La cura della personalità dell'allievo. Una proposta di intervento per il coordinatore delle attività educative nel CFP

Autore: 
Sante Toniolo
Categoria pubblicazione: 
Esperienze
Anno: 
2005
Numero pagine: 
110
La cura della personalità dell’allievo Una proposta di intervento per il coordinatore delle attività educative nel Centro di formazione professionale Sante TONIOLO CENTRO NAZIONALE OPERE SALESIANE FORMAZIONE AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE Federazione CNOS-FAP Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@pcn.net Finito di stampare: Febbraio 2005 Il presente volume non è commerciabile ed è destinato ad uso esclusivamente interno alla Federazione CNOS-FAP 3 SOMMARIO PRESENTAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 INTRODUZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 “UNA GIORNATA PARTICOLARE” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 Parte prima: IL MONDO DELL’ADOLESCENTE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 Parte seconda: IL MONDO DEL LAVORO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59 Parte terza: LA “BATTAGLIA” PER IL MONDO DEL LAVORO . . . . . . . . . . . . . . . 81 CONCLUSIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105 INDICE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107 5 PRESENTAZIONE Mettere per iscritto una esperienza educativa significa “impoverirla”. Non è possibile, infatti, descrivere tutte le attenzioni di un educatore nei confronti dei giovani. Non sarà mai possibile documentare fedelmente il tono confidenziale di un colloquio, la premura adottata in occasione di una particolare situazione, la dolcezza e la fermezza di un intervento educativo… Pur consapevoli di questi limiti, abbiamo giudicato utile diffondere di questa esperienza. Il testo narra l’attività di un educatore che coordina e, in buona parte, anima in prima persona tutta una gamma di iniziative che hanno l’obiettivo di ac- compagnare l’adolescente in un percorso di progressiva maturazione delle proprie scelte, sia come persona che come allievo impegnato in una esperienza formativa e, in futuro, anche lavorativa. La persona, il mondo della formazione professionale e del lavoro, la preparazione al dopo la formazione sono i principali temi del testo. Il sussidio è strutturato in schede; il coordinatore può utilizzarle a livello sia individuale che di piccolo gruppo; esse possono costituire lo spunto per una rifles- sione, la traccia per un intervento educativo e la fonte per eventuali verifiche sul- l’efficacia dell’intervento. L’esperienza è maturata nel contesto dell’attuazione dell’obbligo formativo, all’interno delle misure della personalizzazione. Si tratta di una esperienza supe- rata, per questo? Oltre a ritenere che la dimensione educativa deve essere sempre presente in ogni tipologia di percorso formativo, riteniamo questa documentazione utile e stimolante anche per l’immediato futuro, soprattutto perché la Legge 53/03, in fase di attuazione, finalizza i percorsi del secondo ciclo alla “crescita educativa, culturale e professionale dei giovani attraverso il sapere, il fare e l’agire, e la rifles- sione critica su di essi” e auspica che il sistema dell’istruzione e della formazione sviluppi “l’autonoma capacità di giudizio e l’esercizio della responsabilità perso- nale e sociale” (Legge 53/03, art. 2, comma g). I materiali raccolti possono essere, dunque, un utile contributo per il nuovo sistema, oltre che una testimonianza edu- cativa anche nel percorso dell’obbligo formativo. LA SEDE NAZIONALE DEL CNOS-FAP 7 INTRODUZIONE Il presente lavoro è il frutto di un insieme di materiali raccolti da un educatore salesiano che sono maturati durante i diversi anni di impegno svolto con i giovani di un Centro di formazione professionale (CFP). L’esperienza descrive l’attenzione soprattutto “educativa” che come operatore, d’intesa con l’èquipe del Centro, ha avuto nei confronti degli allievi /adolescenti, dal momento della loro iscrizione fino al raggiungimento della qualifica professionale. Abbiamo chiamato, in via provvisoria, “Coordinatore delle attività educa- tive” questa persona che, all’interno del CFP, sostiene, motiva, rimotiva, inco- raggia, aiuta i giovani sia a livello individuale che di piccolo gruppo o di corso, nelle forme del colloquio informativo, formativo e consulenziale. La pubblicazione si articola globalmente in tre parti ed è preceduta da un capitolo dal titolo “Una giornata particolare”. Il capitolo “Una giornata particolare” contiene la presentazione ufficiale del percorso formativo/educativo dell’anno a tutti: giovani, famiglie, formatori ed autorità del settore della formazione professionale. La prima parte tocca temi relativi al mondo dell’adolescente. Fornisce al coor- dinatore delle attività educative stimoli e strumenti sperimentati per condurre il colloquio con l’adolescente nell’impegno della conoscenza di sé, dell’apprez- zamento della sua vita, della scoperta di valori di riferimento per elaborare il suo progetto personale. I contenuti della seconda parte hanno l’obiettivo di aiutare l’allievo a riflettere sull’esperienza che vive nel CFP e nel contesto lavorativo di riferimento: l’espe- rienza lavorativa del CFP con i suoi ritmi e le sue regole, la vita in azienda attra- verso lo stage, le riflessioni sul mondo del lavoro in generale e sugli aspetti più vicini alla qualifica, gli ambiti lavorativi e i ruoli professionali. La terza parte, infine, è centrata sugli aspetti del dopo-qualifica. La sezione contiene suggerimenti e proposte di lavoro utili al coordinatore delle attività educative per guidare l’allievo ad “attrezzarsi” per affrontare il tempo dopo la formazione. La presente articolazione in parti è una delle possibili divisioni. Ogni forma- tore che ne farà uso potrà liberamente utilizzare il sussidio con criteri diversi da quello proposto. 9 UNA GIORNATA PARTICOLARE All’inizio di ogni anno i giovani, i genitori, i formatori e le autorità invitate vi- vono una “giornata particolare”: il CFP presenta a tutti la proposta pastorale che contiene i principali temi di carattere educativo / formativo che saranno oggetto di riflessione lungo l’anno nei vari momenti programmati: “buon giorno”, incontri informali e formali di vario genere… Come esempio si riporta in questa pubblicazione la proposta dell’anno 2003-2004 che si articola attorno ai seguenti temi: • “Dai, che ce la fai!”: un invito ai giovani ad iniziare con entusiasmo il nuovo anno formativo; • “Ritratto del giovane di oggi”: un flash sul giovane oggi e le possibili risposte formative da parte del CFP; • “I contenuti durante il percorso formativo”: i temi generali dell’anno da sviluppare in occasione del buon giorno, degli incontri programmati, sporadici, spontanei, ecc.; • “Uno stile pedagogico condiviso”: i valori condivisi e sottesi al patto formativo tra formatori, allievi e famiglie; • “La professionalità del formatore”: un messaggio forte per il ruolo strategico di tutti gli operatori nel campo dell’educazione. 11 12 PR O PO ST A P A ST O RA LE 2 00 3- 20 04 – C FP - P er ug ia Pr op os ta p as to ra le C FP 2 00 3- 20 04 D A I CH E CE L A F A I Co n do n Bo sc o: • Io s on o si cu ro e c or ag gi os o • Io s on o de ci so e d en tu si as ta • Io s on o fe lic e e sa no • Io s on o fo rt e, f el ic e e vi nc en te … pe r un a m ar ci a in p iù d on B os co t i d ic e: ➤ Fr eq ue nt a la M es sa t ut te le d om en ic he ➤ Ac co st at i a l s ac ra m en to d el pe rd on o, u na v ol ta o d ue a l m es e ➤ Pr eg a tu tt i i g io rn i, m at tin o e se ra ➤ Pr eg a la M ad on na A us ili at ri ce de i c ri st ia ni Ri tr at to d el g io va ne d i og gi ... di D e Pi er i (C en tr o di o ri en ta m en to C O SP ES - M og lia no V en et o) Il g ra fi co il lu st ra la d is ar m on ia c ro no lo gi ca : è pr ec oc e lo s vi lu pp o pe rc et ti vo e p si co m ot or io , so ci al e, a ff et ti vo e s es su al e; in r it ar do lo s vi lu pp o lo gi co , q ue llo m or al e e qu el lo r el ig io so . At tr av er so : • un d ia lo go e du ca ti vo p iù a m pi o e pr of on do ; • un a sp in ta a ll’ au to no m ia , no n ip er - pr ot ez io ne o so st it uz io ne de lle en er gi e e ri so rs e de gl i a lli ev i; • un ’e du ca zi on e af fe tt iv a e se ss ua le e no n il si le nz io o la t ra sc ur at ez za ; • un a gu id a ne l ca m m in o de lla c re - sc it a e no n so lo s od di sf az io ne d ei bi so gn i m at er ia li; • or ie nt am en to n el le s ce lt e no n so lo sc ol as ti ch e/ pr of es si on al i m a an ch e cu lt ur al i e vo ca zi on al i in se ns o am pi o. Co m e ri sp on de re s ot to l ’a sp et to f or m at iv o? Pr op os ta p as to ra le C FP 2 00 3- 20 04 Pr op os ta p as to ra le C FP 2 00 3- 20 04 D A I CH E CE L A F A I O bi et ti vo : fa re d on o di u n m es sa gg io d i sp er an za , d’ am or e, d i ce rt ez za , di r in no va m en to e d i ot ti m is m o … • pe r co m ba tt er e la r as se gn az io ne ; • ai ut ar e il gi ov an e a pr og et ta re la v it a; • pe r da re a l g io va ne f id uc ia in s e st es so e ne lle s ue in fi ni te c ap ac it à cr ea ti ve ; • pe r da re f or za a l gi ov an e di s up er ar e la s ua f ra gi lit à; • pe r da re p os it iv it à al la v it a (s pe ra nz a, am or e, c re sc it a, s up er ar e l’e go is m o pe r ap ri rs i al l’a lt ro , us ci re d al c er ch io de l pr es en te e p ro ie tt ar si n el f ut ur o, su pe ra re i l pu ro e s em pl ic e co ns um o de ll’ es is te nz a, … p er m at ur ar e co nd i- zi on i di e si st en za e p ro fo nd i le ga m i co n la v it a, e cc .) 13 Pr op os ta p as to ra le C FP 2 00 3- 20 04 Pr op os ta p as to ra le C FP 2 00 3- 20 04 At tr av er so : • un a m bi en te d i vi ta e d i ed uc az io ne , no n so lo l uo go d ov e si p uò f ar e is tr uz io ne ; • un ’a cc og lie nz a di t ut te l e es ig en ze de lla c re sc it a (p er ci ò ri ch ie do no u n do ce nt e/ ge ni to re t es ti m on e, au to re vo le , ed uc at or e, m od el lo d i ri fe ri m en to ); • un o st im ol o al la c re at iv it à e no n so lo a cq ui es ce nz a ri pe ti ti va d i ap pr en di m en ti c od if ic at i; • un a va lo ri zz az io ne p os it iv a e no n so lo u na v al ut az io ne d el r en di m en to sc ol as ti co ; • un o ri en ta m en to c on ti nu at o e st ru tt ur at o e no n so lo e pi so di co e fr am m en ta to At tr av er so : • l’a tt en zi on e e l’a sc ol to d el le p ro pr ie as pi ra zi on i e in cl in az io ni ; • la p re ve nz io ne s oc ia le d el le f or m e di de gr ad o am bi en ta le e d el di sa da tt am en to s oc ia le ; • un u so e du ca ti vo e n on s ol o co ns um is ti co d ei m as s- m ed ia , co n in iz ia ti ve m ir at e sp ec if ic am en te a lle es ig en ze d el la f or m az io ne i nt eg ra le de i gi ov an i; • de gl i sp az i pe r lo s po rt e l’e sp re ss iv it à lu di ca e s oc ia le ; • de i ce nt ri e du ca ti vi p er in cr em en ta re l e fo rm e as so ci at iv e e ri sp on de re a i bi so gn i no n so lo d el re cu pe ro m a so pr at tu tt o de ll’ ed uc az io ne s oc ia le . I co nt en ut i d a sv ilu pp ar e du ra nt e il pe rc or so f or m at iv o: bu on gi or no – in co nt ri o cc as io na li LE T AP PE SE TT EM BR E O TT O BR E AR GO M EN TI So no p ar te in te gr an te d el C FP Do n Bo sc o - Pe ru gi a Un p os to p er m e ne ll’ un iv er so CO N TE N U TI U na a vv en tu ra d a vi ve re ➤ Ci ò ch e fa la d if fe re nz a: s cu ol a/ CF P ➤ Ra pp or ti r el az io na li: a lli ev i/ fo rm at or i e n on ➤ Re go le p er c os tr ui re la v it a ➤ Re go le p er s ta r be ne c on t ut ti S e c’ è co lla bo ra zi on e si p uò f ar e m ol ta s tr ad a in si em e pe r… N av ig ar e so tt o co st a o vo la re ? ➤ Ch e fa ra i d el la t ua v it a? ➤ Es se re f el ic e: q ue st o è il pr ob le m a ➤ T ra D on B os co e B an de ra ➤ V og lio u na v it a es ag er at a ➤ Il “ tu o” p ro ge tt o di v it a ➤ V iv i g ià la t ua v er a vo ca zi on e La v er a vo ca zi on e va c er ca ta d en tr o se s te ss i LE T AP PE N O VE M BR E DI CE M BR E GE N N AI O AR GO M EN TI Ci nq ue s co gl i co nt ro la v oc az io ne Li be ri e re sp on sa bi li So lo d i ha m bu rg er no n si v iv e CO N TE N U TI N el p iù p ro fo nd o di t e ➤ H o al tr o cu i p en sa re ➤ G li al tr i m i c on di zi on an o ➤ S on o un o co m e ta nt i. A nz i, no n vo gl io n ie nt e ➤ C’ è qu al ch e co sa c he m i b lo cc a ➤ A m e ba st a m ac ch in a, m og lie , m on et a V oc az io ne ? Pe r do ve ? Co st re tt o a pr en de re c os ci en za ➤ Li be rt à va do c er ca nd o ➤ La v og lia d i r iu sc ir e ➤ V iv er e il ca m bi am en to ➤ Le t ra sf or m az io ni d el la s oc ie tà ➤ A tt en to : s ar an no g li al tr i a d et ta re lo s ch em a Ch e ra pp or to h ai c on il t uo c or po ? È in g io co la t ua v it a ➤ A lla r ic er ca d ei p un ti f er m i ➤ Il t uo p ri m o sì a lla v it a ➤ G li al tr i n on s on o l’i nf er no T i s en ti a l c en tr o de l m on do ? I co nt en ut i d a sv ilu pp ar e du ra nt e il pe rc or so f or m at iv o: bu on gi or no – in co nt ri o cc as io na li Pr op os ta p as to ra le C FP 2 00 3- 20 04 Pr op os ta p as to ra le C FP 2 00 3- 20 04 14 LE T AP PE FE BB RA IO M AR ZO AP RI LE AR GO M EN TI Di o, c on os ci ut o / sc on os ci ut o Da s ol i no n si p uò In t an de m è m eg lio CO N TE N U TI A lla r ic er ca d i u na f ed e ac ce tt ab ile ➤ C’ è an co ra s pa zi o pe r la f ed e? ➤ Cr ed er e in D io ? ➤ La g ra nd e op po rt un it à ➤ La m ag ni fi ca a vv en tu ra A cc on te nt ar si o c er ca re a lt ro ve ? A m ic iz ia e a m or e ➤ La s ol it ud in e ch e uc ci de ➤ N on s i è f el ic i d a so li ➤ Pe rc hé s ia a m or e ➤ Q ua nd o l’a lt ro è u no c om e m e S ei p ro nt o pe r co m in ci ar e? In si em e pe r se m pr e ➤ Il m om en to d el la s ce lt a ➤ Pe r se m pr e è po ss ib ile ➤ In m un ic ip io o in c hi es a? È l’u om o/ do nn a pe r m e? LE T AP PE M AG GI O GI UG N O AR GO M EN TI Q ua tt ro m ili on i di v ol on ta ri U na v it a da m ar in e CO N TE N U TI V ol on ta ri o ➤ Il v ol on ta ri o è un le ad er ➤ D i c he le ad er sh ip s ei ➤ D iv en ta re v ol on ta ri o ➤ Im pe gn ar si d ov e, im pe gn ar si c om e V uo i d ar ti a l v ol on ta ri at o? Im pe gn ar si in p ar ro cc hi a, in u n m ov im en to , … ➤ H o pe rs o l’i nd ir iz zo ( de lla p ar ro cc hi a, … .) ➤ Fa i p ar te d i u na c om un it à ➤ Cr is ti an i d ’a ss al to : p er ch é no ? … .. ➤ A ni m at or e, … c at ec hi st a ➤ 24 o re s u 24 S ai im pe gn ar ti g ra ti s? Pr op os ta p as to ra le C FP 2 00 3- 20 04 I co nt en ut i d a sv ilu pp ar e du ra nt e il pe rc or so f or m at iv o: bu on gi or no – in co nt ri o cc as io na li Pr op os ta p as to ra le C FP 2 00 3- 20 04 Pr op os ta p as to ra le C FP 2 00 3- 20 04 I co nt en ut i d a sv ilu pp ar e du ra nt e il pe rc or so f or m at iv o: bu on gi or no – in co nt ri o cc as io na li PE R U N O S T IL E PE D A G O G IC O CO N D IV IS O • U n co m pi to a ff id at o a tu tt i i fo rm at or i • La q ua lit à de l se rv iz io s i di st in gu e pe r co nd iv is io ne e c ol la bo ra zi on e • Il c en tr o di f or m az io ne pr of es si on al e de ve d ar e un a ri sp os ta : al le f am ig lie , ag li al lie vi , al m on do d el l av or o, a l te rr it or io , ec c. • L’ az io ne d el la c om un it à fo rm at iv a è qu ot id ia na , ne lle a tt iv it à di fo rm az io ne , ne ll’ ag gi or na m en to co nt in uo , ec c. Pr op os ta p as to ra le C FP 2 00 3- 20 04 PE R U N O S T IL E PE D A G O G IC O CO N D IV IS O • La C om un it à fo rm at iv a è fo rm at a da t ut ti g li op er at or i ch e, n el la l or o si tu az io ne sp ec if ic a, s on o de i fo rm at or i • I fo rm at or i si d ev on o fa re ca ri co d i tu tt o il pr og et to fo rm at iv o, i n tu tt e le s ue di m en si on i: te cn ic o pr of es si on al e, e du ca ti vo , sp ir it ua le , ec c. • I gi ov an i: de vo no p re nd er e co sc ie nz a de l pr op ri o ca m m in o fo rm at iv o 15 Pr op os ta p as to ra le C FP 2 00 3- 20 04 PE R U N O S TI LE P ED A GO GI CO C O N D IV IS O • La f am ig lia : è se m pr e un p un to d i ri fe ri m en to . I ge ni to ri d ev on o co nf er ir e m ag gi or i co m pi ti d i re sp on sa bi lit à ai p ro pr i fi gl i, at tr av er so i m pe gn i sp ec if ic i a cu i ri sp on de re i n pr im a pe rs on a. • Pe rc iò s i ch ie de d i: – va lo ri zz ar e l' at ti vi tà d el C en tr o e co lla bo ra re pe r fa vo ri re l a fo rm az io ne e l 'a pp re nd im en to a tu tt i i liv el li – co lla bo ra re c on i f or m at or i ne lla r ic er ca d i so lu zi on i id on ee p er f av or ir e la m at ur az io ne et ic a/ pr of es si on al e – as si cu ra re l a re go la re f re qu en za a l Ce nt ro de l fi gl io – fa r ri sp et ta re a l fi gl io c on r ig or e gl i or ar i de lle le zi on i (p un tu al it à, n o al le u sc it e an ti ci pa te , ec c. ) – co nt ro lla re i l Li br et to P er so na le : as se nz e, u sc it e an ti ci pa te , ri ta rd i, ec c. – pa rt ec ip ar e ag li in co nt ri p re vi st i (c ol lo qu i, as se m bl ee ) G li al lie vi s on o se gu it i in q ue st o m od o: • ac qu is is co no c os ci en za d i es se re pr ot ag on is ti p ri m ar i de l pr op ri o ca m m in o fo rm at iv o e re nd on o gr ad ua lm en te p iù a ut en ti ch e le m ot iv az io ni d i sc el ta d el la f or m az io ne pr of es si on al e CN O S -F A P; • as su m on o in m od o pe rs on al e i va lo ri po si ti vi p re se nt i in o gn i cu lt ur a, se ri am en te e c ri ti ca m en te a cc os ta ta ; • ac qu is is co no c ap ac it à di a tt en zi on e ag li al tr i, di c ol la bo ra zi on e co st ru tt iv a, d i co m un ic az io ne a ut en ti ca at tr av er so i d iv er si l in gu ag gi ; • pa rt ec ip an o al la v it a de lla C om un it à ed uc at iv a in t ut te l e su e m an if es ta zi on i e pr op os te , in v is ta de lla m at ur az io ne p ro fe ss io na le , ci vi le , so ci al e, e ti ca , cr is ti an a; • os se rv an o le d is po si zi on i pr ev is te d al re go la m en to i nt er no a l CF P. ... co m e fo rm at or i il fa tt o di in se gn ar e ag li al lie vi a g ua da gn ar si il pa ne q uo ti di an o co n co m pe te nz a e pr of es si on al it à ra pp re se nt a pe r no i l o st ru m en to ch e ci c on se nt e di a rr iv ar e pi ù in p ro fo nd it à, c er ca nd o di p or re ri m ed io a lle la cu ne e a i d is ag i ch e sp es so a cc om pa gn an o la v it a de i n os tr i al lie vi ... LA P RO FE SS IO N A LI TÀ D EL F O RM A TO RE D eo nt ol og ia pr of es si on al e de l fo rm at or e tr as pa re nz a af fid ab ili tà ca pa cit à di r isp os ta co mp re ns io ne co mu ni ca zi on e Bu on la vo ro fam igli e alli evi FP pr ov in cia Op era tor i F P ac ce ss o sic ur ez za cr ed ib ili tà co rt es ia co mp et en za Pr op os ta p as to ra le C FP 2 00 3- 20 04 Prima parte IL MONDO DELL’ADOLESCENTE • Una provocazione… Lettera di un quindicenne • Di fatto non mi conosco: tre dimensioni della personalità • … per diventare adulto: riflessioni sulla vita • In un mondo che cambia: – I valori fondamentali – Costruirsi un guardaroba – Essere capaci di resistere positivamente all’ostilità dell’ambiente 19 Una provocazione: lettera di un quindicenne Una lettera, scritta da un quindicenne, descrive in modo diretto ed efficace la situazione che oggi vivono molti adolescenti. Il coordinatore delle attività educative può servirsene per stimolare gli adole- scenti a riflettere sulla propria personalità. Può utilizzarla anche per orientarsi nella scelta delle problematiche che successivamente affronterà. 20 LE TT ER A D I U N Q U IN D IC EN N E U n qu in di ce nn e ha s cr it to u na p oe si a ch e è co m e un g ri do , un u rl o di p ro te st a co nt ro q ue st a no st ra e tà gl ac ia le n ei c on fr on ti d ei s en ti m en ti , co nt ro u n m on do f re dd o, s az io , sc le ro ti co , so dd is fa tt o di s é, d eg li ad ul ti , n el q ua le t ut to v ie ne a m m in is tr at o, s fr ut ta to , p ro gr am m at o e sv en du to . V ol ev o la tt e e ho r ic ev ut o un b ib er on V ol ev o de i g en it or i e ho r ic ev ut o un g io ca tt ol o V ol ev o pa rl ar e e ho r ic ev ut o un t el ev is or e V ol ev o im pa ra re e ho r ic ev ut o pa ge lle V ol ev o pe ns ar e e ho r ic ev ut o sa pe re V ol ev o un a vi si on e ge ne ra le e ho r ic ev ut o un ’u di en za V ol ev o es se re li be ro e ho r ic ev ut o la d is ci pl in a V ol ev o am or e e ho r ic ev ut o la m or al e V ol ev o un a pr of es si on e e ho r ic ev ut o un p os to V ol ev o fe lic it à e ho r ic ev ut o de na ro V ol ev o lib er tà e ho r ic ev ut o un ’a ut om ob ile V ol ev o un s en so e ho r ic ev ut o un a ca rr ie ra V ol ev o sp er an za e ho r ic ev ut o pa ur a V ol ev o ca m bi ar e e ho r ic ev ut o co m pa ss io ne V ol ev o vi ve re e ... 21 Di fatto non mi conosco: tre dimensioni della personalità Dopo lo stimolo, il coordinatore delle attività educative passa al difficile com- pito di aiutare l’adolescente a conoscere se stesso e le caratteristiche della sua personalità. In questa azione, si propone – quale guida – l’idea di persona “composta” da tre dimensioni o sfere, quella spirituale (cognitiva), quella affettiva (emotiva) e quella corporea (comportamentale) e si riflette sulle possibili interazioni tra di esse, evitando ogni lettura deterministica; ogni persona, infatti, è sempre in intera- zione con se stessa, con l’ambiente e con gli altri, esercitando e subendo influenze. Scopo di questo intervento educativo è soprattutto quello di aiutare l’adole- scente a comprendere meglio se stesso, i suoi comportamenti, i suoi atteggiamenti e i meccanismi che utilizza nella relazione con se stesso e con il mondo esterno perché l’esperienza fa dire che l’adolescente “di fatto… non si conosce ”. 22 L’ af fe tt iv o (e m ot iv o) Il c or po re o (c om po rt am en ta le ) Lo s pi ri tu al e (c og ni ti vo ) 23 24 Lo s pi ri tu al e (c og ni ti vo ) L’ af fe tt iv o (e m ot iv o) Il c or po re o (c om po rt am en ta le ) 25 Lo s vi lu pp o eq ui lib ra to d el le t re d im en si on i p er m et te al l’u om o di e ss er e “a ut en ti co ” e di s vi lu pp ar si i n m od o ar m on ic o. In g en er al e si am o at te nt i a s vi lu pp ar e la d im en si on e co rp or ea (c on l a cu ra d el c or po e l ’a tt en zi on e ai co m po rt am en ti ) e qu el la s pi ri tu al e (c on l o st ud ia re , l’i m pa ra re u na p ro fe ss io ne , ec c. ). Po ch i s on o qu el li ch e cu ra no la d im en si on e af fe tt iv a (l e em oz io ni ), ch e è la ce rn ie ra in di sp en sa bi le al l’i nt er no d el le a lt re d ue ; è le ga ta a l co rp o, a i se ns i, pe rc hé l e te rm in az io ni n er vo se e nt ra no i n co nt at to c on l e co se , co n gl i al tr i es se ri v iv en ti e tr as m et to no l e lo ro “ im pr es si on i” a t ut to i l no st ro co rp o (a d es .: tr em ia m o, ar ro ss ia m o, pr ov ia m o do lo re , ec c. ); è l eg at a an ch e al la n os tr a m en te , al pi an o sp ir it ua le ( ad e s. d ic ia m o “è b el lo ”, “ m i è si m pa ti co ”, “ so no p ie no d i gi oi a” , “s on o co lm o di tr is te zz a” , ec c. ); s e è de fi ci ta ri a vi è s qu ili br io fi no a lla r ot tu ra . S e vu oi “ co st ru ir ti ” be ne d ev i av er e cu ra d el la sf er a af fe tt iv a! 26 N on p uo i m et te re in d is cu ss io ne la t ua s tr ut tu ra ; pu oi a gi re su lle t ue f or ze v it al i: se s ei le al e, t u no n pu oi s cu sa re i t uo i co m po rt am en ti r ip ro ve vo li di ce nd o “n on è c ol pa m ia ”. Le f or ze v it al i, ch e so no a l iv el lo d i pr og et to , po ss on o vi n- ce re g li os ta co li: n on s i pu ò co st ru ir e un a ca sa d i m at to ni se nz a la c al ce . R ic on os ci e a cc et ta i l tu o “c ap it al e” : il pr ob le m a no n è ci ò ch e ha i, m a l’u so c he n e fa i. A m a e ri sp et ta t e st es so , al tr im en ti p er t ut ta l a vi ta s ar ai in so dd is fa tt o di t e st es so e d in ca pa ce d i a m ar e gl i a lt ri . Le t re d im en si on i s on o co m e le g am be e le b ra cc ia : s e un a di qu es te n on v ie ne u ti liz za ta , i tu oi m ov im en ti s ar an no n ot e- vo lm en te li m it at i. Es se re “ eq ui lib ra ti ” vu ol d ir e ut ili zz ar e ug ua lm en te t ut te le fo rz e vi ta li di o gn i d im en si on e. Pe r co m un ic ar e co n gl i al tr i oc co rr e se rv ir si d i tu tt e e tr e le d im en si on i (c om po rt am en ta le , em ot iv a e co gn it iv a) , al tr i- m en ti n on c ’è i nc on tr o co n gl i al tr i, è co m e se n on s i pa r- la ss e la s te ss a lin gu a. 27 Mol te p er so ne v iv on o in s ol it ud in e pe rc hé n on h an no sa pu to s vi lu pp ar e ar m on ic am en te t ut te l e di m en si on i de lla pe rs on al it à; q ue st o pu ò av er e, c om e co ns eg ue nz a, i l se n- ti rs i in co m pr es i, no n ac ce tt at i, l’a ve re p oc hi a m ic i. La p ri m a co nd iz io ne d a ri sp et ta re p er e ss er e uo m o o do nn a di c om un io ne è q ue lla d i pr es en ta rs i co n tu tt e le ri cc he zz e de lle t re s fe re : al lo ra c i si s tu pi rà p er ch é si sa rà a sc ol ta ti e a m at i an ch e da c ol or o ch e te ng on o “l e po rt e bl in da te ”. Ci ò ch e va le p er l ’in co nt ro p er so na le v al e an co ra d i pi ù ne lla v it a di c op pi a; i nf at ti , un ir e du e co rp i no n è sp os ar si (c or po re o) ; un ir e so lo d ue c uo ri n on è s po sa rs i (e m ot iv o) ; un ir e so lo d ue m en ti n on è s po sa rs i (c og ni ti vo ). C i si sp os a m et te nd o in g io co t ut te e t re l e di m en si on i de lla pr op ri a pe rs on al it à, m a pr im a oc co rr e ve ri fi ca re se fu nz io na no . Pi ù in g en er al e, u na s oc ie tà c he s i pr eo cc up a so lo d el co rp o no n st ar à in p ie di e n on c on se nt ir à ai s uo i m em br i di s bo cc ia re p ie na m en te a lla v it a. 28 Pu ò su cc ed er e ch e le t re d im en si on i s i s vi lu pp in o in m od o di sa rm on ic o S e le t re d im en si on i s on o sp ro po rz io na te , l a pe rs on a ha d if fi co lt à a ra pp or ta rs i i n m od o ad eg ua to c on s e st es sa e c on il m on do . 29 T u se i v iv o, s ei a bi ta to d al la v it a: c am m in i, se nt i, pe ns i, ec c. N on s ei u n uo m o in p ez zi , a ni m at o da p iù v it e ch e si s ov ra pp on go no , c he s i s vi lu pp an o le u ne s op ra le a lt re , m a da u na s ol a vi ta . Le t re g ra nd i f or ze v it al i s on o: le f or ze v it al i f is ic he , l e fo rz e vi ta li se ns ib ili , l e fo rz e vi ta li sp ir it ua li. La t ua c os tr uz io ne d i u om o av ve rr à vi a vi a ch e av ra i i nt eg ra to t ut te q ue st e fo rz e e an no da to s tr et ta m en te i r ap po rt i t ra i tu oi d iv er si p ia ni , p er m et te nd o co sì a lla v it a di c ir co la re e d i u ni fi ca re t ut to il t uo e ss er e. D a cr is ti an i c re di am o ch e: ✽ T u se i u n uo m o di r el az io ne , p er ch é D io t i h a de si de ra to d a tu tt a l’e te rn it à, e t i h a fa tt o “a s ua im m ag in e e so m ig lia nz a” ; ✽ D io “ è” r el az io ne . E gl i è “ Pa dr e, F ig lio , S pi ri to S an to ”: t re e nt it à ta lm en te u ni te d a es se re “ U N O ”; ✽ L’ uo m o, i nv ec e, n on è f at to u na v ol te p er t ut te , è an co ra d a fa re , de ve c os tr ui rs i, at tr av er so l a re la - zi on e, in t re d ir ez io ni : al l’i nt er no d i s é, v er so l’ un iv er so e t ut ti i fr at el li e ve rs o D io ; ✽ D io t i c hi ed e di p ar te ci pa re a lla s ua c re az io ne , l ib er o di a nd ar e in t ut te le d ir ez io ni c he t i f an no “ uo m o” , di a m ar e co m e am a Lu i: am ar e l’a lt ro è v ol er e ch e si a lib er o di a m ar e; ✽ D io t i h a da to t ut ti i m ez zi , “ l’e ss en zi al e pe r co st ru ir ti ”; ✽ N el la v it a di r el az io ne c on D io , no n ba st a co lt iv ar e le b el le i de e, p ro va re p ro fo nd e em oz io ni a nc he r el i- gi os e, e sp ri m er si c on g es ti ; ✽ È l’u om o co m pl et o ch e de ve p re se nt ar si d av an ti a D io , pe rc hé L ui s i è pr es en ta to d av an ti a n oi n el s uo Fi gl io “ U om o pe rf et to ”; ✽ È l’u om o co m pl et o ch e ca m m in a ve rs o il su o co m pi m en to , l a ri su rr ez io ne ; ✽ È ne ll’ un it à di u na s ol a pe rs on a ch e ci s i s vi lu pp a e si d iv en ta “ se s te ss i” . 31 … per diventare adulto: riflessioni sulla vita Dalla conoscenza della persona alla riflessione più impegnativa della “persona che vive” come uomo e come cristiano. Si riflette sulla vita come mistero e come dono, sugli aspetti positivi che la rendono unica e per questo importantissima, sulla necessaria fiducia in essa. Scopo di questo tema educativo è quello di far capire all’adolescente quanto è importante cercare di vivere con la consapevolezza del senso e dell’importanza che la vita ha per ogni essere vivente, e che è necessario accettare incondizionatamente la vita se si vuole crescere e diventare una persona matura e integrata. 32 .. .P ER D IV EN TA RE “ A D U LT O ” IL S EN SO D EL LA V IT A LA V IT A C I È D O N A TA H ai r ic ev ut o i m at er ia li ne ce ss ar i pe r st ru tt ur ar e l’u om o ch e de vi d iv en ta re , h ai r ic ev ut o la v it a ch e li an im a. N es su n uo m o si d à la v it a da s ol o, m a la r ic ev e gr at ui ta - m en te s en za a ve rl a ch ie st a: p ri m a o po i l’a do le sc en te s i la m en ta d i qu es to ( “n on h o ch ie st o io d i na sc er e” ) e di v i- ve re s ec on do c ri te ri im po st i d ai g en it or i e d ag li ed uc at or i. L’ ad ol es ce nt e è an co ra g io va ne , es it a a de ci de re s e ac ce t- ta re la v it a o no , s e in iz ia re a m et te re le p ri m e pi et re d el la su a co st ru zi on e. L’ uo m o, in ve ce , a cc og lie la v it a e ac ce tt a di f ar se ne c ar ic o, te nt a a po co a p oc o di f ar s ua l a vi ta , de si de ra t ra sm et - te rl a gr at ui ta m en te . C’ è il pe ri co lo d i re st ar e et er na m en te a do le sc en ti , di l a- sc ia rs i t ra sc in ar e: s e vu oi d iv en ta re u n uo m o e no n sc iu pa re la t ua v it a da a du lt o, c om in ci a si n da o ra a d ac ce tt ar e la vi ta i nc on di zi on at am en te . 33 Pu oi a cc et ta re la v it a se nz a sa pe re d a do ve v ie ne : co sì v iv on o qu el li ch e no n cr ed on o in n ie nt e, o c re do no “ pe r ca so ”. Pu oi “ be n” v iv er e, s en za s ap er e pe rc hé v iv i: co sì è p er c ol or o ch e ig no ra no l ’o ri gi ne d el la v it a, m a pe ns an o ch e es sa , no no - st an te l e di ff ic ol tà c he s i in co nt ra no , va lg a la p en a di e ss er e vi ss ut a, c he v ad a ri sp et ta ta , di fe sa , sv ilu pp at a se m pr e pi ù, pe r se s te ss i e p er le p er so ne c he s i a m an o. Pu oi v iv er e cr ed en do c he , al d i là d i tu tt i gl i in te rm ed ia ri at tr av er so i q ua li la v it a è gi un ta a t e, e ss a na sc a da u na so rg en te e te rn am en te z am pi lla nt e e ch e qu es ta s or ge nt e è D io -P ad re . S e lo c re di , ti l ib er i da lla d up lic e an go sc ia e si st en zi al e di c ui so ff ro no m ol ti u om in i: l ’a ng os ci a di e ss er e “f ig li di p ad re ig no to ” e l’a ng os ci a di v iv er e “s en za s ap er e pe rc hé s i v iv e” . La v it a è m is te ro , no n sa pp ia m o pe rc hé s ia m o na ti , pe rc hé do bb ia m o so ff ri re , pe rc hé d ob bi am o m or ir e. L ’u ni ca c os a ce rt a è ch e Cr is to è r is or to e a nc he n oi r is or ge re m o co m e Lu i. 34 L’ ac qu a ch e ve di s co rr er e ne l f iu m e è pu ra e b el la a lla f on te . S on o gl i e le m en ti e st e- ri or i ad e ss a ch e la i nq ui na no e l a re nd on o ta le d a pr ov oc ar e le m al at ti e o la m or te . Co sì è la v it a! La v it a, s e la v ed i “ sc or re re ” in t e, a tt or no a t e, t i s em br a be lla , e pp ur e ti la m en ti e t i ri be lli d el le p ro ve , d el le s of fe re nz e, e q ua lc he v ol ta a sc ol ti d el le “ si re ne ” ch e ti m or - m or an o ch e bi so gn a ra ss eg na rs i pe rc hé l a vi ta è u na v al le d i la cr im e. N on s ba gl ia re be rs ag lio : n on a cc us ar e la v it a! L’ ac qu a de l f iu m e no n ha c ol pa s e è in qu in at a, c os ì a nc he la v it a è be lla e f ec on da a lla su a so rg en te ; s on o i c an al i c he e ss a pe rc or re in t e e ne i t uo i f ra te lli , n el la s oc ie tà , so no g li os ta co li ch e er gi am o da va nt i a le i a d in qu in ar la , d is pe rd er la e a rr es ta rl a. D ev i a ve re f id uc ia c on t ut te le t ue f or ze , a nc he s e ig no ri il n om e di c hi t i h a tr as m es so la v it a, a nc he s e ri ti en i c he t i s ia s ta ta t ra sm es sa s en za a m or e, a nc he s e tu , f in or a, l’ ha i sp re ca ta , s ci up at a: q ue st a vi ta , l a tu a vi ta , è b el la , e a l d i l à di t ut te le im pu ri tà e le br ut tu re , è r ic ca d i p os si bi lit à, r ec a in s é i f io ri e i fr ut ti c he s ei c hi am at o a pr od ur re . S ei li be ro d i s ce gl ie re la d ir ez io ne d a se gu ir e pe r “c os tr ui rt i”, e d i d ec id er e la v ia pe r ce rc ar e di a rr iv ar ci . LE PO S IT IV IT À D EL LA V IT A 35 D a cr is ti an i c re di am o ch e: ✽ L’ or ig in e di o gn i v it a è D io P ad re , A m or e in fi ni to . ✽ S ei u n vi ve nt e no n “p er c as o” , m a pe rc hé s ei a m at o da D io . ✽ A m ar e è se m pr e da re l a vi ta a d un a lt ro , es se re a m at i è se m pr e ri ce ve re la v it a da u n al tr o. ✽ S e D io c es sa ss e di a m ar ti t u ce ss er es ti d i es is te re , m a D io n on sm et te rà m ai d i am ar ti p er ch é è A m or e In fi ni to e t u sa ra i am at o pe r se m pr e. ✽ La v it a, d on o di D io , ne lla s or ge nt e no n pu ò es se re c he b el la e p ur a. D io t i do na l a vi ta o gn i gi or no , qu in di s ei i nf in it am en te r ic co , pi ù di qu an to p en si . ✽ N ie nt e pu ò re si st er e al t uo s vi lu pp o e al la t ua c re sc it a, p er ch é è fr ut to p er pe tu o de ll’ am or e di D io , ec ce tt o la t ua l ib er tà , un ic a fr on ti er a ch e D io n on p uò v al ic ar e se nz a il tu o co ns en so e l a tu a pa rt ec ip az io ne . ✽ T u se i lib er o di r ic ev er e, d i sv ilu pp ar e e di t ra sm et te re l a vi ta , m a pu oi a nc he s ci up ar la , d is to gl ie rl a da l s uo f in e. ✽ T ut ta vi a l’a m or e di D io n on c es sa m ai d i ri da rc i la v it a at tr av er so i l su o Fi gl io G es ù Cr is to c he c i p ur if ic a. ✽ S e ti u ni sc i a D io v iv i et er na m en te ! G es ù ha d et to “ ch i cr ed e in m e no n m or ir à in e te rn o” , “i o so no l a vi a, l a ve ri tà e l a vi ta ”, “ io s on o il sa le d el la t er ra ”. 36 1) Ce rc a e vi vi u n id ea le a d al to v ol ta gg io , ch e di a si gn if i- ca to e o ri en ti il t uo p ro ge tt o di v it a. 2) N on t em er e le d if fi co lt à ch e pu oi i nc on tr ar e, s e la vo ri co n m et od o e te na ci a le s up er er ai . 3) L’ am ic iz ia e l ’a m or e ve ro s on o ba ls am o di v it a. N on t ut to pe rò è p ac e, l ’a m ic iz ia e l ’a m or e ve ro s on o un a co nq ui st a qu ot id ia na . 4) N on s co ra gg ia rt i ne llo s tu di o e ne l la vo ro ; do po o gn i er - ro re r it en ta e r ic om in ci a. 5) A bb i fi du ci a in t e st es so , in c hi t i vu ol e ve ra m en te b en e e in D io . 6) A cc et ta l a sa gg ez za d i ch i ha p iù e sp er ie nz a di t e, s o- pr at tu tt o se t e ne f a do no s en za p re su nz io ne e s en za ar ro ga nz a. 7) N on c re de re c he i l de na ro e u na v it a fa ci le t i re nd an o fe lic e. 8) A m a ch i ti è v ic in o e si i os pi te c on c hi l a pe ns a di ve rs a- m en te d a te . 9) S e se i so lo a f ar e ci ò ch e ri ti en i gi us to , no n cr ed er e di av er e sb ag lia to . 10) D iv id i co n gl i al tr i la t ua g io ia d i vi ve re , m a so pr at tu tt o ai ut al i a d es se re f el ic i. IL D EC A LO G O D I PA D R E CI A M 37 In un mondo che cambia: quali sono i valori fondamentali? Una proposta Avere una scala di valori è fondamentale per la persona soprattutto nel periodo adolescenziale in quanto i valori spingono e dirigono il comportamento, hanno la funzione di parametro per valutare le cose giuste e quelle sbagliate e aiutano le persone a vivere inseriti nella società. Scopo di questo intervento educativo è quello di illustrare agli adolescenti cosa sono i valori, quale funzione hanno e quali sono, e di aiutarli a guardare con spirito critico i valori dominanti oggi rispetto a quelli fondamentali, in modo che possano avere degli strumenti utili per la costruzione di una loro scala di valori. 38 IN U N M O N D O C H E CA M BI A I VA LO RI F O N D A M EN TA LI : U N A P RO PO ST A S i d ic e de lle c ili eg ie : un a ti ra l’ al tr a. L a st es sa c os a su cc ed e ai v al or i. Il v al or e fo nd am en ta le c he u na p er so na s ce gl ie , “ ti ra ” co n sé in ev it ab ilm en te u na s er ie d i a lt ri v al or i. U n va lo re f on da m en ta le d i c ui è n ec es sa ri o pa rl ar e è la d ig ni tà d el la p er so na u m an a. Il v al or e è ge ne ra to d a un b en e no n ne go zi ab ile e d è le ga to a d un a se ri e di a lt ri v al or i. Q ui nd i l a di gn it à de lla p er so na u m an a, in q ua nt o va lo re f on da m en ta le , p or ta c on s é al tr i v al or i f on da m en ta li. D IG N IT À D EL LA P ER SO N A U M A N A Li be rt à, r es po ns ab ili tà , so lid ar ie tà , gi us ti zi a, c re at iv it à, i nt er io ri tà , de m oc ra zi a, o rd in am en to s ta ta le e g iu ri di co , e cc . A m ic iz ia , bo nt à, c om pr en si on e, c or te si a, f ed el tà , fa m ig lia , ge ne ro si tà , la bo ri os it à, le al tà , o bb ed ie nz a, o rd in e, o tt im is m o, p az ie nz a, p er se ve ra nz a, pr ud en za , p ud or e, r is pe tt o, s em pl ic it à, s in ce ri tà , s oc ie vo le zz a, s ac ri fi ci o, fi du ci a, s po rt , m us ic a, s tu di o, r ic on os ce nz a, r el ig io si tà , p re gh ie ra . VI TA PA CE EC O LO GI A A da tta to d a: F E R R E R O B., I va lo ri . S i, m a qu al i?, In se rt o “M on do E rr e” . Va lo ri f on da m en ta li Va lo ri s tr um en ta li Al tr i va lo ri 39 IN U N M O N D O C H E CA M BI A IL V A LO RE F O N D A M EN TA LE S ce gl ie re c om e va lo re f on da m en ta le la d ig ni tà d el la p er so na u m an a si gn if ic a cr ed er e ch e l’u om o è un e ss er e ch e si d is ti ng ue d a tu tt e le c re at ur e, è a ss ol ut am en te e cc ez io na le p er ch é è co st it ui to in m od o un ic o. L ’u om o è sp ir it o e co rp o, in te lli ge nz a e vo lo nt à, e h a la c ap ac it à di p ro ge tt ar e, a m ar e, p en sa re , r ic re ar e e co or di na re la r ea lt à in c ui s i t ro va in se ri to . La d ig ni tà d el la p er so na u m an a co m e va lo re f on da m en ta le s ig ni fi ca s op ra tt ut to in ca m m in ar si su t re s tr ad e im po rt an ti . LA S TR AD A DE LL A VI TA La v it a è tu tt o qu el lo c he a bb ia m o. La v it a è un d on o im m en so , in cr e- di bi le , ch e de ve e ss er e di fe so e pr ot et to a q ua lu nq ue c os to . LA S TR AD A DE LL A CR ES CI TA DE LL O S PI RI TO O gn i u om o è po ss ib ili tà il lim it at a. O gn i u om o è un c om pi to a pe rt o. LA S TR AD A DE LL A SO CI AL IT À S i d iv en ta u om in i “ gr az ie a gl i a lt ri ”: pa rl an do , co m un ic an do , am an do e ai ut an do , fi no ad ar ri va re al la gr an de m et a: D io . 40 LA V IT A , LA PA CE , L’ EC O LO G IA LA V IT A O gg i è u n do no f ra gi le , a ss ed ia to da m in ac ce c on ti nu e. Pe rs in o al le va re u n fi gl io è u n in tr al ci o al la p ro pr ia li be rt à, o pp ur e il ba m bi no è il gi oc at to lo d el la c op pi a. Co n le m an ip ol az io ni , l a vi ta d iv ie ne u n pr od ot to d el la t ec ni ca e d el la s ci en za . La v er go gn a si le nz io sa : l o sf ru tt am en to m in or ile , l a pe do fi lia , l a pr os ti tu zi on e e il la vo ro m in or ile . N on s pe tt a al la s oc ie tà s op pr im er e la v it a. O gn un o è re sp on sa bi le d el la v it a pr op ri a e di q ue lla d eg li al tr i. LA P AC E Il P ap a: “ no n c’ è pa ce se nz a gi us ti zi a, n on c ’è g iu st iz ia se nz a pa ce ”. Pe r co st ru ir e la p ac e oc co rr e el im in ar e l’i de a di n em ic o, di r iv al e, d i c on co rr en te . S e co ns id er ia m o l’a lt ro u n fr at el lo , un c om pa gn o di v ia gg io , n on p ot ra nn o es is te re v io le nz e e co nf lit ti . S ol o co sì c i s ar à ar m on ia s oc ia le , gi us ti zi a, u gu ag lia nz a. L’ EC O LO GI A La d ig ni tà u m an a no n è so lo r is pe tt o pe r la v it a e co st ru zi on e de lla p ac e, m a an ch e am or e e ri sp et to p er l’ am bi en te in c ui la v it a si s vi lu pp a. Ve di il r ac co nt o de lla c re az io ne ( G en es i 1- 2) . O cc or re c am bi ar e m en ta lit à e ab it ud in i, ac qu is ir e co sc ie nz a ec ol og ic a e sc ie nt if ic a (s up er ar e i c on ce tt i d i s pr ec ar e, r ov in ar e, di st ru gg er e, in qu in ar e) . Bi so gn a av er e un a di ve rs a co nc ez io ne de l p ro gr es so ( ri gu ar do a ll’ al im en ta zi on e, al la c as a, a ll’ is tr uz io ne , a lla s al ut e, al la d ig ni tà d el la v it a, a lla s al va gu ar di a de ll’ am bi en te , e cc .). D ob bi am o im pa ra re a c on te m pl ar e la n at ur a: i c ie li e la t er ra n ar ra no la g lo ri a di D io . Bi so gn a pe ns ar e ch e ec on om ia , p ol it ic a e te cn ol og ia d ev on o es se re v in co la te ec ol og ic am en te . 41 IL P RO BL EM A: La c ro na ca q uo ti di an a ri po rt a no ti zi e di g io va ni c he u cc id on o o ch e si s ui ci da no , au to ri e v it ti m e di e pi so di d i vi ol en za , dr og a, a lc oo l, ec c. U n es em pi o pe r tu tt i: O m ar e d Er ic a. S hi m ai Ko d ic e: “ N on m or it e ra ga zz i! L i a bb ia m o cr es ci ut i c om e vo le va no , s ec on do i no st ri id ea li e i n os tr i v al or i, e po i l i ab bi am o la sc ia ti s ol i, in ca pa ci d i af fr on ta re l a re al tà . I no st ri r ag az zi n on h an no r ag gi un to l a m at ur it à em ot iv a, s on o m ol to in te lli ge nt i, m a te rr ib ilm en te f ra gi li “d en tr o” , b as ta la m or te d i u n lo ro id ol o pe r fa rl i c ro lla re . S ia m o un a gr an de po te nz a, m a ab bi am o pa ga to e s ti am o pa ga nd o un p re zz o to ta lm en te in p er di ta , l ’a ns ia d el s uc ce ss o ha d is tr ut to t ut ti i va lo ri , v ir tù , s im bo li. A bb ia m o ri ce rc at o nu ov i v al or i e n uo vi s im bo li, m a qu es ti s i s on o ri ve la ti in cr ed ib ilm en te f al si ”. IL T EMP O D EG LI I D O LI O G G I LA V AN IT À E L’ O ST EN TA ZI O N E La p ub bl ic it à di ce : “ uo m o no n so ff oc ar e la v an it à ch e c’ è in t e, e sa lt al a” . N on c on ta q ue llo c he u n uo m o o un a do nn a so no , m a il lo ro a bb ig lia m en to , i l or o og ge tt i, le lo ro v ac an ze , e cc . U n uo m o o un a do nn a va lg on o qu an do h an no un a m ac ch in a di lu ss o, m ol to d en ar o, e cc . IL P IA CE RE C O M E M IS UR A DI T UT TO Pa ro la d ’o rd in e: t ut to e s ub it o! L’ im po rt an te è e ss er e ri cc hi , b el li, fa m os i, po te nt i, … Er ot is m o di o gn i s pe ci e. A m or e in te so c on a gg et to d i c on su m o (e s. : “ Il g ra nd e fr at el lo ”) . IL C UL TO D EL C O RP O D ev e es se re s an o, b el lo , a bb ro nz at o. Ci s on o se m pr e pi ù pa le st re , s au ne , cl in ic he s pe ci al iz za te p er l’ es te ti ca , la m pa de s ol ar i. Bi so gn a es se re g io va ni a t ut ti i co st i! U n es em pi o pe r tu tt i: i p er so na gg i d el m on do d el lo s pe tt ac ol o. LA V IO LE N ZA E L A CO M PE TI TI VI TÀ Met te re a l p ri m o po st o il su cc es so , il de na ro . L’ us o de lla f or za p er a rr iv ar e al s uc ce ss o a qu al un qu e co st o. Il d iv is m o, c om e de si de ri o di f ar e so gn i da t el es ch er m o, e cc . IL S UC CE SS O E L A RI CC H EZ ZA S i d es id er a oc cu pa re r uo li im po rt an ti a qu al un qu e co st o. S i v uo le a ve re t an ti s ol di p er e ss er e im po rt an te , p er d om in ar e. I ge ni to ri s pi ng on o i b am bi ni a f ar e m ill e co se r en de nd ol i “ fi gl i p ro gr am m at i” . IN TE RR O GA TI VI Ma in c he c os a de ve c re de re un u om o og gi ? Co s’ è ch e fa u na v it a “r iu sc it a” ? ... ME S S A G G I CO N T RO CO RR EN T E. .. 42 LI B E R T À A bb as so l e ca te ne ! S cr iv e un g io va ne d i ve nt ’a nn i: “S ia m o cr es ci ut i a vi ta m in e e sp or t, … m a no n si am o co nt en ti , … gl i a du lt i d ic on o di a ve rc i d at o tu tt o pe r il no st ro b en es se re , p er la n os tr a tr an qu ill it à … m a no i n on s ia m o co nt en ti ”. Li be rt à da : ri fi ut o de i co nd iz io na m en ti e st er ni e d in te rn i. La d ig ni tà d el la p er so na e si ge d i no n es se re i nc at en at a da lle m al at ti e, d al la f am e, d al la p ov er tà , da lle m an ip ol az io ni t ec no lo gi ch e, d al le p re ss io ni a m bi en ta li, s oc ia li, po lit ic he , pu bb lic it ar ie . L a lib er tà n on l a tr ov i al l iv el lo d el t uo c or po , m a de l tu o sp ir it o (s e vu oi e ss er e lib er o de vi ba tt er ti c on tr o te s te ss o, c on tr o l’e go is m o, l’ or go gl io , l a m an ca nz a di im pe gn o) . Li be rt à pe r: l a lib er tà c he f a ve ra m en te g ra nd e la p er so na è l a ca pa ci tà d i de ci de re , di s ce gl ie re , di p ro ge tt ar e. Im pi eg ar e co n de ci si on e l’e ne rg ia p er u n id ea le , pe r pl as m ar e la s to ri a, p er a nd ar e co nt ro c hi v uo le d is tr ug ge re l a vi ta , p er p or ta re s pe ra nz a. D on ar e qu al ch e co sa a gl i a lt ri : pe r qu es to “ D io h a fa tt o te ”. Li be rt à in si em e a: l ’u om o no n è fa tt o pe r vi ve re d en tr o ad u na n oc e di c oc co p er t ut ta la v it a. L ’u om o è un e ss er e so ci al e fa tt o pe r vi ve re l a so lid ar ie tà u ni ve rs al e. L a so lid ar ie tà è l ’e sp re ss io ne m ig lio re d el l’a m or e un iv er sa le e pe rm an en te . E ri ch F ro m m d ic e: “ S e am as si v er am en te u na p er so na , i o am er ei il m on do , a m er ei la v it a. S e po ss o di re ad u n al tr o «ti a m o», d ev o es se re in g ra do d i d ir e «am o tu tt i i n te , a m o il m on do a tt ra ve rs o te , a m o in t e an ch e m e st es so »”. L a pr im a es ig en za d el l’a m or e è la g iu st iz ia . Pr en de re d el t em po p er : es is te n el l’u om o l’i st in to i ns op pr im ib ile d i cr ea re , ag ir e, f ar e, l av or ar e, i nt es o co m e di - ri tt o ad e sp ri m er si , ad e ss er e cr ea ti vo . L’ uo m o è fa tt o pe r ci ò ch e è “b el lo ”, n on s ol o pe r qu el lo c he è e co no m i- ca m en te u ti le . L’ uo m o è an ch e co sc ie nz a, i nt er io ri tà . V iv er e il va lo re d el l’i nt er io ri tà s ig ni fi ca s co pr ir e l’i m m en sa ri cc he zz a ch e l’u om o ha “ de nt ro ”, p er a sc ol ta re i ba tt it i d el c uo re d i D io . 43 In un mondo che cambia: occorre costruirsi un guardaroba! Con l’espressione “costruirsi un guardaroba” si intende fornire agli adole- scenti una gamma di stimoli che consenta loro di prendere consapevolezza delle caratteristiche necessarie per crescere e diventare degli adulti consapevoli, ricchi, integrati e capaci di affrontare la vita e il mondo del lavoro. Non bisogna pensare al “guardaroba” come ad un insieme di costumi e maschere da indossare all’oc- correnza, ma come un bagaglio di risorse, informazioni, consigli per i ragazzi in sviluppo. Gli adolescenti attraversano una fase critica della loro crescita e questo tema può avere la funzione di guidarli nel loro percorso mettendoli in guardia dai peri- coli e fornendo i mezzi per affrontarli. 44 LA ME D IO CR IT À N O N P R EMI A MA I! D EV I A LL EN A R T I! 45 O PE RA ZI O N E “F A TT I IL GU A RD A RO BA ” 46 47 48 49 50 51 CO N Q U ES TO G U A RD A RO BA P U O I CI M EN TA RT I IN Q U A LU N Q U E IM PR ES A 53 In un mondo che cambia: occorre essere capaci di resistere positiva- mente all’ostilità dell’ambiente Offriamo alcuni suggerimenti per aiutare il giovane a capire come affrontare il mondo esterno e soprattutto le persone che incontrerà nel suo cammino professio- nale e personale. Saranno presentate delle situazioni tipo con la funzione di esempio e di filtro per le situazioni che il giovane potrebbe vivere. L’intento è quello di far vedere come è possibile e utile reagire a determinate situazioni. 54 55 56 57 Seconda parte IL MONDO DEL LAVORO • Alcune parole chiave • Il mondo del CFP e del lavoro: – lavoro: il senso – lavoro: ambiti e tipi – lavoro: ruolo 61 Alcune parole chiave Presentiamo alcune parole-chiave da apprendere – come esempio – per aiutare l’allievo ad inserirsi nel complesso mondo del CFP e, più in generale, nel mondo del lavoro. Alla base della proposta c’è la convinzione fondata che il linguaggio della formazione professionale e del lavoro non è conosciuto e pertanto anche il lin- guaggio va progressivamente spiegato. 62 63 Il mondo del CFP e del lavoro: • lavoro: il senso • lavoro: ambiti e tipi • lavoro: ruolo professionale Alcuni stimoli per: – maturare, gradualmente, nella capacità di lettura del mondo del lavoro a par- tire dall’esperienza della vita del CFP (senso, valori …), – prendere coscienza dell’importanza della formazione professionale per poter affrontare il mondo del lavoro, – assimilare quelle qualità che sono necessarie nel mondo del lavoro. 64 IN UN MONDO CHE CAMBIA UNA VISIONE DEL MONDO DEL LAVORO IN UN MONDO CHE CAMBIA una visione del mondo del lavoro IN UN MONDO CHE CAMBIA una visione del mondo del lavoro IL LAVORO NON È UNA CONDANNA ◆ Il lavoro è una partecipazione creati- va dell’uomo al potere divino: il mondo è stato creato “perché fosse lavora- to” con creatività e soddisfazione dal- l’uomo. Il lavoro è un’azione corretta verso Dio e verso l’uomo. ◆ Il lavoro è un bene prezioso per tutta la società civile. ◆ Il lavoro aumenta la capacità di con- trollo della propria vita e la sensazio- ne di essere in grado di controllare il proprio futuro. ◆ L’identità professionale è la parte più visibile dell’identità sociale, quale ri- flesso sulla persona. 65 C’È UNA DIGNITÀ DEL LAVORATORE ◆ Il lavoratore, oltre a procurare il vi- vere a se stesso, contribuisce al pro- gresso civile e sociale, alla crescita tecnica, culturale e morale della so- cietà in cui vive. ◆ Il lavoro diventa alienante quando è considerato soltanto come strumento di produzione. ◆ L’uomo, lavorando, acquista diritti che gli derivano dall’aver prodotto dei ri- sultati utili per la società in cui vive. ◆ C’è una dignità che gli deriva in quanto “uomo-persona”: “l’uomo non vale solo per quello che produce” (Giovanni Paolo II, 1991). ◆ Il valore del lavoro non è determinato dal genere di attività, ma dal fatto che chi lo esegue è una persona. C’È UNA DIGNITÀ DEL LAVORO ◆ Il valore dell’attività professio- nale non dipende dal “cosa” si fa, ma dal “come” si fa. ◆ Il lavoro non è solo un mezzo per procurarsi un reddito: è una sorta di cittadinanza che non dipende dalla categoria professionale, quanto dal modo in cui si esercita e si esprime il suo linguaggio. ◆ Don Bosco diceva “chi lavora con amore e assiduità ha la pace nel cuore e trova leggera la fatica”. 66 IL VALORE È NELLA FORMAZIONE Si racconta che un comandante di una nave in avaria chiamò l’assistenza tecni- ca. Si vide arrivare, al posto di un’équi- pe di tecnici, un ometto insignificante con una valigetta che andò in sala mac- chine e diede un colpo di martello su un tubo che portava l’acqua alle caldaie e la petroliera si mise in moto. Quando presentò il conto chiese diecimila dolla- ri. Il comandante si rifiutò di pagare perché gli sembrava troppo e pretese un dettagliato rapporto. Il giorno dopo l’ometto presentò il conto: uno dollaro per il colpo di martello e 9.999 dollari per aver saputo dare il colpo di martel- lo al posto giusto. IL VALORE È NELLA FORMAZIONE ◆ Quello che conta è il valore aggiunto della formazione e la competenza acquisita. ◆ Quello che conta oggi è mantenersi sul mercato curando con attenzione la propria professionalità in un oriz- zonte di formazione continua. ◆ La ricchezza e la povertà si legano, così, sempre più, alla ricchezza e alla povertà della formazione pos- seduta. 67 IL BUON LAVORO È AD ALTA DEFINIZIONE ◆ Le piccole cose sono quelle che manife- stano la nostra qualità e personalità professionale. ◆ Si manifestano nel rapporto leale e cor- retto con i superiori, con i colleghi e i subalterni, nel rispetto della dignità delle persone, nel lavoro svolto con ac- curatezza, nell’aspetto, nell’abbiglia- mento, ecc. ◆ Michelangelo diceva che “i capolavori sono fatti di dettagli”, ma il realizzarli costa sacrificio. I dettagli sono la pie- tra di paragone del lavoro ben fatto. ◆ Il portare avanti giorno dopo giorno dettagli semplici del proprio lavoro si traduce in affidabilità e disponibilità a ricevere incarichi sempre più signifi- cativi. IL PERFEZIONISMO NON SERVE ◆ “Il meglio è nemico del bene”. ◆ “Sii pronto in tempo” e “rispondi sollecitamente”. ◆ “Chi vince piglia tutto”. ◆ Vincoli, scadenze e limiti temporali non lasciano spazi per il perfezioni- smo o per i ripensamenti. ◆ La teoria di avere più informazioni non sempre è quella vincente: conta la qualità delle informazioni, e la rapidità delle decisioni al momento dell’esecuzione del lavoro. 68 LAVORO E AUTO-REALIZZAZIONE ◆ Una persona è auto-realizzata se svi- luppa pienamente tutte le sue poten- zialità. ◆ Le caratteristiche distintive di una persona auto-realizzata sono: la per- cezione chiara della vita (delle per- sone, delle cose, degli avvenimenti), una naturale semplicità nell’allaccia- re relazioni, l’indipendenza dagli sti- moli esterni, il saper superare meglio le aggressività in ambito professio- nale, la sensibilità e l’abilità sociale, il saper lavorare amabilmente con gli altri rispettando ruoli e competenze. IL LAVORO NON È TUTTO ◆ L’eccesso di lavoro è perico- loso per sé e per gli altri. ◆ Il saper conciliare la profes- sionalità con il proprio stile di vita è molto importante. 69 LA PROFESSIONALITÀ NON È TUTTO ◆ Non bisogna dimenticare che le qualità umane della persona sono più importanti della sem- plice efficienza professionale. ◆ Le virtù esercitabili in ambito lavorativo sono: il rispetto de- gli altri, la lealtà, la sincerità, la pazienza, la cortesia, l’equili- brio, la giustizia, la fermezza, la generosità, l’onestà, il senso di responsabilità, l’umiltà. IL PROFESSIONISTA UMILE È VINCENTE ◆ L’essere umile non significa nascon- dere il proprio valore, ma vedersi come si è. ◆ La misura dell’umiltà è diversa per ogni individuo. ◆ Una serena valorizzazione delle proprie competenze facilita in tem- pi rapidi la ripresa di una nuova at- tività lavorativa. ◆ La cosa più importante è evitare l’attaccamento ad una propria idea senza tenere conto di quella degli altri. 70 A CHE SERVE IL NOSTRO LAVORO ◆ Le buone idee servono al bene di tutti, vanno incontro alle esigen- ze di tutta la società civile, che è composta ed arricchita dalle di- versità. ◆ La mentalità artificiosa è da evi- tare nell’ambito professionale perché porta alla sopraffazione, alla scorrettezza, alla maleduca- zione, all’illegalità. ◆ Un quadro di valori sociali, etici, ecologici e di servizio è fonda- mentale in ambito lavorativo. CON CHI LAVORARE ◆ Tutte le espressioni organiz- zate della società civile vanno valorizzate. ◆ Le diversità vanno valorizzate: in una democrazia sono come l’aria e la luce. 71 COME RAPPORTARSI CON GLI ALTRI ◆ Non è lecito trattare gli uomini senza comprenderli. Bisogna ri- cordare l’importanza del dialogo, e del saper rimandare una deci- sione. ◆ Non è lecito comportarsi con gli altri senza amore, in particolare se da loro si deve esigere qual- che cosa. 73 Il mondo del CFP e del lavoro: • lavoro: il senso • lavoro: ambiti e tipi • lavoro: ruolo professionale Cenni sui settori produttivi e sui principali tipi di rapporti di lavoro oggi. 74 SE TT O RI D I PR O D U ZI O N E: ◆ S et to re p ri m ar io : ag ri co lt ur a, p es ca , at ti vi tà es tr at ti ve ◆ S et to re s ec on da ri o: i nd us tr ia ◆ S et to re t er zi ar io : co m m er ci o, c om un ic az io ni , pu bb lic i es er ci zi , cr ed it o e as si cu ra zi on i, lib er e pr of es si on i, se rv iz i so ci al i. LA VO RO I N Q U A LI TÀ D I “S O CI O ” D I U N A C O O PE RA TI VA : S i b as a su u n pa tt o so ci al e. Il c ap it al e so ci al e ve rs at o da i si ng ol i so ci è m ol to b as so . V al or iz za a l m eg lio l e pe rs on e, i l la vo ro , il pr od ot to . LA VO RO D IP EN D EN TE : S i sv ol ge i n im pr es e pi cc ol e, m ed ie o g ra nd i, so tt o la d ir ez io ne d el da to re d i l av or o. È il ti po d i r ap po rt o di la vo ro p iù d if fu so . Le c on di zi on i d i a ss un zi on e so no d ef in it e da lla le tt er a di a ss un zi on e. Pu ò es se re a t em po d et er m in at o o in de te rm in at o. LA VO RO A U TO N O M O : S i l av or a in p ro pr io , s en za v in co li di s ub or di na zi on e. Le c ar at te ri st ic he p ri nc ip al i s on o: ◆ lib er tà n el la g es ti on e de l te m po ◆ il co m pe ns o è le ga to a l ri su lt at o fi na le ◆ il co m m it te nt e no n of fr e ne ss un a co pe rt ur a pr ev id en zi al e e as si st en zi al e. LA VO RO A D O M IC IL IO : S i la vo ra a c as a pr op ri a co n le a tt re zz a- tu re e i m ac ch in ar i de ll’ az ie nd a fo rn i- tr ic e de l l av or o. I v an ta gg i s on o: ◆ ge st io ne a ut on om a ◆ la vo ri q ua nt o e qu an do v uo i ◆ il te m po l ib er o lo r ic av i ne lle o re de lla g io rn at a ch e pi ù pr ef er is ci ◆ es ti sc i i tu oi r it m i, se i pa ga to p er i l la vo ro c he f ai , la vo ri a c as a se nz a sp os ta rt i. IN U N M O N D O C H E CA M BI A A LC U N I RA PP O RT I D I LA VO RO O GG I 75 LA VO RO I N “ A FF IT TO ” (A GE N ZI A P ER IL LA VO RO ) Il l av or at or e, a nz ic hé s ti pu la re u n co nt ra tt o a te rm in e di re tt am en te c on u n’ az ie nd a, a cc ed e al l’i m pi eg o tr am it e un ’a ge nz ia p ri va ta d i c ol lo ca m en to . È un a so lu zi on e ef fi ca ce p er i la vo ra to ri d is oc cu pa ti , p er i gi ov an i o pe r co lo ro c he h an no d is po ni bi lit à la vo ra ti ve te m po ra ne e “i nt er m it te nt i” . LA VO RO N EL PU BB LI CO I M PI EG O S i sv ol ge a lle d ip en de nz e di En ti p ub bl ic i: Co m un i, Pr ov in ce , R eg io ni , S ta to . LA VO RO P A RA SU BO RD IN A TO È co nt ra dd is ti nt o da ll’ ob bl ig o pe r il la vo ra to re d i fo rn ir e un a pr es ta - zi on e d’ op er a co nt in ua ti va e c oo r- di na ta n on a c ar at te re s ub or di na to . H a le s eg ue nt i c ar at te ri st ic he : ◆ no n ri ch ie de l ’is cr iz io ne a d al bi pr of es si on al i, a di ff er en za d el la vo ro a ut on om o; ◆ no n ri ch ie de p ar ti ta I V A ; ◆ no n è ne ce ss ar io ch e il co n- tr at to s ia r eg is tr at o. TE LE LA VO RO Il T el el av or o è un l av or o se m pl ic e e be n re tr ib ui to : na vi ga nd o in r et e si h a la po ss ib ili tà d i co no sc er e e co nt at ta re m ol te p er so ne c he m ag ar i vo gl io no g ua da gn ar e qu al co sa c om e te . 77 Il mondo del CFP e del lavoro: • lavoro: il senso • lavoro: ambiti e tipi • lavoro: ruolo professionale Cos’è un ruolo professionale, quali sono le sue caratteristiche, quali tipi di ruolo esistono e come il ruolo si può sviluppare durante il percorso lavorativo? Sono i principali temi della sezione. 78 IN U N M O N D O C H E CA M BI A IL RU O LO PR O FE SS IO N A LE Il r uo lo è l’ at te gg ia m en to d i u n in di vi du o le ga to a lle s ue f un zi on i a ll’ in te rn o di u n gr up po o s is te m a so ci al e. “I m po ni ti u n ca ra tt er e e un r uo lo e p oi m an ti en ili c on t e st es so e c on g li al tr i” . I di ve rs i a tt or i: ➭ su pe ri or i: so no e sp re ss io ne d ei d ov er i d el s og ge tt o ve rs o l’o rg an iz za zi on e ➭ no i st es si : do bb ia m o co st ru ir e ed in te rp re ta re il r uo lo r ic hi es to ➭ co lle ghi : la r el az io ne h a un a im po rt an za s tr at eg ic a pe r la c re az io ne d el r uo lo , p er i lim it i e g li sp az i d i az io ne , f in al iz za ti a d un p ro ge tt o di c oo pe ra zi on e. A lc un i i nd ic at or i: ➭ le gi tt im az io ne : liv el lo d i c om pi ti d a sv ol ge re a ll’ in te rn o de lla o rg an iz za zi on e ➭ re sp on sa bi lit à: m at er ie , s et to ri , s tr ut tu re p er u na c om pe te nz a sc ri tt a e pr ot et ta d ai s up er io ri ➭ si st em a pr em ia nt e: pr em i ec on om ic i, be ne fi ci , fo rm az io ne , st ru m en ti d i la vo ro , pr os pe tt iv e ne ll’ or ga - ni zz az io ne ➭ re la zi on i: am bi ti d i co m un ic az io ne p ri vi le gi at a, c ol la bo ra zi on i, re ti d i co no sc en ze a ll’ in te rn o ed al l’e st er no d el l’a zi en da ➭ po te re : da c hi r ic ev e or di ni e a c hi li im pa rt is ce ➭ au to ri tà : co m pe te nz e pr of es si on al i, co no sc en ze , ab ili tà , et ic it à, c ap ac it à di f ar p ro du rr e al p ro pr io gr up po d i l av or o. 79 U ti lit à de l r uo lo in a m bi to la vo ra ti vo : ➭ la v is ib ili tà : l’a de gu am en to a d un m od el lo d i a zi on e la vo ra ti va p er ce pi bi le d a al tr i ➭ la c om un ic ab ili tà : il m od el lo d el l’a zi on e la vo ra ti va v ie ne c om un ic at o in m od o da e ss er e st ab ile e pr ev ed ib ile p er g li al tr i, an ch e pe r un a az io ne d i r it or no a s é ➭ la s em pl if ic az io ne : at te ne rs i ad u n ru ol o si gn if ic a se m pl if ic ar e il ra pp or to d i co lla bo ra zi on e (d ar e e ri ce ve re ) ➭ l’i nt er ca m bi ab ili tà : di sp on ib ili tà a d in te gr az io ni e s os ti tu zi on i co n i co lle gh i ch e sv ol go no u no st es so r uo lo ➭ l’a ff id ab ili tà : sv ol gi m en to d el r uo lo in m od o ad eg ua to a lle r ic hi es te d el l’o rg an iz za zi on e. G li sv ilu pp i d el r uo lo ➭ pu ò es se re c on ti nu am en te r id is eg na to ➭ la c re sc it a de lle c om pe te nz e pe rs on al i r en de a bi li a ri co pr ir e nu ov i r uo li. Terza parte LA “BATTAGLIA” PER IL MONDO DEL LAVORO • Riflettere sul valore del tempo come passato, presente e futuro • Vincere la battaglia del lavoro 83 Riflettere sul senso del tempo interpretato come passato, presente e futuro Questa sezione contiene il tema del tempo inteso come storia passata, storia presente e prospettive future. Scopo del tema è quello di far comprendere all’adolescente che non può pen- sare solo ed unicamente al presente, ma deve educarsi a rintracciare nella propria storia passata i mezzi, le informazioni, le esperienze, ecc. che lo aiutano a vivere meglio e con più consapevolezza il presente. Il tema, inoltre, vuole educarlo a pensare al futuro come prospettiva progres- siva per raggiungere delle mete. Grazie alla consapevolezza del passato, del presente e del futuro, infine, il gio- vane acquisirà le capacità che migliorano sia la prestazione lavorativa sia la perce- zione della propria identità professionale e personale. 84 85 86 87 88 89 90 91 93 Vincere la battaglia del lavoro Lo scopo del tema è quello di far sì che il giovane si trovi, alla fine del suo percorso formativo, abbastanza preparato ad affrontare il mondo del lavoro. Si parla, quindi, di orientamento, di mezzi che il giovane ha a disposizione per ricevere informazioni e di come procurarne di nuove, di attenzioni da avere per sti- lare un curriculum vitae, per sostenere un colloquio e del comportamento più idoneo da tenere, di iniziative da attivare per trovare un lavoro; si invita a riflettere sul valore dello stage e dei tirocini… un insieme di mezzi di cui “attrezzarsi” per affrontare il futuro. 94 95 96 97 98 99 100 101 102 103 104 105 CONCLUSIONE Questo lavoro è stato realizzato grazie alla raccolta di esperienze vissute diret- tamente da un educatore in un CFP. La pubblicazione vuole essere uno strumento soprattutto destinato al coordi- natore delle attività educative ma anche ai formatori in genere i quali vi troveranno stimoli per il lavoro educativo quotidiano nei confronti degli allievi. I temi trattati, infatti, spaziano dalle riflessioni sulla persona fino alle considerazioni sul mondo del lavoro visto in prospettiva. Il destinatario è soprattutto l’adolescente impegnato nei percorsi di formazione professionale iniziale. Ci è sembrato stimolante lo sforzo di tradurre in “itinerario formativo” il com- pito educativo di ogni formatore e del coordinatore in particolare. 107 INDICE Sommario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 Una giornata particolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 PRIMA PARTE: il mondo dell’adolescente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 • Una provocazione: lettera di un quindicenne . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 • Di fatto non mi conosco: tre dimensioni della personalità . . . . . . . . . . . . 21 • … per diventare adulto: riflessioni sulla vita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31 • In un mondo che cambia: – i valori fondamentali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37 – costruirsi un guardaroba . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 – essere capaci di resistere positivamente all’ostilità dell’ambiente . . . . . 53 SECONDA PARTE: il mondo del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59 • Alcune parole chiave . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61 • Il mondo del CFP e del lavoro – lavoro: il senso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63 – lavoro: ambiti e tipi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73 – lavoro: ruolo professionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77 TERZA PARTE: la “battaglia” per il mondo del lavoro . . . . . . . . . . . 81 • Affrontare il tempo come passato, presente, futuro . . . . . . . . . . . . . . . . . 83 • Vincere la battaglia del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93 Conclusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105 Indice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107 109 Pubblicazioni 2002-2005 nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “Studi, progetti, esperienze per una nuova formazione professionale” La collana si propone di contribuire al dibattito suscitato in Italia dalla riforma del si- stema educativo proponendo studi, progetti ed esperienze relativi al sottosistema di istru- zione e di formazione professionale. Si riporta l’elenco dei volumi fin ora pubblicati. Studi 1) CIOFS/FP (a cura di), La formazione professionale per lo sviluppo del territorio. Atti del seminario di formazione europea, Castel Brando (Treviso), 9 - 11 settembre 2002. 2) MALIZIA G. - D. NICOLI - V. PIERONI (a cura di), Ricerca azione di supporto alla speri- mentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP . Rapporto finale. 3) MALIZIA G. - V. PIERONI (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto sul follow-up. 4) MALIZIA G. (coord.) - D. ANTONIETTI - M. TONINI (a cura di), Le parole chiave della formazione professionale. 5) RUTA G. (a cura di), Etica della persona e del lavoro. 6) CNOS-FAP (a cura di), Gli editoriali di “Rassegna CNOS” 1996-2004. Il servizio di don Stefano Colombo in un periodo di riforme. 7) CIOFS/FP (a cura di), Atti del XV seminario di formazione europea. Il sistema dell’i- struzione e formazione professionale nel contesto della riforma. Significato e percorsi. Progetti 8) B ECCIU M. - A.R. COLASANTI, La promozione delle capacità personali. Teoria e prassi. 9) CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Pro- getto e guida alla compilazione delle unità didattiche. 10) COMOGLIO M. (a cura di), Prova di valutazione per la qualifica: addetto ai servizi di impresa. Prototipo realizzato dal gruppo di lavoro CIOFS/FP. 11) FONTANA S. - G. TACCONI - M. VISENTIN, Etica e deontologia dell’operatore della FP. 12) GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo. 13) MARSILI E., Guida per l’accompagnamento al lavoro dipendente. 14) TACCONI G. (a cura di), Insieme per un nuovo progetto di formazione. 15) VALENTE L. - D. ANTONIETTI, Quale professione? Strumento di lavoro sulle professioni e sui percorsi formativi. 16) CIOFS/FP (a cura di), Un modello per la gestione dei servizi di orientamento. 17) NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale. 110 18) NICOLI D. (a cura di), Sintesi delle linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale. 19) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale alimentazione. 20) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale aziendale e amministrativa. 21) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale commerciale e delle vendite. 22) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale elettrica e elettronica. 23) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale estetica. 24) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale grafica e multimediale. 25) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale legno e arredamento. 26) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale meccanica. 27) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale sociale e sanitaria. 28) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale tessile e moda. 29) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale turistica e alberghiera. 30) ASSOCIAZIONE CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), Le competenze orientative. Un approccio metodologico e proposte di strumenti. 31) ASSOCIAZIONE CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), L’accoglienza nei percorsi formativo- orientativi. Un approccio metodologico e proposte di strumenti. Esperienze 32) CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 1. Guida per l’accoglienza. 33) CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 2. Guida per l’accompa- gnamento in itinere. 34) CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 3. Guida per l’accompa- gnamento finale. 35) CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 4. Guida per la gestione dello stage. 36) TONIOLO S., La cura della personalità dell’allievo. Una proposta di intervento per il coordinatore delle attività educative del CFP.

Un progetto alternativo al carcere per i minori a rschio. I sussidi utilizzati nel Centro polifunzionale diurno di Roma

Autore: 
Alfonso Alfano
Categoria pubblicazione: 
Esperienze
Anno: 
2006
Numero pagine: 
202
CENTRO NAZIONALE OPERE SALESIANE FORMAZIONE AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE Sede Nazionale Federazione CNOS FAP UN PROGETTO ALTERNATIVO AL CARCERE PER MINORI A RISCHIO I sussidi utilizzati nel Centro polifunzionale diurno di Roma Alfonso ALFANO 2006 2 PRESENTAZIONE La presente pubblicazione, curata dalla Sede Nazionale del CNOS-FAP, intende presentare l’esperienza del Centro Accoglienza Don Bosco di Roma, diretto da don Alfonso Alfano, S.D.B. Tale Centro, situato nel quartiere Termini, nei pressi della stazione, è un servizio polifunzionale diurno per minori italiani e stranieri soggetti a provvedimenti penali con misure alternative al carcere o provenienti dall’area della dispersione scolastica. È convenzionato dal 1992 con il Ministero della Giustizia, e ha protocolli d’intesa con Centri Territoriali Permanenti, con Istituti Professionali statali, per il riconoscimento di crediti nell’ambito dell’obbligo formativo e per le relative qualifiche professionali nei settori della meccanica, elettromeccanica, informatica, ristorazione. I ragazzi accolti vengono inviati dal Servizio Sociale della Giustizia Minorile o dei vari Municipi, da scuole pubbliche o accolti direttamente dalla strada. Dal 1992 ad oggi hanno frequentato il Centro circa 900 ragazzi di cui la metà provenienti direttamente dall’area del penale. In questo lavoro è presentata tale esperienza di accoglienza attraverso la raccolta di tre sussidi, realizzati ed utilizzati da don Alfano nel Centro Accoglienza Don Bosco, rispettivamente per la formazione degli operatori, l’accoglienza dei ragazzi e la formazione dei genitori. I sussidi sono presentati integralmente e con le caratteristiche con cui sono stati pensati dall’Autore, considerando i destinatari a cui sono rivolti; hanno, quindi, un’impostazione semplice e pragmatica. Sono presentati in modo indipendente l’uno dall’altro e presentano ognuno una propria struttura interna. Vengono offerti come uno strumento in vista di un duplice obiettivo: promuovere la conoscenza di questa esperienza di accoglienza salesiana e fornire un materiale che, con gli adattamenti necessari a seconda delle esigenze, può essere esportato in contesti educativi anche diversi rispetto a quello nel quale è stato prodotto. Nella prima parte viene presentato il sussidio “Sulle strade del cuore”, pensato e realizzato per formare gli educatori del Centro di accoglienza. Esso è introdotto da una presentazione del Centro stesso, in cui viene delineata la storia di tale istituzione, il riferimento alla figura educativa di Don Bosco e l’idea di formazione che soggiace alla missione educativa in questa realtà. Viene, quindi, proposto un itinerario di formazione attraverso la presentazione di 14 schede, di cui le prime 5 riguardano le caratteristiche dei destinatari del Centro, mentre nelle rimanenti 9 vengono descritte le strategie educative utili per accompagnare i ragazzi accolti. Infine, sono presentati come allegati alcuni testi di approfondimento, utili per la formazione degli educatori. Nella seconda parte viene presentato il sussidio “Benvenuti alla scuola della vita”. Esso rappresenta un insieme di materiali, piuttosto variegati tra loro ed esposti con una modalità accattivante, utili per una prima fase di accoglienza dei ragazzi che entrano nella realtà del Centro. In esso è delineato un percorso attraverso cui è possibile facilitare l’ingresso del giovane in una realtà a lui nuova e la conoscenza progressiva da parte degli educatori della storia di vita e formativa del giovane stesso. Infine, la terza parte è dedicata alla presentazione del sussidio “Gli esami non finiscono mai”. Tale materiale è stato pensato e realizzato per condurre una “scuola di vita” per genitori e adulti in generale che vogliono crescere nella loro capacità di accogliere i loro figli e i ragazzi in situazione di disagio. Similmente al manuale per la formazione degli educatori, anche questo sussidio è suddiviso in schede, nelle quali sono enucleati diversi temi educativi, e in tavole di approfondimento, utili per focalizzare in modo approfondito i diversi argomenti. Sede Nazionale CNOS-FAP 3 SOMMARIO PRESENTAZIONE ________________________________________________ SULLE STRADE DEL CUORE _________________________________________ PREMESSA. IL PERCHÉ ____________________________________________________ INTRODUZIONE ________________________________________________________ PRIMA PARTE: SCHEDE ___________________________________________________ SECONDA PARTE: ALLEGATI _______________________________________________ INDICE PRIMO SUSSIDIO __________________________________________________ BENVENUTI ALLA SCUOLA DELLA VITA ________________________________ 1. Note per l’utilizzazione del sussidio ____________________________________ 2. L’invio ____________________________________________________________ 3. Il nome e la carta di identità __________________________________________ 4. Prova a presentarti__________________________________________________ 5. Il Centro è la nostra casa_____________________________________________ 6. Da una scuola all’altra_______________________________________________ 7. Impressioni sui primi giorni al Centro__________________________________ 8. Prova di lettura ____________________________________________________ 9. W la matematica ___________________________________________________ 10. L’operatività_______________________________________________________ 11. Lo so fare... e vorrei saperlo fare ______________________________________ 12. Anche io valgo _____________________________________________________ 13. Testa, cuore, mano __________________________________________________ 14. I pensieri nella vostra testa ___________________________________________ 15. Interessi___________________________________________________________ 16. Obiettivo __________________________________________________________ 17. Programma________________________________________________________ 18. I 7 consigli d’er capoccione ___________________________________________ 19. Una lettera a me stesso_______________________________________________ 20. Patto formativo_____________________________________________________ 21. E per concludere____________________________________________________ INDICE SECONDO SUSSIDIO_________________________________________________ GLI ESAMI NON FINISCONO MAI _____________________________________ PREMESSA. Una scuola di vita ispirata al Vangelo e alla Pedagogia cristiana _____ ASPETTI INTRODUTTIVI____________________________________________________ PRIMA PARTE: SCHEDE ____________________________________________________ SECONDA PARTE: LE 12 TAVOLE ____________________________________________ CONCLUSIONE _________________________________________________________ INDICE TERZO SUSSIDIO __________________________________________________ CONCLUSIONE __________________________________________________ INDICE GENERALE _______________________________________________ 4 ALFANO ALFONSO Sulle strade del cuore SUSSIDIO PER LA FORMAZIONE DEGLI EDUCATORI DEL CENTRO Un’esperienza tra minori a rischio “Ogni uomo sogna di essere un angelo. Ogni uomo ha in mano il suo futuro. Ogni mente umana è in grado di trasformare la sua vita in Inferno o in Paradiso. La delinquenza è un accidente, non una qualifica. È l'idea madre da cui partire per qualsiasi processo di studio del disagio minorile e delle ipotesi di trasformazioni.” (da “Icaro torna a volare”) 5 PREFAZIONE: IL PERCHÉ Ho imparato che nella vita si può vivere senza un per chi o un per come, ma non si può vivere senza un perché. A quanti danno la propria disponibilità chiediamo di seguire un percorso formativo, per vivere accanto a ragazzi in difficoltà e accompagnarli nel loro processo di cambiamento e di crescita umana, culturale e sociale. Nel presente sussidio si offrono contenuti per riflettere e trovare le risposte non solo al perché, ma anche al per chi e per come. Il sussidio formativo nasce dal bisogno di dare unità e continuità ad un progetto. Le schede sono “lampada ai passi” di quanti arrivano per la prima volta al Centro per un servizio educativo a vario titolo. Sono presentate linee guida, nate da anni di esperienza, maturate con gli altri operatori, attenti sempre, e solo, al benessere dei ragazzi. Sono scaturite dal confronto faticoso e impegnativo. • Non è quindi uno strumento di studio, frutto di una ricerca “scientifica” sui risultati ottenuti, ma scaturito dall’esperienza. • È un sussidio per consolidare idee, principi, orientamenti operativi, codice di comportamento, maturati in questi anni. • È un dono a quanti credono che, per i minori a rischio di devianza, è possibile sempre il riscatto. • È anche la conoscenza di una prassi educativa, “Il sistema preventivo” di Don Bosco. • È infine una proposta formativa, orientata a creare un clima di comunione fra tutti, che assicura la condivisione del progetto da sostenere “insieme”.  Tale sussidio formativo si divide in: 1. Introduzione: Premesse e presentazione del Centro 2. Schede a. “I destinatari”: schede per la riflessione sul disagio dei ragazzi accolti b. “Strategie educative”: schede per gli interventi formativi ed educativi 3. Allegati: alcuni strumenti per la realizzazione del progetto 6 Introduzione 7 1. Centro Accoglienza Don Bosco: un progetto polifunzionale per minori a rischio di devianza Il Centro Accoglienza Don Bosco, situato nel quartiere Termini di Roma, è un servizio polifunzionale diurno per minori italiani e stranieri soggetti a provvedimenti penali con misure alternative al carcere o provenienti dall’area della dispersione scolastica. È convenzionato dal 1992 con il Ministero della Giustizia, ha un protocollo di intesa con i Centri Territoriali Permanenti delle scuole medie statali “Manin” e “Borsi” per l’attestato di alfabetizzazione e il conseguimento della licenza media. Ha stilato protocolli di intesa per il riconoscimento di crediti nell’ambito dell’obbligo formativo con Istituti Professionali statali e per le relative qualifiche professionali nei settori della meccanica, elettromeccanica, informatica, ristorazione, estetica e altri in base alle esigenze richieste dallo “Sportello aperto”. I ragazzi vengono inviati dal Servizio Sociale della Giustizia Minorile o dei vari Municipi, da scuole pubbliche o accolti direttamente dalla strada. Dal 1992 ad oggi hanno frequentato il Centro circa 900 ragazzi di cui la metà provenienti direttamente dall’area del penale. I sussidi formativi, scolastici ed educativi, vengono elaborati dal Centro. Per ciascun ragazzo è prevista una fase di accoglienza e insieme viene elaborato un progetto educativo personalizzato che si articola su tre aree di interventi: 1) Sostegno psico-educativo: colloqui mirati con l’obiettivo di scoprire insieme le difficoltà di apprendimento, i disturbi del comportamento e avviare una revisione della sua storia personale - familiare e del proprio stile di vita. 2) Formazione culturale, finalizzata al recupero scolastico, attraverso progetti personalizzati, rivolti al conseguimento della licenza media. 3) Avviamento al lavoro, attraverso corsi integrati di formazione base, che prevedono una fase teorica, al Centro, e una pratica esterna, con tirocini guidati. Sono attivi il settore meccanico auto e motorini, elettricisti, informatica hardware e software, cuochi, camerieri, baristi, estetiste, giardinaggio, cura degli animali e uno sportello di formazione artigianale per soddisfare ogni singola richiesta.  In conclusione il Centro si articola sui seguenti servizi: • Alfabetizzazione, apprendimento della lingua italiana • Conseguimento licenza media • Corsi base di formazione (meccanica-elettricisti- informatica – ristorazione – estetica) • Sportello per altri interventi mirati alle richieste di “bisogno” • Scuola per genitori per famiglie in difficoltà. • Emergenze zona Termini: interventi a favore di “bisognosi” (medicinali, indumenti, alimentari, pagamento per urgenze di vario tipo...) Come ogni vita umana, così questo progetto nasce e sposa il dolore altrui, con atti di amore. È una professione di fede in Colui, che fa nascere il sole, fa cadere la pioggia sui buoni e sui cattivi. 8 2. Don Bosco: il cuore del progetto II progetto nasce come risposta agli slanci suscitati dalla celebrazione del Centenario della morte di Don Bosco, modesto contributo alla sfida di questi anni nel quadro generale della prevenzione e della difesa sociale dei minori a rischio.  Un testamento di predilezione! • “L'incontrare nelle carceri turbe di giovinetti ed eziandio di fanciulli sull'età di dodici ai diciotto anni, tutti sani, robusti e d'ingenio svegliato; vederli là inoperosi e rosicchiati dagli insetti, stendando di pane spirituale e temporale, espiare in quei luoghi di pena coi rimorsi le colpe di una precoce depravazione, fa inorridire il giovane prete. Egli vede in quegli infelici personificato l'obbrobrio della patria, il disonore della famiglia, l'infamia di se stesse; vede soprattutto anime redente e francate dal sangue di un Dio, gemere invece del vizio, e nel più evidente pericolo di andare eternamente perdute... • ... per lui tutti i giovani potevano diventare buoni cristiani ed onesti cittadini. Per questo li ha cercati, li ha incontrati ovunque si trovassero e si è preso a cuore la sorte di migliaia di piccoli vagabondi, ladroncelli per abbandono o miseria, ragazzini e ragazzi affamati e senza casa...chissà, dicevo tra me, se questi giovanetti avessero un amico che si prendesse cura di loro, li assistesse e li istruisse nella fede… (MB II, 63) • «Allorché il tempo glielo permetteva, spendeva intere giornate nelle carceri. Ogni sabato si recava colle saccocce piene, ora di tabacco, ora di pagnotte, ma collo scopo di coltivare specialmente i giovinetti... assisterli, renderli amici, e così eccitarli a venire all'oratorio, quando loro toccasse la buona sorte di uscire dal luogo di perdizione… • …Nei cantieri in costruzione D. Bosco vede fanciulli dagli otto ai dodici anni, lontano dal proprio paese, servire i muratori, passare le loro giornate su e giù per i ponti malsicuri, al sole, al vento, salire le ripide scale a pioli carichi di calce, di mattoni, senza altro aiuto educativo che villani rabuffi o percosse»… (MB II, 173) 9  Tre considerazioni 1. Il progetto si colloca come esperienza di servizio umano, educativo e religioso. Sorto e sviluppato all’ombra della memoria di Don Bosco a Roma: da via Magenta arrivò a Roma nella sua visita per l’inaugurazione della Basilica, salutato dal gruppo dei primi ragazzi artigiani accolti. Da via Magenta entrano, ogni mattina, i ragazzi di oggi. Il Centro, al 15° anno di vita, è nato e vive come parte unica dell’opera Sacro Cuore. Nel Santuario si fa esperienza spirituale della Misericordia del Cuore di Cristo, nel Centro Accoglienza, invece, si fa costante esperienza corporale dell’Amore Misericordioso del Cuore di Gesù. È stata l’idea madre che ha sognato e realizzato Don Bosco con questa opera a Roma. 2. In D. Bosco riscontriamo una sapienza somma nel centrare la vita concreta di ogni ragazzo o giovane che incontrava: la loro vita diventava la sua vita, le loro sofferenze diventavano le sue sofferenze. E non si dava pace fino a quando non li avesse aiutati. E i ragazzi che venivano a contatto con don Bosco, avvertivano di essere suoi amici, sentivano di averlo a fianco, ne percepivano la presenza ne gustavano l'affetto. E questo li rendeva sicuri, meno soli. E per chi vive emarginato è il sostegno maggiore che possa ricevere. 3. L'impatto sul territorio del suo tempo fu determinante. Si è guardato attorno, ovunque: ha visto ed ha creato l'impossibile per realizzare le sue sante utopie. È venuto a contatto con le realtà estreme della devianza minorile. È entrato nelle carceri: ha saputo guardare dentro questa piaga con coraggio e con spirito sacerdotale. È stata l'esperienza, che lo ha segnato profondamente: un segno non di orrore, ma neppure di contemplazione. Si è accostato ai mali della città con viva e commossa partecipazione: aveva coscienza dell'esistenza di tanti ragazzi che aspettavano qualcuno che si prendesse cura di loro. Ha visto con il cuore e la mente i loro traumi umani, ha anche pianto, ma non si è fermato alle sbarre; è riuscito ad urlare con la forza dei suo cuore a quanti incontrava, che quella del carcere non è la casa da ricevere in regalo dalla vita, ma che esiste un'altra possibilità. È stato l'assillo di tutta la vita: impedire che tanti finissero dietro le sbarre o appesi alla forca.  La Novità del Centro! Binomio: Pubblico - Privato • L’interazione del Centro Don Bosco con le risorse presenti sul territorio, organismi pubblici scolastici o di formazione per l’inserimento nel mondo del lavoro. Attraverso “protocolli di intesa” vengono attivati progetti polifunzionali: al Centro compete la formazione umana, educativa e culturale, alle strutture esterne la disponibilità a integrare la formazione professionale e rilasciare, a fine percorso, con i dovuti esami, titoli per crediti acquisiti e titoli di studio di ogni tipo e grado. In concreto: Ad ogni richiesta di “bisogno” si risponde, sempre e comunque, con la proposta di un progetto formativo (cfr. sportello aperto) educativo e un’opportunità di formazione, per l’inserimento nel mondo del lavoro 10 3. Cosa si intende per “formazione” al centro Don Bosco La formazione è un aspetto della crescita umana. Il corpo si forma e si modella con il nutrimento. La mente si nutre di pensiero, di idee, di modalità di applicazione, di strumenti concreti di vita. La formazione può avvenire attraverso lo studio analitico, lezioni di esperti. Noi abbiamo scelto la formula del “laboratorio”: una modalità partecipativa e coinvolgente che prende il via dalle verifiche delle esperienze e rilancia la prassi educativa in modo rinnovato. Noi parliamo sempre di formazione, occorrerebbe parlare di trasformazione, quando parliamo di situazioni a rischio. La cultura educativa di oggi pone l’adulto davanti all’educando, per tirarlo o spingerlo verso un obiettivo che il minore non vede o se lo vede, non lo comprende, o peggio ancora, verso un obiettivo in contrasto con quello incarnato nel vissuto dell’adulto.  Nel nostro caso, in sintesi, la formazione ha per obiettivi: • Promuovere una cultura educativa che porti a operare allo stesso tempo sul minore e sull’adulto. I ragazzi e ancora più quelli del disagio, vivono in modo conflittuale il rapporto con gli adulti per i quali esiste una serie di rischi reali solo da una parte: l’adulto è il perfetto e il minore è l’imperfetto da educare alla perfezione. • Stare al fianco dell’educando, esserci per camminare insieme, con lo stesso passo. • Riflettere su due atteggiamenti oggi diffusi: o proteggere dalle difficoltà, eliminando l’ostacolo o resistere alle difficoltà (producendo valori - forza). • Sviluppare conoscenze, comprensione del disagio minorile, saper individuare gli indici di rischio personali, familiari e sociali; • Far proprie le strategie educative in vista del benessere dei minori accolti, nel rispetto dei ruoli e delle funzioni educative, nello spirito del Progetto del Centro accoglienza “Don Bosco”. 11  In concreto: • La formazione è una scuola di vita per apprendere l’arte dell’educazione, un momento forte della vita personale e della crescita del Centro, per rafforzare in noi valori umani e cristiani, attraverso la tecnica dei “laboratori formativi intensivi”. • La formazione è piacere di condividere il dono della scienza con chi è stato meno fortunato di noi. In amicizia. Non davanti al ragazzo per trainarlo, né dietro al ragazzo per spingerlo, ma accanto, presenti, sempre, con il suo passo, pronti a condividerne tutto, con rispetto, ma determinati. Uno sguardo, un gesto penetra nella mente e nel cuore più di mille parole. Le corde del cuore sono più facili a far vibrare che non quelle della testa. L’educatore non è un “becchino” né attacchino, ma guida e compagno di viaggio. • L’educatore si forma dando e ricevendo allo stesso tempo, offrendo tutto se stesso, amico e compagno di viaggio dei ragazzi, nel rispetto dei codici di comportamento. • Modalità: La formazione si tiene i giovedì dei mesi di luglio e settembre e parte di ottobre. Si conclude con una convivenza di quattro giorni in una struttura idonea, lontana dal centro, al fine di favorire la conoscenza tra gli operatori. Durante l’anno, vi sono incontri comuni per le verifiche dei progetti formativi degli accolti, soprattutto per rivedere l’attuazione di strategie educative, difficoltà, problemi aperti, imprevisti, e incontri dei vari settori, per confrontarsi sui problemi specifici del proprio gruppo, o quanto serve per l’animazione della vita del centro (feste…). Due idee chiave della formazione: • L’educatore non dona solo a chi merita. Non ragionano così gli alberi: offrono i propri frutti a tutti, per non vederli marcire per terra. Come l’albero affonda le sue radici nell’oscurità della terra per portarci in alto, per donare fiori e frutti, così anche la nostra formazione si nutre di impegno e di silenzio interiore, prima di esplodere e svelare i propri sentimenti di educatori. • Alla scuola del Vangelo e della nostra esperienza umana impariamo a vivere accanto ai ragazzi in difficoltà da innamorati della vita. L'allegria è la manifestazione della nostra serenità interiore. Associare l’educazione alla festa é preludio di quel pezzo di Paradiso che ci portiamo tutti dentro. “Spetta a ciascuno di noi, soprattutto a quanti hanno responsabilità educative, non eludere questa nuova primavera della cultura minorile, diversamente i fiori calpestati oggi diventeranno fango domani.” (da “Sulle strade del cuore”) 12 Prima parte: schede 13 1. “I destinatari” Scheda 1: La questione minori 1. La "questione minori" è la sfida di questi ultimi anni del ventesimo secolo e costituisce dolorosamente lo specchio fedele delle carenze e degli orrori delle società c.d. opulenti. Devianza minorile da un lato e child abuse and neglet, dall'altro rappresentano poli estremi all'interno dei quali si colloca la poliedrica fenomenologia dei minori a rischio. Questione grave e dalle dimensioni preoccupanti. Non tanto - né solo - per l'incremento quantitativo del fenomeno, quanto piuttosto per le caratteristiche che lo connotano. Basti pensare alla circostanza - nota - che quella minorile è ormai diventata un'area di manovalanza a basso costo: quasi un disperato "esercito di riserva della più spietata criminalità "adulta" ed organizzata. 2. Lo stesso legislatore ha percepito l'urgenza di affrontare la questione con interventi destinati a ridisegnare il sistema processuale (DPR n. 448) ed a riformulare, con urgenza, il passato modello assistenziale. Sono stati, infatti, introdotti nuovi istituti e modificati, in particolare, la disciplina e gli strumenti di prevenzione e di pena. Un quadro normativo destinato, in definitiva, a valorizzare più il profilo educativo e meno quello repressivo, ma reso meno efficace dalla carenza delle previste strutture alternative idonee. 3. L'impegno impone pertanto a tutti la conoscenza della normativa penale minorile. Il Centro organizza a tale scopo momenti di formazione specifica e di aggiornamento. In particolare offre ai responsabili di settore la possibilità di partecipare a convegni e giornate di studio, organizzate dal Ministero della Giustizia. Inoltre al suo interno è richiesto a ogni educatore una responsabile presa in carico di quanto è richiesto per legge nel trattamento con minori soggetti a provvedimenti giudiziari. 4. La coesistenza di minori con provvedimenti penali a carico e di altri comunque a rischio di devianza richiede una sua peculiarità, che è specificata nei regolamenti interni del Centro. Questo comporta a ogni operatore una costante vigilanza, per creare una sinergia di forze ed azioni, capace di unificare due valori fondamentali: la prevenzione e l'educazione. 14 Scheda 2: Giovani violenti (bullismo, bande, vandalismo…) È facile e piacevole raccontare l’adolescenza, un periodo felice della vita, tra sogni, speranze, dove la fantasia e la creatività hanno il loro dominio quasi assoluto. Si fa invece fatica a raccontare storie di dolore e di solitudine, a presentare adolescenze turbate e contorte, in una matassa di fili e nodi difficili da sciogliere, a parlare di adolescenti mascherati da paure, lacerati da separazioni mentali e affettive. Tra bulli, vandali, baby gang, piccoli mostri, minorenni sempre più affetti da depressione e patologie specifiche, si stenta a ritrovare l’immagine dell’uomo-ragazzo. “Tutta la ricchezza dottrinale della Chiesa ha come orizzonte l’uomo nella sua concreta realtà di peccatore e di giusto” (Centesimus annus 53).  Riflettiamo: 1. Il bullismo! Indica un comportamento e un disturbo grave. Il bullo è nella mentalità anglossassone e anche presso altri paesi europei un prepotente, un aggressivo, un tiranno, un soggetto fortemente a rischio. Da noi è comunemente considerato bullo l’estroverso, l’esuberante, il leader del gruppo, il piccolo “guappo”, il fusto che riesce ad aggregare e dominare a sua volontà. I ragazzi prepotenti e tiranni sono soggetti impulsivi, incapaci di contenere rabbia, dolore, sconfitte, gestire conflitti, collera. Non accettano regole, trasgressivi ad oltranza. Scelgono le vittime tra soggetti timidi, sensibili, dipendenti dai grandi, insicuri, introversi, privi di relazioni affettive. Non si tratta di normale litigio o conflitto, ma di sopraffazione sistematica. I comportamenti più ricorrenti: parolacce, offese e "prese in giro", ma anche minacce, lesioni e danni alle cose altrui. Il fenomeno avviene all’interno della scuola, in piazza, in corriera, al bar. La famiglia? La scuola? Tendono a non dare peso a quanto accaduto, oppure si consiglia di reagire alla stessa maniera. 2. Vandalismo. Il vandalismo è un'aggressività repressa che esplode in gesti di dileggio di cose e strumenti di bene comune, come imbrattare muri, porte, danneggiare auto, cabine telefoniche, suppellettili e oggetti ad uso della comunità. Il vandalismo come il bullismo è collegato anche al fenomeno delle baby-gang, con la funzione di “banda”, che offre possibilità di sfogare l’aggressività, di organizzare atti di dileggio e ribellione, in gruppo (per es. il fenomeno dei naziskin). Così monumenti, mura, strutture di trasporto… diventano la lavagna pubblica cittadina, dove i messaggi si accavallano e diventano sempre più un segno dirompente di una subcultura del disagio. Forse ci abbiamo fatto l'abitudine; sono diventati i coinquilini di questa aula scolastica con le sue pareti variopinte e con maestri ed alunni sempre più in conflitto. Quanti ragazzi hanno respinto tutto e tutti, per una forma di ritorsione, perché per anni hanno conosciuto solo la parola respinto. Obbedire? Cosa significa obbedire? Regole? Perché e per cosa? I ragazzi “difficili” provocano, innescano comportamenti, perché anche i propri educatori provino le stesse sensazioni di abbandono e di rifiuto. E le trasgressioni più fanno notizia, più generano “piacere” e ricaricano di voglia di protagonismo i membri delle baby gang. A scuola sei “nulla”? In famiglia sei considerato un incapace? Con la trasgressione diventerai uno che conta. 15 Scheda 3: Criminalità minorile La storia dell’umanità inizia con una colpa e una condanna. Da allora l’umanità vive l’amara esperienza della lotta tra il bene ed il male, costretta a regolare i propri rapporti con una serie infinita di leggi. È necessario l’amore, altrettanto necessarie sono le regole.  Riflettiamo: 1. La devianza minorile! Non piace molto il termine carcerato, detenuto, e peggio ancora criminale. Un brano del libro Cuore, il libro delle tenerezza, ha colpito la mia attenzione. “Come dalla faccia pallida e azzurra del mare spuntano qua e là teste deformi di pescecani e tentacoli orrendi di polipi, così per le vie della città dalla lieta pace della vita ordinaria, erompono a quando a quando improvvisi la violenza, la barbarie, il delitto, la morte, a rammentarci che sotto all'ordine e all'armonia apparente della civiltà, infuria la lotta eterna delle passioni e delle lotte nemiche” (Emondo De Amicis, maestro delle nostre fantasie infantili, nella Carrozza di tutti). Ma chi sono questi ragazzi? Anzitutto la distinzione dell’area del disagio minorile e giovanile: nell’età evolutiva vi è un percorso di crescita per alcuni regolare, direi naturale, supportato dalle varie agenzie educative. Per questa fascia di adolescenti e giovani è ordinariamente organizzata la vita sociale, culturale e anche religiosa. Vi è poi una fascia, considerata a rischio, alla quale si tenta in tutti i modi di fare indossare lo stesso abito culturale, sociale e religioso, non risolvendo ma aggravando il disagio. Pertanto è importante distinguere gli adolescenti trasgressivi dai minori che hanno una più stabile tendenza delinquenziale. Questo significa che bisogna individuare la massa che delinque occasionalmente e predisporre misure e progetti alternativi. Una seconda osservazione è che la maggior parte dei ragazzi che delinque è legata all’abbandono scolastico. Esiste una percentuale di delinquenti giovanissimi, con problematiche patologiche, a volte palesi altre volte non individuabili. 2. Occhio e mente alla cultura delle immagini e della comunicazione. I mostri! Ci poniamo domande inquietanti davanti ad episodi che creano angoscia, paure, alla ricerca di risposte, che non esistono se non nell’accettazione che gli adolescenti non sono poi tanto diversi da quelli del passato. Sono solo ragazzi che crescono, che talvolta si tengono tutto dentro, ben nascosto, incapaci di esprimere il proprio dolore e la propria rabbia, coltivando un’aggressività inconscia invisibile a genitori spesso confusi e privi di capacità di difesa. Crescere è un’esperienza complessa. Gli attacchi, le ribellioni, i rifiuti di tutto quanto deriva dal mondo degli adulti, hanno comunque un grande valore: ci dicono che i ragazzi stanno crescendo, e si mettono in atteggiamento di sfida per vedere quanto loro ce la fanno e verificare la tenuta degli adulti. Il teppista della strada che comincia scippando, rubando auto e finisce tossicodipendente o con una pistola in mano, una volta era uno dei tanti bambini, fino a che qualcosa non ha funzionato. 16 Scheda 4: La strada 1. “Vi sono due scoperte umane - scriveva Kant, nella riflessione sull'educazione - che abbiamo il diritto di considerare come le più difficili: l'arte di governare gli uomini e quella di educarli; eppure stiamo ancora discutendo sulle loro idee.” 2. La regola è un elemento fondamentale per una società, lo deve essere per tutti. 3. “Se mancano chiare e legittime regole di convivenza oppure se queste non sono applicate, la forza tende a prevalere sulla giustizia, l'arbitrio sul diritto, con la conseguenza che la libertà é messa a rischio fino a scomparire. La legalità, ossia il rispetto e la pratica delle leggi, costituisce perciò una condizione fondamentale perché vi siano libertà, giustizia e pace tra gli uomini” (documento n.63, 1991, conferenza episcop. Italiana – Educare alla legalità).  Riflettiamo: Oltre in famiglia e a scuola, la vita dei minori a rischio si svolge sulla strada. Nel nostro progetto “strada” significa qualcosa in più e di diverso da quanto viene oggi inteso. • Anzitutto rientra in una visione unitaria del vivere quotidiano del ragazzo. La scissione tra scuola, formazione e territorio, è la radice di tutto il disagio minorile. • Per strada noi intendiamo tutti i momenti e le situazioni vissute dal ragazzo al di fuori della nostra struttura (casa, quartiere, locali, amici, interessi…) • Andiamo sulla strada perché i ragazzi sono sulla strada, ma non ci fermiamo alla strada. Non ci interessa tanto l'ambiente, ma la situazione. Si parla di strada perché è il luogo dove maggiori sono i simboli del conflitto sociale, dove è evidente la sofferenza. Siete educatori di territorio, proprio per il riferimento più immediato del termine strada al fattore emarginazione. Allora strada sarebbe bene intenderla come tante strade, perché tante e diverse sono le strade dell'emarginazione. • Inoltre capirne il senso. La strada aggrega perché é uno dei pochi luoghi d’espressione di libertà. I ragazzi si ritrovano, operano senza controllo, non si sentono giudicati. L'educatore di strada è una persona che sta in mezzo ai ragazzi dove questi stanno e s’incontrano. Frequenta le aggregazioni formali e informali. Ascolta i bisogni dei ragazzi: si collega con le istituzioni, per attivare progetti di recupero. Commuove il ricordo di Giovannino Bosco: sua madre lo rimprovera e lo ammonisce a non frequentare certi compagni. La sua risposta è stupenda! “Se io sto con loro si comportano bene.”  Occhio ai cambiamenti… Si cambia l’abito alla trasgressione e alle modalità con cui si manifesta. • Si è abbassato il naturale fenomeno della trasgressione giovanile, spostandosi sugli adolescenti e anche preadolescenti. • Alcune modalità di ritrovo sono patrimonio non più dei giovani ventenni… • La famiglia e la scuola viaggiano con lentezza e non riescono né a capire né a seguire i tempi e le sensibilità dei ragazzi… • I contenuti formativi arrivano ormai fuori stagione… • Le strategie educative non sono in sintonia con il mondo degli adolescenti… 17 Scheda 5: L’altra città… giovani detenuti • “Uno stato è felice, dice un proverbio cinese, quando le armi arrugginiscono e gli aratri sono lucenti, quando le prigioni sono vuote e i granai sono pieni, quando le scale delle chiese sono consumate e l’erba cresce su quelle dei tribunali”. • “La principale risorsa dell’uomo è l’uomo stesso”. (Centesimus annus 32). Il ritorno all’uomo è una risorsa, una legge di vita. Mi fa pensare spesso a Don Bosco. Mi chiedo, come lui, se quei ragazzi avessero…avessero…ma non hanno avuto. Dietro i loro peccati ci sono tanti nostri peccati di omissione.  Riflettiamo: 1. La delinquenza è un accidente, non una qualifica. È l'idea madre da cui partire per qualsiasi processo di studio del disagio minorile e delle ipotesi di trasformazioni. Nessuno nasce delinquente, può solo avere dei disturbi fisici o anche dipendenze mentali genetiche. È la vita che ci rende delinquenti. Ogni uomo sogna di essere un angelo. Ogni uomo ha in mano il suo futuro. Ogni mente umana è in grado di trasformare la sua vita in Inferno o in Paradiso. Mi turba e inquieta il pensare un atto criminoso di un giovanissimo o di un minorenne come un conto da saldare. Pagare? Con quale moneta? Spetta a noi decidere. 2. Tanti ragazzi prima d’essere aggressori, sono state vittime; prima d’essere ladri, hanno subito furti a catena, prima d’essere violenti, sono stati violentati, prima di attentare alla libertà, hanno visto solo diritti calpestati: umiliati, offesi, rinnegati, quando la loro voce era un vagito, un semplice lamento, un singulto! Ora la vita negata si fa rabbia, schizza veleno, si trasforma in reati. Pagare? Ma chi salderà un’infanzia violentata? Ladri o creditori? Se pensiamo a tanti peccati di omissione sociale o personali, allora è più facile vederci in debito e non dimentichiamo che chi offre al bisognoso è in credito verso Dio. 3. Non esistono buoni e cattivi, ma fortunati e meno fortunati. Dividere gli uomini in buoni e cattivi è stato sempre l'hobby di tutti gli scrittori, dagli storici ai poeti, dai musicisti ai romanzieri, dai maestri ai genitori. 4. Le nostre colpe? L’indifferenza, la disattenzione. Soprattutto il fermarsi alla denuncia del disagio. Più si evidenzia il disagio più difficile è il dialogo. Più si accusa, più duro diventa il conflitto, o scontro. Eppure non è difficile trovare la chiave per aprire (o scardinare!) la porta del cuore di un minorenne che soffre. 5. Il carcere! Cosa pensi del carcere? La domanda di rito, rivoltami con insistenza. Il carcere! Ho sempre provato disagio al solo pronunciare questa parola. Carcerato è sinonimo di diverso, di persona cattiva. Considero il carcere un limite della natura dell’uomo, una vergogna, una delle tante della società. 18 2. “Strategie educative” Scheda 6: La luce del Vangelo L'amore vero è proporzionato al bisogno. La premura per i più fragili è il segno visibile della tenerezza di Dio per i piccoli, la porzione più fragile e bisognosa d’aiuto. Le icone: Il seminatore e il Buon Pastore! Il Buon Pastore lasciò al sicuro… Messe le altre pecore al sicuro, andò a cercare quella smarrita! Accogliere e condividere la vita con i giovani più poveri, avere un’attenzione speciale e prioritaria alle situazioni di disagio giovanile, in particolare, come la preparazione e l’inserimento nel lavoro, l’immigrazione e le minoranze etniche, le diverse situazioni di sfruttamento infantile e giovanile. Uscì il seminatore!... Il compito di un educatore, nobile quanto quello di trasmettere la vita a una nuova creatura, è seminare e riseminare sempre, con la certezza che non tutti i semi andranno su terreno arido. A noi non tocca raccogliere. Sarà la vita a stabilire chi e quando questo debba avvenire. Al ragazzo difficile noi diciamo: “Non stai alle nostre regole, “fuori”! Fuori da chi, a fare cosa! Non così la logica del Vangelo.  Tre idee per l’approccio al “fenomeno” dei ragazzi “difficili”: • Non mentalità e stile da analisi sociologica, ma seguire lo stile del raccontare! Rivivere nei ricordi ed esperienze personali le storie dei ragazzi pipistrelli, che dormono di giorno e vivono di notte, ragazzi apolidi, scaltri e ingenui, instabili e imprevedibili, soggetti alla legge della strada e alla cultura del più forte, dei ragazzi, scugnizzi e sciuscià di ieri, oggi noti come muschilli, che spacciano la droga al riparo della loro giovanissima età, giocando con le pistole e sognando di diventare dei camorristi. Sono i ragazzi “difficili” di oggi: talvolta possono essere anche quelli della porta accanto. • Lo sguardo al territorio! Siamo agenti di cambiamento. Metterci in ascolto di quanto ci accade accanto: occhio per vedere, orecchie per ascoltare e cuore per operare. Il problema dell’emarginazione non è economico. È un problema culturale, etico. Se non tocchiamo l'anima della cultura, non riusciremo a fare grossi cambiamenti. C’è bisogno di cambiare il modello della società per dare qualcosa in più del normale sollievo a chi soffre. Quello che importa è un cambio di ermeneutica, una maniera diversa di interpretare il “quotidiano”. È lì che si deve operare un cambiamento. È l’uomo nella sua umanità la prima risorsa. • Testimoni di speranza! Leggere il fenomeno alla luce del vissuto personale e della sua realtà familiare e ambientale. Riflettere sull’esperienza vissuta pregressa e ultima. È santa utopia pensare ad animatori di strada, come impegno qualificato ed essenziale per conoscere, capire e trovare risorse? È santa utopia ridisegnare sulla carta progetti di speranza, pensare a una modalità evangelica di accoglienza, diversa da quella vissuta dai ragazzi in difficoltà? È santa utopia dimenticare anche documenti, carte e assumere come carta della propria identità di educatore, quella pagina evangelica, sulla quale verremo esaminati “avevo fame… avevo sete… ero nudo…ero forestiero”. Non solo non è utopia, ma è un atto dovuto di chi ha di più. 19  Approfondimento: le 5 chiavi! L’approccio al disagio minorile o giovanile, sta nel trovare sempre la chiave giusta. 1. La prima chiave: conoscenza e comprensione del disagio. Non basta conoscere, ma cum-prendere, prendere con sé. Chi trasgredisce invia segnali da accettare e decodificare. Individuato il problema procedere all’analisi funzionale, antecedente (cosa c’è stato nel passato della vita del ragazzo) e conseguente (cosa sta succedendo), avere certezza dei punti deboli e punti di forza per rifare il percorso in una vita, vittima di penose violenze. 2. La seconda chiave: la capacità e la disponibilità di ascolto! Ogni bullo si porta dietro una “propria storia” di vita. L’adolescente non ama sentire, ma vedere, comunicare e sperimentare in prima persona. Chi non sa ascoltare, non saprà mai il segreto che ogni ragazzo, soprattutto quello che soffre ed è solo, nasconde nel proprio animo. Essere in ascolto significa pensare all’intervento, come a una presenza significativa: io ci sto, ti sono accanto, non mi sostituisco alla tua dinamica di crescita, puoi contare su di me. Accettano la nostra amicizia se con un pizzico di compiacenza ci adeguiamo al loro linguaggio dal tono sgradevole, al movimento disarticolato delle labbra, del corpo, al gesticolare delle mani, all’abbigliamento arlecchinato o da marziano o trasgressivo. 3. Una terza chiave: isolare il bullo dal gruppo, per intervenire sul “singolo”, creare una nuova coscienza e nuova visione dei propri comportamenti. Isolare per educare, non emarginare. Non dividerlo per meglio gestire il gruppo. Sarebbe penoso e pericoloso. Inventano mille meccanismi di difesa per rimanere nel branco e tenere lontano chiunque non entra in sintonia con il loro stile di vita e modo di pensare. Si isola per valorizzare in modo positivo capacità e doti, scoprire insieme modalità alternative di comunicazione. Promuovere una crescita cognitiva mentale ed emotiva, per gestire sentimenti ed emozioni e favorire il cambiamento. 4. Un quarta chiave: esserci per accompagnare non per imporre. I giovani non devono essere disposti a fare la nostra volontà: devono imparare a fare ciò che è giusto e significativo per la loro crescita umana. L'educatore lavora per il futuro, ma non può lavorare sul futuro; deve accettare di essere continuamente esposto alla revisione della sua opera, delle sue metodologie e soprattutto deve essere continuamente preoccupato di scoprire profondamente la realtà dell'educando. 5. Una quinta chiave: compagno non giudice! Detesto l’educazione che si ferma alla soglia della denuncia del disagio del minore. Compagno non giudice! Non trovo divieto se provo tenerezza per il ragazzo coperto di piercing! Non trovo resistenze se provo simpatia quando giovani e ragazzi si vestono da marziani. Non rifiutano di parlarti se non disprezzi la pettinatura da… gallo cedrone. Accettano la tua amicizia se provi interesse per la musica assordante e martellante. Accettano la tua amicizia se osservi con competenza i tatuaggi in ogni parte del corpo: non amano l’adulto giudice. Detestano gli adulti, quando creano un mondo di divieti a ripetizione. Non amano l’adulto, che condanna, senza ascoltare. 20 Scheda 7: La comunicazione La comunicazione resta un punto essenziale, dinamico, dell’approccio educativo. Le parole e i gesti, sono segni ma anche simbolo e strumento di cultura e di animazione.  Riflettiamo: • Saper comunicare è l’essenza di una sapiente educazione: non un semplice dialogo, non un confronto verbale, non un’assise per accusa e difesa, neppure una pia esortazione. La comunicazione ha un valore esteso, che ha come primo compito quello di farsi capire e di capire l’altro, con un linguaggio semplice e chiaro. • La comunicazione ci deve mettere in contatto con gli altrui bisogni. Comunicare per l’adulto, educatore o insegnante, deve comunicare in sintonia di sentimenti, di parole, di progetti. Non solo. Serve la modalità. Si mette accanto, né di dietro per spingere e forzare, né davanti per tracciare un cammino personale. Comunicare è comprendersi, senza collusione o complicità, ma compagno di strada che conosce e accetta il punto di partenza, ma conosce e sa additare gradualmente anche il punto di arrivo. • Il segreto di una corretta comunicazione è la capacità di ascolto, paziente e costante. Non attendere risposte immediate, ma sapere attendere il momento giusto. Il tarlo della comunicazione è infatti l’impazienza. • La strada è il luogo dove si possono meglio capire i “codici” di comunicazione. Lì si impara a parlare la loro lingua. Andare e condividere. “Incontrateli, state con loro e sperimenterete l'amarezza dei ragazzi che soffrono…” La casa, le aule di scuola, gli stessi ambienti ecclesiali, non bastano. Sono serre anguste per formare ed educare. I minori a rischio vivono in un mondo a noi estraneo. • Quando il comportamento e il linguaggio diventano incomprensibili e ogni tentativo va a vuoto, attendere e cercare di capire, di conoscere la “situazione” familiare e sociale. Talvolta occorre anche sposare interessi, comportamenti, forme trasgressive e sgradevoli, per mutare insieme gradualmente. “Amare, diceva Don Bosco, le cose che essi amano, perché poi essi amino le cose che noi amiamo.” 21  Approfondimento: La comunicazione (un elemento essenziale di intervento educativo) La comunicazione è un metodo e strumento allo stesso tempo, è il come svolgere un’azione educativa efficace al di là dei contenuti che si vogliono trasmettere. Come favorire nell’adolescente un dialogo soddisfacente che permetta l’avvio di una presentazione di valori, come riuscire ad affrontare i conflitti senza rompere il rapporto, come limitare le azioni trasgressive, come far rispettare le regole, come fargli sviluppare competenze ed abilità sociali. Cosa non fare! • Comunicare in modo impulsivo • Comunicare in clima di conflitto • Comunicare in modo impositivo • Non accettare per principio la trasgressione o falsare l’accettazione. • Comportarsi come ci comportiamo tra gli adulti. • Comportarsi in modo passivo, rinunciando a ogni tipo di intervento. Cosa fare! • Incominciare a dialogare sui modelli con chiarezza espositiva, fare riflessioni, in paziente ascolto, inviando con discrezione interrogativi, per decodificare. • Usare il linguaggio dell’accettazione: sincerità. • Usare un linguaggio esplicito, senza giri e rigiri: essere veri senza mascherarsi. • Entrare nel mondo, anche se confuso, dei loro sentimenti, per accompagnarli a viverli, a manifestarli, a comunicarli. • Spostare l’adolescente sulle responsabilità, su come le gestisce, come potrebbe migliorarle. • Usare correttamente il tono della voce: chi ascolta ha reazioni emotive diverse in base al tono della voce e all’aspetto della persona. • Stimolare a cercare dentro di sé la soluzione. • Ascolto attivo: concentrarsi sull’altro, sui suoi sentimenti. Noi ci mettiamo in contatto di assenso e di dialogo, rispecchiando non tanto le parole quanto i sentimenti. • Ascolto passivo: è rinunciare a intervenire, benché si ascolti con attenzione. • Invio di messaggi di accoglimento. Per esprimere solidarietà e condivisione. • Inviare messaggi positivi: spiegami meglio, fammi capire, aiutando strada facendo a modificare i propri giudizi o i sentimenti. Cosa potresti fare ora? • Utilizzare la strategia della negoziazione nei casi di conflitti: nessuno vuol cedere, non tanto aiutando a ricomporre subito, ma per capire le motivazioni, ed accettarle come occasioni di miglioramento. 22 Scheda 8: Principi educativi La fede in Dio è l’anima per ragazzi, prediletti. C’è un’altra fede, irrinunciabile, che deve essere nel cuore e nella mente di ogni educatore, credente o non credente: in ogni ragazzo vi è un seme di bontà. È una caccia al tesoro nascosto.  Riflettiamo: • IL PRIMO OBIETTIVO: DARE TRANQUILLITÀ - I ragazzi arrivano al Centro saturi di tensioni e lacerati da provocazioni. È impensabile qualsiasi approccio se non trovano persone e ambiente che li aiuti a "scaricarsi", a esorcizzare i fantasmi della paura, a disincantare la loro fantasia di piaceri illusori. Fa bene a questi ragazzi respirare un po' di aria, dove non ci siano conflitti, dove non si "urla", dove non si giudica, dove si tenta di ragionare e non di condannare. Sono ragazzi segnati dalla paura, che non hanno mai "visto" in faccia come è fatta la vita in pace. La tranquillità aiuta a «capire», ad accorgersi che ci sono persone che vogliono veramente il loro bene. • L'IDEA GUIDA del progetto è il Vangelo, vissuto secondo il criterio permanente e originario dell'oratorio di Valdocco, che fu per i giovani: CASA CHE ACCOGLIE, PARROCCHIA CHE EVANGELIZZA, SCUOLA CHE AVVIA ALLA VITA e CORTILE, per incontrarsi da amici e vivere in allegria. L'iniziativa vuole rimanere fedele a tale vocazione di servizio al mondo giovanile e popolare, con interventi diversificati ma tutti orientati a offrire, prioritariamente ai minori che portano i segni della violenza e dell'abbandono, una coraggiosa azione educativa. • L'ELEMENTO QUALIFICANTE del progetto: azione educativa individualizzata che, nel rispetto dei ritmi dei singoli e tramite verifiche e analisi periodiche, mira da un lato a soddisfare i bisogni immediati dell'accolto, dall'altro a mettere in luce e a valorizzare le capacità e potenzialità di ciascuno. Obiettivo di questo cammino resta il recupero delle personali capacità di comunicazione e socializzazione di tutti gli accolti. • LO STILE DI ACCOGLIENZA si ispira alla Pedagogia della Bontà, basata sulla ricchezza educativa del "sistema preventivo" di Don Bosco, che mira al cuore e alle capacità di bene, spesso solo nascoste in ognuno, coniugando insieme un'originale trilogia: RAGIONE, RELIGIONE, AMOREVOLEZZA. • LA LOGICA DEL SEME. C'è una stagione per seminare e una stagione per raccogliere, sappiamo anche che l'importante è seminare. Ma nel mezzo c'è un'altra stagione, quella della cura del seme. Occorre profondere a oltranza il seme della certezza che anche il ragazzo più delinquente può diventare migliore. Questi ragazzi hanno diritto di poter contare sulla serietà e la paziente tessitura di un sostegno arricchente. 23  Approfondimento: Strategie educative! • L’originalità dello stare, pedagogia della compagnia, della condivisione, della crescita insieme. L'educatore deve essere, si è detto, la guida ai valori, non alla persona. L’educatore non è colui che dona la propria intelligenza, che vende il suo sapere, ma che offre tutto se stesso, amico e compagno di viaggio dei ragazzi. L’educatore non dona solo a chi merita. • La disapprovazione. I ragazzi, i giovani devono scoprire dov'è il loro errore, per questo hanno bisogno dell'aiuto dell'educatore, cioè della disapprovazione come appello alla coscienza. L'educatore deve preoccuparsi di suscitare interesse per i valori della vita. I nostri educandi non devono essere disposti a fare la nostra volontà: devono imparare a fare ciò che è giusto per la loro crescita umana ed esistenziale. L'educatore lavora per il futuro, ma non può lavorare sul futuro; deve accettare, dunque, di essere continuamente esposto alla revisione della sua opera, delle sue metodologie e soprattutto deve essere continuamente preoccupato di scoprire sempre più profondamente la realtà dell'educando, per intervenire al momento opportuno. Le difficoltà: Mai muro contro muro! Mai proteggere dalle difficoltà. • La pedagogia del contadino! Il contadino, uomo mite e paziente, abituato a convivere con la natura, imprevedibile e talvolta ingrata con la sua fatica, richiama all’educatore che la semina deve fare i conti con la natura dell’adolescente, del giovane, imprevedibili e incostanti per natura. L’agricoltore sa aspettare, si adopera nella buona e cattiva stagione; sa accettare la perdita di un raccolto, ma non per questo cessa di potare gli alberi, di vangare la terra, di seminare. Godere del successo, ma mettersi in discussione se viene l'insuccesso. Chinare il capo davanti a un insuccesso non significa rinunciare, ma fare un atto di umiltà e ripartire: nel momento della sconfitta il ragazzo fragile ha bisogno maggiormente di un compagno forte e fiducioso. Solo spogliandoci del nostro amor proprio, del nostro senso di onnipotenza, acquistiamo realmente la dimensione umana di educatori di strada. • La pedagogia del sarto: impegno a confezionare abiti a misura dei propri educandi. Una semplice immagine, che nasconde sovente il comportamento di tanti adulti, che sono a fianco di minorenni. Senza accorgersene progettano alla luce delle proprie sensibilità, secondo personali categorie mentali. Peggio ancora! Vivono l’educazione come soddisfacimento inconscio dei propri bisogni di affermazione. • C'è infine una caratteristica che riguarda la sfera, nella quale si compie l'educazione ed è tipica della pedagogia di Don Bosco: la creazione e la conservazione di un’allegria, per cui ogni giorno é una festa. È un'allegria che sussiste solo, e non potrebbe essere diversamente, in virtù di un'attività creativa, che esclude ogni noia, ogni senso di stanchezza per non sapere come occupare il tempo. L’umorismo, l’ottimismo, l’allegria, antidepressivi dei nostri giorni. 24 Scheda 9: Una scuola per la vita La scuola è il volano della vita sociale. È la carta sulla quale si scommette tutto. La scuola ha come finalità di modificare durevolmente lo stile cognitivo del soggetto, per renderlo capace di riflettere prima di agire, controllare l’impulsività. Dall’essenziale al particolare, dalla presa di coscienza delle proprie abilità, attraverso strategie e strumenti cognitivi del suo vissuto. Si comincia dalla quotidianità, dal mondo del ragazzo. L’educatore entra con rispetto e naturalezza nel suo intimo, per organizzare quanto viene comunicato dal passato e presente. Didattica, si parte dalla vita. Al momento dell’arrivo, vi è un periodo particolare, detto “accoglienza”, utile per la conoscenza reciproca, trovare motivazioni, concordare insieme, con un lavoro certosino, contenuti e modalità del progetto (PEI). Svuotare rabbia, delusioni, dolori, verso la l’esperienza di scuola che hanno alle spalle, avulsa, scollata dalla loro vita. Solo quando sono chiariti alcuni punti base del progetto, il ragazzo sottoscrive liberamente e con modalità che ritiene opportuno, il programma di formazione, che sarà punto di riferimento periodico di verifica. Una scuola, dove tutto concorre a una formazione globale. Punto di partenza è un sincero interesse per il ragazzo così come è: ci piace già così, cerchiamo di aiutarlo a scoprire le sue potenzialità evidenziando ogni segno positivo che cerca di emergere in lui e che è rimasto nascosto forse perchè nessuno l'ha mai valorizzato. Cerchiamo di comprendere il significato dei comportamenti trasgressivi dei ragazzi, discutendone con loro. I nostri ragazzi sono abituati più a reagire per difendersi che ad agire per costruire. Li aiutiamo a fermarsi a pensare. A interporre uno spazio di riflessione tra l'impulso e l'azione. Conversione dell’operatore. Punto parallelo al cambiamento di mentalità del ragazzo è una vera conversione dell’operatore a una scuola con categorie mentali diverse. Un atto dovuto per quanti sono chiamati a vario titolo a “insegnare” al Centro DB. Chi ha seguito un percorso scolastico “regolare”, con tappe programmate per l’apprendimento, tutto ben organizzato con altri compagni di scuola, spesso fa fatica a intervenire con metodi, strategie e obiettivi nuovi. Per i ragazzi disagiati socialmente e culturalmente la scuola è solo il campo, dove far esplodere rabbia e tensioni. Allora occorre studiare il linguaggio, capire la loro filosofia, conoscere le loro aule, le loro abitudini, i loro giochi preferiti, il perché della predilezione per le ore notturne. La scuola non si svolge solo al centro ma anche all’esterno. Si fa scuola ovunque il progetto lo ritiene utile e opportuno. Immaginiamo la nostra struttura come un campo base o se volete come un day-ospital, dove si ricevono cure e l’equipaggiamento per affrontare i conflitti in famiglia, nel quartiere e avere le cure utili. Preziose sono le visite domiciliari: devono avvenire in maniera informale, come andare a trovare un amico, un familiare. Si porta un regalino. Non si parla di eventuali assenze, se non sarà l’interessato a parlare. Far capire che siamo lì, perché ci dispiace non vederlo… Uscite insieme in “particolari” situazioni o ricorrenze sono occasioni culturali, ma anche per accompagnare i ragazzi in un rapporto nuovo con l’ambiente. È l’originalità dello stare, la pedagogia della compagnia dell'educatore, amico e compagno di viaggio. 25  Approfondimento: Metodo metacognitivo All’origine di ogni storia di devianza c’è sempre un abbandono scolastico. Il ragazzo, deluso, abbandona la scuola istituzionalizzata per iscriversi alla scuola della strada! I primi processi cognitivi sono leggere, calcolare, ricordare, che tendono a sviluppare nell’alunno la consapevolezza di quello che sta facendo, del perché lo fa, di quando è opportuno farlo e in quali condizioni. Il metodo metacognitivo tende a formare la capacità di essere gestori diretti dei propri processi cognitivi, dirigendoli con proprie valutazioni e indicazioni operative. Non solo un sapere o un saper fare ma anche un sapere essere e soprattutto un sapere perché, in grado di far fronte alle sfide della vita. Un’esperienza di vita e di formazione. Aiutare a pensare. • Se pensa, sa apprezzare il lavoro. • Se studia migliora la qualità del lavoro. • Se lavora e non studia, viene a mancare il supporto formativo ed educativo di verifica e di sostegno. Scuola e vita. La vita quotidiana del ragazzo che diventa aula e libro aperto per la scuola e la scuola che diventa libro guida per i suoi comportamenti quotidiani. Il mediatore culturale non può essere un semplice facilitatore di comunicazione linguistica, va oltre: fa della diversità una risorsa dei processi di interscambio. È la grande sfida. Sfida con chi non ama dipendere da nessuno, con chi non accetta di imparare da chi è maestro. La scuola non è un’oasi di pace, una madre che accoglie, una casa dove rifugiarsi, per trovare protezione e sicurezze. Auto educarsi ed educare gli stessi ragazzi al senso del limite. L’educatore-insegnante non offre il cibo del sapere, se non lo aiuta a maturare, a gestire la rabbia, la sofferenza, i conflitti personali e relazionali, a comprendere comportamenti antisociali, ad accettare sfide e provocazioni come risorse per uscire dal carico di aggressività e di rifiuto del percorso formativo scolastico. Non tollerano insegnanti ed educatori: • senza alcuna compassione per la debolezza umana, • che amano influenzare gli alunni, senza accettare il dialogo, il confronto: • onniscienti, che assoggettano senza accogliere le istanze della base. Un metodo che si realizza in un viaggio immaginario e concreto attraverso la storia degli alunni di varia formazione culturale, politica e religiosa. 26 Scheda 10: L’educatore Premettiamo subito che non esiste l’educatore perfetto. Ognuno di noi è arrivato al Centro con il proprio bagaglio di esperienze, di abilità, di conoscenze, di “convinzioni” più o meno apprese durante il percorso di studio o nella vita familiare o lavorativa. Incontrarsi con questi ragazzi è una continua sfida alle nostre sicurezze. Il fallimento è un rischio sempre presente dietro l’angolo, che non deve scoraggiarci quando si presenta, ma prendere conoscenza dei propri limiti, in un’ottica di costante e continuo miglioramento della proposta educativa da offrire agli accolti del centro.  Alcuni principi educativi • Flessibilità: Don Bosco era apertamente nemico di una educazione che accentuava l’autorità, che predicava un rapporto freddo e distaccato tra educatori ed educandi. La violenza puniva momentaneamente il vizio, ma non guariva il vizioso: non ammetteva mai punizioni esemplari, che avrebbero dovuto avere un effetto di prevenzione, incutendo paura, ansia e angoscia. Il suo era un metodo educativo che generava consenso, partecipazione del ragazzo (contratto- negoziare). • La forza della testimonianza: nel cammino di formazione, l’educatore ha un ruolo privilegiato: non sorvegliante, ma amico, testimone e guida amorevole per aiutare i giovani a scoprire dov’è il proprio errore. Hanno bisogno dell’aiuto dell’educatore per la disapprovazione come appello alla coscienza. L’educatore deve essere la guida ai valori, non alla persona. Nell’intervento educativo un legame forte dell’educando alla persona dell’educatore è rischioso per la sua attività educativa. • La pazienza dell’attesa: in un mondo privo di cultura educativa, emerge un bisogno di relazioni umane autentiche, pensando l’intervento come gestazione di una vita nuova, di un parto doloroso, nella luce della fede, della solidarietà e gratuità. • L’ambiente: è la casa dove il ragazzo spera di trovare persone nuove, accogliente. L’operatore del Centro sente e cura gli ambienti come la propria casa, coinvolgendo nel “piccolo” i ragazzi a fare altrettanto. • L’accoglienza: il cardine, la fonte di energia del progetto è la capacità di accogliere ed intuire in disagio e i meccanismi di difesa presenti nel ragazzo all’atto dell’invio. • Capacità di ascolto dei messaggi che continuamente i ragazzi inviano in maniera multiforme con il comportamento, il modo di vestire e di presentarsi, di trasgredire, di attaccare e di difendersi. Le richieste di aiuto sono solo raramente esplicite, così come le richieste di fiducia, di affetti, di punti di riferimento. • Equilibrio interiore, per sopportare e sostenere gli sbalzi di umore e le contraddizioni tipiche di adolescenti capaci di risultati inaspettati, di cambiamenti repentini, di ricadute tipiche, sinceri nel promettere tutto e sinceri anche nell’ammettere la propria debolezza e incapacità a farcela da soli. 27  Approfondimento: Idee a confronto Ma allora quale è il modo giusto per l’approccio con questi ragazzi? Non basta l’amore. In educazione ci vogliono regole, ma le prime regole sono sempre e solo per l’educatore, prima di proporle ai ragazzi. Riflettiamo: • Noi godiamo di privilegi. Chi dalla vita ha ricevuto di più è tenuto a dare di più. Più elevato è il privilegio più alto è il dovere. Come in amore, così in educazione non esiste una via di mezzo: bisogna essere totali. La mediocrità a lungo andare non paga mai. Fa solo danni. • Facciamo anche verifiche. Spezziamo le nostre sicurezze. La cultura educativa proposta oggi è la cultura del puntare il dito sempre sui ragazzi. Oh, quanti danni fanno gli adulti, pensando di educare giudicando il piccolo, per celare le proprie colpe. L’educatore vero educa facendosi educare. Dio sa quanto amore mi hanno dato questi ragazzi. • Non lasciamoli morire orfani di amore e di regole. Amore e regole per il ragazzo, amore e regole per l’educatore. • Solo l'amore salva una crisi, una sconfitta, perché è sempre l'amore a generarla, ad aprire una ferita, a piagare un corpo. Chi crede alla potenza dell'Amore, non perde la certezza che le forze povere o ricche che siano, se unite, diventano un dono prezioso tra le mani vuote degli amici che entrano nella famiglia del Centro Accoglienza. Viviamo sereni e tranquilli: non può avviarsi alcun progetto dove regnano le tensioni e serpeggia la paura o lo scoraggiamento. Il Centro è una scommessa con noi stessi, prima che con i nostri ragazzi. Atteggiamenti nocivi: • Il tarlo delle omissioni: intervenire con pacata costanza sulle piccole mancanze (la forza della micropedagogia). Far notare, non comandare. Far vedere, non imporre. • Non rispetto dei ruoli: a ragazzi senza modelli di riferimento è essenziale offrire, almeno al Centro, chiarezza da parte delle figure di riferimento. Con loro e per loro ma senza rinunciare mai al proprio ruolo educativo e formativo. • L’individualismo: al Centro si lavora sul singolo, ma nel rispetto del progetto condiviso, impegnati a remare nella stessa direzione. 28 Scheda 11: La vita è bella (intervento psico-educativo) La formazione dei minori a rischio richiede una revisione del suo vissuto, una conoscenza dei “pregressi”, che ne hanno condizionata la vita. Nel progetto del Centro occupa un posto insostituibile di formazione, il sostegno psicologico ed educativo. È la base dove si può costruire, edificare una nuova casa. Lo stesso titolo del testo utilizzato per questo intervento, “La vita è bella”, ne esprime in pieno il senso e il valore. Attraverso il lavoro con le schede proposte vogliamo inviare al ragazzo il messaggio che è una persona ricca di potenzialità, che può farcela nella vita anche se fino ad ora le cose non sono andate per il verso giusto. Che può fare oggi un passo verso il cambiamento. Che noi ci crediamo e vogliamo sognare insieme con lui e accompagnarlo in questo percorso. Il nostro intento non è mai valutativo, di noi si può fidare perché stiamo dalla sua parte.  Obiettivi principali • Il sostegno alla persona attraverso percorsi specifici che di volta in volta aiutano il ragazzo ad acquisire consapevolezza dei propri vissuti affettivi. • Esplicitare alcuni nodi problematici che frenano uno sviluppo positivo della personalità del ragazzo nella sua unità: utilizzo di sostanza nocive alla salute (fumo, droghe), le relazioni famigliari (la figura materna e paterna in particolare), il rapporto con la legge e con il mondo della devianza e le sue regole, il rapporto con la diversità (le diverse forme di razzismo), il gruppo dei pari, il quartiere nel quale vivono, alcune forme di ansia e di depressione che sono sintomo di disagio esistenziale. • Individuare insieme percorsi alternativi alla devianza attraverso un lavoro sulle motivazioni, i comportamenti, gli atteggiamenti, i valori partendo dall’incontro avvenuto tra lui e noi: un io e un tu ben definiti con una propria identità e una propria storia alle spalle. Un incontro mai casuale: perché proprio tu? Perché proprio adesso? Quali opportunità questo incontro ci offre? • Favorire il processo di conoscenza di sé del ragazzo nelle sue diverse dimensioni: fisica, intellettiva, affettiva, sociale e spirituale. Conoscenza necessaria per dare senso al proprio vissuto, alle esperienze anche negative e alle relazioni anche problematiche o interrotte. Soprattutto si cerca di individuare i punti forza della personalità, quegli elementi positivi, che valorizzati, possano favorire un processo di maturazione e recupero di autostima. • Favorire un progressivo processo di sostegno alla persona del ragazzo e al progetto educativo del Centro attraverso percorsi specifici che di volta in volta aiutano il ragazzo ad acquisire consapevolezza dei propri vissuti affettivi e emozionali, a sapersi relazionare in maniera adeguata con i coetanei, con il mondo degli adulti e con la società nella quale sono inseriti. Per raggiungere questi obiettivi si utilizzano non solo i colloqui individuali, ma anche diverse occasioni, che ci si presentano apparentemente per caso: "setting simbolici" nei quali riproporre alcune domande cercando insieme le risposte, scoprendo il senso della situazione che si è venuta a creare. 29  Approfondimento: Le schede da usare con i ragazzi Tre aree principali 1. Io con me stesso: le dimensioni della personalità. Il mio corpo, la mia testa, il mio cuore, la mia storia. Per acquisire maggior consapevolezza su come sono fatto, cosa piace o non mi piace del mio corpo e del mio carattere. Come utilizzo il pensiero e come percepisco le emozioni. Cosa ricordo della mia storia, quali sono gli eventi più significativi della mia vita e come posso rielaborare e utilizzare queste conoscenze. 2. Io con gli altri: la famiglia, gli amici. Il rapporto con l’ambiente… Per favorire l’esplorazione delle relazioni significative nelle quali il ragazzo è inserito e che contribuiscono in misura diversa a definire la sua identità. Si comincia con l’identificazione della rete relazionale personale del ragazzo per poi approfondire la relazione con i familiari, con gli amici ecc. 3. I valori in cui credo, il mio stile di vita, il progetto di vita. Aiutare il ragazzo a divenire consapevole del processo che lo porta a prendere decisioni. Dei valori che modellano il suo comportamento e i suoi atteggiamenti, delle motivazioni che lo possono portare a prendere delle decisioni riguardo al suo futuro e su quali passi fare per cominciare a gustare la possibilità di farcela. È necessario per il ragazzo scoprire la possibilità di sognare un futuro diverso e percepirlo come possibile. Occorre farlo con estrema delicatezza perché i nostri ragazzi hanno paura di sognare… Modalità d'uso: • È indispensabile che gli operatori dell'equipe psicopedagogica conoscano bene tutto il materiale a disposizione e che per ciascun ragazzo venga elaborato un percorso che tenga conto delle sue caratteristiche e degli obiettivi del P.E.I. • II percorso psicoeducativo per i ragazzi è parte integrante del materiale elaborato per gli esami di licenza media e per i corsi di formazione di avviamento al lavoro. • Ogni tecnica è stata pensata per un determinato obiettivo, quindi il suo utilizzo va calibrato al ragazzo specifico e allo specifico momento che sta attraversando. • L'utilizzo di ciascuna scheda va accompagnato da un opportuno lavoro di preparazione del materiale (prima di incontrare il ragazzo) e da un ambientazione (scenografia) che aiuti il ragazzo a entrare con più facilità e immediatezza nella situazione proposta dalla tecnica stessa. • Molte delle schede proposte possono essere anche utilizzate in un lavoro di gruppo dove i ragazzi possono confrontarsi tra loro. Altre richiedono un ambiente riservato che possa aiutare il ragazzo ad aprirsi con sincerità e profondità. • È importante mettere sempre al centro del lavoro la persona del ragazzo nel particolare momento che sta vivendo: quindi le schede vanno utilizzate con flessibilità. In alcuni casi si può evitare il lavoro scritto per favorire il dialogo e l’apertura (soprattutto per chi ha difficoltà gravi di lettura e scrittura) o si può semplificare una scheda utilizzandola solo in parte per avviare una riflessione. È necessario che il ragazzo abbia il tempo necessario per elaborare personalmente un pensiero e una risposta e che l’operatore rinforzi il processo più che il risultato. 30 Scheda 12: Originali strategie formative… micropedagogia-riconciliazione Il minore a rischio a causa del proprio vissuto, tra insuccessi a scuola, in aperta guerra con il quartiere, in condizioni sociali di marginalità, ama rapporti alla pari. Ama anche cambiare ma sullo stesso terreno, con gli stessi strumenti e linguaggio. Da dove cominciare? Si parte dalla quotidianità, dal mondo del ragazzo. L’intervento educativo con minori a rischio è fatto di piccole cose, che noi chiamiamo “micropedagogia”, poche ma precise regole proposte in positivo e sempre motivate. La riconciliazione o mediazione è un’opportunità per far pace con se stessi e con quanti nella società sono stati o sono motivo e causa di disturbo interiore ed esteriore. • La micropedagogia è la pedagogia delle piccole cose, una strategia educativa, molto trascurata. Anche la normativa penale, come la cultura sociale, sono disattenti al primo passo sbagliato. Gli stessi genitori, come gli insegnanti, invocano aiuti, solo quando il disturbo è diventato acuto. Noi crediamo che mattone su mattone viene su la nuova casa. Si lavora sui piccoli spazi, su relazioni interpersonali, in luoghi ed in tempi limitati. La sfida sul piccolo, per educare alle grandi sfide della vita. È la logica, diciamo ai ragazzi, dello sport. Nessun traguardo si raggiunge, senza adeguato allenamento. Gli interventi di micropedagogia sono brevi, flessibili ma al tempo stesso ricchi di senso umano. L’attenzione alla minuzia può diventare nel seguito del rapporto, l’occasione, la chiave di lettura di una storia. Dando valore alle piccole cose si educa alla responsabilità. Qualche esempio. Esigere il saluto, tenere in ordine i libri e quaderni, usare un linguaggio corretto, stare ben seduto, non scarabocchiare su tavoli…! La micropedagogia ti apre la porta per entrare, ma non è ancora la stanza, dove si sviluppa la storia che si vuole raccontare. È illusorio che smettano di fumare, che siano precisi e puntuali, ma non è illusorio, curare che non gettino il mozzicone di sigaretta per terra, che tengano in ordine il tavolo di lavoro, che usino correttamente la sedia, che non si mangino le unghie… Dare peso alle piccole regole! • La forza della mediazione: La mediazione è la via che permette di vivere l’incontro come un osservatorio, dove famiglia, lavoro, scuola, strada, tempo libero concorrono a sviluppare il pensiero, il senso critico, a stimolare comprensione e voglia per l’acquisizione della cultura e l’esercizio dei valori umani. Educare ed educarci anche al Centro al perdono, a superare tra noi e con i ragazzi i possibili conflitti. La libertà genera serenità, confidenza, personalità e responsabilità. Su questo orizzonte, vasto e complesso, deve orientarsi la mediazione sociale. Un buon educatore è un mediatore per vocazione. Interviene nelle strutture e negli ambienti diventati luoghi naturali di vita, conosce le leggi che regolano le varie forme di aggregazione, media il rispetto della norma, aiuta a crescere e vivere nella legalità. 31  Riflettiamo 1. Si lavora sulla crescita del senso di "autoefficacia percepita": quando il ragazzo comincia a domandarsi quali sono le sue capacità, cosa sa fare, spesso rimane in silenzio, pensa di non essere capace a fare niente di buono. È stato rinforzato e dotato di senso solo negli aspetti negativi della sua azione. Lo aiutiamo a scoprire le sue ricchezze e potenzialità per smuovere la sua parte positiva, e ricominciare a sperare... “pensi di non saper fare niente? Ma ti rendi conto che sei riuscito per mesi ad aprire serrature senza chiavi e senza farti vedere da nessuno... sei riuscito a portarti via macchine e motorini, a smontarli e a vendere i pezzi, a destreggiarti sulla strada tra tanti pericoli, ad aiutare economicamente tua madre che è sola... di cose ne sai fare tante si tratta di sfruttare le tue qualità in positivo!”. 2. Il ragazzo scopre di non essere capace solo a essere il primo in negativo, qualcuno ha fiducia in lui, può fare anche qualcosa di bello e venir apprezzato per questo, può provare a ottenere quello che cercava attraverso le condotte devianti sperimentando percorsi diversi, piccole esperienze positive dotate di senso. La confusione nasce dal convivere con la vita fatta di sofferenza, di dolore, di voglia di riscatto, d’ansia, di rabbia, d’insoddisfazione, d’impotenza. Fin quando il ragazzo non mette ordine tra spazio e tempo, tra interiore e realtà, non chiarirà il proprio malessere. Non potrà avviare alcun progetto per il suo futuro, vedendo negli adulti e nello stesso educatore, un nemico, del quale non comprende il senso dei messaggi. È solo prerogativa dei forti puntare subito in alto e avere energie sufficienti per grandi traguardi. I ragazzi a rischio sono neonati nella vita sociale: hanno bisogno di essere guidati a muovere piccoli passi sulla via delle relazioni sociali. Con ragazzi asociali, irriducibili e ostili a progetti impegnativi, non abbiamo altre scelte: o la camicia di forza o la trilogia formativa. Indichiamo e riflettiamo su alcuni esempi a riguardo noi stessi (genitori, educatori, insegnanti) che i ragazzi (minori a rischio, alunni, figli…) • Pedagogia del sarto: progettare, programmare interventi, utilizzare strategie su misura del destinario… • Pedagogia del contadino: i nostri comportamenti che riguardano la competenza nel seminare e la pazienza nella cura del seme… • Pazienza della micropedagogia: le modalità di tempi, linguaggio, strumenti da utilizzare nell’educare all’accettazione delle regole… • Forza interiore della riconciliazione: il senso dell’essere in pace, con se stessi e con gli altri – il valore delle mediazione penale, sociale, familiare… 32 Scheda 13: Sportello aperto L’ultima riflessione riflette sulle radici profonde del progetto. La condizione del disagio minorile è una macchia senza contorni. Nessuno potrà mai circoscriverla. Ogni anno, ogni mese, ogni giorno, ha colori diversi. La macchia è formata da tante richieste di aiuto, diverse, impensabili, come tante e diverse devono essere le risposte. Allora un progetto di servizi sociali, umani, un centro di aiuto a minori in difficoltà non può che essere polifunzionale. Non circoscritto e limitato soltanto ai servizi già funzionanti al Centro. Tante sono le domande e altrettante devono essere le risposte. Il Centro attiva percorsi ordinari di recupero scolastico e di formazione professionale, ma ha uno sportello per progettare anche l’impensabile (cosa capitata tante volte) per recuperare i “disperati”. Tutto questo è difficile a esprimere, ma è nel dna del CDB. In questa prospettiva, quindi, oltre ai settori ben definiti e collaudati, si tenta di dare a tutti opportunità di riscatto, attraverso progetti di formazione mirata.  Alcune considerazioni • Il pianeta minori a rischio è variegato e complesso. È il punto di partenza per capire “lo sportello aperto”. I ragazzi che arrivano sono “confusi”, incapaci di scelte. Della scuola hanno una visione distorta. Questo li porta ad avere poco chiaro ogni visione di futuro. Sono passati talvolta anche attraverso esperienze brevissime di lavoro, senza alcun senso e senza alcun vantaggio. Solo delusione. Non hanno stima di nessuno e tanto meno di se stessi. • L’attenzione al ragazzo. La comprensione dello “sportello aperto” passa attraverso la conoscenza del vissuto del ragazzo. La risposta a tanti interrogativi si ha solo dopo la fase di accoglienza. Stando con loro è possibile conoscere il mondo sommerso delle relazioni e dei codici non scritti. Solo così si possono contestualizzare e comprendere i significati delle richieste. "Don Bosco era sempre presente in mezzo ai giovani; si accostava ora all'uno ora all'altro per conoscerne i bisogni, sempre sereno e sorridente, senza che nulla gli sfuggisse" (MB V.III°). • La multietnicità. Al Centro arrivano italiani e straneri, provenienti da paesi diversi europei, africani, sudamericani, asiatici. Minori cattolici, ortodossi, mussulmani o privi di ogni istruzione religiosa. Questo rende vario il lavoro educativo. Ma complesso e difficile per progettare un futuro. Sono varie le richieste e solo allargando l’orizzonte delle risposte è possibile evitare che chi bussa alla nostra porta sia costretto ad andare via, senza sapere dove e come risolvere i problemi di formazione. 33  Riflettiamo 1. Il lavoro. Alla radice di tutti “i bisogni” c’è sempre l’urgenza di “lavorare”. Alle note difficoltà di trovare lavoro si aggiunge la problematica resistenza del minore disagiato alla fatica. Non resistono più di qualche giorno o settimana in un’esperienza lavorativa. A questo si aggiunge il comportamento relazionale e la mancanza di competenze specifiche. Ad ogni richiesta pertanto si risponde con un progetto base, indispensabile a rafforzare la personalità dell’accolto e a dare gradualmente delle competenze, alternando formazione umana e scolastica con tirocini esterni. 2. Apprendere dall'esperienza: I tirocini sono un momento forte del percorso formativo. Non durano meno di due mesi. Sono preceduti da colloqui individuali per individuare insieme posto e modalità di svolgimento. Approfondimento delle motivazioni alla base della scelta effettuata e la presentazione delle varie possibilità dell'offerta formativa. La presentazione di modelli, ambiente, figure professionali che incontreranno. 3. Definire le finalità: • Prima del tirocinio: approfondite le regole da osservare nell’esercizio della propria professione. La fatica - Il confronto con il mondo del lavoro - Le relazioni con le persone, tempi, diritti, doveri - Libretto di lavoro - La professionalità - Libretto Firme. • Dopo il tirocinio: Incontri orientati alla comunicazione dell'esperienza del tirocinio non solo negli aspetti tecnici e organizzativi, ma soprattutto nel vissuto personale e nelle dinamiche interpersonali nelle quali sono emersi limiti e risorse individuali. Incontri di gruppo finalizzati ad apprendere le strategie per "imparare ad imparare" e per trasformare la buona esecuzione di un compito in un esperienza lavorativa e in conoscenza da utilizzare come credito formativo. Racconto della propria giornata lavorativa, i colleghi, i clienti. Difficoltà incontrate: cosa ho fatto per superarle, cosa potevo fare. 4. Prospettiva famiglia. In questo percorso svariato di domande e risposte sono sempre coinvolti amici e familiari o persone che possano essere di supporto per l’inserimento in una realtà sociale. È questa la fase più delicata, che richiede tempo e spesso solo con l’età diventa concreto un progetto di vita. 5. Il ruolo del tutor. È la figura “chiave” per la riuscita di ogni progetto formativo. La mediazione sociale sul lavoro richiede competenza. Il mediatore-educatore conosce il ragazzo, il ritmo di apprendimento, la componente critica della personalità e le doti relazionali. Conosce la dinamica dei corsi di formazione. In sintonia con gli altri operatori del progetto, accompagna il ragazzo nella delicata fase di inserimento nel mondo degli adulti. Condivide con il ragazzo, dopo la fase teorica e formativa al Centro, l’avviamento a un’attività lavorativa, alle tante attese per anni sognate: il guadagno, sentirsi valorizzato e gratificato, la prospettiva di soddisfare bisogni della vita giovanile, la macchina, l’indipendenza. 34 Scheda 14: Codice di comportamento dell’educatore Un punto di forza essenziale del progetto del centro diurno Don Bosco è la motivazione degli operatori. Il lavoro con questi ragazzi mette alla prova la propria capacità di credere e sperare in un senso incondizionato della vita. Questi minori vivono in situazioni oggettivamente difficili, famiglie multiproblematiche, abuso di sostanze, recidività, difficoltà di apprendimento, inaffidabilità, storie di abusi e violenze alle spalle. Fascicoli di Tribunale sostanziosi in attesa di provvedimenti penali o civili dai tempi lunghi e lunghissimi (come sono diversi i tempi della giustizia da quelli dei ritmi educativi di un adolescente!). Le icone: Il Seminatore e il Buon Pastore • Il Buon Pastore lasciò al sicuro… e andò a cercare quella smarrita. Accogliere e condividere la vita con i giovani e ragazzi più poveri e abbandonati, offrire con fede e fiducia disponibilità per costruire “vite nuove”. • La presenza di ogni operatori è un dono per il Centro. Il volontariato come il tirocinio è un’esperienza di crescita e di educazione che avviene insieme ai ragazzi. Il “tirocinio o servizio civile o semplice volontariato” è una missione, prima che un’occasione per “sperimentare sul campo” le necessarie competenze teoriche e tecniche. 1. Il Centro é un segno visibile dell’Amore di Chi veglia sulle sofferenze di creature innocenti e incolpevoli, ma anche un’occasione preziosa per chi vuol condividere un’esperienza forte educativa di amore, in una struttura da sentire come la propria casa. > Ogni operatore che a qualsiasi titolo chiede di inserirsi nel nostro progetto educativo, accetta una fase di formazione e di conoscenza della vita del centro: con semplicità e pazienza: “vede,osserva, si confronta” per comprendere e condividere lo spirito del progetto. A tutti chiediamo chiarezza nella disponibilità per condividere tutto, dal fare scuola a mantenere “pulito e accogliente” gli ambienti, dalla presenza agli impegni quotidiani assunti a quelli richiesti dalle emergenze. 2. I ragazzi accolti al Centro presentano nei suoi svariati aspetti forme di disagio, di devianza e di comportamento. Nei momenti di vita comunitaria (le pause dalle attività, i momenti ludici...) il volontario si sperimenterà nella gestione della relazione informale con i ragazzi e nella possibilità di costruire un setting simbolico, individuando e mantenendo il proprio ruolo. > L’operatore si assume in pieno la corresponsabilità a costruire e sostenere un ambiente di attenta e vigile per educare alla legalità ed ad acquisire il senso civico della vita. Bisogna tenere alto il nostro livello di assistenza: stare con i ragazzi, con pazienza, sempre e dovunque. 3. Il Centro è il campo base, con la mente e gli occhi rivolti al mondo esterno per la scoperta di un modo nuovo di rapportarsi con l’ambiente, la strada, le persone: monumenti, musei, piazze, vie, locali di ristoro, del tempo libero, centri vari della 35 pubblica amministrazione, sedi di giornali, di organismi dell’ordine pubblico… sono aule preziose per rifare il tessuto culturale e civico dei nostri ragazzi. > L’operatore con meticolosa preparazione, programma visite, incontri formali e informali sul territorio. Il volontario è anche impegnato nel curare le relazioni con il ragazzo, gli amici e la famiglia all’esterno del Centro, con opportune visite domiciliari, fatte in modo familiare e di cortesia, senza mai dare l’impressione di un’operazione di controllo. 4. La scuola è il volano del nostri progetto. L’educatore-insegnante deve scoprire e comprendere le motivazioni a monte di uno stato di disagio, per programmare l’essenziale, per andare al seme, alle fondamenta, per confezionare abiti appropriati (la pedagogia del sarto). > L’operatore-insegnante deve conoscere, studiarsi contenuti e modalità per presentare a “quel ragazzo” la lezione, elaborare schemi e proposte alternative. L’improvvisazione è la peggiore azione formativa a danno di questi ragazzi. 5. Il ruolo dell’educatore rimane tale, sempre e ovunque. Accanto non come complice ma per sostenerti. Il peggior transfert in educazione è la voglia di riscattare nel ragazzo l’incompiuta presente nella mente e nel cuore dell’adulto. > L’educatore cura il proprio ruolo attraverso un comportamento dignitoso, sereno e rassicurante, anche con la disapprovazione esplicita, sempre motivata. Opera in sintonia con gli altri, mettendo a disposizione le proprie competenze, ma anche é disposto ad accettare il confronto con gli altri. Quanti svolgono un mandato di tirocinio sono tenuti a rispettare le norme previste dai responsabili del tirocinio. 6. L’educatore del Centro è l’uomo delle grandi sfide, l’uomo del futuro, non del presente. Guarda il soprannaturale. Ha nel cuore il regno dei cieli. Educare un ragazzo è partorirlo alla vita una seconda volta. L’educatore vero educa facendosi educare. > Ogni educatore si adopera perché il progetto si realizzi, pronto ad accettare ritardi, interruzioni, anche fallimenti. Non negherà mai al ragazzo di rinegoziare il rapporto e l’opportunità di tentare il “colpo finale” (ammissione a una prova di esame). 7. Le regole sono strumenti per la nostra crescita umana e sociale. Amore e regole per il ragazzo, amore e regole per l’educatore. La strategia educativa per i nostri ragazzi è il ricorso alla micropedagogia. > Tutti gli operatori con forte senso di responsabilità cureranno le piccole regole, come la compostezza durante le lezioni, che non gettino carta per terra, che tengano in ordine il proprio tavolo, che usino correttamente la sedia, che non si mangino le unghie…L’operatore non può e non deve fumare in qualsiasi posto quando è accanto al ragazzo, al Centro, fuori per le uscite… Questo come altri comportamenti, sono contro testimonianze deleterie per la nostra proposta formativa. 36 8. I rischi del nostro intervento educativo, educazione – protezione: L’educatore che plagia l’educando, che si lascia sedurre dall’educando, l’educatore che riversa sull’educando le proprie ansie…rischia di peccare di complicità, perdendo il proprio ruolo e la propria autorevolezza… > Ogni operatore non lavora da solo, non si identifica nel ragazzo che segue per un particolare progetto. Si interessa e socializza e fa socializzare con gli altri accolti. Nei momenti di difficoltà farà riferimento al sostegno dei responsabili. 9. L’operatore è tenuto alla riservatezza su tutte le informazioni riguardanti i ragazzi accolti, sia quelle ricevute dai ragazzi stessi che quelle tratte dalla consultazione delle cartelle o da comunicazioni emerse nelle riunioni. > L’operatore usa rispetto per il ragazzo, controlla reazioni a possibili forme di provocazione. Nei momenti di “ricreazione” non fa mai riferimento allo stato di disagio o trasgressioni del ragazzo. Inoltre si impegna a conoscere la normativa vigente per i minori nell’area penale o tutto quanto regola il rapporto con i minorenni. In casi particolari non prenderà iniziativa specifica senza consultarsi con i responsabili. 10. La presenza in una struttura complessa e posta in un territorio particolare di minori a rischio di devianza ci impone di creare un clima di serena accoglienza ma anche di estrema vigilanza. > L’operatore si inserirà e lavorerà in un particolare settore (penale, scuola popolare, nomadi, corsi), seguendo i movimenti di tutti i ragazzi. In particolare si vigilerà all’ingresso del Centro. Nessun operatore deve sostare all’esterno del portone. In caso i ragazzi lo facessero si invitano a rientrare o si socchiude il portone, evitando di essere così complici di eventuali trasgressioni. I ragazzi saranno sempre informati che non possono per alcun motivo entrare e uscire a piacimento. 37 Alle schede di riflessione per la conoscenza e formazione degli operatori, alleghiamo altri strumenti per ulteriore fonte di approfondimento dei principi e della modalità del progetto. In particolare: > Due lettere tratte dal libro Icaro torna a volare > Criteri applicativi della norma sulla privacy > Esempi di protocollo di intesa con scuole statali > Scheda del PEI, progetto educativo individuale > Regole del Centro Seconda parte: allegati 38 1. La fontana del villaggio Agli educatori di strada e a quanti nella loro vita non sono amati da nessuno. Avete festeggiato S. Valentino! La festa degli innamorati! Spero che lo siate tutti, che lo siano anche i nostri pischelli con le loro pischellette. L’amore è un dono, l’ossigeno del cuore, l’energia umana e spirituale, che cambia il colore dei nostri occhi e del nostro viso! Perché non associare allora l’educazione all’amore? L’amore al sacrificio? Come l’amore vi aiuta a crescere, così esige anche che siate purificati: l’amore vi infiamma e vi crocifigge. Come l’albero affonda le sue radici nell’oscurità della terra per portarci in alto, per donare fiori e frutti, così l’amore si nutre di dolore e di silenzio interiore, prima di esplodere e svelare i propri sentimenti di piacere. Mi piace citare K.Gibran. “Come covoni di grano, vi raccoglie in se stesso, vi trebbia per spogliarvi, vi setaccia per liberarvi dalla pula. Vi macina e vi trasforma in bianca farina, vi impasta finché diventiate pane sacro per il sacro banchetto di Dio. Tutte queste cose l’amore vi farà perché possiate conoscere i segreti del vostro cuore, e in tale conoscenza diventiate un frammento del cuore della vita.” Buona festa agli innamorati! Almeno una volta nella vita tutti possano soffrire del mal d’amore! È stato il pensiero assillante di tutti i Santi. Amore alla vita e vita all’amore! Madre Teresa di Calcutta accoglieva in casa gli ultimi, gli affamati, i moribondi sulle strade: “È bello sentirsi amati con tenerezza divina almeno una volta nella vita, anche se fosse l’ultimo… il più bello, proprio perché l’ultimo!” Innamorarsi ogni giorno del proprio lavoro! Voi state sulla strada giusta: lentamente, poco alla volta. Nell'arte dell'educazione è in gioco il futuro degli altri, e non abbiamo mai il diritto di giocare al risparmio o ai compromessi! Chi ama educa il proprio corpo e lo spirito a gestire i sentimenti. Chi educa aiuta a riscoprire l’amore alla vita e alle persone, a far crescere la benevolenza verso gli altri. Peccato che questo non avviene nell’innamoramento! Ripeto spesso a voi operatori e soprattutto ai ragazzi che innamorarsi è facile. Avviene spesso all’improvviso, come un fulmine; il difficile viene quando bisogna crescere, curare l’amore, mettere radici in profondità, perché lentamente possa diventare di due persone un albero unico. All'origine del disagio c'è sempre un amore mancato. Viviamo accanto a loro da innamorati della vita. In amicizia! 39 L’amicizia vera nasce senza parole. Non si cerca per passare ma per vivere il tempo. Uno sguardo, un gesto, penetra nella mente e nel cuore più di mille parole. L’amicizia e l’amore sono come le aquile: amano volare in alto. È questo il pane profumato che il buon Dio mette sulla nostra mensa. Il nostro progetto è una piccola creatura: ha bisogno di premure e delicatezze, di paziente attesa. Nessuno di noi ha il diritto di sciupare questa preziosa occasione. Come i puntuali rintocchi dell'orologio della torre del paese, nelle nostre menti deve risuonare sempre la speranza: c'è sempre un domani, per tutti! Credo che in educazione, come nell'amore, o si è totali o si rischia alla fine della vita di rimanere con le mani vuote e il cuore ripieno d’insoddisfazione. Sento spesso ripetere: Mi manca tanto il Centro. È vero: è come una croce che ti pesa quando la porti sulle tue spalle e ne senti la mancanza quando la lasci solo per qualche istante. Un buon educatore dovrebbe ispirarsi alla storiella della fontana del villaggio, felice solo di gettare acqua; non importa a chi e quando. Che arrivi la buona massaia con la sua brocca abbrunita, con la sua piccola giara ad attingere acqua, o che vada a mescolarsi al terreno formando un noioso fango, importa poco. Tu però devi restare lì, sempre e disponibile. Non puoi, e non devi smettere mai di essere fontana viva: la gente ha diritto alla tua acqua. Puoi anche soffrire la solitudine, ma non puoi rinunciare, rifiutare di donarti. Questi ragazzi hanno diritto di poter contare sulla serietà e la paziente tessitura del nostro servizio. Come la fontana getta in continuazione acqua, senza mai chiedersi chi e quando vorrà dissetarsi, così il contadino non si arrende mai, semina e risemina, e sa che un giorno su quella terra bagnata dal suo sudore e dalla sua fiducia arriverà la fioritura. È qui la forza del nostro lavoro, che non tende all'appagamento personale, ma a soddisfare le miserie degli altri. Dobbiamo sentirci un po' fontana che getta acqua e un po’ contadino che semina. Un educatore ripiegato su se stesso è come una fontana prosciugata, annerita e consunta dalla ruggine; resta il simbolo della solitudine e della morte. È solo oggetto dello sguardo smarrito del passante di turno, alla ricerca affannosa di un sorso d'acqua nella calura estiva. È anche triste vedere un campo incolto, dove cresce solo erbaccia e si accumulano rifiuti di ogni genere. Noi ci siamo messi sulla strada giusta, anche se, onestamente, devo constatare che in questo periodo azioniamo più i freni che le marce. Ripensiamo insieme alle giornate di studio e alla festa del 31 gennaio. Una mamma guarda sempre a mensa i presenti, porta a tavola i piatti preparati con tanta cura e prova una stretta al cuore se ci sono dei posti vuoti. Ricordo la commozione dei presenti, la compostezza dei tre ragazzi, l’inatteso coinvolgimento di tanti familiari e amici, la semplice e toccante immagine della torta con le candeline. Invece di godere i figli presenti, il cuore della mamma soffre perché pensa a quelli che non sentono il gusto e il sapore della minestra di casa propria. È la parabola della pecorella smarrita che ritorna in mente e si trasferisce nel nostro delicato e prezioso lavoro quotidiano. Allora ti assale l'interrogativo: perché? Dove sono gli altri? Perché? Cosa non ha funzionato? Tu ne sei responsabile. Sei il primo a dover trovare le risposte giuste; sei il volano della macchina. Se ti fermi o rallenti, se dubiti, se ti abbandoni…, sei tu il seminatore. 