%) Lazio (35,0) ed Emilia Romagna (18,2) Caratteristiche migranti più di 14 anni (2005) - Diploma di scuola superiore (%) 34,6 - Laurea (%) 27,3 PENDOLARI 2007 Pendolari di lungo raggio verso il Centro-Nord (unità) 4.000 % sull'occupazione regionale 3,4 Pendolari totali (unità) 43.000 MERCATO DEL LAVORO 2006 2007 Tasso di disoccupazione (%) 10,0 8,1 Tasso di disoccupazione maschile (%) 7,2 6,4 Tasso di disoccupazione femminile (%) 14,5 10,9 Persone in cerca di occupazione (unità) 12.000 10.000 Tasso di occupazione (15-64 anni) totale (%) 52,3 53,6 Tasso di occupazione (15-64 anni) maschile (%) 66,4 66,5 Tasso di occupazione (15-64 anni) femminile (%) 38,1 40,4 Irregolari (unità) 22.000 21.000 Tasso di irregolarità (%) 18,0 17,0 Segue: REGIONE MOLISE INFRASTRUTTURE (Indici Nazionali=100) Molise Mezzogiorno Centro-Nord Porti 43,3 71,3 115,7 Aeroporti 37,2 80,5 110,7 Centri intermodali 0,8 1,1 156,1 Strade 110,5 101,6 98,9 Ferrovie 41,2 64,7 124,3 Rete elettrica 32,4 78,6 114,8 POVERTA' (dati 2005) Molise Mezzogiorno Centro-Nord Percentuale di famiglie con reddito < 12.000 euro 17,3 18,0 7,3 Famiglie con più di tre persone a carico (%) 7,6 13,9 4,1 Spesa media per abitazione (euro) 240 245 348 Rapporto spesa/reddito 12,1 12,8 14,0 Percentuale affittuari 11,1 19,1 17,8 Abitazione sprovvista di: Gabinetto interno (%) 0,0 0,3 0,4 Vasca/doccia (%) 0,6 1,3 0,5 Acqua calda (%) 0,3 0,9 0,5 INTERNAZIONALIZZAZIONE 2006 2007 Var. 2006-07 Esportazioni (milioni di euro) Molise 613,8 628,4 2,4 Mezzogiorno 36.763,9 41.099,7 11,8 Centro-Nord 288.994,1 311.102,6 7,7 2005 2006 Numero imprese a partecipazione estera (unità) 7 5 Valori percentuali (Italia=100) 0,1 0,1 Numero di addetti alle imprese a partecipazione estera (unità) 351 222 Valori percentuali (Italia=100) 0,0 0,0 Investimenti diretti esteri (migliaia di euro) 21.313 Valori percentuali (Italia=100) 0,01 Grado di multinazionalità 0,6 TURISMO 2006 2007 Var. 2006-07 Presenze turistiche totali 742,5 654,2 -11,9 Presenze turistiche straniere 59,7 75,4 26,3 CRIMINALITA' 2006 2007 Percentuale famiglie con senso di rischio 6,6 12,0 2006 Var. 2005-06 Reati denunciati 8.518 13,3 Omicidi volontari 4 -20,0 Rapine 39 -9,3 Estorsioni 29 -19,4 RISORSE UMANE E INNOVAZIONE Molise Ue 27 Occupati nei settori ICT (% sul totale occupati) 11,4 15,5 Spesa in R & S (% del PIL) 0,4 1,8 Popolazione con laurea (%) 13,4 22,7 Dotazione nelle amministrazioni locali Italia Personal computer per 100 dipendenti 86,8 74,7 Comuni dotati di rete locali - LAN (%) 78,6 90,9 PIL (variazione %) PIL per abitante (valori assoluti a prezzi correnti) PIL per abitante in % del Centro-Nord REGIONE CAMPANIA INDICATORI STRUTTURALI 2002 2003 2004 2005 2006 2007 Campania 2,1 -0,6 0,8 -1,6 0,3 0,5 Mezzogiorno 0,4 -0,3 0,6 0,3 1,1 0,7 Centro-Nord 0,5 0,1 1,8 0,6 2,1 1,7 Italia 0,5 0,0 1,5 0,6 1,8 1,5 Campania 14.764,0 15.025,8 15.542,1 15.796,4 16.154,0 16.547,9 Mezzogiorno 15.260,2 15.621,5 16.082,0 16.501,1 17.019,4 17.482,8 Centro-Nord 26.781,6 27.365,8 28.216,4 28.656,9 29.475,1 30.380,9 Italia 22.660,7 23.181,3 23.919,5 24.372,1 25.109,3 25.882,1 Campania 55,1 54,9 55,1 55,1 54,8 54,5 Mezzogiorno 57,0 57,1 57,0 57,6 57,7 57,5 Centro-Nord 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 POPOLAZIONE 2006 2007 Var. 2006-07 