Argomento:
Data:
15 Novembre 2007
Descrizione breve:
Gli adolescenti moderni sono sostenuti dalle nuove tecnologie e dai nuovi media, e dal processo di integrazione europea; posso più facilmente ampliare le proprie relazioni e amicizie, informarsi, entrare in contatto con organizzazioni di volontariato e movimenti indipendenti. Danno inoltre maggiore peso a problemi immediati (disoccupazione, precariato, inquinamento e tematiche ambientali).
Contenuto nascosto:
SINTESISINTESI
7° RAPPORTO NAZIONALE
SULLA CONDIZIONE DELL’INFANZIA
E DELL’ADOLESCENZA
Direzione scientifica
Ernesto Caffo - Gian Maria Fara
Comitato di direzione
Italo Saverio Trento - Vittorio Rizzoli - Susy Montante - Barbara Forresi
Comitato di coordinamento
Nicola Ferrigni - Carla Graziani - Raffaella Saso - Francesca Venuleo
Hanno redatto il Rapporto
Marta Angelone - Chiara Angioletti - Giovanna Axia - Sara Bianchini - Paola Bisio -
Daniela Blasioli - Maurizio Bonati - Giovanni Camerini - Fabia Capello -
Francesca Casale - Romano Cataldo Forleo - AnnaPaola Cavalieri - Antonio Clavenna -
Vera Cuzzocrea - Caterina D’Ardia - Marisa De Rosa - Marta Di Gennaro - Flavia Di Luzio -
Anna Fabrizi - Patrizia Forleo - Francesca Freda - Barbara Ghiringhelli - Valeria Iacch -
Francesco Laganà - Bettina Lena - Alessandro Locatelli - Maurizio Lozzi - Fabio Macciardi -
Maura Manca - Giulia Marino - Federica Meles - Francesco Meloni -
Benedetta Menenti - Laura Michelotto - Francesca Milani - Ughetta Moscardino - Viviana Padelli -
Paola Pellegrino - Ilaria Piccioli - Marco Pucci - Antonio Purificato - Manuela Romagnoli -
Elisa Rossi - Caterina Sabusco - Anna Schittulli - Sara Scrimin - Nadia Selvaggi -
Marco Serra - Francesca Servidio - Luisa Strik Lievers - Stefania Surace - Roberto Tiberi
Hanno collaborato :
Paola Bianchi - Marianna Carroccia - Irene Delaria - Francesca Fortuna -
Gian Luigi Lepri - Edvige Puchala - Aida Sepe
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Il 7° Rapporto nazionale sulla condizione dell’infanzia
e dell’adolescenza ancora una volta offre un quadro com-
plesso e variegato della realtà dei minori in Italia, ponen-
dosi quale strumento di conoscenza dei principali cambia-
menti, delle linee di tendenza, delle potenzialità e dei ri-
schi che caratterizzano l’età evolutiva nel nostro Paese, an-
che alla luce delle sollecitazioni provenienti dal panorama
internazionale. Di anno in anno i bambini e gli adole-
scenti si trasformano sotto i nostri occhi, sensibili come so-
no alle sollecitazioni provenienti dall’ambiente. Se la so-
cietà muta - e in questi anni ciò accade in modo rapido e
inarrestabile - i bambini e gli adolescenti cambiano e com-
paiono nuove forme di disagio e nuove emergenze.
Quanto conosciamo i bambini e gli adolescenti di oggi?
Non abbastanza. I dati di questo rapporto evidenziano
non solo che il mondo adulto e le istituzioni non conoscono
adeguatamente i bambini e gli adolescenti, ma anche che
le risposte della società al loro disagio non sono sufficienti e
che la prevenzione nel nostro Paese è ancora marginale.
Resta elevato il numero degli abusi sessuali ai danni di
bambini e adolescenti: nel 2005 in Italia sono stati de-
nunciati 699 abusi, prevalentemente commessi da perso-
ne vicine e note alle vittime. Estremamente diffusa anche
la prostituzione minorile femminile, che nel nostro Paese
rappresenta ormai un’importante componente del fenome-
no prostitutivo e si riscontra soprattutto nei contesti urba-
ni e metropolitani. Un fenomeno che riguarda anche i ma-
schi, di età compresa tra i 13 e i 17 anni, in particolare ru-
meni (spesso di origine rom) e in misura inferiore prove-
nienti dal Maghreb, dai Balcani e dall’Albania.
Se i minori sfruttati sessualmente nel mondo sono più di
tre milioni, l’Italia con i suoi 80mila italiani ogni anno,
risulta al primo posto tra i Paesi europei per i viaggi a sfon-
do sessuale in Brasile.
In tema di sfruttamento, sono decine di migliaia i bambi-
ni tra i 7 e i 14 anni che in Italia sono costretti a lavorare:
il 50% di questi lavora all’interno delle imprese di fami-
glia, il 32% ha un impiego stagionale e il 18% si occupa
di attività rischiose.
È in crescita, poi, il numero delle denunce a carico di ado-
lescenti. Il Rapporto 2005 sullo stato della sicurezza del
nostro Paese ci dice che, anche se di poco rispetto al periodo
1997-2001, dal 2001 al 2005 l’incidenza delle denunce
riguardanti i minori in rapporto alla totalità dei soggetti
denunciati è aumentata, passando dal 2,7% del primo pe-
riodo al 3,1% del secondo.
Permane, infine, il grave problema della povertà, che con-
tinua ad affliggere anche le nazioni europee più avanzate.
Recenti stime evidenziano che 17 milioni di bambini eu-
ropei sono in stato di povertà e che l’Italia si colloca al se-
condo posto: il 16,3% dei bambini nel nostro Paese vive al
di sotto della soglia nazionale della povertà e al Sud la per-
centuale arriva al 29,1%.
Accanto ai problemi dell’abuso, dello sfruttamento sessua-
le e lavorativo, della devianza, della povertà, gli ultimi an-
ni hanno visto l’affermazione di nuove forme (e fonti) di
disagio e di sofferenza: la scomparsa e la sottrazione, le pic-
cole e grandi difficoltà di integrazione dei minori stranie-
ri, i rischi della Rete e delle nuove tecnologie, anche sotto il
profilo della salute mentale. Per questo motivo nel presen-
te rapporto è stata assegnata una significativa rilevanza ai
temi della sicurezza e della salute, nei bambini italiani e
stranieri.
Ogni anno, in Italia, le Forze dell’ordine avviano circa
tremila ricerche di minori scomparsi. Anche se questa ci-
fra, nel giro di un anno, si riduce di oltre l’80%, il feno-
meno è socialmente rilevante ed anche difficile da classifi-
care. L’analisi dei dati della Direzione centrale della Poli-
zia criminale, relativa agli anni dal 2001 al 2006, indi-
ca che la fascia più consistente di minori da rintracciare è
quella dai 15 ai 18 anni, che per lo più si allontanano vo-
lontariamente dal loro domicilio. Ci sono tuttavia rile-
vanti differenze tra minori italiani e stranieri: per quanto
riguarda questi ultimi si tratta soprattutto di minori di
sesso maschile giunti in Italia al seguito di flussi migratori,
clandestini e spesso affidati dai Tribunali per i minorenni
ad istituti di accoglienza o di assistenza, da cui si allonta-
nano volontariamente rendendosi irreperibili. Laddove la
scomparsa dei minori non è volontaria - come nel caso de-
gli abusi sessuali - la maggior parte degli autori sono in
qualche modo conosciuti dai bambini: appartengono alla
famiglia, la frequentano o sono presenti in uno dei luoghi
frequentati dal bambino (scuola, luoghi del divertimento,
luoghi dello sport, etc.).
Emerge dunque la necessità di educare i bambini alla si-
curezza, ma anche di promuovere il loro benessere e quello
dei loro genitori, intervenendo tempestivamente - fin dai
primi segnali - in ogni situazione di sofferenza psicopato-
logica. Si parla molto di sofferenza mentale dei bambini a
livello internazionale, come testimonia l’acceso dibattito
degli ultimi mesi intorno al Green Paper, testo della Co-
munità Europea che evidenzia le principali linee di indi-
PROTAGONISTI DI REALTÀ VIRTUALI,
LONTANI DALLA POLITICA
rizzo per la prevenzione del disturbo mentale in età evolu-
tiva.
Le ricerche presenti in questo Rapporto evidenziano la ne-
cessità che anche il nostro Paese si impegni nella prevenzio-
ne della depressione post partum nelle madri, come pure
delle diverse forme di disagio mentale che caratterizzano
l’età evolutiva: dai disturbi dell’attenzione al disturbo po-
st traumatico da stress, alle nuove recentissime forme di
psicopatologia connesse all’utilizzo (e all’abuso) di Inter-
net - le Irp, ovvero Internet Related Psychopathologies - che
aprono nuovi ed interessanti ambiti di ricerca in relazione
alle modificazioni psicologiche, neurocognitive ed affetti-
ve prodotte dalle nuove tecnologie sulla prima generazione
“figlia della Rete”.
Come ogni anno, comunque, la conoscenza dei bambini e
degli adolescenti non si esaurisce negli studi e nelle ricerche
che li riguardano. Da sempre, infatti, il rapporto intende
farsi portavoce della parola dei bambini e degli adolescen-
ti: come da tradizione, rinviene il suo presupposto fonda-
mentale nell’indagine campionaria realizzata nelle scuole
italiane, raccogliendo direttamente dai bambini e dagli
adolescenti le chiavi interpretative dei principali fenome-
ni e delle tendenze giovanili.
L’indagine realizzata su 2.516 giovani (1.242 adolescen-
ti appartenenti alla classe di età 12-19 anni e 1.274 bam-
bini della fascia 7-11 anni) suggerisce che i bambini e gli
adolescenti frequentano sempre più i luoghi in cui possono
essere protagonisti e sono sempre più disinteressati ai luo-
ghi che non li considerano soggetti attivi. In altre parole, si
immergono nell’esplorazione delle nuove tecnologie del-
l’informazione e della comunicazione e si allontanano
dalla politica.
Il telefono cellulare è ormai entrato da tempo nella vita e
nell’immaginario degli adolescenti, al punto che solo
l’1,3% del campione dichiara di non possedere un cellula-
re e che il 10,5% dichiara, invece, di possedere più di un
tipo di telefonino. Altrettanto diffusi il computer e Inter-
net: il 93% degli adolescenti e l’82% dei bambini inter-
vistati utilizza il computer. Sebbene il 49% degli adole-
scenti dichiari di non utilizzare Internet tutti i giorni, una
percentuale significativa (6%) afferma di trascorrere su
Internet più di cinque ore al giorno.
Gli adolescenti utilizzano Internet per ricercare informa-
zioni di loro interesse (88%) e materiale per lo studio
(81%), il che conferma che gli strumenti informatici si
stanno affermando in misura crescente come importante
strumento di conoscenza; estremamente diffuso anche il
download dal web di musica, film, giochi o video (74%).
La rilevazione, inoltre, ha evidenziato la diffusione fra i
giovani dell’e-commerce, tale che ormai il 24% fa acqui-
sti on line.
A testimonianza dell’interesse degli adolescenti per le nuo-
ve modalità di socializzazione offerte dalla Rete, è estre-
mamente diffuso l’utilizzo della posta elettronica (53%) e
delle chat (50%) non solo tra gli adolescenti ma perfino
tra i bambini di età compresa tra i 7 e gli 11 anni: il 19%
di questi ultimi utilizza la posta elettronica e il 16 le chat.
In questo senso, Internet sta consolidando sempre più il suo
ruolo centrale nella socializzazione dei ragazzi, affian-
candosi a pieno titolo alle agenzie tradizionali come la fa-
miglia e la scuola: circa un terzo dei ragazzi ha instaurato
nuovi rapporti di amicizia tramite Internet (34,2%).
Sempre più padroni delle realtà virtuali e delle nuove tec-
nologie e sempre più esclusi ed emarginati in ambito poli-
tico: non stupisce che gli adolescenti italiani vivano la po-
litica con fastidio e disinteresse. I politici sono coloro che
suscitano più fastidio nei ragazzi durante i notiziari tele-
visivi (24%), tanto da risultare persino più sgraditi delle
immagini del dolore, della guerra e della violenza sui bam-
bini. La stragrande maggioranza degli adolescenti, il 71%
del campione, è poco o per niente interessato alla politica,
mentre il 53,7% ammette di capirla poco o per niente: in
particolare, più della metà degli adolescenti afferma di
comprendere poco o per niente il quadro politico italiano.
Il problema riguarda, però, non solo i contenuti, ma anche
la comunicazione: più dei due terzi degli intervistati, in-
fatti, pensa che i politici siano poco (45%) o per nulla
(24%) chiari quando parlano.
Di fronte a questi dati, si può ipotizzare che gli adolescen-
ti avvertano l’assenza di un messaggio selettivo e differen-
ziato, rivolto a loro in maniera esclusiva, una mancata
comprensione e rappresentazione da parte della classe po-
litica delle loro istanze, dei loro bisogni e dei loro diritti,
una scarsa possibilità di partecipare attivamente alla poli-
tica del nostro Paese.
Al di là di una consueta disaffezione alla politica, sembra
emergere qualcosa di più profondamente strutturale, col-
legabile sia ai modelli di comunicazione con cui la moder-
na élite politica si relaziona ai giovani futuri elettori, sia
ai contenuti stessi della professione politica in termini di
comprensione dei problemi, ascolto delle istanze prove-
nienti dalla società e dai giovani, sollecitazione di aspetta-
tive e domande di cambiamento.
La politica oggi non è più in grado di proporre progetti,
alimentare sogni, indicare prospettive di una società mi-
gliore e questa impossibilità della politica di proporsi in
termini di progetto e di coinvolgere attivamente è chiara-
mente percepita dai giovani. Siamo oggi nel punto di mas-
sima distanza rispetto agli anni 60 e 70, quando alla po-
litica venivano attribuiti un ruolo salvifico e mitico, non-
ché capacità di guarigione dei mali endemici della società.
I giovani dunque si raccontano come individui impegna-
ti ad esplorare nuovi mondi e nuove realtà - superando
barriere linguistiche, comunicative e geografiche - ma an-
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che lontani dalla politica e dalla collettività, tradizional-
mente intesa. L’esigenza di un mondo migliore e di una so-
cietà più giusta ed equa, che aveva plasmato le esistenze e
le idee delle generazioni precedenti, è molto meno avverti-
ta dalla attuale componente giovanile: in un certo senso,
gli adolescenti sono diventati più conformisti e obbedienti
alle regole sociali, non esercitano più la spinta al cambia-
mento, forse perché non si sentono protagonisti di cambia-
menti sociali.
Le giovani generazioni si pongono come obiettivi princi-
pali la famiglia e un buon lavoro - due obiettivi “privati”
ed individuali - e si dichiarano appagati di ciò che hanno.
La maggioranza dei ragazzi intervistati, infatti, si dichia-
ra soddisfatta di quello che ha, sia da un punto di vista ma-
teriale che affettivo; una percentuale pari al 49% afferma
di avere tutto ciò di cui ha bisogno, mentre il 25% ritiene
di disporre di più del necessario. La stessa vita quotidiana
si caratterizza per la presenza di valori “concreti”: secondo
i ragazzi italiani, il successo di un individuo si misura so-
prattutto nel grado di ammirazione e rispetto suscitato
(25%); a seguire, la possibilità di disporre di tutto ciò che
si desidera (19) e al terzo posto «l’avere tanti soldi» (12).
Si attestano su percentuali simili la modalità «fare le cose
che mi piace fare» (11), la possibilità di avere tanti amici
(10), una buona posizione lavorativa (10) e un nucleo fa-
miliare sereno (10).
E gli adulti? Dall’indagine campionaria emerge che gli
adulti troppo spesso non sono in grado di seguire ed accom-
pagnare i cambiamenti e le esplorazioni di cui bambini e
adolescenti sono protagonisti, sostenendo il rapido ritmo
con cui varcano nuove frontiere e si addentrano in nuovi
mondi. Piuttosto, la società adulta sembra essere sempre
più lontana - per mancanza non solo di tempo, ma anche
di conoscenze e di formazione - dal mondo del’'infanzia e
dell’adolescenza.
Ne è un esempio la difficoltà dei genitori di accompagnare
i figli nella scoperta delle nuove tecnologie, che presentano
infinite potenzialità ma anche innumerevoli rischi, come
testimoniano gli stessi bambini e adolescenti. Il 19% dei
ragazzi e il 7% dei bambini dichiarano di utilizzare la
Rete per cercare cose proibite. Il 17% dei ragazzi e il 20%
dei bambini dichiarano di essere stati infastiditi da un
adulto in chat. Il 22% degli adolescenti dichiara di aver
incontrato dal vivo e da solo una persona conosciuta tra-
mite Internet, definendo l'incontro pericoloso nel 5% dei
casi. I ragazzi, però, raramente si confidano su questi
aspetti: circa il 30% del campione non ha mai parlato con
nessuno di queste esperienze negative vissute in Rete; an-
che quando lo fa, raramente si rivolge ad un genitore
(13%). A ulteriore conferma della solitudine dei giovani
di fronte alle tecnologie - vecchie e nuove - i tre quarti dei
ragazzi dichiarano di avere il computer nella propria stan-
za (54%) e di navigare da soli (75), prevalentemente il
pomeriggio (63) e la sera (29). Lo stesso vale per la televi-
sione: il 16% dei bambini tra i 7 e gli 11 anni guarda da
solo programmi con il bollino rosso.
Le ricerche e i dati presenti in questo Rapporto mostrano
che Telefono Azzurro ed Eurispes continuano a credere che
la cura dell’infanzia richieda innanzitutto un grande im-
pegno sul versante conoscitivo: per poter risolvere un pro-
blema è necessario conoscere i bambini, i loro bisogni, le
loro difficoltà, gli innumerevoli fattori che incidono sui
percorsi di sviluppo.
È nell’interesse della comunità - e anche della politica -
concedere attenzione e spazi ai bambini e agli adolescenti.
Il futuro della nostra società dipende dagli investimenti a
lungo termine che saremo in grado di fare per prevenire le
difficoltà delle giovani generazioni, per promuoverne la
partecipazione attiva e le capacità critiche.
Non è più accettabile pensare ai bambini e agli adolescen-
ti in modo discontinuo, in occasione dell’ennesima emer-
genza che assurge ai clamori delle cronache. Vi sono pro-
blemi che attendono risposta da tempo e nuovi problemi
(come quello della pedopornografia on line) che sottoli-
neano la necessità di riflettere con continuità sull’infan-
zia. È indispensabile non solo investire seriamente nella
prevenzione dei fattori che possono incidere negativamen-
te sul loro sviluppo, ma anche accompagnare bambini e
adolescenti nei rapidi cambiamenti della società - di cui
sono attenti esploratori e spesso pionieri - offrendo loro gli
strumenti cognitivi ed emotivi per capire e per vivere, per
difendersi e per decidere.
Consegniamo dunque alle istituzioni, agli specialisti del
settore, ai genitori, agli educatori questo lavoro, sicuri che
possa rappresentare uno strumento utile non solo a scopri-
re (e riscoprire) il mondo dell’infanzia e dell’adolescenza,
ma anche a promuovere il benessere, la sicurezza e la qua-
lità della vita dei bambini e degli adolescenti italiani.
Ernesto Caffo
presidente Telefono Azzurro
Gian Maria Fara
presidente Eurispes
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IL FENOMENO IN ITALIA. La raccolta dei dati riferiti all’abu-
so sessuale in pregiudizio di minori viene organizzata all’in-
terno del data base generale dell’Anticrimine. Tra il 2000 e
il 2005, i minori vittime di reati sessuali sono stati 2.891.
In 2.406 casi si è trattato di violenza sessuale, in 87 casi di
violenza sessuale di gruppo, in 299 casi di atti sessuali con
minorenne e in 99 casi di corruzione di minorenne. In par-
ticolare, nel 2005 sono stati 699 i bambini e gli adolescen-
ti vittime di abuso sessuale, 605 sono state le segnalazioni
di reato e 692 le persone denunciate all’autorità giudizia-
ria. Rispetto al 2004, si è registrato un aumento delle vitti-
me di violenza sessuale di gruppo (da 20 a 28), di quelle re-
lative al reato di corruzione di minorenne (da 25 a 31) e di
atti sessuali con minorenne (da 74 a 98).
In generale, nel quinquennio 2000-2005, i valori più ele-
vati si riscontrano costantemente nel Nord Italia. Nel solo
2005 si sono contati a Nord 327 casi di abuso, con in testa
tra le regioni la Lombardia (112), l’Emilia Romagna (64) e
il Veneto (52); a seguire il Sud e le Isole dove si sono regi-
strati 270 casi, concentrati soprattutto in Campania (97);
ed infine il Centro 102 casi, di cui 62 in Toscana. Una ten-
denza piuttosto stabile in tutti gli anni considerati è la pre-
valenza tra le vittime appartenenti alla classe d’età interme-
dia 11-14 anni, sebbene il distacco con la classe dei bambi-
ni più piccoli sia alquanto marginale. Per quanto riguarda
la nazionalità dei bambini e degli adolescenti vittime di rea-
ti sessuali si evidenzia un andamento altalenante dei dati
relativi ai minori stranieri: partendo infatti dalla percen-
tuale più elevata rilevata nell’anno 2002 (13,2%), si regi-
stra già una flessione nell’anno successivo (8,6% nel 2003)
e quindi un incremento circoscritto nel 2004 (9,4%) e più
sostanziale nel 2005 (12,7%).
In merito agli abusanti, gli autori presunti o accertati dei
reati sessuali sui minori, le segnalazioni di reato, ovvero le
comunicazioni trasmesse dagli uffici periferici in merito ai
diversi illeciti, si concludono con esito positivo in percen-
tuali significativamente elevate. In generale emerge che le
indagini si risolvono con l’identificazione e la denuncia dei
soggetti presunti responsabili dell’abuso nella quasi totalità
dei casi. Prendendo in considerazione il 2004, su 813 per-
sone denunciate, il 41,2%, ossia 335 persone, sono state
arrestate. Nel 2005 invece sono state 692 le persone de-
nunciate, di cui 265, il 38,3%, sono state tratte in arresto.
Gli abusanti sono in prevalenza di nazionalità italiana
(85,5% nel 2002; 88,6% nel 2003; 88,1% nel 2004; 80%
nel 2005). Nonostante questa evidenza, è stato registrato
un andamento particolare per quanto riguarda le percen-
tuali degli stranieri abusanti negli anni in questione: dal
14,1% registrato nel corso del 2002 assistiamo alla perdita
di alcuni punti percentuali negli anni successivi, sino al
19,7% relativo all’ultimo anno esaminato: nel corso del
2005, infatti, su 692 autori di reato complessivamente in-
dividuati ben 136 erano di nazionalità straniera.
RELAZIONE VITTIMA-AUTORE. Si tratta nella maggior parte
dei casi di una relazione intraspecifica che vede sussistere
un rapporto di conoscenza tra l’autore e la sua vittima, con
un’incidenza percentuale sulla totalità dei casi che va
dall’81,9% del 2002, passando per il 90,8% del 2003 e
l’82,4% del 2004, fino al 77,7% del 2005. Non si può
ignorare il peso percentuale degli abusanti conoscenti che
si collocano quasi sempre al primo posto con valori supe-
riori al 40%: unica eccezione il 2005 (33,2%) che vede au-
mentare, di contro, il valore relativo all’autore extraspecifi-
co. Né tanto meno il numero degli abusanti individuati al-
l’interno della famiglia che fanno registrare percentuali su-
periori al 30% con un picco del 37,3% nel corso del 2005.
L’ABUSO SESSUALE: UN FENOMENO ANCORA SOMMERSO.Al
di là dei dati statistici, permane comunque la convinzione
che in Italia l’abuso sessuale sui minori, proprio per le pe-
culiarità di questo reato, sia un fenomeno largamente som-
merso ed emerga, e pertanto sia quantificato, solo in parte.
Infatti da un lato vi è la convinzione che alcune situazioni
di abuso rimangano inespresse, esperienze dimenticate e
rimosse che non arrivano alla denuncia; dall’altro, emerge
la consapevolezza che l’abuso sessuale non sia riconducibi-
le alle sole denunce effettuate, e ne è testimonianza proprio
la casistica del Centro nazionale di ascolto di Telefono Az-
zurro che attraverso il proprio operato contribuisce a fare
emergere una parte di realtà che altrimenti rimarrebbe nel
sommerso. Oltre a questo è ragionevole ipotizzare che una
capitolo 1
ABUSO, SFRUTTAMENTO
E DIRITTI VIOLATI
SCHEDA 1. EPIDEMIOLOGIA DELL’ABUSO SESSUALE
E MONITORAGGIO DEL FENOMENO IN ITALIA, FRANCIA E INGHILTERRA
riduzione delle denunce non corrisponda ad una riduzione
del fenomeno, e ciò anche in considerazione del fatto che
non esiste necessariamente alcuna corrispondenza crono-
logica tra il momento della denuncia e il reato subìto. Una
rilevazione esaustiva delle violenze è fortemente ostacolata
sia dalla difficoltà, da parte del minore vittima, di chiedere
aiuto, sia dall’incapacità delle figure adulte di riferimento
di “ascoltare” e cogliere i segnali trasmessi dalle vittime.
IL FENOMENO IN FRANCIA. All’interno del diritto naziona-
le francese, la lotta contro il maltrattamento dei bambini
ha ricevuto nel 1989 un impulso decisivo attraverso la pro-
mulgazione della legge n. 89-487 del 10 luglio 1989 relati-
va alla prevenzione dei maltrattamenti nei confronti dei
minori e alla protezione dell’infanzia. L’articolo 3 della leg-
ge, in particolare, ha decretato l’avvio del servizio naziona-
le d’accoglienza telefonica per l’infanzia maltrattata, lo Sna-
tem - Service National d’Accueil Théléphonique pour
l’Enfance Maltraitée, generalmente chiamato «Allô Enfan-
ce Maltraitée». Dal marzo 1997, il servizio beneficia di un
numero telefonico semplificato a 3 cifre - il 119. Ai sensi
dell’articolo 17 della legge del 1989, il ministro della Fami-
glia deve presentare ogni tre anni al Parlamento una rela-
zione che illustri i risultati delle ricerche condotte sull’in-
fanzia maltrattata. È il Gruppo permanente interministe-
riale dell’infanzia maltrattata (Gpiem - Groupe Permanent
Interministériel pour l’Enfance Maltraitée) che garantisce
la redazione di questa relazione. Il Gpiem è composto in
particolare dai rappresentanti dei seguenti ministeri: Affari
sociali, Interno, Giustizia, Difesa, Istruzione nazionale,
Gioventù e sport, Sanità e ministero incaricato delle Co-
munità locali.
Il monitoraggio dei dati è garantito dall’attività svolta dal-
l’Odas - Osservatorio nazionale dell’azione sociale decen-
trata, istituito nel 1990, che si occupa di rilevare tutte le se-
gnalazioni indirizzate ai consigli generali dei dipartimenti
relative a casi di bambini maltrattati e a casi di bambini che
vivono una condizione definita a rischio. Il Rapporto Odas
2005 evidenzia dal 1998 al 2004 un aumento costante e
consistente di segnalazioni, soprattutto tra il 2003 e il 2004
con un incremento di 6mila bambini. Se l’evoluzione com-
plessiva interessa principalmente il numero dei bambini
definiti “a rischio”, l’Osservatorio francese invita a non sot-
tovalutare la progressione rilevata anche nell’area del mal-
trattamento (dal 2003 al 2004 un aumento di mille casi).
La rilevazione dell’Odas non è circoscritta al fenomeno del-
l’abuso sessuale che rappresenta una tra le fattispecie che
concorrono alla definizione dell’infanzia maltrattata, ma se
all’interno di questa macro categoria si considerano i dati
disaggregati per tipologia di abuso si rileva che nel 2004 i
valori più elevati interessano le vittime di abuso fisico
(6.600) seguiti da minori vittime di abuso sessuale (5.500).
IL RAPPORTO ANNUALE DELL’OND - OBSERVATOIRE NA-
TIONAL DE LA DÉLINQUANCE.L’Osservatorio nazionale sul-
la delinquenza è un dipartimento dell’Istituto nazionale di
alti studi sulla sicurezza. Ogni anno, a partire dal 2005,
l’Osservatorio pubblica un Rapporto che propone, tra le
altre informazioni, una serie storica dei dati relativi alla vio-
lenza sessuale: queste elaborazioni vengono costruite par-
tendo dalle informazioni raccolte annualmente dall’État
4001, uno strumento statistico che per esplicita definizio-
ne «conta i fatti constatati dai servizi di polizia e dalle unità
di gendarmeria». Sono quattro i reati previsti: abuso ses-
suale sui minori; molestie sessuali ed altre aggressioni ses-
suali contro minori; omicidi commessi contro bambini
con meno di 15 anni; violenze, maltrattamenti e abbando-
no di bambini. Dalla lettura dei dati (Rapport 2005 e Rap-
port 2006) si evince, più in generale, che negli ultimi due
anni considerati il numero delle violenze sessuali in Francia
è complessivamente diminuito, anche se i fatti constatati
nel 2005 hanno subìto un’evoluzione contrastante. Gli
abusi sessuali che riguardano gli adulti, infatti, non hanno
seguito la tendenza generale poiché tra il 2004 e il 2005 il
loro numero è leggermente aumentato (+100 fatti consta-
tati, cioè +2,3%), mentre gli abusi in pregiudizio di mino-
ri sono diminuiti di circa il 10% in un anno: ciononostan-
te rappresentano comunque la categoria più numerosa
(5.581 nel 2005 contro 4.412 abusi sessuali sugli adulti).
Complessivamente più del 60% delle violenze sessuali ha
avuto per vittime bambini e adolescenti, tanto nel 2004 che
nel 2005, tuttavia nel corso di un anno il valore si è abbas-
sato del 12% circa (da 16.800 a 14.700 fatti rilevati).
IL FENOMENO IN INGHILTERRA. L’Inghilterra rappresenta
uno dei Paesi europei che dispone di un efficace sistema di
monitoraggio e rilevazione del fenomeno; l’utilizzazione di
un Registro di protezione del minore (CPR3 - Child Pro-
tection Registers), da parte delle autorità locali con respon-
sabilità di servizio sociale, permette, infatti, un’efficace ca-
talogazione dei dati sul fenomeno nonché un’accurata ana-
lisi statistica i cui risultati vengono pubblicati, annualmen-
te, dal Department for Education and Skills. Il sistema di
tutela dei minori in Inghilterra si è sviluppato negli ultimi
trent’anni. L’anno 1989 segna una svolta decisiva grazie al-
l’approvazione del Children Act (un compendio di norme
giuridiche), che ha subìto nel corso del tempo successivi ag-
giornamenti, di cui il primo nel 1991. Ogni autorità locale
possiede una Acpc - Area Child Protection Committe che
sorveglia localmente il sistema di protezione del minore e
dispone di un registro per la protezione del minore, ovvero
un elenco dei minori vittime di danni importanti. Il regi-
stro è custodito dal Dipartimento dei Servizi sociali e cia-
scun registro ha un custode. Vi sono quattro categorie di
registrazione: abuso fisico; abuso sessuale; abuso psicologi-
6
7
SCHEDA 2. QUANDO VITTIMA DELL’ABUSO
È UN BAMBINO O UN ADOLESCENTE STRANIERO
MINORI STRANIERI: IDENTIKIT. Tra il luglio 1999 e il mar-
zo 2006 il Centro nazionale di ascolto di Telefono Azzurro
ha gestito complessivamente 31.158 casi di bambini e di
adolescenti che presentavano problematiche rilevanti. Nel-
l’ambito di tali situazioni, il 7,1% dei casi ha riguardato
bambini e adolescenti stranieri: per il 53,2% bambine e ra-
gazze e per il 46,8% bambini e ragazzi. Nel 42% dei casi si
è trattato di bambini tra gli 0 e i 10 anni, mentre nel 38,4%
di ragazzi tra gli 11 e i 14 anni e, quindi, di adolescenti
(19,6%). In particolare, il 55,3% delle richieste di aiuto è
stato indirizzato alla Linea istituzionale e il 44,7 a quella
Gratuita. Le chiamate sono pervenute soprattutto dalle re-
gioni del Nord Italia (58,3%), seguite da quelle del Centro
(24,5). Solo il 13,1% delle richieste d’aiuto è arrivato dal
Sud e il 4,1 dalle Isole. Tra le regioni, la Lombardia racco-
glie ben il 23,4% delle richieste di aiuto, ovvero più di un
quinto del totale; seguono con una certa distanza il Lazio
(12,7), l’Emilia Romagna (10) e il Veneto (9,5). Nel Mez-
zogiorno, invece, la regione che fa registrare una maggiore
percentuale di chiamate è la Campania (4,7), seguita dalla
Puglia (4,2) e dalla Sicilia (2,8). Con il 29,3% sul totale del-
le chiamate, i problemi relazionali con i genitori rappresen-
tano l’elemento più critico. Ma si segnalano anche la tra-
scuratezza che si afferma nel 21,5% dei casi, l’abuso fisico
con il 19,6, generali difficoltà di natura relazionale (15). Al-
tre criticità emerse dall’analisi delle richieste sono: proble-
mi causati dalla separazione dei genitori (9,5%), abuso psi-
cologico (8,1), sfruttamento del lavoro minorile (7,7), pro-
blemi nel rapporto con il gruppo dei pari (7,5), fuga da ca-
sa (7), difficoltà scolastiche (5,7), abuso sessuale (3,8).
L’ABUSO FISICO.Tra i minori stranieri, le denunce di abuso
fisico, il più delle volte, vedono quale abusante uno dei due
genitori. Sono per lo più i padri a commettere tale tipo di
abuso nei confronti dei figli anche se, nelle situazioni di nu-
clei monoparentali in cui il genitore presente è la madre, ta-
li atti possono essere agiti dalla madre stessa. In caso di fa-
miglie di tradizione gerarchico patriarcale (in particolare
Paesi arabo-islamici e Albania), in assenza del padre tale
azione “correttiva” o “punitiva” può invece fare parte dei
compiti del fratello maggiore, che assume il ruolo di capo
famiglia. Le principali cause scatenanti le situazioni di abu-
so fisico a danno di un minore straniero sono diverse: tra
queste, la messa in atto da parte del figlio di comportamen-
co; trascuratezza. Quando un minore è segnalato sul regi-
stro, viene delineato uno specifico piano di protezione che
prevede il coinvolgimento di un gruppo centrale di opera-
tori che ha il compito di supportare e riabilitare il nucleo fa-
miliare e seguire la successiva messa in atto del piano di pro-
tezione, che viene garantito da uno specifico operatore. In-
fine, i risultati raggiunti attraverso l’applicazione del piano
di protezione sono oggetto di verifica di un apposito orga-
nismo che si riunisce periodicamente: il Collegio per la pro-
tezione del minore. Qualora il minore non risulti essere
esposto a ipotetico rischio di danno, viene depennato dal
registro di protezione, pur continuando comunque ad es-
sere considerato un «minore in stato di bisogno».
CPR3: RISULTATI PRINCIPALI AL 31 MARZO 2005. Delle
complessive 552mila segnalazioni rivolte ai Dipartimenti
con responsabilità di Servizio sociale al 31 marzo 2005, il
22% (pari a 121.800) risultano segnalazioni ripetute, ov-
vero già effettuate nel corso dell’anno precedente; anche al
31 marzo 2004, a fronte di 572.700 segnalazioni comples-
sive, nel 22% dei casi (pari a 127.400) si trattava di segna-
lazioni ripetute. L’anno 2005, pertanto, risulta caratteriz-
zato da un calo delle segnalazioni, mentre negli anni prece-
denti le segnalazioni annue si aggiravano, in media, attor-
no alle 570mila. Tra i minori iscritti nel registro al 31 mar-
zo 2005, circa 3mila (12%) sono stati presi in carico anche
dalle autorità locali; nel 2004 questa situazione ha interes-
sato 3.400 bambini (13%), mentre nel 2000 i minori coin-
volti risultavano 5.400 (20%). Il 6% dei minori de-regi-
strati al 2005, sono rimasti inseriti nelle liste per un perio-
do di due anni o più; nell’anno precedente la percentuale si
aggirava intorno al 7%, mentre nel 1995 era pari al 17%.