40 Se allenti il passo, se non sostieni gli altri con la parola giusta, se la tua fede vacilla, la macchina non funziona. Sei tu la fontana che non deve smettere di gettare acqua, sempre, di giorno e di notte, con il sole e con la neve. Sei sempre e solo tu il primo a dare forza e fiducia al gruppo dei ragazzi. A noi arrivano mele marce. Detto e ridetto. Cerchiamo con tenacia di trovare quel seme buono e su quello scommettere, per coltivare una nuova pianta, più fortunata. La linfa è la nostra vita, il nostro credo, quello che ciascuno di noi sperimenta giorno dopo giorno. I nostri ragazzi ci leggono negli occhi. Il loro animo, la loro mente e lo stesso cuore portano i segni della delusione. Troppe volte, e per lungo tempo hanno assistito alla sfilata di parolieri e presunti paladini della carità per credere ancora ad altre chiacchiere vuote e senza anima. Il nostro Centro ha bisogno di gente competente e professionisti della disponibilità ad oltranza. Non c'è futuro per chi opera per mestiere e non per passione. È sempre sulla strada del sacrificio che matura la passione. Abbiamo sempre creduto che il volano del nostro intervento educativo dovesse essere la scuola, come occasione per aiutare il ragazzo a capire, a distinguere il bene dal male, proprio come alternativa alla scuola della strada. Riflettiamo ancora su questo. Sono stato per anni nella scuola. Ho capito, forse troppo tardi, che nella vita ci sono due scuole: quella legalmente riconosciuta e quella illegalmente costituita. Della prima c'è un albo di docenti, ci sono aule, ci sono gradini da scalare, promozioni, bocciature, libri, programmi; tutto è organizzato secondo una prassi. Vi è il rispetto dei fusi orari, del rapporto notte-giorno, riposo-studio. Della seconda si sa poco, ma si vede molto: è la scuola della strada. Qui non esistono registri, elenchi, è tutto una giungla; si fa scuola ventiquattro ore su ventiquattro. Non esiste orario, si studia quando si vuole e come si può, si dorme quando e dove si vuole e si può. Di notte e di giorno poco importa. Meglio di notte, con il favore delle tenebre. Turni si susseguono a turni. Non ci sono aule. Può fare da banco il muretto, la piazzetta, il vicolo, da sedia un cartone, una coperta. Non si usano libri, i muri fanno da lavagna, apparentemente non ci sono regole: ha un suo codice, i propri comandamenti e precetti. Alunni e maestri si sono divisi spazi, marcati da confini ben precisi; chi sgarra paga, anche con la vita, senza processo e senza pietà per nessuno. È una scuola mercato dove si compra e si spaccia, dove tutto è mercificato e tutto diventa cultura, dove alunni sprovveduti diventano preda di squallidi sciacalli notturni, maestri e professori senza scrupoli. Non sono ammessi ripetenti; o si è promossi o si è bocciati. È un incrociarsi continuo di ricchi Epulone, padroni incontrastati di mense lautamente imbandite, e di poveri Lazzaro piagati, a caccia di briciole d’umanità. Per la scuola normale ci sono percorsi scolastici: voi ne sapete qualcosa, alla presa con i vostri tormentati esami. Si arriva anche alla laurea. Non mi è stato facile conoscere la scuola della strada. Sono mesi di studio faticoso. Tento di studiare la loro lingua, di capirne la filosofia, di conoscere le loro aule, le abitudini, i giochi preferiti, il perché della predilezione per le ore notturne. Chi conosce questa scuola oggi può concretamente parlare al cuore di questa povera gente. Il lavoro sulla strada ci 41 aiuta a ridimensionare i faccendieri e i falsi portabandiera dell'amore agli ultimi: è più facile denunciare che tendere la mano. L’esperienza di strada ti educa al senso dell’impotenza e ti spinge ad alzare occhi e mani a Chi sta nei cieli. Come frenare le lacrime quella notte, fredda, in un angolo del lungotevere, ascoltando S.?! “Sono stufo, è da quando sono nato che mi hanno sempre fatta la stessa domanda. E... come ti chiami, e tuo padre e tua madre? Figlio di merda... ! Sono nessuno, niente... Basta che lo sa LUI, quello lì, quello che stà lì, tra quelle stelle. Lui mi conosce bene. Lo saluto ogni sera...Qui non ho avuto mai una casa mia e non la voglio: ce ne ha data una che questi zozzoni l'hanno ridotta a una mer... Lassamo perde, che poi parlo male e quello lì s'incazza! ... So' sempre li stracci che vanno per aria!” Si commosse, strinse le labbra e pianse. Ci stringemmo la mano. Lo lasciai addormentato e ripresi la strada di casa. Sto riempiendo i miei quaderni d’appunti. Spero che servano a qualcosa. Mi convinco sempre di più che le mosche vanno sempre addosso ar cavallo scorticato. Quante storie sotto il cielo di Roma, agli angoli delle strade! Quanta dolcezza dietro ad un corpo martoriato! Un giovane malvestito e tremante si accosta ad una ragazza che si sta bucando. Chiede timoroso e implorante di riceverne un sorso. L'altra senza esitare stacca la siringa e lascia la metà allo sconosciuto. Da quei corpi in rovina ti arriva un forte messaggio d’onestà e di profonda condivisione. E tu, che fai? Resti lì, con i pugni stretti e gli occhi umidi. Se quel seme avesse avuto un buon contadino, paziente nel curarlo e proteggerlo dal gelo e dalle impietose talpe, il raccolto oggi sarebbe diverso! Provate qualche volta ad entrare nella casa di alcuni nostri ragazzi e sentirete tutta la vergogna e il disagio nel trovare delle mura, ma di famiglia neppure l'ombra. Provate a vivere accanto ai pipistrelli della notte. Sentirete sempre e solo la triste nostalgia di una famiglia che non esiste. Provate a stare una notte fuori, a girare e rigirare strade, vie, vicoli, piazze, provate a parlare a questa gente e alla fine vi accorgerete che resta soltanto la voglia di piangere e scappare dall'orrore di tante miserie morali e materiali. Provate qualche volta a mettervi all'angolo di una strada a chiedere l'elemosina. Almeno una volta nella vita! Provate a sdraiarvi accanto ad un gruppo di giovani invecchiati anzitempo, barcollanti e incapaci di reggere tra le dita una sigaretta, provate a stendere la mano... Provare! Provare! Chi cammina con il povero, gusta la sapienza divina. “I veri poveri, pregava Santa Teresa, non fanno rumore”. Mi risuonerà a lungo il lamento di un affamato, urlato tra rabbia e delusione. È brutto annà a la cuccia a stommico a diggiuno. Non è piacevole andare a dormire a stomaco vuoto. Buffa questa scuola! Non ti accorgi neppure delle infinite lezioni. Ti entrano dentro senza neppure chiederti permesso. Passano direttamente dagli occhi al cervello e dal cervello al cuore. Ora comincio a capire di più le nostre difficoltà. Noi lavoriamo sulla tela di Penelope. La tua è un'offerta progettuale incomprensibile, fuori tempo. 42 Gli insegnanti e tanti educatori continuano a confezionare abiti per soggetti che hanno tutte altre taglie. Quanto dovremmo coltivare di più la pedagogia del sarto! Quanto siamo lontani dal mercato della notte! Mille lucciole del crimine e del piacere. Si viene a contatto con la geometria di interessi che ti lasciano tanta amarezza in corpo e mettono a dura prova la tua voglia di lottare. Ti sostiene solo la fede. Facciamo pure le nostre verifiche. È un dovere la verifica, come è indice di serietà progettare e programmare tempi e modi di intervento. La verifica, prima che sul comportamento dei nostri ragazzi, deve partire da noi, dal grado della nostra voglia di farci compagni di viaggio della loro vita. Evitiamo la tentazione di correre subito alla verifica dei frutti: vanghiamo prima il terreno, curiamo bene l'albero. Nel nostro lavoro non dovremo mai arrivare alla resa dei conti. In questo mi sento fortunato: ho sempre cercato di mettere sulla bilancia solo le uscite. Sono convinto che agli adulti spetti la stagione della semina e della cura del seme, ai piccoli goderne i frutti. Di questo noi siamo i primi responsabili. Il seme che ti lasci oggi dietro sul tracciato dei tuoi passi, domani ti sarà a fianco o come erba amara a turbare il tramonto della tua vita o come fiore profumato a confortare la tua fede e a premiare i tuoi sacrifici. E questo vale per noi e per i ragazzi. Ritorniamo alla festa di San Valentino. Solo l'amore salva una crisi, sana una sconfitta, perché è sempre l'amore a generarla, ad aprire una ferita, a piagare un corpo. È l'ecologia del cuore e su questa dobbiamo misurarci. Coraggio! Chi crede alla potenza dell'Amore, non perde la certezza che le forze povere o ricche che siano, se unite, diventano un dono prezioso tra le mani vuote degli amici che entrano nella famiglia del Centro Accoglienza. 43 2. La grande sfida Il Centro è una scommessa su di noi, prima che sui nostri ragazzi. Avverto in giro un'aria talvolta di perplessità, di dubbio, di sfiducia, quando questo atteggiamento non diventa, talvolta, di rassegnazione o peggio ancora di resa. Sono evidenti difficoltà, insuccessi, prove, incertezze, interrogativi, mancate risposte alle nostre attese. Non preoccupa la umana e possibile stanchezza fisica e mentale, quanto la tensione che ne può derivare a danno di un clima di serenità e d’impegno, di ricerca del possibile, per tentare anche l'impossibile. Nulla ti turbi, ci ricorda Don Bosco. Siamo operatori chiamati a tentare, sempre. Non sono le fatiche e anche le possibili sconfitte a mandare in crisi un educatore, ma la rassegnazione, l'incapacità a non vivere con fede dinamica e con spirito di sfida il proprio servizio. Dove sta allora la causa dei nostri disagi? Mi sembrano tre gli elementi che spesso possono fare da talpa e rubarci i semi che noi con tanta cura abbiamo seminato: la perdita di vista del fine del progetto, la nostra impreparazione e la nostra impazienza. Non si vive l’educazione come una scuola di matematica: poste le premesse, il cerchio deve quadrare. Il fine ultimo di ogni intervento educativo è il benessere dei nostri ragazzi, benessere fisico e morale. Il bene-essere ultimo è la salvezza delle loro anime. In quest’ambizioso programma di vita noi siamo solo strumento di un disegno divino. Non sapremo mai cosa sia il dolore di alcuni ragazzi, ma siamo certi che Qualcuno farà di quel dolore una moneta preziosa per il Regno dei cieli. Se dovessimo pensare questo servizio come un semplice progetto umano, da tempo avremmo chiuso! Mi preoccupa lo scoraggiamento, e la sfiducia che serpeggia tra noi. Il confronto estemporaneo, bisbigliato e alterato tra i corridoi, è devastante come il temporale fuori stagione, noioso e distruttivo. La concretezza e il realismo non deve mai essere a favore del pessimismo. Noi lavoriamo sul presente, per costruire il futuro. Il nostro non è un lavoro su vuoti a perdere. Nulla si perde di quanto noi diciamo, di quanto proponiamo, di come ci comportiamo: non siamo inutili, mai! I fallimenti? Sono lezioni di vita, se accompagnati da atti d’umiltà. Il ragazzo rispetta l’educatore che riconosce i propri errori, lo sente più vicino alla sua fragilità; non stima e ridicolizza educatori presuntuosi, vestiti d’onnipotenza. Un buon educatore ricorda il suo passato, le radici della propria vita. Da ragazzino ho avuto una vita semplice, anche se povera, all'aria aperta e libera della campagna, dove le regole erano stabilite dallo scandire delle stagioni e dai lavori dei campi; una vita tuttavia dura. Eri certo di una sola cosa, che in alcuni mesi dovevi piegarti per vangare la terra e in altri aspettare, solo aspettare. Ora, ora soltanto, riesco a capire il senso di quella vita. Nella campagna, dove la didattica era rozza e piena di segni allora incomprensibili, nella casa dove si aveva poco, c'era una famiglia: l'ape regina era lei, la mamma, analfabeta e maestra incomparabile di saggezza. Chi mai avrebbe potuto immaginare che negli anni, quelle parole, i gesti sarebbero diventati pedagogia, incarnata nel mio lavoro! 44 Non sempre sono stato benevolo con i poveri. Un mendicante veniva ogni domenica l’ora di pranzo a casa per un piatto di maccheroni. Dio sa quanto torturavo quell’affamato a fare cento volte il verso del gallo, prima di iniziare a mangiare. Non sono stato mai benestante. Ho sofferto la fame. Ricordarlo fa bene, soprattutto oggi. Ricordare i nostri bisogni, ci avvicina come calamita a quelli dei ragazzi. Ricordare anche i nostri privilegi, ci ricorda che non possiamo essere felici da soli. Sono stato fortunato: ho vissuto il calore di una famiglia. Molti nostri problemi sono riconducibili a un cardine, che in questi ultimi tempi ho avvertito carente: la mancanza di un quid che susciti interesse e voglia di venire al Centro, ma soprattutto di un quid che sia elemento costitutivo per la vita dei ragazzi. La famiglia! Una serie di problemi è alla base del nostro tessuto quotidiano, sia relazionale sia educativo. Il punto di forza di ogni programma formativo è la creazione dello spirito di famiglia. In questa fase di avvio tutti siamo chiamati a vivere gli impegni contingenti, disponibili sempre e comunque a coprire di attenzioni questa creatura che sta imparando a camminare. In altro momento vi ho detto che spesso abbiamo usato più i freni che una marcia in più. Dio solo sa quanto ho sofferto. Un responsabile deve sostenere in modo adeguato i suoi collaboratori: sentinella vigile, amico e forte e disponibile, sempre. Il nostro Centro è un servizio educativo del tutto particolare, che ha le sue radici nei valori del Vangelo e nella spiritualità salesiana. Noi operiamo, insieme, sui ragazzi e su ciascuno di noi. Guai se dimenticassimo che, in questo lavoro, noi siamo allo stesso tempo educatori ed educandi. Solo se il gruppo degli operatori lavora insieme attorno al tutto del Progetto, si potranno consolidare i contenuti maturati con tanta pazienza. Guardiamo anche a questi mesi come a pietre che si aggiungono alle altre, per quanto stiamo costruendo. La nostra è un'esperienza benedetta! Tutto deve diventare occasione per maturare e crescere, affinare la sensibilità, chiarire obiettivi, metodi e strumenti d’intervento. Mi chiedo spesso quale forza ci spinge, quale passione ci anima, quale immagine noi diamo a questi ragazzi, lettori e giudici implacabili delle nostre debolezze e dei nostri limiti? Ogni tanto qualcosa scricchiola. Ho la sensazione che si vive nella monotonia del quotidiano e dell'intervento occasionale, che la nostra azione sia acqua che scivola via, senza penetrare dentro la loro vita. Occorre dinamismo, creatività. L'educazione è un'arte. Farsi artisti in questo campo è possibile, solo se entriamo mente e cuore nel percorso affettivo dei ragazzi, se la nostra diventa una comunicazione che stabilisca relazioni costruttive, se usiamo un linguaggio intelligente e offriamo messaggi comprensibili. Chi resta ancorato alla sua cultura, chi è incollato alle proprie grette categorie mentali, è un educatore a rischio, un prodotto del pericoloso egoismo educativo, dove conta l’io e non il ragazzo. 45 Ho avvertito tante volte una sensazione di malessere fisiologico, per non aver fatto breccia nella loro mente-bunker, inattaccabile e protetta a denti stretti. Infame è chi osa varcare quel confine e bussare alla porta del loro mondo impenetrabile. Quanto è forte il grido d’aiuto che non cessano mai, ora in modo evidente, ora in modo indecifrabile, di inviare a ciascuno di noi! Noi siamo chiamati a ricomporre il tutto, ad inventare un patto. Ho l'impressione invece che spesso non si riesce a decifrare cosa, come, con chi, perché stiamo con loro. Ho l'impressione che stiamo fisicamente con loro, vivendo con la mente altrove. Altro rischio è la tentazione della resa. Arrendersi! Un educatore non alza mai bandiera bianca. “Lo dicevo io, che con questo ragazzo non c'era niente da fare", "tanto con...c'è poco da sperare”. Occorre rassicurare sempre, all’infinito: io ho cura di te, puoi contare su di me! “Io devo sapere, ci dice ogni ragazzo, che tu sei realmente per me o non mi aprirò mai ad una relazione con te. Io devo sapere che non sono solo un caso da trattare o un problema da risolvere”. Noi dobbiamo assicurare loro: “Io voglio realmente il tuo bene, la tua felicità; farò l'impossibile per assicurartelo; sono realmente interessato a te”. Se non si agisce così, noi costruiamo sulla sabbia. Siamo sulla strada dell'inganno. Noi educatori tentiamo di mascherare le nostre crisi. Noi ci trasformiamo in padre padrone, in madre angosciante e protettiva, in fratello o in sorella indifferente, in amico o amica ansiosa. So bene quanto sia difficile costruire relazioni corrette. Conosciamo però alcuni principi irrinunciabili, fondati sulla fedeltà alla parola data, sulla fiducia, sulla trasparenza, sull'onestà delle nostre richieste e delle offerte, sul rispetto della persona. Non vedo solo ombre. Ci sentiamo circondati anche da manifestazioni d’affetto e d’apprezzamento per il nostro lavoro. Sinceramente mi sembrano tentazioni, rischi che ci fanno godere l'illusione di un raccolto prematuro. È il consenso per il cambiamento dei ragazzi, non quello della gente, il nostro obiettivo. Il nostro cammino è tutto in salita. Un disagio che avvertiamo tanto è la totale diversità di concezione di spazio e di tempo. Noi siamo organizzati, abbiamo collaudato un ritmo di tempi in spazi ben definiti, sappiamo distinguere le stagioni, sappiamo cosa sia un anno di lavoro, conosciamo la giornata, le ore di lavoro e di riposo, abbiamo fatto nostra la diversità tra notte e giorno. Noi siamo abituati a comportarci come un orologio. Sono tante e tali le sofferenze e le angosce dei nostri ragazzi, che non si può in modo assoluto pensare di irretirli o coinvolgerli in una vita fatta a nostra immagine. Il nostro orologio non è quello dei ragazzi. Il tempo nostro è diverso dal loro. Basta pensare all'organizzazione dei loro ritmi di vita diurni e notturni, al senso che hanno del tempo. Non si preoccupi, è la quotidiana giaculatoria che ci rivolgono quasi a rassicurare chiunque voglia distoglierli dal loro spazio abituale di vita. E allora? Guai se il nostro Progetto scandisse gli stessi ritmi della vita di una struttura penale! Noi viviamo con e per i ragazzi! Solo marciando con il loro passo è possibile incontrarsi, attivare il cambio; diversamente ciascuno andrà per la sua strada. Questo non significa compromesso, ma solo prendere con sé il ragazzo nel punto giusto e gradualmente riprendere ritmi nuovi di vita. 46 Devo anche confessarvi una particolare sofferenza. La dichiarazione di morte, per giustificare la resa. Non deve esserci tra noi nessuno che suoni la campana a morte. Mai! Lasciamo ad altri il triste compito d’agenti di pompe funebri: noi non siamo becchini, ma samaritani. Non solo a parole. Nessuno deve indossare la veste dell'indovino o diventare il gufo di turno. Non è semplice narrare nuove biografie. Occorre che siamo noi per primi a professare questa fede. Devono sentirsi rassicurati. Deve trasparire dalle nostre parole, dai gesti e leggerlo nei nostri occhi. Quanto sono fragili invece le nostre convinzioni! In un clima sereno, ricco d’affettività, è possibile la narrazione del loro vissuto. Solo se riusciremo ad entrare dentro, nel profondo della loro esperienza passata, con delicatezza, con umiltà, con coraggio, senza equivoci o raggiri, garantiremo al ragazzo dei buoni frutti. È una gestazione nuova, ma conta tantissimo il senso della sfida sul potenziale di bene presente nel loro animo. Sarebbe nocivo far pesare anche in modo involontario quanto le situazioni trascorse lo hanno marchiato come diverso. La grande sfida! Una sfida coraggiosa, costante, umile e paziente! La nostra scommessa è proprio su questo processo di liberazione: chi ama la libertà fisica amerà anche la liberazione del cuore e della mente da ciò che incatena. I progetti anche più complessi potranno offrire una piacevole riuscita. Noi conosciamo difficoltà e rischi. Non basta! Fare della debolezza una risorsa. Come nell'utero materno possono avvenire aborti naturali, così possono, nonostante tutto, esserci nei nostri progetti dei fallimenti: non siamo onnipotenti! Anche un fallimento può essere una risorsa nel suo futuro da adulto. Alcuni ragazzi preferiscono la vita tra i diversi che quella tra i normali. C'è gente che ha più paura di vivere che di morire. A noi il compito di tentare l’inversione di rotta. Impariamo prima noi a narrare non più storie di furti, di trasgressioni, ma storie di persone nuove, attraverso il rischio della fiducia e la fatica del consenso, creando spazio e tempo dove si può anche sbagliare, ma senza paura di essere giudicati e condannati. Sulla strada ho appreso che talvolta sembra assurdo stare accanto a chi vive una vita senza rete, fuori delle istituzioni. Non conoscono che il codice della strada, non conoscono quelli della nostra vita ordinaria, ma conoscono quello affettivo. Con questo codice, sulla strada del cuore, noi possiamo e dobbiamo continuare a camminare. È una grande sfida! Concludo con un augurio. Abbiate sempre l'umiltà e il coraggio di accettare le cose che non possiamo cambiare nei ragazzi e la forza e il coraggio di cambiare le cose che possiamo cambiare. Soprattutto vi auguro di riuscire ad individuare queste cose e capirne la differenza. Nel nostro lavoro ci sono alcuni misteri: non tutto è dato capire oggi. 47 3. Regolamento interno sulla privacy Il Centro Accoglienza Don Bosco, Ospizio Salesiano Sacro Cuore, in base alla normativa vigente in materia di trattamento dei dati personali, così come disciplinato dal D.Lgs n. 196 del 2003, adotta il seguente regolamento interno a completamento del documento programmatico sulla privacy cui viene allegato, assieme alle lettere di incarico dei responsabili, debitamente datate e sottoscritte. Il regolamento disciplina i seguenti ambiti: 1. Nome e funzioni degli incaricati al trattamento dei dati e per ciascuno la lettera di incarico datata e sottoscritta. Il titolare sulla privacy……. ha conferito i seguenti incarichi: • I responsabili saranno gli unici a poter accedere ai dati e ciascuno avrà accesso unicamente alle informazioni che attengono al proprio settore di competenza. Essi avranno inoltre il compito di portare a conoscenza degli operatori inseriti durante l’anno nel proprio settore, le regole qui di seguito riportate. • I responsabili hanno il compito di aggiornare i dati sull’utenza in base a quelle che sono le esigenze didattiche ed educative, in genere a cadenza mensile. • Le relazioni provenienti da altri servizi o gli atti giudiziari dovranno essere riposti negli appositi archivi in maniera tempestiva. 2. Regole sull’accesso agli ambienti per il trattamento dei dati. Il trattamento dei dati avviene nei seguenti ambienti in base a precise esigenze professionali e di tipo normativo: • Negli uffici al primo piano avviene la fase di “accoglienza”, di cui si occupa in prima persona il direttore o il coordinatore del Centro. I colloqui si svolgono in locali chiusi a tutela della discrezione e riservatezza dovuta all’utente. Durante questa prima fase viene redatta una scheda personale relativa all’utente, contenente esclusivamente dati di natura personale, esclusi quelli sensibili e giudiziari. Tali dati verranno conservati in un archivio che verrà riposto in un armadio munito di serratura, posto nell’ufficio del direttore, il quale ne custodirà la chiave, consegnandola ai singoli incaricati qualora debbano consultare i dati. • Sempre in fase di accoglienza, il ragazzo sottoscrive il P.E.I., nel quale vengono riportati gli impegni e gli obiettivi del percorso didattico ed educativo individualizzato. Nel P.E.I., che viene aggiornato periodicamente, potrebbero essere riportati dati personali di natura anche sensibile, pertanto essi verranno custoditi al terzo piano, nell’armadio munito di serratura presente nell’ufficio dello psicologo. Gli incaricati, al momento di compilare e aggiornare i P.E.I., dovranno richiedere la chiave al direttore, essi inoltre dovranno prestare la dovuta attenzione affinché, al momento del trattamento dei dati, persone non autorizzate non possano accedere agli stessi; eviteranno di uscire dalla stanza senza aver prima riposto e chiuso a chiave l’archivio nell’armadio, possono portare fuori dall’ufficio i documenti con i dati solo con il consenso del direttore. • Al terzo piano, nella cartella contenente i P.E.I., verrà riposta una scheda più approfondita rispetto a quella di accoglienza che conterrà dati di natura sensibile e giudiziaria; i dati verranno raccolti in maniera schematica in base ad un formulario che potrà essere facilmente riportato in un data base. I dati trattati in maniera informatica saranno resi anonimi con opportune siglature e avranno una funzione statistica e di studio. Al database avrà accesso unicamente il direttore che avrà anche il compito di aggiornarlo periodicamente, inoltre egli ne conserverà una copia su supporto rimuovibile, allo scopo di ripristinare i dati, qual’ora essi vadano persi e danneggiati. 48 • Sempre nell’ufficio del direttore al terzo piano, in armadio munito di serratura, viene custodito un archivio contenente i dati che vengono raccolti a fine ciclo lavorativo, utilizzabili a scopo di studio o statistico. A tale archivio si potrà accedere con autorizzazione formale datata e sottoscritta dal direttore. 3. Tempi di trattamento Tutti i dati riguardanti l’utenza in trattamento verranno custoditi per tre anni negli archivi di cui sopra, prima di essere definitivamente archiviati a tempo indeterminato e utilizzabili a fini statistici o di studio. 4. Formazione relativa al diritto alla privacy Sarà cura del direttore inserire la formazione sulla privacy, nelle giornate di formazione che si svolgono a settembre di ogni anno. Egli dovrà portare a conoscenza degli operatori le regole contenute nel regolamento interno, nonché le norme che a livello nazionale ed europeo disciplinano la materia. Firma dei responsabili Firma del titolare e 49 4. Esempi di protocolli d’intesa con la scuola statale Prot.n. 3446/A1a del 06.04.2003 IPSIA “CARLO CATTANEO” ISTITUTO PROFESSIONALE DI STATO PER L’INDUSTRIA E L’ARTIGIANATO Lungotevere Testaccio 32 – 00153 Roma – tel. 06.57.54.927 – fax 06.57.54.903 Dirigente Scolastico: Prof. …………. CENTRO ACCOGLIENZA DON BOSCO Via Magenta 25 – 00185 Roma – tel. 06.49.00.71 Direttore: Don Alfonso Alfano promuovono il seguente Protocollo di intesa Sostegno alla formazione dei giovani a rischio di devianza, accolti nel Centro Don Bosco nel quadro delle attività di educazione permanente e dell’avviamento al lavoro. 50 Roma, 03.03.2003 Premesso e considerato che: • Responsabili delle istituzioni politiche della formazione nel nostro Paese, docenti esperti e operatori dei vari servizi hanno da tempo avviato una riflessione sulla capacità del nostro sistema educativo di offrire percorsi di istruzione e formazione credibili a coloro che, per problematiche di disagio, chiedono con modalità differenziate la possibilità di esercitare il proprio diritto ad una preparazione culturale di base, intesa come premessa di formazione adeguata alla loro struttura mentale, culturale e sociale; • Il nostro sistema educativo/formativo organizzato non sembra più in grado di rispondere efficacemente alle esigenze e ai profili di competenze di minori e giovanissimi a rischio; • I minori a rischio esprimono la richiesta di offerte alternative di formazione, di pluralismo di progetti con contenuti irrinunciabili legati nel tempo e nello spazio a percorsi di studio innovativi, ricorrenti, flessibili e spendibili; • In questo contesto evidentemente immaginiamo non un sistema scolastico che si autoriformi in perfetta solitudine, ma al contrario un sistema che sia in grado di dare risposte e fare domande a tutti i sistemi con esso interagenti, a cominciare dal mercato del lavoro, che definisce sì nuovi bisogni e nuove professioni, ma al quale la scuola può suggerire nuove idee per la formazione; • Sul piano generale assistiamo alla stasi dell’offerta di lavoro e all’incremento del numero di coloro che vengono precocemente esclusi dai circuiti della formazione di base e non solo perché soggettivamente in difficoltà e non capaci di utilizzare positivamente le opportunità offerte dal sistema educativo, ma anche perché questo stesso sistema non è in grado di dare risposte flessibili; • Alcune situazioni di disagio e di grave difficoltà che coinvolgono i giovani e meno giovani, connazionali o migranti e che producono esclusione precoce non solo dai circuiti formativi ma dalla vita civile, hanno bisogno di un impegno straordinario, di un uso finalizzato di risorse, di opportunità normative ed organizzative peculiari; Vista: • L’elevata valenza educativa e il grande stimolo alla partecipazione sociale insiti nella possibilità di portare a termine positivamente un percorso formativo di base; • La necessità di favorire la partecipazione ad attività di rientro in formazione proprio di quei giovani espulsi precocemente da tali circuiti e altrettanto precocemente inseriti nei circuiti del disagio grave e dell’esclusione sociale; • La normativa vigente in materia di “Educazione integrata” e di “Educazione degli adulti” e in particolare l’O.M.n.400 del 30.07.1996 su la prima formazione professionale, l’O.M. n.455 del 29.07.1997 su l’Educazione per Adulti, la 51 Circolare n.459 del 23.11.1999 della D.R. – M.P.I. su La Formazione continua; • L’attività realizzata, con esito positivo, dall’a.s. 1995 / 1996 presso l’IPSIA “Carlo Cattaneo” di Roma, consistente in Corsi sperimentali e in Percorsi di Istruzione integrata, rivolti a studenti immigrati, giovani ed adulti lavoratori immigrati e italiani, adolescenti a rischio di esclusione sociale; • L’esperienza del Centro Don Bosco, convenzionato con il Ministero della Giustizia dal 1992, per attività di accoglienza di minori o di giovanissimi soggetti a provvedimenti penali o comunque a forte rischio di devianza; Fatti salvi i limiti previsti dalla normativa vigente ed eventuali deroghe in materia di frequenza dei corsi e in materia di accesso agli esami di licenza media; I firmatari del presente protocollo stipulano quanto segue: 1. Si formalizza quanto previsto dal presente protocollo, come esperimento di offerta di formazione valida a partire dall’anno formativo 2002 / 2003; 2. Agli accolti nelle attività educative del Centro Don Bosco per il recupero formativo, inviati dalle Autorità Giudiziarie o Civili o comunque fortemente a rischio di devianza, è concessa la possibilità di sostenere le prove atte al conseguimento di titoli di formazione presso l’Istituto Cattaneo. 3. I titoli conseguibili possono riguardare le differenti specializzazioni dell’area meccanica previste dall’IPSIA “Carlo Cattaneo” e certificano i percorsi teorico- pratici di Formazione riconoscendo le competenze acquisite, dal livello di formazione di base fino a quello di lavoro specializzato; 4. Al termine delle sessioni di prove di verifica si prevede di rilasciare – a seconda del livello di preparazione – riconoscimenti consistenti in: • Attestati di crediti formativi, riconosciuti per eventuali rientri nel percorso di istruzione / formazione; • Certificazione del superamento di specifichi anni di corso, sulla base dell’acquisizione dei programmi previsti dall’ordinamento dell’Istruzione o della Formazione Professionale; 5. La durata ed il programma del Corso viene concordata con l’accolto all’atto dell’accettazione, in base ai crediti pregressi in suo possesso; 6. Le prove di esame a scadenza del programma formativo saranno previste dal PEI allegato al presente protocollo quale parte integrante dell’accordo; 7. L’IPSIA Carlo Cattaneo incarica (con lettera allegata al presente protocollo di Intesa quale documento integrante – All. 2 e All.3 ) • Il Prof. ……………….. quale docente referente per la certificazione delle competenze, con il compito di definire i programmi di studio in accordo con i docenti del Centro Don Bosco e di collaborare con la Presidenza per la costituzione delle Commissioni esaminatrici; 52 • La prof.ssa ………………………… quale docente referente per l’organizzazione e l’attuazione del progetto previsto dal presente Protocollo; 8. Si istituisce un rapporto stabile, da definire concordemente tra le parti, tra il Referente del Centro Accoglienza Don Bosco, Responsabile del progetto specifico previsto dal presente protocollo, Dott. …………………… e i Docenti referenti per il Cattaneo, Prof. ……………. e Prof.ssa ………………………... 9. Si attribuisce particolare importanza ai contatti dei Corsisti candidati alle prove con l’IPSIA Cattaneo, nei tempi e nei modi da concordare tra “tutor” del candidato e docenti dei corsi paralleli, per favorire, nel ragazzo, la conoscenza dell’Istituto e soprattutto per integrare il suo processo di riconciliazione con le istituzioni, con le quali si verifica quasi sempre un rapporto conflittuale; 10. Si stabilisce di formalizzare l’impegno del ragazzo a sostenere le prove finali presso l’IPSIA “Carlo Cattaneo” nel “Patto Formativo” di cui si allega una copia come parte integrante del presente Protocollo (All. 4); 11. Si definiscono le seguenti linee direttrici per la collaborazione tra i firmatari: • Le attività congiunte seguiranno un calendario che preveda opportuni incontri al fine di garantire un congruo numero di occasioni di confronto e verifica dei percorsi didattici e formativi intrapresi nonché consentire eventuali modifiche negli itinerari previsti, offrire informazione tra docenti ed operatori. • Tali incontri avranno il preciso fine di verificare l’andamento delle attività didattiche e di formazione nonché lo scopo di prevedere specifiche modifiche ai percorsi formativi. A questi incontri prenderanno parte i docenti e gli operatori direttamente impegnati nel sostegno e nella formazione culturale dei corsisti. • Nel primo di tali incontri verranno stabilite le linee generali dell’attività didattica e degli obiettivi da raggiungere. • Un incontro particolare dovrà effettuarsi nella fase della presentazione del PEI, prima delle prove di esame. Tale incontro avrà lo scopo di formalizzare l’intero percorso intrapreso, degli obiettivi raggiunti e l’analisi dei crediti maturati dal corsista. All’incontro potranno partecipare con funzione consultiva, gli educatori e le altre figure professionali ai quali i corsisti sono stati affidati. 12. Si stabilisce di effettuare nel periodo giugno / luglio 2003 un incontro di bilancio per la valutazione dell’efficacia delle modalità di azione previste da questo Protocollo. In tale incontro saranno auspicabilmente formalizzate le proposte di formazione relative ai progetti e ai possibili miglioramenti. A conclusione di quanto su stabilito e parti contraenti affermano la validità della presente sperimentazione originale e coraggiosa per arginare il fenomeno della devianza giovanile e favorire il reinserimento sociale di soggetti a rischio. All’interno di questi percorsi di formazione saranno progressivamente superate metodologie statiche e non interattive puntando, al contrario, alla valorizzazione delle competenze esistenti e già attualmente a disposizione di tanti soggetti deprivati. È certamente un tentativo significativo da apprezzare e da proporre come modello presso analoghe strutture. Tale protocollo ha validità annuale e potrà essere rinnovato con le modalità che i firmatari riterranno più opportune. 53 Si allegano: 1. PEI del Centro Don Bosco 2. Lettera incarico dell’IPSIA Cattaneo per Prof. ……………... 3. Lettera incarico dell’IPSIA Cattaneo per Prof.ssa ………….. 4. Modulo del Patto Formativo (Centro Don Bosco) Per L’IPSIA “Carlo Cattaneo” Dirigente Scolastico, Prof. ………… _____ _________________________________ Per Centro Don Bosco Direttore Don Alfonso Alfano ____________________________________________ 54 CENTRO ACCOGLIENZA DON BOSCO Via Magenta 25 – 00185 Roma – tel. 06.49.00.71 Direttore: Don Alfonso Alfano sottoscrivono il seguente accordo di Aggiornamento e proroga per l’a.s. 2005 / 2006 del Protocollo di intesa n. 3466 / B11 del 06.04.2003 Sostegno alla formazione dei giovani a rischio di devianza, accolti nel Centro Don Bosco nel quadro delle attività di educazione permanente e dell’avviamento al lavoro. Roma, 19.09.2005 55 IN RIFERIMENTO al “Protocollo di Intesa” n°. 3466 / B11 stipulato in data 03. 03. 2003 tra le due Parti; CONSIDERATO l’esito positivo della collaborazione effettuata tra le due Parti nell’anno scolastico 2004 / 2005, a seguito degli INCONTRI DI LAVORO EFFETTUATI dai referenti delle due Istituzioni, nel periodo maggio / settembre 2005 presso la Sede Centrale dell’IPSIA Carlo Cattaneo per il Bilancio delle attività svolte e la programmazione degli interventi educativi e didattici relativi all’a.s. 2005/2006, le Parti stabiliscono di prorogare la durata del protocollo su indicato per l’anno scolastico 2005 / 2006, riconfermando con ciò la validità di tutti i punti in esso stabiliti. Inoltre le Parti stabiliscono di Articolare nell’a.s. 2005 / 2006 l’offerta didattica – formativa per gli adolescenti accolti dal Centro Don Bosco, nei modi indicati qui di seguito: 1. Potenziare la partecipazione alle Lezioni di Esercitazioni Pratiche (settore Meccanico Termico e Settore Elettrico Elettronico da parte degli alunni che intendono sostenere a fine anno l’esame per le Certificazioni di competenze professionali, iniziando la frequenza ai laboratori da Ottobre 2005 con cadenza di 1 volta a settimana 2. Inserire a pieno titolo tutti i giovani accolti presso il Centro Don Bosco nelle attività aggiuntive dell’IPSIA Cattaneo, quali “Patentino per Motorini”, Stage di Riparazione per Elettrodomestici, Stage di Riparazione Motorini, Italiano come L2, visite di istruzione e simili. 3. Istituire Percorsi Individualizzati integrati per consentire a ragazzi che hanno già iniziato lo studio di materie tecniche di proseguire con l’obiettivo di sostenere l’esame di qualifica. I percorsi prevedono la frequenza delle materie tecnico-pratiche presso l’IPSIA Cattaneo e lo studio delle altre discipline previste presso il Centro Don Bosco. I percorsi vanno tarati sulle esigenze individuali. In ogni caso i Percorsi Individuali devono prevedere: - iscrizione all’IPSIA Cattaneo, - accordo tra i docenti del Cattaneo e gli educatori del Centro Don Bosco sui programmi da svolgere. Calendario delle verifiche intermedie 4. Esami a maggio 2006 (data da definire), con commissione esaminatrice costituita da Docenti dell’IPSIA C.Cattaneo, per la valutazione finale e la conseguente certificazione dei percorsi individuali (definiti nei PEI del Centro Accoglienza Don Bosco) realizzati dai giovani accolti, con il tutoraggio degli educatori del Centro Don Bosco; 5. Regolare Scrutinio Finale di tutti gli studenti che hanno svolto il percorso integrato, e assegnazione dei crediti sulla base delle verifiche. 6. Partecipazione agli esami di qualifica per i ragazzi che ne hanno i requisiti, in base alle verifiche Per L’IPSIA “Carlo Cattaneo” Dirigente Scolastico, Prof. ………………... _________________________________ Per Centro Don Bosco Direttore Don Alfonso Alfano ____________________________________________ 56 4. Modello di PEI CENTRO ACCOGLIENZA DON BOSCO Via Magenta 25 – 00185 Roma PROGETTO EDUCATIVO INDIVIDUALE DI: ____________________________________ Nato a ____________________ il ______________________ da ____________________ e _________________________ Residente a ____________________ in via ______________ ______________ n._______ tel._______________________ 57 • i • Breve anamnesi personale e famigliare: _____________________________________________________________ _____________________________________________________________ _____________________________________________________________ INVIO: (indicare come è arrivato al Centro, su quali segnalazioni…) 58 Fase di accoglienza! SITUAZIONE IN INGRESSO • Titolo di studio: ________________________________________________________ • Percorso scolastico: ( successi ed insuccessi scolastica - eventuali ripetenze fin dalle elementari) _____________________________________________________________ • Esperienze lavorative (anche saltuarie): • Competenze, attitudini e interessi dichiarati: _____________________________________________________________ _____________________________________________________________ 59 PROGETTO FORMATIVO Il Centro offre agli accolti che sono in possesso di licenza media già da alcuni anni corsi di formazione professionale con progetti individualizzati (ordinariamente per meccanica d’auto ed elettrotecnica) e con programmi adeguati, strutturati in modo consoni alla personalità umana e culturale del soggetto, con una fase teorica all’interno del Centro e un’altra pratica, comunque guidata, presso una struttura pubblica. In questa prospettiva è stato avviato il presente patto formativo. SITUAZIONE IN INGRESSO: • Scuola di provenienza_______________________________________ • Titolo di studio: ________________________________________________________ • Percorso scolastico: ( successi ed insuccessi scolastici - eventuali ripetenze fin dalle elementari) _____________________________________________________________ • Esperienze lavorative (anche saltuarie): • Competenze, attitudini e interessi dichiarati: 60 Chi ben comincia Obiettivi generali per tutto il percorso: Sostegno educativo e formativo per l’avviamento al lavoro – educazione alla legalità e alla socializzazione - Conseguimento attestato qualifica operaio meccanico d’auto. Giorni e ore di lavoro previsti: Educatori di riferimento: ™ INIZIO ATTIVITA’ ___________ __________________________________________ PROVE DI INGRESSO per accertare eventuali Crediti: ™ Colloquio accertamento attitudini e capacità di apprendimento. ™ Giudizio: ™ Prova di cultura generale: Scarso � - Suffic. � - Discreto � - Distinto � ™ Altri crediti emersi: • DIFFICOLTA’ PARTICOLARI EVIDENZIATE 61 PROGRAMMA Interventi psico-pedagogico obbligatorio per tutti i corsi: La conoscenza di sé: • Schede per stimolare autovalutazione: esplorare la propria personalità, il mondo familiare, relazionale ( capacità, interessi, atteggiamenti, valori…) • Schede per esplorare il mondo visivo, affettivo: sentimenti, emozioni… • Schede per stimolare alla responsabilità all’osservazione e descrizione delle proprie esperienze di vita. • Educazione sanitaria La conoscenza della vita pubblica. - La forma politica italiana: Repubblica! Il presidente della Repubblica Italiana. - La residenza del presidente - Il testo che contiene l’ordinamento del nostro Stato. - Il senso civico del voto: partecipazione alla vita pubblica- il concetto di referendum . - Iscrizione collocamento – libretto di lavoro e libretto sanitario. - Educazione al rispetto dell’ambiente “La legge non conosce ignoranza!” Le regole dello Stato in cui viviamo: - Il concetto di legge e di reato: il codice civile e penale! Le forze dell’ordine: funzione. - Il codice stradale: la conoscenza dei vari tipi di veicoli. - La patente per la guida. PROGRAMMA DI STUDIO IN DUE FASI, articolate con moduli integrati: 1^ FASE: Teoria – studio ed esercitazioni al Centro 2^ FASE: Tirocinio guidato presso struttura pubblica: ore 120 - 180 Titoli: • Attestato tirocinio rilasciato dal comune di Roma. • Attestato o diploma rilasciato dalla scuola con cui si è collegati. • Licenze per esercizio attività artigianali 62 Adesione al progetto Dopo la fase di accoglienza e dopo aver concordato il programma dettagliato, con interventi specifici idonei a raggiungere gli obiettivi generali, si esprime per iscritto la scelta di aderire al progetto proposto e sviluppato insieme, cercando di raccontare le motivazioni che lo hanno portato a fare questa scelta. … questo è il tuo patto, la tua parola d’onore! ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ __________________________________________________________________ _________________ (firma) 63 1^ VERIFICA In data___________ Prova scritta (questionario – descrizione di alcuni argomenti) Prova orale (colloquio con operatori del settore) Comportamento : 1. Adesione al progetto 2. Frequenza 3. Rendimento 2^ VERIFICA In data___________ Prova scritta (questionario – descrizione di alcuni argomenti) Prova orale (colloquio con operatori del settore) Comportamento : 1. Adesione al progetto 2. Frequenza 3. Rendimento 64 IN PARTICOLARE Collegamento e comunicazione con la famiglia _____________________________ ________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ Collegamento e comunicazione con il territorio (amici…) _______________________ ________________________________________________________________________ Collegamento con servizi territoriali _________________________________________ Situazione sanitaria_______________________________________________________ ________________________________________________________________________ _____________________________________________________________ Partecipazione iniziative di socializzazione___________________________________ _______________________________________________________________________ _______________________________________________________________________ 65 RISULTATI CONSEGUITI – Relazione conclusiva • Abilità e competenze acquisite: • Giudizio conclusivo: Durata complessiva dell’intervento:____________________________ Data presentazione del PEI: _______________ Firma del Corsista - Educatore di riferimento ___________________ ______________ Firma del Responsabile ________________________ Roma_______ 66 6. Regole del Centro Il nostro Centro Il Centro è la nostra seconda casa: ci teniamo che sia accogliente, ben ordinata, ben pulita. Ci impegniamo ad osservare alcune regole: Ci prendiamo cura del nostro corpo, curando l’igiene personale ed evitando ogni uso o abuso, che possa danneggiare la salute. Arrivando e lasciando il Centro salutare sempre con gentilezza. Non scrivere o disegnare sulle mura, sui tavoli o su qualsiasi cosa che possa rovinare la bellezza della casa. Ci aiutiamo tutti per conservare in ordine l’ambiente di scuola, rimettendo ogni cosa al suo posto alla fine delle lezioni. Ci educhiamo a far uso della raccolta differenziata, gettando negli appositi cassettoni, i vari rifiuti. Quando notiamo qualcosa che non “ci piace” lo facciamo presente al responsabile o mettendo un foglio a modo di SMS nella cassetta “MESSAGGERIA”, posta nell’ufficio di ingresso. “Io non voglio altro dai giovani se non che si facciano buoni e che siano sempre allegri” (don Bosco) 67 INDICE PRIMO SUSSIDIO PREMESSA. Il perché _______________________________________________________ INTRODUZIONE ____________________________________________________________ 1. Centro accoglienza don Bosco: un progetto polifunzionale per minori a rischio di devianza ________________________________________________ 2. Don Bosco: il cuore del progetto_______________________________________ 3. Cosa si intende per formazione al centro don Bosco ______________________ PRIMA PARTE: SCHEDE _______________________________________________________ 1. I destinatari _______________________________________________________ Scheda 1. La questione minori ______________________________________ Scheda 2. Giovani violenti (bullismo, bande, vandalismo) _____________ Scheda 3. Criminalità minorile ______________________________________ Scheda 4. La strada ________________________________________________ Scheda 5. L’altra città… giovani detenuti ____________________________ 2. Strategie educative _________________________________________________ Scheda 6. La luce del Vangelo ______________________________________ Scheda 7. La comunicazione________________________________________ Scheda 8. Principi educativi ________________________________________ Scheda 9. Una scuola per la vita ____________________________________ Scheda 10. L’educatore____________________________________________ Scheda 11. La vita è bella (intervento psico-educativo) _______________ Scheda 12. Originali strategie formative… micropedagogia – riconciliazione __________________________________________ Scheda 13. Sportello aperto ________________________________________ Scheda 14. Codice di comportamento dell’educatore _________________ SECONDA PARTE: ALLEGATI __________________________________________________ 1. La fontana del villaggio ______________________________________________ 2. La grande sfida_____________________________________________________ 3. Regolamento interno sulla privacy_____________________________________ 4. Esempi di protocolli d’intesa con la scuola statale ________________________ 5. Modello PEI _______________________________________________________ 6. Regole del Centro___________________________________________________ INDICE PRIMO SUSSIDIO _____________________________________________________ 68 ALFANO ALFONSO SUSSIDIO PER L’ACCOGLIENZA DEI RAGAZZI Benvenuto alla scuola per la vita CENTRO ACCOGLIENZA DON BOSCO Via Magenta 25 – 00185 Roma Centro polifunzionale diurno per minori in difficoltà 69 1. Note per l’utilizzazione del sussidio La fase dell’accoglienza è quella più delicata. Sono i primi incontri con il ragazzo che deve ancora decidere se può fidarsi o meno. Vuole capire dove è capitato e chi sono le persone che ha di fronte. Generalmente il primo impatto, il primo educatore con cui si ritrova a lavorare viene ricordato in modo particolare. Questo significa che chi si occupa della fase dell’accoglienza deve essere consapevole che si trova davanti ad un compito delicato e non può improvvisare. Va curato ogni aspetto dell’incontro con il ragazzo. Durante la fase dell’accoglienza il ragazzo conosce il Centro e lo sceglie, contemporaneamente l’educatore comincia a conoscere alcuni aspetti del ragazzo che ha di fronte, quello che lui vuole fargli conoscere di sé, quello che secondo il suo modo di vedere le cose è importante mostrare all’altro per essere accettato e questo è già un indicatore importante per capire potenzialità, risorse, limiti e difficoltà. A volte si mostra chiuso e sembra avere quasi paura di dire o non dire, altre volte appare spavaldo e sicuro di sé, in certi casi ha bisogno di mostrarsi duro perché pensa che questo sia l’unico modo per essere rispettato. In certi casi sembra che la sedia dove è seduto sia incandescente perché proprio non riesce a starci seduto per più di pochi minuti. Altre volte sembra non voler mai andare via, un fiume in piena che ha trovato finalmente uno sbocco in qualcuno disponibile ad ascoltare. Il presente sussidio non vuole essere un percorso rigido ma uno strumento facilitatore della relazione: - Facilita il ragazzo che si trova a lavorare su alcune schede che lo guidano su un percorso con un inizio e una fine, qualcosa che corrisponde alla sua esperienza di scuola ed è tuttavia diverso dai soliti libri, sui quali si è consumato il suo fallimento. - Facilita l’educatore che si trova a fare qualcosa di concreto con quel ragazzo che ha di fronte, che non conosce e che non sa ancora da che parte prendere. - Facilita soprattutto l’inizio di un processo fondamentale che è poi il cuore del lavoro formativo con i ragazzi: pensare, riflettere ed esprimere i propri pensieri. Proponiamo in sintesi obiettivi e modalità con cui utilizzare il presente sussidio: 1.1. Obiettivi della fase di accoglienza - Entrare in relazione - Far conoscere il Centro al ragazzo: può comprendere che è una opportunità per lui - Iniziare a conoscere il ragazzo: modalità di comunicare, di apprendere, percorsi precedenti, livello di capacità di base, interessi e motivazioni - Valorizzare il positivo e individuare la sua “carta vincente” - Orientarlo nella scelta di un corso 1.2. Come usare il sussidio Ovviamente non è un modulo da compilare. Non è un libro da leggere dall’inizio alla fine. E’ un percorso: prevede varie tappe in successione, può essere utilizzato come pista da seguire lavorando soprattutto verbalmente o come materiale da leggere, scrivere, sottolineare pagina dopo pagina. Ogni scheda offre l’occasione per approfondire la relazione e la reciproca conoscenza, rispondere alle domande proposte è un modo per iniziare a parlare e a raccontarsi. 70 1.3. Alcune indicazioni sulle schede proposte: - L’invio: questa prima pagina può essere letta insieme o raccontata al ragazzo, importante è che si accorga che ci rendiamo conto che si trova in uno stato d’animo particolare, che inizia una prima fase in cui non ha ancora preso impegni precisi. Nello stesso tempo è una strada possibile che altri ragazzi come lui hanno già percorso. - Il nome e la carta di identità: chiedendo più volte al ragazzo cosa è importante conoscere all’inizio di una relazione e soffermandoci sul suo nome proprio vogliamo confermagli che ci interessa proprio lui, così come è, che vogliamo chiamarlo per nome, che d’ora in avanti il suo nome diventa importante anche per noi e attraverso il suo nome (e il nostro) cominciamo a conoscerci. Anche il suo soprannome e come lo chiamano gli amici o a casa è importante per capire quale personaggio incarna nel suo ambiente famigliare e sociale. Da qui cominciamo a riflettere su alcune caratteristiche personali, spesso è la prima volta che il ragazzo si sofferma a pensare cosa lo contraddistingue. - Prova a presentarti: che fatica per il ragazzo scrivere, anche poche righe, a volte va guidato se non riesce facendo alcuni esempi. Non è importante come e quanto scrive in questa fase, va incoraggiato, non corretto! - Il Centro è la nostra casa: ora siamo noi a proporre la nostra carta di identità. Gli diamo la forma e la voce degli ex ragazzi per potersi rispecchiare. E’ una miniera di indicazioni e proposte. Va ripresa più volte, letta e raccontata con esempi. - Scrivi le tue impressioni su questi primi giorni al Centro: è il riscontro per poter capire se il ragazzo ha compreso, se si è sentito accolto e se la proposta che gli stiamo facendo è alla sua portata o se ancora non ci siamo incontrati veramente. - Da una scuola all’altra: il ragazzo comincia a parlare delle sue esperienze scolastiche precedenti e noi possiamo comprendere il perché dei fallimenti per poi fargli la nostra proposta. - Lo so fare... vorrei saperlo fare: iniziamo a cercare di capire quali potrebbero essere i suoi punti di forza, qualcosa in cui riesce in qualsiasi campo. A volte fa fatica a trovare delle competenze e si sorprende lui stesso di saper fare qualcosa. E’ l’inizio del percorso che ci aiuta a fare un primo bilancio di competenze insieme al ragazzo stesso. - Prova di lettura: prova di italiano per valutare la capacità di leggere e comprendere un testo scritto. - Questionario: prova di cultura generale. Le domande sono pensate in modo da tirare fuori conoscenze di cultura di base sulle quali si può cominciare a costruire un percorso formativo e per capire se il ragazzo padroneggia o meno alcuni concetti-contenitori. - W la matematica: prove di ingresso di matematica per valutare il livello di partenza, possono essere svolte in parte o si può pensare ad altri quesiti per ulteriori livelli progressivi di difficoltà. - Lo so fare, vorrei saperlo fare: il ragazzo si trova a confrontarsi con se stesso: cosa sono in grado di fare? Gli altri cosa pensano che sono in grado di fare? Cosa mi piacerebbe saper fare? Rispondere questi interrogativi non è facile per lui, ma è una strada per poter acquisire consapevolezza rispetto a se stesso in questo momento e in prospettiva. - Anche io valgo: una lista di competenze attraverso le quali il ragazzo si auto-valuta e può scoprire di sapere e saper fare delle cose senza esserne consapevole, questo costituisce per lui un rinforzo positivo. - Testa, cuore, mano: in questa scheda il ragazzo può scoprire di avere delle qualità che riguardano la sfera cognitiva, affettiva e pratica-manuale. Qualità emerse già in alcune occasioni e di cui non è pienamente consapevole. - I pensieri nella vostra testa: attraverso questa scheda chiediamo al ragazzo di fermarsi a riflettere su quali sono i pensieri ricorrenti che lo preoccupano, lo interrogano, lo disturbano, 71 lo spingono all’azione. In questo modo possiamo calibrare meglio l’intervento sulle reali necessità e bisogni. - Interessi: una delle parole chiave per lavorare sulle motivazioni, conoscere e valorizzare gli interessi del particolare ragazzo che abbiamo davanti, aiutarlo a tirarli fuori a farli emergere. - Obiettivo e programma: a questo punto del percorso cominciamo a ragionare con il ragazzo su dove vogliamo arrivare insieme, come tradurre interessi in obiettivi raggiungibili, cosa significa porsi degli obiettivi e come arrivare agli obiettivi attraverso un programma, un impegno definito, dei tempi e delle regole. Spesso si tratta di un processo difficile per i nostri ragazzi abituati a vivere alla giornata; dovranno modificare il proprio stile di vita, o i propri orari, è bene che ci riflettano un po’, che tirino fuori difficoltà, paure, debolezze. - I 7 consigli d’er capoccione: attraverso i proverbi i ragazzi in modo intuitivo comprendono alcuni valori fondamentali per la propria vita. Proporli alla fine del percorso di accoglienza significa anche confermargli che a noi interessa non solo proporgli il recupero scolastico ma soprattutto aiutarlo a crescere bene, a scegliere tra la strada della vita onesta e quella della devianza e del disimpegno e che ogni scelta è libera ma ha delle precise conseguenze. - Patto formativo: il ragazzo scrive di suo pugno e a parole sue il contratto da firmare con il Centro che verrà controfirmato dal responsabile. Sono previste eventuali revisioni. E’ importante che non sia solo un atto formale. Al termine del percorso di accoglienza il ragazzo è in grado di chiedere aiuto al Centro per raggiungere gli obiettivi prefissati e sa che è necessario prendersi alcuni impegni precisi. - E per concludere: insieme al ragazzo diamo senso al percorso svolto. Una frase, un immagine che indicano dove siamo ora. 72 2. L’invio Ciao ……………………………… Mi rivolgo a te! Come stai? Mi risponderai bene o così così, oppure male! Non so come diavolo sei capitato qui al Centro Don Bosco. Chi ti ha parlato di questo Centro, chi ti ha proposto di venire qui e perché ci sei arrivato. Non so neppure se ci sei venuto volentieri, se ti hanno costretto, non so neppure cosa ti aspetti da questo Centro e non conosco neppure la tua famiglia, i tuoi amici, ma soprattutto sono curioso di sapere per quale accidente non sei riuscito nella scuola e perché sei stato fregato tante volte. Ma penso che anche tu non sai cosa sia il Centro, cosa e come si fa. Come vedi sono tante le cose che non sappiamo. Allora per alcuni giorni noi proviamo a conoscerci. Poi elaboriamo insieme un programma di lavori e di impegni e tu liberamente dirai “0k.Io ci sto. Accetto. Ce provo,oppure non mi va bene.” Vogliamo cominciare? Ti consegno questo primo libro fatto da noi insieme ad altri ragazzi e amici del Centro. E’ uno dei compagni che ci aiuteranno a rispondere alle domande che non conosciamo. Da oggi è uno dei tuoi libri, tanto diversi dai soliti libri che hai usato a scuola. 73 Quando due persone si incontrano per la prima volta si chiede il …………………….. Quando si conosce una ragazza o un ragazzo la prima cosa che si chiede è il ………………… Se ci telefona una persona sconosciuta chiediamo: ……………….… Appena nasciamo, anzi prima ancora, diciamo: che ……… gli mettiamo? Poi si va al comune e diciamo: è nato…………… Questo significa che il nostro nome è un elemento essenziale della nostra vita. Allora proviamo a riflettere sul tuo nome con queste due schede che seguono. 74 3. Il nome e la carta d’identità • Ti piace il tuo nome? Perché? ____________________________________________________________ ____________________________________________________________ • Ti piacerebbe essere chiamato in un altro modo? _______________ Come?______________________________________________________ Perché?_____________________________________________________ ____________________________________________________________ • Hai un soprannome? ____________________________________________________________ 75 Attenti al gioco! Ti proponiamo un piccolo gioco che consiste nell’utilizzare il tuo nome come un acrostico delle qualità che ti attribuisci o che vorresti avere. Segui l’esempio e poi, se ti va, prova con il tuo nome. Es. Se il tuo nome fosse Oliviero, lo scrivi in verticale e con l’iniziale di ogni lettera descrivi le qualità desiderate. In conclusione - La mia carta di identità Cognome…………….. Nome………… Età…………….. Soprannome………….…. Quartiere……………… Altezza………………. Peso…………… Colore capelli………….… Colore occhi…………….. Incolla una tua foto o prova a disegnarti O L I V I E R O Ottimista Il tuo nome Lettore Interessante Valoroso Instancabile Elegante Ricco Onesto 76 Adesso provo a riflettere su me stesso Le mie qualità Mi piace di me 1. …………………. 1………………… 2. ………………….. 2. ……………… 3. ………………….. 3. ……………… I miei difetti Non mi piace di me 1. …………………. 1. ……………… 2. …………………. 2. ……………… 3. …………………... 3. ……………… Il mio sogno nel cassetto 77 4. Prova a presentarti in questa scheda 78 ? Non so cosa stai provando in questi primi incontri al Centro. Per ora ti stai chiedendo cosa sia questo nuovo ambiente, dove ti hanno “sbattuto”. Forse sai solo il motivo e non sai se sia una scuola o qualche cosa di diverso. Non sai ancora come funziona. Allora proviamo a scoprirlo insieme. Leggiamo questa pagina che segue, scritta da tanti amici che sono stati qui prima di te. Alla fine proveremo a sottolineare le cose che ti hanno colpito e a mettere un cerchietto a quelle che non ti vanno giù. 79 5. Il centro è la nostra casa! Qui troviamo accoglienza e sostegno per liberarci dai nostri “impicci”, costruirci una vita nuova, onesta: avere un lavoro, una famiglia. Chi viene al Centro ha, come si dice, “chiuso i giochi, ha la pompa su li freni, si arritrova in bassa marea; insomma sta quasi alla frutta”. Qui ci ritroviamo infatti tra ragazzi che hanno avuto a che fare con la giustizia, tra ragazzi e giovani sia italiani che stranieri, che non sono stati fortunati nella vita e che cercano anche di imparare tante cose per conseguire un titolo di studio e magari imparare anche un mestiere. Qui ci vengono offerte occasioni per capire i nostri errori, prima che sia troppo tardi. Alla scuola di Don Bosco, un Santo che ha amato i ragazzi in difficoltà come noi, speriamo di riuscire a capire come si vive onestamente nella società. Al Centro possono venire anche i tuoi amici. Al Centro siamo seguiti individualmente, nel rispetto delle nostre capacità. Noi non abbiamo avuto un rapporto felice con la scuola, per colpa nostra o perché non abbiamo trovato l’aiuto necessario. Abbiamo avuto sospensioni, bocciature a non finire. Ci siamo scontrati con professori, presidi, bidelli… insomma ne abbiamo combinato di tutti i colori. Poi siamo arrivati al Centro Don Bosco e siamo riusciti a recuperare gli anni persi, a prenderci la licenza media, iscriverci a un corso professionale, ma soprattutto solo dopo forse abbiamo capito che il Centro è una casa, dove ci si trova bene e dove ci si impara soprattutto per la vita. Qui ci sentiamo voluti bene! Purtroppo non tutti riescono a capirlo subito... ma la speranza è l’ultima a morire. E i nostri educatori ci insegnano che non bisogna mai mollare. C’è sempre una possibilità per scommettere di riuscire a venir fuori dai nostri impicci. Ci piace leggere le storie di tanti pischelli che ce l’hanno fatta. E speriamo che ci riuscirai anche tu. E poi non è vero che Don Bosco ha promesso che tutti i ragazzi che vengono al Centro hanno un posto riservato in Paradiso? Me sa proprio de sì. Gesù Cristo se portò in Paradiso, quanno stava a morì, un ladrone pentito. Noi anche ce semo pentiti. Chi la dura la vince! Almeno qui ce provamo! 80 Gli ex-ragazzi del Centro. Leggendo la lettera dei tuoi amici del Centro non so cosa hai pensato. Proviamo a verificare la differenza che passa tra la scuola frequentata prima e il Centro Don Bosco. Non facciamo il confronto per dire che il Centro è migliore o peggiore della scuola. La scuola è importante per tutti. Tutti siamo andati o andiamo a scuola, solo che qualche volta qualcosa non ha funzionato e sei stato “fregato”. E sì, proprio così. Ti sei fregato con le stesse tue mani. Alla fine a rimetterci sei stato solo tu. 81 6. Da una scuola ad un’altra Il nome dell’ultima scuola frequentata………………………………………………….. Il nome dell’ultima classe frequentata………………………………………………….. Prova a ricordare il nome di un professore……………………………………………. Prova ricordare il nome di un amico………………………………………………………….. Il nome di un’amica……………………………………………………………………………………….. La cosa che più detesti delle scuole che hai frequentato………………………. C’è una cosa buona che ricordi delle scuole frequentate…………………….. Che voto daresti alla scuola frequentata finora……………………………………. Ora sei al Centro Don Bosco! Qui non ci sono registri, voti, aule, ma poche ore di scuola e altre importanti cose da scoprire. Metti una crocetta solo vicino a 3 cose importanti: • Qui conta la tua parola d’onore • La buona volontà • Lo sconto della pena • La tranquillità • Il gioco • Si studia poco • Ci sono persone che si interessano veramente a noi Prova a definire con una sola parola la scuola del Centro ____________________________________________ 82 7. Impressioni sui primi giorni al centro Prova a scrivere ora le tue impressioni sul tuo arrivo al Centro. ____________________________________________________________________ ____________________________________________________________________ Nelle prossime schede proviamo a verificare alcune cose che sai. 83 8. Prova di lettura attenta LEGGI IL TESTO DA CUI TRARRAI DELLE INFORMAZIONI Malviventi rubano 10 milioni a un fattorino della Cassa rurale di Nave ________________________________________________________________________ RAPINATO UN FATTORINO Due banditi armati di pistola e con il volto coperto da calzamaglia hanno rapinato venerdì alle 13,15 un fattorino della Cassa rurale e artigiana di Nave, all’uscita del “Family market” di via dalla Chiesa a Urago Mella. Il commesso, appena uscito, è salito sulla “Fiat uno” aziendale e ha iniziato a effettuare la retromarcia per uscire dal parcheggio. Ma la stessa manovra è stata compiuta in senso inverso dai malviventi, che hanno quindi costretto il guidatore della “Uno” a fermarsi. Dall’auto sono scesi due individui armati. I due, puntando la pistola, hanno obbligato il fattorino a consegnare la valigetta. I malviventi sono rapidamente saliti in macchina e sono fuggiti. Evidentemente i rapinatori pensavano che la valigetta fosse imbottita di soldi. Invece conteneva soprattutto documenti ritirati in mattinata nei vari uffici cittadini, meno di 10 milioni in contanti e assegni circolari. Il commesso, ripresosi dallo shock, ha dato l’allarme al “112”. (Da un quotidiano) Dopo aver letto il testo prova a completare la seguente tabella. Attenzione! La tabella ti richiede delle informazioni che non sono contenute nel testo. Sta a te capire se le informazioni ci sono oppure no e mettere una crocetta nell’apposita colonna. Per capirlo devi tornare indietro a rileggere il testo ponendoti le domande che hai imparato a farti. Informazione richiesta Presente nel testo Non presente nel testo Scrivi qui l’informazione Numero dei banditi Orario della rapina Luogo della rapina Tipo di automobile del commesso Oggetto rapinato 84 Quelle che seguono sono domande riguardanti argomenti di vario genere. Prova a dare una risposta ad ognuna di esse. Hai tutto il tempo che vuoi. Le tue risposte ci aiuteranno a conoscerci meglio. 1. Ricordi alcuni nomi di poeti o scrittori famosi? Quali? 2. Conosci qualche poesia? Quale titolo ha? Di che parla? 3. Hai letto qualche libro? Che titolo aveva? Di che parlava? Ti è piaciuto? 4. Ti capita di leggere il giornale? Quale? 5. Leggi qualche rivista? Di che genere? 6. Quali programmi segui di più in televisione? Cosa ti piace di più di questi programmi? 7. Conosci “I Promessi Sposi”? Chi erano i protagonisti? Ricordi la trama? 8. Come si chiama il tuo quartiere? In quale parte di Roma si trova? 85 9. Quali sono le cose più belle del tuo quartiere? E quelle brutte? 10. Cosa faresti per migliorare il tuo quartiere? 11. Quali sono le cose più belle di Roma? I monumenti più importanti? 12. In quale regione si trova Roma? 13. Quali sono le province del Lazio? 14. A quale continente appartiene l’Italia? 15. Quali nazioni conosci? Quale ti piacerebbe visitare? Perché? 16. La Terra è un pianeta? 17. Quali pianeti conosci? 86 18. Ricordi alcuni personaggi storici famosi? 19. Quali avvenimenti storici importanti ricordi? 20. Il secolo scorso è stato segnato da due grandi guerre. Quali? 21. Ci sono guerre attualmente? Quali? 22. Ogni nazione ha un governo e una forma politica. Qual è quella italiana? 23. Chi è il presidente attuale? 24. A che cosa servono le leggi? 25. Quali lingue conosci? 25. Scrivi una frase in una lingua straniera. ___________________________________________________________ Per ogni domanda giusta: 5 punti Hai totalizzato punti___________ 87 9. W… la matematica!!! Istruzioni: • Cerca di lavorare attentamente ma con cura. • Comincia dal principio e procedi seguendo l’ordine. • Non ti preoccupare se non sai rispondere a tutto. • Se non sai rispondere a qualche domanda non perdere tempo e va avanti, se ti avanzerà del tempo alla fine potrai tornare indietro e cercare di rispondere alle domande che hai lasciato da parte. • Se devi eseguire dei calcoli scritti usa lo spazio libero accanto ad essi. • Se sbagli, scrivi “no” vicino alla risposta e segna la risposta giusta. Buon lavoro!!!!!!!!!! a. 342+57=……………………………………………………………. b. 1075+376=….……………………………………………………. c. 3794+562=………………………………………………………. d. 4020-897=………………………………………………………. e. 32x25=….…………………………………………………………. f. 708x100=…………………………………………………………. g. 4509:9=…………………………………………..……………….. h. 8760:15=…………………………………….……………………. 88 10. L’operatività Le prove che seguono riguardano le 4 operazioni. Ciascuna operazione rappresenta un gradino di difficoltà e l’uno è prerequisito dell’altro. Esemplifichiamo: addizione senza riporto; addizione con riporto alle decine; addizione con riporto anche alle centinaia; addizione con riporto anche alle migliaia. 10.1. Le addizioni Metti in colonna ed esegui 63+26= 116+145= 1147+284= 21615+2789= 10.2. Le sottrazioni Metti in colonna ed esegui 77-25= 936-217= 2995-1296= 29040-12541= 89 10.3. Le moltiplicazioni Metti in colonna ed esegui 24x2= 217x4= 1289x3= 1309x6= 10.4. Le divisioni Metti in colonna ed esegui 69:3= 950:5= 2604:4= 3845:6= 90 10.5. La risoluzione dei problemi • Rispondi a questa domanda: “se vai in un supermercato e spendi 2,5 euro per comprare delle scatolette di tonno e 0,90 euro per il pane, quanto spendi in tutto?” • Se vuoi, rispondi anche a questa domanda: “se paghi con un biglietto da 5 euro, quanto riceverai di resto?” • Ed ora prova a rispondere a quest’altra domanda: ”nel ripostiglio c’è uno scaffale con 8 ripiani. Su ciascun ripiano vi sono 9 barattoli di marmellata di mirtilli. Quanti sono i barattoli in tutto?” ____________________________________________________________________ • Infine: “una contadina raccoglie 96 uova e vuole disporle in numero perfettamente uguale dentro 4 cestini. Quante uova metterà in ciascun cestino?” 91 11. Lo so fare… e vorrei saperlo fare! SCRIVI 4 COSE CHE SAI FARE BENE E PER CUI GLI ALTRI TI APPREZZANO: 1)_____________________________________________ 2)_____________________________________________ 3)_____________________________________________ 4)_____________________________________________ ORA SCRIVI 4 COSE CHE TI PIACEREBBE FARE, MA CHE ANCORA NON SAI FARE BENE: 1)_____________________________________________ 2)_____________________________________________ 3)_____________________________________________ 4)_____________________________________________ SCRIVI 4 COSE CHE NORMALMENTE FAI NEL TEMPO LIBERO: 1)_____________________________________________ 2)_____________________________________________ 3)_____________________________________________ 4)_____________________________________________ INFINE SCRIVI QUELLO CHE TI PIACEREBBE IMPARARE VENENDO QUI AL CENTRO: ______________________________________________________ ______________________________________________________ ______________________________________________________ ______________________________________________________ 92 12. Anche io valgo! Quali sono le tue abilità? In che misura le possiedi? � So leggere bene � So scrivere bene � So disegnare � Sono veloce in matematica � Studio e memorizzo facilmente � So andare in motorino � Sono bravo nello sport � Vado d'accordo con tanti � So essere un buon amico � Rispetto le regole del gioco � So perdere nel gioco � So chiedere scusa � So fare la pace � So riordinare le mie cose � So lavarmi da solo le mie cose � So aggiustare qualcosa che si rompe � So dormire con la luce spenta � So capire quando un familiare o un amico ha bisogno di aiuto � So far compagnia a una persona sola � So accettare chi la pensa diversamente da me � So accettare chi è diverso da me � So cucinare � So curare le piante � So giocare a calcio � So leggere un libro dall’inizio alla fine � So suonare uno strumento musicale � so scrivere una lettera � So parlare una lingua straniera � So come è fatto il corpo umano � So usare il computer � So inviare un sms � So mandare una e-mail � Molto � Abbastanza � Poco � Niente � Molto � Abbastanza � Poco � Niente � Molto � Abbastanza � Poco � Niente � Molto � Abbastanza � Poco � Niente � Molto � Abbastanza � Poco � Niente � Molto � Abbastanza � Poco � Niente � Molto � Abbastanza � Poco � Niente � Molto � Abbastanza � Poco � Niente � Molto � Abbastanza � Poco � Niente � Molto � Abbastanza � Poco � Niente � Molto � Abbastanza � Poco � Niente � Molto � Abbastanza � Poco � Niente � Molto � Abbastanza � Poco � Niente � Molto � Abbastanza � Poco � Niente � Molto � Abbastanza � Poco � Niente � Molto � Abbastanza � Poco � Niente � Molto � Abbastanza � Poco � Niente � Molto � Abbastanza � Poco � Niente � Molto � Abbastanza � Poco � Niente � Molto � Abbastanza � Poco � Niente � Molto � Abbastanza � Poco � Niente � Molto � Abbastanza � Poco � Niente � Molto � Abbastanza � Poco � Niente � Molto � Abbastanza � Poco � Niente � Molto � Abbastanza � Poco � Niente � Molto � Abbastanza � Poco � Niente � Molto � Abbastanza � Poco � Niente � Molto � Abbastanza � Poco � Niente � Molto � Abbastanza � Poco � Niente � Molto � Abbastanza � Poco � Niente � Molto � Abbastanza � Poco � Niente � Molto � Abbastanza � Poco � Niente � Molto � Abbastanza � Poco � Niente 93 13. Testa, cuore, mano Prova a riflettere su alcune cose di te di cui ti senti fiero. Queste cose devono appartenere a tre diverse parti del corpo (testa, cuore, mani). Per ognuna delle cose che scrivi porta un esempio che dimostri la tua affermazione. 1) La prima è la testa. Pensa alle capacità e conoscenze che hanno a che fare con la testa. Annota una cosa che la tua testa, e quindi il tuo cervello fa e di cui sei orgoglioso (es.: saper fare i calcoli, saper prendere parte ad una discussione, etc.). Della mia testa, vado fiero di Questa cosa l'ho dimostrata quando (puoi fare più di un esempio) 2) La seconda parte ha a che fare con il cuore, i sentimenti e il tuo modo di fare con te stesso e con gli altri. Sei ad esempio fiero della tua sensibilità o di aver perdonato qualcuno che ti ha fatto del male? Scrivi una cosa relativa al cuore di cui sei orgoglioso e contento... Del mio cuore, vado fiero di Questa cosa l'ho dimostrata quando 3) La terza parte riguarda le mani. Si tratta di tutto ciò che sei in grado di fare con le mani. Ad esempio, sei orgoglioso di saper aggiustare il motore di una macchina, o saper costruire un modellino, o saper suonare uno strumento musicale? Delle mie mani, vado fiero di Questa cosa l'ho dimostrata quando 94 14. I pensieri nella vostra testa Immagina che quella disegnata sia la tua testa. Scrivi nella testa tutti i pensieri o i sentimenti che ti preoccupano in questo periodo mettendoli proprio nel punto dove senti che stanno. 95 15. Interessi Penso che tu sappia cosa significa questa parola: INTERESSI Si tratta : di avere passione per un mestiere, un lavoro, una professione es: di avere piacere di comprarsi qualcosa da usare es: di mostrare delle capacità a fare una cosa invece che un’altra cosa es: Quali sono i tuoi interessi in ordine di importanza 96 16. Obiettivo Non so se conosci il significato di questa parola. Proviamo a capirlo insieme. Facciamo qualche esempio: • l’obiettivo durante una partita di calcio è__________________ • l’obiettivo di un ragazzo che frequenta la scuola_____________ • l’obiettivo di un fidanzamento___________________________ In parole semplici: obiettivo • è fare delle cose, • impegnarsi per qualcosa, per qualcuno, • fissarsi una meta, una situazione da raggiungere • fare un patto per raggiungere uno scopo Nella scheda che segue prova a scrivere gli obiettivi che vorresti raggiungere.. 97 Obiettivi che vorrei raggiungere in questo periodo. Mettili se vuoi anche in ordine di importanza. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 98 17. Programma Per raggiungere questi obiettivi occorre fare un programma, un mattone dopo l’altro per costruire... Proviamo allora a definire i giorni, le ore di lavoro e stabilire alcune regole per poter giungere a conseguire i risultati che si vogliono ottenere. Giorni lavoro Orario di lezione Libri che verranno usati Le prove che si dovranno superare per l’ammissione all’esame finale Alcune regole da seguire: ne definiamo almeno tre! 1. 2. 3. I tempi di realizzazione del programma Altro 99 Ricorda! Prima di arrivare alla parte finale della fase di accoglienza, vorrei farti leggere alcuni consigli di un personaggio che non si vede, ma che esiste nella parte segreta del nostro cervello. 1° - A salute e a libertà.... prima de tutto! 2° - Il mondo non è fatto pe’ li fregnoni! 3° - Si comincia cor poco, se finisce co’ l’assai! 4° - Chi cerca rogna, trova chi je la gratta! 5° - La verità è come l’ojo, viè sempe a galla. 6° - Bisogna esse prima garzoni, poi mastri. 7° - Aiutati che Dio t’aiuta. Proviamo a mettere un cerchietto a quelle che ti sembrano più adatte alla tua vita di pischello. Ascolta, impara e pratica 18. I 7 consigli d’er capoccione 100 19. Una lettera a me stesso 101 20. Patto formativo Siamo alla fine. Puoi scegliere di seguire questo programma, come puoi anche rifiutarlo. È un contratto! Noi ti offriamo questa grande opportunità. Tu ci metterai del tuo per riuscire e se dici “Sì” prova a scrivere e firmare il tuo impegno! Data e firma 102 1° Eventuale revisione del contratto Data e firma 103 2° Eventuale revisione del contratto! Data e firma 104 21. E per concludere... • Scrivi tu una frase a piacere • Fai un disegno • Invia un SMS a te stesso! 105 INDICE SECONDO SUSSIDIO 1._Note per l’utilizzazione del sussidio _______________________________________ 1.1. Obiettivi della fase di accoglienza _____________________________________ 1.2. Come usare il sussidio ______________________________________________ 1.3. Alcune indicazioni sulle schede proposte ________________________________ 2._L’invio _______________________________________________________________ 3._ Il nome e la carta di identità _____________________________________________ 4._Prova a presentarti_____________________________________________________ 5._ Il Centro è la nostra casa________________________________________________ 6._Da una scuola all’altra__________________________________________________ 7._ Impressioni sui primi giorni al Centro_____________________________________ 8._Prova di lettura _______________________________________________________ 9._W la matematica ______________________________________________________ 10. L’operatività__________________________________________________________ 10.1. Le addizioni_______________________________________________________ 10.2. Le sottrazioni _____________________________________________________ 10.3. Le moltiplicazioni __________________________________________________ 10.4. Le divisioni _______________________________________________________ 10.5. La risoluzione di problemi ___________________________________________ 11. Lo so fare... e vorrei saperlo fare _________________________________________ 12. Anche io valgo ________________________________________________________ 13. Testa, cuore, mano _____________________________________________________ 14. I pensieri nella vostra testa ______________________________________________ 15. Interessi______________________________________________________________ 16. Obiettivo _____________________________________________________________ 17. Programma___________________________________________________________ 18. I 7 consigli d’er capoccione ______________________________________________ 19. Una lettera a me stesso__________________________________________________ 20. Patto formativo________________________________________________________ 21. E per concludere_______________________________________________________ Indice secondo sussidio ____________________________________________________ 106 ALFANO ALFONSO SUSSIDIO DIDATTICO PER LA SCUOLA GENITORI L'amore vero è proporzionato al bisogno. Un genitore sposa i sogni e il dolore dei suoi figli: un matrimonio indissolubile! Centro accoglienza don Bosco Via Magenta 25 – 00185 Roma Tel. 06.490071 e-mail: cdbminori@inwind.it 107 “Ciascuno ami la propria moglie come se stesso, e la moglie rispetti il proprio marito... Voi figli,davanti al Signore avete il dovere di ubbidire ai vostri genitori, perché così è giusto ... E voi genitori non esasperate i vostri figli, ma date loro un’educazione e una disciplina degna del Signore...” (Dalla Sacra Bibbia – Lettera agli Efesini, brani tratti dal cap.5-6) 108 PREMESSA Una scuola di vita ispirata al Vangelo e alla pedagogia salesiana La SCUOLA PER GENITORI è un’iniziativa per genitori ed educatori per un sostegno particolare nel dialogo educativo con i figli… e i minori in genere. L’immagine della scuola è utilizzata per richiamare una modalità, convinti che di imparare non si finisce mai. Oggi sono tante le esperienze in corso per richiamare ai genitori il compito di essere presenti accanto ai figli, per sostenerli nella delicata età evolutiva. Richiamo qualche modalità: • Una o più conferenze, con esperti, seguite da dibattito • Alcuni convegni, tavole rotonde su aspetti specifici del rapporto genitori-figli • Una serie da sei a più lezioni, con docenti qualificati • Una offerta di servizi di consulenza e di sostegno alle richieste di bisogno Non entro nella qualità e nella riuscita di queste formule. Non sono comunque formule da noi condivise, avendole sperimentate con scarsa riuscita. Non entro neppure nel merito delle riflessioni sociologiche, pedagogiche… Varie idee di studiosi e ricercatori sono in seguito citati. Ritengo che tutte siano occasioni preziose per aprire orizzonti educativi nuovi. Manca la parte essenziale: la partecipazione a un processo di cambiamento. Ho partecipato a tanti incontri: genitori in assemblea, con il dito puntato sui figli, che hanno scambiato la casa per un albergo, che sono in piazza, nelle bische…fino a tarda ora. Alla fine, dopo faticose ed elaborate ore di teoria e con pochi interventi, nulla cambia. Il conflitto resta, magari con qualche tentativo andato a vuoto, che non fa altro che aggravare lo stato di lacerazione. La nostra proposta si muove su altri binari. Nasce dall’esperienza di anni di intervento educativo con minori a rischio, con incontri personalizzati con genitori in forte difficoltà di relazione. L’intervento deve essere “mirato”, deve smuovere il profondo della “persona” dei genitori. La scuola per genitori qui proposta si configura con un’altra immagine, che esprime una metodologia che meglio si avvicina a questo obiettivo. il laboratorio! “IL LABORATORIO formativo per genitori” richiama una partecipazione, un paziente coinvolgimento di mente e di cuore, nel raccontare le proprie difficoltà e trovare insieme principi e orientamenti educativi appropriati per migliorare la qualità della vita del genitore o dell’educatore prima di quella del destinatario. Il laboratorio non è la soluzione del problema, non è la risposta al bisogno immediato, ma fa da specchio, perché ciascuno ritrovi nella propria mente e nella propria coscienza occasioni per maturare “la novità educativa”, che lo sosterrà nel rapporto all’interno della famiglia. Le schede qui offerte, slogan o quanto altro, sono lampade per illuminare “il raccontarsi” di ciascuno. Il cambiamento deve avvenire non per un processo culturale condiviso, ma per un progetto di vita diverso che rigenera e produce comportamenti positivi per l’educazione dei figli o dei minori in genere. 109 ASPETTI INTRODUTTIVI 3. Obiettivo La “scuola per genitori” non mira a creare dei genitori «super-eroi» che sanno in ogni circostanza cosa e come fare, bensì fornire dei suggerimenti da applicare, a quel ragazzo in quella specifica situazioni, con creatività. Lo scopo di questo sussidio è dare indicazioni affinché l'amore si traduca in azione. Ad esempio, se vogliamo che nostro figlio diventi una persona forte e per stimolarlo continuiamo a dirgli che è un pappamolle, è molto poco probabile che lui diventi forte. È opportuno quindi capire come alcuni atteggiamenti possano produrre alcuni effetti e come assumerne certi sia preferibile rispetto ad altri. Le indicazioni fornite in questo sussidio non sono formule infallibili, obbligatorie ma semplicemente un invito a riflettere sulle situazioni e a valutarle, adeguandosi poi ad esse in modo elastico. Ho raccolto il dolore e le preoccupazioni di tanti genitori. Li ho visti amareggiati, stanchi, sfiduciati, che gettavano la spugna, dichiarando la propria impotenza a gestire situazioni di grave comportamento dei figli. Li ho sentiti urlare la propria rabbia… Il laboratorio deve produrre tutto questo. È il punto di partenza. L’umiltà genera speranza, la speranza rigenera valori... Chi si accosta a questo percorso deve condividere con noi questa certezza: Il disagio è un accidente, non una qualifica. È l'idea madre da cui partire per qualsiasi processo di studio del disagio minorile e delle ipotesi di trasformazioni. 110 ÎIn concreto: 1. Il laboratorio é un'opportunità di formazione umana, comportamentale, spirituale, per ritrovare ben-essere personale, conoscere i “problemi” dei figli e scoprire relazioni efficaci verso figli e ragazzi in crescita. 2. Nelle prime schede si riflette sui comportamenti personali dei singoli genitori e sulla vita di coppia. Non è una semplice premessa, ma è condizione indispensabile per la riuscita del corso. Nelle schede che seguono si entra nel cuore della scuola: la coppia e l’educazione dei figli. 3. Gli incontri sono seguiti e preparati da uno o due coordinatori stabili, organizzati con modulo continuo, o un incontro settimanale. Le modalità di attuazione sono concordate con un gruppo di lavoro in base alle situazioni locali. Comunque i partecipanti non siano numerosi, per non trasformare l’incontro in una conferenza. L’incontro inizi con la lettura riflessione, lasciando alcuni minuti per la rilettura personale. Il coordinatore introduce, offre chiarimenti, orienta e stimola “il raccontare”. 4. L’incontro si svolga pertanto nello spirito del dialogo, del confronto, della ricerca. Alla fine di ogni incontro il coordinatore assegni il “compitino” per casa: un esercizio (o se volete una ricetta) a “fare certe cose”, emerse dall’incontro, che portino gradualmente a migliorare o trasformare i propri comportamenti. 5. Il laboratorio è aperto a genitori, ma anche a insegnanti, animatori di gruppi e con quanti vogliono approfondire le tematiche dell'educazione. 6. Visto il pluralismo di “disagio” di tanti minori, (come quelli adottivi o con particolari” disturbi), il laboratorio preveda incontri personali, per un sostegno mirato o anche orientare a trovare opportune soluzioni. 7. Il Sussidio è uno strumento per stimolare, proporre soluzioni, sperimentare comportamenti “nuovi”, sviluppare processi educativi positivi. 8. La “ricerca” delle proposte di intervento sia condivisa, scoperta insieme, attraverso il “racconto” delle storie di difficoltà e di disagio del minore. 9. Auspicabile la partecipazione dei nonni, soprattutto se abitano nella stessa casa. 10. L’incontro si svolga in stile “familiare”; curando molto “l’accoglienza”. Si stabiliscano all’inizio delle regole per comunicare in modo corretto ed efficace, (come intervenire, esporre le proprie idee, come saper ascoltare l’altro…). ÎImportante: L’adesione al corso, sia preceduta da un colloquio personale, per conoscere e rafforzare le motivazioni. La partecipazione deve essere costante, responsabile. Nessun cambiamento è possibile senza un impegno serio e disponibile a seguire fino in fondo un percorso formativo. Ai responsabili locali trovare tempi e modalità per venire incontro alle possibili assenze, come incontri alternativi. Ad esempio sono state sperimentate con successo in qualche ambiente le “Giornate insieme”, gruppi di coppie e figli. 111 4. Scheda per l’incontro iniziale LA PRESENTE SCHEDA HA DUE OBIETTIVI: • Conoscere la richiesta di partecipazione al corso: motivazioni e situazione attuale che si sta vivendo in famiglia. • Presentare il percorso formativo previsto dalla “scuola” per genitori. Nome e cognome_________________________ Occupazione ________________ Coniugata con _________________________ dal__________________________ SEPARATO/A, DIVORZIATO/A SI NO DAL _____________ RISPOSATO/A, CONVIVENTE SI NO DAL _____________ FIGLI: 1° M F DATA DI NASCITA _____________ 2° M F DATA DI NASCITA _____________ 3° M F DATA DI NASCITA _____________ 4° FIGLI ADOTTIVI M F DATA DI NASCITA _____________ 5° AFFID. Familiare M F DATA DI NASCITA __________ CON LA FAMIGLIA VIVE QUALCHE ALTRA FIGURA? NONNO NONNA ZIO ZIA ALTRO ______________ IN CHE TIPO DI ABITAZIONE _________________________________________ IN CHE TIPO DI AMBIENTE _________________________________________ È LA PRIMA VOLTA CHE SI TROVA A PARTECIPARE AD UN GRUPPO (O LABORATORIO), “PSICOEDUCAZIONALE”, PER GENITORI? 112 PARTECIPARE A QUESTO GRUPPO MI PORTERÀ - (alla fine del percorso: mi ha portato) MAX INFORMAZIONI SUL DISAGIO GIOVANILE A CAPIRE MEGLIO LE PROBLEMATICHE DELL’ADOLESCENZA UNA MAGGIORE VOGLIA DI AFFRONTARE I PROBLEMI A CONDIVIDERE CON ALTRI GENITORI A MIGLIORARE LA COMUNICAZIONE CON MIO FIGLIO NULLA ALTRO ______________________________________________________ Si autorizza il trattamento dei dati personali ai sensi del D.lgs 196 /2003 SI NO _____________________________________ FIRMA Alla fine del percorso si ripropone la parte B, aggiungendo: Le discussioni in gruppo sono state esaurienti _______________________________ Avrei voluto approfondire meglio _________________________________________ Il sussidio è stato interessante ___________________________________________ Ho trovato utile per la mia situazione ______________________________________ Osservazioni generali __________________________________________________ ____________________________________________________________________ 113 5. La strategia del raccontare • L’estate scorsa ero al mare. Due mamme seguono i propri figli che si divertono nell'acqua. La prima si gode il fresco sotto l'ombrellone, legge un rotocalco e con l'occhio segue i suoi bambini. Solo una battuta, ogni tanto, serena, pacata: “Bravi... Vi piace il mare?...Divertitevi!...”. Più lontano la seconda, in evidente agitazione, alle prese con gli attrezzi da mare, scarica sui figli le sue apprensioni: “Attento!...vieni qui. Non allontanarti. Bagnati la testa... Non gridare...”. Osservo la scena, incuriosito: vengo a sapere che la prima mamma era una brava nuotatrice, la seconda era riuscita appena a bagnarsi i piedi. È l’immagine dei nostri comportamenti. La delega educativa crea scompensi, con una famiglia albergo, una casa per soddisfare le esigenze abitative, dove ci si ritrova per soddisfare i bisogni materiali. Sentiremo, fino alla noia quel non ti manca niente, ti abbiamo dato tutto. Sarà proprio quel tutto la condanna spietata di tanti maldestri genitori, che hanno sacrificato una vita per realizzare nei figli i sogni proibiti della propria infanzia. • La famiglia ha rivelato tutta la sua fragilità, il disordine interno, la falsa immagine di una realtà ormai consunta. È stata questa ipocrita immagine a scatenare la reazione dei giovani. Distrutta in fretta l’ossatura morale della nostra società, abbiamo proposto una serie di modelli alternativi, ritenendo i vecchi sorpassati e oppressivi. Per rileggere nel vissuto il passato e costruire il futuro! Attraverso un viaggio tra i ricordi, si riscoprono sensazioni, emozioni, desideri, paure e sogni. Rappresentarsi la propria vita come una storia fa parte del processo creativo, che stimola la ricerca del bello e del buono della vita, come anche ci pone davanti eventi dolorosi mai chiariti e accettati. La metamorfosi più interessante è l’idea della nuova famiglia. Parlarsi attraverso alcune strategie educative talvolta è l’unica via per educarci. Ricordare non basta.… È il primo passo. Una volta aperta la porta, la parola deve essere funzionale, esercitare il muscolo della mente a rivivere e rivedere i fatti che sono presenti nella vita trascorsa. La difficoltà costante? Dare un volto a modelli talvolta inesistenti nel nostro mondo. Una madre? Che immagine di madre? Che significa essere madre? Un padre? Che tipo di padre? Chi è un vero padre? Una scuola? Quale immagine di scuola? Gli amici? Quali amici?… Cosa è l’amicizia? La vita? Quale vita?… Che fatica poi a ricreare questi personaggi! Rifare il tessuto. Eppure basta spesso un atto di onesto e umile riconoscimento dei propri o altrui fallimenti e limiti. “Ciò che rimane silenzioso durante l’infanzia si manifesta a gran voce nell’adolescenza”. La storia di ciascuna creatura è una storia in continua modulazione. Il rischio è presumere di essere perfetti e infallibili. 114 Prima parte Schede 115 SCHEDA 1 Una finestra sul mondo Si narra che un figlio sta accanto al proprio padre morente: hai ancora qualcosa da insegnarmi? Guarda! – rispose il padre spalancando la bocca. – C’è ancora la mia lingua? Certo, padre! Ci sono ancora i miei denti? No padre! E sai perché? Perché i denti sono duri, mentre la lingua è morbida! È questo il mio ultimo insegnamento: la flessibilità! 116 1. Introduzione La storia dell’umanità inizia con una colpa e una condanna. Adamo ed Eva trasgrediscono una legge: uniti nella felicità e nella punizione. La donna è punita come sposa e madre. “Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli”. L’uomo, invece, è condannato alla fatica. “Con il sudore del tuo volto mangerai il pane...” Il castigo peggiore è la perdita della familiarità con Dio: “Il Signore Dio li scacciò dal giardino dell’Eden”. Con la perdita del paradiso, la pena diventa ereditaria: da allora l’umanità vive l’amara esperienza della lotta tra il bene ed il male, costretta a regolare i propri rapporti con una serie infinita di leggi. Noi tendiamo per natura al ritrovamento dello stato di benessere perso con la colpa. Cerchiamo una pace inseguita, mai raggiunta. Siamo per la cultura della pace e non della guerra, della vita e non della morte. Allora iniziamo questi nostri incontri, alla luce di queste verità, a guardarci attorno, pensando alla realtà in cui viviamo. Non è obiettivo di questi incontri formulare a priori conclusioni, ma ricercarle insieme per condividere proposte e orientamenti concreti di comportamento. Ricordo subito di tenere lontana la tentazione di avere presente in questi primi incontri i figli, i ragazzi. Prima di pensare ai frutti, guardiamo all’albero, alle radici. Il peccato delle moderne pedagogie è la riduzione accanita degli interventi educativi all'elaborazione di precotti, da ammannire e variare secondo le stagioni e le età. Sedentari per professione o per scelta, computerizzati nel pensiero e nelle azioni, rischiamo di perdere l’originalità dello stare, della condivisione, della crescita insieme. Il peggior rischio resta comunque quello di non sapere o sapere in modo sbagliato. Il primo passo è guardarci attorno: l’aria che noi respiriamo, la cultura che guida i nostri comportamenti, le nostre scelte. La moda, la politica, le abitudini, i modelli, il linguaggio… che coinvolge la nostra vita personale e sociale, condiziona sempre l’intervento educativo e formativo dei figli. È perciò un passo obbligato non per demonizzare e cercare capri espiatori, ma per capire soprattutto noi stessi nel ruolo di genitori, di educatori. . Ci guida in questo primo incontro e così negli altri incontri una scheda, che serve da stimolo e da cornice, se vogliamo usare questa immagine, per esprimere ciò che noi vediamo dalla finestra dei nostri occhi. 117 2. Pista di comunicazione Il comportamento degli adulti 1. Il concetto che si ha della famiglia es._______________________________________________________ • Il concetto che si ha di padre e madre • Il concetto del ruolo di moglie e marito 2. Il modo di pensare e vivere la democrazia (politica) es._______________________________________________________ 3. Il senso civico del cittadino es._______________________________________________________ es._______________________________________________________ 4.La morale – l’etica es._______________________________________________________ 5. Le relazioni con gli altri es._______________________________________________________ 118 3. Lettura e riflessione Edoardo VII, a chi gli domandava come mai in Inghilterra un principe a diciotto anni potesse essere incoronato re e invece non poteva sposarsi, diede questa spiegazione: “È più facile governare un regno che una famiglia”. La famiglia è il ponte insostituibile tra pubblico e privato, è il punto di partenza e d’arrivo di tutte le tensioni della società. Le pareti di casa e i volti delle persone della propria famiglia creano le prime immagini, producono sensazioni, lasciano le impronte che ci faranno compagnia nel bene e nel male per tutta la vita. È il veicolo che trasmette, con la vita, abitudini, cultura, tradizioni, linguaggio. La famiglia è la prima sede dove esplodono in crescendo le diversità comportamentali, si manifestano i conflitti sociali, dove confluiscono i segni dei cambiamenti storici e politici. È colpa dei genitori o dei figli? Diventerà l'interrogativo che ci accompagna in questi anni. La storia intanto, implacabile, fa il suo corso. I genitori reclameranno: “Ci hanno tolto anche la parola!” I figli ribatteranno: “Abbiamo diritto alla parola”. Con il diverbio sul diritto, gli uni e gli altri hanno finito per dimenticarsi dei doveri. Del resto é più facile puntare l'indice verso gli altri, che piegarlo verso di sé. La nostra vita è un libro aperto: le prime pagine sono scritte dai nostri genitori. “Riceviamo dalla famiglia, ha scritto Proust, così le idee di cui viviamo come la malattia di cui moriremo”. • È la famiglia la cellula madre dove nascono e maturano i principi etici: nella famiglia riceviamo la prima carezza, il primo gesto d’amore, il primo messaggio di vita. • La famiglia è il luogo dove si apprende la capacità di porsi in relazione con il mondo esterno e dove si inizia a costruire la propria identità nel costante confronto con lo specchio che i genitori mettono davanti. • Nella famiglia maturano i valori di riferimento per le scelte da fare lungo l’arco della vita. • Casa, dolce casa! Qui si commettono anche i primi peccati d’omissione. Qui confluiscono le tensioni e le problematiche sociali, la povertà morale e l’incapacità educativa a gestire i conflitti intergenerazionali. La posta in gioco quindi è alta: si tratta di garantire i diritti relazionali di cui sono latori i figli e di consentire ai genitori di riscoprire la propria responsabilità. 119 4. Considerazioni • Le famiglie sono in aumento e diminuiscono i componenti. La maggior parte delle giovani coppie desiderano avere due figli poi in realtà ne hanno uno o nessuno. Si parla tanto di famiglia ma poi... Riflettere sul concetto di famiglia. Ad esempio sulla famiglia monoparentale. In previsione la famiglia sarà composta da un solo genitore. Siamo a un rovesciamento della tradizione, perché prima la famiglia era composta da padre e madre. Ora la figura prevalente secondo i demografi sarà il genitore unico. Per separazione oppure perché non si è mai sposato. E questo genitore unico è più spesso la donna con il suo bambino. Questo comporta problemi nell’educazione, nella coppia stessa, nel senso che le coppie si sono sempre mantenute unite dopo l’innamoramento anche per il progetto di crescere insieme ai loro figli, per trasmettere valori. Gli effetti saranno di disgregazione molto forte. Le coppie saranno sempre più qualche cosa di sporadico, mordi e fuggi; nel senso che se non c’è più questa proiezione a lunga scadenza del generare insieme, una volta finito l’innamoramento, l’attrazione sessuale, il piacere di stare insieme, la coppia si disfa. Avremo in prospettiva una generazione che cresce con un padre o assente o presente fisicamente ma poco presente come esercizio della paternità. Questo richiede modalità nuove educative. • La mancanza di un lavoro sicuro, di una casa e di tempo da dedicare ai figli. Cambiano continuamente i figli davanti ai nostri occhi, lentamente si differenziano da noi e cercano la propria strada… cambia il mondo, la cultura, la tecnologia, eventi ordinari e straordinari ci interpellano. E noi? Fermiamoci un po’ per riflettere, confrontare il nostro vivere quotidiano con alcune sollecitazioni che arrivano dall’esterno, per saper cambiare e crescere in un mondo che cambia. Viviamo nell’epoca della globalizzazione? Cosa significa, come incide nella nostra vita quotidiana, con quale atteggiamento la stiamo affrontando… i venti di guerra, la ricerca di pace e democrazia…pensare mondiale ma agire locale, capire ascoltando, cogliendo nuove sensibilità, radicarsi nel territorio con un’identità specifica capace di collegarsi e confrontarsi con la diversità. Coniugare lavoro e presenza accanto ai figli. Una strategia? Qualità che supera la quantità di tempo dello stare accanto. • L’insicurezza nei giovani: da una parte desiderano un figlio e da una parte ne hanno paura. Molte volte anche le donne si sentono impreparate di fronte a questo compito perché non hanno mai avuto fratellini o cuginetti piccoli, quindi per loro il neonato è un’immagine fotografica, magari bellissima, che però non sanno da che parte prendere. Cambia il ruolo dei genitori: figura materna e paterna, eclissi degli educatori e soprattutto della figura maschile, quali modelli di riferimento. Risultato? Grande disorientamento. Il disorientamento che vivono i ragazzi è riflesso di quello degli adulti e della società. Educazione alla genitorialità quindi, a un progetto che impegna tutta la vita come padre e madre. Si può smettere di essere marito e moglie, non si può mai cessare di essere genitori. Su questo inviterei i giovani a una riflessione. Si parla tanto di educazione sessuale ma non si è mai fatto niente e in questo io vedo che una parte importante sarebbe una educazione alla genitorialità. 120 • Attenzione ai messaggi, alle informazioni, che provengono dai mezzi di comunicazione di massa (giornali, libri, televisione, cinema, ecc.) in genere molto varie ed anche un po’ confuse. Queste informazioni hanno inoltre la particolarità di essere unidirezionali. Infatti, chi le manda non sa immediatamente l’effetto che faranno sull’ascoltatore e soprattutto l’ascoltatore non può commentarle direttamente con chi le ha fornite: la mancanza del dialogo impedisce ovviamente la correzione. A livello di relazione, infatti, ci sono i messaggi positivi e/o negativi che riceviamo dai coetanei e che riguardano il “come siamo” fisicamente, psicologicamente ed anche il modo in cui ci poniamo nel gruppo, così come possono nascere grosse difficoltà quando problemi di insicurezza ci portano all’isolamento e alla poca socializzazione. Relativamente alle informazioni, i problemi riguardano le “cattive” informazioni che riceviamo su problematiche importanti, come ad esempio quelle sulla sessualità, e quelle, come dicevamo prima, non criticabili immediatamente, sui valori della vita. La comunità si aspetta che ognuno di noi faccia la sua parte, realizzi il ruolo, che corrisponde alle aspettative che gli altri hanno sul nostro comportamento in quanto occupiamo una certa posizione. I ruoli sono interdipendenti, cioè, per esempio, il ruolo dello studente si definisce in relazione al ruolo dell’insegnante (e viceversa). I ruoli poi non vengono “giocati” nel vuoto, ma acquistano significato e si definiscono riferiti a contesti ben precisi. Spetta anche ai genitori la capacità di cambiare ruolo in contesti diversi moglie/madre; l’uno non esclude l’altro…purché entrambi si integrino nell’unità della famiglia. • Un considerazione particolare: la presenza sempre più consistente di famiglie multietniche, famiglie immigrate… che creano problematiche culturali, religiose e sociali. Anche il crescere di famiglie con figli adottivi italiani o stranieri spesso genera difficoltà educative non di facile soluzione. Nelle schede e nelle tavole che seguono si riprenderanno alcuni punti di queste considerazioni con opportuni orientamenti del percorso educativo. 121 SCHEDA 2 Un occhio al passato I genitori non devono mai dimenticare di essere stati bambini, adolescenti, giovani ... e che un giorno...diventeranno anziani. 122 1. Introduzione Ricordare fa bene. Ritrovare le proprie radici ridona vigore e slanci nuovi. Gli ideali degli adulti sono figli delle fantasie dell'infanzia. E se l'infanzia è inquinata, sarà disturbata anche la stagione dei grandi ideali. La fanciullezza è un periodo felice. Chi dice che la nostalgia è un tormento? Chi ha scritto che il ricordo del passato è rimpianto vuoto e inutile? Chi sostiene che la memoria della propria infanzia sia la tomba di piaceri perduti? La nostalgia dell'infanzia rigenera lo spirito, rinnova emozioni, risveglia ideali e gioia di vivere; la memoria delle proprie origini rafforza la purezza della nostra esistenza. Voi siete genitori, educatori: per voi ricordare potrebbe essere anche rimpianto, paura di ritrovarsi davanti sfide perdute, sogni smarriti, ideali ormai sepolti, speranze sfumate. Forse si riapre anche qualche ferita. Ma è proprio questo percorso vissuto con mente di adulti e con cuore purificato, che vi apre orizzonti nuovi. Ricordando il passato vi avvicinate al presente dei vostri figli. Il ricordo per un educatore è una risorsa, talvolta anche un atto dovuto, per allontanare il rischio di riproporre nei figli le nostre incompiute (progetti di studio, di lavoro, sogni e speranze non realizzate…), è anche slancio, se muove la volontà. Resta invece frustrazione, se è fuga dalla realtà. In una società creativa sento l’eco di uno slogan ricorrente, soprattutto nel campo produttivo: “Sognalo, lo realizzerai!” Questo processo ha un prezzo, talvolta alto. Ma ne vale la pena. Un padre e una madre diventano educatori positivi man mano che diventano liberi, non perfetti, ma onesti con se stessi e con i figli. Con i ragazzi utilizziamo spesso una strategia, la linea del tempo. Accompagniamo il ragazzo a rivedersi in un percorso tra il reale e la fantasia, nelle varie fasi della sua vita, dai primissimi ricordi fino alla proiezione nel suo futuro. È una modalità per stimolare la volontà e sostenerlo nel crescere nella speranza. Allora proviamo a “raccontarci”, seguendo la pista riportata sul foglio. Si può seguire questa o altra pista, l’ordine dei punti indicati o partendo da quello che più vi è facile ricordare. 123 2. Pista di comunicazione I genitori ricordano 1) La mia nascita: ricordi I propri genitori Luogo Che figlio sono stato per i miei genitori__________________________________________ Cosa mi dicevano i miei genitori_______________________________________________ Parenti 2) Le esperienze sentimentali: Le amicizie da ragazzo e da giovane Primi amori L’incontro con mio marito o mia moglie Il matrimonio – L’attesa di un bambino… 3) Il percorso dei miei studi o del mio primo lavoro Lo studio: rapporto con insegnanti, compagni…successi, insuccessi… Il lavoro: dalle prime esperienze e quelle attuali-rapporto con il datore di lavoro Difficoltà incontrate 4) Ricordi particolari che vi hanno segnato Nel bene Nel male 124 3. Lettura e riflessione Fortunato è l'uomo che resta con gli occhi e il cuore ancorato alle proprie radici: non patirà l'invecchiamento dello spirito. Alle origini della nostra esistenza c'è sempre un forte amore alla vita. Ogni uomo si porta dentro un pezzo di eternità; il cuore umano è inquieto fino a quando non si ricongiunge all’Eterno. La nostra vita è un alternarsi tra il desiderio di cieli nuovi e terre nuove e la delusione di riuscire ad averli in questo mondo. La nascita e la morte sono i due punti estremi di un asse che spesso ci tormentiamo a piegare fino a farci male; sciupiamo l'evento vivo di un cammino ricco di amore, solo perché un giorno quel sogno avrà una fine. Se ricordi, ti porterà oltre il desiderio, la nostalgia. Il ripensare al passato mette le ali alla nostra volontà. L'amarezza è infinita quando si spegne la fonte dei nostri ricordi. Ricordare è un po’ come sognare. Sogna il musicista, sogna il poeta, sogna il pittore, sogna lo studente, sogna l'innamorato, sogna e spera l’ammalato. Il ricordare l'infanzia, la giovinezza, le persone che hanno accompagnato i passi della nostra crescita, riaccende dentro di noi l'amore alla vita, purifica l'animo e la mente dalle impurità accumulate con gli anni. La delusione di insuccessi, rimpianti? Ma chi dice che il fallimento sia un dolore sterile per l’uomo?! Talvolta sono proprio le amarezze a rendere l’uomo più forte, laddove è stato provato. Chi aspira al nobile vivere ha un prezzo da pagare; ma vale la pena percorrere questa strada, anziché fermarsi al semplice rimpianto. Stimo e apprezzo i coraggiosi, ho compassione per i timidi, gli stupidi. La strada maestra per chi ricorda è certezza è che nulla è perduto del nostro passato. Il sogno dei sogni dei genitori sono i figli. Il loro bene-essere. Ritornare indietro è esplorare con l’occhio dei figli non una somiglianza fisica o di progetto, ma lo spirito genuino, diverso, ma sempre eguale, del bambino, del ragazzo, del giovane. Nell’essere genitori sovente utilizziamo l’esperienza avuta con i nostri genitori. Nel cercare di capire i nostri figli utilizziamo la conoscenza che abbiamo degli adolescenti che spesso è limitata a noi stessi quando eravamo adolescenti. I genitori, dopo aver esplorata la realtà del proprio passato, sono più attenti e soprattutto hanno maggiore sensibilità al vissuto dei propri figli o dei propri educandi. Il genitore pondera tutto, perché il suo sogno è diventato realtà. “Se non diventate bambini…”. La memoria delle nostre radici, ci avvicina di più alla semplicità e alla bontà dei piccoli, svuota di paure i rischi della crescita. Peccato che molti genitori percorrono la strada dei dogmatici, i temerari, i fanatici, gli incoscienti, gli ottusi. Il genitore che si “fa piccolo…” medita, pensa, riflette, soffre anche, ma sa sacrificarsi e accogliere i messaggi, che potrebbero giungere dai figli. Chi “si fa ragazzo…” non rifiuta, ma anticipa la realtà, accompagna i passi dei figli. Chi “si fa giovane…” diventa profeta: salta i passaggi intermedi, arriva alle ipotesi future, per ridurre la logica del danno. È l’uomo della fiducia. Ho incontrato tanti genitori in questi anni. Sono il sogno mancato: sono gli incompiuti di un progetto di vita.. Delusi dal lavoro, delusi dalla famiglia, delusi dagli affetti, delusi per tante scelte sbagliate, forse delusi anche dalla religione, scaricano infelicità repressa sui figli. Ho conosciuti genitori incoerenti e inefficaci. Eppure i figli sono un’energia per non cedere alla pazzia, per innovarsi, ritornare giovani, ricominciare sull’onda dell’entusiasmo, e rendere dinamica la propria esistenza. 125 SCHEDA 3 C’eravamo tanto amati.…storia della coppia . Non so esprimere cosa sia l'amore, ma ho conosciuto persone innamorate, ho incontrate persone, con occhi e mani tese all'altro, mai piegate verso se stessi. Il vero innamorato si avvicina più al balbuziente che all'oratore; il vero innamorato si immerge nel silenzio, nel timore di non trovare parole per i suoi sentimenti; il finto innamorato è plateale, si appella all'arte della seduzione. L'anima gemella non è un dono del caso, ma di segrete intese; spesso non basta una vita per scoprirne l'origine. 126 1. Introduzione Fare coppia e famiglia oggi: missione impossibile? Si dice che la famiglia si stia dissolvendo, che i giovani ne siano meno attratti o addirittura la rifiutino. È vero che le statistiche dicono che la famiglia in Italia è più in salute degli altri paesi europei, però è pur vero che essa è minacciata da alcuni fenomeni, che ci lasciano inquieti e perplessi. • La crisi del fidanzamento. Stravolto il punto di partenza. Si vive la fase dell’innamoramento come immediata vita di coppia, in modo “improprio”. La familiarità, la condivisione del vissuto quotidiano e di esperienze “vacanziere”, la stessa sessualità, falsano la naturale conoscenza, perché si capovolge il cammino di crescita del sentimento. Ciò che è punto di arrivo, diventa punto di partenza, che richiede un sereno, graduale, anche sofferto, periodo di confronto di ideali, progetti, limiti, differenze. Questo salto nel buio porta spesso, anche se non sempre, dopo l’iniziale euforia, a profonde lacerazioni recuperabili con difficoltà, talvolta insanabili. Prima che crisi di matrimonio occorre parlare di crisi di fidanzamento. • Le crisi matrimoniali. Sono una realtà in ampia estensione. Riguarda credenti e non credenti. Si constata la fragilità del legame coniugale, possiamo dire la fragilità dell'amore. Molti matrimoni, celebrati pur dopo una buona o normale preparazione non reggono al tempo. Prima subentra la stanchezza, poi l'abitudine e poi spesso la rottura e la separazione. È ancora possibile amarsi con un amore pieno, fedele, indissolubile? Questo mi sembra un primo dato e un primo interrogativo. • La denatalità. È un fatto esistente almeno nel nostro mondo occidentale. È il rovescio del problema affrontato nella conferenza del Cairo. Lì la preoccupazione rispondeva al "come" contenere le nascite di fronte alla possibilità o meno delle risorse naturali ed economiche, qui da noi la preoccupazione è il calo, finora progressivo, delle nascite. L'Italia, come sappiamo, è all'ultimo posto del mondo nella nascita di bambini. • La scelta della convivenza totale o part-time. Oggi ci si domanda il perché i giovani rifiutino il matrimonio o preferiscano la convivenza. Anche qui i motivi sono molti e non tutti negativi: il desiderio di approfondire la loro relazione e la scelta a vivere la provvisorietà come modalità, per tenere più desto l’amore senza la deresponsabilizzante istituzione. • L’insicurezza economica dovuta alla paura del futuro in sé e dovuta anche alla maggiore flessibilità dei posti di lavoro. Anche se nei nostri territori non si pone il problema dell’occupazione, però un conto è cambiare un posto di lavoro alla pari per responsabilità e dignità, e un altro è abbassarsi a occupare mansioni meno redditizie e meno umanamente gratificanti. La mobilità economica e lavorativa ha una incidenza reale sulla scelta del matrimonio e soprattutto nel fare famiglia, cioè nel decidersi ad avere dei figli. Nei giovani oggi cresce l’incapacità psicologica di darsi un progetto forte e di essere dei soggetti robusti nell’assumere la responsabilità di una famiglia. Sembra stia insorgendo un atteggiamento narcisistico per cui i giovani “non vogliono crescere” assumendosi la responsabilità dell’essere “grandi”. Ora riferiamoci alla vostra esperienza o alle vostre conoscenze. 127 2. Pista di comunicazione 1) La vita di coppia dei primi anni L’ambiente abitativo Le relazioni con la famiglia di appartenenza (suoceri, parenti) Quale era il vostro progetto di vita comune _______________________________________ Il lavoro- l’economia della casa – Le decisioni in famiglia La pratica della propria fede 2) La nascita dei figli (o figli in adozione) L’accoglienza La cura dei figli affidata a… Difficoltà 3) Nodi non risolti –problemi aperti. Personali Di coppia – Spazio che si riserva per la vita di coppia… Con parenti Con altri (o) 4) Eventi, che hanno segnato la vita di coppia Economici Salute Altro 128 3. Lettura e riflessione Domanda. Perché fare coppia ed famiglia? Può una persona diventare persona senza relazione sponsale o familiare? Rispondere a queste domande è essenziale. Se rispondiamo: la vita di coppia è marginale alla vita dei figli. Si può crescere, anzi talvolta ne compromette la libertà e lo sviluppo. Se così fosse vuol dire che i segni della crisi attuale della coppia e degli danni arrecati ai figli sono positivi e vanno incoraggiati. Se rispondiamo: la relazione sponsale è un modo per essere e diventare persone adulte e libere e accompagnare (dico farsi compagni!) allora la vita di coppia andrebbe valorizzata. Caso mai si tratterebbe di scoprire e di cambiare il modo di viverla. Altra domanda. Si può ipotizzare un mondo futuro senza matrimonio e famiglia? Vorrei affrontare questo interrogativo senza la pretesa di "consumarlo", di "esaurirlo”. Parto da due dati: il dato biblico e il dato antropologico. • Il dato biblico. In Genesi 2 c'è il famoso racconto della creazione di Eva. È un racconto teologico, non storico. È una poderosa e intuitiva riflessione sul rapporto uomo-donna, sulla loro attrazione. Qual è il senso più pregnante di questo racconto? Cerchiamo di coglierlo. Si dice nel c. 2 della Genesi che Dio dopo aver creato Adamo (è un linguaggio simbolico), passeggiava con lui nella brezza del giorno (3, 8) e parla con Adamo. Quindi c'è un rapporto di intimità e di dialogo tra Dio e Adamo. Poi si dice che Dio consegna tutta la creazione ad Adamo: piante, animali, fiumi, il creato. Adamo è il possessore di tutti i beni materiali. Eppure Adamo è triste. E dice il testo che egli è solo. Come solo? Non ha l'amicizia di Dio? Non ha il possesso delle cose, dei beni materiali? Queste due realtà non riescono però a sconfiggere la solitudine dell'uomo. Questa solitudine sarà vinta quando arriverà Eva. Qual è il senso? Solo la relazione interpersonale uomo-donna riesce a dare all'uomo e alla donna il senso della vita, solo una relazione paritaria consente il dialogo e il confronto. La Genesi usa per Eva il termine "alleato che sta di fronte". Lo scrittore sacro è azzardato: ha il coraggio di dire che la religione non basta per dare un senso alla vita e far crescere l'uomo, e che neppure i beni materiali, il progresso, sono sufficienti a colmare il vuoto e la sua solitudine. Dio è troppo in alto, le cose sono troppo in basso, solo il rapporto uomo-donna crea quell'intimità, quella comunione che rende l'uomo e la donna capaci di vivere e di perseguire la loro identità. Cito a questo riguardo una espressione di Giovanni Paolo II, forse una delle più illuminate a questo riguardo: "L'uomo non può vivere senza amore. Esso rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso se non gli viene rivelato l'amore, se non si incontra con l'amore, se non sperimenta, se non lo fa proprio, se non vi partecipa attivamente. E la coppia ha il compito di custodire, rivelare, comunicare l'amore". • Il dato antropologico. Di fronte all'interrogativo “perché sposarsi”, molti rispondono: ci sposiamo per essere felici. Sposarsi per essere felici è un sentimento o un obiettivo egoistico. "Io sposo te per essere felice", il fine non è l'amore per te, di te, il fine è raggiungere la mia felicità. L'altro è uno strumento per raggiungere questa felicità. Cercare la felicità è un obiettivo egoistico, lo sposarsi per essere felici è il modo per non essere mai felici. La felicità è una realtà secondaria, essa può arrivare 129 come conseguenza di altri valori e di altri obiettivi. Perché ci si dovrebbe sposare? Per accendersi l'un con l'altro con la propria originale diversità. L'amore è il sostegno per una inferma coscienza di sé. Ciascuna persona è inferma, cioè fragile, debole, fallibile. Sposarsi vuol dire: incontrare una persona che ti accetta anche nello sbaglio, che non ti molla anche nei peccati, che sta con te comunque e questo sentirsi amati"comunque" dà la voglia di vivere, di affrontare i problemi. Qui si innesta il valore dell'indissolubilità, o meglio, della stabilità. Il dato antropologico fondamentale riconosciuto da tutte le filosofie e culture è che l’uomo è un essere aperto, aperto a ricevere. Cresce ricevendo. Quindi nell’uomo c’è una radicale insufficienza che lo spinge oltre se stesso. È un essere che si costruisce trascendendosi. “L’io diventa io solo nel tu”. Oggi è in crisi la coppia o un modello di coppia e di famiglia? Non credo che oggi la famiglia stia vivendo una stagione estremamente nuova e positiva, perché è affermata la piena parità tra l’uomo e la donna. L’essere padri e madri è frutto di una libera scelta nel partecipare all’opera creatrice di Dio. Verso quali direzioni procedere per costruire il nuovo modello di coppia e di famiglia? Educarci alla differenza e all’alterità. Differenza e diversità non sono sinonimi. Descrivono due atteggiamenti diversi, complementari, però non alternativi. Amarsi nella differenza vuol dire che l’amore non vuole pianificare, livellare le due persone, ma l’amore è lasciare che l’altro sia altro, differente. Tagore dice a questo proposito: “l’amore è affidare all’altro il compito di vegliare sulla sua solitudine”. Ognuno di noi nasce unico, irripetibile, originale e deve rimanere tale. L’amore dovrebbe fare sprigionare questa unicità e questa diversità. Quando in una coppia non c’è il rispetto della differenza dell’altro, nasce prima la stanchezza, poi la freddezza, poi il disgusto e, purtroppo, facilmente la separazione. Ognuno vuole essere amato per come è senza dover uniformarsi agli schemi o agli ordini di un altro. Amarsi, invece, con amore di alterità, è un passo più profondo e segna un cammino più sponsale. È una terra “santa”. “Santa” vuol dire “altra”. Il “siate santi come io sono santo” vuol dire “siate altri come io sono altro”. Dio ha una logica diversa dalla nostra; Egli ama la diversità, la varietà. L’amore di alterità è riconoscere che l’altro è di un altro paese, di un altro orizzonte, possiede doni, sensibilità che io non ho. Allora, se voglio arricchirmi di quei doni e sensibilità, devo depotenziare il mio io, destituirlo e pormi in ascolto. L’altro è il maestro a cui devo avvicinarmi per imparare. Quando questo sentimento e atteggiamento è reciproco nasce la vera sponsalità. Quando lo sposo considera la sposa la sua maestra e si mette in suo riverente ascolto, quando la sposa considera lo sposo il suo maestro e si pone in suo devoto ascolto nasce il vero amore. crive Evely: “Amare è lasciare all’altro la sua libertà: più lo vorrete imprigionare, più lo perderete”. Vivere la distanza dell’altro. Appartenere a qualcuno vuol dire portarlo dentro di sé. 130 SCHEDA 4 Ma questi ragazzi di oggi… Chi sono? “I figli? Essi non vengono da voi, ma attraverso voi. Potete amarli, ma non costringerli ai vostri pensieri, poiché essi hanno i loro pensieri. Potete custodire i loro corpi, ma non le anime loro, poiché abitano in case future, che neppure in sogno potete visitare (Kahlil Gibran). I bambini di ogni età chiudono le orecchie ai consigli e aprono gli occhi agli esempi. “Dio ci ha fatti equilibrati, ma noi abbiamo inventato ogni genere di complicazioni”(Sacra Bibbia, Qoelet, 7,29). 131 1. Introduzione • È facile e piacevole raccontare l’adolescenza, tra sogni, speranze, dove la creatività ha il dominio assoluto. Si fa invece fatica a raccontare storie di dolore e di solitudine, a presentare adolescenze turbate e contorte, in una matassa di fili e nodi difficili da sciogliere, a parlare di adolescenti mascherati di paure, lacerati da separazioni mentali e affettive. Tra bulli, vandali, baby gang, piccoli mostri, minorenni sempre più affetti da depressione e patologie varie, si stenta a ritrovare l’immagine dell’uomo-ragazzo. “Tutta la ricchezza dottrinale della Chiesa ha come orizzonte l’uomo nella sua concreta realtà di peccatore e di giusto” (Centesimus annus 53). Un cenno al fenomeno. • I ragazzi prepotenti e tiranni sono soggetti impulsivi, incapaci di contenere rabbia, dolore, sconfitte, gestire conflitti, collera. Non accettano regole, trasgressivi ad oltranza. I comportamenti più ricorrenti: parolacce, offese e "prese in giro", ma anche minacce, lesioni e danni alle cose altrui. Il fenomeno avviene all’interno della famiglia, in piazza, in corriera, al bar. La famiglia? La scuola? Tendono a non dare peso a quanto accaduto, oppure si consiglia di reagire alla stessa maniera. Sono comportamenti di un'aggressività repressa che esplode in gesti di dileggio di cose e strumenti di bene comune, come imbrattare muri, porte, danneggiare auto, cabine telefoniche, suppellettili e oggetti ad uso della comunità, che diventano la lavagna pubblica cittadina, dove i messaggi diventano segno dirompente di una subcultura del disagio. Forse ci abbiamo fatto l'abitudine; sono diventati i coinquilini di questa aula scolastica con le sue pareti variopinte. • Quanti ragazzi hanno respinto tutto e tutti, per una forma di ritorsione. Cosa significa obbedire? Regole? Perché e per cosa? I ragazzi “difficili” provocano, innescano comportamenti, perché anche i propri educatori provino le stesse sensazioni di abbandono e di rifiuto. Le trasgressioni più fanno notizia, più generano “piacere”. A scuola sei “nulla”? In famiglia sei considerato un incapace? Con la trasgressione diventerai uno che conta. • I nostri ragazzi sono lo spettacolo dell'incoerenza. Ne abbiamo di tutti i gusti: dai fenomeni di marginalità ai casi nevrotici. Lavoriamo al confine tra normalità e patologia, con ragazzi che alla difficile età del cambiamento aggiungono pesi e drammi inimmaginabili. Ci ritroviamo davanti a minori con adolescenze tardive, egoisti e megalomani, violenti e narcisisti; sono ragazzi dalle quattro stagioni, che alternano periodi d’ansia ad altri d’euforia e provocante spavalderia. • Amano essere rispettati, si ribellano a qualsiasi atto d’aggressione esterna, non tollerano di essere derubati, sempre in assetto d’offesa. Seduttori per natura, nascondono con inconscia abilità paure e complessi radicati d’inferiorità. Illegali e trasgressivi, sono privi di qualsiasi categoria mentale di spazio e tempo, di diritti e doveri, di perdono e di pentimento. Eppure nel loro animo sono nascosti germi insospettabili di bontà. Basta andarli a cercare, con pazienza… infinita. 132 2. Pista di comunicazione Proviamo innanzitutto a fare un elenco di comportamenti trasgressivi dei ragazzi e giovani di oggi: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. • Quale è la nostra idea sul fenomeno dei ragazzi di oggi • Raccontiamo esperienze di ragazzi difficili a noi vicini • Cosa intendono comunicare con le loro trasgressioni • Che idea noi abbiamo dell’abuso di sostanze tossiche (droghe) • Che conoscenza abbiamo dei giovani di oggi • Quali sono le cause di alcuni fenomeni e comportamenti 133 3. Lettura e riflessione Cinque chiavi per trovare il tesoro nascosto. Il segreto di ogni approccio al disagio sia esso minorile che giovanile, sta nel trovare sempre la chiave giusta. Proviamo a riflettere su alcune considerazioni. 1. La prima chiave: conoscenza oggettiva e non approssimativa del fenomeno. La trasgressione come comunicazione. La comprensione del disagio: chi trasgredisce invia segnali da accettare e decodificare. Individuato il problema procedere all’analisi funzionale, antecedente (cosa c’è stato nel passato della vita del ragazzo) e conseguente (cosa sta succedendo), avere certezza dei punti deboli e punti di forza per rifare il percorso in una vita, vittima di penose violenze. 2. La seconda chiave: la capacità e la disponibilità di ascolto! Ogni ragazzo difficile si porta dietro una “propria storia” di vita. L’adolescente non ama sentire, ma vedere, comunicare e sperimentare in prima persona. Chi non sa ascoltare non saprà mai il segreto che ogni ragazzo, soprattutto quello che soffre ed è solo, nasconde nel proprio animo. Essere in ascolto significa pensare all’intervento come a una presenza significativa: io ci sto, ti sono accanto, non mi sostituisco alla tua dinamica di crescita, puoi contare su di me. Non dimentichiamo. Accettano la nostra amicizia se con un pizzico di compiacenza ci adeguiamo al loro linguaggio dal tono sgradevole, al movimento disarticolato delle labbra e del corpo, al gesticolare delle mani, all’abbigliamento arlecchinato o da marziano. 3. Una terza chiave: isolare il “difficile”dal gruppo per attivare una nuova coscienza e nuova visione dei propri comportamenti. Inventano mille meccanismi di difesa per rimanere nel branco e tenere lontano chiunque non entri in sintonia con il loro stile di vita e modo di pensare. Un progetto tutto in salita, ma non impossibile: insegnare modalità alternative di comunicazione, cambiare modalità per raggiungere i propri obiettivi, insegnare a pensare, promuovere una crescita cognitiva mentale ed emotiva, per gestire sentimenti ed emozioni e favorire i cambiamenti. Il contatto individuale non di un singolo, ma anche di più componenti rende più credibile il nostro intervento. 4. Un quarta chiave: esserci per accompagnare non per imporre. I giovani non devono essere disposti a fare la nostra volontà, ma a fare ciò che è giusto per la loro crescita umana. L'educatore lavora per il futuro, ma non sul futuro; deve accettare di essere continuamente esposto alla revisione della sua opera, delle sue metodologie e soprattutto deve essere continuamente preoccupato di scoprire profondamente la realtà dell'educando. Essere presenti nel quotidiano non nell’emergenza. 5.Una quinta chiave: compagno non giudice! Detesto l’educazione che si ferma alla soglia della denuncia del disagio del minore. Compagno non giudice! Non trovo divieto se provo tenerezza per il ragazzo coperto di piercing! Non trovo resistenze se provo simpatia quando giovani e ragazzi si vestono da marziani. Non rifiutano di parlarti se non disprezzi la pettinatura da… gallo cedrone. Accettano la tua amicizia se provi interesse per la musica assordante e martellante, se osservi con competenza i tatuaggi in ogni parte del corpo: non amano l’adulto giudice. Detestano gli adulti, quando creano un mondo di divieti a ripetizione. Non amano l’adulto, che condanna, senza ascoltare.. 134 4. Icone: il seminatore e il Buon Pastore! Il Buon Pastore lasciò al sicuro… Messe le altre al sicuro, andò a cercare quella smarrita! Accogliere e condividere la vita con i giovani più poveri, avere un’attenzione speciale e prioritaria alle situazioni di disagio giovanile, in particolare, la preparazione e l’inserimento nel lavoro, l’immigrazione e le minoranze etniche, le diverse situazioni di sfruttamento infantile e giovanile. Uscì il seminatore!... Il compito di un educatore, nobile quanto quello di trasmettere la vita a una nuova creatura, è seminare e riseminare sempre, con la certezza che non tutti i semi andranno su terreno arido. A noi non tocca raccogliere. Sarà la vita a stabilire chi e quando questo debba avvenire. Al ragazzo difficile noi diciamo: “Non stai alle nostre regole, “fuori”! Fuori da chi, a fare cosa! Non é così la logica del Vangelo. Tre idee per l’approccio al “fenomeno” dei ragazzi “difficili” • Nessuna analisi sociologica, ma seguire lo stile del raccontare! Rivivere nei ricordi ed esperienze personali le storie dei ragazzi pipistrelli, che dormono di giorno e vivono di notte, ragazzi apolidi, scaltri e ingenui, instabili e imprevedibili, soggetti alla legge della strada e alla cultura del più forte, dei ragazzi, scugnizzi e sciuscià di ieri, oggi noti come muschilli, che spacciano la droga al riparo della loro giovanissima età, giocando con le pistole e sognando di diventare dei camorristi. Sono i ragazzi “difficili” di oggi: talvolta possono essere anche della porta accanto. • Lo sguardo al territorio! Siamo agenti di cambiamento. Metterci in ascolto di quanto ci accade accanto: occhio per vedere, orecchie per ascoltare e cuore per operare! Il problema dell’emarginazione non è infatti economico, ma è un problema culturale, etico. Se non tocchiamo l'anima della cultura, non riusciremo a fare grossi cambiamenti. C’è bisogno di cambiare il modello della società per dare qualcosa in più del normale sollievo a chi soffre. Quello che importa è un cambio di ermeneutica, una maniera diversa di interpretare il “quotidiano”. È lì che si deve operare un cambio. È l’uomo nella sua umanità la prima risorsa. • Testimoni di speranza. Leggere il fenomeno alla luce del vissuto personale e della propria comunità ecclesiale. Riflettere sull’esperienza pastorale di catechisti, di animatori… È santa utopia pensare ad animatori di strada, come impegno qualificato ed essenziale ai piani pastorali locali? È santa utopia ridisegnare sulla carta progetti di carità, pensare a una modalità evangelica di accoglienza nei nostri luoghi di culto di soggetti disagiati? È santa utopia dimenticare anche documenti, carte… e assumere come carta della propria identità di giovani apostoli, quella pagina evangelica, sulla quale verremo esaminati “avevo fame… avevo sete… ero nudo…ero forestiero”. 135 SCHEDA 5 I figli sono… pezzi di cuore I figli sono figli dell’amore. Hanno diritto a vivere di amore. “Potete dar loro il vostro amore - è stato scritto - ma non i vostri pensieri, poiché essi hanno i loro pensieri. Potete dare alloggio ai loro corpi, ma non alle loro anime, poiché le anime dimorano nella casa del domani. Potete sforzarvi di essere come loro: non cercate di renderli come voi.” 136 1. Introduzione I figli sono un dono del Signore. È facile raccontare una favola, dipingere un fiore, un tramonto, ma è impossibile disegnare i sentimenti, raccontare un dolore, dare un volto alla pietà di una mamma, alle premure e alla fatica di un padre. Condivido le vostre preoccupazioni. Rinnoviamo oggi in noi il pensare alla vita di un figlio come un dono del Buon Dio. Proviamo anche a pensare ad almeno tre elementi essenziali nell’avvio di un processo educativo. Ce ne sono anche altri, che vedremo in seguito. 1. La pazienza. Ho nelle orecchie l’eterno ritornello. “Questi figli mi fanno perdere la pazienza. Non so come prenderli. ” Credete che per noi sia tutto facile? Quante volte nelle mie povere preghiere invoco l'aiuto soprannaturale! “Signore dammi la pazienza, ma dammela subito, altrimenti mi arrabbio.” L’impazienza è il tarlo dell’educazione. Tanti genitori sono abituati a vedere più ombre che luci. Un buon genitore vive nel presente e non all’ombra dei suoi ricordi o delle sue insoddisfazioni, tra rimpianti del passato, nostalgici della frusta e dall'autorità indiscussa dei genitori. Non serve appellarsi alla cultura educativa di un tempo! “Ai nostri tempi!”Se vuoi far crescere l'albero diritto, ci insegnavano, devi puntellarlo con il palo. Se vuoi far viaggiare l'asino, usa la frusta. Accanto al registro della maestrina c'era sempre quel diabolico pezzo di legno ben levigato, che finiva sulle mani o sul di dietro, tante volte quanto il codice scolastico imponeva per i diversi reati commessi. Altri sono cresciuti nel permissivismo in contrapposizione all’autoritarismo. Alcuni genitori sono cresciuti in un clima dove bisognava distruggere l’autorità e tutto era permesso. 2. Partecipazione. Non è in crisi la progettualità educativa, ma l'organizzazione e l'applicazione delle idee innovative. Una delle grandi innovazioni, oggi irrinunciabili, è l'educazione alla partecipazione. Vi invito a riflettere tanto e seriamente su quest’aspetto. La ritengo la radice di avvio di ogni processo educativo. I genitori amano conservare il potere in famiglia. Basti pensare a quanto avviene nel momento del matrimonio dei propri figli. La povertà maggiore in voi genitori è la scarsa disponibilità a mettervi gradualmente da parte, per educare i figli alla responsabilità. La qualità della vita di famiglia è il frutto della qualità dei genitori. 3. La tranquillità. Noi offriamo un ambiente a misura dei loro bisogni. La tranquillità aiuta a capire, ad accorgersi che ci sono persone che vogliono veramente il loro bene. Spetta a noi seminare in questa bassa stagione della loro vita: fiducia, speranza, serenità. Un cuore senza lacrime di gioia, credimi, è come un campo di fiori devastato dalla siccità. La tranquillità! È il primo dono che si offre al bambino, la prima immagine, la prima emozione, i primi sentimenti della vita. Provate piacere nel vedere il viso di un bimbo che sorride, vi occupate del figlio che piange. Essi ci guardano: sentono le cose che diciamo e quello che facciamo. L’insieme delle persone creano il clima, lo stile della famiglia educativa: tutto è orientato a comunicare benevolenza, a spezzare un atteggiamento autodistruttivo, opprimente, a riscattare da paure recondite, a manifestare sentimenti, a sopportare anche il dolore. . 137 2. Pista di comunicazione L’attesa del figlio Quale spazio mentale è stato dato al figlio? (si pensa + al nome, come arredare…alla festa…) Come è stata vissuta l’esperienza della nascita di un figlio La scelta del nome Il coinvolgimento dei nonni L’organizzazione della vita in famiglia Il clima vissuto nei primi anni in famiglia Comportamento alla presenza del bambino Il coinvolgimento dei familiari Difficoltà incontrate Altro 138 3. Lettura e riflessione La nostra vita è un libro aperto: le prime pagine sono scritte dai nostri genitori. “Riceviamo dalla famiglia, ha scritto Proust, così le idee di cui viviamo come la malattia di cui moriremo”. È la famiglia la cellula madre dove nascono e maturano i principi etici: nella famiglia riceviamo la prima carezza, il primo gesto di amore, il primo messaggio di vita. Qui si commettono i primi peccati di omissione. Qui confluiscono le tensioni e le problematiche sociali, la povertà morale e l’incapacità educativa a gestire i conflitti intergenerazionali. La posta in gioco quindi è alta: si tratta di garantire i "diritti relazionali" di cui sono latori i figli e di consentire ai genitori di riappropriarsi del proprio ruolo educativo. In alcune famiglie oggi sono tante e così complesse le lacerazioni, i conflitti, che si richiede un intervento mirato ad ampio raggio. Oggi questo sostegno è indicato come mediazione familiare. Propone una nuova e diversa modalità di regolazione dei rapporti tra gli individui, tra i vari membri del nucleo familiare. Il sostegno offerto alle coppie in difficoltà è informale, quasi un atto dovuto, una specie di checkpoint, per informazioni e assistenza spesso puramente tecnica. Per questo potrebbe non risultare efficace. La mediazione non può limitarsi a registrare il disagio, a tamponarne gli effetti, a prendere atto d’incidentati sulla via del matrimonio, ma a migliorare la qualità delle strade che portano alla famiglia, o a rendere meno traumatica la lacerazione. La mediazione familiare si fa carico indirettamente di tre bisogni fondamentali propri delle società post-industriali: 1. responsabilizzare le persone, 2. migliorare la comunicazione, 3. mantenere o creare reti di solidarietà tra individui e tra generazioni in un contesto a rischio di frammentarietà. La comprensione dei rischi, o la fuga dai rischi, segnano la vita di un figlio, soprattutto se in età evolutiva. Il litigio è solo l’inquinamento che si provoca nella famiglia, non è ancora il danno, che avviene e si sviluppa bel tempo. “Gli sciocchi, si legge nella Sacra Bibbia, sono sempre pronti a litigare; meglio un pezzo di pane secco e la tranquillità, che una casa dove si fanno banchetti e litigi”. La mediazione familiare promuove una cultura diversa della famiglia. Il confronto e il dialogo diventa elaborato e faticoso con i genitori dei propri educandi sono solo i primi passi tappe. Le esperienze di mediazione con i genitori sono faticose. Apparentemente cortesi, attenti e gentili, sono invece dentro avviliti, irritati, protettivi, sempre in difesa, incoerenti, pronti all’accusa come alla difesa, per mascherare connivenze e deviare ogni tentativo andare alle cause e ammettere le colpe. I genitori si presentano sovente come dei finti pentiti, cocciuti a eludere le proprie responsabilità e a denunciare quelle dei figli. Il patetico e noto ritornello “Sono state le cattive compagnie” è solo un esempio. Oppure agli insegnanti, “Voi non sapete prenderlo. È un bravo ragazzo. Non lo avete preso nel modo giusto”. “Oh, se i genitori, ha scritto B. Shaw, si accorgessero quanto annoiano i loro figli!” Le resistenze maggiori nella mediazione familiare avviene con il padre e la madre: è più facile arrivare al cambiamento nel ragazzo, che non abbattere le loro sicurezze. 139 Si pretende il cambiamento del figlio, senza nulla mutare delle situazioni a monte della loro esistenza o dei loro comportamenti. Non sono le lacrime o la disperazione a risolvere un conflitto, ma l’umiltà di imparare dai figli quanto stanno insegnando con i loro rifiuti. “L’educazione, ha scritto Mazzini, è il pane dell’anima”. Vivendo in esperienze sociali, politiche, religiose diverse, hanno individuato entrambi? l’essenza della formazione di un giovane. Don Bosco non si è per nulla preoccupato di adeguarsi e conformarsi ai sistemi, metodi e concezioni pedagogiche usuali del suo tempo. Era apertamente nemico di una educazione che accentuava l'autorità, che predicava un rapporto freddo e distaccato tra educatori ed educandi. La violenza puniva momentaneamente il vizio, ma non guariva il vizioso: non ammetteva mai punizioni esemplari, che avrebbero dovuto avere un effetto di prevenzione, incutendo paura, ansia e angoscia. Aveva capito che l’educazione è possibile soltanto guadagnando il cuore del giovane; il suo era un metodo educativo che portava al consenso, alla partecipazione del ragazzo. Era convinto che nessun tentativo pedagogico riuscisse, finché non avesse trovato fondamento nell'intera disposizione dell'accolto. C'è una caratteristica che riguarda la sfera nella quale si compie l'educazione, tipica della pedagogia di Don Bosco: la creazione e la cura di una sana allegria! Ogni giorno diventa una festa. È un'allegria, espressione della letizia interiore, che sussiste solo, e non potrebbe essere diversamente, in virtù di un'attività creativa, che esclude la noia, la stanchezza per non sapere come occupare il tempo. Don Bosco possedeva in questo campo un'inventiva e un'abilità che gli permetteva, con straordinaria abilità, non solo di intrattenere, ma di attirare a sé i giovani attraverso il gioco, recite, canti, attività varie: la sfera di allegria rappresentava per la sua pedagogia un passaggio obbligato. La festa aveva le sue radici nella pace del cuore, nella grazia dell’anima, nell’impegno a crescere sani. L’educatore per don Bosco non è colui che dona la propria intelligenza, che vende il suo sapere, ma chi offre tutto se stesso, amico e compagno di viaggio dei ragazzi. L’educatore non dona solo a chi merita, ma così come gli alberi, offre i propri frutti a tutti, per non vederli morire a marcire per terra. Don Bosco ha lasciato alla storia l'incarnazione di una spiritualità giovanile, frutto di una sapienza educativa sperimentata nella fatica quotidiana, accanto ai ragazzi, una passione che sapeva di amore soprannaturale, infinito. Per tanti anni ho pensato che l'amore, il voler bene, consistesse nell'essere gentili, cortesi, attenti, premurosi, buoni con tutti. Poi ho capito che questo è solo l'inizio. Voler bene significa aiutare anche l'altro a voler bene: io non mi sostituisco a te. Tu puoi e devi farcela. Noi non abbiamo nessuna procura per sostituirci a loro. Possono anche servirsi di noi per vedere ciò che devono fare, per risolvere i loro problemi: offriamo occasioni e strumenti, perché essi credano in se stessi e prendano fiducia. Proviamo a rafforzare radici per sviluppare il lato buono e sviluppare il senso autentico di libertà. È un diritto dei ragazzi crescere e volare liberi. 140 SCHEDA 6 Una scuola per la vita Ogni uomo ha un maestro. Nel bene e nel male, la storia d’ogni essere umano ha sempre vicino persone che hanno insegnato a vivere: dalla mamma e dal papà, che ha accompagnato i primi passi, alla maestra che ha guidato le nostre labbra a sillabare e le nostre mani a scrivere. Nel bene e nel male la nostra vita ha avuto dei maestri. Ogni uomo è stato accompagnato nel suo passaggio sulla terra. 141 1. Introduzione La scuola, per i genitori, è la preoccupazione maggiore, almeno lo è nelle intenzioni. È raro che vi siano genitori sprovveduti e dissennati che non aspirino a offrire ai figli le opportunità necessarie, per frequentare la scuola. Questo dovrebbe unire? Invece la scuola motivo e oggetto di contesa e di attriti. Il problema non è la scuola, ma i giudizi che entrambi esprimono sui successi o insuccessi dei figli. I genitori ordinariamente giudicano, si schierano in modo diverso sui risultati scolastici del figlio. Perché? Non sempre è la diversa comprensione e valutazione. Allora? L’insuccesso scolastico nasce quasi sempre da una difficoltà esterna alla scuola. La famiglia diventa il tribunale dove ci si accusa, ci si difende e si eseguono processi. Non solo. Si effettuano premiazioni sulle pagelle scolastiche, per ricattare o comprare complicità. Cosa devono fare i genitori? La famiglia è il luogo dove si integra, si sperimenta, si sviluppa il sapere. Anche in modo critico e con modalità e tempi diversi, dei due genitori. Nel rispetto. Con pacatezza. Al passo dei figli. La scuola è il volano della vita sociale. Una scuola cognitiva per apprendere ad apprendere. Un programma per imparare a vivere. Per imparare a pensare. “Fino ad oggi ci siamo preoccupati di rimpinzare le menti dei bambini di ogni sorta di nozioni, senza mai pensare a stimolare e svilupparle. Poniamo un alt a tutto ciò e concentriamoci sulla possibilità di educare adeguatamente il bambino attraverso il lavoro manuale, non come attività collaterale, ma come mezzo primario dell’esercizio intellettuale… Bisogna addestrare il ragazzo a qualche occupazione. Sarà questa la base per esercitargli la mente, il corpo, la scrittura, il senso artistico e così via. Egli si impadronirà perfettamente del mestiere che impara” (Gandhi, Harijan 18/09/1937, 261) Stupisce leggere questa riflessione di Gandhi, stupiscono tante riflessioni sulla scuola. Il bambino, il ragazzo, lo stesso giovane, insieme alla scienza ha bisogno di pratica. L’operare, ci hanno insegnato i latini, segue l’essere. Ore di scuola seguite spesso dal vuoto, gestito in modo banale e distruttivo di energie. Lo stesso alfiere della non violenza aggiunge. “L’educazione letteraria di per se stessa, non aggiunge nulla alla statura morale dello studente; la formazione del carattere è indipendente dall’esercizio della lettura e della scrittura”. I genitori sono i maestri primi della vita del proprio figlio. Facciamo un esempio. La distinzione tra il bene e il male. La scuola ti dice che cosa è il bene, che cosa è il male, ti insegna anche a sapere cosa sia il pensiero. Ma è la vita, la casa, gli amici, la presenza visibile di modelli, a vedere la pratica del bene e del male. Imparare a distinguere il bene dal male! “Imparare senza pensare, dice Confucio nei Colloqui, è fatica perduta; pensare senza imparare è pericoloso”. Una scuola pertanto per la vita. Attraverso strategie e strumenti idonei. La mediazione scolastica ha come finalità di modificare durevolmente lo stile cognitivo del soggetto, per renderlo capace di rispondere attivamente a stimoli complessi e diversi, imparando a riflettere prima di agire, a controllare la condotta, l'impulsività, la presa di coscienza delle proprie abilità e della loro messa in atto, attraverso strumenti cognitivi del suo vissuto. Proviamo ora raccontarci il rapporto famiglia-scuola. 142 2. Pista di comunicazione • La scelta della scuola • La collaborazione tra insegnanti e genitori • La priorità che diamo alla scuola dei nostri figli. • Conoscenza di cosa faccia mio figlio a scuola • Collaborazione per promuovere iniziative di partecipazione, solidarietà… • Il servizio educativo prestato dalla scuola • Fiducia nella scuola e nei suoi operatori • Rapporto tra le regole della scuola e la vita di famiglia • Le conosciamo? Le commentiamo? Come? • Il giudizio sulla qualità dell’insegnamento e delle iniziative proposte • L’esercizio al sacrificio. Come si completa in famiglia. • Gli interessi espressi nella scuola e fuori della scuola • L’aiuto nel superamento di eventuali difficoltà, rapporto con compagni, insegnanti… • Come favorire un rapporto di collaborazione con persone di riferimento per i nostri figli (insegnanti…) Racconto di particolari problemi gravi con la scuola 143 3. Lettura e riflessione All’origine di ogni storia di devianza c’è sempre un abbandono scolastico. Il ragazzo, deluso, abbandona la scuola istituzionalizzata per iscriversi alla scuola della strada! I primi processi cognitivi sono leggere, calcolare, ricordare, che tendono a sviluppare nell’alunno la consapevolezza di quello che sta facendo, del perché lo fa, di quando è opportuno farlo e in quali condizioni. Noi utilizziamo il metodo metacognitivo, che tende a formare la capacità di essere gestori diretti dei propri processi cognitivi, dirigendoli con proprie valutazioni e indicazioni operative. Non solo un sapere o un saper fare ma anche un sapere essere e soprattutto un sapere perché, in grado di far fronte alle sfide della vita. Un’esperienza di vita e di formazione! Aiutare a pensare! Se pensa, sa apprezzare il lavoro! Se studia migliora la qualità del lavoro! Se lavora e non studia, viene a mancare il supporto formativo ed educativo di verifica e di sostegno. Scuola e vita! La vita quotidiana del ragazzo che diventa aula e libro aperto per la scuola e la scuola che diventa libro guida per i suoi comportamenti quotidiani. Il mediatore culturale! Il mediatore non può essere un semplice facilitatore di comunicazione linguistica, va oltre: fa della diversità una risorsa dei processi di interscambio! È la grande sfida! Sfida con chi non ama dipendere da nessuno, con chi non accetta di imparare da chi è maestro. La scuola non è un’oasi di pace, una madre che accoglie, una casa dove rifugiarsi, per trovare protezione e sicurezze. Auto educarsi ed educare gli stessi ragazzi al senso del limite. L’educatore-insegnante non offre il cibo del sapere, se non lo aiuta a maturare, a gestire la rabbia, la sofferenza, i conflitti personali e relazionali, a comprendere comportamenti antisociali, ad accettare sfide e provocazioni come risorse per uscire dal carico di aggressività e di rifiuto del percorso formativo scolastico. Non tollerano insegnanti ed educatori senza alcuna compassione per la debolezza umana, che amano influenzare gli alunni, senza accettare il dialogo, il confronto. I genitori non devono entrare in guerra o conflitto con gli insegnanti. Stare al fianco non per emettere un giudizio di condanna o assoluzione ma aiutare a dare senso al dolore, alla sofferenza per un conflitto relazionale all’interno e all’esterno della famiglia, per un insuccesso scolastico sempre più frequente tra ragazzi meno tutelati dai cambiamenti sociali e culturali e ostaggi innocenti di disturbi di personalità presenti negli stessi genitori. Ascoltare molto: udire e sentire i ragazzi! Sostenere i loro sentimenti stimolare la fantasia, creare il piacere del dialogo. La comprensione aiuta il ragazzo che soffre conflitti a scuola, aiuta ad accettare la “fatica”, a rafforzare la volontà, a sviluppare idee, a imparare a riflettere. 144 4. Approfondimento: la mediazione sociale Il disagio dei ragazzi ha radici nel disagio familiare e sociale. La famiglia, la scuola, la strada, la politica, gli strumenti della comunicazione formano la società dove il ragazzo nasce e cresce. L’adulto è più giudice che educatore: sale in cattedra, come maestro di vita. Non è un politico, ma giudica e condanna ogni forma di politica. Non è un uomo di fede, ma è sempre pronto a criticare la Chiesa. Non è un colto, ma ne ha per tutti i professori. L’educazione è anche prevenzione, testimonianza di valori. Come il corpo umano richiede, per godere buona salute, del benessere di tutte le membra, così il minore ha bisogno di respirare ovunque aria sana. Non basta una famiglia moralmente sana, se poi la scuola rema controcorrente. Non basta la formazione scolastica, se in famiglia si vive soli e abbandonati. I ragazzi non vivono in una riserva! È l’età delle scelte, liberi e accompagnati! In un contesto spontaneo di comunicazione! La libertà genera serenità, confidenza, personalità e responsabilità. Su questo orizzonte, vasto e complesso, deve orientarsi la mediazione sociale. Un buon educatore è un mediatore per vocazione. Interviene nelle strutture e negli ambienti diventati luoghi naturali di vita, conosce le leggi che regolano le varie forme di aggregazione, media il rispetto della norma, aiuta a crescere e vivere nella legalità. L’educatore è l’uomo del giorno con la mente del profeta. Compagno, che facilita, semplifica, rende naturale il rapporto tra le parti in causa. Non è il sensale, ma una persona che sta accanto, per rendere possibile l’incontro. Da una mediazione personale e circoscritta, ad una mediazione sociale! La famiglia, la scuola, il lavoro! Un triangolo di ambienti educativi, che oggi non può escludere la strada, crocevia e confluenza del disagio minorile. Alla scuola della strada si apprendono strategie, si scoprono leggi, mode, costumi, linguaggi originali, forze seducenti d’aggregazione a noi sconosciute. Alla scuola della strada ci si educa a decodificare i principi e i comandamenti della malavita. Famiglia, scuola, lavoro-strada! È la trilogia della mediazione sociale! 145 SCHEDA 7 La comunicazione La durezza e la morbidezza Un genitore deve adattarsi alle circostanze del vissuto del proprio figlio come l’acqua si adatta alla forma del proprio bicchiere. 146 1. Introduzione Perché riteniamo che sia difficile comunicare con i nostri figli? Eppure parliamo la stessa lingua. Comportamento come messaggio. Trasgressione come comunicazione di un disagio o come richiesta di attenzione: ma comunicazione di che cosa? Perché comunicare attraverso un atto deviante: una trasgressione, una fuga, un malessere, l’assunzione di sostanze, un incidente ecc. Comunicare con i giovani: difficoltà legate al linguaggio che usiamo, all’ascolto dell’altro (a proposito dove sono i ragazzi con la testa mentre parliamo loro…) “La comunicazione ha un significato più esteso e specifico e ha come primo compito quello di farsi capire, di esprimersi con un linguaggio semplice e chiaro, congruente nei modi e nei contenuti, senza ridondanze e forma involute. Ma al pari di questo obiettivo ha il compito di capire l’altro, di ascoltare veramente quello che una persona ci vuole dire, il senso che dà alle cose, il significato anche emotivo che attribuisce a quello che succede. La comunicazione ci mette in contatto con gli altrui bisogni, con una modalità empatica che porta attenzione per interlocutore nella sua originalità e dà un senso più vero ai rapporti interpersonali.” (A. Costantini – tra regole e carezze). • Saper comunicare è l’essenza di una sapiente educazione: non un semplice dialogo, non un confronto verbale, non un’assise per accusa e difesa, neppure una pia esortazione. La comunicazione ha un valore esteso, che ha come primo compito quello di farsi capire e di capire l’altro, con un linguaggio semplice e chiaro. La comunicazione ci deve mettere in contatto con gli altrui bisogni, né di dietro per spingere e forzare, né davanti per tracciare un cammino. Comunicare è comprendersi, senza collusione o complicità, ma come compagno di strada che conosce e accetta il punto di partenza, ma conosce e sa additare gradualmente anche il punto di arrivo. • La qualità e l’efficacia dell’offerta educativa dipende dalla qualità dell’educatore. L’obiettivo principale di una saggia e costruttiva comunicazione con minori a rischio è creare attorno al ragazzo un clima di tranquillità, per aiutarlo a imparare a riflettere. La tranquillità! Sapessi quanto fa bene ai ragazzi respirare un po' di aria, dove non ci siano conflitti, dove non si urla, dove non si giudica, dove si tenta di ragionare e non di condannare. Il ragazzo che non pensa non sa distinguere il bene dal male e chi non distingue, diventa irrazionale: allora è più facile ricorrere alla violenza che coltivare la pace, farsi giustizia che chiedere giustizia, vendicarsi che perdonare. 147 2. Pista di comunicazione Quali sono ordinariamente le cause di litigi, conflitti nella famiglia • Lavoro • Stress • Rapporto diverso con le famiglie di appartenenza • Il modo diverso di educare i figli • La mancanza di rispetto • Il modo di organizzare la vita di famiglia (orari…) • L’amministrazione del denaro (spese…) • Gli insuccessi o i fallimenti (a scuola, nel lavoro…) • Il rapporto con i vicini di casa • La diversità di opinione sulla vita politica e sociale in genere • La diversità di vivere la pratica cristiana • Scelte diverse nell’organizzare la vita di famiglia • Altro • In quale momento della giornata e luogo ordinariamente avvengono i litigi In particolare proviamo a capire… • Come si reagisce al conflitto? • Cosa succede dopo? • Chi in generale mette fine al conflitto? • Come affrontare i conflitti in famiglia • Come sperimentare, con quali costi, il perdono e la riconciliazione. Come farsi aiutare. 148 3. Lettura e riflessione Cosa significa comunicare, quali sono le regole della comunicazione: comunicare “communis agere” mettere in comune. Cosa significa avere unno “stile comunicativo efficace”? - Riuscire a dire quello che si vuole dire… - Riuscire a convincere l’altro della verità di quello che si sta dicendo… - Riuscire a colpire l’altro con quello che si sta dicendo… - Riuscire ad instaurare un dialogo nel quale ciascuno cerca di comprendere l’altro e il senso di quello che l’altro sta comunicando e del perché È impossibile non comunicare: il fare qualcosa o non farla, il dire o non dire, ha valore di messaggio. Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione. La natura di una relazione dipende dalle sequenze di comunicazione tra le persone, cioè dal modo in cui si estrae una frazione della relazione dal contesto in cui si svolge. Gli scambi di comunicazione possono essere simmetrici o complementari a seconda che si basino sull’uguaglianza o sulla differenza delle posizioni delle persone coinvolte. Nelle relazioni interpersonali il comportamento di ogni persona influenza ed è influenzato dal comportamento dell’altro in modo circolare. Chi riceve un messaggio ne invia uno di ritorno che può essere di tre tipi: conferma, rifiuto, disconferma (negazione dell’altro, modalità di com. patologica). Principi 1. Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e uno di relazione: il come viene trasmesso influisce su ciò che viene trasmesso. 2. Il contenuto è trasmesso dal linguaggio verbale, la relazione è istituita con il linguaggio non verbale (posizione del corpo, espressione, tono, ritmo delle parole, silenzi, ambiente, tempo, ecc.). Quando c’è disaccordo tra messaggio verbale e non- verbale si tende a dar maggiore credito al messaggio non verbale (si può mentire con le parole ma non con il corpo). L’efficacia della comunicazione è legata al grado di ricezione del messaggio, alla relazione, al contesto. 149 4. Approfondimento: la comunicazione (un elemento essenziale di intervento educativo) La comunicazione è un metodo e strumento allo stesso tempo, è il come svolgere un’azione educativa efficace al di là dei contenuti che si vogliono trasmettere. Come favorire nell’adolescente un dialogo soddisfacente che permetta l’avvio di una presentazione di valori, come riuscire ad affrontare i conflitti senza rompere il rapporto, come limitare le azioni trasgressive, come far rispettare le regole, come fargli sviluppare competenze ed abilità sociali. Cosa non fare! • Comunicare in modo impulsivo • Comunicare in clima di conflitto • Comunicare in modo impositivo • Non accettare per principio la trasgressione o falsare l’accettazione. • Comportarsi come ci comportiamo con gli adulti, ovvero in maniera selettiva, facendo delle preferenze. • Comportarsi in modo passivo, rinunciando a ogni tipo di intervento. • Affrontare i conflitti, portare il broncio, ammonire, correggere… durante i pasti. Cosa fare! • Incominciare a dialogare sui modelli con chiarezza espositiva, fare riflessioni in paziente ascolto, inviando con discrezione interrogativi, per decodificare. • Usare il linguaggio dell’accettazione sincera. • Usare un linguaggio esplicito, senza giri e rigiri: essere veri senza mascherarsi. • Entrare nel mondo, anche se confuso, dei loro sentimenti, per accompagnarli a viverli, a manifestarli, a comunicarli. • Spostare l’adolescente sulle responsabilità, come le gestisce e come le potrebbe migliorarle. • Usare correttamente il tono della voce: chi ascolta ha reazioni emotive diverse in base al tono della voce e all’aspetto della persona. • Stimolare a cercare dentro di sé la soluzione. • Ascolto attivo: concentrarsi sull’altro, sui suoi sentimenti. Noi ci mettiamo in atteggiamento di assenso e di dialogo, rispecchiando non tanto le parole quanto i sentimenti. • Ascolto passivo: è rinunciare a intervenire nonostante si stia ascoltando con attenzione. • Invio di messaggi di accoglimento: per esprimere solidarietà e condivisione. • Inviare messaggi positivi: “spiegami meglio”, “fammi capire”, aiutando strada facendo i ragazzi a modificare i propri giudizi o i sentimenti. Essere propositivi con interrogativi del tipo: cosa potresti fare ora? • Utilizzare la strategia della negoziazione nei casi di conflitti nei quali nessuno vuol cedere, non tanto aiutando a ricomporre subito, ma cercando di capire le motivazioni per accettarle come occasioni di miglioramento. • Messaggio – Comunicare il proprio punto di vista insieme ai sentimenti che proviamo (comprese difficoltà e disorientamento) per aiutare l’altro a capire il nostro punto di vista. Spingerlo, con l’esempio, a fare altrettanto per cercare una soluzione condivisa. 150 SCHEDA 8 Il lupo cattivo: la strada! Racconta un Saggio che il Dio Benigno e il Dio Maligno si incontrarono in cima ad una montagna. Il Dio Benigno disse: Buongiorno a te fratello!” Il Dio Maligno non rispose. Il Dio Benigno allora disse:“Sei di cattivo umore oggi”. “Sì, perché negli ultimi tempi mi hanno spesso preso per te, chiamandomi con il tuo nome e trattandomi come se fossi te, e questo non mi piace affatto”, replicò il dio Maligno. Il Dio Benigno disse quindi: “Ma anch’io sono stato scambiato per te e chiamato con il tuo nome”. Il Dio Maligno andò via maledicendo alla stupidità umana. 151 1. Introduzione È necessario l’amore, ma altrettanto necessarie sono le regole: è vero che ogni educazione deve avere alla - base l'amore, ma è altrettanto vero che non esiste amore senza legge. L'illegalità diffusa, oggi ci porta a conseguenze estreme e forse ha le sue radici in questa errata concezione della convivenza umana. Tentiamo di offrire alcune considerazioni che ci possono aiutare a capire il fenomeno e offrire spunti di riflessione. Anche la storia del diritto penale è una storia a sfondo antropologico. È la storia dell’uomo malvagio che devia dalla legge naturale e civile. I ragazzi sono sulla strada spesso per evadere dai conflitti familiari o dagli insuccessi scolastici. Talvolta è anche solo un bisogno di vivere la propria crescita in un ambiente libero e creativo, più idoneo alle loro sensibilità giovanili. Non ci interessa comunque tanto l'ambiente, ma la situazione. Si parla di strada perché è il luogo dove maggiori sono i sintomi del conflitto sociale, dove è evidente la sofferenza. Come educatori, non possiamo ignorare il territorio, proprio per il riferimento più immediato del termine strada al fattore libertà. Allora strada sarebbe bene intenderla come tante strade, perché tante e diverse sono le strade che i giovani scelgono come luogo di incontro e di comunicazione. Si deve conoscere la vita di strada, per ritrovare poi tra le pareti di casa e nelle aule di scuola, le motivazioni e le cause delle piaghe sociali. La strada aggrega in maniera così forte, perché é uno dei pochi luoghi d’espressione di libertà. I ragazzi si ritrovano, operano senza controllo, non si sentono giudicati. Si devono demonizzare allora questi ambienti? Non credo. Commuove il ricordo di Giovannino Bosco: sua madre lo rimprovera e lo ammonisce a non frequentare certi compagni. La sua risposta è stupenda! “Se io sto con loro si comportano bene.” L’importante allora è stare. Attivi e propositivi! Si rinuncia al nostro per prendere il loro passo. Stare con loro! Non controllare, ma stare in compagnia, per conoscere la cultura, la legge della strada, la vita del quartiere! L'educatore di strada è una persona che sta in mezzo ai ragazzi dove questi stanno e s’incontrano. Frequenta le aggregazioni formali e informali. Ascolta i bisogni dei ragazzi: si collega con le istituzioni, per attivare progetti di recupero. Ascoltare! Proviamo a parlarne insieme. 152 2. Pista di comunicazione Come viviamo la vita che il proprio figlio vive al di fuori della casa nel tempo libero… • Con ansia • Con fiducia • Tenendo lontano ogni ombra di rischio • Che immagine diamo del mondo (amici, conoscenti, sconosciuti… gente comune di strada) ai nostri figli. • Riteniamo i figli incapaci e indifesi • Cosa intendiamo per legge della strada • Quali messaggi comunichiamo a riguardo • I figli vi confidano quanto avviene loro fuori casa • In che modo vi comunicano le loro esperienze • Come affrontiamo un’esperienza negativa • Come si vivono eventi tragici di violenza minorile e giovanile Proviamo a stabilire tre regole semplici da indicare per accompagnare i figli in un’esperienza positiva di socializzazione. 1. 2. 3. 