Popolazione residente (migliaia di unità) 5.790,2 5.816,6 0,5 Tasso di incremento naturale (per 1.000 ab.) 2,7 2,6 Tasso di natalità (per 1.000 ab.) 10,8 10,7 Tasso di mortalità (per 1.000 ab.) 8,1 8,1 Saldo migratorio Abruzzo (migliaia di unità) -16,2 11,6 Saldo migratorio Mezzogiorno (migliaia di unità) -24,9 45,7 MIGRAZIONI Media 2006 2007 2000-05 Saldo migratorio interno (migliaia di unità) -24,9 -25,5 -25,2 Mezzogiorno (migliaia di unità) -66,5 -49,8 -51,6 Principali regioni di destinazione (%) Emilia Romagna (20,7) e Lazio (20,5) Caratteristiche migranti più di 14 anni (2005) - Diploma di scuola superiore (%) 36,5 - Laurea (%) 14,2 PENDOLARI 2007 % su (A) Pendolari di lungo raggio verso il Centro-Nord (unità) (A) 50.000 % sull'occupazione regionale 2,9 Pendolari totali (unità) 629.000 Pendolari di età 25-44 anni 32.000 63,9 In possesso di titolo di studio medio-alto 34.000 68,4 Impiegati nel settore dei servizi 31.000 62,3 Con professionalità alta 23.000 46,4 Dipendenti con contratto a termine 13.000 27,1 MERCATO DEL LAVORO 2006 2007 Tasso di disoccupazione (%) 12,9 11,2 Tasso di disoccupazione maschile (%) 10,3 9,5 Tasso di disoccupazione femminile (%) 17,9 14,6 Persone in cerca di occupazione (unità) 256.000 217.000 Tasso di occupazione (15-64 anni) totale (%) 44,1 43,7 Tasso di occupazione (15-64 anni) maschile (%) 60,1 59,9 Tasso di occupazione (15-64 anni) femminile (%) 28,5 27,9 Irregolari (unità) 373.000 344.000 Tasso di irregolarità (%) 20,7 19,0 Segue: REGIONE CAMPANIA INFRASTRUTTURE (Indici Nazionali=100) Campania Mezzogiorno Centro-Nord Porti 33,7 71,3 115,7 Aeroporti 24,2 80,5 110,7 Centri intermodali 1,5 1,1 156,1 Strade 134,4 101,6 98,9 Ferrovie 169,9 64,7 124,3 Rete elettrica 137,5 78,6 114,8 POVERTA' (dati 2005) Campania Mezzogiorno Centro-Nord Percentuale di famiglie con reddito < 12.000 euro 17,6 18,0 7,3 Famiglie con più di tre persone a carico (%) 18,5 13,9 4,1 Spesa media per abitazione (euro) 267 245 348 Rapporto spesa/reddito 13,6 12,8 14,0 Percentuale affittuari 27,7 19,1 17,8 Abitazione sprovvista di: Gabinetto interno (%) 0,5 0,3 0,4 Vasca/doccia (%) 1,1 1,3 0,5 Acqua calda (%) 0,7 0,9 0,5 INTERNAZIONALIZZAZIONE 2006 2007 Var. 2006-07 Esportazioni (milioni di euro) Campania 8.392,0 9.303,1 10,9 Mezzogiorno 36.763,9 41.099,7 11,8 Centro-Nord 288.994,1 311.102,6 7,7 2005 2006 Numero imprese a partecipazione estera (unità) 89 101 Valori percentuali (Italia=100) 1,3 1,4 Numero di addetti alle imprese a partecipazione estera (unità) 11.326 9.472 Valori percentuali (Italia=100) 1,3 1,1 Investimenti diretti esteri (migliaia di euro) 245.991 Valori percentuali (Italia=100) 0,16 Grado di multinazionalità 1,1 TURISMO 2006 2007 Var. 2006-07 Presenze turistiche totali 19.145,9 19.774,7 3,3 Presenze turistiche straniere 8.155,8 8.373,4 2,7 CRIMINALITA' 2006 2007 Percentuale famiglie con senso di rischio 51,3 53,9 2006 Var. 2005-06 Reati denunciati 229.375 6,9 Omicidi volontari 140 9,4 Rapine 17.144 8,5 Estorsioni 1.102 15,3 RISORSE UMANE E INNOVAZIONE Campania Ue 27 Occupati nei settori ICT (% sul totale occupati) 11,0 15,5 Spesa in R & S (% del PIL) 1,1 1,8 Popolazione con laurea (%) 11,2 22,7 Dotazione nelle amministrazioni locali Italia Personal computer per 100 dipendenti 52,5 74,7 Comuni dotati di