Analizzando i dati emerge che i valori più consistenti inte-
ressano le seguenti classi di età: 1-4 anni (7.400), 5-9 anni
(7.400) e 10-15 anni (7.300). Il numero dei bambini inse-
riti nei registri con un’età inferiore a un anno è pari a 3mila
(il 12% del totale), mentre sono 490 (il 2%) i ragazzi di 16
anni e oltre. In Inghilterra, nell’arco temporale 2001-2005,
i valori di abuso più elevati sono riferiti sempre alla catego-
ria della trascuratezza (11.400 casi nel 2005). Nell’ultimo
anno in esame, il 2005, l’abuso sessuale presenta il valore
più basso (2.400 casi), preceduto da abuso psicologico
(5.200) e da abuso fisico (3.900). Tra i minori vittime di
abuso sessuale, prevalgono le femmine. Prendendo in con-
siderazione l’abuso sessuale in relazione sia al sesso che alla
classe di età è possibile osservare un’unica tendenza: sia tra i
maschi che tra le femmine la fascia di età più colpita è quel-
la compresa tra i 10 e i 15 anni.
ti e di “stili” relazionali tipici della cultura occidentale nella
relazione genitore-figlio; la presenza nel minore di richieste
quali: uscire la sera o frequentare un/a ragazzo/a (per lo più
italiano/a o di altra nazionalità rispetto alla sua); l’esistente
disparità tra genitori e figli nell’integrazione; lo scarso o in-
sufficiente impegno scolastico; la distanza presa dal figlio/a
dalla dimensione religiosa familiare; la presenza di even-
tuali problemi psico-fisici di uno dei coniugi (depressione,
alcolismo) che possono sfociare in episodi di violenza.
L’ABUSO SESSUALE. I casi di abuso sessuale registrati in Italia
a danno di minori stranieri sono sia intrafamiliari che ex-
trafamiliari. Nella maggioranza dei casi, il presunto abu-
sante è una persona vicina al nucleo familiare, una persona
di cui i genitori si fidano. Qui si inserisce un problema par-
ticolarmente presente nelle famiglie immigrate e cioè la
mancata custodia dei figli o il loro affidare i figli a persone,
magari connazionali, poco conosciute. Per lo più impegna-
ti tutto il giorno nel lavoro fuori casa, in assenza della rete
familiare e sociale di supporto rimasta nel proprio paese,
con la difficoltà di inserire i figli piccoli all’asilo nido e alla
scuola materna e a “coprire” il tempo che rimane dal ritor-
no a scuola alla sera per i figli più grandi, i bambini vengo-
no lasciati soli, oppure vengono affidati a persone disponi-
bili ma poco conosciute, o ancora vengono lasciati in am-
bienti dove c’è un “giro” di adulti non controllabile. A dif-
ferenza delle situazioni di abuso sessuale che vedono come
vittima minori italiani, ci si può trovare di fronte a casi in
cui l’abusante sia un adulto, per lo più maschio, convinto
di essere in una posizione legittimata a commettere tali atti
in quanto permessi nel proprio Paese. In tali contesti sia
“l’abusante” sia i genitori o gli adulti che hanno la tutela
non hanno la consapevolezza dell’accaduto in termini di
reato e della sua punibilità, poiché fanno riferimento a tra-
dizioni e leggi a cui appartengono (es. rapporti sessuali con
ragazze di 13 anni già promesse in matrimonio all’uomo).
L’ABUSO PSICOLOGICO. La difficoltà a riconoscere l’abuso
psicologico è correlata al fatto che per quasi tutte le culture
di origine degli immigrati presenti in Italia, tale forma di
abuso non è riconosciuta e pertanto risulta molto difficile
averne consapevolezza anche in un contesto, come quello
italiano, laddove tali comportamenti sono considerati dan-
nosi e condannati. Ne è conferma il fatto che spesso tali at-
ti vengono compiuti “alla luce del sole”. Le situazioni di
abuso psicologico che riguardano i minori stranieri presen-
tano il più delle volte un forte legame con la loro condizio-
ne di migranti: violenza domestica, abbandono educativo
del figlio/a, oppressione dei figli rispetto ai loro impegni e
ai loro doveri di riuscita scolastica e/o lavorativa; minacce al
rientro in patria o all’isolamento sociale; insufficiente
espressione di affetto, di cure e di custodia, sono situazioni
che nascono dalla fatica e dalle sfide che l’evento migrazio-
ne pone alla famiglia. Altri comportamenti di abuso psico-
logico derivano direttamente dall’appartenenza a tradizio-
ni culturali, familiari, religiose che si basano su gerarchie
generazionali e di genere che non trovano nel Paese di ac-
coglienza alcun tipo di riconoscimento. Gli episodi di vio-
lenza domestica vengono segnalati in prevalenza da vicini
di casa che non conoscono necessariamente il nucleo ma
che sentono urla, pianti, litigi, insulti, rumori.
LA TRASCURATEZZA. La migrazione può far venire meno la
corrispondenza tra quanto acquisito dai genitori in merito
ai bisogni di attenzione e di cura dei figli e quanto invece è
la regola e l’aspettativa nel contesto di accoglienza, in meri-
to ai comportamenti adeguati di cura e di accudimento.
Può pertanto accadere che i genitori si ritrovino inadegua-
ti, o vengano giudicati tali, nelle loro capacità genitoriali in
un contesto che riconosce e richiede comportamenti di cu-
ra, custodia e tutela specifici, magari inesistenti nel model-
lo dei genitori. Gli episodi di trascuratezza sono i più vari:
genitori che lasciano i figli per molto tempo da soli o che la-
sciano piangere i figli per ore; bambini lasciati in condizio-
ni igieniche precarie, o non seguiti a livello scolastico o che
vengono mandati a scuola anche ammalati; bambini ai
quali vengono dati compiti di cura dei fratelli più piccoli o
ai quali viene richiesta la collaborazione per l’attività lavo-
rativa di famiglia. In generale si riscontra una particolare
fragilità legata a problemi di cura, custodia ed accudimen-
to dei minori da 0 a 3 anni. Per i più grandi emergono, in-
vece, situazioni di sovraccarico di responsabilità e di impe-
gni di collaborazione domestica o lavorativa extrascolastica
e di abbandono in termini di cura e di attenzione.
8
SCHEDA 3. LA VALUTAZIONE DELLE CAPACITÀ GENITORIALI
LA VALUTAZIONE IN AMBITO PSICO-SOCIALE: PRINCÌPI E
CRITERI GENERALI. Nell’ambito delle indagini stabilite dal
Tribunale civile o dal Tribunale per i minorenni, il neuro-
psichiatra infantile, lo psicologo o l’assistente sociale ven-
gono a volte chiamati ad intervenire nei confronti di nuclei
familiari quasi sempre problematici e a fornire valutazioni
psico-sociali e pareri in merito a decisioni molto delicate,
inerenti la cosiddetta “genitorialità” e le capacità genitoria-
li. Si tratta di valutazioni che possono essere richieste sia dal
Tribunale ordinario (o dal Tribunale per i minorenni, qua-
9
lora si tratti di una coppia non sposata), alla luce della ne-
cessità di assumere decisioni circa l’affidamento della prole
nella causa di separazione tra i genitori, sia dal Tribunale
per i minorenni, qualora sussistano elementi di pregiudizio
per la salute psico-fisica dei figli in un nucleo familiare che
presenti forti indici di rischio. Di queste indagini possono
essere incaricati i servizi sociali, all’interno di un’azione di
accertamento e/o di vigilanza, o un consulente tecnico. La
componente di inevitabile soggettività che questo com-
porta determina spesso la assunzione, da parte dell’autorità
giudiziaria, di provvedimenti che vengono messi in discus-
sione nei successivi gradi di giudizio, anche attraverso il ri-
corso a nuove indagini che possono giungere a conclusioni
diametralmente opposte rispetto alle precedenti.
Il sovvertimento di antecedenti provvedimenti, del tutto
routinario nei procedimenti penali e in quelli civili, deter-
mina spesso danni molto gravi in ambito minorile, poiché
viene ad interessare, anche a distanza di anni, bambini la
cui vita è stata radicalmente modificata dai provvedimenti
adottati. In questo senso basti ad esempio pensare ai danni
che possono caratterizzare lo sviluppo psico-affettivo di un
bambino per il quale, a seguito di una prima consulenza
tecnica che aveva attestato la totale inidoneità educativa dei
genitori, era stato dichiarato in età precocissima lo stato di
adottabilità, e che, uno o due anni dopo essere stato inseri-
to in un nucleo adottivo, a seguito di una consulenza tecni-
ca effettuata presso la Corte d’appello, debba essere riaffi-
dato ai genitori naturali, o debba quantomeno riprendere i
contatti con gli stessi. In realtà, in questo ambito i criteri di
riferimento appaiono necessariamente relativistici, poiché
debbono tenere conto sia dell’ampiezza e della sostanziale
genericità di nozioni come quella di «abbandono» o di «in-
teresse del minore», sia del fatto che l’indagine non deve di-
scutere la teorica idoneità educativa di una famiglia, ma de-
ve mettere in luce quale sia, in quel momento, l’idoneità
specifica che quella singola famiglia può realizzare, sul pia-
no delle competenze genitoriali, a favore di quel singolo
bambino, in relazione al suo stadio di sviluppo ed alle even-
tuali problematiche psico-patologiche che presenta. Il la-
voro di osservazione e di valutazione tende spesso a riserva-
re la proposta dell’adozione solamente per i casi maggior-
mente negativi e ormai ingestibili, mentre si prevede per
quelli a minor rischio solo la predisposizione di misure di
osservazione e di aiuto.
LE CAPACITÀ GENITORIALI E LA LORO VALUTAZIONE IN AM-
BITO PSICO-SOCIALE E FORENSE NELLE SITUAZIONI DI RI-
SCHIO E DI PREGIUDIZIO. Per quanto riguarda i criteri di
valutazione, l’osservazione delle capacità genitoriali richie-
de una articolazione preliminare delle specifiche funzioni
da prendere in esame. Le funzioni di base consistono nel
«prendersi cura» e nella «protezione». Il «prendersi cura» si
riferisce al complesso processo di socializzazione, reso pos-
sibile, facilitato e promosso dall’insegnamento dei genito-
ri. La «protezione» dipende dalla possibilità di assicurare gli
appropriati confini di sicurezza tra il bambino e l’ambiente
esterno. Le procedure di indagine in questo ambito com-
prendono: l’intervista diretta ai genitori; l’intervista e l’a-
scolto dei figli e la valutazione dei loro pattern di attacca-
mento; la valutazione della interazione genitore-figlio at-
traverso la osservazione diretta; l’ascolto di altre persone a
contatto con i bambini che possono fornire informazioni e
ragguagli: pediatra, insegnanti, educatori.
SEPARAZIONE DEI GENITORI E CRITERI DI AFFIDAMENTO E
DI CUSTODIA DEI FIGLI. Come sancito dall’art. 155 Codice
civile, nei casi in cui tra i coniugi in corso di separazione si
determini un contrasto o un conflitto variamente orienta-
to circa l’affidamento all’uno o all’altro dei figli e che tale si-
tuazione non possa essere altrimenti sanabile, il giudice
istruttore può disporre una consulenza tecnica d’ufficio.
Nel caso di contesa dei figli, l’interesse del minore implica
che il consulente fornisca indicazioni sul regime di miglior
affidamento, ma soprattutto lavori sulla contesa per aiuta-
re le parti attraverso una mediazione per trovare un accor-
do capace di garantire il rapporto con entrambi i genitori
da parte del minore, a meno che sussista una particolare ini-
doneità di uno di essi.
Fino alla metà degli anni 80 era teorizzato l’affidamento dei
figli minori al «genitore psicologico», cioè al genitore (soli-
tamente la madre) maggiormente vicino dal punto di vista
affettivo al bambino in quanto più impegnato nelle cure
quotidiane e con cui si instaura in modo più specifico il le-
game di attaccamento: al genitore affidatario era dato ogni
più ampio potere per regolamentare i rapporti tra il/i fi-
glio/i e il genitore non affidatario stabilendo liberamente i
tempi e le modalità di incontro tra loro o anche opponen-
dosi a tali incontri. Si riteneva infatti che soltanto il «geni-
tore psicologico» fosse il «vero genitore» in grado di valuta-
re le esigenze del/i proprio/i figlio/i anche con riguardo al-
l’altro genitore. Tale prospettiva presupponeva tuttavia la
buona fede del genitore affidatario, scevro da sentimenti
negativi o di rivalsa nei confronti dell’ex partner e comun-
que un rapporto collaborativo tra gli ex coniugi.
In Italia, nel 2006 è stata approvata la proposta di legge che
prevede la applicazione dell’affidamento condiviso. Si con-
figurano quindi importanti cambiamenti nelle pratiche di
affidamento dei figli in caso di separazione o divorzio dei
genitori; al minore viene riconosciuto il diritto, anche in
seguito alla separazione dei genitori, di mantenere un «rap-
porto equilibrato e continuativo» con loro, di ricevere cura,
educazione e istruzione da entrambi e di conservare rap-
porti significativi con ascendenti e parenti di ciascun ramo
genitoriale. Il giudice, salvo contrario avviso, dispone l’affi-
10
damento ad entrambi i genitori avendo come «esclusivo ri-
ferimento» l’interesse morale e materiale dei figli. In casi
particolari, il giudice può comunque stabilire un affida-
mento esclusivo ad un genitore, ad esempio qualora sussi-
stano i presupposti per la violazione dei doveri relativi alla
potestà da parte di un genitore, per l’abuso dei poteri ine-
renti la potestà con grave pregiudizio del figlio, o per una
condotta del genitore comunque pregiudizievole ai figli.
Quali le modalità di affidamento più idonee per i figli dei
genitori separati? Le modalità con cui il bambino è stato
esposto al conflitto genitoriale rappresentano il punto cen-
trale della questione. Allorché il bambino si trova ad essere
confrontato con liti, contrasti, dissidi, ai timori di abban-
dono già vissuti al momento della separazione si aggiungo-
no altri timori, che alimentano i primi. A partire da queste
dinamiche interne, diversi possono essere i comportamen-
ti e le reazioni di adattamento. Facilmente, il bambino si
difende attraverso una sorta di «accomodamento adattivo»
ai diversi contesti che lo sollecitano in maniera opposta, ge-
nerando opposti «conflitti di lealtà». Così, il bambino può
divenire, in una sorta di trasformismo difensivo, regressivo
quando è con la madre e ipermaturo e reattivo con il padre.
In taluni casi, il bambino può accomodarsi in maniera
esclusiva ad uno dei due genitori, sino a sviluppare reazioni
fobico-repulsive nei confronti dell’altro, sulla base di un’i-
dentificazione nelle posizioni e nei desiderata del genitore
prescelto (e delle tecniche esplicite od esplicite di persua-
sione che quest’ultimo ha posto in atto), identificate e de-
scritte come Sindrome di alienazione genitoriale, nella qua-
le il genitore “alienato” viene allontanato per evitare, anche
attraverso questa via, il conflitto tra i due.
DISTURBI MENTALI DEI GENITORI E PROBLEMI DI AFFIDA-
MENTO E DI TUTELA. Un problema particolare è costituito
da quei casi dove occorra procedere a decisioni inerenti l’af-
fidamento dei figli in presenza di un genitore affetto da di-
sturbi mentali di entità rilevante. Si tratta di una questione
complessa ed ampiamente dibattuta, dove spesso si scon-
trano due opposti punti di vista: da un lato, sussiste talvol-
ta l’indicazione, sostenuta dagli specialisti che hanno in ca-
rico il paziente adulto, di mantenere il contatto tra il geni-
tore e i suoi figli, allo scopo di stimolare positivamente le ri-
sorse e le necessità affettive del loro paziente. Dall’altro, tut-
tavia, risulta maggiormente appropriato un approccio ri-
volto a privilegiare l’interesse del minore, ovvero fondato
su una fondamentale valutazione: in quale misura il distur-
bo mentale del genitore è suscettibile di compromettere, e
in quale misura, le funzioni e le capacità genitoriali.
SCHEDA 4. NON SOLO SEGNALAZIONE: L’INSEGNANTE E L’ISTITUZIONE
SCOLASTICA NELLA PREVENZIONE DEL DISAGIO INFANTILE
GLI INSEGNANTI CHIAMATI AD UN NUOVO RUOLO. Bambi-
ni e adolescenti trascorrono a scuola gran parte del loro
tempo, al suo interno vivono relazioni significative con coe-
tanei e adulti, sperimentano abilità sociali, costruiscono la
propria identità e la propria autostima. La scuola, dunque,
costituisce un osservatorio privilegiato per il monitoraggio
del loro benessere. Gli insegnanti sono risorse preziose in
quanto hanno modo di osservare i bambini, i loro cambia-
menti nel corso della crescita, rilevando eventuali situazio-
ni di sofferenza e disagio. Accade spesso che gli insegnanti
si trovino a gestire non solo i momenti di crisi legati alla cre-
scita, ma anche le difficoltà conseguenti a un ritardo men-
tale, l’aggressività che deriva da un disturbo della condotta,
o la sofferenza che segue al maltrattamento, alla trascura-
tezza, ad abusi sessuali vissuti in famiglia. È dunque evi-
dente come non si possa più delegare solo ai cosiddetti
esperti la promozione della salute mentale: sicuramente ci
si può avvalere della loro consulenza, nella consapevolezza
però che l’educazione e la promozione del benessere di un
bambino partono dalla famiglia e dalla scuola.
Ma a quale nuovo ruolo è chiamata la scuola? Si può affer-
mare che la scuola è chiamata ad intervenire nell’ambito
della prevenzione, ovvero nella promozione del benessere
globale del bambino. Prevenire significa, però, non solo li-
mitare i fattori di rischio, ossia quei fattori personali, fami-
liari o ambientali che sono in grado di incidere sulla proba-
bilità che il bambino sviluppi qualche forma di disagio, ma
anche e soprattutto potenziare i cosiddetti fattori protetti-
vi, che diminuiscono la probabilità che il benessere di un
bambino e la sua crescita siano compromessi. L’educazione
alla salute nella scuola italiana è prevista dal T.U. 309/90
del ministero della Salute ed è attualmente inserita nel-
l’ambito dell’educazione alla convivenza dalla legge
53/2003. La prevenzione si traduce quindi in diritto alla
salute, quale prerogativa irrinunciabile di cui la scuola do-
vrebbe farsi carico. In sintesi, la scuola può supportare la sa-
lute mentale dei bambini su tre livelli: ambientale, creando
un clima scolastico supportivo incentrato su cooperazione,
autostima e rispetto per gli altri; di programmazione, inse-
rendo progetti su tematiche come la prevenzione dell’abu-
so, del bullismo o la risoluzione dei conflitti; individuale,
offrendo specifico supporto agli alunni che presentano dif-
ficoltà di adattamento o veri e propri disturbi.
11
IL NUOVO RUOLO DEGLI INSEGNANTI: LA PREVENZIONE
PRIMARIA DELL’ABUSO SESSUALE. Con il termine «preven-
zione primaria» si intendono quelle attività di carattere
educativo rivolte all’intera popolazione, finalizzate ad evi-
tare l’insorgere di fattori di rischio generici. Le principali
aree di intervento devono riguardare: senso di appartenen-
za, che rappresenta la base per un adattamento positivo, per
la costruzione del sé, dell’autostima e del senso di fiducia
negli altri; adattamento al cambiamento, che riguarda il
compito di accompagnare i bambini ad adattarsi ai cam-
biamenti, anche a quelli che possono risultare stressanti dal
punto di vista emotivo; riconoscimento: è importante da-
re feed-back positivi per rinforzare comportamenti ade-
guati piuttosto che affidarsi al sistema delle punizioni; «fa-
re la differenza», dare il proprio originale apporto aumenta
l’autostima e rinforza la responsabilità individuale; rag-
giungere degli obiettivi: bisogna insegnare ai bambini a de-
finire degli obiettivi, a identificare strategie utili per conse-
guirli mobilitando le proprie risorse personali, ma anche a
comprendere quando hanno bisogno di aiuto, identifican-
do figure di riferimento che possono dare loro sostegno.
LA PREVENZIONE SECONDARIA: RICONOSCERE I SEGNALI.
La prevenzione secondaria è da intendersi come il ricono-
scimento precoce di eventuali fattori di rischio e segnali di
disagio presenti nel bambino e nell’adolescente. Il primo
passo che gli insegnanti possono compiere è quello di im-
parare a leggere e a riconoscere tutti quei campanelli d’al-
larme che possono precedere o accompagnare una situa-
zione di abuso. I segnali comportamentali “aspecifici” non
sono riconducibili ad un particolare tipo di abuso, ma pos-
sono indicare che il bambino sta vivendo una situazione di
disagio o sta attraversando un momento particolarmente
difficile. Si parla quindi di cautela interpretativa, ricordan-
do che nessun segnale preso isolatamente consente la dia-
gnosi, ma ogni campanello d’allarme va letto all’interno del
contesto di riferimento (Caffo et al., 2002).
LA PREVENZIONETERZIARIA: IL RUOLO DELLA SCUOLA NEL-
L’ASCOLTO E NELLA CURA. Per «prevenzione terziaria» si in-
tende l’insieme di interventi che hanno come obiettivo
quello di ridurre i danni e le conseguenze dopo che un even-
to negativo si è già verificato, evitando che questo si ripeta.
Intervenire tempestivamente in caso di abusi e maltratta-
menti permette di contenere possibili conseguenze di na-
tura biologica, fisica, psicologica e relazionale (a breve e a
lungo termine) che possono arrivare a compromettere la
crescita di un bambino causando difficoltà di diversa natu-
ra. Qualora un insegnante sia chiamato ad ascoltare il rac-
conto di un abuso subìto da un bambino, è necessario che
rispetti il suo punto di vista, i suoi vissuti e i suoi pensieri,
evitando di esprimere giudizi che potrebbero inibire il rac-
conto. L’insegnante non è tenuto ad avere competenze spe-
cifiche per l’ascolto del minore; dovrebbe però essere con-
sapevole che con il proprio stile relazionale e con le proprie
domande, può facilitare o ostacolare il percorso di “raccol-
ta della testimonianza” e di indagine. Meglio allora limitar-
si ad ascoltare, offrire il proprio sostegno evitando di in-
fluenzare il bambino o di sottoporlo a un “interrogatorio”
per raccogliere ulteriori elementi. È necessario che la scuo-
la si affianchi e sia coinvolta nei progetti di supporto e di so-
stegno predisposti dai servizi, contribuendo a rafforzare e
promuovere la ripresa del bambino, prevenendo le conse-
guenze negative che un abuso può produrre.
UN ESEMPIO DI LAVORO IN RETE: IL PROTOCOLLO DI MO-
DENA. Firmato nel 2005, il Protocollo d’intesa per le strategie
di intervento e prevenzione sull’abuso e la violenza all’infan-
zia e all’adolescenza si basa su di un modello multiagency.
Infatti in situazioni di abuso e di maltrattamento il bambi-
no è posto al centro di una rete di agenzie che, a fronte del-
le rispettive competenze, gestiscono i diversi livelli che un
abuso presenta: giuridico, medico, psicologico, educativo.
La scuola, secondo il Protocollo, è coinvolta nella preven-
zione secondaria e terziaria dell’abuso: deve promuovere
momenti di ascolto degli alunni; individuare nell’istituto
un referente per l’abuso e il maltrattamento; informare le
famiglie sulle situazioni di disagio riscontrate, coinvolgen-
dole nella risoluzione dei problemi e favorendo un dialogo
con i servizi; chiedere la consulenza dei servizi territoriali
sulle modalità da adottare per la gestione delle situazioni di
abuso e maltrattamento; partecipare agli incontri con gli
operatori dei servizi al fine di condividere informazioni e
progettare percorsi; predisporre momenti di formazione
dei docenti relativi alle modalità di ascolto del minore, rile-
vazione dei segnali di disagio e modalità di segnalazione.
SCHEDA 5. RAGAZZI SENZA SCUOLA.
I MINORI E LA DISPERSIONE SCOLASTICA
IL DROP OUT IN EUROPA. Secondo le stime dell’Unicef, so-
no circa 140 milioni i bambini nel mondo che non fre-
quentano la scuola (2003). L’impegno all’istruzione uni-
versale, preso dai Paesi partecipanti al Vertice mondiale per
l’infanzia nel 1990, è stato disatteso dalla maggior parte dei
Paesi che lo avevano sottoscritto. Il fenomeno dell’abban-
12
dono scolastico (conosciuto a livello internazionale con il
termine drop out) è un problema che riguarda molti Paesi
europei. Tanto è vero che nel corso della sessione straordi-
naria del Consiglio europeo di Lisbona tenuta nel 2000 so-
no state tracciate alcune linee guida per cercare di migliora-
re significativamente il sistema di istruzione. All’interno di
queste linee guida uno degli obiettivi principali è quello del
contrasto della dispersione scolastica. Nelle strategie di Li-
sbona è stato fissato il tetto del 10% quale percentuale mas-
sima di abbandono scolastico. I progressi manifestati nel-
l’ambito della formazione e dell’istruzione dai sistemi eu-
ropei sono ancora poco soddisfacenti. A sottolineare alcu-
ne inadempienze è il Rapporto annuale 2006 della Com-
missione Europea. I tassi di abbandono scolastico in Euro-
pa sono relativamente elevati, con forti difformità tra i Pae-
si membri. In generale i Paesi del Nord e alcuni nuovi Stati
membri dell’Est mostrano una migliore performance nel
combattere il fenomeno del drop out.
I risultati più soddisfacenti si registrano nei Paesi dell’Est,
con percentuali molto inferiori alla media dell’Ue a 25
(4,3%): in Slovenia (4,3), Polonia (5,5), Slovacchia (5,8),
Repubblica Ceca (6,4). L’Italia non eccelle (21,9): solo Spa-
gna (30,8), Portogallo (38,6) e Malta (44,5), fra i 25 Paesi
dell'Europa allargata, presentano percentuali più alte di ab-
bandono scolastico rispetto al nostro Paese. Altro allar-
mante segnale viene dalla capacità di comprensione dei te-
sti scritti: dal rapporto emerge che quasi uno studente eu-
ropeo su cinque a 15 anni non è in grado di leggere e capi-
re un testo. Il tasso di completamento della scuola superio-
re è, nell’Ue 25, pari al 77,3%, inferiore all’obiettivo fissa-
to per il 2010 (85%). Anche in questo caso si trovano tre
Paesi dell’Est tra quelli con i migliori risultati: Slovacchia
(91,5%), Slovenia (90,6) e Repubblica Ceca (90,3). L’Ita-
lia si colloca fra i nove Stati membri che sono ancora al di
sotto della percentuale richiesta: 72,9%, comunque in au-
mento rispetto al 2000, anno in cui la percentuale era del
68,8. Anche il Rapporto Ocse 2006 (dati 2005) evidenzia la
criticità della situazione italiana: il 22,2% dei giovani tra i
15 e 19 anni non ha una scolarizzazione secondaria. Il dato
è particolarmente allarmante se consideriamo che la nostra
è un’economia che dovrebbe puntare principalmente sulla
“conoscenza” come fattore competitivo. In questo senso,
per raggiungere i livelli di spesa degli Stati Uniti, l’Unione
Europea dovrebbe raddoppiare la quantità degli investi-
menti per gli studenti dell’istruzione superiore (un aumen-
to di circa 10mila euro annui per ogni studente).
IL CONTESTO ITALIANO. In Italia quasi uno studente su
quattro si perde per strada: lascia gli studi o viene respinto.
I dati della Commissione Europea mostrano una situazio-
ne preoccupante dal momento che l’Italia si classifica agli
ultimi posti per il tasso di conseguimento del diploma di
scuola superiore. Secondo quanto evidenziato nell’ultimo
Rapporto Unla, al 2001 sono quasi 20 milioni gli italiani
che non hanno conseguito l’obbligo, di almeno otto anni
di scolarità, previsto dalla Costituzione. L’Italia del Sud ap-
pare penalizzata, ma i valori sono molto alti anche nel resto
d’Italia. Anche in regioni notoriamente sviluppate i rap-
porti percentuali sono decisamente alti: Piemonte, Lom-
bardia, Veneto, Emilia Romagna e Toscana evidenziano
percentuali preoccupanti e, per certi versi, inattese. L’Italia
si posiziona terzultima su 26 Paesi, seguita soltanto dalla
Turchia e dalla Grecia.
L’Italia è, quindi, ancora cenerentola in Europa in termini
di istruzione scolastica. L’abbandono assume proporzioni
preoccupanti soprattutto nella fase adolescenziale. Nel-
l’ambito dell’istruzione superiore il confronto con gli altri
Paesi europei indica che solo il 71% dei ragazzi tra i 15 e 19
anni è iscritto a scuola, contro una media europea dell’81%
(anno 2002). Secondo gli ultimi dati forniti dal ministero
(riferiti all’anno scolastico 2004/05), su circa 2 milioni di
studenti delle prime quattro classi delle superiori la disper-
sione interessa 460mila ragazzi, oltre il 23%: di questi
289mila non sono stati promossi e 171mila hanno inter-
rotto a metà l’anno scolastico. Alcuni rapporti di questi ul-
timi anni (in particolare dell’Ires-Cgil, 2004) evidenziano
una forte corrispondenza tra condizione del lavoro minori-
le ed alto tasso di abbandono scolastico. Sembra esistere
uno stretto legame con il reddito familiare, in particolare
nelle regioni meridionali: il 36% dei figli di operai non va
oltre la terza media. Redditi bassi e scarsa sensibilizzazione
alla cultura sembrano procedere di pari passo. I ragazzi con
almeno un genitore laureato e reddito intorno ai 28mila
euro concludono gli studi nell’84% dei casi, contro il 5,3%
dei minori con genitori senza titolo di studio e stipendi
molto bassi. Se si focalizza l’attenzione su quella categoria
di popolazione maggiormente emarginata (senza titolo di
studio), all’interno del quadro delle arretratezze e degli
squilibri educativi del sistema Italia, esistono grandi disu-
guaglianze tra le diverse aree geografiche della Penisola. Sei
regioni meridionali sono a rischio di una deriva educativa
che, se non appropriatamente affrontata, può divenire
inarrestabile. Basilicata, Calabria, Molise, Sicilia e Puglia,
con percentuali superiori al 10%, mostrano le situazioni
più preoccupanti. Il problema non riguarda solo le aree ru-
rali ma anche le grandi metropoli, soprattutto del Mezzo-
giorno, in cui le periferie sono spesso, per i minori, luogo di
degrado e incubatrice per situazioni di abbandono scolasti-
co e, spesso, di ingresso verso il mondo dell’illegalità.
DISPERSIONE ANCHE AL NORD. Il fenomeno della disper-
sione scolastica non riguarda unicamente le regioni del
Mezzogiorno, ma per certi versi è trasversale e interessa an-
che molte regioni del Nord Italia. La Lombardia, ad esem-
pio, una delle regioni più ricche del nostro Paese, si distin-
gue in questo senso per un fenomeno del tutto particolare
dal momento che la dispersione scolastica va attribuita al
benessere economico e alla ricchezza. In questa regione il
sistema produttivo è talmente vasto da richiedere figure
professionali anche con bassa qualifica. Pertanto l’abban-
dono da parte degli studenti del primo anno della scuola
secondaria superiore è passato da una percentuale del 3,7%
nell’anno scolastico 2001/2002 al 4,5% nel 2003/2004.
AZIONI PER CONTRASTARE L’ABBANDONO SCOLASTICO.
Dal gennaio 2006 è stata istituita in Emilia Romagna un’a-
nagrafe per contrastare la dispersione scolastica. Si tratta di
uno strumento informatico in grado di individuare i ragaz-
zi tra i 14 e i 17 anni, seguendone i percorsi formativi e in-
tervenendo con la famiglia per tentare di riportarli all’in-
terno del percorso formativo. Particolarmente interessante
è l’esperienza al Gratosoglio (periferia milanese), che ha
consentito di recuperare allo studio 40 giovani del quartie-
re che avevano abbandonato la scuola. Il progetto prevede
l’implementazione di due sottoprogetti, denominati Scuo-
la Popolare e Scuola Bottega. Il primo si propone di accom-
pagnare i ragazzi a rischio di abbandono scolastico fino al
conseguimento della licenza media inferiore; il secondo di
avviare i giovani, che hanno conseguito il traguardo della
scuola dell’obbligo attraverso l’esperienza della Scuola Po-
polare, verso effettivi sbocchi formativi e/o professionali. Il
Veneto è una delle regioni che hanno mostrato la migliore
performance nel contrastare il fenomeno. Ha saputo, in
pochi anni, dimezzare la dispersione scolastica (riducendo
a 120mila, nell’anno scolastico 2004/2005, il numero di
ragazzi che abbandonano il percorso di studi) e passare ad
un tasso di scolarizzazione del 77%, superiore sia alla me-
dia italiana (71) che a quella europea (76). Il Comune di
Roma ha previsto la costituzione di un Osservatorio cittadi-
no sul fenomeno della dispersione scolastica (www.osservato-
rio-dispersione scolastica.it) che si inserisce in un più am-
pio quadro di interventi che l’assessorato e il dipartimento
alle Politiche educative stanno portando avanti dal 2001
con le scuole della capitale. Il Comune ha predisposto in-
terventi specifici per ridurre il fenomeno della dispersione,
tra cui diverse ricerche mirate a far emergere il fenomeno.
Tra le varie iniziative intraprese nel Sud in questi anni, si ci-
ta il Progetto drop out, esperienza pilota per la sperimenta-
zione di un servizio indirizzato a diffondere la cultura dello
studio nei territori di Cagliari, Vibo Valentia e Siracusa. Per
sconfiggere la “fuga dalla aule” la Regione Campania ha
stanziato 2,5 milioni di euro da destinare a 50 istituti che
presentano progetti concreti per l’utilizzo delle scuole nelle
ore pomeridiane. Il progetto Scuole aperte è partito nel mag-
gio 2006 con l’obiettivo di rafforzare sul territorio la pre-
senza delle istituzioni e allontanare i giovani dalla crimina-
lità. Nella provincia di Salerno sono stati promossi, a parti-
re dall’anno didattico 2004-2005, dei corsi tenuti da socio-
logi, psicologi e rappresentanti delle Forze dell’ordine in di-
versi istituti scolastici per spiegare l’importanza di conse-
guire un titolo di studio, di possedere un bagaglio cultura-
le e di evitare i percorsi che conducono alla criminalità. La
Regione Puglia ha finanziato, nel 2004, 34 progetti per pre-
venire la dispersione e l’abbandono scolastico. Tali proget-
ti sono stati presentati dagli enti di formazione con il coin-
volgimento degli istituti scolastici e riguardano percorsi
formativi sperimentali di istruzione e formazione profes-
sionale, rivolti ai ragazzi che hanno conseguito la terza me-
dia e non hanno intenzione di continuare gli studi o non
hanno concluso il ciclo formativo. La Giunta regionale del-
la Sardegna ha approvato, nel 2006, il disegno di legge sul-
l’istruzione e la formazione e ha stanziato 5 milioni di euro
per le borse di studio destinate agli studenti delle scuole me-
die e superiori che vivono in famiglie economicamente
svantaggiate. Secondo i dati forniti nel gennaio del 2006
dall’Ufficio scolastico regionale, in Sicilia gli sforzi per in-
vertire la tendenza hanno portato, negli ultimi anni, ad un
primo incoraggiante cambiamento di un trend che si era
mantenuto costantemente negativo. La Sicilia è la regione
italiana che ha chiesto il maggior numero di fondi alla Co-
munità Europea per contrastare il fenomeno dell’abban-
dono scolastico (47 milioni di euro).