153 3. Lettura e riflessione Essere genitori è senz’altro più difficile che in passato. Ogni adulto, infatti, possiede molte poche certezze e sicurezze, e spesso ha l’impressione di avere sbagliato tutta la sua vita e vorrebbe evitare che questo accada anche al figlio; nello stesso tempo, non sapendo bene né dove né perché ha sbagliato, non sa cosa dirgli, quali scelte evitargli e quali consigli dargli. Il risultato è che spesso i genitori, travolti dai sensi di colpa, diventano veramente genitori insicuri e inadeguati nel rapporto con i figli. L’adolescenza è il periodo più complesso di tutta la vita: è una fase di cambiamenti a volte tranquilli a volte tumultuosi che investono tutte le relazioni, quelle con gli altri e quelle con se stessi. Cambia il corpo, cambiano i desideri, emergono emozioni mai provate e pensieri nuovi. Quello che si deve cambiare è quindi l’organizzazione fra le parti, alla ricerca di nuovi e più complessi equilibri del proprio sé in relazione agli altri. Un gioco di specchi che attraverso prospettive multidimensionali ci restituisce bene o male un’immagine di come siamo. Più restituzioni d’immagine riceviamo dagli altri, più conosciamo e più possiamo correggere ciò che della nostra immagine non ci piace. Noi crediamo che l’unica vera ricetta per favorire lo sviluppo e la crescita di qualsiasi individuo sia fornirgli chiavi di lettura delle cose che accadono fuori e dentro di sé, attraverso informazioni che gli permettano ogni volta di riorganizzare la relazione fra sé e il mondo in un modo nuovo. Una delle frasi che più comunemente si sente dire dalle persone è che le cose non vanno perché non c’è comunicazione. In realtà, la comunicazione c’è perché anche il non voler comunicare è una forma di comunicazione che si esprime con il comportamento. Sarebbe più esatto dire che ci sono delle forme di comunicazione che non contengono informazioni e non aumentano perciò la capacità di scelta di chi riceve la comunicazione. Può succedere che, sia all’interno della famiglia sia nella relazione fra la famiglia e l’esterno, i messaggi che giungono siano contraddittori, discordanti (due genitori che vedono le cose in modo diametralmente opposte o due culture, ecc.). Può succedere che i messaggi siano confusi e non chiari (una famiglia che protegge eccessivamente e censura il mondo esterno). Può succedere infine che i messaggi siano scarsi (genitori troppo presi dai loro problemi, scuola indifferente). A me non piace molto il termine carcerato, detenuto, e peggio ancora criminale. Un brano del libro Cuore, il libro della tenerezza, ha colpito la mia attenzione. “Come dalla faccia pallida e azzurra del mare spuntano qua e là teste deformi di pescecani e tentacoli orrendi di polipi, così per le vie della città dalla lieta pace della vita ordinaria, erompono a quando a quando improvvisi: la violenza, la barbarie, il delitto, la morte, a rammentarci che sotto all'ordine e all'armonia apparente della civiltà, infuria la lotta eterna delle passioni e delle lotte nemiche.” (Emondo De Amicis, maestro delle nostre fantasie infantili, nella Carrozza di tutti) 154 Ma chi sono questi ragazzi? Anzitutto la distinzione dell’area del disagio minorile e giovanile: nell’età evolutiva vi è un percorso di crescita per alcuni regolare, direi naturale, supportato dalle varie agenzie educative. Per questa fascia di adolescenti e giovani è ordinariamente organizzata la vita sociale, culturale e anche religiosa. Vi è poi una fascia, considerata a rischio alla quale si tenta in tutti i modi di fare indossare lo stesso abito culturale, sociale e religioso, non risolvendo ma aggravando il disagio. Pertanto è importante distinguere gli adolescenti trasgressivi dai minori che hanno una più stabile tendenza delinquenziale. Non entro nel mondo delle statistiche, anche perché non sempre riflettono il disagio dei minori devianti. Mi preme soltanto dire che la percentuale dei recidivi sia minori che giovanissimi è bassa (3%-6%). Questo significa che bisogna individuare la massa che delinque occasionalmente e predisporre misure e progetti alternativi. Una seconda osservazione è che la maggior parte dei ragazzi che delinque è legata all’abbandono scolastico. Esiste una percentuale di delinquenti giovanissimi, con problematiche patologiche, a volte palesi altre volte non individuabili. La scuola! Un'area di parcheggio dove la cultura della cattedra segue la logica della lumaca o del canguro, incurante della cultura della strada, che segue ritmi e passi di agile gazzella. Monumenti a personaggi illustri, a scienziati, artisti di ogni età e cultura, arricchiscono le nostre piazze a memoria vivente della storia locale o dell’umanità. Non c'è paese che non abbia il ricordo per i caduti in guerra. Mi chiedo perché nessuno abbia ancora pensato di erigere un monumento ai caduti nella scuola, a quell'esercito decimato dal flagello delle bocciature. Qualcosa si progetta nel nostro Centro. Non ci vorrà poi tanta fantasia. La famiglia, scuola di vita! Per questa scuola non servono né mura, né banchi, né registri. Tra le mura familiari impariamo a vivere in semplicità, a gioire e a soffrire. Tra le pareti domestiche si apprende la semplicità, la laboriosità, l’onestà. È stata per anni questa la scuola più efficace e ricca di valori: ha educato generazioni, ha costruito una biblioteca parlante che tramandava di padre in figlio il vocabolario domestico, capace di utilizzare gesti e segni per comunicare e imparare a vivere. Con genitori, maestri umili ma ricchi di onestà e verità! Un ambiente di ritrovo ha sempre affascinato la mia adolescenza. La piazza! L'aula naturale della comunicazione di massa, il cenacolo del dialogo e della formazione civile e politica, il mercato naturale del pensiero umano! Per anni è stata per me anche l'aula di catechesi umana più amata. Non esiste paese, fedele a un costume storico antico, che non abbia questo spazio per la vita comunitaria, quasi sempre prospiciente la chiesa madre e la sede municipale, segno di simbiosi della vita civile e religiosa. Oggi non dovrebbe neppure destare meraviglia se i giovani cercano uno spazio proprio per incontrarsi, parlarsi, raccontarsi esperienze e comunicarsi sentimenti. Il divorzio tra famiglia, aula scolastica e vita quotidiana continua a generare un esercito di figli, orfani involontari della distorsione educativa. Siamo in tanti anche a pensare al processo educativo come un’occasione - per accusare l’altro o per cercare altrove sostegno: famiglia, scuola, società sono un triangolo naturale dove ogni creatura nasce, cresce e vive. Se un pilastro cede, si spezza anche il processo educativo. L’educazione mira a rafforzare questi lati del triangolo. Genitori e insegnanti, integrati e funzionali nel proprio ruolo! 155 SCHEDA 9 Occhio ad alcuni rischi! Con i figli non bisogna mai stare avanti per trainarli, mai dietro per spingerli, ma a fianco, pronti sempre ad essere lampada ai loro passi. 156 1. Introduzione I ragazzi sono una carta assorbente: assorbono i cattivi esempi degli adulti. I ragazzi sono anche degli abili imitatori: amano copiare gli adulti, un modo cinico per illuderli e umiliare la loro presunzione. Odiano i delatori. A morte. Non hanno simpatia per i tutori dell’ordine pubblico. Portano a propria difesa la litigiosità dei politici! Politici e amministratori pubblici ladri, truffatori e opportunisti! Mediare la verità! È un compito nobile, doveroso di genitori, insegnanti ed educatori! La comunicazione educativa è parte integrante del processo di apprendimento. “La relazione, ha scritto Josef Blegher, è lo strumento attraverso il quale l’insegnante passa il sapere”. L’educatore-insegnante deve scoprire e comprendere le motivazioni a monte di uno stato di disagio nella fase di apprendimento, conoscerne le emozioni, i sentimenti. Non è possibile trasmettere cultura, idee, nozioni, in una mente confusa! Il rifiuto, la paura, l’ansia provocano reazioni aggressive a catena. • Il peggior transfert in educazione è la voglia di riscattare nel ragazzo l’incompiuta presente nella mente e nel cuore dell’adulto. Si rischia di cadere nel gioco dei “debiti e crediti”; per un adolescente è pesante dover riscattare il proprio debito. Non si educa con le emozioni o per appagamento personale. Non si educa prendendo in prestito i panni di altri: un pizzico di psicologo, di psicoterapeuta, un po’ di assistente sociale, una copia della mamma, del padre, dell’amico o dell’amica. • Non si semina se il terreno è incolto. Ascoltare per conoscere, per animare il cuore e la mente del ragazzo. La strategia dell’ascolto! La chiave per entrare nella loro vita. La pazienza dell’ascolto è una virtù per un mediatore. Chi è in difficoltà, chi è incapace a comunicare, ha paura di parlare, di esprimere emozioni, formulare giudizi, dare risposte: ama che anche un balbettio, anche un’ aggressione verbale, venga accolta. Si stabilisce una sorte di impegno reciproco: l’adulto impara ad ascoltare e il ragazzo a comunicare con libertà di pensiero. L’ascolto diventa nel processo formativo un’occasione di confronto e di crescita. Invece spesso in educazione gli adulti ordiscono e i ragazzi patiscono. 157 2. Pista di comunicazione • La “diversità”… mettere una crocetta su due o più casi di “diversità” che hanno causato in noi una particolare reazione... � lo straniero � l’handicappato � il pazzo � il vecchio � la donna � l’ebreo � l’arabo � il negro � il "terrone" � l’omosessuale � il drogato � il barbone � il malato di aids � lo zingaro � il delinquente/carcerato � l’ateo � i selvaggi/primitivi � gli eretici � i pagani � le prostitute � i testimoni di Geova � ricco/povero � le altre religioni � … Altro……………. • Adesso proviamo a verificare i sentimenti provati incontrando questa persona � me stesso � come mi sono sentito se sono stato trovato “diverso” � come mi sono sentito se io ho trovato uno “diverso” � ci si è “trovati” insieme ( aspetti comuni) � cosa ci si è detti nello scambio libero � l’altro o io “diverso” 158 3. Lettura e riflessione 1. Qualche spunto di riflessione. Noi siamo portati per natura più ad allontanare, in tanti modi, che ad accogliere. Un pezzo di straniero ce lo portiamo dentro, è la parte nascosta in noi che rifiutiamo. Siamo per natura portati a difendere i nostri spazi da chiunque ne viola i confini. C’è anche in noi la parte che aspira alla generosità. L’eroe, il missionario, il pezzo di un sentimento eterno, che cerca quello mancante. Quanti esempi in merito! La solidarietà (o se volete la stessa virtù della carità) inizia proprio dalla ricerca di questa gioia interiore, il nostro ben-essere psicologico, prima che il ben-essere economico. 2. L’educatore che plagia l’educando. L’educatore che riversa sull’educando le proprie ansie. Gli adulti che creano un mondo di divieti a ripetizione. Non trovo divieto se provo tenerezza per il ragazzo coperto di piercing! Non trovo divieto se provo simpatia quando giovani e ragazzi si vestono da marziani. Non rifiutano di parlarti se non disprezzi la pettinatura da… gallo cedrone. “Se vuoi che amino le cose che tu ami, diceva don Bosco, ama le cose che essi amano”. 3. Durante l’infanzia, inizia il progressivo affacciarsi del bambino nel mondo esterno. La scuola, i primi compagni, i primi amici, sono gli elementi di questo primo contatto, ma la vita del bambino si svolge prevalentemente dentro la famiglia e i rapporti particolarmente intensi e interessanti rimangono quelli con i genitori. Nell’adolescenza, invece, si ha un vero e proprio spostamento di interessi verso l’esterno, i genitori diventano meno importanti e cresce invece l’interesse per i rapporti con i coetanei, con i professori ed anche con le situazioni sociali. La scoperta più importante è quella dell’amicizia, della comunanza di interessi, di sentire un altro molto vicino a noi nei problemi e negli interrogativi. Nascono le “regole” del gruppo cui bisogna adeguarsi, nascono le rivalità fra i gruppi, ma anche le alleanze, e i giochi più divertenti. Accanto ai genitori, si affacciano in questo periodo di vita i professori. Di vario tipo, di vario genere, che propongono relazioni basate o sull’autorità cui necessariamente viene voglia di ribellarsi, o sul dialogo che però qualche volta scade in una tragica noia. I genitori non rispettano regole e orientamenti; verbalmente condividono modalità interattive da adottare con i figli, ma nel concreto continuano a proiettare le parti non evolute di se stessi, in simbiosi con il disagio del proprio figlio. Questo diventa ancora più lacerante quando padre e madre si differenziano nelle modalità di approccio al figlio, scatenando meccanismi di offesa e difesa, riversando responsabilità sull’altra parte. 4. Le conseguenze nell’educazione. Nell’infanzia i problemi saranno pochi. I problemi saranno grandi nell’adolescenza perché c’è un grande bisogno di padre, non autoritario, non il padre padrone di una volta che nessuno tollererebbe più ma i ragazzi hanno proprio bisogno di un padre autorevole. Di qualcuno che li guidi, che li assista nel passaggio dalla famiglia alla società. Dal vivere secondo quello che vogliono i genitori all’esercizio dell’autonomia, la figura di un padre che dà delle regole è importantissima. Le madri invece sono sempre così permissive, comprensive e va bene ma devono essere accompagnate da un’altra funzione che è quella della norma, del limite che di solito spetta al padre. Questa grande libertà concessa ai ragazzi determina comportamenti non positivi. Anche per loro è una grande ansia, un grande conflitto perché la libertà è qualche cosa che si conquista non qualche cosa che si trova 159 di fronte perché se no direi che è licenza, la libertà va capita va conquistata attraverso l’esercizio del limite. 5. I ragazzi che non hanno avuto delle norme o delle regole, che non sono mai stati limitati sfidano il vuoto, sfidano il tutto. Pensiamo alle corse in macchina, al sesso estremo e a queste esperienze che sono un tentativo di trovarsi un limite da soli. Questi giovani andrebbero capiti e sostenuti dalla società, mentre spesso si ha paura dei giovani che ci angosciano troppo e si tenta di allontanarli quando dovremmo invece guardare a loro con fiducia perché sono il principale patrimonio di una nazione. 6. Esprimere le regole al positivo. Molto spesso nella vita quotidiana sentiamo e usiamo frasi come «Non picchiare tuo fratello», «Non mancare di rispetto alla nonna», I «Non ti alzare da tavola», ecc. Questa modalità espressiva fa concentrare involontariamente l'attenzione su ciò che viene dietro il «non» e porta a visualizzare l'azione negativa rafforzando il ricordo dell'azione che noi vorremmo non si verificasse. I divieti espressi al negativo innescano la dinamica della «tentazione»: pensiamo ad esempio a un adulto che fuma e che entra in un ufficio dove c'è il cartello «Vietato fumare». Involontariamente, potrebbe cominciare a pensare: «Accidenti, ci starebbe bene una sigaretta...», cioè gli viene voglia di fumare. È possibile che lo stimolo «vietato fumare» gli solleciti l'idea del fumo che a lui avrebbe potuto anche non venire in mente. Quindi, definire le regole in termini negativi comunica aspettative negative e suggerisce comportamenti che avrebbero potuto non presentarsi. (Rademacher, Callahan e Pederson Seelye, 2000). Un'insegnante, rammaricandosi di quanto i ragazzi non seguano le regole, mi ha raccontato di aver invitato un suo alunno a stare seduto dicendogli, mentre lui stava entrando in classe: «Francesco oggi comportati bene; non fare come ieri che sei andato giù dalla finestra». È facile immaginare cosa possa essere successo 10 minuti dopo: l'insegnante sembrava persino sorpresa del fatto che, dopo averglielo ricordato, Francesco fosse saltato di nuovo giù dalla finestra (l'aula era al pian terreno). Perciò, se vogliamo comunicare al nostro ragazzo di non picchiare il fratello in nostra assenza, sarà meglio dirgli di prestargli i giochi o di giocare con lui. Vediamo un altro esempio: la frase «Non mancare di rispetto alla nonna» è espressa al negativo e pone l'accento sul comportamento da non tenere, su ciò che viene dopo il «non»; al contrario, la frase «Quando arriva la nonna, falla accomodare e offrile i pasticcini» da rilievo al comportamento desiderato e adeguato. 7. L’esprimersi al positivo, inoltre, aiuta a pensare e agire positivamente, permettendo così l'aumento della consapevolezza e della fiducia nelle proprie capacità di fronte a situazioni nuove. 160 SCHEDA 10 Il progetto della vita “La cosa che più conta al mondo non è dove siamo, ma la direzione in cui ci stiamo muovendo”. (Goethe ) È il segreto di ogni sostegno educativo: aiutare a ritrovare la giusta direzione della vita! 161 1. Introduzione Siamo alla conclusione. Ogni uomo ha un progetto, fatto di tanti micro-progetti. Spesso solo sognati, solo sperati, mai realizzati. Quello del matrimonio è stato un progetto, la nascita di un figlio è il frutto del progetto eterno. Un figlio è un pezzo di eternità, di continuità del vostro essere con-creatori con Dio. Allora ci fermiamo su questo e quant’altro è nel progetto della vita dei genitori. Il progetto personale di vita: Avere una rotta: andare in una direzione, con dei compagni di viaggio, con dei tempi, ritmi, riti, luoghi, con una mappa da consultare per non perdere la strada o sulla quale confidare se la strada l’abbiamo persa. Porsi delle mete e decidere i passi da fare sin da oggi per raggiungerle. una persona senza progetto è un’esistenza alla deriva. Il progetto è prendere sul serio l’avventura della propria vita. La vita come compito: iniziare con poco, iniziare adesso, stabilire obiettivi chiari e precisi, partiamo da dove siamo e non da dove vorremmo essere, cambiare una cosa alla volta. Tradurre i valori in atteggiamenti e questi in comportamenti concreti. Obiettivi – strategie – strumenti: ciascuno di fronte al rapporto con se stesso, con gli altri in famiglia, nel posto di lavoro, negli ambienti di vita, con quello che accade nel mondo, con Dio. Nel progetto personale c’è un virus: sensi di colpa. L’aniti-virus è il perdono. Il primo perdono incomincia dentro di noi. Qui scopriamo il primo nemico, la paura; paura di perdere il nostro potere, paura di essere deprezzati, paura di perdere stima e forza, paura di dover cedere alle prepotenze altrui. È solo e sempre la paura a condizionare i nostri comportamenti. La regina che vigila sul perdono è invece la libertà. Chi è libero dentro, nel cuore e nella mente, è anche libero nelle sue scelte. L’uomo libero si eleva al disopra della media comune e si onora di concedere anche il perdono, convinto che il suo gesto, ne irrobustisce l’autorevolezza e rafforza la pace del cuore. L’uomo libero è meno rigido, è flessibile, è convinto che il perdono traforma un un nemico in amico, amplia la cerchia della stima, non la restringe. “Perdonare - ha scritto John M.Templeton - significa volersi bene da essere onesti, da avere larghe vedute e da essere disposti ad andare avanti nella vita. Significa imparare ad essere grati, non solo dei nostri sbagli, ma di tutte le nostre esperienze, anche se ci sembrano brutte o dolorose”. Mi inquieta quando si rifiuta un intervento di mediazione, preferendo a un benessere personale e sociale, di rimanere nel turbamento e nella cecità del proprio cuore. Chi non vede lontano con la chiarezza delle proprie idee non riuscirà neppure a individuare la strada giusta con la luce dei propri occhi. Noi restiamo affascinati da personaggi dello spettacolo, della canzone, da campioni dello sport e non riusciamo a stupirci dell’eroe piccolo o grande che è dentro di noi. Come nel cielo sono miliardi le stelle e solo poche brillano ai nostri occhi, così sul cammino della nostra vita sono tantissime persone a brillare di luce propria: sono le idee a dare luce alla nostra vita. Il saperle ritrovare dentro di noi è frutto di paziente ma coraggioso lavoro. Poi arriva per tutti il giorno dell’eureca! Il perdono genera la pace, la pace rigenera la libertà e la carità. Proviamo a parlare dei nostri progetti, da quelli quotidiani, a quelli… da realizzare. 162 2. Pista di comunicazione 1) In che ambito di impegno sociale agiscono singolarmente i componenti della famiglia? 1. Nessuno in particolare 2. Attività politica 3. Associazioni religiose - Parrocchia 4. Scuola 5. Sindacato 6. Associazione di volontariato 7. Associazione sportiva 8. Associazione di impegno civile (ambiente, pace,…) 9. Associazione culturale 2) Che tipo di attività di accoglienza sta sperimentando la famiglia? 1. Nessuna in particolare 2. Affidamento familiare di minori 3. Accoglienza temporanea (convivenza educativa) di adulti 4. Sostegno scolastico a minori (con progetto sociale) 5. Sostegno scolastico a minori (in modo informale) 6. Sostegno a nuclei familiari “famiglia di appoggio” (con progetto sociale) 7. Sostegno a nuclei familiari “famiglia di appoggio” (in modo informale) 8. Sostegno a distanza 9. Sostegno ad anziani (con progetto sociale) 10. Sostegno ad anziani (in modo informale) 11. Sostegno ad adulti (con progetto sociale) 12. Sostegno ad adulti (in modo informale) 13. Adozione - affido 14. Attività politica 15. Associazione di volontariato 16. Associazione di impegno civile 17. Parrocchia – catechismo… 3) Quanto vi preoccupano i seguenti aspetti della vita familiare? 1. La salute dei componenti della famiglia 2. Il dialogo e l’accordo in famiglia 3. Apertura alle esigenze dei più bisognosi 4. La salute dei componenti della famiglia 5. Il successo nel lavoro 6. La pace con i parenti 7. I risultati dei figli a scuola 163 3. Lettura e riflessione L’educazione è essenzialmente la ricerca del benessere spirituale e materiale di ogni educando. Inizia attraverso il processo di pacificazione. “La nevrosi, scrive Carl Jung, è uno stato di guerra con se stessi. Tutto ciò che nel paziente accentua la divisione presente in lui fa peggiorare il suo stato, mentre tutto ciò che riduce questa divisione contribuisce a guarirlo. L'accettazione di se stessi è l'essenza stessa del problema morale e la sintesi di tutta una visione della vita. Se do da mangiare a quelli che hanno fame, se perdono un insulto o se amo il mio nemico in nome di Cristo, tutto ciò costituisce un insieme di grandi virtù. Ciò che faccio al più piccolo dei miei fratelli, lo faccio a Cristo. Ma che cosa farei se scoprissi che il più piccolo di tutti, il più povero di tutti i mendicanti, il più esecrabile di quelli che mi hanno offeso si trova dentro di me, che sono io ad aver bisogno dell'elemosina della mia amabilità e che sono io il nemico che reclama il mio amore?" (D. e M. Linn, La guérison des souvenirs. - Les étapes du pardon, Desclée de Brouwer, Paris 1987, p. 84) Si comincia dal piccolo: il litigio sul campetto di gioco, il conflitto con il compagno di banco, la rivalità con la collega di studio o d’ufficio, il saluto tolto all’inquilino accanto, il difficile rapporto di coppia, le antipatie nella vita di gruppo, i conflitti tra genitori e figli, tra fratelli e sorelle: il quotidiano è un campo aperto, un terreno dove cresce il tradimento, l’inganno, la gelosia, l’invidia. La mediazione, strategia educativa, diventa uno stile di vita. In famiglia! Sul lavoro! In politica! A scuola! Per strada! Il perdono al nemico! Uno scandalo per un mondo pagano, dove potere e piacere regnavano sovrani, un atto di viltà per la cultura del duemila! I latini ci hanno insegnato che quando gettiamo il fango in faccia all’avversario, talvolta lo si coglie, qualche altra volta lo si manca, ma ci si sporca sempre le mani. Non lasciarti sopraffare dal male, insegna la Sacra Bibbia, ma vinci il male con il bene. Il valore terapeutico del perdono, del sorriso, non ha misura! Vale più una pacca sulla spalla che un calcio. Il buonumore è l’ingrediente naturale per sollevare l’animo inquieto. Anche le rughe hanno paura dell’uomo che sorride. “Il fuoco si spegne con l’acqua, mai con il fuoco. A che serve adirarsi, dopo non ci dormi e ti rosichi tutta la notte, magari perché avresti voluto dirgli di peggio”. Un amico mi ripeteva spesso: “Ho un sassolino nella scarpa: primo o dopo...”. Intanto il tempo trascorre, vive notti inquiete, zoppica all’inverosimile; quel sassolino lo tortura, gli toglie serenità e pace, ma non demorde. Prima o dopo lo restituirà al mittente, magari alla fine della vita. È una scelta autodistruttiva in un turbinio di pensieri negativi, tra ricordi velenosi e sentimenti di vendetta. La collera, lo sdegno, la rabbia generano ira, l’ira accende il fuoco: il fuoco non spegne il fuoco. La vendetta è la risposta del debole, di chi ha paura: è un suicidio indiretto. Chi ama perdona. Chi odia costruisce un muro d’autodifesa, cercando una pace illusoria. “Per vivere un rapporto felice - ha scritto Eric Butterwort - non serve trovare la persona giusta: bisogna essere la persona giusta”. Creativa, gemma di una cultura sociale, prima che spirituale, la preghiera di San Francesco! Il poverello d’Assisi chiede “di poter amare, anziché di essere amato, perché è 164 dimenticando se stessi che ci si ritrova, è perdonando che si ottiene il perdono”. Quanti perdoni arrivati fuori tempo massimo! Si tende la mano riconciliatrice, si pronunciano parole di comprensione e ipocritamente anche di ammirazione quando la morte mette fine al confronto tanto desiderato. È vero perdono piangere e piegarsi su di una bara? Ma forse è anche vero che solo la morte riesce a spezzare catene d’odio, ad abbattere il muro d’ostilità radicate nel tempo. È triste, ma questa è storia vera. Oggi si educa più a dubitare che a credere, più a odiare che ad amare, più a soffrire che a gioire. Si educa più a diffidare che a sperare, più a scavalcare che amare il nemico, più ad accumulare tesori che a coltivare virtù. Si tende più ad allontanare che a tendere una mano, più a rinchiudersi nel proprio rancore che sorridere, a mostrare un volto accigliato che un viso sereno. Vorrei che non fosse così! La pedagogia non può sottovalutare la strategia del perdono. Il perdono è il rovescio della medaglia dell’amore. È la via insostituibile per attivare progetti di crescita. Non cresce il bambino, se non respira aria di pace. Non cresce sano l’adolescente, se non conosce il dolore di un fallimento, se non prova vergogna per un peccato e la gioia di sentirsi perdonato. Il ragazzo a rischio è doppiamente povero, povero d’amore e di beni materiali necessari per vivere. Il ragazzo che non pensa, non sa distinguere il bene dal male e chi non distingue, diventa irrazionale: allora è più facile ricorrere alla violenza che coltivare la pace, farsi giustizia che chiedere giustizia, vendicarsi che perdonare. I comportamenti dei ragazzi di strada sono complessi e ambivalenti: da una parte manifestano sensi di colpevolezza, dall'altra tendono a negare anche l'evidenza, pur di apparire innocenti. Io non sono uno scrittore: tento di tradurre i sentimenti, per scoprire insieme al lettore il volto vero dell’amore. Mi piace far sentire amato chi non lo è mai stato, essere chiamato figlio di Dio, chi è stato solo chiamato con altri appellativi. “Nessuno mi ha detto mai: tu sei figlio di Dio. Dio ti vuole bene. A scuola persino i bidelli per via di mi’ madre mi chiamavano fijo de na’mignotta. Mi dici ora che so’ figlio di Dio, ma de che? Fai er tarantella! Mi prendi in giro?”. Quando si riesce a toccare il cuore di un ragazzo, ogni gesto, ogni parola lascia, nel bene e nel male, sempre una traccia. Quando poi si giunge a fargli confessare la propria colpa, allora è il trionfo della pedagogia. Il ragazzo ha una coscienza ancora libera, allo stato naturale. Per quanti errori commetta è un terreno incolto, dove i fiori sono solo soffocati da zizzania, seminata ad arte dal nemico di turno. Un buon educatore diventa l’abile agricoltore, che pazientemente mette ordine per portare alla luce i fiori calpestati. In questo delicato compito di recupero ha una funzione terapeutica la riconciliazione. La forza del perdono è segno di forte personalità; per molti è frutto della grazia divina. Il perdono divino e umano non sono due rette che non si incontrano mai: per quanto distinte lo spirituale e l'umano sono due aspetti inscindibili del perdono. “Una risposta gentile calma la collera, si legge nel libro sacro dei Proverbi, una parola pungente eccita l’ira.”. Per questa nobile conversione talvolta non basta una vita! 165 Seconda parte Le 12 tavole La seconda parte contiene in modo sintetico alcuni brani di riflessione, chiamati “tavole” per meglio rappresentare l’immagine di tavolo.È uno strumento da utilizzare o meno, con le modalità che i coordinatori riterranno opportuno secondo le esigenze locali. Possono anche essere scelti come brani di riflessione personale. 166 Tavola 1: Strategie educative • L’originalità dello stare, pedagogia della compagnia, della condivisione, della crescita insieme. L'educatore deve essere la guida ai valori, non alla persona. L’educatore non è colui che dona la propria intelligenza, che vende il suo sapere, ma che offre tutto se stesso, amico e compagno di viaggio dei ragazzi. L’educatore non dona solo a chi merita. Non ragionano così gli alberi: offre i propri frutti a tutti, per non vederli morire a marcire per terra. • La disapprovazione. I ragazzi, i giovani devono scoprire dov'è il loro errore, per questo hanno bisogno dell'aiuto dell'educatore, cioè della disapprovazione come appello alla coscienza. L'educatore deve essere la guida ai valori, non alla persona. I nostri educandi non devono essere disposti a fare la nostra volontà: devono imparare a fare ciò che è giusto per la loro crescita umana. L'educatore lavora per il futuro, ma non può lavorare sul futuro; deve accettare di essere esposto alla revisione della sua opera, delle sue metodologie ed essere preoccupato di scoprire la realtà dell'educando, per intervenire al momento opportuno. Le difficoltà: Mai muro contro muro! Mai proteggere dalle difficoltà. • La pedagogia del contadino! Il contadino, uomo mite e paziente, abituato a convivere con la natura, imprevedibile e talvolta ingrata, con la sua fatica, richiama all’educatore che la semina deve fare i conti con la natura dell’adolescente, del giovane, imprevedibile e incostante per natura. L’agricoltore sa aspettare, si adopera nella buona e cattiva stagione; sa accettare la perdita di un raccolto, ma non per questo cessa di potare gli alberi, di vangare la terra, di seminare. Godere del successo, ma mettersi in discussione se viene l'insuccesso. Chinare il capo davanti ad un insuccesso non significa rinunciare, ma fare un atto di umiltà e ripartire: nel momento della sconfitta il ragazzo fragile ha bisogno maggiormente di un compagno forte. Solo spogliandoci del nostro amor proprio, del nostro senso di onnipotenza, acquistiamo realmente la dimensione umana di educatori di strada. • La pedagogia del sarto: impegno a confezionare abiti a misura dei propri educandi. Una semplice immagine, che nasconde sovente il comportamento di tanti adulti, che sono a fianco di minorenni. Senza accorgersene progettano alla luce delle proprie sensibilità, secondo personali categorie mentali. Peggio ancora! Vivono l’educazione come soddisfacimento dei propri bisogni di affermazione. C'è infine una caratteristica che riguarda la sfera, nella quale si compie l'educazione ed è tipica della pedagogia di Don Bosco: la creazione e la conservazione di un’allegria, per cui ogni giorno é una festa. È un'allegria che sussiste solo, e non potrebbe essere diversamente, in virtù di un'attività creativa, che esclude ogni noia, ogni senso di stanchezza per non sapere come occupare il tempo (L’antidepressivo dei nostri giorni). 167 Tavola 2: La micropedagogia La micropedagogia sociale è la pedagogia delle piccole cose. È il lavoro su piccoli spazi, su relazioni interpersonali, in luoghi e tempi adeguati della vita quotidiana e sui comportamenti ordinari. La sfida sul piccolo, per educare alle grandi sfide della vita! Il minore a rischio a causa del proprio vissuto, tra insuccessi a scuola, in aperta guerra con il quartiere, in condizioni sociali di marginalità, ama rapporti alla pari. Ama anche cambiare ma sullo stesso terreno, con gli stessi strumenti e linguaggio. Condividono interventi brevi, flessibili e leggeri. Da dove cominciare? Si parte dalla quotidianità, dal mondo del ragazzo. L’educatore entra con rispetto e naturalezza nel suo intimo, in simpatia con il suo mondo. S’incarna, ma non s’immedesima nel suo disagio. L’attenzione alla minuzia può diventare nel seguito del rapporto l’occasione, la chiave di lettura di una storia. La micropedagogia ti apre la porta per entrare, ma non è ancora la stanza, dove si sviluppa la storia che si vuole raccontare. È uno stile di comportamento dell’educatore, una strategia per passare dall’impersonale presente nella mente del ragazzo in difficoltà al personale raccontato. La confusione nasce dal convivere con la vita fatta di sofferenza, di dolore, di voglia di riscatto, d’ansia, di rabbia, d’insoddisfazione, d’impotenza. Fin quando il ragazzo non mette ordine tra spazio e tempo, tra interiore e realtà, non chiarirà il proprio malessere. Non potrà avviare alcun progetto per il suo futuro, vedendo negli adulti e nello stesso educatore, un nemico, del quale non comprende il senso dei messaggi. È solo prerogativa dei forti puntare subito in alto e avere energie sufficienti per grandi traguardi. I ragazzi a rischio sono neonati nella vita sociale: hanno bisogno di essere guidati a muovere piccoli passi sulla via delle relazioni sociali. È illusorio che smettano di fumare, che siano precisi e puntuali, ma non è illusorio, curare che non gettino il mozzicone di sigaretta per terra, che tengano in ordine il tavolo di lavoro, che usino correttamente la sedia, che non si mangino le unghie… Dare peso alle piccole regole! Con ragazzi asociali, irriducibili e ostili a progetti impegnativi, non abbiamo altre scelte: o la camicia di forza o la trilogia formativa. Pedagogia del sarto, pedagogia del contadino, la forza della micropedagogia! 168 Tavola 3: Fiducia L'accettazione incondizionata è l'atteggiamento di totale accoglienza da parte dei genitori, in-condizionato. Se il ragazzo percepisce che per qualsiasi cosa, grande o piccola che sia, accada nella sua vita, i suoi genitori ci sono sempre, svilupperà verso la vita un atteggiamento di fiducia. L'accettazione incondizionata è anche alla base di un attaccamento sicuro nei figli. Un bimbo o un giovane che ha alle spalle questa sicurezza, spesso costruisce un modello forte e positivo di rappresentazione interna di sé, e diventa una persona che affronta la vita in modo costruttivo e può sperimentare le novità senza paura. Accettazione incondizionata non significa approvazione di ogni comportamento, compresi quelli problematici, che il figlio è libero di emettere: al contrario, è utile che il genitore intervenga per evidenziare quali sono i limiti oltre i quali non può andare. Al tempo stesso, tuttavia, è utile che non metta in discussione la persona del figlio nella sua globalità. Ciò può sembrare un dato scontato, ma purtroppo non lo è: spesso le frustrazioni dei genitori, che magari coltivano delle aspettative molto elevate su un figlio o l'esasperazione, spingono a dire frasi come «Se non raggiungi la sufficienza, è come se non fossi mio figlio», «Se non la smetti di fare così non ti voglio più bene», «Sei la rovina della mia vita: senza di tè vivrei meglio», per poi magari piombare nei sensi di colpa. Un altro elemento importante sono le aspettative dei genitori. Sono necessarie perché influenzano positivamente i figli e danno loro la direzione e la carica per realizzare i loro sogni. Tuttavia, ci sono due aspetti che possono far sì che le aspettative si realizzino nella direzione sbagliata: uno è di tipo qualitativo e l'altro di tipo quantitativo. Dal punto di vista qualitativo, le aspettative dei genitori influenzano spesso la direzione della personalità dei ragazzi. Già in età precoce, sentiamo gli adulti pronunciare frasi del tipo: «È proprio timida come la mamma, guarda come abbassa lo sguardo» e magari la bimba aveva abbassato lo sguardo solo perché c'era un giocattolo a terra che la interessava. Se si comincia ad assegnare sistematicamente un'etichetta a un bambino (timido, dispettoso, ecc.) ci sarà la tendenza a interpretare tutti i segnali nell'ottica dell'etichetta pregiudiziale; in altre parole, ritornando all'esempio presentato sopra, anche i comportamenti che solo per certi aspetti possono essere definiti timidi: abbassare lo sguardo) saranno interpretati come indice di introversione e di timidezza e pian piano accadrà che la profezia si auto avvera: la bambina diventerà timida (Zimbardo e Radi, 2001). Questo effetto è assimilabile a quello che accade in classe quando un docente inizia a dare dell'iperattivo a un bambino. Che il bambino lo sia veramente o no, è possibile che il suo comportamento si accentui in questa direzione. Se proprio c’é bisogno di usare etichette per definire un bambino, conviene scegliere una caratteristica positiva della loro personalità e assegnare quella: «La mia bimba è proprio intelligente» oppure «Sei tanto creativo». Dal punto di vista quantitativo, è importante avere delle aspettative adeguate rispetto al livello evolutivo. Se la mamma chiede 12 a Marco, che ha raggiunto supponiamo il livello 10, Marco saprà che può farcela, visto che 12 è di poco al di sopra di 10 e, quando avrà raggiunto 12, la mamma lo stimolerà verso il raggiungimento di 14 e Marco andrà avanti… Se a Marco chiediamo invece 100 quando lui è a 10, probabilmente proverà sentimenti di frustrazione, si sentirà incapace di soddisfare le aspettative…aspettative sì, purché ragionevoli. (pedagogia del sarto). 169 Tavola 4: Non parlare troppo! In psicologia è noto che, per aumentare gli effetti della memorizzazione, bisogna ripetere tante volte lo stesso contenuto. Apparentemente, perciò, sembrerebbe che più diciamo ai nostri figli di fare determinate cose, più essi dovrebbero memorizzarle. In realtà non è così, ed è per questo che tante volte abbiamo l'impressione di ripetere all'infinito la stessa cosa e di non essere ascoltati. Un altro meccanismo psicologico altrettanto noto è quello definito «assuefazione»: la ripetizione continua e uniforme di un'istruzione fa sì che l'atto stesso non venga più appreso. Quindi, se continuiamo a dire a nostro figlio di pulire la sua cameretta, magari aggiungendo anche che è il solito disordinato, ecc., rischiamo di farlo assuefare e di fargli virtualmente «chiudere le orecchie» già nel momento in cui noi cominciamo a parlare. L'alternativa è dare le regole con dolcezza e fermezza, senza lamentarsi dei comportamenti che il bambino ha manifestato nel passato. Riprendendo gli esempi precedenti, possiamo dire: «Sono sicura che oggi riuscirai a mettere a posto la tua cameretta: comincia a mettere nel cesto i giocattoli». Naturalmente, il bambino può fare o non fare ciò che noi abbiamo chiesto: se lo fa, è opportuno evidenziarlo; se non lo fa, potrebbe essere utile iniziare noi a farlo con lui. Perché solleciti un comportamento, quindi, la regola deve contenere solo le informazioni pertinenti e inequivocabili. Deve descrivere azioni in modo operativo, focalizzare l'attenzione sull'aspettativa e non essere vaga. Essere concreti. Capita spesso di sentire frasi riassuntive in cui diciamo ai nostri figli: «Devi essere più buono», «Non essere aggressivo», «Rispetta la sorellina», «Tieni in ordine la tua stanza», «Cura i tuoi fiori sul balcone», ecc. Ma cosa vogliono dire esattamente bontà, aggressività, rispetto, cura, ecc.? Questi termini contengono una gamma semantica così ampia che spesso anche per noi adulti indicano contenuti differenti da persona a persona. Il bambino potrebbe chiedersi: «Se prendo la Barbie di mia sorella, la sto rispettando o no? Se regalo alla nonna la focaccia che non volevo più, sono buono o no? Se oggi do 23 calci a Roberto invece di dargliene 28 come al solito, sono meno aggressivo?». È meglio dunque che le regole vengano espresse in modo molto concreto. Riprendendo gli esempi visti prima, va specificato con attenzione il contesto in cui si inserisce quanto stiamo dicendo: «Gioca con i tuoi giocattoli e, se desideri quelli di tua sorella, chiediglieli», «Essere buono vuol dire aprire la porta alla nonna quando arriva e aiutarla a salire le scale», «Quando vedi Roberto da solo, gioca con lui al computer», «Quando hai finito di giocare, metti le macchinine nel contenitore», «Controlla se la terra dei vasi è umida e, se non lo è, innaffia un poco le piante», ecc. È chiaro che man mano che i bambini diventano più grandi si può parlare in termini più «sintetici», ricordandosi sempre che dire esplicitamente quale comportamento positivo si desidera aiuta a prestare l'attenzione selettiva ad esso. 170 Tavola 5: Tra regole e punizioni Dare le regole nel momento giusto A volte, quando un ragazzo si è appena comportato male, nel dargli una punizione gli ribadiamo quali sono le regole che avrebbe dovuto seguire. Per esempio: ha spinto la sorellina minore e noi, proprio nel dargli uno schiaffo, gli diciamo che bisogna voler bene alla sorellina, che spingerla può essere pericoloso, ecc. Ora, qualsiasi comportamento neutro (regola) venga associato ripetutamente a uno stimolo spiacevole (lo schiaffo) o piacevole (una lode), tende ad assumere le caratteristiche di questo ultimo. Ad esempio, se alla regola di riporre i giocattoli dopo averli usati segue puntualmente una filippica di rimproveri, il bambino assocerà ad essa caratteristiche di sgradevolezza. Ne consegue che, se le regole vengono trasmesse in contesti in cui stiamo rimproverando i nostri figli per averle disattese, l'atmosfera del rimprovero si trasferirà anche alla regola. Tornando allo schiaffo di prima, esso provoca dolore e rabbia che, associati ripetutamente all'idea di voler bene alla sorellina, renderanno difficile lo sviluppo di un grande affetto nei confronti della sorellina: anzi, è più probabile il contrario. L'alternativa positiva è parlare delle regole nei momenti piacevoli, quando si sta bene insieme, mentre si sta giocando, ecc. Dare poche regole. Un ultimo aspetto che merita considerazione è relativo al fatto che tendiamo a dare molte regole contemporaneamente: anzi, più i nostri figli le disattendono e più aumentiamo il numero di regole, come se bastasse darne di più perché loro le seguano meglio. Una buona norma generale è quella di limitare il numero di regole a un massimo di 4 o 5. Questo consente infatti di aiutare i nostri figli, soprattutto quelli con livelli di attivazione interna molto alti, a focalizzare l'attenzione su ogni regola e a interiorizzarla più facilmente. La punizione dei comportamenti problematici e l'insegnamento di forme alternative positive di comunicazione. Di fronte a un comportamento problematico del proprio figlio è importante innanzitutto comprenderne le funzioni comunicative e poi lavorare sulla situazione, individuando tutti quegli stimoli che possono esserne responsabili e gli aspetti positivi di ognuno e concentrando su di essi i nostri sforzi. Comprendere il messaggio comunicativo che ci può essere alla base di un comportamento problematico non è sempre facile; a questo scopo è utile l'ascolto. Attraverso l'ascolto, infatti, è possibile capire le motivazioni o il suo bisogno di avere attenzione. Accorgimenti utili: • mettere in chiaro subito l'alternativa giusta: la punizione non deve essere ambigua; • non spiegare il perché della punizione nel momento in cui viene data; ciò, infatti, produrrebbe un'associazione tra il comportamento negativo e l'attenzione positiva della spiegazione. Nell'immediato, quindi, è meglio non dire niente e riprendere il discorso più tardi, in un momento di serenità; • non prolungare eccessivamente la durata della punizione • se siamo costretti a dare una punizione, dovremmo cercare di mostrarci sereni; se facciamo vedere con sensi di colpa, possono pensare che la punizione sia ingiusta. 171 Tavola 6: Gli aiuti Nell'insegnamento di abilità e comportamenti è sempre necessario, perlomeno nelle prime fasi, fornire degli aiuti, che possono essere verbali, manuali e imitativi. L’aiuto verbale si attua dando delle istruzioni a voce, l'aiuto manuale eseguendo insieme al bambino l'attività richiesta e quello imitativo mostrando come si svolge il compito richiesto. Un esempio di aiuto verbale si ha quando la mamma dice ai figli: «Mettete a destra i coltelli, a sinistra le forchette e il bicchiere dietro il piatto». Un esempio di aiuto manuale è quando li aiuta a mettere le posate nella posizione giusta. Infine, un esempio di aiuto imitativo è quando li invita a guardare come lo sta facendo lei e chiede poi di rifarlo. Un aspetto particolarmente importante da considerare in riferimento agli aiuti è la loro intensità. Se è vero che nelle prime fasi dell'apprendimento i bambini vanno aiutati con ogni aiuto possibile e opportuno, successivamente è fondamentale che gli aiuti vengano ridotti sia quantitativamente che qualitativamente. Tale processo di attenuazione degli aiuti forniti, che prende il nome dì fading (in inglese diminuire, venir meno, scomparire) è indispensabile affinchè i bambini diventino autonomi nello svolgimento del compito; in questo momento, il nostro ruolo come educatori é quello di farci da parte. Diversamente, l'apprendimento non si consolida e si rischia che il bambino sviluppi insicurezza, demotivazione, frustrazione, ecc. Ad esempio, se la mamma continua a pensare di dover aiutare il figlio nel contatto con gli altri e interviene sempre mediando, magari in modo apprensivo, c'è il rischio che il bambino divenga una persona che ha paura di affrontare da sola la relazione con gli altri e di conseguenza insicura. Quindi, in qualsiasi contesto, all'inizio è importante aiutare, per lasciare poi libero il bambino di interiorizzare e di sperimentare da solo ciò che ha appreso. L'apprendimento osservativo Tanto per gli adulti quanto per i bambini, il modo più rapido per imparare abilità complesse è osservare qualcuno che mostra come si fa: questa tecnica prende il nome di modeling, perché la persona che insegna agisce da modello esperto. Osservando e imitando ciò che fanno gli adulti. Nell'apprendimento osservativo sono distinguibili due momenti: l'osservazione propriamente detta (il figlio osserva il papa mentre rimette la ruota alla macchinina dalla quale si è staccata) e la prestazione (il figlio prova a ripetere quello che ha fatto papa). Nella prima fase, sono variabili determinanti lo status del modello e la similarità fra modello e osservatore: l'apprendimento è infatti tanto più favorito quanto più il modello è autorevole e simile all'osservatore. L'apprendimento osservativo è molto importante anche perché può compiersi in condizioni di non consapevolezza: stando a contatto con persone che pensano e provano determinate emozioni, che hanno una particolare visione della vita, anche noi possiamo mutuare parte del loro comportamento. Ad esempio, se vivo con mia madre che della vita riesce sempre a vedere gli aspetti negativi (la parte vuota del bicchiere), sarò esposto ad un modello che per tanto tempo mi mostrerà questo modo di porsi nei confronti della realtà, per cui rischierò di acquisire io stesso questo stile di pensiero. 172 Tavola 7: Ascolto… sereno Riferiamoci ai piccoli… Si prova a fare un gioco. «Dimmi tre cose belle e tre cose brutte che ti sono successe oggi» (si può di volta in volta variare il gioco cambiando il luogo in cui sono avvenuti i fatti - ad esempio a scuola, dalla nonna, all'oratorio, ecc. - oppure variando il tempo, ad esempio nel pomeriggio, a pranzo, ecc.). Se il bambino è restio a cominciare, il genitore può fare un esempio tratto dalla sua giornata: è meglio raccontare episodi veri in cui il genitore ha dovuto affrontare emozioni positive o negative in modo da dare un esempio al proprio bambino. In questo modo si propone un modello di genitore che prova e affronta emozioni positive e negative, riuscendo così anche a trasmetterle. Quésta metodologia consente al bambino di esprimere ciò che lo rende felice o infelice. Le prime «tre cose belle» hanno l'obiettivo di insegnargli a prestare attenzione al fatto che anche nelle giornate peggiori qualcosa di bello succede comunque e di condividere con lui le sue emozioni positive. Questo momento in cui il genitore riconosce le emozioni del figlio è simile all'ascolto attivo di Rogers (1978; 1997), che propone di riformulare il pensiero del figlio con le nostre parole in modo da capire se e quanto stiamo comprendendo il suo messaggio. L’obiettivo è rendere catartiche le emozioni stesse e far capire al figlio che anche le emozioni che fanno male possono essere accettate e soprattutto condivise con i genitori. Anche in questo caso è utile riformulare il suo pensiero con parole nostre e dare un nome alle emozioni, ad esempio: «Capisco tesoro; in quel momento non ti sei sentito considerato». Durante l'ascolto commettiamo alcuni errori; ne ricordiamo qualcuno: • Un primo errore si presenta quando nostro figlio ci racconta un episodio che gli ha provocato disagio e noi interveniamo dando la soluzione: «Ho capito, allora fai questo...»; il disagio, però, non viene attenuato dal fornire una ricetta: «Quando ti prendono in giro vai dalla maestra». Al contrario, è possibile che il bambino, il ragazzo… si senta inascoltato se non addirittura sciocco perché prova certe emozioni pur potendo, teoricamente, risolvere prontamente il problema. Molto più opportuno è, come dice Gordon (1996) immedesimarsi empaticamente nell'altro e chiedersi: come mi sentirei se volessi esprimere un'idea, un'emozione, un sentimento e l'altro mi rispondesse con un ordine, una minaccia, una predica, un consiglio, ecc. • Un altro errore è quello di dare giudizi sull'operato del figlio. Con questo non si intende dire che in assoluto non bisogna esprimere valutazioni sul comportamento; piuttosto, si vuole suggerire di non farlo mentre il ferro è ancora caldo. Se si comincia a giudicare all'interno di questo momento, potrebbe smettere di parlarci. Possiamo riprendere i contenuti che riteniamo di dover modificare in un altro momento della giornata o nei giorni successivi. L’ascolto in conclusione, è la ricerca di una modalità empatica di entrare in relazione, come entrare nel vissuto dell'altro. Se il figlio si sente libero di esprimersi (e non giudicato, rimproverato, consigliato, minacciato e via dicendo), riesce a parlare di sé, dei suoi errori, cerea di capire e accettare il cambiamento. 173 Tavola 8: Rispetto per la persona L'autostima aiuta a costruire un'adeguata immagine di sé (Burley-Allen, 1991) ed è ciò che chiamiamo in causa quando parliamo del nostro valore. La messa in discussione del valore di sé è probabilmente il fattore, che sta alla base dei pensieri disfunzionali. Il valore qui viene inteso come l'essenza unica e irripetibile della persona: ogni persona ha valore per il solo fatto di esistere, di respirare e di essere stata creata. Da qui il rispetto della persona, fondamento di ogni progetto culturale e sociale. Io ho valore per il fatto di essere in vita. Se riuscissimo a trasmettere questa idea ai nostri figli, si potrebbero evitare molte sofferenze: «Io ho valore anche se ho preso insufficiente», «II fatto che il mio compagno mi abbia detto "racchia", non mette in discussione il mio valore», «II fatto che io non abbia l'ennesima Barbie o il motorino non mi toglie niente». La vita stessa sarebbe diversa, perché il valore non è legato al numero di automobili che uno possiede, al fatto che il capoufficio dica che siamo bravi, che i suoceri ci considerino o meno adeguati alla vita matrimoniale, che a nostro marito piaccia il nostro nuovo taglio di capelli. In quest'ottica tutto acquista una dimensione diversa. Da sola, tuttavia, questa intuizione non ci porta automaticamente a vivere bene. Sarebbe troppo facile. Ci sono varie difficoltà, legate a due aspetti. Il primo è che la società attribuisce molta importanza agli oggetti e all'apparire. Sembra un'impresa difficilissima convincere un adolescente che i pantaloni vanno bene anche se non hanno le tasche uguali a quelli che la pubblicità ha proposto nell'ultima settimana. Il secondo è che, anche se noi intuiamo qualcosa, non è detto che questo intuito si traduca immediatamente in un cambiamento nella vita: qualsiasi processo, cognitivo, emotivo o comportamentale, automaticamente (ripetuto e interiorizzato), diviene parte della persona. Perciò, è necessario allenarsi anche in questa direzione: se siamo d'accordo sull'unicità e sul valore dell'esistenza, dovremmo trovare degli spazi per ricordarlo a noi stessi, per esempio incidendolo su un nastro o scrivendolo su un biglietto da incollare al frigo, oppure parlandone con gli amici, ecc. L’autostima e la modestia. Passando ora alla questione più specifica dell'autostima, occorre considerare anche quella che è chiamata la «cultura della modestia», secondo la quale bisognerebbe evitare di riconoscere i propri meriti, rifuggire l'orgoglio e allontanare la voglia di primeggiare. Questa cultura è così diffusa e radicata nella maggior parte delle persone che a volte non si è in grado nemmeno di accettare o apprezzare i complimenti, poiché imbarazzano e allontanano dal modello di modestia a cui si è abituati. A volte capita di fare dei complimenti, ad esempio «Hai un bel vestito oggi!», e vedere che il destinatario cerca di ridimensionarli o di spostare il merito altrove «Sai, no, beh, non sapevo cosa mettermi e ho trovato questa in un mercatino». La modestia vera è generata dalla semplicità e dalla sincera umiltà. Al contrario è indicata comunemente “falsa modestia”. In realtà, il riconoscimento dei propri meriti e delle proprie qualità è indispensabile per una buona autostima. 174 Tavola 9: Stare bene La stanchezza fisica, mentale, talvolta psichica ci causa comportamenti ed espressioni non controllate. “Non ne posso più! E tutto il giorno che lavoro e tu mi fai ancora trovare questa stupida camera così in disordine? Ma ti rendi conto? Altro che gratificarti per le cose belle! Non ne combini una giusta! Non è possibile che proprio io abbia tè come figlio... Cosa ho fatto di male per meritarmi questo? Cosa ho fatto?” Tutto ciò può essere evitato se noi stessi viviamo bene, abbiamo energia e ci sentiamo costruttivi. Come sappiamo, infatti, le frasi più sgradevoli o le azioni più spiacevoli le abbiamo dette o fatte quando stavamo male, eravamo stanchi o stressati. La forza, come dice Buscaglia (1984), è la capacità di accettare gli altri, che possono avere mentalità diverse dalla nostra; è la capacità di resistere alla paura e continuare ad andare avanti senza garanzie di ricompensa; è la capacità di vivere nell'amore. Le intolleranze, insofferenze, le problematiche lavorative… spesso si infiltrano ed emergono dentro di noi, producendo stress. Quando siamo in condizioni di stress, diventiamo molto vigili rispetto all'ambiente circostante, alla ricerca di segnali di pericolo. Allora è importante cercare di evitare gli effetti indotti dalla stanchezza e dallo stress. Lo stress: cos'è e come si combatte. II termine «stress» è stato introdotto in psicologia in analogia con la metallurgia e significa «pressione» (pressione esercitata sul metallo per mettere a prova le doti di resistenza sotto sforzo). Può essere definito come uno stato di allerta o prontezza grazie al quale, di fronte a situazioni impegnative o difficoltose, siamo in grado di concentrarci meglio o di reagire in maniera più rapida ed efficace. Le metafore più frequentemente usate per descriverlo sono «tirare la corda» ed «essere sotto pressione». È interessante notare che, in una situazione di emergenza, la velocità e la forza che lo stress può darci sono preziosissime, al punto che possono aiutarci a salvare la vita a qualcuno. Lo stress può rendere la vita stessa più attiva e motivante. Tuttavia, se questa condizione è troppo intensa o dura troppo a lungo, diventa insopportabile e ci danneggia al punto da compromettere la nostra salute. Lo stress infatti ha un effetto positivo solo se non si autoalimenta, cioè se possiamo liberarcene. Gli effetti negativi dello stress sfociano soprattutto in tre direzioni: 1. disturbi fisici; 2. calo di energia e dei livelli di azione; 3. comportamenti inadeguati. Selye (1976) ha introdotto il concetto di «sindrome generale di adattamento» per descrivere come l'organismo reagisce di fronte a eventi stressanti. Lo stress infatti non è soltanto uno stato mentale, ma è in gran parte legato a una gestione scorretta del nostro corpo e dei suo ritmi biologici. Un modo per ritrovare energie è immergersi in ciò che si sta facendo, con pienezza, vivendo completamente le sensazioni prodotte dal presente, reagendo ai sensi di colpa: «Se quella situazione non ci fosse stata… se fossi stato più attento…” 175 Tavola 10: Figli venuti da lontano L’affido e l’adozione! Affidamento significa accogliere in casa propria un bambino o un ragazzo la cui famiglia si trovi temporaneamente in una situazione di difficoltà. Durante l’affido il bambino mantiene i contatti con la famiglia di origine, dove farà ritorno non appena la situazione di crisi sarà superata. L’affido può essere consensuale se la famiglia di origine è consenziente o non consensuale, in tal caso l’affido è disposto dal Tribunale dei Minorenni. In tutti i casi il servizio sociale del comune ha la responsabilità del programma di assistenza e di vigilanza dell’affidamento e mantiene contatti con la famiglia affidataria e con quella di origine stabilendo orari e modalità delle visite. Chiunque può dare la propria disponibilità all’affido: famiglie con figli, senza figli, persone singole. Esistono vari tipi di affido: a tempo pieno, part-time (per alcune ore della giornata, o nei fine settimana o per il periodo delle vacanze), sostegno ad un nucleo famigliare in difficoltà (per esempio ragazza madre e figlio). L’affidamento è a tempo determinato e, per legge non può superare i due anni. Talvolta diventa affido sine die (a tempo indeterminato) o pre-adottivo. L’adozione è il prendere con sé un minore che diviene a tutti gli effetti figlio proprio. Con atto stabilito dal Tribunale dopo un iter ben preciso, nel quale si certifica l’idoneità di una coppia all’adozione. Può essere nazionale o internazionale. Alcune associazioni iscritte ad uno speciale albo riconosciuto possono avviare percorsi di adozione internazionale. Qualche suggerimento : La famiglia affidataria o adottiva non deve sostituire la famiglia d’origine, ma deve essere aiutata a capire i legami esistenti tra i minori in affido o adottati e le famiglie d’origine. • Sia per l’affido che l’adozione, è importante la conoscenza della realtà familiare, sociale e dei problemi dei minori ad essa legati: non basta l’informazione, ma occorre una conoscenza diretta…incontrare quanto resta del nucleo familiare o affettivo del minore e comprendere i sentimenti e i comportamenti dei “nuovi” figli. Avere rispetto per le loro radici, evitando di apparire e proclamarsi benefattori, liberatori del loro passato disagio… • Occorre pazienza nel ricostruire un nuovo legame affettivo e relazionale: l’affidato e l’adottato si sente spezzato: non sa chi sono i suoi “veri” genitori, non ha indicazioni chiare sulle figure genitoriali; la famiglia affidataria, che pure dà tutto quello che può, spesso distrugge l’immagine genitoriale che il bambino o ragazzo ha dentro di sé. Il bambino non deve perdere la memoria del suo passato, ma riviverlo e rivisitarlo con adeguato accompagnamento. È importante che possa sentire di appartenere a qualcuno, non potendosi riconoscere nella coppia affidataria perché troppo distante e in conflitto con la sua famiglia di origine. • Non fare confronti, riconoscere le diverse abilità e difficoltà. Gestire la diversità: soprattutto all’inizio i genitori non possono pretendere comportamenti adeguati… • “In caso di grave disagio farsi aiutare” 176 Tavola 11: Il volo della cicogna L’educazione affettiva, sentimentale e sessuale non è presente nelle tematiche precedenti. Un tema tanto delicato, soprattutto oggi, non è ritenuto inutile o secondario. Anzi! Si pensa invece che tutto quanto contenuto nel sussidio sia terreno adatto dove nasce, cresce, e si manifesta questa esigenza naturale dei vostri figli. Perché tutti i segreti riguardano in qualche modo la sessualità? L’adolescenza è un momento molto delicato da questo punto di vista: è l’età in cui la propria “affettività” comincia a riversarsi sui coetanei e non più sui genitori e sui fratelli. Ci sono dei cambiamenti corporei e psicologici che corrispondono alla scoperta della sessualità. Sono turbamenti ed emozioni nuove, che spesso il rapporto con gli adulti non serve a far vivere serenamente. Il risveglio della sessualità fa nascere nell’adolescente un’infinità di curiosità; la curiosità legata alla poca conoscenza rende sensibili ad ogni altra informazione, ma troppo spesso le informazioni che gli adolescenti ricevono dagli adulti o da coetanei “troppo informati” sono viziate perché contraddittorie, cariche di tabù e pregiudizi, infarcite di luoghi comuni, o bugie, o distorte molto spesso dagli stessi problemi sessuali di chi le fornisce. Quando la volpe spiega al piccolo principe il significato della parola “addomesticato” sta comunicando, in maniera molto semplice, che la vita è fatta di relazioni con gli altri, cioè di situazioni nelle quali si cede un poco della propria autonomia e si riceve in cambio un poco di quella dell’altro; e passa la noia perché ogni cosa diventa importante se legata al ricordo di qualcuno o qualcosa. Così questo dialogo dedicato fondamentalmente all’amicizia e all’amore, diventa veramente una lezione di psicologia su questi due modi di essere in relazione e sulle emozioni che suscitano. Alcuni suggerimenti • La sessualità è un dono dell’età evolutiva: scoprirlo con i figli e condividerne le emozioni è un atto dovuto dei genitori ai figli. Il percorso è graduale, fino a quando la sessualità non entra nella fase dell’innamoramento, che i genitori invece sono portati a vivere in modo autoritario e condizionante la libertà di crescita del figlio. Qui è bene richiamare quanto proposto nelle prime lezioni. I genitori devono accompagnare, con serenità e naturalezza, questa esperienza felice ma spesso travagliata dell’amore, legato alla sessualità. • Un principio semplice come scoprire l’acqua, ma difficile come scalare una vetta, è il parlare, il parlarne, ripeto con serenità e naturalezza. Anche in questo caso sempre in positivo. Non staccare mai la sessualità da un progetto di amore e di un amore che pro-crea. • L’educazione alla sessualità non può e non deve essere un atto informale: fornire informazioni. Anche queste sono necessarie, utili, inquadrate in un contesto biologico dell’essere umano. • La vera educazione sessuale procede sempre su questi due binari: informazione corretta sul processo di nascita meraviglioso di una creatura (biologico o fisiologico) ed educazione all’amore, legato ai sentimenti. 177 Tavola 12: Il dono di un figlio Il miracolo della vita. L’evento nascita non riguarda solo la coppia genitoriale, ma tutta la famiglia, in quanto ridistribuisce tutti i ruoli. La potenza di un bambino è quella di dare un nome nuovo a tutti coloro che sono venuti prima di lui: mamma, papà, nonni e nonne, zii e cugini. Compito della coppia: costruire un’alleanza genitoriale. Essere genitori, infatti, non significa non essere coniugi. Questo è molto difficile all’interno di un sistema che non lascia spazio per pensare e per provare e provarsi. Gestire la genitorialità significa negoziare ruoli materni e ruoli paterni non tanto della madre e del padre, quanto delle funzioni di cura che portano alla costituzione della fiducia, ma anche delle funzioni di contenimento che portano alla costruzione delle dimensioni etiche. Gli elementi essenziali che danno valore e significato all’essere famiglia oggi • Essere famiglia significa essere aperti all’altro, progettare nuove realtà, riconoscere nelle diversità di chi ci vive accanto una ricchezza e una risorsa per crescere insieme, per generare nuovi valori, progettare nuove realtà. • Essere famiglia significa essere aperti al mondo, all’aspetto politico del vivere insieme, caratterizzato da una partecipazione attiva e consapevole di ognuno alla vita della società e della comunità per un presente più responsabile e un futuro migliore per tutti. • Essere famiglia oggi significa “saper esserci” e cioè non delegare ad altri il proprio ruolo educativo e relazionale, “saper fare” delle scelte che trasmettano i propri valori e la propria visione della realtà, e “saper essere” coerenti e stabili per una sempre maggiore autenticità dell’ “essere” individuo, coppia e famiglia. • Essere famiglia significa non soffocare la “giusta” vicinanza, dare a ciascuno il “suo”, l’altro non può diventare un mio satellite, vuol dire rispettare le gradualità, non invadere la sfera privata, di non leggergli la posta, di non intercettargli le telefonate, di non mettergli le mani in tasca per scoprire se fuma… Mi permetto una battuta tratta da una pagina del Vangelo, perché è un passo di così alta densità narrativa e didattica che va bene anche per chi non si riconosce nel Cristo Risorto: mi riferisco alla parabola del “buon Samaritano”(Lc 10, 29-37)”.Questa novella rappresenta il paradigma della libertà: aiuta e vieni via prima che l’altro possa dirti “grazie”, aiuta e vieni via prima che l’altro si senta in obbligo di riconoscenza: questa è la libertà. Pensiamo a come questo paradigma stona con le nostre dinamiche: ognuno di noi, in contesti educativi, lavora per essere in modo gratuito. Clandestinamente ciascuno di noi vorrebbe lasciare un segno… Il buon Samaritano ci dice che il buon educatore è quello che si dimentica. 178 CONCLUSIONE Le strade del cuore! Siamo alla conclusione. È bello educare. È bello essere protagonisti di qualcosa di importante che dura dopo di noi. Noi dobbiamo “accompagnare” e non “portare” colui che educhiamo. Nessuno potrà mai essere un genitore perfetto. Siamo diventati adulti quando siamo stati capaci di rileggere i difetti e i limiti dei nostri genitori senza scalfire minimamente l’affetto, la stima, la riconoscenza. Nessuno educa comunque da solo: farci aiutare è fondamentale. Dobbiamo discutere, confrontarci, correggerci, sostenerci. I figli adolescenti non parlano. Cerchiamo allora altre vie per aprire il dialogo con i nostri figli. L’educare ha una dimensione sociale e non interpersonale. L’educare diventa una sfida corale, collettiva dentro alleanze educative: un percorso culturale, sociale e politico e soprattutto etico e religioso. Bello pensare che “i figli ci guardano”, ma è anche bello pensare che “i figli” un giorno forse con le lacrime agli occhi ci diranno “GRAZIE”! Mi commuove il ricordo di Giovannino Bosco: sua madre lo rimprovera e lo ammonisce a non frequentare certi compagni. La sua risposta è stupenda! “Se io sto con loro si comportano bene.” L’importante allora è stare. Don Bosco non è vissuto nell'epoca dei preparati in provetta: ha lasciato all'umanità la pedagogia della compagnia, il piacere spirituale e fisico di vivere accanto al ragazzo, piccolo tra piccoli, povero tra poveri, fragile tra fragili. Don Bosco è stato un educatore, dotato d’intuizione, di senso pratico, non attratto da schemi predisposti a tavolino, da metodologie pragmatiche e da progetti astratti. La pagina educativa è scritta dal santo con la vita, prima che con la sua penna. È il modo più convincente per rendere credibile un sistema educativo. Ha creduto nel ragazzo, ha scommesso sulle sue capacità, poche o molte, visibili o nascoste che fossero: amico di tanti ragazzi di strada, ha letto nel loro cuore potenzialità di bene, qualunque fosse l'abito che indossavano. Da sapiente educatore riusciva a scavare dentro la vita di ognuno, tirare fuori risorse preziose per confezionare l'abito a misura della dignità dei suoi giovani amici. L'impatto nel territorio del suo tempo fu decisivo. Si è guardato attorno, ovunque: ha visto ed ha creato l'impossibile per realizzare le sue sante utopie. È venuto a contatto con le realtà estreme della devianza minorile. È entrato nelle carceri: ha saputo guardare dentro questa piaga con coraggio e con spirito sacerdotale. È stata l'esperienza che lo ha segnato profondamente: un segno non di orrore, ma neppure di contemplazione. Si è accostato ai mali della città con viva e commossa partecipazione: aveva coscienza dell'esistenza di tanti ragazzi che aspettavano qualcuno che si prendesse cura di loro. Ha visto con il cuore e la mente i loro traumi umani con tenacia e tanta fede ha aiutato ragazzi riportandoli alla salvezza sulle strade del cuore. 179 L’inno all’educazione! Ricordatevi che l’educazione è cosa di cuore, e che Dio solo ne è il padrone e noi non potremo riuscire in cosa alcuna se Dio non ce ne insegna l’arte e non ce ne dà in mano le chiavi. Il cuore è una fortezza sempre chiusa al rigore e all’asprezza. Studiamoci di farci amare. Ma non basta che i giovani siano amati, occorre che essi stessi conoscano di essere amati. La prima felicità per un ragazzo è di sapersi amato. Gli educatori amino ciò che piace ai giovani, e i giovani ameranno ciò che piace agli educatori. Essendo amati in quelle cose che loro piacciono, col partecipare alle loro inclinazioni giovanili, imparano a vedere l’amore in quelle cose che a loro piacciono poco, quali sono la disciplina, lo studio, il lavoro… e queste cose imparano a fare con slancio e amore. La familiarità porta affetto, e l’affetto porta confidenza; è ciò che apre i cuori e i giovani palesano tutto senza timore. Bisogna trovarsi con loro, prendere parte ai loro giochi. È impossibile educare i giovani, se questi non hanno fiducia e confidenza nei loro educatori! Don Bosco 180 INDICE TERZO SUSSIDIO PREMESSA. Una scuola di vita ispirata al Vangelo e alla Pedagogia cristiana ________ 3 ASPETTI INTRODUTTIVI_______________________________________________________ 4 1. Obiettivo __________________________________________________________ 4 2. Schede per l’incontro iniziale _________________________________________ 6 3. La strategia del raccontare ___________________________________________ 8 PRIMA PARTE: SCHEDE _______________________________________________________ 9 Scheda 1. Una finestra sul mondo_________________________________________ 10 1. Introduzione _______________________________________________________ 11 2. Pista di comunicazione ______________________________________________ 12 3. Lettura e riflessione _________________________________________________ 13 4. Considerazioni _____________________________________________________ 14 Scheda 2. Un occhio al passato ___________________________________________ 16 1. Introduzione _______________________________________________________ 17 2. Pista di comunicazione ______________________________________________ 18 3. Lettura e riflessione _________________________________________________ 19 Scheda 3. C’eravamo tanto amati… storia della coppia______________________ 20 1. Introduzione _______________________________________________________ 21 2. Pista di comunicazione ______________________________________________ 22 3. Lettura e riflessione _________________________________________________ 23 Scheda 4. Ma questi ragazzi di oggi… chi sono? ____________________________ 25 1. Introduzione _______________________________________________________ 26 2. Pista di comunicazione ______________________________________________ 27 3. Lettura e riflessione _________________________________________________ 28 4. Icone: il seminatore e il Buon Pastore __________________________________ 29 Scheda 5. I figli sono… pezzi di cuore______________________________________ 30 1. Introduzione _______________________________________________________ 31 2. Pista di comunicazione ______________________________________________ 32 3. Lettura e riflessione _________________________________________________ 33 Scheda 6. Una scuola per la vita __________________________________________ 35 1. Introduzione _______________________________________________________ 36 2. Pista di comunicazione ______________________________________________ 37 3. Lettura e riflessione _________________________________________________ 38 4. Approfondimento: la mediazione sociale________________________________ 39 Scheda 7. La comunicazione______________________________________________ 40 1. Introduzione _______________________________________________________ 41 2. Pista di comunicazione ______________________________________________ 42 3. Lettura e riflessione _________________________________________________ 43 4. Approfondimento: la comunicazione (un elemento essenziale di intervento educativo) _________________________________________________________ 44 Scheda 8. ll lupo cattivo: la strada_________________________________________ 45 1. Introduzione _______________________________________________________ 46 2. Pista di comunicazione ______________________________________________ 47 3. Lettura e riflessione _________________________________________________ 48 Scheda 9. Occhio ad alcuni rischi _________________________________________ 50 1. Introduzione _______________________________________________________ 51 2. Pista di comunicazione ______________________________________________ 52 3. Lettura e riflessione _________________________________________________ 53 181 Scheda 10. Il progetto della vita __________________________________________ 54 1. Introduzione _______________________________________________________ 56 2. Pista di comunicazione ______________________________________________ 57 3. Lettura e riflessione _________________________________________________ 58 SECONDA PARTE: LE 12 TAVOLE ________________________________________________ 60 Tavola 1: STRATEGIE EDUCATIVE _____________________________________________ 61 Tavola 2: LA MICROPEDAGOGIA ______________________________________________ 62 Tavola 3: FIDUCIA _________________________________________________________ 63 Tavola 4: NON PARLARE TROPPO _____________________________________________ 64 Tavola 5: TRA REGOLE E PUNIZIONI ___________________________________________ 65 Tavola 6: GLI AIUTI ________________________________________________________ 66 Tavola 7: ASCOLTA… SERENO________________________________________________ 67 Tavola 8: RISPETTO PER LA PERSONA __________________________________________ 68 Tavola 9: STARE BENE ______________________________________________________ 69 Tavola 10: FIGLI VENUTI DA LONTANO_________________________________________ 70 Tavola 11: IL VOLO DELLA CICOGNA __________________________________________ 71 Tavola 12: IL DONO DI UN FIGLIO ____________________________________________ 72 CONCLUSIONE ____________________________________________________________ 73 INDICE TERZO SUSSIDIO _____________________________________________________ 75 182 CONCLUSIONE Il presente lavoro è una raccolta di sussidi, realizzati ed utilizzati nel Centro Accoglienza Don Bosco di Roma; sono tre fascicoli distinti, utilizzati con i diversi destinatari coinvolti nelle attività del Centro: educatori, ragazzi e genitori; tale raccolta vuol essere un modo per far conoscere la realtà ed il lavoro di questo Centro. Inoltre, attraverso di essa, ci si propone di fornire un materiale che può essere adattato ed utilizzato anche in altri contesti educativi. I sussidi sono stati presentati rispettando le loro caratteristiche originali e presentano ognuno la sua propria struttura interna. Il pregio di questo materiale è quello di essere frutto di una lunga e lodevole esperienza educativa; esso, attraverso la presente pubblicazione, viene offerto come uno strumento per coloro che, nella loro realtà, si occupano dell’educazione e dell’accoglienza dei giovani a diversi livelli. Chi fosse interessato a ricevere una copia dei singoli fascicoli può rivolgersi direttamente agli operatori del Centro al seguente recapito: CENTRO ACCOGLIENZA DON BOSCO Via Magenta 25 00185 ROMA Tel 06 490071 Tel e fax: 06 4450185 e-mail: cdbminori@inwind.it Website: www.cdbminori.it 183 INDICE GENERALE PRESENTAZIONE ________________________________________________ SULLE STRADE DEL CUORE _________________________________________ PREMESSA. Il perché ____________________________________________________ INTRODUZIONE _________________________________________________________ 1. Centro accoglienza don Bosco: un progetto polifunzionale per minori a rischio di devianza ________________________________________________ 2. Don Bosco: il cuore del progetto_______________________________________ 3. Cosa si intende per formazione al centro don Bosco ______________________ PRIMA PARTE: SCHEDE ____________________________________________________ 1. I destinatari _______________________________________________________ Scheda 1. La questione minori _________________________________________ Scheda 2. Giovani violenti (bullismo, bande, vandalismo) ________________ Scheda 3. Criminalità minorile _________________________________________ Scheda 4. La strada ___________________________________________________ Scheda 5. L’altra città… giovani detenuti _______________________________ 2. Strategie educative _________________________________________________ Scheda 6. La luce del Vangelo _________________________________________ Scheda 7. La comunicazione___________________________________________ Scheda 8. Principi educativi____________________________________________ Scheda 9. Una scuola per la vita _______________________________________ Scheda 10. L’educatore_______________________________________________ Scheda 11. La vita è bella (intervento psico-educativo)___________________ Scheda 12. Originali strategie formative… micropedagogia – riconciliazione _____________________________________________ Scheda 13. Sportello aperto ___________________________________________ Scheda 14. Codice di comportamento dell’educatore ____________________ SECONDA PARTE: ALLEGATI _______________________________________________ 1. La fontana del villaggio ______________________________________________ 2. La grande sfida_____________________________________________________ 3. Regolamento interno sulla privacy_____________________________________ 4. Esempi di protocolli d’intesa con la scuola statale ________________________ 5. Modello PEI _______________________________________________________ 6. Regole del Centro___________________________________________________ INDICE PRIMO SUSSIDIO __________________________________________________ BENVENUTI ALLA SCUOLA DELLA VITA ________________________________ 1. Note per l’utilizzazione del sussidio ____________________________________ 1.1.Obiettivi della fase di accoglienza _____________________________________ 1.2.Come usare il sussidio ______________________________________________ 1.3.Alcune indicazioni sulle schede proposte ________________________________ 184 2. L’invio ____________________________________________________________ 3. Il nome e la carta di identità __________________________________________ 4. Prova a presentarti__________________________________________________ 5. Il Centro è la nostra casa_____________________________________________ 6. Da una scuola all’altra_______________________________________________ 7. Impressioni sui primi giorni al Centro__________________________________ 8. Prova di lettura ____________________________________________________ 9. W la matematica ___________________________________________________ 10. L’operatività_______________________________________________________ 10.1. Le addizioni _____________________________________________________ 10.2. Le sottrazioni ____________________________________________________ 10.3. Le moltiplicazioni_________________________________________________ 10.4. Le divisioni______________________________________________________ 10.5. La risoluzione di problemi __________________________________________ 11. Lo so fare... e vorrei saperlo fare ______________________________________ 12. Anche io valgo _____________________________________________________ 13. Testa, cuore, mano __________________________________________________ 14. I pensieri nella vostra testa ___________________________________________ 15. Interessi___________________________________________________________ 16. Obiettivo __________________________________________________________ 17. Programma________________________________________________________ 18. I 7 consigli d’er capoccione ___________________________________________ 19. Una lettera a me stesso_______________________________________________ 20. Patto formativo_____________________________________________________ 21. E per concludere____________________________________________________ INDICE SECONDO SUSSIDIO_________________________________________________ GLI ESAMI NON FINISCONO MAI _____________________________________ PREMESSA. Una scuola di vita ispirata al Vangelo e alla Pedagogia cristiana _____ ASPETTI INTRODUTTIVI____________________________________________________ 1. Obiettivo __________________________________________________________ 2. Schede per l’incontro iniziale _________________________________________ 3. La strategia del raccontare ___________________________________________ PRIMA PARTE: SCHEDE ____________________________________________________ Scheda 1. Una finestra sul mondo______________________________________ 1. Introduzione _______________________________________________________ 2. Pista di comunicazione ______________________________________________ 3. Lettura e riflessione _________________________________________________ 4. Considerazioni _____________________________________________________ Scheda 2. Un occhio al passato ________________________________________ 1. Introduzione _______________________________________________________ 2. Pista di comunicazione ______________________________________________ 3. Lettura e riflessione _________________________________________________ Scheda 3. C’eravamo tanto amati… storia della coppia ___________________ 1. Introduzione _______________________________________________________ 2. Pista di comunicazione ______________________________________________ 185 3. Lettura e riflessione _________________________________________________ Scheda 4. Ma questi ragazzi di oggi… chi sono? _________________________ 1. Introduzione _______________________________________________________ 2. Pista di comunicazione ______________________________________________ 3. Lettura e riflessione _________________________________________________ 4. Icone: il seminatore e il Buon Pastore __________________________________ Scheda 5. I figli sono… pezzi di cuore___________________________________ 1. Introduzione _______________________________________________________ 2. Pista di comunicazione ______________________________________________ 3. Lettura e riflessione _________________________________________________ Scheda 6. Una scuola per la vita _______________________________________ 1. Introduzione _______________________________________________________ 2. Pista di comunicazione ______________________________________________ 3. Lettura e riflessione _________________________________________________ 4. Approfondimento: la mediazione sociale________________________________ Scheda 7. La comunicazione___________________________________________ 1. Introduzione _______________________________________________________ 2. Pista di comunicazione ______________________________________________ 3. Lettura e riflessione _________________________________________________ 4. Approfondimento: la comunicazione (un elemento essenziale di intervento educativo) _________________________________________________________ Scheda 8. ll lupo cattivo: la strada______________________________________ 1. Introduzione _______________________________________________________ 2. Pista di comunicazione ______________________________________________ 3. Lettura e riflessione _________________________________________________ Scheda 9. Occhio ad alcuni rischi 1. Introduzione _______________________________________________________ 2. Pista di comunicazione ______________________________________________ 3. Lettura e riflessione _________________________________________________ Scheda 10. Il progetto della vita _______________________________________ 1. Introduzione _______________________________________________________ 2. Pista di comunicazione ______________________________________________ 3. Lettura e riflessione _________________________________________________ SECONDA PARTE: LE 12 TAVOLE ____________________________________________ Tavola 1: strategie educative __________________________________________ Tavola 2: la micropedagogia___________________________________________ Tavola 3: fiducia ______________________________________________________ Tavola 4: non parlare troppo __________________________________________ Tavola 5: tra regole e punizioni ________________________________________ Tavola 6: gli aiuti _____________________________________________________ Tavola 7: ascolta… sereno _____________________________________________ Tavola 8: rispetto per la persona _______________________________________ Tavola 9: stare bene __________________________________________________ Tavola 10: figli venuti da lontano ______________________________________ Tavola 11: il volo della cicogna ________________________________________ Tavola 12: il dono di un figlio _________________________________________ CONCLUSIONE _________________________________________________________ 186 INDICE TERZO SUSSIDIO __________________________________________________ CONCLUSIONE __________________________________________________ INDICE GENERALE _______________________________________________ 187 Pubblicazioni 2002-2005 nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE” 1. Nella sezione “studi” 1) CIOFS/FP (a cura di), Atti del XIV seminario di formazione europea, La formazione professionale per lo sviluppo del territorio. Castel Brando (Treviso), 9 - 11 settembre 2002, 2003 2) CIOFS/FP (a cura di), Atti del XV seminario di formazione europea. Il sistema dell’istruzione e formazione professionale nel contesto della riforma. Significato e percorsi, 2004 3) CIOFS/FP (a cura di), Atti del XVI seminario di formazione europea. La formazione professionale fino alla formazione superiore. Per uno sviluppo in verticale di pari dignità, 2005 4) CIOFS/FP SICILIA (a cura di), Vademecum. Strumento di lavoro per l’erogazione dei servizi orientativi, 2003 5) CIOFS/FP SICILIA (a cura di), Opportunità occupazionali e sviluppo turistico dei territori di Catania, Noto, Modica, 2004 6) CNOS-FAP (a cura di), Gli editoriali di “Rassegna CNOS” 1996-2004. Il servizio di don Stefano Colombo in un periodo di riforme, 2004 7) MALIZIA G. - D. NICOLI - V. PIERONI (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto finale, 2002 8) MALIZIA G. - V. PIERONI (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto sul follow - up, 2003 9) MALIZIA G. (coord.) - D. ANTONIETTI - M. TONINI (a cura di), Le parole chiave della formazione professionale, 2004 10) RUTA G., Etica della persona e del lavoro, 2004 11) D’AGOSTINO S. - G. MASCIO - D. NICOLI, Monitoraggio delle politiche regionali in tema di istruzione e formazione professionale, 2005 12) PIERONI V. - G. MALIZIA (a cura di), Percorsi/progetti formativi “destrutturati”. Linee guida per l’inclusione socio-lavorativa di giovani svantaggiati, 2005 2. Nella sezione “progetti” 13) ASSOCIAZIONE CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), L’accoglienza nei percorsi formativo-orientativi. Un approccio metodologico e proposte di strumenti, 2003 14) ASSOCIAZIONE CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), Le competenze orientative. Un approccio metodologico e proposte di strumenti, 2003 15) BECCIU M. - A.R. COLASANTI, La promozione delle capacità personali. Teoria e prassi, 2003 16) CIOFS/FP CAMPANIA (a cura di), OrION tra orientamento e network, 2004 17) CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), L’accoglienza nei percorsi formativo-orientativi. Un approccio metodologico e proposte di strumenti, 2003 18) CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), Le competenze orientative. Un approccio metodologico e proposte di strumenti, 2003 19) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale alimentazione, 2004 20) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2004 21) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale commerciale e delle vendite, 2004 22) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale estetica, 2004 23) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale sociale e sanitaria, 2004 24) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale tessile e moda, 2004 25) CIOFS/FP (a cura di), Un modello per la gestione dei servizi di orientamento, 2003 26) CIOFS/FP BASILICATA, L’orientamento nello zaino. Percorso nella scuola media inferiore. Diffusione di una buona pratica, 2004 27) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale elettrica e elettronica, 2004 188 28) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale grafica e multimediale, 2004 29) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale legno e arredamento, 2005 30) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale meccanica, 2004 31) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale turistica e alberghiera, 2004 32) CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione delle unità didattiche, 2003 33) COMOGLIO M. (a cura di), Prova di valutazione per la qualifica: addetto ai servizi di impresa. Prototipo realizzato dal gruppo di lavoro CIOFS/FP, s.d. 34) FONTANA S. - G. TACCONI - M. VISENTIN, Etica e deontologia dell’operatore della FP, 2003 35) GHERGO F., Guida per l’accompagnamento al lavoro autonomo, 2003 36) MARSILI E., Guida per l’accompagnamento al lavoro dipendente, 2003 37) NICOLI D. (a cura di), Linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, 2004 38) NICOLI D. (a cura di), Sintesi delle linee guida per la realizzazione di percorsi organici nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale, 2004 39) TACCONI G. (a cura di), Insieme per un nuovo progetto di formazione, 2003 40) VALENTE L. - D. ANTONIETTI, Quale professione? Strumento di lavoro sulle professioni e sui percorsi formativi, 2003 41) NICOLI D. (a cura di), Il diploma di istruzione e formazione professionale. Una proposta per il percorso quadriennale, 2005 42) VALENTE L. (a cura di), Sperimentazione di percorsi orientativi personalizzati, 2005 43) POLACEK K., Guida e strumenti di orientamento. Metodi, norme ed applicazioni, 2005 44) CNOS-FAP (a cura di), Proposta di esame per il conseguimento della qualifica professionale. Percorsi triennali di Istruzione formazione Professionale, 2005 3. Nella sezione “esperienze” 45) CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 1. Guida per l’accoglienza, 2003 46) CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 2. Guida per l’accompagnamento in itinere, 2003 47) CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 3. Guida per l’accompagnamento finale, 2003 48) CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 4. Guida per la gestione dello stage, 2003 49) TONIOLO S., La cura della personalità dell’allievo. Una proposta di intervento per il coordinatore delle attività educative del CFP, 2005

Il portfolio nella formazione professionale. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale

Autore: 
CNOS-FAP Piemonte - Mario Comoglio
Categoria pubblicazione: 
Esperienze
Anno: 
2006
Numero pagine: 
181
Il Portfolio nella formazione professionale UNA PROPOSTA PER I PERCORSI DI ISTRUZIONE E FORMAZIONE PROFESSIONALE A cura di Mario COMOGLIO STUDI PROGETTI ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE ATS Sperimentazione Nuovi Modelli di Istruzione e Formazione Professionale Il portfolio nella formazione professionale Una proposta per i percorsi di Istruzione e Formazione professionale A cura di MARIO COMOGLIO Autori del volume: Mario Comoglio (Coordinamento scientifico) Gabriella Morello (Sede regionale CNOS-FAP) Roberto Cavaglià (Sede regionale CNOS-FAP) Hanno collaborato: I formatori e i progettisti dei seguenti Enti di Formazione Professionale: Associazione CNOS FAP REGIONE PIEMONTE in qualità di ente capofila A.I.Fo.P. APRO Alba Barolo Azienda Formazione Professionale Soc. Cons. a r.l. CASA DI CARITÀ ARTI E MESTIERI CIOFS FP PIEMONTE CSEA S.c.p.A En.A.I.P. Piemonte En.FAP Piemonte ENGIM CSF EU.For FORMONT FO.R.UM. Scrl IAL FORMAZIONE IMMAGINAZIONE e LAVORO Scrl II. RR. SALOTTO e FIORITO ODPF Istituto Santa Chiara Si ringraziano: I formatori e i progettisti degli Enti che hanno costituito l’ATS per la Sperimentazione di Nuovi mo- delli di istruzione e di istruzione e formazione professionale per la collaborazione, l’impegno dimo- strato e per i contributi offerti alla discussione partecipando agli incontri mensili e ai gruppi di lavoro sul portfolio e sulle rubriche di valutazione ai fini del raggiungimento del risultato della redazione del volume. Inoltre si ringraziano anche tutti i direttori e formatori che nei singoli centri hanno contribui- to con il loro lavoro quotidiano alla realizzazione di tutto questo. Ci pare anche giusto non ringraziare nessuno in particolare perché senza la collaborazione piccola o grande, senza la disponibilità piccola o grande, senza lo sforzo intellettivo e pratico piccolo o grande di ognuno di essi, questo cammino senza dubbio non sarebbe stato possibile. Ogni contributo ha per- messo di fare un piccolo ma significativo passo in avanti, e tutti i contributi insieme hanno consentito di portare a termine questo lavoro. Stampa: Torino 3 PRESENTAZIONE I contenuti Il lavoro che qui presentiamo può essere descritto in tanti modi diversi. Innan- zitutto è costituito da varie parti. Poi è stato realizzato grazie al contributo e agli sforzi di numerose persone. Ancora, ha richiesto un lungo lavoro di riflessione per essere all’inizio sviluppato, per essere in seguito rivisto, e per essere più avanti por- tato a conclusione. Infine offre numerosi punti di riflessione, sollecita interessan- ti spunti di discussione, e rappresenta anche un punto di arrivo di notevole inno- vazione. Il volume può essere suddiviso in alcune parti che possiamo così definire: 1) Introduzione al portfolio 2) Modello di portfolio 3) Guida all’uso del Modello 4) Dizionario. Parte I: Introduzione al portfolio La parte teorica introduce il significato e il valore innovativo del “Portfolio” ri- guardo al processo di apprendimento e di formazione. Il Portfolio non è da conside- rare un “nuovo” atto burocratico, quanto invece l’espressione di una profonda con- sapevolezza che “tocca” in definitiva il modo di valutare l’apprendimento, la forma- zione e gli strumenti, il modo di “responsabilizzare” l’allievo nei confronti del pro- prio processo di crescita ed anche il modo di proporre il processo di insegnamen- to/formazione da parte dello stesso formatore. L’implementazione del Portfolio deve essere guidata non da domande come: Che cosa si deve inserire? Che cosa è richiesto? Chi lo deve fare? Ma da domande qua- li: Come rendere l’allievo consapevole e responsabile del proprio apprendimento? Co- me rendere fondati i giudizi di valutazione? Come valutare un vero apprendimento “significativo”? Come rendere trasparenti i criteri di valutazione affinché l’allievo pos- sa sapere come migliorare? Come documentare i giudizi con riferimenti che forni- scano un’idea concreta di ciò che intendono esprimere? Come verificare il processo di sviluppo nel corso della formazione professionale? Come cogliere ed esprimere il carattere continuo di questo processo? Come aiutare l’allievo a comprendere qua- li attese umane e professionali si hanno nei suoi confronti e collabori attivamente a realizzarle? La Introduzione al portfolio si propone di rispondere ad una lunga serie di do- mande che hanno a che fare con il “perché” e il significato del Portfolio. 4 Parte II: Modello di portfolio Dopo un lungo lavoro di collaborazione, di riflessione, di tentativi, di innovazio- ni e di sperimentazioni si è arrivati a strutturare un Modello di Portfolio suddiviso in Sette Sezioni: Sezione Prima – Introduzione Sezione Seconda – Personale Sezione Terza – Obiettivi per la vita Sezione Quarta – Orientamento Sezione Quinta – Professionalità Sezione Sesta – Stage Sezione Settima – Valutazione. (Ogni sezione è suddivisa in Schede che ne scandiscono il contenuto). La Sezione Prima introduce e illustra il contenuto e le finalità che intende avere il Portfolio. La Sezione Seconda raccoglie alcune informazioni essenziali personali. Essa in- clude anche valutazioni (comprese autovalutazioni) che più specificamente riguar- dano il comportamento dimostrato nell’ambiente formativo. La Sezione Terza prende in esame quelle che sono ritenute le mete ultime di una formazione: gli “obiettivi per la vita”. La sezione presenta un elenco di “disposizio- ni” a cui, formatori e allievi, faranno riferimento accanto e insieme al lavoro più pro- priamente professionale. Esse rappresentano l’esplicitazione e la manifestazione del “curricolo implicito” del processo professionale, e vanno presi in seria considerazione in quanto, spesso per l’importanza che hanno, possono incidere sullo sviluppo della professionalità. La Sezione Quarta raccoglie gli strumenti riflessivi che nel percorso di formazione possono aiutare l’allievo a scoprire le proprie potenzialità e i propri interessi pro- fessionali. La Sezione Quinta può dirsi la parte centrale del Portfolio. In essa vanno inseri- te le prestazioni autentiche svolte dall’allievo che dimostrano l’apprendimento con- seguito. Ogni prestazione è accompagnata da riflessioni sul perché è stata scelta. La Sezione Sesta documenta l’esperienza svolta dall’allievo presso un’azienda. Que- sta esperienza è certamente molto significativa nel processo di formazione, e la re- lativa documentazione può rivelarsi utile sia per l’allievo che per lo stesso processo di formazione. La Sezione Settima raccoglie la possibilità di una Valutazione Analitica attraver- so rubriche specifiche in tutti gli ambiti di formazione dell’allievo, ed anche una Va- lutazione Generale Olistica da utilizzare alla fine di ogni anno. In aggiunta, sono in- dicati strumenti utili per la certificazione e per eventuali passaggi ad altre scuole. Parte III: Guida all’uso La struttura del modello raccoglie “strumenti” di lavoro, modi di organizzare in- 5 formazioni, strumenti esemplari. Ma quale deve essere il loro scopo d’uso? La “Gui- da all’uso” illustra i vari strumenti, e ne indica la finalità, le possibilità d’uso, chi le deve utilizzare, e qual è il vincolo di applicazione. In ognuna delle sezioni, dopo una breve introduzione, sono esplicitati gli obietti- vi, sono proposte le schede, è indicato chi è propriamente coinvolto, è chiarito il vin- colo di applicazione, sono suggeriti alcuni richiami metodologici. Parte IV: Dizionario Nel lavoro si usano parole sia note che nuove. Tuttavia qualche parola nota a vol- te può essere utilizzata con significato diverso, mentre qualche parola nuova può ave- re un valore “chiave” per comprendere il significato di ciò che si illustra. Si è pen- sato di offrire anche un breve dizionario delle parole più significative il cui valore semantico deve essere non solo chiaro, ma anche condiviso da chi professionalmen- te si addentra in questo campo. Il processo di costruzione Il processo di elaborazione di tutti i contenuti accennati è complesso, e comunque è da considerare come il risultato di numerosi contributi. Attraverso vari incontri in presenza e l’utilizzo di una istruzione on-line integrata con letture, un ampio gruppo di formatori è stato sensibilizzato alle nuove riflessioni e problematiche sorte nelle aree dell’istruzione e della valutazione. Queste diverse modalità di la- voro hanno favorito una comune riflessione sulla valutazione autentica, sui pro- blemi reali e autentici, sulla valutazione attraverso la costruzione di rubriche ana- litiche e olistiche. Il processo di costruzione è proseguito con una prima applicazione della rifles- sione da parte dei formatori, che hanno provato, direttamente a contatto con gli al- lievi, l’efficacia delle prospettive aperte. Più avanti, il processo si è focalizzato sul- la ritrascrizione delle richieste della valutazione Regionale entro i nuovi strumenti di valutazione offerti dalla valutazione autentica. I vantaggi di questo confronto so- no stati numerosi e hanno anche facilitato il lavoro. Le fasi successive della sperimentazione hanno consentito di precisare le sezioni da introdurre nel portfolio e di distinguere tra Il mio Portfolio dell’allievo e il Dos- sier di Corso. Il primo, accentuando la responsabilità dell’allievo, dovrebbe essere in particolare uno strumento di autoeducazione e di crescita dell’allievo mentre il se- condo dovrebbe contenere tutto quanto serve al formatore per sviluppare il piano for- mativo. Ringraziamenti Questa pubblicazione è il risultato dell’impegno degli enti coinvolti nell’ATS per la Sperimentazione di Nuovi modelli di istruzione e di istruzione e formazione pro- 6 fessionale. I ringraziamenti sono rivolti ai formatori e progettisti che hanno parteci- pato agli incontri mensili per la collaborazione e l’impegno dimostrato nel raggiun- gere questo risultato, ma anche a tutti i direttori e formatori che nei singoli centri hanno contribuito con il loro lavoro quotidiano alla realizzazione di tutto questo. Ci pare anche giusto non ringraziare nessuno in particolare perché senza la col- laborazione piccola o grande, senza la disponibilità piccola o grande, senza lo sfor- zo intellettivo e pratico piccolo o grande di ognuno di essi, questo cammino senza dubbio non sarebbe stato possibile. Ogni contributo ha permesso di fare un piccolo ma significativo passo in avanti, e tutti i contributi insieme hanno consentito di por- tare a termine questo lavoro. Capitolo I IL PORTFOLIO NELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE 9 0. INTRODUZIONE L’introduzione del “portfolio” nella nostra attività di formazione professionale può a prima vista apparire un elemento di sorprendente novità, accompagnato probabil- mente da quella sensazione di vaga inquietudine e di incertezza che emerge ogni- qualvolta un cambiamento irrompe nella nostra routine di lavoro. Tuttavia, se riflet- tiamo con attenzione, possiamo facilmente renderci conto che l’uso e la pratica di tale strumento in fondo sono componenti comuni, ordinari delle valutazioni che ogni giorno facciamo di persone o “cose”. Ad esempio, parlando di un attore, ci può ca- pitare di dire: “in quel lavoro è stato davvero straordinario, in quell’altro un po’ me- no, di recente ha provato a interpretare ruoli drammatici, però sono convinto che dia il meglio di sé nei ruoli comici. Rimane in ogni caso un grande attore”. Oppure, discutendo di famosi stilisti dell’automobile, è facile che ci esprimiamo in questo modo: “Trovo straordinarie le ultime realizzazioni di Giugiaro. La linea del- la... e della... sono davvero fantastiche. Quelle che ha proposto invece qualche anno fa mi hanno molto deluso. Comunque per me è uno dei più apprezzati designer del- l’industria automobilistica mondiale”. Infine, prima di decidere un sabato sera il ri- storante dove andare con gli amici, può darsi che diciamo: “io consiglio di cenare da... Il servizio non è dei migliori, anzi bisogna accontentarsi un po’. Però lo “chef” è molto bravo: nei primi e nei dolci è proprio eccezionale, e prepara anche degli ot- timi secondi. L’ambiente poi è gradevole, e a pensarci bene si spende abbastanza po- co. Credo che sarebbe una buona scelta andare in questo ristorante”. Come si vede dagli esempi proposti, e facilmente riconducibili ad esperienze di vita quotidiana, spesso esprimiamo giudizi sia su singoli prodotti o azioni che su più prodotti o azioni nello stesso tempo. Quando si presentano tutti di livello elevato i prodotti ci inducono ad esprimere un giudizio positivo. Il contrario avviene quando invece si presentano tutti di livello scarso o insoddisfacente. Ma anche se non si ma- nifestano tutti di chiaro segno positivo o negativo, ci consentono sempre di esprimere un giudizio complessivo, tendente a seconda dei casi, in un senso o nell’altro. L’uso e la pratica del portfolio non è qualcosa di molto diverso da questa nostra ordinaria e quotidiana esperienza di valutare, giudicare, considerare la situazione e/o le persone con le quali veniamo a contatto. Tuttavia l’estensione di questo strumen- to di valutazione (oltre che di autovalutazione) al mondo dell’istruzione/formazione non è sempre facile e immediato, e richiede una serie di attenzioni riguardo alle con- dizioni entro cui si sviluppa il processo di insegnamento/apprendimento. 10 1. UNA DEFINIZIONE DEL PORTFOLIO L’introduzione del portfolio dentro l’ambito “educativo” o di “apprendimento” fa sorgere in maniera spontanea e naturale qualche domanda. Innanzitutto: “che cosa è un portfolio?”, “A quali funzioni assolve?”. Esistono risposte diverse a tali doman- de. Ne proponiamo una per ognuna di esse e la discutiamo: 1) “Il portfolio è una raccolta finalizzata del lavoro dello studente” Un singolo prodotto non è sufficiente per documentare qualche cosa che riflette una caratteristica costante di una situazione. Una sola opera non basta per definire “artista” chi opera nel campo dell’arte, una sola fotografia non è sufficiente per de- scrivere la vita di una qualsiasi persona, un solo ed unico progetto non è abbastanza per qualificare “architetto” chi lavora nel ricco e articolato campo dell’architettura. In ogni caso, non è in un portfolio neppure un qualsiasi prodotto o una qualsiasi rac- colta di prodotti mirata, ossia volta a documentare, e a evidenziare una caratteristi- ca o una qualità posseduta. È lo scopo della raccolta a qualificare, giustificare e for- nire i criteri di scelta dei prodotti. Se una persona volesse fare un portfolio della propria famiglia, sceglierebbe pro- dotti che sarebbero diversi da quelli di un portfolio che intendesse documentare il pro- prio livello culturale, o da quelli di un portfolio che si proponesse di documentare il proprio sviluppo dall’infanzia all’età adulta, o, altrimenti, i propri hobby e interessi. Lo scopo (o la finalizzazione) della raccolta è importante perchè serve ad assi- curare “coerenza” alla raccolta stessa. Esso infatti suggerisce i “criteri” con cui si devono selezionare prodotti da inserire. I criteri indicheranno quali prodotti sono si- gnificativi e quali non lo sono. 2) “Il portfolio, racconta e documenta di uno studente,...” • il suo progresso o come s’è evoluta ed affinata la sua competenza • il successo conseguito • la sua abilità di usare strategie cognitive (risolvere problemi, applicare conoscenze, svolgere compiti) • la sua abilità di organizzare ed applicare conoscenze • la sua abilità nelle prestazioni • la storia dei suoi sforzi che possa anche fornire indicazioni riguardo ad alcuni atteggiamenti di fondo come sforzo, persistenza, impegno • l’abilità di controllare il proprio apprendimento • l’abilità di essere autoriflessivo o metacognitivo • ... Il “raccontare” e il “documentare” non sono la stessa cosa, ma si completano a vicenda. Il “raccontare” ha a che fare con lo sviluppo, la maturazione, il cammino, il cambiamento, il percorso, le difficoltà incontrate, le tappe, dice il “come”. Il “do- 11 cumentare”, invece, riguarda la dimostrazione o la prova concreta, oggettiva su cui si fonda un’affermazione o un giudizio, dice il “perchè”. Le due funzioni si com- pletano a vicenda. Il raccontare “svela le connessioni” tra prodotto e prodotto, tra cosa e cosa, tra fatto e fatto, il documentare fornisce il “fondamento”, la base atten- dibile, solida, di ciò che si afferma. Il rapporto che irrompe tra esse potrebbe essere immaginato come quello che c’è tra parola e visione, tra parola e azione, oppure tra tesi e dimostrazione, o, in tribunale, tra giudizio e prove documentali. I termini “parola”, “tesi”, “giudizio” possono essere riferiti ai termini inclusi nel- l’elenco del punto 2), “progresso”, “successo”, “storia”, “impegno”, “abilità”, “com- petenza” in qualche ambito... I termini “visione”, “azione”, “dimostrazione”, “pro- ve”, possono invece essere intesi come corrispondenti ai prodotti o alle “cose” che vengono raccolte a sostegno del senso, della profondità, della qualità del “progres- so”, del “successo”, e così via, dello studente. Poiché le valutazioni o i giudizi forniti dallo strumento del portfolio riguardano l’attività di insegnamento/apprendimento svolta in un certo arco di tempo ed i suoi effetti, in ogni caso, interessano un fenomeno ampio, complesso ed imprevedibile, come lo sviluppo umano, la raccolta documentativa, per essere “espressiva, esplici- ta, evidente”, oltre che “ricca”, deve essere anche “diluita” nel tempo, “variegata e chiara”, “significativa e coerente”, “pertinente e pregnante”. Una certa cura va riservata ai prodotti che “dimostrano e documentano”. Colui che raccoglie può manifestarla avendo come riferimento scopi diversi. Per esempio, potrebbe proporsi di dimostrare che: a) il giovane ha appreso ciò che è stato insegnato nel centro professionale b) il giovane migliora, cresce o sviluppa la professionalità che gli sarà richiesta nel mondo del lavoro reale c) Il giovane ha conseguito o è sul punto di conseguire gli obiettivi stabiliti dai for- matori o dal centro d) il giovane sta maturando atteggiamenti di fondo (responsabilità, riflessione, inte- resse, capacità di collaborazione,...). Dato che gli scopi dimostrativi possono essere molto diversi, è necessario che nel portfolio non siano lasciati impliciti, ma vengano al contrario espressi sia prima del- la raccolta, che dopo la raccolta. Soprattutto è necessario che tra tutti i possibili pro- dotti vengano scelti quelli che dimostrano maggiore significatività e valore. Tra que- sti, certamente sono da privilegiare quelli che provano “che cosa un giovane è in gra- do di fare con la conoscenza e con le abilità di cui dispone, e quanto reali sono le sue attitudini al lavoro”. 3) “La compilazione del portfolio include la partecipazione del formatore, dello stu- dente, ed anche dei genitori” Questo punto può lasciare un po’ sorpresi pensando a come tradizionalmente nel- la formazione il compito di valutare sia stato interamente ed esclusivamente attribuito al formatore. Di sicuro non mancano ragioni che giustificano questa “tradizione”. Tut- 12 tavia, ritornando all’analogia del mondo delle professioni caratterizzate da espres- sioni di natura creativa e/o artistica, si può rilevare come sia responsabilità dell’arti- sta scegliere quali delle sue opere che ha prodotto meglio descrivono il suo percor- so di ricerca, il suo stile e la sua crescita professionale. Nel fare questo può farsi aiu- tare e consigliare da un amico, un critico, un altro artista. Ma certamente spetta a lui la scelta definitiva delle opere da mostrare. Lo stesso si può dire di un professioni- sta quando tramite i suoi lavori intende dimostrare quanto è in grado di fare. 4) “Il portfolio intende raggiungere numerosi effetti” • far riflettere lo studente su se stesso • incoraggiare l’autovalutazione • responsabilizzare lo studente riguardo al lavoro e all’impegno • accrescere la motivazione • collegare sforzo e risultati • mostrare l’efficacia dei processi e delle strategie, il possesso di tali processi e stra- tegie, e la necessità del suo miglioramento • ... Il portfolio è per lo studente come uno “specchio” nel quale vedersi. Come que- sto (o anche una fotografia) serve a “riflettere la propria immagine e identità”, e quin- di a “riconoscersi”, allo stesso modo il portfolio, documentando allo studente il suo impegno, i suoi interessi, i suoi piani di miglioramento, quello che sa fare, ecc. gli consente di sviluppare una maggiore comprensione di se stesso, dei suoi punti di for- za come anche di debolezza, delle sue fatiche come anche dei suoi successi. Fornendo una serie di prodotti in successione, aiuta lo studente a comprendere la sua crescita e le fasi che l’hanno caratterizzata; offrendo una diversità di prodotti gli fa cogliere l’ampiezza e la padronanza; raccogliendo numerosi lavori gli mostra l’intensità e la profondità del suo impegno; selezionando le prove migliori lo rende consapevole del livello di competenza conseguito in un determinato ambito di apprendimento; ponendolo di fronte ai risultati ottenuti, lo mette in grado di valutare la relazione tra questi ri- sultati e lo sforzo sostenuto. Inoltre documentando un miglioramento continuo, può anche produrre in lui una crescita della fiducia in se stesso, del suo senso di autoef- ficacia, della percezione della sua abilità a eseguire qualcosa. Come è noto, la crescita del senso di autoefficacia, se opportunamente guidato nella comprensione dei fatti, tende a promuovere nelle persone un cambiamento del- le attribuzioni di successo e di fallimento, spinge ad autovalutazioni nuove, facilita la scelta di obiettivi e di attività che miglioreranno ancora di più la loro capacità. Il portfolio, opportunamente utilizzato dai formatori, può perciò essere uno strumento per motivare gli allievi a conseguire risultati che richiedono livelli sempre più ele- vati di impegno e di sfida. Infine questo strumento può anche modificare la natura della formazione e la relazione tra formatore e colui che apprende. Infatti consente al formatore di dare ai suoi studenti la piena opportunità di praticare e migliorare le loro abilità di riflessione e di prestazione, proprio come accade nelle esperienze di apprendistato sul posto di lavoro. 13 5) “Il portfolio offre la possibilità di valutazioni più realistiche e corrispondenti al processo di apprendimento” Se davvero consiste in una raccolta di prodotti scelti secondo determinati criteri (i prodotti corrispondono a situazioni concrete di lavoro, riflettono una visione pro- gressiva dello sviluppo, e rispettano il processo reale di apprendimento per progres- sive approssimazioni e continui miglioramenti), il portfolio potrà fornire evidenza di ciò che lo studente sarebbe concretamente in grado di fare se si trovasse in situazio- ni di impegno reale, di come si impegnerebbe e si prenderebbe carico della respon- sabilità di tendere verso livelli di miglioramento sempre più elevati. Queste diverse potenzialità che caratterizzano il portfolio sono estranee alla va- luta-zione tradizionale. Questa, infatti, tende ad esprimere giudizi raccolti su com- piti che richiedono agli studenti di riprodurre le cose spiegate o lette, è poco foca- lizzata sugli sforzi di persistente miglioramento, e ha deboli legami con il processo di insegnamento/apprendimento. 2. PERCHÉ IL PORTFOLIO L’introduzione del portfolio nel sistema di istruzione/formazione può suscitare un certo disorientamento in coloro che sono abituati alle modalità di valutazione tradi- zionale. È quindi comprensibile che queste persone si chiedano le ragioni di tale in- novazione. Le ragioni sono numerose e possiamo illustrarle proponendo una serie di osservazioni critiche. � La conoscenza scolastica rimane “incapsulata”. Studi ed osservazioni hanno mo- strato che buona parte di quanto si apprende nelle aule scolastiche rimane relegato all’ambito della scuola. Gli studenti per lo più si impegnano quel tanto che basta per superare la barriera delle prove, considerano i contenuti proposti solo materiali da studiare e non stimoli che possono aiutarli a svelare il senso del loro vivere nel mon- do e nella società, apprendono più “come” fare le cose che non “perché” farle in un certo modo. In breve, un po’ alla volta nel corso degli anni l’apprendimento scola- stico è diventato agli occhi degli studenti come un processo privo di valore e rile- vanza personale, cioè fine a se stesso. � La maggior parte della conoscenza appresa a scuola rimane “inerte” o “ritua- le”. Studi e ricerche hanno anche rivelato che una notevole porzione della conoscenza acquisita a scuola rimane “inerte”, ovvero non attiva. La caratteristica di “inerte” vie- ne attribuita alla conoscenza che un allievo è in grado di esprimere, ma che o non sa utilizzare, o non si accorge che dovrebbe utilizzare in particolari situazioni. L’origi- ne di tale fatto sembra dipenda dal modo astratto con cui la conoscenza viene pre- sentata, cioè lontana dal “luogo” dove essa è presente o è necessaria. In fondo in fon- do, si può dire che in questo modo è come se si “invitasse” lo studente ad appren- dere avendo come unico scopo quello di superare con successo prove e verifiche. � Gli studenti manifestano crescente disinteresse per i contenuti insegnati a scuo- 14 la. Anche questo problema sembra chiamare in causa il modo in cui si svolge il pro- cesso di insegnamento e di apprendimento. Di solito gli studenti procedono in ma- niera passiva ed acritica, cioè senza cercare di scoprire le connessioni tra ciò che stu- diano e i fatti, gli eventi o le situazioni della vita reale o quotidiana che vivono. Que- sta “abitudine” è certamente favorita dagli insegnanti che o incontrano difficoltà a trovare relazioni tra situazioni concrete e ciò che insegnano, oppure fanno un ecces- sivo affidamento sulle risorse fornite dai testi scolastici (nella forma di suggerimen- ti, idee, proposte) per trovare tali relazioni. In ogni modo il problema non consiste nel fornire “buoni” esempi, quanto invece nel proporre “situazioni” nelle quali l’al- lievo operi e scopra l’utilità delle conoscenze o della abilità da utilizzare. � La perdita del significato e del valore della valutazione rispetto all’apprendimento. La valutazione scolastica di tipo tradizionale è principalmente fondata sulla capaci- tà dell’allievo di saper applicare, oppure di saper ridire (“riferire” o “ridire”) con pro- prie parole quanto insegnato direttamente o tramite il libro di testo dall’insegnante. Oggi tale processo sembra manifestare molti limiti. Alcuni hanno osservato che esso non fornisce alcuna evidenza che l’apprendimento sia davvero avvenuto, che per il tipo di prestazione su cui si compie non è in grado di “predire” nulla riguardo alle reali possibilità e capacità dell’allievo di affrontare una situazione concreta con la conoscenza che ha acquisito, e che infine utilizza “prove” prive di connessioni con la realtà o di riferimenti a compiti di vita concreta, che si dimostrano utili per spin- gere lo studente ad impegnarsi ed a persistere nello sforzo. In altre parole, è ormai diffusa la convinzione che “ciò che si fa in una situazio- ne di insegnamento istituzionale non è qualcosa di simile o analogo a ciò che si fa- rebbe in una situazione o in un contesto di vita reale”. Pertanto è privo di qualsiasi valore educativo, in quanto non solo non fornisce alcuna evidenza di quanto sapreb- be fare l’allievo se venisse posto in situazioni extrascolastiche, cioè vere, naturali, ma neanche lo sollecita a provarsi con tali situazioni. � L’attribuzione esclusiva al formatore del compito di valutare non induce gli ef- fetti desiderati. Nella valutazione tradizionale è il formatore che valuta. Questo sem- bra giustificato da molteplici motivi: egli ha la padronanza della propria disciplina e sa i contenuti che lo studente deve apprendere, conosce i punti di forza ma anche di debolezza di un allievo ed è ben consapevole di quanto può da lui pretendere, sa che cosa è necessario che apprenda per non avere in seguito difficoltà. Sebbene ampia- mente giustificata, la scelta di assegnare soltanto al formatore il compito e la re- sponsabilità della valutazione non sembra produrre risultati positivi. Spesso l’allie- vo studia solo per il voto e non per migliorare il proprio apprendimento, si dere- sponsabilizza rispetto al giudizio ricevuto, cerca sotterfugi per raggiungere il livello minimo di sufficienza, dopo lunghi anni di scuola spesso non sa esprimere giudizi riguardo a ciò che è in grado di fare. Queste osservazioni hanno indotto molti studiosi a cercare una forma di valuta- zione nella quale l’allievo assuma una parte di responsabilità. La soluzione è stata proposta a vari livelli: compiti complessi aperti a più soluzioni, discussione con gli allievi sui criteri di valutazione, rubriche di valutazione consegnate in anticipo, au- 15 toriflessione degli allievi dopo la prestazione per rilevare i propri punti di forza e di debolezza, partecipazione alla costruzione della documentazione del lavoro prodot- to (portfolio). � Pochi oggi attribuiscono un valore significativo e reale alla valutazione. Chi con un disturbo fisico andrebbe da un medico laureato da tre giorni e con votazione “110 e lode”? È molto probabile che la maggior parte delle persone risponderebbe a que- sta domanda con un secco e tranquillo “no”. La risposta induce a riflettere sulla “per- dita di valore sociale” dell’attuale sistema di valutazione (nel nostro caso, applicato all’area della medicina). L’istituzione investe grandi quantità di risorse materiali ed umane per costruire, produrre e far crescere competenze nel mondo reale, ma giun- ti al termine non richiama la fiducia dei potenziali beneficiari di tali competenze. Alcuni si sono chiesti: “È questo un fatto «inevitabile» o c’è qualcosa che non va nel sistema di formazione e/o di valutazione?”. 3. QUALE TIPO DI SOLUZIONE? Alla luce di quanto è emerso nel rispondere alla serie di domande poste, nume- rosi studiosi hanno provato a cercare soluzioni utili a correggere i limiti manifestati dalla valutazione tradizionale. Semplificando, queste possono dirsi le soluzioni ipo- tizzate. � La valutazione deve essere rispettosa del processo di apprendimento. Una certa tradizione diffusa tra gli insegnanti e i formatori è quella di “scomporre” una cono- scenza in più parti, e di “proporre” agli studenti una parte per volta secondo lo sche- ma insegnamento-apprendimento-valutazione. Questo modo di procedere, che si ba- sa sulle assunzioni che “la somma delle parti forma il tutto” e che il processo di ap- prendimento si sviluppa in maniera lineare e per passi successivi, non tiene suffi- cientemente conto del fatto che l’apprendimento stesso è invece un processo molto più complesso e misterioso di quanto appaia. Esso varia a seconda degli individui, procede per progressive approssimazioni, tra piccoli avanzamenti, improvvisi bloc- chi e continue correzioni. Un “vero” apprendimento comincia un certo giorno, ma si affina e si fa più profondo con molto esercizio e costante applicazione di una co- noscenza e abilità in contesti diversi. Una valutazione fatta di somme e medie di pas- saggi intermedi, senza distinguere il cammino lento e faticoso dei successi e dei fal- limenti momentanei, non sembra rispecchiare ciò che avviene realmente nella men- te di chi apprende. � La valutazione deve avere i caratteri di predittività, cioè deve poter dire qualco- sa su come colui che apprende saprebbe agire e comportarsi qualora dovesse affrontare la realtà concreta con ciò che ha appreso. Per possedere questi caratteri, è necessa- rio che la valutazione preveda “prove”, “prestazioni”, “attività” contestualizzate in situazioni reali. Si riprenderà più avanti questo argomento. Qui si vuole solo accen- nare al fatto che una conoscenza diventa “significativa” ed è scoperta come tale quan- do non solo è compresa in se stessa, ma quando diventa una chiave di comprensio- 16 ne di ciò che costituisce l’esperienza del mondo. Questo non significa “ridurre” il valore della conoscenza alla sua finalità pratica o anche cogliere di essa semplice- mente il suo “valore d’uso”, ma evidenziare che la condizione perché una persona possa migliorare la – e crescere nella – propria conoscenza consiste nel dargli la pos- sibilità di comprendere ciò che non è immediatamente percepibile con i sensi e pur tuttavia reale. Si pensi, ad esempio, a come la comprensione della “legge della gra- vità”, fenomeno quest’ultimo non direttamente percepibile, può aiutare a spiegare mol- ti fenomeni quotidiani e quale grande innovazione scientifica ha contribuito ad in- trodurre. Se non si vuole che rimanga “inerte”, una conoscenza deve essere “trovata” e “sco- perta” dentro qualche contesto di vita reale, deve essere “provata” dentro situazioni che hanno la connotazione dell’esperienza umana. In questo modo è possibile dire che l’allievo “sa e conosce” (cioè ha “appreso in profondità”) da poter affrontare la vita reale. In altre parole, il suo apprendimento è “predittivo” oltre e fuori la scuola. � La valutazione deve responsabilizzare l’allievo di fronte a quello che apprende e fa. È esperienza comune nelle scuole che gli studenti tendono a fare “cose” solo per- ché viene loro richiesto di farle, oppure che si impegnano il minimo necessario, sen- za sentire il bisogno di elevare la qualità del proprio rendimento. È anche esperien- za comune che non riflettono abbastanza sui motivi che possono giustificare o richiedere un cambiamento nel loro modo di procedere nell’apprendimento di determinati con- tenuti dopo una valutazione di alcune loro prestazioni relative ai contenuti stessi. Non esistono dati riguardo al numero di persone che da adulti continuano a com- portarsi nello stesso modo in cui da studenti si comportavano a scuola, ma è facile immaginarlo. Quanti adulti svolgono il loro lavoro solo il minimo richiesto. Quanti non sanno valutare le proprie prestazioni! Quanti si accontentano del minimo risul- tato senza tentare di migliorarsi! Eppure nella vita reale è necessario che una persona adulta sappia esprimere in maniera autonoma e responsabile giudizi in ciò che è capace di fare o non fare, evi- denziando punti di forza ma anche di debolezza, e sappia migliorarsi. � La valutazione deve essere migliorativa e focalizzarsi sull’apprendimento. Tal- volta può capitare che qualche formatore o insegnante tenti di usare lo strumento del- la valutazione per motivare o per punire. La valutazione non ha nulla a che fare con il controllo, e quando è usata per questo scopo non solo non alimenta la motivazio- ne, ma neppure corregge i difetti che intende eliminare. A questo proposito è qui il caso di ricordare come le valutazioni tradizionali espresse in decimi, o in trentesimi, soprattutto se non sono accompagnate dalla giustificazione/spiegazione del voto, so- no di certo poco efficaci nel sollecitare un miglioramento. La valutazione lasciata al- la discrezione del formatore o dell’insegnante, spesso non consente all’allievo di com- prendere i criteri e i motivi del giudizio espresso, e come tale non indica la strada del progresso. Il voto spesso sollecita più l’orgoglio che il miglioramento. Uno dei limiti della valutazione tradizionale è che essa è ormai considerata da par- te sia degli allievi che dei genitori come uno strumento di selezione. Tutti hanno pro- vato il piacere per una promozione e l’abbattimento per una insufficienza. La gioia 17 per una promozione è spesso sentita anche quando si è consapevoli di non aver con- seguito un apprendimento insufficiente. Queste esperienze dimostrano come la va- lutazione sia diventata sempre meno centrata sull’apprendimento, ma molto di più, se non solamente, sul voto. La valutazione è invece uno strumento che nel corso dell’attività di insegnamen- to/apprendimento deve fornire informazioni utili all’allievo riguardo ai suoi punti di forza da potenziare e ulteriormente da sviluppare, e soprattutto ai punti deboli da af- frontare/recuperare. Ma essa deve essere anche un utile strumento d’informazione per il formatore per riflettere sulla forma e sulle modalità dell’istruzione/formazio- ne erogata. A volte i risultati negativi degli allievi possono imporre al formatore una revisione di parti del percorso di insegnamento/apprendimento, o, quando è il caso, dell’intero percorso. � La valutazione deve essere trasparente. È noto che nella scuola, ma anche in am- biti e settori extrascolastici, i “criteri di valutazione” non sono né noti né pubblici. La “non trasparenza” dei criteri può essere a volte all’origine di insuccessi. Quando non sa cosa ci si aspetta da lui, molto facilmente un allievo fa non ciò che pensa di dover fare ma ciò che gli altri desiderano che lui faccia. Alcune ricerche hanno di- mostrato che quando l’allievo sa in anticipo che cosa si desidera da lui e con quali criteri sarà valutata la sua prestazione, egli si impegna di più e si autocorregge du- rante il lavoro. Si comporta in questo modo soprattutto nel caso in cui ha preso par- te alla costruzione dei criteri di valutazione nella forma di rubrica. La partecipazio- ne alla preparazione della “rubrica di valutazione” infatti, consentendogli di comprendere meglio che cosa deve fare, lo corresponsabilizza nell’impegno. � La valutazione deve rimanere equa e imparziale. L’oscurità dei criteri di valuta- zione, la deresponsabilizzazione dell’allievo rispetto al processo, e l’attribuzione del “potere giudicante” al formatore o all’insegnante sono tutti elementi che hanno con- tribuito ad accrescere il carattere di “soggettività” della valutazione. Il formatore o l’insegnante, senza saperlo, introduce nella valutazione criteri e pesi diversi a seconda della conoscenza che ha dell’allievo da valutare, introducendo in questo modo nel processo un senso di arbitrarietà eccessivo e incontrollabile. È per questo motivo che si chiede che le rubriche di valutazione di una presta- zione siano rese pubbliche prima della sua esecuzione. Questo accorgimento rende- rà “oggettiva” la valutazione, non in quanto scevra di influenze di tipo soggettivo – meta per altro ritenuta irraggiungibile – ma perché resa pubblica in anticipo e mo- dello valido di riferimento per tutti. Questo modello consiste nell’indicare chiaramente all’allievo dove si desidera che egli giunga, suggerendo la sfida che deve porre a se stesso e, dopo i primi tentativi, verificando dove e in che cosa deve cercare di mi- gliorare o concentrare il suo successivo impegno. Lo scopo che si propone lo strumento del “portfolio” è tentare di far sì che l’al- lievo non apprenda solo per ottenere un voto, per avere una promozione, o per con- seguire un titolo, peggio ancora per la paura di essere punito, ma per migliorare e crescere attraverso l’apprendimento. Il portfolio di certo non è, da solo, la soluzione di tutti i problemi dell’apprendi- 18 mento. È tuttavia uno strumento che, se utilizzato con attenzione al fine di correg- gere i limiti della valutazione tradizionale, se accompagnato da un modo diverso di concepire il processo di insegnamento/apprendimento, se sostenuto dalla partecipa- zione responsabile dello studente, se... potrebbe essere un buon correttivo ai molti problemi connessi alla pratica della valutazione tradizionale. Tutti i “se” elencati dicono che la possibilità del portfolio di fornire un aiuto ef- ficace dipende anche da attenzioni che il formatore dovrebbe avere per aspetti sia di natura teorica che applicativa inerenti alla sua pratica professionale. 4. INSEGNAMENTO E PORTFOLIO È possibile che a questo punto possa sorgere qualche domanda. Per esempio, i prodotti/materiali che si inseriscono nel portfolio sono i compiti che gli allievi di so- lito svolgono o eseguono nel corso dell’apprendimento delle varie discipline, o so- no qualcosa di diverso? Oppure il portfolio esige che si introducano cambiamenti so- lo nel modo di fare valutazione o anche nel modo di fare formazione? Come si è detto nelle pagine precedenti, la valutazione dovrebbe consentire al- l’allievo di dimostrare che cosa sa fare, come sa utilizzare le conoscenze, come sa muoversi e risolvere problemi complessi e reali, come sa mettere insieme conoscenze e abilità e, in tutto questo, far notare quali sono i suoi punti di forza e i suoi punti di debolezza. È facile quando si introduce il portfolio non porre sufficiente attenzione al fatto che il processo di insegnamento/apprendimento deve modificarsi in vista dei risul- tati che si vogliono ottenere o del prodotto che si vorrà inserire nel portfolio. Detto in altro modo, tra la fase dell’insegnamento/apprendimento e quella della prestazio- ne da valutare, deve esistere una continuità. Tra le due non ci deve essere frattura. Questo concetto può essere chiarito attraverso alcuni esempi o casi molto semplici. Immaginiamo un formatore che spieghi a parole o con figure come funziona un circuito elettrico, e poi assegni la prestazione autentica di costruire un circuito di lam- padine per illuminare un albero di Natale. Pensiamo ad un formatore che descriva un motorino elettrico e poi proponga di aggiustare un frullatore. Immaginiamo un formatore che spieghi il funzionamento del computer e poi chieda di preparare un budget di una piccola impresa con Excel. Pensiamo a un grafico che dopo aver espo- sto i principi dell’impaginazione dei giornali dia a un allievo il compito di impagi- nare un quotidiano. Gli esempi potrebbero certamente continuare. Proviamo invece ad invertire la se- quenza in questo modo. Il formatore pensa a una prestazione autentica che richiede all’allievo di preparare una serie di lampadine su un filo per addobbare un albero di Natale. Che cosa l’allievo deve sapere e saper fare? Un allievo deve aggiustare il mo- torino di un frullatore. Cosa dovrà sapere per riuscire a farlo? Un allievo deve pre- sentare un budget in Excel. Cosa dovrà sapere e saper fare? Un allievo deve inven- tare la progettazione di un quotidiano. Che cosa deve sapere e saper fare? Gli esempi sono certamente semplici ed evidenti, e riflettere su di essi e altri an- 19 cora può essere utile. Come organizzare la didattica in modo che essa si allinei ai ri- sultati desiderati? Negli anni recenti sono state proposte numerose metodologie. Su tale argomen- to ci limitiamo ad alcune riflessioni essenziali per guidare il formatore nella proget- tazione di un insegnamento che si trovi in linea con le fasi successive dell’insegna- mento, dell’apprendimento, della prestazione autentica e della valutazione. È innanzitutto importante richiamare e contestualizzare l’attività di formazione entro alcuni principi: Si apprende meglio quando si è attivamente coinvolti nell’apprendimento. Il li- vello di attenzione e di partecipazione aumenta notevolmente quando si è responsa- bilmente impegnati nella soluzione di un problema, o nella manipolazione di uno stru- mento, nella esecuzione di una procedura per portare a termine un prodotto. Anche nel seguire la spiegazione di un argomento è necessario un certo livello di attenzio- ne, ma questo livello è certamente inferiore a quello richiesto quando si è diretta- mente e attivamente impegnati nel portare avanti un compito o una prestazione. Si apprende meglio quando la conoscenza/comprensione è costruita dal sogget- to che apprende. L’apprendere da un altro (o anche da un testo scritto) non rivela le incertezze, le domande, le scelte, la fatica, l’esperienza, i tentativi falliti che stano dietro alla conquista/padronanza di una conoscenza. Questo priva la conoscenza co- municata di tutto quel valore che ha la fatica di averla cercata, di aver messo in atto varie strategie per scoprirla, e di aver corretto i numerosi errori commessi per rag- giungerla. Il processo di apprendimento è più efficace quando è l’allievo a creare au- tonomamente nuova comprensione. Il formatore guida, modera, suggerisce, ma con- sente spazio per porre domande, tentare e provare “cose”. Si apprende meglio quando la conoscenza/comprensione si sviluppa o si fonda o nasce da ciò che già si conosce. La mente umana non è una scatola vuota, cioè sprov- vista di conoscenze in fenomeni e situazioni. Esperienza, cultura, vita quotidiana con- tribuiscono ogni giorno a costruire/ricostruire la conoscenza preesistente. Questa co- noscenza – tacita e implicita – ha un grande peso sul pensare e sull’agire quotidia- no, oltre che sull’apprendimento di nuove conoscenze. Si apprende meglio quando si collabora nell’apprendere. L’interazione, il grup- po, la discussione, il confronto sono risorse, o vie privilegiate da seguire per rag- giungere uno scopo. L’apprendimento richiede la piena partecipazione degli allie- vi. Una parte importante delle attività è che essi riflettano sui propri processi, par- lino di ciò che fanno, ponendo domande sia in privato che nelle discussioni di grup- po. Spetta all’insegnante creare le situazioni e le condizioni appropriate di lavoro perché questo possa procedere e svilupparsi con successo. Il parlare e il riflettere su ciò che si è appreso e come lo si è appreso sono davvero importanti per un ap- prendimento efficace. Si è più motivati quando si scopre che ciò che si apprende sfida ad un livello di fattibilità e ha un significato. Un compito troppo difficile scoraggia subito perché in- fonde il timore di non essere capaci di eseguirlo, ma anche un compito troppo faci- le non sollecita impegno e sforzo,perché ritenuto inutile, privo di interesse ed attrat- 20 tiva. I compiti che coinvolgono e spingono a darsi da fare sono quelli che sfidano nelle proprie possibilità, si presentano con un carattere minimo di novità, originali- tà, e di unicità, e trasmettono la sensazione di essersi già imbattuti in “qualcosa-di- simile” e che quindi – forse – si è in grado di superarli. Ma i compiti devono anche avere un significato per la persona che si appresta ad eseguirli. Nessuno butta via una “cosa” dopo che l’ha fatta, né si impegna in un’attività che non abbia una qualche rilevanza. La fatica e l’impegno di una persona sono sempre investiti in qualcosa che per lei ha senso e significato. Si apprende meglio se ciò che si apprende è essenziale, va in profondità, ed ha molte possibilità di trasferimento o di applicazioni. Il rapido cambiamento della so- cietà a tutti i livelli e le nuove esigenze poste dal mondo del lavoro sembrano far con- vergere l’attenzione sull’acquisizione di conoscenze ed abilità ritenute essenziali e più stabili, durature, ma anche flessibili, cioè facilmente trasferibili ed applicabili nei vari contesti in cui sarebbero necessarie. All’interno di questo quadro di principi di riferimento, negli ultimi anni sono sta- te elaborate diverse metodologie di insegnamento/apprendimento. Ne presentiamo tre che possono aiutare o guidare gli insegnanti/formatori nella pratica quotidiana di lavoro. 4.1. Progettazione dell’attività di comprensione/apprendimento Invece di partire dalle attività che intende svolgere o implementare, l’insegnan- te/formatore dovrebbe soffermarsi a riflettere su ciò che si propone di conseguire. Più che procedere in avanti, il processo d’insegnamento dovrebbe andare a ritroso, cioè partire dalla fine. Prima fase: Stabilire con chiarezza ciò che merita di essere appreso La progettazione didattica inizia con lo stabilire ciò che si vuole che gli studenti siano in grado di fare, quali conoscenze e quali abilità debbano acquisire, e quali ri- sultati di apprendimento debbano realizzare. È esperienza comune di molti forma- tori il rammarico di aver fallito, qualche volta, gli obiettivi che si erano all’inizio pro- posti, o di aver scoperto troppo tardi di essersi diretti verso obiettivi diversi da quel- li che pensavano di conseguire. Altre volte, spinti dall’esigenza di attivare la motivazione degli allievi, non riescono a guidare/orientare verso quello che intendono far apprendere. Allo scopo di evitare queste situazioni, prima di avviare il processo d’istruzione, il formatore dovrebbe aver chiaro il “punto di arrivo”. A tale proposito, è importante che risponda a queste tre domande: a) Cosa gli studenti dovrebbero essere capaci di comprendere e fare? b) Cosa è meritevole e degno di essere compreso in profondità? c) Quali comprensioni solide e durevoli si desidera che vengano acquisite? Dal momento che per la ristrettezza del tempo a disposizione o per altre ragioni 21 è obbligato a compiere delle scelte, cioè a stabilire delle priorità rispetto ai contenuti da svolgere, il formatore può trovare utile per le esigenze di selezione tener conto di queste domande/guida: a) Fino a che punto questa idea, o questa conoscenza o abilità rappresenta una co- sa “essenziale” e possiede un valore durevole fuori del luogo di formazione? b) Fino a che punto questa idea, questa conoscenza o abilità, oppure questo tema/ar- gomento appartiene al nucleo centrale dell’apprendimento della professione? c) Fino a che punto questa idea, questa conoscenza o abilità, oppure questo tema/ar- gomento richiede maggiore chiarezza e comprensione? d) Fino a che punto questa idea, questa conoscenza o abilità, oppure questo tema/ar- gomento è potenzialmente in grado di coinvolgere gli allievi? Seconda fase: Determinare le evidenze di accettabilità Quando si pianifica come raccogliere le prove di un apprendimento profondo, pur potendo ricorrere a una varietà di strumenti formali e informali (osservazioni e dia- loghi, prove tradizionali, compiti di prestazione e progetti, come anche le autovalu- tazioni degli allievi raccolte in un arco di tempo), sarebbe bene che le unità di ap- prendimento venissero ancorate a compiti di prestazione autentica oppure a proget- ti che forniscono informazioni riguardo a se gli allievi sono in grado di utilizzare le proprie conoscenze in un contesto nuovo e reale. Questa fase richiede che il formatore risponda alle seguenti domande: a) Che cosa consentirà di sapere se gli allievi hanno realizzato i risultati desiderati e soddisfatto gli standard? b) Quali evidenze si accetteranno di un elevato livello di apprendimento e padronanza degli allievi? La risposta a queste domande implica che il formatore definisca con precisione: a) la prestazione autentica finale dalla quale potrà inferire l’avvenuto apprendimento; b) la modalità di valutazione della prestazione autentica1 finale che accerta un ap- prendimento profondo. Terza fase: Pianificare la sequenza di esperienze di istruzione e di apprendimento Dopo aver identificato i risultati e gli accertamenti desiderati, il formatore affronta i dettagli della pianificazione didattica – scelta dei metodi, sequenza delle lezioni, materiali di riferimento. Avere chiaro l’obiettivo aiuta a centrare la progettazione e a guidare gli interventi verso i risultati voluti: determinare le esperienze di appren- 1 Per prestazione autentica si intende una prestazione connessa essenziale da apprendere. Essa, per il fatto di essere “contestualizzata” in un problema reale, di essere complessa, di offrire possibilità diverse di soluzione, di richiedere la ricostruzione/rielaborazione delle conoscenze, consente di esprimere un giudizio di apprendimento e comprensione profonda, oltre che un giudizio predittivo perché ciò che viene appreso è verificato su e in una situazione analoga ad una reale. 22 dimento, definire i bisogni, gli interessi, i livelli evolutivi, le conoscenze e le abilità pregresse degli allievi, elaborare questionari veloci, osservazioni dirette, ed autova- lutazioni per controllare il processo di apprendimento. Le domande guida di questa ultima fase della progettazione a ritroso che il for- matore dovrebbe porsi, sono le seguenti: a) Di quali conoscenze (fatti, concetti e principi) e abilità (procedure) fondamenta- li avranno bisogno gli allievi per realizzare efficacemente ciò che è loro richie- sto, e per raggiungere i risultati desiderati? b) Quali attività forniranno agli allievi le conoscenze e le abilità necessarie? c) Cosa sarà necessario insegnare e accompagnare (coach), e qual è il modo migliore di insegnarlo alla luce degli scopi di prestazione? d) Quali sono i materiali e le risorse più adatte per realizzare tali scopi? Quanto è stato fin qui illustrato dalla metodologia della progettazione “a ritroso” è raccolto in queste schede, che un formatore potrebbe utilizzare ogni volta che si appresta a preparare una prestazione autentica. ➀ Qual è lo scopo che si intende raggiungere? ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... Quale comprensione/apprendimento si desidera? ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... Quale tipo di prestazione autentica dimostrerà che l’obiettivo di comprensio- ne/apprendimento desiderato è stato raggiunto? ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... 23 Come sarà valutata la prestazione in modo che si sia certi che l’apprendimento è avvenuto? ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ➁ Quali domande essenziali guideranno il processo di insegnamento/apprendi- mento? ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... Quali conoscenze dovranno possedere gli allievi per realizzare il prodotto che è loro richiesto? ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... Quali abilità dovranno possedere gli allievi alla fine del processo di apprendi- mento? ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... 24 ➂ Come far sapere agli allievi dove si vuole arrivare? Come si può giustificare l’importanza di arrivare là? Come nel corso del processo si compieranno va- lutazioni sul percorso che stanno facendo? ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... Come agganciare l’interesse e l’entusiasmo degli allievi per ciò che viene lo- ro richiesto di fare? ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... Quali esperienze si proporranno agli allievi per aiutarli a comprendere meglio ciò che fanno e a realizzare con successo ciò che viene loro richiesto? ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... Come gli allievi avranno modo di riflettere e di tornare indietro, per riesami- nare ciò che stanno imparando? ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... 25 Come gli allievi potranno esprimere se hanno o non hanno compreso ciò che stanno apprendendo? ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... Come è possibile tener conto nel processo di insegnamento/apprendimento del- le diverse capacità che ogni singolo allievo può mostrare rispetto ad un altro? ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... Come si farà perché gli allievi a poco a poco passino da un apprendimento sol- lecitato, sostenuto, guidato dal formatore ad uno indipendente? ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... 4.2. Apprendimento fondato sul progetto In genere, l’approccio tradizionale all’apprendimento si focalizza soprattutto sul- la padronanza del contenuto, molto meno sullo sviluppo di abilità e sulla crescita di atteggiamenti per la ricerca. Il sistema prevalente di istruzione/educazione è “cen- trato sull’insegnante/formatore”, dispensatore/elargitore di informazioni su “ciò che è conosciuto”. I piani di lezione sono utilizzati per organizzare i vari passi del pro- cesso di apprendimento che coinvolge tutta la classe. La risposta più frequente alle domande che potrebbero determinare deviazioni dai piani è: “Lo vedremo più tar- di”. Buona parte della valutazione dello studente tende ad esaltare l’importanza del- 26 la “risposta corretta”. L’educazione tradizionale si preoccupa di aiutare molto di più gli allievi ad acquisire i contenuti disciplinari e a passare da un livello scolastico ad un altro che non ad “apprendere ad apprendere” per la vita. In ogni caso, la memorizzazione e la comprensione di fatti e di informazioni non sono le abilità più rilevanti nel mondo d’oggi. La formazione ha bisogno di andare oltre. In passato, forse, il successo dipendeva da quanto più uno sapeva; oggi, di- pende da quanto più sa lavorare “in un modo intelligente”. Nessuna persona potrà mai apprendere tutto, tuttavia potrà sviluppare al meglio le proprie abilità e alimentare gli atteggiamenti di ricerca che sono necessari per continuare a generare ed ad ar- ricchire la conoscenza lungo tutto l’arco della sua vita. Nell’educazione moderna, le abilità e la capacità necessarie per continuare ad apprendere – responsabilità per- sonale, pianificazione, pensare critico, ragionamento, creatività, capacità comuni- cative e sociali, comprensione interculturale, saper prendere decisioni, sapere “co- me” e “quando” usare la tecnologia, e saper scegliere lo strumento appropriato per il compito da svolgere – dovrebbero essere gli obiettivi più rilevanti da perseguire e realizzare. Questo complesso di obiettivi di formazione non si raggiunge con una qualunque metodologia tradizionale. È invece necessario ricorrere a metodologie che educhino abilità e atteggiamenti di riflessione, di flessibilità rispetto alla realtà in continuo cam- biamento. L’approccio fondato sulla ricerca è una di queste metodologie. È centrato sugli allievi, include il formatore nel ruolo di facilitatore dell’apprendimento, e dà più spa- zio a “come veniamo a conoscere” e meno a “che cosa conosciamo”. Si fonda sul principio che quanto più sono interessati e coinvolti attivamente in un’attività di ri- cerca, gli allievi troveranno facile costruire una conoscenza profonda (apprendono quasi senza sforzo quando qualcosa affascina gli studenti) e riflettere i loro interes- si e obiettivi. Uno dei modelli rappresentativi di questo approccio è l’apprendimento fondato sul progetto. Entro un contesto generale di ricerca, questo modello di insegnamento sollecita gli allievi a trovare soluzioni a problemi non banali, reali presenti nella lo- ro vita o nell’area professionale a cui si stanno preparando, chiede che precisino do- mande, dibattano idee, facciano previsioni, traggano conclusioni, comunichino idee e scoperte ad altri, pongano nuove domande e, infine, creino manufatti (ad esempio, modelli, resoconti, videoregistrazioni, prodotti o programmi multimediali, ecc.). Il modello esclude attività, esercizi e pratiche brevi, lezioni su contenuti frammentati e isolati, mentre enfatizza attività a lungo termine, interdisciplinari, centrate sull’al- lievo, integrate e contestualizzate in problemi e pratiche del mondo reale. Questo orien- tamento non prescinde dal contenuto o dagli obiettivi del curricolo, ma propone che gli obiettivi, i contenuti, gli scopi, le abilità, i prodotti e i processi si integrino in mo- do da sollecitare decisioni e responsabilità dell’allievo, che l’apprendimento dei con- tenuti sia finalizzato allo sviluppo del programma, ma costituisca la condizione per portare a termine il progetto, e che presenti i caratteri di complessità in modo da ri- chiedere collaborazione tra i partecipanti. Quando si elabora un progetto è importante innanzitutto definire a quale livello si desidera che l’allievo conosca qualcosa (dimostri di saper utilizzare una conoscenza) 27 o padroneggi un’abilità (sappia fare qualcosa). Poi pensare come coinvolgere l’al- lievo nella pianificazione del processo che conduce agli obiettivi definiti. Un aspet- to da non trascurare è quello di “far sentire o percepire” di essere “responsabili” del lavoro. Solo a questa condizione gli allievi diventeranno veramente attivi, manter- ranno l’impegno e lo alimenteranno. È importante che nel progetto siano integrate o incluse quante più conoscenze e abilità è possibile. A motivo della ricchezza e di pro- spettive introdotte o della complessità del lavoro, il formatore dovrà essere pronto a sviluppi anche imprevedibili man mano che il progetto avanza. Dopo aver pensato a come sensibilizzare e responsabilizzare gli allievi verso il progetto, il formatore crea uno schema di processo. A questo scopo gli può essere utile analizzare ciò che gli allievi dovrebbero apprendere lungo il percorso in termi- ni di conoscenze e di abilità, decidere se il lavoro sarà svolto completamente nel cen- tro di formazione o in parte a casa, e quanto tempo prevede per ogni cosa da fare. Il programma di lavoro sarà molto più facile ed efficace se sarà guidato da una “do- manda essenziale” (o più di una) che deve catalizzare l’attenzione del formatore e degli allievi. Si tengano in mente alcuni suggerimenti. La “flessibilità” deve essere il tratto ca- ratteristico del formatore. Egli deve essere flessibile, sia per far fronte a difficoltà im- previste, che per aiutare gli allievi a finalizzare i loro pensieri, le loro scoperte, e le loro valutazioni, oltre che a scegliere strade diverse da quelle inizialmente ipotizza- te. Tuttavia è bene che non consenta che essi si discostino dallo scopo o dall’obiet- tivo del progetto. Qualora lo facessero, dovranno darne giustificazione. Spesso i ra- gazzi nelle prime fasi del processo tendono a non programmare il loro tempo, e non percepiscono i limiti entro i quali devono organizzare le attività, le discussioni, la ri- cerca. Può sembrare semplice o scontato, ma è importante che il formatore chieda loro (entro uno schema più generale che egli stesso può preparare) di fare una sca- letta del tempo più definita e precisa, e l’affidi alla responsabilità di qualcuno. L’ultima cosa a cui dovrà rivolgere l’attenzione prima di iniziare il lavoro sarà quella di rendere chiare le aspettative. A questo punto può incominciare a svolgere il suo ruolo, che sarà soprattutto di “guida”, di “facilitatore” e di “stimolatore”. Ciò significa che egli più che rimanere assente, parteciperà dall’esterno, interrogherà gli allievi su ciò che stanno facendo, suggerirà fonti e risorse, porrà domande. 28 ➀ COMINCIARE AVENDO IN MENTE LA FINE Titolo del progetto: ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... Classe: Area formativa/UF/UdA/Argomento: ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... Indicare sinteticamente il tema o le “grandi idee” che questo progetto con- tiene: 1. ...................................................................................................................... 2. ...................................................................................................................... 3. ...................................................................................................................... 4. ...................................................................................................................... 5. ...................................................................................................................... 6. ...................................................................................................................... Identificare le abilità chiave che gli allievi dovranno apprendere in questo pro- getto e quali (da due a quattro) si intendono verificare: 1. ...................................................................................................................... 2. ...................................................................................................................... 3. ...................................................................................................................... 4. ...................................................................................................................... Identificare le disposizioni (solo una o due) che gli studenti praticheranno in questo progetto: 1. ...................................................................................................................... 2. ...................................................................................................................... Descrivere i risultati che si intendono raggiungere con il prodotto costruito in questo progetto: ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... 29 ➁ INDICARE LA “DOMANDA ESSENZIALE” CHE GUIDA Si formulino le domande essenziali di (o il problema generale sottostante a) questo progetto: (La formulazione delle domande essenziali dovrebbe contenere tutto il contenuto del progetto, i risultati che si intendono raggiungere, e l’idea su cui si concentra la ricerca degli allievi) ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... Si verifichi quanto si è scritto ponendosi questa domanda: “Si fa riferimento a un problema au- tentico o a una domanda significativa che coinvolge gli allievi e richiede la conoscenza e le abilità essenziali che si vogliono conseguire con questo progetto?”. ➂ SVILUPPO DEL PROCESSO DEL PROGETTO PREVISTO Riflettendo su quello che dovrà essere prodotto, e su quali conoscenze e abi- lità sono necessarie, quando e dove gli allievi apprenderanno ciò di cui han- no bisogno per portare a termine il compito? Conoscenze necessarie: 1. ...................................................................................................................... 2. ...................................................................................................................... 3. ...................................................................................................................... 4. ...................................................................................................................... 5. ...................................................................................................................... 6. ...................................................................................................................... Abilità necessarie: 1. ...................................................................................................................... 2. ...................................................................................................................... 3. ...................................................................................................................... 4. ...................................................................................................................... 5. ...................................................................................................................... 6. ...................................................................................................................... Gi à a pp res e Ins eg na te pr im a di ini zia re il p rog ett o Da in seg na re du ran te l’e sec uzi on e d el pro ge tto 30 Se gli allievi dovranno lavorare in gruppo, ci si chieda: Dispongono della abilità sociali di col- laborazione? Se no, come si supplirà a questi limiti? Saranno attribuiti dei ruoli? Si insegne- ranno delle abilità? Saranno gli allievi controllati su queste abilità? ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... ........................................................................................................................... Preparare una mappa o un flowchart delle attività, delle risorse, dei tempi, del- le difficoltà, dei punti di arrivo e dei prodotti intermedi che si prevedono per giungere alla conclusione. Azioni Risorse 1. ...................................................................................................................... ...................................................................................................................... 2. ...................................................................................................................... ...................................................................................................................... 3. ...................................................................................................................... ...................................................................................................................... 4. ...................................................................................................................... ...................................................................................................................... In quali momenti gli allievi lavoreranno in modo collaborativo? Quanto tempo sarà richiesto? Quanti giorni? Il progetto sarà totalmente eseguito nel tempo di formazione o anche in altri tempi? Gli allievi quando lavoreranno da soli, e quando in gruppo? Il processo consentirà loro di apprendere quello che si vuole che apprendano? ➃ COME SARÀ VALUTATO IL PRODOTTO Preparazione (possibilmente discussa o predisposta con gli studenti) dei cri- teri secondo i quali sarà valutato il prodotto (il progetto) richiesto agli allievi. (Per questo punto, si veda il paragrafo sulle rubriche di valutazione). A questo punto ci si potrebbe chiedere: Ma “quando” o “dove” nel processo gli allievi apprendono? Un vero “progetto” dovrebbe “esigere” dagli studenti l’esecu- zione di una lunga serie di processi: fare ipotesi, preparare immagini, disegni, tabelle, grafici, consultare testi, formulare ragionamenti, trarre inferenze, provare, corregge- re, precisare, focalizzare, sintetizzare, assemblare, collaborare, prendere decisioni, ecc. È intuitivo che tutti questi processi non possono avere un ordine prefissato e appli- cabile a ogni progetto di lavoro. Spesso essi sono, nello stesso progetto, imprevedi- bili, si può pure dire caotici, ma nell’insieme anche ordinati perché diretti verso lo scopo che il progetto intende perseguire. Se ripetuti, tentati, ricontrollati, connessi, ripresi, i vari processi portano all’uso, 31 al trasferimento e al riadattamento della conoscenza, e contribuiscono allo sviluppo per progressive approssimazioni non solo della conoscenza ma anche del processo che è usato e applicato. Il formatore non deve considerare questa intensa attività co- me “perdita di tempo”, ma come “apprendimento”. Infatti gli allievi apprendono cer- cando informazioni e riformulandole ad un compagno, eseguendo una parte del la- voro, sintetizzando o preparando un disegno, facendo una relazione e discutendo- la/confrontandola con quella preparata da un compagno, provando e/o riprovando una nuova strada di soluzione, ecc. 4.3. L’apprendimento fondato sui problemi L’apprendimento fondato su problemi è un altro modello di insegnamento/ap- prendimento che sembra in linea con le esigenze della valutazione di una prestazio- ne autentica. Come modello di istruzione specifico è stato implementato inizialmente nella for- mazione di medici nei primi anni ’70. È fondato su problemi autentici sui quali gli allievi lavorano. Barrows e Tamblyn, (1980), citati in Delisle, (1997) l’hanno così riassunto: a) Il problema è proposto all’inizio della sequenza di apprendimento, prima che av- venga qualsiasi preparazione o studio. b) La situazione problematica è presentata allo studente nello stesso modo in cui si presenterebbe nella realtà. c) Lo studente lavora al problema in un modo da permettere alla sua abilità di ra- gionare e applicare la conoscenza di essere sfidata e valutata, in modo appropriato al suo livello di apprendimento. d) Le aree di apprendimento devono essere identificate nel processo di lavorare al problema, e devono essere usate come guida per uno studio individualizzato. e) Le abilità e la conoscenza acquisite con questo studio sono riapplicate al proble- ma, per valutare l’efficacia dell’apprendimento e per rinforzarlo. f) L’apprendimento che si verifica nel lavorare al problema e nello studio indivi- dualizzato è riassunto e integrato nella conoscenza e nelle abilità esistenti dello studente. Il modello, come il precedente fondato sul progetto, pone al “centro” del processo di apprendimento l’allievo, nel senso che selezionando problemi o situazioni pro- blematiche che possono assumere per lui importanza o rilevanza, lo coinvolge e l’im- pegna nella loro soluzione. Alcuni studiosi sostengono che gli allievi non sanno che cosa sia per loro rilevante o importante. A questa osservazione critica i sostenitori del modello rispondono ricordando che, gli allievi non sono dei “contenitori vuoti”, e che è sempre possibile trovare un aggancio a partire da ciò che sanno per incitare il loro interesse. Il processo di insegnamento/apprendimento si sviluppa lungo diverse fasi: a) Scelta e definizione di un problema rilevante o degno di essere affrontato. 32 b) Identificare ciò che si sa, che cosa si ha bisogno di sapere e le idee che si hanno. c) Raccogliere informazioni. d) Generare le possibili soluzioni, scegliere la più promettente. e) Provare a implementare la soluzione. f) Presentare la soluzione. g) Valutare la prestazione. a) Scelta di un problema rilevante o degno di essere affrontato, e preparare gli al- lievi ad affrontarlo. Per smuovere, coinvolgere e successivamente dirigere il processo di apprendimento, il problema da affrontare deve possedere alcune caratteristiche da curare con atten- zione: � Essere inserito in un contesto reale Il problema dovrebbe sfidare i ragazzi presentandosi come una situazione che ca- pita più o meno con una certa frequenza a chi pratica una professione. � Essere descritto in forma narrativa come un caso Il problema per avere l’aspetto di “realtà” deve presentarsi in una forma descrit- tiva con: contesto nel quale è inserito (ad esempio, lavori in un’azienda che ha un gi- ro di affari di... e i suoi clienti sono in prevalenza...), personaggi (lavori nell’ufficio marketing e pubblicità, il direttore generale si rivolge a te...), ruoli e rapporti tra le persone, prodotti da eseguire (devi presentare tre progetti di spesa..., due soluzioni possibili...), limiti di tempo (entro due ore di lavoro, entro tre giorni...), forma ese- cutiva (in una cartella in Word, oppure in file in power point, allegando la docu- mentazione...). � Essere vicino all’esperienza dell’allievo Sebbene sia molto simile ad una situazione reale, il problema deve essere abba- stanza vicino all’esperienza degli allievi e possedere requisiti di fattibilità. Deve su- scitare il desiderio di conoscere ma anche di sentirsi sfidati. � Essere complesso e sufficientemente mal definito Un problema deve stimolare/sollecitare la curiosità, la riflessione, la capacità di ragionamento, la creatività e avere possibilità diverse di soluzione. Per esso non esi- stono procedure o soluzioni giuste o sbagliate, ma soluzioni più o meno ragionevo- li, più o meno giustificate. b) Il problema, nel concreto, è spesso un “caso”. Ad esempio, un imprenditore che chiede di contenere i costi di produzione di un prodotto. Oppure, un circuito elettri- co dotato di diverse possibilità di uso, il progetto di copertina di un libro, la valuta- zione dei costi di produzione di tre diversi progetti di impianto elettrico, ecc. Que- sto modo di insegnare differisce da quello tradizionale per la direzione del processo di soluzione. Di solito l’insegnante/formatore “prima” illustra un concetto, sviluppa un contenuto, “poi” propone un problema da risolvere. La soluzione richiede l’ap- plicazione delle conoscenze fornite in precedenza. L’insegnamento/apprendimento 33 fondato su problemi è più induttivo: gli studenti apprendono mentre cercano di af- frontare un problema. c) Alla fase di acquisizione del problema segue quella della “comprensione”. Gli al- lievi devono provare a intravedere quale potrebbe essere la soluzione, esaminando le questioni da affrontare e le informazioni di cui hanno bisogno. Non è necessario (co- me avviene nella vita reale di fronte a un problema) che debbano “inventare”. L’im- portante, invece, è che trovino, raccolgano, riassemblino, inferiscano da informazioni note, ma anche reperiscano informazioni non note ma utili per affrontare adeguata- mente il problema. d) La “soluzione” è parzialmente dipendente dall’acquisizione e dalla comprensio- ne di conoscenze, richiede di relazionare conoscenze e di svolgere operazioni su di esse. Queste operazioni, se compiute dal formatore, non diventano processo di ap- prendimento dello studente. La forma tradizionale “spiegazione-applicazione al pro- blema”, non essendo così impegnativa come la forma “problema-ricerca della solu- zione”, spesso non produce l’apprendimento desiderato. In questo secondo caso gli allievi provano, tentano, sbagliano, vanno avanti, tornano indietro, verificano, van- no di nuovo avanti, ricercano nuove conoscenze, verificano lo sviluppo, ecc. Nel corso delle varie fasi del processo il formatore è costantemente presente. Le domande che più comunemente dovrebbe porre all’allievo sono: Quale problema hai in questo momento? Cosa hai bisogno di conoscere o di fare? Su quale idea, princi- pio o convinzione ti basi per procedere così? Che cosa ti fa pensare questo? Si sup- pone che queste domande renderanno l’allievo più riflessivo. E il formatore starà par- ticolarmente attento al processo più che al contenuto delle informazioni. Le abilità che sarà capace di implementare, correggere, sviluppare, giustificare, perfezionare per risolvere il problema sono la parte più importante che dovrà curare. Lo schema che segue riassume giustificazioni, principi e suggerimenti applicati- vi connessi all’uso del modello dell’apprendimento basato su problemi. 