rete locali - LAN (%) 89,3 90,9 PIL (variazione %) PIL per abitante (valori assoluti a prezzi correnti) PIL per abitante in % del Centro-Nord REGIONE PUGLIA INDICATORI STRUTTURALI 2002 2003 2004 2005 2006 2007 Puglia -0,5 -1,0 1,4 0,6 1,8 2,0 Mezzogiorno 0,4 -0,3 0,6 0,3 1,1 0,7 Centro-Nord 0,5 0,1 1,8 0,6 2,1 1,7 Italia 0,5 0,0 1,5 0,6 1,8 1,5 Puglia 14.962,2 15.284,0 15.702,1 16.022,6 16.656,6 17.355,8 Mezzogiorno 15.260,2 15.621,5 16.082,0 16.501,1 17.019,4 17.482,8 Centro-Nord 26.781,6 27.365,8 28.216,4 28.656,9 29.475,1 30.380,9 Italia 22.660,7 23.181,3 23.919,5 24.372,1 25.109,3 25.882,1 Puglia 55,9 55,9 55,6 55,9 56,5 57,1 Mezzogiorno 57,0 57,1 57,0 57,6 57,7 57,5 Centro-Nord 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 POPOLAZIONE 2006 2007 Var. 2006-07 Popolazione residente (migliaia di unità) 4.069,9 4.075,0 0,1 Tasso di incremento naturale (per 1.000 ab.) 1,3 1,1 Tasso di natalità (per 1.000 ab.) 9,4 9,1 Tasso di mortalità (per 1.000 ab.) 8,1 8,0 Saldo migratorio Abruzzo (migliaia di unità) -6,9 0,8 Saldo migratorio Mezzogiorno (migliaia di unità) -24,9 45,7 MIGRAZIONI Media 2006 2007 2000-05 Saldo migratorio interno (migliaia di unità) -12,3 -9,8 -9,9 Mezzogiorno (migliaia di unità) -66,5 -49,8 -51,6 Principali regioni di destinazione (%) Caratteristiche migranti più di 14 anni (2005) - Diploma di scuola superiore (%) 37,3 - Laurea (%) 19,2 PENDOLARI 2007 % su (A) Pendolari di lungo raggio verso il Centro-Nord (unità) (A) 27.000 % sull'occupazione regionale 2,1 Pendolari totali (unità) 391.000 Pendolari di età 25-44 anni 17.000 63,9 In possesso di titolo di studio medio-alto 17.000 61,8 Impiegati nel settore dei servizi 18.000 68,8 Con professionalità alta 13.000 49,8 Dipendenti con contratto a termine 9.000 35,2 MERCATO DEL LAVORO 2006 2007 Tasso di disoccupazione (%) 12,8 11,2 Tasso di disoccupazione maschile (%) 10,3 9,0 Tasso di disoccupazione femminile (%) 17,7 15,5 Persone in cerca di occupazione (unità) 184.000 161.000 Tasso di occupazione (15-64 anni) totale (%) 45,7 46,7 Tasso di occupazione (15-64 anni) maschile (%) 63,4 63,7 Tasso di occupazione (15-64 anni) femminile (%) 28,5 30,0 Irregolari (unità) 217.000 225.000 Tasso di irregolarità (%) 16,2 16,4 Segue: REGIONE PUGLIA INFRASTRUTTURE (Indici Nazionali=100) Puglia Mezzogiorno Centro-Nord Porti 207,6 71,3 115,7 Aeroporti 81,3 80,5 110,7 Centri intermodali 1,4 1,1 156,1 Strade 100,4 101,6 98,9 Ferrovie 82,0 64,7 124,3 Rete elettrica 88,1 78,6 114,8 POVERTA' (dati 2005) Puglia Mezzogiorno Centro-Nord Percentuale di famiglie con reddito < 12.000 euro 16,7 18,0 7,3 Famiglie con più di tre persone a carico (%) 13,9 13,9 4,1 Spesa media per abitazione (euro) 252 245 348 Rapporto spesa/reddito 13,2 12,8 14,0 Percentuale affittuari 19,7 19,1 17,8 Abitazione sprovvista di: Gabinetto interno (%) 0,2 0,3 0,4 Vasca/doccia (%) 2,0 1,3 0,5 Acqua calda (%) 0,7 0,9 0,5 INTERNAZIONALIZZAZIONE 2006 2007 Var. 2006-07 Esportazioni (milioni di euro) Puglia 6.877,9 7.122,0 3,5 Mezzogiorno 36.763,9 41.099,7 11,8 Centro-Nord 288.994,1 311.102,6 7,7 2005 2006 Numero imprese a partecipazione estera (unità) 47 41 Valori percentuali (Italia=100) 0,7 0,6 Numero di addetti alle imprese a partecipazione estera (unità) 6.898 6.977 Valori percentuali (Italia=100) 0,8 