13
SCHEDA 6. FUORI DAL MONDO
LA POVERTÀ DEI PAESI RICCHI. La situazione in Italia è gra-
ve, gravissima nel Mezzogiorno, dove vivono i bambini più
poveri d’Europa. Secondo le stime della Banca d’Italia, il
20% dei minorenni italiani vive in condizioni di forte disa-
gio economico. I più recenti studi sulla condizione dei
bambini e degli adolescenti in Italia e nel mondo eviden-
ziano come la crescita dei minori poveri sia un fenomeno
che riguarda non solo, come ci si potrebbe aspettare, le eco-
nomie meno avanzate, ma anche le ricche democrazie oc-
cidentali. Nel corso degli anni 90, in ben 17 dei 24 Paesi
Ocse per i quali sono disponibili dati comparabili, la pro-
porzione di bambini poveri è cresciuta. Il Paese europeo do-
ve si registra il più alto tasso di povertà infantile (16,6%) è
proprio l’Italia. Le percentuali superano il 20% negli Stati
Uniti e nel Messico, mentre a registrare i livelli più bassi so-
no i Paesi nordici. Il Regno Unito, che presenta attualmen-
14
te un tasso del 15,4%, ha ridotto notevolmente la percen-
tuale di povertà minorile, mentre la Norvegia è l’unico Pae-
se nel quale la povertà infantile può essere descritta come
molto bassa e in costante diminuzione.
IL REDDITO E LE ALTRE MISURE DELLA POVERTÀ. In Italia,
secondo i dati forniti dall’Istat per il 2005, sono 2 milioni
585mila le famiglie che vivono in condizione di povertà re-
lativa (l’11,1% delle famiglie residenti). Nel 2005 vi sono
stati alcuni lievi segnali di miglioramento rispetto al 2004,
anno in cui si è stata registrata un’incidenza dell’11,7% di
famiglie povere. Tra il 2003 e il 2004, invece, gli unici se-
gnali positivi si registravano al Nord, dove l’incidenza della
povertà si riduceva dal 5,5% al 4,7, mentre cresceva al Cen-
tro (dal 5,8% al 7,3) e, in misura maggiore, al Sud (dal
21,6% al 25). Nel 2005, invece, la situazione migliora leg-
germente in tutte le aree geografiche considerate (4,5% al
Nord e 6 al Centro); tuttavia si può parlare di una certa sta-
bilità del fenomeno. Inoltre, il Mezzogiorno mantiene ele-
vati livelli di povertà (24%), confermando ancora una vol-
ta l’esistenza di un notevole divario tra il Nord e il Sud del
Paese. L’incidenza della povertà tra le famiglie con minori
assume connotazioni sempre più marcate man mano che
aumenta il numero dei figli. Nelle regioni meridionali, le
famiglie povere raggiungono il 42,7% quando si conside-
rano i nuclei con tre o più figli. E le famiglie con figli mino-
ri hanno una probabilità più elevata rispetto alle altre, non
solo di essere povere, ma anche di rimanere in questa con-
dizione. Le famiglie monogenitore risultano particolar-
mente svantaggiate (13,4% nel 2005 contro il 12,8
del2004) e fanno registrare livelli di povertà superiori alla
media. Molte situazioni reali di bambini che crescono in
stato di grave privazione non sono rispecchiate dai parame-
tri correnti sulla povertà. Si fatica infatti a cercare un con-
senso unanime sulle definizioni e sugli indicatori. La mul-
tidimensionalità del fenomeno, poi, rende l’operazione
particolarmente complessa. È molto importante, in que-
st’ottica, l’approccio adottato dall’Unione Europea. In se-
de comunitaria, infatti, la lotta alla povertà si inquadra nel
più ampio progetto di eliminare l’esclusione sociale dal ter-
ritorio dell’Unione. Un progetto politico importante, an-
che solo per il fatto di aver individuato un set di parametri
comuni a tutti gli Stati membri per la misurazione del fe-
nomeno povertà. Pur non essendo in alcun modo esausti-
vo, il reddito rimane uno dei principali indicatori di riferi-
mento. Quando parliamo di povertà di reddito, inoltre, è
importante precisare che le principali statistiche disponibi-
li fanno riferimento alla povertà relativa e non a quella as-
soluta. Una definizione di povertà che sia utilizzabile sarà
sempre relativa a un tempo e a un luogo. Ne deriva che le
soglie della povertà basate sul reddito devono essere stabili-
te in relazione ai redditi tipici, e devono essere regolarmen-
te aggiornate rispetto, ad esempio, ai livelli di inflazione.
Quindi, la povertà è definita in base a un determinato di-
vario rispetto al reddito mediano della società (nei Paesi del-
l’Unione europea il basso reddito è generalmente definito
come inferiore al 60% del reddito mediano).
TASSO D’OCCUPAZIONE FEMMINILE COME INDICATORE
DELLA POVERTÀ. Poiché la quasi totalità dei monogenitori
sono donne, e poiché è molto forte il legame esistente tra
povertà e partecipazione al mercato del lavoro, il tasso di
occupazione femminile risulta essere un altro importante
indicatore connesso alla povertà minorile. Poiché tra i due
fenomeni esiste una relazione inversa, l’aumento dell’oc-
cupazione delle donne risulta di cruciale importanza al fine
di ridurre le probabilità per un bambino di vivere in condi-
zioni di povertà. L’occupazione femminile ha subìto, nel
quarto trimestre 2005, una riduzione di 0,2 punti percen-
tuali rispetto allo stesso periodo del 2004 (con riguardo al-
la popolazione di età fra i 15 e i 64 anni). Nel primo trime-
stre 2006, l’andamento negativo si conferma solo per le
donne che rientrano nella fascia d’età 15-24 anni, con un
tasso di occupazione del 20,4% e una riduzione di 0,3 pun-
ti percentuali rispetto al primo trimestre 2005.
DIFFICOLTÀ DI ACCESSO AI SERVIZI PER L’INFANZIA. Da
un’indagine realizzata dall’Istat nel 2002 emerge l’esistenza
di una quota ancora elevata di famiglie che si dichiarano in
difficoltà nell’accedere ai servizi offerti per l’infanzia
(16,4%). Al Nord, in particolare, nonostante l’offerta di
asili pubblici e privati sia oggettivamente più elevata rispet-
to al resto d’Italia, ci sono ancora molte famiglie in diffi-
coltà. Ciò si spiega col fatto che le regioni settentrionali so-
no anche quelle in cui si registrano i più alti tassi di parteci-
pazione femminile al mercato del lavoro. La domanda del
servizio, quindi, è maggiore e non riesce ad essere piena-
mente soddisfatta malgrado la presenza di un’offerta com-
parativamente più elevata.
DISPERSIONE SCOLASTICA.Tra i fattori di rischio povertà si
annovera anche il tasso di dispersione scolastica. L’Unione
Europea ha dimostrato, nel corso degli ultimi anni, una no-
tevole sensibilità rispetto a questa tematica alimentando un
vivace dibattito e stanziando cospicui fondi per cercare di
raggiungere l’obiettivo di dimezzare entro il 2010 il tasso
attuale dell’abbandono scolastico (la media europea si atte-
sta intorno al 19%). In Italia, ancora una volta, è confer-
mata la più intensa concentrazione di situazioni di disagio
nelle regioni del Mezzogiorno. Si segnala comunque un da-
to positivo: in tutta la Penisola il tasso di dispersione tende
generalmente a diminuire. Nelle scuole elementari, inol-
tre, la dispersione scolastica ha raggiunto una soglia defini-
bile come “fisiologica”, difficilmente migliorabile, poiché
15
vi sono molti casi di abbandono scolastico dovuta a trasfe-
rimenti o ritiri di alunni “nomadi”.
DALLA POVERTÀ ALLO SFRUTTAMENTO. La “cultura della
povertà” è un vero e proprio ecosistema: un’interazione tra
individui, famiglie, servizi pubblici, alloggio, trasporti, op-
portunità economiche nonché fattori ambientali quali
paura, squallore e violenza. Dalla povertà minorile allo
sfruttamento, il passo è breve. In molte famiglie povere si
riscontra una propensione favorevole al lavoro precoce dei
figli (Ires-Cgil, 2005). Le dimensioni del fenomeno sono
impressionanti: i minorenni sfruttati nel nostro Paese sa-
rebbero numerosissimi. Si inizia, generalmente, fra gli 11 e
i 14 anni a sperimentare collaborazioni occasionali, quasi
sempre sotto la spinta della famiglia stessa. Si cominciano a
delineare le prime difficoltà nel percorso formativo e si co-
mincia a convertire la spinta familiare in motivazione per-
sonale alla ricerca di un percorso di autonomia individua-
le. Infine, le esperienze lavorative si trasformano in lavori
alternativi alla formazione scolastica.
SCHEDA 7. LAVORO MINORILE
LO SCENARIO INTERNAZIONALE. Il Rapporto dell’Organiz-
zazione internazionale del lavoro (2006) registra per la pri-
ma volta una netta riduzione del lavoro minorile nel mon-
do, specie nelle sue forme peggiori. Tanto che, se l’attuale
tendenza continuerà e non verrà meno la mobilitazione
mondiale per l’abolizione del lavoro minorile, le forme peg-
giori di lavoro minorile potrebbero essere eliminate entro
dieci anni. Nonostante questi dati positivi ancora oggi nel
mondo un minore su sette è coinvolto in qualche forma di
lavoro. Tra il 2000 e il 2004 a livello mondiale, il numero di
lavoratori minorenni è sceso dell’11%, da 246 milioni a
218 milioni. La diminuzione più importante si registra nei
lavori pericolosi con 126 milioni di lavoratori minorenni
nel 2004, invece dei 171 milioni stimati nel 2000, con un
calo del 26% nella fascia di età 5-17 anni; per la fascia d’età
5-14 anni, invece, la diminuzione nei lavori pericolosi rag-
giunge anche il 33%. Nel mondo circa 7 minori su 10 so-
no inseriti nel settore agricolo, il 22% lavora nel settore dei
servizi, il 9% nell’industria, le miniere o l’edilizia. Il costo
stimato per la definitiva abolizione del lavoro minorile è di
760 miliardi di dollari su un periodo di circa 20 anni. I be-
nefici in termini di istruzione e di salute si stimano in oltre
4mila miliardi di dollari. I benefici economici dovrebbero
essere almeno sei volte superiori ai costi.
IL LAVORO MINORILE IN ITALIA. Le stime più recenti dell’I-
stat (2000) parlano di 147.285 ragazzi trai 7 e i 14 anni che
svolgono qualche attività lavorativa. Il lavoro minorile non
è prerogativa del Sud del Paese e lo sfruttamento non assu-
me solo la fisionomia della schiavitù e del lavoro forzato.
Bambini e ragazzi italiani, infatti, sono impiegati soprat-
tutto presso aziende piccole. Nel Centro-Nord il minore
lavora in genere all’interno della microimpresa familiare,
mentre nel Sud spesso lavora per terzi. Negli ultimi anni il
fenomeno ha coinvolto in maniera crescente bambini e
adolescenti stranieri spesso vittime delle forme peggiori di
sfruttamento. Il lavoro minorile non proviene più solo da
famiglie povere, ma anche da famiglie in condizioni eco-
nomicamente più vantaggiose, che scoprono nel lavoro mi-
norile un moltiplicatore del tenore di vita familiare, feno-
meno che accomuna stranieri e italiani. Ne sono esempio
le famiglie benestanti del Nord-Est che inseriscono i mino-
ri precocemente nelle imprese familiari già avviate ricono-
scendo tale esperienza altamente formativa per il figlio, in
termini di strutturazione non solo di un’identità professio-
nale, ma anche personale.
INFORTUNI SUL LAVORO. Nel 2005 gli infortuni sul lavoro
denunciati dalle aziende sono stati 844.852, di questi
8.382 hanno riguardato minori fino a 17 anni. Nella mag-
gior parte dei casi si è trattato di maschi (6.538). Dagli
infortuni indennizzati a tutto il 30 aprile 2006 risulta che,
in questa fascia d’età, sono state registrate 5 morti. L’infor-
tunio ha causato una inabilità permanente in 83 casi, men-
tre in 3.502 casi una inabilità temporanea.
MINORI STRANIERI: UN LAVORO SOMMERSO. L’entità del
coinvolgimento dei minori stranieri risulta di difficile
quantificazione: infatti, nella maggior parte dei casi si trat-
ta di lavori svolti all’interno di un’economia informale o del
“sommerso”. Il lavoro dei minori stranieri si diversifiche-
rebbe anche tra lavori visibili e invisibili. Tra le molteplici
attività visibili rientrano, per esempio, la vendita ambulan-
te nelle città o sulle spiagge, la pulizia dei vetri ai semafori,
che attirano l’attenzione pubblica e avvicinano queste espe-
rienze alla realtà quotidiana di ogni cittadino. Mentre le at-
tività meno visibili sono le attività domestiche o i lavori
svolti all’interno di laboratori. L'attività lavorativa più dif-
fusa tra i minori stranieri di età tra i 7-14 anni è quella del-
l’aiuto familiare che consiste in: aiuto ai genitori con il pro-
prio lavoro, aiuto nelle faccende domestiche e nella cura dei
fratelli minori, mediazione-interpretariato per i genitori ri-
spetto alla società italiana (attività che non si limita alla so-
la presenza in termini di traduttori ma comporta l’assun-
16
zione di compiti da “adulti” negli impegni sociali). Il lavo-
ro all’esterno della famiglia prevale, generalmente, per le
età superiori, tra i 15 e i 18 anni. In queste situazioni i mi-
nori, sia italiani che stranieri, pur continuando a frequen-
tare la scuola dell’obbligo, svolgono attività di supporto al-
la gestione di esercizi commerciali, spesso legati alla ristora-
zione, o di aiuto a lavori di piccola edilizia o manutenzione.
LAVORO MINORILE E FAMIGLIA. Esistono alcune caratteri-
stiche familiari legate al lavoro minorile: scarsa occupazio-
ne delle donne, famiglie mono-reddito, famiglie monoge-
nitoriali, famiglie numerose. Nelle famiglie in cui è basso il
livello di istruzione dei genitori si riscontra una propensio-
ne favorevole al lavoro precoce dei minori ritenendo che
per i loro figli sia meglio lavorare che stare in strada e che il
lavoro possa risultare più utile della scuola nell’inserimen-
to sociale del proprio figlio.
UNA REALTÀ RADICATA ANCHE NEL MONDO “AVANZATO”.
Il lavoro minorile si colloca all’interno dell’economia infor-
male piuttosto che formale, si presenta nella forma di “la-
vori” più che di “lavoro”, sia per le diverse attività che i mi-
nori si trovano a dover svolgere, sia per le diverse motiva-
zioni che conducono ad un inserimento precoce nel mon-
do lavorativo. Da una parte, vi è una situazione lavorativa
di vero e proprio sfruttamento, il child labour, caratterizza-
to da sforzo e fatica notevoli, mansioni rischiose, impossi-
bilità di una normale frequenza scolastica e a basso salario
e, dall’altra, un lavoro non necessariamente diseducativo o
lesivo dello sviluppo psico-fisico del bambino, il child
work. Le numerose forme oggi esistenti di lavoro minorile
possono essere suddivise in sei tipologie principali, nessuna
delle quali risulta confinata in una sola regione del mondo.
Si tratta di: lavoro domestico; lavoro forzato o in condizio-
ne di schiavitù; sfruttamento sessuale a fini commerciali;
lavoro nelle industrie e nelle piantagioni; lavoro di strada;
lavoro in famiglia. È inesatto pensare che il lavoro minorile
sia esclusivamente un problema delle aree sottosviluppate
e/o in via di sviluppo, che esso rappresenti la conseguenza
naturale ed inevitabile della povertà, che la maggior parte
dei minori lavori presso aziende che producono beni a bas-
so costo destinati all’esportazione, che istruzione e lavoro
siano antagonisti. Il lavoro minorile è una realtà presente
anche nel mondo “avanzato”.
SCHEDA 8. LA LEGGE 38: QUALI PROSPETTIVE E QUALI POSSIBILITÀ
La legge 6 febbraio 2006, n. 38, contenente «Disposizioni
in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bam-
bini e la pedopornografia anche a mezzo Internet», ha mo-
dificato notevolmente la disciplina dei delitti contro l’inte-
grità psico-fisica dei minori, di cui agli artt. 600 bis e ss. del
Codice penale. La quasi totalità delle modifiche proposte
alla previgente disciplina va nella direzione di una piena at-
tuazione degli atti internazionali ed europei in materia e,
comunque, di un inasprimento della normativa introdotta
dalla legge 3 agosto 1998, n. 269.
I DOCUMENTI INTERNAZIONALI ED EUROPEI. Il documen-
to internazionale più importante in materia di pedoporno-
grafia su Internet è rappresentato dalla Convention on Cy-
bercrime del Consiglio d’Europa, aperta alla firma a Buda-
pest il 23 novembre 2001 (ratificata ad oggi da 16 Stati
membri del Consiglio d’Europa e dagli Usa). L’art. 9 della
Convenzione ricomprende espressamente tra le forme di
realizzazione dei reati informatici anche la produzione, l’of-
ferta o messa a disposizione, la trasmissione o distribuzione
e il procurarsi o il detenere materiale pedopornografico al
fine della diffusione. Ma la novità più rilevante riguarda
l’assimilazione tra le immagini pornografiche di bambini
reali e le rappresentazioni pedopornografiche realistiche,
cioè quelle di soggetti virtuali o simili che appaiono mino-
ri. Un altro atto fondamentale di diritto internazionale è la
Convenzione Onu di Palermo sulla criminalità organizza-
ta transnazionale, del 2000, in cui viene affermato che, per
contrastare efficacemente la tratta degli esseri umani, in tut-
te le legislazioni nazionali devono assumere rilevanza pena-
le determinate condotte di tratta e riduzione in schiavitù
volte allo sfruttamento delle vittime, tra le quali vengono
inseriti lo sfruttamento sessuale, lo sfruttamento della pro-
stituzione e la pedopornografia. In ambito europeo, il pun-
to di riferimento per la riforma dei reati di pornografia mi-
norile è la Decisione quadro n. 2004/68/Gai sul contrasto
alla pedopornografia, approvata dal Consiglio dei ministri
dell’Ue il 22 dicembre 2003.
PROSTITUZIONE MINORILE: LA RIFORMA DELL’ART. 600 BIS
DEL CODICE PENALE. La legge 38/06 non modifica la fatti-
specie prevista dal 1° comma dell’art. 600 bis del Codice
penale, che attribuisce rilevanza penale all’induzione, al fa-
voreggiamento e allo sfruttamento della prostituzione mi-
norile. Quanto al concetto di induzione, esso richiama i
comportamenti di persuasione, determinazione o raffor-
zamento della decisione altrui di prostituirsi, mentre nel fa-
voreggiamento può ricomprendersi ogni condotta che age-
vola la prostituzione del minore; lo sfruttamento consiste,
invece, nel trarre utilità dalla prostituzione minorile, essen-
17
do sufficiente un solo impiego del minore in questa atti-
vità, tale, per propria natura e per la particolare condizione
del soggetto passivo, da pregiudicarne lo sviluppo psico-fi-
sico. Con l’intervento riformatore del 2006 ha inoltre as-
sunto per la prima volta rilevanza penale il comportamen-
to del cliente, ossia di colui che compie atti sessuali con un
minore di età compresa tra i 14 e i 16 anni, in cambio di de-
naro o di altra utilità economica. Nella formulazione at-
tuale, innanzitutto, la punibilità del cliente viene estesa al-
le ipotesi in cui il soggetto che offre atti sessuali in cambio
di denaro o di altra utilità economica ha più di 16 anni e
meno di 18. Ne consegue il venir meno della precedente la-
cuna di tutela sul piano penale per cui il cliente era punito
soltanto se la vittima era infrasedicenne. Ora per i casi di
vittima di età inferiore ai 16 anni è prevista una nuova ag-
gravante ed è radicalmente mutato il regime sanzionatorio.
Se prima il cliente dell’infrasedicenne era punito con la re-
clusione da 6 mesi a 3 anni o con la multa, oggi con l’ag-
gravante la reclusione va dai 2 ai 5 anni.
LE MODIFICHE ALLA DISCIPLINA DELLA PORNOGRAFIA MI-
NORILE: ELIMINAZIONE DELLA NOZIONE DI SFRUTTAMEN-
TO. Con la novella del 2006 scompare il termine «sfrutta-
mento» e la condotta tipizzata è quella di chi realizza esibi-
zioni pornografiche o produce materiale pornografico uti-
lizzando infradiciottenni oppure induce i medesimi a par-
tecipare a esibizioni pornografiche. Per la configurabilità
del reato in esame, pertanto, è sufficiente la mera utilizza-
zione dei minorenni per realizzare esibizioni pornografiche
o produrre materiale pornografico, indipendentemente da
qualunque finalità di carattere lucrativo o commerciale. Il
legislatore, inoltre, ha previsto al quarto comma la condot-
ta di offerta, anche a titolo gratuito, di materiale pornogra-
fico, intendendo in tal modo attribuire rilievo penale ad un
comportamento prodromico alla concreta cessione di que-
sto materiale. Il risultato che ne consegue è quello di un’ul-
teriore anticipazione dell’intervento penale in materia.
LA NUOVA FATTISPECIE DI DETENZIONE DI MATERIALE POR-
NOGRAFICO. Con l’intervento riformatore del 2006, che
prevede, anche per il reato di detenzione di materiale por-
nografico, l’applicazione congiunta di pena pecuniaria e
detentiva, il materiale la cui detenzione è reato non è più
quello prodotto attraverso lo sfruttamento sessuale dei mi-
nori, quanto quello realizzato utilizzando i minori .
LA PEDOPORNOGRAFIA VIRTUALE. La legge 38/06 attribui-
sce rilevanza penale alla pornografia virtuale. Il legislatore
tenta di fornire una definizione di immagini virtuali, da in-
tendersi quali «immagini realizzate con tecniche di elabo-
razione grafica non associate in tutto o in parte a situazioni
reali, la cui qualità di rappresentazione fa apparire come ve-
re situazioni non reali». Saranno, pertanto, ricomprese nel-
le immagini virtuali tutte quelle realizzate sovrapponendo
ad un corpo adulto che compie atti sessuali il volto di un
minore o quei disegni ottenuti mediante l’impiego di mec-
canismi informatici tali da rendere non evidente il confine
tra realtà e apparenza (es. immagini nei video giochi o nei
film di animazione). Non rientreranno nella sfera di appli-
cazione della norma quei disegni pornografici prodotti sen-
za l’utilizzo di tecniche di elaborazione grafica o che non
fanno sembrare vere situazioni non reali.
MISURE AMMINISTRATIVE E FINANZIARIE. Con la riforma
vengono, innanzitutto, costituiti due organismi, con atti-
vità specifica di monitoraggio e contrasto del fenomeno. Si
tratta del Centro nazionale per il contrasto della pedopor-
nografia sulla rete Internet e dell’Osservatorio per il contra-
sto della pedofilia e della pornografia minorile. Istituito
presso il ministero dell’Interno, ha «il compito di raccoglie-
re tutte le segnalazioni, provenienti anche dagli organi di
polizia stranieri e da soggetti pubblici e privati impegnati
nella lotta alla pornografia minorile, riguardanti siti che
diffondono materiale concernente l’utilizzo sessuale dei
minori avvalendosi della rete Internet e di altre reti di co-
municazione, nonché i gestori e gli eventuali beneficiari dei
relativi pagamenti». Inoltre, provengono al Centro le infor-
mazioni trasmesse dall’Ufficio italiano cambi riguardanti
operazioni (compiute dai beneficiari) di pagamenti attra-
verso moneta elettronica per la commercializzazione di ma-
teriale pedopornografico sulla rete.
L’Osservatorio, presso la Presidenza del Consiglio dei mi-
nistri - Dipartimento per le Pari opportunità, ha invece «il
compito di acquisire e monitorare i dati e le informazioni
relativi alle attività, svolte da tutte le pubbliche ammini-
strazioni, per la prevenzione e la repressione della pedofilia.
A tale fine è autorizzata l’istituzione presso l’Osservatorio
di una banca dati per raccogliere, con l’apporto dei dati for-
niti dalle amministrazioni, tutte le informazioni utili per il
monitoraggio del fenomeno». Inoltre, sono previsti obbli-
ghi per i fornitori dei servizi resi mediante reti di comuni-
cazione elettronica e i fornitori di connettività alla rete In-
ternet. I primi, infatti, nel caso in cui ne vengano a cono-
scenza, devono segnalare al Centro le imprese o le persone
che, a qualunque titolo, diffondono, distribuiscono o fan-
no commercio, pure per via telematica, di materiale pedo-
pornografico e comunicare tempestivamente ad esso, che
ne faccia richiesta, ogni informazione sui contratti con que-
ste imprese o persone. I fornitori di connettività ad Inter-
net, invece, hanno l’obbligo di utilizzare gli strumenti di
filtraggio e le relative soluzioni di tipo tecnologico, rispon-
denti ai requisiti previsti da specifico decreto del ministro
delle Comunicazioni, allo scopo di impedire l’accesso ai si-
ti indicati dal Centro.
18
SCHEDA 9. I PRIMI ANNI DEL SERVIZIO EMERGENZA INFANZIA 114
LA CASISTICA DEL 114. Dal 1° gennaio 2006 (data in cui il
servizio è stato esteso a livello nazionale) il 114 ha accolto
mediamente 4mila chiamate al giorno, cui hanno fatto ri-
scontro complessivamente 1.026 interventi in emergenza.
Dall’inizio del servizio al 19 settembre 2006 il 114 Emer-
genza Infanzia ha gestito un totale di 1.959 interventi in
emergenza. Il 47,6% dei casi gestiti (933) sono pervenuti
dal 26 marzo 2003 al 31 dicembre 2005 - periodo in cui il
servizio era attivo in sei regioni italiane - mentre il 52,4%
(1.026 casi) è stato gestito nei primi nove mesi del 2006,
con una media di 114 casi al mese. La media mensile dei
casi è, quindi, quadruplicata rispetto al periodo preceden-
te. In quali fasce orarie sono pervenuti i casi? Il 114 riceve il
maggior numero di telefonate dalle 9 alle 24. Una percen-
tuale significativa di richieste di aiuto, però, perviene al di
fuori dell'“orario d'ufficio”, ovvero dalle 18 alle 9 del mat-
tino: se nel primo periodo (26 marzo 2003-31 dicembre
2005) è stato gestito in questa fascia oraria il 33% dei casi,
nel secondo periodo (1° gennaio-19 settembre 2006) la
percentuale è salita al 36,3%. A partire dal 1°gennaio 2006,
quasi una chiamata su quattro, il 23,4% del totale degli in-
terventi, è pervenuta nei fine settimana.
Le regioni da cui sono pervenute più richieste di aiuto, nel
secondo periodo, sono le sei in cui il 114 era già attivo
(Lombardia 17,2%; Lazio 16,7; Piemonte 10,2; Emilia
Romagna 8,4; Sicilia 8,1; Veneto 7,6). L’unica eccezione è
costituita dalla Campania, di recente apertura, la cui per-
centuale di interventi (9,8) è stata fin da subito molto ele-
vata, come per le regioni Puglia e Toscana (rispettivamente
5,6 e 5,2%).
CARATTERISTICHE DEL CAMPIONE. Emerge una leggera
prevalenza di bambini e adolescenti di sesso maschile
(50,9% nel primo periodo e 54,7 nel secondo). La classe di
età più rappresentata è quella da 0 a 10 anni (62% nel pri-
mo periodo e 67,2 nel secondo). Al crescere dell’età del mi-
nore, si rileva dunque una diminuzione delle percentuali di
richieste di intervento in emergenza. Se nel primo periodo
la percentuale di casi relativi a minori stranieri per cui è sta-
to richiesto un intervento era circa un quarto del totale
(24,9%), da gennaio questa percentuale è aumentata fino a
raggiungere circa un terzo del campione totale (27,6).
LE PROBLEMATICHE RIFERITE. Nell’analisi della casistica
gestita è stata prevista una distinzione tra due macroaree: le
emergenze (es. abuso fisico, abuso sessuale, accattonaggio,
lavoro minorile, ecc.); le altre problematiche (es. disagio
emotivo/psichico, disturbo fisico, difficoltà relazionali,
ecc.). La percentuale relativa ai casi di emergenza ha subito
un incremento, anche se lieve, nel secondo periodo (54,9%
contro 57), laddove è diminuito il numero delle “altre pro-
blematiche” (39,5% contro 33,4). Per quanto riguarda la
frequenza delle singole tipologie di emergenza, nel 2006
sono stati rilevati valori leggermente più bassi rispetto all’a-
buso fisico (6%) e alla trascuratezza (patologia della cura,
6,8), mentre non subiscono cambiamenti significativi le
percentuali relative alle altre forme di violenza di cui il bam-
bino è vittima diretta (abusi psicologici, 8,4; abusi sessuali,
4) o situazioni di violenza tra adulti di cui bambini e adole-
scenti sono testimoni (violenza domestica, 7,5).
È evidente come l’estensione a livello nazionale abbia, al
contrario, fatto emergere alcune problematiche: in parti-
colare, risalta con forza il tema dell’accattonaggio che ca-
ratterizza ben il 14,8% degli interventi realizzati. Si regi-
stra, inoltre, un incremento nelle segnalazioni di situazioni
di emergenze connesse alla scomparsa di minori (3%) e ai
comportamenti a rischio/devianti (2,7’).
Sia nel primo (58,6%) sia nel secondo periodo (52,3’) di
attività del servizio 114, la maggior parte delle situazioni di
emergenza sono avvenute in casa, sono cioè di natura in-
trafamiliare. Non sorprende quindi che la tipologia del pre-
sunto responsabile sia nel 44,3% dei casi la madre e nel
33,4% il padre. Un’elevata percentuale di situazioni si veri-
fica però anche per strada (28,3’) e in particolare si tratta di
casi di accattonaggio. Il 6,7% delle situazioni segnalate si
verifica invece a scuola; questa percentuale potrebbe essere
correlata da una parte all’aumento del fenomeno del bulli-
smo e dall’altra al fatto che nel 2,9% dei casi è proprio un
coetaneo il responsabile della situazione di emergenza.
CHI SI RIVOLGE AL 114? È prevalentemente un adulto
(96%) a contattare il Servizio: nel 33,3% dei casi chi chia-
ma il 114 è la madre o il padre del minore, nel 16,8 è un
estraneo e nel 15,9 un vicino di casa. Il servizio telefonico
connesso al codice di pubblica emergenza 114, individua-
capitolo 2
DEVIANZA, EMERGENZA
E DISAGIO
19
to e definito dal decreto interministeriale 14 ottobre 2002,
è accessibile da parte di chiunque intenda segnalare situa-
zioni di emergenza e disagio, anche derivanti da immagini,
messaggi e dialoghi diffusi attraverso mezzi di comunica-
zione di massa, che possano nuocere allo sviluppo psico-fi-
sico di bambini e adolescenti. Il servizio è accessibile 24 ore
su 24, tutti i giorni dell’anno, senza oneri per il chiamante
e con addebito della telefonata a carico del servizio univer-
sale. È organizzato nella prospettiva di fornire, a chiunque
si trovi sul territorio nazionale, assistenza psicologica non-
ché consulenza psico-sociale e gli occorrenti collegamenti
con le strutture territoriali competenti in ambito sanitario,
sociale e di sicurezza (art. 2, decreto 6 agosto 2003).
L’operatività del 114 si fonda sulla consapevolezza che la
tutela dei bambini e degli adolescenti necessita di interven-
ti integrati e di un lavoro sinergico fra i diversi referenti isti-
tuzionali, nel rispetto della diversità di ruolo, di funzione e
delle metodologie operative. L’efficacia di questi interventi
può essere garantita solo se si evitano duplicazioni e so-
vrapposizioni, e si riesce a fornire una chiave di lettura
esperta dell’emergenza segnalata nonché una gestione in-
tegrata del flusso informativo. In questo quadro, sono stati
promossi e costruiti dei piani di coordinamento a livello re-
gionale di tutti i servizi preposti alla presa in carico del disa-
gio e delle emergenze che coinvolgono bambini e adole-
scenti italiani e stranieri, con l’obiettivo di creare un effica-
ce raccordo delle procedure di intervento e delle politiche
necessarie nel superiore interesse dei fanciulli.
IL MODELLO DI INTERVENTO DEL 114. Il servizio di rispo-
sta telefonica è attualmente gestito da due call center nazio-
nali, il primo a Milano e il secondo a Palermo. In ognuno
dei call center sono presenti due responsabili di sala opera-
tiva, che fungono da supporto agli operatori specializzati e
che, oltre a svolgere la funzione di monitoraggio e supervi-
sione della gestione dei casi di emergenza, si occupano di
garantire un buon livello di comunicazione tra le due cen-
trali operative. Nella gestione dei casi è previsto, inoltre, un
supporto specifico e specialistico costituito da esperti in va-
rie discipline attinenti la cura e la tutela del bambino.
Il modello di intervento in emergenza prevede dunque al-
cune fasi principali: valutazione della tipologia di emergen-
za; valutazione dei fattori di rischio; valutazione dei fattori
protettivi, intesi come risorse interne ed esterne al minore;
intervento integrato a livello sanitario e/o sociale e/o giuri-
dico; follow up dell’intervento effettuato.
Nelle procedure operative sono definite le azioni che l’ope-
ratore è tenuto a compiere al fine di tutelare un bambino;
in particolare, è indicato il percorso attraverso il quale coin-
volgere la rete d’intervento per la risoluzione del caso, sia
nella fase di emergenza, sia in quella della post emergenza.
La creazione, l’implementazione e l’aggiornamento delle
procedure operative prevedono un lavoro di approfondi-
mento, ricerca e monitoraggio. Le procedure operative
vengono aggiornate in base a: specifici accordi/protocolli
di intesa tra il 114 e le agenzie delle diverse realtà territoria-
li; novità legislative; nuove scoperte scientifiche in relazio-
ne alle tipologie di emergenza e di disagio in età infantile/
adolescenziale e all’efficacia degli interventi. Al fine di ope-
rare con maggiore tempestività ed efficacia, il Servizio 114
ha anche sviluppato una banca dati elettronica, contenen-
te i riferimenti dei principali servizi pubblici, di emergenza
e non. In questi tre anni, grazie al lavoro di consulenti, ope-
ratori e volontari del servizio civile sono state mappate
14.147 agenzie, con un copertura quasi totale delle realtà
sul territorio. Sono inoltre stati mappati: 5.376 Servizi so-
ciali comunali; 3.826 agenzie del Servizio sanitario nazio-
nale (tra cui 1.756 consultori familiari e 328 servizi ambu-
latoriali per l’età evolutiva).
LE AGENZIE ATTIVATE DAL 114. Dal 1° gennaio 2006 è sta-
to necessario l’intervento delle Forze dell’ordine nel 46,1%
dei casi, quindi in misura maggiore che nel primo periodo
(35,4). I Servizi sociali del Comune sono stati coinvolti nel
32% delle situazioni segnalate: anche in questo caso si rile-
va un aumento rispetto al primo periodo (24,7). È invece
diminuito il numero di casi che ha richiesto il coinvolgi-
mento delle Asl (da 12,1 al 5% dei casi). L’autorità giudi-
ziaria è stata attivata, nel secondo periodo, nell’8,9% dei
casi: si è trattato per lo più di segnalazioni alla Procura pres-
so il Tribunale per i minorenni (5%). Anche nel secondo
periodo, in un’elevata percentuale di casi (58,8) le agenzie
del territorio già conoscevano il minore o il suo nucleo fa-
miliare. Erano a conoscenza della situazione di disagio pre-
valentemente i Servizi sociali del Comune (26,9%), le For-
ze dell’ordine (22) e l’autorità giudiziaria (19,7).
SCHEDA 10. EMERGENZA E SOCCORSO ALLA POPOLAZIONE: IL RUOLO
DELLA PROTEZIONE CIVILE NEL SOSTEGNO A BAMBINI E ADOLESCENTI
Il servizio nazionale di Protezione civile rappresenta un si-
stema integrato al quale concorrono diversi attori, sia pub-
blici sia privati, che agiscono in base al principio di sussi-
diarietà, in modo che la responsabilità degli interventi sia
affidata, in relazione alla gravità dell’evento e alle capacità
locali di farvi fronte, alle istituzioni più vicine alla popola-
20
zione colpita. Nei casi di maggior gravità e/o estensione del-
l’emergenza, quando è necessario disporre di poteri e stru-
menti straordinari, interviene direttamente il Dipartimen-
to di Protezione civile. È coinvolto nel sistema tutta l’orga-
nizzazione dello Stato, dal centro alla periferia, dai ministe-
ri al più piccolo Comune; la società civile vi partecipa a pie-
no titolo, soprattutto attraverso le organizzazioni di volon-
tariato.