34 → → La ricerca dice che si appren- de meglio quando un nuovo apprendimento nasce da un conflitto tra la nuova cono- scenza e quella precedente. Il problema presentato in mo- do da sfidare la conoscenza precedentemente posseduta consente allo studente di ve- rificare i propri errori, i limi- ti della propria conoscenza, le assunzioni su cui si basa il suo agire e operare. Prima di assegnare il proble- ma o il compito è necessario verificare e poi sfidare le co- noscenze già possedute dallo studente. → → Una nuova conoscenza o abi- lità è appresa meglio ed è più a lungo ricordata se viene ap- presa dentro un contesto spe- cifico. Per comprendere più a fondo e ricordare più a lungo il con- tenuto è chiaramente e molto specificamente contestualiz- zato entro situazioni profes- sionali o esperienziali vicine a colui che apprende. Contestualizzare il problema, il caso o la situazione da ri- solvere in un contesto molto preciso e determinato. → → Un argomento o tema disci- plinare collocato nella vita rea- le dà modo di verificare le pro- prie strategie di soluzione di problemi. I problemi ambigui e com- plessi richiedono riflessione metacognitiva. Scegliere problemi che ri- chiedono molti processi co- gnitivi di livello elevato come, ad esempio, analizzare, con- frontare, assemblare cono- scenze diverse, valutare, tro- vare nuova conoscenza. → → La ricerca dimostra che il pic- colo gruppo stimola l’uso di molti processi mentali come spiegare, comprendere, moti- vare, assumere altre prospet- tive, consente anche di svi- luppare ed acquisire abilità so- ciali. La collaborazione di gruppo educa alla collaborazione co- me anche all’interdipendenza. Predisporre problemi che ri- chiedono una pluralità di ruo- li, di fasi, l’uso di strategie e di intelligenze diverse, la dis- tribuzione di informazioni, la responsabilità nei confronti degli altri e la necessità di ne- goziare posizioni e opinioni diverse. Motivazione L’importanza e l’interesse so- no motivatori di grande rile- vanza perché spingono lo stu- dente verso il punto di arrivo. Principio applicativo L’apprendimento deve essere centrato sull’allievo ed avere carattere esperienziale Implementazione Scegliere un problema auten- tico che faccia riferimento ad un argomento centrale all’area formativa o a più di un’area formativa. Verificare che sia interessante. La ricerca indica che si rag- giunge una comprensione “più profonda” di un contenuto quando si incontra l’informa- zione in un contesto molto si- gnificativo. L’apprendimento induttivo è più significativo per lo stu- dente di quello deduttivo. Introdurre la conoscenza da apprendere attraverso il pro- cesso di soluzione del proble- ma, invece di introdurre que- sto dopo l’apprendimento o l’introduzione della cono- scenza. → → → → 35 4.4. Conclusione Le diverse metodologie suggerite pur essendo diverse tra loro e allineandosi ver- so la costruzione di un prodotto autentico da collocare e inserire nel portfolio descrivono un modo diverso anche di fare formazione. Formatore • È meno “colui che sa e sta in cattedra”. Allievo • È più responsabile e centrato sul proprio la- voro di apprendimento. • È più “colui che organizza” situazioni con ricche possibilità di apprendimento. • È meno passivo nel ricevere le conoscenze e le soluzioni dei problemi. • Si affida meno al curricolo e al libro. • È più una persona che apprende ricercando informazioni, confrontando comprensioni, ela- borando sintesi, applicando conoscenze. • Si affida di più al processo di apprendimento in cui gli interrogativi, i problemi da risolvere e l’organizzazione di situazioni stimolano la ricerca di conoscenze e l’uso di abilità. • È meno una persona che ripete e memoriz- za ciò che gli è stato detto di sapere. • È meno la risorsa principale a cui ricorrono gli studenti per avere informazioni e spere cosa devono fare. • Fa più affidamento sulle proprie risorse, sul- la collaborazione dei compagni e sui materiali, sulle fonti e sulle tecnologie di cui dispone. • Predispone di più attività nelle quali gli al- lievi raggiungendo un obiettivo apprendono. • Ha meno una visione astratta, superficiale e decontestualizzata della conoscenza. • È meno rigidamente limitato ai contenuti del testo scolastico. • Lavora di più su materiali diversificati, a se- conda delle necessità, e su fonti di prima mano. • Sa più indicare dove gli allievi possono tro- vare ulteriori informazioni o materiali da con- sultare. • È meno sicuro riguardo a dov’è e qual è la conoscenza di cui ha bisogno. • Si limita meno a che l’allievo apprenda il mi- nimo sufficiente. • Impara di più elaborando, risolvendo pro- blemi mal definiti o situazioni reali. • Ha più abilità nel predispone attività e pre- stazioni autentiche contestualizzate in problemi reali. • Ha meno una visione astratta e “incapsula- ta” della conoscenza appresa nel contesto sco- lastico. • È meno il “centro” della classe e dell’ap- prendimento degli allievi. • È più il “centro” della classe e dell’appren- dimento lavorando meno da solo. • Ha più un ruolo di guida, di stimolo, di su- pervisore. • È meno uno che lavora da solo, ma, ora da solo, ora in gruppo, condivide con gli altri la sua responsabilità. • È più guida, facilitatore, provocatore di ul- teriori riflessioni. • È meno deresponsabilizzato, ricettivo, fa me- no affidamento sulle risorse dell’insegnante. • È meno “insegnante che spiega”. • È più responsabile della ricerca delle cono- scenze e delle informazioni di cui ha bisogno per risolvere un problema o realizzare un progetto. 36 5. LE RUBRICHE: VALUTAZIONE DELLA PRESTAZIONE AUTENTICA La valutazione è un momento importante per verificare fino a che punto le cono- scenze e le abilità sono state acquisite “in profondità”, o sono in qualche modo an- cora incerte, ambigue e imprecise. Il processo deve essere coerente con la prestazione richiesta, ma soprattutto pri- vo dei limiti e dei problemi denunciati dalla valutazione tradizionale. Poiché la conoscenza e le abilità si concretizzano in una prestazione, e la presta- zione non corrisponde più alla riproduzione pura e semplice di ciò che è contenuto nel testo scolastico, o proposto direttamente dall’insegnante/formatore, è necessario ricorrere a una nuova modalità di valutazione. Questa nuova modalità ha luogo attraverso una descrizione qualitativa delle “co- se” che sono state eseguite, accompagnata da una focalizzazione particolare sulle abi- lità o sugli aspetti a cui si dedica l’attenzione maggiore. Le “rubriche” sono un elenco di indicatori attraverso i quali si raccolgono in- formazioni rispetto a una prestazione o a un livello di competenza raggiunto. I bi- sogni di informazione, tuttavia, possono essere diversi. Se la valutazione riguarda un elettricista, si può essere interessati a sapere fino a che punto è capace di in- stallare gli impianti elettrici, oppure di riparare gli elettrodomestici, oppure anco- ra di garantire la manutenzione degli impianti industriali. Si può anche sapere se in questi ultimi due o tre anni abbia migliorato o no la propria competenza. In qual- che altro caso si potrebbe avere interesse a sapere se è un bravo elettricista o solo un “buon” elettricista. Le stesse considerazioni sarebbero valide per qualsiasi al- tro operaio specializzato, come un tornitore, un fresatore, o un riparatore. Le in- formazioni che si raccolgono dipendono sia dallo “scopo” che dallo “strumento” utilizzato per raccogliere. È intuitivo che sia una singola prestazione che una serie di prestazioni tutte del- lo stesso tipo (ad esempio, nel caso della formazione professionale, eseguire al tor- nio un pezzo con determinate caratteristiche) non consentano di esprimere un giu- dizio complessivo (relativamente all’esempio proposto, sull’abilità in meccanica). Pertanto sembra evidente che certi giudizi richiedano una raccolta di prestazioni, anche se è sempre possibile dare un giudizio su una data (“quella”) prestazione, e che il modo di raccogliere le informazioni dipende dal tipo di giudizio che deve essere espresso. Da quello che abbiamo detto, si può aver bisogno di esprimere giudizi che rispondono essenzialmente a questi interrogativi: 1) Come valutare una singola prestazione? 2) Come valutare il miglioramento? 3) Come valutare complessivamente un insieme di prestazioni diverse? 5.1. Come valutare una singola prestazione Se non ha improvvisato una prestazione autentica, il formatore ha scelto un cer- to tipo di lavoro per osservare alcune abilità o alcuni processi, o la comprensione di qualche conoscenza. Se è così, questi aspetti costituiscono le “dimensioni” attraver- so le quali raccogliere informazioni sugli allievi. In genere, le dimensioni rappresentano 37 Solo dopo che si è costruito uno schema-guida come quello proposto, il forma- tore può preparare una rubrica di valutazione. Per fare questo, egli deve costruire una scala di variazione della competenza (ad esempio, da ottimo a iniziale) per ogni di- mensione scelta. Tuttavia prima di dare inizio alla costruzione della scala, è importante che stabi- lisca il tipo di rubrica che intende utilizzare. Per questo è bene che si ponga le se- guenti domande: è una rubrica analitica? È una rubrica di miglioramento? È una ru- brica olistica? È una rubrica generica? a) La rubrica analitica si usa quando si vogliono esaminare specifiche abilità nella prestazione autentica che è stata data. Nell’esempio sopra riportato, il formatore po- trebbe voler valutare l’allievo sulle singole dimensioni: funzionamento, progetto, spe- sa e presentazione del prodotto. È possibile infatti che un allievo possa presentare delle variazioni di competenza per ogni singola dimensione, e quindi può essere im- portante conoscere l’andamento di tali variazioni. Una rubrica analitica fa riferimento delle misure molte ampie che possono essere ulteriormente precisate da criteri, de- scrittori e indicatori. Ad esempio, si supponga che il formatore voglia valutare l’esecuzione di un im- pianto elettrico da parte di un allievo. Che cosa dovrà osservare, e come dovrà rac- cogliere informazioni sulla qualità di ciò che ha fatto? Osservando lo schema proposto più sotto, si potrebbe pensare che assuma come “dimensioni”: la funzionalità, il progetto, la spesa e la presentazione del prodotto, e che quindi specifici ulteriormente (come indicato) gli altri componenti: criteri, de- scrittori ed indicatori. Relazione Presentazione del prodotto Terminologia tecnica Comunicazione Informazioni chiare e corrette per illustrare il lavoro svolto Comprensibilità PreventivoSpesa Scelta materiali da catalogo Calcolo Scelta dei materiali in base alle loro caratteristiche tec- niche Esecuzione dei calcoli Schema elettricoProgetto Simbologia Scritte Impaginazione Cartiglio Correttezza Leggibilità Centratura Completezza Normativa Tempo Funzionamento Cablaggio a regola d’arte Limiti di tempo Bloccaggio terminale Lunghezza dei cavi nelle sca- tole Spellatura/Riduzione sezione Scelta cavo Variazioni attorno al tempo stabilito CriterioDimensione Descrittore Indicatore 38 alle singole dimensioni. Ha il vantaggio di essere molto precisa, ma non consente di dare una valutazione complessiva (olistica) della prestazione. Si può supporre che il formatore prepari una griglia del tipo seguente: Funzionamento � L’impianto è costruito secondo le norme vigenti. Le varie operazioni riguar- danti il bloccaggio terminale, la lunghezza dei cavi nelle scatole, la spellatu- ra/riduzione sezione, scelta cavo sono eseguite correttamente e nella forma mi- gliore. � Il tempo di esecuzione è entro i termini prefissati o anche inferiore. Progetto � Lo schema del circuito è corredato di tutti gli elementi che lo rendono chia- ro e leggibile. • Simbologia completa. • Le scritte sono nella giusta grandezza e facilmente leggibili da un lettore normale. • Il disegno si trova al centro del foglio e di grandezza proporzionale. • Il cartiglio di spiegazione è completo di tutti gli elementi che richiedono una spiegazione. Spesa/preventivo � Dimostra di aver consultato diversi cataloghi e di aver scelto il materiale più adatto all’impianto da eseguire. � Il calcolo della spesa è corretto e presenta diverse opzioni possibili di acqui- sto pur rimanendo entro le spese del preventivo. Presentazione � Il lavoro si presenta con un linguaggio descrittivo corretto sia nella lingua che nella completezza degli elementi che caratterizzano l’impianto. � Il linguaggio è essenziale, completo e comprensibile anche da chi non dis- pone di tutto il linguaggio tecnico specifico. Funzionamento � L’impianto è costruito secondo le norme vigenti, ma non in modo rigoroso. Le varie operazioni riguardo ai bloccaggi terminali, alla lunghezza dei cavi nel- le scatole, alla spellatura/riduzione sezione, alla scelta cavo sono eseguite in mo- do sostanzialmente corretto ma non nella forma migliore. � Il tempo di esecuzione è entro i termini prefissati o di poco superiore. Progetto � Lo schema del circuito è corredato degli elementi che lo rendono leggibile ma non completo: • La simbologia manca di qualche elemento o riporta qualche errore. • Le scritte sono leggibili da un lettore normale ma non in un formato tecnico. • Il disegno si trova al centro del foglio ma non occupa bene lo spazio dispo- nibile. • Il cartiglio di spiegazione è completo negli elementi essenziali ma qualcuno è stato dimenticato. Spesa/preventivo � Dimostra di aver consultato un catalogo e di aver scelto il materiale preoc- cupandosi di rimanere nel preventivo, senza però evidenziare possibili opzioni diverse. � Il calcolo della spesa non è corretto di poco, ma rimane entro il preventivo richiesto. Buono Ottimo 39 Presentazione � Il lavoro si presenta con un linguaggio descrittivo incompleto di alcuni aspet- ti che caratterizzano l’impianto. � Il linguaggio è essenziale, ma non sempre comprensibile. Funzionamento � L’impianto non è costruito secondo le norme vigenti. Sono presenti varie vio- lazioni importanti della normativa sia per quanto riguarda i bloccaggi termina- li, la lunghezza dei cavi nelle scatole, la spellatura/riduzione sezione, la scelta cavo. � Il tempo di esecuzione è di parecchio oltre i termini prefissati e non completo. Progetto � Lo schema del circuito non è corredato di tutti gli elementi che lo rendono chiaro e leggibile: • La simbologia è incompleta e talvolta non corretta. • Le scritte sono incomplete e parzialmente leggibili. • Il disegno utilizza male lo spazio disponibile. • Il cartiglio di spiegazione è incompleto. Spesa/preventivo � Ha consultato il catalogo ma non ha scelto il materiale corretto e più adatto � Il calcolo della spesa è scorretto e non rimane entro il preventivo. Presentazione � Il lavoro si presenta con un linguaggio descrittivo non corretto e incompleto � Il linguaggio è incomprensibile o richiede più letture e molto sforzo per es- sere compreso. In questo caso il formatore ha costruito una rubrica su una scala a tre livelli. Se volesse, potrebbe anche introdurre un ulteriore livello. Tuttavia, l’importante è no- tare che la rubrica esamina le “singole” abilità, e di ciascuna valuta il livello di com- petenza raggiunto. b) La rubrica olistica è utile quando emerge l’esigenza di una valutazione complessiva. Per fare questo, il formatore deve fare affidamento sulla conoscenza che possiede dei propri allievi, e sull’esperienza che ha maturato riguardo alle tappe evolutive del- l’acquisizione della professionalità in esame, per poi esprimere un giudizio integra- to, globale od “olistico” di tutte le dimensioni prese in considerazione. La domanda che il formatore deve porsi è di questo tipo: come posso “realistica- mente” descrivere un allievo che al punto di sviluppo di questa professionalità, non- ostante gli inevitabili limiti e difetti, potrebbe essere definito come “ottimo”, oppu- re come “buono”, oppure ancora “appena agli inizi”? La focalizzazione in questo ca- so non avviene nelle singole abilità, ma sull’insieme delle abilità in modo da forni- re una descrizione dello sviluppo della professionalità nel suo complesso. Si potrebbe immaginare, per esempio, che il formatore allo scopo di descrivere di un allievo “ottimo” in impiantistica elettrica ricorra a tutte le dimensioni esami- nate in quella analitica messe insieme. Lo stesso potrebbe fare per descrivere un al- lievo “buono” o “solo agli inizi”. Concretamente, tuttavia, questa descrizione corre- rebbe il rischio di essere molto teorica e astratta perché difficilmente un allievo sa- Solo all’inizio 40 rebbe in grado di svolgere tutte le dimensioni descritte a livello “ottimo”, o a quel- lo di “buono” o di “solo agli inizi”. Per dare una descrizione “realistica”, il forma- tore dovrà porre alcune correzioni attingendo alla sua esperienza ricordando l’allie- vo migliore che può aver avuto. Avendo queste premesse chiare in mente, egli potrebbe tentare questa descri- zione: Conosce e sa svolgere tutte le operazioni necessarie per eseguire un impianto elettrico anche se non tutte ancora con sicurezza e automaticità. Costruisce l’impianto seguendo la maggior parte delle norme vigenti. Le varie operazioni che riguardano il bloccaggio terminale, lunghezza dei cavi nelle sca- tole, la spellatura/riduzione sezione, la scelta cavo sono eseguite correttamente in una forma più che accettabile. Nell’esecuzione del progetto è attento a tutti elementi essenziali di simbologia e alle spiegazioni sul cartiglio. Nell’esecuzione del progetto di impianto consulta il catalogo e i prezzi per fare un preventivo. Presenta il progetto con qualche imprecisione e non sempre con un linguaggio tecnico appropriato e corretto. Osservazioni: ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. Conosce e svolge tutte le operazioni necessarie per eseguire un impianto elet- trico, ma alcune di esse hanno ancora bisogno di essere sviluppate. Costruisce l’impianto adeguandosi alla maggior parte delle norme vigenti. Tut- tavia alcune operazioni come il taglio della lunghezza dei cavi nelle scatole, la spellatura/riduzione sezione hanno ancora bisogno di esercizio per raggiunge- re una forma più che accettabile. Nell’esecuzione del progetto è attento a indi- care tutti gli elementi essenziali di simbologia e a raccogliere tutte le spiega- zioni sul cartiglio. Per disattenzione ne trascura alcuni importanti. Nell’esecu- zione del progetto di impianto consulta il catalogo e i prezzi per fare un pre- ventivo. Presenta il progetto con imprecisioni e con un linguaggio tecnico non preciso anche se comprensibile. Osservazioni: ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. Conosce solo alcune operazioni necessarie per eseguire un impianto elet- trico. È troppo distratto e approssimativo nell’esecuzione di alcune opera- zioni. Costruisce l’impianto non seguendo le indicazioni delle norme vigenti. Le va- rie operazioni che riguardano il bloccaggio terminale, la lunghezza dei cavi nel- le scatole, la spellatura/riduzione sezione, la scelta cavo sono eseguite veloce- mente e in modo approssimativo per la preoccupazione di finire in fretta. Nel- l’esecuzione del progetto dimentica di indicare vari elementi essenziali di sim- bologia e le spiegazioni sul cartiglio. Nell’esecuzione del progetto di impianto consulta il catalogo e i prezzi ma non sa fare un calcolo preventivo dei costi. Presenta il progetto con imprecisioni e con un linguaggio tecnico impreciso e senza la cura dovuta. Osservazioni: ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. ............................................................................................................................. Appena agli inizi Buono Ottimo 41 Come si vede la rubrica olistica usa elementi descrittivi della rubrica analitica, ma è più discorsiva al fine di fornire un’idea di sviluppo complessivo della profes- sionalità. In questo caso essa descrive immaginariamente tre fasi di sviluppo della professionalità dell’allievo nel fare impianti elettrici. Le tre categorie sono ideali in quanto nessun allievo “cade” esattamente in una di esse. Tuttavia costituiscono un punto di riferimento per indicare uno sviluppo ot- timale, medio e solo iniziale della professionalità. c) La rubrica di miglioramento può essere una rubrica analitica (quasi sempre) o una rubrica olistica sulla quale si evidenzia il progresso compiuto dall’allievo. In questo caso le prestazioni devono essere dello stesso tipo in modo da poter essere valutate sulle stesse dimensioni e sugli stessi indicatori. La rubrica di una prestazione prece- dente e quella dell’ultima vengono confrontate e dal confronto si può rilevare dove e di quanto si sia verificato un miglioramento. Le rubriche di miglioramento sono utili soprattutto per sviluppare ogni singola abilità, ma anche la professionalità complessiva dell’allievo. Nel percorso formati- vo possono essere consegnate all’inizio dell’anno o di una fase significativa di esso, e rimangono alla conclusione del periodo. In teoria, per il portfolio, una prestazione autentica con un giudizio “insufficien- te” potrebbe essere accompagnata da una successiva nella quale l’allievo dimostra di aver ricuperato e migliorato tutti gli aspetti. Il confronto tra le due (una eseguita, ad esempio, all’inizio d’anno e l’altra alla fine) consentono di “vedere” come si è sviluppata la competenza dell’allievo. La stessa suddivisione di rubriche, ma ad un altro livello, può essere compiuta per la valutazione “finale” del portfolio. Nel caso di un portfolio “disciplinare”, si potrebbe costruire una rubrica “olistica” sulla disciplina valutando l’insieme delle pre- stazioni raccolte. Nel caso invece di un portfolio complessivo e finale si dovrà pen- sare a una rubrica olistica che valuti le prestazioni raccolte per tutte le discipline. Su questo aspetto però non ci dilunghiamo. Nello “Scenario” proposto più avanti è in- cluso un esempio di Rubrica Olistica del Portfolio. Essa è da intendere come siste- ma di criteri con cui valutare tutto il portfolio preparato dallo studente. 6. CONCLUSIONE Giunti alla fine della lettura di questa breve guida, si può essere presi dalla sen- sazione di trovarsi immersi in una stanza buia, e che qualcuno, che invece vede e sa, ce la descrivesse. In breve, è molto probabile che i lettori/formatori, a cui questa gui- da è rivolta, possano essere assaliti da dubbi, incertezze e numerose domande a cui vorrebbero che si rispondesse. Stando così le cose, forse la cosa migliore da fare è cominciare a esplorare e fare esperienza della stanza “alla luce” di quanto è stato de- scritto. Un po’ alla volta la stanza diverrà familiare. È bene vincere la paura rischiando e scoprendo una cosa alla volta. 42 Il primo rischio da affrontare è quello di pensare a una prestazione autentica e poi costruire una rubrica di valutazione. Inizialmente questa decisione non influirà sul modo tradizionale di “fare scuola”: prima si insegna qualcosa e poi lo si valuta pro- ponendo una prestazione autentica. Solo più avanti ci si renderà conto che tra il modo in cui si continua ad insegna- re e la prestazione autentica non c’è “continuità” o allineamento. Il secondo passo sarà allora provare a introdurre un nuovo modo d’insegnare nella direzione di una prestazione autentica sia la “naturale” conseguenza. Questa sarà la conquista più pro- fonda, più radicale e difficile. Essa richiederà molto tempo, attenzione e riflessione, forse anche qualche insuccesso. Ma si dovrà persistere. Un passaggio ulteriore sarà costruire un progetto di formazione per un anno poi e per tre sui temi essenziali della disciplina e della professionalità in formazione. L’ultimo passo cruciale sarà riuscire a condividere tra tutti i formatori un piano “unitario” tale che gli interventi di ogni formatore si integrino con quelli di un altro, entro una “visione” unica e armonica di formazione dell’allievo. Questa è la grande sfida e la grande scommessa verso cui si è chiamati a diri- gersi. Il portfolio dell’allievo può essere a questo proposito uno strumento di gran- de aiuto. Capitolo II SCENARIO DI IMPOSTAZIONE DEL PORTFOLIO 45 1. IMPOSTAZIONE Giorgio, Adriana, e Livio sono tre formatori che il prossimo anno costituiranno il team di corso della prima meccanici nel Centro di Formazione Professionale ... Il corso ha una durata di 3 anni e ha come finalità principale .... Giovedì scorso 3 settembre si sono incontrati insieme al Direttore del Centro e al coordinatore di settore per stabilire l’orario delle discipline che saranno tra di loro suddivise per i prossimi tre anni. Il direttore ha stabilito che Giorgio, Adriana e Li- vio accompagneranno gli studenti per tutti e tre gli anni al raggiungimento della qua- lifica professionale. Oltre alla suddivisione delle aree formative, i tre formatori del team di corso e il direttore hanno deciso di affrontare il problema della nuova valu- tazione, che richiede l’utilizzo di un nuovo strumento alternativo denominato “Il mio portfolio”. Ogni studente del corso dovrà costruire durante tre anni un “portfolio” che avrà determinate caratteristiche. Nel corso dell’incontro, i formatori hanno deciso di da- re delle risposte ai seguenti interrogativi: 1) Che cosa è il portfolio per noi formatori? Che cosa è il portfolio per gli allievi? 2) Perché si utilizza il portfolio? 3) Quale tipo di portfolio vogliamo definire e scegliere di usare? 4) Come verrà costruito questo portfolio? 5) Da chi, e in che misura ognuno interviene? 6) Che cosa contiene il portfolio che ogni allievo dovrà costruire? 7) Quanto tempo alla settimana sarà dedicato dall’allievo in classe, da solo o con gli altri compa- gni di corso, e a casa per costruire il portfolio? 8) Qual è l’obiettivo principale che vogliamo raggiungere attraverso la costruzione del portfolio (raccogliere, valutare, far lavorare, far crescere...)? 9) ... Una delle prime attività che ha prodotto il team del corso è stata questa tabella, che illustra le intenzioni e gli obiettivi che i tre specifici gruppi di partecipanti (al- lievi, insegnanti e genitori) si propongono di raggiungere attraverso l’introduzione del portfolio dello studente. • Stimolare gli studenti ad assumersi le proprie respon- sabilità e a riflettere sul pro- prio apprendimento. • Assumere le proprie re- sponsabilità e riflettere sul proprio apprendimento. • Prendersi le proprie re- sponsabilità e la padronanza di sé e riflettere sul proprio ap- prendimento. • Ricuperare la motivazione e l’interesse per l’apprendi- mento. • Mostrare interesse per l’apprendimento. • Mostrare la crescita e il miglioramento degli studenti. Formatori Allievi Genitori 46 Un altro risultato dell’incontro è stato il seguente calendario di massima per sa- pere cosa fare durante il primo anno (almeno): Settembre 1) Introdurre il portfolio: suo significato e valore. 2) Definire la terminologia essenziale del portfolio: rubrica, prestazione autentica, miglioramento, documentazione, ... 3) Mostrare agli studenti un esempio di portfolio costruito con materiali di presta- zioni dagli anni precedenti. 4) Dare spiegazioni e fornire esempi. 5) Spiegare la rubrica finale del portfolio. Questo consentirà anche di spiegare qua- li sono gli obiettivi di fine anno. 6) Condividere il processo del portfolio con i genitori in una sezione assembleare a “porte aperte”. Formatori Allievi Genitori • Rendere pubblici gli obiet- tivi di fine anno e le rubriche di valutazione delle singole prestazioni. • Cominciare ad apprende- re ad autovalutarsi. • Informare sugli obiettivi e sul piano educativo dell’anno. Cercare di ottenere la loro par- tecipazione. • Predisporre l’insegna- mento in modo da realizzare un prodotto autentico. Quan- do sarà progettato, sarà con- trollato nei suoi aspetti di com- plessità, di sfida alle capacità dell’allievo, di interesse, di va- rietà e ricca possibilità di ap- prendimento. (Per la preparazione delle le- zioni servirsi delle Schede ri- portate sopra). • L’apprendimento dovreb- be migliorare attraverso la documentazione e la rifles- sione su prestazioni autenti- che. • Migliorare la conoscenza dell’apprendimento degli stu- denti attraverso la documen- tazione e la riflessione su pre- stazioni autentiche. • Sviluppare abilità sociali e di collaborazione. Le pre- stazioni autentiche compren- deranno sempre attività da svolgere in modo collabora- tivo. • Informare sulle proprie abilità relazionali. Disporre di rubriche di valutazione conti- nua sulle abilità sociali. • Fornire ai genitori esem- pi del progresso e dello svi- luppo degli studenti. • Focalizzare l’attenzione degli allievi sul miglioramen- to e sul processo di apprendi- mento. • Aiutare gli studenti a con- centrarsi sui propri punti di forza ma soprattutto sull’af- frontare i punti di debolezza. • Invitare una volta ogni tre mesi i genitori al Centro e in- formarli attraverso gli stessi al- lievi di ciò che hanno fatto. • Scegliere i temi centrali e le domande essenziali che devono guidare la formazione e l’apprendimento dell’anno. • Informare degli obiettivi e delle sfide dell’apprendimen- to che devono conseguire. In- formare sui temi e sulle do- mande centrali della profes- sionalità da apprendere. • Informare sulle abilità e conoscenze professionali es- senziali e sul lavoro, e sul la- voro e la vita. 47 Ottobre 1) Preparare prestazioni brevi, piuttosto semplici, e valutarle su rubriche per far com- prendere il sistema di valutazione. 2) Spiegare e definire ogni tipo di “immissione”.1 Mostrare esempi di immissioni. 3) Completare con tutta la classe la riflessione su una immissione da inserire nel port- folio per un compito. 4) Realizzare una unità di apprendimento da immettere nel portfolio insieme a tut- ta la classe e collocarla nel portfolio. 5) Conservare il lavoro dello studente nel portfolio. Novembre 1) Rivedere gli obiettivi del primo trimestre e progettare gli obiettivi per il secondo trimestre. 2) Definire che cosa si intende per “riflessione personale”. 3) Utilizzare l’analogia della conferenza che si fa al termine della partita per riflet- tere sulla prestazione compiuta. Fornire una prestazione “esemplare” su cui con- frontarsi. Gennaio 1) Avere almeno due compiti completi della scheda di riflessione e della rubrica. 2) Riflettere sugli obiettivi del secondo trimestre e fissare i percorsi da intraprende- re per raggiungerli. 3) Preparare un incontro con i genitori. Gli allievi dovranno preparare dei materia- li per dimostrare ai genitori ciò che hanno fatto e quanto hanno appreso. 4) Verificare la possibilità di far fare una prestazione autentica. Febbraio 1) Completare una prestazione autentica e la sua immissione. 2) Rivedere le rubriche e i contenuti del portfolio. Marzo-Aprile 1) Controllare che gli studenti stiano completando le schede di riflessione sulle im- missioni in maniera corretta e adeguata. 2) Rivedere le rubriche e i contenuti del portfolio. 1 Per “immissione” intendiamo l’introduzione di prodotti o i prodotti stessi nel portfolio. È necessario che tutto ciò che si decide di inserire sia corredato da una scheda di presentazione anche molto breve e dalla rubrica di valutazione. Quindi se si tratta di lavori scritti è chiaro che si inseriscono direttamente; nel caso di artefatti voluminasi (impianti, oggetti, complessivi, opere d’arte...) si sceglie tra una docu- mentazione fotografica o video, o se proprio non è possibile, avere a disposizione mezzi multimediali per una documentazione cartacea descrittiva... 48 Maggio 1) Gli studenti devono selezionare (ad esempio) quattro immissioni per il portfolio di presentazione. 2) Controllare che le schede di riflessione sulle immissioni siano completate. 3) Lavorare con l’intera classe per completare un esempio di riepilogo o indice del portfolio. 4) Mandare i portfolio alle famiglie perché completino la scheda e forniscano un lo- ro feedback. Giugno 1) Stabilire un tempo per presentare il portfolio ai compagni. 2) Organizzare un tempo per esprimere reciproche congratulazioni. 3) (Se ha abbastanza tempo, si possono mettere a disposizione di un certo pubblico selezionato i lavori migliori realizzati nella scuola durante l’anno, organizzando una mostra-esposizione). Dopo un’ora abbondante di discussione, i quattro formatori hanno deciso di: 1) Suddividere il portfolio in SEZIONI • Introduzione • Sezione personale • Sezione orientamento • Sezione professionale • Sezione dello stage • Sezione valutazione. Il formato del portfolio cartaceo sarà nel formato A4 costituito da: • raccoglitore ad anelli • buste di plastica trasparenti • copertina • separatori di sezione con cavalierini colorati. 2) Il tutor del corso Giorgio curerà, insieme ai colleghi Adriana e Livio, la costru- zione del portfolio dello studente. All’inizio dell’anno ci saranno degli incontri (qualche ora di lezione) in cui il tu- tor e i colleghi insieme contemporaneamente spiegheranno agli studenti che cosa è il portfolio e quali funzioni e obiettivi ha... perché è importante... Soprattutto agli inizi dell’anno si potranno inserire le documentazioni dei lavori secondo le aree formative che vengono insegnate... poi in base alle prestazioni pro- fessionali. 3) I formatori si incontreranno una volta al mese per fare il punto della situazione e per stabilire quali lavori disciplinari e quali interdisciplinari mettere nel portfolio. 4) A questo punto i formatori hanno deciso di ri-incontrarsi per vedere insieme una scaletta più dettagliata di ciò che andrà inserito nel Portfolio soprattutto agli inizi del- 49 l’anno. Ciò che si inserisce nel Portfolio sarà guidato dal formatore per il primo an- no e poi, negli anni successivi, si darà la possibilità allo studente di scegliere egli stesso le immissioni soprattutto della sezione professionale. Il lunedì successivo, i formatori del team di corso si incontrano e fanno un brain- storming per vedere che cosa si può inserire nell’introduzione del portfolio. Queste le idee (in disordine) prodotte: 1) Copertina personalizzata 2) Presentazione introduttiva del portfolio da parte dello studente 3) Scheda di riepilogo indice del portfolio 4) Scheda anagrafica (parte dei dati e formato forniti dalla segreteria) 5) Presentazione di se stesso da parte dello studente 6) Presentazione della propria classe o corso 7) Scheda con l’orario settimanale 8) Presentazione del profilo professionale 9) Obiettivi per la vita da raggiungere in tre anni (in forma di rubrica) 10) Calendario con gli eventi più importanti della vita del gruppo e del centro per l’anno che sta per cominciare (e così per i successivi tre anni) 11) Lettera ai genitori di inizio d’anno (da parte del team di corso) 12) Scheda che documenta esperienze scolastiche e formative, esperienze di lavo- ro, di apprendistato... o altre esperienze significative 13) Scheda con rubrica del portfolio 14) Scheda-pacchetto, schede che documentano un’intera prestazione autentica (pre- sentazione, immissione, rubrica, scheda di riflessione) 15) Scheda descrizione stage ... Al terzo incontro, i formatori del team di corso con il contributo di un consulente esterno e del Direttore del Centro hanno stabilito queste linee guida riguardo agli ele- menti che il portfolio dovrebbe avere e alla riflessione che si può fare su di essi. Le fasi di realizzazione del portfolio saranno relative a) alla conclusione di una presta- zione autentica b) a fine trimestre e c) al termine per una raccolta di presentazione. 2. LE FASI DI REALIZZAZIONE 2.1 La conclusione di una singola prestazione autentica I formatori cureranno la chiusura di ogni prestazione autentica attraverso questi tre momenti: a) Raccolta di tutti gli elementi documentativi della prestazione b) Riflessione conclusiva sulla prestazione eseguita c) Valutazione della prestazione attraverso la rubrica. 50 a) Raccolta di tutti gli elementi documentativi della prestazione In questa fase gli allievi (guidati dai formatori) raccolgono i prodotti delle loro prestazioni. I tre formatori decidono anche di suddividere le prestazioni che ognuno farà in quattro sub-sezioni di immissioni: APPLICAZIONE, PROGETTO, RISO- LUZIONE DI PROBLEMA, SCELTA APERTA. Nella sub-sezione di APPLICAZIONE l’allievo colloca prestazioni che sono sta- te l’applicazione di conoscenze o informazioni a situazioni reali. Nella sub-sezione PROGETTO l’allievo colloca prestazioni autentiche, molte con una metodologia di realizzazione di un progetto. Nella sub-sezione di RISOLUZIONE DI PROBLEMA gli allievi collocano pre- stazioni svolte a partire da un problema o caso da risolvere. Nella sub-sezione SCELTA APERTA l’allievo seleziona ogni lavoro che può es- sere un esempio di crescita, di creatività, o di interesse. L’immissione selezionata do- vrebbe potenziare il portfolio in una o più prestazioni. Il lavoro può essere centrato sull’apprendimento di ciò che può mostrare l’unicità di qualche talento. L’immissione di scelta aperta consente la padronanza dello studente di “pavoneggiarsi di fronte agli insegnanti” e di dimostrare il proprio talento individuale. b) Riflessione conclusiva sulla prestazione eseguita La riflessione è un processo che coinvolge la metacognizione, che abilita lo stu- dente a valutare il lavoro fondandosi su criteri stabiliti. Essa può essere raggiunta at- traverso domande guida. La riflessione fornisce l’opportunità agli studenti di com- prendere il proprio apprendimento. Allo scopo di guidare e aiutare la riflessioni dell’allievo, i formatori si danno que- ste guide di riflessione. 1. Riflessione * Ho scelto di immettere questo esempio di lavoro perché... * Se dovessi rifare questo compito, dovrei stare attento a introdurre... perché... * Il riflettere su quello che è avvenuto in questa prestazione mi ha aiutato ad accrescere la mia com- prensione/conoscenza di... perché... 2. Collaborazione - se questa fosse un’attività di gruppo... * Il mio ruolo nell’attività era... * Vorrei dare al gruppo un voto di... per l’attività perché... * Vorrei dare a me stesso un voto di... perché... * Vorrei cambiare il modo in cui il gruppo ha lavorato insieme. Secondo me... 3. Comprensione * Posso dire di conoscere... * Se dovessi fornire una sintesi sull’argomento, l’esprimerei così... * Esempi, prodotti reali che si avvicinano a questo lavoro potrebbero essere... * Collegamenti ai contenuti di questo lavoro potrebbero essere... * Lavorando per realizzare questo prodotto, ho capito anche... Questo lavoro mi ha insegnato... � Il mio ruolo nell’attività era... � Vorrei dare al gruppo un voto di... per l’attività perché... � Vorrei dare a me stesso un voto di... perché... � Vorrei cambiare il modo in cui il gruppo ha lavorato insieme. Secondo me... � Posso dire di conoscere... � Se dovessi fornire una sintesi sull’argomento, l’esprimerei così... � Esempi, prodotti reali che si avvicinano a questo lavoro potrebbero essere... � Collegamenti ai contenuti di questo lavoro potrebbero essere... � Lavorando per realizzare questo prodotto, ho capito anche... Questo lavoro mi ha insegnato... � Ho scelto di immettere questo esempio di lavoro perché... � Se dovessi rifare questo compito, dovrei stare attento a introdurre... perché... � Il riflettere su quello che è avvenuto in questa prestazione mi ha aiutato ad accrescere la mia com- prensione/conoscenza di... perché... 51 4. Progetto/Soluzione di problema * Sono molto contento di ciò che ho fatto, perché... * Se avessi fatto più ricerca, studio, attenzione, avrei scelto... * Facendo questo lavoro mi sono venuti in mente molti altri interrogativi. Ad esempio... * Un altro progetto che mi piacerebbe realizzare sarebbe... 5. Comunicazione * Se dovessi raccontare o spiegare in modo sintetico quello che ho fatto, lo descriverei così:… * Così, in tre frasi spiegherei il senso di ciò che ho fatto. 6. Rilevanza personale * Ciò che mi è piaciuto di più/ di meno di questa immissione sull’argomento è stato... * Posso mettere in pratica ciò che ho imparato nella vita di tutti i giorni; per esempio quando... * Questo argomento mi interessa perché... * Questo lavoro è collegato alla professionalità che sto apprendendo in questo: ... * Ho spiegato le diverse possibilità di scelta che le persone hanno di fronte a questo argomento co- sì... Nella pagina successiva è proposto un fac-simile di scheda di riflessione che può accompagnare ogni singola immissione. c) La valutazione della prestazione attraverso la rubrica � Sono molto contento di ciò che ho fatto, perché... � Se avessi fatto più ricerca, studio, attenzione, avrei scelto... � Facendo questo lavoro mi sono venuti in mente molti altri interrogativi. Ad esempio... � Un altro progetto che mi piacerebbe realizzare sarebbe... � Ciò che mi è piaciuto di più/ di meno di questa immissione sull’argomento è stato... � Posso mettere in pratica ciò che ho imparato nella vita di tutti i giorni; per esempio quando... � Questo argomento mi interessa perché... � Questo lavoro è collegato alla professionalità che sto apprendendo in questo: ... � Se dovessi raccontare o spiegare in modo sintetico quello che ho fatto, lo descriverei così: ... � Così, in tre frasi spiegherei il senso di ciò che ho fatto. � Ho spiegato le diverse possibilità di scelta che le persone hanno di fronte a questo argomento così... 52 SCHEDA di Riflessione sull’immissione di ... Cognome: __________________ Nome: __________________ Data: ___________ Tipo di immissione: ______________________________________________________ Tipo di compito (per favore, metti una crocetta accanto ad uno): ❑ Applicazione ❑ Progetto ❑ Risoluzione di problema ❑ Scelta aperta. Rivedendo il tuo lavoro rispondi alle seguenti richieste: 1. Descrivi il compito ...................................................................................................................................... ...................................................................................................................................... ...................................................................................................................................... 2. Con chi hai lavorato per completare questo compito? Se hai lavorato in gruppo, quali sono stati i ruoli di ciascun membro del gruppo? Che cosa precisamente hai dovuto fare? ...................................................................................................................................... ...................................................................................................................................... ...................................................................................................................................... 3. Come risulta da questa esperienza, penso ora di sapere bene: ...................................................................................................................................... ...................................................................................................................................... ...................................................................................................................................... 4. Per realizzare questo progetto (problema) ho appreso… ...................................................................................................................................... ...................................................................................................................................... ...................................................................................................................................... 5. Così, in tre frasi, sintetizzerei quello che ho fatto o imparato. ...................................................................................................................................... ...................................................................................................................................... ...................................................................................................................................... 6. Quello che ho fatto è importante per me e per la mia professione perché… ...................................................................................................................................... ...................................................................................................................................... ...................................................................................................................................... 53 2.2 A fine trimestre Il team dei formatori prepara gli studenti all’incontro con i genitori di fine trimestre. Il team darà le Indicazioni per preparare l’allievo alla presentazione del Portfolio ai genitori. a) Il portfolio deve essere completo in tutte le sue parti e sezioni. b) È richiesto il controllo di ogni immissione nella sezione giusta. c) Le prestazioni autentiche e quelle fatte per area formativa devono sempre avere: • la scheda di presentazione • la documentazione del prodotto/attività • la scheda di riflessione • la rubrica di valutazione. 2.3 La valutazione di fine anno del portfolio Assieme ai colleghi del team di corso, il tutor ha suggerito questa ipotesi: il port- folio può essere una parte del sistema di valutazione del Centro e del formatore. Il processo di valutazione olistica sembra essere più adatto perché offre una descrizio- ne complessiva dell’allievo e offre un’immagine più concreta del suo cammino per- sonale e professionale. 1. Considerazioni generali riguardanti i punteggi La valutazione olistica richiede non più l’esame delle singole immissioni quanto invece la formazione di un’impressione generale riguardo al lavoro che è stato fatto per un lungo periodo di tempo. 2. Predisposizione della rubrica olistica del portfolio La rubrica olistica del portfolio è simile a quella di una prestazione ma le dimensioni devono essere diverse e più ampie in modo da “attraversare” tutto il lavoro raccolto nel portfolio. Il team di formatori ha ritenuto di prendere quella trovata in un volu- me del portfolio. Le dimensioni scelte sono state: Varietà dei prodotti, Sviluppo del- l’apprendimento, Organizzazione del portfolio, Comunicazione e comprensione, Au- tovalutazione, Impegno dimostrato. 3. Attribuzione di una valutazione Per decidere la valutazione, il team ha deciso di eseguirla insieme: 1. I membri del team leggono con attenzione la sezione introduttiva: lo scopo o gli scopi del portfolio, la presentazione fatta dallo studente. 2. Dopo aver identificato gli scopi, il portfolio è esaminato velocemente per veri- ficare se da una breve visione superficiale sembra documentare gli scopi descritti. Ogni membro scriverà alcuni appunti sulle impressioni avute da questa lettura veloce. 3. Successivamente il portfolio viene esaminato più in profondità su quelle che sem- 54 brano essere le dimensioni più rilevanti: Sviluppo/Miglioramento e Autovalu- tazione. Anche da questo esame verranno segnalate le proprie valutazioni ana- litiche. 4. In un successivo esame vengono prese in considerazione le altre dimensioni: Va- rietà, Organizzazione, Comprensione/Comunicazione e Impegno, e si raccoglie- ranno i rispettivi giudizi di valutazione. 5. Il team si scambierà i giudizi rilevando le giustificazioni. 6. I giudizi sono raccolti secondo una descrizione a quattro livelli: Ottimo, Distin- to, Buono, Sufficiente. 7. Al giudizio formulato verrà aggiunto quello dello stage. 8. Dalle osservazioni precedenti si trarranno prospettive di orientamento. Nelle pagine che seguono sono forniti alcuni elementi del portfolio che potreb- bero essere oggetto di un fac-simile. Capitolo III MODELLO DI “IL MIO PORTFOLIO” REGIONE PIEMONTE Centro di Formazione Professionale di ..................................................................................... iillmio ppoorrttffoolliioo ..................................................................................... Cognome e Nome 58 PORTFOLIO Sezione Prima - Introduzione INTRODUZIONE del mio portfolio 59 La documentazione continua del mio lavoro e del mio impegno mi consente di se- guire meglio la mia crescita umana e formazione professionale. Questo portfolio, che raccoglie la documentazione del mio lavoro e dei miei risultati conseguiti ha per me i seguenti scopi formativi umani e professionali. Esso mi consentirà di osservare: [segnare con una X le opzioni scelte] • la verifica delle mie reali aspirazioni • il confronto con le mie possibilità e le mie attitudini • la costruzione di una mia identità personale • il controllo del percorso formativo e del progresso del mio apprendimento • il controllo delle variazioni degli obiettivi formativi • la conoscenza e la comprensione del mio percorso formativo ...................................................................................................................................... ...................................................................................................................................... ...................................................................................................................................... ...................................................................................................................................... ...................................................................................................................................... ...................................................................................................................................... ...................................................................................................................................... Presento sinteticamente la denominazione e la definizione del PROFILO PROFES- SIONALE relativo al mio percorso formativo, così come previsto dalla Regione Pie- monte ...................................................................................................................................... ...................................................................................................................................... ...................................................................................................................................... ...................................................................................................................................... ...................................................................................................................................... ...................................................................................................................................... ...................................................................................................................................... ...................................................................................................................................... ...................................................................................................................................... Questa presentazione l’ho compilata il giorno ........................................................... (data di compilazione) Scheda I-1 Presentazione PORTFOLIO Sezione Prima - Introduzione 60 Scheda I-2: Riepilogo La scheda che propongo nella pagina successiva offre un Riepilogo sintetico delle immissioni e dei contenuti che ho organizzato finora... PORTFOLIO Sezione Prima - Introduzione Il mio PORTFOLIO è suddiviso nelle seguenti sezioni e contiene: � ... nella SEZIONE INTRODUZIONE � ........................................................ � ........................................................ � ........................................................ � ........................................................ � ........................................................ � ........................................................ � ... nella SEZIONE PERSONALE � ........................................................ � ........................................................ � ........................................................ � ........................................................ � ........................................................ � ........................................................ � ... nella SEZIONE OBIETTIVI PER LA VITA � ........................................................ � ........................................................ � ........................................................ � ........................................................ � ........................................................ � ........................................................ � ... nella SEZIONE ORIENTAMENTO � ........................................................ � ........................................................ � ........................................................ � ........................................................ � ........................................................ � ........................................................ � ... nella SEZIONE PROFESSIONALITÀ � ........................................................ � ........................................................ � ........................................................ � ........................................................ � ........................................................ � ........................................................ � ... nella SEZIONE STAGE � ........................................................ � ........................................................ � ........................................................ � ........................................................ � ........................................................ � ........................................................ � ... nella SEZIONE VALUTAZIONE � ........................................................ � ........................................................ � ........................................................ � ........................................................ � ........................................................ � ........................................................ 61 PERSONALE del mio portfolio In questa sezione raccolgo la documentazione inerente i miei dati personali, le mie esperienze formative e lavorative, la mia partecipazione e collaborazione all’impegno educativo dei miei formatori. In particolare: • Scheda II-1: Informazioni personali (Sezione 1 Libretto Formativo del Cittadino) • Scheda II-2: Precedenti esperienze scolastiche formative e lavorative considera- te importanti (Sezione 1 Libretto Formativo del Cittadino) • Scheda II-3: Esperienze formative (Sezione 1 Libretto Formativo del Cittadino) • Scheda II-4: Esperienze Lavorative/Professionali (Sezione 1 Libretto Formativo del Cittadino) • Scheda II-5: Autovalutazione del Comportamento • Scheda II-6: Valutazione del Comportamento da parte del Team di Corso • Scheda II-7: Valutazione del Comportamento nel corso dei tre anni PORTFOLIO Sezione Seconda - Personale 62 Scheda II-1: Sezione 1 Libretto Formativo del Cittadino Informazioni personali PORTFOLIO Sezione Seconda - Personale Descrizione sintetica dei dati personali dell’utente I miei dati personali principali... Cognome ______________________________________________________________ Nome __________________________________________________________________ Codice Fiscale n° _________________________________________________________ Sesso __________________________________________________________________ Comune (o Stato estero) di nascita _________________________ Provincia _____ Nazionalità _____________________________________________________________ Comune di residenza ______________________ CAP __________ Provincia _____ Indirizzo di residenza _____________________________________________________ Comune di domicilio ______________________ CAP __________ Provincia _____ Indirizzo di domicilio _____________________________________________________ Numero Telefono cellulare ________________________________________________ Numero Telefono ________________________________________________________ Numero Fax _____________________________________________________________ Indirizzo di posta elettronica ________________________________________________ Corso n° ________________________________________________________________ Denominazione corso _____________________________________________________ Anno formativo __________________________________________________________ Si autorizza il trattamento dei dati personali ai sensi del d.lg. 196/03 _____________________________ _____________________________ (firma del titolare del portfolio) (firma del genitore per i minorenni) Ho compilato questa scheda il giorno ........................................................................ 63 Registrazione delle esperienze pregresse dell’utente a livello scolastico, formativo e lavorativo Titoli di Istruzione e Formazione (*) I miei titoli sono i seguenti: Titolo di studio __________________________________________________________ Se in apprendistato, indicare se: � apprendistato per il diritto dovere � apprendistato per l’alta formazione Anno di conseguimento ___/___/___ Nome dell’Istituto scolastico/Ente/Università _________________________________ Sede dell’Istituto scolastico/Ente/Università __________________________________ Votazione conseguita (numeratore/denominatore) _____/_____ cum laude __________ Ultimo anno frequentato (se abbandonato) ____________________________________ Anno di frequenza (se in corso) _____________________________________________ Numero di esami sostenuti (se abbandonato o in corso) __________________________ Tirocinio/stage � Durata ________________________________________________ Ente/Azienda ospitante _________________________________ (*) da ripetersi per ogni esperienza citata. Scheda II-2: Sezione 1 Libretto Formativo del Cittadino Esperienze importanti scolastiche, formative e lavorative precedenti PORTFOLIO Sezione Seconda - Personale 64 Scheda II-3: Sezione 1 Libretto Formativo del Cittadino Esperienze formative (*) PORTFOLIO Sezione Seconda - Personale Le esperienze scolastiche/formative che ho fatto finora sono state le seguenti: Titolo attività formativa ___________________________________________________ Se ottenuto in apprendistato, indicare: � apprendistato per il diritto dovere � apprendistato professionalizzante � apprendistato per l’alta formazione � indicare se ottenuto in contratto di inserimento Soggetto che ha erogato l’attività formativa ____________________________________ Sede soggetto erogatore (Comune o Stato estero) ________________________________ Concluso nel __________________________________________________________ Durata (specificare se in ore/giorni/mesi) _____________________________________ Attestazione/certificazione rilasciata o validata dall’ente pubblico) _________________ Altre attestazioni _______________________________________________________ Tirocinio/stage � Durata ________________________________________________ Ente/Azienda ospitante _________________________________ Ho studiato la seguente lingua straniera ______________________________________ Ho partecipato anche a (scambi con l’estero, corsi, attività sportive, concorsi, vacanze studio...) _____________________________________________________________ ___________________________________________________________________ ___________________________________________________________________ ___________________________________________________________________ ___________________________________________________________________ ... (altro) (*) da ripetersi per ogni esperienza citata. 65 Le mie esperienze lavorative/professionali precedenti (stage, apprendistato, lavoro stagionale, …) sono state le seguenti: Tipologia contrattuale _____________________________________________________________________ Data di inizio del rapporto di lavoro ____/____/____ Data di cessazione del rapporto di lavoro ____/____/____ Mansione svolta (qualifica SIL) _____________________________________________ Settore economico (codice ISTAT) _________________________________________ Principali attività svolte _________________________________________________ ____________________________________________________________________ ____________________________________________________________________ Nome del datore di lavoro ______________________________________________ __________________________________________________________________ Indirizzo del datore di lavoro ______________________________________________ ___________________________________________________________________ ... (altro) Altre esperienze culturali (iscrizione ad associazioni, ...) molto interessanti sono state: _______________________________________________________________________ _______________________________________________________________________ Altre esperienze che ritengo siano state significative sono: _______________________________________________________________________ _______________________________________________________________________ (*) da ripetersi per ogni esperienza citata. Scheda II- 4: Sezione 1 Libretto Formativo del Cittadino Esperienze Lavorative/Professionali (*) PORTFOLIO Sezione Seconda - Personale 66 Scheda II-5 COMPORTAMENTO di (Cognome Nome): ................................................................................................... PORTFOLIO Sezione Seconda - Personale In questo periodo [dal mese di …………… al mese di …………… dell’anno ………] mi sono comportato così: Abilità nel comportamento Mai A volte Spesso Sempre Puntualità e preparazione 1. Arrivo alle lezioni puntuale � � � � 2. Porto con me il materiale necessario � � � � 3. Completo il compito assegnatomi � � � � Rispetto dei compagni 1. Rispetto la proprietà degli altri � � � � 2. Ascolto i compagni � � � � 3. Rispondo ai compagni in modo educato � � � � 4. Rispetto le opinioni degli altri � � � � 5. Mi trattengo dall’usare un linguaggio offensivo e ingiurioso � � � � Rispetto degli insegnanti 1. Seguo consigli e suggerimenti � � � � 2. Assolvo le richieste degli insegnanti � � � � 3. Agisco con responsabilità e accetto le conseguenze delle mie azioni � � � � Rispetto del contesto e dell’ambiente 1. Rispetto le norme e il regolamento del Centro � � � � 2. Ho un comportamento educato e adeguato all’ambiente in cui mi trovo (cortile, corridoi, aula, ecc.) � � � � 3. Ho cura degli strumenti di lavoro e degli ambienti � � � � Impegno nel processo di apprendimento 1. Costanza nell’impegno � � � � 2. Collaborazione per il miglioramento � � � � Altre riflessioni che voglio comunicare ....................................................................... ..................................................................................................................................... Periodo Formativo: ...................................................................................................... Ho compilato questa scheda il giorno ........................................................................ (data di compilazione) 67 In questo periodo [dal mese di …………… al mese di …………… dell’anno ………] i miei FORMATORI del Team di Corso hanno notato in me alcune abilità nel mio “modo di fare” che hanno riassunto così: Abilità nel comportamento Mai A volte Spesso Sempre Puntualità e preparazione 1. Arriva alle lezioni puntuale � � � � 2. Porta con sé il materiale necessario � � � � 3. Completa il compito assegnato � � � � Rispetto dei compagni 1. Rispetta la proprietà degli altri � � � � 2. Ascolta i compagni � � � � 3. Risponde ai compagni in modo educato � � � � 4. Rispetta le opinioni degli altri � � � � 5. Si trattiene dall’usare un linguaggio offensivo e ingiurioso � � � � Rispetto degli insegnanti 1. Segue consigli e suggerimenti � � � � 2. Assolve le richieste degli insegnanti � � � � 3. Agisce con responsabilità e accette le conseguenze delle sue azioni � � � � Rispetto del contesto e dell’ambiente 1. Rispetta le norme e il regolamento del Centro � � � � 2. Ha un comportamento educato e adeguato all’ambiente in cui si trova (cortile, corridoi, aula, ecc.) � � � � 3. Ha cura delle suppellettili e degli strumenti di lavoro � � � � Impegno nel processo di apprendimento 1. Costanza nell’impegno � � � � 2. Collaborazione per il miglioramento � � � � Noi formatori del team di corso vogliamo aggiungere le seguenti note: ............................... ..................................................................................................................................... Periodo Formativo: ...................................................................................................... I formatori hanno compilato questa scheda il giorno ............................................................. (data di compilazione) Scheda II-6 COMPORTAMENTO di (Cognome Nome): ................................................................................................... PORTFOLIO Sezione Seconda - Personale 68 Scheda II-7 COMPORTAMENTO NEI TRE ANNI RILEVATO DAI MIEI FORMATORI di (Cognome Nome): ................................................................................................... PORTFOLIO Sezione Seconda - Personale I miei formatori dal ............ al ............ hanno così descritto il mio comportamento: anno anno PRIMO SECONDO TERZO Abilità nel anno anno anno comportamento Periodi o trimestri I II III I II III I II III E F PUNTUALITÀ E PREPARAZIONE 1. Arriva puntuale alle lezioni � � � � � � � � � � � SEMPRE � � � � � � � � � � � SPESSO � � � � � � � � � � � A VOLTE � � � � � � � � � � � MAI 2. Porta con sé il materiale necessario � � � � � � � � � � � SEMPRE � � � � � � � � � � � SPESSO � � � � � � � � � � � A VOLTE � � � � � � � � � � � MAI 3. Completa il compito assegnato � � � � � � � � � � � SEMPRE � � � � � � � � � � � SPESSO � � � � � � � � � � � A VOLTE � � � � � � � � � � � MAI RISPETTO DEI COMPAGNI 1. Rispetta la proprietà degli altri � � � � � � � � � � � SEMPRE � � � � � � � � � � � SPESSO � � � � � � � � � � � A VOLTE � � � � � � � � � � � MAI 2. Ascolta i compagni � � � � � � � � � � � SEMPRE � � � � � � � � � � � SPESSO � � � � � � � � � � � A VOLTE � � � � � � � � � � � MAI 3. Risponde ai compagni � � � � � � � � � � � SEMPRE in modo educato � � � � � � � � � � � SPESSO � � � � � � � � � � � A VOLTE � � � � � � � � � � � MAI 4. Rispetta le opinioni degli altri � � � � � � � � � � � SEMPRE � � � � � � � � � � � SPESSO � � � � � � � � � � � A VOLTE � � � � � � � � � � � MAI 5. Si trattiene dall’usare un linguaggio � � � � � � � � � � � SEMPRE offensivo e ingiurioso � � � � � � � � � � � SPESSO � � � � � � � � � � � A VOLTE � � � � � � � � � � � MAI RISPETTO DEGLI INSEGNANTI 1. Segue consigli e suggerimenti � � � � � � � � � � � SEMPRE � � � � � � � � � � � SPESSO � � � � � � � � � � � A VOLTE � � � � � � � � � � � MAI 2. Assolve le richieste degli insegnanti � � � � � � � � � � � SEMPRE � � � � � � � � � � � SPESSO � � � � � � � � � � � A VOLTE � � � � � � � � � � � MAI 3. Accetta con responsabilità � � � � � � � � � � � SEMPRE le azioni e le attività � � � � � � � � � � � SPESSO � � � � � � � � � � � A VOLTE � � � � � � � � � � � MAI 69 OSSERVAZIONI 1° ANNO .......................................................................................................................................... .......................................................................................................................................... OSSERVAZIONI 2° ANNO .......................................................................................................................................... .......................................................................................................................................... OSSERVAZIONI 3° ANNO .......................................................................................................................................... .......................................................................................................................................... OSSERVAZIONI finali .......................................................................................................................................... .......................................................................................................................................... I formatori hanno compilato questa scheda il giorno .................................................. (data di compilazione) PORTFOLIO Sezione Seconda - Personale PRIMO SECONDO TERZO Abilità nel anno anno anno comportamento Periodi o trimestri I II III I II III I II III E F RISPETTO DEL CONTESTO E DELL’AMBIENTE 1. Rispetta le norme � � � � � � � � � � � SEMPRE e il regolamento del Centro � � � � � � � � � � � SPESSO � � � � � � � � � � � A VOLTE � � � � � � � � � � � MAI 2. Ha un comportamento educato e � � � � � � � � � � � SEMPRE adeguato all’ambiente in cui si trova � � � � � � � � � � � SPESSO (cortile, corridoi, aula, ecc.) � � � � � � � � � � � A VOLTE � � � � � � � � � � � MAI 3. Ha cura delle suppellettili � � � � � � � � � � � SEMPRE e degli strumenti di lavoro � � � � � � � � � � � SPESSO � � � � � � � � � � � A VOLTE � � � � � � � � � � � MAI IMPEGNO NEL PROCESSO DI APPRENDIMENTO 1. Costanza nell’impegno � � � � � � � � � � � SEMPRE � � � � � � � � � � � SPESSO � � � � � � � � � � � A VOLTE � � � � � � � � � � � MAI 2. Collaborazione per il miglioramento � � � � � � � � � � � SEMPRE � � � � � � � � � � � SPESSO � � � � � � � � � � � A VOLTE � � � � � � � � � � � MAI 70 PORTFOLIO Sezione Terza - Obiettivi per la vita OBIETTIVI PER LA VITA del mio portfolio In questa sezione raccolgo le mie riflessioni e quelle dei miei formatori circa gli obiettivi per la vita. Con questa espressione si indicano gli atteggiamenti, i valori, la sensibilità e le inclinazioni che manifesto nelle mie esperienze nel centro di formazione e al di fuori del centro. • Scheda III-1: Gli obiettivi per la vita • Scheda III-2: Impegno/Decisione • Scheda III-3: Autovalutazione • Scheda III-4: Valutazione del Team 71 1. Responsabilità È la capacità di assumersi impegni, di riconoscere i propri doveri e diritti, di far fronte alle conseguenze delle proprie azioni e scelte. Scheda III-1: Obiettivi per la vita PORTFOLIO Sezione Terza - Obiettivi per la vita Molto responsabile � Analizzo il contesto in cui mi trovo e esamino le mie scelte, scoprendo i miei punti di forza e di debolezza. � Ho interessi al di fuori dell’ambito strettamente formativo e cerco il confronto parlandone con i miei genitori o con per- sone per me importanti. Piuttosto responsabile � Eseguo tutte le attività richieste a scuola, ho cura che i miei lavori siano ben fatti. � Mi accorgo che alcuni interessi personali extrascolastici mi di- straggono eccessivamente. Piuttosto collaborativo � Partecipo ai lavori di gruppo proponendo strategie e soluzio- ni ma non mi adopero attivamente per mettere in atto le deci- sioni prese dal gruppo. � Partecipo alle discussioni di gruppo, senza prevaricare e senza interrompere chi sta parlando, ma non manifesto entusiasmo. Moderatamente collaborativo � Partecipo ai lavori di gruppo con difficoltà, collaboro con al- tri solo se mi sono simpatici. � Tendo qualche volta a impormi e non ascolto le idee di altri se sono diverse dalle mie. Moderatamente responsabile � Mi accontento di un livello minimo nelle prestazioni e non cer- co di migliorarmi. � Mi impegno solo per quello che mi è richiesto. Non ho voglia di fare di più. Per nulla responsabile � Ho sempre bisogno di essere sollecitato per fare il minimo ne- cessario. � Non ho cura dei miei compiti e delle mie attività. Non voglio preoccuparmi del mio futuro, del mio progresso, del mio im- pegno e del mio lavoro, non voglio avere preoccupazioni. Molto collaborativo � Partecipo attivamene ai lavori di gruppo. � Partecipo con entusiasmo ai compiti da svolgere in gruppo e per questo sono ricercato dai miei compagni. 2. Collaborazione È la capacità di contribuire con le proprie idee alla ricerca di soluzioni di problemi condivisi e complessi, di ascoltare le idee di altri sapendole arricchire con le proprie, di cercare il consenso anche quando vengono sottolineati punti di vista diversi, e di mettere al centro gli interessi del gruppo e non i propri. Per nulla collaborativo � Non partecipo ai lavori di gruppo, ma mi piace comandare. � Sono invidioso delle cose che fanno gli altri, soprattutto se so- no migliori delle mie. Non ho il senso di ciò che vuol dire fa- re qualcosa “insieme”. 72 Scheda III-1: Obiettivi per la vita PORTFOLIO Sezione Terza - Obiettivi per la vita Per nulla creativo � Mi identifico in ciò che tutti pensano e fanno. � Faccio quello che fanno tutti. Moderatamente creativo � Sono rigido nel mio modo di pensare e di agire. Non deside- ro cambiamenti. � Ricorro spesso a soluzioni già sperimentate ed evito di fare co- se nuove. Piuttosto creativo � Sono intrinsecamente motivato dalle cose che faccio. � Cerco un modo mio personale di fare le cose indipendentemente da quello che fanno gli altri. Molto riflessivo � Valuto le conseguenze prima di iniziare un’azione o prendere una decisione. � Raccolgo informazioni, prendo tempo per riflettere prima di dare una risposta o esprimere un giudizio. Piuttosto riflessivo � Rifletto sugli errori e cerco le cause per evitare di sbagliare an- cora. � Mi fermo brevemente a riflettere sulle scelte che faccio. Moderatamente riflessivo � Mi lascio prendere dalla fretta di agire anche se mi sforzo di riflettere su ciò è più conveniente fare in quella situazione. � Spesso non mi fermo a riflettere sulle scelte ma cerco di cor- reggermi. Per nulla riflessivo � Agisco impulsivamente, facendo o dicendo la prima cosa che mi viene in mente. � Accetto l’idea più ovvia e semplice invece di prendere in esa- me alternative diverse. 4. Creatività È la capacità di disporre di un pensiero laterale, cioè non essere chiusi nella cultura al momento più diffusa o passivi rispetto alle soluzioni più comuni, ma essere divergenti, innovativi e disponibili alla critica assumendo prospettive e soluzioni originali. Molto creativo � Sono autonomo nel mio modo di pensare e di fare le cose. � Non mi lascio condizionare dagli altri. 3. Gestione dell’impulsività È la capacità di riflettere, di prendere tempo, di interrogarsi prima di agire. 73 Scheda III-1: Obiettivi per la vita PORTFOLIO Sezione Terza - Obiettivi per la vita 5. Persistenza È la capacità di portare a termine le attività intraprese e non venir meno agli impegni presi. Molto persistente � Provo piacere nell’affrontare compiti che sfidano le mie capacità. � Gli errori non mi scoraggiano e sono sempre occasioni di mi- glioramento. Piuttosto persistente � Quando non ho successo con una strategia tento di trovarne un’altra più adatta. � Di fronte alla difficoltà inizialmente mi scoraggio ma poi mi impegno. Moderatamente persistente � Nelle situazioni difficili cerco di tenere duro solo se sono in- coraggiato. � Ho un tempo di attenzione e di impegno abbastanza limitato. Per nulla persistente � Rinuncio a continuare un lavoro quando non lo termino entro breve tempo. � Di fronte a qualche difficoltà facilmente mi arrendo dicendo: “Non sono capace di farlo!”. 6. Porre domande e problemi È la capacità di riconoscere che sullo sfondo di ogni informazione vi è una domanda o un problema. Molto analitico � Non mi fermo ad usare le cose, in genere voglio capire come funzionano. � Non mi basta capire, voglio sapere il perché, il come, il quan- do, il chi, ecc. Piuttosto analitico � Mi piace riflettere sui problemi e cercare soluzioni. � Mi pongo sempre domande sulle cose nuove in cui mi im- batto. Moderatamente analitico � Spesso sono incerto e mi è difficile avere una mia opinione � Cambio continuamente opinione perché mi accorgo che non sono molto convinto delle cose che penso. Per nulla analitico � Non mi complico la vita con molti interrogativi e molti perché. � Non mi interessa sapere se una cosa è giusta o vera. Se mi pia- ce, va bene. 74 Scheda III-1: Obiettivi per la vita PORTFOLIO Sezione Terza - Obiettivi per la vita 7. Fiducia in se stessi È la capacità di analizzare quali abilità sono necessarie per un compito particolare e saperle acquisire da soli senza ricorrere a particolari training. Molto fiducioso � Se non sono capace di fare qualcosa, mi propongo di impa- rarle. � Penso che nulla sia impossibile, se mi impegno posso farcela. Per nulla autonomo � Non prendo iniziative. � Non mi va mai di cominciare cose nuove. Piuttosto fiducioso � Sono convinto di poter fare molte più cose di quelle che fac- cio. � Un compito nuovo non mi spaventa. È una occasione di cre- scita personale. Moderatamente fiducioso � Quando non so fare qualcosa cerco qualcuno che me lo inse- gni. � Sono una persona come altre con doti e limiti. Per nulla fiducioso � Di fronte alla prima difficoltà mi tiro indietro perché sento di non essere capace. � Cerco continuamente aiuto, sono insicuro e indeciso riguardo a ciò che faccio. 8. Iniziativa È la capacità di dar inizio a qualcosa o a un compito in modo autonomo e indipendente secondo la necessità senza essere guidati e sospinti a farlo da altri. Molto autonomo � Sono intraprendente e non aspetto suggerimenti di altri, agi- sco in modo autosufficiente. � Mi entusiasmo facilmente, sono sempre in azione, trovo sem- pre qualcosa da fare. Piuttosto autonomo � Mi piace mettermi alla prova anche se so di non essere pre- parato per affrontare ogni situazione. � Mi piace cominciare cose che non ho mai fatto. Moderatamente autonomo � Faccio quello che mi viene richiesto di fare e non prendo ini- ziative. � Intraprendo delle nuove attività solo se sollecitato da altri a farle. 75 Scheda III-1: Obiettivi per la vita PORTFOLIO Sezione Terza - Obiettivi per la vita 9. Autoregolazione È la capacità di riflettere su se stessi sapendo prevedere le fasi di sviluppo della propria riflessione, metterle in atto e successivamente saper analizzare i passi compiuti, riconoscere gli errori, trovare soluzioni possibili e valutare l’efficacia delle strategie messe in atto e la qualità del pensiero raggiunto e, infine, arricchire la propria attività mentale tramite l’esperienza compiuta. Molto autoregolato � Organizzo le mie attività di apprendimento prevedendo i tem- pi di svolgimento e le scadenze. � Verifico ciò che ho fatto e le valutazioni ricevute per capire do- ve e come posso aver sbagliato. Piuttosto autoregolato � Per lo più sono puntuale nella consegna del lavoro e prevedo i tempi che mi sono necessari per portarlo a termine. � Mi preoccupo non solo di correggermi nelle cose in cui sono debole, ma anche di progredire in quelle che già eseguo a un livello più che sufficiente. Moderatamente autoregolato � Mi esamino sulle rubriche solo al termine delle prestazioni ri- chieste ma non durante il loro svolgimento. � Mi confronto con gli obiettivi di prestazione ma non con quel- li di fine anno. Per nulla autoregolato � Non ho il controllo del mio apprendimento: 1. sono spesso richiamato agli impegni; 2. svolgo i compiti assegnatemi in fretta e non li rivedo; 3. mi preoccupo solo di portarli a termine, non importa come. � Ho difficoltà a capire qual è il livello di prestazione che si vor- rebbe da me. Non voglio né cerco il colloquio per migliorare. 10. Velocità È la capacità di muoversi tra molte informazioni e molte fonti scegliendo quelle che sono utili nella realtà attuale. Molto veloce � Rifletto attentamente sulle novità cercando di non lasciarmi tra- scinare da ciò che risulta attraente ad un primo impatto. � Mi piace informarmi su ciò che accade. Moderatamente veloce � Cerco di aggiornarmi continuamente sulle novità che avven- gono nell’area professionale per cui mi sto preparando. � Quando posso consulto molte fonti di informazione prima di farmi una mia idea. Piuttosto veloce � Mi piace essere informato sugli sviluppi scientifici in qualsiasi campo avvengano. � Sono attento a ciò che accade intorno a me e cerco di rima- nere informato. Per nulla veloce � Non mi va di impegnarmi per essere attivo e protagonista nel tempo in cui vivo. � Sono distratto e non osservo quello che accade attorno a me. 76 Scheda III-1: Obiettivi per la vita PORTFOLIO Sezione Terza - Obiettivi per la vita 11. Umiltà È la capacità di riconoscere i propri limiti, le proprie percezioni parziali e il bisogno di collaborare con altri perché consapevoli di non essere bastevoli a se stessi. Molto umile � Ammetto con onestà di non sapere tutto. � Sono disponibile a sentire altri pareri per arricchire il mio pun- to di vista Piuttosto umile � Desidero migliorare la mia comprensione delle cose. � Difendo la libertà del mio modo di pensare, ma riconosco che non è l’unico modo di vedere le cose. Moderatamente umile � Riconosco quando non so. � Riconosco di aver molto da imparare da altri che sanno più di me. Per nulla umile � Mi arrabbio terribilmente quando perdo. � Non tollero che qualcuno mi dica qualcosa che dissente dalla mia opinione. 12. Comunicazione È la capacità di informare e di essere informati, di raccontare e di ascoltare, di essere recettivi alle informazioni ed anche disponibili a partecipare alla costruzione della conoscenza. Molto comunicativo � Mi piace parlare, comunicare, stare con altri, condividere espe- rienze. � Sono capace di dire le stesse cose in molti modi diversi a se- conda di chi mi ascolta. Piuttosto comunicativo � Sono aperto e disponibile al contatto con gli altri, anche se qual- che volta non lo sono nello stesso modo con tutti. � Nel comunicare con gli altri mi preoccupo sempre di essere chiaro e preciso. Moderatamente comunicativo � Comunico in modo che mi capiscano, ma quasi sempre mi chie- dono anche di precisare meglio cosa volevo dire. � Nel mio modo di esprimermi non utilizzo dettagli ed elemen- ti che arricchiscono la comunicazione. Per nulla comunicativo � Trovo gli altri irritanti e banali. Posso fare a meno degli altri. � Sono taciturno, non mi va mai di parlare. Preferisco stare da solo che in compagnia. 77 Scheda III-1: Obiettivi per la vita PORTFOLIO Sezione Terza - Obiettivi per la vita 13. Ascolto con comprensione ed empatia È la capacità di assumere la prospettiva di altri, di percepire ciò che altri dicono, di riportare il pensiero di altri per comprenderlo pienamente senza contaminarlo con il proprio punto di vista. Molto comprensivo � Mi sforzo di ascoltare e di comprendere ciò che un altro dice. � Per verificare se ho capito bene ciò che un altro ha detto, pro- vo a ripeterlo con mie parole. Piuttosto comprensivo � So ridire le cose da un punto diverso dal mio. � Ascolto con attenzione. Moderatamente comprensivo � Per capire meglio chiedo che mi si fornisca qualche esempio o che si sia concreti � Riesco ad ascoltare e comprendere solo chi la pensa come me. Per nulla comprensivo � Non ascolto ciò che un altro dice, ma ripeto ciò che penso. � Interrompo una conversazione quando un altro mi dice di non essere d’accordo con me. 14. Pensare in modo flessibile È la capacità di assumere punti di vista diversi, di gestire fonti di informazioni diverse, e di non focalizzarsi su un’unica soluzione ma su più soluzioni del problema. Molto flessibile � Per capire a fondo qualcosa adotto varie strategie: faccio un disegno, mi immagino un esempio, provo a dirlo in modi di- versi, faccio uno schema, approfondisco su altre letture. � Applico ciò che ho appreso o che so a molte situazioni diverse. Piuttosto flessibile � Mi sforzo di capire le cose cercando di capire che problema c’è dietro di esse. � Mi piace esaminare punti di vista diversi prima di farmi una opinione mia. Moderatamente flessibile � Qualche volta mi riesce difficile vedere le cose dal punto di vista di altri. � Provo sempre una grande soddisfazione quando scopro solu- zioni nuove a problemi vecchi. Per nulla flessibile � Mi fermo alla prima comprensione che ho. � Cerco di memorizzare le cose o di fissarle in procedure auto- matiche per evitare di dimenticarle. 78 Scheda III-1: Obiettivi per la vita PORTFOLIO Sezione Terza - Obiettivi per la vita 15. Precisione e accuratezza È la capacità di essere attenti e scrupolosi. Questa capacità è richiesta dalla società attuale, in seguito agli sviluppi e ai continui miglioramenti della tecnologia. Molto preciso � Metto molta cura nelle cose che faccio, non per orgoglio ma per il piacere di far bene il mio lavoro. � Quando mi rivolgo ad altri mi esprimo con proprietà di paro- le e di frasi. Piuttosto preciso � In genere faccio bene la maggior parte delle cose in cui mi im- pegno e non mi lascio prendere dalla fretta di finire. � Mi piace essere preciso e accurato, anche se non mi ritengo pignolo e perfezionista. Moderatamente preciso � Sono un po’ approssimativo nell’esecuzione dei miei lavori. � Mi piace svolgere dei compiti che ho già fatto perché devo pen- sare meno. Per nulla preciso � Faccio le cose in fretta per liberarmene al più presto pos- sibile. � Mi esprimo con un linguaggio vago, improprio, ripetitivo. 16. Assumere decisioni responsabili È la capacità di prendere decisioni assumendosi il rischio di sbagliare, di vivere in uno stato di incertezza e di insicurezza senza compromettere la propria tranquillità e serenità, di accettare l’errore come condizione necessaria per trasformare le cose. Molto deciso � Mi informo bene prima di prendere una decisione che conta. � Prendo una decisione solo dopo che ho valutato molte alter- native possibili. Piuttosto deciso � Non trascuro mai di considerare le conseguenze che possono derivare da una mia decisione. � Quando sono in difficoltà nel prendere una decisione mi rivolgo a persone che possono aiutarmi Moderatamente deciso � Riconosco che nella vita bisogna a volte assumere rischi, ma io ho paura di farlo. � Preferisco fare come gli altri mi dicono. Per nulla deciso � Non so mai decidermi. � Non so mai come impegnare il tempo. 79 Scheda III-1: Obiettivi per la vita PORTFOLIO Sezione Terza - Obiettivi per la vita 17. Avere il senso dell’umorismo È la capacità di saper vedere il lato paradossale o umoristico, divertente e piacevole di ogni cosa, cogliendone il valore e l’importanza. Molto umoristico � So ridere dei miei difetti come delle mie doti. � So ridere e divertirmi quando è il tempo. Piuttosto umoristico � So distinguere una situazione di debolezza e fragilità umana da una palesemente buffa e ridicola. � Sono pronto con una battuta a sollevare una tensione. Moderatamente umoristico � Qualche volta più che umoristico sono sarcastico. � Mi considero più sfortunato dei miei compagni. Per nulla umoristico � Sono oltremodo pessimista. � Di ogni cosa vedo sempre l’aspetto negativo. 18. Rispondere con curiosità e meraviglia È la capacità di scoprirsi curiosi e meravigliati di fronte a ciò che si vede e si incontra, di non ritirarsi di fronte alle difficoltà e di gioire quando si è trovata la soluzione di un problema. Molto curioso � Sono molto curioso di sapere e di conoscere. � Sono meravigliato dalla natura e dalle scoperte dell’uomo. Piuttosto curioso � Faccio spesso connessioni tra idee, fatti e cose che mi succe- dono. � Spesso mi meraviglio anche di cose che vedo tutti i giorni. Moderatamente curioso � Non capisco perché anche piccole cose suscitano in me una grande curiosità. � Sono sempre incerto quando qualcuno o qualcosa mi sorprende o mi stupisce. Per nulla curioso � Uso le cose senza mai chiedermi come funzionano. � Ho l’impressione che al mondo non ci sia più nulla da sco- prire. 80 Scheda III-2: Impegno/Decisione PORTFOLIO Sezione Terza - Obiettivi per la vita Tra gli obiettivi della vita analizzati penso di impegnarmi sui seguenti: � 1. Responsabilità � 2. Collaborazione � 3. Gestione dell’impulsività � 4. Creatività � 5. Persistenza � 6. Porre domande o problemi � 7. Fiducia in se stessi � 8. Iniziativa � 9. Autoregolazione � 10. Velocità � 11. Umiltà, senso dei limiti � 12. Comunicazione � 13. Ascolto con comprensione ed empatia � 14. Pensare in modo flessibile � 15. Precisione e accuratezza � 16. Assumere rischi con responsabilità � 17. Senso dell’umorismo � 18. Senso di meraviglia e curiosità 81 Primo anno Secondo anno Terzo anno Finale trimestri I II III I II III I II III �Molto ................................................................................. ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ ................................................................................. ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ ................................................................................. ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ • .......................................................................... �Abbastanza ................................................................................. ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ ................................................................................. ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ ................................................................................. ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ • .......................................................................... �Moderatamente ................................................................................. ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ ................................................................................. ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ ................................................................................. ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ • .......................................................................... �Per nulla ................................................................................. ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ ................................................................................. ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ ................................................................................. ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ • .......................................................................... Di (Cognome Nome) ................................................................................................... Scheda III-3: Autovalutazione Sviluppo nei tre anni degli obiettivi elencati su cui mi sono impegnato. Sono riuscito ad arrivare ad uno sviluppo di questo tipo: PORTFOLIO Sezione Terza - Obiettivi per la vita 82 Scheda III-4: Valutazione del Team Sviluppo nei tre anni degli obiettivi elencati su cui mi sono impegnato. Secondo i miei formatori sono riuscito ad arrivare ad uno sviluppo di questo tipo: PORTFOLIO Sezione Terza - Obiettivi per la vita Primo anno Secondo anno Terzo anno Finale trimestri I II III I II III I II III �Molto ................................................................................. ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ ................................................................................. ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ ................................................................................. ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ • .......................................................................... �Abbastanza presenti ................................................................................. ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ ................................................................................. ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ ................................................................................. ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ • .......................................................................... �Moderatamente ................................................................................. ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ ................................................................................. ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ ................................................................................. ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ • .......................................................................... �Per nulla ................................................................................. ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ ................................................................................. ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ ................................................................................. ____________________________ • .......................................................................... ____________________________ • .......................................................................... Di (Cognome Nome) ................................................................................................... Il Tutor ........................................................................................................................... 83 ORIENTAMENTO del mio portfolio In questa sezione del mio portfolio raccolgo la documentazione che attesta le esperienze per me più significative e le occasioni di crescita nella conoscenza di me stesso/a, finalizzate ad un’adeguata scelta dei miei percorsi formativo-lavorativi, in particolare circa: • La definizione delle mie attitudini, preferenze, valori, possibilità • La valorizzazione delle più importanti esperienze formative, personali, sociali • La possibilità di utilizzare al meglio le mie potenzialità • ___________________________________________________________________ • ___________________________________________________________________ In particolare: • Scheda IV-1: Percorsi di orientamento precedente (Libretto Formativo) • Scheda IV-2: Profilo orientativo iniziale • Scheda IV-3: Profilo orientativo in itinere • Scheda IV-4: Profilo orientativo finale PORTFOLIO Sezione Quarta - Orientamento 84 Scheda IV-1: Libretto formativo Percorsi di orientamento precedenti PORTFOLIO Sezione Quarta - Orientamento Registrazione delle eventuali attività di orientamento svolte dall’utente. Le esperienze di orientamento che ho vissuto fino ad oggi sono state le seguenti: Ho partecipato ad attività di orientamento presso il Centro/Istituto ........................................................................................................................................... dal ................ al ................ per ore complessive ......................................................................................................... � all’interno del corso .................................................................................................... � come percorso a se stante dal titolo .................................................................................. � nell’ambito di colloqui individuali ................................................................................... ........................................................................................................................................... Azioni effettuate: ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... (altro) ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... 85 Le mie “aspirazioni” e i miei “interessi” più rilevanti finora sono questi: ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Le capacità che oggi possiedo e di cui posso dire di essere orgoglioso, perché lo dicono anche altri sul mio conto, sono queste: ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Sono convinto che ad oggi i miei “punti forti” siano questi: ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Sono convinto che ad oggi gli aspetti sui quali migliorare siano questi: ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Credo che ad oggi la mia famiglia possa esprimere su di me le seguenti opinioni, che personalmente condivido: ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Se dovessi indicare sinteticamente un “progetto” personale da portare avanti durante l’anno, con opportune verifiche, forse direi... ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Ho compilato questa scheda il giorno .............................................................................. (data di compilazione) Scheda IV-2 Profilo orientativo iniziale PORTFOLIO Sezione Quarta - Orientamento 86 Scheda IV-3 Profilo orientativo in itinere PORTFOLIO Sezione Quarta - Orientamento Descrivo brevemente me stesso: risorse e criticità, valori che regolano il vivere quotidiano, interessi e hobby... Data ............................ ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Data ............................ ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Data ............................ ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Data ............................ ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Lungo il percorso formativo intrapreso, le principali difficoltà che hanno ostacolato il raggiungimento dei miei obiettivi sono: Data ............................ ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Data ............................ ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Data ............................ ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Data ............................ ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... 87 Ho cercato di fronteggiare le difficoltà incontrate nel modo seguente e con i seguenti risultati: Data ............................ ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Data ............................ ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Data ............................ ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Data ............................ ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Per soddisfare le mie aspettative odierne, penso di poter riuscire a raggiungere le seguenti mete: Data ............................ ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Data ............................ ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Data ............................ ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Data ............................ ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Scheda IV-3 PORTFOLIO Sezione Quarta - Orientamento 88 Scheda IV-3 PORTFOLIO Sezione Quarta - Orientamento Per soddisfare le mie aspettative odierne penso di poter/dover contare sull’aiuto di (famiglia, formatori, amici, ...): Data ............................ ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Data ............................ ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Data ............................ ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Data ............................ ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Esprimo una valutazione sintetica (bilancio personale) su me stesso, in termini di conoscenze, capacità personali e di studio, capacità lavorative e professionali: Data ............................ ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Data ............................ ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Data ............................ ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Data ............................ ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... 89 Dalla riflessione sull’esperienza formativa che ho vissuto in questi anni ritengo che le esperienze significative sono state: ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Dal punto di vista della mia formazione personale (autostima, capacità comunicative e relazionali, cooperazione…) ritengo di essere cresciuto nei seguenti aspetti... ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Nella riflessione su questa esperienza credo che il mio metodo di studio e di lavoro sia: ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Nella riflessione su questa esperienza credo che la mia maturità professionale sia: ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... PROGETTO PERSONALE Dopo aver riflettuto con i miei compagni e con i miei formatori sulle esperienze formative che ho vissuto in questi anni, vorrei schematicamente delineare in poche righe un PROGETTO per il futuro che cercherò di realizzare: ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Scheda IV-4 Profilo orientativo finale PORTFOLIO Sezione Quarta - Orientamento 90 Scheda IV-4 PORTFOLIO Sezione Quarta - Orientamento Le “attitudini” e gli “interessi” che metterò in gioco saranno… ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Perché (motivazioni personali per la realizzazione del progetto) ................................. ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... I “valori” nascosti dietro a queste attività e a questi impegni sono: ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Le “opportunità” da non lasciarmi sfuggire saranno… ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Sono convinto che per crescere e migliorare dovrò essere capace di: ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Eventuali problemi da affrontare e modalità per superarli (persone, strumenti, situazioni su cui il progetto può contare…): ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Ho compilato questa scheda il giorno ........................................................................... (data di compilazione) 91 LA PROFESSIONALITÀ del mio portfolio In questa parte raccolgo la documentazione del mio sviluppo educativo, culturale e professionale e del mio apprendimento. Sono la testimonianza di ciò che ho appreso, del mio impegno e del mio miglioramento continuo. Vengono raccolti i materiali più significativi delle attività orientative, sociali, culturali e professionali. • Scheda V-1: Profilo Professionale (Libretto Formativo) • Scheda V-2: Percorso Formativo (Libretto Formativo) • Scheda V-3: Revisione Progetto Personale (Libretto Formativo) • Scheda V-4: Personalizzazione del percorso (Libretto Formativo) • Scheda V-5: La prestazione. Presentazione della prestazione • Scheda V-6: La prestazione. Scheda della prestazione • Scheda V-7: La prestazione. Rubrica di valutazione e valutazione conseguita • Scheda V-8: La prestazione. Documentazione della prestazione • Scheda V-9: La prestazione. Riflessione sulla prestazione PORTFOLIO Sezione Quinta - La professionalità 92 Scheda V-1: Libretto Formativo Profilo Professionale PORTFOLIO Sezione Quinta - La professionalità Descrizione del profilo professionale comprendente le competenze e le attività. Denominazione Profilo professionale Descrizione sintetica (tratta da “Descrizione per l’orientamento”) Competenze e attività correlate Competenze Attività 93 Descrizione del percorso formativo in fasi e unità formative. Scheda V-2: Libretto Formativo Percorso Formativo PORTFOLIO Sezione Quinta - La professionalità Denominazione Corso Fasi /Moduli ore UF ore 94 Scheda V-3: Libretto Formativo Revisione Progetto Personale PORTFOLIO Sezione Quinta - La professionalità Descrizione del “patto formativo” personale quando si evince la necessità di definire parti del percorso formativo specificatamente per l’utente. PRIMA REVISIONE data ........................................ Annotazioni ............................................................................................................................................... ............................................................................................................................................... ............................................................................................................................................... ............................................................................................................................................... Tutor formativo ................................... Corsista ............................................... SECONDA REVISIONE data ........................................ Annotazioni ............................................................................................................................................... ............................................................................................................................................... ............................................................................................................................................... ............................................................................................................................................... Tutor formativo ................................... Corsista ............................................... TERZA REVISIONE data ........................................ Annotazioni ............................................................................................................................................... ............................................................................................................................................... ............................................................................................................................................... ............................................................................................................................................... Tutor formativo ................................... Corsista ............................................... 95 Descrizione di eventuali parti del percorso che vengono personalizzate con appro- fondimenti o recuperi. ❑ Approfondimenti Titolo UdA ................................................................................................ ore ............... Argomenti: � ............................................................................................................................................... � ............................................................................................................................................... � ............................................................................................................................................... Titolo UdA ................................................................................................ ore ............... Argomenti: � ............................................................................................................................................... � ............................................................................................................................................... � ............................................................................................................................................... ❑ Recuperi Titolo UdA ................................................................................................ ore ............... Argomenti: � ............................................................................................................................................... � ............................................................................................................................................... � ............................................................................................................................................... Titolo UdA ................................................................................................ ore ............... Argomenti: � ............................................................................................................................................... � ............................................................................................................................................... � ............................................................................................................................................... Scheda V-4: Libretto Formativo Personalizzazione del percorso PORTFOLIO Sezione Quinta - La professionalità 96 PORTFOLIO Sezione Quinta - La professionalità LE PRESTAZIONI PROFESSIONALI nel mio portfolio 97 Il titolo della prestazione (o del capolavoro) è: ................................................................................................................................................... 1) Mi chiamo: ......................................................................................................................... 2) Ho redatto la scheda il giorno: .................................................................................. 3) La prestazione riguarda la seguente disciplina: .............................................................. 4) Ho scelto di inserire questa prestazione nel Portfolio perché ❑ rappresenta per me un grande passo avanti nel mio apprendimento; ❑ ha a che fare con un argomento che mi ha interessato molto; ❑ appartiene a un’area della disciplina nella quale avevo bisogno di migliorare; ❑ è stato il punto da cui sono partito per migliorare le mie capacità. 5) Nell’eseguire questa attività penso di aver imparato su di me che: a) ........................................................................................................................................ b) ....................................................................................................................................... c) ....................................................................................................................................... d) ....................................................................................................................................... 6) Di ciò che ho fatto, mi è piaciuto soprattutto questo: a) ........................................................................................................................................ b) ....................................................................................................................................... c) ....................................................................................................................................... d) ....................................................................................................................................... Vorrei aggiungere queste osservazioni personali: ............................................................................................................................................... ............................................................................................................................................... ............................................................................................................................................... ............................................................................................................................................... ............................................................................................................................................... Ho compilato questa scheda il giorno .......................................................................... (data di compilazione) Scheda V-5: La prestazione Presentazione della prestazione PORTFOLIO Sezione Quinta - La professionalità 98 Scheda V-6: La prestazione Scheda della prestazione PORTFOLIO Sezione Quinta - La professionalità Profilo: Operatore elettrico - Impiantista civile e industriale1 L'impiantista civile e industriale è in grado di installare e in alcuni casi anche pro- gettare impianti elettrici in edilizia residenziale, in ambienti produttivi artigianali, del terziario e industriali, conoscendo le prescrizioni tecniche e normative che consen- tono di eseguirlo a regola d’arte, in ottemperanza alla legislazione vigente. È in gra- do di effettuare interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, diagnosticare guasti, effettuarne il recupero delle anomalie e verificare ai termini di legge l'impianto. Il profilo professionale corrisponde ai seguenti ruoli: – installatore e/o manutentore impianti elettrici, – cablatore di impianti elettrici civili e industriali. È possibile una successiva crescita professionale che gli permetterà di assumere ruoli di coordina- mento operativo (responsabile di impresa installatrice e/o responsabile della manu- tenzione aziendale). Lo sviluppo della professionalità acquisita può evolversi verso ambiti professionali specifici quali – impianti in ambienti speciali; impianti di tele- comunicazione; impianti trasmissioni dati; impianti di protezione da scariche atmo- sferiche; impianti di sollevamento di persone o cose; impianti di protezione antin- cendio; building automation; progettazione computerizzata degli impianti; impianti di anti-intrusione. COMPETENZE: • Contestualizzare • Sviluppare • Scegliere differenti tecnologie soluzioni progettuali il ciclo di lavoro per la gestione degli impianti Titolo della prestazione/capolavoro ............................................................................................................................................ Titolo Parti comuni edificio Civile Disegno Inserire il disegno (se previsto) indicativo Obiettivo Il tuo compito è realizzare l’impianto a “Regola d’arte” delle parti comuni di un edificio adibito ad abitazione civile: luci scale, locale cantina, passo pedonale e giardino. Il problema, o la sfida, è la concorrenza, cioè il rapporto qualità/prez- zo e i tempi di completamento del lavoro. 1 Nota generale: Le Prestazioni sono sia del Profilo ICI che IMIAI, la rubrica di valutazione è gene- rale del profilo IMIAI ed è da adattare, da parte del Formatore, per ogni Prestazione. 99 Ruolo Tu sei titolare di un’impresa artigiana e devi realizzare, sulla base di un capitolato dei lavori, l’impianto elettrico delle parti comuni di un edificio adibito a civile abitazione, costituito da 4 piani fuori terra con cantine, locale autorimessa e annesso giardino condominiale. Destinatario I responsabili dell’impresa “IL MATTONE” ti chiedono di presen- tare l’impianto da te ipotizzato come migliore di altri tuoi concor- renti. Situazione La sfida implica risponde alle esigenze del capitolato: • Procurarsi fonti professionali di informazione; • Informarsi sulla legislazione normativa vigente; • Rilevare il rapporto qualità/prezzo tra diverse fonti di informazio- ne sui materiali; • Organizzare il lavoro in modo da rispettare i tempi di realizzazione; • Garantire l’esecuzione nei tempi stabiliti. Progetto o Realizzerai e verificherai l’impianto dal capitolato producendo la do- prestazione cumentazione e la sequenza dei lavori immaginando 8h di lavoro ef- fettivi per giornata. Standard Il tuo lavoro sarà giudicato dal direttore dei lavori, al quale in un pri- di successo mo tempo consegnerai: • Lo schema topografico unifilare e quello funzionale; • La distinta materiale; • Il preventivo costi. Una volta eseguito l’impianto DOVRAI: • Illustrare il funzionamento (effettuando il collaudo funzionale e le verifiche di legge) tenendo conto che, in caso di non rispondenza al- le specifiche richieste, sarai tenuto a recuperare le eventuali anoma- lie o incompletezze; • Compilare la dichiarazione di conformità a “Regola d’Arte”; • Produrre la relazione tecnico consuntiva; • Consegnare il piano di lavoro operativo nei vari giorni. Scheda V-6: La prestazione PORTFOLIO Sezione Quinta - La professionalità 100 Scheda V-7: La prestazione RUBRICA DI VALUTAZIONE E PORTFOLIO Sezione Quinta - La professionalità CO MP ET EN ZE AT TI V IT À Co nte stu ali zza re so luz ion i p rog ett ua li Re di ge re la p ro ge tta - zi on e de gl i i m pi an ti U til izz ar e so ftw are sp ec ific i d el set tor e U til izz ar e so ftw are sp ec ific i d el set tor e Sv ilu pp are il cic lo di lav or o Re al izz ar e im pi an ti el et tri ci ci vi li Sc egl ier e dif fer en ti t ecn olo gie pe r l a g est ion e d egl i im pia nti Pr od urr e il m ate - ria le do cum ent ale OTTIMO 100-90 BUONO 89-75 ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ Effettua in modo corretto, completo e ordinato la stesura del progetto. Sceglie correttamente i componenti in riferimento ai catalo- ghi e al rispetto delle normative. Rispetta scrupolosamente le normative elettriche inerenti al dimensionamento. Disegna con correttezza e completezza lo schema elettrico. Compila correttamente tutte le parti della relativa documen- tazione. Completa in modo corretto tutte le parti attinenti all’impo- stazione del software. Svolge correttamente e completamente l’elaborato tecnico. Svolge il ciclo di lavoro in modo corretto, completo ed or- dinato. Completa in modo corretto tutte le parti attinenti all’impo- stazione del software. Svolge correttamente e completamente l’elaborato tecnico. Svolge il ciclo di lavoro in modo corretto, completo ed or- dinato. Legge ed interpreta correttamente il disegno elettrico Effettua in modo autonomo, corretto e completo il cablag- gio elettrico. Utilizza in modo appropriato lo strumento, comprende il suo scopo, e sa come funziona. Ricerca in modo autonomo e trova soluzioni appropriate ai problemi dell'impianto. Effettua in modo corretto, completo, ma non ordinato la ste- sura del progetto. Sceglie in modo errato alcuni componenti non importanti in riferimento ai cataloghi e al rispetto delle normative. Dimentica una o due normative elettriche poco rilevanti ine- renti al dimensionamento. Disegna lo schema elettrico con alcuni errori irrilevanti re- lativi alla funzionalità e alla simbologia. Compila in modo errato alcune parti non principali della re- lativa documentazione. Completa le parti attinenti all’impostazione del software con alcune imprecisioni di scarsa rilevanza. Svolge in modo errato alcune parti poco importanti dell'e- laborato tecnico. Svolge il ciclo di lavoro con alcuni errori ininfluenti. Completa le parti attinenti all’impostazione del software con alcune imprecisioni di scarsa rilevanza. Svolge in modo errato alcune parti poco importanti dell'e- laborato tecnico. Svolge il ciclo di lavoro con alcuni errori ininfluenti. Legge ed interpreta correttamente il disegno elettrico ma con alcune imprecisioni di scarsa importanza. Effettua in modo autonomo, corretto e completo il cablag- gio elettrico, ma con alcune inesattezze irrilevanti. Utilizza in modo appropriato lo strumento, comprende il suo scopo, ma non sa come funziona. Ricerca in modo autonomo e trova soluzioni ai problemi del- l’impianto con piccoli aiuti del formatore. 101 Insieme con il formatore abbiamo compilato questa scheda il giorno ................................ (data di compilazione) Scheda V-7: La prestazione VALUTAZIONE CONSEGUITA PORTFOLIO Sezione Quinta - La professionalità SUFFICIENTE 74-60 INIZIALE 59-0 ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ ❏ Effettua la stesura del progetto con alcune imperfezioni ed alcuni errori trascurabili. Effettua la stesura del progetto con alcune imperfezioni ed alcuni errori rilevanti. Sceglie in modo errato alcuni componenti importanti in ri- ferimento ai cataloghi e al rispetto delle normative. Sceglie in modo errato vari componenti importanti in rife- rimento ai cataloghi e al rispetto delle normative. Dimentica una o due normative elettriche rilevanti inerenti al dimensionamento. Dimentica numerose normative elettriche rilevanti inerenti al dimensionamento. Disegna lo schema elettrico con alcuni (2-3) errori rilevan- ti relativi alla funzionalità e alla simbologia. Disegna lo schema elettrico con numerosi errori rilevanti re- lativi alla funzionalità e alla simbologia. Compila in modo errato alcune parti principali della relati- va documentazione. Compila in modo errato numerose parti principali della re- lativa documentazione. Completa le parti attinenti all’impostazione del software con numerose imprecisioni di discreta rilevanza. Completa le parti attinenti all’impostazione del software con molte imprecisioni di considerevole rilevanza. Svolge in modo errato alcune parti importanti dell’elabora- to tecnico. Svolge in modo errato numerose parti importanti dell’ela- borato tecnico. Svolge il ciclo di lavoro con alcuni errori importanti. Svolge il ciclo di lavoro con numerosi errori importanti. Completa le parti attinenti all’impostazione del software con numerose imprecisioni di discreta rilevanza. Completa le parti attinenti all’impostazione del software con molte imprecisioni di considerevole rilevanza. Svolge in modo errato alcune parti importanti dell’elabora- to tecnico. Svolge in modo errato numerose parti importanti dell’ela- borato tecnico. Svolge il ciclo di lavoro con alcuni errori importanti. Svolge il ciclo di lavoro con numerosi errori importanti. Legge ed interpreta correttamente il disegno elettrico ma con alcune imprecisioni rilevanti. Legge ed interpreta il disegno elettrico con molta confusio- ne. Insicuro ed impreciso. Effettua in modo autonomo, corretto e completo il cablag- gio elettrico, ma con alcune inesattezze importanti. Effettua il cablaggio elettrico con numerose inesattezze gravi. Utilizza in modo appropriato lo strumento, non comprende pienamente il suo scopo, e non sa come funziona. Utilizza lo strumento con metodi e modalità non corretti. Ricerca in modo autonomo ma ha bisogno del formatore per trovare soluzioni ai problemi dell'impianto. Non è autonomo nella ricerca e non trova soluzioni ai pro- blemi dell’impianto neppure con l’aiuto del formatore. 102 Scheda V-8: La prestazione Documentazione della prestazione PORTFOLIO Sezione Quinta - La professionalità Titolo della prestazione/capolavoro ............................................................................................................................................ Le foto seguenti documentano ciò che ho realizzato: Prestazione finita e montata � Particolari della prestazione in fase di realizzazione � Dettaglio di come avviene la realizzazione di parte della prestazione � Ho compilato questa scheda il giorno .......................................................................... (data di compilazione) INSERIRE FOTO INSERIRE FOTO INSERIRE FOTO 103 Titolo della prestazione/capolavoro ............................................................................................................................................ Il tipo di compito che ho fatto è un/a: (mettere una crocetta in corrispondenza di una scelta) � Applicazione � Progetto � Risoluzione di problema � Scelta aperta Rivedendo il mio lavoro rispondo alle seguenti richieste: 1. Provo a descrivere il compito .............................................................................................................................................. .............................................................................................................................................. 2. Ho cominciato a realizzarlo il ....................... l’ho terminato il ....................... 3. Ho portato a termine questo lavoro, con .............................................................................................................................................. Nel lavoro in gruppo c’era una suddivisione di ruoli ....................................................... Io dovevo .......................................................................................................................... 4. Come risulta da questa esperienza, penso ora di sapere bene: .............................................................................................................................................. 5. Per realizzare questo progetto (problema) ho appreso... .............................................................................................................................................. 6. Così, in tre frasi, sintetizzerei quello che ho fatto o imparato .............................................................................................................................................. .............................................................................................................................................. 7. Quello che ho fatto è importante per me e per la mia professione perché... .............................................................................................................................................. 8. Sinteticamente valuto la mia prestazione/capolavoro nel seguente modo: (compila la rubrica di autovalutazione del compito allegata e riporta qui il tuo giudizio sintetico) .............................................................................................................................................. .............................................................................................................................................. Ho compilato questa scheda il giorno .......................................................................... (data di compilazione) Scheda V-9: La prestazione Riflessione sulla prestazione (Realizzata dallo studente guidato dal formatore) PORTFOLIO Sezione Quinta - La professionalità 104 PORTFOLIO Sezione Sesta - Stage LO STAGE del mio portfolio In questa sezione raccolgo la documentazione collegata alla mia esperienza di stage: • Scheda VI-1: Stage aziendale (Libretto Formativo) • Scheda VI-2: Descrizione azienda • Scheda VI-3: Riflessione ambiente • Scheda VI-4: Descrizione prodotto • Scheda VI-5: Rubrica di valutazione dello Stage - Periodo Iniziale • Scheda VI-6: Rubrica di valutazione dello Stage - Periodo Intermedio • Scheda VI-7: Rubrica di valutazione dello Stage - Periodo Finale • Scheda VI-8: Soddisfazione azienda • Scheda VI-9: Soddisfazione allievi 105 Descrizione sintetica delle attività di stage effettuate dall’utente durante il percorso formativo. Sede di svolgimento .......................................................................... ore .................... Settore/funzione ............................................................................................................ Principali mansioni svolte .............................................................................................. ........................................................................................................................................... Valutazione .................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Data .................................. Il tutor formativo ..................................... Il tutor aziendale ..................................... Sede di svolgimento .......................................................................... ore .................... Settore/funzione ............................................................................................................ Principali mansioni svolte .............................................................................................. ........................................................................................................................................... Valutazione .................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Data .................................. Il tutor formativo ..................................... Il tutor aziendale ..................................... Sede di svolgimento .......................................................................... ore .................... Settore/funzione ............................................................................................................ Principali mansioni svolte .............................................................................................. ........................................................................................................................................... Valutazione .................................................................................................................... ........................................................................................................................................... Data .................................. Il tutor formativo ..................................... Il tutor aziendale ..................................... Ho compilato questa scheda il giorno .......................................................................... (data di compilazione) Scheda VI-1: Libretto Formativo Stage aziendale PORTFOLIO Sezione Sesta - Stage 106 Scheda VI-2 Descrizione azienda PORTFOLIO Sezione Sesta - Stage 1) Quali sono le dimensioni strutturali dell’azienda che ospitano il tirocinio? .............................................................................................................................................. .............................................................................................................................................. 2) Quanti dipendenti ha? Di cui quanti impiegati? .............................................................................................................................................. .............................................................................................................................................. 3) L’azienda è divisa in reparti? Se sì, quanti? .............................................................................................................................................. .............................................................................................................................................. 4) In quale reparto sei stato inserito e qual è stata la tua mansione all’interno del- l’azienda? .............................................................................................................................................. .............................................................................................................................................. 5) Qual è la mansione della persona che ti ha affiancato nel periodo di tirocinio? .............................................................................................................................................. .............................................................................................................................................. 6) Se era un dipendente, aveva delle responsabilità particolari (capo reparto, capo officina, ecc.), oppure era un operaio? .............................................................................................................................................. .............................................................................................................................................. 7) Quali tipi di intervento pratico hai potuto effettuare durante tutto il periodo di ti- rocinio? .............................................................................................................................................. .............................................................................................................................................. 8) L’azienda è diretta da un gruppo di soci o ha un unico titolare? .............................................................................................................................................. .............................................................................................................................................. 9) Utilizza le ultime novità tecnologiche del proprio settore? Se sì, quali hai indivi- duato? .............................................................................................................................................. .............................................................................................................................................. Altro: ................................................................................................................................ .............................................................................................................................................. Ho compilato questa scheda il giorno .......................................................................... (data di compilazione) 107 1) Pensando al corso che hai frequentato e all’azienda nella quale hai svolto il tiro- cinio, quali argomenti consigli di approfondire? .............................................................................................................................................. .............................................................................................................................................. 2) Durante lo svolgimento dell’esperienza di tirocinio, hai vissuto qualche momen- to “critico” (nei rapporti con i colleghi, nell’operare con gli strumenti, nello svol- gere determinati compiti, nell’impatto generale con un ambiente nuovo)? .............................................................................................................................................. .............................................................................................................................................. 3) Come hai risolto questi eventuali momenti critici? .............................................................................................................................................. .............................................................................................................................................. 4) In che cosa ti sei sentito più a tuo agio? .............................................................................................................................................. .............................................................................................................................................. 5) Descrivi come sono stati i rapporti col tuo diretto responsabile .............................................................................................................................................. .............................................................................................................................................. 6) Il responsabile aziendale o altri ti hanno seguito costantemente nello svolgimen- to del tuo lavoro, oppure si sono limitati ad affidarti dei compiti? .............................................................................................................................................. .............................................................................................................................................. 7) Qual è la tua impressione sul “clima” all’interno del tuo reparto (collaborazione tra persone, interesse, impegno, ecc.)? .............................................................................................................................................. .............................................................................................................................................. 8) Hai rilevato delle disfunzioni (nei metodi di lavoro, di tipo organizzativo, nei rap- porti interpersonali, ecc.) nel reparto in cui sei stato inserito? .............................................................................................................................................. .............................................................................................................................................. 9) Sei potuto intervenire in tali disfunzioni? Se sì, in quale maniera (a livello di pro- posta o di intervento operativo)? .............................................................................................................................................. .............................................................................................................................................. 10) Gli insegnanti del tuo corso in che misura ti hanno seguito durante l’esperienza di tirocinio? .............................................................................................................................................. .............................................................................................................................................. Altro: ................................................................................................................................ .............................................................................................................................................. Ho compilato questa scheda il giorno .......................................................................... (data di compilazione) Scheda VI-3 Riflessione ambiente PORTFOLIO Sezione Sesta - Stage 108 Scheda VI-4 Descrizione prodotto PORTFOLIO Sezione Sesta - Stage 1) Quale tipo di prodotto viene sviluppato nell’azienda in cui hai svolto il tirocinio? .............................................................................................................................................. .............................................................................................................................................. 2) È un prodotto di tipo meccanico o un prodotto di tipo elettrico/elettronico, oppu- re un misto fra le due tecnologie? .............................................................................................................................................. .............................................................................................................................................. 3) È un prodotto complesso da realizzare o di facile costruzione/montaggio? .............................................................................................................................................. .............................................................................................................................................. 4) Che percorso compie il prodotto dalla sua entrata in azienda alla consegna? .............................................................................................................................................. .............................................................................................................................................. 5) L’azienda offre ai suoi clienti anche un servizio di assistenza oppure opera sol- tanto in sede? .............................................................................................................................................. .............................................................................................................................................. 6) Il prodotto che esce dall’azienda è un prodotto finito o ha bisogno di ulteriori la- vorazioni da parte di altre aziende? .............................................................................................................................................. .............................................................................................................................................. 7) Se il prodotto dell’azienda è un prodotto finito, chi è l’utilizzatore finale? .............................................................................................................................................. .............................................................................................................................................. .............................................................................................................................................. .............................................................................................................................................. .............................................................................................................................................. Ho compilato questa scheda il giorno .......................................................................... (data di compilazione) 109 di (Cognome Nome) ................................................................................................... Ho compilato questa scheda il giorno .......................................................................... (data di compilazione) Scheda VI-5: Periodo Iniziale RUBRICA DI VALUTAZIONE DELLO STAGE PORTFOLIO Sezione Sesta - Stage FATTORI GRADI DI VALUTAZIONE 1 AP PL IC AZ IO NE RE LA ZI ON E E CO LL AB OR AZ IO NE Capacità di entrare in relazione e di collaborare con gli altri Nessuna capacità di entrare in relazione e di collaborare con gli altri. ❑ Scarsi i rapporti all’interno del gruppo. Preferisce lavorare da solo. ❑ Media abilità relazionale e capacità di collaborazione all’interno del gruppo. ❑ Buone le relazioni con i colleghi e con i docenti/tutor. Buona la capacità di collaborazione. ❑ Ottime le relazioni con i colleghi e con i docenti/tutor. Elevata capacità di collaborazione. ❑ PR OF IT TO Risultati conseguiti Non ha conseguito un livello accettabile di professionalità. (0-50) ❑ Risultati e professionalità appena accettabili. (51-60) ❑ Risultati e professionalità discreti. (61-70) ❑ Risultati e professionalità buoni. (71-85) ❑ Risultati e professionalità ottimi. (86-100) ❑ LA VO RO /A UT ON OM IA Qualità del lavoro svolto Autonomia e affidabilità Impreciso, confusionario nell’utilizzo delle informazioni e/o degli strumenti. Non autonomo. Non affidabile. ❑ Qualche imprecisione, tende a fare confusione nell’utilizzo delle informazioni e/o degli strumenti. Poco o non sempre autonomo. Qualche problema sull’affidabilità. ❑ Precisione e abilità operative nella norma. Sufficientemente affidabile ed autonomo. ❑ Buon livello di precisione e di abilità operativa. Buona autonomia operativa. Affidabile. ❑ Ottimo livello di precisione e di abilità operativa. Ottimo grado di autonomia operativa. Molto affidabile. ❑ FR EQ UE NZ A Puntualità Presenza Ritardi e assenze molto frequenti. ❑ Frequenti ritardi. Frequenti assenze. ❑ Ritardi e assenze accettabili. ❑ Ritardi e assenze poco significativi. ❑ Ritardi e assenze non significativi. ❑ Interesse, partecipazione e costanza Non è interessato alle attività proposte. Non partecipa. Non è attento. ❑ Scarso interesse alle attività proposte. Poco partecipativo, frequentemente disattento. ❑ Sufficientemente interessato alle attività proposte. Qualche problema di costanza nella partecipazione e nell’impegno. ❑ Buoni l’interesse, la partecipazione, l’impegno e la costanza. Tende ad essere propositivo. ❑ Ottimi l’interesse, la partecipazione, l’impegno e la costanza. Buona propositività. ❑ 2 3 4 5 Descrittori sintetici 110 Scheda VI-6: Periodo Intermedio RUBRICA DI VALUTAZIONE DELLO STAGE PORTFOLIO Sezione Sesta - Stage di (Cognome Nome) ................................................................................................... Ho compilato questa scheda il giorno .......................................................................... (data di compilazione) FATTORI GRADI DI VALUTAZIONE 1 AP PL IC AZ IO NE RE LA ZI ON E E CO LL AB OR AZ IO NE Capacità di entrare in relazione e di collaborare con gli altri Nessuna capacità di entrare in relazione e di collaborare con gli altri. ❑ Scarsi i rapporti all’interno del gruppo. Preferisce lavorare da solo. ❑ Media abilità relazionale e capacità di collaborazione all’interno del gruppo. ❑ Buone le relazioni con i colleghi e con i docenti/tutor. Buona la capacità di collaborazione. ❑ Ottime le relazioni con i colleghi e con i docenti/tutor. Elevata capacità di collaborazione. ❑ PR OF IT TO Risultati conseguiti Non ha conseguito un livello accettabile di professionalità. (0-50) ❑ Risultati e professionalità appena accettabili. (51-60) ❑ Risultati e professionalità discreti. (61-70) ❑ Risultati e professionalità buoni. (71-85) ❑ Risultati e professionalità ottimi. (86-100) ❑ LA VO RO /A UT ON OM IA Qualità del lavoro svolto Autonomia e affidabilità Impreciso, confusionario nell’utilizzo delle informazioni e/o degli strumenti. Non autonomo. Non affidabile. ❑ Qualche imprecisione, tende a fare confusione nell’utilizzo delle informazioni e/o degli strumenti. Poco o non sempre autonomo. Qualche problema sull’affidabilità. ❑ Precisione e abilità operative nella norma. Sufficientemente affidabile ed autonomo. ❑ Buon livello di precisione e di abilità operativa. Buona autonomia operativa. Affidabile. ❑ Ottimo livello di precisione e di abilità operativa. Ottimo grado di autonomia operativa. Molto affidabile. ❑ FR EQ UE NZ A Puntualità Presenza Ritardi e assenze molto frequenti. ❑ Frequenti ritardi. Frequenti assenze. ❑ Ritardi e assenze accettabili. ❑ Ritardi e assenze poco significativi. ❑ Ritardi e assenze non significativi. ❑ Interesse, partecipazione e costanza Non è interessato alle attività proposte. Non partecipa. Non è attento. ❑ Scarso interesse alle attività proposte. Poco partecipativo, frequentemente disattento. ❑ Sufficientemente interessato alle attività proposte. Qualche problema di costanza nella partecipazione e nell’impegno. ❑ Buoni l’interesse, la partecipazione, l’impegno e la costanza. Tende ad essere propositivo. ❑ Ottimi l’interesse, la partecipazione, l’impegno e la costanza. Buona propositività. ❑ 2 3 4 5 Descrittori sintetici 111 di (Cognome Nome) ................................................................................................... Ho compilato questa scheda il giorno .......................................................................... (data di compilazione) Scheda VI-7: Periodo Finale RUBRICA DI VALUTAZIONE DELLO STAGE PORTFOLIO Sezione Sesta - Stage FATTORI GRADI DI VALUTAZIONE 1 AP PL IC AZ IO NE RE LA ZI ON E E CO LL AB OR AZ IO NE Capacità di entrare in relazione e di collaborare con gli altri Nessuna capacità di entrare in relazione e di collaborare con gli altri. ❑ Scarsi i rapporti all’interno del gruppo. Preferisce lavorare da solo. ❑ Media abilità relazionale e capacità di collaborazione all’interno del gruppo. ❑ Buone le relazioni con i colleghi e con i docenti/tutor. Buona la capacità di collaborazione. ❑ Ottime le relazioni con i colleghi e con i docenti/tutor. Elevata capacità di collaborazione. ❑ PR OF IT TO Risultati conseguiti Non ha conseguito un livello accettabile di professionalità. (0-50) ❑ Risultati e professionalità appena accettabili. (51-60) ❑ Risultati e professionalità discreti. (61-70) ❑ Risultati e professionalità buoni. (71-85) ❑ Risultati e professionalità ottimi. (86-100) ❑ LA VO RO /A UT ON OM IA Qualità del lavoro svolto Autonomia e affidabilità Impreciso, confusionario nell’utilizzo delle informazioni e/o degli strumenti. Non autonomo. Non affidabile. ❑ Qualche imprecisione, tende a fare confusione nell’utilizzo delle informazioni e/o degli strumenti. Poco o non sempre autonomo. Qualche problema sull’affidabilità. ❑ Precisione e abilità operative nella norma. Sufficientemente affidabile ed autonomo. ❑ Buon livello di precisione e di abilità operativa. Buona autonomia operativa. Affidabile. ❑ Ottimo livello di precisione e di abilità operativa. Ottimo grado di autonomia operativa. Molto affidabile. ❑ FR EQ UE NZ A Puntualità Presenza Ritardi e assenze molto frequenti. ❑ Frequenti ritardi. Frequenti assenze. ❑ Ritardi e assenze accettabili. ❑ Ritardi e assenze poco significativi. ❑ Ritardi e assenze non significativi. ❑ Interesse, partecipazione e costanza Non è interessato alle attività proposte. Non partecipa. Non è attento. ❑ Scarso interesse alle attività proposte. Poco partecipativo, frequentemente disattento. ❑ Sufficientemente interessato alle attività proposte. Qualche problema di costanza nella partecipazione e nell’impegno. ❑ Buoni l’interesse, la partecipazione, l’impegno e la costanza. Tende ad essere propositivo. ❑ Ottimi l’interesse, la partecipazione, l’impegno e la costanza. Buona propositività. ❑ 2 3 4 5 Descrittori sintetici 112 Scheda VI-8 Soddisfazione azienda PORTFOLIO Sezione Sesta - Stage Inserire la/le scheda/e di soddisfazione stage del sistema qualità. 113 Inserire la/le scheda/e di soddisfazione stage del sistema qualità. Scheda VI-9 Soddisfazione allievi PORTFOLIO Sezione Sesta - Stage 114 PORTFOLIO Sezione Settima - La valutazione LA VALUTAZIONE del mio portfolio Questa parte comprende la documentazione relativa ai seguenti aspetti: LA CERTIFICAZIONE e LA GESTIONE DEI CREDITI FORMATIVI • Scheda VII-1: Competenze rilevate/crediti riconosciuti/conoscenze acquisite (Li- bretto Formativo) • Scheda VII-2: Acquisizioni certificate durante il percorso (Libretto Formativo) • Scheda VII-3: Acquisizioni certificate al termine del percorso (Libretto Forma- tivo) • Scheda VII-4: Competenze acquisite in percorsi di apprendimento (Sezione 2 Li- bretto Formativo del Cittadino) LA VALUTAZIONE DEGLI APPRENDIMENTI • Scheda VII-5: Valutazione del mio apprendimento attraverso il portfolio (Rubriche di valutazione) LA REALIZZAZIONE DEI PASSAGGI • Scheda VII-6: Domanda di passaggio • Scheda VII-7: Confronto requisiti richiesti e posseduti • Scheda VII-8: Convenzione tra organismi • Scheda VII-9: Modelli di riconoscimenti per i crediti 115 LA CERTIFICAZIONE E LA GESTIONE DEI CREDITI FORMATIVI del mio portfolio PORTFOLIO Sezione Settima - La valutazione 116 PORTFOLIO Sezione Settima - La valutazione di (Cognome Nome): ................................................................................................... Registrazione degli eventuali crediti formativi posseduti dall’utente prima di iniziare a frequentare il corso. I crediti vengono riconosciuti sotto forma di competenze possedute o di conoscenze acquisite e vengono descritti secondo il modello della Sezione 2 del Libretto Formativo del Cittadino. Vedi sezione 2 - Competenze acquisite in percorsi di apprendimento (Libretto Formativo del Cittadino) Scheda VII-1: Libretto Formativo Competenze rilevate/Crediti riconosciuti / /Conoscenze acquisite 117 di (Cognome Nome): ................................................................................................... Certificazione delle acquisizioni possedute dall’utente durante il percorso formativo. Le acquisizioni, riconosciute sotto forma di competenze o di conoscenze, vengono descritte secondo il modello della Sezione 2 del Libretto formativo del cittadino. ACQUISIZIONI CERTIFICATE IN CASO DI ABBANDONO DURANTE IL PERCORSO Vedi sezione 2 - Competenze acquisite in percorsi di apprendimento (Libretto Formativo del Cittadino) PORTFOLIO Sezione Settima - La valutazione Scheda VII-2: Libretto Formativo Acquisizioni certificate durante il percorso 118 Scheda VII-3: Libretto Formativo Acquisizioni certificate al termine del percorso PORTFOLIO Sezione Settima - La valutazione di (Cognome Nome): ................................................................................................... Certificazione delle acquisizioni possedute dall’utente al termine del percorso formativo Certificato di ................................................................................................................................................... Conseguito in data ................................................................................................................................................... Durata del percorso formativo ................................................................................................................................................... Rilasciato da ................................................................................................................................................... .......................................................................... (firma Direttore) Ho compilato questa scheda il giorno .......................................................................... (data di compilazione) 119 ................................................................................................................................................... ................................................................................................................................................... ................................................................................................................................................... ................................................................................................................................................... ................................................................................................................................................... ................................................................................................................................................... ................................................................................................................................................... ................................................................................................................................................... ................................................................................................................................................... ................................................................................................................................................... (*) In caso di competenze acquisite nell’ambito di percorsi di apprendimento formale, specificare l’ar- ticolazione in relazione alle tipologie di competenze individuate dall’accordo in Conferenza Unificata del 28-10-2004: competenze di base, competenze tecnico-professionali e trasversali. Per le competen- ze di base derivanti da percorsi di istruzione e formazione si farà riferimento alle aree individuate dal- l’Accordo in Conferenza Unificata del 15-01-2004: Area dei linguaggi, Area tecnologica, Area scienti- fica, Area storico-socio-economica. Scheda VII-4: Sezione 2 Libretto Formativo del Cittadino Competenze acquisite in percorsi di apprendimento PORTFOLIO Sezione Settima - La valutazione Tipologia (*) Descrizione Contesto di acquisizione (in quale percorso/situazione sono state sviluppate le competenze indicate) Periodo di acquisizione (anno/i in cui sono state sviluppate le competenze indicate) Tipo di evidenze a supporto dell’avvenuta certificazione delle competenze descritte 120 PORTFOLIO Sezione Settima - La valutazione LA VALUTAZIONE DEGLI APPRENDIMENTI del mio portfolio � 121 (Rubriche di valutazione) Compilato il giorno ........................................... (data di compilazione) RUBRICA GENERALE - AREA LINGUISTICA - LINGUA ITALIANA Scheda VII-5 Valutazione del mio apprendimento attraverso il Portfolio PORTFOLIO Sezione Settima - La valutazione CO M PE TE NZ E CA PA CI TÀ Co nt est ua liz za re c om un ica zio ni (sc rit te/ or ali ) d i ca rat ter e fu nz ion ale in li ng ua it ali an a Co mp re nd ere il co nte nu to di inf or m az ion i,t es ti, ar tic oli AT TI VI TÀ Sc am bia re inf orm azi oni co n a ltri an che at tra ve rs o st ru m en ti inf orm ati ci e tel em ati ci OTTIMO 100-90 BUONO 89-75 SUFFICIENTE 74-60 INIZIALE 59-0 Comunica e decodifica in modo corretto, anche uti- lizzando strumenti infor- matici. Comunica e decodifica in modo impreciso e con qualche difficoltà anche utilizzando strumenti in- formatici. Comunica e decodifica in modo lacunoso e impreci- so utilizzando strumenti informatici. Non comunica e decodifi- ca messaggi né conosce strumenti informatici con cui comunicare a distanza. Interagisce con interlocu- tori differenti, controlla la sua conversazione ri- manendo coerente con l’argomento e utilizzando una forma comunicativa- mente corretta. Interagisce con interlocu- tori differenti, controlla la sua conversazione ri- manendo coerente con l’argomento e utilizzando una forma comunicativa- mente imprecisa. Interagisce con interlocu- tori differenti, controlla la sua conversazione ri- manendo coerente con l’argomento e utilizzando una forma comunicativa- mente non inadeguata e scorretta. Interagisce con interlocu- tori differenti procedendo nella conversazione per associazioni e in una for- ma non corretta e/o ina- deguata. De co difi car e m es sa gg i i n f orm a s cri tta e o ral e Legge testi scritti (anche nell’ambito della produ- zione letteraria) in modo molto scorrevole com- prendendo ciò che legge. Legge testi scritti (anche nell’ambito della produ- zione letteraria) in un mo- do quasi sempre scorrevole e comprende in modo mol- to sintetico ciò che legge. Legge testi scritti (anche nell’ambito della produ- zione letteraria) con erro- ri e ripetizioni compren- dendo solo parzialmente ciò che legge. Legge testi scritti (anche nell’ambito della produ- zione letteraria) in modo stentato e non comprende ciò che legge. Ascolta comunicazioni verbali riuscendo a para- frasare o a sintetizzare ciò che ha ascoltato. Ascolta comunicazioni verbali riuscendo parzial- mente a parafrasare o a sintetizzare ciò che ha ascoltato. Ascolta comunicazioni verbali riuscendo appena a sintetizzare ciò che ha ascoltato. Ascolta comunicazioni verbali non riuscendo a sintetizzare e/o frainten- dendo ciò che ha ascolato. Riconosce in un testo tut- ti i fatti, le idee fonda- mentali, i punti di vista e/o le finalità, con il rispetti- vo lessico specifico. Riconosce in un testo qua- si tutti i fatti, le idee fon- damentali, i punti di vista e/o le finalità, con il ri- spettivo lessico specifico. Riconosce in un testo so- lo i fatti principali, le idee fondamentali, i punti di vi- sta e/o le finalità,indivi- duando parzialmente il ri- spettivo lessico specifico. Riconosce in un testo so- lo alcuni fatti, alcune idee fondamentali, alcuni pun- ti di vista e/o finalità, in- dividuando poche volte o quasi mai il rispettivo les- sico specifico. Dispone di un lessico mol- to ampio e coerente. Dispone di un lessico suf- ficientemente ampio e co- erente. Dispone di un lessico ap- pena sufficiente e con qualche incoerenza. Dispone di un lessico in- sufficiente e/o del tutto in- coerente. CO M PE TE NZ E CA PA CI TÀ AT TI VI TÀ OTTIMO 100-90 BUONO 89-75 SUFFICIENTE 74-60 INIZIALE 59-0 � 122 PORTFOLIO Sezione Settima - La valutazione Es po rre il pr op rio pu nto di vi sta su lla ba se di un a s ca let ta Produce una scaletta fun- zionale al testo da realiz- zare. Produce una scaletta poco funzionale al testo da rea- lizzare. Produce una scaletta ap- pena funzionale al testo da realizzare. Produce una scaletta per nulla funzionale al testo da realizzare o non produce alcuna scaletta. Sintetizza i contenuti (in relazione all’obiettivo del- la comunicazione) in mo- do immediato e corretto. Sintetizza i contenuti (in relazione all’obiettivo del- la comunicazione) in mo- do chiaro e quasi sempre corretto. Sintetizza i contenuti (in relazione all’obiettivo del- la comunicazione) in mo- do sufficientemente cor- retto. Sintetizza i contenuti (in relazione all’obiettivo del- la comunicazione) in mo- do insufficiente. Sc riv ere te st i i nfo rm ati vi e d es pr es siv i (a ppu nti ,ve rb ali ,le tte re) Or ga ni zza re il tes to sel ezi on an do i c on ten uti Sc riv ere te st i i nfo rm ati vi e d e spr es siv i (ap pun ti, ve rb ali ,le tte re) St ru ttu ra re il tes to ne l r isp ett o de lle pr inc ipa li r eg ole gr am ma tic ali Es po rre il pr op rio pu nto di vi sta su lla ba se di un a s ca let ta Distribuisce molto bene le informazioni in relazione al destinatario. Rivede e stila un editing fi- nale corretto. Distribuisce informazio- ni in modo impreciso e in- completo rispetto al desti- natario. Rivede e stila un editing fi- nale non accorgendosi di alcuni errori. Distribuisce le informa- zioni procedendo in modo non scorrevole né facil- mente comprensibile al destinatario. Rivede e stila un editing fi- nale con alcuni gravi er- rori ortografici e gram- maticali. Distribuisce le informa- zioni procedendo in modo poco scorrevole e incom- prensibile al destinatario. Rivede e stila un editing fi- nale con troppi errori or- tografici e grammaticali. Rivede e stila un editing fi- nale corretto. Rivede e stila un editing fi- nale non accorgendosi di alcuni errori. Rivede e stila un editing fi- nale con alcuni gravi er- rori ortografici e gram- maticali. Rivede e stila un editing fi- nale con troppi errori or- tografici e grammaticali. Distribuisce molto bene le informazioni in relazione al destinatario. Distribuisce informazio- ni in modo impreciso e in- completo rispetto al desti- natario. Distribuisce le informa- zioni procedendo in modo non scorrevole né facil- mente comprensibile al destinatario. Distribuisce le informa- zioni procedendo in modo poco scorrevole e incom- prensibile al destinatario. Riconosce i propri dub- bi/errori e ricorre al di- zionario e/o ad altre fonti per migliorare l’elaborato. Riconosce i propri dub- bi/errori, ricorre al dizio- nario e/o ad altre fonti, ma non migliora l’elaborato poiché utilizza i supporti in modo improprio. Riconosce i propri errori ma non sa precisamente a quali strumenti/risorse ri- correre per migliorare l’e- laborato e risolvere i pro- pri dubbi. Non si accorge neppure degli errori né ricorre al- l’utilizzo dei dizionari e/o ad altre fonti per miglio- rare il suo lavoro. Produce una scaletta fun- zionale al testo da realiz- zare. Produce una scaletta poco funzionale al testo da rea- lizzare. Produce una scaletta ap- pena funzionale al testo da realizzare. Produce una scaletta per nulla funzionale al testo da realizzare o non produce alcuna scaletta. Rivolgendosi a destinata- ri diversi modifica con fa- cilità il proprio messaggio. Rivolgendosi a destinata- ri diversi modifica con qualche difficoltà il pro- prio messaggio. Rivolgendosi a destinata- ri diversi modifica con difficoltà il proprio mes- saggio. Rivolgendosi a destinata- ri diversi non sa modifi- care il proprio messaggio. Co nt est ua liz za re c om un ica zio ni (sc rit te/ ora li) di car att ere fu nz ion ale in li ng ua it ali an a Ri co no sc er e l e p rin cip ali te cn ich e gr am ma tic ali ,c om po sit ive , es po sit ive AT TI VI TÀ CO M PE TE NZ E CA PA CI TÀ OTTIMO 100-90 BUONO 89-75 SUFFICIENTE 74-60 INIZIALE 59-0 � 123 PORTFOLIO Sezione Settima - La valutazione Ri co no sc er e l e p rin cip ali te cn ich e gr am ma tic ali ,c om po sit ive , es po sit ive Sc riv ere te st i i nfo rm ati vi e d e spr es siv i (ap pun ti, ve rb ali ,le tte re) Es po rre il pr op rio pu nto di vi sta su lla ba se di un a s ca let ta Sc am bia re inf orm azi oni co n a ltri an che at tra ve rs o st ru m en ti inf orm ati ci e tel em ati ci Distribuisce molto bene le informazioni in relazione al destinatario. Rivede e stila un editing fi- nale corretto. Rivede e stila un editing fi- nale non accorgendosi di alcuni errori. Distribuisce informazio- ni in modo impreciso e in- completo rispetto al desti- natario. Rivede e stila un editing fi- nale con alcuni gravi er- rori ortografici e gram- maticali. Distribuisce le informa- zioni procedendo in modo non scorrevole né facil- mente comprensibile al destinatario. Distribuisce le informa- zioni procedendo in modo poco scorrevole e incom- prensibile al destinatario. Rivede e stila un editing fi- nale con troppi errori or- tografici e grammaticali. Riconosce i propri dub- bi/errori e ricorre al di- zionario e/o ad altre fonti per migliorare l’elaborato. Riconosce i propri dub- bi/errori, ricorre al dizio- nario e/o ad altre fonti, ma non migliora l’elaborato poiché utilizza i supporti in modo improprio. Riconosce i propri errori ma non sa precisamente a quali strumenti/risorse ri- correre per migliorare l’e- laborato e risolvere i pro- pri dubbi. Non si accorge neppure degli errori né ricorre al- l’utilizzo dei dizionari e/o ad altre fonti per miglio- rare il suo lavoro. Produce una scaletta fun- zionale al testo da realiz- zare. Produce una scaletta poco funzionale al testo da rea- lizzare. Produce una scaletta ap- pena funzionale al testo da realizzare. Produce una scaletta per nulla funzionale al testo da realizzare o non produce alcuna scaletta. Sintetizza i contenuti (in relazione all’obiettivo del- la comunicazione) in mo- do immediato e corretto. Sintetizza i contenuti (in relazione all’obiettivo del- la comunicazione) in mo- do chiaro e quasi sempre corretto. Sintetizza i contenuti (in relazione all’obiettivo del- la comunicazione) in mo- do sufficientemente cor- retto. Sintetizza i contenuti (in relazione all’obiettivo del- la comunicazione) in mo- do insufficiente. Codifica tutte le informa- zioni parafrasandole in modo corretto. Codifica quasi tutte le in- formazioni parafrasando- le con alcune imprecisio- ni. Codifica solo parzialmen- te le informazioni facen- done semplicemente una sintesi. Codifica un numero in- sufficiente di informazio- ni non riuscendo neppure a sintetizzarle. Interagisce con interlocu- tori differenti, controlla la sua conversazione ri- manendo coerente con l’argomento e utilizzando una forma comunicativa- mente corretta. Interagisce con interlocu- tori differenti, controlla la sua conversazione ri- manendo coerente con l’argomento e utilizzando una forma comunicativa- mente imprecisa. Interagisce con interlocu- tori differenti, controlla la sua conversazione ri- manendo coerente con l’argomento e utilizzando una forma comunicativa- mente non adeguata e scorretta. Interagisce con interlocu- tori differenti procedendo nella conversazione per associazioni e in una for- ma non corretta e/o ina- deguata. Co nt est ua liz za re c om un ica zio ni (sc rit te/ ora li) di car att ere fu nz ion ale in li ng ua it ali an a M od ific are la for m a es pr es siv a d i u n t est o i n r ela zio ne al de sti na tar io CO M PE TE NZ E CA PA CI TÀ AT TI VI TÀ OTTIMO 100-90 BUONO 89-75 SUFFICIENTE 74-60 INIZIALE 59-0 124 PORTFOLIO Sezione Settima - La valutazione M od ific are la for m a es pr es siv a d i u n t est o i n r ela zio ne al de sti na tar io Sc riv ere te st i i nfo rm ati vi e d e spr es siv i (ap pun ti, ve rb ali ,le tte re) De co difi car e m es sa gg i in for ma sc ritt a e or ale Riconosce la tipologia del testo e le sue caratteristi- che comunicative. Riconosce in modo solo formale ed esteriore i principali tipi di testo e le sue caratteristiche comu- nicative. Riconosce solo alcuni tipi di testo e alcune sue caratteristiche comuni- cative. Non riconosce i tipi di te- sto né le sue caratteristiche comunicative. Distribuisce molto bene le informazioni in relazione al destinatario. Distribuisce informazio- ni in modo impreciso e in- completo rispetto al desti- natario. Distribuisce le informa- zioni procedendo in modo non scorrevole né facil- mente comprensibile al destinatario. Distribuisce le informa- zioni procedendo in modo poco scorrevole e incom- prensibile al destinatario. Rivede e stila un editing fi- nale corretto. Rivede e stila un editing fi- nale non accorgendosi di alcuni errori. Rivede e stila un editing fi- nale con alcuni gravi er- rori ortografici e gram- maticali. Rivede e stila un editing fi- nale con troppi errori or- tografici e grammaticali. Riconosce i propri dub- bi/errori e ricorre al di- zionario e/o ad altre fonti per migliorare l’elaborato. Riconosce i propri dub- bi/errori, ricorre al dizio- nario e/o ad altre fonti, ma non migliora l’elaborato poiché utilizza i supporti in modo improprio. Riconosce i propri errori ma non sa a quali stru- menti/risorse precisamen- te ricorrere per migliora- re l’elaborato e risolvere i propri dubbi. Non si accorge neppure degli errori né ricorre al- l’utilizzo dei dizionari e/o ad altre fonti per miglio- rare il suo lavoro. Riconosce in un testo tut- ti i fatti, le idee fonda- mentali, i punti di vista e/o le finalità, con il rispetti- vo lessico specifico. Riconosce in un testo qua- si tutti i fatti, le idee fon- damentali, i punti di vista e/o le finalità, con il ri- spettivo lessico specifico. Riconosce in un testo so- lo i principali fatti, idee fondamentali, punti di vi- sta e/o finalità, indivi- duando parzialmente il ri- spettivo lessico specifico. Riconosce in un testo so- lo alcuni fatti, idee fonda- mentali, punti di vista e/o finalità, individuando po- che volte o per nulla il ri- spettivo lessico specifico. Co nt est ua liz za re c om un ica zio ni (sc rit te/ ora li) di car att ere fu nz ion ale in li ng ua it ali an a Utilizza il dizionario molto lentamente e/o senza sape- re come e dove cercare i ter- mini. RUBRICA GENERALE - AREA LINGUISTICA - LINGUA INGLESE 125 PORTFOLIO Sezione Settima - La valutazione CO M PE TE NZ E Co nt est ua liz za re c om un ica zio ni sc rit te/ or ali in lin gu a i ng les e AT TI VI TÀ Co mp ila re un fo rm di reg ist ra zio ne in lin gu a i ng les e Pr od ur re se m pli ci tes ti di ca ra tte re pe rs on ale e/ o q uo tid ian o i n l ing ua in gle se OTTIMO 100-90 BUONO 89-75 SUFFICIENTE 74-60 INIZIALE 59-0 Sa leggere e decodificare le richieste riportate su un mo- dulo, le sa trascrivere e com- pilare correttamente, verifi- ca autonomamente e velo- cemente il form di registra- zione. Sa leggere e decodificare le richieste riportate su un mo- dulo, le sa trascrivere e com- pilare correttamente, ma ha bisogno di un po' di tempo per verificare autonoma- mente il form di registra- zione. Sa leggere e decodificare le richieste riportate su un mo- dulo, ma commette alcuni errori di trascrizione e com- pilazione, non è autonomo nel verificare il form di re- gistrazione. Sa leggere le richieste ri- portate su un modulo, ma le decodifica a stento e non sa trascrivere e compilare quan- to indicato. Scrive un testo scorrevole e coerente, senza alcun erro- re lessicale e/o o grammati- cale. Scrive un testo coerente con pochi errori lessicali, ma non privo di errori di gram- matica Scrive un testo appena co- erente con diversi errori lessicali e/o di grammatica. Scrive un testo confuso e/o con parecchi errori di ogni sorta. Utilizza il dizionario velo- cemente sapendo con preci- sione come e dove cercare i termini. Utilizza il dizionario sapen- do come e dove cercare i ter- mini. Utilizza il dizionario lenta- mente sapendo appena come e dove cercare i termini. Sa cercare informazioni e le legge con una pronuncia precisa; le decodifica e le in- terpreta in modo funzionale all'elaborazione di un testo. Sa cercare informazioni e le legge con una pronuncia quasi precisa; le decodifica e le interpreta in modo fun- zionale all’elaborazione di un testo. Sa cercare informazioni ma le legge con una pronuncia stentata. Ha qualche diffi- coltà a decodificare e a in- terpretare in modo funzio- nale all’elaborazione di un testo. Non sa cercare informazio- ni e non sa leggerle con una pronuncia corretta. Incontra serie difficoltà a decodifica- re e a interpretare in modo funzionale all’elaborazione di un testo. Riesce solo a identificare al- cuni elementi della comuni- cazione ricevuta, frainten- dendo quanto ha ascoltato. Da re /R ice ve re inf orm azi oni in fo rm a o ral e in lin gu a i ng les e Ascolta comunicazioni ver- bali riuscendo a parafrasare o a sintetizzare corretta- mente ciò che ha ascoltato. Ascolta comunicazioni ver- bali riuscendo parzialmente a parafrasare o a sintetizza- re ciò che ha ascoltato. Ascolta comunicazioni ver- bali riuscendo solo ad iden- tificare l'argomento che ha ascoltato. Ascolta comunicazioni ver- bali fraintendendo ciò che ha ascoltato. Comprende e decodifica le informazioni, parafrasando e sintetizzando con precisione quanto ha ascoltato. Comprende e decodifica le informazioni, parafrasando e sintetizzando parzialmente quanto ha ascoltato. Comprende e decodifica le informazioni, riuscendo so- lo a identificare l'argomen- to ascoltato. Rielabora interiorizzando personalmente le informa- zioni ricevute e risponde coerentemente all'interlocu- tore fornendogli nuove ri- flessioni. Rielabora interiorizzando le informazioni ricevute e ri- sponde coerentemente al- l’interlocutore. Comprende sostanzialmen- te ciò che gli viene detto, ma ha qualche difficoltà a ri- spondere coerentemente al- l’interlocutore. È incerto nella comprensio- ne, le sue risposte sono in- coerenti rendendo difficile il procedere della conversa- zione. � 126 PORTFOLIO Sezione Settima - La valutazione RUBRICA GENERALE - AREA STORICO-SOCIO-ECONOMICA CO M PE TE NZ E Es er cit ar e il ru olo d i c itt ad in o a tti vo Or ien tar si ne l m on do de l la vo ro AT TI VI TÀ In ter ag ire c on s tr ut tu re te rr ito ria li di or ga nis mi lo ca li, na zio na li e s ov ra na zio na li OTTIMO 100-90 BUONO 89-75 SUFFICIENTE 74-60 INIZIALE 59-0 Identifica i principi costitu- zionali e comunitari e di- mostra di saper raccogliere informazioni finalizzate ai propri diritti e doveri nei di- versi ambiti. Identifica i principi costitu- zionali e comunitari dimo- strando di saper raccogliere informazioni, ma non di sa- perle gestire riguardo propri diritti e doveri nei diversi ambiti. Identifica i principi costitu- zionali e comunitari ma non sa reperire le informazioni che gli consentano di eser- citare i propri diritti e dove- ri nei diversi ambiti. Non identifica i principi co- stituzionali e/o comunitari e/o non sa reperire le infor- mazioni che gli consentano di esercitare i propri diritti e doveri nei diversi ambiti. Conosce diritti e doveri del- la cittadinanza, sa reperire le informazioni necessarie per accedere a strutture e servi- zi, e dimostra comporta- menti congruenti. Conosce diritti e doveri del- la cittadinanza, sa reperire le informazioni necessarie per accedere a strutture e servi- zi, dimostra comportamen- ti congruenti solo in rela- zione ai propri diritti. Conosce diritti e doveri del- la cittadinanza, sa reperire le informazioni necessarie per accedere a strutture e servi- zi, non dimostra comporta- menti congruenti in relazio- ne sia ai propri diritti che ai propri doveri. Non conosce quali sono i suoi diritti e doveri di citta- dinanza e/o non sa reperire le informazioni necessarie per accedere a strutture e ser- vizi. Es pr im er e co m po rta me nt i e li ng ua gg i co er en ti c on la cu ltu ra de lle pa ri op po rtu nit à Es er cit ar e un r ap po rto di la vo ro Conosce i diversi operatori economici e il loro ruolo, sa simulare i principali adem- pimenti bancari e postali di un soggetto economico. Conosce i diversi operatori economici e il loro ruolo, sa simulare con qualche diffi- coltà i principali adempi- menti bancari e postali di un soggetto economico. Conosce i diversi operatori economici e il loro ruolo, ma non sa simulare i principali adempimenti bancari e po- stali di un soggetto econo- mico. Non conosce i diversi ope- ratori economici e il loro ruolo, né sa simulare i prin- cipali adempimenti bancari e postali di un soggetto eco- nomico. Conosce le relazioni tra gli operatori economici e tra i principali indicatori dell’e- conomia e li sa rappresen- tare. Conosce le relazioni tra gli operatori economici e tra i principali indicatori dell’e- conomia, ma non li sa rap- presentare. Conosce le relazioni tra gli operatori economici, ma non tra i principali indicatori dell’economia e non li sa rappresentare. Non conosce le relazioni tra gli operatori economici né tra i principali indicatori dell’economia e non li sa rappresentare. Conosce gli elementi legis- lativi e istituzionali relativi alle Pari Opportunità, rico- nosce la specificità del sog- getto, valorizza le differen- ze di genere e adegua il pro- prio linguaggio. Conosce gli elementi legis- lativi e istituzionali relativi alle Pari Opportunità, rico- nosce la specificità del sog- getto, valorizza le differen- ze di genere, ma non adegua il proprio linguaggio. Conosce gli elementi legis- lativi e istituzionali relativi alle Pari Opportunità, rico- nosce la specificità del sog- getto, ma non valorizza le differenze di genere né ade- gua il proprio linguaggio. Non conosce gli elementi le- gislativi e istituzionali rela- tivi alle Pari Opportunità, non riconosce la specificità del soggetto, non valorizza le differenze di genere e non adegua il proprio linguaggio. Individua gli organismi lo- cali relativi al mondo del lavoro, conosce i servizi da loro offerti e sa accedere ad essi. Individua gli organismi lo- cali relativi al mondo del la- voro, conosce i servizi da lo- ro offerti, ma non sa acce- dere ad essi. Individua gli organismi lo- cali relativi al mondo del la- voro, ma non conosce i ser- vizi da loro offerti e non sa accedere ad essi. Non individua gli organismi locali relativi al mondo del lavoro, non conosce i servi- zi da loro offerti e non sa ac- cedere ad essi. Conosce gli elementi delle fondamentali tipologie con- trattuali e sa leggere/com- prendere/redigere documen- ti inerenti la propria posi- zione lavorativa. Conosce gli elementi delle fondamentali tipologie con- trattuali e sa leggere/com- prendere documenti ine- renti la propria posizione la- vorativa, ma non li sa redi- gere. Conosce gli elementi delle fondamentali tipologie con- trattuali e sa appena legge- re documenti inerenti la pro- pria posizione lavorativa, ma non li sa comprendere né redigere. Non conosce gli elementi delle fondamentali tipologie contrattuali e/o non sa nep- pure leggere documenti ine- renti la propria posizione la- vorativa. � CO M PE TE NZ E AT TI VI TÀ OTTIMO 100-90 BUONO 89-75 SUFFICIENTE 74-60 INIZIALE 59-0 127 PORTFOLIO Sezione Settima - La valutazione Or ien tar si ne l m on do de l la vo ro Es er cit ar e un r ap po rto di la vo ro Conosce gli operatori del mondo del lavoro e le loro relazioni, comprende le di- namiche legate alla doman- da e all’offerta del lavoro. Conosce gli operatori del mondo del lavoro e le loro relazioni, comprende le di- namiche legate solo alla do- manda del lavoro. Conosce gli operatori del mondo del lavoro e le loro relazioni, ma non compren- de le dinamiche legate alla domanda/offerta del lavoro. Non conosce gli operatori del mondo del lavoro e le lo- ro relazioni, non comprende le dinamiche legate alla do- manda/offerta del lavoro. Conosce i valori/diritti uma- ni individuali e collettivi universalmente riconosciuti, e sa dedurre e mettere in at- to comportamenti coerenti. Ha una conoscenza limita- ta dei valori/diritti umani in- dividuali e collettivi univer- salmente riconosciuti, e sa dedurre da essi comporta- menti coerenti. Ha una conoscenza limita- ta dei valori/diritti umani in- dividuali e collettivi univer- salmente riconosciuti, e non sa riconoscere la propria incoerenza nei comporta- menti. Ha solo una conoscenza su- perficiale e limitata dei va- lori/diritti umani individua- li e collettivi universalmen- te riconosciuti. In di vid ua re gl i e lem en ti fon da m en ta li de lle or ga ni zz az ion i a zie nd ali Ag ire u n ru olo as seg na to Individua le diverse tipolo- gie di organizzazione e ri- conosce i rispettivi obiettivi, definisce i propri obiettivi al- l’interno dell’organizzazio- ne di cui fa parte. Individua le diverse tipolo- gie di organizzazione e ri- conosce i rispettivi obiettivi, ma non sa definire i propri obiettivi all’interno dell’or- ganizzazione di cui fa parte. Sa solo descrivere le diver- se tipologie di organizza- zione. Non sa definire un’organiz- zazione né sa individuarne le caratteristiche. In di vid ua re il ca m bi am en to e la di ve rs ità in u na d im en sio ne d iac ro ni ca e sin cr on ica Ill us tra re tr as for ma zio ni sto ric he e va ria zio ni ne lle co nd izi on i d i v ita de i p op oli Riconosce le principali cau- se e i principali effetti di un’ area/evento storico, li sa rappresentare, sa collocare quegli avvenimenti nello spazio e nel tempo. Riconosce le principali cau- se e i principali effetti di un’ area/evento storico e li sa rappresentare. Riconosce le principali cau- se e i principali effetti di un’area/evento storico e non li sa rappresentare. Non individua né le cause e/o né gli effetti di un’a- rea/evento storico. Identifica e descrive gli ele- menti significativi che con- traddistinguono periodi sto- rici e aree geografiche di- versi, sa esporre confronti e interrelazioni. Identifica e descrive gli ele- menti significativi che con- traddistinguono periodi sto- rici e aree geografiche di- versi, ma non sa esporre al- cun confronto. Sa solo identificare e de- scrivere gli elementi signi- ficativi che contraddistin- guono aree geografiche di- verse. Non identifica gli elementi significativi che contraddi- stinguono periodi storici e aree geografiche diversi. Sa descrivere e rappresenta- re ruoli, posizioni ed ele- menti che caratterizzano un’organizzazione, li sa ri- conoscere in un contesto reale. Sa descrivere e rappresenta- re ruoli, posizioni ed ele- menti che caratterizzano un’organizzazione, ma non li sa riconoscere in un con- testo reale. Ha una conoscenza solo ap- prossimativa di ruoli, posi- zioni ed elementi che carat- terizzano un’organizzazione. Non sa descrivere alcuno de- gli elementi che caratteriz- zano un’organizzazione. Conosce e sa rappresentare i principali processi orga- nizzativi di un’azienda, sa contestualizzare il proprio ruolo all’interno dell’orga- nizzazione di cui fa parte e sa mettere in atto pratiche operative coerenti. Conosce e sa rappresentare i principali processi orga- nizzativi di un’azienda, sa contestualizzare il proprio ruolo all’interno dell’orga- nizzazione di cui fa parte ma non riconosce le incoerenze nelle proprie pratiche ope- rative. Conosce i principali proces- si organizzativi di un’azien- da ma non sa contestualiz- zare il proprio ruolo all’in- terno dell’organizzazione di cui fa parte. Non conosce i principali processi organizzativi di un’azienda e/o non sa con- testualizzare il proprio ruo- lo all’interno dell’organiz- zazione di cui fa parte. 