0,8 Investimenti diretti esteri (migliaia di euro) 247.269 Valori percentuali (Italia=100) 0,16 Grado di multinazionalità 0,9 TURISMO 2006 2007 Var. 2006-07 Presenze turistiche totali 10.320,8 10.605,3 2,8 Presenze turistiche straniere 1.497,4 1.548,4 3,4 CRIMINALITA' 2006 2007 Percentuale famiglie con senso di rischio 34,2 35,5 2006 Var. 2005-06 Reati denunciati 146.252 2,8 Omicidi volontari 33 -5,7 Rapine 2.005 -14,8 Estorsioni 571 -10,1 RISORSE UMANE E INNOVAZIONE Puglia Ue 27 Occupati nei settori ICT (% sul totale occupati) 9,4 15,5 Spesa in R & S (% del PIL) 0,6 1,8 Popolazione con laurea (%) 10,5 22,7 Dotazione nelle amministrazioni locali Italia Personal computer per 100 dipendenti 74,6 74,7 Comuni dotati di rete locali - LAN (%) 94,3 90,9 PIL (variazione %) PIL per abitante (valori assoluti a prezzi correnti) PIL per abitante in % del Centro-Nord Lombardia (24,7) ed Emilia Romagna(23,8) REGIONE BASILICATA INDICATORI STRUTTURALI 2002 2003 2004 2005 2006 2007 Basilicata 0,8 -1,5 1,3 -0,3 1,7 1,5 Mezzogiorno 0,4 -0,3 0,6 0,3 1,1 0,7 Centro-Nord 0,5 0,1 1,8 0,6 2,1 1,7 Italia 0,5 0,0 1,5 0,6 1,8 1,5 Basilicata 15.731,6 16.011,5 16.672,9 17.094,3 17.857,7 18.654,1 Mezzogiorno 15.260,2 15.621,5 16.082,0 16.501,1 17.019,4 17.482,8 Centro-Nord 26.781,6 27.365,8 28.216,4 28.656,9 29.475,1 30.380,9 Italia 22.660,7 23.181,3 23.919,5 24.372,1 25.109,3 25.882,1 Basilicata 58,7 58,5 59,1 59,7 60,6 61,4 Mezzogiorno 57,0 57,1 57,0 57,6 57,7 57,5 Centro-Nord 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 POPOLAZIONE 2006 2007 Var. 2006-07 Popolazione residente (migliaia di unità) 591,3 590,0 -0,2 Tasso di incremento naturale (per 1.000 ab.) -1,1 -1,4 Tasso di natalità (per 1.000 ab.) 8,3 8,1 Tasso di mortalità (per 1.000 ab.) 9,4 9,5 Saldo migratorio Abruzzo (migliaia di unità) -2,0 -0,5 Saldo migratorio Mezzogiorno (migliaia di unità) -24,9 45,7 MIGRAZIONI Media 2006 2007 2000-05 Saldo migratorio interno (migliaia di unità) -2,0 -2,1 -2,2 Mezzogiorno (migliaia di unità) -66,5 -49,8 -51,6 Principali regioni di destinazione (%) Caratteristiche migranti più di 14 anni (2005) - Diploma di scuola superiore (%) 38,1 - Laurea (%) 20,2 PENDOLARI 2007 Pendolari di lungo raggio verso il Centro-Nord (unità) 7.000 % sull'occupazione regionale 3,5 Pendolari totali (unità) 64.000 MERCATO DEL LAVORO 2006 2007 Tasso di disoccupazione (%) 10,5 9,5 Tasso di disoccupazione maschile (%) 7,9 6,3 Tasso di disoccupazione femminile (%) 15,2 15,3 Persone in cerca di occupazione (unità) 23.000 21.000 Tasso di occupazione (15-64 anni) totale (%) 50,3 49,6 Tasso di occupazione (15-64 anni) maschile (%) 66,2 64,9 Tasso di occupazione (15-64 anni) femminile (%) 34,3 34,1 Irregolari (unità) 46.000 43.000 Tasso di irregolarità (%) 20,6 19,2 Segue: REGIONE BASILICATA INFRASTRUTTURE (Indici Nazionali=100) Basilicata Mezzogiorno Centro-Nord Porti 0,0 71,3 115,7 Aeroporti 31,3 80,5 110,7 Centri intermodali 0,7 1,1 156,1 Strade 92,7 101,6 98,9 Ferrovie 34,8 64,7 124,3 Rete elettrica 61,1 78,6 114,8 POVERTA' (dati 2005) Basilicata Mezzogiorno Centro-Nord Percentuale di famiglie con reddito < 12.000 euro 18,0 18,0 7,3 Famiglie con più di tre persone a carico (%) 9,6 13,9 4,1 Spesa media per abitazione (euro) 239 245 348 Rapporto spesa/reddito 13,1 12,8 14,0 