Il Dipartimento della Protezione civile opera anche a livel-
lo internazionale. Gli interventi all’estero sono un chiaro
segno della solidarietà italiana e della capacità operativa,
tecnica ed umana del sistema Italia. In particolare, il Di-
partimento della Protezione civile è intervenuto in questi
anni in alcune tra le più critiche emergenze internazionali,
coordinando aiuti rapidi ed efficienti, ma anche curando la
realizzazione di strutture e infrastrutture (case, ponti, scuo-
le, ospedali). Dall’intervento a Beslan all’organizzazione
del più recente ponte umanitario in Libano, l’attenzione è
sempre stata rivolta alle fasce più deboli della popolazione
colpita; in particolare i bambini sono stati sempre benefi-
ciari diretti e indiretti di interventi rivolti a salvaguardarne
e proteggerne l’incolumità psico-fisica.
Per ritornare a una condizione di “normalità” ciò che ri-
chiede maggior tempo e fatica è l’impegno necessario a rior-
ganizzare la rete sociale di una comunità. In questo ambito
il Dipartimento della Protezione civile si è spesso adopera-
to in una posizione di primo piano per promuovere attività
a carattere psico-sociale. Attraverso l’aiuto e il sostegno for-
niti, gli adulti possono riacquistare piena fiducia nelle pro-
prie competenze di genitori, insegnanti, medici, così da
continuare a svolgere un ruolo fondamentale per la cresci-
ta del minore. Per questo il Dipartimento interviene, quan-
do è possibile, attraverso la formazione di operatori socio-
sanitari originari della località colpita, per offrire loro nuo-
ve capacità di intervento a sostegno dei giovani.
IL TERREMOTO DI BAM. La prima esperienza significativa
di coordinamento dei soccorsi in ambito internazionale è
stata realizzata nel 2003 nel Sud dell’Iran, quando il 26 di-
cembre un terremoto di magnitudo 6,6 ha colpito la pro-
vincia di Kerman, radendo al suolo la storica cittadina di
Bam. Il Dipartimento della Protezione civile ha predispo-
sto in poche ore la partenza di una squadra italiana per ef-
fettuare le prime azioni di “search and rescue” sul territorio
iraniano. La drammatica situazione della popolazione so-
pravvissuta al sisma ha reso immediatamente evidente la
necessità di installare un primo presidio medico; 48 ore do-
po l’evento è stato allestito un posto medico/chirurgico i
cui operatori sanitari si sono trovati a lavorare incessante-
mente, soccorrendo le persone che necessitavano di soste-
gno e cure mediche. Sono stati inviati sul luogo della trage-
dia medicinali, generi alimentari, tende per la predisposi-
zione di un ampio campo di accoglienza. Per la popolazio-
ne è stato allestito un accampamento di tende, fornito di
elettricità e acqua e dotato anche di una tenda adibita a mo-
schea per i momenti di preghiera. La missione italiana si è
conclusa il 4 gennaio 2004. Dieci giorni che hanno visto
operare senza sosta le 57 unità della missione italiana, con
cinque voli speciali per il trasporto del personale e del ma-
teriale, per un totale di circa 60 tonnellate.
L’ATTENTATO TERRORISTICO DI BESLAN. Il 1° settembre
2004 un gruppo di terroristi occupava una scuola nella città
di Beslan, Repubblica dell’Ossezia del Nord-Alania, pren-
dendo in ostaggio circa 1.200 tra studenti e personale. Il 3
settembre, dopo due giorni di trattative e di assedio delle
Forze dell’ordine e dell’esercito governativo, la situazione
degenerava provocando un conflitto a fuoco che ha causa-
to circa 340 morti, di cui 170 bambini. A seguito dell’ap-
pello urgente del governo russo, il Dipartimento della Pro-
tezione civile ha disposto, il 4 e il 5 settembre, un primo in-
tervento consistente nell’invio dei farmaci e delle attrezza-
ture mediche richieste. In Italia, nel frattempo, i gestori del-
la telefonia mobile Tim, Vodafone e Wind hanno promos-
so una raccolta fondi tramite sms, che in breve tempo ha
raccolto circa un milione di euro, subito messi a disposizio-
ne del Dipartimento per interventi a favore delle vittime
dell’attentato terroristico. Nel mese di ottobre una squadra
di specialisti del Dipartimento, composto da medici spe-
cializzati in riabilitazione psico-motoria, ingegneri e tecni-
ci della logistica, ha raggiunto nuovamente Beslan. Lo sco-
po della missione è stato quello di individuare le strutture
sanitarie sulle quali intervenire per realizzare uno o più cen-
tri per il recupero psico-fisico dei bambini traumatizzati,
strutture che mancavano nel territorio oggetto di interven-
to. Fino ad oggi (ottobre 2006) sono stati eseguiti i seguen-
ti interventi: realizzazione di un laboratorio di diagnostica
nell’ospedale di Beslan; realizzazione di un dipartimento
per la riabilitazione motoria nell’ospedale di Vladikavkaz,
dotato di 30 posti letto, palestre, laboratori e una ludoteca;
ristrutturazione del Centro di riabilitazione psicomotoria
dell’ospedale pediatrico di Vladikavkaz con 26 posti letto;
allestimento di una sala multimediale presso l’università di
Vladikavkaz.
LO TSUNAMI. L’onda dello tsunami ha colpito un’area co-
stiera vastissima. Il paese maggiormente colpito è stato l’In-
donesia, con oltre 200mila morti, poi lo Sri Lanka con cir-
ca 30mila, quindi l’India con circa 15mila e la Thailandia
con 8mila. Si stima che lo tsunami abbia colpito 2 milioni
e 540mila persone, mietendo quasi 300mila vittime di cui
un terzo bambini. La comunità internazionale si è mobili-
tata in una gara di solidarietà che ha visti coinvolti governi,
associazioni di volontariato e organizzazioni specializzate
nell'intervento di emergenza. In tale contesto un ruolo ri-
levante è stato assunto dal governo italiano e in particolare
dal Dipartimento della Protezione civile, che ha operato
nella fase acuta dell’emergenza alle Maldive, in Sri Lanka e
in Thailandia.
Nella prima fase il Dipartimento della Protezione civile ha
provveduto ad organizzare e coordinare il rimpatrio dei cit-
tadini italiani vittime della catastrofe e a fornire assistenza
sanitaria in loco. In un secondo momento i nuclei dei Ca-
rabinieri del Racis e della Polizia di Stato per diverse setti-
mane hanno collaborato con altre équipe internazionali
per l’identificazione delle vittime. Una seconda équipe è
giunta in Sri Lanka il 27 dicembre e ha avviato interventi
sanitari tramite ospedali da campo, a Unawatuna (sud del-
l’isola) e a Trincomalee (settore nord-orientale). A partire
dalla metà di gennaio l’intervento si è concentrato unica-
mente sullo Sri Lanka. Il numero dei trattamenti effettuati
dall’inizio delle attività (dal 30 dicembre 2004) ha rag-
giunto un totale di 4.716, con una media di 600 visite/gior-
no solo nell’ospedale di Trincomalee, realizzate in collabo-
razione con i medici locali; la percentuale di pazienti pedia-
trici è stata molto alta, pari a quasi il 50% dei casi trattati.
Grazie alle donazioni dei cittadini italiani durante i primi
giorni dopo l’evento, sono stati raccolti e affidati al Dipar-
timento di Protezione civile circa 50 milioni di euro con i
quali sono stati effettuati numerosi interventi di ricostru-
zione, sia in forma diretta che attraverso ong italiane già
operanti sul territorio al momento della catastrofe.
EMERGENZA PAKISTAN. L’8 ottobre 2005 una forte scossa
di terremoto di magnitudo 7,6 della scala Richter ha colpi-
to la regione del Kashmir, al confine tra Pakistan e India.
L’epicentro è stato individuato 95 km a nord di Islamabad,
più di 73mila sono risultate le vittime in Pakistan, 1.300 in
India, oltre 75mila i feriti, quasi 4 milioni gli sfollati, oltre
3,3 milioni i senzatetto. Secondo le stime dell’Unicef il nu-
mero di bambini colpiti direttamente o indirettamente dal-
le conseguenze del sisma è stato tra 1,6 e 2,2 milioni. Le aree
maggiormente colpite sono state localizzate in zone mon-
tuose difficilmente raggiungibili.
Su iniziativa del governo italiano, il Dipartimento della
Protezione civile ha risposto immediatamente coordinan-
do gli aiuti dell’intero sistema nazionale. I primi soccorsi
sono giunti 48 ore dopo la scossa, inviati dalle strutture di
Protezione civile regionali (Veneto, Friuli Venezia Giulia,
Trentino Alto Adige, Lombardia, Emilia Romagna e Mar-
che). Oltre 10mila edifici scolastici sono risultati distrutti e
più di 17mila studenti hanno perso la vita sotto il crollo del-
le macerie. In particolare il team del Dipartimento ha indi-
viduato con le autorità pakistane la città di Mansehra (a
nord di Islamabad, con circa 200mila abitanti) come pro-
prio centro di attività. In questa località, dove le vittime del
terremoto sono state circa 10mila, la necessità di soccorsi
sanitari è stata aggravata dalla presenza di migliaia di sfolla-
ti che sono giunti dai vicini villaggi montani alla ricerca di
cure mediche. La maggior parte dei pazienti curati nelle pri-
me tre settimane di attività dell'ospedale ha rivelato patolo-
gie connesse al terremoto; gli interventi affrontati hanno
riguardato per lo più traumi degli arti inferiori, superiori e
del cranio. Il 30% dei pazienti assistiti sono stati bambini
con casi frequenti di infezioni delle alte e basse vie respira-
torie. La seconda fase dell’attività sanitaria (a partire dalla
terza settimana) è stata caratterizzata da patologie collegate
indirettamente al terremoto, tipiche di una popolazione
che ha perso i propri punti di riferimento sanitari e sociali.
Le prestazioni mediche effettuate dall'équipe tra il 17 otto-
bre e il 21 novembre 2005 sono state in totale 19.538, tra
interventi interni ed esterni all’ospedale, per un numero
complessivo di 463 ricoveri.
EMERGENZA LIBANO. A dieci giorni dall’inizio del conflit-
to, in Libano avevano perso la vita circa 330 persone, in
grande maggioranza civili. Il 23 luglio 2006 è stato aperto
un corridoio umanitario: il Dipartimento della Protezione
civile ha organizzato e coordinato la prima missione a Bei-
rut con aiuti destinati alla popolazione civile “non combat-
tente”. Di conseguenza è sbarcata nel porto della capitale
libanese una nave con circa cento tonnellate di aiuti, che
comprendevano una cucina da campo, 2 ambulanze, 19
generatori per la produzione di corrente elettrica, 7 tende
pneumatiche, 8 tonnellate di medicinali e 28 tonnellate di
generi alimentari. Il successivo 14 agosto, alle ore 7 locali è
scattato il cessate-il-fuoco. In Libano sono risultati circa un
milione gli sfollati fuggiti dai villaggi e città bombardate, il
45% dei quali rappresentato da bambini e ragazzi. Le per-
sone uccise sono state più di un migliaio, mentre i feriti so-
no stati quasi 4mila. Anche la popolazione di Israele è stata
colpita: 150 le vittime e circa il doppio i feriti.
È stata quindi organizzata la seconda missione umanitaria
che ha visto coinvolti, oltre al Dipartimento della Protezio-
ne civile e alla Direzione generale della Cooperazione allo
sviluppo del ministero degli Affari esteri, anche, in manie-
ra consistente, gli assessorati alla Protezione civile e alla Sa-
nità di 15 Regioni, incluse le Province autonome di Trento
e Bolzano. Questa seconda missione, realizzata tra il 16 e il
19 agosto 2006, ha avuto l’obiettivo di raccogliere beni e
donazioni rispondenti alle reali necessità delle vittime, ve-
rificate con il governo libanese e le organizzazioni interna-
zionali attive in loco. Lo sforzo congiunto ha consentito di
raccogliere circa 500 tonnellate di beni di primo soccorso:
farmaci, generi alimentari, prodotti e viveri per l’infanzia,
materiale igienico, tende, letti e coperte, attrezzature di
pronto intervento medico, ambulanze e un piccolo ospe-
dale da campo offerto dalla Regione Toscana.
21
22
SCHEDA 11. LA VIOLENZA INTRAFAMILIARE:
ESITI PSICOPATOLOGICI NEI BAMBINI
Esistono diverse modalità con cui si può manifestare la vio-
lenza domestica. In Italia, si è registrato un aumento del nu-
mero dei maltrattamenti in famiglia, passati da 3.003 casi
nel 1999 a 4.669 nel 2002, delle violazioni degli obblighi
di assistenza familiare, aumentate nello stesso periodo da
4.877 a 7.462 casi. Nel solo 2002 i casi di abbandono di
minori o incapaci sono stati 498, le violenze sessuali 4.519,
gli atti sessuali con minorenne 784. In tema di abuso e mal-
trattamento è interessante considerare i dati rilevati da Te-
lefono Azzurro in più di 19 anni, attraverso l’operato del
Centro nazionale di Ascolto telefonico che, grazie alle due
linee dedicate, rappresenta un osservatorio privilegiato del
mondo infantile e adolescenziale. Nel periodo compreso
fra luglio 1999 e maggio 2006 sono stati gestiti, rispetto a
problematiche considerate rilevanti, 31.508 casi. Dall’a-
nalisi dei dati emerge uno scenario serio e preoccupante,
quello relativo alle situazioni legate a vere e proprie forme
di abuso in pregiudizio di minore: il 12,8% delle consulen-
ze, infatti, è intervenuto su problematiche di abuso fisico, il
9 per situazioni di abuso psicologico, l’8,1 per condizioni
di trascuratezza e il 5,5 per abuso di tipo sessuale.
LA VIOLENZA RIVOLTA AI MINORI. Quando si parla di vio-
lenza domestica si intende quella agita contro i soggetti più
deboli (in genere donne e bambini), dentro o fuori le mura
di casa, da una persona intima, partner o genitore o da altri
membri del gruppo familiare. La violenza familiare si può
manifestare con differenti modalità, con lo scopo di procu-
rare danno alla vittima. I fattori che rendono tale danno ir-
reversibile sono: la sistematicità e l’essere perpetrati per lun-
go tempo; la vicinanza del legame tra la vittima e l’aggres-
sore; l’isolamento sociale. Tra le varie forme di violenza ri-
volta ai minori sono da citare: il maltrattamento fisico e psi-
cologico, la violenza assistita, la patologia della sommini-
strazione delle cure e l’abuso sessuale.
MALTRATTAMENTO FISICO E PSICOLOGICO. Secondo le li-
nee guida della Sinpia - Società italiana di neuropsichiatria
dell’infanzia e dell’adolescenza, il maltrattamento può es-
sere suddiviso in:
• abuso fisico, quando i genitori o le persone legalmente
responsabili del bambino eseguono o permettono che si
producano lesioni fisiche, o mettono i bambini in condi-
zioni di rischiare lesioni fisiche;
• abuso psicologico, che consiste in comportamenti at-
tivi od omissivi che vengono agiti individualmente o col-
lettivamente da persone che, per particolari caratteristiche
(età, cultura, condizione sociale) sono in posizione di pote-
re rispetto al bambino. L’abuso psicologico include: gli atti
di rifiuto, di terrorismo psicologico, di sfruttamento, di iso-
lamento e allontanamento del bambino dal contesto socia-
le. Le modalità con cui è possibile maltrattare un minore ed
imporgli una qualche forma di violenza psicologica sono
molto numerose, tra le quali il ricorso a punizioni eccessi-
vamente dure o eccessivamente frequenti; la costrizione a
vivere in un contesto di costante osservazione e giudizio;
l’impedimento di esprimere determinate emozioni e com-
portamenti, come la rabbia ed il pianto; l’esposizione a con-
tinue tensioni familiari, caratterizzate da liti verbali e/o fisi-
che (non di rado il minore viene investito direttamente o
indirettamente del ruolo di pacificatore o risolutore delle
liti coniugali).
VIOLENZA ASSISTITA. Tra le svariate forme di violenza psi-
cologica si annovera anche la “violenza assistita”: quando il
minore assiste a scene di violenza fra i genitori, quando è
spettatore di aggressioni fisiche o sessuali fra i genitori o fra
questi ultimi e un fratello. Il bambino può fare esperienza
diretta della violenza intrafamiliare quando avviene nel suo
campo percettivo, o indiretta quando è a conoscenza dei
conflitti tra i genitori o quando ne percepisce gli effetti. Vi
è ancora violenza assistita quando i genitori amplificano i
propri stati ansiosi nei figli, esponendoli a situazioni psico-
logiche difficili da affrontare, senza curarsi del carico emo-
tivo negativo che provocano nei propri bambini.
Un particolare aspetto della violenza assistita corrisponde a
quelle situazioni, abbastanza frequenti nelle separazioni
conflittuali, nelle quali uno od entrambi i genitori espon-
gono direttamente o indirettamente il figlio alle reciproche
dispute. Nel periodo susseguente la separazione, ha solita-
mente parte predominante la ricerca dei due partner di mo-
tivi di conferma della propria validità personale, sia nel con-
testo sociale e parentale, sia nello stesso ambito delle rela-
zioni familiari. In quest’ambito possono essere quindi ac-
centuate quelle manovre di “appropriazione” dei figli, at-
traverso la seduzione, il ricatto affettivo o la proposta anche
implicita di un patto di alleanza reciproca. Nella famiglia
che non riesce a mantenersi unita, già molto tempo prima
della separazione il figlio si è dovuto adeguare a relazioni fa-
miliari caratterizzate da incomprensioni e litigi, che hanno
spesso diminuito l’attenzione di ambedue verso di lui e/o
condotto ad una sua strumentalizzazione nella controver-
sia tra loro. In questa condizione il bambino può aver “im-
parato” a vivere accettando quello che gli veniva dato, ma
anche sviluppando atteggiamenti attivi, se pur disfunzio-
nali per la sua crescita, come la seduzione, la reticenza, la
falsa accondiscendenza - a volte anche il ricatto - spesso di-
versificati nei confronti dei due genitori.
23
LA PATOLOGIA DELLA SOMMINISTRAZIONE DELLE CURE.
Questa tipologia di violenza riguarda quelle condizioni in
cui i genitori o le persone legalmente responsabili del bam-
bino non provvedono adeguatamente ai suoi bisogni, fisici
e psichici, in rapporto al momento evolutivo e all’età. La
patologia della somministrazione delle cure comprende
pertanto tre categorie cliniche: l’incuria (le cure sono ca-
renti); la discuria (le cure vengono fornite ma in modo di-
storto); l’ ipercura (le cure sono somministrate in eccesso)
che comprende la sindrome di Munchausen per procura
(MPS). Si tratta di un disturbo psicopatologico che com-
porta un controllo volontario da parte del soggetto che si-
mula la malattia, talora con lucida convinzione delirante.
Quando queste persone hanno figli, esse possono spostare
la loro convinzione di malattia su questi: le storie dei sinto-
mi e delle malattie vengono inventate dai genitori (quasi
sempre la madre) riferendole ai propri figli, i quali vengono
in tal modo sottoposti ad accertamenti clinici inutili e a cu-
re inopportune.
Forme di abuso simili alla MPS. Le varianti della sindrome
sono:
• medical shopping per procura: bambini che hanno sof-
ferto nei primi anni di vita di una grave malattia e da allora
vengono portati dai genitori da un numero spesso elevatis-
simo di medici per disturbi di minima entità, in quanto i
genitori sembrano percepire lievi patologie come gravi mi-
nacce per la vita del bambino. Il disturbo materno è di tipo
ansioso-ipocondriaco; accogliendo le ansie e le preoccupa-
zioni che la madre proietta sul figlio, è possibile rassicurar-
la sullo stato di salute del figlio;
• help seeker: il bambino presenta dei sintomi fittizi in-
dotti dalla madre, ma la frequenza degli episodi di abuso è
bassa e il confronto con il medico spesso la induce a comu-
nicare i suoi problemi quali ansia e depressione e ad accet-
tare un sostegno psicoterapeutico
• abuso chimico/farmacologico: somministrazione di
sostanze farmacologiche o chimiche al bambino per deter-
minare la sintomatologia e ottenere il ricovero ospedaliero;
• sindrome da indennizzo per procura: il bambino pre-
senta i sintomi riferiti dai genitori, in situazioni in cui è pre-
visto un indennizzo economico.
ABUSO SESSUALE.L’abuso sessuale è per la legge una formu-
la generica che definisce un comportamento sessuale vio-
lento attuato senza il consenso dell’altra persona. Con il ter-
mine abuso sessuale all’infanzia si fa comunemente riferi-
mento al coinvolgimento in pratiche sessuali di soggetti
minori che, per ragioni di immaturità psico-affettiva e per
condizioni di dipendenza verso gli adulti, non sono ritenu-
ti in grado di poter compiere scelte consapevoli, o di posse-
dere un’adeguata consapevolezza del significato e del valo-
re delle attività sessuali in cui vengono da altri coinvolti.
FATTORI DI RISCHIO CORRELATI ALLA VIOLENZA DOMESTI-
CA. In relazione alle caratteristiche individuali, i fattori di
rischio che possono favorire la violenza domestica com-
prendono la sfera affettiva, un basso livello di autostima,
uno scarso controllo degli impulsi e un’eccessiva risposta
allo stress. L’uso, l’abuso e la dipendenza da alcool e dalle
droghe rappresentano un elemento predisponente la vio-
lenza rivolta verso il proprio partner e verso i figli. I fattori
ambientali, invece, riguardano il contesto sociale e le carat-
teristiche dell’intero sistema familiare. Gli elementi che
giocano un ruolo importante sono: la struttura e la dimen-
sione della famiglia, le caratteristiche della comunità in cui
la famiglia è collocata, quali la povertà e un livello socio-
economico basso. Inoltre, possono influire fattori esterni
come, per esempio, la disoccupazione di uno o entrambi i
genitori o la perdita del lavoro; abitazioni inadeguate e spa-
zi ristretti per il numero di persone che vivono all'interno
della casa. Da alcuni recenti studi emerge, inoltre, che le fa-
miglie che abusano dei loro figli sono spesso caratterizzate
da un maggior numero di eventi stressanti, tra cui la morte
di un membro della famiglia o di una persona cara.
AGGRESSIVITÀ ETERO-DIRETTA. A lungo termine i minori
maltrattati e abusati potranno utilizzare la violenza e l’ag-
gressività come modalità relazionale ed è possibile che essi
sviluppino pattern di attaccamento e modelli operativi in-
terni tali da favorire comportamenti che riprodurranno, in
età adulta, l’esperienza maltrattante anche nei confronti del
proprio partner o dei propri figli. Uno studio condotto da
Windom ( 2000) ha dimostrato che il 70% degli individui
adulti ha un passato di violenza intrafamiliare. In un altro
studio di Windom ( 1989), effettuato tra soggetti arrestati
per reati correlati ad episodi di violenza, è emerso che il 21%
di loro aveva alle spalle una storia marcata da abusi fisici e
sessuali, il 20 da episodi di trascuratezza e il 16 da entram-
be le condizioni. La Baldry (2003) ha condotto uno studio
su 1.059 giovani romani di età compresa tra gli 8 e i 15 an-
ni, mettendo in evidenza la relazione esistente tra il bulli-
smo nelle scuole e l’esposizione in età infantile alla violenza
domestica. I dati emersi dalla ricerca evidenziano che il
17,4% dei ragazzi ha subìto violenza psicologica o è stato
esposto alla violenza fisica tra i genitori. I dati ottenuti dal-
le analisi statistiche indicano come il mettere in atto prepo-
tenze sia correlato all’essere stato testimone di violenza in-
trafamiliare, soprattutto per quello che concerne le forme
di bullismo più dirette; infatti, il 60,8% dei bulli ha assisti-
to alla violenza tra i genitori, rispetto al 45,7 che ha vissuto
in un contesto tranquillo.
AGGRESSIVITÀ AUTO-DIRETTA. Attualmente numerose ri-
cerche in ambito clinico hanno rivolto l’attenzione verso le
condotte autolesionistiche intenzionali; tale fenomeno è
24
in crescente aumento nella popolazione non clinica e tra gli
adolescenti, nonostante le indagini epidemiologiche siano
attualmente ancora poco numerose. Una percentuale com-
presa tra il 50 e il 90% dei soggetti che mettono in atto con-
dotte autolesive ha subìto nell’infanzia maltrattamenti di
tipo fisico e sessuale. I bambini che hanno subìto abuso fi-
niscono per convincersi che esso è una conseguenza di una
colpa, che sono stati loro a chiederlo e di conseguenza pos-
sono punire il proprio corpo che li ha “traditi” ( Strong,
1998).
SCHEDA 12. BAMBINI E TEMPO LIBERO
L’ERA DEI “DIVERTIMENTIFICI”. L’elemento che maggior-
mente caratterizza il livello di vita dei bambini è l’iperorga-
nizzazione del tempo libero. Attraverso questo meccani-
smo iperorganizzativo, il tempo istituzionale, dove gli spa-
zi e i ruoli sono fissati, sfora nel tempo personale, dove ogni
bambino dovrebbe esprimere senza impedimenti la pro-
pria soggettività. Siamo nell’epoca in cui tutto è program-
mato, organizzato, informatizzato, iperstrutturato, incate-
nato. Ai bambini e alle bambine si offrono praticamente
ore, giorni, settimane e addirittura mesi ed anni program-
mati nei minimi dettagli. I loro iter giornalieri sono prati-
camente predefiniti in toto dagli adulti. Non c’è spazio per
l’ozio, l’imprevisto, l’auto-organizzazione infantile. Anche
gli stessi spazi di gioco sono preorganizzati. Non c’è, da par-
te dei bambini e delle bambine, la possibilità di momenti
liberi, creativi, autogestiti.
FRENESIA ORGANIZZATA: IL TEMPO LIBERO DELL’INFANZIA.
I bambini non hanno proprio la possibilità di organizzarsi
per conto loro: ogni ora lasciata libera dalla scuola e dai
compiti è occupata da una delle molte e possibili attività
extrascolastiche. Dall’indagine Doxa Junior, edizione
2004, condotta su un campione statistico di 2.500 ragazzi
rappresentativo della popolazione dei minori italiani tra i 5
e i 13 anni, risulta che ogni bambino ha mediamente 4 ore
e 37 minuti da destinare al tempo libero. L’attività alla qua-
le dedicano più tempo è guardare la tv (29%, pari a circa 1
ora e 20 minuti), seguono il gioco fuori casa (17%, pari a
circa 47 minuti) e le uscite (16%, pari a circa 44 minuti).
Allo studio è destinato quotidianamente il 15% del tempo
libero, circa 41 minuti, mentre al giocare in casa il 12%.
Suddividendo quotidianamente l’ammontare delle ore de-
dicate all’attività sportiva, essa è praticata per circa 14 mi-
nuti al giorno. Il tempo libero dedicato all’uso di videoga-
mes e console è il 3%; il rimanente 3% è rivolto equamen-
te all’uso del computer, a leggere libri e giornalini.
MOLTOTEMPO…POCO LIBERO. Dopo la scuola, in genere,
i bambini svolgono una serie di attività che impegnano una
buona parte del loro tempo libero; ma gli scopi perseguiti
solo a volte sono puramente ludici e più spesso risultano
caratterizzati come vere e proprie “costrizioni”, attività per
di più frequentemente pilotate dai genitori, assecondate
talvolta da proposte extrascolastiche già pre-definite.
ANNOIARSI PER ALLENARE LA CREATIVITÀ. I bambini sem-
pre più impegnati crescono sempre meno creativi. La con-
seguenza non è da poco perché, presi come sono dalle tan-
te attività extrascolastiche, i ragazzi di oggi starebbero di-
ventando “intolleranti” verso i cosiddetti “tempi morti”
della giornata; e non saprebbero più dare spazio alla loro
fantasia. L’allarme è stato lanciato da una ricerca inglese,
condotta da Teresa Belton dell’East Anglia University, su
un campione di 400 temi di fantasia scritti da bambini tra
i 10 e gli 11 anni. Secondo questa ricerca, la nemica più te-
muta da tutti i genitori, alla prese con figli da impegnare,
sarebbe la noia. I ricercatori inglesi confermano invece che
ad essa va il merito di far “aguzzare” l’ingegno dei bambini,
rendendoli, in questo modo, più creativi e disponibili ad
organizzare autonomamente il tempo libero.
MA I RAGAZZI ITALIANI, SONO FELICI? Sulla scia di questo
interrogativo l’Unicef ha recentemente resi noti i risultati
di una ricerca realizzata su bambini e adolescenti dell’Euro-
pa e dell’Asia centrale. I risultati rispecchiano le opinioni di
oltre 93 milioni di ragazzi, attraverso sondaggi e interviste
approfondite condotte in 35 Paesi. Questa ricerca, dal tito-
lo Giovani voci, fornisce tra l’altro un inedito ritratto dei
punti di vista, degli interessi, delle speranze e dei sogni di
bambini e adolescenti. In particolare, analizzando i dati che
si riferiscono all’Italia, l’indagine rivela che la maggioranza
si sente quasi sempre felice (79%). Ciò che li rende sereni è
principalmente il tempo trascorso con amici e familiari. La
loro maggiore preoccupazione è naturalmente la scuola, e
il 23% vorrebbe migliorare i metodi di insegnamento e il
rapporto tra insegnanti e studenti. Per quanto riguarda il
rapporto con la famiglia, in generale i bambini e gli adole-
scenti italiani vivono in armonia; però, anche in questo ca-
so, non mancano dati illuminanti: per esempio, il 25% vor-
rebbe essere più considerato nelle decisioni riguardanti il
tempo libero. In sostanza, bambini e bambine reclamano
maggiori e più qualificati momenti di relazione, nonché
maggiore autonomia nell’organizzare e nel gestire più libe-
ramente il proprio tempo.
25
SCHEDA 13. LA SECONDA GENERAZIONE:
GIOVANI STRANIERI PROTAGONISTI DI NUOVE IDENTITÀ
La popolazione straniera residente in Italia al 31 dicembre
2005 è pari a 2.670.514 con un aumento percentuale ri-
spetto all’inizio del 2005 dell’11%. Nell’anno scolastico
2005/2006 sono stati 424.683 gli alunni stranieri presenti
nelle scuole italiane, con un’incidenza del 4,8% sul totale
degli alunni. Per quanto riguarda i Paesi di origine, ai primi
posti si trovano Albania (16,3% degli alunni), Marocco
(14), Romania (12,4) e Cina (5,2).
COSTRUIRE PONTI O ERIGERE MURI? I giovani stranieri si
trovano a vivere immersi in continue ambivalenze attraver-
sando ogni giorno una pluralità di dimensioni e di riferi-
menti culturali. Il discorso del loro benessere/malessere, si
concentra molto su quelle che sono le dinamiche identita-
rie e di appartenenza che li vede protagonisti nell'essere co-
struttori di ponti o di muri. Ponti tra due culture, tra due
tradizioni, tra due religioni, oppure barricate difensive o
protettive della propria appartenenza reale o immaginaria,
in quanto costruita ad hoc per ritrovare saldi ancoraggi
identitari e punti di riferimento.
Ecco allora il misurarsi con la tradizione, in termini di scel-
ta di appartenenza e di identità, nei due fondamentali am-
bienti di vita: la famiglia e la società. Ecco che i giovani si
incontrano/scontrano con gli adulti e con i coetanei e il rag-
giungimento di un equilibrio, cioè quella dimensione che
può garantire al ragazzo/a un riconoscimento in famiglia e
nella società, non è affatto scontato e soprattutto indolore.
Il rapporto con i genitori è un elemento importante per ca-
pire la singolarità di questa generazione di giovani figli di
migranti, poiché è proprio in famiglia che la gestione plu-
rale dei processi di identificazione comincia ad essere mes-
sa in atto, ed è sempre in famiglia che questi tentativi pos-
sono essere appoggiati o frustrati.
Le tradizioni culturali e familiari possono subire interpre-
tazioni inedite, in cui i giovani cercano di risolvere le in-
compatibilità tra il rispetto di tradizioni antiche e il loro bi-
sogno di libertà, un’operazione che per certi versi può esse-
re facilitata dal contesto sempre più transnazionale in cui si
trovano a vivere. Tutto questo porta a una trasformazione
dello scenario delle relazioni familiari che da sempre sono
un ambito centrale per la formazione dei processi di identi-
ficazione degli adolescenti. Generalmente i giovani cerca-
no di recuperare le tradizioni e le appartenenze della cultu-
ra di origine reinterpretandole e ricostruendo in esse un
senso capace di farli riappropriare delle loro origini, par-
tendo però dal contesto in cui vivono ora.
LE PROBLEMATICHE LEGATE AL GENERE. Il percepire diver-
samente - genitori e figli - non solo la cultura in cui oggi la
famiglia è immersa ma anche la cultura di origine, essendo
i figli spesso orientati e capaci di una elasticità interpretati-
va che non contraddistingue la generazione dei padri, fan-
no sì che tra genitori e figli vi sia oltre alla classica distanza
generazionale una certa distanza culturale capace di mette-
re in crisi i rapporti stessi. Per i figli la negoziazione della li-
bertà rimane uno degli aspetti più problematici della con-
vivenza con i genitori. L’appartenere o il sentire di apparte-
nere alla stessa tradizione culturale non porta infatti neces-
sariamente a una condivisione rispetto a ciò che è giusto o
sbagliato rispetto al tema della libertà individuale, della li-
bertà e uguaglianza di genere, delle regole dell’affettività e
della scelta del partner. Tutto questo si evidenzia bene oggi
nella vita della seconda generazione che vive in Italia e che
sente la necessità di presentare le tradizioni della cultura
d’origine attraverso un discorso che le renda utili e compa-
tibili con l’autonomia individuale.
Le situazioni di conflitto e di tensione sembrano essere
maggiormente frequenti tra genitori e figlie, riuscendo me-
glio i figli a combinare più facilmente il loro bisogno di li-
bertà di adolescenti con il rispetto dei precetti, di volta in
volta religiosi, o morali, o con le regole e prescrizioni cultu-
rali richieste dai genitori. I rapporti con le figlie adolescen-
ti, infatti, sarebbero quelli più a rischio, poiché su di esse si
concentrerebbero le maggiori tensioni e i maggiori contra-
sti legati alle aspettative sociali e culturali della famiglia, in
termini di mantenimento dei ruoli tradizionali. Le princi-
pali aree critiche su cui verte il conflitto tra genitori e figli
sono: le amicizie; le prime relazioni sentimentali; le diverse
concezioni rispetto alle differenza di genere; i gradi di auto-
nomia e di libertà che gli uni e gli altri ritengono legittimi
avere rispetto all’età; la gestione del tempo extrascolastico;
le strategie e i percorsi di inserimento nel nuovo Paese in
termini di avvicinamento a valori, comportamenti, prati-
che e consumi.
LA FUGA DA CASA COME REAZIONE A SOFFERENZE, DISAGI
EMOTIVI E ABUSI. Le motivazioni che direttamente spingo-
no o indirettamente costringono un minore a fuggire da
casa sono generalmente legate a condizioni di disagio so-
cio-educativo, a situazioni affettive conflittuali, a condizio-
ni familiari conflittuali, a un desiderio di affermazione del-
la propria identità. Le fughe da casa da parte di adolescen-
ti, pur trattandosi spesso di fughe dimostrative o comun-
que temporanee, rappresentano un fenomeno rilevante e
in crescita all’interno delle problematicità dell’età evoluti-
va. La fuga da casa risulta essere un gesto frequente tra i mi-
nori stranieri, generalmente sono adolescenti maschi (per
lo più del Nord-Africa) e femmine (in prevalenza dell’Afri-
26
ca subsahariana, del Sud America, della Romania, vi sono
però anche casi che riguardano ragazze del Marocco) che
utilizzano la fuga come ultimo mezzo a loro disposizione
per esprimere una sofferenza, un disagio relazionale vissuto
in ambito familiare.