128 PORTFOLIO Sezione Settima - La valutazione CO M PE TE NZ E AT TI VI TÀ OTTIMO 100-90 BUONO 89-75 SUFFICIENTE 74-60 INIZIALE 59-0 In di vid ua re il ca m bi am en to e la di ve rs ità in u na d im en sio ne d iac ro ni ca e sin cr on ica Ill us tra re tr as for ma zio ni sto ric he e va ria zio ni ne lle co nd izi on i d i v ita de i p op oli Identifica quali strumenti hanno caratterizzato l’inno- vazione tecnico-scientifica nel corso del tempo, sa leg- gere e riprodurre grafici, schemi, mappe, tabelle che li rappresentano. Identifica quali strumenti hanno caratterizzato l’inno- vazione tecnico-scientifica nel corso del tempo, sa so- lo leggere grafici, schemi, mappe, tabelle che li rap- presentano. Identifica quali strumenti hanno caratterizzato l’inno- vazione tecnico-scientifica nel corso del tempo. Non conosce le innovazioni tecnico-scientifiche e i rela- tivi strumenti che le hanno caratterizzate nel corso del tempo. Dimostra di comprendere il concetto di successione tem- porale, raccoglie documen- tazioni storiche, ricava in- formazioni e realizza map- pe/schemi che rappresenta- no la società contemporanea come prodotto delle vicen- de del passato. Dimostra di comprende il concetto di successione tem- porale, raccoglie documen- tazioni storiche e ricava in- formazioni, ma non fa uso di strumenti per rappresentare il legame tra passato e pre- sente. Dimostra di comprendere il concetto di successione tem- porale, ma non raccoglie do- cumentazioni storiche sulla società. Dimostra di non compren- dere il concetto di succes- sione temporale e non rac- coglie alcuna documenta- zione di carattere storico. Co nt est ua liz za re i pr in cip i d ell o s vil up po so ste ni bi le Es pr im er e co m po rta me nt i a tu tel a d ell ’a mb ien te Identifica e rappresenta con mappe/schemi quali fattori causano equilibrio/disequili- brio tra risorse disponibili e bisogni, illustra quali rischi ambientali possono derivare dal proprio comportamento e propone soluzioni alterna- tive. Identifica quali fattori cau- sano equilibrio/disequilibrio tra risorse disponibili e bi- sogni, illustra quali rischi ambientali possono derivare dal proprio comportamento. Identifica quali fattori cau- sano equilibrio/disequilibrio tra risorse disponibili e bi- sogni; comprende appena quali rischi ambientali pos- sono derivare dal proprio comportamento. Non identifica quali fattori causano equilibrio/disequi- librio tra risorse disponibili e bisogni, e/o non compren- de quali rischi ambientali possono derivare dal proprio comportamento. Illustra le relazioni proprie dell’ecosistema, individua comportamenti ecologici individuali e collettivi che dimostrano il rispetto di regole di educazione am- bientale. Illustra le relazioni proprie dell’ecosistema e ha una co- noscenza approssimativa dei comportamenti ecolo- gici individuali e collettivi che dimostrano il rispetto di regole di educazione am- bientale. Presenta in modo superfi- ciale le relazioni proprie dell’ecosistema, conosce ap- pena i comportamenti eco- logici individuali e colletti- vi che dimostrano il rispet- to di regole di educazione ambientale. Non conosce e non sa illu- strare le relazioni proprie dell’ecosistema, né conosce i comportamenti ecologici individuali e collettivi che dimostrano il rispetto di regole di educazione am- bientale. 129 PORTFOLIO Sezione Settima - La valutazione RUBRICA GENERALE - AREA SCIENTIFICA CO M PE TE NZ E An ali zz ar e og ge tti n el pi an o e n ell o s pa zio AT TI VI TÀ Es eg uir e op er az ion i r igu ar da nti fig ure p ian e e so lid e OTTIMO 100-90 BUONO 89-75 SUFFICIENTE 74-60 INIZIALE 59-0 Identifica in completa auto- nomia tutte le figure geo- metriche presenti nel caso esaminato. Identifica quasi in autono- mia tutte le figure geometri- che presenti nel caso esami- nato. Un leggero intervento del formatore è sufficiente a risolvere le difficoltà. Identifica in autonomia so- lo le principali figure geo- metriche presenti nel caso esaminato, ma ha spesso bi- sogno dell’aiuto del forma- tore. Non è in grado di identifi- care neanche le principali fi- gure presenti nel caso esa- minato. Anche se aiutato ha molte difficoltà. Individua tutte le grandezze e le misure sempre corret- tamente. Individua tutte le grandezze e le misure abbastanza cor- rettamente, anche se con qualche imprecisione. Individua tutte le grandezze e le misura correttamente so- lo se guidato e aiutato co- stantemente. Anche se aiutato e guidato non riesce ad identificare e/o a misurare le grandezze in esame. Conosce e usa bene in au- tonomia tutte le misure con- venzionali proprie della geo- metria. Conosce e usa in modo ap- propriato le misure conven- zionali proprie della geo- metria, anche se a volte ha bisogno di qualche inter- vento del formatore. Conosce e usa solo le prin- cipali misure geometriche convenzionali, e solo con continui interventi del for- matore usa in modo corret- to le altre. Non riesce ad esprimere le misure geometriche con le unità appropriate. Malgrado l’intervento costante del for- matore, non è in grado di esprimerle in modo corretto, a causa delle numerose la- cune nelle conoscenze spe- cifiche. Calcola in modo corretto tut- ti gli elementi richiesti del- le figure in esame. Compie in autonomia l’analisi dei da- ti e i calcoli necessari. Calcola in modo corretto e in autonomia quasi tutti gli elementi richiesti delle figu- re in esame. Calcola in modo corretto so- lo alcuni e/o i principali ele- menti richiesti delle figure in esame. Negli altri casi ha bi- sogno di essere guidato per giungere alla completa so- luzione. Neppure aiutato, riesce a calcolare misure geometri- che come perimetri, aree e volumi. Le operazioni sono effet- tuate, secondo la loro tipo- logia, tutte in modo corret- to. La coerenza dei risultati è puntualmente verificata. Le operazioni sono effet- tuate, secondo la loro tipo- logia, quasi sempre in modo corretto. Non è sempre ve- rificata la coerenza dei ri- sultati. Alcuni modi di operare ti- pici delle operazioni usate non sono usati in modo cor- retto, e le operazioni giun- gono a risultati corretti so- lo con l’aiuto del formatore. Non conosce il significato delle operazioni usate e le soluzioni sono errate. Non ha consapevolezza dell’errore compiuto e non riesce ad uti- lizzare e applicare i sugge- rimenti che riceve. Pianifica correttamente le sequenze delle operazioni, conosce e applica sempre co- erentemente le proprietà dei vari tipi di numeri. Le ap- prossimazioni e troncamen- ti sono adeguati. Il calcolo è svolto in autonomia, i risul- tati parziali sono costante- mente monitorati. Nel complesso pianifica cor- rettamente la sequenza in modo corretto, conosce e ap- plica con successo le pro- prietà delle operazioni. Qualche volta commette er- rori nel calcolo a causa di distrazioni e imprecisioni. Solo con continui interven- ti di aiuto riesce a comple- tare l’intera sequenza di operazioni e ad ottenere ri- sultati corretti. La sequenza non è corretta, ci sono errori nell’ordine di svolgimento e nei calcoli do- vuti alle mancate conoscen- ze del modo di operare di al- cuni numeri e operatori. L’aiuto non è risolutivo del problema. Applica in modo corretto la strategia risolutiva propria del campo prescelto e cal- cola correttamente gli ele- menti. Il processo risolutivo è monitorato e gestito in au- tonomia. Sceglie e applica in autono- mia il settore matematico ap- propriato per giungere alla soluzione. Consegue il ri- sultato voluto con alcune im- precisioni e incertezze. Solo se guidato sceglie e ap- plica il settore matematico prescelto e giunge a risulta- ti corretti. Non riesce a comprendere la possibilità di utilizzare altri settori per arrivare al risul- tato voluto. Non sa come ap- plicare le strategie proprie del settore prescelto e qua- si mai giunge a conseguire risultati corretti. Ri so lve re se m pli ci pr ob lem i m ate ma tic i In di vid ua re s tr at eg ie m at em at ich e � � 130 PORTFOLIO Sezione Settima - La valutazione CO M PE TE NZ E AT TI VI TÀ OTTIMO 100-90 BUONO 89-75 SUFFICIENTE 74-60 INIZIALE 59-0 In di vid ua re s tr at eg ie m at em at ich e Ri so lve re se m pli ci pr ob lem i m ate ma tic i L’allievo utilizza sempre lo strumento di calcolo secon- do le necessità, sfruttando tutta la sua potenzialità. I ri- sultati sono verificati nel loro logico ordine di gran- dezza e valutati sempre cor- rettamente e in modo assi- duo. Lo strumento di calcolo è usato in modo corretto e au- tonomo; alcune funzioni o potenzialità non sono ade- guatamente sfruttate. L’intervento del formatore è determinante per l’uso cor- retto e adeguato dello stru- mento di calcolo e per rag- giungere i risultati voluti. L’allievo non sa usare lo strumento di calcolo se non nelle sue funzioni elemen- tari. Non riconosce o non corregge gli errori e anche se aiutato, non usa in modo corretto le sequenze ed i ta- sti. I dati sono correttamente ri- conosciuti e trasformati in incognite e costanti. Le equazioni e/o i sistemi sono risolti correttamente dal punto di vista formale e dei risultati. Il processo risolu- tivo è monitorato e verifica- to. Sceglie e usa corretta- mente anche il metodo gra- fico. La pianificazione della se- quenza operativa è corretta. L’equazione o il sistema so- no correttamente formaliz- zati. Gli errori nello svolgi- mento sono solo di calcolo e l’allievo ne ha la consape- volezza, per cui li corregge autonomamente. Il metodo grafico, quando usato, ha so- lo qualche imprecisione. Solo una guida costante gli permette di formalizzare l’e- quazione o il sistema. Non sempre i risultati sono cor- retti solo per errori di calcolo e di metodo. Il metodo riso- lutivo grafico è molto im- preciso. Non riesce a formalizzare l’equazione o il sistema. Anche se aiutato, non pro- cede nella risoluzione. Qua- lora li raggiunga, accetta i ri- sultati qualsiasi essi siano. Non riesce ad applicare la metodologia grafica di riso- luzione. Le proprietà formali sono applicate in modo da rica- vare le formule inverse in modo corretto. Il procedi- mento è controllato e verifi- cato. Le proprietà formali sono applicate in modo da rica- vare le formule inverse in modo corretto. Piccoli erro- ri formali non pregiudicano il risultato. A partire dalla formula ini- ziale, riesce a ricavare dati mediante le formule inverse solo se guidato nel percor- so. La sequenza logica per ri- cavare la formula inversa è incompleta o errata, non si sviluppa e non permette di raggiungere alcun risultato. Anche aiutato, l’allievo non sviluppa il processo. La sequenza logica di tra- sformazione e impostazione è corretta, i dati sono rico- nosciuti e utilizzati corret- tamente. La sequenza per- mette di raggiungere con- cretamente risultati adegua- ti. Il processo è ben monito- rato. La sequenza logica è cor- retta, i dati sono riconosciuti e utilizzati correttamente. La sequenza, pianificata au- tonomamente, permette di raggiungere risultati ade- guati. La logica dei dati è eviden- te solo nelle sue linee prin- cipali, il processo è solo de- lineato. L’aiuto necessario per determinarne tutti gli aspetti, gli permette di com- pletare la trasformazione e impostare un processo com- pleto. Non si riconoscono i dati presenti nel problema. La se- quenza logica che permette- rebbe di risolvere il proble- ma non è impostata o è in- completa. 131 PORTFOLIO Sezione Settima - La valutazione � CO M PE TE NZ E AT TI VI TÀ OTTIMO 100-90 BUONO 89-75 SUFFICIENTE 74-60 INIZIALE 59-0 In ter pr et ar e da ti sta tis tic i e p ro ba bi lis tic i Co str uir e se m pli ci ra pp re se nt az ion i g ra fich e Il campo di applicabilità è in- terpretato correttamente dal punto di vista statistico. I da- ti sono identificati nella lo- ro varietà e nei legami che li regolano. Il fenomeno è riconosciuto come oggetto di possibile trattazione statistica, alcuni dati o loro correlazioni, non indispensabili, sono dimen- ticati. L’aiuto è indispensabile per riconoscere il fenomeno co- me oggetto di applicabilità statistica, i dati necessari so- no riconosciuti ma non in modo autonomo. I fenomeni non sono tratta- ti dal punto di vista statisti- co. La valenza statistica dei dati presi in esame non è ri- conosciuta, classi di dati so- no dimenticati. La tabella è ordinata, chia- ra e completa. L’ordine usa- to permette di trattare facil- mente i dati presi in esame. La completezza è controlla- ta. La tabella è completata in autonomia, alcuni dati non sono correttamente inseriti. La tabella contiene solo i da- ti principali, alcune conclu- sioni non sono possibili. Il completamento avviene so- lo con l’aiuto del formatore. La tabella è incompleta e disordinata, non permette di elaborare dati e conclusioni. Nel raccogliere i dati nella tabella non è compresa la lo- ro logica correlazione, e quindi gli inserimenti sono errati. I concetti e i modi di tratta- re i dati dal punto di vista statistico e probabilistico sono ben presenti e ottima- mente sviluppati. La loro ap- plicazione e il loro control- lo sono puntuali e precisi. I concetti e i modi di tratta- re i dati dal punto di vista statistico e probabilistico sono ben presenti e il loro sviluppo è completo. La lo- ro applicazione è puntuale e precisa. L’applicazione dei concetti statistici per ricavare infor- mazioni è disordinata e in- completa. Solo con aiuto esterno l’allievo ordina il proprio modo di procedere e applica correttamente i con- cetti del calcolo statistico. I concetti e i modi di tratta- re i dati dal punto di vista statistico non sono cono- sciuti, si procede a tentativi, in modo disordinato e in- completo. Il grafico è corretto e com- pleto e permette una facile lettura e interpretazione dei dati. Il grafico è corretto e com- pleto, ma le scale usate non permettono una facile lettu- ra dei dati o l’interpretazio- ne delle conclusioni. La tipologia di grafico scel- ta è corretta e permettereb- be l’interpretazione dei da- ti. Le scale e l’ordine dei da- ti non sono corretti e solo con l’intervento esterno si ri- solvono incongruenze, in- completezze e difficoltà di lettura. Il grafico è incompleto o il- leggibile, oppure quello scel- to non permette una corret- ta valutazione dei dati. Il grafico tracciato è corret- to, completo e corrisponde al reale andamento del feno- meno, la lettura e l’inter- pretazione permettono di trarre utili conclusioni. Il grafico tracciato è corret- to, completo e corrisponde al reale andamento del feno- meno. La lettura e l’inter- pretazione permettono di trarre utili conclusioni, però alcuni punti che darebbero informazioni supplementari non sono sufficientemente individuati o determinati. Il grafico è delineato nel suo andamento, ma solo i suoi punti principali sono indivi- duati. Molte informazioni che potrebbero essere de- sunte non sono leggibili. Il completamento avviene, ma solo con l’intervento del formatore. Il grafico tracciato è errato, non corrisponde al reale an- damento del fenomeno. I da- ti che se ne ricavano porta- no a conclusioni erronee. I concetti e i modi di opera- re con la probabilità sono ben chiari, puntualmente applicati e forniscono un reale aiuto nella previsione dell’andamento del fenome- no osservato. I concetti e i modi di opera- re con la probabilità sono ben chiari, puntualmente applicati e forniscono un rea- le aiuto nella previsione del- l’andamento del fenomeno osservato. Alcune impreci- sioni nell’applicazione mo- dificano in modo non sensi- bile le conclusioni. L’applicazione del calcolo probabilistico è ridotto al- l’essenziale, le informazio- ni sono approssimative. La guida lo aiuta a raffinare il processo e aumentare le in- formazioni che si possono ri- cavare. Le conclusioni tratte sono errate per difettosa cono- scenza dei concetti probabi- listici o per la loro incom- pleta o errata applicazione. Le informazioni così cono- sciute portano ad errate con- clusioni. 132 PORTFOLIO Sezione Settima - La valutazione CO M PE TE NZ E AT TI VI TÀ OTTIMO 100-90 BUONO 89-75 SUFFICIENTE 74-60 INIZIALE 59-0 In ter pr et ar e fen om en i n at ur ali (fi sic i,c hi m ici e na tu ra lis tic i) a liv ell o m ac ro sc op ico Ri lev ar e fen om eni na tur ali (fi sic i,c him ici e na tur ali sti ci) a liv ell o m acr os co pic o Il fenomeno è chiaro nei suoi contenuti e aspetti, tutti i da- ti necessari sono osservati, raccolti e misurati con pro- cedure idonee. Il fenomeno è chiaro nei suoi contenuti e aspetti, i dati os- servati e raccolti sono mi- surati con procedure idonee ma a volte in modo non pre- ciso oppure parzialmente incompleto. È richiesto aiuto per deli- neare gli aspetti significati- vi del fenomeno. I dati sono raccolti e misurati in modo abbastanza preciso e com- pleto. Il fenomeno non è compre- so nei suoi aspetti essenzia- li. I dati raccolti non sono completi oppure erronea- mente misurati. Il fenomeno è compreso e descritto con precisione e si- gnificatività; i termini usati sono adeguati, le descrizio- ni chiare. Tutti gli aspetti so- no analizzati nelle loro cor- relazioni. Il fenomeno è compreso e descritto in tutti i suoi aspet- ti; i termini usati e le de- scrizioni sono abbastanza chiare. Tutti gli aspetti sono delineati nelle loro correla- zioni. La descrizione del fenome- no permette di comprender- lo nelle sue linee essenzia- li. Gli aspetti sono analizza- ti ma in modo confuso. È ri- chiesto molto aiuto per de- lineare correlazioni e varia- zioni. Il fenomeno non è chiaro nei suoi aspetti, di conseguenza la descrizione è confusa e in- completa. I termini sono generici e le frasi poco chia- re. Non si analizzano corre- lazioni e variazioni. Le ipotesi formulate sono lo- giche e possibili, la verifica della loro veridicità è ben de- lineata come metodologia e condotta con strumenti ido- nei. L’analisi dei risultati è chiara e ben descritta. Il mo- nitoraggio è attuato e ren- dicontato. Le ipotesi formulate sono lo- giche e possibili, la verifica della loro veridicità è ben de- lineata come metodologia e condotta con idonei stru- menti. Qualche imprecisio- ne nelle conclusioni. Riesce a comprendere ciò che deve essere verificato, gli occorre aiuto per definire gli strumenti e la procedura di indagine. Non riesce a formulare ipo- tesi che non siano banali. Aiutato a comprendere l’es- senza di ciò che si vuole in- dagare, non è in grado di usare strumenti idonei a ve- rificarne l’autenticità. Il modello costruito tiene conto di tutti i fattori di cam- biamento. Gli strumenti ma- tematici usati sono adegua- ti, il loro sviluppo e l’osser- vazione permettono di sta- bilire che il parallelo tra il fe- nomeno osservato e il mo- dello costruito è corretto. Il monitoraggio del fenomeno è ben delineato nel model- lo. L’analisi delle conclu- sione stabilisce osservazio- ni non banali. Il modello costruito tiene conto dei fattori di cambia- mento. Gli strumenti mate- matici usati sono adeguati, il loro sviluppo e l’osserva- zione permettono di stabili- re che il parallelo tra il fe- nomeno osservato e il mo- dello costruito è corretto. L’analisi delle conclusione è sata svolta stabilendo osser- vazioni non banali. Il modello traduce il feno- meno nelle sole linee essen- ziali. Il completamento e l’arricchimento si ottengono solo con un aiuto esterno. Non si è tradotto il fenome- no osservato in un modello matematico coerente. Non si può stabilire una corrispon- denza tra la parte sperimen- tale e i dati del modello co- struito. Individua tutte le grandezze e le misura correttamente. Individua tutte le grandezze e le misura correttamente anche se con qualche aiuto. Individua tutte le grandezze e le misure correttamente so- lo se guidato e aiutato co- stantemente. Anche se aiutato e guidato non riesce ad identificare e/o misurare le grandezze in esame. Conosce e usa bene tutte le misure convenzionali del S. I. Conosce e usa in modo ap- propriato le misure conven- zionali proprie della geo- metria, anche se a volte ha bisogno di qualche suggeri- mento. Conosce e usa le principali misure convenzionali geo- metriche, e solo con continui aiuti usa in modo corretto le altre. Non riesce ad esprimere le misure geometriche con le unità corrette. L’aiuto co- stante non è sufficiente a per- mettergli di esprimerle in modo corretto a causa di al- cune lacune nelle conoscen- ze specifiche. 133 PORTFOLIO Sezione Settima - La valutazione RUBRICA GENERALE - AREA TECNOLOGICA CO M PE TE NZ E In di vid ua re le ca ra tte ris tic he d i u n PC e re lat ivo Sis tem a O pe ra tiv o AT TI VI TÀ Ut ili zza re il PC e i c om an di de l S ist em a O pe ra tiv o OTTIMO 100-90 BUONO 89-75 SUFFICIENTE 74-60 INIZIALE 59-0 Controlla perfettamente il funzionamento del PC e delle relative periferiche. Controlla il funzionamento del PC e delle relative peri- feriche. Ha un parziale controllo del funzionamento del PC e delle relative periferiche. Non sa controllare il fun- zionamento del PC e delle relative periferiche. Sa utilizzare le periferiche in modo adeguato e veloce. Sa utilizzare le periferiche con lievi incertezze. Sa utilizzare con l’aiuto del formatore solo le periferiche principali. Non è in grado di utilizzare le periferiche in modo ade- guato. È in grado di operare con si- curezza ed autonomia in re- te locale (utilizzando le pe- riferiche condivise, i file e i programmi). Chiedendo aiuto, è in grado di operare in rete locale (utilizzando le periferiche condivise, i file e i pro- grammi). È in grado di operare in re- te locale ma con difficoltà (utilizzando le periferiche condivise, i file e i pro- grammi). Non riesce ad operare in re- te. Utilizza con facilità e pa- dronanza i file e le cartelle (creare, eliminare, copiare, salvare, spostare). Non sempre riesce ad uti- lizzare i file e le cartelle (creare, eliminare, copiare, salvare, spostare). Utilizza dopo molti tentati- vi i file e le cartelle (creare, eliminare, copiare, salvare, spostare). Utilizza con molta difficoltà i file e le cartelle (creare, eli- minare, copiare, salvare, spostare). Attiva con estrema preci- sione i comandi funzionali all’obiettivo. Attiva con qualche incer- tezza i comandi funzionali all’obiettivo. Attiva i comandi funzionali all’obiettivo solo se aiutato. Conosce pochi comandi del- l’applicazione e non riesce a collegare i comandi con gli obiettivi. Modifica in modo rapido e corretto un documento di te- sto in formato elettronico. Modifica un documento di testo in formato elettronico in modo corretto ma relati- vamente lento. Modifica un documento di testo in formato elettronico in modo corretto solo se aiu- tato. Ha molte difficoltà nel mo- dificare un documento di te- sto in formato elettronico an- che se aiutato. Importa ed esporta senza nessun problema i docu- menti. Importa ed esporta con qual- che incertezza i documenti. Importa ed esporta docu- menti solo se aiutato. Ha molte difficoltà nell’im- portare ed esportare docu- menti di testo anche se aiu- tato. Avvia in modo corretto e ra- pido l’applicazione scelta. Avvia in modo corretto ma lento l’applicazione scelta. Avvia con qualche difficol- tà l’applicazione scelta. Non individua e non riesce ad avviare l’applicazione scelta. Avvia in modo corretto e ra- pido l’applicazione scelta. Avvia in modo corretto ma lento l’applicazione scelta. Avvia con qualche difficol- tà l’applicazione scelta. Non individua e non riesce ad avviare l’applicazione scelta. Attiva con estrema preci- sione i comandi funzionali all’obiettivo. Attiva con qualche incer- tezza i comandi funzionali all’obiettivo. Attiva i comandi funzionali all’obiettivo solo se aiutato. Conosce pochi comandi del- l’applicazione e non riesce a collegare i comandi con gli obiettivi. Modifica senza nessun pro- blema un foglio di calcolo in formato elettronico. Modifica con qualche in- certezza un foglio di calco- lo in formato elettronico. Modifica un foglio di calco- lo in formato elettronico so- lo se aiutato. Non riesce a modificare un foglio di calcolo in formato elettronico anche se aiutato. Rappresenta in formato gra- fico un foglio di calcolo in modo puntuale e corretto. Rappresenta in formato gra- fico un foglio di calcolo con qualche incertezza. Rappresenta in formato gra- fico un foglio di calcolo con l’aiuto del formatore. Non riesce a rappresentare in formato grafico un foglio di calcolo anche se aiutato. Importa ed esporta senza nessun problema i docu- menti. Importa ed esporta con qual- che incertezza i documenti. Importa ed esporta docu- menti solo se aiutato. Ha molte difficoltà nell’im- portare ed esportare docu- menti di testo anche se aiu- tato. Pr od ur re un te st o in for ma to ele ttro nic o Pr od ur re un fo gli o d i c alc olo in fo rm ato ele ttro nic o In di vid ua re s tr um en ti in for m at ici p er l’ ela bo ra zio ne d i d oc um en ti � 134 PORTFOLIO Sezione Settima - La valutazione CO M PE TE NZ E AT TI VI TÀ OTTIMO 100-90 BUONO 89-75 SUFFICIENTE 74-60 INIZIALE 59-0 In di vid ua re s tr um en ti in for m at ici p er l’ ela bo ra zio ne d i d oc um en ti El ab or ar e ar ch ivi di da ti Re dig er e un a pr es en ta zio ne in fo rm ato ele ttro nic o Avvia in modo corretto e ra- pido l’applicazione scelta. Avvia in modo corretto ma lento l’applicazione scelta. Avvia con qualche difficol- tà l’applicazione scelta. Non individua e non riesce ad avviare l’applicazione scelta. Attiva con estrema preci- sione i comandi funzionali all’obiettivo. Attiva con qualche incer- tezza i comandi funzionali all’obiettivo. Attiva i comandi funzionali all’obiettivo solo se aiutato. Conosce pochi comandi del- l’applicazione e non riesce a collegare i comandi con gli obiettivi. Crea in modo rapido e cor- retto le maschere in auto- composizione. Crea con qualche impreci- sione le maschere in auto- composizione. Crea le maschere in auto- composizione con l’aiuto del formatore. Non riesce a creare le ma- schere in autocomposizione. Interroga in modo efficace l’archivio dati. Interroga con qualche diffi- coltà l’archivio dati. Interroga l’archivio dati con l’aiuto del formatore. Non sa interrogare l’archi- vio dati. Avvia in modo corretto e ra- pido l’applicazione scelta. Avvia in modo corretto ma lento l’applicazione scelta. Avvia con qualche difficol- tà l’applicazione scelta. Non individua e non riesce ad avviare l’applicazione scelta. Redige in autonomia report complessi. Redige in autonomia report semplici. Redige report semplici se aiutato. Anche se aiutato non è in grado di realizzare neppure report semplici. Attiva con estrema preci- sione i comandi funzionali all’obiettivo. Attiva con qualche incer- tezza i comandi funzionali all’obiettivo. Attiva i comandi funzionali all’obiettivo solo se aiutato. Conosce pochi comandi del- l’applicazione e non riesce a collegare i comandi con gli obiettivi. Imposta rapidamente diver- se modalità di transizione. Imposta modalità di trans- izione ma con alcune im- precisioni. Imposta con l’aiuto del for- matore alcune modalità di transizione. Non è in grado di imposta- re alcuna modalità di tran- sizione. Inserisce facilmente grafici ed oggetti. Inserisce con qualche diffi- coltà grafici ed oggetti. Inserisce grafici ed oggetti con l’aiuto del formatore. Non sa inserire grafici ed og- getti. Realizza facilmente e rapi- damente effetti elaborati di animazione multimediale. Con qualche aiuto realizza appropriati effetti elaborati di animazione multimediale. Realizza effetti semplici di animazione multimediale. Anche se aiutato non è in grado di realizzare neppure banali effetti di animazione multimediale. Si serve delle TIC nel ri- spetto di tutte le regole di co- municazione e delle norme sulla privacy. Si serve delle TIC nel ri- spetto delle regole di comu- nicazione e delle norme sul- la privacy. Si serve delle TIC nel ri- spetto delle regole di comu- nicazione ma non delle nor- me sulla privacy. Si serve delle TIC senza ri- spettare le regole sia di co- municazione che le norme sulla privacy. Conosce i motori di ricerca e li avvia con rapidità e fa- cilità. Conosce i motori di ricerca e li sa avviare ma anche se non sempre con facilità. Conosce con qualche ap- prossimazione i motori di ri- cerca e a volte li sa avviare. Non conosce i motori di ri- cerca e non li sa avviare. Compila con correttezza e precisione i parametri della ricerca. Compila con qualche erro- re i parametri della ricerca. Compila correttamente i parametri della ricerca solo con l’aiuto del formatore. Compila con molte impre- cisioni i parametri della ri- cerca. Esamina e salva con pun- tualità e consapevolezza le informazioni. Avvia in modo corretto l’ap- plicazione di posta elettro- nica. Esamina e salva con qualche approssimazione le infor- mazioni. Esamina ma non salva tutte le informazioni necessarie. Non sa esaminare e salvare le informazioni. Avvia dopo qualche tentati- vo l’applicazione di posta elettronica. Avvia con l’aiuto del for- matore l’applicazione di po- sta elettronica. Non sa avviare l’applica- zione di posta elettronica. In di vid ua re s tr um en ti de lla re te In ter ne t pe r l a c om un ica zio ne Ut ili zza re i m oto ri di ric erc a pe r l a n av iga zio ne in In ter ne t e il se rv izi o d i p os ta ele ttr on ica � 135 PORTFOLIO Sezione Settima - La valutazione CO M PE TE NZ E AT TI VI TÀ OTTIMO 100-90 BUONO 89-75 SUFFICIENTE 74-60 INIZIALE 59-0 Esamina la casella postale applicando tutte le tecniche di protezione e salva corret- tamente gli allegati. Esamina facilmente la ca- sella postale, non applica tutte le tecniche di protezio- ne ma salva correttamente gli allegati. Esamina la casella postale con qualche difficoltà, non applica alcuna tecnica di protezione ma salva corret- tamente gli allegati. Esamina la casella postale con molta difficoltà, non applica le tecniche di prote- zione e salva gli allegati so- lo con l’aiuto del formatore. Invia con rapidità messaggi singoli e multipli con o sen- za allegati. Invia in modo corretto ma non rapidamente messaggi singoli e multipli con o sen- za allegati. Invia con qualche difficoltà messaggi singoli e multipli con o senza allegati. Non sa inviare messaggi singoli e multipli con o sen- za allegati. In di vid ua re s tr um en ti de lla re te In ter ne t pe r l a c om un ica zio ne Ut ili zza re i m oto ri di ric erc a pe r l a n av iga zio ne in In ter ne t e il se rv izi o d i p os ta ele ttr on ica Non è in grado di reperire le informazioni sulle oppor- tunità lavorative anche se è aiutato. RUBRICA GENERALE - ORIENTAMENTO CO M PE TE NZ E Ri co no sc er e le pr op rie C ap ac ità /R iso rs e AT TI VI TÀ Sv ilu pp ar e co no sc en za di sé OTTIMO 100-90 BUONO 89-75 SUFFICIENTE 74-60 INIZIALE 59-0 È in grado di esplicitare le proprie potenzialità, i propri interessi, i propri valori e le proprie motivazioni in auto- nomia. Esplicita le proprie poten- zialità, i propri interessi, i propri valori e le proprie mo- tivazioni con un piccolo in- tervento del formatore. Esplicita le proprie poten- zialità, i propri interessi, i propri valori e le proprie mo- tivazioni solo se guidato. Non è in grado di esplicita- re le proprie potenzialità, i propri interessi, i propri va- lori e le proprie motivazio- ni anche se guidato. È consapevole del proprio li- vello di autostima. È in grado di riconoscere il proprio livello di autostima con un piccolo intervento del formatore. È in grado di riconoscere il proprio livello di autostima solo se guidato. Non è consapevole del pro- prio livello di autostima. È in grado di reperire in au- tonomia le informazioni ri- guardanti le varie proposte formative (scuola, forma- zione, alternanza scuola-la- voro). Riesce a reperire le infor- mazioni riguardanti le varie proposte formative (scuola, formazione, alternanza scuo- la-lavoro) con un piccolo aiuto del formatore. Riesce a reperire le infor- mazioni riguardanti le varie proposte formative (scuola, formazione, alternanza scuo- la-lavoro) se aiutato. Non è in grado di reperire le informazioni legate alle proposte formative anche se guidato. È in grado di reperire in mo- do autonomo le informazio- ni riguardanti le opportuni- tà lavorative. È in grado di reperire le in- formazioni riguardanti le op- portunità lavorative con un modesto aiuto del formatore. È in grado di reperire le informazioni riguardanti le opportunità lavorative se aiutato. È in grado di delineare il proprio piano di azione in modo accurato. È in grado di delineare il proprio piano di azione, con qualche imprecisione. È in grado di delineare il proprio piano di azione in modo superficiale. Non è in grado di delineare il proprio piano di azione. È in grado di confrontarsi in modo autonomo con l’am- biente. È in grado di confrontarsi con l’ambiente con un piccolo in- tervento del formatore. Si confronta con l’ambien- te solo se guidato dal for- matore. Non è in grado di confron- tarsi con l’ambiente anche con l’aiuto del formatore. Pr og ett ar e il pr op rio P er co rs o De fini re il pr op rio pr og et to fo rm ati vo e/o pr ofe ssi ona le � 136 PORTFOLIO Sezione Settima - La valutazione CO M PE TE NZ E AT TI VI TÀ OTTIMO 100-90 BUONO 89-75 SUFFICIENTE 74-60 INIZIALE 59-0 Pr og ett ar e il pr op rio P er co rs o De fini re il pr op rio pr og et to for ma tivo e/o pr ofe ssi ona le Pr om uo ve re il Pr og ett o p er so na le At tua re il pr og et to fo rm ati vo e/o pr ofe ssi ona le Non è capace di formaliz- zare il proprio progetto. È capace di confrontarsi con esperti sulla fattibilità del progetto. È capace di confrontarsi con esperti sulla fattibilità del progetto con un inter- vento ininfluente del forma- tore. È capace di confrontarsi con esperti sulla fattibilità del progetto solo se guidato. Non è in grado di confron- tarsi con esperti sulla fatti- bilità del progetto anche con il sostegno del formatore. È capace di formalizzare il proprio progetto in modo or- ganico. È capace di formalizzare il proprio progetto in modo or- dinato con qualche impreci- sione. È capace di formalizzare il proprio progetto solo in mo- do approssimativo. Sa acquisire la documenta- zione necessaria per la rea- lizzazione del suo progetto. Sa acquisire la documenta- zione necessaria per la rea- lizzazione del suo progetto con un intervento irrilevan- te del formatore. Sa acquisire la documenta- zione necessaria per la rea- lizzazione del suo progetto solo se guidato. Non sa acquisire la docu- mentazione necessaria per la realizzazione del suo pro- getto anche se guidato. Sa produrre la documenta- zione del piano di azione in modo organico. Sa produrre la documenta- zione del piano di azione, con qualche imprecisione. Sa produrre la documenta- zione del piano di azione so- lo in modo superficiale. Non è in grado di produrre la documentazione del pia- no di azione. Sa utilizzare le tecniche di autocandidatura. Sa utilizzare le tecniche di autocandidatura con un pic- colo intervento del forma- tore. È in grado di utilizzare le tecniche di autocandidatura solo se guidato. Non è in grado di utilizzare le tecniche di autocandida- tura. � CO M PE TE NZ E CA PA CI TÀ Id en tifi car e o bie ttiv i AT TI VI TÀ Re ali zza re il co mp ito OTTIMO 100-90 BUONO 89-75 SUFFICIENTE 74-60 INIZIALE 59-0 Reperisce in autonomia le informazioni utili per rea- lizzare il compito. Reperisce le informazioni utili per realizzare il com- pito con un marginale so- stegno del formatore. Reperisce le informazioni utili per realizzare il com- pito con un sostanziale so- stegno del formatore. Non reperisce informa- zioni utili per realizzare il compito neanche con l’aiuto del formatore. Opera in autonomia nel ri- spetto delle consegne e de- gli standard predefiniti. Opera nel rispetto delle consegne e degli standard predefiniti con un piccolo aiuto dei formatori. Opera nel rispetto delle consegne e degli standard predefiniti con un sostan- ziale sostegno del forma- tore. Non opera nel rispetto delle consegne e degli standard predefiniti an- che se aiutato dal forma- tore. De fin ire att ivit à Re ali zza re il co mp ito Riconosce le priorità e opera per priorità. Riconosce e opera per priorità con un trascura- bile aiuto marginale del formatore. Riconosce e opera per priorità con un sostanzia- le aiuto del formatore. Non riconosce le priorità e non opera per priorità per quanto aiutato. Opera in autonomia nel ri- spetto delle consegne e de- gli standard predefiniti. Opera nel rispetto delle consegne e degli standard predefiniti con l’aiuto marginale dei formatori. Opera nel rispetto delle consegne e degli standard predefiniti con un sostan- ziale aiuto dei formatori. Non opera nel rispetto delle consegne e degli standard predefiniti an- che se aiutato. RUBRICA GENERALE - COMPETENZE TRASVERSALI Ag ire in au to no m ia CO M PE TE NZ E CA PA CI TÀ AT TI VI TÀ OTTIMO 100-90 BUONO 89-75 SUFFICIENTE 74-60 INIZIALE 59-0 137 PORTFOLIO Sezione Settima - La valutazione � Pr ed isp or re att ivi tà Re ali zza re il co mp ito Ri co no sc er e p rio rit à Re ali zza re il co mp ito Opera in autonomia nel ri- spetto delle consegne e de- gli standard predefiniti. Opera nel rispetto delle consegne e degli standard predefiniti con l’aiuto marginale dei formatori. Opera nel rispetto delle consegne e degli standard predefiniti, con un so- stanziale sostegno del for- matore. Non opera nel rispetto delle consegne e degli standard predefiniti an- che se aiutato. Riconosce e affronta in au- tonomia le situazioni im- previste. Riconosce e affronta con un aiuto marginale del for- matore le situazioni im- previste. Riconosce e affronta con l’aiuto determinante del formatore le situazioni impreviste. Non riconosce e non af- fronta le situazioni im- previste anche sotto la guida del formatore. Reperisce in autonomia le informazioni utili per rea- lizzare il compito. Reperisce le informazioni utili per realizzare il com- pito con un marginale so- stegno del formatore. Reperisce le informazioni utili per realizzare il com- pito con un sostanziale so- stegno del formatore. Non reperisce informa- zioni utili per realizzare il compito neanche con l’aiuto del formatore. Riconosce le priorità e opera per priorità. Riconosce e opera per priorità con un trascura- bile aiuto marginale del formatore. Riconosce e opera per priorità con un sostanzia- le aiuto del formatore. Non riconosce le priorità e non opera per priorità per quanto aiutato. Id en tifi car e le re gol e e spl icit e e im pli cit e d el sis tem a d i r ifer im en to Co mu nic ar e ne l c on tes to di rife rim ent o La vo ra re in m od o co op er at ivo Comprende le aspettative dell’interlocutore nel con- testo di riferimento. Comprende le aspettative dell’interlocutore nel con- testo di riferimento con l’intervento marginale del formatore. Ha difficoltà nel com- prendere le aspettative del- l’interlocutore nel contesto di riferimento. Non comprende le aspet- tative dell’interlocutore nel contesto di riferi- mento. Interagisce con l’interlo- cutore con comportamen- ti appropriati al contesto di riferimento. Interagisce con l’interlo- cutore nel contesto di ri- ferimento con alcune in- certezze. Ha difficoltà a interagire con l’interlocutore nel contesto di riferimento. Non è in grado di intera- gire con l’interlocutore nel contesto di riferimen- to anche con l’aiuto del formatore. Agisce il proprio ruolo nel lavoro di gruppo. Agisce il proprio ruolo nel lavoro di gruppo con qualche incertezza. Ha difficoltà nell’agire il proprio ruolo nel lavoro di gruppo. Non agisce il proprio ruo- lo nel lavoro di gruppo an- che sotto la guida del for- matore. Id en tifi car e s tra teg ie d ’az ion e Re ali zza re il co mp ito Riconosce le priorità e opera per priorità. Riconosce e opera per priorità con un trascura- bile aiuto marginale del formatore. Riconosce e opera per priorità con un sostanzia- le aiuto del formatore. Non riconosce le priorità e non opera per priorità per quanto aiutato. Opera in autonomia nel ri- spetto delle consegne e de- gli standard predefiniti. Opera nel rispetto delle consegne e degli standard predefiniti con l’aiuto marginale dei formatori. Opera nel rispetto delle consegne e degli standard predefiniti con un sostan- ziale aiuto dei formatori. Non opera nel rispetto delle consegne e degli standard predefiniti an- che se aiutato. Riconosce e affronta in au- tonomia le situazioni im- previste. Riconosce e affronta con un aiuto marginale del for- matore le situazioni im- previste. Riconosce e affronta con l’aiuto determinante del formatore le situazioni impreviste. Non riconosce e non af- fronta le situazioni im- previste anche sotto la guida del formatore. Ag ire in au to no m ia Re laz ion ar si 138 PORTFOLIO Sezione Settima - La valutazione CO M PE TE NZ E CA PA CI TÀ AT TI VI TÀ OTTIMO 100-90 BUONO 89-75 SUFFICIENTE 74-60 INIZIALE 59-0 Ri co no sc er e g li in ter loc ut or i d i r ifer im en to Co mu nic ar e ne l c on tes to di rife rim eno Ri co no sc er e il p ro pr io ru olo La vo ra re in mo do co op era tiv o Comprende le aspettative dell’interlocutore nel con- testo di riferimento. Comprende le aspettative dell’interlocutore nel con- testo di riferimento con l’intervento marginale del formatore. Ha difficoltà nel com- prendere le aspettative dell’interlocutore nel con- testo di riferimento. Non comprende le aspet- tative dell’interlocutore nel contesto di riferi- mento. Interagisce con l’interlo- cutore con comportamen- ti appropriati al contesto di riferimento Interagisce con l’interlo- cutore nel contesto di ri- ferimento con alcune in- certezze. Ha difficoltà a interagire con l’interlocutore nel contesto di riferimento. Non è in grado di intera- gire con l’interlocutore nel contesto di riferimen- to anche con l’aiuto del formatore. Agisce il proprio ruolo nel lavoro di gruppo. Agisce il proprio ruolo nel lavoro di gruppo con qualche incertezza. Ha difficoltà nell’agire il proprio ruolo nel lavoro di gruppo. Non agisce il proprio ruo- lo nel lavoro di gruppo an- che sotto la guida del for- matore. Apporta contributi perso- nali al lavoro di gruppo. Apporta contributi perso- nali al lavoro di gruppo quando gli va di farlo. Ha difficoltà a fornire contributi personali al la- voro di gruppo anche se stimolato a farlo. Non porta contributi per- sonali al lavoro di grup- po anche se stimolato a farlo. Ge sti re le pr op rie em oz ion i La vo ra re in m od o c oo pe ra tiv o La vo ra re in m od o c oo pe ra tiv o Reagisce assertivamente in situazioni conflittuali nel lavoro di gruppo giu- stificando le sue ragioni. Reagisce assertivamente in situazioni conflittuali nel lavoro di gruppo, ma senza giustificare le sue ragioni. Ha difficoltà a reagire in modo assertivo in situa- zioni conflittuali nel lavo- ro di gruppo esponendo le sue ragioni in modo vio- lento o rinunciando alle sue ragioni. Non reagisce in modo as- sertivo in situazioni con- flittuali del lavoro di gruppo. Agisce il proprio ruolo nel lavoro di gruppo. Agisce il proprio ruolo nel lavoro di gruppo con qualche incertezza. Ha difficoltà nell’agire il proprio ruolo nel lavoro di gruppo. Non agisce il proprio ruo- lo nel lavoro di gruppo an- che sotto la guida del for- matore. Apporta contributi perso- nali al lavoro di gruppo. Apporta contributi perso- nali al lavoro di gruppo quando gli va di farlo. Ha difficoltà a fornire contributi personali al la- voro di gruppo e solo se stimolato a farlo. Non porta contributi per- sonali al lavoro di grup- po anche se stimolato a farlo. Reagisce assertivamente in situazioni conflittuali nel lavoro di gruppo giu- stificando le sue ragioni. Reagisce assertivamente in situazioni conflittuali nel lavoro di gruppo, ma senza giustificare le sue ragioni. Ha difficoltà a reagire in modo assertivo in situa- zioni conflittuali nel lavo- ro di gruppo esponendo le sue ragioni in modo vio- lento o rinunciando alle sue ragioni. Non reagisce in modo assertivo in situazioni conflittuali del lavoro di gruppo. Ri co no sc er e i l li ng ua gg io ap pr op ria to al co nt est o Co mu nic ar e ne l c on tes to di rife rim ent o Comprende le aspettative dell’interlocutore nel con- testo di riferimento. Comprende le aspettative dell’interlocutore nel con- testo di riferimento con l’intervento marginale del formatore. Ha difficoltà nel com- prendere le aspettative dell’interlocutore nel con- testo di riferimento. Non comprende le aspet- tative dell’interlocutore nel contesto di riferi- mento. Si relaziona in modo co- erente al contesto di rife- rimento. Si relaziona in modo co- erente al contesto di rife- rimento, con qualche in- certezza. Ha difficoltà a relazionarsi in modo coerente al con- testo di riferimento. Non si relaziona coeren- temente al contesto rela- zionale. Interagisce con l’interlo- cutore con comportamen- ti appropriati al contesto di riferimento Interagisce con l’interlo- cutore nel contesto di ri- ferimento con alcune in- certezze. Ha difficoltà a interagire con l’interlocutore nel contesto di riferimento Non è in grado di intera- gire con l’interlocutore nel contesto di riferimen- to anche con l’aiuto del formatore. Re laz ion ar si � 139 PORTFOLIO Sezione Settima - La valutazione CO M PE TE NZ E CA PA CI TÀ AT TI VI TÀ OTTIMO 100-90 BUONO 89-75 SUFFICIENTE 74-60 INIZIALE 59-0 De lin ea re str ate gie pe r l a r ice rca di in for m az ion i El ab or ar e le inf orm azi oni Legge con precisione le informazioni provenienti dal contesto e dallo stru- mento. Legge con qualche impre- cisione le informazioni provenienti dal contesto e dallo strumento. Ha difficoltà a leggere le informazioni provenienti dal contesto e dallo stru- mento. Non sa leggere le infor- mazioni provenienti dal contesto e dallo strumen- to. Correla con precisione e sicurezza le informazioni provenienti dal contesto e dallo strumento. Correla con qualche diffi- coltà le informazioni pro- venienti dal contesto e dallo strumento. Ha difficoltà a correlare le informazioni provenienti dal contesto e dallo stru- mento. Non correla le informa- zioni provenienti dal con- testo e dallo strumento. Evidenzia con sicurezza i punti di forza e di debo- lezza nell’elaborare le in- formazioni. Evidenzia con qualche in- certezza i punti di forza e di debolezza nell’elabora- re le informazioni. Fa fatica a riconoscere i punti di forza e di debo- lezza nell’elaborare le in- formazioni. Non sa evidenziare i pun- ti di forza e di debolezza nell’elaborare le informa- zioni. Di ag no sti ca re An ali zza re in for m az ion i El ab or ar e le inf orm azi oni Legge con precisione le informazioni provenienti dal contesto e dallo stru- mento. Legge con qualche impre- cisione le informazioni provenienti dal contesto e dallo strumento. Ha difficoltà a leggere le informazioni provenienti dal contesto e dallo stru- mento. Non sa leggere le infor- mazioni provenienti dal contesto e dallo strumen- to. Correla con precisione e sicurezza le informazioni provenienti dal contesto e dallo strumento. Correla con qualche diffi- coltà le informazioni pro- venienti dal contesto e dallo strumento. Ha difficoltà a correlare le informazioni provenienti dal contesto e dallo stru- mento. Non correla le informa- zioni provenienti dal con- testo e dallo strumento. Evidenzia con sicurezza i punti di forza e di debo- lezza nell’elaborare le in- formazioni. Evidenzia con qualche in- certezza i punti di forza e di debolezza nell’elabora- re le informazioni. Fa fatica a riconoscere i punti di forza e di debo- lezza nell’elaborare le in- formazioni. Non sa evidenziare i pun- ti di forza e di debolezza nell’elaborare le informa- zioni. Se lez ion ar e i nfo rm az ion i El ab or ar e le info rm azi oni M on ito ra re i r isu lta ti ott en uti Evidenzia con sicurezza i punti di forza e di debo- lezza nell’elaborare le in- formazioni. Evidenzia con qualche in- certezza i punti di forza e di debolezza nell’elabora- re le informazioni. Fa fatica a riconoscere i punti di forza e di debo- lezza nell’elaborare le in- formazioni. Non sa evidenziare i pun- ti di forza e di debolezza nell’elaborare le informa- zioni. Verifica con precisione lo stato delle relazioni tra at- tese e risultati. Verifica con qualche im- precisione lo stato delle relazioni tra attese e risul- tati. Ha difficoltà a verificare con precisione lo stato delle relazioni tra attese e risultati. Non verifica lo stato del- le relazioni tra attese e ri- sultati. Controlla in modo anali- tico e completo gli effetti dell’azione applicata. Controlla solo gli effetti più evidenti dell’azione applicata. Controlla in modo super- ficiale l’effetto dell’azione applicata, trascurando al- cuni aspetti. Non controlla l’effetto del- l’azione applicata. Or ga ni zza re in for m az ion i M on ito ra re i ris ult ati ot ten uti Verifica con precisione lo stato delle relazioni tra at- tese e risultati. Verifica con qualche im- precisione lo stato delle relazioni tra attese e risul- tati. Ha difficoltà a verificare con precisione lo stato delle relazioni tra attese e risultati. Non verifica lo stato del- le relazioni tra attese e ri- sultati. Identifica con precisione le problematiche legate alla professionalità. Identifica con qualche im- precisione le problemati- che legate alla professio- nalità. Ha difficoltà ad identifi- care con precisione le problematiche legate alla professionalità. Non identifica le proble- matiche legate alla pro- fessionalità. Corregge senza esitazioni l’azione. Corregge con qualche esi- tazione le azioni. Ha difficoltà a correggere le azioni. Non è in grado di correg- gere le azioni. Controlla in modo anali- tico e completo gli effetti dell’azione applicata. Controlla solo gli effetti più evidenti dell’azione applicata. Controlla in modo super- ficiale l’effetto dell’azione applicata, trascurando al- cuni aspetti. Non controlla l’effetto del- l’azione applicata. 140 PORTFOLIO Sezione Settima - La valutazione RUBRICA GENERALE - AREA PROFESSIONALIZZANTE COMPETENZE PROFESSIONALI COMUNI CO M PE TE NZ E In di vid ua re gl i e lem en ti de l S ist em a Q ua lità AT TI VI TÀ La vo ra re in ot tic a d i q ua lit à OTTIMO 100-90 BUONO 89-75 SUFFICIENTE 74-60 INIZIALE 59-0 Legge le procedure del Si- stema Qualità, le identifica e riconosce ciascuno degli ele- menti di questo sistema. Sa trasporre tali conoscenze al processo produttivo di rife- rimento, interpretando le procedure, traducendole e at- tuandole nel contesto pro- duttivo di riferimento. Legge le procedure del Si- stema Qualità, le identifica e riconosce ciascuno degli ele- menti di questo sistema. Sa trasporre tali conoscenze al processo produttivo di rife- rimento, interpretando le procedure, ma fa diversi er- rori quando le attua nel con- testo. Legge le procedure del Si- stema Qualità, ma riconosce in maniera incerta gli ele- menti di questo sistema. Tenta di trasporre tali co- noscenze al processo pro- duttivo di riferimento, ma ha molte difficoltà ad interpre- tare le procedure nel conte- sto. Si limita a leggere le proce- dure del Sistema Qualità senza cogliere alcun nesso col sistema produttivo di ri- ferimento. Comprende le motivazioni e gli scopi del Sistema Quali- tà, identifica ruoli e respon- sabilità previsti nel sistema produttivo di riferimento e utilizza correttamente la mo- dulistica relativa a questo si- stema. Comprende le motivazioni e gli scopi del Sistema Quali- tà, identifica i ruoli, ma non le responsabilità previste nel sistema produttivo di riferi- mento e utilizza con qualche imprecisione la modulistica relativa a questo sistema. Comprende in modo ap- prossimativo motivazioni e/o scopi del Sistema Qualità, identifica i ruoli nel sistema produttivo di riferimento e utilizza in modo impreciso e/o incompleto la modulisti- ca relativa a questo sistema. Non comprende motivazio- ni/scopi del Sistema Quali- tà, non identifica ruoli e re- sponsabilità nel sistema pro- duttivo di riferimento e non utilizza la modulistica pre- vista. In di vid ua re le n or m e f on da m en ta li re lat ive ad ig ien e s icu re zz a su l l av or o La vo ra re in un ’o tti ca di ig ien e e si cu rez za Conosce le norme di igiene e di sicurezza, le applica, sa spiegare il sistema preven- zione/protezione e ne iden- tifica figure e ruoli nel con- testo di riferimento. Conosce parzialmente, le norme di igiene e di sicu- rezza, le applica, spiega in modo superficiale il sistema prevenzione/protezione pur identificandone figure e ruo- li nel contesto di riferi- mento. Conosce parzialmente le norme di igiene e sicurezza, le applica con lacune e non sa spiegare il sistema pre- venzione/protezione, né sa identificare figure e ruoli nel contesto di riferimento. Non conosce le norme di igiene e sicurezza e/o non le applica. Non sa vedere alcun collegamento al contesto di riferimento. Conosce le situazioni di rischio in relazione al pro- prio lavoro, comprende la segnaletica e la rispetta. Conosce le situazioni di rischio in relazione al pro- prio lavoro, comprende la se- gnaletica e la trascura. Ha una conoscenza limita- ta e superficiale delle situa- zioni di rischio in relazione al proprio lavoro, rispetta la segnaletica solo se costretto. Non conosce le situazioni di rischio in relazione al pro- prio lavoro, non comprende la segnaletica e non la ri- spetta. In ter pr et ar e se m pl ici p re ve nt ivi Pr od ur re se m pli ci pr ev en tiv i Identifica beni e servizi (an- che nel proprio contesto) e sa quantificarli; legge i pre- ventivi, ne riconosce gli ele- menti significativi e con- fronta costi e benefici. Re- dige correttamente un pro- prio preventivo. Identifica beni e servizi (an- che nel proprio contesto), ma non è realistico nella loro quantificazione; legge i pre- ventivi, ne riconosce gli ele- menti significativi, ma non possiede criteri di confron- to per valutare costi e bene- fici. Di conseguenza redige un proprio preventivo in modo inadeguato. Identifica in modo incom- pleto beni e servizi (anche nel proprio contesto); legge i preventivi, riconosce in questi solo alcuni elementi significativi. Di conseguen- za redige un proprio pre- ventivo non corrispondente a realtà. Identifica in modo incom- pleto beni e servizi (anche nel proprio contesto); non si informa su i preventivi, pren- de decisioni sul proprio pre- ventivo in modo ingiustifi- cato. � 141 PORTFOLIO Sezione Settima - La valutazione RUBRICA GENERALE - AREA PROFESSIONALIZZANTE OPERATORE MECCANICO: MECCANICO COSTRUTTORE SU M.U. Profilo L’Operatore meccanico - Costruttore su M.U. possiede conoscenze tecnico-scientifiche e abilità ope- rative in ambito meccanico. È in grado di lavorare particolari metallici e non metallici al banco e al- le macchine utensili tradizionali (tornio e fresatrice) e a controllo numerico. È in grado di assembla- re e regolare gruppi meccanici ed elettro-pneumatici. È in grado di eseguire disegni 2D con l’ausilio di tecnologie CAD. CO M PE TE NZ E In ter pr et ar e di se gn i m ec ca ni ci e s ch em i AT TI VI TÀ Di se gn ar e pa rti co lar i m ec ca nic i OTTIMO 100-90 BUONO 89-75 SUFFICIENTE 74-60 INIZIALE 59-0 Ricava in modo corretto i particolari da complessivi. Ricava i particolari da com- plessivi con alcuni interventi del formatore. Ricava i particolari da com- plessivi solo con alcuni in- terventi del formatore. Non è in grado di ricavare i particolari da complessivi. Esegue in modo corretto di- segni e schizzi quotati. Esegue in modo non sempre corretto disegni e schizzi quotati. Esegue a stento disegni per la quotatura. Non è in grado di eseguire in modo corretto disegni e schizzi quotati. Utilizza la manualistica tec- nica in piena autonomia. Utilizza la manualistica tec- nica con qualche aiuto da parte del formatore. Utilizza a stento la manua- listica tecnica ricavando l’in- dispensabile, e necessita a volte dell’aiuto del forma- tore. Non è in grado di utilizzare la manualistica tecnica. Utilizza pacchetti applicati- vi CAD bidimensionali in piena autonomia. Utilizza pacchetti applicati- vi CAD bidimensionali in buona autonomia. Utilizza a stento pacchetti applicativi CAD bidimen- sionali e necessita a volte dell’aiuto del formatore. Non è in grado di utilizzare pacchetti applicativi CAD bidimensionali in modo au- tonomo e necessita del con- tinuo aiuto del formatore. M on ta re e r eg ola re sis tem i e let tri ci- pn eu ma tic i Legge la simbologia di com- ponenti elettrici-pneumatici in modo corretto. Legge la simbologia di com- ponenti elettrici-pneumatici con qualche errore. Legge a stento la simbologia di componenti elettrici-pneu- matici e necessita di alcuni interventi del formatore. Non sa leggere la simbolo- gia di componenti elettri- ci-pneumatici e necessita di continuo aiuto del forma- tore. Legge schemi di impianti elettrici-pneumatici in pie- na autonomia in modo cor- retto. Legge con qualche piccola difficoltà schemi di impian- ti elettrici-pneumatici. Legge a stento gli schemi di impianti elettrici-pneumati- ci e necessita di alcuni in- terventi del formatore. Non è in grado di leggere schemi di impianti elettri- ci-pneumatici e necessita del continuo aiuto del for- matore. Collega la componentistica elettrica-pneumatica in mo- do corretto e autonomo. Collega la componentistica elettrica-pneumatica in par- ziale correttezza senza l’aiu- to del formatore. Ha alcune difficoltà nel col- legare la componentistica elettrica-pneumatica e a vol- te necessita di alcuni inter- venti del formatore. Non è in grado di collegare la componentistica elettri- ca-pneumatica. Regola l’impianto in modo corretto e autonomo. Regola l’impianto con buo- na autonomia e correttezza. Regola l’impianto a stento e a volte necessita dell’aiuto del formatore. Non è in grado di regolare l’impianto e necessita di continuo aiuto del forma- tore. Collauda l’impianto in pie- na autonomia e modo cor- retto. Collauda l’impianto in buo- na automomia e con qualche incertezza. Collauda l’impianto con al- cune difficoltà e a volte ne- cessita dell’aiuto del for- matore. Non è in grado di collauda- re l’impianto in modo cor- retto. 142 PORTFOLIO Sezione Settima - La valutazione CO M PE TE NZ E AT TI VI TÀ OTTIMO 100-90 BUONO 89-75 SUFFICIENTE 74-60 INIZIALE 59-0 Allestisce la macchina, le at- trezzature e gli utensili in au- tonomia e in modo corretto. Allestisce la macchina, le at- trezzature e gli utensili in au- tonomia e in modo parzial- mente corretto. Allestisce la macchina, le at- trezzature e gli utensili con alcune difficoltà e con l’aiu- to del formatore. Non sa allestire la macchi- na, le attrezzature e gli uten- sili in autonomia per cui ne- cessita del continuo aiuto del formatore. Imposta parametri tecnici in modo corretto senza l’aiu- to del formatore. Imposta parametri tecnici in modo corretto con qual- che aiuto del formatore. Ha alcune difficoltà nel- l’impostare i parametri tec- nici e richiede l’aiuto del formatore. Non sa impostare i parame- tri tecnici in modo corretto e necessita di continuo aiu- to del formatore. Or ga ni zz ar e il po sto d i l av or o Pr od ur re pa rti co lar i m ec ca nic i a lle M .U . Ag giu sta re e a ss em bla re al ba nc o Pr od ur re pa rti co lar i m ec ca nic i all e M .U . Eff ettu are c on tro lli e mi su ra zio ni Utilizza attrezzature e stru- menti in modo autonomo e corretto. Utilizza le attrezzature e gli strumenti in modo corretto e con pochi aiuti del for- matore. Ha difficoltà nell’utilizzare attrezzature e strumenti in modo corretto e ricorre al- l’aiuto del formatore. Non sa utilizzare le attrez- zature e gli strumenti in modo corretto ma necessita del continuo aiuto del for- matore. Utilizza attrezzature e stru- menti in modo autonomo e corretto. Utilizza le attrezzature e gli strumenti in modo corretto con pochi interventi del for- matore. Ha difficoltà nell’utilizzare attrezzature e strumenti in modo corretto e ricorre al- l’aiuto del formatore. Non sa utilizzare le attrez- zature e gli strumenti in modo corretto ma necessita di continuo aiuto del for- matore. Effettua recuperi di anoma- lie in modo corretto senza l’aiuto del formatore. Effettua recuperi di anoma- lie in modo corretto con po- chi interventi del formatore. Recupera le anomalie a sten- to ma in forma corretta e ne- cessita a volte dell’aiuto del formatore. Non è in grado di recupe- rare le anomalie e necessi- ta di continuo aiuto del for- matore. Effettua spostamenti con giuste misure di intensità, pressione e ritmo. Effettua spostamenti con al- cune difficoltà a mantenere il ritmo, ma esegue il tutto in modo corretto. Esegue spostamenti in modo non pienamente corretto sbagliando a volte il ritmo, l’intensità o la pressione e a volte necessita dell’aiuto del formatore. Esegue spostamenti sba- gliando intensità, pressione e ritmo e necessita di conti- nuo aiuto del formatore. Esegue lavorazioni alle M.U. in forma corretta e in piena autonomia. Effettua lavorazioni alle M.U. in piena autonomia ma con qualche errore. Esegue a stento lavorazioni alle M.U. e con aiuti del for- matore. Non è in grado di eseguire le lavorazioni alle M.U. e ne- cessita di continuo sostegno del formatore. Controlla la funzionalità di complessivi in piena auto- nomia e in forma corretta. Controlla la funzionalità di complessivi in forma cor- retta, ma ricorre ad alcuni suggerimenti del formatore. Controlla a stento e con al- cuni aiuti del formatore la funzionalità di complessivi. Non è in grado di controlla- re la funzionalità di com- plessivi e necessita di con- tinuo aiuto del formatore. Controlla la rugosità di una superficie utilizzando in au- tonomia e in modo corretto lo strumento di misura adatto. Controlla la rugosità di una superficie in autonomia e in modo sostanzialmente cor- retto. Controlla con difficoltà la ru- gosità di una superficie, e chiede a volte aiuto al for- matore. Non è in grado di scegliere e utilizzare gli strumenti di controllo per le superfici. Controlla le tolleranze di for- ma sapendo scegliere gli strumenti adatti e utilizzan- doli in modo corretto. Mostra difficoltà nello sce- gliere lo strumento adatto, ma lo usa in piena autono- mia e correttezza. Sceglie con difficoltà gli strumenti adatti per control- lare la forma e li usa a vol- te aiutato dal formatore. Non è in grado di scegliere e utilizzare gli strumenti per controllare la forma se non aiutato di continuo dal for- matore. Esegue in autonomia e in modo corretto il controllo di- mensionale di pezzi sce- gliendo lo strumento adatto alla quota da rilevare. Esegue correttamente il con- trollo dimensionale di pez- zi scegliendo, con l’aiuto del formatore lo strumento adat- to alla quota da rilevare. Esegue con alcune incertez- ze il controllo dimensiona- le di pezzi scegliendo con l’aiuto del formatore lo stru- mento adatto alla quota da ri- levare. Non è in grado di eseguire il controllo dimensionale di pezzi e non sa scegliere lo strumento adatto alla quota da rilevare. Va lu ta re le fa si di la vo ro � 143 PORTFOLIO Sezione Settima - La valutazione CO M PE TE NZ E AT TI VI TÀ OTTIMO 100-90 BUONO 89-75 SUFFICIENTE 74-60 INIZIALE 59-0 Collauda l’impianto in pie- na autonomia e in maniera corretta. Collauda l’impianto con al- cune difficoltà, ma non ri- corre all’aiuto del forma- tore. Collauda a stento l’impian- to con alcuni interventi del formatore. Non è in grado di collaudare l’impianto se non con il continuo aiuto del forma- tore. Va lu ta re le fa si di la vo ro M on ta re e r eg ola re sis tem i e let tri ci- pn eu ma tic i PORTFOLIO Sezione Settima - La valutazione LA REALIZZAZIONE DEI PASSAGGI del mio portfolio 144 145 Al Dirigente scolastico dell’Istituto/Direttore CFP ..................................................... Al Direttore del CFP/Dirigente Scolastico dell’Istituto ............................................ ...l... sottoscritt... .................................................., genitore dell’alunna/o iscritta/o alla classe ..................................................... sez. ....... indirizzo ................... iscritta/o al corso ......................................................................................................... TENUTO CONTO degli interessi dimostrati dallo studente di (altro): ....................................................................................................................... CHIEDE il passaggio ad altro indirizzo esterno (Denominazione del CFP/Istituzione scolastica .........................................................) (Settore/Classe scelto/a ....................................................................................................) DICHIARA di essere disponibile a concordare azioni che facilitino il passaggio e di essere con- sapevole che esso potrà comportare orari e sedi diversi da quelli attuali. Data ............................. Firma del genitore (o di chi ne fa le veci) .................................................................................................... Firma dell’interessata/o .................................................................................................... Scheda VII-6 Domanda di passaggio PORTFOLIO Sezione Settima - La valutazione 146 Scheda VII-7 Confronto requisiti richiesti e posseduti PORTFOLIO Sezione Settima - La valutazione COMPETENZE DI BASE COMPETENZE TECNICO PROFESSIONALI E TRASVERSALI Aree formative Linguaggi Tecnologica Scientifica Storico- socio- economica Altro (specificare) Unità di apprendimento (ove esistenti) REQUISITI RICHIESTI (dal soggetto ricevente) Requisiti posseduti Competenze acquisite Attività svolte (certificati/attestati da chi invia) Strumenti di verifica Area/Settore formativo Competenze professionali comuni Competenze professionali specifiche Stage Capacità personali Altro (specificare) Unità di apprendimento (ove esistenti) REQUISITI RICHIESTI (dal soggetto ricevente) Requisiti posseduti Competenze acquisite Attività svolte (certificati/attestati da chi invia) Strumenti di verifica 147 Data .................................. Referenti .......................................................................................................... .................................................................................................................................................... .................................................................................................................................................... .................................................................................................................................................... PORTFOLIO Sezione Settima - La valutazione Crediti Sono i crediti riconosciuti dalla scuola/CFP che accoglie e dovranno essere sud- riconosciuti divisi per aree formative e unità formative/di apprendimento. Necessità di intervento formativo tramite LARSA Indicazioni metodologiche Altre indicazioni (tempi, luoghi...) 148 Scheda VII-8 Convenzione tra organismi PORTFOLIO Sezione Settima - La valutazione Al dirigente scolastico dell’Istituto/Al Direttore del CFP ........................................... Al Referente del Servizio Orientamento OGGETTO: progetto passaggio tra il CFP/Istituto ................................................................................... (di destinazione) e l’Istituto/CFP ................................................................................... (di provenienza) In relazione alla richiesta in oggetto e in ottemperanza alla normativa in vigore SI PROPONE per lo studente ........................................... il passaggio per accedere nell’anno ................. al corso ........................................... settore ........................................... anno ................. alla classe ................. Sezione ................. Indirizzo ................................................... Si dispone di organizzare il seguente LABORATORIO di recupero e sviluppo degli apprendimenti: Area formativa Linguaggi Socio- storico- economica Scientifica Tecnologica Professionale Altro Obietivi formativi Attività da svolgere per acquisire l’obiettivo formativo 149 Per la realizzazione di tale laboratorio si dispone quanto segue: PORTFOLIO Sezione Settima - La valutazione Tempi Luogo di attuazione Formatori/Docenti Metodologie formative e di accompagnamento Metodologie di verifica/valutazione Sospensione (anche parziale) dell’attività 150 Scheda VII-9 Modelli per il riconoscimento dei crediti PORTFOLIO Sezione Settima - La valutazione Per l’attestazione dei crediti in ingresso si utilizzerà la modulistica proposta dall’accordo in Conferenza Unificata del 28 ottobre 2004 riguardante la certificazione finale e in- termedia ed il riconoscimento dei crediti. In particolare si userà l’allegato C per il riconoscimento dei crediti in ingresso al per- corso di Formazione Professionale e i modelli A e B per il riconoscimento dei cre- diti per il passaggio ai corsi di istruzione secondaria superiore. Capitolo IV GUIDA ALLA IMPLEMENTAZIONE DEL PORTFOLIO 153 “Il mio Portfolio”, modello di Portfolio proposto dall’ATS CNOS-FAP Speri- mentazione Triennale Regione Piemonte, può essere definito come una raccolta si- gnificativa di lavori ed esperienze che mira a documentare il progresso e a raccon- tare il percorso svolto dagli allievi evidenziando le disposizioni, le abilità, le cono- scenze e le competenze acquisite. Il modello, elaborato in collaborazione con il Prof. Comoglio, docente dell’Università Pontificia Salesiana, include nella sua struttura le schede del Libretto Formativo della Regione Piemonte e le sezioni tratte dal Libret- to Formativo del Cittadino previsto dall’articolo 2 del D.Lgs. 276/2003 attuativo del- la Legge 30 del 2003, e integra quanto indicato dall’Accordo Stato-Regioni del 18 febbraio 2000 e dal Decreto Ministeriale 174/2001. 1. Avvertenze generali Il portfolio non deve essere utilizzato allo stesso modo in cui di solito si utiliz- zano le forme di valutazione tradizionali. Esso è da considerare non uno strumento di valutazione dell’allievo da parte del formatore, ma uno strumento utile a respon- sabilizzare l’allievo riguardo al proprio progresso professionale. Nel costruire il pro- prio portfolio, l’allievo è indotto a riflettere su come sta progredendo, e ad osserva- re attraverso le prestazioni che gli sono richieste come sta conseguendo il profilo pro- fessionale che intende realizzare. Il portfolio non è da usare come un “registro dei voti”, e neppure come un mez- zo più sofisticato per sollecitare un maggior impegno. L’obiettivo che si propone di raggiungere è quello di fare in modo che l’allievo possa “vedersi” nel proprio svi- luppo professionale (valutazione formativa) e alla fine dimostrare il livello di com- petenza professionale conseguito (valutazione sommativa). Per questi motivi il portfolio proposto ha la sottolineatura mio. All’inizio l’allie- vo inserisce dentro di esso “tutte le cose che fa”, e da queste cose scopre i propri punti di forza e di debolezza, si rende conto di quello che deve fare per migliorare. I giudizi espressi sulle prestazioni non devono apparire come giudizi di valutazione o giudizi di controllo dell’impegno profuso nell’apprendimento (valutazione del- l’apprendimento), ma un giudizio su dove e come migliorare. Le prestazioni richie- ste devono essere giustificate come necessarie per realizzare il profilo professionale (valutazione per l’apprendimento). È bene tornare a sottolineare che il portfolio non è un documento burocratico con scopi di certificazione in mano ai formatori, ma uno strumento auto-educativo che raccoglie la documentazione della propria crescita professionale. Solo al termine, se- 154 lezionando i prodotti realizzati, il portfolio può diventare una “certificazione” del con- seguimento della propria professionalità. 2. Il modello di portfolio Il modello proposto è organizzato per SEZIONI TEMATICHE che contengono al loro interno schede riepilogative di vario genere per il rilevamento delle disposi- zioni personali e per l’autovalutazione del proprio comportamento, testimonianze del- le attività svolte, valutazioni e riflessioni sulle abilità dimostrate, esperienze svolte prima o durante la professionalizzazione, valutazioni certificative finali. Questa guida ha la funzione di fornire materiali e suggerire l’utilizzazione edu- cativa degli strumenti proposti. Pertanto si indicano per ogni sezione gli obiettivi e per le singole schede chi partecipa alla loro stesura e se devono essere applicate. In merito all’applicazione si indica quali parti sono da considerare obbligatorie (alcu- ne parti sono obbligatorie ma personalizzabili dagli Enti utilizzando i materiali che sono patrimonio degli stessi, come per esempio nella sezione orientamento o nella sezione stage) o facoltative. Le parti definite come obbligatorie, non vanno intese in modo coercitivo, ma co- me punti di attenzione richiesti dalle indicazioni regionali e nazionali. Le parti fa- coltative corrispondono alla sperimentazione di elementi e strumenti collegati alla metodologia della valutazione autentica. Resta inteso che ogni team di corso se ne- cessario deciderà quali adeguamenti apportare al modello, nel rispetto della norma- tiva vigente in materia e delle buone prassi maturate all’interno dei centri. Ovviamente l’applicazione sarà graduale e adattata alle esigenze di ogni singolo Centro di formazione. Per alcune sezioni, si forniscono anche alcuni suggerimenti metodologici circa l’utilizzo dei materiali allegati. Per approfondimenti di carattere metodologico riguardo all’utilizzo del portfolio e ai contributi teorici della Valutazione Autentica, si rimanda ai capitoli “Il portfolio nella formazione professionale” e “Scenario”. 155 3. INDICE DELLE SEZIONI E DELLE SCHEDE 1. INTRODUZIONE • Scheda I-1: Presentazione • Scheda I-2: Riepilogo 2. PERSONALE • Scheda II-1: Informazioni personali (Sezione1 Libretto Formativo del Cittadino) • Scheda II-2: Precedenti esperienze scolastiche formative e lavorative considera- te importanti (Sezione 1 Libretto Formativo del Cittadino) • Scheda II-3: Esperienze formative (Sezione 1 Libretto Formativo del Cittadino) • Scheda II-4: Esperienze Lavorative/Professionali (Sezione 1 Libretto Formativo del Cittadino) • Scheda II-5: Autovalutazione del Comportamento • Scheda II-6: Valutazione del Comportamento da parte del Team di Corso • Scheda II-7: Valutazione del Comportamento nel corso dei tre anni 3. OBIETTIVI PER LA VITA • Scheda III-1: Gli obiettivi per la vita • Scheda III-2: Impegno/Decisione • Scheda III-3: Autovalutazione • Scheda III-4: Valutazione del Team 4. ORIENTAMENTO • Scheda IV-1: Percorsi di orientamento precedenti (Libretto Formativo) • Scheda IV-2: Profilo orientativo iniziale • Scheda IV-3: Profilo orientativo in itinere • Scheda IV-4: Profilo orientativo finale 5. PROFESSIONALITÀ • Scheda V-1: Profilo Professionale (Libretto Formativo) • Scheda V-2: Percorso Formativo (Libretto Formativo) • Scheda V-3: Revisione Progetto Personale (Libretto Formativo) • Scheda V-4: Personalizzazione del percorso (Libretto Formativo) • Scheda V-5: La prestazione. Presentazione della prestazione 156 • Scheda V-6: La prestazione. Scheda della prestazione • Scheda V-7: La prestazione. Rubrica di valutazione e valutazione conseguita • Scheda V-8: La prestazione. Documentazione della prestazione • Scheda V-9: La prestazione. Riflessione sulla prestazione 6. STAGE • Scheda VI-1: Stage aziendale (Libretto Formativo) • Scheda VI-2: Descrizione azienda • Scheda VI-3: Riflessione ambiente • Scheda VI-4: Descrizione prodotto • Scheda VI-5: Rubrica di valutazione dello Stage - Periodo Iniziale • Scheda VI-6: Rubrica di valutazione dello Stage - Periodo Intermedio • Scheda VI-7: Rubrica di valutazione dello Stage - Periodo Finale • Scheda VI-8: Soddisfazione azienda • Scheda VI-9: Soddisfazione allievi 7. VALUTAZIONE DEL PROGRESSO DELL’APPRENDIMENTO LA CERTIFICAZIONE e LA GESTIONE DEI CREDITI FORMATIVI • Scheda VII-1: Competenze rilevate/crediti riconosciuti/conoscenze acquisite (Li- bretto Formativo) • Scheda VII-2: Acquisizioni certificate durante il percorso (Libretto Formativo) • Scheda VII-3: Acquisizioni certificate al termine del percorso (Libretto Formativo) • Scheda VII-4: Competenze acquisite in percorsi di apprendimento (Sezione 2 Li- bretto Formativo del Cittadino) LA VALUTAZIONE DEGLI APPRENDIMENTI • Scheda VII-5: Valutazione del mio apprendimento attraverso il portfolio (Rubri- che di valutazione) LA REALIZZAZIONE DEI PASSAGGI • Scheda VII-6: Domanda di passaggio • Scheda VII-7: Confronto requisiti richiesti e posseduti • Scheda VII-8: Convenzione tra organismi • Scheda VII-9: Modelli di riconoscimenti per i crediti 157 4. GUIDA ALLE SEZIONI E ALLE SCHEDE La Sezione Prima INTRODUZIONE introduce l’allievo al senso del suo portfo- lio. A che cosa mi servirà? Che cosa conterrà? A che cosa è finalizzato? Nella Presentazione l’allievo scrive gli scopi – tra quelli descritti – che avrà per lui il portfolio, e subito sotto riporta il profilo professionale offerto dalla Regione Pie- monte. La compilazione di questa pagina offre l’occasione di chiarire il senso e il valore del portfolio, del suo uso, del suo contenuto e della sua appartenenza. Nella seconda parte l’allievo traccia il profilo professionale meta del suo percor- so formativo. È opportuno che l’allievo faccia questo riflettendo sulle competenze che dovrà apprendere. Sarà altrettanto opportuno che il formatore o il tutor illustri il profilo descrivendo in maniera concreta la sua meta formativa. Nel Riepilogo si riportano tutte le sezioni di cui è composto il Portfolio. ❏ Obiettivo • Spiegare il senso e l’uso del portfolio per la propria crescita umana e professio- nale. • Esaminare le parti di cui è costituito • Riflettere sulle competenze professionali da acquisire ❏ Chi • Scheda I-1: Presentazione Allievi • Scheda I-2: Riepilogo Allievi ❏ Applicazione • Scheda I-1: Presentazione Obbligatoria • Scheda I-2: Riepilogo Obbligatoria ❏ Suggerimenti metodologici • Si sottolinea lo scopo distintivo del portfolio: raccogliere i lavori personali del- l’allievo e dimostrare la sua crescita umana e professionale. La Sezione Seconda PERSONALE raccoglie informazioni anagrafiche, a cui so- no associate altre eventuali informazioni relative al proprio comportamento manife- stato all’interno del Centro Professionale. La sezione è stata modificata passando dal modello del Libretto Formativo del- l’allievo al modello del Libretto Formativo del Cittadino - Sezione 1. Questa scheda può essere collegata ad attività inerenti l’educazione alla cittadinanza. Se proviene da altre esperienze scolastiche, formative e lavorative precedenti (Sezio- ne 1 Libretto del Cittadino), l’allievo preciserà quali ha svolto e quali titoli ha con- seguito. Sono poi proposte delle schede di autovalutazione sul comportamento dimostra- to nel Centro di Formazione. La Scheda di Autovalutazione e la Scheda di Valuta- 158 zione del Team di Corso sono identiche e devono essere compilate separatamente in tempi stabiliti (una volta al trimestre). Compilate separatamente, possono essere oc- casione per stabilire un dialogo educativo proficuo tra tutor e allievo. Il giudizio discusso e concordato può essere registrato su una Scheda Riassunti- va nei Tre Anni. La scheda viene conservata in duplice copia nel Dossier del Corso e nel Portfolio dell’Allievo. ❏ Obiettivo • Raccogliere informazioni di carattere anagrafico e altre relative a percorsi formativi realizzati: � Registrare i titoli di Istruzione e Formazione � Registrare le esperienze formative � Registrare le esperienze lavorative/professionali � Registrare altre esperienze culturali e significative • Esaminare e riflettere sul proprio comportamento in un ambiente ❏ Chi • Scheda II-1: Informazioni personali (Sezione 1 Libretto Formativo del Cittadino) Allievi • Scheda II-2: Precedenti esperienze scolastiche formative e lavorative considerate importanti (Sezione 1 Libretto Formativo del Cittadino) Allievi • Scheda II-3: Esperienze formative (Sezione 1 Libretto Formativo del Cittadino) Allievi • Scheda II-4: Esperienze Lavorative/Professionali (Sezione 1 Libretto Formativo del Cittadino) Allievi • Scheda II-5: Autovalutazione del Comportamento Allievi • Scheda II-6: Valutazione del Comportamento da parte del Team di Corso Team di corso • Scheda II-7: Valutazione del Comportamento nel corso dei tre anni Tutor/coordinatore ❏ Applicazione • Scheda II-1: Informazioni personali (Sezione 1 Libretto Formativo del Cittadino) Obbligatoria • Scheda II-2: Precedenti esperienze scolastiche formative e lavorative considerate importanti (Sezione 1 Libretto Formativo del Cittadino) Obbligatoria • Scheda II-3: Esperienze formative (Sezione 1 Libretto Formativo del Cittadino) Obbligatoria • Scheda II-4: Esperienze Lavorative/Professionali (Sezione 1 Libretto Formativo del Cittadino) Obbligatoria • Scheda II-5: Autovalutazione del Comportamento Facoltativa • Scheda II-6: Valutazione del Comportamento da parte del Team di Corso Facoltativa • Scheda II-7: Valutazione del Comportamento nel corso dei tre anni Facoltativa 159 ❏ Suggerimenti metodologici • Spiegare le Schede agli allievi. Discuterle con loro. Rilevarne la scadenza trime- strale. Sottolineare che una sarà compilata dall’allievo stesso e un’altra dal team. Dalla Scheda finale compilata alla fine dei tre anni si potrà rilevare il “migliora- mento” conseguito. La Sezione Terza raccoglie un elenco di OBIETTIVI formativi PER LA VITA. Essi descrivono le tendenze e le sensibilità che il Centro e l’allievo stesso assumo- no come obiettivi di vita. Un autore le definisce come “ciò che rimane nell’allievo una volta dimenticati tutti i contenuti delle aree formative appresi”. Altri autori con- siderano gli atteggiamenti riportati nella sezione come obiettivi importanti da edu- care per il secolo XXI. In ogni caso molti studiosi e ricercatori convengono che nel passato queste “dis- posizioni” sono state considerate per lo più “implicitamente” attraverso le prestazio- ni di apprendimento richieste, ma che oggi devono essere apertamente educate e va- lutate negli allievi. Ricorrendo ad una metafora, si potrebbero descrivere le disposi- zioni dicendo che il vetro è “facile” a rompersi, che il ghiaccio ha la “tendenza” a scio- gliersi e che il diamante ha la “proprietà” della durezza. Le disposizioni sono realtà che non si possono osservare. Sono aspetti, inclinazioni, tendenze, atteggiamenti che si manifestano in presenza di certe condizioni e che certe situazioni stimolano. Di- versamente dalle abilità, non sono mai pienamente possedute. Ennis (1985, 1996) ri- tiene che l’inclinazione sia la componente essenziale della disposizione. La disposi- zione è una inclinazione stabile ad attivarsi in un certo modo ogni volta che la situa- zione lo richiede. Chi ha l’inclinazione ad essere preciso e accurato risponde in que- sto modo ogni volta che la situazione lo richiede. Allo stesso modo, chi ha la dispo- sizione a persistere reagisce impegnandosi ogni qualvolta incontra una difficoltà, men- tre chi è curioso si dimostra tale ogni volta che scopre di non sapere qualcosa. La disposizione non è un “saper fare” qualcosa. È possibile che alcune persone sappiano fare qualcosa, ma non essere inclini a farle. Altre possono essere inclini a fare qualcosa, ma non dispongono dell’abilità ad operare in un certo modo. Si potrebbe essere buoni meccanici, elettricisti, grafici, ma non essere persone precise e accurate o persistenti. Sebbene non si esigano reciprocamente, sensibilità e abilità sono importanti perché non vi è motivo di possedere una disposizione senza la presenza di abilità. Nel mondo del lavoro spesso le disposizioni che una persona possiede diventano più rilevanti delle abilità che ha acquisito. Non di meno, anche lo sviluppo di una professionalità è sostenuta e sollecitata dalla presenza di queste caratteristiche. In una valutazione, se la persona non mostra realmente un qualche comporta- mento (che presumibilmente richiede l’appropriata sensibilità e abilità) è molto dif- ficile poter affermare che sia in possesso di una disposizione. Dove si manifesta- no le disposizioni nella formazione professionale? Nelle prestazioni o nei compi- ti professionali. Ogni formatore può riflettere e considerare quali disposizioni siano presenti o assenti nella prestazione che richiede ad un allievo. Un compito può richiedere “impegno e resistenza prolungata”, un altro “responsabilità”, un 160 altro ancora “controllo”, un altro, infine, può richiedere di “essere creativi”. Ecc. Come possono essere utilizzate queste schede? Un primo modo è quello di inserire la disposizione che si ritiene appropriata nel compito richiesto e quindi nella rubrica di valutazione. La disposizione sarà giudi- cata secondo il modo in cui si manifesterà nella prestazione. Un secondo modo è quello di preannunciare chiaramente agli allievi che nell’an- no o per un periodo di tempo (tre/quattro mesi) i compiti e le prestazioni che ver- ranno richieste intendono anche valutare una o due disposizioni. La scelta del for- matore cadrà su quella ritenuta più assente nel corso. Un terzo modo può essere quello di chiedere all’allievo di “autoeducarsi” su qual- cuna di esse e periodicamente di controllare il proprio impegno. Infine è possibile utilizzare le schede proposte nello stesso modo in cui si utiliz- zano le schede del comportamento. Su alcune disposizioni assunte come progetto edu- cativo si procede ad una autovalutazione dello studente e ad una valutazione del team del corso. Alla fine del trimestre o quadrimestre è prevista una comunicazione e una riflessione tra l’allievo e il tutor. A tale scopo sono offerte due schede finali per una autovalutazione e una valutazione del Team di corso. Naturalmente le schede dovranno essere concordate mesi prima del loro uso. ❏ Obiettivo • Accrescere nell’allievo la consapevolezza delle disposizioni e incentivare il loro potenziamento. ❏ Chi • Scheda III-1: Gli obiettivi per la vita Tutor/Coordinatore/Formatore • Scheda III-2: Impegno/Decisione Tutor/Coordinatore/Allievi • Scheda III-3: Autovalutazione Allievi • Scheda III-4: Valutazione del Team Team di corso ❏ Applicazione • Scheda III-1: Gli obiettivi per la vita Facoltativa • Scheda III-2: Impegno/Decisione Facoltativa • Scheda III-3: Autovalutazione Facoltativa • Scheda III-4: Valutazione del Team Facoltativa ❏ Suggerimenti metodologici • Spiegare agli allievi l’importanza delle disposizioni nella vita pratica e professionale. Discutere con loro come il team sceglie alcune disposizioni e le inserisce nelle prestazioni di apprendimento professionale. Rilevare come esse siano valutate nel- le rubriche di valutazione delle prestazioni. L’importanza di questa valutazione e delle schede è soprattutto rivolta ad osservare il “miglioramento” conseguito. Spesso la formazione può diventare una routine di prestazioni e di apprendimen- ti. È importante richiamare l’attenzione dell’allievo su come crescere “rivedendo” il proprio progetto formativo e professionale. 161 La Sezione Quarta ORIENTAMENTO raccoglie la documentazione che attesta le esperienze più significative e le occasioni di crescita nella conoscenza di se stes- si, finalizzate ad un’adeguata scelta dei percorsi formativo-lavorativi. In queste schede (Iniziale, in Itinere e Finale) l’allievo riflette su se stesso ed espli- cita (1) aspirazioni e interessi (intesi il più possibile in senso concreto, riferito al- l’ambito lavorativo/professionale); (2) capacità (relazionali, comunicative, metodo di studio...); (3) i punti forti e i punti deboli; predisposizione di un progetto personale. È importante acquisire anche il punto di vista della famiglia e associarla alla de- lineazione del profilo del giovane. Non sono schede da riprendere ogni momento. Sono tuttavia piste di riflessione che dovranno essere ogni tanto riconsiderate fino a giungere a una comprensione e decisione professionale alla fine del periodo di formazione. La Scheda finale sarà in- teressante e significativa per l’allievo se sarà preparata a partire da quelle precedenti. ❏ Obiettivo • Far riflettere l’allievo nel periodo di formazione sul suo progetto formativo, sul- le sua capacità, doti, aspettative, e sui suoi punti di forza. ❏ Chi • Scheda IV-1: Percorsi di orientamento precedenti (Libretto Formativo) Allievi • Scheda IV-2: Profilo orientativo iniziale Orientatore/Allievi • Scheda IV-3: Profilo orientativo in itinere Orientatore/Allievi • Scheda IV-4: Profilo orientativo finale Orientatore/Allievi ❏ Applicazione • Scheda IV-1: Percorsi di orientamento precedenti (Libretto Formativo) Obbligatoria • Scheda IV-2: Profilo orientativo iniziale Obbligatorio Personalizzabile dagli Enti • Scheda IV-3: Profilo orientativo in itinere Obbligatorio Personalizzabile dagli Enti • Scheda IV-4: Profilo orientativo finale Obbligatorio Personalizzabile dagli Enti ❏ Suggerimenti metodologici • Da effettuarsi durante le attività di accoglienza e accompagnamento iniziale, in itinere e finale. La Scheda Iniziale sarà preparata all’inizio del percorso di for- mazione, mentre la Scheda in Itinere potrebbe essere ripresa più volte segnando la data delle riflessioni e cogliendo in questo modo il proprio divenire e crescere. La Scheda Finale riassume le due precedenti, le analizza, ne coglie lo sviluppo fondandosi su esperienze formative rilevanti vissute per: 1) esaltarne la significatività e il contributo in termini di formazione personale, autostima, capacità comunicative e relazionali, acquisizione di un metodo di studio e di lavoro; 2) elaborare un progetto personale per il futuro (aspirazioni, interessi, opportu- nità e vincoli, indicazioni da parte della famiglia...); 3) sostenere la transizione (indicazioni nel progetto in merito al proseguimento del cammino formativo/lavorativo). 162 La Sezione Quinta LA PROFESSIONALITÀ si può dire che rappresenti la par- te del portfolio di cui si deve avere particolare cura e attenzione. La sezione si divide in due parti: 1) nella prima, in alcune schede iniziali (Scheda V-1, V-2, V-3 e V-4) si descrive il Profilo Professionale e il Percorso Formativo, si indicano le competenze e le capacità da acquisire, le attività e le azioni da eseguire (si veda quanto in- dicato dalla Regione Piemonte) 2) nella seconda parte, si presentano Le Prestazioni Professionali. Nella prima parte della sezione si presenta il Profilo Professionale (Scheda V-1) che evidenzia le competenze, le capacità e le attività che l’allievo deve apprendere. Successivamente il Profilo propone alcune Schede illustrano il Percorso Formativo (Scheda V-2) che dovrebbe indicare e far conoscere all’allievo il percorso formativo dell’anno, la Revisione del Progetto Personale (Scheda V-3) nella quale si definiscono eventualmente parti specifiche di percorso formativo, ed infine, una Personalizzazione del Percorso (Scheda V-4) nella quale si stabiliscono per il singolo studente o speci- fici approfondimenti o richieste di recuperi. Nella seconda parte della sezione vanno collocate le prestazioni che nella pro- grammazione curricolare si ritengono formative della professionalità dell’allievo. Ini- zialmente si raccolgono tutte le prestazioni, ma alla fine anno si raccoglieranno so- lo quelle significative che sono in linea con le finalità stabilite del portfolio. È anche opportuno ricordare che le prestazioni non sono da accostare ai compiti tradizionali. Esse devono costituire delle prove autentiche, cioè prove che includo- no un argomento centrale dell’apprendimento professionale dello studente, impegnano gli allievi in una attività ricca di apprendimenti, propongono situazioni analoghe a quelle della vita reale. Sia nel testo sul Portfolio che nell’esemplare di portfolio offerto a titolo di esem- pio è riportata una prestazione. Quando viene riposta nel Portfolio, essa deve essere corredata di diversi elementi: 1) Presentazione della prestazione 2) Descrizione del compito richiesto 3) Rubrica di valutazione con l’indicazione della valutazione conseguita 4) Commento di riflessione sull’esecuzione da parte dell’allievo e del formatore. La prestazione deve essere presentata come un’attività che si svolge nel mondo reale, indicando il ruolo che dovrà svolgere l’allievo, il contesto nel quale è chiamato a operare, il destinatario del suo lavoro, le qualità standard richieste al suo lavoro. La prestazione dovrebbe richiedere alcune delle competenze previste nel Profilo Professionale redatto dalla Regione. L’attività di valutazione si concentrerà in modo particolare su queste competenze, ma non è detto che non si concentri anche su qual- cun’altra (ad esempio, in riferimento alle disposizioni). La rubrica deve inoltre es- sere consegnata “con” la prestazione richiesta in modo che l’allievo sappia su quali criteri sarà giudicato. Questi accorgimenti assicurano una possibilità di riuscita mi- gliore, una educazione all’autovalutazione, una imparzialità di giudizi. 163 Nel corso dell’anno questa parte del portfolio diventa molto ampia, ma dovreb- be ridursi con la selezione solo di alcuni prodotti alla fine dell’anno. ❏ Obiettivo • Prima parte � Descrivere il profilo professionale con le competenze e attività � Descrivere il percorso formativo in fasi e unità formative � Registrare le attività di revisione del progetto personale � Registrare le attività di personalizzazione del percorso • Seconda parte � Realizzare un apprendimento significativo � Sviluppare competenze professionali � Incrementare/recuperare la motivazione ad apprendere � Accrescere la stima di sé � Educare ad autovalutarsi ❏ Chi • Scheda V-1: Profilo Professionale (Libretto Formativo) Tutor/Coordinatore • Scheda V-2: Percorso Formativo (Libretto Formativo) Tutor/Coordinatore • Scheda V-3: Revisione Progetto Personale (Libretto Formativo) Tutor/Coordinatore • Scheda V-4: Personalizzazione del percorso (Libretto Formativo) Tutor/Coordinatore • Scheda V-5: La prestazione. Presentazione della prestazione Allievi • Scheda V-6: La prestazione. Scheda della prestazione Tutor/Coordinatore • Scheda V-7: La prestazione. Rubrica di valutazione e valutazione conseguita Tutor/Coordinatore • Scheda V-8: La prestazione. Documentazione della prestazione Allievi/Formatori • Scheda V-9: La prestazione. Riflessione sulla prestazione Allievi/Formatori ❏ Applicazione • Scheda V-1: Profilo Professionale (Libretto Formativo) Obbligatoria • Scheda V-2: Percorso Formativo (Libretto Formativo) Obbligatoria • Scheda V-3: Revisione Progetto Personale (Libretto Formativo) Obbligatoria • Scheda V-4: Personalizzazione del percorso (Libretto Formativo) Obbligatoria • Scheda V-5: La prestazione. Presentazione della prestazione Obbligatoria • Scheda V-6: La prestazione. Scheda della prestazione Obbligatoria • Scheda V-7: La prestazione. Rubrica di valutazione e valutazione conseguita Obbligatoria • Scheda V-8: La prestazione. Documentazione della prestazione Obbligatoria • Scheda V-9: La prestazione. Riflessione sulla prestazione Obbligatoria 164 ❏ Suggerimenti metodologici • La compilazione di questa sezione presuppone una lettura attenta del testo sul port- folio, sul suo significato e sul suo valore aggiunto. • Predisporre in anticipo le prestazioni e le rubriche di valutazione. • Spiegare le rubriche (preparare delle “ancore” che ne precisino il significato). Que- sto serve per l’obiettivo della autovalutazione. Inserire nella rubrica una dimen- sione riguardo alla “disposizione”. • Includere la documentazione relativa alla prestazione. Includere gli elaborati car- tacei come prodotti delle prestazioni. Nel caso di prodotti non inseribili nel port- folio (pezzi meccanici, postazioni elettriche, piatti di cucina...), accludere una do- cumentazione fotografica del processo e del prodotto finale. • Curare la riflessione successiva alla prestazione. La Sezione Sesta, propone schede utili per lo STAGE. È una realtà ormai nota a tutti i formatori. Questa esperienza comprende vari aspetti formativi e anche valuta- tivi, ormai noti. Raccogliamo in sintesi gli obiettivi essenziali di ogni scheda, le re- sponsabilità e la loro applicazione e alcuni consigli metodologici. Nel portfolio lo studente le riporterà compilate. ❏ Obiettivo • Fornire una sintesi dell’esperienza di stage (Libretto Formativo) • Conoscere gli aspetti principali dell’azienda in cui si effettua lo stage (Descrizione azienda) • Riflettere sull’ambiente dell’azienda in cui si effettua lo stage (Riflessione ambiente) • Descrivere i prodotti dell’azienda in cui si effettua lo stage (Descrizione pro- dotto) • Valutare inizialmente lo stage dell’allievo (Rubrica di valutazione - stage iniziale) • Valutare in itinere lo stage dell’allievo (Rubrica di valutazione - stage intermedio) • Valutare alla fine lo stage dell’allievo (Rubrica di valutazione - stage finale) • Valutare la soddisfazione dell’azienda in merito allo stage dell’allievo (Soddisfa- zione azienda) • Valutare la soddisfazione dell’allievo in merito allo stage (Soddisfazione allievi) ❏ Chi • Scheda VI-1: Stage aziendale (Libretto Formativo) Tutor formativo/Tutor aziendale • Scheda VI-2: Descrizione azienda Allievi • Scheda VI-3: Riflessione ambiente Allievi • Scheda VI-4: Descrizione prodotto Allievi • Scheda VI-5: Rubrica di valutazione dello Stage. Periodo Iniziale Tutor formativo/Tutor aziendale • Scheda VI-6: Rubrica di valutazione dello Stage. Periodo Intermedio Tutor formativo/Tutor aziendale • Scheda VI-7: Rubrica di valutazione dello Stage. Periodo Finale Tutor formativo/Tutor aziendale 165 • Soddisfazione azienda Tutor aziendale • Soddisfazione allievi Allievo ❏ Applicazione • Scheda VI-1: Stage aziendale (Libretto Formativo) Obbligatorio • Scheda VI-2: Descrizione azienda Obbligatorio Personalizzabile dagli Enti • Scheda VI-3: Riflessione ambiente Obbligatorio Personalizzabile dagli Enti • Scheda VI-4: Descrizione prodotto Obbligatorio Personalizzabile dagli Enti • Scheda VI-5: Rubrica di valutazione dello Stage. Periodo Iniziale Obbligatorio • Scheda VI-6: Rubrica di valutazione dello Stage. Periodo Intermedio Obbligatorio • Scheda VI-7: Rubrica di valutazione dello Stage. Periodo Finale Obbligatorio • Scheda VI-8: Soddisfazione azienda Obbligatorio • Scheda VI-9: Soddisfazione allievi Obbligatorio ❏ Suggerimenti metodologici • Scheda VI-5: Periodo Iniziale. Si utilizza la rubrica della Regione • Scheda VI-6: Periodo Intermedio. Confrontare con la valutazione precedente. Si utilizza la rubrica della Regione • Scheda VI-7: Periodo Finale. Confrontare con la valutazione precedente. Si uti- lizza la rubrica della Regione. La Sezione Settima, LA VALUTAZIONE DEL mioPORTFOLIO, comprende al- cune schede che fanno riferimento a varie forme di valutazione: Valutazione Som- mativa di Fine Anno, Valutazione di Fine Corso di Formazione, Valutazione di Pas- saggio da un ordine di scuola ad un altro, Certificazione della Regione delle com- petenze acquisite. A) La Valutazione Sommativa di Fine Anno è data dalla Valutazione del Portfo- lio realizzato durante l’anno, e “riassume” la valutazione delle competenze e attività attraverso le Rubriche Generali Comuni del Profilo. A tale riguardo, l’allievo preparerà le prestazioni che sceglierà come significati- ve tra quelle realizzate durante l’anno, e la selezione sarà giudicata dal team dei for- matori. Nella selezione potranno anche essere introdotte prestazioni di approfondi- mento o di sviluppo. Ognuna delle prestazioni dovrà sempre indicare (1) “perché” è stata introdotta, (2) “che cosa” intende dimostrare dell’apprendimento e (3) la valu- tazione conseguita. Il formatore (o il tutor) potrà/dovrà aiutare e guidare l’allievo nel processo di selezione, oppure egli stesso potrà anche scegliere di inserire qualche pre- stazione che ritiene significativa. La raccolta (cioè il Portfolio) sarà valutata dal team dei formatori utilizzando le 166 Rubriche Generali Comuni del Profilo tratte dalla proposta di valutazione della Re- gione Piemonte. Essendo “analitiche”, le rubriche non consentiranno una valutazio- ne “olistica” (cioè sommativa o globale). Questo significa che agli allievi sarà for- nita una valutazione che non dà un giudizio complessivo, ma fornisce solo una mi- sura dello sviluppo raggiunto in singole abilità. Per un giudizio “olistico” (cioè sommativi o globale) sarà necessario formulare, sulla base degli indicatori forniti, un giudizio sintetico che esprima il Giudizio Ge- nerale dell’allievo rispetto al Profilo fornito dalla Regione Piemonte. B) Per quanto riguarda la Valutazione Sommativa di Fine Corso di Formazione, l’allievo potrà rappresentare il cammino che ha svolto nel corso dei tre anni rielaborando e reinterpretando il suo portfolio a partire dai materiali raccolti durante questo periodo di tempo. La procedura per la raccolta sarà simile a quella adottata per la Valutazione di Fine Anno. Tuttavia è bene ricordare che al termine del triennio l’allievo ha due possibilità di uscita: (1) passare ad un altro “step” formativo oppure (2) entrare nel mondo del lavoro. Queste due opzioni richiedono due diverse rielaborazioni/reinterpretazioni del Port- folio. 1) Il Portfolio finalizzato ad un posto di lavoro richiederà di dimostrare non tan- to lo sviluppo del proprio apprendimento, ma le proprie qualità umane e pro- fessionali. Sarà forse importante dar conto delle valutazioni riguardo al com- portamento, alle disposizioni, alle prestazioni professionali acquisite nel Cen- tro, agli stage svolti, alle abilità personali, alla Certificazione rilasciata dalla Regione. 2) Il Portfolio finalizzato alla continuità formativa esigerà di dimostrare il pos- sesso delle conoscenze e abilità richieste dall’istituzione formativa presso la quale si intende proseguire il percorso formativo. A tale scopo dovranno esse- re indicati in particolare i requisiti richiesti, e dimostrare attraverso il Portfo- lio che tali requisiti sono posseduti e a quale livello sono posseduti. La stessa modalità sarà adottata nei passaggi tra sistemi formativi prevedendo anche la documentazione aggiuntiva nel caso di attivazione di Larsa (così come previ- sto dall’accordo Stato-Regioni e dall’accordo tra Miur e Regione Piemonte). Questi due portfolio dovranno essere accompagnati da un attestato del Centro di Formazione che certifica il livello di professionalità acquisito dall’allievo, oppure le qualità che ha acquisito in vista della scuola presso la quale egli intende proseguire la sua formazione. ❏ Obiettivi • Obiettivo Generale � Dare attraverso il portfolio realizzato una valutazione finale o di fine anno o di fine triennio o di passaggio al mondo del lavoro o, ancora, di passaggio ad un nuo- vo percorso formativo. • Obiettivi specifici. Certificazione di crediti formativi prima dell’iscrizione al cor- so di formazione (Schede VII-1 e VII-4) � Registrare gli eventuali crediti formativi posseduti dall’allievo prima di inizia- re a frequentare il corso. 167 � Riconoscere i crediti sotto forma di competenze possedute o di conoscenze ac- quisite e descriverli secondo il modello della Sezione 2 del Libretto Formativo del Cittadino. • Obiettivi specifici. Acquisizioni certificate durante il percorso formativo (Schede VII-2 e VII-4) � Registrare gli eventuali crediti formativi acquisiti dall’allievo durante il percorso in caso di abbandono durante il percorso. � Riconoscere i crediti sotto forma di competenze possedute o di conoscenze ac- quisite e descriverli secondo il modello della Sezione 2 del Libretto Formativo del Cittadino. • Obiettivi specifici. Acquisizioni certificate al termine del percorso formativo (Sche- da VII-3 e VII-4) � Certificare le acquisizioni possedute dall’allievo al termine del percorso formativo sotto forma di competenze o di conoscenze, descrivendole secondo il modello del- la Sezione 2 del Libretto Formativo del Cittadino. • Obiettivi specifici. Valutazione del mio apprendimento attraverso il Portfolio (le Rubriche di valutazione) (Scheda VII-5) � Valutare l’apprendimento attraverso il portfolio a fine ciclo formativo da parte dei formatori del team di corso in merito all’applicazione e implementazione del portfolio. • Obiettivi specifici. Valutazione per il passaggio ad un nuovo percorso formativo (Schede VII-6, VII-7, VII-8 e VII-9) � Analizzare e confrontare i requisiti richiesti dall’ente/scuola che accoglie l’al- lievo e la sua preparazione � Avviare la richiesta di passaggio � Stipulare la convenzione � Riconoscere dei crediti ai fini del passaggio. ❏ Chi • Scheda VII-1: Competenze rilevate. Crediti riconosciuti. Conoscenze acquisite. (Libretto Formativo) Formatori, Tutor/Coordinatore • Scheda VII-2: Acquisizioni certificate durante il percorso (Libretto Formativo) Formatori, Tutor/Coordinatore • Scheda VII-3: Acquisizioni certificate al termine del percorso (Libretto Formativo) Direttore del Centro • Scheda VII-4: Competenze acquisite in percorsi di apprendimento (Sezione 2 del Libretto Formativo del Cittadino) Direttore del Centro • Scheda VII-5: Valutazione del mio apprendimento attraverso il Portfolio (Le rubriche di valutazione) Team del Corso • Scheda VII-6: Domanda di passaggio ad un nuovo percorso formativo Genitori/Allievo • Scheda VII-7: Confronto dei requisiti richiesti e posseduti Formatori, Tutor/Coordinatore, Direttore 168 • Scheda VII-8: Convenzione tra organismi Direttore del Centro di Formazione • Scheda VII-9: Modelli per il riconoscimento dei crediti Direttore del Centro di Forma- zione, Dirigente della Scuola ❏ Applicazione • Scheda VII-1: Competenze rilevate. Crediti riconosciuti. Conoscenze acquisite. (Libretto Formativo) Obbligatoria • Scheda VII-2: Acquisizioni certificate durante il percorso (Libretto Formativo) Obbligatoria • Scheda VII-3:Acquisizioni certificate al termine del percorso (Libretto Formativo) Obbligatoria • Scheda VII-4: Competenze acquisite in percorsi di apprendimento (Sezione 2 del Libretto Formativo del Cittadino) Obbligatoria • Scheda VII-5: Valutazione del mio apprendimento attraverso il Portfolio (Le rubriche di valutazione) Obbligatoria • Scheda VII-6: Domanda di passaggio ad un nuovo percorso formativo Obbligatoria • Scheda VII-7: Confronto dei requisiti richiesti e posseduti Obbligatoria • Scheda VII-8: Convenzione tra organismi Obbligatoria • Scheda VII-9: Modelli per il riconoscimento dei crediti Obbligatoria ❏ Suggerimenti metodologici • Scheda VII-5 Valutazione del mio apprendimento attraverso il Portfolio: La va- lutazione fatta sulle Rubriche della regione Piemonte è “analitica”. Pertanto l’al- lievo riceve una valutazione dei suoi punti di forza e dei suoi punti di debolezza. Qualora si riferisse ad una somma degli indicatori o ad una descrizione “olisti- ca” o globale, la valutazione avrebbe valore sintetico. • Scheda VII-9 Modelli per il riconoscimento dei crediti: Per l’attestazione dei cre- diti in ingresso si utilizzerà la modulistica proposta dalla Conferenza Unificata del 28 ottobre 2004 riguardante la certificazione finale e intermedia ed il ricono- scimento dei crediti. In particolare, si userà l’allegato C per il riconoscimento dei crediti per l’ingres- so al percorso di Formazione Professionale, e i modelli A e B per il riconosci- mento dei crediti per il passaggio ai corsi di istruzione secondaria superiore. 169 DIZIONARIO TERMINI UTILI ED ESSENZIALI SULLA VALUTAZIONE Abilità È una procedura, cioè una serie di operazioni, adatta a perseguire un obiettivo. Sono esempi di abilità, “risolvere problemi”, “andare in bicicletta”, “guidare una mac- china”. Si distinguono microabilità o abilità semplici e macroabilità o abilità com- plesse. Lo “scrivere” è una abilità semplice, mentre l’“insegnare”, “fare il meccani- co” o “fare il grafico” sono abilità complesse. Queste ultime richiedono l’integrazione di molte microabilità e conoscenze. Affidabilità L’affidabilità di una prova o di un compito assegnati indica il grado in cui i pun- teggi ottenuti sono dipendenti e coerenti tra loro. L’affidabilità è una indicazione del- la coerenza dei punteggi tra valutatori diversi, nel tempo e in prove o compiti diver- si che misurano la stessa cosa. Una valutazione è considerata affidabile quando le stesse risposte ricevono lo stesso punteggio non importa quando la valutazione av- venga o chi analizzi le risposte. Tecnicamente, l’affidabilità è un termine statistico che definisce la misura in cui gli errori di misurazione sono assenti da uno strumen- to di misurazione. Àncora L’àncora è un esempio di prestazione che può servire come standard per valuta- re altre prestazioni. Di solito le àncore forniscono esempi di prestazione a diversi li- velli su una rubrica. Per chiarire, una rubrica è costruita secondo la scala “ottimo”, “buono”, “sufficiente”, “non adeguato”, ed è possibile trovare àncore a ciascuno di questi livelli. Naturalmente si hanno àncore a seconda del tipo di rubrica utilizzata. In una rubrica “olistica”, le àncore rappresentano una prestazione o competenza com- plessiva, mentre in una rubrica analitica rappresentano ognuno degli indicatori pre- si in considerazione. Certificazione degli apprendimenti La certificazione degli apprendimenti rappresenta un’azione che mira a descrive- re in modo sistematico le acquisizioni della persona, preferibilmente sotto forma di competenze, e a registrarle in un formato condiviso tra i diversi attori del sistema edu- cativo di istruzione e di formazione professionale, compresi i soggetti economici. L’azione di certificazione, in quanto tale, non può essere concepita come una me- ra compilazione, ma rappresenta un’azione complessa, tale da richiedere la soddi- sfazione di diversi criteri, tra cui: a) la comprensibilità del linguaggio, che deve ri- 170 ferirsi – in forma narrativa e non quindi con linguaggi stereotipati – a locuzioni e sintagmi che consentano ai diversi attori di visualizzare le competenze, b) l’attribuibilità delle competenze al soggetto con specificazione delle evidenze che consentano di con- testualizzare la competenza entro processi reali in cui egli è coinvolto insieme ad al- tri attori, c) la validità dei metodi adottati nella valutazione e validazione delle com- petenze stesse, con specificazione del loro livello di padronanza. Competenza La comprensione di questo termine è all’origine di molte difficoltà che si posso- no incontrare sia nella pratica che nella formazione. La definizione del termine og- gi più diffusa è quella di “abilità”. In ogni caso, il senso più preciso di “competen- za” dovrebbe essere il “livello a cui si esprime un’abilità”. La ricerca sulle fasi di sviluppo di una “expertise” ha rivelato che un’abilità non si sviluppa in modo dis- continuo ma lungo un continuum percettibile nel quale si verificano grandi modifi- cazioni. La “competenza” può essere definita come la progressiva modificazione di una expertise in direzione di livelli sempre maggiori di abilità. Quando si introduce il termine competenza è importante distinguere tra “livello” a cui è posseduta un’abilità, e “ciò” di cui è costituita l’abilità. Compito È un’attività, un esercizio, un problema, una ricerca o progetto che si assegna agli allievi perché la/lo eseguano. I compiti migliori sono quelli che prevedono risposte molteplici, sono sfidanti (possono essere eseguiti con un po’ di sforzo e di impegno), e sono in linea con uno o più obiettivi di apprendimento, cioè coincidono con pre- stazioni autentiche. Compito a risposta aperta Un compito di prestazione che non ha una sola risposta corretta. Per esempio: “A piè di pagina vedi il tracciato di un grafico senza alcuna indicazione. Quale fenomeno potrebbe essere rappresentato?”. Oppure “Ecco un acquario. Hai 50 euro per com- prare dei pesci e delle piante acquatiche, ecc. Usa le informazioni date per pianifi- care l’acquisto delle cose che vorrai mettere nella vasca. Giustifica le tue scelte”. I compiti a risposta aperta sono di solito utilizzati quando lo scopo è valutare il ra- gionamento, il pensare critico, e le abilità di processi di gruppo piuttosto che cono- scenze particolari. Compito a risposta unica Un compito di prestazione che ha una sola risposta corretta. Per esempio: “Vi so- no quattro pezzi di legno e ciascuno misura un metro e mezzo. Se li usi per limita- re uno spazio del tuo cortile, qual è l’area che riesci a creare?”. Contesto di una prestazione Una prestazione per essere “reale” viene descritta e definita dentro un contesto 171 che ha le caratteristiche della vita reale. Questo è fatto per mostrare all’allievo che ciò che gli viene chiesto di apprendere non è qualcosa di circoscritto all’ambiente formativo, ma va oltre ad esso ed ha a che fare con la realtà quotidiana. Le circo- stanze nelle quali una prestazione è inserita consente anche di sollecitare nell’allie- vo processi di transfer e di attribuire “significato” a quello che deve essere appreso. In questo senso, il contesto contribuisce, oltre ad attribuire un valore significativo e di apprendimento di livello più elevato, a dare un valore “motivante”. Il contenuto “disciplinare”, contestualizzato in una realtà concreta e reale, può apparire di valo- re e di interesse, e per questo “degno” di essere scoperto e conosciuto. Criterio I criteri sono linee guida, regole o principi attraverso cui le risposte, i prodotti o le prestazioni dell’allievo sono giudicati. I criteri si distingono in olistici, tratto-ana- litici, generali o specifici (a questo riguardo, si veda la voce rubrica olistica, analiti- ca, generale o specifica). I criteri che noi consideriamo importanti da valutare nella prestazione di un allievo dovrebbero essere espressi in rubriche. Le rubriche diven- tano gli strumenti con i quali noi valutiamo la prestazione dell’allievo. Descrittori Sono gli elementi che caratterizzano e descrivono un criterio. Una competenza può essere valutata secondo criteri, ma i criteri, a loro volta, possono essere descrit- ti secondo descrittori. Pertanto il descrittore può essere considerato come una “mi- sura” più circoscritta di un criterio. Disposizioni Obiettivi-risultati come flessibilità, perseveranza, auto-fiducia e atteggiamento po- sitivo, piacere di affrontare sfide, ecc. potrebbero essere descritti come disposizioni. Le disposizioni non si possono osservare. Sono aspetti, inclinazioni, tendenze, at- teggiamenti che si manifestano in presenza di certe condizioni. Diversamente dalle abilità, non si può dire che siano mai pienamente possedute. Infatti, alcune persone, pur possedendo conoscenze e abilità, non sono “inclini” ad utilizzarle, mentre altre, pur essendo dotate dall’inclinazione a fare qualcosa, non dispongono dell’abilità ad operare, cioè si accorgono che dovrebbero fare qualcosa, ma non sanno come farlo. È possibile cogliere la presenza di una disposizione in una situazione che la ri- chiede. Si potrebbe affermare che una persona è in possesso di una disposizione co- me “essere accurati e precisi” se, nello svolgimento di un compito in cui la disposi- zione è richiesta, “persiste nonostante la difficoltà” del compito. Indicatore È una misura concreta e misurabile, coerente e connessa al descrittore, e quindi al criterio e alla competenza. La coerenza dell’indicatore consente di determinare, in ultimo, la misurazione della competenza. 172 Libretto Formativo del Cittadino È uno strumento che raccoglie informazioni, dati e attestazioni riguardanti espe- rienze effettuate in ambito educativo/formativo, in ambito lavorativo, in ambito so- ciale, ricreativo o familiare e le documenta. In particolare, il Libretto risponde all’e- sigenza di rendere codificabile e riconoscibile l’apprendimento formale, non forma- le o informale che, in quanto tale, deve essere ricostruito, documentato ed eventual- mente certificato al fine di essere reso trasparente. Obiettivi di apprendimento Affermazioni che descrivono le aree generali nelle quali gli studenti apprenderanno e avranno successo. In modo tipico riflettono ciò che ci aspetta che gli studenti ab- biano appreso al termine della scuola di formazione. Le affermazioni rispondono al- la domanda: “Che cosa gli allievi dovrebbero aver appreso quando lasceranno la scuo- la di formazione?” Ecco degli esempi tratti dalla descrizione di un profilo. Un ope- ratore meccanico costruttore di macchine utensili dovrà dimostrare di possedere: • conoscenze tecnico-scientifiche e abilità operative in ambito meccanico • lavorare particolari metallici e non metallici al banco e alle macchine utensili tra- dizionali (tornio e fresatrice) e a controllo numerico • assemblare e regolare gruppi meccanici ed elettro-pneumatici • eseguire disegni 2D con l'ausilio di tecnologie CAD. Portfolio Una collezione finalizzata, integrata del lavoro dell’allievo che dimostra l’impe- gno, il progresso o il rendimento conseguito in una o più aree di apprendimento. L’u- tilità di questo strumento per la formazione e la valutazione è accresciuta quando gli allievi sono incoraggiati a selezionare autonomamente i prodotti che hanno realiz- zato, a riflettere su “che cosa” e “come” operare la selezione, e hanno chiari i crite- ri per il successo. Rubrica La rubrica è un sistema di indicatori lungo una scala da “ottimo” a “agli inizi” (o “non adeguato”) che consente di valutare il livello di competenza conseguito. A se- conda degli scopi si possono avere rubriche generiche, olistiche, analitiche, specifi- che. L’uso che si fa di una rubrica dipende dagli scopi valutativi che si perseguono. Rubrica generica La rubrica generica è un insieme di criteri che, prescindendo dalla specificità di una prestazione, valuta aspetti che rimangono costanti rispetto a più prestazioni di- verse. Un operatore elettrico potrebbe svolgere molti tipi di prestazioni diverse, per esempio, un impianto elettrico per un cancello automatico, per una scala, per una abi- tazione, ed essere valutato in tutte le prestazioni sugli stessi indicatori come opera- tore elettrico. La rubrica in questo caso sarebbe “trasversale” a molte prestazioni di- 173 verse. Una rubrica, invece, che valutasse ogni singola prestazione, si definirebbe “spe- cifica”. Rubrica olistica La rubrica olistica utilizza criteri “eterogenei” per valutare il conseguimento di un livello di competenza complessivo raggiunto. In altre parole, su un’unica scala di valutazione si valuta l’“integrazione” di molte abilità. Ad esempio, in una prestazione come eseguire un depliant pubblicitario, si valuta il risultato complessivo (riguardo ai colori, alla grafica, all’impaginazione, al tipo di carta usata, al tempo impiegato ad eseguirlo) più che le singole abilità impiegate per portarlo a termine. Rubrica specifica Una rubrica specifica è un sistema di criteri/indicatori attraverso il quale si intende osservare una prestazione specifica e unica. Questo tipo di rubrica ha il vantaggio di essere molto precisa, ma anche il limite di essere troppo circoscritta alla prestazio- ne richiesta. Non dovrebbe essere utilizzata per valutare una “competenza genera- le”, che ha invece altri criteri di valutazione. Stage Si definisce stage un’esperienza formativa, orientativa o professionalizzante, che non configura rapporto di lavoro, realizzata presso luoghi di lavoro sulla base di una convenzione contenente uno specifico progetto fra il datore di lavoro e i soggetti del sistema formativo, che assolvono a compiti di promozione ed assumono la respon- sabilità della qualità e della regolarità dell’iniziativa. Lo stage è un’esperienza orientativa e formativa. Esso si distingue in stage di orien- tamento e stage di formazione. Lo stage rappresenta un ponte che collega i proces- si scolastici e formativi e il mondo delle imprese. Standard della prestazione Lo standard della prestazione indica il livello di successo o di qualità della pre- stazione o di eccellenza stabilito per la prestazione. Esso non va confuso con il li- vello al quale può essere eseguita una prestazione. Questa misura è considerata dal- la rubrica di valutazione. Validità Da non confondere con “affidabilità”. Indica il grado di sicurezza con cui una prova-compito misura ciò che si intende misurare. Tecnicamente, la validità indi- ca il grado di accuratezza delle predizioni o inferenze fondate su una misura di va- lutazione. Valutazione La valutazione è un giudizio riguardo alla qualità, al valore o al pregio di una ri- 174 sposta, di un prodotto o di una prestazione sulla base di criteri stabiliti. Le valuta- zioni sono di solito fondate su fonti molteplici di informazione raccolte attraverso strumenti affidabili, cioè in grado di fornire indicazioni accurate di ciò che si inten- de valutare. Tramite queste informazioni e indicazioni attendibili, colui che valuta può esprimere un giudizio “valido” e “affidabile”. Valutazione alternativa Ogni tipo di valutazione nella quale gli allievi “creano” una risposta ad una do- manda, come opposto a valutazioni nelle quali gli studenti scelgono una risposta da un elenco dato (come avviene nelle prove a scelta multipla, vero/falso o nel confronto tra risposte). Il termine “valutazione alternativa” può ritenersi sinonimo di valutazione autentica. Valutazione autentica La valutazione autentica è una forma di valutazione dell’apprendimento che rac- coglie informazioni da compiti che sollecitano dimostrazioni di conoscenze e abi- lità in modi che assomigliano alla “vita reale” quanto più vicino possibile. Impe- gnando gli allievi in attività contestualizzate in un mondo reale, è possibile carat- terizzare la valutazione autentica come una valutazione di tipo “predittivo”, che, cioè, offre informazioni di come l’allievo agirebbe con quello che sa nel mondo reale. Per questo, la valutazione autentica possiede qualità migliori rispetto alla va- lutazione che semplicemente rileva se l’allievo dimostra di conoscere quello che gli è stato insegnato. Valutazione della prestazione La valutazione della prestazione è l’osservazione diretta dell’allievo che deve di- mostrare in un compito come sa utilizzare quello che sa o sta apprendendo. La pre- stazione fornisce evidenza di come egli è in grado di integrare diverse abilità e co- noscenze e quale livello di competenza ha conseguito. La valutazione di una presta- zione di buona qualità ha bisogno di criteri di prestazione prestabiliti molto chiari e definiti, cioè di rubriche di valutazione. Valutazione formativa La valutazione formativa è una valutazione diagnostica “continua” che fornisce informazioni sullo sviluppo di una competenza. Essa è necessaria al docente/forma- tore per guidare l’istruzione, e anche all’allievo per migliorare la sua prestazione. Valutazione sommativa La valutazione sommativa è una valutazione “riassuntiva” per un livello di clas- se o per un corso di studio, e fornisce il resoconto della situazione in riferimento alla padronanza o al grado di eccellenza secondo obiettivi di apprendimento chia- ri e definiti. 175 Riferimenti Bibliografici Andrade, H. G. (2000). Using good rubrics to promote thinking and learning. Edu- cational Leadership, 57(5), 13-18. Arter, J., & Bond, L. (1996). Why is assessment changing. In R. E. Blum, & J. A. Arter (Eds.), A handbook for student performance assessment in an era of re- structuring, (I-3: 1-4). Alexandria, VA: Association for Supervision and Curricu- lum Development. Arter, J. (1990). 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Thousand Oaks, CA: Corwin Press. 179 INDICE PRESENTAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 Capitolo I IL PORTFOLIO NELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE 0. Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 1. Una definizione del portfolio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 2. Perché il portfolio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 3. Quale tipo di soluzione? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 4. Insegnamento e portfolio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18 4.1 Progettazione dell’attività di comprensione/apprendimento . . . . . 20 4.2 Apprendimento fondato sul progetto . . . . . . . . . . . . . . . . . 25 4.3 L’apprendimento fondato sui problemi . . . . . . . . . . . . . . . . 31 4.4 Conclusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35 5. Le rubriche: valutazione della prestazione autentica . . . . . . . . . 36 5.1 Come valutare una singola prestazione . . . . . . . . . . . . . . . . 36 6. Conclusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 Capitolo II SCENARIO DI IMPOSTAZIONE DEL PORTFOLIO 1. Impostazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45 2. Le fasi di realizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 2.1 La conclusione di una singola prestazione autentica . . . . . . . . . 49 2.2 A fine trimestre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53 2.3 La valutazione di fine anno del portfolio . . . . . . . . . . . . . . . 53 Capitolo III MODELLO “IL MIO PORTFOLIO” 1. INTRODUZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58 • Scheda I-1: Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59 • Scheda I-2: Riepilogo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60 2. PERSONALE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61 • Scheda II-1: Informazioni personali (Sezione 1 Libretto Formativo del Cittadino) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62 • Scheda II-2: Esperienze importanti scolastiche formative e lavorative precedenti (Sezione 1 Libretto Formativo del Cittadino) . . . . . . . . 63 180 • Scheda II-3: Esperienze formative (Sezione 1 Libretto Formativo del Cittadino) . . . . . . . . . . . . . . 64 • Scheda II-4: Esperienze Lavorative/Professionali (Sezione 1 Libretto Formativo del Cittadino) . . . . . . . . . . . . . . 65 • Scheda II-5: Autovalutazione del Comportamento . . . . . . . . . . . 66 • Scheda II-6: Valutazione del Comportamento da parte del Team di Corso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67 • Scheda II-7: Valutazione del Comportamento nel corso dei tre anni . . 68 3. OBIETTIVI PER LA VITA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70 • Scheda III-1: Gli obiettivi per la vita . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71 • Scheda III-2: Impegno/Decisione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80 • Scheda III-3: Autovalutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81 • Scheda III-4: Valutazione del Team . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82 4. ORIENTAMENTO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83 • Scheda IV-1: Percorsi di orientamento precedenti (Libretto Formativo) 84 • Scheda IV-2: Profilo orientativo iniziale . . . . . . . . . . . . . . . . . 85 • Scheda IV-3: Profilo orientativo in itinere . . . . . . . . . . . . . . . . 86 • Scheda IV-4: Profilo orientativo finale . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89 5. PROFESSIONALITÀ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91 • Scheda V-1: Profilo Professionale (Libretto Formativo) . . . . . . . . . 92 • Scheda V-2: Percorso Formativo (Libretto Formativo) . . . . . . . . . 93 • Scheda V-3: Revisione Progetto Personale (Libretto Formativo) . . . . 94 • Scheda V-4: Personalizzazione del percorso (Libretto Formativo) . . . 95 • Scheda V-5: La prestazione. Presentazione della prestazione . . . . . . 97 • Scheda V-6: La prestazione. Scheda della prestazione . . . . . . . . . 98 • Scheda V-7: La prestazione. Rubrica di valutazione e valutazione conseguita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 100 • Scheda V-8: La prestazione. Documentazione della prestazione . . . . 102 • Scheda V-9: La prestazione. Riflessione sulla prestazione . . . . . . . 103 6. STAGE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104 • Scheda VI-1: Stage aziendale (Libretto Formativo) . . . . . . . . . . . 105 • Scheda VI-2: Descrizione azienda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106 • Scheda VI-3: Riflessione ambiente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107 • Scheda VI-4: Descrizione prodotto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 108 • Scheda VI-5: Periodo Iniziale. Rubrica di valutazione dello Stage . . . 109 • Scheda VI-6: Periodo Intermedio. Rubrica di valutazione dello Stage . 110 • Scheda VI-7: Periodo Finale. Rubrica di valutazione dello Stage . . . 111 • Scheda VI-8: Soddisfazione azienda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112 • Scheda VI-9: Soddisfazione allievi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113 181 7. VALUTAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 114 LA CERTIFICAZIONE e LA GESTIONE DEI CREDITI FORMATIVI • Scheda VII-1: Competenze rilevate / Crediti riconosciuti / Conoscenze acquisite (Libretto Formativo) . . . . . . . . . . . . . . . 116 • Scheda VII-2: Acquisizioni certificate durante il percorso (Libretto Formativo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117 • Scheda VII-3: Acquisizioni certificate al termine del percorso (Libretto Formativo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 118 • Scheda VII-4: Competenze acquisite in percorsi di apprendimento (Sezione 2 Libretto Formativo del Cittadino) . . . . . . . . . . . . . . 119 LA VALUTAZIONE DEGLI APPRENDIMENTI • Scheda VII-5: Valutazione del mio apprendimento attraverso il portfolio (Rubriche di valutazione) . . . . . . . . . . . . . . . . . . 121 LA REALIZZAZIONE DEI PASSAGGI • Scheda VII-6: Domanda di passaggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . 145 • Scheda VII-7: Confronto requisiti richiesti e posseduti . . . . . . . . . 146 • Scheda VII-8: Convenzione tra organismi . . . . . . . . . . . . . . . . 148 • Scheda VII-9: Modelli di riconoscimenti per i crediti . . . . . . . . . . 150 Capitolo IV GUIDA ALLA IMPLEMENTAZIONE DEL PORTFOLIO 1. Avvertenze generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 153 2. Il modello di portfolio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 154 3. Indice delle sezioni e delle schede . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155 4. Guida alle sezioni e alle schede . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 157 DIZIONARIO Termini utili e essenziali sulla valutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 169 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 175 STUDI PROGETTI ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE Capofila ATS Sperimentazione Associazione CNOS-FAP Regione Piemonte Via Maria Ausiliatrice, 32 - 10152 Torino Tel. 011.5224.407 - Fax 011.5224.696 e-mail: delegazione.piemonte@cnos-fap.net

Educazione della persona nei CFP. Una bussola per orientarsi tra buone pratiche emodelli di vita

Autore: 
CNOS-FAP (a cura di)
Categoria pubblicazione: 
Esperienze
Anno: 
2008
Numero pagine: 
232