Percentuale affittuari 14,9 19,1 17,8 Abitazione sprovvista di: Gabinetto interno (%) 0,1 0,3 0,4 Vasca/doccia (%) 0,7 1,3 0,5 Acqua calda (%) 1,3 0,9 0,5 INTERNAZIONALIZZAZIONE 2006 2007 Var. 2006-07 Esportazioni (milioni di euro) Basilicata 1.721,6 2.096,0 21,7 Mezzogiorno 36.763,9 41.099,7 11,8 Centro-Nord 288.994,1 311.102,6 7,7 2005 2006 Numero imprese a partecipazione estera (unità) 21 18 Valori percentuali (Italia=100) 0,3 0,3 Numero di addetti alle imprese a partecipazione estera (unità) 6.093 1.107 Valori percentuali (Italia=100) 0,7 0,1 Investimenti diretti esteri (migliaia di euro) 246.100 Valori percentuali (Italia=100) 0,16 Grado di multinazionalità 5,3 TURISMO 2006 2007 Var. 2006-07 Presenze turistiche totali 1.743,7 1.856,8 6,5 Presenze turistiche straniere 174,1 188,7 8,4 CRIMINALITA' 2006 2007 Percentuale famiglie con senso di rischio 11,2 9,7 2006 Var. 2005-06 Reati denunciati 12.720 13,4 Omicidi volontari 4 -20,0 Rapine 40 -32,2 Estorsioni 41 -26,8 RISORSE UMANE E INNOVAZIONE Basilicata Ue 27 Occupati nei settori ICT (% sul totale occupati) 10,0 15,5 Spesa in R & S (% del PIL) 0,5 1,8 Popolazione con laurea (%) 11,4 22,7 Dotazione nelle amministrazioni locali Italia Personal computer per 100 dipendenti 80,3 74,7 Comuni dotati di rete locali - LAN (%) 96,2 90,9 PIL (variazione %) PIL per abitante (valori assoluti a prezzi correnti) PIL per abitante in % del Centro-Nord Lombardia (24,3) ed Emilia Romagna(22,3) REGIONE CALABRIA INDICATORI STRUTTURALI 2002 2003 2004 2005 2006 2007 Calabria -0,2 1,3 1,9 -3,1 2,4 -1,0 Mezzogiorno 0,4 -0,3 0,6 0,3 1,1 0,7 Centro-Nord 0,5 0,1 1,8 0,6 2,1 1,7 Italia 0,5 0,0 1,5 0,6 1,8 1,5 Calabria 14.226,9 14.773,2 15.464,5 15.780,4 16.518,0 16.652,1 Mezzogiorno 15.260,2 15.621,5 16.082,0 16.501,1 17.019,4 17.482,8 Centro-Nord 26.781,6 27.365,8 28.216,4 28.656,9 29.475,1 30.380,9 Italia 22.660,7 23.181,3 23.919,5 24.372,1 25.109,3 25.882,1 Calabria 53,1 54,0 54,8 55,1 56,0 54,8 Mezzogiorno 57,0 57,1 57,0 57,6 57,7 57,5 Centro-Nord 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 POPOLAZIONE 2006 2007 Var. 2006-07 Popolazione residente (migliaia di unità) 1.998,0 2.004,7 0,3 Tasso di incremento naturale (per 1.000 ab.) 0,3 0,3 Tasso di natalità (per 1.000 ab.) 9,1 9,0 Tasso di mortalità (per 1.000 ab.) 8,8 8,7 Saldo migratorio Abruzzo (migliaia di unità) -7,2 6,2 Saldo migratorio Mezzogiorno (migliaia di unità) -24,9 45,7 MIGRAZIONI Media 2006 2007 2000-05 Saldo migratorio interno (migliaia di unità) -9,2 -7,8 -7,9 Mezzogiorno (migliaia di unità) -66,5 -49,8 -51,6 Principali regioni di destinazione (%) Caratteristiche migranti più di 14 anni (2005) - Diploma di scuola superiore (%) 34,5 - Laurea (%) 21,6 PENDOLARI 2007 Pendolari di lungo raggio verso il Centro-Nord (unità) 13.000 % sull'occupazione regionale 2,1 Pendolari totali (unità) 187.000 MERCATO DEL LAVORO 2006 2007 Tasso di disoccupazione (%) 12,9 11,2 Tasso di disoccupazione maschile (%) 11,2 9,4 Tasso di disoccupazione femminile (%) 15,9 14,5 Persone in cerca di occupazione (unità) 91.000 76.000 Tasso di occupazione (15-64 anni) totale (%) 45,6 44,9 Tasso di occupazione (15-64 anni) maschile (%) 59,5 58,9 Tasso di occupazione (15-64 anni) femminile (%) 31,8 31,0 Irregolari (unità) 181.000 171.000 Tasso di irregolarità (%) 27,2 26,0 Segue: REGIONE CALABRIA INFRASTRUTTURE (Indici Nazionali=100) Calabria Mezzogiorno Centro-Nord Porti 46,4 71,3 115,7 Aeroporti 116,6 80,5 110,7 Centri intermodali 0,6 1,1 156,1 Strade 122,0 101,6 98,9 Ferrovie 82,4 64,7 124,3 Rete elettrica 67,0 78,6 114,8 POVERTA' (dati 2005) Calabria Mezzogiorno Centro-Nord Percentuale di famiglie con reddito < 12.000 euro 19,1 18,0 7,3 Famiglie con più di tre persone a carico (%) 11,1 13,9 4,1 Spesa media per abitazione (euro) 228 245 348 Rapporto spesa/reddito 12,0 12,8 14,0 Percentuale affittuari 14,5 19,1 17,8 Abitazione sprovvista di: Gabinetto interno (%) 0,4 0,3 0,4 Vasca/doccia (%) 1,5 1,3 0,5 Acqua calda (%) 1,2 0,9 0,5 INTERNAZIONALIZZAZIONE 2006 2007 Var. 2006-07 Esportazioni (milioni di euro) Calabria 329,0 427,9 30,1 Mezzogiorno 36.763,9 41.099,7 11,8 Centro-Nord 288.994,1 311.102,6 7,7 2005 2006 Numero imprese a partecipazione estera (unità) 16 15 Valori percentuali (Italia=100) 0,2 0,2 Numero di addetti alle imprese a partecipazione estera (unità) 1.280 1.267 Valori percentuali (Italia=100) 0,1 0,1 Investimenti diretti esteri (migliaia di euro) 29.963 Valori percentuali (Italia=100) 0,02 Grado di multinazionalità 0,4 TURISMO 2006 2007 Var. 2006-07 Presenze turistiche totali 8.155,1 8.687,4 6,5 Presenze turistiche straniere 1.479,2 1.520,4 2,8 CRIMINALITA' 2006 2007 Percentuale famiglie con senso di rischio 26,6 22,2 2006 Var. 2005-06 Reati denunciati 73.529 4,7 Omicidi volontari 61 -11,6 Rapine 655 -14,7 Estorsioni 393 12,0 RISORSE UMANE E INNOVAZIONE Calabria Ue 27 Occupati nei settori ICT (% sul totale occupati) 11,7 15,5 Spesa in R & S (% del PIL) 0,4 1,8 Popolazione con laurea (%) 12,3 22,7 Dotazione nelle amministrazioni locali Italia Personal computer per 100 dipendenti 68,9 74,7 Comuni dotati di rete locali - LAN (%) 77,5 90,9 PIL (variazione %) PIL per abitante (valori assoluti a prezzi correnti) PIL per abitante in % del Centro-Nord Lombardia (29,3) ed Emilia Romagna(16,8) REGIONE SICILIA INDICATORI STRUTTURALI 2002 2003 2004 2005 2006 2007 Sicilia -0,3 -0,2 0,0 2,4 0,2 0,1 Mezzogiorno 0,4 -0,3 0,6 0,3 1,1 0,7 Centro-Nord 0,5 0,1 1,8 0,6 2,1 1,7 Italia 0,5 0,0 1,5 0,6 1,8 1,5 Sicilia 14.662,2 15.053,9 15.451,1 16.054,2 16.439,9 16.789,3 Mezzogiorno 15.260,2 15.621,5 16.082,0 16.501,1 17.019,4 17.482,8 Centro-Nord 26.781,6 27.365,8 28.216,4 28.656,9 29.475,1 30.380,9 Italia 22.660,7 23.181,3 23.919,5 24.372,1 25.109,3 25.882,1 Sicilia 54,7 55,0 54,8 56,0 55,8 55,3 Mezzogiorno 57,0 57,1 57,0 57,6 57,7 57,5 Centro-Nord 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 POPOLAZIONE 2006 2007 Var. 2006-07 Popolazione residente (migliaia di unità) 5.016,9 5.026,1 0,2 Tasso di incremento naturale (per 1.000 ab.) 0,8 0,5 Tasso di natalità (per 1.000 ab.) 10,0 9,8 Tasso di mortalità (per 1.000 ab.) 9,2 9,3 Saldo migratorio Abruzzo (migliaia di unità) -4,0 7,0 Saldo migratorio Mezzogiorno (migliaia di unità) -24,9 45,7 MIGRAZIONI Media 2006 2007 2000-05 Saldo migratorio interno (migliaia di unità) -15,6 -7,5 -9,2 Mezzogiorno (migliaia di unità) -66,5 -49,8 -51,6 Principali regioni di destinazione (%) Caratteristiche migranti più di 14 anni (2005) - Diploma di scuola superiore (%) 33,5 - Laurea (%) 12,2 PENDOLARI 2007 % su (A) Pendolari di lungo raggio