Le principali motivazioni riportate dai minori stranieri co-
me scatenanti la fuga da casa sono: paura della reazione ge-
nitoriale rispetto ad un esito scolastico negativo; ribellione
rispetto a differenze educative in riferimento al genere; rea-
zione ad atti di abuso fisico (percosse) o psicologico (urla,
minacce verbali) perpetrati da uno o entrambi i genitori;
imposizione di vincoli e di pratiche legate alla religione e al-
la cultura di appartenenza non condivise dai figli; reazioni
a proibizioni legate alla frequentazione di giovani fidanza-
ti/e italiani/e; reazione alla minaccia di essere riportati nel
Paese d’origine rispetto al quale il minore sente un senso di
appartenenza inferiore in rapporto a quello sperimentato
nei confronti del contesto culturale in cui vive e si è inseri-
to. Nella grande maggioranza dei casi i genitori risultano
avere scarsa consapevolezza del disagio e della sofferenza
che hanno spinto i loro figli alla fuga. In queste situazioni si
evidenzia la difficoltà dei genitori a immedesimarsi nei figli
in relazione alle loro essere “tra due mondi”.
IL GRUPPO DEI PARI. I bambini e i giovani stranieri possono
vivere con maggiore difficoltà la relazione con i coetanei,
l’inserimento all’interno del gruppo dei pari può essere più
complicato a causa di un bagaglio di tradizioni, abitudini,
giochi, gesti, espressioni linguistiche diverse. In tali situa-
zioni, in cui la difficoltà relazionale si basa su una diversità
somatica, etnica, religiosa, culturale, linguistica, ecc., rara-
mente i minori riescono a individuare la famiglia e i geni-
tori come risorsa, per diverse ragioni. Alcuni ragazzi tendo-
no a non coinvolgere le famiglie d’origine per evitare di
preoccupare o di far soffrire i genitori, già gravati da un dif-
ficile percorso di inserimento nel Paese di accoglienza; o
perché sono proprio loro “la diversità” che li separa dai
compagni; altri ancora non comunicano ai genitori la si-
tuazione per una ragione molto diversa, poiché attribui-
scono proprio a loro la colpa delle difficoltà e delle soffe-
renze. Vi possano essere un rifiuto e una negazione totale
della propria origine o, al contrario, un recupero e una va-
lorizzazione della propria appartenenza decidendo però di
vivere esclusivamente nell’ambito della comunità di origi-
ne. Un’altra decisione “drastica” è quella di fare parte del-
l’universo dei “diversi”, decidendo di legarsi esclusivamen-
te a ragazzi/e stranieri, non necessariamente della propria
origine, dove il legame non è dato dall’appartenere a una
determinata cultura ma piuttosto il non appartenere alla
cultura di maggioranza. A volte vi è, invece, l’avvicinamen-
to a ragazzi italiani o stranieri che condividono l’essere ai
margini o l’essere diversi dagli altri: tale vicinanza dà ai ra-
gazzi la possibilità di condividere gli stessi vissuti di isola-
mento e di sostenersi reciprocamente, aumentando, però,
la distanza che li separa dal resto del gruppo, esasperando
così la situazione di emarginazione.
QUANTI BAMBINI… Due miliardi e 181 milioni (il 36%
della popolazione) sono i bambini che popolano il nostro
pianeta; ogni anno ne nascono 132 milioni. Su 100 bam-
bini, 53 sono nati in Asia e di essi 19 in India e in Cina, 19
in Africa, 9 in America Latina, 7 in Medio Oriente e Nord-
Africa, 5 nell’Europa dell’Est, 7 nei Paesi industrializzati.
Ed ancora, su 100 bambini nati, 40 non saranno registrati
alla nascita, 19 non avranno mai accesso all’acqua potabile,
30 soffriranno di malnutrizione, 20 non saranno mai vac-
cinati, 17 non andranno mai a scuola, e 1 bambino su 5 sarà
costretto a lavorare (Unicef, 2006).
IL TRAFFICO DEI MINORI - VERSO LA PREVENZIONE. Secon-
do lo United States Federal Bureau of Investigation, il traf-
fico di esseri umani genera un profitto di circa 9,5 miliardi
di dollari l’anno. Il numero stimato delle vittime in tutto il
mondo va, a seconda delle fonti e delle definizioni, dai
700mila ai quasi tre milioni. La Commissione Europea ri-
tiene che 120mila persone vittime della tratta siano intro-
dotte illegalmente in Europa occidentale ogni anno, men-
tre 170mila sono trafficate dall’ex Unione Sovietica e dal-
l’Europa orientale e centrale.
Nel nostro Paese si calcolano 2.500 nuove vittime del traf-
fico di esseri umani nel 2005. L’Italia, Paese di destinazione
e di transito per uomini, donne e bambini comprati e ven-
duti a scopo di sfruttamento sessuale e lavorativo, ha una
numero di vittime originarie dell’Albania e della Nigeria
che è diminuito nel 2005, mentre è aumentato il numero
di vittime provenienti dalla Romania, dalla Bulgaria, dal-
l’Ucraina e dalla Moldavia. Tra le altre zone di origine delle
vittime figurano la Russia, l’Africa orientale e settentriona-
le, la Cina e l’America del Sud.
SFRUTTAMENTO DEL LAVORO. Il rapporto The end of child
labour 2006: within reach (ILO) sostiene che siamo di fron-
te ad una considerevole riduzione del lavoro minorile in di-
verse parti del mondo.Le stime sono presentate nei termini
di tre categorie: bambini economicamente attivi, lavoro
SCHEDA 14. LO SFRUTTAMENTO E LA TRATTA DEI MINORI
27
minorile, lavoro minorile pericoloso. Sono circa 317 mi-
lioni i bambini economicamente attivi con un’età compre-
sa tra 5 e 17 anni nel 2004, di cui 217,7 milioni sono lavo-
ratori coinvolti nel lavoro minorile nel mondo. Di questi
126,3 milioni lavorano nelle peggiori forme di lavoro mi-
norile. Tra i minori di età compresa tra 5 e 14 anni i bambi-
ni economicamente attivi sono circa 191 milioni, 166 mi-
lioni i lavoratori minori, e 74 milioni coloro che hanno im-
pieghi pericolosi. Il numero di lavoratori minori in ambe-
due le classi di età 5-14 e 5-17 scende dell’11% negli ultimi
quattro anni (2000-2004). Il calo maggiore riguarda i la-
vori minorili pericolosi: il 26% per la classe di età 5-17 e il
33% per la classe di età 5-14. I progressi più evidenti sono
stati registrati in America Latina e Caraibi, Paesi che negli
ultimi quattro anni hanno ridotto di due terzi il numero di
giovani lavoratori (i minori economicamente attivi sono
passati da 17,4 a 5,7 milioni).
In Brasile sono 2,2 milioni i minori lavoratori che hanno
un’età compresa tra 5 e 14 anni (6,8%). Le differenze sono
tuttavia importanti tra maschi e femmine. Mentre i maschi
sono maggiormente inseriti nel settore agricolo (63,6%),
le femmine sono più presenti nei settori dei servizi (43). In
diversi paesi dell’America Latina il tempo dedicato ai lavo-
ri domestici è molto significativo nell’orario giornaliero dei
minori.
Con 122,3 milioni di minori in età compresa tra i 5 e i 14
anni, economicamente attivi, l’Asia e il Pacifico rappresen-
tano le aree geografiche con il più alto numero di minori la-
voratori nel mondo; nonostante la diminuzione registrata
nell’arco temporale che va dal 2000 al 2004, la presenza
delle varie forme peggiori di sfruttamento minorile (il traf-
fico di minori, lo sfruttamento nel commercio sessuale, la
schiavitù per debiti, il lavoro minorile domestico, il lavoro
minorile pericoloso ed il reclutamento e l’utilizzo di mino-
ri per i conflitti armati e il traffico di droga) rende più grave
la situazione.
L’Africa subsahariana con 49,3 milioni di minori econo-
micamente attivi ha la più grande proporzione di minori
lavoratori in generale, con 26 minori lavoratori ogni 100;
la situazione economica è disastrosa (il 44% dei residenti
vive con meno di un euro al giorno). Il lavoro minorile è
considerato la norma, e i conflitti armati, che vedono la par-
tecipazione dei bambini-soldato, sono ritenuti fonte di so-
stentamento. L’Hiv, diffuso in percentuali sconcertanti, ha
creato milioni di orfani costretti a lavorare per sopravvive-
re, e ha obbligato milioni di altri bambini a lavorare per
mantenere i genitori in fin di vita. Solo nello Zambia, uno
studio condotto nel 2002 da ricercatori indipendenti, è
giunto alla conclusione che l’Aids ha fatto crescere il lavoro
minorile del 30%. Il gruppo di regioni che comprende i
Paesi industrializzati e i Paesi con economie in transizione,
il Medio Oriente e l’Africa del Nord, raggiunge 13,4 milio-
ni di minori economicamente attivi. In Italia i minori tra i
7 e i 14 anni che sono sfruttati sul posto di lavoro sono
31.500 (Istat, 2002): di questi, il 50% lavora al’'interno del-
le imprese di famiglia, il 32% ha un impiego stagionale e il
18% si occupa di attività più rischiose.
ACCATTONAGGIO. È difficile produrre una stima sul nume-
ro di minorenni nomadi coinvolti nell’accattonaggio. Se-
condo alcuni autori, dei circa 15mila minori rom presenti
in Italia gran parte sperimenta (o ha sperimentato in passa-
to) questo tipo di attività (Caritas 2003).
IL TRAFFICO DEI MINORI MIGRANTI A SCOPO DI SFRUTTA-
MENTO SESSUALE. Il fenomeno, che ha visto nei primi anni
90 la presenza prevalente di giovani e giovanissime donne
albanesi e nigeriane, è stato successivamente caratterizzato
dai flussi provenienti dalla Russia e dall’Ucraina nella se-
conda metà degli anni 90, dalla Moldavia negli anni 2000
e 2001, dalla Romania negli ultimi anni. La prostituzione
minorile femminile rappresenta una componente impor-
tante del fenomeno prostituivo (circa il 10%). La prostitu-
zione minorile maschile è un fenomeno diffuso, ma spesso
ignorato. Si riscontra soprattutto nelle aree urbane di città
grandi e medie. La fascia di età più interessata è quella dai
13 ai 17 anni, e si tratta in particolare di ragazzi rumeni,
spesso di origine rom, e in misura minore provenienti dal
Maghreb, dai Balcani e dall’Albania. Sono state riscontra-
te, inoltre, correlazioni della prostituzione esercitata da mi-
nori maschi con attività di accattonaggio e di microcrimi-
nalità (Unicef-Caritas, 2006).
TURISMO SESSUALE. Sono più di 3 milioni i minori sfrut-
tati sessualmente nel mondo. In alcuni Paesi, la prostitu-
zione minorile rientra in quell’attività nota come turismo
sessuale. L’Italia è al primo posto in Brasile (80mila italiani
ogni anno) tra i Paesi europei, nel praticare turismo sessua-
le (Segreteria del Turismo del Rio Grande do Norte, 2006).
Sono oltre 500mila i minori coinvolti - la maggior parte di
sesso femminile - nel turismo sessuale in Brasile, e sono cir-
ca 700mila i turisti europei che ogni anno sbarcano nel pae-
se (Centro documentazione dell’Eurispes, 2005).
Negli ultimi anni le donne italiane rappresentano dal 3 al
5% dei turisti in cerca di sesso ( Eurispes, 2005). Per lo più
single e neodivorziate, scelgono mete come Gambia, Sene-
gal, Marocco, Kenya, oltre a Cuba e Giamaica. Anche l’età
media del turista sessuale, che fino a qualche anno fa si ag-
girava attorno ai 40 anni, oggi si sta abbassando molto gra-
zie soprattutto ai voli low cost che consentono ai più giova-
ni di raggiungere facilmente mete esotiche dove l’offerta è
altissima. Il turismo sessuale è un fenomeno che sta assu-
mendo caratteristiche e proporzioni che vanno ben oltre le
relazioni, seppur a pagamento, tra gli avventurieri occiden-
28
tali e le bellezze del posto. Quello con cui dobbiamo con-
frontarci è un vero e proprio sistema di sfruttamento della
prostituzione, che spesso ha anche qualche legittimazione
para-legale. Un fenomeno che assume connotati ancora
più gravi quando le vittime di questa nuova schiavitù sono
minori, che spesso sono venduti dalle famiglie più indigen-
ti, con il beneplacito delle autorità che chiudono un occhio
pur di veder triplicare il numero di turisti che raggiungono
il proprio Paese. È il caso della Thailandia, che insieme ad
altri Paesi partecipa a un sistema di criminalità organizzata
che ha un fatturato di 5 miliardi di dollari l’anno e che coin-
volge milioni di donne e bambini in tutto il mondo. E che
grazie alle nuove tecnologie alimenta un giro d’affari che va
ben oltre il luogo fisico dove la violenza è commessa, ma si
riproduce in maniera esponenziale, attraverso siti Internet,
filmati, fotografie.
In India, grazie alla mancata applicazione della legge che
reprime il turismo sessuale, si assiste all’aumento del turi-
smo pedofilo. A denunciarlo è un rapporto dell’Istituto di
Scienze sociali indiano che rivela che ogni anno sono oltre
44mila le denunce di scomparsa di minori (solo di 11mila
si torna ad avere notizie). La città di Goa, che ha avuto un
particolare sviluppo dopo la demolizione del quartiere a lu-
ci rosse, è un mercato del sesso con minori che rispondono
al mito popolare che avere rapporti con “vergini” curereb-
be l’Hiv e altre malattie a trasmissione sessuale. Ogni bam-
bino (“lamani”) con un’età tra gli 8 e i 12 anni viene acqui-
stato dai trafficanti a 30mila rupie (500 euro), e poi viene
affittato per mille/duemila dollari al mese. Il mercato della
prostituzione in India supera i 370 miliardi di rupie l’anno.
IL PARTITO DEI PEDOFILI. Nato recentemente in Olanda,
si chiama Nvd - Charity, Freedom and Diversity (Amore
del prossimo, libertà e diversità) ed è la prima organizzazio-
ne politica con un programma di «liberazione pornopedo-
fila» che si presenta sul panorama europeo. Sebbene siano
numerose le organizzazioni più o meno note che promuo-
vono in varie forme, anche in rete, «il diritto del minore a
scegliere la propria sessualità», quella olandese appare co-
me la prima organizzazione politica che, stando alle dichia-
razioni rilasciate dai suoi leaders, intende fare della rivendi-
cazione pedofila un’attività a largo raggio. Il movimento
chiede: l’abbassamento della soglia dell’età del consenso (il
limite per la liceità dei rapporti sessuali tra adulti e adole-
scenti dovrebbe essere abbassato dai 16 anni ai 12 anni), e
poi gradualmente l’abolizione; la depenalizzazione per la
diffusione e il possesso di materiale pedopornografico; con-
sentire la partecipazione dei giovanissimi ai film ad alto
contenuto erotico.
Il tribunale de L’Aja (luglio 2006) ha respinto il ricorso di
alcune associazioni che chiedevano la chiusura immediata
del partito Nvd. Secondo la Corte, il partito ha la possibi-
lità di esistere in virtù del diritto di parola e di associazione,
universalmente riconosciuti e garantiti.
PROSTITUZIONE SACRA.Nella regione del lago Volta esisto-
no le trokosi, donne, ma più spesso bambine di 4 o 5 anni
che vengono portate ai santuari del dio Tro, una delle divi-
nità del sistema religioso vudù, per espiare colpe commes-
se dalla famiglia, anche in un lontano passato: debiti, omi-
cidi, furti, etc. Le trokosi passano tutta la loro vita nei san-
tuari, a lavorare i campi dei sacerdoti del dio Tro e quando
diventano più grandi ne diventano le concubine. La vita
delle trokosi è un’esistenza di stenti: non possono cibarsi di
quello che coltivano, vengono picchiate e possono ricon-
quistare la libertà solo in tarda età. Si conta che siano circa
10/20mila le trokosi in Ghana, ma ve ne sono anche in To-
go e in Benin. In Nepal invece è diffusa la deukis; in questo
caso per espiare le colpe dei propri membri, le famiglie ric-
che possono comprare le ragazze povere da offrire al tem-
pio. Queste ragazze diventano mogli delle divinità o ven-
gono avviate alla prostituzione. Secondo le Nazioni Unite,
nel 1992 c’erano circa 17mila deukis in Nepal.
LA “BANCA DEGLI ORGANI”. Le storie di rapimenti si susse-
guono da anni. I trapianti ormai sono sempre più sicuri,
grazie anche al farmaco cyclosporina. Il governo cinese dal
1984, immediatamente dopo che la cyclosporina era di-
sponibile, ha preparato un documento intitolato Regole
concernenti l’utilizzazione del cadavere o degli organi dei con-
dannati a morte. Questa legge stabiliva che gli organi dei
condannati a morte potevano essere usati per il trapianto se
il prigioniero era d’accordo, se la famiglia era d’accordo e se
nessuno reclamava il corpo; e il tutto doveva essere condot-
to nella totale segretezza; in tal modo non sarebbe stata no-
ta né la destinazione dell’organo, né i nomi dei chirurghi
che partecipavano all’operazione. Nel 2006 il timore che le
condanne capitali venissero eseguite solo quando si mani-
festava la richiesta di organi è diventata una realtà. Questa
è la denuncia della Bts, la Società britannica per i trapianti.
Sui siti web dei centri di trapianto cinese viene garantito il
rapido reperimento di organi. «Fornitori di visceri possono
essere trovati subito!», questa è la promessa del sito. Il costo
per un trapianto di un rene è di 62mila dollari Usa, per uno
di cuore 140mila. «La rapidità con cui vengono trovati i do-
natori fa pensare che i detenuti siano selezionati per l’ese-
cuzione» ( Centro documentazione dell'Eurispes, 2005).
Recentemente l’inchiesta Ladri di bambini a Baghdad (set-
tembre 2006), per il canale news della Rai, ha portato alla
luce il commercio di organi soprattutto nella capitale ira-
chena; secondo le ong locali, sono almeno 5 i bambini che
spariscono ogni settimana. «A due ragazzi iracheni, di soli
10 e 11 anni, sono stati prelevati i reni. (…) Ad un bambi-
no sono stati prelevati gli occhi, (…) per far andare in por-
29
to un’operazione del genere necessariamente vi è coinvolto
uno specialista (…)» ( A. Tarik, Indipendent Iraqi Women
Organization). Secondo alcuni ricercatori locali, i bambini
iracheni sono venduti anche in Europa, in particolare in
Olanda e in Gran Bretagna, attraverso i Paesi limitrofi ed
esistono organizzazioni internazionali che operano in col-
laborazione con basisti locali.
MATRIMONIO PRECOCE O FORZATO. “L’acquisto della spo-
sa” è una pratica tradizionale in alcuni Paesi. Spesso troppo
giovane per opporsi al matrimonio combinato, la ragazza
diviene proprietà della famiglia del marito. Se diventa ve-
dova, viene ereditata come qualsiasi altra proprietà (“levi-
rato”) dal più vicino parente maschio della famiglia ed è co-
stretta ad un nuovo matrimonio.
BAMBINISOLDATO.Sono almeno 300mila (Ilo, Oim, 2006)
i bambini e i ragazzi che combattono nelle tante guerre del
mondo. Centinaia di migliaia sono invece quelli che pos-
sono essere arruolati in ogni momento negli eserciti regola-
ri o nelle file di qualche gruppo armato. La maggior parte
di questi soldati bambini ha tra i 15 e i 18 anni, ma nume-
rosi sono quelli di età inferiore (10-14 anni). In alcuni casi
i ragazzi aderiscono come volontari ai conflitti: la maggior
parte lo fa per sopravvivenza. Nella Repubblica democrati-
ca del Congo, nel 1997, tra i 4mila e i 5mila adolescenti
hanno aderito all'invito di arruolarsi, pubblicizzato attra-
verso la radio. La fine della guerra in Afghanistan, Angola e
Sierra Leone ha portato alla smobilitazione di 40mila bam-
bini, ma oltre 25mila sono stati coinvolti nei conflitti in
Costa D’Avorio e Sudan. In Colombia il reclutamento dei
minori di 18 anni nell’esercito nazionale è terminato nel
1999 ed è proibito per legge. Ma l’arruolamento da parte
dei gruppi armati illegali continua; sono circa 7mila i bam-
bini soldato colombiani, la maggior parte ha tra i 15 e i 17
anni. Altri 7mila, invece, fanno parte delle milizie urbane
legate ai diversi gruppi e operano in clandestinità. I conflit-
ti armati hanno un impatto anche sullo sfruttamento ses-
suale dei bambini. Le ragazze non accompagnate sono spes-
so catturate da militari che le utilizzano come lavoratrici
coatte o come soldati o “mogli”. Le aggressioni sessuali, usa-
te come arma di guerra contro donne e bambini, sono sta-
te 25mila nel Congo Orientale. Si ritiene che in Sierra Leo-
ne circa 10mila ragazze siano state rapite, per lo più in aree
rurali, per servire il Fronte Unito Rivoluzionario (Unicef,
2003). In Liberia uno studio recente ha scoperto che bam-
bine di soli 10 anni venivano sfruttate sessualmente dai sol-
dati nelle basi militari.
TRE VULNERABILITÀ: MINORI, MIGRANTI, NON ACCOMPA-
GNATI. L'Italia è il Paese europeo che ha il maggior numero
di minori non accompagnati: alla fine del 2005 erano
6.500. Un dato che, secondo la denuncia delle associazio-
ni, sottostima il reale numero delle presenze, perché la mag-
giore rigidità della legge Bossi-Fini induce a permanere in
uno stato di clandestinità. La regione con il maggior nu-
mero di presenze è la Lombardia (1.347), seguita dal Lazio
(913). La maggior parte dei minori (80%) registrati è di ses-
so maschile. Quanto all’età, da una rilevazione del 2004 ri-
sultava la prevalenza di adolescenti tra i 15 e i 17 anni ri-
spetto a quelli della fascia di età tra gli 11 e i 14 anni (circa
un quinto). La Romania è il primo Paese di provenienza
(37,2%), seguono il Marocco (20,1) e l’Albania (16,8)
(Rapporto Unicef-Caritas 2006 ).
SCHEDA 15. QUANDO UN MINORE SCOMPARE:
PREVENZIONE ED EDUCAZIONE ALLA SICUREZZA
LE DIMENSIONI DEL FENOMENO. Dai dati del Department
of Justice’s Office of Juvenile Justice and Delinquency Pre-
vention degli Stati Uniti emerge che nel solo 1999 è stata
segnalata la scomparsa di 797.500 bambini: di questi
203.900 sono stati sottratti da un familiare e 58.200 da un
soggetto estraneo alla famiglia; 115 i bambini vittime di ra-
pimenti protratti nel tempo, che hanno subito violenze o
non sono sopravvissuti.
Secondo il Centro europeo per i bambini scomparsi e sfrut-
tati a scopo sessuale, nel 2005 sono stati 2.438 i nuovi casi
di bambini scomparsi o sfruttati sessualmente; il 7% in più
rispetto al 2004. Più della metà dei nuovi casi erano ancora
irrisolti al 31 dicembre dello scorso anno. Infatti, il 42,4%
dei dossier aperti riguarda bambini scomparsi, ben il
36,4% bambini scappati volontariamente da casa. Nel
12,8% dei casi, poi, i piccoli scomparsi sono rapiti da un
familiare, mentre nel 7,1% si tratta di rapimenti a scopo di
sfruttamento sessuale. Solo nello 0,9% dei casi a rapire il
piccolo è una “terza persona”, estranea all’ambiente dome-
stico.
MINORI SCOMPARSI IN ITALIA. Ogni anno, in Italia, le For-
ze dell’ordine avviano circa 3mila ricerche di minori scom-
parsi. Anche se questa cifra, nel giro di un anno, si riduce di
oltre l’80%, il fenomeno è socialmente rilevante ed anche
difficile da classificare. Un minore, infatti, può “scompari-
re” per tutta una serie di motivi: dal rapimento vero e pro-
prio (stranger kidnapping/non family abduction), alla sot-
trazione attuata da un familiare (parental abduction), alla
fuga volontaria (runaway).Così, il concetto di “scomparsa”
comprende tutte quelle situazioni in cui si perdono le trac-
ce di un minore, indipendentemente dalle cause, volonta-
rie o meno, del suo allontanamento.
La fascia più consistente di minori da rintracciare è quella
dai 15 ai 18 anni, che per lo più si allontanano volontaria-
mente dal loro domicilio. Nel 2004 se ne contavano 843
stranieri e 147 italiani; nel 2005 il loro numero è aumenta-
to a 957 per i primi e 208 per i secondi. Al 10 aprile 2006 i
minori scomparsi sono 292 (203 stranieri, 89 italiani).
Ci sono tuttavia rilevanti differenze quantitative e di moti-
vazioni della scomparsa tra i minori stranieri e quelli italia-
ni. Per quanto riguarda i minori stranieri si tratta soprat-
tutto di minori di sesso maschile giunti in Italia al seguito
di flussi migratori clandestini e spesso affidati dai Tribuna-
li per i minorenni ad istituti di accoglienza o di assistenza,
da cui si allontanano volontariamente rendendosi irreperi-
bili. Per quel che riguarda i minori italiani, invece, nella
maggior parte dei casi si tratta di minori di sesso femmini-
le che si allontanano volontariamente dal proprio domici-
lio per seri motivi di disadattamento all’ambiente o per gra-
vi dissidi con i familiari.
Tra gli 11 e i 14 anni i minori scomparsi sono stati 413 nel
2004 (330 stranieri e 83 italiani); 430 nel 2005 (341 stra-
nieri e 89 italiani) e 143 al 10 aprile 2006, di cui 114 stra-
nieri e 29 italiani. La classe d’età più a rischio, quella fino ai
10 anni, ha fatto registrare la scomparsa nel 2004 di 94 stra-
nieri e 61 italiani; nel 2005 178 stranieri e 80 italiani, men-
tre al 10 aprile del 2006, 68 stranieri e 26 italiani. Molto
spesso però la sottrazione di minori avviene da parte di uno
dei coniugi (separato o in via di separazione conflittuale) ai
danni del genitore affidatario o si verificano casi in cui en-
trambi i genitori si rendono irreperibili con il minore che il
Tribunale per i minorenni aveva affidato ad appositi istitu-
ti di accoglienza o ad altre famiglie.
KIDNAPPINGS: FALSI MITI E LUOGO COMUNE DELLO
“STRANGER DANGER”. Quando si pensa al “rapimento di
un bambino”, solitamente ci si immagina un soggetto lo-
sco che in un luogo isolato della città afferra un bambino e
lo porta via. In realtà, questa forma di sottrazione risulta es-
sere la meno frequente: la maggior parte delle scomparse,
infatti, avvengono ad opera di persone che, in qualche mo-
do, sono già conosciute dai bambini.
Lo dimostrano i dati diffusi dalla Direzione centrale della
Polizia criminale: lo sconosciuto che rapisce un bambino
rappresenta solo il 17,5% dei casi (www.bambini scom-
parsi.it), ovvero una minima percentuale del fenomeno. La
medesima tendenza si riscontra nei dati, relativi al 2005,
del Centro europeo per i bambini scomparsi e abusati ses-
sualmente secondo i quali solo nello 0,9% dei casi a rapire
il bambino è una persona estranea alla famiglia. Anche i da-
ti statunitensi confermano questo trend: secondo le analisi
del National Incident-Based Reporting System (Federal
Bureau of Investigation, 1997), all’interno di un campione
di 1.214 minori scomparsi, le sottrazioni da parte di uno
dei due genitori (parental abduction) riguardavano il 49%
dei casi, quelle ad opera di soggetti non appartenenti alla
famiglia ma conosciuti (non family abduction) rappresen-
tavano il 27% dei casi, mentre solo nel 24% dei casi i rapi-
tori erano sconosciuti (stranger kidnappings).
Come nel caso degli abusi sessuali, anche in quello della
scomparsa la maggior parte degli autori sono in qualche
modo conosciuti dai bambini: appartengono alla famiglia,
la frequentano o sono presenti in uno dei luoghi frequenta-
ti dal bambino (scuola, luoghi del divertimento, luoghi del-
lo sport, etc.). Anche per quanto riguarda i motivi della
scomparsa è necessario sgomberare il campo da alcuni luo-
ghi comuni.
Secondo quanto riferito dalla Polizia criminale, infatti, è da
escludere che i bambini italiani siano vittime di organizza-
zioni che trafficano organi. Allo stesso modo, sempre la Po-
lizia criminale esclude che minorenni italiani siano vittime
di tratta, essendo l’Italia solo un Paese di transito.
LE LINEE TELEFONICHE: UN AIUTO NELLA PREVENZIONE E
NELL’INTERVENTO. Le ricerche di un bambino scomparso
prendono il via con l’inserimento del nominativo del mi-
nore nello schedario «Fatti e denunce» della Banca dati In-
terforze e sono estese a tutti i Paesi aderenti all’accordo di
Schengen. Qualora ci siano fondati motivi di ritenere che il
minore possa trovarsi in altri Paesi, viene allertata l’Inter-
pol. Contemporaneamente sono avvertiti tutti gli uffici
delle Forze di polizia territoriali. L’intera procedura è inte-
grata dall’attività investigativa, svolta sotto la direzione del-
l’autorità giudiziaria.
Data l’importanza di questi obiettivi, in molte realtà euro-
pee si sono diffuse organizzazioni e helplines. Un numero
breve, gratuito, disponibile 24 ore su 24, 7 giorni su 7 può
essere utile per raccogliere le segnalazioni relative alla scom-
parsa di un minore e attivare tempestivamente tutti gli at-
tori utili alla risoluzione del caso, a cominciare dalle Forze
dell’ordine e dall’autorità giudiziaria, per arrivare ai media,
ai servizi sul territorio, alle associazioni che operano per la
tutela dei diritti dei bambini. Attraverso una linea telefoni-
ca, poi, è possibile offrire consulenza legale o psicologica, a
seconda del caso, sostenendo le famiglie in difficoltà. Una
helpline può anche sollecitare la collaborazione degli orga-
ni mediatici (attraverso spot televisivi, on line e su carta
stampata) o distribuire volantini con dati e foto del minore
scomparso.
Al fine di valorizzare il tema dei minori scomparsi e favori-
re un maggior coordinamento - e dunque una maggiore
30
31
I minori autori di reato segnalati all’autorità giudiziaria,
nell’Italia del 2005, sono più di 20mila, per la maggioran-
za maschi ed italiani. Il Rapporto 2005 sullo stato della sicu-
rezza del nostro Paese segnala che, anche se di poco, la pre-
senza dei minori fra i denunciati totali, in questi ultimi an-
ni è in crescita. Infatti, se si confronta l’arco temporale lu-
glio 1997-giugno 2001 con il successivo arco temporale lu-
glio 2001-giugno 2005, l’incidenza dei minori denunciati
in rapporto alla totalità dei soggetti denunciati è aumenta-
ta dal 2,7% del primo periodo (82.176 minori) al 3,1% del
secondo (84.283 minori).
I reati predatori, cioè gli scippi, i borseggi, le rapine, i furti
in abitazione o di autovetture e motocicli, che in media co-
stituiscono il 43% dei reati totali, hanno registrato un’inci-
denza, nel periodo 2001-2005, di autori minorenni del
10,8%, con un aumento del 2% rispetto al quadriennio
precedente. In particolare nei due quadrienni considerati
risultano in aumento i furti e le rapine, rispettivamente
+1,4 e +41,6%. Per ciò che invece riguarda i minori de-
nunciati alle Forze dell'ordine per reati connessi all’uso o
allo spaccio di droga, questi riguardano il 7% del totale dei
denunciati nel quadriennio 2001-2005 per un totale di
6.375 giovani, con una diminuzione dell’8,1% (562 unità)
rispetto ai quattro anni precedenti. La percentuale di mi-
nori denunciati per reati di estorsione rimane invece stabi-
le al 3,5% delle denunce totali. La percentuale dei minori
denunciati per omicidio non risulta incidere in maniera
consistente sul totale delle denunce: 65 casi su 84.283, ma
si segnala una crescita del 3% degli omicidi volontari nel-
l’ultimo quadriennio.
Un aumento percentuale consistente riguarda invece le de-
nunce di minori autori di lesioni dolose. Tra il 2001 e il
2005, questo delitto riguarda il 4,9% del totale delle de-
nunce a carico di minorenni, ma la percentuale di aumen-
to nei confronti del quadriennio precedente è notevole: il
60,4%, passando quindi da 2.584 a 4.146 minori denun-
ciati.
LA SITUAZIONE EUROPEA. Nel 2001 nel nostro Paese è sta-
to registrato un numero elevato di persone denunciate, ter-
za al di sotto di Germania e Francia, seguita da vicino da
Finlandia e Regno Unito. Per quel che riguarda i minori de-
nunciati, la percentuale di incidenza sul totale, posiziona
l’Italia quasi ultima nella graduatoria con una percentuale
del 2,5%, seconda solo al Portogallo. I Paesi europei con la
più forte incidenza percentuale dei minori sul totale delle
denunce sono la Svezia, con un pesantissimo 28%, insie-
me al Regno Unito e alla Francia, rispettivamente a quota
24 e 21%, per cui quasi un denunciato ogni quattro risulta
essere un minore. L’Italia comunque sta seguendo un trend
di crescita, seppur lieve, che vede dei cambiamenti nello
specifico ambito della tipologia di crimine, per cui i delitti
commessi dai giovani vanno assumendo le caratteristiche
dei crimini commessi dagli adulti.
INGRESSI NEI CENTRI DI PRIMA ACCOGLIENZA. Negli ulti-
mi dieci anni si evidenzia una diminuzione degli ingressi di
soggetti minori (-520) con una diminuzione percentuale
di ragazzi italiani, dal 46% del 1995 al 42 del 2005, ed un
relativo aumento degli stranieri, dal 54% al 58. Analizzan-
do gli ultimi due anni, il 2005 vede una diminuzione, per
quanto riguarda gli ingressi di minori italiani, del 3% circa
rispetto al 2004, mentre la componente degli stranieri ha
fatto registrare una riduzione più marcata, intorno al 7.
Rispetto al genere, vi è una netta differenza che vede per i
minori italiani la quasi totalità dei casi al maschile (95% dei
maschi contro il 5 delle femmine), mentre per gli stranieri
c’è un distacco minore: 67% maschi e 33% femmine. Nel
complesso vi è una netta maggioranza di maschi sulle fem-
mine (79% per i primi, 21 per le seconde), con il 91% di
straniere sul totale delle femmine minori che hanno fatto
ingresso nei Cpa. La variante età vede al 2005 la prevalenza
di ingressi a carico di diciassettenni (34%), seguiti dai sedi-
cenni (26). Rimane comunque difficile il controllo dell’età
dei minori stranieri poiché non possiedono documenti che
ne certificano l’età e non sono accompagnati da adulti. Ele-
vata è la percentuale delle minori straniere che ha o che di-
chiara meno di 14 anni, quindi non imputabili, unico ran-
ge di età nel quale prevalgono le femmine (239 contro 142
maschi).
Nel 2005, il 93% (3.406 soggetti) dei minori che ha fatto
ingresso in un Cpa è stato sottoposto ad arresto; 167 mino-
ri sono stati fermati (5%) e 82 accompagnati (2%). È a Ro-
ma che si è registrato nel 2005 il maggior numero di in-
gressi con il 31% del totale complessivo (1.124 ingressi).
Seguono Milano e Napoli con rispettivamente 366 e 363
SCHEDA 16. MINORI AUTORI DI REATO
condivisione di pratiche, strategie d’azione e dati - fra i Pae-
si dell’Unione europea, la stessa Commissione europea ha
accolto positivamente la proposta (avanzata da diverse as-
sociazioni tra le quali Telefono Azzurro) di istituire un nu-
mero unico di Emergenza infanzia a livello europeo che, al-
meno inizialmente, recepirà solo le segnalazioni di casi di
bambini scomparsi e vittime di abuso/sfruttamento ses-
suale.