A cura del CNOS-FAP Educazione della persona nei CFP Una bussola per orientarsi tra buone pratiche e modelli di vita Anno 2008 Il presente volume non è commerciabile ed è destinato ad uso esclusivamente interno della Federazione CNOS-FAP. 3 PRESENTAZIONE Il volume, in linea con il progetto educativo da sempre perseguito dalla realtà salesiana, si prefigge lo scopo di fornire mediante una raccolta di progetti, espe- rienze e riflessioni presenti all’interno o all’esterno della Federazione CNOS-FAP un aiuto pratico e di rapida consultazione per quanti operano in campo educativo, facilitandoli nella ricerca di buone pratiche da poter trasferire all’interno del loro contesto operativo e della propria esperienza lavorativa, proprio come una bussola che possa guidare lungo il “sentiero educativo” meno tortuoso. Il lavoro è il frutto di una ricerca che si è articolata nel tempo in varie fasi. In un primo momento è stata messa in atto dal CNOS-FAP un’attività di studio per l’elaborazione dei criteri di selezione in base ai quali individuare le iniziative candidabili, svolgendo contestualmente una azione di coinvolgimento di testimoni privilegiati e una ricerca con la raccolta di buone pratiche reperite attraverso una indagine bibliografica e visitando canali di ricerca Internet e appositi siti Web. Si è proceduto quindi al termine di questa prima fase all’individuazione di progetti, iniziative e attività che intervenissero nel campo oggetto del volume. Nella seconda fase, svolta dall’ISRE (Istituto Superiore Internazionale Salesiano di Ricerca Educativa) con il coordinamento del Professor Arleo, si è dato luogo alla sistematizzazione dei progetti con il loro progressivo inserimento in aree tematiche. La terza e ultima fase si è concretizzata in una azione svolta dal CNOS-FAP attraverso un intervento mirato a valutare la trasferibilità delle singole esperienze mediante una attenta catalogazione in schede di agile visione. È stato in questo momento dei lavori che si è ritenuto valido inserire i materiali del volume di Teresio Bosco “I cristiani e il lavoro” (ELLEDICI, 2006) che, attraverso un approfondi- mento storico dedicato alla Dottrina Sociale della Chiesa, ad alcuni Santi e a figure luminose del nostro tempo ci mostra quanto siano legate la santità cristiana e il lavoro impegnate all’unisono per il miglioramento delle condizioni culturali morali e sociali dei popoli. A conclusione dei lavori, è stato predisposto un CD ROM contenente tutti gli strumenti oggetto della prima parte del volume. Coerente alla sua ideazione e nella volontà di presentare nuove metodologie, il lavoro si candida a proporre nelle edizioni future altri progetti e strumenti operativi che possano essere in costante aggiornamento con l’evolversi dei tempi, come un cantiere sempre aperto che in continuo laborioso movimento è incessantemente volto a soddisfare le esigenze di coloro che sono i destinatari ultimi del nostro impegno educativo: I Giovani. 4 Grazie a tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione del presente volume. Un ringraziamento particolare va a Teresio Bosco e alla ELLEDICI Edizioni per averci permesso di utilizzare i materiali provenienti dal testo citato. Mario Tonini 5 INTRODUZIONE Il volume si presenta articolato in due parti. La prima parte presenta 71 esperienze che, distribuite in quattro dimensioni (educazione alla convivenza civile, educazione professionale, educazione religiosa, educazione salesiana), potranno supportare nell’azione educativa quanti sono impe- gnati in attività formative, aiutandoli ad osservare, valorizzare ed eventualmente trasferire le nuove risorse che possono scaturire da queste numerose e spesso in- novative buone pratiche educative. Le 71 esperienze sono integralmente riportate nel CD ROM allegato al volume. La seconda parte, tratta dal libro di Teresio Bosco “I Cristiani e il lavoro” (ELLEDICI, Torino, 2006) pone l’attenzione sulla vita di alcuni Santi, Beati o figure di particolare rilievo sociale contestualizzandoli nel loro periodo storico e sottolineando il loro vivere inteso come modello nella cultura del lavoro. La parte finale del volume grazie anche al pensiero di tre grandi Papi chiarisce, attraverso la Dottrina Sociale della Chiesa, la posizione della Stessa su tematiche come quella della dignità del lavoro umano, dei diritti dei lavoratori, del rapporto tra capitale e lavoro. Parte prima PER ORIENTARSI TRA LE “BUONE PRATICHE” 9 PREMESSA Le dimensioni educative riportate nella nostra “bussola per orientarsi tra le buone pratiche” sono 4. 1. DIMENSIONE CIVICA (O EDUCAZIONE ALLA CONVIVENZA CIVILE) – cittadinanza democratica e della convivenza civile - in vista della elaborazione di specifiche proposte di itinerari formativi; – cultura della cittadinanza attiva - con particolare riguardo alle iniziative a favore dei giovani, per il consolidamento della governance e della cittadinanza europea; – cultura della legalità - intesa come educazione ai principi fondamentali della convivenza civile, che si realizza nel rispetto per l’altro, per la giustizia, per le pubbliche strutture; – cultura della solidarietà - con particolare attenzione all’accoglienza dell’altro sia extracomunitario, sia con problemi di disagio, forme di condivisione con i genitori delle scelte educative e sviluppo di una cultura del consumo critico, ecc. Al momento della stampa questa tematica è stata riformulata come “disciplina” ospitata all’interno dell’area storico-geografica e storico-sociale dal Decreto-Legge 1° settembre 2008, n. 137 coordinato con la legge di conversione n. 169 del 30 ot- tobre 2008 che introduce azioni di sensibilizzazione e di formazione del personale finalizzate all’acquisizione nel primo e nel secondo ciclo di istruzione delle cono- scenze e delle competenze relative a “Cittadinanza e Costituzione”. 2. DIMENSIONE PROFESSIONALE – con particolare riferimento alla cultura del lavoro e alla educazione alla cultura del lavoro. 3. DIMENSIONE RELIGIOSA – in vista della elaborazione di specifiche proposte di insegnamento della reli- gione cattolica e di percorsi di educazione religiosa. 4. DIMENSIONE SALESIANA – con particolare riferimento alle migliori prassi proprie del sistema preventivo di Don Bosco. 10 Nelle 4 dimensioni, così come sottolineato, sono raccolte buone pratiche educative. Con questo termine, all’interno del nostro contesto, si vuole intendere progetti, iniziative, azioni ed esperienze innovative che possano contribuire a migliorare quanto già viene promosso dalla Fe- derazione CNOS-FAP in materia di “educazione alla persona”. I progetti raccolti nel dossier e presentati in questa “Bussola” forniscono approcci e strutture di riferimento per migliorare le !capacità progettuali all’interno delle Comunità educative. La buona pratica diventa, così, un modello utile a sviluppare quella capacità di imparare dalle pratiche formative messe in atto oltre che dalle teorie educative di riferimento. Questa Bussola propone un repertorio di esperienze e di stra- tegie documentate che sono state oggetto analisi, sperimenta- zione e riflessione da parte di chi opera nel settore dell’istruzione e della formazione professionale. Tra i criteri di selezione dei progetti o delle proposte, è stato utilizzato princi- palmente quello della trasferibilità, ossia della possibilità dell’iniziativa di essere trasferita e applicata in luoghi e situazioni diversi da quelli in cui è stata realizzata. Complessivamente sono stati individuati numerosi progetti e/o esperienze edu- cative significative e in questa bussola antologica ne presentiamo 71. Le risorse educative presenti nella bussola risultano così suddivise: – educazione alla convivenza civile: 34 – educazione professionale: 12 – educazione religiosa: 15 – educazione salesiana: 10 Al fine di avere una più agevole consultazione dei progetti si è provveduto ad una ulteriore ripartizione che vede due indici di riferimento: – Progetti strutturati – Altro (strumenti operativi, suggerimenti, riflessioni, spunti). Questa prima classificazione di ordine più generale introduce ad una cataloga- zione dei progetti attraverso schede di sintesi. 11 Capitolo 1 Progetti nell’area dell’Educazione alla Convivenza Civile: esperienze, riflessioni e suggerimenti operativi I progetti raccolti sotto la dimensione dell’educa- zione alla convivenza civile possono essere utilizzati come strumenti e buone pratiche per ampliare una cultura della solidarietà. Gli educatori e i formatori possono integrare alcune delle risorse presentate nei progetti finalizzan- dole agli obiettivi del proprio Centro. Parole e con- cetti come cittadinanza attiva, equità, bene pubblico, diritti politici-economici- sociali, attraverso l’ausilio di esperienze concrete all’interno di associazioni di volontariato, centri formativi e culturali diventano strumenti nelle mani di tutti i formatori che operano in contesti educativi simili e vogliano prendere spunto per lavorare insieme ai giovani su questi temi essenziali. Attraverso i progetti i formatori potranno sviluppare dei confronti aperti sulle modalità comunicative più attive per uno sviluppo di competenze e capacità coope- rative. Ogni progetto presentato ha, al proprio interno, alcune metodologie di lavoro di gruppo facilmente implementabili in altri contesti educativi diversi da quelli originari. Tema sentito in quest’area è quello della solida- rietà come si evince dal progetto “Volontariato ed educazione alla solidarietà” (20). Questo progetto, che si presenta sotto forma di dispense educative, promuove una riflessione, non solo teorica, sulle di- namiche della solidarietà. Domande come “chi è il cittadino solidale?” e suggeri- menti sul ruolo del volontariato fanno da sfondo ad un progetto che implementa metodologie interessanti per ogni educatore che voglia affrontare i temi proposti. Altra tematica fondamentale, presente in alcuni progetti di quest’area, è quello dell’educazione interculturale. Anche questo tema è affrontato sia sul piano concet- tuale, sia su quello concreto e operativo. Segnaliamo la presenza di diversi progetti sotto il filone tematico dell’intercultura, ognuno con una specifica identità metodo- logica da approfondire e ed eventualmente da recuperare e utilizzare. I progetti 12 strettamente correlati a questo filone di lavoro sono: “Identità, multiculturalità, interdipendenza e globalizzazione” (n. 11); “Accoglienza stranieri” (n. 1); “Preve- nire i conflitti interculturali” (n. 15); “Multilingue e multiculture” (n. 31); “Educa- zione interculturale” (n. 26); “Cultura dell’incontro” (n. 24), “L’Islam in Occidente” (n. 30). I progetti dell’educazione alla convivenza civile non tralasciano, inoltre, di considerare la dimensione affettiva della relazionalità e presentano, in questo senso, una serie di interessanti attività educative sulle rappresentazioni giovanili dell’amicizia. Si prendono a spunto, ad esempio, alcuni veicoli comunicativi capaci di influire sull’immaginario giovanile (canzoni, arti letterarie, tv) e sulle loro inter- pretazioni della socialità tra e con gli altri. Il formatore, attraverso una lettura dei progetti, potrà implementare alcuni brevi percorsi didattici su questi modelli e/o integrare alcune risorse educative nel proprio processo formativo d’aula o fuori dall’aula. Altro scopo fondamentale dei progetti presenti in questa dimensione è quello di portare gli educatori e i formatori, nonché tutte le figure responsabili di attività educative, a sviluppare insieme ai giovani, dei percorsi di crescita per l’individuazione delle radici della violenza all’interno di sé e delle esperienze relazionali. Dai progetti emerge una tensione alla speranza che generi negli altri fiducia e incoraggia lo sviluppo di una cittadinanza responsabile, orientata al bene comune. Uno dei progetti che interpreta queste esigenze è “Tempo dell’educazione e tempo della cooperazione” (n. 17). Il progetto, infatti, attraverso un approccio interdisci- plinare e la cooperazione di istituti scolastici, non solo italiani, propone alcune finalità che qui richiamiamo brevemente, ma che definiscono chiaramente l’orien- tamento educativo dell’intero progetto. Ecco, dunque, le finalità del progetto: – aiutare i giovani a individuare e contrastare le radici della violenza nella pro- pria vita incoraggiandoli a rispettare se stessi, la vita in genere e ad ispirare speranza negli altri; – promuovere lo sviluppo di cittadini responsabili con capacità di decidere sul “bene comune” in una civiltà globale; – educare alla democrazia ed alla partecipazione; – coinvolgere indistintamente, secondo criteri di pari opportunità, ragazzi e ragazze; – sperimentare attraverso percorsi, confronti ed esperienze individuali e collet- tive – direttamente ed indirettamente – la vita cooperativa; – coltivare un nuovo legame tra giovani-scuola-società civile, lavorando per una società interattiva e globale; – consentire l’apprendimento dell’uso creativo delle nuove tecnologie; 13 – favorire la progettazione di gemellaggi e di visite di perfezionamento presso realtà nazionali ed estere. Tra le metodologie adottate e interessanti per l’educazione alla convivenza civile vi è quella della “Revisione di vita” (Rdv) di Cardijn basata su tre passaggi fondamentali: vedere-valutare e agire. Questa metodologia è particolarmente effi- cace per creare una predisposizione tra i giovani all’osservazione accurata della propria esperienza di vita e ad una maggiore e più vera condivisione sociale delle attese, delle paure, dei progetti che ogni persona porta con sé. Si potrà approfondire questa metodologia osservando, in particolar modo, il lavoro “Responsabilità di tutti... protagonismo dei giovani” (n. 33). L’educazione alla democrazia come partecipazione passa anche attraverso l’uso creativo e critico delle nuove tecnologie ed è a questo ambito che alcuni pro- getti danno rilievo. Si avrà modo, osservando i progetti, di leggere alcune espe- rienze caratterizzanti e coerenti con questi obiettivi. Sono presenti, infatti, alcuni progetti di carattere collaborativo che hanno portato e portano le Scuole e i Centri a confrontarsi con esperienze internazionali attraverso un partenariato multilingue. In questa dimensione educativa non mancano progetti orientati ad una rifles- sione sul senso della pace e ad una costruzione attiva di una cultura di pace. In questi progetti, inoltre, si affrontano antinomie e contrad- dizioni come giustizia/ingiustizia, pace/guerra, violenza/ nonviolenza che vengono affrontate nell’ottica della rela- zionalità. Si pone un forte accento sui dati pedagogici di una cultura della pace fondata imprescindibilmente sul valore della persona e sul suo ruolo sociale. Strettamente correlati al tema della pace troviamo ulteriori lavori: “E se scoppiasse la pace?” (n. 25), “Manifestare la pace” (n. 13), “Educazione alla pace” (n. 9). Una caratteristica di questi progetti è quella di approfondire il tema della pace con estrema profondità facendo emergere percorsi educativi replicabili in diversi contesti formativi e soprattutto stimolando nuovi e più proficui orientamenti a uno dei temi più importanti di questa dimensione educativa. Rientrano in quest’area anche progetti finalizzati ad una maggiore consapevolezza dei giovani circa i temi della legalità. “Parole che uniscono e parole che divi- dono” (n. 14) è uno dei titoli più significativi dei progetti che si occupano di cultura della legalità. Questi progetti forniscono alcune opportunità di riflessione e alcuni strumenti chiave di lavoro per gli educatori. Il tema della legalità incrocia quello della solidarietà sociale proponendo, in ogni progetto presentato, un ricco voca- bolario educativo a disposizione di ogni formatore. 14 Intolleranza religiosa e/o culturale e individualismo materialistico rappresen- tano altri due temi presenti in questa dimensione educativa. “Non di solo rito... le religioni nei luoghi di socializzazione” (n. 32), ad esempio, è una proposta che nella sua applicazione mostra modelli di approccio per un lavoro educativo sulla convivenza delle fedi e dei riti in differenti ambienti sociali. Ci pare, per la concretezza degli approcci, che questo esempio dia l’idea di come si possano muovere, su questi temi, le diverse agenzie educative. Una delle pagine più tragiche del novecento è poi il terreno di lavoro e approfondimento proposto in “Roma- Auschwitz. Mai più” (n. 34). L’espe- rienza evidenzia come attraverso un per- corso tematico si siano incoraggiati ra- gazze e ragazzi ad un lavoro analitico e critico su un tema così forte, capace, tra l’altro, di prepararli realisticamente ad una visita a Auschwitz (campo simbolo di quella tragedia) ma anche di assicurarne la memoria storica. Una memoria storica, quella presentata, che passa attraverso le immagini e le parole raccolte nell’esperienza progettuale. Rientra sotto questo capi- tolo della storia anche “Il progetto della memoria” (n. 27) particolarmente attento ad analizzare la “resistenza di Roma” nei nove mesi di occupazione tedesca. Rientra ancora all’interno dello stesso filone tematico “Io ci sono stato. I giorni della memoria” (n. 29) che, partendo da quelle stesse pagine della storia, si spinge verso obiettivi quali quelli di seguito presentati: – diffusione del valore dell’uguaglianza tra tutte le componenti etnico, culturali e religiose di una società, riconoscendo ad esse pari dignità; – sensibilizzazione al tema della Memoria storica e del suo rapporto con il presente; – sviluppo dello studio della storia inteso come individua- zione e consapevolezza dei valori umani, civili e morali del- l’umanità; – creazione di figure di studenti-formatori sui temi di inte- ressi. Un’ulteriore occasione educativa per comprendere questo momento storico è il lavoro “Berlino città della memoria” (n. 22), un percorso carico di significato e volto a conseguire i seguenti obiettivi: – favorire la conoscenza degli aspetti significativi della storia e della cultura tedesca, con particolare riferimento alla Berlino del ‘900; – sensibilizzare le ragazze e i ragazzi al valore di una comune cultura europea; – incrementare lo sviluppo di una conoscenza interculturale basata sugli scambi culturali tra giovani di paesi europei. 15 Nei diversi progetti è facile individuare alcune stra- tegie educative particolarmente efficaci per quanti sono impegnati, come educatori e formatori, in attività volte a far sviluppare competenze e conoscenze profonde sul tema dell’accoglienza, del rispetto e dell’integrazione tra popoli di religioni e culture diverse. La scoperta degli approcci, la diversità dei metodi e alcune soluzioni didattiche adottate, potranno sostenere una scelta consapevole circa i temi e le ini- ziative da sperimentare all’interno di contesti educativi diversi da quelli originari. I progetti di educazione alla convivenza civile portano all’attenzione altre tematiche di valore pedagogico e formativo come quello sulla pena di morte e il diritto alla vita. Danno voce a questo tema, ad esempio, il progetto “Caro amico ti scrivo...” (n.3) il cui obiettivo è costruire una relazione e un contatto epistolare con i condannati a morte di diversi luoghi del mondo, nonché fornire suggerimenti per la visione di alcune pellicole cinematografiche a tema e per la lettura critica di alcune testimonianze. Si tratta di un progetto che vede coinvolte diverse discipline, al fine di analizzare punti di vista e prospettive diverse su un tema essenziale come questo. 1. TESTIMONI PRIVILEGIATI ASCOLTATI Attilio BONDONE - CONFAP Cecilia DALL’OGLIO - FOCSIV Debora SANGUINATO e Luca CRISTALDI - VIS Carlo NANNI - UPS Luciano CORRADINI - UCIIM 2. FONTI WEB UTILIZZATE http://gold.bdp.it/goldtrain/index.php?id_cnt=Gold Train Progetto biennale (2004-2006) per il trasferimento delle buone pratiche in scuole diverse da quelle che le hanno prodotte, promosso dalla Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo, ideato e sviluppato in collaborazione con INDIRE - Istituto Nazionale di Documentazione per l’Innovazione e la Ricerca Educativa e Gruppo CLAS http://gold.indire.it/nazionale/index.php GOLD, Banca dati Internet delle esperienze più innovative ed interessanti realiz- zate nelle scuole italiane di ogni ordine e grado http://scuoleonline.gioventudigitale.net Elenco delle scuole on line di Roma 16 www.annaliistruzione.it Sito Internet della rivista “Annali dell’Istruzione” www.aulaintercultural.org Portale dell’educazione interculturale www.centroastalli.it Sperimentazione di un itinerario per studenti delle scuole medie superiori, denomi- nato “Incontri”, promossa dalla Fondazione Centro Astalli che propone di avvici- narsi alle cinque religioni monoteistiche attraverso un sussidio didattico e l’in- contro in classe con un animatore della Fondazione e con un fedele di una delle grandi religioni del mondo www.convivenzacivile.it Sito che raccoglie i frutti del lavoro di un gruppo di ricerca dell’Ufficio Scolastico Regionale per l’Emilia-Romagna ed è strutturato per raccogliere i contributi prove- nienti dalle scuole sul tema dell’educazione alla convivenza civile www.educhiamociallalegalita.it Progetto triennale di comunicazione ed educazione “Educhiamoci alla Legalità ed alla Solidarietà” promosso dall’Assessorato alle politiche sociali della Provincia di Frosinone in collaborazione con l’Assessorato all’istruzione, formazione e diritto allo studio della Regione Lazio. Finalità ultima del progetto è quella di favorire l’approfondimento di tematiche educative e sociali per contribuire alla formazione di una corretta cultura civica www.fivol.it Fondazione Italiana per il Volontariato www.focsiv.it Federazione Organismi Cristiani di Servizio Internazionale Volontario www.fondazionescuola.it/attivita/elaborazioneprogetti.asp Il programma Scuole in Rete del La Fondazione per la Scuola persegue l’obiettivo di facilitare il trasferimento di e delle relative metodologie, assistendo le scuole perché possano acquisirle, adattarle e utilizzarle www.indire.it/intercultura/scaffale/esperienze2.php Progetto “Scuole multiculturali e multilingue”, promosso nel 2000 dal Ministero della Pubblica Istruzione in collaborazione con INDIRE con la finalità di costituire un complesso di ambienti e funzionalità telematici che consenta di documentare, informare e interagire con l’intero universo dell’educazione interculturale www.la scuola.it/webapp/servlet/NavigationServlet?pAction=showDetailRivista& pRivista=1100595122437 Sito della rivista “Nuova Secondaria” 17 www.paceediritti.it Progetto avviato dall’Assemblea legislativa dell’Emilia Romagna in collaborazione con l’Assessorato politiche sociali, immigrazione, progetto giovani, cooperazione internazionale ed il Servizio Controllo di Gestione e Sistemi Statistici della Giunta regionale che ha lo scopo di offrire al mondo associativo ed istituzionale regionale nuove occasioni di conoscenza, confronto, informazione www.pubblica.istruzione.it Ministero della Pubblica Istruzione www.scuoledipace.it/interno.asp?codiceprogetto=8 Scuole di Pace, Progetto promosso dal Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la pace e i diritti umani e dalla Tavola della pace. In questa sezione si trovano tutti i progetti di pace realizzati dalle scuole che hanno aderito al programma “La mia Scuola per la Pace” www.volint.it Volontariato Internazionale per lo Sviluppo 3. MAPPA DEI CONCETTI E DELLE PAROLE CHIAVE 18 4. SCHEDE DEI PROGETTI Come accennato nell’introduzione, attraverso schede di sintesi, presentiamo le “buone pratiche” suddivise in “progetti strutturati” e “altro”. 4.1. Strutturati Titolo 1) Accoglienza stranieri Autore ITIS “Amedeo Avogadro” di Torino Promotore Partner Altri soggetti CTP di zona Data 2001-02 Destinatari Studenti stranieri che si inseriscono nell’ambiente scolastico Finalità Accertare il livello delle competenze linguistiche e disciplinari in ingresso, favorire l’integrazione dello studente straniero all’interno del contesto scola- stico, promovendo un’educazione interculturale fondata su solidarietà e rispetto reciproco. Contenuti Conoscenza della lingua italiana, interculturalità, integrazione Tempi Anno scolastico Risorse Tutor senior (un docente che si fa carico della prima accoglienza), tutor di classe (un docente che segue lo studente nel suo percorso formativo succes- sivo all’ingresso), tutor junior (uno studente straniero già frequentante della stessa area linguistica del nuovo), insegnanti di lingua Finanziamenti per i docenti e i tutor Metodologia Corso di lingua, interventi individualizzati Contatto Tel. 011.81.53.611 - E-mail: vicepre@tin.it - Sito: http://www.itisavogadro.it Titolo 2) Adotta un diritto umano umano Autore ITIS “A. Einstein” di Roma Promotore Partner Altre scuole del territorio e una scuola africana Altri soggetti Enti territoriali Data 2004-06 Destinatari Studenti di scuola superiore Finalità Favorire la riflessione sui diritti umani, in particolare sulla solidarietà, attra- verso contatti con ragazzi di scuole straniere (nel progetto è stata coinvolta una scuola del Camerun) Contenuti Diritti umani, solidarietà Tempi 2 anni Risorse Docenti, rete di scuole, famiglie Posta elettronica, sito, libri, cd, video e altro materiale multimediale, borsa di studio 19 Metodologia Conferenze, manifestazioni benefiche, convegni, realizzazione di un sito, utilizzo della posta elettronica Contatto Tel. 06.61.47.920 - E-mail: presidenza@itiseinstein.roma.it Titolo 3) Caro amico ti scrivo Autore IPIA “V. Bonifazi” di Civitanova Marche (MC) Promotore Partner Altri soggetti Comunità di Sant’Egidio Data 2002-03 Destinatari Studenti scuola superiore Finalità Riflettere sulla pena di morte e più in generale sui diritti umani Contenuti Diritto alla vita, pena di morte Tempi 1 anno Risorse Docenti Film, testi Metodologia Contatti epistolari con persone recluse in penitenziari nel braccio della morte, visione film, studio di Paesi che ricorrono alla pena di morte, letture sul tema Contatto Tel. 0733.89.22.08 - E-mail: ipct@cvm.datacenter.it - Sito: http://www.scuoledipace.it/scuola.asp?codice=35&caso=2 Titolo 4) Diversamente: comunicare è conoscere Autore IPIA “Filippo Corridoni” di Corridonia (MC) Promotore Partner Altri soggetti Data 2005-06 Destinatari Studenti Finalità Aiutare i ragazzi perché: scoprano l’identità e le differenze proprie di ogni uomo, di ogni cultura e tradizione religiosa; guardino al pluralismo come valore indispensabile per la convivenza civile dove colui che è “diverso” viene riconosciuto come ricchezza e risorsa; difendano le “pari opportunità” da dare a tutti i popoli Contenuti Pluralismo, multietnicità, solidarietà, integrazione, volontariato, Tempi Anno scolastico Risorse Docenti, esperti, membri di associazioni, volontari PC, internet, film, cd musicali, videocamera Metodologia Discussioni guidate, sondaggi, interviste, visione di film, ricerche e approfon- dimenti. Privilegiato il metodo della peer education Contatto Tel. 0733.43.44.55 - E-mail: ipsiafc@tin.it - Sito: http://www.scuoledipace.it/scuola.asp?codice=125&caso=2 20 Titolo 5) Educare alla solidarietà - Scoprire il volontariato Autore IPSSAR di San Benedetto del Tronto (AP) Promotore Partner Altri soggetti Associazioni di volontariato Data 2004-05 Destinatari Studenti delle classi quarte e quinte Finalità Favorire l’adesione a forme di associazionismo; far sperimentare il metodo induttivo; favorire la capacità di ascoltare e confrontarsi con l’opinione altrui; favorire l’acquisizione di conoscenze sulle associazioni che operano sul terri- torio; favorire un clima di classe solidale e cooperativo Contenuti Volontariato Tempi Risorse Insegnanti, associazioni Metodologia Interattiva e partecipativa (giochi di ruolo, audiovisivi, animazioni, ecc.); stage nelle associazioni di volontariato del territorio; riflessioni guidate Contatto Tel. 0735.58.70.44 Titolo 6) Educazione al senso civico e legale Autore IPSSAR di San Benedetto del Tronto (AP) Promotore Partner Altri soggetti Data 2004-05 Destinatari Studenti Finalità Sollecitare la partecipazione alla vita sociale della propria collettività; svilup- pare adeguato senso di responsabilità; educare a conoscere, capire e rispettare i compagni del proprio e dell’altro sesso; incentivare l’interiorizzazione dei valori riconosciuti per tradurli in comportamenti; abituare alla cura e al decoro della persona come forma di rispetto dovuta a sé e agli altri Contenuti Educazione al senso civico e legale Tempi Risorse Docenti, esperti Audiovisivi, articoli, statuto disciplinare dello studente, regolamento della scuola Metodologia Lettura e analisi di articoli e regolamenti, consultazione di materiali audio- visivi, incontri con esperti (avvocati, operatori dei tribunali, psicologi) Contatto Tel. 0735.58.70.44 Titolo 7) Educazione alla cittadinanza Autore Ufficio Scolastico Regionale Emilia Romagna Promotore 21 Partner Altri soggetti Scuole Data Destinatari Studenti Finalità Sollecitare una riflessione critica sul problema delle regole e della insoffe- renza adolescenziale per esse e l’acquisizione consapevole e critica di alcune regole personali e di gruppo Contenuti Importanza delle regole della convivenza civile Tempi Risorse Docenti Metodologia Riflessioni guidate, interdisciplinarità Contatto Sito: www.convivenzacivile.it/categorie04.asp?id=25 Titolo 8) Educazione alla cittadinanza. Progetto provinciale Autore Liceo Classico - Scientifico “Gandini-Verri” di Lodi Promotore Partner Liceo Scientifico “Novello”, ITIS “Volta”, IPSSCT “Einaudi”, IIS “Cesaris”, IC “Cazzulani”, IC “Gavazzano”, IC “Mulazzano”, IC “Zelo Buon Pers.” Altri soggetti Data 2005 Destinatari Docenti Finalità Istituire una rete provinciale di scuole che si impegni, in collaborazione con le istituzioni e le agenzie del territorio, nel: ricercare una comune analisi per la conoscenza, l’approfondimento e la gestione dei diritti umani previsti dalle carte internazionali; sviluppare un concetto condiviso di comunità per la dif- fusione della cultura della cittadinanza; costruire un curricolo sui nuclei fon- danti dell’educazione alla cittadinanza (metodo, organizzazione e didattica); costruire un curricolo verticale sulla pluralità della cittadinanza; declinare momenti di formazione che sviluppino questi aspetti; creare le condizioni per intraprendere iniziative di partecipazione; favorire la partecipazione attiva di studenti e genitori alla vita delle istituzioni Contenuti Diritti e doveri della convivenza civile Tempi Risorse Un responsabile di progetto, advisor, formatori, esperti, direttore di corso Piattaforma INDIRE Metodologia Conferenze, ricerca-azione Contatto Sito: www.liceogandini.it Titolo 9) Educazione alla pace Autore Istituto Tecnico Nautico/Aeronautico “Elia” - Istituto Professionale di Stato per l’Industria “C. Onesti” - Ancona Promotore Partner Centro Servizi Volontariato di Ancona - ITC “Benincasa” di Ancona 22 Altri soggetti Data 2004-05 Destinatari Studenti delle scuole superiori Finalità Aiutare gli allievi a riflettere sui concetti di pace, responsabilità, solidarietà, legalità internazionale e guidarli alla scoperta delle proprie attitudini Contenuti Educazione alla cittadinanza attiva Tempi 5 anni Risorse Docenti, psicologi, esperti, Polizia Municipale Metodologia Il progetto si articola in una serie di sotto-progetti che implicano molteplici attività da svolgere nel quinquennio: orientamento, patentino, quotidiano in classe, simulazioni, ecc. Contatto Tel. 071.203.444/.537 - E-mail: int.elia@interbusiness.it Sito: http://www.scuoledipace.it/scuola.asp?codice=192&caso=2 Titolo 10) Educhiamoci alla legalità e alla solidarietà Autore Provincia di Frosinone Promotore Assessorato alle politiche sociali della provincia di Frosinone in collabora- zione con l’Assessorato alla istruzione, formazione e diritto allo studio della regione Lazio Partner Altri soggetti Scuole del territorio Data Destinatari Ragazzi delle scuole elementari, medie e superiori Finalità Educare le giovani generazioni al rispetto dei diritti umani Contenuti Diritti umani Tempi Tre anni Risorse Docenti Cartelloni, pennarelli, cartoncini Metodologia Giochi, questionari, confronti assembleari Contatto Sito: http://www.educhiamociallalegalità.it/home.html Titolo 11) I.M.I.G - Identità - Multiculturalità - Interdipendenza - Globalizzazione Autore Istituto Professionale di Stato per i Servizi Sociali, Commerciali e Turistici “P. Giordani” di Parma Promotore Partner Altri soggetti Data 2000-01 Destinatari Allievi dal I al V superiore Finalità Favorire la presa di coscienza e la responsabilizzazione nei riguardi di pregiu- dizi, stereotipi, atteggiamenti etnocentrici; far conoscere le dinamiche dei mo- vimenti migratori internazionali; far conoscere i principali aspetti geografici e socio-culturali del territorio in cui si vive, del continente europeo e del mondo 23 Contenuti Pregiudizi e stereotipi, caratteristiche fisiche, politiche e socioculturali del- l’Europa, globalizzazione, ecologia Tempi 16-18 ore Risorse Coordinatore, docenti, collaboratori ATA; Euro 500 Metodologia Lezioni interattive Contatto Sito: www.ipsgiordani.it Titolo 12) L’Europa per noi europei, l’Europa per gli altri Autore Liceo Scientifico “A. Antonelli” di Novara Promotore Partner Altri soggetti Compagnia di San Paolo (finanziatore € 15.000) Data 2003-04 Destinatari Studenti Finalità Aumentare negli studenti la conoscenza del processo di integrazione europea in atto nel nostro paese, e favorire la riflessione sul significato concreto del- l’Unione Europea Contenuti Integrazione Tempi 20 ore Risorse Docenti, personale ATA e amministrativo, relatori esterni Testi scolastici sulle tematiche affrontate (molti dei quali appositamente acquistati), computer con connessione internet, aule, biblioteca, palestra (per la realizzazione delle conferenze) Metodologia Lezioni frontali, conferenze, interviste, lavoro di gruppo, ricerche bibliogra- fiche Contatto Tel. 0321.46.54.80 - 0321.45.83.81 Titolo 13) Manifestare la Pace Autore ITC “D. Bramante” di Pesaro (PU) Promotore Partner Altri soggetti Regione Marche, Provincia PU, Bottega del mondo, Associazione KEITA, Scuola media del territorio, Biblioteca del territorio Data 2003-04 Destinatari Studenti Finalità Far conoscere l’educazione alla pace e ai diritti umani che è l’educazione civica del futuro e che crea le basi per la formazione di cittadini responsabili, consapevoli dei propri diritti e doveri; educare gli alunni all’intercultura e alla convivenza; favorire la solidarietà e la maturazione del senso di responsabilità personale Contenuti Pace, intercultura, diritti umani, convivenza civile Tempi Risorse Docenti 24 Metodologia Produzione di eventi che sensibilizzano sulla pace, lavoro in rete con altre scuole, commento di poesie sulla pace, educazione reciproca tra allievi di diversi livelli di scolarità Contatto Tel. 0721.45.45.38/.42 - E-mail: itc.bramante@provincia.ps.it Titolo 14) Parole che uniscono, parole che dividono. Progetto di educazione alla legalità Autore IPSIA “Europa”di Roma Promotore Comune di Roma, Assessorato alla Sicurezza Partner Altri soggetti Data 2003 Destinatari Allievi istituto superiore Finalità Dare luogo all’elaborazione di un dizionario di circa trenta parole-chiave utilizzate nel linguaggio comune e tali da far riflettere e sensibilizzare su fenomeni come quelli del razzismo, dell’emarginazione, della discriminazione Contenuti Educazione alla legalità, al rispetto Tempi 3 mesi Risorse Docenti PC, Internet, Dizionari Metodologia Lavori di gruppo, ricerche, riflessioni guidate Contatto Sito: www.ipsiaeuropa.roma.it Titolo 15) Prevenire i conflitti interculturali educando alla solidarietà Autore IPSSAR San Benedetto del Tronto Promotore Partner Altri soggetti GRIS (Gruppo Ricerca Informazione Socioreligiosa) Data 2004-05 Destinatari Studenti IV e V superiore Finalità Ricercare una comune analisi antropologica e culturale per la conoscenza, l’ap- profondimento e la gestione dei diritti umani previste dalle Carte internazionali; creare le condizioni operative per iniziative e forme di partecipazione dove gli stu- denti siano protagonisti di modelli di cittadinanza, di solidarietà agita, contestua- lizzata in azioni concrete sul tessuto sociale (territoriale, nazionale, internazionale); favorire l’acquisizione del concetto di comunità (scolastica, familiare, sociale, nazionale e di appartenenza) per la diffusione della cultura della cittadinanza Contenuti Educazione alla cittadinanza attiva Tempi Risorse Docenti e personale ATA Proiettore, computer portatile, telecamera, macchina fotografica, questionario Metodologia Ricerche, sondaggi, questionari, convegno, esperienze di solidarietà agita Contatto Tel. 0735.58.70.44 25 Titolo 16) Studenti e docenti in formazione. Percorsi di formazione per attivare politiche di partecipazione Autore Angela M. Pazzi del Liceo delle Scienze Sociali e Liceo socio-psico-pedago- gico “Fazzini Mercantini” - Grottammare (AP) Promotore Partner Società cooperativa ONLUS Nuova Ricerca, Agenzia RES Altri soggetti Assessorato alla PI della Provincia di AP Data 2004-06 Destinatari Studenti Finalità Incrementare la conoscenza, sia nella scuola, che nel territorio di riferimento, sul tema della partecipazione giovanile e della integrazione degli stranieri; fa- vorire i contatti tra scuola e soggetti territoriali che operano sui temi dei diritti sociali; sensibilizzare e formare gruppi di studenti a pratiche di solidarietà agita; raccogliere ed elaborare strumenti didattici innovativi Contenuti Dialogo, integrazione Tempi Risorse Docenti, esperti Metodologia Azioni di peer education, ricerca-azione, lavoro di comunità, incontri con esperti Contatto Tel. 0735.92.24 - E-mail: angelapazzi@yahoo.it Titolo 17) Tempo dell’educazione alla cooperazione Autore Istituto Superiore Elio Vittorini - Grugliasco (Torino) Italia, Lyceè Tecnique Rabat - Marocco Promotore Partner Istituto Superiore Elio Vittorini - Grugliasco (Torino) Italia, Lyceè Tecnique Rabat - Marocco Altri soggetti Data Dicembre 2002 Destinatari Docenti ed allievi/e di quattro scuole di istruzione superiore operanti in quattro aree caratterizzate da specifici elementi socio-economici, religiosi, di tradi- zione culturale: nordovest italiano (cultura cristiana), bacino del Mediterraneo (cultura islamica), estremo oriente (cultura buddista), centro e/o sud America (cultura dei “nativi”); scuole con tradizione di lavoro e di ricerca all’educa- zione della persona; scuole con esperienza di “azioni” in contesti multiculturali e multilinguistici Finalità Aiutare i giovani a individuare e contrastare le radici della violenza nella pro- pria vita incoraggiandoli a rispettare se stessi, la vita in genere e ad ispirare speranza negli altri; educare alla democrazia ed alla partecipazione; garantire una collaborazione tra istituti scolastici in ambito internazionale e multicultu- rale; creare un partenariato multilinguistico in rete tra scuole di diversa ma- trice culturale e religiosa dei Paesi di Asia, Africa, America latina, del Nord e del Sud del mondo; instaurare una collaborazione in rete tra scuole di diverso orientamento disciplinare; determinare lo sviluppo di nuove tecnologie del- l’informazione e della comunicazione 26 Contenuti Concetto di democrazia, pari opportunità, cooperazione Tempi Risorse Docenti, tutor, formatori Internet Metodologia Unità di lavoro basata su brainstorming e riflessioni di gruppo; scambi con altre culture sulle stesse tematiche. Tra le metodologie adottate e interessanti per l’educazione alla convivenza civile vi è quella della RDV (Revisione di vita) di Cardijn basata su tre passaggi fondamentali: vedere-valutare e agire. Contatto Sito: http://www.indire.it/intercultura/marocco_wave/index.htm Titolo 18) Viaggio alla scoperta del Governo del mondo tra Istituzioni e cittadi- nanza attiva Autore FOCSIV (Federazione Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario) Promotore FOCSIV Partner Altri soggetti Data Destinatari Studenti delle Scuole medie inferiori e superiori. La proposta può essere strut- turata per studenti di diverso ordine e grado adattando metodologie e conte- nuti ai destinatari specifici Finalità Rendere i giovani destinatari del progetto più consapevoli dei loro diritti- doveri di cittadinanza mondiale; facilitare l’esercizio di pratiche di cittadi- nanza attiva e di impegno civile; diffondere sensibilità sulla cooperazione internazionale; favorire l’acquisizione di consapevolezza e senso critico sulle problematiche globali, il ruolo e le responsabilità dei governi, le possibilità di impegno dei singoli e della società civile; informare sulle concrete possibilità di sostenere progetti nel sud del mondo Contenuto Solidarietà internazionale Tempi È previsto un ciclo di 3 lezioni tematiche, della durata di 3h ciascuna Risorse Volontari del FOCSIV Metodologia Situazioni frontali, momenti interattivi, utilizzo di strumenti audiovisivi e testimonianze Contatto Tel. 06.87.77.96 - 06.68.77.867 - E-mail: educazione@focsiv.it - Sito: www.focsiv.it Titolo 19) Vivere l’amicizia Autore Ufficio Scolastico Regionale Emilia Romagna Promotore Ufficio Scolastico Regionale Emilia Romagna Partner Altri soggetti Data 2005-06 Destinatari Allievi Finalità Condurre i ragazzi, utilizzando alcuni veicoli comunicativi capaci di influire sull’immaginario giovanile (canzoni, arti letterarie, TV), lungo un percorso 27 che partendo da un’esplorazione consapevole della rappresentazione del- l’amicizia che emerge dal loro vissuto, si allarghi ad un’analisi dei modelli proposti dalla cultura in cui viviamo e li confronti con delle testimonianze culturali che potranno essere offerte grazie a percorsi disciplinari e inter- disciplinari Contenuti Concetto di amicizia Tempi Risorse Insegnante Stereo, cd musicali Contatto Sito: www.convivenzacivile.it - Sito: http://www.convivenzacivile.it/categorie04.asp?id=75 Metodologia Riflessioni personali e in gruppo guidate dal docente sul tema dato (amicizia) Titolo 20) Volontariato ed educazione alla solidarietà Autore FIVOL (Fondazione Italiana per il Volontariato) Promotore FIVOL Partner Altri soggetti Data Destinatari Educatori, insegnanti, allievi Finalità Incentivare i ragazzi alla riflessione non solo teorica sui riferimenti e sulle caratteristiche sociali ed etiche della solidarietà e sperimentare delle modalità comunicative basate sulla cooperazione e sul confronto Contenuti Concetto di solidarietà, gestione dei rapporti giovane-adulto e tra pari Tempi Complessivamente il lavoro può essere svolto in quattro/sei ore di attività Risorse Insegnante Dispense e dei cartelloni (oppure una lavagna luminosa, in modo da poter trascrivere i lavori dei sottogruppi su dei lucidi da proiettare a tutta la classe) Metodologia Percorsi didattici guidati (training) Contatto Sito: www.fivol.it 4.2. Altri Titolo 21) Abbiamo riso per una cosa seria Autore FOCSIV (Federazione Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario) Promotore RAI Segretariato Sociale, Regione Lazio, Provincia di Roma, Comune di Roma, Banca Popolare Etica Partner Altri soggetti Altre ONG e Organismi associati Data 2007 Destinatari Finalità Raccolta fondi attraverso la vendita di riso Contenuti Solidarietà 28 Tempi 2 giorni Risorse Volontari Stand nel territorio nazionale Metodologia Allestimento banchi di vendita Contatto Tel. 06.87.77.96 - 06.68.77.867 - E-mail: educazione@foscsiv.it - Sito: www.focsiv.it Titolo 22) Berlino città della memoria e della cultura europea Autore Istituto Professionale “Sisto V” di Roma Promotore Partner Altri soggetti Ambasciata, Associazione COMITES, Scuola di Berlino Data 2005 Destinatari Studenti di scuola superiore Finalità Favorire la conoscenza di aspetti significativi della storia e della cultura tedesca, con particolare riferimento alla Berlino del ‘900; sensibilizzare al valore di una comune cultura europea; sviluppare scambi culturali tra giovani di Paesi europei Contenuti Storia e cultura tedesca del ‘900 Tempi 5 giorni Risorse Docenti Metodologia Viaggio, seminario Contatto Tel. 06.87.13.62.83 - E-mail: preside@sistoquinto.it- Sito: www.sistoquinto.it Titolo 23) Cinque passi per un mondo più giusto Autore FOCSIV (Federazione Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario) Promotore FOCSIV, Uffici della CEI, Agenzie delle Nazioni Unite, Programma Alimen- tare Mondiale (WFP), Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), Coopération Internationale pour le Développement et la Solidarité (CIDSE) Partner Altri soggetti Data Destinatari Educatori, insegnanti, ragazzi Finalità Comprendere le cause dell’ingiustizia sociale e riflettere sul concreto impegno per la lotta alla povertà Contenuti Giustizia sociale Tempi Risorse Kit multimediale (schede, CD, videocassette, videogiochi) Metodologia 5 percorsi tematici realizzati attraverso un kit didattico multimediale Contatto Tel. 06.87.77.96 - 06.68.77.867 - E-mail: educazione@foscsiv.it - Sito: www.focsiv.it 29 Titolo 24) Cultura dell’incontro Autore IPSCT “Battisti” di Trento Promotore Partner Altri soggetti Scuola in Bosnia Data 2005 Destinatari Studenti di scuola superiore Finalità Favorire una visione meno stereotipata delle realtà, la capacità di andare oltre il proprio punto di vista, e una logica di “accoglienza” Contenuti Intercultura Tempi 1 settimana Risorse Formatori, esperti esterni, docenti interni Supporti logistici e risorse economiche per realizzare il viaggio Metodologia Interscambio esperienziale con una scuola in Bosnia Contatto Tel. 0461.91.44.99 - E-mail: ipscttn@tin.it - Sito: http://www.archivio.vivoscuola.it/didascalieinforma/scuole/ipsctliviabat- tisti_0106asp Titolo 25) E se scoppiasse la pace? Autore Comunità obiettori di coscienza (Salesiani di Torino) Promotore Partner Altri soggetti Data Destinatari Adolescenti e preadolescenti Finalità Riflettere sulla pace e tematiche con questa collegate Contenuti Non violenza, pace Tempi Risorse Educatori Cineforum Metodologia Spunti di riflessione (brani letterari, ascolto di musica, giochi di simulazione, concorsi, cineforum, ecc.) Contatto Sito: www.pastorale.valdocco.it/SCS/servizio_civile/storia.htm Titolo 26) Educazione interculturale Autore Luca Cristaldi (VIS) Promotore VIS – Volontariato Internazionale per lo Sviluppo Partner Altri soggetti Archivio dell’Immigrazione Data Luglio 2001 (una settimana) – Luglio 2002 (una settimana) Destinatari Insegnanti e formatori 30 Finalità Fornire un quadro generale sullo squilibrio Nord-Sud del mondo; illustrare il concetto e il significato dell’interculturalità; educare all’accoglienza; educare all’ascolto; riflettere sul concetto individuale e culturale di identità; riflettere sul “diverso”; illustrare il ruolo del “Mediatore Culturale”; promuovere l’ita- liano come seconda lingua con lezioni introduttive; produrre un dossier sul- l’intercultura Contenuti Intercultura, lingua italiana, distribuzione delle risorse Tempi 36 ore di laboratorio Risorse Tutor: modera, riannoda i fili di tutti gli interventi, cura la logistica (presente tutta la settimana); Esperto di mondialità: fornisce un quadro generale sulla mondialità e sui rapporti Nord-Sud del mondo (4 ore); Formatore: presiede il laboratorio esperienziale sulle competenze relazionali e comunicative del- l’educazione interculturale (12 ore); Insegnante con esperienza didattica: intro- duce il tema dell’educazione interculturale; cos’è e quali prospettive ha (2 ore); Esperto in cooperazione: illustra la cooperazione allo sviluppo e le attività del VIS (2 ore); Mediatore Culturale: illustra chi è, il suo ruolo, l’importanza della mediazione culturale (3 ore); Insegnante di italiano L2: fornisce gli elementi introduttivi di italiano come seconda lingua (3 ore); Esperto in comunicazione: gestisce una sessione dedicata agli stereotipi e ai pregiudizi sul diverso, attra- verso l’utilizzo di pubblicità, spot, filmati, materiale multimediale (4 ore) Metodologia La metodologia utilizzata è quella del laboratorio esperienziale. Esso è basato sul gioco e sull’impiego di tecniche interattive, e offre molte più occasioni di una lezione frontale per lavorare con gli studenti sulla dinamica di gruppo. Dal punto di vista del metodo, un laboratorio non è un corso tematico, né un seminario di approfondimento. Il tratto saliente che lo caratterizza è l’impiego di tecniche, di giochi e di esercizi che consentano ai partecipanti di calarsi fino in fondo nelle situazioni che vogliono esaminare; di immedesimarsi nei conflitti presi in considerazione; di “mettere in gioco” le proprie esperienze personali e la propria emotività; e di creare le condizioni per imparare dalle interazioni e dagli eventi della dinamica di gruppo. Naturalmente, cercare le risposte ai bisogni formativi degli studenti operando in mezzo a loro è un lavoro duro, impegnativo, coinvolgente, spesso faticoso, a volte persino dolo- roso. È un lavoro che si può affrontare solo correndo fino in fondo il rischio dell’incontro, della relazione e del confronto; solo vivendo con pienezza le dimensioni dell’attesa, dell’ansia e dell’ascolto, di sé stessi e degli altri. È un impegno che si può sostenere solo se si è disposti a mettere in crisi le proprie certezze, accettando senza riserve mentali di rivisitare e di rimettere in discus- sione la propria storia personale, cioè la propria identità. Contatto E-mail: l.cristaldi@volint.it Titolo 27) Il progetto della Memoria Autore IPSIA “Europa”di Roma Promotore Partner Altri soggetti Data 2005 Destinatari Studenti 31 Finalità Educazione alla pace, alla legalità, alla tolleranza e, soprattutto, far compren- dere che la diversità è un valore non un pericolo Contenuti Roma occupata Tempi Risorse Metodologia Visite mostre fotografiche, visite Fosse Ardeatine, visione film, contatti con l’ANPI Contatto Sito: www.ipsiaeuropa.roma.it Titolo 28) Incontri. Percorso a schede sul dialogo interreligioso Autore Fondazione Centro Astalli - ONLUS Promotore Partner Altri soggetti Data 2005 Destinatari Giovani e adulti Finalità Conoscere i contenuti, la fede, le feste, i comportamenti, i testi, le persone delle 5 religioni principali Contenuti 5 religioni principali Tempi Risorse Docenti, esperti e testimoni delle dottrine religiose Sussidi didattici Metodologia Percorso a schede che può essere utilizzato in auto formazione o in ambito di- dattico Contatto Tel. 06.69.92.50.99 - Sito: wwwjrs.net Titolo 29) Io ci sono stato” I giorni della memoria Autore Istituto professionale “Sisto V” di Roma Promotore Istituto professionale “Sisto V” di Roma Partner Altri soggetti Istituzioni scolastiche del territorio, ANED, Associazione Amici di Yad Vashem, Associazione One By One, Centro di Cultura Ebraica di Roma, Pro- vincia di Roma, Biblioteca Comune di Roma, IV Municipio, Associazione Italiana Ostelli della Gioventù Data 2004 Destinatari Studenti di Istituti superiori Finalità Diffondere il valore dell’uguaglianza tra tutte le componenti – etnico, culturali e religiose – di una società, riconoscendo ad esse pari dignità; sensibilizzare al tema della memoria storica e del suo rapporto con il presente; sviluppare lo studio della storia inteso come individuazione e consapevolezza dei valori umani, civili e morali dell’umanità; creare figure di studenti-formatori sui temi di interesse Contenuti Storia del campo di concentramento Mauthausen 32 Tempi 30 ore di formazione; 6 giorni seminario itinerante; 1-2 giorni visita al campo di concentramento Risorse Docenti, testimoni Finanziamenti per il viaggio Metodologia Visite, incontri con testimoni, seminari di formazione, partecipazione a mani- festazioni locali Contatto Sito: www.sistoquinto.it Titolo 30) L’Islam in occidente Autore ITIS “Armellini” di Roma Promotore Comune di Roma, Assessorato alle Politiche educative, formative e giovanili - Dipartimento XI politiche educative formative Partner Altri soggetti Comunità islamica, associazioni di immigrati Data 2000-01 Destinatari Studenti di Istituti superiori Finalità Acquisire una metodologia appropriata per quanto riguarda la corretta esplora- zione del fenomeno religioso, in specie dell’Islam (con particolare attenzione all’uso corretto delle Fonti, sia per determinarne gli aspetti quantitativi e le mol- teplici articolazioni, sia per smascherarne le più superficiali generalizzazioni) Contenuti Religione islamica Tempi Febbraio-Settembre Risorse Testi, internet, video cassette, contatto con le fonti Metodologia Visite, ricerche, riflessioni scritte, produzione di materiali scritti, audiovisivi e sito web Contatto Sito: www.itisarmellini.it Titolo 31) Multilingue e Multiculture Autore IPSIA “Galileo Galilei” di Frosinone Promotore Partner Altri soggetti Data 2000-01 Destinatari Studenti Finalità Educare all’interculturalità; promuovere il rispetto per le lingue e delle cul- ture; favorire il riconoscimento della propria identità culturale attraverso un’esperienza multipla dell’alterità Contenuti Educazione all’interculturalità Tempi 3 giorni Risorse Docenti, mediatore linguistico Cd, videocassette, guide multilingue, riviste Metodologia Lezioni frontali su tematiche attinenti l’intercultura, con il supporto dell’interprete Contatto Tel. 0775.87.01.19 - E-mail: ipia@galileo.fr.it - Sito: www.galileo.fr.it 33 Titolo 32) Non di solo rito... Le religioni nei luoghi di socializzazione Autore ITIS “Armellini” di Roma Promotore Partner Altri soggetti Comunità Valdese, Comunità Ebraica, Comunità Musulmana, Comunità Bud- dista Data Anno scolastico 2004-05 Destinatari Allievi istituto superiore Finalità Favorire la conoscenza dei luoghi dove gli uomini e le donne dei diversi gruppi religiosi presenti nel territorio si incontrano, si parlano e interagiscono nelle forme più varie Contenuti Dialogo interreligioso Tempi Risorse Materiale bibliografico, sussidi multimediali Metodologia Visite, riflessioni scritte Contatto Sito: www.itisarmellini.it Titolo 33) Responsabilità di tutti... protagonismo dei giovani Autore GIOC (Gioventù Operaia Cristiana) Promotore Partner Altri soggetti Data Ottobre 2006 Destinatari Allievi delle medie Finalità Contribuire alla formazione di giovani che nella vita adulta sappiano impe- gnarsi nei propri ambienti di vita consapevoli che l’esperienza vissuta in età giovanile non è del tutto persa, ma rielaborata e rivista con i ritmi e le respon- sabilità della vita adulta Contenuti Riflessioni sulla propria vita attraverso la metodologia della RDV (Revisione di vita) di Cardijn basata su tre passaggi fondamentali: vedere-valutare e agire Tempi Fine settimana Risorse Responsabile del gruppo Dispense, registratore, pile, cassette, piantina della città, macchina fotogra- fica, colla, forbici, immagini, block notes Metodologia Residenziale, RDV Contatto Sito: http://www.gioc.org/articolo.asp?idart=615 Titolo 34) Roma – Auschiwitz. Mai più Autore ITIS “A. Einstein” Promotore Partner Altri soggetti 34 Data Ottobre 2003 Destinatari Studenti di Istituti superiore Finalità Fornire un’esperienza per testimoniare la volontà di “non dimenticare”, con il convincimento che la memoria può aiutarci a costruire un mondo migliore e perché ciò che è accaduto non si ripeta “mai più” Contenuti Storia del campo di concentramento di Auschiwitz Tempi 3 giorni Risorse Supporti logistici ed economici per realizzare il viaggio Metodologia Visite, riflessioni scritte Contatto Sito: www.itis-einstein.roma.it 35 Capitolo 2 Educazione professionale: esperienze, riflessioni e suggerimenti operativi Terreno di lavoro di questa dimensione educativa (educazione professionale) sono le iniziative, le esperienze e i progetti che condi- vidono obiettivi di integrazione e avvicinamento tra situazione educativa classica e mondo del lavoro. Finalità principali dei progetti individuati sono: – avvicinare il più possibile i giovani nella for- mazione professionale e nella scuola alla realtà lavorativa in cui si troveranno coinvolti dopo il percorso educativo; – coinvolgere gli allievi in una conoscenza diretta, ma criticamente mediata, della cultura e della realtà economica che circonda il loro contesto educativo; – orientare un percorso formativo alla responsabilità e a un’etica del lavoro partendo dal vissuto sociale e produttivo del proprio territorio. Si tratta, dunque, di finalità che vedono in prima istanza la volontà di stabilire una relazione efficace tra conoscenze teoriche e scolastiche e dimensioni professionali e operative proprie del mondo del lavoro. La promozione di una cultura del mondo del lavoro a partire dalla scuola è l’obiettivo comune dei progetti presenti in questa dimensione. “Laboratorio dell’integrazione tra scuola e mondo del lavoro” (n. 3) è un pro- getto orientato alla promozione di una cultura professionale capace di partire dal processo di insegnamento-apprendimento per poi focalizzarsi all’interno del mondo del lavoro, come terreno su cui osservare l’efficacia dei fondamenti teorico-pratici appresi. In questo progetto forte è l’attenzione alla cultura d’impresa quale nodo principale per la diffusione di un sapere non avulso dal contesto lavorativo reale. L’obiettivo finale è favorire un sviluppo formativo dei ragazzi più integrato al tessuto lavorativo e costruire una scuola o un Centro di formazione che diventi cerniera con il mercato del lavoro. 36 L’attività formativa d’au- la realizzata è proposta nel progetto “Tutto il resto” (n. 5) che suggerisce l’uso di un approccio ludico per arrivare a sondare, nelle classi, alcuni punti di vista dei giovani sul mondo del lavoro. Vengono suggerite alcune metodologie, come il quiz o le storie- esempio, per avvicinare i par- tecipanti ad una riflessione condivisa sulla profes- sionalità e il lavoro. L’esperienza di “Scuola al gusto di yogurt” (n. 12) è una traccia educativa che ha come obiettivo una riflessione teorica e un’osservazione pratica circa alcuni fattori chiave con cui l’imprenditore/agri- coltore, si trova a lavorare: costi produttivi, prodotto di qualità, mercato. In apertura di questa dimensione troviamo invece il progetto “Alternanza scuola lavoro” (n. 1) i cui obiettivi, come suggerito dai realizzatori, è quello di portare i ragazzi a: – prendere coscienza delle proprie capacità e dei propri limiti; – collaborare con i lavoratori ed adattarsi al nuovo ambiente, ai nuovi orari ed ai tempi di lavoro; – scoprire l’importanza delle linee generali di comportamento che la scuola ha fornito ed accettarle con maggiore motivazione; – operare scelte sulle opportunità di studio e di lavoro future con maggiore con- sapevolezza. Il progetto può divenire un’opportunità metodologica per avviare attività programmatiche volte ad un’alternanza reale tra mondo scuola e mondo lavoro. Altra esperienza proposta è “Evangelizzazione nella FP” (n. 7) che mira a valo- rizzare l’impegno di promozione verso una responsabilità sociale a partire da un concetto di scuola integrata con il mondo del lavoro. Con il progetto “Laboratorio d’impresa” (n. 2) s’intende costruire una opportu- nità reale di una cultura d’impresa presso i giovani secondo i seguenti obiettivi educativi: – favorire lo sviluppo di competenze progettuali (attraverso un processo volto a fronteggiare e assolvere un compito complesso, verificabile e finalizzato); – facilitare l’acquisizione delle conoscenze disciplinari attraverso la loro applica- zione. 37 “Il tempo della vita e il tempo del lavoro” (n. 10) è il titolo della proposta con cui si riflette, a partire dalla riconsiderazione critica del tempo libero e del tempo del lavoro, sulla condizione del giovane e sul suo rapporto con il proprio tempo quotidiano. Spunti riflessivi e domande sul significato profondo del lavoro ac- compagnano l’iter didattico di questo progetto che ha come obiettivo ultimo, utilizzando anche alcuni passi biblici, quello di portare i giovani ad un rinnovato senso di attenzione ai tempi della vita. Su questa traccia s’inserisce anche la traccia di riflessione “Il lavoro” (n. 9) che rin- forza le tematiche appena indicate e propone obiettivi educativi volti a lavorare con i ragazzi affinché possano imparare a: – considerare la dimensione del lavoro come parte importante della vita; – scoprire cosa si può fare per rendere il lavoro sempre più umano; – estendere lo sguardo alla dimensione collettiva del lavoro e gli sforzi dei lavo- ratori per migliorare la propria situazione. Su questa linea tematica si affacciano anche gli altri progetti presentati sotto la dimensione professionale dell’educazione della persona. Non mancano, tra le espe- rienze, spunti per la revisione critica e l’analisi della realtà della disoccupazione, nonché una ricerca per meglio comprendere il valore della responsabilità sociale. 1. TESTIMONI PRIVILEGIATI ASCOLTATI Giacomo GARBERO E Marta QUADRELLI - GIOC Paolo TARCHI E Pietro SCALZO - CEI Attilio BONDONE - CONFAP Sandro DAL PIANO - ENAIP VENETO 2. FONTI WEB UTILIZZATE http://gold.bdp.it/goldtrain/index.php?id_cnt Progetto biennale (2004-2006) per il trasferimento delle buone pratiche in scuole diverse da quelle che le hanno prodotte, promosso dalla Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo, ideato e sviluppato in collaborazione con INDIRE - Istituto Nazionale di Documentazione per l’Innovazione e la Ricerca Educativa e Gruppo CLAS 38 http://gold.indire.it/nazionale/index.php Gold, Banca dati Internet delle esperienze più innovative ed interessanti realizzate nelle scuole italiane di ogni ordine e grado http://scuoleonline.gioventudigitale.net Elenco delle scuole on line di Roma www.acli.it Portale delle Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani www.fondazionescuola.it/attivita/elaborazioneprogetti.asp Il programma Scuole in Rete del La Fondazione per la Scuola persegue l’obiettivo di facilitare il trasferimento di e delle relative metodologie, assistendo le scuole perché possano acquisirle, adattarle e utilizzarle www.gioc.org Sito di Gioventù cristiana operaia 3. MAPPA DEI CONCETTI E DELLE PAROLE CHIAVE 39 4. SCHEDE DEI PROGETTI Come accennato nell’introduzione, attraverso schede di sintesi, presentiamo le “buone pratiche” suddivise in “progetti strutturati” e “altro”. 4.1. Strutturati Titolo 1) Alternanza scuola-lavoro Autore Istituto Tecnico “Calamandrei” di Sesto Fiorentino Promotore Partner Altri soggetti Aziende, ditte, enti, studi tecnici Data 2002-03 Destinatari Studenti Finalità Avvicinare gli studenti alla cultura e alla realtà economico-sociale nella quale dovranno inserirsi. Incrementare la consapevolezza nell’operare scelte sulle opportunità di studio e di lavoro futuro Contenuti Realtà produttive Tempi 4 settimane Risorse Docente, aziende Metodologia Alternanza Contatto Tel. 055.44.90.703 - Sito: www.itcgcalamandrei.it Titolo 2) Laboratorio d’impresa “White Eagles – Edizioni musicali S.p.A.”. Costruzione e gestione di un’impresa in ambiente protetto Autore Ist.Tec.Commerciale Statale e Liceo Economico Aziendale “Q.Sella” di Torino Promotore Partner Altri soggetti Data 2001-02 Destinatari Studenti Finalità Favorire l’acquisizione di specifiche competenze tecnico-professionali nella gestione di impresa, simulando la costituzione di un’azienda nel campo musi- cale. Più in generale, si intende favorire negli studenti una capacità progettuale Contenuti Gestione di impresa Tempi 127 ore di attività curricolare e 29 ore di attività extra-curricolare Risorse 2 docenti coordinatori, 7 docenti del consiglio di classe, un maestro di musica, un tecnico audio Aula informatica, laboratorio multimediale, aula di musica, studio di registra- zione, aule (per le lezioni e le altre attività didattiche) Metodologia Laboratori interdisciplinari, learning by doing, apprendimento cooperativo, giochi di ruolo, brainstorming, problem solving metacognitivo, autogestione degli allievi 40 Contatto Tel. 011.54.24.70 - E-mail: itcsella@tin.it - Sito: www.quintinosella.it Titolo 3) Laboratorio dell’integrazione tra scuola e mondo del lavoro. Costruzione di percorsi formativi per l’incontro tra la scuola e il mondo delle imprese e per la promozione della cultura del lavoro Autore Istituto Tecnico”R. Luxemburg” di Torino Promotore Partner Altri soggetti Scuole del territorio, Unione Industriale, le strutture locali di Confesercenti e Confcooperative, Ufficio dell’Amministrazione provinciale, Assessorato e l’Ufficio servizi educativi del Comune, Aziende che si sono rese disponibili ad accogliere i docenti in stage Data Destinatari Docenti Finalità Pervenire alla costruzione di moduli formativi centrati sulla cultura di im- presa, da inserire nel curriculum scolastico; valorizzare la funzione conosci- tiva, formativa, ed educativa dell’esperienza di stage, al fine di migliorare le competenze progettuali dei docenti; produrre materiale multimediale per favorire la conoscenza reciproca tra la scuola e le aziende; favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro Contenuti Cultura di impresa Tempi Progettazione: ca. 27 ore - Formazione docenti: ca. 30 ore - Pianificazione stage: 30 ore - Stage: 3 giorni - Riflessione sull’esperienza: 11 ore - Documenti finali sul progetto: ca. 50 ore Risorse Aziende Metodologia Il progetto prevede l’inserimento dei docenti nelle strutture operative delle aziende per verificare sul campo i possibili collegamenti tra l’attività scolastica e la realtà produttiva e come le abilità trasmesse nel processo di insegnamento- apprendimento siano spendibili nel mondo del lavoro. I docenti, attraverso stage in azienda,hanno la possibilità di instaurare un dialogo con i responsabili dei vari settori operativi aziendali per cogliere le aspettative formative richieste e indivi- duare esperienze specifiche trasversali considerate utili dagli operatori di settore Contatto Tel. 011.61.92.212 - E-mail: luxemb@arpnet.it Titolo 4) Simulimpresa Autore CFP – Università Popolare Trentina Promotore Partner Altri soggetti Data 2006 Destinatari Allievi Finalità Colmare l’anello mancante tra formazione teorica e formazione pratica inte- grando le attuali forme di intervento, quali lo stage e l’alternanza scuola- lavoro. Ricreando l’ambiente aziendale, Simulimpresa propone all’allievo di mettersi direttamente alla prova con il lavoro per impararne le mansioni 41 (conoscere e utilizzare documenti, gestire rapporti con l’esterno, con banche, INPS, fornitori, clienti...) Contenuti Cultura d’impresa Tempi 700 ore in 3 anni di corso Risorse Formatori Metodologia Simulazione, giochi di ruolo, Contatto Tel. 0461.98.71.80 - E-mail: segretaria@sede.cfp-upt.it - Sito: www.cfp-upt.it Titolo 5) Tutto il resto Autore GIOC (Gioventù Operaia Cristiana) Promotore Partner Altri soggetti Data Aprile 2006 Destinatari Allievi della Formazione Professionale Finalità Aiutare i ragazzi a riflettere sul loro rapporto con i beni di consumo valutando alcuni punti di vista dei giovani sul mondo del lavoro Contenuti Educazione al consumo responsabile Tempi 2 incontri Risorse Insegnanti Questionari in supporto cartaceo Metodologia Giochi di gruppo, riflessioni guidate, brainstorming Contatto Sito: http://www.gioc.org/index.asp 4.2. Altri Titolo 6) Consumattori. Campo estivo Autore GIOC (Gioventù Operaia Cristiana) Promotore Partner Altri soggetti Data 2005 Destinatari Allievi CFP Finalità Favorire la riflessione sul rapporto con i beni di consumo Contenuti Educazione al consumo responsabile Tempi 4 giorni Risorse Metodologia Campo estivo, giochi, verifiche Contatto Tel. 011.54.18.06 - Sito: www.gioc.org Titolo 7) Evangelizzazione nella FP Autore GIOC (Gioventù Operaia Cristiana) 42 Promotore Ufficio Piemontese della PSL Partner Altri soggetti Enti di FP d’ispirazione cattolica Data 2004 Destinatari Allievi Finalità Formare, evangelizzare i giovani e valorizzare l’impegno di promozione verso una responsabilità sociale a partire da un concetto di scuola integrata con il mondo del lavoro Contenuti Cultura del lavoro Tempi Risorse Formatori, volontari Strutture che garantiscano ospitalità per campi estivi-invernali e per week-end formativi residenziali Metodologia Campi residenziali, feste, tornei, moduli formativi tematici; metodo pastorale della “Revisione di Vita” Contatto Tel. 011.54.18.06 - Sito: www.gioc.cfp Titolo 8) Guarda dove vai. Campo estivo Autore GIOC (Gioventù Operaia Cristiana) Promotore Partner Altri soggetti Data Giugno 2004 Destinatari Allievi CFP Finalità Offrire ai giovani coinvolti una proposta educativa completa che miri a far crescere la persona in tutte le sue dimensioni e creare le condizioni per costi- tuire gruppi di giovani che possano proseguire un cammino educativo e di evangelizzazione specifico Contenuti Proposta educativa per un campo estivo Tempi 1 settimana Risorse Formatori, educatori Una struttura in grado di ospitare un campeggio per un gran numero di persone Metodologia Campo estivo, riflessioni guidate Contatto Tel. 011.54.18.06 - Sito: www.gioc.org Titolo 9) Il lavoro Autore GIOC (Gioventù Operaia Cristiana) Promotore Partner Altri soggetti Data Destinatari 43 Finalità Favorire l’assunzione della dimensione del lavoro come parte importante della vita; facilitare la scoperta di cosa si può fare per rendere il lavoro sempre più umano; aiutare ad allargare lo sguardo alla dimensione collettiva del lavoro e agli sforzi dei lavoratori per migliorare la propria situazione Contenuti Cultura del lavoro e stile di vita Tempi Risorse Brani e domande per la riflessione Metodologia Riflessione personale, metodo pastorale “Revisione di vita” Contatto Tel. 011.54.18.06 - Sito: www.gioc.org Titolo 10) Il tempo di vita e il tempo di lavoro Autore GIOC (Gioventù Operaia Cristiana) Promotore Partner Altri soggetti Data Destinatari Giovani Finalità Portare i giovani ad un rinnovato senso di attenzione ai tempi della vita Contenuti Tipologie contrattuali e stile di vita Tempi Risorse Educatore Testi biblici Metodologia Spunti, riflessioni e domande, utilizzando anche alcuni passi biblici, sulla condizione del giovane e sul suo rapporto con il proprio tempo quotidiano Contatto Tel. 011.54.18.06 - Sito: www.gioc.org/cfp Titolo 11) La disoccupazione Autore GIOC (Gioventù Operaia Cristiana) Promotore Partner Altri soggetti Data Destinatari Giovani senza occupazione Finalità Favorire la riflessione sulla vita dei giovani disoccupati; aiutare i ragazzi disoccupati a vivere questo tempo in modo attivo e attivare azioni di supporto alla ricerca di lavoro Contenuti Ricerca attiva del lavoro Tempi Risorse Metodologia Metodo pastorale “Revisione di vita”, corsi brevi di formazione professionale, corsi di abilità sociali Contatto Tel. 011.54.18.06 - Sito: www.gioc.org 44 Titolo 12) Scuola al gusto di Yogurt Autore Istituto di Istruzione “Lorenzo Guetti” di Tione di Trento Promotore Partner Altri soggetti Data Destinatari Studenti Finalità Far apprendere concetti naturalistici, etici, giuridici, economici Contenuti Cultura biologica, fenomeni produttivi, scelte dei consumatori Tempi 2 ore di economia, 2 ore di scienze, un pomeriggio in fattoria Risorse Docente Azienda agricola Metodologia Visita ad una piccola azienda agricola Contatto Tel. 0465.32.17.35 - Sito: http://www.guetti.tn.it 45 Capitolo 3 Progetti nell’area dell’Educazione religiosa: esperienze, riflessioni e suggerimenti operativi Questa dimensione accoglie progetti ed esperienze significative di educazione religiosa. I progetti individuati e presentati si focaliz- zano sui nodi centrali del discorso religioso non avulso da alcuni importanti temi del nostro tempo. Si può osservare e fare tesoro dei molti spunti didattici proposti all’interno dei progetti di quest’area partendo, ad esempio, dalla questione dell’equilibrio ecologico del nostro pianeta. Nell’unità di apprendimento “Il creato nelle mani del- l’uomo” (n. 11) troviamo un’analisi approfondita di termini quali sviluppo sostenibile, consumo responsabile e solidale in una chiave teologica e vissuto religioso profondo. “Gli adolescenti chi sono?” (n. 10) è invece un interessante percorso didattico sull’identità adole- scenziale che passa attraverso quelle domande che i ragazzi si pongono soprattutto quando si confrontano con contesti sociali e personali a loro nuovi e scono- sciuti. Il passaggio adolescenziale è anche un pas- saggio dalla centralità delle relazioni famigliari alla centralità delle relazioni amicali. Nella proposta sono presentate attività personali, di coppia e di gruppo in grado di portare i giovani ad una più approfondita analisi del proprio vissuto emozionale, psicologico e sociale. Il lavoro tiene in considera- zione l’ambito scuola come centro di lavoro e sviluppo delle relazioni amicali, di socializzazione, ma anche come luogo di cammino spirituale, nonché occasione relazionale che si afferma con l’incontro e il dialogo. All’interno di questo spazio, non mancano progetti che rivisitano, con l’ausilio di nuove metodologie, te- matiche di alto profilo spirituale. Si propongono obiet- tivi (talvolta anche molto impegnativi), quali l’educare i giovani alla santità, ovvero ad un’umanità piena e a im- magine di Gesù ed essere pienamente uomini e donne. 46 Un esempio è rappresentato dal progetto “Vero su bianco” (n. 7) che sottolinea e definisce alcuni criteri di base per poter trasformare l’intenzionalità in progetto educativo, affrontando tematiche quali: interiorità, silenzio, pensosità, ascolto, preghiera e discernimento per cogliere l’azione di Dio nel mondo e nella vita di ogni persona. Gli aspetti della progettazione presi in considera- zione sono: coerenza degli obiettivi educativi con la realtà e le esigenze reali delle persone che ne devono fruire; flessibilità del progetto al cambiamento di alcune dinamiche mantenendo la fi- nalità del progetto stesso; comunicabilità delle intenzioni portate avanti con il progetto; risorse che s’intendono impiegare lungo il cammino; verificabilità del progetto soprat- tutto in termini qualitativi. Su questi temi s’innestano, poi, le letture bibliche e alcune testi di musica leggera e sacra, testi che invitano a riflettere sulle problematiche ancora aperte dei diritti umani e su altre tappe necessarie ad aprire un dibattito con le giovani generazioni all’interno delle nostre comunità educative. Fondamentale, in termini educativi, è la proposta dei sussidi per la preghiera (“Tutti i prezzi della nostra vita”, n. 6) coniugati con lo sviluppo dei temi quali quelli del consumo, del tempo libero e delle relazioni sociali, o ancora la ricerca e l’approfondimento del messaggio evangelico e biblico veico- lati attraverso una elaborazione e sperimentazione di nuovi spunti didattici. A fare da sfondo al “Progetto educativo di Istituto” (n. 4) vi sono due brani del Vangelo di Matteo: «Le beatitudini nel discorso della montagna» (Mt 5,1-12) e la «Parabola dei ta- lenti» (Mt 25,14-30) letture che recano in sé un progetto teso a valorizzare, all’interno della comunità scolastica, l’educazione all’interiorità, all’austerità, all’onestà, alla gratuità e al rigore intellettuale. Finalità del progetto è riproporre una formazione integrale della persona. Non mancano, al suo interno, un’attenzione alla dimensione creativa, quale nodo centrale per richiamare l’origi- nalità di ogni persona, in questo caso del giovane. Sono presenti, inoltre, la dimen- sione storico-politica e quella della laicità, quali basi educative per assumere un ruolo attivo nella costruzione di una società più coesa intorno ai valori del rispetto e dell’integrazioni delle diversità culturali e religiose nel territorio Europa. I temi della pace, della solidarietà e della mondialità accompagnano la proposta educativa del progetto “L’uomo secondo il cristianesimo. Pace, solidarietà e mondialità” (n. 3) il cui obiettivo è presentare alcune forme di impegno contem- poraneo a favore della pace, della giustizia e della solidarietà. 47 1. TESTIMONI PRIVILEGIATI ASCOLTATI Zelindo TRENTI - UPS Roberto ROMIO - LA RIVISTA DI RELIGIONE Giuseppe TACCONI - UNIVERSITÀ VERONA Giosuè TOSONI - CEI Attilio BONDONE - CONFAP Carlo NANNI - UPS Vito ORLANDO - UPS 2. FONTI UTILIZZATE www.acli.it Portale delle Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani www.anir.it Portale dell’Associazione nazionale degli insegnanti di religione www.azionecattolica.it Portale dell’Azione cattolica italiana www.bologna.chiesacattolica.it/irc Arcidiocesi di Bologna - Ufficio IRC www.corsodireligione.it Sito che offre risorse sulle varie religioni, ma anche sull’etica e la morale www.elledici.org/periodici/sommario_scuola.php?LOAD_TYPE=INRE&AREA= periodici.it Sito della rivista “Insegnare religione” www.elledici.org/periodici/sommario_scuola.php?LOAD_TYPE=ORARE&AREA= periodici.it Sito della rivista “L’ora di religione” www.emscuola.org Rassegna sulle esperienze multimediali nella scuola www.etwinning.net Azione principale del programma di e-Learning dell’Unione Europea che pro- muove la collaborazione tra le scuole www.gioc.org Sito di Gioventù cristiana operaia www.orarel.com/home.shtml Sito dell’ora di religione 48 www.queriniana.it/rivista.asp?id=992 Sito della rivista “Religione e scuola” www.rivistadireligione.it Sito della rivista “Rivista di religione” ACLI, Accogliere il Regno nella fraternità, Roma 2004. BOSCO T., I cristiani e il lavoro, Elledici, Leumann (TO) 2006. MOCCIA V. (a cura di), Lavoro formazione Vangelo, La Lucertola, Torino 2000. OTTAVIANO P., I fondamenti del Cristianesimo, Elledici, Leumann (TO) 2005. PEDRALI L. (a cura di), È l’ora delle religioni, Editrice Missionaria Italiana, Bologna 2002. SAPIENZA P., Via Crucis di Gesù, via Crucis del lavoratore, Acli Sicilia, Catania 2006. SERVIZIO NAZIONALE PER L’INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE CATTOLICA, Insegnamento della religione cattolica: il nuovo profilo, Editrice La Scuola, Brescia 2006. TACCONI G., L’educazione religiosa negli istituti di istruzione e Formazione Professionale di ispirazione cristiana, in CENTRO STUDI PER LA SCUOLA CATTOLICA (a cura di), Educazione religiosa. Scuola cattolica in Italia. Settimo rapporto, La Scuola, Brescia 2005. TACCONI G., Lo schema di Decreto sul secondo ciclo: l’insegnamento della religione cattolica nel sistema dell’istruzione e formazione professionale, in “Rassegna CNOS”, anno 21 / n. 2 – 2005. TONINI M., Educazione religiosa e insegnamento della Religione Cattolica nel sistema di Istruzione e Formazione Professionale, “Rassegna CNOS”, 3(2003), 40-47. TONINI M., “Il sistema di Istruzione e formazione professionale” in TRENTI Z. (a cura di), Manuale del- l’insegnamento di religione. Competenza e professionalità, Elledici, Leumann (TO) 2004, 347-364. 3. MAPPA DEI CONCETTI E DELLE PAROLE CHIAVE 49 4. SCHEDE DEI PROGETTI Come accennato nell’introduzione, attraverso schede di sintesi, presentiamo le “buone pratiche” suddivise in “progetti strutturati” e “altro”. 4.1. Strutturati Titolo 1) I personaggi famosi dell’Antico e del Nuovo Testamento Autore Helpdesk europeo di eTwinning insieme a insegnanti di diverse nazioni Promotore Partner 2 scuole di due Paesi diversi Altri soggetti Data Destinatari Bambini tra i 5 e i 12 anni Finalità Far familiarizzare con i testi biblici, le vite e i valori dei loro personaggi; favo- rire la comunicazione efficace sia con i compagni che con i partner all’estero; incrementare lo sviluppo di competenze interculturali; incrementare l’espres- sione artistica e la creatività; facilitare la comprensione di base di concetti come giustizia, verità, compassione, generosità, perdono, lealtà, amore, ecc. Contenuti Testi biblici, biografie Tempi 1-3 mesi Risorse Insegnanti, Coordinatore PC, Internet, videocamera, scanner, videoconferenza, testi Metodologia Letture, videoproiezioni, lavori in gruppo, creazione powerpoint, giochi inte- rattivi, creazione dizionario dei personaggi biblici, spettacoli, composizione musiche, gite Contatto Sito: http://www.etwinning.net/ww/it/pub/etwinning/ideas_and_practice/project _kits/citizenship/kit_for_religious_education.htm Titolo 2) In ascolto dei giovani nei loro ambienti di vita Autore GIOC (Gioventù Operaia Cristiana) Promotore Partner Altri soggetti Data 2007-09 Destinatari Giovani in generale Finalità Mettersi in ascolto dei giovani incontrandoli nei luoghi da loro frequentati abitualmente, raccogliere il loro vissuto (problematiche, vissuto, aspirazioni, esigenze), proporre occasioni di dibattito Contenuti I giovani e il loro ambiente Tempi Risorse Educatori Questionari, schede 50 Metodologia Riflessioni di gruppo, somministrazione questionari, interviste, RDV, simula- zioni, incontri residenziali Contatto Tel. 011.54.18.06 - Sito: http://www.gioc.org Titolo 3) L’uomo secondo il cristianesimo. Pace, solidarietà e mondialità Autore Cosima Tarantino Promotore Partner Altri soggetti Data 2005 Destinatari Allievi di scuola professionale Finalità Conoscere e interpretare correttamente alcune forme di impegno contempo- raneo a favore della pace della giustizia e della solidarietà Contenuti IRC Tempi 3 mesi Risorse Insegnanti Testi, schede Metodologia Lezioni interattive, ricerche, riflessione metacognitiva, lavori di gruppo, dibat- titi e confronti, ascolto e lettura di testi, brainstorming, mappe concettuali Contatto Sito: www.rivistadireligione.it Titolo 4) Progetto educativo dell’Istituto “Massimiliano Massimo” Autore Istituto “M. Massimo” di Roma Promotore Partner Altri soggetti Data Destinatari Studenti Finalità Indicare le linee programmatiche dell’attività educativa dell’Istituto Massimi- liano Massimo di Roma Contenuti Tematiche religiose e modello etico Tempi Risorse Metodologia Contatto Tel. 06.54.39.61 - Sito: http://www.istitutomassimo.com Titolo 5) Progetto scolastico dell’IRC Autore Giovanna Di Luciano (ITIS “V Cerulli” di Giulianova) Promotore Partner Altri soggetti Data 2004-08 51 Destinatari Studenti di scuola superiore Finalità Favorire la capacità di misurarsi con le proprie risorse e con le proprie re- sponsabilità, come “soggetto” capace di autonomia critica e di presenza co- struttiva nell’ambito del lavoro, delle relazioni umane, della convivenza ci- vile. Questa finalità si inserisce nel più ampio quadro delle finalità di Istituto: offrire una preparazione di base che renda lo studente capace di conoscere, saper essere, saper fare; promuovere in ciascun allievo la capacità d’inseri- mento nel territorio, intesa quale abilità a cogliere le risorse dello stesso, adat- tare le proprie risorse alle offerte socio-lavorative, interagire con la realtà che lo circonda, proponendosi come elemento attivo, portatore di nuove energie e di idee; condividere un impegno qualitativo con le agenzie formative mirato alla promozione del benessere individuale e collettivo; progettare percorsi di lavoro in raccordo con le agenzie formative presenti nel territorio Contenuti IRC Tempi 5 anni Risorse In base agli interessi e agli argomenti ritenuti significativi verranno fatte scelte e selezionati documenti, testi, quotidiani, film, riviste informative, uscite guidate Metodologia Analisi di testi, esercizi di rielaborazione e sintesi; lavori di gruppo, indivi- duali, a coppie; attività di laboratorio di studio; proiezioni di film, immagini, foto; brainstorming; problem-solving; videoconferenze Contatto Sito: http://www.iiscerulli.it/home.php?sud=d75e987c2eadbf0537ea230f0b0 dcb8c Titolo 6) Tutti i prezzi della nostra vita Autore GIOC (Gioventù Operaia Cristiana) Promotore Partner Altri soggetti Data 2006 Destinatari Finalità Realizzare un’esperienza di preghiera e riflessione su temi quali quelli del consumo, del tempo libero e delle relazioni sociali, la ricerca e l’approfondi- mento del messaggio evangelico e biblico Contenuti Educazione al consumo responsabile, tematiche religiose Tempi 4 giorni Risorse Educatori, sacerdote Struttura di accoglienza, sussidio per la preghiera Metodologia Residenziale, lavori di gruppo, riflessioni guidate, condivisione esperienze personali, simulazioni, interventi di esperti, Lectio Divina Contatto Sito: http://www.gioc.org/articolo.asp?idart=871 Titolo 7) Vero... su bianco Autore Azione Cattolica Promotore 52 Partner Altri soggetti Data 2005 Destinatari Educatori di giovani (19-30 anni) Finalità Fornire alcuni criteri di base per aiutare l’educatore a trasformare l’intenzio- nalità in progetto educativo Contenuti Tematiche religiose, tematiche sociali, tecniche di animazione Tempi 1 anno Risorse Letture bibliche, testi di musica leggera e sacra, scritti che invitano a riflettere sulle problematiche dei diritti umani Metodologia Il documento fornisce spunti per la programmazione, la metodologia di lavoro, il monitoraggio degli obiettivi del percorso e materiali utili per affrontare le tematiche previste Contatto Sito: http://www.azionecattolica.it 4.2. Altri Titolo 8) CFP: luoghi d’incontro fra culture diverse. Quale proposta di fede? Autore Ufficio Pastorale Sociale e del Lavoro – Regione Conciliare Piemontese Promotore Partner Altri soggetti Esponenti Ufficio Migranti Data 2006 Destinatari Gruppi tecnici (Pastorale del lavoro) Finalità Approfondire la tematica del dialogo interreligioso riconoscendo le proprie radici cristiane in funzione di un accoglimento reciproco tra le diverse fedi Contenuti Dialogo interreligioso Tempi 1 giorno Risorse Metodologia Lavori di gruppo, riflessioni guidate, interventi di esperti, laboratorio perma- nente Contatto Sito: http://www.diocesi.torino.it/vari/update2007.htm Titolo 9) Dispensa di cultura religiosa Autore Casa di Carità Arti e Mestieri Promotore Partner Altri soggetti Data Destinatari Allievi del I anno della FP Finalità Far conoscere l’ente ospitante; favorire la riflessione su di sé e sulla vita Contenuti Proposta formativa di Casa di Carità 53 Tempi Anno formativo Risorse Formatori Dispensa Metodologia Lezioni frontali, questionari, schede Contatto Sito: http://www.casadicarita.it Titolo 10) Gli adolescenti chi sono? Cosa vogliono? Autore Lucillo Maurizio Promotore Partner Altri soggetti Data Destinatari Studenti Finalità Fornire un percorso didattico sull’identità adolescenziale che passa attraverso quelle domande che ragazzi e ragazzi si pongono soprattutto quando si con- frontano con dei contesti sociali e personali a loro nuovi e sconosciuti Contenuti Identità dell’adolescente Tempi Risorse Insegnanti Metodologia Attività personali, di coppia e di gruppo in grado di portare i giovani ad una più approfondita analisi del proprio vissuto emozionale, psicologico e sociale tenendo in considerazione l’ambito scuola come centro di lavoro e sviluppo delle relazioni amicali, di socializzazione, ma anche come luogo di cammino spirituale nonché occasione relazionale che si afferma con l’incontro e il dia- logo Contatto Sito: http://www.anir.it/didattica/strumenti/ins_relig.htm Titolo 11) Il creato nelle mani dell’uomo Autore Cosima Tarantino Promotore Partner Altri soggetti Data 2006 Destinatari Studenti Finalità Divulgare la conoscenza biblica sul creato; aiutare a cogliere la visione cristiana della questione ecologica; favorire l’individuazione del contributo che le varie religioni danno alla questione ambientale; facilitare l’acquisizione di alcune regole per uno stile di vita sobrio e responsabile; approfondire espressioni quali “sviluppo sostenibile”, “consumo responsabile e solidale”, in chiave teologica e con un vissuto religioso profondo Contenuti IRC Tempi 1 anno scolastico Risorse Insegnanti 54 Metodologia Brainstorming, lavori di gruppo, ricerche, analisi documenti, redazione schede, comunicazioni in assemblea, lezioni interattive Contatto Sito: www.rivistadireligione.it Titolo 12) La legge: libertà nella prospettiva dell’altro Autore Prof. Maurizio Rossi (ISSR di Mantova) Promotore Partner Altri soggetti Data Destinatari Studenti Finalità Presentare un dispositivo didattico facilmente spendibile in aula e stimolare un dibattito sulla struttura e sulla natura dell’IRC Contenuti IRC Tempi Risorse Docenti Aule, supporti cartacei Metodologia Lezioni frontali, simulazioni, lavori di gruppo Contatto Titolo 13) La storia delle origini Autore Maurizio Gallo (scuola “Leonardo da Vinci” di Merano) Promotore Partner Altri soggetti Gianfranco Forza (Liceo Pedagogico di Merano) - Studenti (Liceo Pedagogico di Merano) Data 2002/2003 Destinatari Alunni V elementare Finalità Facilitare la conoscenza dei testi biblici Contenuti Testi biblici Tempi 1 quadrimestre Risorse Docenti Dispensa Metodologia Lezioni frontali Contatto Sito: http//www.ipbz.it/CentroRisorse/Visualizzazione.aspx?area=14&sezione =264&id=514&template=43 Titolo 14) Un esempio di vita cristiana - Perché la sofferenza Autore Casa di Carità Arti e Mestieri Promotore Partner Altri soggetti 55 Data 2003 Destinatari Apprendisti della FPI Finalità Tempi Tematiche religiose Risorse Formatori Dispense Metodologia Lezione frontale Contatto Sito: www.casadicarità.it Titolo 15) Una festa speciale Autore Giuseppe Cursio Promotore Partner Altri soggetti IIS “Paolo Baffi” di Fiumicino Data 2005 Destinatari Studenti Finalità Lo studente è incoraggiato ad elaborare - attraverso la forma scritta - un’espe- rienza di festa vissuta con gli amici, identificando in particolare gli stati d’a- nimo che ha vissuto e le qualità di alcune persone con le quali ha festeggiato, così lo studente inizia ad individuare le sue domande fondamentali circa la cultura e religione ebraica Contenuto Dialogo interreligioso Tempi Risorse Docenti Metodologia Interviste, giochi, brainstorming Contatto 57 Capitolo 4 Progetti nell’area dell’Educazione Salesiana: esperienze, riflessioni e suggerimenti operativi Sotto la voce Educazione Salesiana sono raccolte esperienze di alcune nostre comunità educatrici il cui senso è quello di dare vita ad obiettivi fondamentali quali: – dare il primato di Dio e fare spazio alla condivi- sione dell’esperienza spirituale, così da diventare “segni trasparenti di Dio” in una società secolariz- zata; – organizzare in modo adeguato e coerente il ritmo della vita comunitaria, le attività e gli orari della vita religiosa e del servizio educativo pastorale, salvaguardando lo stile salesiano; – garantire che i consigli evangelici rendano traspa- rente la gratuità, l’offerta incondizionata, l’amore senza misura e senza risparmio; – vivere la santità come evento che narra in maniera creativa e poetica la bellezza dell’amore di Dio, una santità realizzata attraverso una presenza viva tra i giovani e i laici, capace di costruire comunione, promuovere la missione e diventare luogo di crescita vocazionale. Quelli appena indicati sono anche alcuni punti chiave dell’esperienza educativa proposta nel “Progetto della comunità salesiana” (n. 8) che apre questa dimensione e identifica alcuni elementi co- muni tra le diverse esperienze. “Amatevi come io vi amo” (n. 3) ha come nodi centrali i seguenti contenuti: una riflessione sulla nozione e le ambiguità del termine relazione; un approfondimento teologico sulla relazionalità; una caratterizzazione di contenuto sulla comu- nione ecclesiale come forma autentica di rela- zione; una rappresentazione profonda degli stati di vita del cristiano. 58 Il “Progetto della comunità formatrice” (n. 7) consiste in una ricerca concreta sulla dimensione della chiamata di Dio e su una forma di santità condivisa che rin- novi lo spirito che anima una comunità salesiana. Il progetto si propone quale in- vito ad una riflessione interna di una comunità e può essere modello per una spinta all’analisi di quanto, ogni comunità stessa è riuscita a costruire. Non vengono però tralasciati i punti deboli di una comunità perché molto utili per costruire e svilup- pare una comunità formatrice veramente responsabile. Si tratta, in quest’ultima dimensione, di accogliere proposte educative che danno voce e manifestano una cultura progettuale che guidi le comunità salesiane di Don Bosco. I progetti ricalcano e rinnovano la missione salesiana, rappresentan- dola nei differenti contesti d’intervento ad esempio, “Progetto Educativo Pastorale Salesiano – PEPS” (n. 1). Parte dalla lettura del “sogno delle due colonne” di Don Bosco l’esperienza “Un possibile itinerario per lo sviluppo della proposta per giovani/ragazzi” (n. 10) per aprire un itinerario educativo all’insegna di una proposta di fede, radicata al- l’interno del forte impegno formativo delle comunità. L’obiettivo è creare un clima di disponibilità, apertura e accoglienza all’interno di ogni comunità. Non mancano poi progetti operativi legati a temi chiave quali la povertà eco- nomica e culturale che generano il fenomeno della dispersione scolastica soprat- tutto in alcune parti del nostro Paese. A questo ambito appartiene l’esperienza “Sentirsi a casa” (n. 9), realiz- zata in sette comunità locali del sud Italia, i cui obiettivi sono: – elaborare, sperimentare, verificare e diffondere un modello di intervento preventivo a favore dei mi- nori a rischio di dispersione scolastica e di coin- volgimento in attività criminali; – contrastare il fenomeno della devianza e dell’esclusione minorile nelle scuole e nel territorio, promuovendo l’inserimento sociale dei minori. Al problema crescente della diffusione d’uso di sostanze psicoat- tive e dopanti e alla possibilità educative di contrastare il feno- meno è dedicato il lavoro “Drug-stop” (n. 4). I suoi obiettivi ge- nerali sono: – elaborare, sperimentare, verificare, diffondere un modello di intervento pre- ventivo primario a favore di adolescenti a rischio di uso/abuso di sostanze psi- coattive e dopanti; – individuare, sostenere, diffondere le buone pratiche legate al tema della pre- venzione primaria; – prevenire l’uso di sostanze promovendo una cultura del benessere e della sa- lute psicofisica. 59 È presente in questa serie di progetti di educazione salesiana “Una comunità a colori. Percorsi di integrazione dei minori stranieri” (n. 2) il cui obiettivo è l’integra- zione reale dei minori stranieri nella realtà comunitaria salesiana. Gli obiettivi di quest’ultimo progetto sono: – superare la ghettizzazione e la diffidenza dell’ambiente, delle famiglie e dei ragazzi italiani, nei confronti dei minori stranieri; – sostenere quei percorsi di conoscenza che si attuano già nelle scuole, nei centri aggregativi, nelle parrocchie; – sostenere la comunità locale nel percorso di empowerment sul problema immi- grazione; – creare un clima di “comunità” e di “accoglienza” nei centri partecipanti al progetto (centri aggregativi, centri diurni, centri giovanili) e nel territorio di riferimento dove essi operano; – aiutare la comunità locale a superare la differenza religiosa e culturale in un clima di reciproco rispetto, non negando le differenze, bensì accogliendole come risorse per un comune cammino di crescita che favorisca la domanda di eterno e di trascendente che s’annida in ogni persona; – abilitare gli operatori (volontari e dipendenti) dei centri che partecipano al pro- getto ad essere anche per i minori stranieri figure significative e di supporto educativo. Meritano infine di essere ricordati a chiusura di questa serie di progetti inseriti nell’ambito dell’educazione salesiana l’esperienza “Io sono il Signore Dio tuo e non avrai altro Dio infuori di me” (n. 6), che offre spunti di riflessione quotidiana a partire dalla conoscenza più approfondita dei Dieci Comandamenti, e il progetto “In-Tessuti di Vita” (n. 5) utile per dare una traccia omogenea in merito al “Buon- giorno mattutino”, tipico strumento dell’esperienza salesiana. 1. TESTIMONI PRIVILEGIATI ASCOLTATI Aldo GIRANDO - UPS Kosè Manuel PROIESO - UPS Carlo NANNI - UPS Vito ORLANDO - UPS Giancarlo DE NICOLÒ - CENTRO SALESIANO DI PASTORALE GIOVANILE Don Giuseppe CASTI - CENTRO SALESIANO DI PASTORALE GIOVANILE Silvio ZANCHETTA - ISPETTORIA SALESIANA NORD EST Enrico PERETTI - CENTRO SALESIANO DI PASTORALE GIOVANILE Meinolf VON SPEE - DON BOSCO INTERNATIONAL Angel MIRANDA - DON BOSCO INTERNATIONAL 60 2. FONTI WEB UTILIZZATE www.donboscoland.it Sito del Comitato VIS San Marco, espressione locale del Volontariato Internazionale per lo Sviluppo www.sdb.org Informazioni sulle attività, i luoghi e le iniziative culturali della comunità salesiana 3. MAPPA DEI CONCETTI E DELLE PAROLE CHIAVE 61 4. SCHEDE DEI PROGETTI Come accennato nell’introduzione, attraverso schede di sintesi, presentiamo le “buone pratiche” suddivise in “progetti strutturati” e “altro”. 4.1. Strutturati Titolo 1) Progetto Educativo-Pastorale Salesiano (PEPS) Autore Dicastero della Pastorale Promotore Partner Altri soggetti Data 2000 Destinatari Coloro che operano nel campo della pastorale giovanile Finalità Delineare un programma di pastorale giovanile da promuovere a livello locale, all’interno delle comunità salesiane Contenuti Pastorale giovanile Tempi Risorse Metodologia Contatto Sito: www.sdb.org Titolo 2) Una comunità a colori. Percorsi d’integrazione dei minori stranieri Autore SCS/CNOS Promotore Partner Altri soggetti Centro Nazionale di Documentazione sull’infanzia e l’adolescenza, Ministero del Welfare - Ufficio Associazionismo, Enti locali, Ufficio Migranti delle Caritas di riferimento, Associazioni e gruppi informali di immigrati, Associa- zioni ed enti del Terzo Settore che si occupano di immigrazione Data Destinatari Minori stranieri, con famiglie e non accompagnati, presenti sul territorio italiano; famiglie italiane e straniere; minori italiani che frequentano i centri afferenti al progetto Finalità Superare la ghettizzazione e la diffidenza dell’ambiente, delle famiglie e dei ragazzi italiani nei confronti dei minori stranieri; sostenere la comunità locale nel percorso di empowerment sul problema immigrazione; creare un clima di “comunità” e di “accoglienza” nei centri partecipanti al progetto e nel terri- torio di riferimento dove essi operano; aiutare la comunità locale a superare la differenza religiosa e culturale in un clima di reciproco rispetto Contenuti Fenomeno immigrazione, dinamiche di integrazione, multiculturalità Tempi 22 mesi Risorse Educatori professionali, mediatori culturali, studiosi ed esperti del fenomeno dell’immigrazione, insegnanti, centri aggregativi, centri diurni, centri giovanili 62 Metodologia Interventi di informazione e formazione, feste, convegni, dibattiti, seminari Contatto Sito: http://www.federazionescs.org 4.2. Altri Titolo 3) Amatevi come io vi amo Autore SCS/CNOS Promotore Partner Altri soggetti Data 2001-02 Destinatari Finalità Organizzare in modo adeguato e coerente, attorno al mistero della comunione ecclesiale, il ritmo della vita comunitaria, le attività e gli orari della vita reli- giosa e del servizio educativo pastorale. Contenuti Riflessioni sulla nozione e le ambiguità del termine relazione; approfondi- mento teologico sulla relazionalità; caratterizzazione di contenuto sulla comu- nione ecclesiale come forma autentica di relazione; rappresentazione pro- fonda degli stati di vita del cristiano Tempi 9 mesi Risorse Metodologia Incontri per definire i calendari, le strategie, le modalità, gli obiettivi delle at- tività e delle proposte Contatto Sito: www.sdb.org Titolo 4) Drug Stop Autore SCS/CNOS - PGS Promotore Partner Altri soggetti Enti locali e pubblici, Scuole Data Destinatari Adolescenti a rischio di uso/abuso di sostanze psicoattive e dopanti Finalità Elaborare, sperimentare, verificare, diffondere un modello di intervento pre- ventivo primario a favore di adolescenti a rischio di uso/abuso di sostanze psi- coattive e dopanti; individuare, sostenere, diffondere le buone pratiche legate al tema della prevenzione primaria; prevenire l’uso di sostanze promovendo una cultura del benessere e della salute psicofisica Contenuti Uso e abuso di sostanze tossiche, competenze di ascolto, tecniche di anima- zione, abilità sociali, competenze educative, autostima Tempi 18 mesi Risorse Educatori, docenti, allenatori, dirigenti Metodologia Peer education, training, animazione socio-culturale, incontri interattivi Contatto Sito: http://www.federazionescs.org 63 Titolo 5) In-Tessuti di Vita Autore Don Massimo Del Ben Promotore Associazione CNOS-FAP Lombardia Partner Altri soggetti Data Settembre 2008 Destinatari I formatori del CFP Finalità Per dare una traccia che sia uniforme in merito buongiorno mattutino dei for- matori Tempi Anno formativo Risorse Formatori Dispense Metodologia Dialogo, comunicazione diretta Contatto Sito: www.salesianisesto.org Titolo 6) Io sono il Signore Dio tuo e non avrai altro Dio fuori di me Autore CNOS-FAP di Perugia Promotore Partner Altri soggett Data 2008-09 Destinatari Allievi FP Finalità Offrire spunti di riflessione quotidiana a partire dai Comandamenti Tempi Anno formativo Risorse Educatore Metodologia Dialogo, comunicazione diretta Contatto E-mail: segreteria.perugia@cnos-fap.it Titolo 7) Progetto della comunità formatrice Autore Comunità formatrice Don Bosco Crocetta Promotore Partner Altri soggetti Data 2003-04 Destinatari Membri della Comunità Finalità Favorire la dimensione spirituale (Primato di Dio), approfondire le relazioni fraterne, la cura della salesianità, l’assunzione dello studio come missione Contenuti Ricerca concreta circa la dimensione della chiamata di Dio e su una forma di santità condivisa che rinnovi lo spirito che anima una comunità salesiana Tempi Risorse 64 Metodologia Riflessioni interne di una comunità da utilizzare come modello per una spinta all’analisi di quanto, ogni comunità stessa è riuscita a costruire. Non trala- sciando i punti deboli di una comunità perché molto utili anche quest’ultimi, per costruire e sviluppare una comunità formatrice veramente responsabile Contatto Sito: www.sdb.org Titolo 8) Progetto della Comunità Salesiana Autore Dicastero della Formazione Promotore Partner Altri soggetti Data 2003-04 Destinatari Una comunità salesiana che anima una scuola (Elementare, Medie e Liceo), una chiesa pubblica, un oratorio - centro giovanile quotidiano e una casa di accoglienza e aiuto per immigrati Finalità Organizzare in modo adeguato e coerente il ritmo della vita comunitaria, le attività e gli orari della vita religiosa e del servizio educativo pastorale Contenuti Discernimento sulle 5 parti delle Costituzioni Tempi Anno formativo Risorse Metodologia Incontri per definire i calendari, le strategie, le modalità, gli obiettivi delle attività e delle proposte Contatto Sito: www.sdb.org Titolo 9) Sentirsi a casa Autore SCS/CNOS Promotore Partner Altri soggetti Enti associati alla Federazione SCS/CNOS, enti partner (pubblici e privati), agenzie educative, reti sociali informali, centri educativi territoriali Data Destinatari Minori a rischio di dispersione scolastica e di coinvolgimento in attività crimi- nali Finalità Elaborare, sperimentare, verificare, diffondere un modello di intervento preven- tivo a favore dei minori a rischio di dispersione scolastica e di coinvolgimento in attività criminali; contrastare il fenomeno della devianza e dell’esclusione mino- rile nelle scuole e nel territorio, promuovendo l’inserimento sociale dei minori Contenuti Indici predittivi e fattori di rischio del disagio, stereotipi e pregiudizi, compe- tenze d’ascolto Tempi Risorse Insegnanti, educatori, catechisti, volontari, famiglie, operatori di strada Strutture, sito web, questionario, schede Metodologia Laboratori, formazione RU, incontri Contatto Sito: http://www.federazionescs.org 65 Titolo 10) Un possibile itinerario per lo sviluppo della proposta per giovani/ ragazzi Autore Ispettoria Salesiana “San Marco” e “Madre Mazarello” Promotore Partner Altri soggetti Data 2004-05 Destinatari Giovani Finalità Educare i giovani “a fare giovane la Chiesa e fare che essi siano Chiesa”. L’obiettivo è quello di creare un clima di disponibilità, apertura e accoglienza all’interno di ogni comunità attraverso un itinerario educativo all’insegna di una proposta di fede Contenuti Spunti dalla vita di don Bosco, Brani del Vangelo Tempi 1 anno liturgico Risorse Testi di riferimento Metodologia Incontri mensili Contatto Sito: www.sdb.org Parte seconda I CRISTIANI E IL LAVORO 69 PREMESSA Il lavoro raccolto in questa parte rientra nella dimensione storico-teologica e può essere utilizzato come strumento per ampliare la conoscenza sulla vita di alcuni Santi, del loro impegno nel mondo dei lavoratori, e sulla posizione assunta dalla Chiesa, attraverso la Dottrina Sociale, in merito a tematiche cruciali per la vita dell’uomo come quella del lavoro. Gli educatori e i formatori possono prendere spunto per lavorare insieme ai giovani su questi argomenti e approfondire, a seconda del periodo storico di riferimento o dell’interesse didattico su una particolare figura, le argomentazioni proposte. Il materiale presente è stato tratto in massima parte dal testo di T. Bosco “I Cri- stiani e il Lavoro” (ELLEDICI, Torino, 2006) e da alcuni siti internet specializzati. Questa parte del volume si concretizza in tre capitoli e un’appendice di appro- fondimento. I tre capitoli sono strutturati con modalità similari: un breve accenno al contesto storico e un successivo approfondimento dedicato alle Figure dei Santi inseriti nel loro periodo di riferimento. Nel primo capitolo dopo aver tracciato un quadro storico in merito al periodo dell’Europa del 400-500 si presenta la luminosa figura di San Benedetto e l’azione dei suoi monaci. Nel secondo capitolo si descrive sinteticamente la grave crisi che attraversò l’Europa e l’Italia nel 1500 e 1600, e si traccia la figura di nove Santi che hanno dato vita alla cosiddetta “rivoluzione della carità sociale”. Nel terzo capitolo si affrontano i temi della rivoluzione industriale e della questione operaia e si presentano ventuno figure di Santi che, inseriti nel loro tempo, hanno operato per i giovani o a fianco dei poveri della Terra. Nel quarto capitolo si presenta una breve storia della Dottrina Sociale della Chiesa attraverso le figure di tre grandi Papi: Leone XIII, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. A chiusura, in appendice, per completezza di informazione si offre il Cap. VI del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa. 1. FONTI WEB UTILIZZATE www.afgp.it www.aicu.it www.angelamerici.it 70 www.barnabiti.it wwwcasadicarita.it www.centroannalenatonelli.it www.cgfmanet.org www.clonline.org www.difrancia.net www.donlorenzomilani.it www.donorione.org www.kolbemission.org www.lasalle2.org www.lodovicopavoni.it www.murialdo.org www.ora-et-labora.net www.pddm.it www.santiebeati.it www.sanvincenzoitalia.it www.scolopi.org www.scuolecanossiane.org www.sdb.org www.stimmatini.it 2. MAPPA DEI CONCETTI E DELLE PAROLE CHIAVE DIMENSIONE STORICO - TEOLOGICA 71 Capitolo 1 L’Europa tra il 400 e il 500. Le devastanti invasioni barbariche e la luminosa figura di San Benedetto 1. NEL 167 I POPOLI GERMANI VARCANO IL DANUBIO Intorno all’anno 150 dopo Cristo, al di là dei fiumi Elba e Danubio (che i Romani considerano il limes, cioè il confine del loro Impero), i popoli germani sono in piena espansione. Sono i Goti, i Vandali, i Burgundi, i Longobardi, gli Iazidi, i Marcomanni. Intorno al 150 una nuova ondata nordica, il popolo dei Gepidi, sbarca nell’estuario del fiume Vistola. Spinto a sud forse da un raffredda- mento del clima, i Gepidi entrano nel territorio dei Goti e dei Burgundi, che a loro volta emigrano verso est e verso sud, cozzando contro i Vandali, i Longobardi, gli Iazidi e i Marcomanni. Stretti alle spalle, questi ultimi popoli superano il Danubio e dilagano verso sud. Nella primavera del 167 c’è il primo grande scontro: i Marcomanni e i Longo- bardi sconfiggono novemila soldati romani che sorvegliano il confine con l’Austria (Norico), mentre gli Iazidi invadono la Dacia e occupano le preziose miniere d’oro (che i Romani sfruttano da più di cent’anni). Ovunque le popolazioni fuggono, il panico dilaga per tutte le province di frontiera. Mentre Roma (dov’è imperatore Marco Aurelio) è devastata dalla peste, i popoli germani saccheggiano le province romane, e nel 169 irrompono su Aquileia, nella pianura dell’Isonzo. Poiché la guarnigione della città resiste, saccheggiano e bruciano i dintorni. A Roma insieme alla peste dilaga il panico. Per formare in qualche modo un esercito (scrive G. Capitolino in Storia Augusta) Marco Aurelio arruola gli schiavi, arma i gladiatori, trasforma in soldati i briganti. Per la prima volta nella storia, l’Impero deve difendersi invece di attaccare, e questo in terra italiana. I popoli in- vasori vengono chiamati ‘barbari’, cioè gente che parla una lingua incomprensibile. Da quel 167 le invasioni dei barbari si rinnovano periodicamente e non cessano più. I Goti (divisi in Visigoti e Ostrogoti) scendono a loro volta a devastare la Gallia, la Spagna, l’Africa, l’Italia. Sono a loro volta spinti alle spalle da un nuovo e feroce popolo barbaro: gli Unni di Attila, che verrà chiamato (per le sue tremende devastazioni) ‘il flagello di Dio’. Gli Ostrogoti si alleano con gli Unni e insieme devastano la Gallia. Gli imperatori che tentano di arrestare quell’immensa cascata di popoli sono sterminati insieme ai loro eserciti, da Decio nel 251 a Valente nel 378. 72 2. ROMA SACCHEGGIATA Il punto culminante di questo vero ‘tsunami’ della civiltà romana arriva il 24 agosto del 410. I Visigoti, comandati da Alarico, occupano Roma e la saccheg- giano per tre giorni. Lo choc in tutto il mondo è gravissimo. Girolamo, il grande sapiente cristiano che per primo ha tradotto la Bibbia dall’ebraico in latino, scrive nella 127a Lettera: “La città che ha conquistato l’universo è a sua volta conqui- stata. La fiaccola del mondo si è spenta: L’Impero romano è stato decapitato”. Si ha la sensazione che sia la fine del mondo. In Roma si verifica quello che si sta verificando in tutto l’Impero: la città si spopola, passa rapidamente da ottocento- mila abitanti a duecentomila. I ricchi sono fuggiti il più lontano possibile, in Pale- stina, in Africa, a Costantinopoli portandosi dietro tutto quello che riescono a salvare. La gente comune è fuggita nelle campagne, e vive e muore nella miseria. I popoli barbari vivevano di rapina. I cumuli di rovine che lasciavano erano terri- ficanti. Nel tempo delle ‘invasioni barbariche’ persero la vita o furono fatte schiave la maggior parte delle persone colte, che non ebbero discepoli, e quindi non pote- rono più essere sostituite. La vita regredì ad uno stadio primitivo e selvatico. L’a- gricoltura deperì, e il commercio fu quasi annientato. Gli agricoltori erano oppressi da tasse altissime, che le autorità imponevano per pagare i sempre più malcontenti soldati dell’esercito, e per versare enormi tributi ai vari capi dei barbari perché non scatenassero il saccheggio. Molti agricoltori finivano per consegnare la loro terra ai grandi proprietari, in cambio di difesa e di nutrimento per le loro famiglie. Non pochi diventavano briganti e vivevano di furti e di violenze. Alcuni si ritiravano in luoghi solitari, dove vivevano come ‘eremiti’, nella preghiera e nella penitenza, campando di erbe, di radici e di elemosine. A volte alcuni di questi eremiti si mettevano insieme, vivevano in piccole comunità. Venivano chiamati ‘monaci’ o ‘cenobiti’. Il 4 settembre del 476 fu scritta la parola ‘fine’ per l’Impero Romano dell’Occidente. A Ravenna (divenuta capitale imperiale) fu deposto l’ultimo impe- ratore, Romolo Augustolo. Ma a distanza di 4 anni, nella città umbra di Norcia nacque Benedetto, colui che avrebbe ridato vita a una nuova Italia e a una nuova Europa. Benedetto e i suoi monaci, con l’esempio e la parola, avrebbero incorag- giato la gente ad abbandonare la violenza e a tornare ad inginocchiarsi davanti al Dio della pace, a riaffondare con fiducia l’aratro nei campi, a portare i figli a scuola. Figure di riferimento: – San Benedetto da Norcia (480-560 circa) 73 SAN BENDETTO Collocazione storica (480-560 circa) Patronati Patrono d’Europa, degli agricoltori, chimici, ingegneri, moribondi Si ricorda come Fondatore del monachesimo d’Occidente La vita in un frammento “Ora et Labora” Cenni biografici Benedetto nacque a Nursia (oggi Norcia), presso Spoleto, da famiglia agiata e forse nobile. In Roma, umiliata dai saccheggi e gravemente spopolata, sopravviveva la grande autorità del Papa, e attorno a lui vivevano ancora illustri maestri. Benedetto fu man- dato dalla sua famiglia a Roma, per compiervi gli studi. Ma nel centro della Cristianità, per la miseria e l’ignoranza, ricomincia- vano feste pagane e riti pagani, come i Lupercali, una specie di carnevale squallido e immorale che coinvolgeva gran parte del popolino, e contro cui si scagliava invano papa Gelasio. Il suo illustre biografo, san Gregorio Magno, scriverà: “A Roma non trovò altro che giovani sbandati, rovinati dal vizio. Era ancora in tempo. Aveva appena messo un piede sulla soglia del mondo: lo ritrasse immediatamente... Abbandonò la casa e i beni paterni e partì. Desideroso di piacere a Dio solo se ne andò sapientemente ignorante e saggiamente incolto”. Entrato nella valle dell’Aniene, si ferma ad Affile, poi risale ancora la valle fino a Subiaco, 75 chilometri a est di Roma. Passa tre anni in compagnia di un an- ziano eremita di nome Romano. La fama di questo giovane nobile che ha lasciato tutto per servire solo Dio nel silenzio e nella peni- tenza, si espande nei dintorni. Una comunità di monaci che vive a Vicovaro, sempre nella valle dell’Aniene, lo sollecita a diventare loro superiore. Benedetto accetta, ma impone loro una rigida vita di preghiera e di penitenza. Stanchi della sua severità, i monaci tentano di avvelenarlo, e lui si ritira. A Subiaco, sempre secondo il racconto di Gregorio Magno, Benedetto fonda dodici piccoli monasteri in ciascuno dei quali vivono dodici monaci con un loro abate (‘dodici’, nella Bibbia, è il numero della perfezione del- l’uomo). Egli rimane la guida spirituale degli abati. Questa fonda- zione attrae molte persone dalle zone vicine, e anche da Roma. Nella vita di Benedetto cominciano a verificarsi avvenimenti straordinari, veri miracoli. È sempre più circondato dalla venera- zione dei suoi monaci e della gente. Montecassino Verso il 530 (ha cinquant’anni) Benedetto lascia Subiaco e va verso sud. Sceglie di fermarsi sulla montagna sopra Casinum, che verrà chiamata Montecassino. La nuova località è meno appartata di Subiaco, più aperta verso la gradi strade di comunicazione su cui viaggeranno i monaci portando il messaggio di civiltà e di rinnovamento di Benedetto da Norcia: Ora et Labora, Prega e Lavora. Sulla montagna sorgeva un tempio pagano dedicato ad Apollo e a Giove. Benedetto eliminò i resti pagani e costruì il suo nuovo monastero. I primi monaci cominciarono a disboscare 74 e a dissodare il terreno, regolarono i corsi d’acqua, seminarono. Appoggiandosi ai muri solidi del tempio, costruirono una piccola città di monaci. Per anni Montecassino vide crescere contempora- neamente il monastero e la famiglia spirituale di Benedetto. Molti giovani della plebe e della nobiltà salivano a mettersi sotto la guida di Benedetto. Egli fece sorgere anche un monastero femmi- nile guidato da sua sorella Scolastica. Cinque anni dopo il suo ar- rivo a Montecassino, l’Italia venne sconvolta da una nuova guerra che l’avrebbe devastata per 18 anni, la guerra greco-gotica. Dalla torre di Montecassino, Benedetto vedeva eserciti passare e ripas- sare nella valle del Liri. I contadini che salivano a ondate verso il monastero, a domandare rifugio e protezione, raccontavano storie di desolazione e di morte. In quella guerra apocalittica, Montecas- sino rimaneva l’unica isola di pace, e Benedetto l’unica autorità riconosciuta dalla popolazione della zona. Nel monastero, che si apre a tutti senza alcuna discriminazione, si vive concretamente l’ideale della solidarietà e dell’uguaglianza sociale. Il monastero – scrive R. Ferrarotti –, apre le sue porte ai bisognosi, agli affa- mati, ai perseguitati. Tutti i monasteri benedettini, a imitazione di Montecassino, diventeranno centri di accoglienza e di ospitalità. Quando ha circa 60 anni Benedetto, servendosi della sua ormai lunga esperienza e ispirandosi anche a precedenti regole mona- stiche, scrive la sua Regola. Essa brilla perché sa (a differenza delle Regole che esistevano precedentemente) contemperare seve- rità e mitezza, e diventerà per molti secoli la strada su cui cammi- neranno i monasteri, che da Montecassino si svilupperanno in tutta l’Europa. Benedetto morì (come si è scoperto da recenti ricerche) verso il 560. Di lui, poco prima di diventare papa Bene- detto XVI, il cardinale Ratzinger disse: “In un tempo di dissi- pazione e di decadenza, mise insieme le forze dalle quali si formò un mondo nuovo. Benedetto, come Abramo, diventò padre di molti popoli”. La Regola La Regola di S. Benedetto, tuttora conservata e studiata, è suddi- visa in un prologo e 73 capitoletti. Traccia dettagliatamente le norme secondo le quali si deve comportare una comunità di monaci. I principi che caratterizzano la vita monastica sono tre: la stabilità (il monaco deve vivere costantemente nello stesso monastero), l’uguaglianza per tutti nei diritti e nei doveri, l’orario (che si divide in tre otto: otto ore di preghiera, otto di lavoro e otto tra cibo e sonno). Il primo impegno del monaco è la preghiera in comune, il canto dell’ufficio divino distribuito in otto ore della giornata. All’obbligo della preghiera in comune si accompagna quello della lettura della Bibbia (lectio divina) e della medita- zione. Il secondo impegno è il lavoro. Benedetto rivaluta con forza il valore della fatica e dell’attività umana. Libera il lavoro dal disprezzo di cui il mondo romano l’aveva circondato affidan- dolo agli schiavi. Ne fa opera di uomini e di cristiani. “Ora et labora”, “Prega e lavora” è la vita normale del monaco. Fu pro- 75 prio il lavoro dei monaci che riconquistò le terre abbandonate e inselvatichite da guerre e devastazioni. I monaci trasformarono terreni incolti, selve, sterpaglie, paludi in campi e orti, dando vita a una grande quantità di aziende popolate di monaci-contadini. I monasteri ebbero così stalle, mulini, magazzini, granai, vigne, pascoli, boschi per la legna. I monaci furono gli animatori e i maestri dei nuovi contadini. Alle popolazioni affamate insegna- rono nuovamente a coltivare e ad allevare, introdussero nuove colture e nuovi sistemi di pesca. Costruirono strade e ospizi per i viaggiatori. Il lavoro artigianale praticato nelle officine del mo- nastero lentamente produsse nuovi strumenti agricoli, tessuti di panno, pelli conciate, infusi di erbe. Il terzo componente della vita del monaco è il cibo e il riposo. Il pasto principale è il pranzo, consumato dopo mezzogiorno. Il cibo è consumato in silenzio, mentre un monaco legge alla comunità brani della Bibbia e dei Padri della Chiesa. Il riposo si divide tra quello della notte e quello di una lunga siesta dopo il pranzo. Nella Regola viene illu- strata a lungo l’autorità dell’abate. È un’autorità assoluta (come quella del padre di famiglia di quel tempo), ma temperata dalla fraternità e dalla dolcezza, che deve manifestarsi verso tutti, ma specialmente verso gli anziani, i malati e i giovanissimi. L’abate affida le varie mansioni ai monaci e controlla che tutto il mona- stero funzioni bene. Monastero centro di cultura Dalla caduta dell’Impero romano fino al 1200, i monasteri furono i centri culturali della cristianità. Nei monasteri nacquero le scuole per istruire i ragazzini affidati dai genitori alla comunità, che a loro volta diventavano monaci, e anche per istruire i laici che volevano imparare. Oltre alle scuole, ogni monastero ebbe due elementi molto importanti per la cultura: la biblioteca e lo scriptorium. Nella prima si custodivano i libri che i monaci leg- gevano e su cui pregavano, e anche i libri salvati dai saccheggi dei barbari. Nel secondo alcuni monaci specializzati (amanuensi) ricopiavano i libri prestati dagli altri monasteri. Su pergamena fu- rono ricopiati libri preziosissimi, salvati dalle distruzioni o donati da principi che li custodivano nei loro castelli. Essi erano antiche Bibbie, Messali, ma anche capolavori dell’antichità (come le opere di Virgilio, di Orazio...) che solo in quel modo riuscirono ad arrivare fino a noi. Le ricchezze e le riforme Col passare dei secoli, i monasteri divennero sempre più ricchi, per le proprietà sempre più estese che accumulavano sia per il lavoro dei monaci, sia per le donazioni che ricevevano da re, prin- cipi e persone che li lasciavano eredi dei loro beni. Gli abati, poco per volta, invece di seguire Gesù che aveva predicato il distacco dalle ricchezze, divennero ricchissimi signori. I monaci abbando- narono la severa disciplina voluta da Benedetto. All’interno stesso del grande Ordine Benedettino sorsero monaci che si ribellarono a 76 questa “mondanizzazione” dei monasteri, e chiamarono i Bene- dettini a ‘riformare la loro vita’, tornando alle norme fissate da Benedetto nella Regola. La prima grande ‘riforma’ iniziò nel monastero di Cluny, in Francia, nell’anno 910. I monaci tornarono a una vita ispirata al Vangelo e alla Regola: preghiera, lavoro, silenzio, povertà, assistenza ai poveri. Ma anche il monastero di Cluny, col passare degli anni, divenne il centro di numerosi mona- steri che divennero troppo ricchi e troppo potenti. Duecento anni dopo sorse un altro riformatore, Bernardo di Clairvaux, che noi chiamiamo ‘di Chiaravalle’. Egli fondò nel 1115 il monastero di Clairvaux, e ne fu abate per quarant’anni, fino alla morte. Con i suoi monaci visse alla lettera la Regola di Benedetto, condusse una vita severa fondata su preghiera, studio della Bibbia, lavoro manuale e stretto digiuno. Richiamati dalla sua fama di uomo di Dio, molti chiesero di diventare suoi discepoli. I monaci di Clairvaux raggiunsero il numero di 700, e i monasteri fondati sotto la direzione di Bernardo in luoghi solitari e incolti, alla sua morte erano 68. Essi furono chiamati ‘Benedettini Cistercensi’. Il grande fenomeno del Monachesimo è stato così condensato dallo studioso Ivan Gobry: “I monaci d’Occidente, servendo Dio con tutto il cuore, hanno servito abbondantemente gli uomini: praticando la vita spirituale che allontana dall’egoismo hanno pro- digato a tutti il soccorso della carità; lavorando instancabilmente hanno fecondato la terra e fatto progredire la tecnica; amanti della Scrittura, maestra di fede, hanno dato sviluppo (alla scuola), alle lettere e alle scienze... Non c’è stato nessuno che abbia fatto un bene maggiore all’Europa”. 77 Capitolo 2 L’Europa e l’Italia tra il 1500 e il 1600. Dalle corporazioni alla grave crisi del 1500 e 1600 Negli anni che vanno dal 1100 al 1400 si delineano importanti novità nel mondo del lavoro. Nelle città, dove aumenta considerevolmente il numero degli abitanti, i lavoratori si riuniscono in associazioni volontarie. Vengono chiamate confraternite, poste sotto la protezione di un Santo. I confratelli si aiutano, ma aiutano anche i bisognosi, li assistono se ammalati. Queste associazioni lentamente si modificano. I tessitori, i panettieri, i fabbri, i calzolai... si uniscono in ‘associa- zioni di mestiere’, si danno un regolamento, proteggono i segreti del loro mestiere con giuramento. Noi le chiamiamo corporazioni, ma in quel tempo in Italia si chia- mavano arti, in Francia guilde, i Inghilterra ghild, in Germania Guiden. In ogni professione operai, piccoli artigiani, aiutanti, apprendisti, restavano strettamente sottoposti ai capi che venivano eletti. Questi capi giuravano sulle reliquie di un Santo di ‘proteggere la corporazione’ con lealtà. Il lavoro notturno e quello festivo erano vietati. L’orario andava dall’alba al tramonto, più lungo d’estate, più corto d’inverno. Nel 1400 le corporazioni decadono. Lo Stato (sempre più impegnato in guerre costose) le condiziona, le sfrutta imponendo tasse che schiacciano i lavoratori. Nel 1500 si amplia il libero commercio e il libero mercato (è stata scoperta l’America), decade il senso ‘religioso’ del lavoro. Chi è ricco impone forme di lavoro che sfruttano i lavoratori per accumulare nuove ricchezze. Nelle città e nelle campagne si diffonde una nuova povertà, con gente che per campare accetta qualunque salario. “È noto il caso di Giovanni Boinebroke – scrive A.M. Baggio –: dava da lavorare agli artigiani locali (nella Francia del Nord) la lana che importava dal- l’Inghilterra, comprando poi il prodotto finito. Fornire materiale scadente e preten- dere un prodotto eccellente faceva parte delle sue abitudini. Praticava un’usura spietata, imponendo il rimborso in prestazioni lavorative anziché in denaro, in modo tale che gli artigiani del suo giro somigliavano un po’ alla volta più a dei servi che a dei lavoratori autonomi. I comportamenti alla Boinebroke erano diffusi; un imprenditore come lui controllava tutta la catena produttiva”. Nel 1500 e nel 1600 non arriva soltanto lo sfruttamento del lavoro. Con gli scontri continui tra Francia e Spagna, nell’Europa e specialmente in Italia (le cui regioni sono occu- pate ora dall’uno ora dall’altro contendente) arrivano tempi oscuri. “Il Cinquecento e il Seicento sono secoli di guerre continue che portano con sé carestie e pesti- lenze. L’Europa è attraversata da una fiumana di derelitti, che trascinano un’esi- 78 stenza allucinante. Profughi di vario tipo, disertori, mercenari, reduci dagli eserciti disciolti, vivandiere, prostitute, storpi e ciechi delle organizzazioni di mendicanti, disoccupati, gente che fuggiva dai debiti, furfanti veri e propri, falsi monaci e falsi pellegrini: mille diverse povertà si mischiano con gli artigiani itineranti, i pelle- grini veri, i lavoratori stagionali, in un flusso continuo e spesso disperato. Per tutti un incubo comune: la fame. Nella dotta Padova del 1529, ci racconta il bolognese G.B. Segni, “ogni mattina si ritrovavano per la città 25 e 30 morti di fame sopra i lettami delle strade. Li poveri non avevano effigie umana”. Non esistono strutture pubbliche capaci di affrontare i mille bisogni insoddisfatti. È l’iniziativa cristiana che vi provvede. Quella di Girolamo Emiliani, per esempio, che per molto tempo aveva servito la Repubblica Veneta, in pace e in guerra. Convertitosi al cristiane- simo, si diede a raccogliere ed educare gli orfani, lui che molti ne aveva forse pro- curati combattendo” (A.M. Baggio). O quella di Giuseppe Calasanzio, che vedendo le bande di ragazzi poveri e abbandonati della città di Roma afferma che “il male non proviene dall’istruzione ma dall’ignoranza ch’è tenebra, languore e quasi morte dell’anima”. Questa affermazione – scrive Filippo Hazon – “sul piano sto- rico è rivoluzionaria, tanto più che fa seguire alle affermazioni i fatti, compiuti con eroica virtù e fra difficoltà e asprezze senza fine”. Il Calasanzio iniziò la prima scuola popolare gratuita, e deve essere considerato uno dei massimi riformatori ed innovatori del sistema scolastico. Accanto a quello di Girolamo Emiliani e del Calasanzio prendono vita i movimenti prodotti da una eccezionale fioritura di grandi personaggi le cui attività di assistenza e di educazione a favore della gioventù, promosse con genuino spirito evangelico, hanno dato vita ad ordini o congregazioni religiose tuttora fervidamente presenti e ad innovazioni profonde delle strutture educative”. In questa seconda parte, tra questa “eccezionale fiori- tura”, scelgo nove “grandi personaggi”, e ne delineo il profilo. Figure di riferimento: – Girolamo Miani (Emiliani), santo (1486-1537) Fondatore dei Somaschi – Angela Merici, santa (1487-1540) Fondatrice delle Orsoline – Antonio M. Zaccaria, santo(1502-1539) Fondatore dei Barnabiti – Giuseppe Calasanzio, santo (1557-1648) Fondatore degli Scolopi – Vincenzo De Paoli, santo (1581-1660) Fondatore delle Figlie della Carità e dei Preti della Missione – Giovanni Battista de La Salle, santo (1651-1719) fondatore dei Fratelli delle Scuole Cristiane – Maddalena Gabriella di Canossa, santa (1774-1835) Fondatrice delle Canossiane – Gaspare L. Bertoni, Santo (1777-1853) Fondatore degli Stimmatini – Ludovico Pavoni, venerabile (1784-1849) Fondatore della Congregazione dei Figli dell’Immacolata, detti Pavoniani 79 GIROLAMO MIANI (EMILIANI), SANTO Collocazione storica (1486-1537) Patronati Patrono degli Orfani Si ricorda come Fondatore dei Somaschi La vita in un frammento Dolcissimo Gesù, non vogliate essermi Giudice ma Salvatore Cenni biografici Guerra in terra veneziana Quando gli eserciti di Germania e di Francia avanzarono nel 1511 contro la Repubblica di Venezia, a capo del piccolo esercito ve- neto a Castelnuovo del Friuli era il venticinquenne Girolamo Miani. Discendente di famiglia nobile, nominato castellano in luogo del fratello Luca, si comportò valorosamente, ma tradito e rimasto solo con pochi soldati, fu fatto prigioniero da Mercurio Bua. In carcere, ripensando alla sua vita e al disordine della sua condotta, si raccomandò umilmente alla Madonna venerata nel Santuario di S. Maria Grande di Treviso perché lo aiutasse. La Vergine gli apparve vestita di bianco, lo liberò e lo accompagnò sulla via per Treviso. Il libro dei miracoli del Santuario conserva il racconto dell’evento straordinario. Una “bottega” per gli orfani Lasciato il castello, ritornò a Venezia con l’idea di abbandonare ogni forma di attività politica e darsi completamente a Dio. Ebbe amorevolmente cura della cognata, vedova di Luca, e dei nipoti, amministrando senza alcun utile personale il commercio della lana di loro proprietà e maturando una radicale trasformazione spirituale. Decisivo fu l’incontro nel 1527 con il vescovo Giam- pietro Carafa (il futuro Paolo IV), Gaetano Thiene e i primi Tea- tini, approdati a Venezia dopo essere scampati al sacco di Roma. Essi lo trascinarono in una travolgente attività per gli altri quando, durante la gravissima carestia dell’anno seguente, una folla di contadini affamati si riversò in città. Sfamò, vestì, ospitò il mag- gior numero possibile di poveri, vagando di notte per assistere gli infermi e seppellire i cadaveri abbandonati per le calli. In una baracca allestita dal governo veneziano accolse e soccorse un mondo cosmopolita di miserabili derelitti provenienti dalla la- guna, dalla terraferma, dalla Schiavonia: centotre poveri nei quali il Miani riconobbe e servì Gesù Cristo. Superata l’emergenza, provvide ai fanciulli orfani mendicanti rilevando una bottega in prossimità di S. Basilio e poi a S. Rocco. Istituì per loro un’opera che rinnovava in modo originale l’assistenza veneziana e progettò la riforma della Chiesa realizzando una comunità modellata sulla Chiesa dei tempi degli Apostoli. Scelse la povertà assoluta con una donazione ai nipoti di tutti i suoi beni per seguire Cristo, rispondendo all’invito: “Se vuoi essere perfetto, va, vendi quello che hai, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi”. Non fu mai sacer- dote. Mentre era al servizio degli Incurabili, dal Carafa fu man- dato a Bergamo per realizzare opere analoghe a quelle veneziane. Raggiunse la città con un gruppo di orfani nella primavera avan- 80 zata del 1532. Bruciando della carità divina, volle unire a Dio il maggior numero possibile di cristiani, incominciando dai bambini orfani, orfane vergini, e prostitute convertite. Nacquero delle scuola molto religiose, fondate sul lavoro, la devozione e la carità, in cui si attuava la riforma della Chiesa da tutti invocata. Il lavoro era uno dei tre pilastri che sorreggevano la formazione dei ragazzi. Dopo aver appreso i primi rudimenti erano collocati a padrone con strumento notarile che tutelava l’apprendistato di un mestiere. Accanto al lavoro, gli orfani imparavano a leggere, a scrivere e quel minimo di nozioni necessarie per l’inserimento dignitoso nella vita sociale. L’esempio della santa vita del Miani fu contagioso: coinvolse sacerdoti e laici a unirsi con lui a Cristo nella compagnia dei servi dei poveri, denominata dal popolo “i poveri del Miani”, fondata a Bergamo nel 1532: una confraternita senza voti, senza un superiore, con una organizzazione capitolare, in cui la povertà evangelica radicale e il servizio agli orfani rende- vano visibile la consacrazione a Cristo. Parallelamente fondò una confraternita femminile per l’assistenza alle orfane e alle conver- tite. L’amministrazione economica delle opere la demandò a un gruppo di cittadini, riuniti a modo di religione. Come un incen- diario diede vita a congregazioni di orfani a Somasca, Milano, Como, Pavia e Brescia. Da questa compagnia pretridentina avrà origine nel 1568 la congregazione dei padri Somaschi. Trasformare un rozzo sasso in un letto Somasca, un paese sul confine tra Venezia e il ducato di Milano, divenne per lui e i suoi compagni luogo di pace. Qui trascorse gli ultimi mesi della sua vita dedicandosi al lavoro nei campi con gli orfani e i contadini, alla evangelizzazione della gente, alla peni- tenza flagellandosi e dormendo sopra un sasso rozzamente ridotto a forma di letto, e alla contemplazione nella solitudine di una grotta. Contratta una pestilenza mentre assisteva i colpiti dal male, morì in pochi giorni nella notte tra il 7 e l’8 febbraio 1537. “Pareva che avesse il paradiso in mano per la sicurezza sua; faceva diverse esportazioni ai suoi e sempre con la faccia così allegra e ridente che innamorava e inebriava dell’amore di Cristo chiunque lo guardava”. La sua preghiera preferita era: “Dolcis- simo Gesù, non vogliate essermi giudice ma salvatore”. Clemente XIII lo dichiarò Santo, e Pio XI patrono universale degli orfani e della gioventù abbandonata. 81 ANGELA MERICI, SANTA Collocazione storica (1487-1540) Patronati Patrona di Desenzano sul Garda Si ricorda come Fondatrice delle Orsoline La vita in un frammento “Dio è qui” Cenni biografici Due sorelle, un cuore solo Mamma e papà, poveri contadini di Desenzano sul Garda, mori- rono quando lei aveva 15 anni. Le lasciarono poche cose, ma le regalarono una ricchezza che nessuno le avrebbe mai rapito: una fede cristiana solida e appagante. Angela fece un solo cuore con la sua sorella maggiore, e insieme vissero lavorando e pregando. Un fratello della mamma, molto ricco, le portò nella sua casa a Salò. Furono meno assillate dal lavoro, e dedicarono tutto il tempo libero alla preghiera. Andavano a dormire presto alla sera, per potersi svegliare e pregare mente ancora brillavano le stelle e l’aurora dipingeva di rosa l’orizzonte. Ma quand’ebbe diciot- t’anni, Angela vide morire anche la sorella, e quando ne compì venti la morte si portò via anche lo zio. Che cosa voleva Dio da lei, in quel mondo che le sembrava sempre più pagano? La risposta la ebbe in una notte del 1497 (quando lei aveva 23 anni): come Giacobbe nella Bibbia vide una grande scala luminosa che congiungeva la terra al cielo. Sulla scala saliva verso l’alto una turba di ragazze, ciascuna accompagnata da un angelo. Una di esse era una sua cara amica morta di recente, che si volse a lei e le disse: “Tu devi fondare una comunità in cui cresceranno gli angeli che accompagneranno le ragazze verso Dio”. Angela non credette molto a questo sogno. Era iscritta al Terz’Ordine di san Fran- cesco, e cercò d’imitare il Santo vivendo in strettissima povertà. Ma cominciò anche a guardarsi intorno. Scoprì le case delle fa- miglie poverissime, le filande dove entravano ragazzine giova- nissime per guadagnarsi il pane. Penetrò in quelle case, entrò in quelle filande. Portava un piccolo aiuto e una grande fede. Diceva a tutti: “Dio è qui!”. Non sapeva cosa volesse dire ‘educare le ragazze’, perché fino a quel tempo nessuno si era preoccupato di farlo. Lei faceva quello che la sua mamma aveva fatto con lei: voleva bene, aiutava, insegnava a conoscere Gesù. E siccome aveva da sola imparato a leggere e anche un poco a scrivere, lo insegnava a chi le chiedeva di imparare. La vedova di Brescia Aveva 40 anni quando una benestante vedova di Brescia, Caterina Patengola, la pregò di andare ad abitare nella sua casa. Si sentiva sola perché aveva perduto i figli in guerra (quelle frequenti guerre che si combattevano per i diritti dell’imperatore, dei principi, dei papi, e che i poveri pagavano per tutti). Pregavano insieme, e insieme cominciarono a radunare nella vasta casa bambine e ragazze povere. Le nutrivano, spiegavano loro il catechismo, inse- gnavano a leggere e a scrivere, facevano loro imparare un lavoro, 82 le portavano con sé a curare i malati. Si cominciò a parlar bene di loro nei paesi intorno. I Gonzaga di Mantova invitarono Angela a far qualcosa di simile nelle loro terre. Francesco II Sforza la invitò diverse volte a Milano, si consigliò a lungo con lei fino a chiamarla ‘sua madre spirituale’. La pregò di portare la sua opera nella sua città. Pellegrina in Terra Santa A 48 anni, Angela Merici pellegrinò in Terra Santa accompa- gnando un suo parente. Pellegrinò anche a Roma, per acquistare la grande indulgenza del Giubileo. A Roma papa Clemente VII la volle incontrare, e la esortò a rimanere negli Stati della Chiesa a iniziare un’opera di educazione per le ragazze. Nessun’altra donna prima di lei, infatti, si era occupata dell’educazione della gioventù femminile. Ma negli Stati della Chiesa stava arrivando le guerra, e Angela tornò alla sua Brescia. Anche lì però giunse la guerra condotta dall’imperatore Carlo V. Angela dovette salvare se stessa e le sue giovani dalla soldataglia. Intensificò preghiere e penitenze per ottenere da Dio la pace. In quel tempo così turbi- noso, in cui ognuno sembrava pensare solo a salvar la propria vita, chi avrebbe pensato che stava per nascere una nuova fami- glia religiosa, destinata a fare un bene grande? Molte giovani e donne del popolo avevano chiesto di vivere con lei. Angela però aveva preferito lasciarle nella vita di tutti i giorni, perché ciascuna si impegnasse dove viveva a istruire le giovani senza istruzione, a visitare e curare i malati, a soccorrere i poveri. Ma a farle cam- biare parere intervennero due fattori decisivi. Serafino di Bolo- gna, suo confessore e direttore spirituale, le diede l’ordine di isti- tuire una vera famiglia religiosa per l’educazione della ragazze. Obbedendo, Angela scelse dodici giovani, con cui iniziò a vivere non proprio insieme, ma radunandosi ogni tanto per decidere le preghiere e le opere di bene da fare insieme. Due anni dopo – rac- conta Angela – vide la martire sant’Orsola, che a nome di Dio la rimproverò della sua lentezza nel realizzare la sua famiglia spirituale, e la esortò a unirla più strettamente dandole il nome di Orsoline. Angela Merici aveva ormai 61 anni quando radunò per la prima volta la sua famiglia religiosa. La radunò in un’ampia casa situata sulla piazza della Cattedrale, prestatale da una vedova cristiana. Era il 25 novembre 1535. Arrivarono molte postulanti. Angela però continuò a chiedere alle sue religiose solo un minimo di vita comune per pregare insieme (né voti, né abito). Chiese invece sempre un costante contatto con il prossimo bisognoso. Ad esse diede una regola molto semplice e il nome di Compagnia di S. Orsola. Lasciò anche dei Ricordi e un Testamento spirituale che racchiudono la sua eredità spirituale. Andò incontro a Dio il 27 gennaio 1540. 83 ANTONIO M. ZACCARIA, SANTO Collocazione storica (1502-1539) Patronati Si ricorda come Fondatore dei Barnabiti La vita in un frammento “Intercedete presso Dio perché possa svestirmi delle mie imperfe- zioni, della pusillanimità e dell’orgoglio” Cenni biografici Il mantello di seta Sua madre, ricca e nobile, aveva appena 18 anni quando gli diede la vita. Il padre era morto durante la gravidanza, e lei addensò sul suo figliolino tutte le tenerezze e le cure. Lo crebbe innocente, pio, amante dei poveri. Fu orgogliosa di lui quando, uscendo dalla Messa, videro una mamma col suo bambino che tremavano dal freddo, non avevano con sé denari, e Antonio Maria d’impulso li ricoprì col suo prezioso mantello di seta. Venne presto la guerra. Cremona fu invasa dai soldati del re di Francia. Ma Antonio Maria, anche tra i rumori di guerra, compì i suoi studi superiori: filosofia a Pavia, dottorato in medicina a Padova a 22 anni. La vita degli studenti era libertina: vino e donne. Antonio Maria invece condusse vita da monaco: Comunione ogni domenica, voto di verginità, rinuncia a tutti i suoi beni materiali a favore della madre. Entrato nel Collego dei Medici di Cremona, cominciò a curare i malati. Ma si accorse subito che prima dei corpi occor- reva curare le anime. Vino e vizio rovinavano tante vite. La mi- seria distruggeva famiglie dove il padre lavorava poco e beveva molto, dove i figli intristivano senza lavoro né istruzione. Antonio Maria studiò teologia e a 26 anni fu ordinato sacerdote. Nella chiesa di S. Vitale, vicina a casa sua, cominciò a radunare fan- ciulli e a far loro catechismo, innamorandoli di Gesù. Famiglie nobili gli affidavano i figli, ed egli apriva le loro menti a una fede soda con omelie semplici e dialoghi vivaci. S. Vitale fu presto insufficiente a contenere i fedeli che volevano ascoltarlo, con- fessarsi da lui. Anche gli ospedali e le carceri chiedevano il suo ministero sacerdotale. Troppi preti scandalizzavano Quando fu ordinato sacerdote (1528) mancavano ancora 17 anni all’apertura del Concilio di Trento, che avrebbe rinnovato la Chiesa e la vita dei preti. “In quegli anni, troppi infelici sacerdoti e religiosi scandalizzavano il popolo con ignoranza, lusso, e vizio” (G. Pettinati). Antonio Maria pensò di combattere quel male raccogliendo in una fondazione sacerdoti umili, penitenti e operosi. Aspettava l’occasione per cominciare. L’occasione arrivò quando la contessa Ludovica Torelli, vedova, decisa a dedicare i suoi beni all’educazione delle fanciulle abbandonate, lo invitò a Milano a iniziare la sua fondazione. Era il 1530. Antonio Maria aveva 28 anni. In Milano la parola di Dio veniva predicata solo in quaresima. Il catechismo non si faceva mai. Esisteva tuttavia l’“Oratorio dell’Eterna Sapienza”, che promuoveva la vita cri- 84 stiana tra sacerdoti e laici. Anima dell’Oratorio erano due giovani milanesi di famiglia nobile: Bartolomeo Ferrari e Giacomo Mo- rigia. Essi invitarono Antonio Maria a parlare in una riunione dell’ Oratorio. Egli accettò, ed espose con entusiasmo il suo pro- getto. Con parole di fuoco accennò ai mali della cristianità, e disse quanto bene sarebbe venuto alla Chiesa da un’unione di sa- cerdoti stretti da voti religiosi e totalmente dedicati all’educazione della gioventù e alla rinascita della fede nella società. Ferrari e Moriggia furono i primi ad aderire alla sua iniziativa. Antonio Maria fu il fondatore e loro i confondatori di quello che chiama- rono “Ordine dei Chierici Regolari di San Paolo”. Il loro centro fu la casa dove la contessa Torrielli aveva già raccolto molte ragazze desiderose di crescere nell’istruzione e nell’educazione. In quei giorni decisivi, Antonio Maria scrisse al suo direttore spirituale: “Intercedete presso Dio perché possa svestirmi delle mie imperfe- zioni, della pusillanimità e dell’orgoglio”. Iniziarono una vita di rigorosa povertà e di totale servizio cristiano. I loro primi obiettivi furono: l’educazione delle giovani, la predicazione, l’assistenza ai malati e ai carcerati. Molti chiedevano di entrare nell’Ordine. Ma solo dopo l’approvazione del papa Clemente VII poterono ricevere nuovi confratelli e legarsi alla Chiesa con i primi voti pubblici. Era il 18 febbraio 1533. La crescita dei membri obbligò a trasferire il centro dell’Ordine in una casa affittata accanto alla chiesa di S. Caterina. Lì Antonio Maria parlò sovente ai nuovi arrivati, tracciando le regole fondamentali dell’Ordine e ponendo a fondamento di tutto una grande devozione a Gesù crocifisso e a san Paolo. I padri e le madri di famiglia Nella stessa chiesa parlò molte volte ai padri e alle madri di fami- glia per ammaestrarli sui loro doveri. Tra essi costituì una specie di Terz’Ordine, che impegnò nell’insegnamento del catechismo ai ragazzi abbandonati, ai malati e ai carcerati. Fu lui a iniziare la pratica delle Quarantore, un condensato di preghiera e di pre- dicazione per chi voleva ricominciare a vivere la fede. Nel 1586 (aveva 34 anni) suggerì che Superiore dell’Ordine fosse eletto padre Moriggia. Egli da quel giorno si dedicò a due imprese deli- catissime: la selezione di quanti chiedevano di entrare nell’Or- dine, e la trasformazione della casa della baronessa Torelli in mo- nastero. Qui egli, tra le ragazze che si erano riunite per “ricevere un’educazione”, accompagnò la nascita delle Angeliche di San Paolo. Fu il monastero di cui S. Carlo Borromeo, negli anni suc- cessivi, si sarebbe servito per riformare tutti i monasteri della grande archidiocesi. Ma Antonio Maria non poté vedere questi splendidi frutti. Dio lo chiamò a sé il 5 luglio 1539, a soli 37 anni. Otto anni dopo, il suo Ordine pose il suo centro nella chiesa di san Barnaba, ricavandone il nome sotto il quale oggi è conosciuto: i Barnabiti. 85 GIUSEPPE CALASANZIO, SANTO Collocazione storica (1557-1648) Patronati Patrono di tutte le scuole popolari cristiane Si ricorda come Fondatore degli Scolopi La vita in un frammento “Chi si fa loro maestro e, attraverso la formazione intellettuale, s’impegna a educarli, soprattutto nella fede e nella pietà, compie in qualche modo verso i fanciulli l’ufficio stesso del loro angelo custode, ed è altamente benemerito del loro sviluppo umano e cri- stiano” Cenni biografici Peralta, regno di Aragona Di antica famiglia nobile, suo padre sognava per lui una gloriosa carriera militare. Giuseppe invece (nato a Peralta del Sal, nel regno di Aragona) chiese con rispetto di poter studiare diritto e filosofia alla celebre università di Lerida. E si dimostrò uno studente saggio. I compagni di università lo elessero ‘principe’ per la sua condotta pia, penitente e innocente. Al termine dei corsi, sempre con il rispetto dovuto a suo padre, gli chiese il per- messo di studiare teologia a Valenza, per diventare sacerdote. A Valencia abitò in una famiglia di conoscenti. Viveva accanto a lui una splendida ragazza, figlia di quella famiglia. L’entusiasmo festoso dei vent’anni la fece innamorare perdutamente di Giu- seppe, studente calmo e bello. Anche Giuseppe aveva vent’anni, e capì che doveva scegliere: o fidanzarsi con quella cara amica che lo adorava, o afferrarsi saldamente al suo ideale: diventare sacer- dote. Dopo aver pregato a lungo, decise per il sacerdozio. Seb- bene gli costasse molto, lasciò Valencia e andò a terminare i suoi studi teologici ad Alcalà. Giuseppe fu ordinato sacerdote a 25 anni dal vescovo di Urgel. Era tanta la stima che lo circondava, che lo stesso Vescovo lo scelse come teologo, giudice e visitatore (occorreva persuadere i parroci a mettere in pratica le disposizioni del Concilio di Trento terminato ormai da vent’anni, ma che tro- vava forti opposizioni). Ovunque la sua azione discreta ma decisa persuase i parroci a rinnovare la predicazione, a ridare alle chiese pulizia e bellezza, a celebrare la Messa e i Sacramenti col mas- simo decoro. Tutto questo fece rifiorire la vita cristiana. Subito dopo il Vescovo lo nominò suo Vicario generale. Chiamato dal Cardinale Ma anche a Roma era giunta la fama di questo sacerdote santo e attivo, e il cardinale Colonna nel 1592 lo chiamò a far parte della sua famiglia. Aveva 34 anni quando partì dalla Spagna. A Roma, mentre si dedicava all’educazione di un nipote del Cardinale, Giuseppe si guardava intorno e scopriva la povertà materiale e spirituale della gente. Dopo essere stato pellegrino ad Assisi, sulla tomba di san Francesco, cominciò la sua battaglia cristiana su due fronti: soccorrere i poveri e i malati nelle case e negli ospizi; rianimare l’insegnamento del catechismo ai ragazzi e al popolo. Camminava un giorno in una piazza e pregava recitando il salmo 86 10 (“A te si abbandona il misero, dell’orfano tu sei il sostegno...”) quando gli passò davanti una turba vociante di ragazzi laceri e sporchi. In quel momento, Giuseppe capì che Dio lo chiamava a fondare scuole gratuite, elementari, che tirassero via dalla strada e dall’ignoranza i figli del popolo. Fu il primo a pensarle e a realiz- zarle. Le chiamò fin dal primo momento Scuole Pie. Dopo aver cercato invano l’aiuto della autorità municipali, dei Domenicani e dei Gesuiti, iniziò da solo, in due povere stanze vicine alla sacre- stia di S. Dorotea in Trastevere. Era la fine del 1597. Quando si seppe che un prete spagnolo aveva aperto per i ragazzini scuole gratuite, giornaliere, senza distinzioni tra ricchi e poveri, le fami- glie popolane gli mandarono con entusiasmo i loro figli. Bisognò trovare locali sempre più ampi. Nel 1612, quando le Scuole Pie si trasferirono presso la chiesa di S. Pantaleo, gli scolari erano 900. Gli insegnanti non erano granché: Giuseppe non aveva molti soldi per stipendiarli. Ma il suo metodo, adottato in ogni Scuola Pia, dava ugualmente buoni frutti. Innanzitutto si insegnava in italia- no, non più in latino. Si insegnavano i primi rudimenti del leggere e dello scrivere, non poesie e discorsi. L’istruzione non era soffo- cata dall’insegnamento religioso: non si imparavano solo pre- ghiere, ma anche le parole del mercato, della cucina, del negozio, dei mestieri. Le classi non erano affollate. Gli orari erano pun- tuali. Periodicamente si davano esami. Si fornivano a tutti: mensa, libri, assistenza nel fare i compiti dopo la scuola. Arrestato, imprigionato, deposto Dopo aver fatto osservare attentamente le sue scuole, il papa Clemente VIII gli fornì aiuti economici generosi. Intanto arriva- rono i primi collaboratori stabili: dietro don Dragonetti, siciliano, furono quattordici i preti-maestri che arrivarono decisi a dare una mano a Giuseppe Calasanzio. Nel 1617 papa Paolo V approvò la nuova famiglia religiosa con il nome di Congregazione Paolina delle Scuole Pie. Negli anni che seguirono, la Scuole Pie si diffu- sero rapidamente in Italia e nell’Europa del Nord. Nuovi Papi trasformarono la Congregazione in Ordine religioso con voti solenni, invitarono il fondatore a scriverne le Regole, diedero ai membri l’abito religioso, cambiarono addirittura il nome in Chierici Regolari Poveri della Madre di Dio delle Scuole Pie. Ma alla gente interessavano le ultime due parole, Scuole Pie, e li chiamò sempre Scolopi. Da vecchio, Giuseppe Calasanzio ebbe molte opposizioni (le opere di Dio ne hanno sempre tante). Fu accusato presso i Papi della cose più assurde, fu addirittura arre- stato, imprigionato, deposto dalla carica di Superiore. Sopportò tutto con pazienza e spirito di penitenza. Mentre moriva, a 90 anni, si fece leggere la passione del Signore. Oggi egli è santo, ed è stato proclamato “patrono di tutte le scuole cattoliche”. 87 VINCENZO DE PAOLI, SANTO Collocazione storica (1581-1660) Patronati Patrono del Madagascar, dei bambini abbandonati, degli orfani, degli infermieri, degli schiavi, dei forzati, dei prigionieri e delle Associazioni cattoliche di carità Si ricorda come Fondatore delle figlie della Carità e dei Preti della Missione La vita in un frammento “Amiamo Dio, fratelli miei, ma amiamolo a nostre spese, con la fatica delle nostre braccia, col sudore del nostro volto” Cenni biografici “Sono un guardiano di porci” “Non sono che un guardiano di porci e il figlio di un povero con- tadino”, diceva da vecchio quando qualcuno cercava di baciargli la mano. Gli occhi gli brillavano tra mille rughe. Aveva un tempera- mento forte, e il realismo solido e scaltro dei contadini. I suoi geni- tori furono Giovanni de Paul (che noi abbiamo cambiato in ‘de Paoli’) e Bertranda de Moras, proprietari di una casupola e di al- cuni campi a Pouy, in Francia. Da ragazzo fece il pastore. Coperto di una pelle di montone, alto sui trampoli che si usavano nella sua regione paludosa, conduceva al pascolo vacche e maiali. Quando ritornava dal mulino, dove aveva portato a macinare il grano, gli accadeva di incontrare degli invalidi che vivevano di elemosina. Apriva il sacco e regalava manciate di farina. Suo padre lo lasciava fare. Non che fosse un ragazzo diverso dagli altri, Vincenzo. Era ambizioso, ma davanti ai miserabili sentiva sempre una specie di pena. A 15 anni fu messo a studiare dai francescani di Dax. “Ricordo che lì commisi il primo peccato mortale – ricordava Vin- cenzo. – Mentre ero nell’aula di studio mi fu detto che era venuto a trovarmi mio padre. Era un contadino mal vestito e zoppicava, e io mi vergognai di lui e rifiutai di andargli a parlare”. Vincenzo fu ordinato sacerdote che non aveva ancora vent’anni, e riuscì a re- carsi a Roma per terminare i suoi studi teologici. Prima di ripartire per la Francia riuscì a incontrare il Papa Paolo V e a parlargli. A quel pretino dall’aspetto insignificante (in quel tempo in cui le spie venivano a sapere ogni cosa) il Papa affidò un messaggio confi- denziale per il re di Francia Enrico IV. Fu quella l’occasione per entrare nella Corte. Il re fu contento della riservatezza del messag- gero, e lo ricompensò con il titolo di ‘elemosiniere della regina’. Era un titolo senza significato, che serviva solo a ricevere uno stipendio. Ma Vincenzo lo prese sul serio. Come “elemosiniere” si presentò alla regina Margherita, e le chiese di portare il suo aiuto ai malati dell’Ospedale della Carità. Vincenzo sapeva che là erano ricoverati i malati più miserabili, in stanze sporche e in letti puzzo- lenti. Ma la realtà che vide superò di gran lunga la sua immagina- zione. I malati si picchiavano per disputarsi lo scarso cibo. Fu il primo impatto violento con la miseria che dilagava nella Francia. Quando San Vincenzo si vergognò Vincenzo si vergognò di vivere nel lusso della Corte, e chiese di essere mandato tra i contadini poveri. Nell’autunno del 1613 fu 88 nominato parroco di Chatillon, cittadina circondata da grandi pascoli e stagni. La vita cristiana era nel più totale abbandono. Si sentì stringere il cuore davanti alla chiesa: era stata trasformata in una stalla. Ma ciò che lo rattristò di più fu la miseria della gente. Pochi benestanti, molte famiglie nello squallore. Bambini che mo- rivano nella fame e nel sudiciume. Vincenzo passò subito ai fatti. Organizzò una “cooperativa della carità” che non solo aiutava i bisognosi, ma tentava di farli uscire per sempre dalla miseria: in- segnava nuove maniere di coltivare la terra, di difendere i raccolti. Cappellano di seimila galeotti Dopo cinque anni, Vincenzo è richiamato a Parigi come “educa- tore dei figli del generale Gondi”. Accetta perché il generale è il sovrintendente alle navi “galere”, e le “galere” in quel momento sono una delle più grosse vergogne della Francia. Queste navi da guerra, che difendono le coste del Mediterraneo dai corsari, sono lunghe e strette, e sono spinte a volte dalle vele, a volte dalla sola forza dei remi. Ai remi sono incatenati i ‘galeotti’, cioè i condan- nati all’ergastolo. Le galere hanno bisogno di seimila galeotti. Se non ci sono sufficienti ergastolani, vengono incatenati ai remi i prigionieri di guerra musulmani e anche altri imprigionati per delitti non gravi. I galeotti sono ammassati nelle prigioni di Mar- siglia e di Tolone. Da quando salgono sulle navi vivono sporchi e tormentati dagli insetti, a dorso nudo anche sotto le intemperie, sotto la frusta dei sorveglianti. Vivono in stato di disperazione, e se muoiono sono gettati in mare. Vincenzo va a visitare la pri- gione di Marsiglia e ne esce infuriato. Discute indignato con il suo “generale”, poi avvicina principi e ministri, parla, supplica, minaccia perfino. Non riuscendo a capire perché si preoccupi tanto dei galeotti, gli aumentano lo stipendio, gli danno il titolo di “cappellano di tutte le galere”. Ma lui non sa che farsene. Vuole un trattamento più umano per quei poveretti, e in parte riesce ad ottenerlo. Esige che quelli non condannati all’ergastolo siano immediatamente liberati, e lo accontentano. Ma poi non gli con- cedono più nulla. La situazione della gente, nella città e nelle campagne, era miserabile. Le continue guerre devastavano le campagne, portando carestia e pestilenza. Per le vie di Parigi si incontravano turbe di artigiani disoccupati, vecchi, vedove, vaga- bondi, ragazzi cenciosi. Dovunque si aggiravano bande di rapina- tori disposti a tutto per sopravvivere. Le autorità si dichiaravano impotenti. Da solo contro la miseria Vincenzo, invece, voleva che quella miseria dilagante finisse. Da solo poteva ben poco. Decise di radunare gruppi di sacerdoti che viaggiassero per la campagna come in terra di missione, a risol- levare i poveri: persuaderli che vivendo ognuno nel proprio egoismo non sarebbero mai usciti dalla miseria. Occorreva tor- nare a pregare, a volersi bene, ad aiutarsi a vicenda, a lavorare i campi rispettando il raccolto degli altri, a ricominciare con 89 testarda volontà dopo ogni disastro. I primi ad accettare il suo invito furono una decina di preti della Piccardia, con buoni risul- tati. Seguirono molti altri sacerdoti, e la ‘missione’ si estese a tutta la Francia. Furono chiamati “i preti della Missione”. Con- temporaneamente alla campagna occorreva pensare a Parigi e alle città. Vincenzo radunò il fior fiore delle nobili dame, e le mise al corrente della miseria che regnava nei quartieri poveri e negli ospedali. Molte di esse non avevano mai visto un ospedale. Seguendo Vincenzo videro quei luoghi dannati dove mancavano le norme più elementari di igiene: i malati erano coricati a due o tre per letto, la fame e la sporcizia uccidevano più della malattie. Esse si unirono come “Dame della Carità”, e s’impegnarono per il nutrimento dei malati. Ma non se la sentirono di lavare i panni sporchi, lavare i pavimenti, pulire i servizi igienici. Allora Vin- cenzo si rivolse alle ragazze di campagna. La prima che accettò fu Margherita Naseau, una semplice e mite contadina. Fu la prima “Figlia della Carità”. Venne a Parigi e si dedicò ai poveri dal mattino alla sera. “Tutti le volevano bene – scrisse Vincenzo – perché in lei non c’era niente che non fosse bontà”. La sua vita fu breve. Morì non ancora trentenne “per aver fatto dormire con lei una povera ragazza malata di peste, che da sola aveva paura”. Ma subito dopo Margherita arrivarono tante altre ragazze di cam- pagna, desiderose di servire i poveri. Vincenzo mise a capo si questa nuova famiglia la signora Luisa di Marillac, che oggi veneriamo come santa. Vincenzo parlò loro chiaro e tondo: “Non voglio che diventiate suore, ma che rimaniate donne cristiane che vivono insieme per servire i poveri. Avrete come divisa la veste delle donne popolane, come convento le case dei malati, per cap- pella la chiesa parrocchiale, per monastero le strade della città, per penitenza il servizio dei poveri, per velo la modestia dei vostri occhi e il timor di Dio”. Le “Figlie della Carità” si svilup- parono in maniera prodigiosa, come i pani e i pesci tra le mani di Gesù. I bambini abbandonati alle porte delle chiese Una piaga faceva sanguinare il cuore di Vincenzo: i bambini abbandonati. Ogni anno, a Parigi, venivano abbandonati alle porte delle chiese centinaia di bambini. Morivano. “Da 50 anni – scri- veva Vincenzo – non ne è rimasto in vita neppure uno”. Dopo una vivacissima discussione, le Dame della Carità accettarono di aprire “L’opera dei trovatelli” che ne salvò moltissimi. Quan- d’ebbe 78 anni, Vincenzo vide come un miracolo tornare in Francia la pace. Guerra, carestia, pestilenza erano finite. Subito dopo la salute di Vincenzo crollò. Morì su una seggiola accanto al fuoco, perché sentiva tanto freddo. Aveva quasi 80 anni. Era il 27 settembre 1660. 90 GIOVANNI BATTISTA DE LA SALLE, SANTO Collocazione storica (1651-1719) Patronati Patrono di tutti gli insegnanti ed educatori cattolici Si ricorda come Fondatore dei Fratelli delle scuole Cristiane La vita in un frammento “Gli alunni hanno poco affetto per il maestro che non è engageant (che non dà desiderio di entrare in relazione!)” Cenni biografici Il barbone morto nella stalla Si era presentato un povero al palazzo della nobildonna De Mail- lefer di Rouen, ma era stato scacciato dalla sdegnata padrona di casa. Il cocchiere di palazzo, avendone pietà, lo fece riposare nella stalla dove però il povero stremato dagli stenti, morì. La padrona, informata dell’accaduto, indispettita e furiosa, gettò al cocchiere una tovaglia: “Avvolgetelo con questa e portatelo via!” Così fu fatto. Ma rientrando in sala da pranzo, Madame de Mail- lefer trovò la stessa tovaglia accuratamente piegata, accanto al suo posto. Spaventata e turbata si confidò al padre Barrè, suo direttore spirituale. “Respingendo quel povero, Voi avete respinto Gesù – fu la risposta –. La vostra ricchezza vi rende responsabile davanti alla povertà del prossimo”. Barrè ricordò le molte occa- sioni in cui avevano parlato della misera condizione di tanti bam- bini e bambine, ridotti allo sbando e all’emarginazione in Rouen. Jeanne Maillefer accolse la proposta e vennero aperte scuole, chiamate “Scuole del Bambino Gesù”, per le fanciulle povere della città. Il progetto si diffonde Madame de Maillefer, originaria di Reims, visto il bene operato dalle scuole aperte in Rouen, volle trasferire l’iniziativa anche alla sua città natale e, sempre con l’aiuto di padre Barrè, riuscì a pro- muovere l’attività dell’Abbè Roland che istituiva anche in Reims le ‘Scuole del Bambino Gesù’. I tempi erano durissimi, e per pro- seguire l’opera, l’Abbè Roland è costretto anche ad elemosinare ed aggravare il proprio stato di salute, morendo, a soli 35 anni, per un’improvvisa emorragia. Ha appena potuto assistere alla prima Messa di un carissimo amico, il canonico Giovanni Battista de la Salle, nipote della Maillefer, lasciandogli, per testamento, la direzione delle proprie scuole. Sollecitato personalmente dalla zia e dall’entusiasmo di due giovani collaboratori giunti da Rouen, il de la Salle si pone con energia nell’opera lasciatagli da Roland. All’Arcivescovo e agli amministratori della città egli traccia un quadro realistico: “I genitori, costretti a lavorare a giornata, lasciando i propri figli in stato di abbandono. Padri e madri sono costretti a lavorare fuori casa, per poter sopravvivere e provve- dere alla famiglia. Figli e figlie vivono in strada, inclinandosi così alla delinquenza e all’immoralità. A questa drammatica situazione si può ovviare istituendo scuole gratuite ove i ragazzi possano vivere tutto il giorno accanto a maestri dediti alla loro educazione, imparando a leggere, scrivere, far di conto e rispet- 91 tare la famiglia, la società e la Religione. Rifiutare ciò significa rendersi corresponsabili della loro rovina”. La firma di un nobile Chi sottoscrive quella lettera non è solo un giovane prete, ma è il primogenito di Louis de la Salle, nobile magistrato alla Corte di Giustizia della città. A soli 16 anni (dieci prima della propria ordi- nazione sacerdotale) ha ricevuto in eredità il titolo di Canonico della Cattedrale, ha compiuto studi accademici brillanti all’Uni- versità parigina della Sorbona e compiuto la propria formazione nel Seminario di Saint Sulpice. Le autorità non possono non pren- dere in considerazione le sue parole, ed assicurano provvedimenti idonei mentre, diffondendosi la voce, lo stesso re Luigi XIV, con un decreto del 17 febbraio 1679, prende sotto la sua protezione le scuole cristiane del Canonico de la Salle. Molti approvano e so- stengono l’opera del de la Salle, ma c’è anche la categoria dei maestri cosiddetti scrivani, disponibili ad insegnare a pagamento, che non sopporta la concorrenza delle scuole gratuite. Il 15 aprile dello stesso anno, il de la Salle inizia la sua opera, ed in soli sei mesi vengono aperte cinque scuole per i ragazzi. La difficoltà del- l’azione educativa nei confronti di giovani fortemente traviati, pone a dura prova le capacità dei collaboratori del de la Salle. Su suggerimento di padre Barrè prende, nel 1680, la straordinaria de- cisione di accoglierli in casa sua, il Palazzo de la Cloche, per po- terli formare direttamente alla pratica educativa e alla condivi- sione dell’ideale. Inizia a vivere con loro, perfeziona la loro istru- zione, diventa il loro animatore e il loro sostegno. La famiglia del de la Salle però non vede di buon occhio questa iniziativa: la roz- zezza di questi maestri turba i ritmi della vita e le abitudini di casa. Jean-Baptiste allora, per non suscitare tensioni, il 24 giugno 1682 lascia per sempre la propria casa e si trasferisce in una po- vera abitazione nella Parrocchia di Saint Remi. Ancor oggi, questo giorno viene ricordato dai Fratelli delle Scuole Cristiane come quello della loro nascita. Mentre i dintorni di Reims sono nuovamente travolti dalla guerra, a Saint-Remi una ventina di gio- vani maestri vivono con il de la Salle un primo stile di vita reli- giosa: preghiera, formazione, dedizione alla scuola intesa come missione di salvezza tra i giovani. Alcuni tra questi maestri ven- gono inviati a fondare altre scuole nelle città limitrofe. E final- mente, nel 1684, la loro famiglia diventa una vera comunità reli- giosa, emettendo i primi voti di obbedienza. Quattro anni dopo il de la Salle con tre Fratelli assume la direzione della scuola par- rocchiale gratuita di Saint Sulpice: 200 ragazzi indisciplinati che fino a quel momento hanno diviso la giornata tra la filanda e qualche ora di scuola vissuta in un unico salone rumoroso e disor- dinato. Il de la Salle divide i giovani per età in tre classi, badando al loro grado di intelligenza, diminuendo drasticamente le ore da trascorrere in filanda e proponendo una vita del tutto diversa, or- ganizzata, finalizzata ad apprendere scrittura, lettura e calcolo, per giungere alla dimensione di “buon cristiano ed onesto cittadino”, 92 e sapere farsi strada nella vita con nuova dignità. La santa Messa, l’istruzione religiosa, lo studio, il gioco, il modo di vivere insieme con serenità ed interesse, l’abolizione delle punizioni corporali a tutto vantaggio della prevenzione, più che delle repressioni e delle mancanze, costituisce la nuova formula educativa, capace di “toc- care il cuore” dei giovani e trasformarli. L’ostilità dei maestri scrivani dura 14 anni Si scatena la guerra dei maestri scrivani. Durerà quattordici anni, e porterà al de La Salle amarezze senza fine. Essi non solo si rendono complici di azioni criminali come l’incendio di alcune scuole, ma insinuano nel cuore dei collaboratori del de La Salle il sospetto che, se le cose andassero male, a loro sarebbe spettata la miseria, diversamente dal loro Superiore, nobile e ricco. Il de La Salle si accorge di ciò, e per risposta, in occasione di una vio- lenta carestia, distribuisce alle famiglie più povere dei suoi allievi tutti i propri beni. La sua scelta radicale imprime nuovo entu- siasmo nei suoi discepoli. Nel 1692 si stabilisce nel villaggio di Vaugirard vicino a Parigi e per un decennio si dedica alla forma- zione dei novizi della sua famiglia religiosa, mentre la Francia è devastata dalla guerra, dalla pestilenza e dalla carestia. In questo periodo, pone mano ad opere importanti: Le Regole comuni fis- sano la fisionomia spirituale dei Fratelli delle Scuole Cristiane. La Norma delle scuole determina il metodo educativo dei Fratelli. In essa la figura del maestro-educatore che si dedica al ragazzo- persona segnerà la rivoluzione totale nella scuole di Francia e di Europa. Le Meditazioni per il tempo del Ritiro spirituale e in occasione delle domeniche e delle festività, fanno interiorizzare ai Fratelli la missione dell’educatore, apostolo e ‘ministro’ di Dio nell’opera della salvezza dei giovani. Segni della Provvidenza per il bene della gioventù Le scuole dei Fratelli si estendono a tutta la Francia. A Parigi, il de La Salle istituisce la prima scuola professionale per operai e giovani che non hanno potuto frequentare scuole regolari. Nella cittadina di Saint-Yon (dove morirà) crea persino una scuola di arti e mestieri per giovani che la polizia gli porta dalle carceri. I Fratelli sono tutti laici consacrati e, secondo la tradizione che si vuole far risalire allo stesso Fondatore, ancor oggi si conservano tali. Nel 1716, radunati i Fratelli, li pregò di scegliere un Supe- riore tra di loro. Al nuovo Superiore, Fratel Barthèlemy, il de La Salle si sottomise umilmente. Muore santamente il 7 aprile 1719, e santo sarà proclamato nell’anno 1900. Dal 1950 è venerato e invocato quale patrono di tutti gli insegnanti ed educatori cattolici. 93 MADDALENA GABRIELLA DI CANOSSA, SANTA Collocazione storica (1774-1835) Patronati Si ricorda come Fondatrice delle Canossiane La vita in un frammento “Perché sono nata marchesa, non posso aver l’onore di servire Gesù nei suoi poveri?” Cenni biografici In cinque nel castello La marchesa Maddalena Gabriella unì in sé due dei più nobili cognomi: i marchesi di Canossa da parte del padre, i conti unghe- resi Szluha da parte della madre. Non ebbe però mai il tesoro che ha ogni poverissimo bambino: il sorriso del papà e le coccole della mamma. Lei infatti a cinque anni perse il padre che morì, e a sette la madre che se ne andò sposando un altro uomo. Maddalena Gabriella, il fratello e le sue tre sorelle rimasero nel grande palazzo di Verona, praticamente orfani, affidati a uno zio tutore. Una istitutrice francese si dedicava alle sorelline. un sacerdote dotto e di provata virtù al fratello. A 15 anni fu assalita prima da una febbre maligna, poi dal vaiolo che lasciava il volto deturpato da cicatrici. Pregava, indifferente a vivere o a morire. Allo zio- tutore che si preoccupava delle cicatrici del vaiolo, disse: “Non abbiate timore: se guarisco non dovrò piacere a nessuno, perché mi farò monaca”.Guarì e lesse le regole delle Carmelitane. Nei giorni in cui la sorella maggiore festeggiava il fidanzamento, Maddalena Gabriella a 17 anni andò a provare la vita delle Carmelitane. Dopo pochi mesi capì che non era la sua strada. Le piaceva pregare il Signore insieme alle consorelle, ma poi voleva andare a servire i suoi fratelli più miseri. Tornò a casa. Lo zio- tutore le affidò la direzione del castello e delle proprietà. Seria e matura, essa modificò molti atteggiamenti consueti nelle case nobiliari. Tra padroni e domestici non dovevano esserci gesti di superiorità. Poche parole e molti fatti. Onestà e sincerità. Materno interesse per ogni necessità. E alla sera, tutti uniti nella recita del Rosario. C’è già tutto lo spirito che Maddalena porterà nella fondazione delle Figlie della Carità, chiamate Canossiane. A tu per tu con Napoleone 1797. Maddalena comincia a frequentare l’ospedale, ad interes- sarsi dei malati e degli orfani che alcuni morenti lasciano. Nel 1802 (ha 28 anni) raccoglie tre orfane. Ne prende cura. L’anno seguente compra un alloggio presso San Zeno e allarga il numero delle ragazze in necessità, che cominciano a frequentare la scuola e a lavorare. Con le sue mani monda i capelli delle ragazzine dai pidocchi. A chi si meraviglia di questa sua attività “poco nobile”, risponde vivace: “Perché sono nata marchesa, non posso aver l’onore di servire Gesù nei suoi poveri?”. Napoleone in quegli anni fa periodicamente guerra all’Austria. Quando passa da Verona è ospite nel castello dei Canossa. Prova grande stima per Maddalena Gabriella. Egli che ha incamerato tutti i beni della 94 Chiesa, le fa assegnare il monastero di S. Giuseppe. A chi non è d’accordo, dice: “Questa donna è utile allo Stato”. Col passare degli anni, Maddalena si orienta a fondare una Congregazione di ‘serve dei poveri’. Le chiamerà “Figlie della Carità”. Le sorelle e i parenti, che brillano per la loro nobiltà, ne sono costernati. Ma lei il 1° aprile 1808 va a vivere, con le ragazze e le maestre della sua famiglia religiosa, nel monastero di San Giuseppe. Nomina ‘direttrice’ della famiglia Leopoldina Naudet. Con cinque maestre va a raccogliere le ragazze più povere e sporche, perché vengano istruite e imparino un lavoro onesto. Un prete le fa notare che sullo scialle ha dei pidocchi. Lei risponde sorridendo: “Sono le nostre perle”. “Da te si fermeranno le carrozze, da me le carrette” Nel 1810 i fratelli Cavanis hanno fondato a Venezia le Scuole di Carità per ragazzi, e la chiamano (lei ha 36 anni) a dirigere una Scuola di Carità per ragazze. Maddalena ci va, e fa ciò che ha già fatto a Verona: forma le maestre e con amore materno si prende cura delle ragazze. A Venezia con le maestre cominciò a portare la divisa delle “Figlie della Carità”: abito marrone, scialle nero, cuffia nera in testa, medaglia dell’Addolorata al collo. In sogno vede la Madonna indicarle tre campi per l’attività delle sue Figlie: una chiesa, un ospedale, una scuola. Nel 1812 Maddalena scrisse le Regole delle “Figlie”. Nel 1816 ottenne da Pio VII il “Breve di lode”, e nel 1828 da Leone XII l’approvazione. Ora la sua opera poteva correre per tutte le regioni dell’Italia. Maddalena però non ebbe mai fretta né smaniava di avere molte “vocazioni”. Era molto severa nella scelta. Diceva: “Sarebbe una carità crudele tenere una figlia che mostra malcontento. La nostra vocazione domanda temperamenti quieti e teste solidissime”. Leopoldina Naudet la lascia per dedicarsi all’istruzione delle fanciulle nobili. Maddalena sorridendo le dice: “Va bene così. Da te si fermeranno le carrozze, da me le carrette”. Maddalena apre case a Milano, Bergamo, Trento e inizia le pratiche per molte altre. A Bergamo dà avvio al Seminario di Formazione delle ‘maestre di cam- pagna’. Erano ragazze provenienti dai villaggi, dove sarebbero poi tornate per insegnare nelle scuole elementari, collaborare con i parroci nell’insegnamento del catechismo e assistere i malati. Il 23 maggio 1831 Maddalena, con don Francesco Luzzo, apre a S. Lucia in Venezia il primo Oratorio dei Figli della Carità. Ha così inizio il ramo maschile da lei voluto per la formazione dei ragazzi poveri. Viaggiò moltissimo per essere vicina alle sue Figlie, e fino all’ultimo continuò a dettare Pensieri per loro. “Non insuperbiamoci del bene che operiamo. Siamo quattro donnicciole senza lustro, senza lettere. Siamo le ultime venute nella casa del Signore. Siamo “serve dei poveri” in attesa di meritarci il nome di ‘serve di Dio’”. Morì recitando l’Ave Maria. Aveva 61 anni. Era il 10 aprile 1835. 95 GASPARE L. BERTONI, SANTO Collocazione storica (1777-1853) Patronati Si ricorda come Fondatore degli Stimmatini La vita in un frammento “Il mondo presente è un grande ospedale di infermi: tutti si lamentano e nessuno guarisce sebbene sia pronta la medicina. Questa è la preghiera, che non si fa o si fa male” Cenni biografici Il Sacerdozio A 23 anni ricevette il dono più grande e la sofferenza più acuta. Il dono fu l’ordinazione sacerdotale. La sofferenza fu la separazione consensuale e irreparabile di suo papà e di sua mamma. Il padre, di famiglia nobile e molto ricca, era incapace ad amministrare e stava dilapidando il patrimonio. La mamma era sprofondata nella tristezza dopo che il vaiolo le aveva portato via l’unica sua bimba di tre anni e mezzo, vivace come un uccellino e bella come un fiore. Da quella tristezza non sarebbe guarita mai più (forse fu una profonda depressione). Gaspare fu sempre accanto a sua madre, Brunora Ravelli, con infinita delicatezza. La vide sfiorire rapida- mente, divenne anche il suo confessore, e le diede gli ultimi Sa- cramenti poco prima che si spegnesse. Quand’era ancora ragazzo, Gaspare vedeva per le strade della sua Verona altri ragazzi molto diversi da lui: abbandonati a se stessi, smunti e malaticci. Vive- vano in bande per darsi forza a mendicare e a rubare. La scuola (che lui frequentava) era un privilegio delle famiglie benestanti che potevano pagarsi un insegnante. Quei ragazzi erano uno degli effetti perversi delle interminabili guerre tra i francesi di Napo- leone e gli austriaci dell’Imperatore, che riempivano gli ospedali di feriti, devastavano le campagne, paralizzavano i commerci dis- tribuendo miseria a tutti. Seminarista, Gaspare prestava servizio negli ospedali, faceva catechismo nella parrocchia di S. Paolo. Quando gli venne affidato un gruppo consistente di preadolescenti da preparare alla prima Confessione, pensò di rompere la giornata monotona con allegre iniziative: li portava nei prati a fare clamo- rose partite, organizzava con loro belle passeggiate ai vari san- tuari della città, li portava anche a vedere i feriti di guerra negli ospedali con qualche dono e un po’ d’allegria. Aveva cominciato ad essere ciò che sarebbe stato per tutta la vita: missionario tra i ragazzi. Ordinato Sacerdote nel 1800, l’anno dopo assistette all’avvenimento più strano possibile: la sua Verona fu spezzata da Napoleone e dagli Austriaci in due città nemiche. L’Adige, che percorreva la città da nord a sud, divenne il confine di Stato: mezza città (36 mila abitanti) era dei francesi, l’altra mezza (20 mila abitanti) degli austriaci. Attraversare un ponte sull’Adige voleva dire attraversare la frontiera, ‘andare all’estero’, con tutte le conseguenze immaginabili. Don Gaspare continuò a fare il ‘missionario tra i giovani’ di S. Paolo. Durante la settimana, seguito da una decina di ragazzi, faceva processione tra le bot- teghe degli artigiani. Elemosinava un posto per uno di loro. Dopo 96 giorni di giro riusciva a collocarli quasi tutti. La settimana dopo si ricominciava. Alla domenica si riunivano e giocavano nell’ar- chivio parrocchiale, nella biblioteca. Quando la sorella del par- roco non ne poté più, li radunò a casa sua, poco lontano. Nasceva così il primo “oratorio” di Verona: Messa, catechismo e tanta alle- gria. Per far sapere ai veronesi che i suoi ragazzi non erano igno- rantelli, inventò le “mostre di arti e mestieri”. I suoi apprendisti gli portavano un bel paio di scarpe realizzato da loro, un bel vestito, una serratura di fattura nuova, il telaio ben disegnato di una finestra, e lui li esponeva ai veronesi, ottenendo per i suoi ragazzi nuovi posti di lavoro. Si cominciò a guardare l’oratorio di S. Paolo con ammirazione, e i parroci vennero a domandare a don Gaspare di trapiantarlo anche nelle loro parrocchie. Arrivarono anche i parroci della campagna intorno. Don Gaspare aveva tra i suoi ragazzi più in gamba un gruppo di ‘aggregati’ che lo aiutava, e ne fece il manipolo di pronto intervento che chiamò “Coorte Mariana”. L’inizio di un nuovo oratorio avveniva così: dalla chiesa parrocchiale usciva in processione marziale la ‘Coorte Ma- riana’ che percorreva cantando e pregando le vie della parrocchia, invitando i giovani del quartiere o del paese. Quando la proces- sione ben ingrossata rientrava in chiesa, don Gaspare prendeva la parola dal pulpito ed esortava a seguire Gesù sotto la protezione di Maria. La bella impresa degli Oratori ebbe una brusca frenata nel maggio 1807, quando un decreto di Napoleone proibì “con- fraternite, congregazioni, compagnie e tutte le società religiose laicali”. La lunga parentesi lontano dai giovani Il tempo che ebbe libero dalla sempre più limitata attività orato- riana, don Gaspare lo impiegò negli ospedali, tra feriti e malati. Scriveva il 6 marzo 1809: “Il mondo presente è un grande ospe- dale di infermi: tutti si lamentano e nessuno guarisce sebbene sia pronta la medicina. Questa è la preghiera, che non si fa o si fa male”. Nel 1810 Napoleone soppresse anche tutti gli ordini reli- giosi maschili e femminili. Fu un colpo gravissimo per la Chiesa. Tra gli stessi preti c’era divisione tra chi si schierava con il Papa (esiliato) e chi aderiva a Napoleone. Più di uno pensava a far car- riera e ad accumulare denaro. Il Vescovo dovette proibire ai preti di “andare in maschera, frequentare teatri, commedie e balli”. Il Seminario era ridotto male. C’erano 143 interni e 25 esterni. Gli studenti di teologia (vicini al sacerdozio) erano 60. Padre Bre- sciani avrebbe scritto: “Non si poteva dire che quello era un semi- nario, ma piuttosto un miscuglio di corruzione e di disordine”. Nel maggio del 1810 il Vescovo chiamò don Gaspare, e gli affidò la direzione spirituale del Seminario. Era un’obbedienza molto pesante, ma don Gaspare (33 anni) chinò il capo e obbedì. Iniziò con la predicazione degli Esercizi Spirituali. Fece allontanare dal Vescovo alcuni preti frivoli e mondani. Ogni domenica faceva di buon mattino una meditazione ai seminaristi, preparandosi con una notte di preghiera. Lungo la settimana li seguiva uno per uno. 97 Non risparmiò fatiche nel lavoro di ricostruzione di quelle anime, avviandole ad una vita di preghiera e di austerità. Cinque anni dopo, lo storico Sommacampagna poteva scrivere: “Il Seminario è un monastero di monaci più che di giovani ecclesiastici”. Attorno a don Gaspare si era formato poco a poco un gruppo di suoi ‘figli spirituali’, che vivevano accanto a lui e lo aiutavano in ogni attività pastorale. Così, nel tempo in cui tutti gli ordini e le congregazioni erano soppressi, intorno a questo prete santo nasceva nel silenzio una nuova famiglia religiosa. Dio semina e fa crescere dove vuole e quando vuole, nonostante i progetti e i divieti dei piccoli uomini che si credono grandi. Finisce la lunga parentesi Dopo la disastrosa campagna di Russia e la sconfitta di Lipsia, nel marzo 1814 Napoleone abdicò. La lunga parentesi della lonta- nanza dai ragazzi (1807-1814) per don Gaspare era terminata. Egli fece risorgere gli Oratori mariani e si gettò nuovamente nel- l’attività di ‘missionario tra i giovani’. La diffusione degli Oratori fu rapida. “Non vi è chiesa della nostra città – scrive un anno dopo – o parrocchiale o sussidiaria che non abbia aperto un Oratorio ai propri giovani”. I locali e la chiesa delle Stimmate erano stati requisiti dall’autorità nel 1808. Il 4 novembre 1816, dopo essere stati usati da un laico cristiano per una scuola desti- nata ai ragazzi poveri, furono donati a don Gaspare “per dar vita a una congregazione di preti”. In quel freddissimo inverno, in quei locali scrostati, nacque tutto: la comunità di religiosi di don Gaspare; l’opera sociale in cui la comunità si impegnò: una scuola per i ragazzi poveri della città; l’Oratorio che affiancò la scuola. Nacque anche il nome dei religiosi di don Gaspare: la gente li chiamò “i preti delle Stimmate”. La vita era austerissima e si svolgeva sotto gli occhi di Dio. Per conservarla così, mentre un tumore dolorosissimo l’abbatteva, don Gaspare scrisse le Regole della sua famiglia. Dal suo letto di dolore (dove subì diverse operazioni chirurgiche senza anestetico, perché a quei tempi non esisteva) don Gaspare divenne il consigliere spirituale della città. Andavano da lui a confidarsi Vescovi, sacerdoti, gente del popolo e della nobiltà. Andarono a chiedere il suo consiglio anche tre fondatori di nuova famiglie religiose: Antonio Rosmini, Nicola Mazza, Teodora Campostini. Lo scrittore tedesco L. Schior, dopo esser vissuto qualche tempo a Verona, scrisse: “Don Gaspare Bertoni, un venerando vegliardo, è l’oracolo della città”. Purificato da lunghissime sofferenze, don Gaspare andò incontro a Dio il 12 giugno 1853. 98 LUDOVICO PAVONI, VENERABILE Collocazione storica (1784-1849) Patronati Si ricorda come Fondatore della Congregazione dei Figli dell’Immacolata, detti Pavoniani La vita in un frammento “Vengono dalla strada (i ragazzi), e la strada non è mai una buona maestra. Tocca a noi farli buoni” Cenni biografici 23 anni e un libro Aveva 23 anni il sacerdote Ludovico Tommaso Maria Pavoni, quando iniziò a leggere il libro Influenze morali di Pietro Sche- doni. (Era l’estate del 1807). Quelle pagine avrebbero rovesciato la sua vita. L’autore, nelle prime pagine, si poneva la domanda: “perché i giovani delle famiglie povere si abbandonano facil- mente alla vita indisciplinata e viziosa?”