verso il Centro-Nord (unità) (A) 28.000 % sull'occupazione regionale 1,9 Pendolari totali (unità) 370.000 Pendolari di età 25-44 anni 21.000 73,4 In possesso di titolo di studio medio-alto 22.000 75,0 Impiegati nel settore dei servizi 21.000 72,9 Con professionalità alta 15.000 51,7 Dipendenti con contratto a termine 10.000 34,4 MERCATO DEL LAVORO 2006 2007 Tasso di disoccupazione (%) 13,5 13,0 Tasso di disoccupazione maschile (%) 11,2 10,6 Tasso di disoccupazione femminile (%) 17,8 17,3 Persone in cerca di occupazione (unità) 235.000 222.000 Tasso di occupazione (15-64 anni) totale (%) 45,0 44,6 Tasso di occupazione (15-64 anni) maschile (%) 61,1 60,7 Tasso di occupazione (15-64 anni) femminile (%) 29,6 29,0 Irregolari (unità) 340.000 317.000 Tasso di irregolarità (%) 22,0 20,5 Segue: REGIONE SICILIA INFRASTRUTTURE (Indici Nazionali=100) Sicilia Mezzogiorno Centro-Nord Porti 34,8 71,3 115,7 Aeroporti 99,6 80,5 110,7 Centri intermodali 0,8 1,1 156,1 Strade 95,3 101,6 98,9 Ferrovie 57,4 64,7 124,3 Rete elettrica 95,3 78,6 114,8 POVERTA' (dati 2005) Sicilia Mezzogiorno Centro-Nord Percentuale di famiglie con reddito < 12.000 euro 22,7 18,0 7,3 Famiglie con più di tre persone a carico (%) 14,7 13,9 4,1 Spesa media per abitazione (euro) 217 245 348 Rapporto spesa/reddito 12,4 12,8 14,0 Percentuale affittuari 16,6 19,1 17,8 Abitazione sprovvista di: Gabinetto interno (%) 0,0 0,3 0,4 Vasca/doccia (%) 1,4 1,3 0,5 Acqua calda (%) 1,5 0,9 0,5 INTERNAZIONALIZZAZIONE 2006 2007 Var. 2006-07 Esportazioni (milioni di euro) Sicilia 7.947,9 9.523,4 19,8 Mezzogiorno 36.763,9 41.099,7 11,8 Centro-Nord 288.994,1 311.102,6 7,7 2005 2006 Numero imprese a partecipazione estera (unità) 45 47 Valori percentuali (Italia=100) 0,6 0,7 Numero di addetti alle imprese a partecipazione estera (unità) 2.138 2.151 Valori percentuali (Italia=100) 0,2 0,3 Investimenti diretti esteri (migliaia di euro) 30.135 Valori percentuali (Italia=100) 0,02 Grado di multinazionalità 0,3 TURISMO 2006 2007 Var. 2006-07 Presenze turistiche totali 14.574,5 14.590,7 0,1 Presenze turistiche straniere 5.705,5 5.920,1 3,8 CRIMINALITA' 2006 2007 Percentuale famiglie con senso di rischio 24,9 27,7 2006 Var. 2005-06 Reati denunciati 186.223 9,9 Omicidi volontari 62 -11,4 Rapine 4.745 22,2 Estorsioni 585 -12,4 RISORSE UMANE E INNOVAZIONE Sicilia Ue 27 Occupati nei settori ICT (% sul totale occupati) 10,9 15,5 Spesa in R & S (% del PIL) 0,8 1,8 Popolazione con laurea (%) 10,8 22,7 Dotazione nelle amministrazioni locali Italia Personal computer per 100 dipendenti 51,8 74,7 Comuni dotati di rete locali - LAN (%) 90,4 90,9 PIL (variazione %) PIL per abitante (valori assoluti a prezzi correnti) PIL per abitante in % del Centro-Nord Lombardia (30,1) ed Emilia Romagna(17,1) REGIONE SARDEGNA INDICATORI STRUTTURALI 2002 2003 2004 2005 2006 2007 Sardegna -0,5 2,7 0,9 2,5 2,0 1,3 Mezzogiorno 0,4 -0,3 0,6 0,3 1,1 0,7 Centro-Nord 0,5 0,1 1,8 0,6 2,1 1,7 Italia 0,5 0,0 1,5 0,6 1,8 1,5 Sardegna 17.226,5 17.975,7 18.596,4 19.062,9 19.794,4 20.391,0 Mezzogiorno 15.260,2 15.621,5 16.082,0 16.501,1 17.019,4 17.482,8 Centro-Nord 26.781,6 27.365,8 28.216,4 28.656,9 29.475,1 30.380,9 Italia 22.660,7 23.181,3 23.919,5 24.372,1 25.109,3 25.882,1 Sardegna 64,3 65,7 65,9 66,5 67,2 67,1 Mezzogiorno 57,0 