32
ingressi e i Centri di prima accoglienza di Torino (249), Fi-
renze (223), Catania (199), Genova e Treviso (entrambe
149) e Bologna (118). Il Cpa di Potenza è all’ultimo posto
con soli 6 ingressi (di cui 3 ragazzi italiani e 3 stranieri). In
particolare, nei Cpa del Sud e delle Isole hanno una netta
prevalenza le presenze di minori italiani, mentre al Centro
e soprattutto al Nord prevalgono in buona misura gli stra-
nieri. I reati commessi dai minori in ingresso ai Centri di
Prima Accoglienza sono per la maggior parte reati contro il
patrimonio - furto, rapina, estorsione, danneggiamento e
ricettazione - (70,6%); in seconda misura vi entrano per
violazione della legge sugli stupefacenti (18,7), per reati
contro la persona (4) e, in pochi casi, per reati contro la fa-
miglia (0,2).
Nel 69% dei casi i minori autori di reato che escono dai Cpa
dovranno seguire delle misure cautelari. Questa misura vie-
ne applicata più per gli italiani che per gli stranieri, rispetti-
vamente per l’83% dei primi contro il 60 dei secondi. Al-
l’interno delle misure cautelari il metodo più utilizzato è
quello della custodia, seguono l’inserimento in comunità e
la permanenza a casa. Per gli stranieri viene maggiormente
applicata la custodia cautelare (44% dei casi), mentre per i
minori del nostro Paese vengono applicate il più delle volte
(31%) misure non detentive, come la permanenza a casa.
Gli Istituti penali per minori. In Italia, le carceri minorili
sono 17 e le più popolate sono quelle di Roma e Milano,
seguite da Torino, Nisida (Na), Bologna, Bari e Catania. La
presenza media giornaliera dei giovani negli istituti è dimi-
nuita nel 2005 del 4% rispetto all’anno precedente. Nel-
l’arco di dieci anni (1995-2005) si è verificata una sostan-
ziale inversione di tendenza: mentre è nettamente dimi-
nuita la presenza media giornaliera dei minori italiani negli
Ipm, quella degli stranieri ha registrato un aumento co-
stante negli anni. Le ragazze detenute sono l’11% dei dete-
nuti complessivi nel 2005, con una presenza media giorna-
liera negli istituti di 54,1 giorni, contro i 422,8 giorni dei
ragazzi. Inoltre, si registra una diminuzione dei detenuti
provenienti da Serbia, Montenegro, Albania e Croazia,
mentre aumentano quelli provenienti dalla Romania.
La maggior parte dei ragazzi detenuti (il 55%) è in attesa di
giudizio, mentre il 32% ha ricevuto una condanna ed è in
esecuzione di pena. Il restante 13% è rappresentato da ap-
pellanti e ricorrenti. Tra coloro che sono in attesa di giudi-
zio, si trova un maggior numero di italiani rispetto agli stra-
nieri, con una presenza media giornaliera di 92,3 giorni per
i primi e 59,9 per i secondi.
Per gli italiani l’età media degli utenti è pari a 17,9 anni, ma
occorre considerare che nel 53% dei casi si tratta di “giova-
ni adulti”, soggetti, cioè, autori di reato da minorenni, che
sconteranno la pena in istituto fino ai 21 anni di età. Per gli
stranieri invece l’età media di utenza si abbassa ai 17 anni.
I tipi di reato per cui questi minori si trovano nel carcere so-
no soprattutto quelli contro il patrimonio. Nel 2005 erano
detenuti 57 ragazzi, di cui 40 italiani e 17 stranieri, per rea-
ti contro la persona (omicidi, violenze sessuali, tratta di per-
sone e prostituzione); 270 per reati contro il patrimonio, di
cui 105 italiani e 165 stranieri; 97 per violazione della leg-
ge sugli stupefacenti, di cui 58 stranieri e 39 italiani.
GLI UFFICI DI SERVIZIO SOCIALE PER I MINORENNI. A diffe-
renza delle altre istituzioni, dove la presenza degli immigra-
ti e quella degli italiani è abbastanza simile, per gli Ussm si
nota una netta prevalenza dell’utenza di minori italiani, sia
per coloro che sono segnalati da parte dell’autorità giudi-
ziaria, sia per quelli presi in carico dall’ufficio. Nel 2005 i
minori italiani segnalati sono il 67%, con una diminuzio-
ne del 6% rispetto al 2004, gli stranieri il 19% e i nomadi il
14. Similmente vi è una netta prevalenza dei minori italia-
ni presi in carico dall’ufficio, dove il 75% è popolato da ra-
gazzi del nostro Paese, il 17 da stranieri e l’8 da nomadi.
LE COMUNITÀ. Qui vengono accolti i giovani che hanno
in corso un procedimento penale. Gli ingressi in questi ul-
timi anni sono cresciuti vistosamente: dagli 834 ragazzi del
1998 (di cui 630 italiani) si è passati ai 1.926 del 2005. La
presenza media giornaliera è aumentata dai 173 giorni del
1998 ai 470 giorni del 2005. La classe di età che maggior-
mente usufruisce di questa sistemazione sono i ragazzi dai
16 ai 17 anni, con 1.214 collocamenti al 2005. Di questi
653 sono italiani, 488 stranieri e 73 nomadi, con una net-
ta prevalenza di maschi. La maggior parte dei minori italia-
ni che si trovano in Comunità hanno commesso reati con-
tro il patrimonio (663 ragazzi su un totale di 1.335 nel
2005), insieme ai minori stranieri, confermando i trend già
individuati dai dati degli altri istituti. Per i reati perpetrati
contro la persona sono in comunità 216 ragazzi e 448 per
aver violato la legge sugli stupefacenti.
È interessante notare che, pur non essendo la Comunità un
luogo chiuso e restrittivo, i movimenti di uscita arbitraria
sono significativi. Nel 2005, infatti, per ogni 100 colloca-
menti sono stati calcolati 35 allontanamenti arbitrari, i
quali nella maggior parte dei casi hanno riguardato noma-
di e stranieri; allo stesso tempo gli italiani sono coloro che
in misura maggiore rientrano spontaneamente.
I nomadi e gli stranieri popolano maggiormente le Comu-
nità del Centro e del Nord Italia, e i minori italiani per lo
più quelle del Sud del nostro Paese. Infatti, nel 2005 sul to-
tale di 1.135 ingressi nelle Comunità del Centro e del
Nord, 871 sono stati di stranieri e di nomadi, 264 di italia-
ni; valori che si ribaltano se si considera la situazione degli
ingressi nelle Comunità del Sud Italia e delle Isole: sul tota-
le di 791 solo 87 ingressi hanno riguardato stranieri e no-
madi.
33
QUALI MINORI E QUALI REATI. All’interno del mondo dei
minori autori di reato si muovono differenti realtà: ad
esempio, i gruppi di ragazzi organizzati per colpire i propri
coetanei con lo scopo di scipparli dei cellulari, ed i capan-
nelli di ragazzi che eseguono furti ai turisti nei centri storici
delle città, sotto il comando e il controllo di adulti, non so-
no evidentemente la stessa cosa. Nel primo caso, infatti, i
soggetti sono autori coscienti delle loro azioni, intenziona-
ti a compiere un danno a persone o cose, e il fenomeno è
definito come bullismo o delle baby-gang. Nel secondo ca-
so, invece, sono ragazzi indotti a compiere reato, spesso co-
stretti a dover consegnare al proprio capo una somma di
denaro o un bottino stabiliti.
BULLISMO. Quando le azioni intenzionali di prepotenza e
prevaricazione, di vessazioni e di maltrattamenti hanno co-
me scenario la scuola, il fenomeno prende il nome di bulli-
smo, dall’inglese bullying. L’associazione Telefono Azzurro
è stata fra le prime nel nostro Paese ad occuparsi del mondo
dell’infanzia e dei minori, e su questo fenomeno in partico-
lare ha redatto un quaderno da diffondere nelle scuole al fi-
ne di informare i giovani alunni, i loro insegnanti e le fami-
glie sul fenomeno del bullismo, per combatterlo e preve-
nirlo. Una caratteristica fondamentale del bullismo è il suo
inscenarsi durante un lungo spazio di tempo, cioè non es-
sere un singolo episodio di violenza, fisica o verbale, ma
un’azione che si protrae con frequenza lungo il periodo sco-
lastico. Da qui la definizione del bullismo come mobbing
in età evolutiva.
L’azione di bullismo è intenzionale, cioè messa in atto ap-
positamente dal bullo per provocare sofferenza e disagio al-
la vittima, la quale non riesce a difendersi e subisce le an-
gherie del dominante. In questo rapporto asimmetrico di
prevaricazione del forte sul debole si innesca anche il grup-
po che spesso fa da spalla al bullo, contribuisce alla forma-
zione e al mantenimento dei ruoli delle due figure e spesso
partecipa ad azioni di violenza, anche solo con il silenzio.
In particolare, il bullismo può essere:
• diretto verbale quando consiste nell’insultare e scher-
nire le vittime, offenderle con prese in giro umilianti o raz-
ziste;
• diretto fisico se si passa alle mani, con schiaffi, calci, ti-
rate di capelli e graffi, appropriazione o danneggiamento
di oggetti
• indiretto quando assume modalità meno palesi, agen-
do sul piano psicologico e manifestandosi nell’escludere le
vittime dal gruppo amicale, isolandole, emarginandole e
colpendole nella dignità, ad esempio, mettendo in circolo
voci false su di esse.
Il primo e il secondo tipo di bullismo, quello delle prepo-
tenze dirette, fisiche e verbali, appartiene soprattutto ai ma-
schi e si rivolge indifferentemente ai ragazzi o alle ragazze;
mentre gli episodi di violenza psicologici, subdoli, meno
palesi, propri del bullismo indiretto, sono messi in atto con
maggiore frequenza dalle femmine verso le stesse coetanee.
BABY-GANG. Quando il bullismo esce dalle pareti scolasti-
che e si organizza in bande giovanili dove il bullo diviene
un capo, un leader seguito da compagni che lo appoggiano
in scorribande di quartiere e vere e proprie azioni crimina-
li, si è di fronte a quelle che sono definite la baby-gang, sem-
pre più numerose nelle grandi metropoli e nelle loro peri-
ferie. I reati sono generalmente lo scippo, la rapina, il con-
sumo e lo spaccio di sostanze stupefacenti, atti di pestaggio
contro bande rivali per difendere il controllo della propria
zona di azione generalmente un quartiere , violenze verso
i più deboli e stupri.
Il fenomeno si è affermato inizialmente nel Centro-Nord
dell’Italia, dove ad essere implicati sono maggiormente ra-
gazzi stranieri e nomadi, che compiono per lo più reati co-
me il consumo e lo spaccio di droga e furti. Diffusosi poi
rapidamente anche nel Meridione, il fenomeno ha coin-
volto in larga maggioranza giovani residenti nei quartieri
“difficili” dei centri urbani, già sfruttati dalla malavita orga-
nizzata locale. In confronto ai compagni delle baby-gang
del Nord, i giovani criminali del Sud si macchiano di reati
spesso più gravi, fra cui violenze sessuali sulle ragazze di
bande rivali e omicidi a scopo di rapina e di estorsione.
34
capitolo 3
LA SALUTE
SCHEDA 17. BIOETICA DELL’ASSISTENZA ALLA NASCITA
Il comportamento del bambino dipende molto da come
viene accolto e “allevato” fino dai primi attimi della sua esi-
stenza embrionaria. Gravidanza, parto, post partum e
puerperio divengono così un tutto unitario guidato dalla
équipe ginecologo-pediatrica durante tutto questo perio-
do. Équipe medica unitaria, che si serve di altre figure pro-
fessionali: dalla/o psicologa/o alla/o psichiatra, dalla oste-
trica all’anestesista per affrontare il problema dal punto di
vista bioetica, che considera la persona umana in senso “so-
listico”, in cui natura e cultura si fondono. Questo in linea
con la prima definizione di “bioetica”, termine usato per la
prima volta da Van Resselaur Potter (1970): «Ho scelto la
radice “bio” per rappresentare la conoscenza biologica; la
scienza del sistema dei viventi (“bios” come “vita” nell’anti-
co greco), ed “etica” per rappresentare la conoscenza del “si-
stema dei valori umani”».
Medici, quotidianamente impegnati ad accogliere la vita
nascente e a promuoverne la qualità in questa fase così de-
licata, aiutando nello stesso tempo la madre e la coppia a
superare i rischi fisici e psichici legati ancor oggi a questo
evento, si trovano spesso a dover scegliere, tra diverse possi-
bili azioni mediche, quella che, rispetto alle altre, possa pro-
durre maggiori conseguenze positive e a dare quindi con-
creti giudizi etici. Azioni che dovrebbero anche essere (pro-
prio per il “principio di autonomia”) ritenute le più idonee
anche dalla gestante, sempre più spesso chiamata a dare un
consenso sulle scelte operate dai medici.
La tentazione però è che ci si limiti alla pura deontologia, o
peggio, non si sviluppi la riflessione etica attraverso conce-
zioni antropologiche che tengano conto del valore della
persona, limitando tutto ad una visione tecnico-sperimen-
tale dell’arte medica. La scelta del ginecologo consiste per-
ciò spesso, non solo nel cercare la “soluzione migliore”, ma
quella del “minor male”, quella che produca minori danni
(secondo il principio della “non maleficenza”).
La caratteristica di questa professione è poi tale che decisio-
ni di questo genere non sono limitate a rare occasioni, ma
presenti nella prassi quotidiana; decisioni che spesso vanno
prese in pochi istanti, richiedendo immediate soluzioni.
Forse per questa ragione scattano spesso, ed in maniera cre-
scente, problematiche legali in sala parto. L’eccessivo ricor-
so alla legge ha inoltre determinato l’insorgere di criteri di
“medicina difensiva”, che fanno porre al medico non la do-
manda «qual è la migliore decisione da assumere secondo
la mia scienza e coscienza?», ma piuttosto «qual è la decisio-
ne che apparirà migliore a chi giudicherà il mio operato?».
La spesa per l’assicurazione contro possibili danni profes-
sionali in ostetricia ha, infatti, oggi raggiunto cifre tali da
provocare in molti Paesi la caduta delle iscrizioni alla spe-
cialità. Il fenomeno è già evidente negli Stati Uniti (per eser-
citare la professione di ginecologo a Miami si pagano
147mila dollari all’anno di assicurazione), ma anche in Eu-
ropa si assiste oggi ad un allontanamento dei ginecologi
dalla sala parto.
Si comprende quanto alta sia quindi l’esigenza da parte del-
l’ostetricia moderna di approfondire criteri etici generali
da applicare alle scelte quotidiane, che non è più possibile
basare solo sulle sole proprie “virtù”, ma su “principi” il più
universalmente accettabili. In mancanza di criteri univoci,
infatti, le scelte etiche sono spesso guidate da valutazioni
medico-legali e non dal criterio della responsabilità.
La caduta del “paternalismo medico” ha inoltre determina-
to in molti ginecologi la convinzione che non sia più loro la
responsabilità di dover decidere quale sia “il bene del pa-
ziente” (ritenendo che ciò non rientri nelle proprie “virtù”
e “funzioni”), fino a non ritenere che sia un ruolo essenzia-
le del medico acquisire le competenze necessarie per com-
prendere i reali bisogni della gestante. Il rispetto della “au-
tonomia” della gestante e la promozione del “protagoni-
smo della coppia”, pur essendo principi su cui dovrebbe ba-
sarsi una moderna assistenza alla nascita tesa all’“umaniz-
zazione” dell’evento parto non escludono il dovere di pren-
dere decisioni responsabili “secondo scienza e coscienza” .
La persuasione occulta, dettata da “mercato e moda” attra-
verso i mass media, che spesso riflettono ideologie e cultu-
re dominanti, influenza poi notevolmente sia paziente che
medico, il quale deve però avere la capacità di applicare alle
proprie scelte rigorosi criteri di una medicina “basata sul-
l’evidenza”.
Il principio utilitarista che ritiene unico fine del vivere «pro-
var piacere ed evitare il dolore», con il conseguente invito a
scegliere da parte del medico quella azione «che, rispetto ad
altre, produce il maggior numero di conseguenze positive,
o meglio, che produce rispetto ad altre la maggior felicità
complessiva» ( Sala, 2003), non è forse di difficile applica-
zione alle scelte da effettuarsi in sala parto? Anche quando
però non vi sia conflittualità fra diverse istanze etiche, esiste
il pericolo che il pluralismo culturale porti ad un relativi-
35
smo etico, che neghi l’esistenza di universali valori di riferi-
mento. Il riferimento ad un’antropologia basata sul perso-
nalismo, che veda l’unità natura-cultura, corpo-spirito,
può però essere di grande aiuto nelle scelte di queste figure
professionali. Ma non tutti condividono questa istanza.
Prendendo in considerazione il discusso problema dell’ec-
cessivo ricorso al taglio cesareo, in particolare nel nostro
Paese, emerge come vi sia un’indicazione in rapida crescita,
quella del cesareo per scelta della paziente.
Le ricerche su questo tema si sono moltiplicate, ma soprat-
tutto è aumentato in tutto il mondo il ricorso al taglio cesa-
reo per esplicita volontà della paziente e senza indicazioni
mediche. Ancora una volta una prassi basata su scelte di ti-
po utilitaristico, talora guidata dal mercato, supera il rigore
scientifico della “evidence based medicine”, dando più spa-
zio alla “narrative based medicine”, che cerca di compren-
dere in modo empatico i bisogni di salute del singolo pa-
ziente, interrogandosi non solo sui fatti fisiologici e patolo-
gici della sua esistenza, ma su come la gestante li ha vissuti e
li vive.
Il punto è che molto spesso il medico, su tale argomento,
agisce secondo criteri basati su opinioni personali piuttosto
che sull’evidenza scientifica. Un dato su cui riflettere è che
nel Regno Unito la maggior parte dei ginecologi sceglie per
sé o per la propria compagna il taglio cesareo elettivo, senza
altra indicazione (Barret, 2005), mentre per la paziente in-
siste nel consigliare il parto per via vaginale, ricorrendo
spesso all’uso di ossitocici e di forcipe o vacuum.
Al di là quindi delle linee guida, è la scelta etica basata su un
colloquio profondo ed esauriente che guida la decisione cli-
nica. Questa sarà possibile se gravidanza, parto, post par-
tum e puerperio saranno sotto la responsabilità di una stes-
sa équipe ostetrica e si cessi presto di “piombare nei centri
nascita”, avendo fatto altrove la preparazione alla nascita e
alla genitorialità ed essendo state seguite in gravidanza se-
condo linee guida diverse da quelle usate dalla équipe che
segue il parto. Mai come oggi un’etica basata sulla compe-
tenza esige in bioetica non solo una aggiornata conoscenza
di tecniche e un rinnovato patrimonio culturale sulla fisio-
patologia e sulla clinica, ma anche una capacità pedagogica
di organizzare il proprio progetto di educazione perma-
nente. Per il docente, o il tutor (mentor) è poi necessaria
una specifica competenza per aiutare a “crescere e cambia-
re” le persone affidategli. Esiste quindi un “principio di
competenza”, che obbliga ciascun medico non solo a cono-
scere (saper fare), ma anche a saper imparare ad agire e a sce-
gliere quale sia il miglior atto medico. La “bioetica dell’assi-
stenza alla nascita” deve affrontare il tema delle strutture
operative e della formazione e ruolo del personale. Il medi-
co tende a fuggire dal lungo e gravoso impegno di seguire
travaglio e parto, in cui ha il difficile compito non solo di
fare diagnosi precoce di qualsiasi distocia, ma anche di pre-
vedere un aumentato rischio materno o fetale che giustifi-
chi un suo pronto intervento. Ne è derivato che l’assistenza
a gravidanza, parto e puerperio fisiologico finisce per essere
trascurata.
Questo è uno dei più gravi problemi della moderna ostetri-
cia, soprattutto in Italia. Non è possibile infatti che uno spe-
cialista in ostetricia sia incapace di counselling nei corsi di
preparazione al parto, ma soprattutto che non sia capace di
seguire autonomamente un travaglio e un parto fisiologi-
co. Oggi si deve essere medici della persona, profondi co-
noscitori della fisiologia e della psicologia umana, atti a pre-
venire e “prendersi cura” (to care) oltre che “curare” (to cu-
re). Si può discutere fino a che punto il medico debba esse-
re il solo “regista” responsabile del parto, oppure “attore”
nella sua assistenza. Certamente è responsabile della presa
in carico della gestante dalla visita preconfezionale fino al
puerperio. Il medico deve preparare la donna al protagoni-
smo della coppia, facendo fede al principio dell’autonomia.
SCHEDA 18. BAMBINI E ADOLESCENTI IN SITUAZIONI DI DISASTRO:
SONO EFFICACI GLI INTERVENTI DI SALUTE MENTALE?
LA METODOLOGIA DELLA RICERCA IN SITUAZIONI DI DISA-
STRO. La ricerca nell’ambito dei disastri si caratterizza per
una prevalenza di studi sui disastri naturali (55%), realizza-
ti per lo più negli Stati Uniti (52%), su campioni di sogget-
ti adulti (70%), sebbene la maggior parte dei disastri av-
vengano proprio nei Paesi in via di sviluppo. I campioni di
bambini appaiono sottorappresentati: solo il 18% dei cam-
pioni in caso di disastri naturali, l’11% in caso di disastri
tecnologici e il 15% degli studi sulla violenza di massa. Per
quanto concerne la metodologia della ricerca, solo in uno
studio su cinque il campionamento è stato condotto con la
tecnica dell’assegnazione casuale: nel 31% dei casi, ovvero
la moda, il campionamento è stato di convenienza (conve-
nience sample). La numerosità campionaria mostra una
notevole variabilità: approssimativamente un campione su
tre è composto da meno di 100 soggetti, uno su quattro da
più di 400. Gli studi che coinvolgono bambini e adole-
scenti, forse perché condotti nelle scuole, presentano gene-
ralmente campioni molto numerosi (mille).
Il 72% degli studi presenta un disegno cross-sectional, os-
sia dispone di un solo assessment successivo al disastro. So-
lo nel 28% dei casi sono stati effettuati due o più assessment
(longitudinal design) e solo nel 4,4% dei casi sono disponi-
bili valutazioni precedenti al disastro (pre-post design): po-
chissimi studi longitudinali e pre-post sono stati condotti
nei Paesi in via di sviluppo. Gli studi pre-post, rispetto a
quelli solo post, sembrano inoltre caratterizzati da una mi-
nore severità negli effetti riscontrati sulla popolazione. Nel
61% dei casi, il primo assessment è stato realizzato entro sei
mesi dal disastro: il timing di questa prima valutazione, tut-
tavia, non sembra influenzare la severità degli effetti osser-
vati.
Quando si analizzano le conseguenze di un evento trauma-
tico su una popolazione è evidente l’interazione di un ele-
vato numero di variabili, di ordine biologico, psicologico e
ambientale. Soggetti esposti ad un medesimo evento pos-
sono rispondere in modi del tutto differenti: se alcuni mo-
strano una straordinaria capacità di resistere alle avversità,
altri testimoniano come un evento traumatico possa in-
fluenzare profondamente la vita di un essere umano, con-
dizionandone lo sviluppo, la strutturazione della persona-
lità, l’acquisizione delle competenze cognitive ed emozio-
nali, il funzionamento relazionale, l’adattamento e la salu-
te mentale più generalmente intesi.
In alcuni Paesi occidentali, come gli Stati Uniti, vi è un si-
gnificativo investimento nella ricerca: non solo è ricono-
sciuta la necessità di interventi di salute mentale in contesti
caratterizzati da grandi emergenze, ma si promuovono una
specifica formazione e uno specifico addestramento su
questi aspetti, nella consapevolezza dei molti risvolti etici e
metodologici. Purtroppo, non si può dire lo stesso per l’I-
talia che, nonostante una diffusa attrazione per il concetto
di trauma e per le sue ripercussioni sulla salute mentale de-
gli individui, manca ancora di un serio impegno nella ri-
cerca e nel confronto a livello internazionale. Negli ultimi
anni abbiamo assistito al fiorire di iniziative e congressi, al-
la nascita di scuole e corsi di perfezionamento, alla costitu-
zione di innumerevoli gruppi e associazioni di psichiatri e
psicologi esperti dell'emergenza. Il terremoto che nel 1998
ha colpito le Marche e l’Umbria, l’incidente nell’aeroporto
di Linate nel 2001, il terremoto del Molise nel 2002, gli in-
terventi realizzati in Italia e all’estero sulle vittime dello tsu-
nami nel 2004, testimoniano l’interesse per il tema e per gli
interventi in questo settore, ma anche - troppo spesso - il
persistere di approcci pionieristici e per lo più privi di un
fondamento scientifico.
STUDI CONTROLLATI. Uno dei primi studi controllati in
quest’ambito è stato realizzato da Galante & Foa ( 1986),
in una popolazione di bambini esposti al terremoto che ha
colpito il Sud dell’Italia nel 1984. I ricercatori hanno ana-
lizzato la sintomatologia presente in 300 vittime del terre-
moto, residenti in sei diversi paesi e dimostrato l’efficacia di
interventi di gruppo realizzati nelle scuole. Grazie ad un
gruppo di controllo composto da bambini che non erano
stati sottoposti al trattamento, è stata verificata l’ipotesi che
un trattamento cognitivo comportamentale di sette incon-
tri mensili fosse efficace nel ridurre le paure nella popola-
zione infantile: il paese nel quale venne realizzato il tratta-
mento presentò, infatti, significative riduzioni nella sinto-
matologia.
In un altro studio, Goenjian e collaboratori ( 2005, 1997)
hanno valutato l’efficacia di un intervento di psicoterapia
focalizzata sul trauma e sul lutto (trauma/grief-focused psy-
chotherapy) in un campione di adolescenti che a seguito al
terremoto armeno del 1988 avevano sviluppato sintomi di
Ptsd e depressione. Diciotto mesi dopo il disastro, 64 prea-
dolescenti (età media, 11-12 anni) avevano preso parte al-
l’intervento: 35 erano stati sottoposti al trattamento e 29
avevano costituito il gruppo di controllo, non sottoposto al
trattamento. Dopo altri 18 mesi (tre anni dopo il disastro)
gli adolescenti erano stati rivalutati sulla sintomatologia del
Ptsd e della depressione. La psicoterapia focalizzata sul trau-
ma e sul lutto includeva: ricostruzione e rielaborazione del-
l’evento traumatico, con una particolare attenzione ai sin-
tomi di evitamento e maladattivi, conseguenza di distor-
sioni e attribuzioni errate; identificazione dei reminders
traumatici, promozione nei giovani di capacità di tolleran-
za e ricerca di supporto sociale durante e dopo la loro com-
parsa; capacità di far fronte allo stress e alle avversità, inco-
raggiando l’utilizzo di comportamenti pro-attivi nella ge-
stione dei cambiamenti e delle perdite causati dal disastro;
gestione del lutto; valutazione dell’impatto evolutivo del
disastro e promozione dei normali compiti evolutivi.
Un terzo studio controllato è stato realizzato da Laor e col-
laboratori (Wolmer et al., 2005; Laor et al., 2002) su un
campione di bambini vittime del terremoto in Turchia del
1999, che aveva causato 18mila morti. Tre anni dopo il ter-
remoto un gruppo di bambini sopravvissuti ha preso parte
ad un programma di intervento realizzato nelle scuole da-
gli insegnanti, opportunamente formati da un gruppo di
esperti di salute mentale. Dopo l’intervento di Class Reac-
tivation Program, la severità della sintomatologia si era si-
gnificativamente ridotta, mentre erano aumentate le com-
petenze relazionali osservate dagli insegnanti.
STUDI CONTROLLATI RANDOMIZZATI.Al momento attuale
in letteratura sono presenti solo tre studi randomizzati con-
trollati di interventi rivolti a popolazioni di bambini e ado-
lescenti esposti a disastri.
Nel primo, Chemtob, Nakashima & Hamada ( 1996) due
anni dopo l’uragano Iniki hanno analizzato gli effetti di un
trattamento psico-sociale sulla sintomatologia post trau-
matica in un campione di bambini delle scuole elementari
dell’isola di Kauai. Nel secondo studio clinico randomizza-
to (Chemtob, Nakashima & Carlson, 2002) sono stati ana-
36
37
SCHEDA 19. DISTURBI DELL’ATTENZIONE
E IPERATTIVITÀ IN EPOCA PRECOCE
IL DDAI - DISTURBO DA DEFICIT DI ATTENZIONE E IPERAT-
TIVITÀ. Il Ddai è una condizione che si caratterizza per la
presenza di iperattività e/o impulsività e/o persistenti diffi-
coltà di attenzione; per poter parlare di Ddai è necessario
che i sintomi si manifestino prima dei sette anni di vita e
siano presenti in diversi contesti. I sintomi di disattenzio-
ne, iperattività e impulsività devono essere presenti da al-
meno sei mesi e non devono essere la conseguenza di altri
disturbi, quali quelli dell’umore, l’ansia, etc.
I bambini con Ddai non sono semplicemente vivaci o po-
co interessati alla scuola, ma la sintomatologia influisce in
modo importante nella vita quotidiana del bambino, nella
possibilità di apprendere e nelle relazioni sociali con coeta-
nei e non. I gravi disordini dell’attenzione possono avere
conseguenze piuttosto serie per i bambini, le loro famiglie
e la società. I bambini potrebbero sviluppare un’autostima
limitata, problemi emotivi e sociali e il loro rendimento
scolastico potrebbe essere seriamente pregiudicato. Diversi
autori sono concordi nell’affermare l’esistenza di una di-
stribuzione continuativa del disturbo dalla prima infanzia
all’età adulta, anche se il rapporto tra i tre sintomi basilari
(inattenzione, impulsività, iperattività) cambia significati-
vamente nel tempo e cambia la correlazione con i disturbi
associati.
I sintomi necessari per formulare una diagnosi di Ddai so-
no estremamente aspecifici e comuni a molti disturbi psi-
copatologici in età evolutiva e questo è motivo di qualche
confusione diagnostica, confusione che porta ad una non
sempre facile distinzione tra reale comorbilità (fino al 60%
dei casi) e “semplice” sovrapposizione di sintomi. È noto
che il Ddai è un disturbo che, generalmente, si manifesta in
età evolutiva, ma è meno noto a che età si possa formulare
una diagnosi e, soprattutto, quali siano i precursori clinici
di questo disturbo.
Le influenze genetiche nel Ddai sono considerate forti: vie-
ne infatti riportata una ereditarietà tra il 70 e il 90%. Valo-
ri così elevati di ereditarietà sono da attribuire alla estrema
variabilità di presentazione del disturbo e, di conseguenza,
alla forte eterogeneità delle popolazioni esaminate. Allo sta-
to attuale delle conoscenze sembrerebbe che la genetica in-
fluenzi il tratto e non la malattia. Sono stati ipotizzati più
fattori genetici (recettori della dopamina, trasporto mole-
colare della dopamina, proteina sinaptica), riscontrati o
meno da gruppi di ricerca diversi per forte eterogeneità del-
le popolazioni investigate. Fattori prenatali (abuso sostan-
ze in gravidanza), neonatali (basso peso, sofferenza fetale) e
postnatali (tossici, dietetici, interattivi) sono considerati
fattori di rischio determinanti.
SINTOMI DI DISATTENZIONE. I bambini possono avere dif-
ficoltà nel mantenere l’attenzione nelle attività di gioco o
nei compiti, commettendo frequenti errori di distrazione,
non prestando attenzione ai particolari o alle spiegazioni.
Questi bambini non sembrano ascoltare quando si parla
loro direttamente, non portano a termine un compito,
hanno difficoltà ad organizzarsi e spesso tendono ad evita-
re tutti quei compiti in cui è necessaria una concentrazione
prolungata; sono bambini che si distraggono con estrema
facilità per la presenza di stimoli esterni, anche di lieve en-
tità.
SINTOMI DI IMPULSIVITÀ E IPERATTIVITÀ. I sintomi del-
l’impulsività si manifestano attraverso una difficoltà ad at-
tendere il proprio turno e/o il termine di una domanda pri-
ma di rispondere (interrompendo le conversazioni altrui,
intromettendosi nei giochi, etc.) e sono frequentemente as-
sociati ai sintomi dell’iperattività. Nello specifico, si tratta
di bambini che hanno difficoltà a rimanere tranquilli in tut-
te quelle situazioni in cui ci si aspetta che rimangano sedu-
ti; vengono descritti come in continuo movimento come
se fossero guidati da un “motorino” e, anche quando sono
fermi, lo sono in modo apparente perché tamburellano con
le dita, si muovono in continuazione sulla sedia, toccano
tutto quello che hanno di fronte. Infine, hanno difficoltà a
giocare in modo tranquillo e preferiscono dedicarsi soprat-
tutto ad attività di movimento.
INTERVENTO. La sindrome da Deficit di attenzione è una
condizione molto complessa e variabile dal punto di vista
sintomatologico. Il suo trattamento necessita dell’inter-
vento multidisciplinare di specialisti, con la collaborazione
tra pediatra, genitori e insegnanti guidati da neuropsichia-
lizzati gli effetti dell’Emrd sul Ptsd. Al follow up realizzato
l’anno dopo il precedente intervento sulle piccole vittime
dell’uragano Iniki (Chemtob et al., 1996), infatti, alcuni
bambini presentavano ancora una significativa sintomato-
logia clinica. Il terzo studio clinico randomizzato control-
lato (Hardin et al., 2002) è stato realizzato dopo l’uragano
Hugo che ha colpito il Sud della Carolina. Questa ricerca
ha valutato l’efficacia di un intervento psico-sociale di cura
a lungo termine finalizzato a ridurre la sintomatologia in
un gruppo di adolescenti esposti al disastro.
38
SCHEDA 20. GENETICA DEI DISTURBI MENTALI IN ETÀ EVOLUTIVA
tri, psicologi e terapisti della neuropsicomotricità dell’età
evolutiva esperti. Allo stato attuale, sono pochi gli studi che
hanno affrontato in modo esaustivo il discorso di un inter-
vento terapeutico precoce nei bambini con Ddai. Nella
maggior parte dei casi, viene proposto un lavoro di tipo psi-
co-educativo che deve tenere in dovuta considerazione le
caratteristiche neurocognitive e neuropsicologiche del
Ddai e dei disturbi dello sviluppo associati.
Il bambino si inserisce, dalla nascita ed ancor prima della
nascita, in un complesso sistema di interazioni ed equilibri
che comprendono le dinamiche familiari, il contesto socia-
le e relazionale, gli eventi di vita. Ciascuno di questi fattori
può avere un ruolo nel determinare suscettibilità ovvero
protezione rispetto allo sviluppo di una psicopatologia.
Negli ultimi decenni si è assistito a un importante sviluppo
della ricerca nell’ambito del ruolo della genetica in psichia-
tria infantile. Quanto ne sta emergendo è un quadro com-
plesso, in cui si spazia da patologie a predominante com-
ponente genetica ad altre in cui agiscono in modo preva-
lente fattori per contrasto definiti “ambientali”.
Fra i due estremi, vi è un ampio spettro intermedio di di-
sturbi per cui il meccanismo causale si ritiene derivi dall’in-
terazione fra geni definiti di “suscettibilità” e l’ambiente. In
questi casi, nessun fattore è di per sé sufficiente per deter-
minare lo sviluppo della sindrome clinica, la quale emerge
invece proprio dall’interazione fra fattori di suscettibilità e
di resistenza presenti nel patrimonio genetico come nel-
l’ambiente. Si parla in questi casi di patologie “multifatto-
riali”. Gli studi recenti hanno dimostrato l’estensione del-
l’influenza della genetica sull’intero spettro del comporta-
mento umano, e non solo sulla patologia. Effetti genetici
importanti sono stati dimostrati ad esempio per alcuni
aspetti della personalità, attitudini, valori. Esistono perfi-
no differenze nella tendenza all’esposizione al rischio am-
bientale.