. La risposta limpida che egli dava nelle pagine seguenti era questa: “perché non esistono scuole dove si dia loro gratuitamente una buona istruzione e s’in- segni un buon mestiere”. I nobili, diceva l’autore, dovevano usare le loro ricchezze per aprire scuole gratuite per i figli dei poveri. Dove aumentava il numero delle scuole, diminuiva il numero delle bettole. I tre nomi che il prete Pavoni portava erano il segno della sua nobiltà. Suo padre era il nobile Alessandro Pavoni, con ricco palazzo in Brescia, vasti possedimenti e una bella abitazione di campagna ad Alfianello (Brescia). Sua madre, Lelia, era del- l’illustre famiglia Poncarali, con palazzo in via Magenta. Con l’arrivo della Rivoluzione Francese in Italia, portata dal generale Napoleone Bonaparte, la nobiltà aveva perso molti dei suoi privi- legi, tra cui il diritto di dare il Sindaco e il Capo Amministrativo alla città. Ma nonostante lo sbandieramento entusiasta dell’ugua- glianza, i poveri erano rimasti poveri, e i ricchi avevano consoli- dato la loro ricchezza. La fiorentissima vita industriale della città di Brescia comprendeva 53 filatoi, 10 cartiere, 1228 mulini, 2895 telai, 268 fucine per la lavorazione del ferro, 23 fucine per canne da fucile, 42 tintorie... La massa dei lavoratori aveva orari massa- cranti: 14, a volte 16 ore di lavoro al giorno. I salari fissati dai padroni erano così miseri che per sopravvivere nei filatoi e nelle officine dovevano lavorare i padri, la madri e i figli, anche se an- cora bambini. Le colate del ferro liquefatto negli altiforni faceva respirare aria rovente. La lanuggine sospesa nell’aria delle filande intasava specialmente i deboli polmoni dei bambini. Lo strepitio dei telai e della macchine intontiva e ubriacava. Una quantità impressionante di bambini moriva senza aver mai saputo cosa volesse dire giocare. Andò a verificare Ludovico, ragazzo intelligente e sensibile, sentiva le discussioni dei “rivoluzionari” (a cui apparteneva suo fratello Giovanni) sui privilegi da abbattere, sulla giustizia da realizzare. Ma il grande privilegio della ricchezza non veniva mai messo in discussione, e 99 di giustizia realizzata ne vedeva molto poca in giro. Ludovico volle verificare di persona la situazione. Depose gli abiti eleganti ed entrò nelle officine degli operai, provò quei mestieri, cercò di parlare con i lavoratori. Cominciava a capire, provandola sulla sua pelle, la fatica che abbrutisce. Vedeva con i suoi occhi i giova- nissimi, ubriachi di lavoro, seguire gli atteggiamenti degli adulti corrotti e sprezzanti di ogni onestà. Sentiva che per un cristiano la situazione era intollerabile. Bisognava assolutamente affrontare la miseria dovunque fosse, e vincerla. Ma non sapeva cosa fare. Decise di diventare prete. Senza stemma nobiliare, senza eredi a cui trasmettere palazzi e ricchezze, avrebbe distribuito la sua parte di eredità a tante famiglie misere. Questo non sarebbe bastato, ma Dio gli avrebbe indicato la strada per proseguire nella realizza- zione di una vera giustizia. Disse la prima Messa il 21 febbraio 1807, e pochi mesi dopo lesse il libro dello Schedoni. Gli parve di aver trovato la strada per affrontare in maniera più efficace il problema della povertà sociale: creare scuole dove dare gratui- tamente ai giovani poveri una buona istruzione e insegnar loro un buon mestiere. Sarebbe stata la strada per la quale Ludovico Pavoni avrebbe camminato per tutta la vita. Prima che le fabbriche li ingoiassero Cominciò dando una mano al prete Guzzetti, che radunava in quattro punti della città chiamati ‘oratori’ i ragazzetti miseri, e cercava di insegnare loro a pregare e a leggere prima che le fabbriche ingoiassero molti di loro. Nel 1808 don Ludovico aprì un ‘oratorio’ suo, alla chiesa di S. Orsola. Raccolse i ragazzini più rozzi, scalzi, dal fisico stentato. Ma nel 1810 Napoleone emanò un decreto che soppresse tutti gli ordini religiosi, tranne quelli delle suore che si dedicano all’educazione delle ragazze. Cento case religiose e scuole, su centosette, dovettero chiudere. Il nuovo vescovo di Brescia, Mons. Nava, guardava con simpatia l’oratorio di don Ludovico, e temeva che un giorno o l’altro, per una deci- sione dell’autorità politica, dovesse anch’esso chiudere. Chiamò don Ludovico e lo nominò “segretario del Vescovo”. Avrebbe così potuto continuare la sua opera in favore dei ragazzi miseri, ma avrebbe avuto un incarico che lo avrebbe difeso da ogni provvedi- mento politico. È il vescovo stesso ad esortarlo: “Va’, sono tempi brutti. Chiama gli inesperti, raduna i bisognosi, salvali”. All’ora- torio di don Ludovico si raduna ormai una vera turba di ragazzi cenciosi e affamati. Oltreché della preghiera e del cibo, don Ludo- vico comincia a interessarsi del loro lavoro. Poiché non può aprire una scuola, porta i più svegli e i più bisognosi presso suoi amici, perché diano loro da lavorare senza fiaccarli. Alcuni anni dopo le cose sono profondamente mutate. Napoleone è stato sconfitto e confinato nella sperduta isola di Sant’Elena. A Brescia muore il prete Guzzetti, lasciando allo sbando i tanti ragazzi del suo oratorio presso la chiesa di S. Barnaba. Mons. Nava nel febbraio del 1818 chiama don Ludovico e gli dice: “Da questo momento non sei più il mio segretario, ma il Rettore di S. Barnaba. Perché 100 abbia uno stipendio da spendere per i tuoi ragazzi poveri, ti nomino anche Canonico”. La strada non è una buona maestra L’oratorio di S. Barnaba prende nuova vita. Accanto alla chiesa, don Ludovico compra tre stanzoni per ospitare i ragazzi orfani, che alla sera non sanno dove andare a dormire. I primi suoi pic- coli ospiti sono sette. Poi ne arrivano altri, tanti altri. Non tutti sono “bravi ragazzi”. Alcuni bestemmiano, litigano, sono disob- bedienti e testardi. Don Ludovico ricorda ai suoi aiutanti (che formano ormai con lui una famiglia religiosa): “Vengono dalla strada, e la strada non è mai una buona maestra. Tocca a noi farli buoni”. Al mattino, dopo che hanno pregato con lui, li accom- pagna da padroni onesti, che insegnano un mestiere senza sfrut- tarli. Nel 1821 don Ludovico fa un decisivo passo avanti: apre per i suoi ragazzi una scuola e tre laboratori per i mestieri di fabbro, falegname e calzolaio. Tre anni dopo riesce ad aprire il labora- torio che più ha desiderato: la tipografia. Nel 1831 don Ludovico scrive il “Regolamento” del suo istituto. Perché le sue opere non abbandonino i poveri per rivolgersi ai benestanti (cosa purtroppo frequente negli istituti religiosi) fissa le tre categorie di ragazzi che potranno essere accettati nelle sue opere: gli orfani, i figli di madre vedova, i giovani “veramente abbandonati dai loro geni- tori”. Le colonne del suo sistema educativo saranno: la Religione, l’amore, l’educazione della volontà. In quegli anni nelle scuole si usa tranquillamente il bastone e la sferza. Don Ludovico esige per i ragazzi rispetto e amore. La piaga antica dei sordomuti Nelle valli bresciane esiste una piaga antica: quella dei sordomuti. Nel 1840, nel paese di Seiano, don Ludovico prepara la sua prima scuola per loro. Come sempre si fa muratore. Nelle pause medita sul Vangelo. È il nutrimento del suo spirito, gli dà la forza per continuare a lavorare per Gesù che soffre la fame e l’ignoranza nei suoi giovani. Il 12 giugno 1847 giunge l’approvazione del Papa per la “Religiosa Congregazione dei Figli di Maria Immacolata”. Don Ludovico e i suoi diventano “religiosi”, cioè consacrati a Dio. Le 10 giornate di Brescia Ma all’orizzonte c’è di nuovo la guerra: la prima guerra d’indipen- denza italiana per due anni porterà distruzioni e lutti nell’Italia del nord. Il 24 marzo 1849, mentre a Brescia stanno per iniziare le “10giornate” che copriranno la città di gloria e di rovine, don Ludo- vico mette in salvo i suoi ragazzi. Li fa uscire in piena notte, sotto una pioggia diluviante, nemmeno un’ora prima che gli Austriaci inizino il bombardamento sulla città. In quella notte tremenda, don Ludovico riesce a salvare i suoi ragazzi, parte nella casa di sua sorella Paolina, parte nella casa di Seiano. Ma lui non ce la fa. Una broncopolmonite se lo porta via il 1° aprile. È la domenica delle Palme, mancano sette giorni alla Pasqua. 101 Capitolo 3 La Rivoluzione industriale e il prezzo umano del benessere 1. COMINCIANO AD ESISTERE LA “FABBRICA” E GLI “OPERAI” Nel 1769, a Glasgow in Gran Bretagna, mister James Watt inventò la “mac- china a vapore”. Essa sfruttava una nuova energia: quella del calore. Una sola macchina di Watt (potenza 100 cavalli-vapore) sviluppava una forza pari a quella che prima producevano 880 uomini. Una filanda, impiegando solo 750 lavoratori radunati sotto alcuni capannoni, produceva tanto filo quanto prima avrebbero potuto produrre 200 mila lavoratori. Cominciarono così ad esistere la “fabbrica” e gli “operai”. La produzione facilitata delle fabbriche abbassa di colpo il prezzo dei tessuti e ne sviluppa enormemente il mercato. Negli stessi anni si verifica un fortis- simo aumento nell’utilizzazione del ferro (per la produzione di macchine, telai, fer- rovie) e nell’utilizzazione del carbone (che permette la propulsione delle macchine a vapore). Si costruiscono su larga scala ferrovie e battelli a vapore. Per la contemporanea, progressiva vittoria della medicina e dell’igiene sulle più micidiali malattie come la peste e il vaiolo, la popolazione in Europa ha una crescita imponente: da 180 milioni nel 1800 a 260 milioni nel 1850. La moltiplicazione veloce delle fabbriche (cioè l’industria) e l’abbassamento dei prezzi mette in crisi gli artigiani. In campagna arrivano le prime macchine a vapore, che rendono inutile il lavoro di tanti salariati. Una fiumana di gente emigra in città in cerca di lavoro. Le fabbriche acquistano una fisionomia precisa: centri dove un grande numero di lavoratori compiono lo stesso lavoro alle dipendenze di un padrone. Sorgono così in Inghilterra le città del carbone, le città del ferro, le città delle industrie tessili. È la rivoluzione industriale. Nata in Inghilterra, passa rapidamente in Francia, Germania, Belgio, Olanda, Italia del Nord, Stati Uniti d’America. Essa è uno dei più grandi e radicali cambiamenti che si sono verificati nella storia dell’uomo. Essa “invase il globo, sconvolse l’esistenza e travolse le strutture di tutte le società umane esistenti nel giro di sette o otto generazioni (150/200 anni). La scoperta di Watt fu seguita da tutta una serie di invenzioni analoghe che permisero di sfruttare nuove energie: il petrolio, la dinamite, l’elettricità, l’atomo” (Carlo M. Cipolla). I risultati industriali furono enormi, impensabili, tanto che si può affermare: nel 1850 il passato non è più passato, è morto. L’umanità si sviluppò in maniera esplosiva: 750 milioni di persone nel 1750, un miliardo e 200 milioni nel 1850, due miliardi e mezzo nel 1950, 6 mi- liardi nel 2003. Il benessere che la rivoluzione industriale diffuse non era mai stato 102 raggiunto prima. Totali e drastici cambiamenti si verificarono nelle abitudini, idee, credenze, istruzione, famiglia. Problemi enormi furono posti alle nuove generazioni: armi sempre più terribili, inquinamento, crescita incontrollata della popolazione terrestre... 2. IL COSTO UMANO DEL BENESSERE L’enorme progresso materiale ebbe però, specialmente nei primi cento anni, un pauroso costo umano: “Una piccolissimo numero di straricchi – dirà papa Leone XIII della Rerum Novarum – ha imposto uno stato di quasi schiavitù all’infinita moltitudine dei proletari”(RN 2). È il “buco nero” della “questione operaia”. Nelle città industriali si forma una classe nuova, quella dei proletari, che non ha altre ricchezze al di fuori delle proprie braccia e dei propri figli (= la prole). Le condizioni dei proletari sono spaventose. Nel 1850 metà della popolazione inglese è ormai ammassata nei centri cittadini. Le ‘case’ degli operai sono tante volte cantine, in ognuna delle quali si ammassa tutta la famiglia, senza luce, fetide per l’umidità e gli scoli. Nelle fabbriche nessuna misura igienica, nessun regola- mento, tranne quello imposto dal padrone che punta solo al massimo guadagno. 3. L’AGONIA DEI FANCIULLI TORTURATI Il salario esiguo permette un nutrimento sufficiente solo alla persona che lavora. Devono quindi lavorare in fabbrica (se vogliono mangiare) anche le donne, i ragazzi, i bambini. Si consuma così nel silenzio quella che Bertrand Russel chiamerà “l’agonia dei fanciulli torturati”. La fatica, le malattie (specialmente la tubercolosi), l’impossibilità di dormire rendono la vita di questi piccoli sventurati molto breve. Il grande capitale, che avrebbe donato benessere e cultura all’Europa, si costruisce con il sangue dei fanciulli. Le pagine con cui B. Russel documenta questo vero genocidio (nell’opera Storia delle idee del secolo XIX) sono sconvolgenti. Riassumo: “I bambini, a Londra, venivano ‘affittati’ a centinaia nei rioni popolari. Portati alla stazione venivano stipati nei vagoni e spediti a lavorare nelle filande del Lancashire. Molti di essi camminavano appena. Il lavoro durava dalle 5 del mattino alle 9 di sera. Il lavoro della tessitura lo facevano le macchine. E per badare a una macchina non occorreva un uomo, bastava un bambino. Cadevano dal sonno, dalla stan- chezza nella solitudine delle fabbriche buie. Le malattie stroncavano i piccoli lavoratori”. In Francia, Belgio, Germania intorno al 1850 si consuma lo stesso genocidio. Una statistica rivela che a Nantes (in Francia) 66 bambini su 100 muoiono prima dei 5 anni. La durata media della vita di un operaio è di 17-19 anni. Nell’Italia del 103 Nord (dove l’industria tessile comincia nel 1817 e quella meccanica nel 1846) le condizioni sono identiche. Sulla vita negli stabilimenti tessili della Lombardia, R. Morando scrive: “Nei filatoi di seta, grandi stabilimenti che occupavano da 100 a 200 individui, si veri- ficava il massimo impiego dei fanciulli. Le mansioni cui venivano adibiti era di tale indole macchinale da ridurre in breve tempo all’ebetismo quei poveri esseri. Il lavoro si protraeva d’inverno per 13 ore, e nell’estate per 15 o 16... Gli ambienti umidi e malsani, il levarsi di gran mattino, il lungo permanere in posizioni inco- mode, provocavano con la massima frequenza indurimenti ghiandolari, scrofola, e tumori freddi. Oltre 15 mila fanciulli, in Lombardia, consumavano così il fiore della vita”. In questi decenni, prima e dopo la Rerum Novarum e l’enunciazione della Dottri- na sociale della Chiesa (di cui parleremo nella parte seguente), sorge una numerosis- sima schiera di cristiani che danno battaglia al capitalismo disumano. Da Giovanni Bosco a Luigi Orione, da Leonardo Murialdo a Eugenia Ravasco la storia del lavoro umano è punteggiata da silenziosi ‘salvatori’ che chiedono allo Stato di intervenire, e intanto in nome di Dio cercano di strappare i giovani dalle fabbriche, danno loro apprendimento e istruzione, li aiutano a diventare onesti cittadini e buoni cristiani. E quando lo sviluppo delle comunicazioni permette agli Europei di scoprire che le condizioni disumane della vita e del lavoro si estendono a immense zone geografiche che vengono chiamate sbrigativamente “terzo mondo” la battaglia per la vita e la giustizia sociale in quelle terre viene combattuta da nuovi silenziosi ‘salvatori’. Essi sono i missionari sacerdoti e religiosi, e i tanti cristiani laici volon- tari, coperti dal silenzio dei nostri giornali e delle nostre televisioni, ma benedetti dai poveri della terra e dal Dio del Cielo. Si presentano in questa terza parte le figure di una ventina di questi “salvatori di giovani” attraverso la scuola e il lavoro. Figure di riferimento: – Don Bosco, santo (1815-1888) fondatore dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) – Luigi Maria Monti, beato (1825-1900) Fondatore dei Figli dell’Immacolata Concezione (Concezionisti) – Leonardo Murialdo, santo (1828-1900) Fondatore dei Giuseppini – Maria Domenica Mazzarello, santa (1837-1881) Confondatrice delle Figlie di M. Ausiliatrice – Giovanni Piamarta beato (1841-1913), fondatore della Congregazione della Sacra Famiglia di Nazareth – Eugenia Ravasco, beata (1845-1900) Fondatrice delle Figlie dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria – Annibale di Francia, santo (1851-1927) Fondatore dei Rogazionisti e delle Figlie del Divin Zelo 104 – Bakhita Giuseppina, santa (1869-1947) Canossiana. Da schiava a serva dei bambini – Fratel Teodoreto Garberoglio, venerabile (1871-1954) Fondatore dell’ ‘Unione dei Catechisti di Gesù Crocifisso e di Maria Immacolata’ e dei Centri di forma- zione professionale “Casa di Carità” Arti e Mestieri – Luigi Orione, santo (1872-1940) Fondatore della Piccola Opera della Divina Provvidenza – Don Giovanni Calabria, santo (1873-1954) fondatore dei Poveri Servi e delle Povere Serve della Divina Provvidenza. – Don Alberiore, beato (1884-1971) Fondatore della Famiglia Paolina – Massimiliano Kolbe, santo (1864-1941) Francescano conventuale, Fondatore di una città di lavoratori – Attilio Giordani, servo di Dio (1913-1972) Impiegato alla Pirelli e apostolo tra i ragazzi – Alberto Marvelli, beato (1918-1946) Ingegnere, lavoratore accanto ai lavoratori – Don Lorenzo Milani (1923-1967) Prete e maestro – Don Luigi Giussani (1922-2005) Fondatore di Comunione e Liberazione – Teresa di Calcutta, beata (1919-1997) Fondatrice delle Missionarie della Carità – Padre Erminio Giovanni Crippa (1921-2000). Fondatore dell’API-COLF. – Carlo Urbani (1956-2003) Laico volontario dei Medici senza Frontiere e del- l’Organizzazione Mondiale della Sanità – Anna Lena Tonelli (1943-2003) Volontaria missionaria laica. 105 DON BOSCO, SANTO Collocazione storica (1815-1888) Patronati Patrono degli educatori, editori, apprendisti, e scolari Si ricorda come Fondatore dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausilatrice La vita in un frammento “Buoni Cristiani e Onesti Cittadini” Cenni biografici Un sogno a nove anni Giovanni Bosco nel 1824 aveva appena nove anni, era orfano di padre, e in una notte fece un sogno misterioso. Lo raccontò lui stesso nelle sue Memorie. Gli sembrò di vedere una turba di ragazzi che giocavano e bestemmiavano. Si era lanciato nel mezzo, e a schiaffi e pugni aveva cercato di farli tacere. Ma un uomo venerando dal volto luminoso gli aveva detto: “Non con le percosse, ma con la mansuetudine e la carità dovrai acquistarti questi tuoi amici. Parla loro della bruttezza del peccato e spiega la preziosità dell’amicizia con il Signore”. Confuso e spaventato, Giovanni gli aveva domandato chi fosse. E si sentì rispondere: “Io sono il Figlio di Colei che tua mamma ti insegnò a salutare tre volte al giorno. Il mio nome domandalo a mia Madre”. Ac- canto a lui, in quel momento, Giovanni vide una Donna maestosa, rivestita di un manto splendente. Ella fece un gesto, e tutti quei ragazzi si mutarono in un gregge di capretti, cani, gatti, orsi, animali feroci. Un altro gesto, e tutti quegli animali si cambiarono in agnelli mansueti, che correvano e saltellavano intorno a quel- l’Uomo e a quella Donna. Giovanni era tutto confuso, ma la Donna gli disse: “Ecco il tuo campo. Ecco dove dovrai lavorare. Renditi umile, forte e robusto. E il cambiamento che hai visto succedere in questi animali, tu lo farai per i miei figli”. Insieme a sua madre Margherita, Giovanni pensò a lungo a quel sogno, e sembrò a tutti e due che Dio lo chiamasse a diventare sacerdote, e a dedicare la vita ai ragazzi sbandati, senza affetto, avviati per una cattiva strada. Aiutato da sua madre, Giovanni affrontò fatiche e sacrifici incredibili per diventare prete. Subito dopo si stabilì a Torino per «dedicare la vita ai ragazzi poveri e abbandonati». Fin dalle prime domeniche andò per la città, per farsi un’idea delle condizioni dei ragazzi. Ne rimase sconvolto. Le periferie erano zone di miseria e di desolazione. Giovani vagavano per le strade, disoccupati, intristiti, pronti a qualunque avventura pur di guada- gnare qualche soldo. Un mercato dove si vendono ragazzi Accanto al mercato generale della città, a Porta Palazzo, scoprì un luogo dove «si vendevano i ragazzi»: i padroni passavano, e sce- glievano tra i tanti quelli che potevano servire alla loro fabbrica, ai loro cantieri, con salari bassissimi. L’impressione più sconvol- gente don Bosco la provò entrando nelle prigioni. Nelle sue Me- morie scrisse: “Vedere un numero grande di ragazzi tra i 12 e i 18 anni, sani, robusti, intelligenti, vederli là oziosi, tormentati dalle cimici e dai pidocchi, senza pane e senza una parola buona, mi 106 fece inorridire”. Nelle sue Memorie don Bosco continua: “Molti di quei giovani, quando riacquistavano la libertà, erano decisi a vivere in maniera diversa, migliore. Ma dopo poco tempo fini- vano di nuovo dietro le sbarre. Cercai di capire la causa, e con- clusi che molti erano di nuovo arrestati perché si trovavano ab- bandonati a se stessi. Pensavo: Questi ragazzi dovrebbero trovare fuori un amico che si prenda cura di loro, li assista, li istruisca, li conduca in chiesa nei giorni di festa. Allora non tornerebbero a rovinarsi”. È di qui che parte la grande missione di don Bosco. Avvicinò il primo ragazzo immigrato l’8 dicembre 1841, festa della Madonna Immacolata. Tre giorni dopo attorno a lui erano in nove, tre mesi dopo venticinque, nell’estate ottanta. Dà loro pane, amicizia e catechismo. Tra un manicomio e un cimitero abbando- nato nasce il suo Oratorio. Per i ragazzi, rumorosi e fracassoni, don Bosco non trova un posto stabile. Deve vagare per la periferia nord di Torino, finché trova una tettoia tra i prati. Ai suoi ragazzi dedica la settimana: cerca lavoro per chi non ne ha, condizioni migliori per chi è sfruttato, fa scuola dopo il lavoro ai più intelli- genti. Alcuni ragazzi, però, alla sera non sanno dove andare a dor- mire. Finiscono sotto i ponti o negli squallidi dormitori pubblici. Don Bosco affitta e poi compra una casa, chiama dalla campagna sua madre, e comincia e dare ospitalità ai più miseri. Il ragazzo portato dalla pioggia Il primo è un ragazzo bagnato di pioggia come un pulcino. È arri- vato dalla Valsesia e non sa proprio dove andare. Dorme rannic- chiato presso il focolare acceso di don Bosco. Nel 1852 i ragazzi a cui don Bosco dà cibo, scuola e alloggio sono 35. Dieci anni dopo saranno 600. Raggiungeranno il numero di 800. Ragazzi po- veri vogliono dire pane e minestra, abiti e libri, chiese edifici sempre più vasti. I soldi, per tutta la vita di don Bosco, saranno il problema più drammatico. Eppure ce la farà: “La Provvidenza a volte si fa un po’ aspettare, ma arriva sempre”. Tra quei primi ragazzi poverissimi, quasi tutti orfani, qualcuno gli chiede di “di- ventare come lui”. Si chiamano Giuseppe Buzzetti, Michele Rua, Giovanni Cagliero, Giovanni Battista Francesia, Paolino Albera... Si riuniscono insieme e si danno il nome di «Salesiani», pren- dendo il nome da san Francesco di Sales, il santo della bontà e della dolce pazienza (“Così bisogna comportarsi tra i ragazzi”, diceva don Bosco ai suoi collaboratori). Loro scopo: dedicare la vita ai ragazzi poveri e sbandati, come ha fatto don Bosco. Non cercano denaro né carriera, ma la salvezza dei giovani. Gli anni di mamma Margherita La prima opera alla quale mettono mano sono i “laboratori per giovani apprendisti”. Il primo maestro nel microscopico labora- torio dei calzolai è don Bosco stesso, che ha imparato a risuolare le scarpe quando aveva 14 anni. Poi si organizza il laboratorio dei sarti, dove la prima maestra è la sua anziana mamma Margherita venuta dalla collina del Becchi a dargli una mano e a fare da 107 mamma a quei suoi primi ragazzi. Poi vengono i laboratori dei legatori, dei falegnami, dei tipografi, dei fabbri. Gli oratori, le scuole, i laboratori salesiani, le scuole agricole, le scuole profes- sionali si allargano a macchia d’olio in Italia, Spagna, Francia, Belgio. I primi missionari salesiani li trapiantano nell’America del Sud. E dovunque si realizza il miracolo: ci sono giovani che dicono ai figli di Don Bosco: “Voglio diventare come voi. Non mi interessa far denaro o far carriera, voglio dedicare la vita a salvare i ragazzi poveri e sbandati”. Nasce così la grande famiglia dei figli di Don Bosco, chiamata “Congregazione Salesiana”. Poi Don Bosco fonda, insieme a Maria D. Mazzarello, una seconda Con- gregazione: le “Figlie di Maria Ausiliatrice” (FMA), che fanno tra le ragazze il bene che i Salesiani fanno tra i ragazzi. E finalmente Don Bosco inventa la famiglia dei “Cooperatori Salesiani”: tutte le persone che, vivendo nelle loro famiglie, vogliono far del bene ai giovani seguendo lo stile di Don Bosco. Tra essi ci sono anche i “benefattori di Don Bosco”: quelli che aiutano con la preghiera e con i beni materiali le opere salesiane. Don Bosco, il “povero prete di Valdocco”, è ormai conosciuto da tanta gente. È cono- sciuto e ammirato specialmente per la sua maniera di educare i giovani, che in tutte le istituzioni educative si tenta ormai di imitare. Qual era esattamente il suo sistema educativo? Davanti a questa domanda che molti gli rivolgevano, Don Bosco si scher- miva, diceva sorridendo: “Neppure io lo so. Tiro su i ragazzi come mia madre tirava su me e i miei fratelli”. Sistema familiare, quindi. Ma nella primavera del 1877, pressato da molte parti, specialmente dai Francesi presso i quali le sue opere si stavano moltiplicando, Don Bosco tentò di esporre in alcune pagine le linee essenziali del suo sistema educativo. Lo chiamò “Sistema Preventivo”. Ecco le parole principali scritte da lui: Esso consiste nel far conoscere le prescrizioni e i regolamenti di un istituto, e poi sorvegliare in modo che gli allievi abbiano sempre sopra di loro l’occhio vigile del Direttore o degli assi- stenti, che come padri amorosi parlino, servano di guida ad ogni evento, diano consigli ed amorevolmente correggano, che è quanto dire: mettere gli allievi nella impossibilità di commettere mancanze. Questo sistema si appoggia tutto sopra la ragione, la religione, e sopra l’amorevolezza; perché esclude ogni castigo violento e cerca di tenere lontano gli stessi leggeri castighi. La pratica di questo sistema è tutta appoggiata sopra le parole di S. Paolo che dice: “La carità è benigna e paziente; soffre tutto, ma spera tutto e sostiene qualunque disturbo”. Perciò soltanto il cristiano può con successo applicare il sistema Preventivo. Ragione e Religione sono gli strumenti di cui deve costantemente far uso l’educatore, insegnarli, egli stesso praticarli se vuol essere ubbidito ed ottenere il suo fine. 108 1. Il Direttore deve essere consacrato a’ suoi educandi... Si trovi sempre coi suoi allievi tutte le volte che non sono obbligatoria- mente legati da qualche altra occupazione. 2. I maestri, i capi d’arte, gli assistenti devono essere di moralità conosciuta. Studino di evitare come la peste ogni sorta di affe- zione od amicizie particolari cogli allievi... Si faccia in modo che gli allievi non siano mai soli. Per quanto è possibile gli assistenti li precedano nel sito dove devono raccogliersi... 3. Si dia ampia libertà di saltare, correre, schiamazzare a piaci- mento. La ginnastica, la musica, la declamazione, il teatrino, le passeggiate sono mezzi efficacissimi per ottenere la disciplina, giovare alla moralità e alla sanità... Fate tutto quello che volete – diceva il grande amico della gioventù S. Filippo Neri –, a me basta che non facciate peccati. 4. La frequente confessione, la frequente comunione, la messa quotidiana sono le colonne che devono reggere un edificio edu- cativo, da cui si vuol tener lontano la minaccia e la sferza. Non mai obbligare i giovanetti alla frequenza de’ santi Sacramenti, ma soltanto incoraggiarli e porgere loro comodità di approfit- tarne... L’educatore, tra gli allievi, cerchi di farsi amare, se vuole farsi temere. “Dite ai miei ragazzi” Don Bosco morì il 31 gennaio 1888. Ai Salesiani che lo veglia- vano, mormorò nelle ultime ore: “Vogliatevi bene come fratelli. Aiutatevi, sopportatevi come fratelli. Fate del bene a tutti, del male a nessuno... Dite ai miei ragazzi che li aspetto tutti in paradiso”. 109 LUIGI MARIA MONTI, BEATO Collocazione storica (1825-1900) Patronati Si ricorda come Fondatore dei Figli dell’Immacolata Concezione (Concezionisti) La vita in un frammento “Prega e cura, prega e guarisci, prega e sii di conforto al prossimo nel momento più delicato della vita, nell’ora in cui il male corpo- rale inaridisce le anime e rischia di farle allontanare da Dio” Cenni biografici Un bambino gli gettava le braccia al collo, i malati lo fissavano Il 9 novembre 2003, in una Piazza San Pietro gremitissima e inon- data di sole, Giovanni Paolo II proclamò cinque nuovi beati. Tra essi Luigi Maria Monti, il fondatore dei Figli dell’Immacolata Concezione. La sua figura austera e dolce campeggiava in un grande dipinto a colori, che diceva a tutti la doppia missione cristiana per cui era vissuto: un bambino bisognoso gli gettava le braccia al collo, alcuni malati adagiati intorno fissavano fiduciosi il suo volto. Luigi Maria Monti, laico consacrato a Dio, nella sua vita era stato chiamato “padre”, per la venerazione di cui veniva circondato. Era nato a Bovisio, piccolo paese dell’alto milanese, nel 1825. Era l’ottavo figlio di Angelo e Teresa Monti, modesti contadini. Giovane ardente di vita, cresceva nella fede comunicatagli dai genitori, e viveva con loro i valori umani e cristiani di austerità, generosità e operosità. Orfano di padre a 12 anni, diventa arti- giano del legno per sostenere la mamma e i fratelli. Attratti dalla sua bontà, dopo il lavoro, diversi coetanei artigiani e contadini si riuniscono nella sua bottega, trascorrendo il tempo in preghiere, letture della vita dei santi, tutto in sana e santa allegria. È una vera “comunità cristiana locale”, che la gente del posto chiama scherzando “la compagnia dei frati”. Ma è l’anno 1851, ed è finita da poco (con il disastro della bat- taglia di Novara) la prima guerra d’indipendenza italiana. Gli Austriaci che occupano la Lombardia vedono cospirazioni dap- pertutto. Qualche maligno soffia nelle loro orecchie che nella bot- tega del Monti si riunisce una “società di cospiratori”. La polizia irrompe durante una riunione e arresta Monti e quindici suoi com- pagni. Per 72 giorni subiscono il “carcere preventivo”, mentre la polizia indaga. Alla fine vengono liberati come onesti cittadini che non hanno mai cospirato contro nessuno. Nel 1852 Luigi Maria si trasferisce a Brescia per entrare nella Congregazione dei Figli dell’Immacolata fondata da Ludovico Pavoni cinque anni prima. Vi rimane sei anni come novizio. Fu un periodo di matura- zione e di riflessione. Fece esperienza come educatore, dedican- dosi ai poveri figli del popolo, e si specializzò come infermiere, in cui manifestò dedizione eroica. Si chiuse nel lazzaretto Quando nel 1854 scoppiò a Brescia il colera, si chiuse volontaria- mente con due confratelli nel lazzaretto e vi rimase per tre mesi, a 110 completa disposizione dei colpiti. Uscì solo alla fine della pesti- lenza per non contagiare nessuno. Nel dicembre del 1854, papa Pio IX da Roma proclamò “dogma di fede” l’Immacolata Concezione di Maria. Luigi Maria, insieme al giovane e abile infermiere Cipriano Pazzini, furono sollecitati dal loro direttore spirituale a recarsi a Roma, nell’ Ospedale Santo Spirito. Il direttore sapeva che la cura degli infermi in quel grande ospe- dale non era buona. Avrebbero dato vita a una unione per il servi- zio degli infermi, che avrebbe chiamato “Congregazione dei Figli dell’Immacolata Concezione”. Luigi Maria Monti ubbidì. Giunse a Roma nel 1858 (aveva 33 anni) e si inserì nell’ospedale come umile infermiere. Venti lunghi, faticosi anni “Fu in quel luogo di disperate sofferenze che, di fatto, iniziò il cammino di Luigi Monti sulla strada della carità e del servizio all’uomo malato, fu lì che egli diede vita alla famiglia religiosa dei Figli dell’Immacolata Concezione a testimoniare la filiale accettazione di quel dogma che papa Pio IX aveva da poco pro- mulgato sulla purezza totale della Madre Celeste. Dalle corsie del Santo Spirito agli ospedali di Orte, Nepi, Civita- castellana, Capranica, Luigi Monti per ben venti lunghi e faticosi anni si fece Infermiere di Dio, Apostolo della Carità, testimone d’amore al servizio della sofferenza. Diventò operatore sanitario a tempo pieno. Visse, dormì, si nutrì accanto ai suoi assistiti, ne condivise i loro problemi al punto di seguirli anche una volta dimessi dalla corsia ospedaliera. La città di Roma e il territorio della Provincia di Viterbo lo videro sempre pronto ad accorrere dove il fratello malato chiamava, dove la sua opera risultava indispensabile. È pienamente convinto che il malato, il corpo del malato sofferente siano la stessa persona di Cristo, tanto che trovandosi nella necessità di scegliere tra un rosario in cappella e un malato da soccorrere non ebbe mai dubbio alcuno. Fu l’amico e il servo degli infermi, fu l’infermiere di Dio, fu l’interprete del Vangelo della sofferenza. Ma non dimenticò mai di aggiornarsi a livello professionale. Studiò ana- tomia e farmacia per preparare giuste ricette per i suoi malati. Ma la ricetta più bella non veniva, come ebbe a dire lo stesso Monti, dal retrobottega di una qualunque farmacia, ma dal cuore di Gesù. Ecco la sua prescrizione: “Per godere di buona salute di anima e di corpo, prendete radici di fede, verdi fronde di speranza, rose di carità, viole di umiltà, gigli di purità, assenzio di contri- zione, legno della Croce. Legate tutto in un fascetto col filo della rassegnazione. Mettetelo a bollire sul fuoco dell’amore, nel vaso dell’orazione, con vino di santa allegrezza e con acqua di tempe- ranza, ben chiuso col coperchio del silenzio. Lasciatelo la mattina nel sereno della meditazione. Prendetene una tazza mattino e sera, e così godrete buona salute”. È un infuso, quello del beato Luigi Maria Monti, che non ha date di scadenza” (G. Cristofani). 111 Nel 1877 Pio IX lo nomina Superiore Generale della sua Congre- gazione, che silenziosamente ed efficacemente si sviluppa nei luoghi di sofferenza. “Padre” Monti si sforza di donare ad essa il suo spirito. Ripete ai suoi figli spirituali: “Cercare sempre tra le pieghe di un dolore fisico il tormento di un’anima”, “Prima di tutto viene il malato”. Il motto di san Benedetto, “Prega e lavora”, fu tradotto da Luigi Monti come “Prega e cura, prega e guarisci, prega e sii di conforto al prossimo nel momento più delicato della vita, nell’ora in cui il male corporale inaridisce le anime e rischia di farle allontanare da Dio”. Lo scrisse chiaramente nelle Regole che volle lasciare ai suoi figli, ma prima di scriverlo con le parole lo testimoniò con la sua vita, passata a fianco della povertà e della sofferenza. Le malattie dei pastori Nel 1877 decise di comprare una casa e un vigneto nell’agro romano in via Boccea, da destinare al riposo dei suoi figli spiri- tuali. Attorno vivevano famiglie di pastori, molto sovente colpite da malattie della pelle per il mestiere che facevano. I suoi figli spirituali, invece di riposarsi, cominciarono a curare le malattie dei pastori. Oggi, per la costante e progressiva attività dei “Concezionisti” (come vengono chiamati gli appartenenti alla sua Congregazione) sorge l’Istituto Dermopatico dell’Immacolata, uno dei più insigni centri del mondo per la cura delle malattie della pelle. Un giorno del 1882, all’Ospedale di Santo Spirito, ricevette la visita di un frate certosino, suo compaesano, che gli presentò quattro ragazzetti. Erano suoi nipoti, ed erano diventati improvvi- samente orfani di entrambi i genitori. Il frate non sapeva dove collocarli. Luigi Maria Monti li prese con sé, sentendo rinascere l’antica tenerezza verso i ragazzi abbandonati che aveva provato nell’opera fondata da Ludovico Pavoni. Ritornano gli orfani Nel 1883 si teneva il Capitolo generale dei Figli dell’Immacolata Concezione. Egli chiese e ottenne dai suoi figli che la Congre- gazione assumesse anche questa seconda finalità apostolica: l’ac- coglienza degli orfani di padre e di madre, perché trovassero nelle loro comunità una seconda famiglia. Nel 1886, tornato in Lom- bardia, “Padre” Monti aprì a Saronno la prima casa per gli orfani. Essa è oggi la sede centrale di tutta la sua opera. Luigi Maria Monti andò incontro a Dio il 1° ottobre 1900. Nei decenni che seguirono, i suoi figli spirituali realizzarono opere per i malati e gli orfani in Italia e in tutto il mondo: dalla cura dei lebbrosi in Camerun alle scuole di lavoro per gli orfani in India. 112 LEONARDO MURIALDO, SANTO Collocazione storica (1828-1900) Patronati Si ricorda come Fondatore dei Giuseppini La vita in un frammento “Fare e tacere” Cenni biografici Votacci sui compiti Il ricco e nobile banchiere torinese Murialdo ebbe nove figli. Il penultimo di essi, Leonardo, a soli 8 anni fu mandato a Savona, nella celebre scuola degli Scolopi, in faccia allo splendido mare ligure. L’aria di mare gli fece bene. Ma la compagnia di alcuni compagni maliziosi, quando giunsero gli anni difficili dell’adole- scenza, lo fecero entrare in crisi. Dai 14 ai 15 anni cominciarono ad arrivare votacci sulle pagine dei compiti. La mamma, che credeva di averlo collocato in un luogo sicuro per la sua crescita cristiana, ricevette lettere allarmanti dalla direzione della scuola. Nelle sue “Memorie”, Leonardo scriverà: “Voi mi avete ricolmato, o mio Dio, di beni naturali e spirituali. E io vi abbandonai tanto presto. Presso i quindici anni io ero già peccatore e gran peccatore”. A 15 anni la mamma lo esortò a tornare a Torino. La fine delle “cattive compagnie” e l’affetto sereno di sua madre lo rimisero sulla buona strada. Un giorno, mentre pregava la Madonna nella bella chiesa di S. Dalmazzo, sentì prepotente la chiamata del Signore a diventare sacerdote. Ottenne la laurea in teologia presso la Regia Università di Torino, e fu ordinato sacerdote nel 1851. Fianco a fianco con don Bosco Dedicò i primi 14 anni del suo sacerdozio interamente all’aposto- lato tra la gioventù povera e abbandonata della sua Torino. In parti- colare, dal 1857 (aveva 29 anni) al 1865 collaborò con Don Bosco accettando la direzione dell’Oratorio di S. Luigi presso la stazione ferroviaria di Porta Nuova. In quegli anni una manciata di santi (donCafasso, donBorel, donBosco, la marchesaBarolo, donCocchi) operava in Torino tra i giovani lavoratori poverissimi, che l’espe- rienza delle prime fabbriche portava all’abbandono della fede. Per aiutare più concretamente i giovani del suo Oratorio (che in certe domeniche raggiungeva il numero di 500), don Leonardo tirò su uno stanzone, lo divise in due, e lo fece servire da aula sco- lastica per un centinaio di ragazzi. Ad essi forniva i libri, e molte volte anche il necessario per mangiare e vestirsi. La città, governata da Camillo Cavour, vedeva crescere in maniera esplosiva la sua popolazione, specialmente nei quartieri popolari. Dai 137 mila abitanti del 1848 ai 220 mila del 1864. Occorrevano iniziative nuove, per non perdere cristianamente il mondo operaio. A esplorare in Francia Nel 1865 don Leonardo lanciò il progetto di una “Unione di operai cattolici”, e cominciò a un più ampio movimento associativo. 113 A Torino si sapeva che in Francia (dove la rivoluzione industriale era arrivata in pieno) diverse personalità cattoliche lavoravano con iniziative diverse nel mondo operaio. Con il consenso e l’ap- poggio degli altri “operatori sociali”, don Leonardo nel 1866 partì per Parigi e, per un anno, fu ospite del celebre Seminario di San Sulpizio. “Entrò in contatto con le maggiori figure del cattolice- simo sociale francese, dal De Melun, al Mermillod, al Maignen, ricevendone stimoli e suggestioni importanti per il suo progetto di associazionismo operaio. Passò quindi in Inghilterra, dove fu ospite del torinese Faà di Bruno. Fu molto attento a quanto avve- niva di nuovo nel cattolicesimo europeo” (B. Gariglio). Nell’anno passato nel Seminario parigino non fu soltanto “osser- vatore” dei fenomeni sociali. Egli si mise alla scuola spirituale del santo rettore, padre Icard. Sotto la sua direzione spirituale sviluppò “un senso vivo del primato della vita di fede e di ado- razione, un tono di distacco, un’austerità che però era temperata dalla dolcezza appresa alla scuola di Don Bosco” (D. Barsotti). Ritornato dall’Inghilterra nel novembre 1866, fu quasi costretto ad assumere la direzione dell’opera degli Artigianelli, nata dalla vulca- nica attività di don Cocchi “per accoglierei fanciulli poveri e abban- donati”, diretta in quel momento da padre Berizzi, e carica di debiti. Nell’opera erano sorti laboratori interni, diventati vere scuole pro- fessionali. Don Leonardo aveva aiutato finanziariamente l’opera, ma non se la sentiva di assumere la direzione di quella complessa comunità di maestri e di giovani, e insieme farsi carico del pesantis- simo mutuo che la direzione aveva contratto per la costruzione del fabbricato e l’acquisto delle macchine per i laboratori. “Accettare quell’impegno voleva dire gettare via il proprio patrimonio, e com- promettere il buon nome della sua famiglia” (G. Pettinati). “Provvisorio” per 34 anni Padre Berizzi, per farlo accettare, gli assicurò che avrebbe cercato un altro direttore. Lui doveva ricoprire la carica solo provvisoria- mente. Don Leonardo finì per accettare, ma quel provvisoriamente durò 34 anni, cioè tutta la sua vita. Da questo momento l’attività di don Leonardo, anche se mescolata nella vita di tutti i giorni, si svolge su due fronti distinti: la condu- zione paterna della sua opera con la progressiva nascita della sua Congregazione, e la sua azione nel più vasto campo sociale con la nascita delle “Unioni operaie” e del giornale “La Voce del- l’Operaio”. Accettata “provvisoriamente” la nuova carica, don Murialdo ab- bandonò il palazzo della sua famiglia e visse tra i 180 artigianelli. Fece vita comune con loro e con i maestri. Già don Berizzi aveva costituito una “sezione di allievi-maestri” scegliendoli tra i gio- vani migliori. Il Murialdo scrisse per loro e per i fratelli laici che insegnavano nei laboratori un regolamento, e li raccolse tutti nella “Compagnia di San Giuseppe”. Non era una Congregazione di consacrati, ma la preparava. L’idea di diventare il fondatore di una Congrega- 114 zione lo spaventava. Prima di decidersi pregò a lungo, pellegrinò ai santuari della Consolata, di Lourdes, di La Salette. Chiese il consiglio del suo “direttore spirituale” di San Sulpizio. Padre Icard nel 1871 venne a fargli visita. Vide l’Opera degli Artigia- nelli, parlò con lui e con i suoi collaboratori, e alla fine concluse che la Congregazione si doveva fondare. “Io fondatore di una Congregazione? – esclamò don Leonardo –. Ma per questo il Si- gnore ha sempre scelto dei santi!” Padre Icard sorrise e rispose: “Ecco una buona occasione per diventarlo!”. Il 19 marzo 1873, vinta ogni esitazione, don Murialdo fece i primi voti religiosi. Nasceva la Pia Società di San Giuseppe. Non era molto numerosa: i sacerdoti erano solo tre. E don Murialdo non desiderava che si allargasse molto. Pensava che la sua azione dovesse limitarsi all’Opera degli Artigianelli. Ma i disegni del Signore erano diversi. I “Giuseppini”, durante la sua vita, allarga- rono il loro ministero a una Casa-Famiglia in Torino, alle scuole di Venezia, Oderzo (Treviso), Vicenza, Bassano del Grappa,Rove- reto, Correggio, Reggio Emilia, Zara e Carpi. Don Murialdo parlava poco della sua opera. La sua parola d’or- dine era Fare e tacere. Arriva la Rerum Novarum Sul piano sociale la sua azione fu molto efficace. Nel 1871 riuscì a realizzare l’idea di una Unione di Operai cattolici. In dieci anni essa creò nella sola Torino 25 sezioni con 5 mila iscritti, ed estese la sua attività a molte opere assistenziali: la Cassa di Mutuo soc- corso (1871), il Collocamento operaio (1876), la Biblioteca circo- lante (1878), i Magazzini Alimentari (1882), la Cassa Pensioni e Previdenza per vecchi inabili e infortunati sul lavoro (1888), scuole feriali e festive, il “Giardino festivo” (dopolavoro festivo con cappella, bar e giochi di società). Sollecitò e guidò varie petizioni al Governo Italiano per la tutela del lavoro dei minori, perché venisse proibito per loro il lavoro notturno e limitato quello diurno. Dopo la pubblicazione della Rerum Novarum di Leone XIII nel 1891, intensificò la sua azione sociale. Le Unioni Operaie si diffu- sero in Piemonte e in Liguria. Ispirò la nascita del primo Segretariato del popolo in Torino (1995) dove gli operai venivano aiutati nei problemi del lavoro. Dal 1883 pubblicò La Voce dell’Operaio, che oggi continua come Voce del Popolo. Fu il primo periodico cattolico italiano rivolto a un pubblico operaio. Negli ultimi anni della sua vita non diminuì la sua attività reli- giosa e sociale, ma si sentì oppresso dal debito enorme che faceva rischiare la bancarotta all’Opera degli Artigianelli. Don Murialdo fu visto alle porte delle chiese, insieme ai suoi artigianelli, tendere la mano per chiedere l’elemosina. Solo nel 1897 la generosissima eredità del conte Roero di Gua- rene saldò il debito. Tre anni dopo poté morire in pace. 115 MARIA DOMENICA MAZZARELLO, SANTA Collocazione storica (1837-1881) Patronati Si ricorda come Confondatrice delle Figli di Maria Ausiliatrice La vita in un frammento “Un’ora in meno su questa terra, un’ora di più vicino al paradiso” Cenni biografici Il tifo sulla colline Nel 1860, tra i calori dell’estate, sulle colline di Mornese esplose il tifo e la paura. Il tifo si comunica da una persona all’altra come l’influenza, e a quei tempi era una malattia sovente mortale. Le famiglie colpite erano abbandonate da tutti, quelle sane sbarravano le porte. In una famiglia, che porta il cognome Mazzarello, sono colpiti tutti. Qualcuno sta morendo. Don Pestarino, un prete che dà una mano al parroco del paese, va da una famiglia di parenti, anch’essa di cognome Mazzarello. Vi abita una giovane cristiana di 23 anni, primogenita di dieci figli. Le chiede di andare a dare una mano nella casa dei malati. Maria Domenica (questo il suo nome) esita, si consulta con suo padre, poi accetta. Nella casa torna l’ordine e la pulizia, cibo caldo e medicine sono pronti alle ore stabilite. Ma quando la salute sembra tornata per tutti, il tifo si abbatte su Maria Domenica. In pochi giorni è in fin di vita. Al medico, che la sta imbottendo di medicine, dice: “Basta così. Ora ho solo più bi- sogno che Dio venga a prendermi”. Ma la sua strada, nei disegni di Dio, è ancora lunga. La grave malattia ha rotto qualcosa nel suo fisico robusto. Non se la sente più di tornare a lavorare nei campi. Da cinque anni Maria Domenica fa parte della “Pia Unione delle Figlie di Maria SS. Immacolata”, un gruppo di giovani cristiane che prega insieme e fa apostolato nella parrocchia. Tra quelle gio- vani Maria ha un’amica con cui non ha segreti. Si chiama Petro- nilla. Maria le confida che ha deciso di mettersi alla scuola del sarto del paese, per fare la sarta, ma anche per insegnare il me- stiere alle ragazze del paese. “Mi piacerebbe che venissi anche tu. Staremmo insieme, vivremmo come in una famiglia”. Passa un anno, e Maria e Petronilla hanno impiantato un piccolo la- boratorio di sartoria ai margini del paese. Una decina di bambine vanno a imparare a cucire. Ma ecco una novità che sconvolge tutto. Nell’inverno 1863 bussa alla porta un venditore ambulante, ri- masto vedovo con due bambine, otto e sei anni. Chiede che le ten- gano con loro di giorno e di notte, perché deve andare in giro col suo carretto. Le bambine sono lì, quattro occhi spauriti. Petronilla prende per mano la prima, Maria prende in braccio la seconda. Accendono un gran fuoco nel camino. Così, senza nessun piano prestabilito, il primo laboratorio di sartoria si trasforma in casetta per bambine povere. Appena nel paese si diffonde la voce, ven- gono in molti a portare un fascio di legna, un paio di coperte, mezzo sacco di farina per far polenta. Portano anche altre bam- bine che hanno bisogno di una casa. E arrivano anche alcune amiche, che vengono a condividere la loro missione materna. 116 Quando il campanile batte le ore E cominciano quei piccoli gesti che diverranno col tempo compo- nenti robuste dello “spirito di Mornese”. Prima di cominciare il lavoro si recita insieme un’Ave Maria. Quanto il campanile batte le ore, Maria dice: “Un’ora di meno su questa terra, un’ora di più vicino al paradiso”. Ed esorta le sue bambine a offrire il lavoro al Signore: “Ogni punto, un atto di amor di Dio”. Anche alla domenica, Maria e le sue amiche vogliono far del bene a tutte le ragazze del paese. Nasce così un oratorio festivo, con le ragazzine che giocano spensierate, vanno insieme alla Messa, nel pomeriggio fanno liete passeggiate. Sull’orientamento della minuscola opera, e specialmente su Maria Domenica, sulla sua maturazione cristiana, è decisiva la presenza di don Domenico Pestarino, per ventisette anni suo confessore e direttore spirituale. Il modesto laboratorio-ospizio acquista col passare del tempo pro- porzioni sempre più vaste. Questo è dovuto specialmente all’ar- rivo a Mornese di don Bosco. Egli a Torino sta fondando la Con- gregazione Salesiana, e ha accettato tra i suoi membri lo stesso don Pestarino. “Fin al primo incontro (con don Bosco) – scrive P. Cavaglià – Maria Domenica avvertì una sintonia spirituale e pe- dagogica. In quello stesso anno il gruppo di Maria Domenica iniziò a gravitare sempre più intorno alla figura del santo dei gio- vani. Questi, rilevata la consistenza spirituale e pedagogica del piccolo gruppo di educatrici, lo scelse per dare origine a un Isti- tuto religioso impegnato nell’educazione femminile. Il 15 agosto 1872, le prime quindici giovani, che il fondatore volle chiamare “Figlie di Maria Ausiliatrice”, emisero i voti reli- giosi. Alla fondazione e al primo consolidamento del nuovo Isti- tuto, Maria Domenica diede il suo apporto discreto, ma singolare ed efficace, contribuendo alla formazione delle prime educatrici, e caratterizzando in modo personale la spiritualità e la metodologia educativa adottata... Il “sistema preventivo” praticato da don Bosco era già stato per anni compreso e vissuto da Maria Domenica nel suo quotidiano rapporto con le ragazze, tanto da divenire per lei connaturale. “Operando come superiora generale nella prima casa dell’Istituto a Mornese e poi a Nizza Monferrato, dove nel 1879 venne trasfe- rita la casa-madre, Maria Domenica lasciò un’impronta spirituale e pedagogica decisiva. Aveva incontrato le ragazze nella rassegna- zione di piccoli orizzonti culturali e le aveva sospinte a scelte au- daci fino a varcare i confini della nazione, realizzando così l’i- deale missionario. Suor Maria Domenica, infatti, nei primi anni dell’Istituto, vide partire numerose sue figlie per la Francia, l’U- ruguay e l’Argentina dove, a ritmo continuo, venivano fondate istituzioni educative”. La bimba con piedi, calze e scarpe incollate Il fatto di essere superiora generale non fece mai perdere a suor Maria Domenica il senso delle proporzioni. Continuò ad assistere 117 le ragazzine più piccole in camerata, con occhio amoroso e at- tento. Una bimba a cui i geloni avevano incollato insieme piedi, calze e scarpe, s’infilò nel letto con scarpe e tutto. Madre Mazza- rello se ne accorse. Non disse niente. Scese in cucina e tornò con un catino di acqua tiepida, garza e cotone. Portò tutto silenziosa- mente accanto al letto della bambina, e le sussurrò: “Adesso met- teremo a posto i tuoi piedini. Non aver paura, non ti farò male”. Nel gennaio 1881 le suore cominciarono a notare che la salute della Madre stava declinando, anche se aveva soltanto 44 anni. Qualcuna le sussurrò che doveva badare di più alla salute, ma lei sorridendo rispose: “È meglio per tutte che me ne vada. Così faranno superiora una più abile di me”. Il crollo avvenne mentre stava accompagnando un gruppo di missionarie in partenza per l’America del Sud. Una pleurite grave con febbre alta la inchiodò al letto per quaranta giorni. Tornò alla casa madre pallida e sfinita. Ringraziò delle premure dicendo: “In questo mondo, qualunque cosa avvenga, non dobbiamo né ralle- grarci né rattristarci troppo. Siano nelle mani di Dio, che è nostro padre, e dobbiamo essere sempre pronte a fare la sua volontà”. La fine si annunciò ai primi giorni di maggio. Volle ancora parlare con le sue suore. Disse: “Vogliatevi bene. Tenetevi sempre unite. Avete abbandonato il mondo. Non fabbricateneve un altro qui dentro. Pensate al perché siete entrate in Congregazione”. Stava male, ma non volle rattristare nessuno. Si sforzò addirittura di cantare. Dio le venne incontro all’alba del 14 maggio 1881. Riuscì a mor- morare: “Arrivederci in cielo”. Aveva 44 anni. Sulla spiritualità di questa giovane suora, vissuta in un ambiente non culturalmente ricco, consumata dalla povertà e dal lavoro, sono state fatte profonde riflessioni. Riporto poche righe: “Quella di Maria Domenica Mazzarello non è la spiritualità della ‘monaca di casa’, sia pure impegnata in opera parrocchiali, ma quella di chi ha fatto dell’educazione cristiana della donna una scelta di vita. Per lei vivere è fare del bene alle giovani. Si tratta di una spiritualità semplice, teoricamente non elaborata, ma vissuta e insegnata in modo vitale e pratico. Essa è fondata sui princìpi cristiani condensati nel catechismo” (P. Cavaglià). 118 GIOVANNI PIAMARTA, BEATO Collocazione storica (1841-1913) Patronati Si ricorda come Fondatore della Congregazione della Sacra Famiglia di Nazareth La vita in un frammento “Io morirò qui dove sono, in mezzo ai miei ragazzi” Cenni biografici Fare il materassaio a nove anni A 9 anni gli morì la madre, e il nonno materno lo avviò al me- stiere di materassaio. Fu un’infanzia dura la sua, e un’adolescenza difficile. Per sue fortuna incontrò un prete dalla fede profonda, don Pancrazio Pezzana, che in lui non vide solo gli atteggiamenti sgarbati, ma un’anima preziosa da salvare, e delle ottime doti per metterlo allo studio. Don Pezzana se lo fece amico, gli fece scuola, e scoprendo sotto la scorza dura un cuore puro e cristal- lino, gli propose di entrare in Seminario. Fu duro masticare gram- matiche, ma aveva i denti buoni e la volontà più buona ancora. E il 24 dicembre 1865 Giovanni Piamarta fu ordinato sacerdote. Nella chiesa di S. Alessandro, in Brescia, divenne parroco don Pancrazio Pezzana, che nel 1870 lo chiese al Vescovo come diret- tore dell’oratorio. “Furono i tredici anni più radiosi del suo apo- stolato – scrive Alberto Nodari –. La sua attività era dedicata soprattutto alla gioventù, cogliendo risultati mirabili. Dai suoi ragazzi seppe farsi amare come un fratello e rispettare e venerare come un padre”. Uno studioso della sua vita però aggiunge: “Durante quel periodo prese coscienza della situazione di disagio materiale e spirituale in cui venivano a trovarsi numerosi giovani impegnati nelle prime fabbriche della nascente industria bresciana. Sradicati dal loro ambiente paesano e agricolo, inseriti nel mondo del lavoro senza una preparazione professionale e un aiuto morale, essi erano facile preda dello sfruttamento, e le loro convinzioni religiose entravano in una gravissima crisi”. La sensibilità umana e l’impegno sacerdotale portò don Giovanni Piamarta a pensare di far qualcosa di concreto non solo per i gio- vani del suo oratorio, ma per tutti i giovani bresciani che affronta- vano il mondo del lavoro: un Istituto Artigianelli con scuole che li preparassero ad affrontare la nuova situazione. Viveva a Brescia un intelligente prelato, Mons. Pietro Capretti. A lui si rivolgevano i giovani sacerdoti per avere consiglio nelle loro difficoltà. Ascoltò più volte don Giovanni, e gli parve che il suo progetto fosse molto valido. Ma nel 1885 il Vescovo chiamò don Piamarta e gli affidò una dif- ficile parrocchia della “bassa bresciana”, Pavone Mella. Era una zona trascurata da molto tempo. La gente era ostile ai preti e alla Chiesa. Rifiutava di mandare i bambini al catechismo e viveva in maniera molto poco cristiana. Per quattro anni don Piamarta spese tutte le sue energie per quella popolazione. Ma umanamente par- lando furono quattro anni di fallimenti. A questo punto intervenne Mons. Capretti. Si recò dal Vescovo, gli espose le difficoltà in 119 continua crescita della gioventù operaia, e gli illustrò il progetto di don Piamarta. Era il caso di lasciare a Pavone Mella quel gio- vane prete che stava per essere sommerso dallo scoraggiamento, o era meglio richiamarlo a lavorare nel “suo” campo? “Eccellenza, no!” Brescia aveva già conosciuto una istituzione di difesa e di educa- zione nel settore di giovani lavoratori: quella di Ludovico Pavoni. Ma i dolorosi avvenimenti della guerra l’avevano mutilata. Il Vescovo accettò che don Piamarta ritentasse l’esperienza con il suo Istituto Artigianelli. Mons. Capretti, di famiglia ricca, comprò sul colle di S. Giulia un terreno con alcune case. L’Istituto Arti- gianelli fu aperto lì, con la celebrazione della santa Messa, il 3 di- cembre 1886. Don Piamarta ne divenne il direttore. Nonostante la generosità di Mons. Capretti, le difficoltà economi- che si fecero presto sentire. I ragazzi erano tanti e poveri. Occor- reva fornirli di tutto, dal cibo ai libri, e occorreva dare stipendi ai maestri. Il Vescovo analizzò con don Giovanni la situazione, la valutò poco sicura, e gli propose di chiudere. Don Piamarta ascoltò con animo sereno le parole del suo Vescovo, ma poi con forza disse: “Eccellenza, no. L’opera è necessaria ai giovani. Io me ne prendo tutta la responsabilità, e ho fiducia che Dio ci aiuterà. Io mo- rirò qui dove sono, in mezzo ai miei ragazzi”. Il Vescovo fu colpito da quella forte fiducia, e concluse: “Dio ti ascolti e ti assista”. Da quel momento don Piamarta non fu soltanto il direttore, ma il responsabile unico dell’opera. Ogni rischio di fallimento ricadeva solo su di lui. Egli divenne veramente “padre” dei suoi ragazzi e di quell’opera che a Brescia ancor oggi viene chiamata “Artigianelli”. Negli anni che seguirono, Dio ascoltò veramente quel prete e i suoi ragazzi. Dal 1888 il moto ascendente dell’Istituto non si fermò più, e rese un vero servizio ai giovani del mondo operaio bresciano. Sul colle di S. Giulia i fabbricati si moltiplicarono e poterono accogliere un numero sempre maggiore di laboratori. La preparazione degli insegnanti e la perfezione delle macchine poté rendere sempre migliore l’educazione e l’istruzione degli allievi. Intanto un nuovo problema si affacciava nel mondo del lavoro. Le industrie della città inducevano sempre più i giovani contadini ad abbandonare i campi. La campagna, coltivata con metodi anti- quati e da contadini sempre più vecchi, era ormai in piena crisi. Le famiglie contadine impoverivano sempre più. Don Piamarta, che era stato parroco nella “bassa”, sentiva il problema in tutta la sua urgenza. Insieme a un altro sacerdote, Giovanni Bonsignori, pensò a una Scuola Pratica di Agraria per insegnare ai giovani non a fuggire dalla terra, ma a coltivarla con metodi razionali e scientifici. Un podere con case e stalle Nel febbraio 1885 don Piamarta comprò a Remedello Sopra un podere di 140 ettari, con case e stalle. Nel novembre dello stesso anno don Bonsignori vi cominciò la Scuola Pratica di Agraria. 120 Al Congresso degli Studi Sociali tenuto a Padova nel 1896 (la Rerum Novarum era stata pubblicata da appena cinque anni) l’ini- ziativa fu presentata e ammirata dagli specialisti e dal gran pub- blico. Attorno a don Piamarta, intanto, si è creata una comunità di per- sone che ne condividono gli ideali e lo stile di vita. A questo punto, dopo aver pregato ed essersi consigliato, egli pensa seriamente ad assicurare ad essa una continuità, perché gli uomini passano, ma il bene bisogna continuare a farlo. Pensa a una famiglia religiosa nuova, “una famiglia composta di sacerdoti e laici che attendono alla educazione e all’istruzione professionale dei ragazzi”. Una vera comunità religiosa, nella quale tutti i membri cerchino di seguire seriamente la strada del Vangelo vivendo tutta la sostanza della vita religiosa, ma senza voti. Non una Congregazione ma una Pia Società. Il 25 maggio 1902 la Pia Società della Sacra Famiglia di Nazareth ottiene la prima approvazione del Vescovo di Brescia. Il 23 dicem- bre 1908 riceve l’approvazione definitiva. Tre anni dopo, don Piamarta completa la realizzazione del suo progetto: insieme a madre Elisa Baldo dà inizio alla “Pia Società delle Ausiliatrici”. Sono le sorelle che condividono l’impegno sociale e pastorale di don Piamarta, e partecipano al servizio dei giovani. Prendono il nome di Povere Serve della Sacra Famiglia di Nazareth. L’11 gennaio 1910, a 69 anni, don Piamarta fu paralizzato da un primo ictus. Appena con difficoltà si riprese, si preoccupò di concludere ogni pratica e di definire ogni progetto sospeso. Voleva essere pronto all’incontro del suo Signore, al quale avrebbe reso conto dei talenti da Lui ricevuti. Un secondo ictus lo raggiunse a Remedello. Si spense il 25 aprile 1913. Il 15 maggio 1939, la “Pia Società” viene mutata dalla Santa Sede in “Congregazione”. I confratelli che fino allora erano legati solo da una promessa, emettono i voti di povertà, castità e obbedienza. Il 12 ottobre 1997, in piazza S. Pietro, Giovanni Paolo II proclamò Giovanni Piamarta “beato”. In quel giorno furono pure proclamate le radici della sua spiritua- lità: Da una profonda vita di unione con Dio gli derivarono una carità senza confini verso tutte le miserie del mondo. Per alleviarle fu tenace nel volere le sue realizzazioni. Fu un apostolo incompara- bile nel formare persone di ogni genere, ma soprattutto quei gio- vani che furono tutta la ragione della sua vita. E la sua fu educa- zione essenziale, sobria ma salda, che partiva dalle virtù umane – soprattutto sincerità e parsimonia – per portare le anime sulla via del sacrificio e della fortezza, a saper gustare le cose di Dio. 121 EUGENIA RAVASCO, BEATA Collocazione storica (1845-1900) Patronati Si ricorda come Fondatrice delle Figlie dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria La vita in un frammento “Eccomi, Signore. Per tuo amore farò del bene a tutti quelli che incontrerò” Cenni biografici Papà e mamma sparivano e riapparivano: una confusione Figlia di banchieri, banchiera essa stessa, giocò tutta la sua vita sulla promessa di Gesù: “Chi avrà abbandonato fratelli e sorelle, padre e madre, case o campi per mio amore, riceverà cento volte di più, e avrà in eredità la vita eterna” (Mt 19,29). Sua madre era giovane e bella quando lei nacque a Milano, quinta di sei figli. Suo padre invece, il ricchissimo banchiere Francesco Matteo Ravasco, era già vecchio di 63 anni. La felicità, per quella bimba, durò un tempo brevissimo. La mamma nel dare alla luce Elisa, sua ultima bambina, morì. “Mammina” di Eugenia divenne zia Marietta, che lei non riuscì mai a distinguere bene dalla sua mamma vera. Poi sparì il papà che lasciò Milano e tornò a Ge- nova con il figlio più grande. Quindi ci fu un viaggio, ricomparve papà e sparì la “mammina”, perché papà Francesco aveva deciso di portare a Genova la sua famiglia. E per Eugenia (7 anni) furono giorni di pianto disperato perché aveva perso la sua “mammina”. Ma nella nuova città c’era un’altra zia che aveva figli piccoli, Eugenia si trovò in una nuova, grande famiglia, e ritornò serena e contenta. Quando ebbe dieci anni sparì per sempre papà, morto di vecchiaia a 73 anni. Le lasciava un grande patrimonio e un po’ di confusione in testa. Ambrogio (19 anni) sentì moltissimo la morte del padre, diventò apatico e ribelle. Eugenia invece crebbe tranquilla e vivace nella famiglia degli zii. Studiava, imparava a cucire e a ricamare, accompagnava la zia nella chiesa e rimaneva incantata davanti al tabernacolo “dove c’è Gesù”. Lo zio Luigi (diventato suo tutore) aveva assegnato alla nipote un piccolo fondo, da gestire come voleva, ma di cui rendere conto alla fine di ogni mese. La voce più alta nel bilancio di Eugenia era sempre quella delle “elemosine”. La zia le aveva insegnato che Gesù è nel tabernacolo, ma è anche nei poveri, nei bisognosi, in quelli che soffrono. Eugenia sentiva compassione verso di loro. Man mano che cresceva la colpivano specialmente le ragazze della sua età, malvestite, poco pulite, che vedeva azzuffarsi e picchiarsi nelle viuzze strette. A 17 anni Eugenia riceve una grazia preziosa. Incontra in confes- sionale un prete di fede grande e robusta, don Salvatore Magna- sco. Diventerà Arcivescovo di Genova, e sarà per molti anni il suo direttore spirituale. Sarà da lui accompagnata in modo discreto e forte sulla via della carità e della santità. Eugenia s’è fatta una ragazza bella, matura, istruita. Sotto la guida dello zio amministra ormai lei stessa il patrimonio della sua fami- glia. 122 Sposare il marchese? Gli zii pensano al suo futuro. Tra i giovani che vorrebbero sposarla, c’è il marchese Giovanni B. De Ferrari. Le famiglie si incontrano. Ma Eugenia, che manifesta sempre più un tempera- mento forte e libero, ha altri pensieri. Quando compie 18 anni, sorprendendo tutti, chiede e ottiene l’“emancipazione legale”. È un provvedimento che la rende libera di disporre del suo patrimonio. E prega ardentemente il Signore di indicarle la strada che dovrà percorrere nella vita. Il 31 maggio 1863 (ha compiuto 18 anni da cinque mesi) entra nella chiesa di S. Sabina per pregare davanti al tabernacolo. C’è un prete che sta predicando. Le prima parole che Eugenia riesce a percepire sono queste: “Non ci sarà proprio nessuno, dunque, che vorrà dedicarsi totalmente a fare il bene per amore del Cuore di Gesù?”. Sente quelle parole come rivolte a lei personalmente, e inginocchiandosi davanti al tabernacolo dice: “Eccomi, Signore. Per tuo amore farò del bene a tutti quelli che incontrerò”. Nell’ospedale di Pammatone e nell’ospizio dei Cronici, è tradizione che i giovani della migliore aristocrazia genovese portino generose offerte e prestino servizio di volontariato. Eugenia ed Elisa vanno a prestare servizio di carità. Eugenia offre anche la sua collaborazione all’opera di S.Dorotea come assistente alle bambine del rione, e di- venta insegnante di catechismo nella sua parrocchia del Carmine. Fino a questo momento, Eugenia non è diversa da molte ragazze cristiane delle ricche famiglie genovesi. Ma ora fa un passo in avan- ti, un passo decisivo: apre la sua casa per dare istruzione e laborato- rio di cucito e ricamo a quelle “ragazze del popolo malvestite e poco pulite” che ha visto azzuffarsi e picchiarsi nelle viuzze strette. I parenti protestano come per una stranezza. Le signore del suo ceto cominciano a chiamarla “fanatica”. Ma lei parla col suo direttore spirituale, lascia dire e tira dritto. Le cose lentamente cambiano. Ci sono altre ragazze che vogliono unirsi a lei nel dedicarsi alle ragazze abbandonate a se stesse, esposte ad ogni pericolo e igno- ranti delle cose di Dio. Lei ci pensa. E intanto prega, si nutre del- l’Eucarestia e della Parola di Dio nella Messa quotidiana. Nel 1867 (a 22 anni) fa il voto privato di verginità, scegliendo per sempre come suo sposo Gesù. Quando nel 1868 muore la sua amatissima sorella Elisa (che si è sposata da appena tre anni), rompe gli indugi e accetta in casa sua Adele, Carla ed altre giovani che formano con lei l’“Associazione per il bene”. Hanno l’approvazione e la benedizione di Mons. Magnasco, appena diventato Vescovo Ausiliare di Genova. Eugenia ha 23 anni, e con l’aiuto delle nuove venute allarga il cerchio del bene: iniziano le scuole, le associazioni, le classi di catechismo, gli oratori. L’Associazione diventa poco per volta la “Congregazione delle Figlie dei Sacri Cuori di Gesù e Maria”. Attaccata velenosamente dalla stampa laicista La spiritualità che Eugenia dà alla sua Congregazione si addensa su alcuni capisaldi: spirito di preghiera e di raccoglimento, fede 123 che si traduce in opere concrete, fare delle giovani delle “oneste cittadine e delle sante per il Cielo”, avere una profonda compren- sione per i limiti umani. Il sistema educativo è quello preventivo, diffuso da don Bosco. Nel 1878 Eugenia, che ha già fondato diverse scuole elementari, si impegna in un’opera grande. Mentre i Governi dominati dalla massoneria sono impegnati nella progressiva laicizzazione del- l’Italia, e fanno azioni apertamente ostili verso il Papa e verso la Chiesa, lei in apre in Genova una Scuola Magistrale “Normale” Femminile, per preparare maestre cristiane. Per questo è attaccata velenosamente dalla stampa laicista. Ma in quella Scuola non si formano solo “maestre cristiane”, nascono anche nuove e numerose vocazioni. La sua Congregazione è approvata dalla Chiesa nel 1882, e due anni dopo Eugenia, con le prime 18 suore, pronuncia i voti di perpetua consacrazione al Signore. Nel 1892, un anno dopo la pubblicazione della Rerum Novarum di Leone XIII, che invita i cattolici a impegnarsi fortemente per i lavoratori, Eugenia affronta notevoli sacrifici e umiliazioni per costruire, in piazza Carignano, la “Casa delle giovani operaie”. E nel 1898 (a 53 anni) sempre nello spirito della Rerum Novarum, fonda l’associazione S. Zita per l’assistenza e la promozione delle ragazze lavoratrici. Nell’anno 1900, logorata dal lavoro instanca- bile per gli altri, Eugenia può dire: “Eccomi, Signore. Per tuo amore ho fatto del bene a tutti quelli che ho incontrato”. Si spegne il 30 dicembre, a 55 anni. Saluta la sue consorelle con le parole: “Vi lascio tutte nel Cuore di Gesù”. 124 ANNIBALE DI FRANCIA, SANTO Collocazione storica (1851-1927) Patronati Si ricorda come Fondatore dei Rogazionisti e delle Figlie del Divin Zelo La vita in un frammento “Dove abiti?” (rivolto ad un mendicante), gli diede l’elemosina e gli disse:”Verrò a trovarti” Cenni biografici Disse al mendicante: “Verrò a trovarti” Aveva 26 anni e non era ancora prete quando incontrò casualmente il mendicante Francesco Zancone. Era sano e ancora giovane, ep- pure tendeva la mano piagnucolando, ed era ridotto in uno stato miserabile. Gli chiese: “Dove abiti?”. Si sentì rispondere: “Alle- case Avignone”. Gli diede l’elemosina e gli disse: “Verrò a tro- varti”. Annibale Di Francia mantenne la parola. Ai margini della città trovò le file di casette solo con pianterreno, che il marchese Antonio Avignone aveva fatto edificare, e affittava per due o tre soldi al giorno ai mendicanti di Messina. Era uno dei quartieri più sottosviluppati. Poche centinaia di uomini, donne e bambini vi vegetavano nel sudiciume e nella promiscuità. Era un dominio incontrastato delle organizzazioni malavitose e degli sfruttatori di prostitute. Tutto vi era permesso. Dopo che fu ordinato prete, padre Annibale chiese al suo vescovo il permesso di tentare qualcosa di bene tra quelle case. Il vescovo dubitava che si riuscisse a far qualcosa, ma lo lasciò tentare. Tutti i giorni padre Annibale (di famiglia benestante e di mezza nobiltà) si recò tra quella gente. Gli interessavano soprattutto i bambini, che rischiavano di perdersi in quel “mare di fango”. Affittò alcune casette, una la trasformò in chiesa, e vi organizzò il catechismo serale per bambini e bambine. Dopo i bambini cercò di attirare le loro famiglie, facendole tornare alla confessione e alla Comunione. Trovò molte difficoltà. Questo suo tentativo di cominciare una bonifica cristiana del quartiere Avignone non fu apprezzato, anzi fu ostacolato dai poveri stessi, e da alcuni che sembravano i capi del quartiere. Uno gli disse: “Padre, ve ne potete andare. Per convertire tutta questa razza di gente ci vogliono due Cappuccini, con tanto di barba. Non è roba vostra”. In realtà quell’insegnamento del catechismo che faceva lenta- mente riscoprire agli emarginati la loro “dignità”, non era gradito ai notabili della città. Essi radicavano il loro potere e il loro van- taggio economico nello sfruttamento di quell’insieme di poveri disgraziati senza occupazione, sempre disposti ad eseguire i loro desideri per campare. Se alla scuola di padre Annibale avessero scoperto di avere dei diritti, si sarebbero rifiutati di venir trattati come “merce”. Ecco perché lo ritenevano un inopportuno, un insensato. Padre Annibale andò a consultare padre Ludovico da Casoria, esponendogli ciò che cercava di fare e le difficoltà che incontrava. Il santo francescano gli disse: “Solo quando avrete accolto un 125 povero, e l’avrete nutrito, pulito e vestito dalla testa ai piedi, e l’avrete soccorso almeno per un mese, solo allora potrete parlargli di confessione”. Il lavoro, primo passo verso la dignità Padre Annibale capì che doveva cominciare una bonifica “umana”, prima di passare a quella cristiana. Inizialmente ebbe l’aiuto del fratello Francesco, diventato anch’egli prete. In alcune casette prese in affitto allestì dei laboratori. Il lavoro, intuì don Annibale, doveva essere il primo passo per ridonare dignità a quei mendicanti e ai loro figli, il primo coefficiente della moralità. Le statistiche del tempo ci dicono che in Sicilia, su una popola- zione di 2.392.414 abitanti, ben 1.112.776 erano senza una profes- sione. I politici non affrontavano il problema. Molti preti “erano più amanti dei quieto vivere che del bene dei fedeli” (G. Pettinati). “Il metodo pedagogico del Di Francia, per cui tutti i suoi assistiti erano impegnati in un lavoro e mai lasciati nell’ozio e nell’inatti- vità, ebbe la sua importanza in un periodo in cui nel Sud tutti erano convinti che la cosiddetta questione meridionale si sarebbe potuta risolvere solo con i “sussidi” dello Stato, mentre, invece, era necessaria l’opera degli stessi meridionali per costruire un avvenire diverso” (P. Borzomati). Accanto ai primi laboratori, padre Annibale aprì un orfanotrofio per le bambine e le orfane, e dopo un anno un orfanotrofio ma- schile per “ributtanti e discoli monelli”, come lui li chiamò. Se non avesse avuto radici ben fondate nelle fede e nella preghiera, non avrebbe mai avvertito l’esigenza di donarsi con amore ai dere- litti. Padre Annibale Di Francia, infatti, non sentiva un amore istin- tivo verso i derelitti. Parlando degli orfani “ributtanti e discoli” confidò al canonico Celona: “Essi mi ripugnano immensamente, e mi furono per tanti anni di una sofferenza continua, indescrivibile”. Eppure la sua fede e il suo amore per quei poveretti in cui vedeva l’immagine del Cristo povero e sofferente fu così profondo che il vescovo di Oria, Antonio Di Tommaso, poté testimoniare: “Si vede che per lui stare a pregare dinanzi al tabernacolo, o predi- care, o confessare, o spidocchiare un povero ributtante, o dare da mangiare o vestire un fanciullo derelitto è la stessa cosa”. Di Francia ebbe bisogno di collaboratori. Chiese l’aiuto di alcune congregazioni, ma ebbe esito negativo. “Pregate quindi il padrone della messe” Sin dall’adolescenza, prima ancora di leggerlo nel Vangelo, intuì la necessità e l’urgenza di chiedere al Signore gli operai per la messe delle anime. Sin da allora si trovò impegnato in prima persona a far conoscere il divino comando di Gesù: Pregate il padrone della messe perché mandi gli operai nella sua messe! Rivolse allora incessantemente, e fece rivolgere dai suoi orfani, una preghiera continua al Signore perché mandasse buoni operai alla sua Chiesa. 126 Ripeteva a chiunque incontrava le parole latine del Vangelo: “Rogate ergo dominum messis, ut mittat operarios in messem suam”, “La messe è molta ma gli operai sono pochi. Pregate quindi il padrone della messe affinché mandi operai alla sua messe”. Quando ebbe la possibilità di aprire il laboratorio di tipo- grafia nel 1885, la prima preghiera che fece stampare cominciava con quelle parole: “Rogate ergo dominum messis...”. Nel 1887 fondò personalmente una congregazione religiosa fem- minile, le “Figlie del Divino Zelo”,e dieci anni dopo quella maschi- le, i Rogazionisti (da quella loro costante preghiera “Rogate...”) del Cuore di Gesù. Malgrado defezioni tra i suoi figli e le sue figlie, le due congrega- zioni, sapientemente da lui guidate, si svilupparono e svolsero un’opera attenta e attuale. La devozione della gente meridionale, colorita e rumorosa, cospar- sa di processioni e di luminarie, non piaceva a molti vescovi man- dati dal nord, che ne diffidavano. Padre Annibale invece, nato a Messina, la viveva e la “evangelizzava”. Affermava che occorreva solo interiorizzarla, renderla un mezzo per annunciare il Regno di Dio. Il terremoto Un terrificante terremoto, il 28 dicembre 1908, trasformò Messina in un tappeto di rovine. Fece 80 mila vittime. Tra esse 13 Figlie del Divino Zelo. Padre Annibale vide le sue opere distrutte, ma badò specialmente ai suoi orfani, che trasferì a Oria (Brindisi) ben accolto del ve- scovo Di Tommaso. Nella penisola, pur tra pungenti sofferenze, padre Annibale poté fondare altre opere. Le sue figlie e i suoi figli si fecero carico di orfanotrofi maschili e femminili, di tipografie e di altre fondazioni professionali. Furono, come il loro fondatore, dei “contemplativi itineranti” al servizio degli emarginati, impegnati ad assicurare ai giovani un mestiere e un avvenire meno incerto. Don Annibale morì il 1° giugno 1927. Il Santo don Orione, quando lo seppe, disse: “È morto il San Vin- cenzo della Sicilia”. Lo studioso Pietro Borzomati termina un suo denso studio su di lui con queste parole: “Annibale Di Francia fu un prete del Mezzogiorno, che si distinse dalla maggioranza dei suoi confra- telli per esemplarità di vita e impegno per il bene comune. Egli avversò ogni alleanza con quel nobilato interessato a strumenta- lizzare la Chiesa e le sue istituzioni... Dopo la sua morte, grazie alle due congregazioni da lui fondate e rimaste sempre fedeli al suo messaggio, i suoi progetti ebbero una felice attuazione proprio nelle località del mondo fortemente sottosviluppate”. 127 GIUSEPPINA BAKHITA, SANTA Collocazione storica (1869-1947) Patronati Si ricorda come Canossiana. Da schiava a serva dei bambini La vita in un frammento Vedendo il sole, la luna e le stelle, dicevo tra me: Chi è mai il Padrone di queste belle cose? E provavo una voglia grande di vederlo, di conoscerlo e di prestargli omaggio” Cenni biografici Una bambina rapita e venduta schiava La “grande storia” di Bakhita cominciò nel centro dell’Africa. La dettò lei stessa – su comando della sua superiora – nel 1910, cioè quando aveva circa quarant’anni. Era la storia di una bambina rapita e venduta come schiava. “La mia famiglia – raccontò – era formata da mio papà, mia mamma, tre fratelli e tre sorelle. Io ero gemella di una sorella. Da quando fui rapita non seppi più nulla di loro”. Non ricordava né il suo nome, né l’anno in cui era nata. Il trauma del rapimento aveva cancellato ogni ricordo preciso, come un colpo di straccio da una lavagna. Da nomi sparsi che apparivano all’improvviso nei vari racconti si è potuto ricostruire che nacque nelle vicinanze di un monte (Agilere), nella regione di Darfur, presso il villaggio di Ogossa. Apparteneva quindi alla nazione del Sudan, vicino alla frontiera del Ciad, dove le bande degli schiavisti arabi scendevano regolar- mente dal nord a far razzia nei villaggi senza difesa. Piccola schiava Aveva otto o nove anni, Bakhita, quando una mattina usci con una compagna a raccogliere piccoli cespi di erba gir-gir, di cui tutti i ragazzini erano ghiotti. Ed ecco sbucare due uomini stranieri alti e robusti. Lasciarono andare la ragazza più grande, poi uno impugnò un grosso coltello, lo puntò alla schiena di Bakhita e le intimò: “Vai avanti. Se gridi sei morta”. La bambina, tremante dalla paura, ubbidì. Da quel momento era diventata una piccola schiava. Bakhita percorse a piedi scalzi qualcosa come 600 chi- lometri. Un’impresa tremenda per una ragazzina. Fu durante le prime ore di quella marcia che uno dei due energumeni le do- mandò: “Come ti chiami? Qual è il tuo nome?”. Paralizzata dalla paura, la bambina non rispose. Allora il negriero, ridendo, disse: “Bakhita, la chiameremo Bakhita”, che nella lingua locale signi- fica “fortunata”. “Ero stanca morta – racconta –. Avevo i piedi e le gambe sangui- nanti”. All’alba arrivarono al villaggio dei due negrieri. Chiusa a chiave in un ripostiglio della casa, stette lì più di un mese. Una mattina il padrone la vendette a un mercante di schiavi che passava con la sua carovana diretto a un lontano mercato. Incatenati c’erano tre uomini e tre donne, libera da catene una bambina più o meno dell’età di Bakhita. Fu la sua prima compravendita. Ne avrebbe 128 contate sei. Tra le due fanciulle fu subito amicizia. Si consolavano a vicenda, e sognavano di fuggire insieme per tornare a casa. L’occasione si presentò dopo una settimana. Erano in sosta ed era sera. Mentre le fanciulle dovevano dare da mangiare a un mulo, i padroni si allontanarono per cenare. Gli altri erano legati, loro no. “Uno sguardo all’intorno e via di corsa verso l’aperta campagna, con la sola velocità delle nostre povere gambe – narra Bakhita –. Tutta la notte fu una continua e trepidante corsa dentro i boschi e per il deserto. Ansanti e trafelate sentivamo nel buio i ruggiti delle fiere. Al loro approssimarsi, saltavamo sugli alberi per salvarci”. L’uomo cattivo che le vendette Il giorno dopo vedono una casupola, un uomo sbarra loro la strada. Chiede dove vadano. “A casa”. “E dov’è la vostra casa?”. Indicano la parte dove tramonta il sole: “Là”. “Venite a mangiare. Poi vi porterò io a casa”. A Bakhita sembra di sognare. Che abbiano trovato una persona buona? S’inganna amaramente. Vengono vendute a un mercante di schiavi che passava con la sua carovana di neri incatenati a due a due.La carovana sostò a El Obeid,uno dei grandi mercati di schiavi. Bakhita e la sua piccola amica furono comprate da un ricco arabo, che le regalò alle sue figlie. Queste le trattavano bene, ma un loro fratello era violento e crudele. Un giorno Bakhita, nell’eseguire un comando, lasciò cadere per terra un vaso che si ruppe. Quel giovinastro fu preso dalla furia. Impugnò lo scudiscio e la per- cosse fin quasi ad ammazzarla. Bakhita rimase più di un mese sul suo povero giaciglio. Tre mesi dopo fu venduta, perché il figlio del ricco arabo non la voleva più vedere. La comprò un ricco generale turco, che la mise al servizio di sua madre e di sua moglie. Erano donne viziate e crudeli, sempre con la frusta in mano. Bakhita con altre giovani schiave doveva vestirle, profumarle e obbedire a ogni loro cenno. Guai a tardare di un secondo: le frustate arrivavano inesorabili. Era norma che, a una certa età, gli schiavi venissero tatuati se- condo la fantasia delle padrone. Il giorno fissato arrivò. Racconta Bakhita: “Viene una donna esperta in questa crudele arte. Si fa portare un piatto di farina bianca, uno di sale e un rasoio. Ordina alla prima di noi tre di distendersi per terra e a due schiave di tenerla ferma. Allora si curva su di lei e comincia a fare sul corpo di quella disgraziata una sessantina di segni fini. Poi prende il rasoio e incide un taglio su ogni segno che aveva trac- ciato. La poverina geme, il sangue stilla da ogni taglio. Finita questa operazione, prende il sale e con forza stropiccia ogni ferita perché vi entri e ne tenga i labbri aperti. Che spasimo! Tremava tutta l’infelice, e io pure. Portata via la prima sul suo giaciglio, viene il mio turno... Mi pareva di morire a ogni momento, special- mente quando mi stropicciò col sale... Per più di un mese tutte e tre fummo condannate a stare là, distese sulla stuoia... Posso proprio dire che non sono morta per un miracolo del Signore che mi destinava a migliori cose”. 129 Il generale turco, dopo mesi di lontananza, decise di tornare in patria. Lui, la sua famiglia, i suoi schiavi lasciarono il Kordofan (di cui El Obeíd era il capoluogo) e a dorso di cammello giunsero a Khartum, la capitale del Sudan. Comprata da un console italiano Lì il generale vendette i suoi schiavi. Bakhita fu comprata dal console italiano Calisto Legnani. Per due anni Bakhita rimase tra le domestiche del console. Il nuovo padrone era assai buono: non ebbi rimproveri, né casti- ghi, né percosse, sicché non mi pareva vero di godere tanta pace”. È da notare che negli anni di schiavitù e nei due anni di servizio al console, Bakhita non sentì mai parlare di Dio, di Gesù Cristo, della Madonna. Nel 1885 il console fu richiamato in Italia per gravi affari e Bakhita, pensando che non avrebbe trovato mai più un padrone così buono, lo pregò di condurla in Italia con lui. Col console viaggiava anche un suo amico, Augusto Michieli. Al- l’arrivo a Genova c’erano ad aspettarli alcuni amici del Console e la signora Maria Turina, moglie del Michieli. Quando la signora Turina si accorse di Bakhita, si lamentò col marito perché non aveva portato con sé una “moretta”, e tanto disse che il Console si trovò quasi costretto a cederle Bakhita. “Coi miei nuovi padroni ci avviammo a Mirano Veneto, dove per tre anni fui la bambinaia della loro figliolina”. I nuovi padroni erano praticamente atei. Alla loro bambina avevano comunque in- segnato il “Padre Nostro”, l’“Ave Maria” e il “Gloria”. La bimba insegnò le preghiere anche alla sua mammina nera, per recitarle poi insieme. Nessuno delle due capiva il significato di quello che dicevano, ma Bakhita le ripeteva anche da sola durante il giorno, e vi trovava una strana dolcezza. Dopo tre anni, la famiglia Michieli-Turina decise di stabilirsi a Suakin, in Africa, dove Michieli, ritornatovi quasi subito, aveva aperto un grande albergo. Più volte andarono e tornarono dal con- tinente nero per i preparativi. Nel frattempo ottennero che Bakhita fosse ospitata presso l’Isti- tuto dei Catecumeni delle Suore Canossiane a Venezia. La signora Turina, lasciandola, le disse: “Questa è ora la tua casa”. Il sovrintendente ai beni della famiglia, il signor Illuminato Chec- chini, profondamente cristiano, regalò alla giovane nera un croci- fisso d’argento. “Nel darmelo lo baciò con devozione – ricorda Bakhita –, poi mi spiegò che Gesù, Figlio di Dio, era morto per noi. Io non sapevo chi fosse, ma spinta da una forza misteriosa lo strinsi a me. Nascostamente lo guardavo... Venni affidata a suor Marietta. Ella mi domandò se volevo diventare cristiana. Aven- dole risposto che lo desideravo, s’illuminò di gioia... Quelle sante madri mi fecero conoscere quel Dio che fin da bambina sentivo in cuore. Ricordavo che, vedendo il sole, la luna e le stelle, le bel- lezze della natura, dicevo tra me: Chi è mai il padrone di queste belle cose?”. 130 Prima della partenza definitiva per l’Africa, la signora Turina voleva riprendere Bakhita con sé. Disse con durezza alle suore che si opponevano: “È mia schiava! Essa mi appartiene, e nes- suno può costringermi a darle la libertà”. Dovettero far intervenire il Procuratore del Re. Egli sentenziò: “Siamo in Italia, dove la schiavitù non esiste ed è proibita. Solo la fanciulla può dirmi cosa desidera fare in piena libertà”. Bakhita disse: “Io voglio bene alla signora, ma io non uscirò di qui, perché non voglio perdere il buon Dio”. E scoppiò a piangere. Il Procuratore in nome della legge la dichiarò libera. Era il 29 no- vembre 1889. Le bimbe la credevano sporca Il 9 gennaio 1890 Bakhita riceve il battesimo, la prima Comu- nione e la Cresima. Ha ormai superato i 20 anni quando domanda dì entrare definiti- vamente tra le Suore Canossiane. Va e rimane a Schio per 50 anni, cioè la vita intera, chiamata da tutti “Suor Moretta”. Nei primi tempi, quando fu incaricata di badare all’ asilo che sor- geva presso il convento, ci fu per lei qualche momento di mortifi- cante sofferenza. In quegli anni, quasi nessuno in Italia aveva in- contrato una persona di pelle nera. I bambini (che “suor Moretta” adorava) scambiavano il nero delle sue mani e della sua faccia con lo sporco. Una bambina si spostava se lei accennava a sfio- rarle la testa con una mano. “Non ho le mani sporche, sai – le di- ceva sorridendo dolcemente –, solo che il sole africano mi ha fatto diventare nera”. Un’altra bimba, con l’ingenua crudeltà dei suoi pochi anni, le disse: “Sei tutta sporca. Domani ti porterò il sapone per lavarti”. E lei: “È il Signore che mi ha fatto proprio così. Ri- cordati, toseta, che questo non xe el nero che sporca. Quelo che sporca a xe il pecato nell’anima, e ti sta atenta a no farlo mai”. Anche una sua giovane consorella, che istintivamente identificava i “neri” con i “selvaggi”, incontrandola di sera in un corridoio buio, rabbrividì. Riconosciutala, subito le chiede scusa: “Mi per- doni, madre. Ma è così nera!”. Bakhita sorrise: “Ma l’anima è bianca. E poi al buio non è bianca nemmeno lei!”. Le volevano bene gli abitanti di Schio, che le affidavano i loro bambini e la consideravano una santa. Già anziana, possedeva soltanto la corona e il crocifisso. Aveva un amore tenerissimo per la Madonna, Immacolata e Addolorata. Recitava in continuazione il Rosario. Una consorella che l’assisteva le domandò quanti ne recitasse al giorno, e lei rispose: “Non lo so. Li conta il Padrone, e anche la Madonna lo aiuta a contarli, perché il rosario è della Madonna”. Dio le venne incontro l’8 febbraio 1947. Giovanni Paolo II, di- chiarandola santa, la proclamò “sorella universale”. 131 FRATEL TEODORETO GARBEROGLIO, VENERABILE Collocazione storica (1871-1954) Patronati Si ricorda come Fondatore dell’“Unione dei Catechisti di Gesù Crocifisso e di Maria Immacolata” e dei Centri di formazione professionale “Casa di Carità Arti e Mestieri” La vita in un frammento “Per salvare le anime e per formare nuove generazioni, si devono aprire Case di Carità, per far imparare ai giovani Arti e Mestieri. Lo vuole il Signore” Cenni biografici Suonava la chitarra e amava le tortore Alla fine dell’estate del 1887, dal paese di Vinchio partì per Torino un ragazzotto di 16 anni. Andava a diventare Fratello delle Scuole Cristiane. Si chiamava Giovanni Garberoglio e aveva quattro buone qualità: era un suonatore di chitarra, allevava le tortore, andava a Messa tutti i giorni con la madre, e aveva la passione di fare il catechismo. Nel noviziato (tempo di formazione) per dire a tutti che comin- ciava una vita nuova, cambiò il nome di Giovanni in Teodoreto, un nome greco molto usato dai primi cristiani che vuol dire “Dono di Dio”. Fu un anno di raccoglimento e di studio, in cui Giovanni si radicò nella consacrazione al Signore. Terminato l’anno di formazione, i Superiori lo richiamarono a Torino. Vi sarebbe rimasto per tutta la vita. Lo mandarono insegnante nella casa religiosa di S. Pelagia. Era la sede centrale delle scuole elementari gratuite dei Fratelli in Piemonte. Vi viveva un grande numero di giovani Fratelli che ogni mattina sciamava nelle numerose sedi periferiche, affollate di ragazzini del popolo. Si chiamavano “Scuole della Regia Opera della Mendicità Istruita” (ROMI). Teodoreto di anno in anno si rivela un ottimo maestro e un ottimo religioso. E i Superiori gli affidano incarichi di sempre maggiore responsabilità. Nel 1910, a 39 anni, Fratel Teodoreto è nominato Direttore della Scuola di S. Pelagia. Da quel giorno, egli deve fare oggetto delle sue sollecitudini non più solamente i bambini, ma i tanti Fratelli che vivono nella casa. Scrive al Superiore: “Il peso impostomi dall’obbedienza non è piccolo. Ma vedo che non sono solo a portarlo, anzi Gesù lo porta tutto lui”. Anni dopo, qualcuno ricordava: “Tutti eravamo contenti nella sua Comunità. Egli non si imponeva a nessuno, e anzi, il bello sta qui, che le cose pareva corressero bene da sole”. In quegli anni lo scontro tra Chiesa e Stato era durissimo. Dominato dai massoni (come oggi si può leggere nei documenti) il Governo tentava di eliminare la religione cattolica dall’Italia. Uno dei tanti modi era eliminare le scuole cristiane. Scrive Fratel Teodoreto: “Nell’anno scolastico 1911-12 mi trovavo nel grave pericolo di veder tolta alla nostra scuola la ‘parificazione legale’, e con essa il 132 diritto di far dare in casa gli esami ai mille e cinquanta alunni delle scuole elementari”. Il frate cuoco che parla con il Signore Ed ecco inserirsi nella sua vita un elemento nuovo, che la cam- bierà notevolmente. Scrive: “Nel novembre 1911, si presentò a me una terziaria francescana che mi diede un foglio con sopra una Preghiera-Consacrazione a Gesù Crocifisso. Mi disse che era stata scritta da un frate che parlava familiarmente con Gesù. E aggiunse: ‘Se ha bisogno di qualche grazia importante, reciti quotidianamente questa Consacrazione e vedrà la sua efficacia’. La misi subito alla prova, e la ‘parificazione legale’, contro ogni previsione, fu confermata in brevissimo tempo”. A questo punto, in Teodoreto nacque il desiderio di conoscere quel frate privilegiato da Dio, e riuscì ad incontrarlo. Si chiamava frate Leopoldo (il nome civile era Luigi Musso), ed era il cuoco cinquantenne e umilissimo del convento francescano di S. Tommaso, in via Pietro Micca, a Torino. Affermava che, mentre pregava, il Signore aveva la bontà di parlargli, di indi- cargli le cose che doveva fare. Da alcuni suoi confratelli era considerato un “visionario”. I Superiori, per evitare ogni accusa di superstizione, cercavano di tenerlo isolato. Fratel Teodoreto si incontrò con lui il 30 ottobre 1912, e ne ebbe un’impressione straordinaria. Tornò diverse volte a incontrarlo. Sotto la sua ispirazione, diede corso a tre opere, il cui progetto portava nel cuore da tempo: un istituto di perfezione per laici, la formazione professionale e religiosa dei lavoratori, l’animazione di ogni opera nell’amore di Gesù Crocifisso. Il 23 aprile 1913 raduna il primo nucleo di allievi delle scuole, in- citandoli ad una vita profondamente cristiana, anche dopo gli anni di scuola, e a diffondere nel mondo l’Adorazione a Gesù Croci- fisso per nostro amore. Il gruppo si ingrandisce quasi prodigiosamente e, il 18 gennaio 1915 (mentre è in corso la terribile prima guerra mondiale), Papa Benedetto XV manda a Fratel Teodoreto una sua foto con queste parole: “Preghiamo il Signore di colmare di grazie il direttore e gli ascritti alla Pia Unione del SS.mo Crocifisso, perché i sacerdoti con la voce e con l’esempio, e i secolari con la santità della vita debbono sempre predicare, come esorta san Paolo, Gesù Cristo crocifisso”. Nel 1917 l’Unione è presente in 15 parrocchie di Torino. Alcuni elementi tra i migliori vengono mandati da Fratel Teodoreto nei paesi della cintura torinese a fare il catechismo ai più piccoli, e l’associazione assume la forma definitiva dell’”Unione Catechisti di Gesù Crocifisso e di Maria Immacolata”. Aiutata dai Fratelli delle Scuole Cristiane, questa Unione di laici si diffonde rapidamente con sedi a Biella, Vercelli, Parma, Piacenza, Milano, Massa, Roma, Genova, Napoli, Catania. Attualmente, oltre che a Torino, annovera sedi anche in Africa e nell’America del Sud. Fratel Teodoreto fa in maniera che fin dall’inizio i catechisti 133 siano diplomati dall’Ufficio Catechistico Diocesano, si mettano a disposizione dei parroci per i catechismi domenicali e quaresimali, e soprattutto siano i maestri amorosi e competenti di catechismo nelle scuole operaie festive, serali e diurne. Nel 1948 l’Unione Catechisti viene approvata come “Istituto Secolare”, uno dei primi ad essere sorti. Esso si compone di “Catechisti Consacrati” che seguono i consigli evangelici con i voti di povertà, castità e obbedienza, e attendono, nelle ore libere dalle loro professioni, alle opere di apostolato; e di “Catechisti Associati” che, da sposati o orientati al matrimonio, vivono lo spirito dell’Istituto. Questo spirito è “essere santi, e annunciare il Signore con la presenza e la parola in tutti i settori: dalla famiglia al lavoro, dall’impegno sociale a quello politico, dall’insegna- mento scolastico e professionale al soccorso dei poveri, dall’inse- gnamento catechistico all’orientamento vocazionale”. Fratel Teodoreto ha sviluppato l’intuizione del suo fondatore, S. G.B. de la Salle, della consacrazione mediante la missione del- l’insegnamento, estendendola a quella della consacrazione ope- rando nel mondo. Casa di Carità L’opera che ha segnato il vertice dell’attività cristiana di Fratel Teodoreto è la Casa di Carità Arti e Mestieri. Anche questa fu ispirata dall’umilissimo Fra’ Leopoldo. Il 24 novembre 1919, appena terminata la terribile prima guerra mondiale che aveva portato violenza e scristianizzazione in tutta l’Europa, egli scriveva semplicemente, attribuendo questa dichia- razione a Gesù Crocifisso: “Per salvare le anime, per formare nuove generazioni, si devono aprire Case di Carità, per far impa- rare ai giovani Arti e Mestieri. Lo vuole il Signore”. E Teodoreto ne comincia la realizzazione. Nel 1920 i Catechisti, insieme ai Fratelli di S. Pelagia, iniziano corsi serali di tipo professionale. Nel 1925 i Catechisti aprono un’altra scuola professionale per gli operai giovani e grandi, completamente gratuita. Funziona nelle domeniche, perché negli altri giorni gli operai lavorano 10 ore al giorno. I primi insegnanti sono Catechisti, professori universitari, professionisti, che prestano la loro opera domenicale gratuita- mente. “In pochi anni – ricordava Fratel Teodoreto – quella Scuola Fe- stiva si sviluppò tanto da obbligare i Catechisti a cercare un locale più ampio per contenere tutti i giovani che insistevano per esservi iscritti”. In pochi anni gli alunni-operai salirono da 370 a 800. Era il 1939, e si dovette costruire una casa ancora più grande, con tante spese e tanta fiducia nella Provvidenza. Oltreché festiva, la scuola divenne prima serale e poi diurna. Attualmente in Piemonte comprende 13 sedi, oltre la partecipa- zione in due Centri professionali, tra cui il CFP - Casa di Carità che fa formazione ai carcerati in 13 case circondariali (una mis- 134 sione che risale al de La Salle). E si è trapiantata in Veneto, Sar- degna, Perù. Questo spirito missionario anima ancor oggi l’opera: attraverso la formazione professionale cerca di infondere nei giovani i valori cristiani, che li guideranno nella professione e nella vita. La sua proposta formativa, basata sul lavoro come forma di cul- tura, è l’annuncio evangelico insegnando il lavoro. Il 13 maggio 1954 Fratel Teodoreto se ne andò silenziosamente con Dio. Il 3 marzo 1990 fu dichiarato Venerabile. Le sue opere continuano ad essere il buon lievito evangelico che cerca di fermentare cristianamente il mondo, in particolare quello del lavoro, animandolo nell’amore al Crocifisso e all’Immacolata. 135 LUIGI ORIONE, SANTO Collocazione storica (1872-1940) Patronati Si ricorda come Fondatore della Piccola Opera della Divina Provvidenza La vita in un frammento “La vita è un combattimento il cui premio è il cielo” Cenni biografici Sotto l’ombrellone, a selciare le strade Nell’ottobre del 1886 entrò nell’Oratorio di don Bosco a Valdocco in Torino, un ragazzino di Pontecurone (Alessandria), figlio di un povero selciatore di strade. Si chiamava Luigi Orione. Quando aveva solo dieci anni, per aiutare la famiglia poverissima, aveva lasciato la scuola e si era andato a inginocchiare vicino al papà, nella sabbia umida, a mettere l’una accanto all’altra le pietre che selciavano le strade delle città. Bisognava ordinarle, e spin- gerle nel terreno con piccoli colpi di un martello di legno. Era un lavoro pericoloso per tutti, specialmente per i ragazzi, perché l’umidità della sabbia dai ginocchi saliva in tutto il corpo, e faceva ammalare e morire di artrite. Eppure bisognava farlo per tirare avanti la famiglia. Anche quando pioveva, e attraverso le pietre ruscellava l’acqua, rannicchiato sotto un grande ombrellone Luigi Orione metteva le pietre nel terreno e le picchiava delicatamente col martello di legno. Un giorno, mentre lavorava così sotto l’ombrello, sì fermò vicino a lui un mendicante smunto e tremante. Mentre l’acqua gli rigava la faccia, tese la mano e disse: “La carità, per amor di Dio”. Luigi, 10 anni, fu come ipnotizzato da quella miseria. Si alzò, andò a prendere il panino che aveva ravvolto nella giacca perché non si bagnasse, e lo diede a quel poveretto. Poi gli tenne l’ombrello aperto sulla testa. E siccome, mangiando, il povero aveva ripreso ad andare per la sua strada, Luigi si mise a seguirlo sempre tenendo l’ombrello aperto. Aveva fatto duecento metri, quando il padre gli gridò: “Luigi! Ma dove vai?”. Il ragazzino fu come ridestato da quel richiamo, e chiedendo scusa al mendicante tornò indietro. “Ma dove stavi andando?” gli domandò il padre irritato. Luigi non rispose. Non sapeva. Ma dietro quei sotto-poveri sareb- be andato per tutta la vita. Siccome era molto buono, il parroco l’aveva fatto accettare dai francescani di Voghera. Ma si era ammalato e aveva dovuto tor- nare a casa. Allora il parroco si era rivolto a Don Bosco, e Luigi era stato accettato nella scuola di Valdocco, a Torino. Il ragazzino e il vecchio prete Quando Luigi arrivò, don Bosco era vecchio e stava vivendo gli ultimi bagliori della sua vita. Consumato dai viaggi e dai debiti, scendeva raramente tra i suoi ragazzi. Camminando adagio scher- zava, domandava, rispondeva, s’interessava di tutti. Aveva un sor- riso e un amore che nessuno avrebbe mai dimenticato. Luigi rimase affascinato, incantato da don Bosco. Appena lo vedeva da 136 lontano, lo salutava gridando, agitando il suo berretto, e gli cor- reva vicino. Tra il vecchio settantunenne e i1 ragazzino di Pontecurone era scattata una scintilla che avrebbe bruciato nel cuore di Luigi per tutta la vita. Aveva un grande desiderio, Luigi: confessarsi da don Bosco, e decise di prepararsi seriamente. Prese uno dei cartelli appesi vicino ai confessionali (che allora esistevano, ed elencavano tutti i peccati possibili per aiutare la gente a fare un buon esame di coscienza). Per essere sicuro di confessarsi bene, ricopiò tutti i peccati, si ac- cusò di tutto. Riempì tre quaderni di peccati. A una sola domanda rispose di no: “Hai ammazzato?”. “No – scrisse – questo no”. Coi quaderni ben stretti in tasca andò da don Bosco, attese il suo turno, e s’inginocchiò. Don Bosco lo guardò, gli sorrise con amore e con un pizzico di allegria: “Bravo, Luigi. Sono contento che sei venuto. E adesso dammi ì tuoi peccati”. Luigi cadde dalle nuvole. Come sapeva don Bosco che... Ad ogni modo tirò fuori il primo quaderno. Don Bosco lo prese, lo stracciò e lo gettò nel cestino. Poi sempre sorridendo: “E adesso dammi anche gli altri”. Luigi tirò fuori anche gli altri due. Fecero la stessa fine. A questo punto don Bosco gli sorrise con un affetto che Luigi non avrebbe mai dimenticato, e disse: “La tua confessione è fatta. Non pensare mai più a quello che hai scritto. E ricordati che noi due saremo sempre amici. Sempre amici”. Quando, dopo una notte passata a pregare e a piangere sulla tomba di don Bosco, capì che lui lo voleva a capo di una Congre- gazione per i ragazzi sotto-poveri, gli obbedì. Entrò in seminario, ma nel 1892 suo padre morì. La sua povera mamma non aveva certo i soldi per pagare la retta del seminario. Luigi si diede da fare e ottenne il posto di aiuto-sacrestano nel duomo di Tortona. Gli danno un piccolo mensile (22 lire) e gli permettono di dormire in una stanzetta ricavata sopra la volta del duomo. Un giorno, in sacrestia, il chierico Orione incontra un ragazzo, Mario Ivaldi, che piange. Disturbava durante l’ora di catechismo, e il viceparroco gli ha dato un ceffone e l’ha cacciato fuori. Luigi lo calma, lo fa salire nella stanzetta sul voltone del duomo, e riprende il catechismo interrotto. Poi gli mette in mano una man- ciata di fichi secchi e di carrube (le caramelle dei poveri), e gli dà l’appuntamento per il giorno dopo: “Vedrai che getteremo una buona semente per te e per me”. Il giorno dopo Mario ritorna, ma non è più solo. Porta amici. Orione mette a disposizione ciò che ha: la sua stanzuccia, alcuni attrezzi di ginnastica, costruisce persino un’altalena. Dieci, venti, trenta ragazzi. Un putiferio indiavolato tra i voltoni del duomo. Grida, corse, capriole. Il baccano fa saltare i nervi a certi canonici che vogliono star tranquilli. Cominciano voci cattive, velenose: “Quel chierico che gira per Tortona con bande di ragazzi, sarà a posto nella testa?”. 137 Orione viene sfrattato coi suoi ragazzi. Si riuniscono in una piaz- zetta, dove giocano, cantano, pregano. Il Vescovo, a cui piace il chiasso vivo dei ragazzi, non li sente più. Chiede notizie. È infor- mato dello sfratto e chiama il suo chierico: “Luigi, tu hai bisogno di un posto per i tuoi ragazzi, e io ho un giardino che non serve a niente. Te lo regalo. Fanne un oratorio”. Orione balla dalla gioia: ha il luogo e il permesso di fare il primo oratorio della diocesi di Tortona. Se ci fosse qui Don Bosco a vederlo... “Ci vogliono soldi, molti soldi” Nel 1893 Luigi Orione ha 23 anni, e gliene mancano ancora due per diventare prete. Ma tra i suoi ragazzi c’è già qualcuno che gli dice: “Mi piacerebbe diventare come te, diventare chierico, prete per i ragazzi poveri”. Diventare come lui vuol dire entrare in seminario, pagare una retta mensile: cosa che nessuna famiglia di quei ragazzi può per- mettersi. Orione pensa: “Perché non aprire una casa, una scuola per i ragazzi poveri che vogliono diventare preti?”. Ne parla col Vescovo che gli sorride: “Ma lo sai cosa ci vuole per aprire e mandare avanti una scuola come la pensi tu? Ci vogliono soldi, molti soldi. Tu non ce li hai, io non ce li ho. Quindi...”. Orione è testardo: “Lei mi dia soltanto l’approvazione e la benedi- zione. Al resto penserà la Provvidenza”. Il Vescovo gli dà sempre l’una e l’altra. E sorride: “Vediamo cosa combinerai”. Orione ne combina tante di cose. Dopo due ore ha affittato una casa per la prima scuola, ha pagato il fitto per un anno, ha accet- tato i primi due ragazzi. E con un crescendo incredibile durante la sua vita fonderà due- cento case: centri di formazione professionale, scuole agricole, scuole apostoliche, orfanotrofi, case di riposo, missioni, eremi- taggi... “Evangelizzare i poveri, i piccoli e gli afflitti da ogni male e dolore” sarà la strada sua e dei suoi. Nello stesso giorno in cui dice la sua prima Messa (13 aprile 1895) consegna l’abito da chierico ad alcuni dei suoi ragazzi. Nasce così la sua Congregazione: la Piccola Opera della Divina Provvidenza. Egli sentiva “l’importanza vitale del rapporto della Chiesa con il mondo operaio. La sua congregazione si radicò nei sobborghi più poveri ai margini delle grandi città industriali, con l’impegno di vivere piccola e povera tra i piccoli e i poveri, sperimentando la fraternità con gli operai e i lavoratori più umili” (A. D’Angelo). Don Orione se ne andò, quasi in punta di piedi, nella sera del 12 marzo 1940. L’infermiere che lo assisteva lo aveva appena sentito mormorare: “Gesù, Gesù”. 138 DON GIOVANNI CALABRIA, SANTO Collocazione storica (1873-1954) Patronati Si ricorda come Fondatore dei Poveri Servi e delle Povere Serve della Divina Provvidenza La vita in un frammento “Non ci si fa religiosi per avere un posto, ma per essere sempre all’ultimo posto” Cenni biografici Sfrattati dalla soffitta Nacque a Verona in una povera soffitta, dove alloggiavano papà Luigi ciabattino, mamma Angela lavandaia e due fratellini. So- pravvivevano perché aiutati dalla Conferenza di San Vincenzo. Anche da quella soffitta la famiglia Calabria fu sfrattata, e il parroco don Scapini non ci pensò due volte, e li ospitò in due locali che ricavò dal “matroneo” della sua chiesa. Mentre Giovanni frequentava le elementari, suo papà morì, e dovette interrompere la scuola per dare una mano alla famiglia. Ma don Scapini, che vedeva ogni giorno la sua bontà e il suo im- pegno, lo preparò per gli esami di ammissione al liceo vescovile. Vedeva in lui una buona vocazione sacerdotale. Il liceo dovette interromperlo per il servizio militare. Quando tornò ebbe la grazia di incontrare in confessionale il carmelitano padre Natale di Gesù, che per quarant’anni sarebbe stato la sua guida spirituale forte e dolce. Aveva 24 anni quando, in una fredda notte del novembre 1897, trovò accovacciato davanti alla sua porta un bambino fuggito da un campo di zingari. Lo fece entrare nella sua casa. Subito dopo diede ospitalità a un altro ragazzo, orfano di 13 anni, che non sapeva dove sfuggire al freddo. Li fece ospitare in un istituto della città, e quella fu la prima volta che pensò di dedicare la vita ai ragazzi abbandonati. Nei quattro anni di studi teologici che lo prepararono a diventare prete, trovò molte difficoltà. Era ammirato da tutti i suoi profes- sori per la bontà e lo spirito di preghiera, ma agli esami aveva voti scarsi. Davanti alla perplessità dei professori, il Vescovo, Cardi- nale Bacilieri, disse: “Abbiamo fatto tanti preti dotti. Proviamo a farne uno santo”. Nel 1901, mandato vicario nella parrocchia di S. Stefano, co- minciò a raccogliere gli spazzacamini che scendevano in città dalle campagne vicine per guadagnarsi il pane con quel duro mestiere. Nella piccola casa che abitava con la mamma in Vicolo Fontanelle ospitò i primi fanciulli poveri. Sei anni dopo, trasferito come rettore alla chiesa di S. Benedetto al Monte nel centro di Verona, si occupò dei soldati di leva, degli ammalati nell’ospedale militare, e specialmente gettò le basi del- l’Opera con cui voleva prendersi cura in modo stabile e completo dei ragazzi abbandonati. La chiamò “Casa Buoni Fanciulli”. Il numero dei ragazzi in necessità crebbe in poco tempo, e la “Casa” dovette essere trasferita nel 1908 a S. Zeno in Monte. Si unirono a 139 lui dei laici desiderosi di condividere la sua esperienza di povertà e assistenza ai ragazzi abbandonati. Tra di loro si chiamavano Fratelli. Sorse così il primo nucleo della Congregazione che porta il nome di “Poveri Servi della Divina Provvidenza”. Don Calabria non si considerò mai il fondatore, ma il “custode”. La formazione dei giovani era da lui curata quotidianamente con il metodo familiare di Don Bosco, chiamato “sistema preventivo”, in cui lui credeva a occhi chiusi. “Per essere all’ultimo posto” Nel 1910 diede inizio, con lo stesso spirito, al ramo femminile della sua Congregazione, le “Povere Serve della Divina Provvi- denza”. La formazione che egli diede a queste “sorelle” (come le chiamava) si può sintetizzare in queste sue parole: “Dobbiamo ricordarci che ci si fa religiosi non per il nostro comodo, ma per servire Gesù nella persona dei poveri, e per obbedire a Gesù nella persona dei superiori. Non ci si fa religiosi per avere un posto, ma per essere sempre all’ultimo posto”. L’anno dopo (aveva 38 anni), il Vescovo lo dispensò da ogni altro ministero nella diocesi: poteva dedicarsi totalmente alle sue fon- dazioni. Egli ebbe un momento di smarrimento. Si sentiva “uno strumento povero e inetto nelle mani di Dio”. Non si sentiva capace di por- tare avanti quelle opere. Un altro avrebbe fatto molto meglio di lui. Ma padre Natale, con cui si consigliò, gli disse con decisione che quella era la volontà di Dio. Era quindi inutile ripensarci. Da quel momento fino alla morte, don Calabria “ubbidì alla volontà di Dio”. Accanto alle scuole fece nascere laboratori professionali, e le sue opere si moltiplicarono: Vicenza, Este, Santuario della Madonna di Campagna, Verona colle Nazareth (dove si preparavano i futuri sacerdoti). Nuove case si aprirono ancora a Roma, Verona, Milano, Ferrara. Egli considerava come “sua ricchezza” e come suo “fondo di cassa” i ragazzi abbandonati che venivano raccolti nei suoi isti- tuti. Riponeva la sua fiducia solo in Dio. Teneva i collegamenti con i suoi religiosi non solo girando per le varie case, ma spedendo frequenti lettere circolari. In esse si coglieva e si coglie ancor oggi il suo spirito. Si legge: “L’Opera sarà tanto più cara a Dio quanto più sarà umile e nascosta”. “Uno dei più grandi pericoli per noi saranno i troppi soldi, i troppi mezzi. Gesù non ha detto ‘Senza denari e senza mezzi non potete far nulla’. ma ‘Senza di me non potete far nulla”. “Sarete ricchi se sarete poveri, grandi se sarete piccoli”. Don Calabria, che nella giovinezza aveva sentito tanto il bisogno di essere consigliato, negli anni dopo la seconda guerra mondiale divenne una delle persone più consultate. Anche Vescovi, Cardi- nali, Superiori religiosi chiedevano il suo consiglio. Un suo libro, Apostolica vivendi forma, divenne uno dei volumi più letti dalle persone religiose. 140 L’ultima malattia lo fece soffrire moltissimo. Le sue ultime parole furono: “Sento il Signore che mi viene incontro”. Era il 4 dicem- bre 1954. 141 DON ALBERIONE, BEATO Collocazione storica (1884-1971) Patronati Si ricorda come Fondatore della Famiglia Paolina La vita in un frammento “Usare i mezzi più celeri e più efficaci per la diffusione della parola di Dio” Cenni biografici 80 alunni in prima elementare Nell’aula di prima elementare di Cherasco c’era una folla di 80 alunni, ma la maestra Rosa Cardone vi regnava sorridente e tran- quilla come una regina. Un giorno domandò al suo piccolo esercito: “C’è qualcuno che ha pensato a cosa farà da grande?”. I piccolini in grembiule nero la guardarono sbalorditi: “da grande” era una stagione così lontana... Ma un affarino di sette anni si alzò e dichiarò con tranquilla sicu- rezza: “Io mi farò prete, signora maestra”. Si chiamava Giacomino Alberione. Non era, il suo, un entusiasmo improvviso e passeggero. Era una decisione, che non ebbe mai né crisi né tentennamenti. 29 giugno 1907. Prima Messa di don Giacomo. Sull’immaginetta- ricordo ha scritto le parole che Dio rivolse ad Abramo: “Esci dal tuo paese, dal tuo parentado e dalla casa di tuo padre”. Michele e Teresa, i genitori contadini, le leggono con un po’ di apprensione. Che il loro figlio voglia partire missionario? Don Giacomo sorride nel rassicurarli. Vuol essere missionario, certo, ma senza salire su una nave o su un aereo. Missionario qui. 23 anni. Mons. Giuseppe Re, vescovo di Alba, affida al giovanis- simo prete la direzione spirituale del seminario e il settimanale della diocesi, la “Gazzetta di Alba”. Don Giacomo per la prima volta si trova tra le mani un giornale. Ne esamina a fondo tutti i meccanismi, poi (è la sua prima decisione) stabilisce di miglio- rarne la stampa e di lanciarlo con più decisione. Contrae un debito di 70 lire. Il lavoro della tipografia pesa sempre di più sul mo- desto bilancio del giornale. Don Alberione pensa di reclutare tra i giovani poveri della città e della diocesi dei giovani che credano nella diffusione della stampa cristiana come in una missione, a cui si può dedicare la vita come a un ideale. Il 20 agosto 1914 entrano nella casa di don Alberione due ragazzi, che cominciano a lavorare accanto ai tipografi come apprendisti. In pochi anni i giovani crescono di numero, diventano parecchie decine. Don Alberione costruisce una casa per loro. Durante i gelidi inverni di Alba, i ragazzi calzano pesanti zocco- loni che rimbombano sui selciati e sui marciapiedi. Gli albesi sen- tendoli passare li chiamano “L’Ordine degli Zoccolanti”. È il primo nome che si appiccica addosso alla sua opera. Lui sorride, lascia dire e tira avanti. 1920. Alba assiste impressionata al boom di don Alberione. Quel Pretino che parla poco, sorride sempre e sa fare sul serio, ha acquistato un ampio prato alla periferia della città. Vi costruisce 142 una casa capace di ospitare 100 ragazzi, con aule scolastiche, ampi cortili per correre e giocare, saloni per i pasti e per gli studi, una chiesa grandiosa. Ad un certo punto le fornaci dei dintorni non hanno più mattoni da vendere al prete e lui si costruisce una fornace tutta sua. In un locale vastissimo arrivano le macchine tipografiche comprate a Sesto San Giovanni. Un romanziere in casa Dalla nuova tipografia non esce più soltanto la “Gazzetta d’Alba”, ma Vangeli, catechismi, libri di vita cristiana e i celebri romanzi di Ugo Mioni, il quale è andato addirittura a stabilirsi ad Alba per sfornare a getto continuo le sue pagine avventurose. È in questi anni che don Alberione dà un nome alla sua famiglia. La chiama “Pia Società San Paolo” dal nome dell’apostolo che divulgò il Messaggio cristiano in tutto l’Occidente con grande energia e lavoro instancabile. Ma ora che la tipografia produce con ritmo crescente, don Albe- rione si trova davanti al grande problema che ogni industria tipo- grafica deve affrontare e risolvere, se non vuoi morire. Non basta stampare. Occorre vendere, divulgare. I libri e le riviste non de- vono finire in magazzino: devono essere portate a contatto col pubblico, entrare nelle case, nelle famiglie. Don Alberione risolve il problema con un’intuizione genialissima, che però fa storcere il naso a un sacco di gente. Fonda una fami- glia di religiose e le manda di casa in casa con la borsa piena di libri e di giornali. Nascono così le “Figlie di San Paolo”. Un lavoro duro, faticoso, a volte umiliante, che occorre reggere con fede e preghiera. Molte persone per bene si scandalizzano a vedere le suore in un simile mestiere. Mandano lettere accorate e preoccupate al pretino di Alba. Lui, al solito, lascia dire e tira avanti. Dice alle suore e ai suoi religiosi: “Fate, fate, fate. Non abbiate paura. Niente è impossibile se la vostra disponibilità è totale. Dovete imparare dalla gente comune. La gente comune deve lavorare per vivere, deve faticare, deve guadagnarsi il pane”. Ai suoi preti che scendono in tipografia dice: “Non crediate che il vostro lavoro non sia sacerdotale. Le tipografie sono le nuove chiese, le macchine da stampa i nuovi pulpiti”. Nel 1931 lanciò la rivista che avrebbe riscosso il maggior suc- cesso, Famiglia Cristiana. Dopo qualche alto e basso, essa è oggi la più diffusa rivista cristiana d’Italia. Ha superato il milione di lettori. Non tutte le iniziative del pretino piemontese furono successi. Dottrina e fatti, una rivista di pensiero cui don Alberione teneva molto, morì dopo pochi anni. Nemmeno la produzione di film propri, in cui i Paolini si gettarono coraggiosamente, ebbe suc- cesso. Don Alberione dovette riconoscere di essersi avventurato in quel campo tremendamente minato con eccessiva ingenuità, totalmente privo di quella raffinata malizia commerciale che è necessaria per sfondare. Ma non si arrese. Si limitò ad acquistare 143 e a distribuire film prodotti da altri, e considerati cristianamente costruttivi, alle sale parrocchiali. Non tutto andò liscio, ma fu un servizio prezioso. “È bene che i debiti ci siano sempre” Per il denaro, don Alberione aveva idee molto concrete. Quando gli parlavano della grandiosità dei suoi impianti editoriali, citava un documento conciliare “Inter Mirifica”: “Sarebbe vergognoso per i figli della Chiesa tollerare che la parola della salvezza resti inceppata e impedita dalle difficoltà tecniche e dalle spese, certo ingentissime, che questi strumenti richiedono”. E aggiungeva: “Il denaro dobbiamo usarlo, ma non lasciarci mai dominare da lui. Occorre stare attenti all’economia, usare tutti i mezzi per impedire la passività. D’altra parte è bene che i debiti ci siano sempre. Non dobbiamo accumulare, ma reinvestire sempre in opere di aposto- lato”. Don Alberione volle opere grandi, esplosive, ma lui si nascose. Pochissimi lo conoscevano. I giornali parlarono raramente di lui. “Lo vedo ancora nell’Aula del Concilio Vaticano Il – racconta padre Baragli – nella tribuna dei Padri Generali. Arrivare quando la tribuna era ancora semideserta, tirar fuori dalla borsa nera la cotta, indossarla e sedersi al suo posto, all’angolo destro della tribuna. Pregare raccolto durante la Messa, ascoltare in silenzio le discussioni, di tanto in tanto prendere qualche nota. A seduta inol- trata, spesso dei vescovi, per lo più del Terzo Mondo, salivano dalla navata in tribuna a confabulare con l’uno o con l’altro dei capi delle famiglie religiose. Sollecitavano, penso, aiuti per i loro ospedali, orfanotrofi, scuole... Ma non cercavano né notavano, nel suo angolino, don Alberione. Nella grande piazza, i fotografi spa- ravano i loro flash sul flusso policromo dei vescovi, e lasciavano passare inosservato il vecchio prete, un po’ curvo, che li seguiva appartato”. Nelle “Regole” che don Alberione scrisse per i Paolini si legge: “Usare i mezzi più celeri e più efficaci per la diffusione della parola di Dio”. Questi mezzi, per il pretino piemontese, erano tutti gli audiovisivi, anche quelli che venivano ancora guardati con sospetto dagli altri preti. Stampa, cinema, televisione, radio, dischi. Fu il primo a mettere il telefono ad Alba. Fu tra i primi a com- prare una rotocalco. Appena la TV arrivò nelle famiglie italiane, impose l’acquisto di 20 televisori per la sua casa, e si stupì che si tardasse ad eseguire il suo ordine: “Dobbiamo conoscere in fretta questo nuovo mezzo per usarlo alla diffusione del Regno di Dio”. Ma chi credesse che per questo ideale don Alberione spingesse i suoi figli spirituali a un attivismo sfrenato, sbaglierebbe di grosso. “Dobbiamo fondare il nostro lavoro sulla preghiera e sulla morti- ficazione”, diceva. E ripeteva le raccomandazioni del documento pontificio sui mezzi di comunicazione sociale: “Il sacerdote deve conoscere tutti i problemi che il cinema, la radio e la televisione propongono alle anime dei fedeli, ma quando ne usi per sé, il suo 144 esempio di prudenza, di temperanza e di senso di responsabilità riesca di edificazione a tutti i fedeli”. Egli voleva attuare per i suoi figli il difficile equilibrio che Cristo domandò al Padre per i suoi Apostoli: “Non ti chiedo di toglierli dal mondo, ma che restino nel mondo senza essere del mondo”. Il Papa entrò nel piccolo studio Da parte sua, don Alberione pregava con la tenacia e l’instancabi- lità dei santi. Si alzava abitualmente alle 4,30; e quando gli altri iniziavano la loro giornata, aveva già dedicato alla preghiera alcune ore. Volle che un gruppo di suore, le “Pie Discepole del Divin Maestro”, si avvicendassero giorno e notte davanti all’Eucaristia, a pregare per la Famiglia Paolina e specialmente per i sacerdoti. Negli ultimi quattro anni della sua vita, un accentuato declino fisico lo sigillò ancor più nel suo silenzio. La corona del rosario passava e ripassava instancabilmente tra le sue dita, mentre l’in- debolimento della vista, dell’udito, della stessa parola, lo accom- pagnavano lentamente verso l’ultimo giorno. In quei lunghi giorni di silenzio scrisse il suo testamento spiri- tuale, semplice e limpido come la sua vita. Dice tra il resto: “Cari Membri della Famiglia Paolina, ci separiamo temporaneamente, in fiducia di riunirci eternamente tutti. Ringrazio tutti e tutte della pazienza usata con me; chiedo perdono di quanto non fatto o fatto male. Sono tuttavia sicuro che tutto l’indirizzo dato all’Opera è sostanzialmente conforme a Dio e alla Chiesa”. Paolo VI andò a visitarlo negli ultimi tempi, e si meravigliò della povertà che riempiva il piccolo studio, dove don Alberione si stava preparando all’incontro con Dio. Si spense il 26 novembre 1971, all’improvviso, senza disturbare nessuno, senza interrompere nemmeno per un giorno l’attività delle grandi opere da lui fondate, che ormai marciavano senza di lui. Queste grandi opere testimoniano per lui, davanti al mondo e davanti a Dio. Il piccolo prete piemontese fu sepolto come il buon chicco di frumento. Ma i frutti, attorno a lui, erano già maturati per il Regno di Dio. 145 MASSIMILIANO KOLBE, SANTO Collocazione storica (1864-1941) Patronati Si ricorda come Francescano conventuale, Fondatore di una città di lavoratori La vita in un frammento “Chiedo di prendere il posto di quel prigioniero” Cenni biografici Due corone di fiori per un ragazzo “Una sera era già l’ora di cena, e il mio bambino non tornava. Papà a tavola, era buio. Avevamo quasi finito, quando entrò Rai- mondo, stracciato e sporco. Papà esplose: È questa l’ora di tornare a casa? Conciato come un figlio di nessuno! Bella consolazione dai a tua madre!. Raimondo ascoltò a capo chino, poi sgattaiolò nella stanza da letto. Il giorno dopo, mentre me lo vedevo accanto mogio mogio, mi lasciai sfuggire: Bambino mio, chissà cosa faremo di te!. Raimondo scoppiò a piangere e scappò nella stanza. Lo intravidi poco dopo inginocchiato davanti all’altarino della Madonna. Per qualche giorno rimase così, pensieroso. Allora gli domandai decisa: Che cosa capita? Hai ancora il broncio per la sgridata di papà?. Fece di no con la testa. Poi disse esitante: Mamma, quando mi hai detto: “Che cosa faremo di te?”, io sono andato dalla Madonna, e le ho detto quasi le stesse parole: “Cosa sarà di me?”. E la Madonna ha aperto le mani e mi ha mostrato due corone: una di fiori bianchi e una di fiori rossi. Mi ha sorriso e mi ha chiesto quale volevo. Non sapevo quale scegliere, e allora le ho prese tutte e due. Poi ho di nuovo visto la Madonna solo come si vede nel quadro. Non invento nemmeno una parola, mam- ma”. Non ho mai raccontato a nessuno, nemmeno a suo padre, queste cose. Ma ora che so com’è morto, credo che occorra rac- contarle a voi, suoi confratelli”. Questa lettera la scrisse la mamma di padre Massimiliano Kolbe, quando apprese che suo figlio era stato martirizzato nel campo di eliminazione di Auschwitz. Giulio Kolbe e Maria Dobrowska avevano messo su famiglia nel villaggio di Zdunska-Wola. Divisero uno stanzone in due con una tenda: da una parte due telai presi in affitto e un angolo riservato alla cucina; dall’altra parte i letti, l’armadio e un altarino con il quadro della Madonna nera di Czestochowa. Quando nacquero Francesco e Raimondo, la loro culla fu messa accanto ai telai, e la mamma cantò loro la ninna nanna facendo scorrere su e giù la spola, con le mani bianche e veloci. Nell’ottobre del 1911, Giulio Kolbe accompagna alla scuola france- scana di Leopoli Francesco di quindici anni e Raimondo di tredici. Vanno a studiare, e anche a pensare che cosa faranno nella vita. Nell’ottobre del 1911, Raimondo e Francesco, col permesso dei genitori, fanno domanda di entrare nell’Ordine francescano. Raimondo ha diciassette anni. La sera del 4 settembre assume il suo nuovo nome, il nome religioso con cui verrà chiamato per tutta la vita: Massimiliano. Fra’ Massimiliano, il 28 aprile 1918, è ordinato sacerdote. 146 Una città di lavoratori A 40 chilometri da Varsavia, padre Kolbe fonda nel 1927 una città- convento. La chiama Niepokalanow (= città dell’Immacolata). In poco tempo diventa il primo centro editoriale della Polonia. Pubblica un giornale cattolico, il “Maly Dziennik” che vende 250 mila copie giornaliere. Ma in Germania è diventato dittatore il disumano nazista Adolf Hitler. Egli vuole conquistare la Polonia per farne la base di par- tenza per una gigantesca guerra contro la Russia. Dichiara guerra alla Polonia il 1° settembre 1939. In quattro settimane la Polonia è conquistata. La prima mossa per ridurre la Polonia in schiavitù sarà l’eliminazione di tutta la classe intellettuale, che potrebbe persuadere il popolo a opporre resistenza. Il 7 febbraio 1941 anche padre Kolbe è arrestato e la sua città chiusa. Portando il suo povero saio francescano, padre Kolbe deve salire su un treno di carri-bestiame. Ventiquattro ore di viaggio massacrante. Poi, la notte del 28 maggio, le portiere vengono aperte con fragore. Gli “abili al lavoro” dovettero percorrere di corsa i due chilometri che li separavano dal campo di Auschwitz, la località che i polacchi chiamano Oswiecim. A questi uomini viene tolto tutto, anche il nome. Il nome di padre Kolbe, d’ora innanzi, sarà 16.670. Finché vivrà porterà il marchio tatuato sul braccio sinistro con un timbro a spilli e inchiostro di china. Ad Auschwitz si lavora dall’alba al tramonto. Si va in colonna ordinata, a passo veloce. Si torna quasi a passo di corsa. Legato al carro con altri sacerdoti polacchi del blocco 14, padre Massimiliano trascinò di corsa pesantissimi carichi di ghiaia, abbatté alberi, trascinò tronchi e rami per sentieri accidentati, barcollando sotto pesanti fardelli. Al tempo della mietitura, in lunghe file i prigionieri venivano trasportati lontano dal campo, a lavorare nelle fattorie. Gettandosi tra le messi alte, con la forza della disperazione, un prigioniero fuggì. Quando alla sera fu fatto l’appello, e uno non rispose, quelli del blocco 14 tremarono. “Per ogni fuggitivo, dieci pagheranno con la vita”. Era una delle leggi di Auschwitz, appli- cata alla lettera. I prigionieri del blocco 14 furono lasciati in piedi, rigidamente sull’attenti, fino a notte alta. Solo allora fu permesso di rientrare nelle baracche. Al mattino, primo appello. Il fuggitivo non era riapparso. Tutti senza eccezione, rimasero in piedi, sull’attenti. Erano forse le diciannove quando arrivò, col solito codazzo di aiutanti e di leccapiedi, il lagerfhurer Fritsch. Le sue parole cad- dero in un silenzio di tomba. Dieci pagheranno con la vita “Il fuggitivo non è stato ritrovato. Dieci di voi, quindi, pagheranno con la vita”. Passò davanti ai prigionieri: levava la mano, segnava col dito a caso: “Quello, quello”. L’aiutante segnava a matita i numeri dei destinati a morire. 147 Il decimo fu il sergente polacco Francesco Gajowniczek. Inebetito dalla disperazione, mormorò singhiozzando: “Mia moglie... I miei figli...”. In quell’attimo, un uomo esce dalle file dei risparmiati. È un gesto che gli può costare la vita. Fritsch ha fatto un balzo indietro e ha gridato: “Cosa vuole questo sporco polacco? Chi è?”. “Sono un sacerdote cattolico – risponde in perfetto tedesco l’uomo uscito dalle file – chiedo di prendere il posto di quel prigioniero” e con la mano indica Gajowniczek. Fritsch ha un attimo di esitazione, poi accetta. I dieci condannati andarono a morire nel bunker della fame. Era un sotterraneo dove, in celle buie, venivano ammassati senza acqua né cibo coloro che dovevano morire. Bruno Borgowiec, un interprete polacco che dovette scendere ogni giorno insieme alle guardie tedesche per controllare il com- portamento dei morenti, ha dichiarato: “Mentre in precedenza il comportamento dei condannati era stato quasi sempre uno spetta- colo di disperazione, questa volta accaddero cose che stupirono anche gli aguzzini germanici. Raccolti attorno a padre Kolbe, i condannati pregavano, a volte addirittura cantavano canti polacchi alla Madonna. Le guardie dovettero più volte ordinar loro di tacere, perché dalle altre celle, altri condannati si univano al coro”. Le voci si affievolivano di giorno in giorno. Chi moriva era trasci- nato via. Padre Kolbe confortò tutti fino all’ultimo momento. Il suo volto era calmo, lo sguardo azzurro incredibilmente sereno, e un giorno uno degli aguzzini dovette gridargli, profondamente turbato: “Non guardarmi così, prete della malora!”. Dopo due settimane, padre Kolbe era ancora vivo insieme ad altri tre prigionieri. Bisognava liberare la cella per altri condannati. Il 14 agosto, vigilia dell’Assunzione della Madonna al Cielo, entrò in cella l’infermiere tedesco Bock. Si avvicinò ai quattro prigionieri e praticò nel braccio di ognuno un’iniezione mortale. Ultimo era padre Kolbe, appoggiato al muro, in preghiera. Quando Bock si avvicinò, tese il braccio. Il corpo di padre Kolbe fu gettato nel forno crematorio con quello dei suoi compagni. Le sue ceneri furono mescolate a quelle di altri tre milioni di vittime e sparse nella campagna di Auschwitz, che ad ogni primavera si copre di fiori rossi e di fiori bianchi. 148 ATTILIO GIORDANI, SERVO DI DIO Collocazione storica (1913-1972) Patronati Si ricorda come Apostolo tra i ragazzi La vita in un frammento “Continua Tu” Cenni biografici Col pallone tra i piedi Papà Arturo Giordani viene dal Friuli. Fuochista e poi macchi- nista nelle ferrovie. Nelle ore libere dalla scuola, i ragazzi corrono per strade e sterpaglie. Attilio è un ragazzo sano, svelto, col pallone tra i piedi appena può. Finite le elementari, papà Arturo lo manda a frequentare i tre anni della scuola tecnica. E intanto scopre l’oratorio. Pochi in Milano, dove tutti lavorano intensamente per farsi “la gra- na”, apprezzano i Salesiani che in periferia “perdono il loro tempo in mezzo ai ragazzi”, stanno con loro, li assistono nei giochi, orga- nizzano le passeggiate, li educano al teatro, li richiamano nei litigi, li istruiscono col catechismo, li formano nella confessione. Attilio in- vece vi trovò un pezzo di paradiso. Ricordava: “Mi divertivo un mondo sulla giostra, sul passo volante, col pallone, al teatro. Quan- do c’erano grandi feste don Acerbi non ci lasciava mai mancare la colazione. In chiesa spiegava la dottrina a tutti; a chi sapeva rispon- dere dava sempre qualche cosa: una volta io guadagnai una noce...”. A 17 anni diventa lavoratore in una ditta di prodotti farmaceutici, e lì si misura con la fatica quotidiana e con la realtà del mondo del lavoro: è una vita dura, non gratificante e neppure retribuita in modo adeguato; ma Attilio la vive con serenità. E nello stesso anno diventa all’Oratorio un brillantissimo delegato aspiranti dell’Azione Cattolica. “Ogni mattina – ricorda un suo aspirante di allora – lo aspettavo con altri in via Solferino davanti alla scuola Frisi: lui arrivava veloce sulla bici e a noi, appena scesi dal tram, in dieci minuti di tempo, dopo la visita alla chiesa vicina, dava i suggerimenti per la nuova giornata perché fossimo nella scuola gli amici di tutti, l’aiuto di tutti, i portatori di gioia, i ‘raggi scuola’”. Dalla farmaceutica, Attilio passa alla Pirelli: impiegato in ammi- nistrazione. I colleghi lo ricordano come lavoratore serio, sempre pronto a dare una mano. Trascorreva i giorni di ferie portando con sé in montagna gruppi di ragazzi, componeva canti, dialoghi, scherzi, scenette, organizzava grandi giochi nei boschi, gite in bicicletta e a piedi, lotterie e banchi di beneficenza, cacce al tesoro attraverso le vie della parrocchia, le olimpiadi per ragazzi nei cortili dell’oratorio, il Rarà (raduno ragazzi). Giordani era una festosa girandola di iniziative, che sorgevano quasi spontanee e irresistibili dalla sua fantasia, ma che richiede- vano pazienza e abnegazione superlative per la loro realizzazione. E al sacrificio chiamava tutti, in forma allegra ma decisa. Quando ideò il primo concorso aspirantistico, lanciò nel suo lom- bardo schietto lo slogan: “Su l’Everest se va no in caruseta”. 149 Vagonate di allegria “Era il piazzista imbattibile di quella merce rara che si chiama ‘letizia’” – ricorda un suo ragazzo –. Attilio smerciò vagonate di letizia soprattutto fra i ragazzi, sia nell’età giovanile, sia nell’età adulta, sempre gratis”. Quando, al Vigorelli, gli conferirono il premio al “migliore dele- gato aspiranti d’Italia”, e nel discorso esaltarono i suoi “sacrifici”, lui ci tenne a precisare che non gli risultava di aver compiuto sacrifici. “Fare il delegato Aspiranti – disse – e vivere tra i ragazzi è sempre stata per me la cosa più piacevole”. 1940. Per l’Italia iniziano i cinque anni della seconda guerra mon- diale. Attilio Giordani li farà tutti e cinque, sul fronte greco-alba- nese, in Francia, poi come clandestino tra le montagne lombarde. In questi anni lo accompagnano due pensieri: i suoi ragazzi e Noemi Davanzo, la sua dolcissima fidanzata. Le scrive quasi tutti i giorni. Una riga condensa tutto: “La mia felicità, con l’aiuto del Signore, sarai tu”. Quando arriva la pace ed ha sposato la sua Noemi, all’Oratorio comincia una stagione diversa. Intorno ci sono le macerie dei bombardamenti che hanno violentato in maniera paurosa la città. I ragazzi smunti e pallidi con la fame portano nel sangue il seme della violenza. Per questi ragazzi Attilio inventa la “Crociata della Bontà”: un gioiello pedagogico che coinvolge tutto il quartiere: giovani e famiglie, parrocchia e scuole, sani e ammalati, bambini e anziani. È una rivincita sulla violenza, un rilancio in grande stile dello spirito evangelico: amore e bontà. Attilio lo voleva far capire a tutti: la stagione della guerra e della violenza era finita, e doveva finire per tutti. Solo la bontà insegnata da Gesù può cam- biare il mondo. “Con questa crociata – ricorda un protagonista –, Attilio ci fece incontrare i poveri, gli ammalati, i vecchi, gli emar- ginati, i barboni: tanti fratelli che non sapevamo di avere, e che pure stavano alla nostra porta aspettando la nostra bontà”. Inventata a Milano, nell’oratorio salesiano, la “Crociata della Bontà” venne trapiantata con risultati straordinari in tutta Italia e all’estero. Il Patriarca di Venezia, che diverrà poi Papa Giovanni XXIII, disse: “La Crociata della Bontà ha avuto una penetrazione nei bambini e una risonanza nei fedeli quale non avrei potuto immaginare”. Sarebbe grave errore considerare Attilio un adulto “scappa di casa”, un papà che preferisce l’oratorio alla famiglia. I tre figli che allietarono la sua casa (Pier Giorgio, Maria Grazia, Paola) parlano così del loro papà e della loro mamma: “Quando papà entrava in casa, era tutto nostro; non portava in casa le tensioni di fuori. Era sereno, disponibile, non chiuso; era qualcosa di ‘no- stro’”. “Ciò che mi dava una pace enorme – dice Maria Grazia – era sapere che qualunque cosa io avessi fatto nella vita, giusta o sbagliata, in casa non mi sarebbe stato tolto niente, sarei stata ac- cettata con lo stesso amore e la stessa comprensione. Il sapere che qualcuno ti capisce sempre, dà tranquillità”. “Un problema da me vissuto – ricorda ancora Maria Grazia – era già capito prima che 150 lo esprimessi. Papà e mamma non forzavano perché mi aprissi con loro, e io sentivo che essi mi capivano, mi erano vicini, ave- vano fiducia, aspettavano... In casa ho sempre sentito questo ambiente di amore, di amore vissuto, di accettazione sempre”. Stava male se non poteva dividere “Non abbiamo mai visto nostro padre accumulare denari – ricor- dano insieme i figli –. Stava male se non poteva dividere con altri ciò che aveva. Ci ripeteva: Diamo... Noi si va avanti lo stesso... Il Signore ci penserà”. La contestazione giovanile esplose dura nei primi anni ‘70. I gio- vani volevano cambiare la società attraverso la violenza. Nasce in questo tempo, nell’ambiente salesiano, l’Operazione Mato Grosso, che vuole sì “cambiare la società”, ma attraverso l’impegno e il sa- crificio personale. Quei giovani, a cui si uniscono i figli di Attilio, cercano azioni impegnative verso i fratelli più poveri, azioni che assorbono menti e mani. Attilio osserva e incoraggia quel desiderio di “fare” e non solo di discutere, quel bisogno di verificare il pro- prio cristianesimo in atti concreti di servizio. Nel primo gruppo che parte per la zona brasiliana poverissima di Poxoreu, Mato Grosso, c’è il suo Pier Giorgio, universitario. Vanno a spendere le vacanze scolastiche per costruire un “centro sociale” tra giovani poveri di tutto. Nel gruppo che parte nel 1972 c’è anche papà Attilio (59 anni), che va a spendere le ferie e alcuni mesi di aspettativa dalla Pirelli, con le figlie Maria Grazia e Paola, e con la moglie signora Noemi. È una decisione limpida, coerente, come tutte le decisioni della sua vita: “Vado a fare l’ora- torio tra i ragazzi di Poxoreu”. L’unica cosa che l’avrebbe fermato era un “no” della sua Noemi. Non si sentiva di sacrificarla. Ma lei disse “sì”, diventando “la mamma dei volontari e delle volontarie dell’Operazione Mato Grosso”. Aereo. Poi jeep traballante sulla stradina di terra rossa che porta a Poxoreu, la frontiera tra il benessere e la miseria. Qui approdano i garimpeiros che si rompono la schiena a setacciare le sabbie dei fiumi in cerca del diamante, il garimpo. E nelle capanne affollate di bambini, con il pavimento di terra e i muri di fango, si ammuc- chia la miseria e la disperazione. Attilio si fa crescere la barba, che risulta imprevedibilmente tutta bianca, e inizia l’oratorio salesiano tra nugoli di ragazzi, con lo spirito di sacrificio e la letizia di sempre. “Qui i ragazzi si diver- tono con poco: domenica scorsa un gioco semplicissimo per le strade ha entusiasmato i piccoli e anche i diciottenni che ci hanno aiutato”, scrive. Vede gli enormi problemi Attilio guarda con orgoglio la sua Noemi e i suoi “ragazzi” che s’impegnano seriamente per i poverissimi e gli ammalati. Scrive al suo parroco: “Noemi si è insediata in cucina, e con i mezzi che ha riesce a far contenti i commensali. Maria Grazia è nel gruppo che va per le capanne dove sono gli ammalati. Paola si è inserita 151 bene con le bambine. Per i giochi viaggiamo in tandem: io urlo, faccio segni, e lei spiega. Il mio impegno è con i ragazzi dagli 8 ai 13 anni. Partite accanite a campo minato, bandiera, staffetta”. Sotto l’ottimismo di sempre, vede gli enormi problemi. Continua a scrivere: “La gente di qui è povera in tutti i sensi. Non c’è il senso del risparmio: quel poco che avanza, quando c’è, serve specie per le ragazze a comprare il vestitino dai colori vivaci. Già le piccolissime si laccano le unghie, cercano di sfoggiare. Non sanno concepire una vita diversa. Non è un lavoro facile l’educa- zione, dove la famiglia non dà nulla e la scuola dà poco. Le fami- glie regolari non sono tante: sovente ci si mette insieme e si fabbricano bambini: dieci, dodici; qualche volta il marito parte per ignota destinazione abbandonando donna e figli, e formerà un altro gruppo. Pochi anni fa si regolavano i conti con la pistola alla mano; parecchi bambini hanno perso il padre in una rissa. Si fatica a far loro capire che si deve convivere in un mondo più umano”. Il 18 dicembre di quel 1972, in una riunione, parlò con entusia- smo del dovere di dar la vita per gli altri. A un tratto si sentì venir meno. Sussurrò al figlio: “Continua tu”. Lo fecero distendere su un tavolo. Gesù era lì, e lo chiamava attraverso i battiti impazziti del cuore devastato. Faceva freddo a Milano, quando arrivò la bara del signor Attilio. Millecinquecento persone lo attendevano. Ognuno, tra le mani, aveva un cartoncino giallo: l’addio accorato degli amici. Si leggeva: “Carissimo Attilio, siamo in tanti che avremmo dovuto rispondere alle tue ultime lettere, in tanti che volevano augurarti un Natale felice. Quando toccava a te il discorso, ci mettevi dentro tanto di quell’humor che ci cacciavi via tutto il magone che avevano addosso. Non ti è mai piaciuta la tristezza, il pessi- mismo. Hai sempre creduto alla vita, hai sperato nella Risur- rezione. Sei stato educatore di molti ragazzi perché eri il loro amico. E questa tua amicizia non la dicevi, ma la vivevi, cinquan- tenne, giocando al calcio, cantando e scherzando. Non sei mai stato una ‘persona seria’, un uomo convenzionale e artefatto. Ti sei interessato delle nostre piccole cose, della nostra famiglia, e per noi hai buttato via il tuo tempo senza chiedere stipendio né riconoscenza”. A quella gente sbigottita, quasi incredula, che fissava i resti mor- tali di una persona tanto cara, il parroco disse: “A ciascuno di noi Attilio ripete la frase che, morendo ha detto al figlio: Continua tu”. 152 ALBERTO MARVELLI, BEATO Collocazione storica (1918-1946) Patronati Si ricorda come Lavoratore accanto ai lavoratori La vita in un frammento “I poveri passino subito, gli altri abbiano la cortesia di aspettare” Cenni biografici “È passato Gesù che aveva fame” Alberto nasce il 21 marzo 1918, secondo di sei fratelli. A Rovigo papà è direttore di banca. Famiglia cristianissima. Qualche volta i ragazzi, tornando affamati dalla scuola, dovevano accontentarsi della minestra. “E il secondo?” chiedevano ansiosi. E la mamma: “È passato Gesù che aveva fame, e gli ho dato quello che c’era”. Nella famiglia Marvelli i poveri sono Gesù. Da Rovigo la famiglia Marvelli si trasferisce a Modena, ad An- cona, e di qui, nel 1931, definitivamente a Rimini, seguendo papà nei suoi impegni finanziari. Alberto ha una salute buona e robusta, un temperamento impetuoso e ardente, ma anche una serietà che a tratti fa pensare a un uomo adulto. Il ginnasio è superato felice- mente tra tirate di studio e gare sportive clamorose. A 15 anni si iscrive al liceo classico, ma proprio in quei mesi la famiglia è colpita in modo durissimo: muore papà. Nell’ottobre del 1933, l’anno della morte del padre, Alberto inizia il suo diario. Si assiste attraverso quelle righe alla sua crescita di uomo e di cri- stiano. I libri che legge, medita, e a tratti trascrive su quelle pa- gine sono il Vangelo e l’Imitazione di Cristo. Un pensiero che ricopia e sottolinea è questo: “È vera ogni morti- ficazione che spezza ciò che è da spezzare e fortifica ciò che è da fortificare”. Fissa un “piccolo schema” rigido e forte, come le ner- vature d’acciaio che reggono il cemento armato: “1. Alla mattina preghiera, e se è possibile, un po’ di meditazione. 2. Una visita gior- naliera in chiesa e il più possibile frequentare i Sacramenti. Oh, se mi riuscisse di comunicarmi tutti i giorni! 3. Recitare ogni giorno il santo Rosario. 4. Non cercare in nessun modo occasioni di male. 5. Alla sera, preghiera, meditazione, esame di coscienza. 6. Vincere i difetti più grossi: la pigrizia, la gola, l’impazienza, la curiosità e tanti altri. 7. Invocare l’aiuto di Gesù in ogni momento difficile. Se non dovessi mantenerlo, infliggermi una qualche pena fisica” (Diario,p.16).Questo programma Alberto lo attuerà per tutta la vita. Immaginare però Alberto chiuso in se stesso, arroccato sulla difesa, sarebbe un errore totale. Egli viveva nel mondo, in mezzo agli altri, nel tran-tran di una attività da sfinimento, aiutava tutti e “irradiava Cristo” su tutti. “Io vedo camminare Alberto Marvelli per le strade della nostra piccola città – scrive una sua amica – ancora studente con la cartella dei libri come quando veniva al Liceo, e lo vedo correre in bicicletta, occuparsi all’Associazione di Azione Cattolica (della quale fu, per tanto tempo, presidente). Quel suo sorriso pensoso, luminoso, incantevole”. Gli è maestra silenziosa la madre, un po’ mamma di tutti i ragazzi della parrocchia, instancabile nella Conferenza di San Vincenzo. 153 Studente-pendolare Tra i 60 candidati alla maturità classica si classifica secondo. Il 1° dicembre 1936 (a 18 anni) inizia il primo anno di ingegneria all’Università di Bologna: inizia il via vai di studente-pendolare tra Rimini e Bologna. Studio e apostolato in entrambe le città. La donna di servizio della zia che lo ospita a Bologna testimo- nierà con le parole dei semplici: “Lo vedevo di giorno e di notte ammazzato di lavoro per l’università e l’apostolato. Qualche volta lo trovavo addormentato sui libri e con la corona in mano. Al mat- tino lo vedevo in chiesa alle 6 per Messa e Comunione”. Benigno Zaccagnini, che gli diventò amico a Bologna, ricordava: “Aveva un candore che incantava anche chi non condivideva le sue idee. Era circondato dalla simpatia di tutti. Non ho forse conosciuto nessuno così naturalmente umano e insieme così uma- namente cristiano”. Mentre Alberto sta terminando l’università, sull’Europa scoppia il ciclone della seconda guerra mondiale. Nel giugno 1940 Mussolini fa scendere in guerra l’Italia a fianco della Germania di Hitler. Laureando in ingegneria, dall’agosto al novembre 1940 Alberto è a Milano, impiegato nella fonderia Bagnagatti, sotto i primi bombardamenti. L’industriale Bagnagatti testimonierà: “Trascorse presso di me alcuni mesi. Famigliarizzò subito con tutti i dipendenti e particolarmente con i più giovani e i più umili. S’interessò dei bisogni familiari degli operai e mi pro- spettò le particolari necessità di ognuno, sollecitando gli aiuti che riteneva opportuni. Visitava gli ammalati, incitava gli apprendisti a frequentare le scuole serali. Infondeva in tutti un immediato e vivo senso di simpatia e cordialità”. Questi primi mesi di guerra hanno tracciato la strada che Alberto seguirà fino alla sua ormai vicina e imprevedibile morte: spen- dersi tutto per chi gli sta attorno e soffre dell’immane ciclone che travolgerà in cinque anni gran parte dell’Italia, e ogni giorno trovare la forza di ricominciare nell’Eucaristia e nella medita- zione. 30 giugno 1941. Alberto sì laurea in ingegneria industriale col massimo dei voti, e subito dopo parte per il servizio militare. È destinato a una caserma di Treviso. Ed è qui che si compie il “miracolo” di Marvelli. Don Zanotto, parroco, ha scritto: “Quando l’ing. Marvelli arrivò a Treviso, nella caserma di duemila soldati tutti bestemmiavano e la malavita imperversava. Dopo qualche tempo nessuno più be- stemmiava, dico proprio nessuno, nemmeno i superiori”. 300 bombardamenti su Rimini Nel settembre 1943 Alberto è a casa. L’Italia cerca di tirarsi fuori dalla guerra firmando un armistizio con Inghilterra e Stati Uniti (gli Alleati). Ma la guerra non finisce. I Tedeschi invadono l’Italia, considerano gli Italiani dei traditori. E gli Alleati intensi- ficano i bombardamenti sulle nostre città. Il 1° novembre Rimini è investita dal primo bombardamento aereo. Ne subirà trecento. 154 Occorre fuggire lontano, nella libera Repubblica di San Marino. In poche settimane, quel francobollo di territorio sicuro passa da 14 mila a 120 mila abitanti. Alberto vi porta la sua famiglia. Ar- riva reggendo la cavezza di un asino. Sul carro è la mamma. Il fratello Giorgio e la sorella Geltrude spingono biciclette cariche di cibo con cui sopravvivere. Vengono accettati in uno dei cameroni del collegio Belluzzi. Altre famiglie sono nei magazzini della Re- pubblica, moltissime altre si ammucchiano nelle gallerie ferro- viarie. È facilissimo, in questi momenti, chiudersi in se stessi, pensare alla sopravvivenza dei propri cari e basta. Alberto è invece al centro dell’assistenza, a disposizione di tutti. Scrive la sua amica Massani: “Al mattino, nella chiesa zeppa di sfollati, serviva la Messa e si comunicava. Poi via, andare incontro a tutti i biso- gnosi. C’era da andare qua e là, nelle gallerie da dove la gente non osava uscire”. Aggiunge Domenico Mondrone: “Ogni giorno faceva chilometri di strada in bicicletta raccogliendo roba da man- giare. Talvolta tornò a casa con il tascapane forato dalle schegge di granate che scoppiavano da ogni parte”. 21 novembre 1944. Gli Alleati entrano in Rimini. Tutto intorno sono paesi e boschi che bruciano. Alberto torna con la famiglia. La sua casa è occupata da ufficiali inglesi. I Marvelli si sistemano alla meglio nello scantinato. In quel terribile inverno (l’ultimo di guerra) Alberto fu il servo di tutti. Il Comitato di Liberazione gli affidò l’ufficio alloggi, il comune gli affidò il genio civile per la ricostruzione, i poveri assediavano in permanenza le due stan- zucce del suo ufficio”. Alberto diceva: “I poveri passino subito, gli altri abbiano la cortesia di aspettare”. L’anno 1946 fu mangiato giorno per giorno da infinite necessità, tutte urgenti. Alberto faceva la Comunione, poi era a disposizione. La sera del 5 ottobre cenò in fretta accanto alla mamma, poi uscì. A 200 metri da casa sua, un camion alleato correndo a velocità pazzesca lo investì. Due ore dopo moriva. Aveva 28 anni. Quando la sua bara passò per le strade, i poveri piangevano e mandavano baci. 155 DON LORENZO MILANI, PRETE Collocazione storica (1923-1967) Patronati Si ricorda come Maestro ed educatore La vita in un frammento “I care” (io mi prendo cura) Cenni biografici Un monumentale panino imbottito di prosciutto Lo ricordava con rossore. Era stato anche lui un signorino, uno studente aristocratico, raffinato. La mazzata la ricevette in pieno viso un giorno del 1942 nella sua Firenze. Attraversava un dedalo di viuzze attorno a Palazzo Pitti. Era il terzo anno della seconda guerra mondiale. La città era assediata dalla fame, una fame atroce che aggrediva soprattutto i quartieri più poveri, dove i bimbi crescevano scheletriti. Lorenzo, era il suo nome, addentava con appetito un monumentale panino bianco imbottito di prosciutto e camminava. Dall’alto di una finestra una popolana fiorentina lo vide. “Non si mangia il pane bianco nelle strade dei poveri”, gli gridò con l’impeto di una profetessa. Lorenzo restò fulminato. “Da allora decisi di ascoltare i poveri”, disse. L’anno dopo, a vent’anni, entrò nel seminario di Firenze. A venti- quattro (nel 1947) era prete. In quegli anni di durissimo dopoguerra fu mandato curato e poi parroco nella parrocchia operaia di S. Donato a Prato. Era un periodo di vaste agitazioni popolari, culminate con le lotte per la salvezza dell’acciaieria “Pignone” e della “Galileo”. Le sue prese di posizione di cristiano e di cittadino, le sue iniziative a favore dei lavoratori e dei figli dei lavoratori, furono giudicate dai benpensanti come “comuniste”, e don Milani fu denunciato al suo Arcivescovo. Egli, dopo il 1958, credette bene di allontanarlo da Prato e sostanzialmente di esiliarlo come priore di Sant’Andrea a Barbiana, sperduto borgo rurale sulle colline del Mugello. Don Milani si trovò così a vivere tra i più poveri dei poveri: i boscaioli del Mugello. Mancava la strada, mancava la luce, l’acqua. Un paese dimenticato da Dio e dagli uomini. Don Milani si guardò subito attorno. Vide ragazzini smagriti lavorare con il forcone dalle quattro del mattino a notte fonda per sconcimare stalle di trentasei mucche, boscaioli murati vivi in una ignoranza millenaria, contadini che non avevano fatto che la terza elemen- tare e sapevano a stento leggere e far la firma. E sotto quei volti duri, bulinati dalla fatica, una ricchezza di sentimenti autentici, di senso concreto della vita, un coraggio disumano nell’affrontare la fatica quotidiana dura come la pietra. Disse a se stesso: “Devo fare qualcosa per questi ragazzi. Non posso permettere che questi giovani figli di Dio restino condan- nati a sconcimare stalle per tutta la vita mentre gli altri ragazzi diventano geometri, medici, ingegneri. Aprirò una scuola”. “Quante parole possiedi? – chiese ruvido al primo boscaiolo che incontrò –. Al massimo 250. Il tuo padrone ne possiede non meno 156 di 1.000. Questa è una delle ragioni per cui lui resta padrone e tu povero e servo. Se tuo figlio possederà più parole, starà alla pari con lui: non potrà più dire cose che lui non capisce. Non lo potrà più ingannare e rubare. Potrà leggere e scrivere come tutti i padroni, fare un lavoro diverso da quello che fai tu: leggere, scrivere, lavorare e aiutare gli altri”. Il montanaro comprò una pila per la notte Quel montanaro dal volto duro comprò una pila per la notte, un gavettino per la minestra e un paio di stivaloni per la neve. E ac- compagnò il suo ragazzo alla scuola di quel prete. Impiegarono due ore per aprirsi la strada con la roncola e la falce. Il ragazzo aveva undici anni. La scuola di don Milani fu per tanti ragazzi boscaioli e contadini una sfida quotidiana alla paura, alla neve, al freddo. Era una scuola strana: né cattedra, né lavagna, né banchi. Solo grandi tavoli di legno pesante intorno a cui si faceva scuola, e si man- giava a mezzogiorno una zuppa nei gavettini. Mancavano i libri: ce n’era uno per ogni materia e basta. Quando i più grandi ave- vano imparato qualcosa, la insegnavano ai piccoli. Grande importanza alle lingue moderne: dopo i tre anni della media, don Milani li spedisce fuori dei loro boschi, a Parigi, a Londra. Sa che i suoi ragazzi si sentiranno sperduti nelle immense metropoli e li segue giorno per giorno con lettere appassionate, cariche di interesse, di affetto: “Non mi dici nulla di te – scrive a Edoardo che è a Londra. – Ti ho già detto venti volte che voglio una vera lettera privata. Come vivi? tentazioni? occasioni? tri- stezza? nostalgia? voglia di tornare? voglia di stare? abitudine? amicizie? noia? voglia di cambiar lavoro? confessione? comu- nione? messa? affetto per me? rabbia con me che ti ci ho man- dato? fedeltà ai principi di Barbiana? fumo? vino? strettezze di quattrini? fame? voglia di pastasciutta? difficoltà di lingua? trionfi linguistici? malattie? sonno? pericoli? disperazione? speranza? fede? ateismo?”. Non si scrive così quando non si ama sincera- mente. Don Milani ha un’idea delle materie scolastiche originale, viva: non gli importa che i suoi ragazzi sappiano se Saturno è padre o figlio di Giove. Gli interessa che conoscano il contratto dei metalmeccanici. E soprattutto che sappiano esprimersi, parlare, discutere, valutare. Si arrabbia quando minacciano di bocciare i suoi ragazzi in ginnastica perché non sanno giocare a basket, ma sanno arrampicarsi come scoiattoli su una quercia, buttare giù un ramo di due quintali a colpi d’accetta e trascinarlo sulla neve fino a casa. Nella storia non gli interessa che si parli di re, di generali, ma delle sofferenze e delle lotte dei popoli e dei lavoratori. Si arrabbia perché si danno sei righe a Gandhi e pagine intere alle battaglie di Napoleone. La geografia deve aprire i ragazzi ai problemi della fame che torturano due terzi dell’umanità, del razzismo che divide come un solco la società moderna. 157 I negri italiani sono la povera gente erché, diceva don Milani ai suoi ragazzi, non c’era soltanto il raz- zismo dei negri messi sotto i piedi dai bianchi. C’era un razzismo nascosto ma brutale anche nella nostra società: i negri italiani erano i contadini, i manovali, i montanari, la povera gente. E lo dimostrava cifre alla mano, le cifre che i suoi ragazzi erano andati a scovare negli archivi. Quei numeri dimostravano la “strage dei poveri” nella scuola italiana. Su 100 ragazzi che si perdevano tra la quinta elementare e la prima media e non proseguivano a studiare, 79 erano figli di contadini, 16 di operai e soltanto 1 era figlio di signori. Nel pane che tutti mangiavano c’era dentro un po’ della fatica analfabeta di questi 79 ragazzi, diceva amaramente don Milani. Su 100 giovanotti che arrivavano alla laurea, quanti erano i figli dei contadini? Pochissimi, due o tre. Quasi tutti gli altri erano figli di papà dal portafoglio robusto. “È questo il nostro razzismo, gridava don Milani, e dobbiamo lottare per dare a tutti i ragazzi italiani una vera uguaglianza, non quella scritta a parole nella Costituzione, ma quella che permetta ai figli dei contadini e dei montanari di arrivare sui banchi dell’università come i figli di papà, non uno più e non uno meno. I ragazzi di Don Milani scrivono insieme un libro che sarà pubbli- cato nel 1967 e diventerà famoso in tutto il mondo: Lettera a una professoressa. In quelle pagine denunciano con violenza il per- sistente e diffuso classismo della scuola italiana. Scrivono tra il resto: “In Africa, in Asia, nell’America Latina, nel Sud dell’Italia, nei campi, perfino nelle grandi città milioni di ragazzi aspettano di essere fatti uguali agli altri. Timidi come me, cretini come Sandro, svogliati come Gianni. Il meglio dell’umanità”. Michele, un ragazzo di Barbiana spedito da don Milani in Ger- mania a Stoccarda, dove lavora presso la Mercedes, gli parla di un suo compagno di lavoro, operaio come lui, un piccolo indiano, timido, che quasi si vergogna di apparire in mezzo agli altri. “Tu potevi rispondergli subito – gli scrive per espresso don Milani – Non sei tu che devi vergognarti in Germania. I tedeschi ci hanno regalato Hitler e i suoi campi di sterminio. Voi indiani ci avete regalato Gandhi e la sua non-violenza. Tu dunque in Europa devi venire come un missionario tra i barbari”. È specialmente quando pensa alla guerra che don Milani diventa verde. A Barbiana non c’è ancora la strada, non c’è la luce, non c’è l’acqua. Ma, dice lui con un lampo negli occhi, è dal 1861 che su per i sentieri scoscesi arrivano le cartoline-precetto che sradicano i montanari dai loro boschi e te li portano nel mezzo di una mischia, moschetto in mano, ad ammazzare e ad essere ammazzati. Decine di lettere furiose Don Milani prese le difese degli “obiettori di coscienza”, di quei giovani cioè che in quel tempo (con grave scandalo dei benpen- santi) rifiutavano di fare il servizio militare per non uccidere, e chiedevano che venisse sostituito con un servizio civile anche più 158 lungo presso le zone sottosviluppate del Paese, negli ospedali, nei ricoveri, durante le alluvioni, i terremoti. Oggi tutto questo è pacifico, ma in quegli anni arrivarono a Bar- biana decine di lettere furiose. Veniva chiamato “traditore della patria”. Fu addirittura messo sotto processo per essersi schierato apertamente nel 1965 contro la guerra in polemica contro cappel- lani militari della Toscana. Il processo si celebrava a Roma. Ma don Milani era ormai ammalato di leucemia. Da Barbiana il 18 ottobre 1965 scrisse con i suoi ragazzi una vibrante Lettera ai giudici, una difesa appassionata che attacca e travolge ogni militarismo. “La Chiesa – scriveva – non ha mai ammesso che in guerra fosse lecito uccidere civili. Ora abbiamo letto un articolo del premio Nobel Max Born. Dice che nella prima guerra mondiale i morti furono 5% di civili, 95% militari. Nella seconda 48% civili, 52% militari. In quella di Corea 84% civili, 16% militari. Sappiamo tutti che i generali studiano la strategia d’oggi con la misura del megadeath (grande morte - un milione di morti), cioè che le armi attuali mirano direttamente ai civili e che forse si salveranno soltanto i militari. Dunque il cristiano deve “obiettare” anche a costo della vita. A una guerra simile il cristiano non può partecipare neanche come cuciniere. È noto che l’unica “difesa” possibile in una guerra di missili atomici sarà di sparare circa 20 minuti prima dell’”aggressore”. Ma in lingua italiana lo sparare prima si chiama aggressione e non difesa. Oppure immaginiamo uno Stato onestissimo che per sua “difesa” spari 20 minuti dopo. Cioè che sparino i suoi sommergi- bili, unici superstiti di un paese ormai cancellato dalla geografia. Ma in lingua italiana questo si chiama vendetta, non difesa. A più riprese gli scienziati ci hanno avvertiti che è in gioco la soprav- vivenza della specie umana. E noi stiamo qui a questionare se al soldato sia lecito o no distruggere la specie umana?”. Il processo si chiude in prima istanza con l’assoluzione di don Milani. Ma su ricorso del Pubblico Ministero viene riaperto, e lo scritto di don Milani è condannato il 28 ottobre 1968. Quando la notizia della condanna giunse a Barbiana, i suoi ragaz- zi corsero da don Milani. Il Priore riposava ormai da sedici mesi nel suo camposanto, sul Mugello grande. Era morto il 27 giugno 1967, a 44 anni, divorato dalla leucemia e dalla cattiveria di tante persone perbene. 159 DON LUIGI GIUSSANI, PRETE Collocazione storica (1922-2005) Patronati Si ricorda come Fondatore di Comunione e Liberazione La vita in un frammento “L’educatore affida qualcosa di se stesso alla creatività dell’altro” Cenni biografici I ragazzi sul pianerottolo Nel febbraio 2004, papa Giovanni Paolo II scrive una lettera cor- diale e fraterna a don Luigi Giussani. Lo ringrazia a nome della Chiesa dei 50 anni di attività tra i giovani per la diffusione della fede cristiana. Quella lettera metteva il sigillo papale all’opera di don Gius (come lo chiamavano i suoi ragazzi), che non sempre aveva raccolto simpatie all’interno della Chiesa. Perché la lettera del Papa era stata scritta nel febbraio 2004? Me lo narrò lui stesso. Nel febbraio 1954 ero insegnante di Religione al liceo Berchet. E notai, durante un intervallo, che si riuniva su uno dei pianerottoli delle scale un gruppo di ragazzi. Parlavano tra loro affiatati e in- fervorati, ogni giorno sempre gli stessi. Chiesi chi fossero, e mi fu risposto: i comunisti. La cosa mi colpì. Mi domandai: “E come mai i cristiani non sono almeno altrettanto capaci di quell’unità che Cristo indica come la più immediata e visibile tra le caratte- ristiche di chi crede in lui?”. Tornavo a casa rimuginando questo fatto, incollerito di quella incapacità. Per strada (potrei citare il nome della via) raggiunsi quattro ragazzi che parlavano tra loro. Chiesi loro: “Siete cristiani?” Un po’ straniti della domanda ina- spettata, mi risposero “Sì”. “Ah, siete cristiani” risposi io “E in scuola chi si accorge che lo siete? Nelle assemblee scolastiche sono presenti e lottano soltanto i comunisti e i fascisti. E i cri- stiani?”. La settimana dopo, questi quattro si presentarono in assemblea, e fecero un intervento cominciando con le parole: “Noi cristiani...”. Da quell’istante, in quella scuola, per dieci anni almeno, non ci fu argomento più infuocato che la Chiesa e il Cristianesimo. In quei dieci anni, dal 1954 al 1964, don Gius fu insegnante di Religione in quel liceo, e attorno a lui nacque il movimento che fu chiamato “Gioventù Studentesca”. Ma nel 1968 tutto entrò in crisi. Don Gius non era più insegnante di Religione. “Gioventù Studentesca” si lasciò travolgere dalla contestazione sociale violenta. Nasce “Comunione e Liberazione” Dal 1964 don Giussani è docente di Introduzione alla Teologia al- l’Università Cattolica di Milano. E dice, con quel suo linguaggio denso: “Feci quel che potevo per contribuire a ricoagulare liceisti, universitari, persone adulte, a tenerli fedeli all’essenza del fatto cristiano, accompagnandoli per la strada dura e umile del distacco dall’immediato fluire degli avvenimenti. Un vasto impegno so- ciale e politico sarebbe stato opportuno ed autentico soltanto in 160 forza di un maturo sviluppo della propria identità cristiana”. Alla fine del 1969 questo movimento nuovo comincia a chiamarsi “Comunione e Liberazione” (CL). “È un movimento ecclesiale il cui scopo è: l’educazione cristiana matura dei propri aderenti; la collaborazione alla missione della Chiesa in tutti gli ambiti della società contemporanea. Nasce dalla convinzione che l’avveni- mento cristiano, vissuto nella comunione, è il fondamento del- l’autentica liberazione dell’uomo”. Il nocciolo del Cristianesimo Sono stato a intervistare don Giussani nella piccola casa in cui aveva residenza, in una via quasi periferica di Milano. Ho pre- muto il campanello e lui mi ha ricevuto in uno stanzino povero e piccolo, reso ancora più piccolo da scaffali e pile di libri. Ha risposto a tutte le mie domande con la sua voce cartavetrata. Gli domandai, tra il resto, come gli era venuta l’idea di farsi prete. E lui mi ricordò sua madre, con cui camminava nella penombra dell’alba per recarsi alla messa mattutina. Vedendo l’ultima stella del mattino che brillava mentre spuntava l’aurora, a un tratto som- messamente esclamò: “Com’è bello il mondo, e com’è grande Dio!”. Mi ricordò suo padre, socialista anarchico, che lo aveva educato a chiedersi sempre il perché delle cose, e che stimava profonda- mente i preti. “Sono entrato in Seminario che avevo appena 10 anni. Non so come. Mi era venuta quell’idea. La mia famiglia aveva molta stima dei preti, forse perché, grazie a Dio, nella nostra parrocchia di Desio c’erano state figure di preti eccellenti. Quella decisione fu come un seme iniziale che si sviluppò lentamente ma inesora- bilmente. Non ho mai avuto momenti di desiderio di ritorno”. Gli domandai quale era per lui l’identità del prete, e lui: “Per me e per ogni prete è la consapevolezza di essere Cristo che continua la sua missione”. Gli posi a un tratto la domanda-chiave, che doveva farlo pronun- ciare su un punto in cui molti cristiani di valore non erano d’ac- cordo con lui. Gli dissi: “Diversi cristiani le rimproverano di avere un piglio da Cristoforo Colombo: come lui ha scoperto l’America, lei ha scoperto l’essenza del Cristianesimo. Che cos’è per lei l’es- senza, il nocciolo del Cristianesimo?”. E lui sorridendo: “È una grossa malignità quella che dicono. Io non ho scoperto niente. Il Vangelo è lì, aperto da 2000 anni, per dire a tutti che cos’è il Cri- stianesimo. Il nocciolo del Cristianesimo è l’“avvenimento”. Due- mila anni fa, in una singola persona, Dio ha cominciato a cammi- nare accanto all’uomo. Ecco l’avvenimento. Il divino ha comin- ciato ad essere compagnia quotidiana dell’uomo. All’inizio questo avvenimento era uno, una persona singola, Gesù Cristo. Ma Cristo, nel tempo e nello spazio, si è dilatato, è diventato un popolo: ecco l’avvenimento che continua nella storia. Ci sono in giro due grossi equivoci sull’essenza del Cristianesimo. Il primo è vederlo come una ‘dottrina’, e quindi come un apprendimento teologico. Questa 161 riduzione intellettualistica favorisce a ridurre il Cristianesimo a una delle tante religioni nate dall’uomo. Non è più l’avvenimento determinato da Dio che è entrato nella storia umana. È una reli- gione e basta. Il secondo equivoco è il ‘moralismo’. Il Cristiane- simo ridotto a suggerimenti di determinati atteggiamento morali, magari riguardanti la sessualità, o riguardanti la giustizia sociale. L’atteggiamento etico-morale è una conseguenza del Cristiane- simo, ma non è il Cristianesimo”. I rami robusti Attualmente CL è presente in circa 70 Paesi di tutti i continenti. Non c’è nessun tesseramento, ma solo la libera partecipazione. Strumento fondamentale di formazione è la catechesi settimanale chiamata “Scuola di comunità”. Dal tronco di CL, con lo scorrere degli anni, nascono rami robu- sti. A metà degli anni ’70 nascono i primi gruppi di “Fraternità di CL”: sono ex universitari che desiderano approfondire, attraverso una vita in comunione, l’appartenenza alla Chiesa dentro le responsabilità della vita adulta. La “Fraternità” verrà dichiarata nel 1982 “Associazione di Diritto Pontificio”. Verso la fine degli anni ’70 si afferma sempre più la “Scuola di Comunità”, come momento fondamentale di incontro e di cate- chesi. Nel 1980 si svolge la prima edizione del “Meeting per l’amicizia tra i popoli” a Rimini. La kermesse si ripete ogni anno fino a oggi, radunando migliaia e migliaia di persone da tutti i Paesi del mondo, altissime autorità, gesti artistici e culturali di grande qualità. A metà degli anni ’80 la presenza di CL nelle Università si con- cretizza con proposte di aiuto: alle matricole nell’orientarsi nello studio, agli studenti nell’aiutarli nel cercare alloggio, e a tutti con varie iniziative culturali e sociali. Nel 1985 inizia la “Fraternità Sacerdotale dei Missionari di San Carlo Borromeo”. Sarà riconosciuta “Società apostolica di diritto pontificio” nel 1999. Nel 1986 giovani laureati e adulti di CL danno vita a una “inizia- tiva nel solco della Dottrina Sociale cattolica”. È la “Compagnia delle Opere”. Nel 1988 viene riconosciuta come associazione privata di diritto pontificio “Memores Domini”. Essa raccoglie aderenti a CL che scelgono di dedicarsi totalmente a Dio vivendo un cammino di castità, povertà e obbedienza. Don Gius va incontro a Dio nella sua modestissima abitazione di Milano il 22 febbraio 2005. 