57,1 57,0 57,6 57,7 57,5 Centro-Nord 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 POPOLAZIONE 2006 2007 Var. 2006-07 Popolazione residente (migliaia di unità) 1.659,4 1.664,0 0,3 Tasso di incremento naturale (per 1.000 ab.) -0,3 -0,3 Tasso di natalità (per 1.000 ab.) 8,0 8,1 Tasso di mortalità (per 1.000 ab.) 8,3 8,4 Saldo migratorio Abruzzo (migliaia di unità) 4,3 5,1 Saldo migratorio Mezzogiorno (migliaia di unità) -24,9 45,7 MIGRAZIONI Media 2006 2007 2000-05 Saldo migratorio interno (migliaia di unità) -1,8 1,7 0,3 Mezzogiorno (migliaia di unità) -66,5 -49,8 -51,6 Principali regioni di destinazione (%) Lombardia (24,6) e Lazio (15,5) Caratteristiche migranti più di 14 anni (2005) - Diploma di scuola superiore (%) 34,6 - Laurea (%) 13,9 PENDOLARI 2007 Pendolari di lungo raggio verso il Centro-Nord (unità) 8.000 % sull'occupazione regionale 1,2 Pendolari totali (unità) 204.000 MERCATO DEL LAVORO 2006 2007 Tasso di disoccupazione (%) 10,8 9,9 Tasso di disoccupazione maschile (%) 8,5 7,2 Tasso di disoccupazione femminile (%) 14,6 14,2 Persone in cerca di occupazione (unità) 74.000 67.000 Tasso di occupazione (15-64 anni) totale (%) 52,3 52,8 Tasso di occupazione (15-64 anni) maschile (%) 66,2 66,4 Tasso di occupazione (15-64 anni) femminile (%) 38,2 39,0 Irregolari (unità) 131.000 123.000 Tasso di irregolarità (%) 21,4 19,8 Segue: REGIONE SARDEGNA INFRASTRUTTURE (Indici Nazionali=100) Sardegna Mezzogiorno Centro-Nord Porti 77,8 71,3 115,7 Aeroporti 239,3 80,5 110,7 Centri intermodali 1,0 1,1 156,1 Strade 71,0 101,6 98,9 Ferrovie 4,6 64,7 124,3 Rete elettrica 48,9 78,6 114,8 POVERTA' (dati 2005) Sardegna Mezzogiorno Centro-Nord Percentuale di famiglie con reddito < 12.000 euro 11,9 18,0 7,3 Famiglie con più di tre persone a carico (%) 7,4 13,9 4,1 Spesa media per abitazione (euro) 248 245 348 Rapporto spesa/reddito 11,7 12,8 14,0 Percentuale affittuari 11,9 19,1 17,8 Abitazione sprovvista di: Gabinetto interno (%) 0,8 0,3 0,4 Vasca/doccia (%) 0,3 1,3 0,5 Acqua calda (%) 0,6 0,9 0,5 INTERNAZIONALIZZAZIONE 2006 2007 Var. 2006-07 Esportazioni (milioni di euro) Sardegna 4.336,1 4.683,3 8,0 Mezzogiorno 36.763,9 41.099,7 11,8 Centro-Nord 288.994,1 311.102,6 7,7 2005 2006 Numero imprese a partecipazione estera (unità) 28 26 Valori percentuali (Italia=100) 0,4 0,4 Numero di addetti alle imprese a partecipazione estera (unità) 6.194 5.890 Valori percentuali (Italia=100) 0,7 0,7 Investimenti diretti esteri (migliaia di euro) 97.674 Valori percentuali (Italia=100) 0,06 Grado di multinazionalità 1,8 TURISMO 2006 2007 Var. 2006-07 Presenze turistiche totali 10.530,9 11.851,2 12,5 Presenze turistiche straniere 3.241,8 3.859,4 19,1 CRIMINALITA' 2006 2007 Percentuale famiglie con senso di rischio 15,5 18,6 2006 Var. 2005-06 Reati denunciati 55.106 3,3 Omicidi volontari 20 -16,7 Rapine 524 12,9 Estorsioni 119 21,4 RISORSE UMANE E INNOVAZIONE Sardegna Ue 27 Occupati nei settori ICT (% sul totale occupati) 9,3 15,5 Spesa in R & S (% del PIL) 0,7 1,8 Popolazione con laurea (%) 10,4 22,7 Dotazione nelle amministrazioni locali Italia Personal computer per 100 dipendenti 97,7 74,7 Comuni dotati di rete locali - LAN (%) 94,4 90,9 PIL (variazione %) PIL per abitante (valori assoluti a prezzi correnti) PIL per abitante in % del Centro-Nord