Fra le patologie psichiatriche del bambino e dell’adolescen-
te classificate dal DSM IV (1994), alcune riconoscono più
consistenti evidenze del ruolo di fattori genetici. Fra queste
l’autismo, i disturbi dell’umore (disturbo bipolare più che
depressione maggiore), la schizofrenia, il disturbo da defi-
cit dell’attenzione-iperattività, il disturbo della condotta e
il disturbo oppositivo-provocatorio, il disturbo da abuso di
sostanze ed infine il disturbo da tics e la sindrome di Tou-
rette. A queste vanno aggiunte tutte quelle patologie gene-
tiche (sindromi dismorfiche, malattie degenerative) per cui
si riconosce, all’interno di una sintomatologia ampia ed
eminentemente organica, anche una componente com-
portamentale.
LO STATO DELLA RICERCA GENETICA NEL CASO DEI DI-
STURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO.L’autismo è classificato
come un disturbo pervasivo dello sviluppo, che esordisce
entro i 3 anni di età. Clinicamente, è definito dalla presen-
za della triade sintomatologica: difficoltà nella sfera sociale,
difficoltà nella comunicazione verbale e non verbale e com-
portamenti ed interessi ristretti, ripetitivi e stereotipati. Il
disturbo è interessante da un prospettiva genetica perché, a
differenza di molte patologie complesse, è relativamente
raro e si presenta con un alto grado di aggregazione all'in-
terno delle famiglie.
Pur essendo la prevalenza stimata nella popolazione gene-
rale fra lo 0,1 e il 0,3%, si calcola che il rischio di ricorrenza
della malattia nei fratelli (che condividono metà del patri-
monio genetico) sia molto maggiore, del 4,5%. Se si ana-
lizza il rischio di ricorrenza nei gemelli monozigoti, i valori
oscillano fra il 60 e il 91%. L’ipotesi che vi possa essere un
singolo gene alla base del disturbo (come accade, ad esem-
pio, nella fibrosi cistica) non è compatibile con una serie di
evidenze.
Dati epidemiologici, innanzitutto. Le percentuali di ricor-
renza della malattia nelle famiglie non corrispondono a
quelle che si osservano nelle patologie trasmesse con un
unico gene. Lo stesso dicasi per l’inusuale distribuzione fra
i sessi: il rapporto maschi/femmine è di 4 a 1. Secondaria-
mente, evidenza importante è rappresentata dalla peculia-
re presentazione clinica di questo disturbo. Vi è infatti am-
pia variabilità interindividuale nel tipo, intensità e caratte-
ristiche dei sintomi presentati. Questa variabilità ha indot-
to i ricercatori e i clinici nell’ultimo decennio a parlare, più
che di autismo, di disturbi dello spettro autistico, a sottoli-
neare l’esistenza di un range sintomatologico. Anche in una
stessa famiglia, quando sono presenti più soggetti affetti, è
usuale che ciascuno presenti caratteristiche cliniche del di-
sturbo peculiari. Non ultimo, nel 20% dei fratelli sani di
bambini autistici, sono stati riscontrati tratti “sotto soglia”
(ovvero di gravità non sufficiente a porre diagnosi di pato-
logia) di difficoltà di comunicazione, relazione o di interes-
si peculiari e stereotipati.
Non appare possibile che un tratto così variabile sia causa-
to da un singolo gene su un modello lineare causa-effetto.
L’ipotesi che è stata formulata è quella di un’eziologia com-
plessa, che prevede il coinvolgimento di diversi geni, situa-
ti su diversi cromosomi, che interagiscono secondo un mo-
dello articolato fra loro e con i fattori ambientali.
39
SCHEDA 21. I RISCHI DELLA RETE:
RELAZIONE TRA INTERNET E PSICOPATOLOGIA
Nel solo 2005 in Giappone si sono registrati 34 casi di sui-
cidio collettivo organizzato via Internet, con 91 vittime; nel
2004 erano stati 19 con 55 vittime e il numero si è pratica-
mente triplicato dal 2003, anno in cui il fenomeno ha ini-
ziato a dilagare. Questi giovani aspiranti suicidi decidono
di attuare il loro progetto dopo essersi ritrovati a condivi-
dere angosce, paure e il desiderio di morire con i propri coe-
tanei su qualche sito che tratta di suicidio e che spesso spin-
ge, motiva, rende reale quello che spesso è solo un dispera-
to pensiero in cerca di una soluzione. Ma c’è di più: qual-
cuno decide di uccidere il proprio sé reale lasciando in vita
il sé virtuale, quella parte di sé che solo in Internet ha trova-
to un posto per vivere, lontano dalla frustrazione, vicina al-
l’onnipotenza.
DIPENDENZETECNOLOGICHE.Sono molte le domande che
il mondo scientifico si pone rispetto all’uso rivoluzionario
della Rete e che soprattutto riguardano i bambini, gli ado-
lescenti e i giovani adulti, per i quali tutta da verificare è l’in-
fluenza del nuovo mondo telematico sui processi di cresci-
ta psicologica, neurocognitiva e relazionale.
L’esistenza di patologie legate all’uso di Internet è ormai una
realtà in tutto il mondo, si tratta di condizioni psicologiche
genericamente indicate con il termine di Internet addic-
tion e che includono una grande varietà di usi patologici
della Rete a loro volta legati alle caratteristiche di persona-
lità e quindi ai canali di soddisfazione e rinforzo che l’uten-
te sperimenta. Saranno perciò di volta in volta i Mud, le
chat, l’informazione, il gioco d’azzardo, il cybersesso a coin-
volgere in modo patologico alcuni utenti potendo condur-
re a due fenomeni principali: la dipendenza e la perdita del
contatto con la realtà, fino a fenomeni dissociativi più o me-
no gravi.
Secondo la Canadian Medical Association la Iad è attual-
mente considerata una forma di abuso-dipendenza rispet-
to ad Internet, reale come l’alcolismo e la tossicodipenden-
za e come queste provoca assuefazione, problemi sociali,
sintomi astinenziali, isolamento e ritiro, problemi presta-
zionali, economici e lavorativi.
I soggetti più a rischio sarebbero individui tra i 15 e i 40 an-
ni con difficoltà socio-comunicative legate a problemi psi-
cologici e psichiatrici, sia familiari che relazionali. In parti-
colare sarebbero maggiormente esposte personalità carat-
terizzate da tratti ossessivo-compulsivi, tendenti al ritiro so-
ciale e con aspetti comportamentali di evitamento. Cantel-
mi e Talli (1998) hanno proposto l’individuazione di livel-
li progressivi di dipendenza da Internet che segnano anche
una sorta di “percorso virtuale” dell’utente verso la Rete-di-
pendenza: una fase iniziale caratterizzata da attenzione os-
sessiva per la mail-box e polarizzazione ideo-affettiva per i
contenuti della Rete; una fase tossicofilica con progressivo
incremento della permanenza in Rete e sensazione di ma-
lessere quando si è off line, collegamenti in ore notturne
con perdita di sonno; e infine una fase tossicomanica carat-
terizzata da collegamenti così prolungati da compromette-
re la vita personale, sociale e lavorativa. Con il supporto di
una casistica clinica è stato possibile distinguere all’interno
delle cyber-addiction i seguenti sottogruppi di Internet-di-
pendenze: compulsive on line gambling (gioco d’azzardo on
line), cybersexual addiction (dipendenza dal sesso virtuale),
cyber-relationship addiction (dipendenza da relazioni in Re-
te), Mud addiction (dipendenza da giochi di ruolo on line)
e Information overload addicion (dipendenza dall’informa-
zione eccessiva), osservando che spesso l’utente trova un ti-
po di servizio verso il quale sviluppa una modalità compul-
siva, ossessiva e dipendente di rapporto, mentre di rado si
osserva un rapporto di generico abuso della Rete.
SCHEDA 22. DEPRESSIONE POST PARTUM: CAUSE DEL DISTURBO,
CONSEGUENZE SULLA RELAZIONE MADRE-BAMBINO, PREVENZIONE
MATERNITÀ E FALSI MITI. I dati indicano che circa il 10-
15% di madri si ammala di depressione post partum. Si cre-
de comunemente che l’amore materno sia un istinto; che la
donna, in quanto femmina, abbia nel proprio patrimonio
genetico una predisposizione alla maternità. Se l’amore
materno, infatti, fosse realmente un istinto naturale, inna-
to e universale, come spiegare tutte quelle forme di trascu-
ratezza e rifiuto, che possono caratterizzare la relazione ma-
dre-bambino?
L’evoluzione del comportamento materno nella storia, di-
mostra che la maternità può esprimersi in modi molto di-
versi. L’interesse, la dedizione, la tenerezza nei confronti del
bambino possono essere carenti o anche del tutto assenti. E
non sorprende che molto spesso i sintomi di questa malat-
tia - il silenzio, la stanchezza, le lacrime - vengano sottova-
lutati, addirittura negati, per paura di mostrarsi inadeguati
rispetto al modello di “madre perfetta”. Così, molte situa-
zioni a rischio restano nell’ombra e la luce mediatica cade
40
solo su quei casi estremi in cui il disturbo si concretizza nel
gesto più drammatico, il figlicidio.
UNA MISCELA DI FATTORI. La gravidanza e il post partum
rappresentano due periodi in cui si verifica un aumento del-
la vulnerabilità femminile all’insorgenza di episodi depres-
sivi. All’origine delle depressioni post partum ci sono non
solo fattori individuali, sia biologici sia psicologici, ma an-
che fattori che coinvolgono il contesto familiare ed am-
bientale. Tra i fattori di rischio compaiono la povertà, uno
scarso sostegno sociale da parte della famiglia e dei servizi
socio-sanitari, elevata conflittualità familiare, scarsa auto-
stima, presenza di umore depresso già in gravidanza, e pro-
blemi sanitari nel neonato.
POST PARTUM BLUES O MATERNITY BLUES. In questi casi la
labilità emotiva della donna è particolarmente accentuata,
manifestandosi come irritabilità e pianto frequente. Que-
sto disturbo, che ha un’incidenza del 50-70%, ha il suo api-
ce dal terzo al quinto giorno dopo il parto, solitamente in
coincidenza con la montata lattea e può continuare anche
per settimane. In certi casi può essere la premessa per una
depressione maggiore. In tale stato risulta estremamente
faticoso occuparsi del bambino. Sono frequenti ansie ri-
spetto al suo stato di salute e, in taluni casi, emerge sponta-
neamente nella donna la richiesta di aiuto.
DEPRESSIONE NON PSICOTICA POST PARTUM. Riguarda i
primi sei mesi dal parto. I fattori di rischio includono pre-
gressi episodi depressivi, una storia di sindrome disforica
premestruale, una particolare vulnerabilità sul versante so-
ciale ed emotivo. Tra i sintomi: sentimenti di inadeguatez-
za, d’incompetenza e di disperazione, collera, odio verso se
stesse, ipersensibilità, ansia, vergogna, trasandatezza, di-
sturbi del sonno e dell’appetito, difficoltà di concentrazio-
ne, calo del desiderio e persino pensieri suicidi.
DEPRESSIONE PSICOTICA POST PARTUM (PSICOSI PUERPE-
RALE). In questo caso possono verificarsi episodi a carattere
depressivo o maniacale, stati mentali confusionali segnati
da un’alterazione della percezione della realtà con il rischio
che i pensieri negativi o il timore di poter danneggiare il
bambino possano tradursi in azioni. Questo disturbo può
manifestarsi entro tre settimane dal parto.
L’ASSISTENZA ALLE NEO MAMME. Un’assistenza continua
viene offerta alle donne dalle strutture sanitarie per tutto
ciò che riguarda gli aspetti fisici della nascita di un figlio:
gravidanza-parto-puerperio. Non sempre però le neo
mamme ricevono tutte le informazioni di cui necessitano.
Ne è un esempio la sensibilizzazione sul tema dell’allatta-
mento, che pur costituendo una condizione importante
per la crescita del bambini, continua ad essere oggetto di
una diffusa disinformazione.
Lo confermano i dati raccolti dall’Istituto superiore della
sanità nell’ambito di un’indagine campionaria condotta
nel corso del 2001. In particolare, il 33,2% delle mamme
intervistate (20,7% al Nord, 40,3 al Centro e 42,6 al Sud),
ha riferito di non aver ricevuto informazioni riguardo al-
l’allattamento durante la gestazione. La carenza di infor-
mazione risulta evidente anche dai dati relativi alla consa-
pevolezza dell’opportunità di iniziare l’allattamento al se-
no entro la prima ora dal parto. Tale consapevolezza risulta
presente nel 77,9% delle intervistate al Nord, nel 57,2 al
Centro e solo nel 39,1 delle intervistate nel Meridione. L’in-
dagine rivela, inoltre, come l’assistenza ricevuta dalle neo
mamme nel punto nascita abbia riguardato prevalente-
mente l’aspetto fisico (31,8%).
SCHEDA 23. TRAUMA E LUTTI NEI BAMBINI: IL CASO BESLAN
Gli eventi drammatici degli ultimi anni hanno fatto entra-
re prepotentemente la parola “terrorismo” nel linguaggio
comune, portando nazioni e singoli individui a mobilitar-
si concretamente per prevenire azioni terroristiche, garan-
tire sicurezza e mettere in atto interventi tempestivi per
fronteggiare le conseguenze di eventuali attacchi. Questi
episodi di violenza di massa colpiscono più o meno diretta-
mente anche i bambini, che diventano vittime di maltrat-
tamento su scala mondiale. A Beslan in Nord Ossezia (Fe-
derazione Russa), nel settembre 2004, un gruppo di 32 ter-
roristi (ceceni ed ingusceti) ha fatto irruzione nella scuola
numero 1, dove circa 1.300 persone tra bambini e adulti
stavano partecipando alla festa di apertura dell’anno scola-
stico. Centinaia di bambini sono stati tenuti in ostaggio
nella palestra della scuola per 53 ore senza acqua né cibo,
circondati da esplosivi. I bambini hanno assistito a feroci
pestaggi e all’uccisione di parenti, amici e insegnanti. Se-
condo dati ufficiali, sono deceduti 344 civili, di cui 186
bambini, mentre i feriti ammontano a più di 700. La tra-
gedia di Beslan può essere considerata una delle peggiori
atrocità commesse su una popolazione civile in Europa nel-
la storia recente, con un impatto estremamente negativo
sulla salute dei bambini, delle famiglie e dell’intera comu-
nità. Il gruppo di lavoro del Telefono Azzurro si è avvicina-
to alla realtà di Beslan a circa tre mesi dall’attacco terroristi-
co e ha sviluppato una ricerca-intervento, tuttora in corso,
41
con l’obiettivo di condurre un’accurata valutazione delle
condizioni psicologiche di bambini, famiglie e insegnanti
sopravvissuti e di offrire un intervento mirato di supporto
psicologico e psico-educativo a breve e a lungo termine.
TRAUMA E DPTS. Vivere un evento non solo stressante, ma
anche traumatico porta ad uno squilibrio emozionale così
forte ed intenso da mettere in difficoltà la persona che lo
subisce. Questo può causare lo sviluppo di una serie di spe-
cifiche reazioni psicologiche intense di tipo comportamen-
tale, emotivo, fisiologico, sociale. Un attacco terroristico
rappresenta un evento traumatico vissuto come esperienza
diretta così come altri eventi specifici, quali ad esempio i
combattimenti in guerra, gli attacchi personali (stupro,
violenza, furto, rapina), i rapimenti, l’essere presi in ostag-
gio, le torture, l’essere prigionieri di guerra o nei campi di
concentramento, le catastrofi naturali o dovute all’uomo, i
gravi incidenti d’auto, l’avere ricevuto una diagnosi di ma-
lattia potenzialmente mortale, e nello specifico nei bambi-
ni il caso della pedofilia, anche senza violenza. Se si fa riferi-
mento al disturbo acuto da stress, esso implica lo sviluppo
di sintomi ansiosi, di sintomi dissociativi e di altro tipo, che
si manifestano entro un mese dall’esposizione ad un even-
to traumatico estremo, durano al minimo due giorni e al
massimo quattro settimane. Quello che accade è che chi
presenta le caratteristiche diagnostiche che vanno a soddi-
sfare un disturbo acuto da stress sarà a rischio per lo svilup-
po conseguente anche di un Dpts. Il Dpts ha una durata
superiore alle quattro settimane e di solito insorge nei pri-
mi tre mesi dopo il trauma e viene definito acuto se dura
meno di tre mesi, cronico se dura più di tre mesi o ritarda-
to se si manifesta almeno sei mesi dopo l’evento. Un altro
aspetto importante riguarda la psicobiologia del trauma:
infatti si può rilevare che esso è associato ad alterazioni nel-
l’attività elettrica cerebrale, alterazioni nel funzionamento
e nel volume dell’ippocampo, attivazione anomala dell’a-
migdala, iperattivazione del sistema simpatico, aumento
del riflesso di startle e alterazione del sonno.
LUTTO, PERDITA E DPTS.La durata e l’espressione del lutto
normale variano a seconda della cultura. La diagnosi di di-
sturbo depressivo maggiore generalmente non viene fatta
se i sintomi non persistono per oltre due mesi dopo la per-
dita. Il clinico può differenziare il lutto normale da un epi-
sodio depressivo maggiore, che prevede svariati sintomi,
quali: senso di colpa riguardante cose diverse dalle circo-
stanze della morte, pensieri eccessivi riguardo alla propria
inutilità, ritardo psicomotorio grave, prolungata e grave
compromissione del funzionamento, allucinazioni diverse
da esperienze transitorie di sentire la voce o vedere l’imma-
gine della persona deceduta. Poiché eventi traumatici, qua-
li atti di terrorismo, possono provocare anche la perdita di
persone care, diversi studi hanno rilevato la presenza di sin-
tomi depressivi e lutto in bambini e adolescenti. Nono-
stante siano pochi gli studi che hanno operato una diffe-
renziazione tra i sintomi post traumatici e quelli relativi ai
processi di elaborazione del lutto, è importante evidenziare
che, in questi casi, la depressione si configura come un di-
sturbo secondario provocato dalla perdita e va quindi di-
stinto dal Dpts. In uno studio sul terremoto in Turchia del
1999, Laor e Wolmer ( 2002) hanno osservato un alto nu-
mero di sintomi depressivi e di lutto nei bambini che ave-
vano visto persone severamente ferite o morte; tali sintomi
erano stati rilevati anche tra i bambini sopravvissuti al ter-
remoto in Armenia del 1988 a distanza di 18 mesi dall’e-
vento. Secondo Gurwitch et al. ( 2002) lo stress post trau-
matico può costituire un fattore di complicazione nel pro-
cesso di elaborazione del lutto e interferire sia con gli sforzi
del bambino di affrontare la perdita, sia con la sua capacità
di tornare alla normalità dopo l’evento traumatico (Castel-
li e Sbattella, 2003).
FAMIGLIE, BAMBINI ETERRORISMO.Almeno il 28-35% de-
gli adulti vittime di terrorismo sviluppa il Dpts e altri sin-
tomi psicologici, quali ansia e depressione. Le risposte dei
genitori ad atti terroristici hanno un effetto significativo sui
livelli di distress dei bambini e sulla loro capacità di far fron-
te a questi eventi traumatici. Tra i fattori che influiscono
sulla reazione degli adulti ad atti terroristici, il significato di
questi eventi per l’individuo gioca un ruolo più importan-
te della quantità effettiva di violenza subita. Portnova
(2005) ha esaminato 92 bambini e adolescenti tenuti in
ostaggio dai terroristi nella scuola n. 1 di Beslan, trovando
degli elevati livelli di trauma in questo gruppo di vittime,
con segni evidenti di disturbo acuto da stress (Das). Analo-
gamente, Scrimin et al. (2006) hanno rilevato un’alta inci-
denza del disturbo post traumatico da stress (Dpts) in un
gruppo di 22 bambini e dei loro caregiver a tre mesi di di-
stanza dall’attacco.
IL CASO DI BESLAN: UN MODELLO DI RICERCA-INTERVEN-
TO DI TELEFONO AZZURRO. La ricerca-intervento è stata
sviluppata in tre fasi: la prima ha coinvolto il gruppo chia-
mato ad intervenire, in qualità di psicologi esperti in psico-
traumatologia, dall’associazione Aiutateci a salvare i bam-
bini onlus, in occasione di un soggiorno riabilitativo di un
gruppo di 19 famiglie, coinvolte nell’attacco terroristico, a
Trento (novembre 2004-gennaio 2005); la seconda ha pre-
visto il lavoro di progettazione della ricerca-intervento in
loco, svolta presso il Dipartimento di Psicologia dello svi-
luppo e della socializzazione, a Padova (febbraio 2005-
aprile 2006); la terza ha infine visto la realizzazione della ri-
cerca-intervento nella nuova scuola n. 1, durante la perma-
nenza a Beslan, Ossezia del Nord (9-26 maggio 2006).
42
SCHEDA 24. NUOVI FARMACI E LORO UTILIZZO CON PICCOLI PAZIENTI
PSICOFARMACI E BAMBINI. È possibile stimare che circa
30mila bambini e adolescenti italiani ricevano prescrizioni
di psicofarmaci; 24mila di antidepressivi. Questo dato è ve-
rosimilmente sottostimato, poiché non ricomprende i far-
maci ansiolitici, oltre a tutti i farmaci prescritti su “ricetta
bianca”. La prescrizione di psicofarmaci è aumentata nel
corso degli ultimi anni. Considerando gli antidepressivi, la
prevalenza più elevata è riportata negli Stati Uniti (24 per
mille) e Canada (16), mentre in Europa varia tra il 3,4 del-
la Germania e il 5,7 del Regno Unito.
In Italia la prevalenza stimata in Lombardia e in un cam-
pione di Asl di Veneto, Liguria e Toscana nel 2001 e 2002 è
risultata di 2,8 per mille. Nonostante le differenze nei tassi
di prevalenza, un aumento nella prescrizione di antidepres-
sivi del 150% negli Stati Uniti e del 280% in Italia è stato
osservato tra il 1997 e il 2002.
Una valutazione del profilo prescrittivo degli psicofarmaci
è stata effettuata analizzando i dati raccolti dall’Osservato-
rio Arno. Nel corso del 2004 a 4.316 (2,9 per mille) bam-
bini e adolescenti sono stati prescritti psicofarmaci (antide-
pressivi e/o antipsicotici); la prevalenza di prescrizione nel-
le 27 Asl monitorate variava da 0,8 a 6 per mille. Gli anti-
depressivi sono stati prescritti al 2,4 per mille dei bambini e
gli antipsicotici allo 0,7 per mille. Al 6% dei bambini e ado-
lescenti trattati con psicofarmaci sono stati prescritti sia an-
tidepressivi che antipsicotici. La prevalenza aumenta con
l’età raggiungendo il massimo tra le adolescenti: 8 ragazze
su mille tra 14 e 17 anni hanno ricevuto almeno una pre-
scrizione di psicofarmaci. Gli Ssri sono risultati la classe di
antidepressivi maggiormente impiegata e sono stati pre-
scritti al 75% dei pazienti in terapia con questi farmaci; il
16% ha ricevuto triciclici e il 16% antidepressivi atipici. Il
2% ha ricevuto antidepressivi appartenenti a due classi di-
verse. Sono stati prescritti un totale di 16 antidepressivi e
20 antipsicotici. Sertralina e paroxetina sono gli antide-
pressivi più prescritti (0,5 per mille), seguiti dal citalopram
(0,4), mentre tra gli antipsicotici i più prescritti sono il ri-
speridone (0,25) e l’olanzapina (0,11).
La prevalenza della prescrizione di psicofarmaci, valutata
su un campione di 580mila bambini e adolescenti seguiti
nell’arco di sei anni, è aumentata nel periodo 1998-2004
raggiungendo il picco nel 2002 (3,1 per mille).
L’incremento della prescrizione di antidepressivi è dovuto
soprattutto agli Ssri, la cui prevalenza è aumentata di 4,5
volte tra il 2000 e il 2002. Inoltre, stando al profilo pre-
scrittivo, il trattamento con antidepressivi appare nella
maggior parte dei casi poco appropriato: malgrado la tera-
pia necessiti, infatti, di almeno due mesi prima che siano
valutabili gli effetti, il 60% dei bambini e adolescenti trat-
tati con antidepressivi ha ricevuto una sola prescrizione,
quasi che l’uso di questi farmaci sia occasionale, al bisogno,
per far fronte ad eventi stressanti acuti. Utilizzando il far-
maco come indicatore di bisogno/patologia è, inoltre, pos-
sibile stimare la prevalenza di cronicità. A questo riguardo,
l’8% dei trattati con psicofarmaci nel 2004 era in terapia da
almeno tre anni. In base a questi dati si può stimare che 2
minori per 10mila ricevano un trattamento cronico per di-
sagio psichico (con un tasso di 6 per 10mila tra gli adole-
scenti), un dato, comunque, verosimilmente sottostimato.
Tra i pazienti in terapia cronica, il risperidone è il farmaco
più utilizzato: è stato prescritto al 27% dei pazienti “croni-
ci”. Il risperidone è un antipsicotico atipico che ha come
indicazione terapeutica il trattamento della schizofrenia nei
soggetti di età maggiore di 15 anni. All’8% dei bambini mi-
nori di 15 anni è stato somministrato almeno una volta un
ansiolitico durante l’anno; un bambino su mille assumeva
questi farmaci con frequenza giornaliera. Nella fascia d’età
15-24 anni il consumo almeno una volta in un anno di an-
siolitici è riportato dal 4% degli intervistati (6% tra le fem-
mine) (Istat 2002).
Ancora oggi sono pochi i farmaci per cui sono disponibili
informazioni sull’uso in pediatria. Solo un terzo dei farma-
ci registrati dall’Emea nel periodo 1995-2005 ha indica-
zione all’uso nei bambini.
43
LE FAMIGLIE CAMBIANO VOLTO E SI DIVERSIFICANO. In po-
co più di trent’anni il numero delle famiglie italiane è pas-
sato da 15.981.177 (dati del censimento del 1971) a
19.872.000 del 1988 fino a 22.361.000 del 2003. Secon-
do i dati Istat relativi al 2003, la tipologia familiare più dif-
fusa in Italia è rappresentata dalle famiglie con un nucleo,
pari a 15.957.000 unità (il 71,4% del totale delle famiglie
residenti). Le famiglie senza nucleo, invece, ammontano a
6.135.000 (27,4%) e sono quasi tutte costituite da singoli
(5.768.000); infine, le famiglie con due o più nuclei sono
269mila (1,2%). Le coppie con figli (pari a 8.947.000, più
della metà del totale delle coppie) rappresentano la tipolo-
gia di nucleo famigliare quantitativamente più rilevante,
anche se in diminuzione. Le coppie senza figli (4.404.000)
sono in crescita, soprattutto nell’ultimo decennio, e rap-
presentano il 19,7% delle famiglie. Le coppie conviventi
sono costantemente in crescita: se nel biennio 1994/1995
la loro incidenza era pari all’1,8%, al censimento del 2001
risultavano essere 510.251, cioè il 3,6% del totale delle
coppie, mentre nel biennio 2002-2003 le cosiddette libere
unioni risultano ulteriormente aumentate, raggiungendo
quota 564.000. Il 46,7% di queste coppie è costituito da
almeno un componente reduce da un’esperienza coniuga-
le conclusasi con una separazione o con un divorzio. Infi-
ne, le famiglie unipersonali e i single: nel 2003 il loro nu-
mero è salito a 5.768.000, pari a ben un quarto del nume-
ro complessivo delle famiglie italiane (25,8%). Nella quasi
totalità dei casi, si tratta di soggetti che non sono in coabi-
tazione con altri. Tra gli uomini, soprattutto quelli di età
inferiore ai 45 anni, la quota dei singoli è più elevata rispet-
to alla quota di donne singole sul totale delle donne. Le
donne singole anziane sono la netta maggioranza delle sin-
gole. In totale gli anziani costituiscono più della metà di
tutti i singoli.
STRADA FACENDO, DALLA FAMIGLIA “SINGOLARE”A QUEL-
LA “PLURALE”. La famiglia di oggi è connotata da elementi
che la rendono molto diversa dalla famiglia tradizionale, in
particolare per il passaggio da un modello unico di famiglia
a una pluralità di forme e tipologie aggregative. In riferi-
mento alle emergenti e nuove tipologie aggregative e di
convivenze socio/familiari, sono stati progressivamente
elaborati, avvalorati e distinti quattro gruppi/categorie
strutturali di base: i gruppi domestici senza struttura, cioè
senza chiari rapporti né di sesso né di generazione. In essi
vengono comprese sia le convivenze di fratelli e sorelle, sia
coloro che vivono da soli; gruppi domestici semplici, com-
posti dai genitori con figli, da un solo genitore con figli, da
coppie senza figli; gruppi domestici estesi, composti, oltre
che dai membri della famiglia semplice, da parenti ascen-
denti (nonno/a), discendenti (nipoti) o collaterali (fratel-
lo/sorella del marito o della moglie); gruppi domestici mul-
tipli, ove sono presenti più nuclei coniugali, più coppie con
i loro figli.
E così oltre alla famiglia nucleare tradizionale ed alla fami-
glia allargata, si parla di famiglie di fatto (fondate su un’u-
nione libera), di famiglie monogenitoriali (con un solo ge-
nitore - vedovi, separati o divorziati - e da figli conviventi),
di famiglie unipersonali o monopersonali (composte da
una sola persona), di famiglie ricostituite (quelle che si for-
mano fra separati/divorziati e in cui almeno uno dei part-
ner proviene da una precedente esperienza di scissione fa-
miliare). Queste ultime, per molti aspetti ed assieme alle li-
bere convivenze e alle unioni di fatto, sembrano rappresen-
tare le nuove e intriganti forme familiari per eccellenza, più
diffuse al Nord e al Centro Italia, cioè nelle aree con più al-
ti tassi di conflittualità coniugale.
LE DIMENSIONI DELLE FAMIGLIE ITALIANE SI RIDUCONO.
Esaminando le famiglie per numero di componenti si rile-
va che continuano ad aumentare quelle con un solo com-
ponente: erano il 19,3% del totale nel 1988, il 21,1% nel
biennio 1993-1994, il 21,7% nel 1998 e ben il 25,8% nel
2003. Crescita analoga per le famiglie con due componen-
ti: dal 23,6% del 1988 al 26,4% del 2003. In lieve calo le
famiglie con tre componenti (dal 23,1% del 1988 al 21,7%
del 2003); in calo più significativo quelle con quattro (dal
23,3% del 1988 al 19,6% del 2003), ma anche quelle con
cinque o sei e più componenti.
SEPARAZIONI E DIVORZI. Nel 2002 le separazioni in Italia
sono state 79.642 e i divorzi 41.835, con una variazione
positiva rispetto all’anno precedente, rispettivamente, del
4,9% e del 4,4%. Italia in 10 anni i divorzi sono aumenta-
ti del 62%. Il 69,5% delle separazioni e il 60,4% dei divor-
zi riguardano coppie con figli.
capitolo 4
FAMIGLIA
SCHEDA 25. LE NUOVE FAMIGLIE:
NUCLEI MONOGENITORIALI E COPPIE OMOSESSUALI
44
Dopo una separazione o un divorzio, i dati indicano che
sono la minoranza (il 27,9% degli uomini e il 20,3% delle
donne) i separati/divorziati che, nel biennio 2001-2002,
sono riusciti a “rifarsi una famiglia”. Ai primi capita (più fa-
cilmente che alle donne) di portare la prole a far parte del
nuovo nucleo familiare (16,6 contro 13,1%);
Il ritorno alla famiglia d’origine dopo separazioni e divorzi
è di dimensioni assai minori di quanto ci si potrebbe aspet-
tare, considerando il costo economico, affettivo e sociale
delle rotture matrimoniali: è la scelta del 9,3% degli uomi-
ni e del 5,5% delle donne. Altrettanto scarse (ma numeri-
camente paritarie tra uomini e donne) sono le aggregazio-
ni ad altri tipi di famiglie o ad altri singoli (parenti o amici)
che in genere costituiscono sistemazioni informali e il più
delle volte provvisorie e transitorie. In sintesi: continuano
ad aumentare i single; le dimensioni della famiglia si rim-
piccioliscono (quelle numerose sopravvivono più al Sud
che al Nord); aumentano le separazioni ed i divorzi; au-
mentano i matrimoni civili, le convivenze, le famiglie rico-
stituite, i nuclei monogenitoriali (in cui spesso l’adulto è
una donna separata o divorziata); sono in costante aumen-
to le coppie senza figli.
La famiglia, che nell’ultimo trentennio ha attraversato una
profonda destrutturazione, sta scontando oggi gli effetti
della crisi economica (esplosione del precariato, processi
inflazionistici, declino produttivo) che di fatto hanno ral-
lentato i processi di disgregazione e di disunità familiare. In
particolare, l’impossibilità materiale, per diversi giovani, di
abbandonare la famiglia di origine, la difficoltà di alcuni a
recidere il legame matrimoniale per via dei costi economi-
ci e sociali del divorzio o della separazione, stanno origi-
nando un familismo di tipo utilitaristico, ossia un modello
relazionale-familiare basato soprattutto sui benefici econo-
mici e sociali derivanti dalla coabitazione in qualche modo
“forzata”. Percossa dai processi di disgregazione, comincia-
ti con l’introduzione del divorzio e con l’ingresso della don-
na nel mondo del lavoro, la famiglia resiste come soggetto
economico e come aggregazione relazionale perché in gra-
do di fornire ai suoi membri un riparo dall’inospitalità del
mondo. (Eurispes - Osservatorio sulla Famiglia, Verso un fa-
milismo utilitaristico, maggio 2005).
MATRIMONI MISTI. Oggi in Italia dieci matrimoni su cen-
to sono misti; il numero delle unioni miste è raddoppiato
negli ultimi dieci anni (dai 12.329 del 1995 ai 27.216 del
2003). Sono però soprattutto gli uomini italiani a sposare
donne di nazionalità straniera, piuttosto che le donne ita-
liane a sposare uomini stranieri: 16mila contro 4.295 (ben
il quadruplo).
LE FAMIGLIE OMOSESSUALI. Per molto tempo, e in una cer-
ta misura anche oggi, tutte le forme famigliari considerate
“devianti” rispetto alla famiglia tradizionale - le coppie
omosessuali, ma anche le famiglie ricostituite e quelle mo-
nogenitoriali - sono state ritenute in qualche modo defici-
tarie. Nel caso delle coppie omosessuali i pregiudizi si pre-
sentano particolarmente difficili da sradicare. Benché lo
stereotipo diffuso voglia le persone omosessuali promiscue
e i loro legami altamente instabili, sono molte le coppie del-
lo stesso sesso che desiderano unioni stabili nel tempo e che
rivendicano per esse riconoscimento sociale e diritti equi-
valenti a quelli delle coppie eterosessuali. Molte persone
omosessuali, inoltre, sentono di non voler rinunciare alla
maternità ed alla paternità, e su questo tema si è aperta la
parte più accesa del dibattito sociale.
I ricercatori dell’University College e della scuola di medi-
cina dell’ospedale di Saint George hanno riscontrato che i
matrimoni omosessuali determinano un concreto benefi-
cio per la salute fisica e il benessere psicologico per le perso-
ne che si sposano poiché il riconoscimento sociale tutela
dalla discriminazione, garantisce maggiore autostima, dà
stabilità alle relazioni e permette di viverle con trasparenza.
In Italia il matrimonio è tuttora l’unica forma di conviven-
za regolamentata ed è consentito esclusivamente a persone
di sesso opposto. Alcune Regioni italiane - Emilia Roma-
gna, Toscana, Umbria, Calabria - hanno approvato dal
2004 statuti che aprono alle unioni civili anche omoses-
suali. Esistono poi in alcuni Comuni italiani registri ana-
grafici delle unioni civili, il cui valore è però soltanto sim-
bolico. Diversa la situazione in molti altri Paesi occidenta-
li. In Danimarca (dal 1989), Svezia (1994), Olanda (2001),
Belgio (2003), Germania (2002), Spagna (2005), Austra-
lia e Canada alle coppie omosessuali è permesso di sposar-
si. In Francia dal 1999 esistono i Pacs - Patti civili di solida-
rietà, in Gran Bretagna dal 2004 le coppie gay hanno gli
stessi diritti delle coppie sposate. Le adozioni da parte di
coppie omosessuali sono possibili in Danimarca, Svezia,
Olanda, Spagna, Inghilterra, Galles, Scozia, Belgio, Israele,
in alcune regioni del Canada e dell’Australia, in alcuni de-
gli Stati Uniti. In Islanda, Norvegia, Danimarca e Germa-
nia è possibile la “stepchild-adoption” (letteralmente “ado-
zione del figliastro”), che consente ai partner di una unione
civile di adottare i figli naturali (o adottati) che il partner ha
avuto da precedente unione. In Irlanda i single, sia omoses-
suali che eterosessuali, possono richiedere l’adozione.