162 TERESA DI CALCUTTA, BEATA Collocazione storica (1910-1997) Patronati Si ricorda come Fondatrice delle Missionarie della Carità La vita in un frammento “Per aiutare i poveri non venite a Calcutta. La vostra Calcutta cer- catela lì dove vivete” Cenni biografici Agnes frequentava la parrocchia, e a 15 anni entrò nel gruppo “Sodality”. Nelle riunioni leggevano le vite dei santi e le vicende dei missionari, e decidevano le “opere buone” da fare lungo la settimana. La ragazzina era nata il 26 agosto 1910 a Skopje, in una famiglia albanese. Papà e mamma le avevano comunicato una fede cri- stiana robusta e serena. Una domenica pomeriggio, il gruppo parrocchiale di Agnes si in- contrò con alcuni missionari arrivati dal Bengala. “Ci descrissero in modo meraviglioso le loro esperienze con gli indiani, special- mente i bambini” ricordava Madre Teresa. Da quel giorno cominciò a pensare che, tra quei missionari, avrebbe potuto esserci anche lei. Si confidò col parroco, che tagliò corto: “Pensaci. Intanto continua a far bene la catechista tra i bambini”. Al compimento del 18° anno, Agnes disse al parroco: “Ci ho pensato tre anni. Ho proprio voglia di partire missionaria”. Lui le rispose: “Se la tua è vera vocazione di Dio, devi sentire un senso di gioia profonda”. “Lo sento, disse Agnes, anche se ho un po’ di paura a dirlo a mia mamma”. Quando glie lo disse, la donna rimase esitante. Poi la raggiunse in camera sua ed ebbero un lungo colloquio. Pregarono insieme. Le ultime parole che mamma Loke le disse prima di uscire dalla stanza furono: “Metti la tua mano nella mano di Gesù, e seguilo fino in fondo”. Chiede di essere accettata dalle “Suore di Loreto” che lavorano nel Bengala (vastissima regione est dell’India, gravitante attorno all’immensa città di Calcutta). Il suo itinerario è: Dublino (presso la Casa Madre delle Suore), per imparare bene l’inglese; Daryeeling, ai piedi dell’Himalaya per i due anni di noviziato; Calcutta, scuola di Entally. Qui arriva dopo aver cambiato il nome civile “Agnes” in quello religioso “Teresa”. Da questo momento sarà per tutti “Madre Teresa”. Diventa insegnante di catechismo, geografia e storia. Da 2 a 4 milioni di morti Ma la grande città di Calcutta, nel corso degli anni, fu devastata da molti, tristi avvenimenti. Nel 1941, durante la terribile guerra tra Giappone e Inghilterra- Stati Uniti, Calcutta fu bombardata. Nel 1942 ci fu una grave carestia in tutta la regione intorno. La gente si rovesciò a Calcutta. Cercava cibo e moriva di fame. I morti furono da due a quattro milioni. Le ragazze venivano alla 163 scuola delle suore con lo stomaco gonfio di acqua, l’unica cosa che le madri davano loro come colazione. Svenivano in classe. Madre Teresa, diventata direttrice della scuola, girò molte volte per la città in cerca di cibo, ma si trovava ogni volta circondata da folle misere, lebbrosi, mamme con bimbi morenti in braccio, ammalati febbricitanti distesi sui marciapiedi. Tornava dicendo alle consorelle: “C’è Gesù che agonizza su ogni marciapiede della città”. Negli anni seguenti, crebbero come funghi mostruosi nella città gli slums, le baraccopoli dove vivevano e morivano i sottopoveri. A centro metri dalla scuola iniziava lo slum di Motijheel: un insieme di baracche tenute in piedi a forza di fango, paglia e juta. Bambini giocavano tutti nudi, testine rasate e piedini nello scolo della fogna. Intere famiglie avevano trasformato alcuni metri qua- drati nella loro casa. Il braciere era la loro cucina, uno straccio serviva di giorno da stuoia, di notte da coperta, quando si scate- nava il monsone da parapioggia. Nello slum vivevano sani accanto ai lebbrosi, vivi accanto ai morenti. I bambini erano numerosi come le mosche, e morivano come le mosche. Madre Teresa si sentì chiamata da Dio ad uscire dalla sua scuola e a mettersi per le strade a servire con le sue mani i più poveri, i lebbrosi, i moribondi. Chiese il permesso alla sua Superiora, all’Arcivescovo, e dopo aver imparato alcune nozioni di medicina e di pronto soccorso, nel 1948 andò negli slums. La veste normale delle donne indiane è il sari, una striscia di stoffa lunga sei metri, che nella forma più povera è cotonina bianca con qualche ornamento di colore sui bordi. Madre Teresa decide di vestirsi così, con bordi colorati d’azzurro. Cominciò con una scuoletta. In uno spiazzo tra le capanne avvicinò sorridendo alcuni bambini. E propose loro: “Giochiamo?”. Con il loro aiuto sgombrò lo spiazzo dai rifiuti e disse: “Giochiamo all’alfabeto”. Non aveva lavagna, gesso, banchi. Con un bastoncino tracciò sulla terra, cantilenando, alcune lettere dell’alfabeto bengalese. E i bambini accoccolati intorno, vinti dal suo sorriso, cantilenarono insieme con lei. Poi con altri bastoncini rigarono anche loro la terra, imitando i disegni della suora. Col permesso delle mamme, Madre Teresa li portò poi dove c’era dell’acqua pulita, e li fece la- vare ben bene, tra spruzzi e risate. Poi disse una breve preghiera, che i piccoli ascoltarono con la mani giunte davanti alla faccia, all’indiana. Nei giorni seguenti il numero dei bambini aumentò sempre più. Per il pasto di mezzogiorno la Madre si portava il “tiffin”, il panino-pasto di mezzogiorno dei poveri. Nel pomerig- gio si sedeva accanto a qualche malato, entrava in qualche capan- na, aiutava le mamme a far pulizia e a lavare i bambini. In pochi giorni ebbe moltissimi amici. La sua prima lebbrosa Quasi subito incontrò il parroco della zona. Scrisse: “Si mostrò molto contento di vedermi. E a prova della sua stima mi diede 164 cento rupie”. Con quella buona somma di denaro “ho preso in af- fitto due stanze per dieci rupie al mese da adibire rispettivamente a scuola e a dispensario”. Era il 27 dicembre 1948. Nella stanza-scuola si ammucchiarono i suoi scolaretti. Nella stanza adibita a dispensario, il 14 gennaio 1949 ospita la sua prima lebbrosa. Scrisse: “Che spettacolo terribile. La famiglia l’ha cacciata a causa della malattia. Dato che non ha più le dita, cucinare le riesce molto difficile”. Appena si sparge la voce che vicino alla scuoletta di Madre Teresa funziona anche un dispensario, i malati arrivano a decine, fanno lunghe code. Tra le ragazze che erano sue scolare nelle scuola delle suore, la voce si sparse veloce come il vento: “Madre Teresa è andata nello slum. Vive tra i poveri e i lebbrosi”. E capitò ciò che nessuno aveva previsto. Qualcuna disse: “Vado anch’io”. La prima fu Subashini Das, una ragazza piccolina dagli occhi luminosi. Aveva sentito Madre Teresa dire tante volte: “Gesù è in agonia nei poveri. Dobbiamo fare qualcosa per Lui”. Das arrivò il 19 marzo, due mesi soltanto dopo che Madre Teresa aveva cominciato a “fare qualcosa per Gesù in agonia”. Due settimane dopo arrivò una seconda sua alunna, Magdalena Pattin, seguita quasi immediatamente da una terza e una quarta: Dorothy e Mary Margaret. Il padre gesuita, Van Exem, che seguiva l’azione di Madre Teresa per ordine dell’Arcivescovo, capì che stava cominciando qualcosa di grande, e trovò un alloggio per la Madre e le prime quattro alunne in una casa del cristiano Michel Gomes. Mese dopo mese, in silenzio il gruppetto si ingrandiva. Dovettero darsi un nome, e si chiamarono “Missionarie della carità”. Ogni volta che l’alba rigava i vetri delle finestre, le prime Missionarie della Carità partecipavano alla santa Messa di padre Van Exem, e poi sciamavano per gli slums. Si moltiplicavano le scuolette e i dispensari. Madre Teresa gui- dava un terzetto di suore con un carretto. Si fermavano ad ogni deposito di immondizie. Frugavano, e spesso trovavano qualche fagottino vivo, palpitante: un neonato che una mamma aveva abbandonato perché incapace di nutrirlo. Li portavano nei loro dispensari, dove avrebbero strillato e succhiato il latte delle ca- prette, comprate e allevate proprio per questo. La casa dei morenti e quella dei bambini Gli anni scorrono, e i centri-rifugio iniziati da Madre Teresa si moltiplicano. Nell’agosto 1953, l’ufficiale sanitario Ahmad mette a disposi- zione due saloni presso le rive del Gange, perché la Madre vi ricoveri i lebbrosi e i morenti che raccoglie in città. Sono saloni destinati ai pellegrini del vicino tempio della dea Kalì, e i fanatici indù fanno una mezza rivolta. Ahmad dice calmo: “Mandate vo- stra madre a curare i moribondi, e noi manderemo via la suora”. Nessuno si presenta e la Madre è lasciata in pace. Essa ribattezza 165 il luogo Nirmal Hriday (Luogo dei cuori puri). Vi appende un Cristo crocifisso con le gambe mutilate e un cartello: Let My Hands Heal Thy Broken Body, Lascia che le mie mani curino il tuo corpo spezzato. Dopo aver aperto il rifugio per i morenti, Madre Teresa aprì la “Casa dei Bambini”, che in hindi fa “Shishu Bhavan”. Lo aprì al n. 78 di Circular Road, vicinissimo alla Casa Madre delle Missio- narie della Carità che esse avevano aperto, dopo essere state ospiti dei Gomes per due anni. I bambini sono sempre stati la delizia di Madre Teresa, che li chiamava “il sorriso di Dio”. “Shishu Bhavan è una casa allegramente caotica – scrive la Zam- bonini che ha vissuto lì qualche giorno –. La animano gli strilli dei neonati, le grida dei bambini più grandicelli che si rincorrono nei cortili, l’affaccendarsi delle ragazze incinte cacciate dalle fa- miglie e qui accolte in attesa di partorire; l’arrivo di coppie senza figli che chiedono di adottare un bambino... Funziona da pronto soccorso, centro di accoglienza dei neonati abbandonati, farmacia diurna e notturna, mensa popolare, ufficio per le pratiche del- l’adozione, consultorio di maternità”. Nel 1961 Madre Teresa cominciò a realizzare un sogno che aveva accarezzato a lungo: portare i lebbrosi fuori della città, tra il verde, con casette preparate per loro e le loro famiglie, campi da coltivare, laboratori dove esercitare un mestiere, centri sanitari specializzati: una cittadella tutta per loro. Ci vollero sette anni di fatica e di denaro per strappare dalla giungla la splendida cittadella che si ammira oggi. Sono in piena attività le scuole, i laboratori di tipografia, meccanica e falegna- meria. Ci sono piccole fabbriche di scarpe e sandali, di garze e cotonina per sari (le Missionarie comprano qui i loro sari). Mentre gli anni passavano, le Missionarie aprivano centri in tutto il mondo: dagli Stati Uniti al Vaticano. Nel 1979 fu assegnato a Madre Teresa di Calcutta il Nobel per la pace. Nel 1986, dandole la mano, entrò nella “Casa dei morenti” di Cal- cutta il papa Giovanni Paolo II, si mise un grembiule e imboccò con lei i lebbrosi. Dio le venne incontro il 5 settembre 1997. Aveva detto ai giovani di tutto il mondo: “Non venite a Calcutta. La vostra Calcutta cer- catela lì dove vivete”. 166 PADRE ERMINIO GIOVANNI CRIPPA, PRETE Collocazione storica (1921-2000) Patronati Si ricorda come Fondatore dell’API-COLF La vita in un frammento “Pregherò per quelle che pregano,pregherò per quelle che non pregano. In fondo non ho amato che voi non sono vissuto che per voi.”(rivolgendosi alle COLF e alle assistenti domiciliari nel suo testamento spirituale) Cenni biografici L’Italia nella guerra e nel dopoguerra Negli anni 1941-42-43 l’Italia, gettata nella seconda guerra mon- diale, ha soldati che muoiono sui fronti dell’Africa, della Russia, della Grecia. Le sue città sono sottoposte a massicci bombardamenti. Per tutti aumenta la povertà, la scarsità del cibo. Nel seminario minore dei Padri Dehoniani, a Pagliare (Ascoli Piceno), c’è un giovane educatore di vent’anni, intelligente e ga- gliardo, che in mezzo ai giovanissimi seminaristi diffonde allegria, ottimismo. Anche se il pane è scarso, con lui i ragazzi ridono, gio- cano e studiano. Erminio Giovanni Crippa (questo è il suo nome) ha la straordi- naria abilità di trasmettere agli altri la cultura con chiarezza ed entusiasmo, riuscendo a suscitare sempre interesse nei suoi ascol- tatori. Nel 1945 la guerra finisce. Erminio diventa sacerdote nel 1947, e cerca di vivere con cristia- no ottimismo quel tempo durissimo. L’Italia uscita dalla guerra si trova in una situazione disastrosa sia dal punto di vista materiale sia dal punto di vista morale. I marciapiedi brulicano di ragazzi orfani di guerra e “figli della guerra” (soldati americani o tedeschi avevano avuto “storie d’a- more” con ragazze italiane sfinite dalla fame, attirate più dalle stecche di cioccolato e dalle scatolette di carne che dall’amore. Con la fine della guerra, i soldati erano tornati in patria, le ragazze si erano trovate con in braccio un figlio che non sapevano come mantenere). I “figli della guerra”, insieme agli orfani, sono finiti sulla strada. Cattiva maestra, la strada. Davanti a questa situazione, padre Enrico Agostini dello Studen- tato Missioni di Bologna lancia l’idea di fondare accanto allo Stu- dentato un centro che accolga quei ragazzi, e con scuole e labora- tori offra loro la possibilità di costruirsi un avvenire sicuro. L’idea è bella, ma i soldi mancano. Mentre si inizia con fiducia nella Provvidenza il “Villaggio del fanciullo”, padre Crippa è inviato per due volte in America, a raccogliere fondi. Ha imparato un inglese fluente parlando con i soldati americani, ed ha una ma- niera di avvicinare la gente che suscita simpatia ed entusiasmo. Torna entrambe le volte con fondi molto consistenti. Il Centro può presto ospitare un centinaio di ragazzi e prepararli in “Scuole di Arti e Mestieri” ad essere fabbri, falegnami, meccanici, tipografi, odontotecnici. 167 Le ‘serve’ venute dalla campagna Padre Crippa fu nominato Direttore dell’opera per sei anni. Ma il tempo degli “orfani di guerra” con gli anni passava, e invece le richieste per ospitare orfani non diminuivano, anzi si moltiplica- vano e giungevano da tutta l’Italia. Padre Crippa esaminò con attenzione e delicatezza la situazione, e si accorse che diversi ragazzini accolti come orfani, sono in realtà figli “irregolari” di ragazze che a quel tempo venivano chiamate “serve” o “domestiche”. Ragazze di 12-14 anni, prove- nienti dalla campagna o dalle montagne, venivano messe a servi- zio presso fattori di campagna o notabili di città. “Ragazze sarde, trentine, friulane, bergamasche, calabresi e siciliane – scrive Gio- vanni Celi – lasciavano le loro case per vivere nella solitudine af- fettiva, di scarso o nessun livello scolastico e si lasciavano tentare alla prima dimostrazione di affetto. Spesso, ad abusarne, erano gli stessi datori di lavoro o i figli di questi ultimi. Da una statistica del 1956 risulta che a Roma su 90 ragazze madri nell’età compresa tra i 18 e i 29 anni, 64 lavoravano come “domestiche”, e quasi tutte erano analfabete e provenienti da fuori città. Ispirandosi al suo Santo fondatore, Leone Dehon, padre Crippa si sentì spinto a dedicarsi appena possibile a sradicare la causa sociale che creava gli orfani a cui si stava dedicando. Finiti i sei anni di direzione del “Villaggio”, padre Crippa con l’appoggio dei suoi Superiori dedicò gli anni 1956-57 a studiare le condizioni delle “domestiche” girando in lungo e in largo l’Italia, e visitando i “Gruppi-ACLI-Domestiche” (GAD). Le sue conclusioni princi- pali furono: 1) bisogna partire dall’istruzione, l’ignoranza è la madre di tutte le schiavitù; 2) è necessario risolvere il problema psicologico che fa delle “domestiche” delle persone di serie B; 3) è necessario che siano le “domestiche” ad assumersi respon- sabilità di autopromozione, sganciandosi da ogni paternalismo e senza delegare ad altri i loro problemi. Nel volumetto che pubblicò,Perché ci muoviamo, indicò con chia- rezza le mete verso cui bisognava camminare: albo professionale per dare dignità professionale; competenza; assistenza sociale per pensione e assistenza mutualistica (cose impensabili per quegli anni). Nominato vice-assistente nazionale delle ACLI, si dedicò comple- tamente alle lavoratrici della casa, che dal 1964 poterono abban- donare definitivamente l’appellativo di “serve” e di “domestiche” per quello di Collaboratrici Domestiche (COLF). La lotta contro l’ignoranza, padre Crippa la iniziò decisamente con due corsi di 6 giorni ciascuno a Cevo di Valsaviore per il nord, e a Pompei per il sud. Argomenti: Storia del movimento operaio - Nozioni fonda- mentali della Dottrina Sociale della Chiesa - Come vincere la claustrazione dovuta alla “convivenza” con i datori di lavoro - Spiritualità nel lavoro della Colf - Solidarietà tra le Colf - Pro- getti di legge per cambiare la situazione e arrivare a un Contratto Nazionale di Lavoro. 168 Corsi di alfabetizzazione per le etiopi Grande e insostituibile appoggio nella sua missione a favore delle Colf, padre Crippa lo trovò nella collaborazione delle Suore, in particolare delle Religiose di Maria Immacolata, delle Figlie di Maria Ausiliatrice, delle Suore Francescane. Queste ultime ten- gono a Milano i primi corsi di alfabetizzazione per le donne etiopi ed eritree. In campo legislativo la prima legge in favore delle Colf è appro- vata il 2 aprile 1958: il rapporto tra datore di lavoro e Colf è non di semplice esecuzione materiale di lavoro come in fabbrica, ma di fiducia, con tutte le conseguenze legali. Seguono le conquiste della pensione, della tutela contro le malattie e degli assegni fami- liari. Quando nel 1971 le ACLI (sotto il pontificato di Paolo VI) attra- versano un periodo di crisi, le dirigenti delle Colf si riuniscono e l’11 novembre costituiscono l’API-COLF (Associazione Profes- sionale Italiana delle Collaboratrici Familiari). Essa viene rico- nosciuta come Associazioni Ecclesiale dalla CEI, e padre Crippa viene nominato Primo Consulente Ecclesiastico di essa. Lo sarà fino al 1991, al compimento del 70° anno di età. Sotto la sua “consulenza” vengono firmati i primi Contratti Col- lettivi di Lavoro delle Colf. Il momento più grande l’API-COLF lo vive il 29 aprile 1978. In occasione del loro Decimo Con- gresso, novemila Colf sono ricevute da Papa Giovani Paolo II che parla loro ricordando le tappe del cammino dell’Associazione verso il pieno riconoscimento della loro dignità umana e cristiana. Padre Crippa continua a scrivere articoli, libri, e anche dispense che vengono utilizzate nelle scuole professionali della sua Asso- ciazione. Insignito dal Papa con la medaglia d’oro come Beneme- rito della Chiesa, padre Crippa passa gli ultimi anni nella Casa Serena dell’Associazione, assistito amorevolmente dalle sue col- laboratrici. Nel suo testamento spirituale scrive: “Il Sacro Cuore sia la pietra del mio riposo. Le Colf e le assistenti domiciliari siano come sono state in vita scritte nel mio cuore, siano certe che ogni mattino le benedirò dal cielo e guarderò nelle famiglie dove lavorano. Pregherò per quelle che pregano pregherò per quelle che non pregano. In fondo non ho amato che voi, non sono vissuto che per voi”. Padre Erminio Giovanni Crippa andò incontro a Dio il 24 aprile 2000. 169 CARLO URBANI, MEDICO Collocazione storica (1956-2003) Patronati Si ricorda come Volontario dei medici senza Frontiere e dell’Organizzazione mon- diale della Sanità La vita in un frammento “La maggior parte dei bambini del mondo aspettano un piatto di riso. Qui da noi aspettano l’ultimo Game Boy. Cresceranno così i nostri figli?” Cenni biografici Il coronavirus della SARS Nel 2001 Carlo Urbani, vicepresidente internazionale di “Medici senza frontiere”, vive con la sua sposa e i tre figli ad Hanoi (Vietnam). È stato nominato “esperto” per l’Oriente dall’Organiz- zazione Mondiale della Sanità (OMS), quella catena invisibile e inestimabile che circonda il pianeta Terra, e lo difende dalle epi- demie dovunque esse sorgano. Carlo è stato nominato “esperto per la regione del Pacifico occi- dentale”, e assiste Vietnam, Laos e Cambogia nella lotta contro le malattie parassitarie che fanno silenziose stragi di bambini. Negli ultimi giorni del febbraio 2003 risponde a una chiamata del- l’ospedale di Hanoi. I medici segnalano la presenza di un malato colpito da un virus sconosciuto, con sintomi simili all’influenza. Carlo si reca all’ospedale e visita subito il paziente. Non ha il virus dell’influenza, e neppure quello della polmonite. Si tratta di una malattia nuova, strana. Carlo osserva il malato giorni e giorni, documenta ogni suo cambiamento e soprattutto organizza i con- trolli in tutto l’ospedale. Deve contrastare questa strana malattia che tende a diffondersi con rapidità. Finalmente la identifica: è una forma atipica di polmonite, epi- demica, diffusa da un coronavirus ribelle a ogni antibiotico. La SARS (come egli la chiama) può costituire una seria minaccia per la popolazione della Terra se non viene rapidamente isolata. Mette con urgenza in allerta l’OMS. Mentre altri focolai della SARS vengono segnalati a Hong Kong, nelle province interne della Cina, a Taiwan, a Singapore e in Canada. L’ospedale vietnamita di Hanoi, dove lavora Carlo Urbani, su sua richiesta viene posto totalmente in quarantena. Misure immediate vengono prese negli aeroporti internazionali. In molte parti del mondo si diffonde il panico. L’epidemia mortale viene bloccata grazie a una catena strettissima di sorveglianza, specialmente negli aeroporti dove tutti i passeggeri devono sottoporsi a visita medica. Carlo Urbani non può rallegrarsene. Colpito dallaSARSche ha individuato per primo,muore a Bangkok il 29 marzo. L’agenzia ANSA lancia il primo flash alle 12,50 del 29 marzo 2003: “Virus misterioso: medico italiano morto a Bangkok - Un medico di 46 anni, Carlo Urbani, originario di Castelplanio (Ancona), è morto questa mattina per una sospetta polmonite ati- pica. Il medico si trovava sul luogo per conto dell’Organizzazione 170 Mondiale della Sanità. Da una decina di giorni si stava occu- pando proprio della sindrome SARS”. Nelle redazioni dei giornali si esamina la cartina dell’Umbria per trovare questo paese, Castelplanio, 1500 abitanti tra centro e fra- zioni sparse nella Vallesina. I giornalisti salgono lassù per cercare notizie di questo “sconosciuto Carlo Urbani”. Il sindaco, alle loro domande, risponde: “Il dottor Urbani è un nostro compaesano. Ha dedicato se stesso alla causa dei più poveri e più deboli. Siamo or- gogliosi che una persona come lui abbia fatto sapere al mondo che esistono dei bravi italiani. I tre figli del medico, Tommaso, Luca e Maddalena, sono già da due settimane qui a Castelplanio. Stanno bene. Dopo l’inizio della malattia, non hanno più rivisto il padre. La moglie Giuliana arriverà lunedì, e poco dopo un aereo porterà in Italia la salma di Carlo”. “Avevo 15 anni quando mi sono innamorata di lui” I rintocchi lenti delle quattro campane della chiesa annunciano, nel mattino di mercoledì 2 aprile, il ritorno del dottore che ha girato il mondo per aiutare gli ultimi. Durante l’austero funerale, la moglie Giuliana dice dal pulpitino anche a nome dei figli: “Carlo ci ha insegnato che la vita, quella di tutti, va rispettata. Ringrazio Dio di avermi fatto incontrare un marito come lui”. Accompagnato dal piccolo organo che Carlo suonava da giovane, il coro che lui aveva messo insieme canta parole che Carlo ha scritto sulla carta e detto con la vita: “Che cosa resterà di te? Ciò che hai seminato: un pane condiviso e dato in povertà”. Una decina di giorni dopo, tornato tutto alla calma, Giuliana Chiorrini racconta suo marito Carlo, con pudore: “Avevo quindici anni quando mi sono innamorata di lui. Ma lo conoscevo da sempre, perché qui in centro a Castelplanio eravamo 350 abitanti. E Carlo organizzava tutto, dai campeggi alla raccolta di medici- nali per Mani tese, dalla squadra di pallavolo alle vacanze per bambini handicappati, mi piaceva, e a quindici anni ho capito che anche lui cominciava a interessarsi di me. Era il 1980. Lui era già ‘grande’, aveva 24 anni, stava finendo l’università. Io avevo appena cominciato le magistrali a Fabriano per diventare maestra alla scuola materna. Non stava fermo un attimo. Organizzava il coro in chiesa e suonava l’armonium, dirigeva il giornalino del nostro gruppo. Per farla corta, mi sono innamorata. Non era bel- lissimo, ma era davvero un tipo interessante. Mi piaceva la sua voglia di essere utile, di darsi da fare. E allo stesso tempo, sembra incredibile, riusciva a essere schivo, a non mostrarsi. Un amore a Castelplanio non si può tenere nascosto. Per questo Carlo ha cominciato a venire a casa mia, come fidanzato. Era un ragazzo serio, ma sapeva vivere momenti di gioia intensa, condividendola. Si emozionava davanti a un tramonto. E voleva che io fossi lì con lui, per vivere insieme quel momento bello. Ci siamo sposati l’8 ottobre 1983”. Intanto Carlo si è laureato ad Ancona (1981) e specializzato in malattie infettive e tropicali a Messina (1983). 171 Volontario in Europa Nel 1987 nasce il primo figlio, Tommaso. Carlo è medico di base a Castelplanio e specialista in malattie infettive ad Ancona. In quello stesso 1987 ottiene il consenso di Giuliana e si reca per un mese come medico volontario in Etiopia. Torna con una forte impressione, che giorno dopo giorno comunica a Giuliana: “La maggior parte dei bambini del mondo aspettano un piatto di riso. Qui da noi aspettano l’ultimo Game Boy. Cresceranno così i no- stri figli?”. Cominciò a collaborare con Medici senza frontiere. Ferie e tempi di riposo passati con loro in Africa. “Tornava stanco ma realizzato” ricorda Giuliana. Ma non viveva “con la testa al- trove”. “Quando era qui ce l’avevo solo per me. Con i bambini era un padre bravissimo”. Nel 1995 Giuliana dà alla luce il secondo figlio, Luca. Nel 1996 Carlo confida a Giuliana: “Se partissimo tutti insieme, sarebbe utile anche per i nostri figli vedere che il mondo non è solo Castelplanio, e che molti bambini non hanno un pugno di riso per saziare la fame. Diventerebbero più sensibili, intelli- genti...”. “E così – conclude Giuliana –, alla fine siamo partiti”. 1996-1997, missione per un anno in Cambogia, a Phnom Penh. Tommaso ha 9 anni, Luca poco più di uno. Tommaso va alla scuola francese. Nella capitale della Cambogia la vita è poveris- sima. Nella casetta non hanno la TV. “Si viveva con poco eppure si stava bene”. Tornando a Castelplanio, Tommaso parla francese fluente, ha mille cose da raccontare, e Carlo viene nominato presidente dei MSF italiani. Nel 1999, come vice-presidente internazionale, va a ritirare il Nobel per la Pace assegnato ai MSF. 6 gennaio 2000. Mentre Carlo e Giuliana, davanti alla chiesa di Castelplanio, insieme a decine di bambini liberano nell’aria palloncini bianchi e colorati con un messaggio di pace, arriva l’invito. Tre anni ad Hanoi con la famiglia, come “responsabile dell’OMS contro le malattie parassitarie per Vietnam, Laos e Cambogia”. Giuliana dà alla luce Maddalena il 6 maggio. All’inizio di giugno Carlo parte. Due mesi dopo lo segue Giuliana con i figli. “La casa è molto bella – scrive Giuliana di laggiù –. Tommaso e Luca fre- quentano scuole francesi, Maddalena è all’asilo nido vietnamita, e parla solo in vietnamita!”. Anni di lavoro duro, di vita piena e serena. Nel 2003 si pensa al rientro in Italia. Invece arriva la SARS, Carlo riesce a dare l’allar- me al mondo e muore. Ciò che resta di lui ritorna in volo Bangkok-Roma, poi in un’au- toambulanza dei MSF sulla piazzetta della chiesa di Castelplanio, dove ci sono tanti amici che piangono e battono le mani. 172 ANNALENA TONELLI, VOLONTARIA Collocazione storica (1943-2003) Patronati Si ricorda come Volontaria missionaria laica La vita in un frammento “Volevo solo seguire Gesù Cristo. Null’altro mi interessava così fortemente: Lui e i poveri in Lui” Cenni biografici I bassifondi della sua città Iniziò dedicandosi ai bambini del brefotrofio della sua città, Forlì. Annalena Tonelli era una fresca ragazza di 19 anni dagli occhi az- zurri, in quel 1962. E per sei anni lavorò così, con un gruppo di amiche, mentre si laureava in legge all’Università di Bologna. Scriverà: “Ero ancora una bambina quando scelsi di essere per gli altri: i poveri, i sofferenti, gli abbandonati, i non amati. Così sono stata e confido di continuare ad essere. Volevo solo seguire Gesù Cristo. Null’altro mi interessava così fortemente: Lui e i poveri in Lui”. Poi cominciò a pensare ai poveri del Terzo Mondo. Davanti ai bambini che la guardavano con occhi immensi e doloranti dalle ri- viste missionarie, dai telegiornali, si sentì in colpa di stare troppo bene. Fondò con le sue amiche, coinvolgendo tutte le parrocchie di Forlì, il “Comitato per la lotta contro la fame nel mondo”, e co- minciò a preparare la sua partenza per l’Africa. I suoi familiari non erano d’accordo, ma lei stava per compiere 25 anni, e non le pareva di fare “un colpo di testa”. Era il 1968 quando partì. Molti giovani dell’occidente sentivano in quegli anni il disagio di vivere in un mondo troppo ingiusto, troppo spaccato tra ricchi e poveri. Scaricavano il disagio in assemblee, cortei, sparatorie per le strade, attentati terroristici. Lei lo scaricò salendo su una nave e recandosi a vivere tra quei Somali che vivevano nel nord-est del Kenya, una popolazione straziata dalla fame. Scriverà: “Dio mi aveva portato lì, e vi rimasi nella gioia e nella gratitudine. Ero partita decisa a gridare il Vangelo con la vita sulla scia di Charles de Foucauld, che aveva infiammato la mia esi- stenza”. Lo griderà per 35 anni. Cominciò come insegnante nella missione di Karima. Salvatore Baldazzi, missionario della Consolata, aveva dato vita a una “Città delle ragazze” (Girl’s Town), per ragazzine rese orfane dalla carestia e dalla guerra. In quello stesso anno dall’Italia giunse Maria Teresa, anche lei cri- stiana decisa a spendere la vita per Gesù e per i poveri. Annalena e Maria Teresa iniziarono a vivere insieme, formando una micro- comunità. Voleva curare gli ammalati, ma era laureata in legge e non in medicina. Diventò così insegnante. Dedicava parte del suo tempo allo studio della lingua locale, alle tradizioni di quel popolo. Si lasciò coinvolgere dall’insegnamento, convinta che la cultura è forza di liberazione. I suoi alunni avevano più o meno la sua età. All’inizio diffidavano di lei perché era donna (quindi non degna né di ascolto né di rispetto),bianca (quindi di razza inferiore),cristiana 173 (temuta perché i cristiani cercano di rubarti la fede in Allah), e poi non sposata in un mondo in cui la verginità è un non-valore. S’innamorò di un bambino che stava morendo In pochi giorni cambiarono atteggiamento. E in pochi mesi furono concentrati sui programmi, con puntuali interrogazioni ed esami. I risultati furono molto buoni, tanto che vari studenti di allora oggi occupano importanti posti nei ministeri governativi e nelle attività private del Paese. Nei primi giorni in cui faceva l’insegnante, Annalena conobbe un bambino che stava morendo di sickle cell (anemia falciforme) e fame. “Me ne innamorai – scrisse –. Giurai a me stessa che l’avrei salvato. Gli donai il sangue e supplicai gli studenti di fare altret- tanto. Uno di loro lo donò, e dopo di lui tanti altri, vincendo le chiusure di un mondo che ignorava la solidarietà. Quel bambino fu salvato dal nostro amore”. Era il tempo di una grave carestia. Vide tanta gente morire di fame. Dopo il primo bambino, attorno a lei se ne raggrupparono altri quattordici. Non sapevano cos’era una “straniera”. Avevano fame di cibo e di affetto, e Annalena glie ne dava. I bambini orfa- ni continuavano ad arrivare. Tra essi c’erano malatini che avevano bisogno di cure urgenti. Pur continuando ad insegnare, Annalena e Maria Teresa aprirono un “Centro” di cura e riabilitazione per bambini ciechi, sordi, epilettici, poliomielitici... Scrisse alle sue amiche romagnole che nel Centro c’era bisogno di medicine, ma c’era soprattutto biso- gno di “mamme”. Arrivarono. La micro-comunità si allargò accogliendo cinque ragazze che ave- vano lasciato tutto per diventare “mamme a tempo pieno”. Poi Annalena scoprì i tubercolotici, rifiutati e abbandonati da tutti. La tubercolosi è presente da secoli in mezzo ai Somali. Pratica- mente, tutto quel popolo ha i germi della malattia, ma solo in poche persone si sviluppa. Annalena ne scoprì una vera colonia nell’ospe- dale di Wajir, un villaggio del Nord Est, e divenne la loro madre. Non sapeva niente di medicina, ma presto avrebbe conseguito i diplomi di “controllo della tubercolosi” a Nairobi e di medicina tropicale in Inghilterra. Dopo aver conseguito il primo diploma a Nairobi, cominciò a passare all’ospedale di Wajir molto tempo. Quelli che erano alla fine, volevano morire stringendole la mano. Nel 1976 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) chiese ad Annalena di diventare la responsabile di un progetto-pilota per la cura e il controllo della tubercolosi in mezzo ai nomadi malati di tubercolosi. Essi cominciarono ad arrivare con la carovana dei cammelli. Smontavano le stuoie, le corde, e costruivano le capan- ne per farsi curare. “Noi abbiano la fede, voi avete l’amore” Fu il capolavoro dell’amore di Annalena e delle sue compagne. Il metodo inventato da loro chiamato DOTS (Breve Terapia sotto Diretta Osservazione) è stato diffuso in tutta l’Africa. 174 Annalena ricordava: “Fu una grande avventura d’amore, un dono di Dio. Contemporaneamente lavoravo nel Centro per i bambini assieme alle mie compagne che si erano unite a me, tutte volon- tarie senza stipendio, tutte per i poveri e per Gesù Cristo. Era- vamo una famiglia. Accoglievamo ogni bambino da curare, riabi- litare, e creature particolarmente ferite: ciechi, sordomuti, handi- cappati fisici e mentali. I bambini crescevano con noi, mamme a tempo pieno. Fu grazie al ‘Centro per i bambini’ che la gente co- minciò a dire che forse anche noi, io e le mie compagne, saremmo andate in Paradiso. Un vecchio capo, che ci ammirava molto, sen- tenziò: Noi musulmani abbiamo la fede, voi avete l’amore. Do- vremo fare come fate voi”. Nel 1984 le autorità tentarono di commettere un genocidio a danno di una tribù di nomadi del deserto. 50mila persone dove- vano sparire nel nulla. Un migliaio fu eliminato subito. A questo punto, Annalena si mise in contatto con i giornali e la BBC. Narrò tutto, ci furono corrispondenze indignate sui grandi giornali del mondo, e il genocidio cessò. Ma Annalena era ormai sulla lista nera. Sfuggì miracolosamente a due attentati. Fu aggredita e pic- chiata. Poi venne arrestata e portata davanti a un tribunale mili- tare. Era il 1986, e fu espulsa dal Kenya. Oltrepassò il confine, andò verso nord, e finì per stabilirsi a Borama, nel Somaliland, uno stato pieno di gente somala non riconosciuto dall’ONU. Ricominciò da capo, con una scuoletta di alfabetizzazione. Poi la scuola si aprì ai bambini malati: sordi, ciechi, epilettici. Divenne anche un piccolo ospedale. Annalena chiedeva all’OMS e veni- vano specialisti che eliminavano cataratte, e i bambini tornavano a vedere, intervenivano su otiti trascurate, e i bambini tornavano a sentire. Gli epilettici (creduti indemoniati) venivano portati in ca- tene, sporchi dei loro escrementi. Dopo giorni di cure e di amore, si liberavano loro stessi dalla catene, cominciavano a lavarsi, prendevano da soli i farmaci e poco alla volta tornavano normali. La gente venerava Annalena. Ma giunse il maledetto 11 settembre 2001 con l’abbattimento delle torri gemelle di New York. Seguirono i maledetti bombarda- menti americani sull’Afghanistan. Il clima verso i bianchi cambiò radicalmente. Anche Annalena fu additata dai fondamentalisti islamici come “diavolo bianco”. In quel clima avvelenato, un ragazzo armato di fucile entrò nel- l’ospedale e le sparò tre colpi alla testa. Annalena aveva 60 anni. Era il 5 ottobre 2003. 175 Capitolo 4 Il pensiero dei Papi Davanti alle situazioni disumane create dalla Rivoluzione industriale, le persone oneste si ribellano. Mentre si attende che gli Stati intervengano con leggi che stabiliscano una maggior giustizia sociale in campo cattolico, laici, preti e vescovi (non tutti però) danno vita a migliaia di iniziative di “pronto intervento” e di “protesta”. Ne cito alcune. Nel 1833 il giornalista cattolico Ozanam dà vita a Parigi alle “Conferenze di San Vincenzo”. Negli anni seguenti l’arcivescovo di Parigi, Mons. Affre, organizza i suoi preti in aiuto dei lavoratori. Nel 1841 (come abbiamo detto) don Bosco e con lui il Murialdo e altri sacerdoti aprono a Torino oratori, case, scuole, mense per i giovani lavoratori. Nel 1842 il vescovo di Spira (Renania) interviene pesantemente presso le autorità politiche perché affrontino la situazione. Nel 1845 il vescovo di Annecy in Savoia (dove è aperto il più grande cotonificio del Regno) denuncia a Carlo Alberto le “condizioni disumane dei lavoratori”. Emmanuel W. Ketteler, vescovo di Magonza dal 1850 e deputato al Parla- mento tedesco, chiama il suo governo a discutere un complesso di leggi in favore dei lavoratori, che vanno dal diritto di unione degli operai al diritto di sciopero, dalla proibizione del lavoro in fabbrica per fanciulli e donne all’assistenza medica gratuita. Nel 1871 nasce in Francia l’Opera dei circoli operai. In Belgio A. Porter crea le basi della Dottrina sociale cristiana con famose lezioni universitarie sui diritti degli operai. Dal 1884 l’Unione internazionale di Friburgo (Svizzera) orga- nizza Congressi scientifici per promuovere scambi di idee e di esperienze sociali fra i cattolici dei vari Paesi. Negli USA si affermano i Knights of labour, associa- zione operaia cattolica che tutela i diritti dei lavoratori. Nel 1890, in Germania, nasce il Volksverein di F. Brandts, una delle più solide organizzazioni operaie cristiane dell’Europa. Accanto ai cristiani agiscono socialisti, comunisti e anarchici. La prima enun- ciazione violenta delle loro intenzioni è il Manifesto dei comunisti scritto da K. Marx nel 1848, che comincia con le parole: “Proletari di tutto il mondo, unitevi!”. L’ideologia marxista-comunista sarà la base della disastrosa esperienza della rivoluzione comunista. Essa inizierà nel 1917 nella Russia ad opera di Lenin e si estenderà a quasi metà del mondo. Molti cattolici, che lavorano tumultuosamente per la giustizia sociale, sentono sempre più la necessità di coordinare la loro azione e il loro pensiero. Molti Vescovi pensano che per fissare le linee-guida dei cristiani occorra un intervento ufficiale del Papa. 176 1. LEONE XIII. IL PAPA DELLA RERUM NOVARUM A Roma è papa Gioacchino Pecci, che porta il nome di Leone XIII. Egli è nato a Carpineto Romano (Roma) dalla famiglia dei conti Pecci. Avviato al sacerdozio e alla carriera diplomatica, viene ordinato prete a 27 anni, consacrato Vescovo e inviato come Nunzio Apostolico in Belgio nel 1843 a 33 anni. In Belgio rimane tre anni. Deve risolvere intricati problemi diplomatici. Ma “pesano non poco nella maturazione del futuro pontefice i problemi della miseria operaia, e la conoscenza diretta dell’azione politica e sociale condotta dai cattolici nella vita politica del loro Paese” (F. Malgeri in Dizionario Biografico degli Italiani). Richiamato in Italia e fatto Arcivescovo di Perugia, “la sua preoccupazione principale fu di preparare un clero capace di affrontare i nuovi compiti che i muta- menti politici e sociali imponevano”. La rivoluzione industriale, che aveva inve- stito le nazioni occidentali e anche l’Italia del Nord, per decenni non toccò il Centro e il Sud italiani, perché in essi non nacque nessuna industria. Solo intorno al 1870 si cominciò ad intravedere per tutta la penisola un futuro industriale. In quegli anni (1870-78), gli ultimi che passò a Perugia come Arcivescovo e Cardinale, Gioacchino Pecci “manifestò particolare attenzione ai problemi sociali e alla questione operaia”. Nel 1878 muore Pio IX, e Gioacchino Pecci diviene Papa col nome di Leone XIII. I problemi che deve affrontare sono molto spinosi, primo fra tutti quello dello Stato Pontificio, che è stato conquistato dall’esercito italiano nel 1870. Leone XIII (da più di mille anni) è il primo Papa che non ha un territorio proprio, che si sente “prigioniero” in quella Roma che per tanti anni è stata la città del Papa. Il primo problema che lo assorbe è l’“indipendenza” del Papa. Poi, tra le tante questioni che sono sottoposte alla sua attenzione, c’è la “que- stione operaia”. Il Papa deve pronunciarsi? O deve lasciare il compito di coordinare l’azione sociale dei cattolici ai Vescovi delle singole nazioni? Papa Leone esamina a lungo, forse troppo a lungo il problema. Consulta gli studiosi della questione sociale, i Vescovi e gli uomini della Chiesa che sono sui luoghi della battaglia sociale (i cardinali Manning e Newman inglesi, il cardinale Gibbons statunitense, i cardinali Zigliara e Mazzella italiani, il gesuita padre Liberatore, gli studiosi laici delle Scuole Cattolico-Sociali di Liegi e di Friburgo). Leone XIII si convince che il problema drammatico della giustizia sociale è ormai un problema che coinvolge tutto il mondo occidentale. E il Papa deve intervenire come capo della Chiesa universale. 1.1. Rerum Novarum Il 15 maggio 1891 Leone XIII pubblica l’enciclica (= lettera papale) Rerum Novarum, che ha nel mondo un’eco vastissima. L’enciclica traccia in maniera decisa la strada per la quale i cattolici si batteranno per la giustizia sociale. È la sintesi dell’azione e del pensiero sociale che i cattolici hanno elaborato e seguito 177 negli ultimi 50 anni, ed è il primo documento che presenta ufficialmente la Dottrina Sociale della Chiesa. Ne faccio qui una breve sintesi. Il Papa inizia delineando la squallida condizione dei fratelli proletari, e le colpe dei padroni disumani: “Un piccolissimo numero di straricchi ha imposto uno stato di quasi schiavitù all’infinita moltitudine dei proletari” (RN 2). Passa quindi a indicare i principi e i fondamenti della giustizia sociale. Ecco i sei principi fondamentali: 1) Tutti gli uomini hanno diritto alla proprietà privata di beni economici. Ma la proprietà privata ha una “funzione sociale”: opportune leggi devono far sì che la ricchezza non sia concentrata nelle mani di pochi, ma sia al servizio di tutta la società. 2) I Cristiani condannano il collettivismo e il socialismo che vogliono abolire la proprietà privata, e la vogliono abolire con la violenza. La proprietà privata deve rimanere come garanzia della dignità di ogni persona. 3) Il lavoro umano non è una merce che come le altre merci si può vendere e si può comprare. Il capitalismo che sostiene una simile idea, riduce l’uomo a livello degli animali. Il lavoro è un’espressione della persona umana, e la ricompensa di questo lavoro deve dare all’uomo la possibilità di vivere come persona, dotata di una famiglia, di bisogni culturali e spirituali. 4) Il compito dello Stato non è solo quello di proteggere la proprietà privata, ma anche quello di tutelare le classi più deboli, con una legislazione sociale che impedisca ogni sfruttamento della persona umana. 5) Quando l’azione degli individui e delle società private non è sufficiente a pro- teggere la famiglia, l’infanzia, la moralità pubblica, lo Stato deve intervenire per una efficace azione preventiva. 6) I Cristiani condannano la lotta di classe, ma riconoscono il diritto dei lavora- tori a riunirsi in associazioni per difendere i loro diritti e rivendicare una vita più umana e più giusta. Destarono una grande impressione le parole con cui il Papa illustrava il 3° principio: “Dei capitalisti, poi, e dei padroni, questi sono i doveri: non tenere gli operai in luogo di schiavi, rispettare in essi la dignità dell’umana persona, nobili- tata dal carattere cristiano. Agli occhi della ragione e della fede non è il lavoro che degrada l’uomo, ma anzi lo nobilita col metterlo in grado di vivere con l’opera pro- pria onestamente; quello che è veramente indegno dell’uomo è di abusarne come di cosa a scopo di guadagno. (...) Defraudare la dovuta ricompensa è colpa così enorme che grida vendetta davanti a Dio. Ecco, la ricompensa degli operai... che fu defraudata da voi, grida. E questo grido ha ferito le orecchie del Signore degli eserciti (Gc 5,4). Da ultimo è dovere dei ricchi non danneggiare i piccoli risparmi dell’operaio né con violenza né con frodi né con usure palesi o nascoste; questo do- vere è tanto più rigoroso, quanto è più debole e mal difeso è l’operaio e più sacro- santa la sua piccola sostanza” (RN nn. 17-18). 178 Centro di tutta la Rerum Novarum è “il rispetto dell’uomo e della sua dignità”. Sarà sempre il centro della Dottrina Sociale della Chiesa. 1.2. Sette encicliche e un libro sviluppano il messaggio di Leone XIII Nei 100 anni che seguirono la Rerum Novarum, man mano che mutavano i tempi e le situazioni, i Papi scrissero sette nuove encicliche sociali. Esse aggiorna- vano e sviluppavano il messaggio di Leone XIII. Indicavano ai cristiani nuove vie per continuare a promuovere i diritti del lavoro e dei lavoratori. Il 15 maggio 1931 Pio XI pubblicò Quadragesimo anno. Giovanni XXIII pubblicò Mater et Magistra il 15 maggio 1961. Paolo VI pubblicò Populorum progressio il 26 marzo 1967 e Octogesima adveniens il 14 maggio 1971. Giovanni Paolo II pubblicò tre encicliche sociali: Laborem exercens (1981), Sollicitudo rei socialis (1987), Centesimus annus (1991). La Rerum Novarum e le sette encicliche sociali che l’hanno seguita costitui- scono la “Dottrina Sociale della Chiesa”. Essa è condensata nel libro pubblicato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace: “Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa”, (Libreria Editrice Vaticana, 2004). Nelle pagine che seguono, presento le figure dei due ultimi Papi, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Poi, dal Compendio della Dottrina Sociale, trascriverò in linguaggio facilissimo, il fondamentale capitolo sesto, “Il lavoro umano”. 2. GIOVANNI PAOLO II. IL PAPA CHE FU OPERAIO 1940, secondo anno della devastante seconda guerra mondiale. La Polonia è occupata dalle armate tedesche di Hitler. Lo studente universitario Karol Wojtyla (20 anni) lavora alla cava di pietre di Zakrzòwek. Scriverà: “Per evitare la deportazione in Germania, nell’autunno del 1940 cominciai a lavorare come operaio in una cava di pietre collegata con la fab- brica chimica Solvay gestita dai tedeschi. Ricordo il ritmo uguale dei martelli, le scariche elettriche che tagliavano le pietre... Ero presente quando, durante lo scoppio di una carica di dinamite, le pietre colpirono un operaio e lo uccisero. Ne rimasi profondamente sconvolto. Sollevarono il corpo, da lui ancora emanava fa- tica e un senso di ingiustizia”. Vide poco dopo la moglie distrutta dal dolore, il viso attonito del loro bambino. Karol aveva perso sua madre quando aveva 9 anni. Il 18 febbraio 1941, una giornata di freddo polare, “tornando dal lavoro trovai mio padre morto... Lo scoppio della guerra mi aveva sradicato dagli studi e dall’ambiente universitario. La morte di mio padre mi staccò dall’ultima persona della mia famiglia. Mi sentivo sradicato dal terreno sul quale fino a quel momento era cresciuta la mia umanità. E in quei momenti si manifestava sempre più una luce: il Signore vuole che diventi 179 sacerdote. Era come un’illuminazione interiore, che portava in sé la gioia e la sicu- rezza di una vocazione. Questa consapevolezza mi riempì di una grande pace inte- riore”. Il suo Arcivescovo, Adam Sapieha, punto di riferimento per la gente sofferente della sua città, lo accettò tra i suoi seminaristi clandestini. Gli consigliò di conti- nuare il lavoro da operaio, e contemporaneamente lo inserì in una rete di studi (con un professore che gli faceva scuola nel tempo libero) e di aiuto cristiano ai ricercati dai tedeschi, rifugiati nei sotterranei dell’Arcivescovado. Nella notte del 18 gennaio 1945 i russi “liberarono” Cracovia dai tedeschi. Sapieha disse a Karol: “Ti ordinerò prete al più presto. Poi ti manderò a Roma a studiare per due anni presso il Papa”. 2.1. A imparare l’italiano dai ragazzini di Roma L’ordinazione sacerdotale avvenne il 1° novembre 1946. In quello stesso no- vembre don Karol partiva per Roma. Andava a imparare teologia nei grandi atenei romani, e lingua italiana negli oratori della città. Quella lingua popolare e scanzo- nata che gli sarebbe servita un giorno, quando si sarebbe affacciato alla balconata di San Pietro, divenuto Papa Giovanni Paolo II. La Polonia è in quegli anni schiacciata dall’Armata Rossa e da un governo co- munista e ateo, imposto dalla Russia. Don Karol torna in patria nel 1949. Nel 1951 (ha 31 anni) si laurea e abilita all’insegnamento presso l’Università di Cracovia. Subito diventa insegnante nel seminario della sua città. Nel 1954 (mentre il governo arresta sacerdoti e vescovi, e condanna il cardinale Wyszynski a residenza coatta) come libero cittadino concorre e vince la cattedra di filosofia all’Università di Lublino. Il suo successo tra gli studenti universitari è notevole. Quel suo “sereno entusiasmo di essere prete” calamita intorno a lui molti giovani. A Cracovia diventa assistente degli studenti e dei laureati. Nel settembre 1958 don Karol (38 anni) è fatto Vescovo ausiliare di Cracovia. Diventa rapidamente il Vescovo dei giovani e dei lavoratori. Organizza venti centri di vita cattolica studentesca, frequentati da 15 mila giovani. Il programma è intenso: studio serio della Bibbia, severe giornate di ritiro e di preghiera, tempo libero dedicato a gare sportive sui campi verdi, sui monti, sui laghi. Nell’ottobre 1962 il Vescovo Wojtyla è a Roma con tutti i Vescovi del mondo per iniziare il Concilio Vaticano II, che rinnoverà il volto della Chiesa. Quando compie 43 anni, il Papa lo nomina Arcivescovo di Cracovia. Quando ne compie 47 lo fa Cardinale. Karol è uno dei più giovani Cardinali della Chiesa. Quando ha una giornata libera, la passa coi giovani. Quando lo fanno Cardi- nale e gli chiedono che regalo vuole, risponde: “Se proprio volete, compratemi un nuovo sacco a pelo. Quello che uso è tutto strappato”. Nel 1978 muoiono due Papi: Paolo VI in agosto, Giovanni Paolo I (che gli è appena succeduto) in settembre. 180 2.2. Papa Giovanni Paolo II La sera del 16 ottobre Karol Wojtyla viene eletto Papa, ha 58 anni e prende il nome di Giovanni Paolo II. Alla folla che gremisce piazza San Pietro e al miliardo e mezzo di persone che lo guardano sugli schermi della televisione quasi grida: “Aiutate il Papa a servire l’uomo e l’umanità intera. Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo. Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economi come quelli politici, i vasti campi della cultura, della civiltà, dello sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa ‘cosa è dentro l’uomo’. Solo lui lo sa”. Nel giugno del 1979, con il permesso concesso di malavoglia dal governo comunista, il Papa fa il suo primo viaggio in Polonia, la sua patria. È un trionfo per lui e per i cristiani: da un Paese oppresso per 34 anni dal comunismo ateo che ha cercato con ogni mezzo di sradicare la fede cristiana, è venuto il nuovo Papa, e le folle cristiane della Polonia gli decretano un trionfo oceanico, seguito in televisione da tutto il mondo. Per il comunismo è un colpo mortale. Dirà Gorbaciov, ultimo presidente della Russia comunista: “Tutto ciò che è accaduto nell’Europa dell’Est in questi ultimi anni (cioè il crollo inaspettato del comunismo) non sarebbe stato possibile senza la presenza di questo Papa”. Da questo momento la vita del Papa si riempie di avvenimenti previsti e non previsti. Con una serie di 248 viaggi in 129 nazioni diverse, porta la parola di Gesù in gran parte del mondo. Il 21 maggio 1981, in Piazza San Pietro, il misterioso Alì Agca gli spara tre colpi di rivoltella. Il Papa rimane in fin di vita per diverso tempo. Organizzato dai servizi segreti dell’Est, quell’attentato è ancora avvolto nel mistero, ma molti vi hanno letto l’estremo tentativo del comunismo di eliminare il suo grande nemico. Nel novembre 1989 insieme a tutto il mondo occidentale, il Papa vede in tele- visione la demolizione del “muro di Berlino”, inizio dello sgretolamento del comu- nismo in tutti i Paesi dell’Est, tra cui la sua Polonia. Un operaio di Mosca davanti alle telecamere, agita un cartello dove è scritto il motto di Marx corretto dopo 141 anni: “Proletari di tutto il mondo, perdonateci!”. Il Papa vede però con pena nascere in Occidente, dopo la minaccia del comu- nismo, un consumismo egoista e pagano che cerca di “materializzare” il mondo, mentre i più poveri e i più deboli sono emarginati. 2.3. Sette orizzonti per l’umanità Nel centenario della Rerum Novarum, Giovanni Paolo II scrive l’enciclica Centesimus annus, in cui richiama energicamente i cristiani e tutte le persone di buona volontà a realizzare un ordine nuovo di giustizia sulla Terra. La Centesimus annus (1991) è la terza enciclica sociale di Giovanni Paolo II. L’hanno preceduta la Laboren exercens (1981) e la Sollecitudo rei socialis (1987). In queste tre encicliche, specialmente nella terza, il Papa spinge la famiglia umana verso sette nuovi orizzonti. Eccoli: 181 1) Giustizia sociale. La produzione economica non è il bene supremo. Il bene supremo è la dignità della persona umana. Occorre quindi preoccuparsi dei bisogni di tutti: disoccupati, malati, handicappati, masse miserabili del Terzo Mondo. Questo è, per i Cristiani e le persone di buona volontà, il nuovo con- cetto di “giustizia sociale”. 2) Solidarietà. La grande famiglia umana è una. Siamo membri del grande corpo dell’umanità: o funzioniamo tutti insieme o non funzioniamo affatto. Dob- biamo quindi considerare gli interessi di tutti come “nostri interessi”. Questo significa “sentirsi solidali”. 3) Destinazione universale delle risorse terrestri. Dalla solidarietà, pensata spe- cialmente alla luce della fede (che ci dichiara fratelli) deriva la destinazione universale delle risorse a disposizione di tutta l’umanità. Alla luce di questo principio, le risorse non-rinnovabili della Terra (il petrolio, il patrimonio forestale, l’acqua del mare, l’aria dell’atmosfera) devono essere considerate patrimonio di tutta l’umanità. È un’idea audace, ma la sola che può salvare il mondo da catastrofi future. 4) Scelta preferenziale della Chiesa per i poveri. Fondata sulla tenerezza speciale di Gesù e dei profeti per i poveri, ripresa nel Concilio Vaticano II, questa preferenza non significa esclusione di nessuno, ma un’attenzione concreta e speciale verso i fratelli e le sorelle più fragili. 5) Promozione della pace. La Dottrina Sociale della Chiesa non si riduce ai pro- blemi economici e sociali. Solo una pace giusta può garantire la vita umana sulla Terra. La Chiesa contemporanea riconosce il diritto alla legittima difesa, ma sottolinea con vigore che la guerra è il mezzo più barbaro e più inefficace per risolvere i conflitti. Occorrono mezzi non violenti: negoziati, mediazione dell’ONU. 6) Dignità di ogni essere umano. La Chiesa cattolica si impegna con ogni energia alla difesa dei diritti umani, contro ogni forma di razzismo, di violenza, di sfruttamento. 7) Ecologia. L’ecologia è diventata una delle più grandi preoccupazioni del mondo. Quando Dio ha detto alle prime persone umane: “Sottomettete la terra” (Genesi 1,28), non ha detto “Distruggetela”. Ha detto “Governatela, gestitela”. Qualunque altra interpretazione è aberrante. Dobbiamo non solo salvaguardare la Terra, ma trasmetterla migliorata alle generazioni che seguiranno. Nelle meravigliose “Giornate mondiali della gioventù”, Giovanni Paolo II radunò intorno a sé milioni di giovani, a Manila e a Parigi, a Roma e a Toronto. Disse loro: “Voi siete la nuova generazione del mondo. Voi lo costruirete nella giustizia e nell’amore”. Scosso, e negli ultimi tempi devastato dal morbo di Parkinson, sentì dal letto dove moriva i canti e le chitarre dei “suoi” giovani affollati in piazza San Pietro, e sorrise per l’ultima volta. Poi, raccolto in Dio, disse in un soffio brevissimo 182 “Amen”. Terminava così una vita simile a una preghiera, durata 85 anni. Era la sera del 2 aprile 2005. 3. BENEDETTO XVI. GUARDIAMO AI SANTI Joseph Ratzinger nacque a Marktl am Inn, paesino della Baviera, il 16 aprile 1927. Il giorno dopo era domenica di Pasqua, e fu battezzato solennemente nella chiesa parrocchiale. Era il terzo figlio di Joseph, commissario della gendarmeria, e di Maria Peintner (italiana altoatesina), che lavorava come cuoca ed aveva una fede cristiana solida come le montagne. Fece lei per prima scuola di catechismo a Georg, Maria e Joseph, i suoi tre bambini. Joseph scriverà: “Ricordo sempre con grande affetto la profonda bontà di mio padre e di mia madre, bontà che significa anche capacità di dire ‘no’, perché una bontà che lascia correre tutto non fa bene”. Quando il papà viene trasferito per motivi di lavoro nella cittadina di Traun- stein, sul confine dell’Austria, la famiglia lo segue. Joseph ha 11 anni quando il go- verno della sua nazione, in mano al dittatore nazista Hitler, scatena la prima clamo- rosa persecuzione contro gli ebrei. Il ragazzino rimase sbigottito davanti alle deva- stazioni portate senza motivo contro i negozi degli ebrei. Scriverà: “La Chiesa era il luogo delle nostre speranze. Essa era il polo di opposizione all’ideologia distrut- tiva della dittatura nazista”. Nel 1939, a dodici anni, Joseph entra nel Seminario minore. Gli è nato nel cuore il desiderio di diventare prete. Nello stesso anno, il 1° settembre, Hitler getta la Germania (di cui la Baviera è una regione) nella Seconda guerra mondiale. I primi mesi vedono vittorie brillanti dell’esercito tedesco, ma poi le cose cambiano. Nel 1943 la Germania subisce sconfitte pesanti sul fronte russo, e i soldati tedeschi uccisi sono un numero enorme. Hitler ordina l’arruolamento dei giovanissimi. Joseph Ratzinger ha appena compiuto i 16 anni quando in Seminario arriva anche per lui l’ordine di arruolamento. Deve presentarsi “nel cortile davanti alla scuola per essere trasportato insieme agli altri al posto di combattimento”. Riceve la divisa militare ed è assegnato alla difesa antiaerea. Per due anni il giovanissimo Joseph Ratzinger lavora come soldato nelle retrovie. Nell’aprile del 1945 la Germania di Hitler vive gli ultimi giorni prima della sconfitta. Joseph, ferito, ha una grossa bendatura al braccio. È molto vicino a casa, e poiché nessuno gli dà ordini, decide di tornare in famiglia. Pochi giorni dopo i soldati americani occupano la Baviera. Rastrellando le case arrestano il soldato Ratzinger e lo portano in campo di prigionia tra il filo spinato. Vi rimane solo per 15 giorni, poi torna in famiglia ringraziando Dio di aver attraversato la guerra senza aver mai dovuto sparare un colpo. Nel novembre di quel 1945 è di nuovo in Seminario, a riprendere i suoi studi. 183 Viene ordinato Sacerdote il 29 giugno 1951, a 24 anni. Continua gli studi di teologia all’Università di Frisinga, dove si laurea nel 1953 e raggiunge la libera docenza nel 1957. Nei vent’anni seguenti (1957-1977) ha una vita serena di docente universitario e di scrittore di libri di teologia. Rivela un’intelligenza profonda e ordinata, un talento veramente raro. Nel 1959 è chia- mato a insegnare all’Università di Bonn, e il Cardinale di Colonia lo chiama a partecipare, come suo “consigliere teologico”, al Concilio Vaticano II. Dal 1966 insegna alla famosa e antica Università di Tubinga, e dal 1969 a quella di Rati- sbona. Diventa uno degli ingegni più conosciuti e ammirati in Germania. Il suo libro “Introduzione al Cristianesimo” diventa il catechismo degli intellettuali che vogliono avvicinarsi seriamente alla religione cristiana. Papa Paolo VI, negli anni del Concilio, ha ammirato la sua intelligenza pro- fonda e ordinata. Vicino alla morte, vuole mettere nei punti chiave della Chiesa per- sone sagge e sicure nella fede. Nel 1977, un anno prima di morire, nomina Joseph Ratzinger Arcivescovo di Monaco di Baviera, e un mese dopo lo crea Cardinale. Per Ratzinger, uomo di studio che ormai ha compiuto 50 anni, è una nomina inaspettata e una responsabilità completamente nuova. Tuttavia obbedisce. Monaco è una diocesi con un milione e mezzo di cristiani, e Ratzinger sarà il loro Arci- vescovo a servizio pieno. Nell’agosto-settembre del 1978 muoiono a Roma due Papi: Paolo VI e Gio- vanni Paolo I. Ratzinger partecipa a entrambi i conclavi. La sera del 16 ottobre viene eletto il Cardinale di Cracovia Karol Wojtyla, che prende il nome di Gio- vanni Paolo II. Nel 1981 il nuovo Papa chiama Ratzinger a dirigere l’organismo più delicato del governo centrale della Chiesa: la Congregazione per la difesa della fede. Dopo soli quattro anni deve lasciare i cristiani di Monaco, con cui ha ormai stretti vincoli di amicizia. Ma come sempre obbedisce al Papa e si trasferisce a Roma. Per 24 anni egli vive a fianco del Papa, e lo aiuta nel compito più importante di ogni successore di Pietro: essere maestro nella fede di tutti i cristiani del mondo. Accenno all’opera principale che in questo campo compie Ratzinger. Dopo il Con- cilio Vaticano II (terminato nel 1965) è rimasta una certa confusione nella mente di molti fedeli. Su molte verità della fede, ci sono dei teologi che pensano e insegnano cose diverse. Il peccato originale, l’Immacolata Concezione della Madonna, l’in- fallibilità del Papa, la presenza reale di Gesù nell’Eucarestia, e tante altre verità, persino la Risurrezione di Gesù che nella Sacra Scrittura è detta “fondamento della nostra fede”, sembrano diventati argomenti di libera discussione. 3.1. Il Catechismo della Chiesa Cattolica Il Cardinale Ratzinger, in stretta collaborazione col Papa, raduna silenziosa- mente il parere di tutti i Vescovi del mondo (i Successori degli Apostoli), presiede una commissione di teologi esperti e saggi, e traccia con loro il Catechismo della Chiesa Cattolica, dove ogni verità della fede è annunciata e insegnata con l’auto- 184 rità del Papa. È un lavoro formidabile, che confluisce in un libro di 788 pagine e viene pubblicato nel 1992. Da questo momento, chiunque voglia sapere che cosa insegna la fede cristiana sull’Eucarestia, la Madonna, il Giudizio di Dio, il Para- diso, lo Spirito Santo, il matrimonio, la sofferenza... trova la risposta nelle pagine del Catechismo della Chiesa Cattolica, ordinate dall’intelligenza profonda e lim- pida del cardinale Ratzinger. Giovanni Paolo II, dopo un lungo pontificato durato 25 anni, si spegne il 2 aprile 2005. Il Cardinale Ratzinger, che ha ormai 77 anni, partecipa al terzo con- clave della sua vita, e viene eletto Papa il 19 aprile 2005. Prende il nome di Benedetto XVI, e si presenta ai cristiani di tutto il mondo con queste semplici parole: “Dopo il grande Papa Giovanni Paolo II, i signori cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore”. È il 265° Papa nella storia della Chiesa. 3.2. Il punto sulla Dottrina Sociale Nella sua prima enciclica, “Dio è amore”, pubblicata nel Natale 2005, ha dedi- cato alcune pagine a fare il punto sulla Dottrina Sociale della Chiesa. Ecco la pagina principale: Il sorgere dell’industria moderna ha dissolto le vecchie strutture sociali e con la massa dei salariati ha provocato un cambiamento radicale nella composizione della società, all’interno della quale il rapporto tra capitale e lavoro è diventato la questione decisiva, una questione che sotto tale forma era prima sconosciuta. Le strutture di produzione e il capitale erano ormai il nuovo potere che, posto nelle mani di pochi, comportava per le masse lavoratrici una privazione di diritti contro la quale bisognava ribellarsi. È doveroso ammettere che i rappresentanti della Chiesa hanno percepito solo lentamente che il problema della giusta struttura della società si poneva in modo nuovo. Non mancarono pionieri: uno di questi fu, ad esempio, il Vescovo Ketteler di Magonza. Come risposta alle necessità concrete sorsero pure circoli, associazioni, unioni, federa- zioni e soprattutto nuove Congregazioni religiose, che nell’Ottocento scesero in campo contro la povertà, le malattie e le situazioni di carenza nel settore educativo. Nel 1891 entrò in scena il magistero pontificio con l’Enciclica Rerum Novarum di Leone XIII. Vi fece seguito, nel 1931, l’Enciclica di Pio XI Quadragesimo anno. Il beato Papa Giovanni XXIII pubblicò, nel 1961, l’Enciclica Mater et Magistra, mentre Paolo VI nel- l’Enciclica Populorum progressio (1967) e la Lettera apostolica Octogesima adveniens (1971) affrontò con insistenza la problematica sociale, che nel frattempo si era acutizzata soprattutto in America Latina. Il mio grande Predecessore Giovanni Paolo II ci ha lasciato una trilogia di Encicliche sociali: Laborem exercens (1981), Solecituto rei socialis (1987) e infine Centesimus annus (1991). Così nel confronto con situazioni e problemi sempre nuovi, è venuta sviluppandosi una dottrina sociale cattolica, che nel 2004 è stata presentata in modo organico nel Com- pendio della dottrina sociale della Chiesa, redatto dal Pontificio Concilio Iustitia et Pax. Il marxismo aveva indicato nella rivoluzione mondiale e nella sua preparazione la panacea (= rimedio universale) per la problematica sociale: attraverso la rivoluzione e la conseguente collettivizzazione dei mezzi di produzione – si asseriva in tale dottrina – doveva improvvisamente andare tutto in modo diverso e migliore. Questo sogno è svanito. 185 Nella situazione difficile nella quale oggi ci troviamo anche a causa della globalizzazione dell’economia, la dottrina sociale della Chiesa è diventata un’indicazione fondamentale, che propone orientamenti validi ben al di là dei confini di essa: questi orientamenti – di fronte al progredire dello sviluppo – devono essere affrontati nel dialogo con tutti coloro che si preoccupano seriamente dell’uomo e del suo mondo (...). Il giusto ordine della società e dello Stato è compito centrale della politica. Uno Stato che non fosse retto secondo giustizia si ridurrebbe a una grande banda di ladri, come disse S. Agostino (Deus caritas est, nn. 26-28). 187 Appendice Dal Compendio Dottrina Sociale della Chiesa Tratto da: BOSCO T., I Cristiani e il lavoro, ELLEDICI, 2006, 123-153. Capitolo sesto del Compendio Dottrina Sociale della Chiesa IL LAVORO UMANO I. Ciò che insegna la Bibbia A. COLTIVARE E CUSTODIRE LA TERRA Dio creatore del mondo - Invito a lavorare - Dominare significa coltivare e custodire - Dio ha creato ogni cosa a vantaggio della persona umana. (255) La Bibbia presenta Dio come Creatore di tutte le cose. Egli forma la persona umana simile a sé. La invita a lavorare la terra e a custodire il giardino dell’Eden nel quale l’ha posta. (Vedi narrazione nel capo 2 della Genesi). Al primo uomo e alla prima donna Dio dà il compito di sottomettere la terra e di dominare gli altri esseri viventi. Ma il dominio della persona umana sugli altri esseri viventi non deve essere quello di un tiranno prepotente. Al contrario le persone umane devono coltivare e custo- dire i beni creati da Dio. (Vedi Gen. 2). Uomini e donne non hanno creato questi beni, ma li hanno ricevuti come doni preziosi di Dio. Egli li ha affidati alla loro responsabilità. Coltivare la terra significa non abbandonarla a se stessa. Esercitare dominio su di essa significa averne cura, come un governante si prende cura della sua gente, come un pastore ha cura del suo gregge. Dio, nel suo progetto, ha voluto che le cose da lui create – frutto della sua bontà – siano a vantaggio della persona umana. Il poeta che ha scritto le preghiere che noi chiamiamo “salmi”, esclama con stupore davanti alla grandezza che Dio ha dato alla persona umana: “Che cosa è mai la persona umana? Che cosa ha di così grande per far sì che Tu lo abbia nella tua mente e te ne prenda cura? L’hai fatto di poco inferiore agli angeli, lo hai incoronato di gloria e di onore. Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, hai posto tutto sotto il suo dominio” (Salmo 8). 188 Il lavoro non è punizione né castigo - Il peccato fu il desiderio di avere il dominio assoluto di ogni cosa - La colpa non cambia il progetto di Dio. (256) Il lavoro è la condizione normale dell’uomo. Non è né punizione né maledi- zione. Nel racconto della Bibbia si parla infatti del lavoro umano prima che si parli del primo peccato umano. Esso diventa fatica e pena a causa della colpa di Adamo e di Eva, che interrompono il loro rapporto di fiducia e di amicizia armoniosa con Dio. La proibizione fatta loro da Dio di mangiare i frutti “dell’albero della conoscenza del bene e del male” (Vedi Genesi 2,17) ricorda alla persona umana che essa ha ri- cevuto tutto da Dio come un dono. Ricorda che essa continua ad essere una crea- tura, non il Creatore. Proprio questa tentazione che la Bibbia ricorda con le parole messe in bocca al serpente: “diventerete simili a Dio”, ha provocato il peccato di Adamo e di Eva (Vedi Genesi 3). Essi vollero avere il dominio assoluto di tutte le cose, ribellandosi alla volontà del Creatore. Da allora la terra si fa avara, ingrata, sordamente nemica. Solo con il sudore della fronte sarà possibile trarne fuori il cibo. Il progetto di Dio rimane però intatto, nonostante la ribellione delle prime creature umane. Il com- pito grande della persona umana, chiamata a coltivare e a custodire le creature di Dio, rimane inalterato. Il lavoro va onorato, non idolatrato - Dio, non il lavoro, è il fine della vita umana - L’esigenza di giustizia viene prima dell’esigenza del guadagno. (257) Il lavoro deve essere onorato perché, come dice la Bibbia nel libro dei Pro- verbi, “mani pigre fanno impoverire, mani laboriose fanno arricchire”. Il lavoro procura condizioni decorose di vita, è strumento valido contro la povertà. Ma non si deve fare del lavoro un idolo, cioè di farne lo scopo della vita. È Dio, non il lavoro, la fonte e il fine della vita umana. Chi è veramente sapiente ha come principio fondamentale il timore di Dio. Se Dio è il fine della vita umana, l’esigenza della giustizia deve venire prima dell’esigenza del guadagno. Lo afferma la Bibbia ancora nel libro dei Proverbi: “Avere poco ma rispettare il Signore è meglio che possedere molte ricchezze ma non aver pace” (15,16). “Meglio poco, ma onestamente, che molto, ma ingiusta- mente” (16,8). Il riposo del sabato è comandato da Dio - È un tempo di ricordo e di ringra- ziamento - È un baluardo contro la schiavitù del lavoro - È possibilità di par- tecipare al culto di Dio. (258) Il punto più alto di ciò che insegna la Bibbia sul lavoro è il comandamento del riposo nel giorno di sabato. Alla persona umana obbligata a lavorare dalle ne- 189 cessità della vita, il giorno settimanale di riposo fa alzare la testa verso la libertà piena, quella che ci attende nella casa di Dio oltre la vita. Il riposo dà alle persone umane la possibilità di ricordare e rivivere le grandi opere di Dio: dalla Creazione alla Redenzione realizzata da Gesù. Dà il tempo e la possibilità di riconoscere se stessi come opera di Dio, di ringraziarlo della vita che ci ha dato, dell’esistenza che ci dà. Il riposo del sabato è un baluardo contro la tentazione di diventare schiavi del lavoro voluto da noi o dai nostri padroni, contro ogni forma di sfruttamento aperta o camuffata. Il riposo del sabato è stato voluto da Dio perché è possibilità di partecipare al culto di Dio, è difesa del povero, è protezione contro ogni forma di degenerazione antisociale del lavoro. Il riposo sabbatico, leggiamo nel libro biblico dell’Esodo, poteva durare un anno intero. Era un esproprio dei frutti della terra a favore dei poveri e una soppressione dei diritti di proprietà dei padroni della terra: “Per sei anni coltiverai la tua terra e ne raccoglierai i frutti. Ma nel settimo anno non la lavorerai e la lascerai incolta. Quel che vi crescerà, lo mangeranno i poveri del tuo popolo e quel che rimane sarà divorato dalle bestie selvatiche. Devi fare lo stesso per le tua vigna e per il tuo oliveto” (23,10). Questa usanza nasceva da un’intui- zione profonda: l’accumulazione delle proprietà da parte di alcuni, può diventare una sottrazione (un furto) nei riguardo di altri. B. GESÙ L’UOMO DEL LAVORO Gesù insegna ad apprezzare il lavoro - Condanna il servo poltrone - Afferma: “L’operaio ha diritto al suo salario”. (259) Gesù, nella sua predicazione, insegna ad apprezzare il lavoro. Ma prima ancora di cominciare a predicare, “diventato simile a noi in tutto, dedicò la maggior parte degli anni della sua vita sulla terra al lavoro manuale, nella bottega di Giu- seppe a cui stava sottomesso, presso un banco di carpentiere” (Giovanni Paolo II). Gesù condanna il comportamento del servo poltrone, che va a nascondere sotto terra il talento ricevuto dal padrone (Vangelo di Luca 2). Loda invece il servo fidato e prudente che il padrone, arrivando, trova intento a svolgere bene i suoi compiti (Vangelo di Matteo 24). Egli descrive la sua missione in questo mondo usando la parola “operare”. Dice: “Il Padre mio opera senza interruzione, e così faccio anch’io” (Vangelo di Giovanni 5). Descrive i suoi discepoli come “operai che lavo- rano nel campo a raccogliere la messe del Signore” (Vangelo di Matteo 9). Questo campo è l’umanità da evangelizzare. Per questi operai vale la norma generale che “l’operaio ha diritto al suo salario” (Vangelo di Luca 10). Essi possono giustamente abitare nelle case in cui sono 190 accolti, e mangiare e bere quello che viene loro offerto (Vangelo di Luca 10). Gesù insegna a non diventare servi del lavoro - I tesori della terra si consumano, quelli del cielo sono perenni - Il lavoro non deve preoccupare. (260) Nella sua predicazione Gesù insegna alle persone umane a non diventare servi, schiavi del lavoro. Devono preoccuparsi prima di tutto della loro anima. Lo scopo della loro vita non è guadagnare tutto il mondo (Marco 8). Infatti, i tesori della terra si consumano, mentre quelli del cielo sono perenni. In questi devono mettere la loro mente e il loro cuore (Matteo 6). Il lavoro non deve dare affanno. La persona umana, se si lascia preoccupare e agitare da tante cose, rischia di non cercare il Regno di Dio e la sua giustizia (Matteo 6). Di questo la persona umana ha veramente bisogno. Tutto il resto, com- preso il lavoro, trova il suo posto, il suo senso, il suo valore solo se si realizza il Regno di Dio e si compie la giustizia voluta da lui. Gesù lavora - Insegna che il sabato si deve dedicare a Dio e agli altri - Il lavoro permette di fare festa, pregu- stando il Sabato eterno di Dio. (261) Durante la sua missione terrena, Gesù lavora instancabilmente. Compie opere potenti per liberare le persone umane dalla malattia, dalla sofferenza e dalla morte. L’Antico Testamento aveva indicato il sabato come il giorno della liberazione. Ma esso veniva osservato solo in maniera formale, e veniva quindi svuotato del suo vero significato. Gesù sottolinea il suo vero significato: “Il sabato è stato fatto per l’uomo, e non l’uomo per il sabato!” (Marco 2). Egli compie guarigioni in quel giorno di riposo. Con questi gesti di misericordia compiuti nel sabato, Egli proclama che il sabato è suo, e vuole che questo giorno non sia dedicato al lavoro, ma a Dio e agli altri. Liberare dal male, manifestare la propria fraternità e condividere i propri beni è dare al sabato (e al lavoro che l’ha preceduto) il significato più alto. Il sabato infatti deve permettere alle persone umane di pensare e di incamminarsi verso il Sabato eterno, che celebreremo nella Casa del Padre. Il giorno di riposo diventa così anche giorno di festa, quella festa alla quale tende ogni cuore umano. Il lavoro che precede il sabato, e che con i suoi frutti permette di fare festa, permette quindi alle creature umane di orientarsi, di tendere verso quella festa senza fine che sarà il Sabato eterno di Dio. L’attività umana arricchisce e trasforma l’universo - L’universo non è un frutto del caos, ma un insieme ordinato e armonico - Il lavoro umano si trasforma in servizio a Dio. (262) L’attività umana arricchisce e trasforma l’universo. Essa può e deve far emergere le meraviglie nascoste nel creato. Il Vangelo di Giovanni (capo 1,3) 191 afferma che queste meraviglie sono state create da Dio per mezzo del Verbo, cioè del suo Figlio (...). L’universo non è quindi un ammasso frutto del caos, ma un ‘cosmo’, cioè un insieme ordinato e armonico. Le persone umane devono scoprire il suo ordine, assecondarlo e portarlo alla perfezione (...). Il lavoro umano si trasforma in servizio alla grandezza di Dio quando mette in luce, con una progressione crescente, le “infinite ricchezze di Cristo” presenti nella creazione. Il lavoro è una componente fondamentale della vita - È mezzo per diventare veri Cristiani - È manifestazione della piena umanità. (263) Il lavoro è una componente fondamentale della vita umana. La persona che lavora partecipa non solo all’opera divina della creazione, ma anche alla reden- zione operata da Gesù. Chi porta la stancante fatica del lavoro in unione con Gesù, coopera con Lui alla sua opera che redime il mondo, cioè che lo salva dal male. Chi lavora in unione con Lui si fa suo discepolo, portando la Croce ogni giorno nell’attività che deve compiere. Il lavoro, pensato e realizzato così, è un mezzo per diventare santi, cioè veri Cristiani.È pure un mezzo per dare un’anima, uno spirito cristiano alle realtà terrene. Pensato e realizzato così, il lavoro diventa manifestazione della piena umanità della persona umana, che vive nella storia ma è orientata verso la Patria divina che verrà. La sua azione libera e responsabile testimonia la sua intima relazione con Dio Creatore, di cui compie l’opera sulla terra. Ogni giorno combatte contro il peccato che cerca di sfigurare l’opera di Dio, e si guadagna il pane con il sudore della fronte. C. IL DOVERE DI LAVORARE Non siamo esonerati dal lavoro - Nessuno deve vivere a spese degli altri - Vivere il lavoro con gli stessi atteggiamenti di Gesù. (264) Anche se siamo consapevoli della brevità della vita, non siamo esonerati dai nostri impegni nella vita di ogni giorno, tanto meno dal lavoro. Esso è una com- ponente fondamentale della vita umana, pur non essendo lo scopo della vita. Nessun cristiano, per il fatto di appartenere a una comunità fraterna e soli- dale, deve sentirsi in diritto di non lavorare e di vivere a spese degli altri. Ce lo ricorda l’apostolo Paolo nelle sue Lettere ai Tessalonicesi. Egli continua: tutti devono farsi “un punto d’onore” nel “lavorare con le proprie mani in maniera da non aver bisogno di nessuno”, e tutti devono essere solidali anche materialmente, condividendo i frutti del proprio lavoro con “chi si trova in necessità”. 192 San Giacomo, nella sua Lettera che nella Bibbia viene subito dopo le Lettere di Paolo, difende i diritti dei lavoratori sfruttati: “Voi non avete pagato gli operai che mietono nei vostri campi: questa paga rubata ora grida al cielo, e le proteste dei vo- stri contadini sono arrivate fino agli orecchi di Dio, il Signore onnipotente” (capo 5). I credenti devono vivere il loro lavoro con gli stessi atteggiamenti di Gesù, e renderlo una testimonianza cristiana di fronte a chi non crede. I Padri della Chiesa consideravano il lavoro come “un’attività umana” - Me- diante il lavoro, la persona umana governa il mondo - Il Cristiano è chiamato a lavorare anche per aiutare le persone più povere. (265) I pagani che vivevano al tempo di Gesù, consideravano il lavoro come “un’attività degli schiavi”. I primi grandi scrittori cristiani chiamati Padri della Chiesa, invece, lo consideravano “un’attività umana”, e onoravano il lavoro in ogni sua espressione. La persona umana, mediante il lavoro, governa il mondo insieme con Dio, insieme a Lui ne è il signore (cioè il padrone), e compie cose buone per sé e per gli altri. L’ozio fa male alla persona umana, l’attività invece fa bene al suo corpo e al suo spirito. Il Cristiano è chiamato a lavorare non solo per procurarsi il pane, ma anche per aiutare le persone più povere. Il Signore comanda di dare ad esse da mangiare, da bere, da vestire, di dar loro accoglienza, cura e assistenza (Vangelo di Matteo 25). Sant’Ambrogio afferma che ogni lavoratore è la mano di Gesù che continua a creare e a fare del bene. Il lavoro rende più bello il creato - Suscita energie sociali e comunitarie - Si trasforma in preghiera. (266) Con il suo lavoro e la sua laboriosità, la persona umana partecipa alla saggezza e all’arte divina: rende più bello il creato, il cosmo già originato dal Padre. Suscita inoltre quelle energie sociali e comunitarie che alimentano il bene comune soprattutto a vantaggio dei più bisognosi. Il lavoro umano, vissuto cristianamente e con occhio attento alla carità, diventa occasione di contemplazione, si trasforma in preghiera, in dominio forte degli istinti, in serena speranza del giorno senza tramonto. (...) II. Il Papa come profeta, parla nella Rerum novarum La storia umana è un cammino tra conquiste e sfruttamenti - La “rivoluzione industriale” porta profondi cambiamenti al lavoro - Nella “rivoluzione indu- 193 striale” c’è il buco nero dello sfruttamento - Papa Leone XIII indica le linee di soluzione. (267) La storia umana è un cammino continuo verso il progresso. Essa ha visto esaltanti conquiste del lavoro, ma anche sfruttamento di tanti lavoratori e offese verso la loro dignità. Il periodo che scorre dalla fine del 1700 ai giorni nostri, e che vede la nascita e lo sviluppo delle fabbriche, viene chiamata “rivoluzione in- dustriale”. In questo periodo la Chiesa ha visto la situazione tragica dei lavoratori, e il Papa e i Vescovi sono tornati ad essere Profeti che parlano a nome di Dio. Per difendere la persona umana che lavora, hanno affermato con forza le verità e i diritti che devono essere rispettati in ogni tempo e in ogni luogo. Nei secoli pre- cedenti, l’umanità ricavava i mezzi della sua sussistenza dal lavoro agricolo. La sua vita era segnata dal ritmo regolare delle stagioni e degli anni. Il Magistero della Chiesa (= il Papa e i Vescovi) portavano il Vangelo a questa grande società agricola. Con il nascere e il progredire della Rivoluzione Industriale, il Vangelo doveva essere annunciato a una gente che cambiava rapidamente. Essa viveva in un ambiente tumultuoso, segnata da eventi nuovi (lotte sociali, emigra- zioni, guerre...). La vita umana veniva trasformata dalla tecnica in maniera che mai prima si era pensato. Il popolo di Dio guidato dai suoi pastori (cioè la Chiesa) dovette affrontare il grande e urgente problema della questione operaia, cioè lo sfruttamento dei lavoratori. Questo sfruttamento era la conse- guenza della organizzazione del lavoro inventata dal capitalismo. Inoltre le gravi ingiustizie esistenti nel mondo del lavoro venivano usate dal comunismo e dal socialismo come uno strumento per portare alla rivoluzione. Questo era un se- condo problema che la Chiesa doveva affrontare. Davanti a questi due gravi problemi, papa Leone XIII fu il profeta che diede al popolo di Dio le verità e le riflessioni contenute nella sua lettera-enciclica “Rerum Novarum”. (I Papi scri- vono i loro grandi pronunciamenti in lettere scritte in latino, chiamate Encicliche. Esse prendono come titolo le prime due parole latine con cui iniziano. Le prime due parole della Enciclica di Leone XIII sono “Rerum novarum”, e così l’Enci- clica di Leone XIII fu chiamata e si chiama ancora). La RN è un’appassionata difesa della dignità dei lavoratori - Le iniziative che cercarono di dare un volto cristiano alla società - Una notevole spinta al miglioramento del mondo del lavoro. (268) La Rerum Novarum è prima di tutto un’appassionata difesa della dignità dei lavoratori. A questa dignità dei lavoratori il Papa collega: – l’importanza del diritto alla proprietà privata, – l’importanza della collaborazione tra le varie classi, – l’importanza dei diritti dei deboli e dei poveri, – l’importanza dei doveri dei lavoratori e dei datori di lavoro, – l’importanza del diritto di associazione. 194 Gli orientamenti indicati dal Papa diedero forza alle iniziative che cercavano di dare un volto cristiano alla vita sociale. Nacquero e si rafforzarono così nume- rose iniziative di grande valore civile: – unione e centri di studi sociali, – associazioni, società operaie, – sindacati, cooperative, – banche rurali, assicurazioni, – opere di assistenza. Tutto questo diede una notevole spinta: – alle leggi riguardanti il lavoro, per la protezione degli operai e specialmente delle donne e dei fanciulli, – all’istruzione, – al miglioramento dei salari e dell’igiene (dei luoghi di lavoro). A partire dalla RN, il popolo cristiano approfondisce i problemi del lavoro - Giovanni Paolo II invita a considerare il lavoro “attività della persona” - Il la- voro condiziona lo sviluppo della famiglia e della società. (269) A partire dalla Rerum Novarum, il popolo cristiano con i suoi pastori (= la Chiesa) non ha mai cessato di approfondire e affrontare i problemi del lavoro umano. La “questione sociale”, intanto, si è estesa ad ogni popolo e ad ogni na- zione. Il papa Giovanni Paolo II, nella sua Enciclica “Laborem exercens”, spinge la riflessione cristiana a considerare sempre più il lavoro non solo come un oggetto, ma come “attività della persona umana”. Afferma che è necessario riflet- tere in profondità sui significati e sui doveri che emergono nella nostra mente quando consideriamo il lavoro come “attività della persona umana”. Dice: “Sor- gono sempre nuovi interrogativi e problemi, nascono sempre nuove speranze, ma anche timori e minacce connesse con questa fondamentale dimensione dell’umano esistere, con la quale la vita dell’uomo è costruita ogni giorno, dalla quale essa at- tinge la propria specifica dignità, ma nella quale è contemporaneamente contenuta la costante misura dell’umana fatica, della sofferenza e anche del danno e dell’in- giustizia che penetrano profondamente la vita sociale, all’interno delle singole Na- zioni e sul piano internazionale”. III. LA DIGNITÀ DEL LAVORO UMANO A. IL LAVORO PUÒ ESSERE VISTO COME “OGGETTIVO” E COME “SOGGETTIVO” Il lavoro può essere considerato come un oggetto - Il lavoro deve essere consi- derato specialmente come attività umana - La distinzione tra lavoro oggettivo e lavoro soggettivo è fondamentale. 195 (270) Il lavoro può essere considerato come un oggetto (= lavoro oggettivo). In questo caso per lavoro intendiamo l’insieme delle attività, risorse, strumenti e tecniche di cui la persona umana si serve per produrre, per “dominare la terra” (per usare l’espressione del primo libro della Bibbia). Tutto questo viene chiamato “la dimensione oggettiva del lavoro”. Ma il lavoro deve essere considerato special- mente come l’attività della persona umana (= lavoro soggettivo). La persona umana infatti è un essere dinamico, capace di compiere azioni varie che insieme formano il lavoro. Tutto questo viene chiamato “la dimensione soggettiva del lavoro”. Queste diverse attività fanno parte della “vocazione” data da Dio alla persona umana. Scrive il papa Giovanni Paolo II: “L’uomo deve soggiogare la terra, la deve dominare, perché come ‘immagine di Dio’ è una persona, cioè un essere soggettivo capace di agire in modo programmato e razionale, capace di deci- dere di sé e tendente a realizzare se stesso. Come persona, l’uomo è quindi soggetto del lavoro”. Il lavoro come oggetto (= dimensione oggettiva del lavoro) varia continuamente. I modi di lavorare dipendono infatti dalle condizioni della tecnica, della cultura, della società, della politica. Il lavoro come attività della persona (= dimensione soggettiva del lavoro) ha un valore stabile. Il suo valore infatti non dipende dall’attività in cui la persona umana è impegnata, né dai risultati che raggiunge. Dipende solo ed esclusivamente dal fatto che chi lavora è una persona, cioè un essere dotato di dignità. La distinzione tra lavoro oggettivo e lavoro sog- gettivo è fondamentale per comprendere il valore e la dignità del lavoro umano. I sistemi economici e sociali devono essere organizzati rispettando la dignità della persona e i suoi diritti. Il lavoro umano ha una dignità particolare - Il materia- lismo e l’economicismo riducono il lavoro a strumento di produzione - La dimensione soggettiva del lavoro deve prevalere su quella oggettiva. (271) Il lavoro, come attività della persona umana, ha una dignità particolare: questa dignità impedisce che venga considerato come una semplice merce o uno dei tanti elementi dell’organizzazione produttiva. Indipendentemente dal suo maggiore o minore valore oggettivo, il lavoro è un’attività della persona umana. Il materia- lismo (che considera la persona come pura materia organizzata) e l’economi- cismo (che considera come unici valori quelli dell’economia: produrre, vendere, guadagnare), presenti nella società attuale in forme più o meno visibili, tentano di ri- durre il lavoratore a uno dei tanti strumenti della produzione, a semplice forza-la- voro, con valore soltanto materiale. Questi modi di pensare snaturano profonda- mente il lavoro umano, lo privano del suo aspetto più nobile e profondamente umano. La persona è la misura della dignità del lavoro. Afferma Giovanni Paolo II: “Non c’è infatti alcun dubbio che il lavoro umano abbia un suo valore etico, il quale senza mezzi termini e direttamente rimane legato al fatto che colui che lo compie è una persona”. La dimensione soggettiva del lavoro deve prevalere su quella ogget- tiva. È una persona umana quella che lavora. Questo fatto determina il valore più alto del lavoro. Se manca questa convinzione, se non si vuole riconoscere questa 196 dignità, il lavoro perde il suo significato più vero e profondo. Quando questo si verifica (e si verifica purtroppo molte volte e in molti luoghi), l’attività lavorativa e le stesse tecniche utilizzate diventano più importanti della persona umana stessa. Da alleate si trasformano in nemiche della sua dignità. Il lavoro ha come fine la persona umana - Il lavoro è per la persona, e non la persona per il lavoro. (272) Il lavoro non solo è attività della persona, ma ha come fine la persona umana. Qualunque sia l’oggetto del lavoro umano, il suo fine dev’essere il bene del soggetto che lo compie. Non può certo essere ignorato l’oggetto che il lavoro deve produrre, ma questo oggetto deve servire al bene della persona. Si può quindi affermare con verità che il lavoro è per la persona, e non la persona per il la- voro. Papa Giovanni Paolo II afferma ancora: “Lo scopo del lavoro, di qualunque lavoro eseguito dall’uomo – fosse pure il lavoro più ‘di servizio’, più monotono nella scala del comune modo di valutazione, addirittura più emarginante – rimane sempre l’uomo stesso”. Il lavoro ha come fine anche il bene della società umana - Occorre tenere presente il valore sociale del lavoro. (273) Il lavoro ha come fine anche il bene della società umana. Il lavoro di una persona umana, infatti, si intreccia naturalmente con quello di altre persone. “Oggi più che mai – afferma Giovanni Paolo II – lavorare è un “lavorare con gli altri e per gli altri: è un fare qualcosa per qualcuno”. Anche i frutti del lavoro danno occa- sione di scambi, di relazioni, di incontri. Per avere una giusta idea del valore del lavoro, occorre quindi tenere conto del suo valore sociale: “poiché se non sussiste un corpo veramente sociale e organico, se un ordine sociale e giuridico non tutela l’esercizio del lavoro, se le varie parti le une dipendenti dalle altre, non si collegano fra di loro e mutuamente non si compiono, se, quel che è di più, non si associano quasi a formare una cosa sola, l’intelligenza, il capitale, il lavoro, l’umana attività non può produrre i suoi frutti, e quindi non si potrà valutare giustamente né retri- buire adeguatamente, dove non si tenga conto della sua natura sociale e indivi- duale” (Papa Pio XI, Quadragesimo anno).Il lavoro è un dovere della persona umana - Il lavoro è un obbligo morale verso il prossimo - Noi siamo i costrut- tori del futuro umano. (274) Il lavoro è anche “un obbligo cioè un dovere dell’uomo” (Giovanni Paolo II). La persona umana deve lavorare sia perché il Creatore glie l’ha ordinato, sia perché ogni persona ha esigenza di mantenersi e di svilupparsi. Il lavoro è quindi un obbligo morale verso il prossimo, che è in primo luogo la propria famiglia, e poi anche la società a cui si appartiene, la Nazione di cui si è cittadini, l’intera fa- miglia umana di cui facciamo parte. Noi siamo eredi del lavoro delle generazioni che ci hanno preceduto, e insieme siamo costruttori del futuro di tutte le persone che vivranno dopo di noi. Il lavoro ci rende simili al Dio Creatore – La persona umana non è “il padrone dell’universo”. 197 (275) Il lavoro ci rende simili a Dio Creatore, ci fa creature fatte a sua immagine e somiglianza. Scrive Giovanni Paolo II: “Diventando – mediante il lavoro – sempre più padrone della terra, e confermando – ancora mediante il lavoro – il suo dominio sul mondo visibile, l’uomo, in ogni caso ed in ogni fase di questo pro- cesso, rimane sulla linea di quell’originaria disposizione del Creatore, la quale resta necessariamente e indissolubilmente legata al fatto che l’uomo è stato creato, come maschio e femmina, ‘a immagine di Dio’”. Questo fatto dà al lavoro umano una qualità fondamentale: nell’universo l’uomo non è il padrone, ma colui al quale l’universo è stato affidato. È colui che con il proprio lavoro deve lasciare nelle cose l’impronta del Creatore, di cui è l’immagine. B. I RAPPORTI TRA LAVORO E CAPITALE Il lavoro è superiore al capitale - Con la parola “capitale”, si indicano diverse realtà - Occorre riflettere sui rapporti tra lavoro e capitale. (276) Il lavoro, come attività di una persona, è superiore ad ogni elemento di produzione. Questo vale specialmente nei riguardi del capitale. Oggi, con la pa- rola “capitale”, si indicano diverse realtà. Talvolta indica i mezzi materiali di produzione nell’impresa. Altre volte indica le somme di denaro impegnate in una iniziativa produttiva o in operazioni nei mercati borsistici. Si parla anche (in modo non del tutto appropriato) di “capitale umano”, per indicare le “risorse umane”, cioè le persone umane stesse in quanto capaci di sforzo lavorativo, di conoscenza, di creatività, di intuizioni nel campo del lavoro, di intesa reciproca in quanto membri di un’organizzazione. Si parla di “capitale sociale” quando si indica lo sforzo di collaborazione di un insieme di persone che investono insieme con fi- ducia reciproca. Questa molteplicità di significati ci invita a riflettere su cosa può significare, oggi, il rapporto tra lavoro e capitale. Priorità del lavoro sul capi- tale e necessità di collaborazione - Tra lavoro e capitale ci deve essere comple- mentarità - Ci sono stati tempi in cui lavoro e capitale erano due classi sociali. (277) La dottrina sociale della Chiesa ha approfondito i rapporti tra lavoro e capitale, e ha messo in evidenza sia la priorità del lavoro sul capitale, sia la ne- cessaria collaborazione di entrambi (= complementarità). Il lavoro ha una natu- rale priorità sul capitale. “Questo principio riguarda direttamente il processo stesso di produzione, in rapporto al quale il lavoro è sempre una causa efficiente primaria, mentre il “capitale”, essendo l’insieme dei mezzi di produzione, rimane solo uno strumento o la causa strumentale. Questo principio è verità evidente, che risulta da tutta l’esperienza storica dell’uomo”. Esso “appartiene al patrimonio stabile della dottrina della Chiesa” (Giovanni Paolo II). Tra lavoro e capitale ci deve essere complementarità: è lo stesso processo produttivo a dimostrare – la necessità della loro reciproca compenetrazione, 198 – l’urgenza di dare vita a sistemi economici nei quali la lotta tra lavoro e capitale venga superata. Ci sono stati tempi in cui, all’interno di un sistema meno complesso di quello di oggi, il “capitale” e il “lavoro salariato” non erano solo due fattori produttivi, ma due classi sociali. La Chiesa affermava che entrambi erano legittimi: “né il capitale può stare senza il lavoro, né il lavoro senza capitale” (Leone XIII). È una verità che vale anche oggi, perché “è del tutto falso ascrivere o al solo capitale o al solo la- voro ciò che si ottiene con l’opera unita dell’uno e dell’altro; ed è del tutto ingiusto che l’uno arroghi a sé quel che si fa, negando l’efficacia dell’altro” (Pio XI). Nei rapporti tra lavoro e capitale, la risorsa principale è la persona - Il mondo del lavoro sta scoprendo il valore del “capitale umano” - Oggi la dimensione sog- gettiva del lavoro prevale su quella oggettiva. (278) Nei rapporti tra lavoro e capitale (soprattutto di fronte alle imponenti trasformazioni dei nostri tempi) si deve ritenere che la “risorsa principale”, “il fattore decisivo” in mano alla persona umana è la persona stessa. “L’integrale sviluppo della persona umana nel lavoro non contraddice, ma piuttosto favorisce la maggiore produttività ed efficacia del lavoro stesso” (Giovanni Paolo II). Il mondo del lavoro, infatti, sta scoprendo sempre più il valore del “capitale umano” costituito: – dalle conoscenze dei lavoratori, – dalla loro disponibilità a tessere relazioni, – dalle creatività, – dall’imprenditorialità di se stessi, – dalla capacità di affrontare consapevolmente il nuovo, di lavorare insieme, di raggiungere obiettivi comuni. Si tratta di qualità prettamente personali, che appartengono più alla persona umana che agli aspetti tecnici, operativi del lavoro stesso. Per tutto questo è necessaria una prospettiva nuova nei rapporti tra lavoro e capitale. Contrariamente a quanto accadeva nella vecchia organizzazione del lavoro, in cui il lavoratore finiva per diventare servo della macchina, oggi la dimensione soggettiva del lavoro tende ad essere più decisiva ed importante della dimensione oggettiva. Il rapporto tra lavoro e capitale diventa spesso conflitto - Ieri il conflitto nasceva dal voler dare ai lavoratori il salario minimo - Oggi il conflitto ha aspetti nuovi. (279) Il rapporto tra lavoro e capitale diventa spesso conflitto, che assume ca- ratteri nuovi con il mutare delle prospettive sociali ed economiche. Ieri, il conflitto tra capitale e lavoro era originato soprattutto “dal fatto che i lavoratori mette- vano tutte le loro forze a disposizione del gruppo degli imprenditori, e che questo, guidato dal principio del massimo profitto della produzione, cercava di stabilire il 199 salario più basso possibile degli operai” (Giovanni Paolo II). Attualmente, il con- flitto presenta aspetti nuovi e, forse, più preoccupanti. I progressi scientifici e tecnologici e la mondializzazione dei mercati (di per sé fonte di sviluppo e di pro- gresso) espongono i lavoratori al rischio di essere sfruttati dagli ingranaggi dell’e- conomia e dalla ricerca sfrenata di produttività. Non è superata l’alienazione sul lavoro e nel lavoro - Esistono nuove forme sottili di lavoro sfruttato - Anche nei nuovi lavori possono esserci elementi alienanti. (280) È sbagliato ritenere che il superamento della dipendenza del lavoro dalla materia sia capace di per sé di superare l’alienazione (= la perdita della pro- pria personalità) sul lavoro e nel lavoro. Ancora persistono tante sacche di non lavoro, di lavoro nero, di lavoro minorile, di lavoro sottopagato, di lavoro sfruttato. Ma occorre pensare anche alle nuove forme, molto più sottili, di sfruttamento dei nuovi lavori: – il super-lavoro, – il lavoro-carriera che talvolta ruba spazio a dimensioni umane necessarie alla persona, – l’eccessiva flessibilità del lavoro che rende precaria e a volte impossibile la vita familiare, – la modularità lavorativa che rischia di avere pesanti ripercussioni sulla propria esistenza e sulla stabilità della famiglia. La persona umana è alienata (= perde la propria personalità) quando la pro- duzione è considerata più importante della persona. Ma anche nei nuovi lavori immateriali, leggeri, qualitativi più che quantitativi, ci possono essere elementi di alienazione “a secondo che cresca... il suo isolamento in un complesso di relazioni di esasperata competitività e di reciproca estraniazione” (Giovanni Paolo II). C. IL LAVORO, MOTIVO VALIDO DI PARTECIPAZIONE Il rapporto tra lavoro e capitale porta anche alla partecipazione - Il lavoro è motivo valido di partecipazione - È indispensabile trovare modi di partecipa- zione. (281) Il rapporto tra lavoro e capitale si esprime anche attraverso la parteci- pazione dei lavoratori alla proprietà, alla gestione dell’azienda, ai suoi frutti. Questa è un’esigenza troppo spesso trascurata. Occorre invece valorizzarla al mas- simo. “Ognuno, in base al proprio lavoro, abbia il pieno titolo di considerarsi al tempo stesso ‘com-proprietario’ del grande banco di lavoro, al quale s’impegna in- sieme con tutti. E una via verso tale traguardo potrebbe essere quella di associare, per quanto è possibile, il lavoro alla proprietà del capitale e di dar vita a una ricca gamma di corpi intermedi a finalità economiche, sociali, culturali: corpi che go- dano di un’effettiva autonomia nei confronti dei pubblici poteri, che perseguano i 200 loro specifici obiettivi in rapporti di leale collaborazione vicendevole, subordinata- mente alle esigenze del bene comune, e che presentino forma e sostanza di una viva comunità, cioè che in essi i rispettivi membri siano considerati e trattati come persone e stimolati a prendere parte attiva alla loro vita” (Giovani Paolo II). Nella nuova organizzazione del lavoro, il sapere conta più della sola proprietà dei mezzi di produzione. Quindi il lavoro, espressione della personalità del lavoratore, è motivo valido di partecipazione. È indispensabile puntare su questo stato delle cose per valutare la giusta posizione del lavoro nel processo produttivo, e per tro- vare modi di partecipazione in sintonia con la soggettività del lavoro nelle situa- zioni concrete. D. RAPPORTO TRA LAVORO E PROPRIETÀ PRIVATA La Chiesa espone quale deve essere il rapporto tra lavoro e capitale - “I beni sono per il benessere di tutti” è il primo principio - Quando il possesso dei mezzi di produzione diventa illegittimo. (282) La Chiesa, nel suo insegnamento sociale, espone anche quale deve essere il rapporto tra capitale e lavoro nei riguardi della proprietà privata, del suo uso e dei suoi diritti. Il diritto alla proprietà privata è preceduto dal principio che i beni sono per il benessere di tutti. La proprietà privata non deve costituire un impedi- mento al lavoro e allo sviluppo degli altri. La proprietà, che si acquista anzitutto mediante il lavoro, deve servire al lavoro. Questo vale specialmente per il possesso dei mezzi di produzione. Ma vale anche per i beni del mondo finanziario, del mondo tecnico, intellettuale, personale. I mezzi di produzione “non possono es- sere posseduti contro il lavoro, non possono essere posseduti per possedere” (Giovanni Paolo II). Il loro possesso diventa illegittimo quando la proprietà “non viene valorizzata o serve ad impedire il lavoro di altri, per ottenerne un guadagno che non nasce dall’espansione globale del lavoro e della ricchezza sociale, ma piut- tosto dalla loro compressione, dall’illecito sfruttamento, dalla speculazione e dalla rottura della solidarietà nel mondo del lavoro” (Giovanni Paolo II). Il sistema eco- nomico deve essere organizzato al servizio della persona - Le nuove cono- scenze e le nuove tecnologie sono nuove “proprietà” - Esse non devono allar- gare il fossato tra sviluppo e sottosviluppo. (283) La proprietà privata e pubblica, e i vari meccanismi del sistema econo- mico devono essere organizzati per un’economia al servizio della persona umana. Devono contribuire ad attuare il principio della “destinazione universale dei beni”. In questa prospettiva diventa importante il problema della proprietà e dell’uso delle nuove tecnologie e delle nuove conoscenze. Esse costituiscono, nel nostro tempo, un’altra forma di proprietà privata, non meno importante della proprietà della terra e del capitale. Queste risorse, come tutti gli altri beni, hanno una “destinazione universale”. Anch’esse devono essere inserite in un in- 201 sieme di norme giuridiche e sociali che garantiscano il loro uso secondo giustizia e nel rispetto dei diritti della persona umana. Le nuove scoperte e le nuove tecno- logie, per le loro enormi potenzialità, possono dare un contributo decisivo al pro- gresso sociale. Se però rimangono accentrate nei Paesi più ricchi o nelle mani di ri- stretti gruppi di potere, rischiano di causare disoccupazione e di allargare il fossato tra zone sviluppate e zone di sottosviluppo. E. IL RIPOSO FESTIVO Il riposo festivo è un diritto - La domenica è il giorno del Signore - Le legittime dispense non devono far male. (284) Il riposo festivo è un diritto. La Bibbia afferma che Dio “cessò nel settimo giorno da ogni lavoro”. Anche le persone umane, create a Sua immagine, devono godere di sufficiente riposo e tempo libero che permetta loro di curare la vita fami- liare, culturale, sociale e religiosa. A ciò contribuisce l’istituzione della domenica, il giorno del Signore. I credenti, durante la domenica e negli altri giorni festivi “di precetto”, devono astenersi da “lavori o attività che impediscano il culto dovuto a Dio, la letizia propria del giorno del Signore, la pratica delle opere di misericordia e la necessaria distensione della mente e del corpo” (Catechismo della Chiesa Catto- lica). Necessità familiari o esigenze di utilità sociale possono legittimamente dis- pensare dal riposo domenicale, ma non devono diventare abitudini che fanno male alla vita di famiglia, alla vita religiosa e alla salute. Le autorità pubbliche devono garantire il tempo festivo - I cristiani devono volere leggi che riconoscano la domenica - Ogni cristiano deve rispettare negli altri le esigenze della festa. (285) La domenica è un giorno da santificare con una carità operosa. Occorre riservare attenzione alla famiglia e ai parenti, come anche ai malati, agli infermi, agli anziani. Non si devono dimenticare quei “fratelli che hanno i medesimi bisogni e i medesimi diritti e non possono riposarsi a causa della povertà e della miseria” (Catechismo della Chiesa Cattolica). (286) Le autorità pubbliche hanno il dovere di vigilare affinché ai cittadini non sia sottratto, per motivi di produttività economica, un tempo destinato al ri- poso e al culto divino. I datori di lavoro hanno lo stesso obbligo nei confronti dei loro dipendenti. I cristiani si devono adoperare perché le leggi riconoscano le domeniche e le altre solennità cristiane come giorni festivi, nel rispetto della libertà religiosa e del bene di tutti. “Spetta a loro offrire a tutti un esempio pub- blico di preghiera, di rispetto e di gioia. Spetta a loro difendere la loro tradi- zioni come un prezioso contributo alla vita spirituale della società umana” (Catechismo della Chiesa Cattolica). Ogni cristiano dovrà “evitare di imporre, senza necessità, ad altri ciò che impedirebbe loro di osservare il giorno del Si- gnore” (Catechismo della C.C.). 202 IV. IL DIRITTO AL LAVORO A. IL LAVORO È NECESSARIO Il lavoro è un diritto fondamentale e un bene per la persona umana - La Chiesa insegna il valore del lavoro anche perché è necessario - La disoccupa- zione è una vera calamità sociale. (287) Il lavoro è un diritto fondamentale e un bene per la persona umana. È un bene utile, degno della persona umana, perché è adatto ad esprimere e ad accre- scere la dignità umana. La Chiesa insegna il valore del lavoro anche perché è ne- cessario – per formare e mantenere una famiglia, – per aver diritto alla proprietà, – per contribuire al bene comune della famiglia umana. Le conseguenze morali che la questione del lavoro porta nella vita sociale spinge la Chiesa a indicare la disoccupazione come una vera calamità sociale, soprattutto per le generazioni giovani. Il lavoro è un bene per tutti - Ogni si- stema economico deve ricercare la piena occupazione - Chi orienta la politica economica ha gravi responsabilità. (288) Il lavoro è un bene per tutti. Deve essere disponibile per tutti coloro che ne sono capaci. La “piena occupazione” si deve quindi ricercare in ogni sistema economico che vuole essere orientato alla giustizia e al bene comune. Non può considerarsi giusta e costruttrice di pace sociale una società – nella quale il diritto dal lavoro è vanificato o sistematicamente negato, – nella quale la politica economica non permette ai lavoratori di raggiungere li- velli soddisfacenti di occupazione. Le persone e le istituzioni che orientano a livello nazionale o internazionale la politica del lavoro e dell’economia (chiamate “datore indiretto di lavoro”) hanno ruoli importanti e gravi responsabilità. Come si può giudicare una società - Forti ostacoli nella realizzazione umana - Il dramma dei disoccupati e dei sot- toccupati. (289) Una società si può giudicare “orientata verso il bene” e “proiettata verso il futuro” nella misura in cui offre soprattutto prospettive di lavoro. Forti ostacoli sulla strada della realizzazione umana e professionale (soprat- tutto dei giovani) sono: – l’alto tasso di disoccupazione, – i sistemi di istruzione superati, – la difficoltà nell’accedere alla formazione e al mercato del lavoro 203 Il disoccupato e il sottoccupato subiscono profonde conseguenze negative nella loro persona. Rischiano di essere posti ai margini della società, di diventare vit- time dell’esclusione sociale. Questo è un dramma che colpisce in genere giovani e donne, lavoratori meno specializzati, disabili, immigrati, ex-carcerati, analfabeti, e tutti quelli che trovano maggior difficoltà nella ricerca di un lavoro. Mantenere l’occupazione dipende sempre più dalle capacità professionali - La necessità di cambiare impiego esige riqualificazione - L’itinerario lavorativo esige nuove forme di sostegno. (290) Mantenere l’occupazione dipende sempre più dalle capacità professio- nali del lavoratore. Il sistema di istruzione non deve quindi trascurare la forma- zione umana e tecnica, necessaria per svolgere con profitto le mansioni richieste. La sempre più diffusa necessità, nell’arco della vita, di cambiare varie volte impiego, impone al sistema educativo di favorire un aggiornamento e una riqualifi- cazione permanenti. I giovani devono diventare capaci di assumersi con respon- sabilità il compito di affrontare i rischi legati ad un contesto economico mobile e spesso imprevedibile. È altrettanto indispensabile l’offerta di opportune occasioni formative agli adulti in cerca di riqualificazione, e ai disoccupati. In generale l’itinerario lavorativo delle persone deve trovare nuove forme con- crete di sostegno, nuove possibilità di formazione, così che sia meno difficile at- traversare fasi di cambiamento, di incertezza, di precarietà. B. IL RUOLO DELLO STATO E DELLA SOCIETÀ CIVILE NELLA PROMOZIONE DEL DIRITTO AL LAVORO Lo Stato è chiamato in causa dai problemi dell’occupazione - Deve sollecitare la creazione di opportunità di lavoro - Deve assecondare l’attività delle imprese. (291) I problemi dell’occupazione chiamano in causa le responsabilità dello Stato. Ad esso compete il dovere di promuovere politiche positive del lavoro. Esse devono sollecitare la creazione di opportunità lavorative all’interno del terri- torio nazionale favorendo il mondo produttivo. Il dovere dello Stato non con- siste tanto nell’assicurare direttamente il diritto al lavoro di tutti i cittadini, mortificando così la libera iniziativa. Consiste piuttosto nell’“assecondare l’at- tività delle imprese, creando condizioni che assicurino occasioni di lavoro, stimo- landola ove essa risulti insufficiente o sostenendola nei momenti di crisi” (Gio- vanni Paolo II). Il mercato del lavoro ha raggiunto dimensioni planetarie - Dar vita a trattati, accordi, che salvaguardino il diritto al lavoro - Le organizzazioni sinda- cali hanno compiti importanti. (292) Il mercato del lavoro e le relazioni economico-finanziarie hanno rapida- mente raggiunto dimensioni planetarie. Questo fenomeno esige che gli Stati pro- muovano una efficace collaborazione internazionale. Si deve dar vita a trattati, 204 accordi, piani di azione comune che salvaguardino il diritto al lavoro a livello nazionale e internazionale anche nei momenti più critici. Occorre essere consape- voli che il lavoro umano è un diritto, e che da esso dipendono la giustizia so- ciale e la pace civile. Le organizzazioni sindacali e le organizzazioni internazio- nali hanno compiti importanti in questo campo. Esse devono collegare la loro azione, e impegnarsi a tessere “una trama sempre più fitta di disposizioni giuri- diche che proteggono il lavoro degli uomini, delle donne, dei giovani, e gli assicu- rano una conveniente retribuzione” (Papa Paolo VI). È importante che esista “li- bertà di auto-organizzazione” - Numerose iniziative hanno già realizzato forme di partecipazione - Esse sono attente all’istruzione, alla salute, ai servizi sociali. (293) Oggi, come ai tempi della “Rerum Novarum”, è importane che esista nella società “libertà di auto-organizzazione”. Esempi significativi di auto- organizzazione sono le numerose iniziative che già hanno realizzato forme di par- tecipazione, di cooperazione e di autogestione. Esse testimoniano la fusione di energie solidali, a livello imprenditoriale e sociale. Esse si pongono sul mercato come un ventaglio di attività lavorative che hanno un’attenzione particolare alla maniera in cui vengono prodotti i beni ed erogati i servizi. Esse sono attente all’istruzione del lavoratore, alla tutela della sua salute, ai servizi sociali di base, alla cultura. Le iniziative di quello che viene chiamato “terzo settore” for- mano un fenomeno sempre più rilevante nello sviluppo del lavoro e dell’economia. C. LA FAMIGLIA E IL DIRITTO AL LAVORO Il lavoro è il fondamento su cui si forma la vita familiare - Famiglia e lavoro sono strettamente interdipendenti - La politiche del lavoro devono favorire il nucleo familiare. (294) Il lavoro è “il fondamento sul quale si forma la vita familiare. Essa è un diritto naturale e una vocazione dell’uomo” (Giovanni Paolo II). Il lavoro assicura i mezzi di sussistenza, e garantisce l’educazione dei figli. La famiglia e il lavoro, nella vita della grande maggioranza delle persone, sono strettamente interdipendenti. Ed è finalmente ora che venga loro data una consi- derazione maggiore, che tenga conto della realtà che li vede uniti insieme. Occorre che si smetta di considerare la famiglia come “un fatto privato”, e il lavoro come “un fatto economico”. È necessario che le imprese, le organizzazioni professionali, i sindacati e lo Stato si rendano promotori di politiche del lavoro che non penalizzino, ma fa- voriscano il nucleo familiare dal punto di vista occupazionale. Infatti la vita fa- miliare e il lavoro si condizionano a vicenda: 205 – il pendolarismo, il doppio lavoro, la fatica fisica e psicologica riducono il tempo dedicato alla vita familiare; – le situazioni di disoccupazione hanno ripercussioni materiali e spirituali sulle famiglie; – le tensioni e le crisi familiari influiscono negativamente sugli atteggiamenti e sul rendimento in campo lavorativo. D. LAVORO MINORILE Il lavoro minorile è una violenza - Il contributo del lavoro dei bambini al bilancio familiare - La Chiesa denuncia l’aumento dello sfruttamento dei minori. (296) Il lavoro minorile assume forme intollerabili, e costituisce un tipo di vio- lenza meno appariscente di altre, ma non per questo meno terribile. Questa violenza, al di là di tutte le implicazioni politiche, economiche e giuridiche, è prima di tutto un problema morale. Già papa Leone XIII scriveva: “Quanto ai fanciulli, si badi a non ammetterli nelle officine prima che l’età ne abbia sufficientemente svi- luppate le forze fisiche, intellettuali e morali. Le forze, che nella puerizia sbocciano simili all’erba in fiore, un movimento precoce le sciupa, e allora si rende impossi- bile la stessa educazione dei fanciulli” (Rerum Novarum). Siamo tutti consapevoli che, almeno per ora, in certi Paesi il contribuito portato dal lavoro dei bambini al bilancio familiare e alle economie nazionali è irrinunciabile, e che alcune forme di lavoro svolte a tempo parziale, possono essere fruttuose per i bambini stessi. Ma la Chiesa denuncia l’aumento dello “sfrutta- mento lavorativo dei minori in condizioni di vera schiavitù” (Giovanni Paolo II). Tale sfruttamento costituisce una grave violazione alla dignità umana di cui ogni individuo è dotato “per piccolo o apparentemente insignificante che sia in ter- mini di utilità” (Giovanni Paolo II). E. L’EMIGRAZIONE E IL LAVORO L’immigrazione può essere una risorsa per lo sviluppo - L’arrivo dei migranti è spesso percepito come una minaccia. Ma essi rispondono a una domanda di lavoro. (297) L’immigrazione può essere non un ostacolo ma una risorsa per lo svi- luppo. Nel mondo si aggrava lo squilibrio tra Paesi ricchi e Paesi poveri. Lo svi- luppo delle comunicazioni riduce rapidamente le distanze e favorisce le migra- zioni di persone in cerca di condizioni migliori di vita. Esse vengono dalle zone meno favorite della terra. Il loro arrivo nei Paesi sviluppati è spesso percepito come una minaccia da chi, dopo decenni di crescita economica, ha raggiunto 206 elevati livelli di benessere. Ma gli immigrati, nella maggioranza dei casi, rispondono a una domanda di lavoro che senza di loro rimarrebbe senza risposta. Essi si inseriscono in settori e in territori dove la manodopera locale è insufficiente, o non è disposta a fornire il proprio lavoro. Non si devono sfruttare gli stranieri - È indispensabile regolamentare i flussi migratori - Va incorag- giato il diritto delle famiglie a ricongiungersi - Si deve favorire il lavoro degli stranieri nel loro Paese d’origine. (298) Le istituzioni dei Paesi ospiti devono vigilare con attenzione. Non si deve verificare lo sfruttamento degli stranieri. I diritti dei lavoratori devono essere assicurati a tutti senza distinzione, sia alla manodopera nazione che a quella straniera, una condizione indispensabile perché gli inserimenti avvengano con rispetto della dignità dovuta alla persona umana, è la regolamentazione dei flussi migratori. Essa deve essere fatta con giustizia ed equilibrio. Gli immi- grati devono essere accolti come persone. Con le loro famiglie devono essere aiu- tati a integrarsi nella vita sociale. Quindi va rispettato e incoraggiato il diritto delle famiglie a ricongiungersi. Nei limiti del possibile si devono favorire le condizioni che rendono possibile il lavoro di queste persone nei loro Paesi di origine. F. IL MONDO AGRICOLO E IL DIRITTO AL LAVORO Il lavoro agricolo ha importanza crescente - Si deve superare la tendenza a considerarlo un “residuo” del passato - Occorrono politiche agricole e ambien- tali efficienti. (299) Il lavoro agricolo merita una particolare attenzione. Nei sistemi economici di molti Paesi esso ha un posto importante nella vita sociale, culturale ed economica. Ha una importanza crescente nella salvaguardia dell’ambiente naturale, e deve af- frontare problemi numerosi nell’economia sempre più globalizzata. “Sono dunque necessari cambiamenti radicali e urgenti per ridare all’agricoltura – e agli uomini dei campi– il giusto valore coma base di una sana economia, nell’insieme dello sviluppo della comunità sociale” (Giovanni Paolo II). Profondi e radicali mutamenti sociali e culturali stanno avvenendo nell’agricoltura e nel mondo rurale. Politiche agri- cole e ambientali efficienti devono vincere la tendenza a considerare il mondo agri- colo come un “residuo” di un mondo sorpassato, degno solo di un atteggiamento as- sistenziale. Si tratta invece di elaborare prospettive per un’agricoltura moderna, in grado di avere un ruolo significativo nella vita sociale ed economica. In alcuni Paesi è indispensabile la riforma agraria - Il latifondo improduttivo è ostacolo grave allo sviluppo economico - La riforma agraria è un obbligo morale. (300) In alcuni Paesi è indispensabile la riforma agraria, con una ridistribu- zione della terra. Questo aiuterà a superare la situazione di latifondo impro- duttivo, condannato dalla Dottrina Sociale della Chiesa. 207 Il latifondo improduttivo è un ostacolo grave allo sviluppo economico. “I Paesi in via di sviluppo possono contrastare efficacemente l’attuale processo di concen- trazione della proprietà della terra se affrontano alcune situazioni che si connotano come veri e propri nodi strutturali. Tali sono le carenze e i ritardi a livello legisla- tivo in tema di riconoscimento del titolo di proprietà della terra e in relazione al mercato del credito; il disinteresse per la ricerca e la formazione in agricoltura; la negligenza a proposito di servizi sociali e di infrastrutture nelle aree rurali” (Ponti- ficio Consiglio della Giustizia e della Pace). La riforma agraria non è quindi soltanto una necessità economica, ma un obbligo morale. Se non si fa la riforma agraria, vengono ostacolati in questi Paesi i benefici portati dall’apertura dei mercati, e vengono annullate le occasioni di crescita ottenute dalla globalizzazione. V. I DIRITTI DEI LAVORATORI A. DIGNITÀ DEI LAVORATORI E RISPETTO DEI LORO DIRITTI I diritti del lavoratore sono fondati sulla sua dignità superiore - Elenco di alcuni di questi diritti - Questi diritti sono spesso violati, fino a condizioni disumane. (301) I diritti del lavoratore, come tutti i diritti umani, sono fondati sulla natura della persona umana e sulla sua dignità superiore. Il Papa e i Vescovi, come maestri di vita cristiana e umana (= Magistero della Chiesa) hanno elencato alcuni di questi diritti, desiderando che essi vengano riconosciuti dalle leggi di tutte le Nazioni: – diritto a un giusto salario, – diritto al riposo, – diritto “ad ambienti di lavoro ed a processi produttivi che non rechino pregiu- dizio alla sanità fisica dei lavoratori e non ledano la loro integrità morale” (Giovanni Paolo II), – diritto che la personalità del lavoratore sia rispettata sul luogo di lavoro, “senza essere violata in alcun modo nella propria coscienza o nella propria dignità” (Giovanni Paolo II), – diritto dei lavoratori disoccupati e delle loro famiglie a una sovvenzione indi- spensabile per la sussistenza, – diritto alla pensione, – diritto all’assicurazione per la vecchiaia, la malattia, gi incidenti collegati al lavoro, – diritto a provvedimenti sociali durante la maternità, – diritto di riunione e di associazione. 208 Questi diritti vengono spesso violati. È diffuso il triste fenomeno del lavoro sotto- pagato, privo di sicurezza, del lavoratore che non ha rappresentanti dei suoi diritti. Spesso accade che le condizioni di lavoro per uomini, donne e bambini (spe- cialmente nei Paesi in via di sviluppo) siano talmente disumane da offendere la loro dignità e da rovinare la loro salute. B. IL DIRITTO ALLA GIUSTA RICOMPENSA E ALLA DISTRIBUZIONE DEL REDDITO Il mezzo più importante perché ci sia giustizia sul lavoro è la ricompensa - La ricompensa deve garantire dignitosamente la vita al lavoratore e ai suoi - Perché la ricompensa sia giusta non basta un semplice accordo. (302) Il mezzo più importante per realizzare la giustizia sul lavoro è la ricom- pensa. Il “giusto salario è il frutto legittimo del lavoro” (Catechismo della Chiesa Cattolica). Chi lo rifiuta, o non lo dà puntualmente, o non lo dà in giusta propor- zione al lavoro svolto, commette un’ingiustizia grave. Il salario è il mezzo che permette al lavoratore di disporre dei beni della terra. “Il lavoro va ricompensato in misura tale da garantire all’uomo la possibilità di disporre dignitosamente la vita materiale, sociale, culturale e spirituale sua e dei suoi, in relazione ai compiti e al rendimento di ognuno, alle condizioni dell’azienda e al bene comune” (Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes 67). Per giudicare “giusta” la ricompensa del lavoro non basta il semplice accordo tra il lavoratore e il datore di lavoro. La ricompensa concordata “non deve essere inferiore al sostentamento” (Rerum Novarum) del lavoratore: la giustizia naturale viene prima ed è superiore alla libertà del contratto. Il benessere non si misura dai beni prodotti, ma anche dal modo in cui ven- gono prodotti - Una giusta distribuzione del reddito deve basarsi sulla giustizia sociale. (303) Il benessere economico di un Paese non si misura solo dalla quantità di beni prodotti. Occorre tenere anche conto del modo in cui essi vengono prodotti e del grado di giustizia nella distribuzione del reddito. Essa dovrebbe consentire a tutti di avere a disposizione ciò che serve allo sviluppo e al perfezionamento della propria persona. Una giusta distribuzione del reddito deve essere basata non solo sulla giustizia commutativa, ma anche sulla giustizia sociale. Oltre al valore oggettivo delle prestazioni lavorative, quindi, si deve prendere in considera- zione la dignità umana delle persone che le compiono. Un benessere economico autentico si raggiunge anche attraverso efficaci politiche di ridistribuzione del red- dito. Esse devono tener conto delle condizioni generali, e considerare concreta- mente i meriti e i bisogni di ogni cittadino. 209 C. IL DIRITTO ALLO SCIOPERO La dottrina sociale cristiana riconosce legittimo lo sciopero - Lo sciopero è una delle conquiste più travagliate dei sindacati - Lo sciopero deve essere un mezzo di lotta pacifico. (304) La dottrina sociale cristiana riconosce legittimo lo sciopero, “quando appare lo strumento inevitabile, o quanto meno necessario, in vista di un vantaggio proporzionato” (Catechismo della Chiesa Cattolica), dopo che tutti gli altri modi di superare i conflitti di lavoro si sono rivelati inefficaci. Lo sciopero è una delle conquiste più travagliate dei sindacati. Può essere defi- nito: il rifiuto definitivo e concordato dei lavoratori di svolgere la loro opera. Lo scopo dello sciopero è: ottenere migliori condizioni di lavoro e miglioramenti nella condizione sociale dei lavoratori mediante questa pressione sul datore di lavoro, sullo Stato e sull’opinione pubblica. Lo sciopero assume l’aspetto di un ultimatum (Giovanni Paolo II). Tuttavia deve essere un mezzo di rivendicazione e di lotta per i propri diritti sempre pacifico. Esso diventa “moralmente inaccettabile allorché è accompagnato da vio- lenze oppure gli si assegnano obiettivi non direttamente connessi con le condizioni di lavoro o in contrasto con il bene comune”(Catechismo della Chiesa Cattolica). VI. SOLIDARIETÀ TRA I LAVORATORI A. L’IMPORTANZA DEI SINDACATI La Chiesa riconosce il ruolo fondamentale dei sindacati - I sindacati sono un elemento indispensabile alla vita sociale - Il riconoscimento dei diritti dei lavoratori rimane un problema difficile. (305) Il Magistero della Chiesa (= il Papa e i Vescovi) riconosce il ruolo fonda- mentale dei sindacati dei lavoratori. Essi hanno diritto di esistere perché i lavora- tori hanno diritto a formare associazioni che difendano i loro interessi vitali. I sin- dacati “sono cresciuti sulla base della lotta dei lavoratori, del mondo del lavoro e, prima di tutto, dei lavoratori industriali, per la tutela dei loro giusti diritti nei con- fronti degli imprenditori e dei proprietari dei mezzi di produzione” (Giovanni Paolo II). Le organizzazioni sindacali realizzano il loro scopo servendo il bene comune. Partecipano alla costruzione dell’ordine sociale e della solidarietà, e sono quindi un elemento indispensabile alla vita sociale. Il riconoscimento dei di- ritti del lavoro è da sempre un problema di difficile soluzione. Si deve risolvere, infatti, dentro condizioni storiche, politiche ed economiche diverse e complesse. Ancora oggi questo problema non è del tutto risolto. Ciò rende attuale e necessaria la solidarietà tra i lavoratori. 210 I rapporti tra capitale e lavoro devono essere di collaborazione - I sindacati sono i protagonisti della lotta per la giustizia sociale - Il sindacato è anzitutto strumento di solidarietà e giustizia. (306) La dottrina sociale della Chiesa insegna che, nel mondo del lavoro, i rap- porti tra lavoratori e datori di lavoro devono essere di collaborazione. L’odio e le lotte per l’eliminazione di una parte sono metodi inaccettabili. Nel processo di produ- zione, infatti, sono indispensabili sia il lavoro sia il capitale. Alla luce di questa realtà, la dottrina sociale “non ritiene che i sindacati costituiscano solamente il riflesso della struttura di classe della società, e che siano l’esponente della lotta di classe, che ine- vitabilmente governa la vita sociale” (Giovanni Paolo II). I sindacati sono i protago- nisti della lotta per la giustizia sociale, per i diritti delle persone che lavorano ognuna nella sua professione. “Questa ‘lotta’ deve essere vista come un normale ado- perarsi ‘per’ il giusto bene; ...non è una lotta ‘contro’ gli altri” (Giovanni Paolo II). Il sindacato è anzitutto strumento di solidarietà e di giustizia. Non può quindi abusare degli strumenti di lotta. Par la sua natura deve – evitare la tentazione del corporativismo; – sapersi autoregolamentare; – valutare le conseguenze delle proprie scelte rispetto al bene comune. Il sindacato ha compiti difensivi e rivendicativi - Ha pure quello di educare la coscienza sociale dei lavoratori - I sindacati non sono partiti politici. (307) Il sindacato ha compiti difensivi e rivendicativi. Ma ha pure lo scopo di collaborare a organizzare il giusto ordine nella vita economica, e di educare la coscienza sociale dei lavoratori. I lavoratori devono sentirsi parte attiva dello sviluppo economico e sociale e nella costruzione del bene comune. Ognuno deve contribuirvi secondo le sue capacità e le sue attitudini. Il sindacato e le altre associazioni di lavoratori, devono collaborare con le altre parti sociali e devono interessarsi alla gestione dello Stato. Le organizzazioni sindacali hanno il dovere di influire sul potere politico, per sensi- bilizzarlo ai problemi del lavoro e per impegnarlo alla realizzazione dei diritti dei la- voratori. Tuttavia i sindacati non sono “partiti politici” che lottano per avere in mano la direzione dello Stato. Non devono neppure essere sottoposti alle decisioni dei partiti politici o avere con loro legami troppo stretti: “in una tale situazione essi perdono facilmente il contatto con ciò che è il loro compito specifico, che è quello di assicurare i giusti diritti degli uomini del lavoro nel quadro del bene comune dell’in- tera società, e diventano, invece, uno strumento per altri scopi” (Giovanni Paolo II). B. NUOVE FORME DI SOLIDRIETÀ La globalizzazione spinge i sindacati a rinnovarsi - Occorre ampliare l’azione 211 di solidarietà - Bisogna riscoprire il valore soggettivo del lavoro. (308) La globalizzazione economico-finanziaria sempre più rapida, spinge i sindacati a rinnovarsi. Devono agire in forme nuove. Occorre ampliare l’azione di solidarietà in modo che siano tutelati non solo i lavoratori tradizionali, ma anche: – i lavoratori con contratti atipici o a tempo indeterminato, – i lavoratori minacciati di disoccupazione dalle fusioni delle imprese a livello nazionale e internazionale, – i disoccupati, gli immigrati, i lavoratori stagionali, – coloro che, per mancanza di aggiornamento professionale, sono stati allonta- nati dal mondo del lavoro, e non vi possono far ritorno senza riqualificazione. Di fronte ai cambiamento avvenuti nel mondo del lavoro, si deve riscoprire il valore soggettivo del lavoro (= attività di una persona fornita di dignità superiore). Sarà così più facile riscoprire e rifondare, meglio che in passato, la solidarietà: “Bisogna continuare a interrogarsi circa il soggetto del lavoro e le con- dizioni in cui egli vive”. Per questo “sono necessari sempre nuovi movimenti di solidarietà degli uomini del lavoro e di solidarietà con gli uomini del lavoro” (Giovanni Paolo II). Le associazioni dei lavoratori assumano maggiori respon- sabilità - Influiscano sulla trasformazione delle condizioni sociali, politiche - Superare il modello attuale “salario-impresa”. (309) Progettando nuove forme di solidarietà, le associazioni dei lavoratori devono assumere sempre maggiori responsabilità. Devono influire non solo sui meccanismi tradizionali della ridistibuzione della ricchezza, ma anche sulla produzione della ricchezza stessa. Devono influire sulla trasformazione delle condizioni sociali, politiche e cultu- rali in maniera che esse rendano possibile la realizzazione del diritto al lavoro a tutti coloro che vogliono lavorare, nel rispetto della loro dignità. Occorre superare gradualmente il modello attuale basato sul binomio “sa- lario-grande impresa”. Questo porterà ad un aggiornamento delle norme e dei sistemi di sicurezza sociale dai quali i lavoratori sono stati finora protetti. In questo cambiamento dovranno essere salvaguardati i loro diritti fondamentali. VII. LE REALTÀ NUOVE DEL MONDO DEL LAVORO A. STIAMO VIVENDO UN’ETÀ DI PASSAGGIO EPOCALE L’organizzazione del lavoro sta vivendo la globalizzazione - La proprietà è lontana dalle conseguenze sociali delle sue decisioni - È necessario globalizzare i diritti fondamentali dei lavoratori. 212 (310) L’organizzazione del lavoro sta vivendo profondissimi cambiamenti. Uno dei cambiamenti fondamentali e stimolanti è la globalizzazione. Questo fenomeno permette di sperimentare nuove forme di produzione. Si possono dislocare in luoghi diversi gli impianti, i centri direzionali, i mercati di consumo. Le realtà che permettono questi cambiamenti sono due: – le comunicazioni divenute straordinariamente veloci, senza limiti di spazio e di tempo; – il trasporto delle persone e dei mezzi in ogni parte del mondo divenuto relati- vamente facile. Tutto questo ha una conseguenza fondamentale sulla produzione: la proprietà è sempre più lontana e indifferente alle conseguenze sociali delle sue decisioni. La globalizzazione in sé non è né buona né cattiva, ma diventa buona o cattiva dall’uso che se ne fa. È quindi necessario che la tutela dei lavoratori, i loro diritti essenziali, la giu- stizia siano anch’essi globalizzati, cioè estesi a tutto il mondo. La frammentazione - Le sue conseguenze notevoli sulla vita (311) Un’altra caratteristica molto importante della nuova organizzazione del lavoro è la frammentazione. Per avere la massima efficienza e il massimo risul- tato, il ciclo produttivo viene diviso in piccoli frammenti. Lo spazio e il tempo in cui si svolge il ciclo produttivo sono trasformati. E quindi la struttura stessa del lavoro cambia in maniera radicale. Tutto questo ha conseguenze notevoli sulla vita delle singole persone, delle fa- miglie, delle comunità umane. Esse vengono sottoposte a cambiamenti radicali sul piano materiale, culturale, umano. Milioni di persone sono coinvolte in questo fenomeno, a livello mondiale e a livello locale. Qualunque sia la loro professione, la loro condizione sociale, la preparazione culturale, non sfuggono a questo feno- meno. È in atto una seconda rivoluzione industriale che coinvolge tutti i settori pro- duttivi, in tutti i continenti, in tutti i gradi di sviluppo. Come la prima rivoluzione industriale (= la nascita della fabbrica, il sorgere della classe operaia) sta portando cambiamenti radicali nella vita dei lavoratori. E questo attraverso la riorganizza- zione e la regolazione del tempo, e con i cambiamenti nell’uso dello spazio. Questa seconda rivoluzione industriale è una sfida decisiva che chiama tutti (anche a livello etico e culturale) a un rinnovamento profondo nella tutela del lavoro, La situazione nuova esige maggior flessibilità - Occorre maggiore sensibilità morale, culturale, progettuale (312) La globalizzazione dell’economia si accompagna con la liberalizzazione dei mercati, con la concorrenza aperta, con la crescita di imprese specializzate nel fornire prodotti e servizi. Tutto questo richiede maggior flessibilità 213 – nel mercato del lavoro; – nell’organizzare e gestire i processi produttivi. Occorre maggiore sensibilità morale, culturale, progettuale – nel valutare questa delicata materia, – nell’orientare l’azione sociale e politica in questa economia e in questi mercati nuovi. Occorre pure tener presente che spesso è il cambiamento del lavoro a provocare il cambiamento del mercato del lavoro. I servizi e le attività informatiche crescono in maniera più rapida - Le innovazioni tecnologiche creano nuove professioni - Le forme nuove di lavoro sono più difficili da tutelare. (313) Nei Paesi più sviluppati il lavoro sta passando da un’economia che ha il suo centro nell’industria a un’economia che ha il suo centro nei servizi e nelle innovazioni tecnologiche. Sta accadendo infatti che i servizi e le attività infor- matiche crescono in maniera più rapida rispetto ai settori chiamati “primo” e “secondo” (= agricoltura e industria). Le conseguenze sono enormi – nell’organizzazione della produzione e degli scambi, – nell’attività dei lavoratori, – nei sistemi di protezione sociale. Sta pure accadendo che le innovazioni tecnologiche creano professioni nuove nel campo del lavoro, mentre altre professioni scompaiono. In questo periodo di trans- izione avviene un continuo passaggio di lavoratori dall’industria ai servizi. Quel mondo del lavoro caratterizzato dalla grande fabbrica e dalla classe operaia si rim- picciolisce, mentre cresce il numero di chi lavora nei settori dei servizi della per- sona, di chi fa lavori part-time, lavori interinali, lavori “atipici”. Queste ultime forme di lavoro non possono essere considerate né lavori dipendenti né lavori in- dipendenti. Sono quindi più difficili da tutelare nei loro diritti. Stiamo assistendo al passaggio tra due generi di lavoro - Occorre armonizzare la difesa dei lavo- ratori con le nuove esigenze - L’insicurezza e la precarietà investono anche i Paesi in via di sviluppo. (314) Questo periodo di transizione segna il passaggio tra due generi di lavoro. Dal lavoro dipendente con posto fisso a tempo indeterminato, a un lavoro com- posto da diverse attività lavorative. Si passa da un mondo di lavoro compatto, defi- nito e riconosciuto, a un insieme di lavori che costituiscono un mondo lavorativo variegato, fluido, ricco di promesse, ma anche carico di interrogativi preoccupanti. Il lavoratore si trova davanti a una crescente incertezza sulla sua occupazione, da- vanti a fenomeni di disoccupazione causati dalla stessa struttura del lavoro, davanti alla insufficienza degli attuali sistemi di sicurezza sociale. 214 Occorre armonizzare la difesa del lavoratore e dei suoi diritti con le esigenze della concorrenza, della continua innovazione tecnologica, della complessità dei finanziamenti. L’insicurezza e la precarietà non riguardano solo i lavoratori che vivono nel Paesi sviluppati. Investono anche i Paesi in via di sviluppo e sulla via del cambia- mento. Questi Paesi sono le zone economicamente non avanzate del nostro pianeta. Esse devono affrontare nello stesso tempo due diversi e gravi problemi: – il cambiamento dei modelli economici e produttivi; – le difficili esigenze della globalizzazione. Il mondo del lavoro di questi Paesi, investito dai vasti e radicali cambiamenti, è in una situazione drammatica. È infatti spesso privo di leggi, di tempi di for- mazione, di assistenza sociale. Si sta verificando il fenomeno del “decentramento produttivo” - Molte attività fino a ieri dipendenti, si realizzano in forme nuove - Tuttavia si moltiplicano i casi di trattamento ingiusto. (315) Molte attività fino a ieri concentrate nelle grandi aziende, sono svolte oggi da aziende più piccole. È il fenomeno del “decentramento produttivo”. Questo decentramento dà vigore e nuovo slancio alle imprese piccole e medie. Ac- canto all’artigianato tradizionale, emergono nuove imprese costituite da piccole unità produttive. Esse operano in attività che vengono decentrate dalle grandi aziende, e in settori moderni di produzione. Molte attività che ieri erano svolte da lavoratori dipendenti, oggi vengono realizzate in forme nuove. Queste aziende medio-piccole favoriscono il lavoro indipendente, e hanno un tasso più alto di responsabilità e di rischio. Il lavoro nelle aziende medie e piccole, il lavoro artigianale, il lavoro indipendente possono essere un’occasione per rendere più umano l’ambiente di lavoro. I lavoratori, in queste piccole comunità di lavoro, possono stabilire relazioni tra persone, possono avere più iniziativa, più partecipazione all’impresa. Tuttavia si moltiplicano i casi di trattamento ingiusto, di lavoro mal pagato, di occupazione non sicura in non pochi di questi settori. Nei Paesi in via di sviluppo si sviluppa il “lavoro sommerso” - Esso produce numerosi posti di lavoro in un’economia disordi- nata - Il reddito è sovente insufficiente alla sussistenza. (316) In questi ultimi tempi, nei Paesi in via di sviluppo, si è sviluppato il “lavoro sommerso”. Un elevato numero di persone, cioè, deve lavorare senza re- gole che tutelino la dignità dei lavoratori, e quindi in condizione di grande disagio. Queste attività creano numerosi posti di lavoro tra i lavoratori locali, privi di specializzazione, in uno sviluppo disordinato dell’economia. I livelli di produtti- 215 vità, di reddito e di tenore di vita sono estremamente bassi, sovente insufficienti a garantire il livello di sussistenza dei lavoratori e delle loro famiglie. B. LA DOTTRINA SOCIALE E LE REALTÀ NUOVE Di fronte alle realtà nuove, la dottrina sociale richiama 4 principi: – i cambiamenti non sono inevitabili, – l’arbitro è sempre la persona, – le realtà nuove devono aiutare la crescita della persona, – occorre riaffermare la “dimensione soggettiva” del lavoro. (317) Di fronte a queste realtà nuove, che dice la Chiesa? – Innanzitutto raccomanda di non considerare questi cambiamenti come “avve- nimenti necessari, inevitabili”. – L’arbitro e il fattore decisivo di questa fase di cambiamento è sempre la persona umana. Essa resta la vera protagonista del suo lavoro. – La persona umana deve gestire in modo creativo e responsabile le “realtà nuove”, in maniera che esse aiutino la crescita della persona, della famiglia, della società e della famiglia umana. – È illuminante per tutti il richiamo della Chiesa alla “dimensione soggettiva” del lavoro, che deve avere sempre la priorità. Il lavoro umano “proviene im- mediatamente da persone create ad immagine di Dio e chiamate a prolungare, le une CON e PER le altre, l’opera della creazione sottomettendo la terra” (Catechismo della Chiesa Cattolica). Le interpretazioni economicistiche sono già superate - Esse non capiscono i bisogni umani profondi - La persona umana segue un impulso che la spinge sempre “al di là”. (318) Oggi sono prevalenti le interpretazioni meccanicistiche ed economici- stiche della vita produttiva. Ma sono già superate dalle analisi scientifiche dei pro- blemi del lavoro. Queste interpretazioni sono assolutamente incapaci di interpretare i problemi del lavoro. Ogni giorno, oggi più di ieri, i fatti dimostrano che il lavoro serve all’umanità in quanto è un’attività libera e creativa della persona umana. Occorre superare senza indugio le dottrine teoriche e i criteri operativi che sono incapaci di riconoscere i bisogni umani concreti e pressanti. Essi si esten- dono ben al di là dei bisogni soltanto economici. La Chiesa sa, e da sempre in- segna, che la persona umana (diversamente dagli altri esseri viventi) ha bisogni che non si riducono all’AVERE. La sua natura e la sua vocazione tendono alle realtà trascendenti (= che non sono solo materia). La persona umana, col suo lavoro, si dedica alla trasformazione delle cose innanzitutto per soddisfare i suoi bisogni materiali. Ma lo fa seguendo un 216 impulso che la spinge sempre al di là dei risultati raggiunti, alla ricerca di ciò che può soddisfare le sue profonde e ineliminabili esigenze interiori. Il lavoro cambia, ma non le esigenze umane - Più profondi sono i cambia- menti, più deciso sarà l’impegno - Le istituzioni indichino le strade. (319) Nella storia umana, le forme in cui si esprime il lavoro cambiano, ma non cambiano le esigenze perenni della persona umana che lavora. Queste esigenze perenni si possono riassumere così: rispetto dei diritti umani. C’è il rischio che questi diritti umani siano negati. Quindi occorre costruire nuove forme di soli- darietà: i lavoratori sono interdipendenti tra loro. Quanto più profondi sono i cambiamenti, tanto più dev’essere decisivo l’impegno per tutelare la dignità del lavoro. Si devono rafforzare, con intelligenza e volontà, le istituzioni che riguardano il lavoro. Esse devono tracciare le strade percorrendo le quali si possano conciliare: – l’economia locale e quella globale, – l’economia “vecchia” e quella “nuova”, – l’innovazione tecnologica e la salvaguardia del lavoro umano, – la crescita economica e il rispetto dell’ambiente. Il compito degli scienziati e degli uomini di cultura - Il loro contributo molto importante per trovare soluzioni giuste - Il grave compito di interpretare i fenomeni sociali. (320) Gli scienziati e le persone di cultura sono chiamati a contribuire alla soluzione dei problemi del lavoro, difficili e in certe zone drammatici. Il loro con- tributo a trovare soluzioni giuste è molto importante. Essi devono mettere in evidenza le occasioni favorevoli e i rischi che sono presenti nei cambiamenti. Ma soprattutto devono suggerire le linee di azione da seguire perché il cambiamento avvenga nel modo più favorevole alla famiglia umana. Essi hanno il grave com- pito di interpretare i fenomeni sociali, con intelligenza e amore alla verità, senza cadere in interessi personali o di gruppo. Il loro contributo è un punto di rife- rimento essenziale per chi deve agire concretamente nelle politiche economiche. È urgente uno sviluppo globale e solidale - Gli squilibri vanno affrontati met- tendo al primo posto la persona. (321) Le attuali trasformazioni profonde del lavoro umano rendono urgente uno sviluppo globale e solidale che coinvolga tutte le zone del mondo, com- prese quelle meno favorite. Per le zone meno favorite, l’inizio di un vasto pro- cesso di sviluppo solidale non è solo la condizione per creare nuovi posti di lavoro, ma è la condizione perché interi popoli riescano a sopravvivere. “Occorre globaliz- zare la solidarietà” (Giovanni Paolo II). Nel mondo del lavoro ci sono squilibri 217 economici e sociali. Vanno affrontati mettendo al primo posto la dignità della persona umana che lavora, e ristabilendo la giusta gerarchia dei valori. Si devono considerare con attenzione le nuove situazioni - L’universalità è una propensione della persona, non delle cose - Gli aspetti negativi della globaliz- zazione non devono mortificare quelli positivi. (322) È necessario considerare con attenzione le nuove situazioni del lavoro nella globalizzazione. Occorre valorizzare la inclinazione naturale della persona umana a stabilire relazioni. L’universalità è una propensione della persona umana, non delle cose. La globalizzazione può avere come causa strumentale la tecnica, ma la sua causa ultima è l’universalità della famiglia umana. Anche il lavoro, quindi, ha una sua dimensione universale, perché fondato sulle relazioni umane. Le tecniche (specialmente quelle elettroniche) hanno esteso a tutto il pianeta le relazioni riguardanti il lavoro, e hanno impresso così alla globalizzazione un ritmo molto accelerato. Il fondamento ultimo di questo dinamismo è la persona che lavora: l’elemento sog- gettivo prevale sempre su quello oggettivo. Anche il lavoro globalizzato ha quindi la sua origine dall’essere opera della persona umana incline alle relazioni. Gli aspetti negativi della globalizzazione del lavoro non devono mortificare le sue qualità positive. Essa dà la possibilità di iniziare un umanesimo del lavoro a livello planetario, una solidarietà del lavoro a livello mondiale. Se lavora in un simile ambiente, vasto come il mondo ma solidale, la persona umana capisce sempre più la sua vocazione all’unità e alla solidarietà. 219 CONCLUSIONI Come detto nell’introduzione, questo volume nasce dall’esperienza e si propone come strumento per realizzare ulteriori esperienze. Si tratta di una proposta aperta a ulteriori sviluppi. Il proposito è divulgare suc- cessive edizioni di questo manuale, arricchite da nuovi materiali. Pertanto, l’invito che rivolgiamo ai lettori è di far pervenire alla Sede Nazionale del CNOS-FAP os- servazioni sui materiali qui riprodotti, ma soprattutto altri materiali che possano aiutarci ad arricchire questa raccolta. Ci auguriamo che la “bussola”, le schede di sintesi qui offerte e i documenti al- legati nel CD risultino utili per la pianificazione e l’attivazione di interventi educativi con gli allievi della formazione professionale, così che nei nostri Centri si possa continuare ad erogare una formazione integrale della persona. 221 INDICE PRESENTAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 INTRODUZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 Parte I PER ORIENTARSI TRA LE “BUONE PRATICHE” PREMESSA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 Capitolo 1 Progetti nell’area dell’Educazione alla Convivenza Civile: esperienze, riflessioni e suggerimenti operativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 1. Testimoni privilegiati ascoltati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 2. Fonti web utilizzate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 3. Mappa dei concetti e delle parole chiave . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 4. Schede dei progetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18 4.1. Strutturati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18 1) Accoglienza stranieri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18 2) Adotta un diritto umano umano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18 3) Caro amico ti scrivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 4) Diversamente: comunicare è conoscere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 5) Educare alla solidarietà - Scoprire il volontariato . . . . . . . . . . . . . . . . . 20 6) Educazione al senso civico e legale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20 7) Educazione alla cittadinanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20 8) Educazione alla cittadinanza. Progetto provinciale . . . . . . . . . . . . . . . . 21 9) Educazione alla pace . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 10) Educhiamoci alla legalità e alla solidarietà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22 11) I.M.I.G - Identità- Multiculturalità - Interdipendenza - Globalizzazione 22 12) L’Europa per noi europei, l’Europa per gli altri . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23 13) Manifestare la Pace . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23 14) Parole che uniscono, parole che dividono. Progetto di educazione alla legalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24 15) Prevenire i conflitti interculturali educando alla solidarietà . . . . . . . . . 24 16) Studenti e docenti in formazione. Percorsi di formazione per attivare politiche di partecipazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25 222 17) Tempo dell’educazione alla cooperazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25 18) Viaggio alla scoperta del Governo del mondo tra Istituzioni e cittadi- nanza attiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26 19) Vivere l’amicizia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26 20) Volontariato ed educazione alla solidarietà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 4.2. Altri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 21) Abbiamo riso per una cosa seria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 22) Berlino città della memoria e della cultura europea . . . . . . . . . . . . . . . 28 23) Cinque passi per un mondo più giusto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 24) Cultura dell’incontro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 25) E se scoppiasse la pace? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 26) Educazione interculturale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 27) Il progetto della Memoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30 28) Incontri. Percorso a schede sul dialogo interreligioso . . . . . . . . . . . . . 31 29) “Io ci sono stato” I giorni della memoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31 30) L’Islam in occidente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 31) Multilingue e Multiculture . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 32) Non di solo rito... Le religioni nei luoghi di socializzazione . . . . . . . . 33 33) Responsabilità di tutti... protagonismo dei giovani . . . . . . . . . . . . . . . 33 34) Roma-Auschiwitz. Mai più . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 Capitolo 2 Educazione professionale: esperienze, riflessioni e suggerimenti operativi . . . . 35 1. Testimoni privilegiati ascoltati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37 2. Fonti web utilizzate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37 3. Mappa dei concetti e delle parole chiave . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38 4. Schede dei progetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39 4.1. Strutturati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39 1) Alternanza scuola-lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39 2) Laboratorio d’impresa “White Eagles – Edizioni musicali S.p.A.” . Costruzione e gestione di un’impresa in ambiente protetto . . . . . . . . . . 39 3) Laboratorio dell’integrazione tra scuola e mondo del lavoro . . . . . . . . . 40 4) Simulimpresa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 5) Tutto il resto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 4.2. Altri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 6) Consumattori. Campo estivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 7) Evangelizzazione nella FP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 8) Guarda dove vai. Campo estivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42 9) Il lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42 10) Il tempo di vita e il tempo di lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 11) La disoccupazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 12) Scuola al gusto di Yogurt . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44 223 Capitolo 3 Progetti nell’area dell’Educazione religiosa: esperienze, riflessioni e suggerimenti operativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45 1. Testimoni privilegiati ascoltati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47 2. Fonti utilizzate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47 3. Mappa dei concetti e delle parole chiave . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48 4. Schede dei progetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 4.1. Strutturati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 1) I personaggi famosi dell’Antico e del Nuovo Testamento . . . . . . . . . . . 49 2) In ascolto dei giovani nei loro ambienti di vita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 3) L’uomo secondo il cristianesimo. Pace, solidarietà e mondialità . . . . . . 50 4) Progetto educativo dell’Istituto “Massimiliano Massimo” . . . . . . . . . . . 50 5) Progetto scolastico dell’IRC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50 6) Tutti i prezzi della nostra vita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51 7) Vero... su bianco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51 4.2. Altri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52 8) CFP: luoghi d’incontro fra culture diverse. Quale proposta di fede? . . . 52 9) Dispensa di cultura religiosa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52 10) Gli adolescenti chi sono? Cosa vogliono? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53 11) Il creato nelle mani dell’uomo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53 12) La legge: libertà nella prospettiva dell’altro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54 13) La storia delle origini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54 14) Un esempio di vita cristiana - Perché la sofferenza . . . . . . . . . . . . . . . 54 15) Una festa speciale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 Capitolo 4 Progetti nell’area dell’Educazione Salesiana: esperienze, riflessioni e suggerimenti operativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57 1. Testimoni privilegiati ascoltati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59 2. Fonti web utilizzate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60 3. Mappa dei concetti e delle parole chiave . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60 4. Schede dei progetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61 4.1. Strutturati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61 1) Progetto Educativo-Pastorale Salesiano (PEPS) . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61 2) Una comunità a colori. Percorsi d’integrazione dei minori stranieri . . . . 61 4.2. Altri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62 3) Amatevi come io vi amo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62 4) Drug Stop . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62 224 5) In-Tessuti di Vita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63 6) Io sono il Signore Dio tuo e non avrai altro Dio fuori di me . . . . . . . . . 63 7) Progetto della comunità formatrice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63 8) Progetto della Comunità Salesiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64 9) Sentirsi a casa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64 10) Un possibile itinerario per lo sviluppo della proposta per giovani/ragazzi 65 Parte II I CRISTIANI E IL LAVORO PREMESSA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69 1. Fonti web utilizzate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69 2. Mappa dei concetti e delle parole chiave . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70 Capitolo 1 L’Europa tra il 400 e il 500. Le devastanti invasioni barbariche e la luminosa figura di San Benedetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71 1. Nel 167 i popoli germani varcano il Danubio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71 2. Roma saccheggiata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72 Capitolo 2 L’Europa e l’Italia tra il 1500 e il 1600. Dalle corporazioni alla grave crisi del 1500 e 1600 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77 Capitolo 3 La Rivoluzione industriale e il prezzo umano del benessere . . . . . . . . . . . . . . . . 101 1. Cominciano ad esistere la “fabbrica” e gli “operai” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101 2. Il costo umano del benessere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102 3. L’agonia dei fanciulli torturati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102 Capitolo 4 Il pensiero dei Papi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 175 1. Leone XIII. Il Papa della Rerum Novarum . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 176 1.1. Rerum Novarum . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 176 1.2. Sette encicliche e un libro sviluppano il messaggio di Leone XIII . . . . . . . 178 225 2. Giovanni Paolo II. Il Papa che fu operaio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 178 2.1. A imparare l’italiano dai ragazzini di Roma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 179 2.2. Papa Giovanni Paolo II . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 180 2.3. Sette orizzonti per l’umanità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 180 3. Benedetto XVI. Guardiamo ai Santi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 182 3.1. Il Catechismo della Chiesa Cattolica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 183 3.2. Il punto sulla Dottrina Sociale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 184 APPENDICE - Dal Compendio Dottrina Sociale della Chiesa . . . . . . . . . . . . . . . . . 187 CONCLUSIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 219 INDICE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 221 227 Pubblicazioni 2002-2008 nella collana del CNOS-FAP e del CIOFS/FP “STUDI, PROGETTI, ESPERIENZE PER UNA NUOVA FORMAZIONE PROFESSIONALE” ISSN 1972-3032 1. Nella sezione “studi” 1) CIOFS/FP (a cura di), Atti del XIV seminario di formazione europea. La formazione professionale per lo sviluppo del territorio. Castel Brando (Treviso), 9 - 11 settembre 2002, 2003 2) CIOFS/FP (a cura di), Atti del XV seminario di formazione europea. Il sistema dell’istruzione e formazione professionale nel contesto della riforma. Significato e percorsi, 2004 3) CIOFS/FP (a cura di), Atti del XVI seminario di formazione europea. La formazione professionale fino alla formazione superiore. Per uno sviluppo in verticale di pari dignità, 2005 4) CIOFS/FP (a cura di), Atti del XVIII seminario di formazione europea. Standard formativi nel- l’istruzione e nella formazione professionale. Roma,7-9 settembre 2006, 2007 5) CIOFS/FP SICILIA (a cura di), Opportunità occupazionali e sviluppo turistico dei territori di Cata- nia, Noto, Modica, 2004 6) CIOFS/FP SICILIA (a cura di), Vademecum. Strumento di lavoro per l’erogazione dei servizi orien- tativi, 2003 7) CNOS-FAP (a cura di), Gli editoriali di “Rassegna CNOS” 1996-2004. Il servizio di don Stefano Colombo in un periodo di riforme, 2004 8) COLASANTO M. (a cura di), Il punto sulla formazione professionale in Italia in rapporto agli obiettivi di Lisbona, 2008 9) COLASANTO M. - R. LODIGIANI (a cura di), Il ruolo della formazione in un sistema di welfare attivo, 2007 10) D’AGOSTINO S. - G. MASCIO - D. NICOLI, Monitoraggio delle politiche regionali in tema di istruzio- ne e formazione professionale, 2005 11) DONATI C. - L. BELLESI, Giovani e percorsi professionalizzanti: un gap da colmare? Rapporto fina- le, 2007 12) DONATI C. - L. BELLESI, Ma davvero la formazione professionale non serve più? Indagine conosci- tiva sul mondo imprenditoriale (in stampa) 13) MALIZIA G. - D. NICOLI - V. PIERONI (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI secondo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto finale, 2002 14) MALIZIA G. - V. PIERONI (a cura di), Ricerca azione di supporto alla sperimentazione della FPI se- condo il modello CNOS-FAP e CIOFS/FP. Rapporto sul follow - up, 2003 15) MALIZIA G. - V. PIERONI, Follow-up della transizione al lavoro degli allievi/e dei percorsi triennali sperimentali di IeFP, 2008 16) MALIZIA G. - V. 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Nella sezione “progetti” 30) ASSOCIAZIONE CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), L’accoglienza nei percorsi formativo-orientativi. Un approccio metodologico e proposte di strumenti, 2003 31) ASSOCIAZIONE CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), Le competenze orientative. Un approccio metodo- logico e proposte di strumenti, 2003 32) BALDI C. - M. LOCAPUTO, L’esperienza di formazioni formatori nel progetto integrazione 2003. La riflessività dell’operatore come via per la prevenzione e la cura educativa degli allievi della FPI, 2008 33) BECCIU M. - A.R. COLASANTI, La corresponsabilità CFP-famiglia: i genitori nei CFP. Esperienza triennale nei CFP CNOS-FAP (2004-2006), 2006 34) BECCIU M. - A.R. COLASANTI, La promozione delle capacità personali. Teoria e prassi, 2003 35) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale alimentazione, 2004 36) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale aziendale e amministrativa, 2004 37) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale commerciale e delle vendite, 2004 38) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale estetica, 2004 39) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale sociale e sanitaria, 2004 40) CIOFS/FP - CNOS-FAP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale tessile e moda, 2004 41) CIOFS/FP (a cura di), Un modello per la gestione dei servizi di orientamento, 2003 42) CIOFS/FP BASILICATA, L’orientamento nello zaino. Percorso nella scuola media inferiore. Diffu- sione di una buona pratica, 2004 43) CIOFS/FP CAMPANIA (a cura di), OrION tra orientamento e network, 2004 44) CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), L’accoglienza nei percorsi formativo-orientativi. Un approccio metodologico e proposte di strumenti, 2003 45) CIOFS/FP PIEMONTE (a cura di), Le competenze orientative. Un approccio metodologico e proposte di strumenti, 2003 46) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale elettrica e elettronica, 2004 47) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale grafica e multimediale, 2004 229 48) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale legno e arredamento, 2005 49) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale meccanica, 2004 50) CNOS-FAP - CIOFS/FP (a cura di), Guida per l’elaborazione dei piani formativi personalizzati. Comunità professionale turistica e alberghiera, 2004 51) CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione delle unità didattiche, 2003 52) CNOS-FAP (a cura di), Centro Risorse Educative per l’Apprendimento (CREA). Progetto e guida alla compilazione dei sussidi, II edizione, 2006 53) CNOS-FAP (a cura di), Guida per la fruizione delle risorse formative CNOS-FAP, in stampa 54) CNOS-FAP (a cura di), Proposta di esame per il conseguimento della qualifica professionale. Percorsi triennali di Istruzione formazione Professionale, 2005 55) COMOGLIO M. (a cura di), Prova di valutazione per la qualifica: addetto ai servizi di impresa. Prototipo realizzato dal gruppo di lavoro CIOFS/FP, s.d. 56) D’AGOSTINO S., Apprendistato nei percorsi di diritto-dovere, 2007 57) FONTANA S. - G. TACCONI - M. 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Guida per l’accompagnamento fina- le, 2003 81) CNOS-FAP PIEMONTE (a cura di), L’orientamento nel CFP. 4. Guida per la gestione dello stage, 2003 82) COMOGLIO M. (a cura di), Il portfolio nella formazione professionale. Una proposta per i percorsi di istruzione e formazione professionale, 2006 83) MALIZIA G. - D. NICOLI - V. PIERONI, Una formazione di successo. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimentali triennali di istruzione e formazione professionale in Piemonte 2002-2006. Rapporto finale, 2006 84) NICOLI D. - COMOGLIO M., Una formazione efficace. Esiti del monitoraggio dei percorsi sperimen- tali di Istruzione e Formazione professionale in Piemonte 2002-2006, 2007 85) TONIOLO S., La cura della personalità dell’allievo. Una proposta di intervento per il coordinatore delle attività educative del CFP, 2005 Tip.: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06.78.27.819 - Fax 06.78.48.333 - E-mail: tipolito@pcn.net Dicembre 2008

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