Secondo gli ultimi dati dell’Istat (2003) le convivenze in
Italia sarebbero 564mila, su 22 milioni di famiglie (com-
prese le persone sole), di cui 16 milioni di nuclei famigliari
(composti da coppie con o senza figli). È però evidente che
le statistiche ufficiali non rendono davvero conto del feno-
meno, che è in realtà molto più diffuso. Le convivenze so-
no sottostimate in quanto spesso non registrate. Sono nu-
merose le persone omosessuali, ma anche i single eteroses-
suali, che si battono per ottenere il diritto di ricorrere alla
45
SCHEDA 26. FAMIGLIE RICOSTITUITE
E NUOVE FORME DI “LIVING ARRANGEMENT”
Le trasformazioni delle strutture familiari e sociali hanno
scalfito il primato del modello di coppia coniugata con fi-
gli, a favore di una crescita esponenziale di nuove forme di
living arrangement, come libere convivenze e coppie/unio-
ni di fatto (più che raddoppiate in un solo decennio, pas-
sando da 227mila nel 1993 a 555mila nel 2003). L’Euri-
spes stima che nel 2006 il numero delle coppie di fatto si
possa attestare a quasi 700mila, con un incremento per-
centuale del 24,3%.
Più in generale, in Italia si è verificato un netto calo delle
unioni matrimoniali: ben 146.697 in meno in poco più di
40 anni. Inoltre, si è quasi dimezzato il numero di matri-
moni per mille abitanti (tasso di nuzialità), che è sceso da 8
a 4,3. Nel nostro Paese ci si sposa meno che nel resto d’Eu-
ropa e, infatti, il tasso di nuzialità nostrano è fra i più bassi
(4,5), al di sotto della media Ue (4,7) e ben lontano da Pae-
si quali Grecia (5,3), Portogallo (5,1) e Spagna (5).
Nel 2003 i divorzi e le separazioni sono stati più di 124mi-
la. Quasi un matrimonio su due è destinato a “rompersi”
nel giro di pochi anni, una media impressionante, che te-
stimonia la profonda crisi di questa istituzione. Nel 2001,
12.888 divorziate si sono risposate: il numero delle donne
sposate è in crescita dal 1995 e aumenta quasi allo stesso
modo anche quello degli uomini risposati, a testimonianza
del fatto che molte dopo il divorzio riescono a ricostruirsi
una nuova vita familiare. Sempre nel 2003 le famiglie rico-
stituite (quelle in cui almeno uno dei partner proviene da
un precedente matrimonio) sono state 724mila.
LE FAMIGLIE RICOSTITUITE: DALL’ALBERO AL CESPUGLIO.
L’espressione “famiglia ricostituita” indica la famiglia che,
spezzatasi a seguito di separazione e/o divorzio, si è rifor-
mata, ricostituita, dando luogo ad una nuova relazione sen-
timentale/affettiva e aggregativa. Ma se si guarda alla ri-
composizione della vita affettiva e familiare di una coppia
adulta, indipendentemente dall’esistenza dei figli, la defi-
nizione può assumere altre valenze: per famiglia ricostitui-
ta si può anche intendere una coppia sposata o non sposa-
ta, con o senza figli, in cui almeno uno dei due partner pro-
viene da un precedente matrimonio o da una precedente
unione di fatto.Le nuove famiglie hanno due importanti
caratteristiche: sono sparse in più di una casa, hanno alme-
no due luoghi fisici che i figli possono sentire come casa; in
ognuno di questi “luoghi” affettivi e aggregativi convivono
persone diverse. In sostanza, non sarebbe il divorzio a ge-
nerare individui “infelici”, ma sarebbero le famiglie infelici
a reclamare la possibilità e l’eventualità della separazione e
del divorzio. E quindi della “ricostituzione” familiare.
FAMIGLIA CON BAMBINI, FIGLI CON PIÙ FAMIGLIE. Dal
1994 al 2003 l’incremento delle separazioni e dei divorzi è
stato continuo: da 51.445 separazioni nel 1994 a 81.744
nel 2003, con un aumento del 59% in 10 anni e un incre-
mento del 2,6% delle separazioni e del 4,8% dei divorzi ri-
spetto al 2002. Questo incremento è coinciso con un au-
mento del numero di figli coinvolti/affidati a seguito di se-
parazioni e divorzi. Globalmente il numero totale di figli
affidati nelle separazioni è di 62.050. I figli affidati a segui-
to di scioglimento del matrimonio (rito civile) e per cessa-
zione degli effetti civili (rito religioso) sono 20.627. Su un
totale di 43.856 divorzi, 8.931 sono procedimenti di scio-
glimento del matrimonio (rito civile) e 34.925 sono proce-
dimenti di cessazione degli effetti civili (rito religioso).
FAMIGLIE RICOSTITUITE E GENITORIALITÀ. Nelle famiglie
ricostituite di oggi, dove la struttura è complessa e i confini
sono incerti, dove i genitori biologici e gli adulti di riferi-
mento “acquisiti” (detti anche “sociali”) hanno, molte vol-
te, impegni extradomiciliari, essere genitori è sempre più
difficile. Si devono ridefinire i rapporti interpersonali e si
deve imparare a dividere tra più persone il ruolo di genito-
ri tradizionalmente svolto soltanto dalla madre e dal padre
“biologici”. Gli adulti di riferimento coinvolti sono quindi
biologici e sociali, perciò il numero può raddoppiare (dop-
pi genitori, doppi nonni, ecc.) con una dilatazione signifi-
cativa della complessità relazionale (le cosiddette “fratrie”).
Ne consegue che agli adulti si richiede, per evitare blocchi
evolutivi ai figli, di portare a termine, con sufficiente equi-
librio psichico, la rottura del legame precedente, la separa-
zione/divorzio, il sapersi relazionare e confrontare con le
diverse e nuove figure della famiglia ricostituita: elementi
indispensabili per comprendere e gestire le differenze emer-
genti, in direzione di una funzione genitoriale allargata e
continuativa nel tempo.
fecondazione assistita. La fecondazione assistita eterologa
per le donne singole è ammessa in Inghilterra (fu il primo
Paese, quindici anni fa), Olanda, Belgio, Spagna, Slovenia,
Danimarca. Nel giugno del 2006 la Danimarca ha dato il
via libera all’inseminazione artificiale gratuita in strutture
pubbliche per donne single ed omosessuali, completando
la legge sulla fecondazione assistita (anche eterologa) esi-
stente dal 1997.
46
VERSO IL 2010: QUANTO È LONTANA LISBONA? Fallito cla-
morosamente l’obiettivo intermedio di alzare il tasso di oc-
cupazione femminile al 57% entro il 2005, l’Italia, ferma
poco sopra il 45%, è insieme alla Grecia il Paese più lonta-
no dal traguardo indicato da Lisbona di raggiungere, entro
il 2010, un tasso di occupazione femminile del 60%. Con
un gender gap per questo indicatore pari a quasi 25 punti
percentuali (ma superiore al 30% al Sud e nelle Isole), l’Ita-
lia appartiene a quel gruppo di Paesi - come Grecia, Spagna
e Lussemburgo - che associano a bassi livelli di occupazio-
ne femminile differenziali di genere superiori al 20%. In
Italia, il gap di genere nei tassi di occupazione e di attività
maschili e femminili è più elevato tra i 35 e i 54 anni, in cor-
rispondenza delle classi centrali di età. In particolare, il tas-
so di attività femminile, pari al 67,5% tra i 25 e i 34 anni,
scende al 66,5 tra i 35 e i 44 anni, per poi crollare letteral-
mente (-10,6 punti percentuali) al 55,9 tra i 45 e i 54 anni.
Anche il tasso di occupazione femminile subisce, in corri-
spondenza di questa classe di età, un forte decremento (-
8,1%), scendendo dal 61 al 52,9%. La partecipazione e la
presenza degli uomini al mercato del lavoro mostra un an-
damento diverso: tra i 25-34 anni e i 35-44 anni anziché a
una contrazione, si assiste a un innalzamento dei tassi di at-
tività e di occupazione maschili che salgono, rispettiva-
mente, dall’88,3 al 95,3% e dall’80,9 al 91,4%; la diminu-
zione avviene solo in corrispondenza della classe 45-54 an-
ni ed è comunque notevolmente inferiore a quella femmi-
nile. Il tasso di attività scende di 5,4 punti percentuali, dal
95,3 all’89,9%, quello di occupazione del 4,5, dal 91,4
all’86,9%. È dunque nella classi centrali di età, quando più
pressante è la necessità di conciliare vita personale e profes-
sionale, che il fattore genere appare particolarmente discri-
minante nell’accesso e permanenza nel mercato del lavoro.
In quella fase - che è anche la fase delle grandi scelte (com-
prare casa, fare un figlio, ecc.), e delle maggiori e più nume-
rose responsabilità (nei confronti di bambini e genitori e
parenti anziani) - la distribuzione storico-culturale tra ge-
neri delle funzioni di care-giver e bread-winner, continua a
considerare le donne innanzitutto donatrici di cure e a con-
cedere loro sempre con riserva lo status, comunque secon-
dario, di procuratrici di reddito. Questo status, rendendo
le esigenze di conciliazione un problema tutto femminile,
si mostra particolarmente discriminante e acuisce i diffe-
renziali di genere nel mercato del lavoro.
L’IMPATTO DEL GENERE SULLA RELAZIONE ESISTENTE TRA
STATO CIVILE, PRESENZA DI FIGLI E TASSI DI ATTIVITÀ. Tra
gli uomini esiste una relazione positiva tra lo status di co-
niugato/convivente e partecipazione al mercato del lavoro,
mentre, al contrario, tra le donne, la presenza di un com-
pagno sembra intervenire negativamente, incrementando
i rischi di uscita dal mercato del lavoro.
Lo stato civile condiziona la partecipazione al mercato del
lavoro delle madri. Tra le nubili, infatti, il tasso di attività
delle donne tra i 25 e i 44 anni è condizionato negativa-
mente dalla presenza di prole solo a partire dal secondo fi-
glio; tra le coniugate, diversamente, la partecipazione al
mercato del lavoro registra un vero e proprio crollo già con
la prima maternità. Tra le coniugate/conviventi il tasso di
attività, pari al 78% in assenza di figli, scende al 65,7 in pre-
senza di un figlio, per poi crollare al 52,6 in presenza di due
figli e al 37,5 tra quante ne hanno almeno tre. Tra le single,
diversamente, l’arrivo del primo figlio spinge verso una
maggiore partecipazione al mercato del lavoro, che sale an-
zi dal 78,1 all’81%; il tasso di attività subisce un forte de-
cremento solo con la seconda maternità, ma si mantiene
comunque ad un livello sensibilmente più elevato rispetto
a quello delle coniugate: 71,8%, vale a dire 19,2 punti per-
centuali in più. La presenza di un terzo figlio accentua poi
ulteriormente le differenze tra nubili e coniugate: il tasso di
attività delle prime subisce infatti sì un forte ulteriore de-
cremento (-12%), ma di proporzioni comunque inferiori
a quello registrato tra le sposate (15,1%); il 59,8% delle sin-
gle, ovvero ben il 22,2% in più rispetto alle coniugate, con-
tinua a partecipare al mercato del lavoro.
L’OFFERTA DI SERVIZI ALL’INFANZIA. Il Consiglio europeo
di Barcellona aveva indicato come traguardo per il 2010
uno sviluppo della rete dei servizi per la prima infanzia tale
da soddisfare la domanda per almeno il 33% dei bambini.
Da questo punto di vista l’Italia non sembra essere più vici-
na a Barcellona che a Lisbona. È quanto emerge dal recen-
te rapporto realizzato dall’Istituto degli Innocenti per il mi-
nistero del Lavoro. Il numero dei nidi ha registrato un im-
portante incremento, passando dai 3.008 del settembre
2000 agli attuali 4.885, ovvero il 62,4% in più. La poten-
zialità ricettiva della rete, che ha visto salire i posti disponi-
bili dai 118.517 del 2000 agli attuali 163.527, ha così regi-
strato un pur timido sviluppo, che ha portato il grado di
copertura dell’utenza potenziale (ovvero il milione e
643.826 bambini da 0 ai 2 anni residenti in Italia nel 2004)
dal 7,4 al 9,9%. L’incremento non è riuscito a riequilibrare
la distribuzione dei nidi d’infanzia sul territorio nazionale.
L’aumento ha riguardato in netta prevalenza le strutture di
tipo privato, mentre ha interessato in misura decisamente
inferiore quelle a titolarità pubblica: i nidi privati sono cre-
sciuti, infatti, del 206,3%, passando da 604 a 2.905 unità;
quelli pubblici hanno registrato un ben più modesto incre-
SCHEDA 27. DIRITTO ALLA MATERNITÀ E AL LAVORO. TRA FORMA
E SOSTANZA NELL’ANNO EUROPEO DELLE PARI OPPORTUNITÀ
47
mento (+20,1%), passando da 2.404 a 2.905 unità. Il peso
delle strutture private, negli ultimi anni è quasi raddoppia-
to, arrivando a rappresentare una quota prossima al 40%
dell’offerta. La capacità di rispondere alla domanda poten-
ziale di servizi è cresciuta, rispetto al 2000, di 3,7 punti per-
centuali al Nord e di 1,4 al Centro; al Sud e nelle Isole il gra-
do di copertura di posti nido sulla popolazione 0-2 anni,
già nettamente più basso, è ulteriormente diminuito (-0,3),
scendendo al 3,5%, contro il 12,1 del Centro e il 13,8 del
Nord. In questo senso, il ruolo, del tutto predominante,
giocato dal privato nell’aumento delle strutture ricettive nel
Meridione - dove la componente privata dell’offerta è cre-
sciuta del 341,1% mentre la pubblica di appena il 10,1 -
non è riuscito a compensare la carenza cronica di strutture
pubbliche. L’indagine Isfol Plus, interrogando 25mila don-
ne su tutto il territorio nazionale, ha consentito di misura-
re l’impatto della maternità sulla partecipazione femmini-
le al mercato del lavoro. L’analisi dei dati mostra come pri-
ma della nascita del figlio lavori il 61,4% delle donne, men-
tre dopo la maternità appena il 50,4. A fronte, infatti, di un
2,5% di donne non occupate che hanno trovato lavoro do-
po la nascita del figlio, ben il 13,5% delle donne che al con-
trario risultavano occupate non lavorano più. Più che al
Sud, dove è l’inattività a contraddistinguere la (mancata)
partecipazione delle donne al mercato del lavoro, quale
condizione cronica derivante dalla mancanza di una do-
manda sufficiente di forza-lavoro, è al Centro e al Nord che
dunque si assiste a fenomeni di discontinuità occupaziona-
le e di interruzione di carriera. È qui, dove il mercato occu-
pazionale vede una maggiore partecipazione e presenza
femminile, che la maternità si configura più spesso come
un evento in grado di provocare un’uscita definitiva o tem-
poranea dal lavoro: la percentuale di lavoratrici che transi-
tano nella condizione di inoccupata dopo la nascita del fi-
glio, pari al 9,3% al Sud, sale al 12,9 al Centro e raggiunge
il 15,6 al Nord.
SCHEDA 28. LA RESPONSABILITÀ SOCIALE DELL’IMPRESA
E LA PROMOZIONE DELLA CONCILIAZIONE
IL CONCETTO DI CONCILIAZIONE E LA SUA DECLINAZIONE
AL FEMMINILE. Quando si parla di politiche di conciliazio-
ne dei tempi, si vuole indicare un complesso di azioni e
provvedimenti finalizzati a rendere il più possibile armoni-
co ed equilibrato il rapporto tra i tempi della vita familiare
e i tempi della vita lavorativa. La nascita e lo sviluppo del
concetto di conciliazione hanno a che vedere da un lato con
i fenomeni di trasformazione del mercato del lavoro, dal-
l’altro con la mutazione della struttura familiare nelle so-
cietà industrializzate. Nelle moderne società, il compito
delle politiche di conciliazione è pertanto quello di ricon-
giungere il bivio “lavoro o famiglia” nella strada del “lavoro
e famiglia”. Allo stato attuale delle cose, l’universo femmi-
nile rappresenta il principale beneficiario di qualsivoglia
politica di conciliazione. Come scrivono Catani e Morini
(2002), la contrazione degli ammortizzatori sociali e priva-
ti ha contribuito a rendere ancor più problematica la ge-
stione del lavoro di cura familiare e domestico: il venir me-
no delle reti parentali forti, la mancanza di assunzioni nel
terziario pubblico (che, come affermano gli autori, ha rap-
presentato per anni «un serbatoio di lavoro meno stressan-
te»), i tagli al welfare. Infine, come afferma Piazza ( 2000,
2002), non va dimenticato come oggi - a fronte di una pro-
gressiva posticipazione del momento dell’uscita dei figli dal
nido domestico - alle madri venga richiesto di fornire un
surplus di cura verso i propri figli, anche in termini di mag-
giore educazione. A tutto ciò si aggiunge la decisiva que-
stione della “complessità” della relazione maternità-lavoro.
Inoltre, va segnalata la forte sperequazione tra il numero di
congedi di maternità e quelli di paternità (anche in conse-
guenza del diverso trattamento retributivo tra i due sessi).
UNA BREVE RASSEGNA LEGISLATIVA SULLA CONCILIAZIONE.
La legge n. 125 del 1991 «Azioni positive per la realizzazio-
ne della parità uomo-donna nel lavoro», oltre a proporre
una definizione del concetto di “discriminazione”, intro-
duce le “azioni positive” in termini di misure concrete atte
ad assicurare alle donne pari opportunità in tutti i campi
della loro vita, nonché finalizzate a contrastare tutte le for-
me di discriminazione dirette ed indirette di cui sono vitti-
me. La legge predispone finanziamenti e rimborsi per
aziende, enti e associazioni protagoniste di azioni positive.
Con la legge n. 285 del 1997 «Disposizioni per la promo-
zione dei diritti e le opportunità per l’infanzia e l’adole-
scenza» viene riconosciuto il ruolo centrale della famiglia
nella tutela e nello sviluppo dell’infanzia e dell’adolescenza,
prevedendo interventi a livello centrale e locale (con la par-
tecipazione dei soggetti territoriali), sostenendo finanzia-
riamente nuove iniziative e incentivando tipologie innova-
tive di servizi. La legge n. 53 del 2000 «Disposizioni per il
sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla
cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi del-
le città», oltre ad introdurre nuove forme di flessibilità per
la donna nella fruizione del periodo di congedo per mater-
nità, estende anche ai padri i diritti prima riconosciuti alle
sole madri. Diversi sono gli strumenti proposti dalla legge
48
SCHEDA 29. I SERVIZI PER L’INFANZIA:
L’ITALIA NEL CONTESTO EUROPEO
per favorire la conciliazione lavoro-famiglia (part time re-
versibile, telelavoro, lavoro a domicilio, flessibilità di turni
e orario, banca delle ore, orario concentrato, etc.).
BUONE PRATICHE ITALIANE. Si riportano alcune delle più
articolate e originali iniziative di conciliazione realizzate dai
soggetti imprenditoriali.
GRUPPO BOEHRINGER INGELHEIM. A partire dal biennio
2001/2002 il Gruppo ha attivato una serie di interventi fi-
nalizzati alla promozione della conciliazione lavoro-fami-
glia: flessibilità nell’orario di entrata e di uscita dal posto di
lavoro; attivazione della banca delle ore individuale; part ti-
me orizzontale, verticale e misto; il telelavoro e la possibi-
lità del telelavoro part time. Nel settembre 2002, poi, l’a-
zienda, in collaborazione con il Comune di Milano, ha
inaugurato il proprio nido aziendale, in grado di ospitare
una trentina di bambini figli di dipendenti e collaboratori;
il 15% dei posti a disposizione è riservato ai figli dei resi-
denti presenti nelle liste di attesa degli asili nido comunali.
IKEA ITALIA. Con il Progetto Maternità l’azienda ha cercato
di mantenere uno stretto collegamento con le proprie di-
pendenti in congedo di maternità, utilizzando due leve:
quella della “informazione” (garantita da un referente, det-
to “contatto”, che informa l’interessata dei cambiamenti e
delle novità intervenute) e quella della “formazione” (rivol-
ta alle neo madri che scelgono di prolungare il congedo per
maternità oltre i cinque mesi obbligatori). Una seconda ini-
ziativa è il Progetto Telelavoro, finalizzato a consentire ai pro-
pri lavoratori la migliore conciliazione lavoro-famiglia.
ELECTROLUX ZANUSSI. Con il progetto Rosa al lavoro si è
permesso ai propri dipendenti di organizzare liberamente
tra loro i turni di lavoro nello stabilimento. Un secondo
progetto ha visto la costituzione della banca delle ore, con
un monte ore illimitato che permette al lavoratore periodi
di astensione anche molto elevati. Infine, il progetto del te-
lelavoro è stato realizzato con l’obiettivo di promuovere lo
sviluppo professionale e l’avanzamento di carriera delle ge-
stanti e delle neo madri: con questo strumento possono evi-
tare di ricorrere alla sospensione del rapporto di lavoro,
mantenendo pari opportunità di crescita professionale.
COOPTOSCANA LAZIO. Nel 1995 viene avviato il progetto
Coop Donna, in base al quale è stato costituito uno sportel-
lo aziendale di Maternità e Paternità al lavoro e creata la fi-
gura di un tutor con il compito di gestire gli aspetti orga-
nizzativi connessi alla maternità/paternità. Una seconda
versione dello stesso progetto ha incluso anche la realizza-
zione di una banca delle ore, lo sviluppo di un piano di fles-
sibilizzazione personalizzata dell’orario di lavoro per le neo
madri e l’ampliamento dei servizi alla famiglia (riparazioni,
pulizie, manutenzione, baby-sitter, assistenza agli anziani).
GRUPPO TELECOM ITALIA. Un primo strumento di conci-
liazione adottato dall’azienda è quello del telelavoro, che
concede l’opportunità a molti dei suoi dipendenti di svol-
gere il proprio compito professionale direttamente da casa.
Il progetto Tim Mamma, si basa sulla creazione della banca
delle ore dove ogni madre riceve un regolare conto corren-
te e un libretto assegni-tempo dove sono messe a disposi-
zione 150 ore usufruibili in base alle proprie esigenze; il de-
bito ore deve poi essere restituito entro il trimestre di com-
petenza mediante prestazioni aggiuntive della durata mas-
sima di un’ora e mezza ciascuna. È stata inoltre attivata una
newsletter bimestrale che informa le madri sugli adempi-
menti amministrativi legati alla maternità. Con il progetto
Tim Valore Donna l’azienda si è proposta di inserire nel pro-
prio organico 80 donne di oltre 40 anni con contratto di la-
voro part time
CONSER SCCPA DI PRATO. Ha dato il via alla realizzazione
di un modello integrato di asilo nido interaziendale e di ser-
vizi all’infanzia (Il Bosco Incantato) destinato a rispondere
ai bisogni di un intero distretto industriale. I beneficiari di
tale iniziativa, realizzata grazie alla fattiva collaborazione
del Comune, saranno imprenditori/trici e lavoratori/trici
provenienti dalle province di Prato, Firenze e Pistoia, non-
ché i residenti della circoscrizione in cui sorgerà l’impianto.
LA PROPOSTA DEL MARCHIO DI QUALITÀ DEL LAVORO FEM-
MINILE. Nell’ambito del progetto IQ Donna - Imprese e
Qualità del lavoro femminile, finanziato dalla Regione Emi-
lia Romagna e promosso da Cofimp, è stata proposta l’in-
troduzione di un marchio di qualità che certifichi le impre-
se “a misura di donna” o che operino attivamente per la con-
ciliazione. Questa formalizzazione consentirebbe ai temi
del lavoro femminile e della conciliazione di divenire crite-
ri di valutazione nella redazione del giudizio complessivo
di qualità dell’azienda e della sua aderenza ai principi della
responsabilità sociale d’impresa.
IL CONTESTO EUROPEO. Una caratteristica che contraddi-
stingue i servizi destinati ai bambini in età prescolare in Eu-
ropa è la loro eterogeneità: 136 tipi di servizio differenti,
che variano da un numero minimo di 4 in Grecia e un mas-
simo di 14 in Gran Bretagna (Eurostat, 2005). Inoltre, in
alcuni dei 10 nuovi Stati membri, il sistema di childcare è
49
relativamente immaturo e poco sviluppato sia a livello
quantitativo di copertura territoriale, sia a livello qualitati-
vo. Il Consiglio Europeo di Barcellona ha precisato che gli
obiettivi strategici da raggiungere entro il 2010 riguardano
l’offerta di servizi per l’infanzia per il 90% dei bambini dai
tre anni fino all’età dell’obbligo scolastico, e per il 33% dei
bambini sotto i tre anni. La frequenza degli istituti di istru-
zione aumenta con l’età dei bambini: se in molti Paesi si
può notare una consistente frequenza già dai 3 o dai 4 anni
di età, in quasi tutti gli Stati europei un anno prima dell’i-
nizio dell’istruzione primaria si arriva ad una percentuale
dell’80%; in generale si assiste in tutta Europa ad una ten-
denza all’aumento del numero di bambini di 4 anni iscritti
in una struttura prescolare. Il passaggio all’istruzione pri-
maria obbligatoria avviene a 6 anni in tutti i Paesi, tranne
in Danimarca, Finlandia e Svezia in cui avviene a 7 anni;
nei Paesi Bassi e in Irlanda, dove non esiste un livello di edu-
cazione preprimario a sé stante e organizzato, l’istruzione
primaria inizia a 4 anni, mentre nel Regno Unito l’istruzio-
ne primaria comincia a 5 anni. La disponibilità di asili nido
incide in modo cruciale sui tassi di occupazione delle don-
ne, esiste una relazione diretta tra le due variabili: nei Paesi
in cui vi è un tasso di iscrizione basso è presente un basso
tasso di occupazione e viceversa.
Laddove si registra una spiccata tendenza a sviluppare, ac-
canto ad un welfare di matrice assicurativa, un welfare di
prossimità orizzontale e locale, in grado di soddisfare le esi-
genze di sostegno sociale dei cittadini, si registra anche un
incremento della ricchezza complessiva del Paese insieme a
quella dell’occupazione. Nello scenario dei Paesi dell’Euro-
pa settentrionale, dove questi processi sono reali, si assiste
allo sviluppo rilevante dei servizi per la prima infanzia
I SERVIZI PER L’INFANZIA. Negli ultimi anni in Italia l’offer-
ta di servizi per la prima infanzia è aumentata e diversifica-
ta; risulta, tuttavia, ancora assolutamente insufficiente a ri-
spondere adeguatamente ai bisogni percepiti ed espressi
dalle famiglie. La copertura territoriale è ineguale e la pre-
senza di servizi è particolarmente carente nelle città. Ad una
generale copertura garantita al Centro-Nord, fa da contra-
sto un’assenza significativa di servizi al Sud. Si segnalano in
positivo regioni come la Lombardia, l’Emilia Romagna, il
Veneto, la Toscana, in negativo regioni quali il Molise, la
Basilicata, la Calabria.
LE DIFFERENTITIPOLOGIE.I servizi educativi integrativi so-
no quelle tipologie di istituti per l’infanzia che si specializ-
zano soprattutto come spazi che funzionano con un orario
ridotto, con la possibilità di avere più attività durante l’arco
della giornata e non erogano né il servizio di mensa, né vie-
ne previsto il momento del riposo. Stando agli ultimi dati
disponibili, i servizi integrativi pubblici e privati ammon-
tano in totale a 2.500 unità. Le regioni del Centro-Nord
sono quelle con più servizi; al contrario, essi sono quasi del
tutto assenti nel Mezzogiorno ad esclusione delle Isole do-
ve si registra una presenza cospicua.
SERVIZI PER L’INFANZIA E IMMIGRAZIONE. Nell’anno scola-
stico 2005/2006, sono circa 430mila gli alunni stranieri e
rappresentano il 4,8% della popolazione scolastica com-
plessiva. Per quel che riguarda la scuola dell’infanzia, la per-
centuale di alunni è cresciuta dell’11,6%, passando da
73.106 presenze nel 2004/2005 a 81.577 nell’ultimo an-
no scolastico.
SERVIZI PER L’INFANZIA E DISABILITÀ. Secondo Informa-
scuola, nell’anno scolastico 2004/05 nella scuola dell’infan-
zia gli alunni con esigenze educative speciali ammontano a
10.084 unità, pari all’1,04% degli iscritti. Negli ultimi an-
ni si è registrato un aumento dei bambini disabili iscritti, la
cui incidenza è superiore nelle scuole statali piuttosto che
in quelle non statali. Nella stragrande maggioranza delle
scuole permangono barriere architettoniche; secondo i da-
ti dell’Istituto degli Innocenti relativi al 2000, solo il 24,8%
delle scuole ha porte adatte all’accoglienza di minori disa-
bili; solo il 23,7% sono dotate di specifici servizi igienici e
solo il 22,7% ha ascensori e scale che permettono un acces-
so facilitato alla scuola.
SCHEDA 30. LA SINDROME DI PETER PAN
OVVERO LA PAURA DI CRESCERE
LA SINDROME DI PETER PAN. La vita “da giovane” dell’ita-
liano si è mediamente allungata. Fino a qualche decennio
fa, il passaggio all’età adulta, contraddistinta dall’emanci-
pazione dal nucleo familiare d’origine, si verificava appena
raggiunta la maggiore età o appena dopo; oggi la perma-
nenza degli “adolescenti-cresciuti” o “pre-adulti” si protrae
fino ai 35-38 anni.
In Italia, i giovani si laureano sempre più tardi, intorno ai
28-29 anni, con una tendenza generalizzata al fuori corso e
dopo la laurea più del 50% vorrebbe continuare a formar-
si. Questa ansia di formazione che fornisce profili ad alto
contenuto di specializzazione sarebbe effetto della sindro-
me di Peter Pan. Quasi il 50% dei giovani che vivono in fa-
miglia risultano occupati, ma la loro struttura professiona-
50
le ha caratteristiche nuove ed è contraddistinta da contrat-
ti a tempo determinato, stages, che conferiscono precarietà
e una mancanza di autonomia economica. Anche l’elevato
prezzo d'acquisto o d’affitto non facilita, anzi ostacola l’u-
scita dalla casa d’origine.
LA SITUAZIONE ITALIANA.Negli anni 1993 e 1994 i giovani
tra i 18 e i 34 anni che vivevano in famiglia rappresentava-
no il 56,5%, nel 1998 la percentuale è salita al 59,1 e si man-
tiene pressoché stabile nel 2003 (60,9) ( Indagine Multisco-
po sulle famiglie - Istat 2003). La percentuale dei giovani che
permangono in famiglia si mantiene pressoché stabile ed
elevata negli ultimi dieci anni fino ai 24 anni, mentre si evi-
denzia una crescita di oltre dieci punti percentuali nelle fa-
sce di età dai 25 ai 34 anni.
Dall’analisi della condizione lavorativa dei giovani che vi-
vono con i loro genitori emerge che poco meno della metà
(46,4%) risulta occupato. In dieci anni (1993-2003) la per-
centuale dei giovani occupati aumenta di 4,4 punti per-
centuali, mentre la percentuali dei giovani che vivono in fa-
miglia e sono in cerca di occupazione diminuisce di cinque
punti. Il 60,9% dei giovani italiani vive ancora presso la fa-
miglia di origine. Considerando la ripartizione geografica,
il Sud e le Isole presentano la percentuale più alta di giova-
ni residenti presso la famiglia d’origine (65,8). Nel Mezzo-
giorno risulta maggiore rispetto al resto d’Italia la percen-
tuale di coloro che sono in cerca di un’occupazione: 26,2
nel Sud e 28,1 nelle Isole. Il Sud in particolare evidenzia la
più alta percentuale dei giovani maschi studenti che risie-
dono presso la famiglia d’origine, 33, e la più alta percen-
tuale, 7, delle giovani femmine casalinghe che vivono con
almeno un genitore.
LE MOTIVAZIONI. Il 40,6% dei giovani italiani che vive an-
cora con i genitori sostiene di star bene e di avere la propria
libertà. Maggiormente sono i maschi ad asserire ciò, il
44,3%, contro il 36 delle donne. Il 32,1 motiva la perma-
nenza nella famiglia d’origine a causa dello studio, mentre
il 24,1 non può andare a vivere fuori dalla famiglia d’origi-
ne perché non è in grado di sostenere le spese d’affitto e d’ac-
quisto di una casa e solo il 16% permane nella famiglia d’o-
rigine per mancanza di un lavoro o di un lavoro stabile.
UNO SGUARDO AL FUTURO. Tra i giovani italiani che nel
2003 vivono ancora con i genitori, oltre la metà (il 55,2%)
non ha intenzione di uscire dalla famiglia d’origine. Solo
l’8,9% asserisce di aver la certezza di rendersi indipendente
dal punto di vista abitativo nei prossimi tre anni e il 36 che
lo farà probabilmente. Nella classe d’età 18-29 circa un ter-
zo dei giovani intervistati ha l’intenzione di uscire dalla fa-
miglia di origine, nella classe d’età 30-34 anni più della
metà e nella classe successiva, 35-39 anni, circa il 40%.
SCHEDA 31. LA NUOVA LEGGE SULL’AFFIDAMENTO CONDIVISO
DALL’AFFIDO MONOGENITORIALE A QUELLO CONDIVISO.
L’instabilità coniugale è un fenomeno in costante crescita
nel nostro Paese e lo dimostrano anche i dati più recenti.
Negli ultimi dieci anni il numero di separazioni e divorzi è
cresciuto gradualmente. In termini assoluti, le separazioni
che erano 51.445 nel 1994 sono diventate 81.744 nel
2003. Allo stesso modo, i divorzi che, partiti dalla cifra di
27.510 nel 1994 hanno toccato nel 2003 la cifra comples-
siva di 43.856.
Il numero delle separazioni peraltro è quasi il doppio ri-
spetto a quello dei divorzi, a dimostrazione del fatto che
l’effettiva dissoluzione della coppia coniugale avviene nel
momento della separazione e che molte coppie dopo aver
ottenuto una regolamentazione giuridica della loro nuova
situazione rinunciano, forse anche per gli eccessivi costi che
debbono affrontare, ad avviare le successive pratiche per il
divorzio.
In una simile instabilità spesso sono coinvolti i figli, vittime
incolpevoli della crisi tra i propri genitori. La legge 8 feb-
braio 2006, n.54, recante «Disposizioni in materia di sepa-
razione dei genitori e affidamento condiviso dei figli», ha
drasticamente modificato la materia relativa ai provvedi-
menti riguardanti i figli in caso di crisi tra i genitori, sfor-
zandosi di offrire loro una tutela uniforme a prescindere
dalla natura dell’unione dei genitori e dalle sue possibili vi-
cende. Il testo legislativo contiene una disciplina unitaria
dei provvedimenti destinati a regolamentare i rapporti tra
genitori e figli in caso di crisi familiare, senza distinguere tra
genitori coniugati e non coniugati, tra separazione, divor-
zio e annullamento del matrimonio, sul presupposto della
necessità di tutelare l’interesse dei figli a ricevere il minor
danno possibile dalla disgregazione del proprio nucleo fa-
miliare, utilizzando il medesimo principio, quello dell’e-
sclusivo interesse morale e materiale del figlio.
Prima della riforma, il modello prevalente di affidamento
risultava improntato all’ottica di una delega delle responsa-
bilità relative ai figli in toto al genitore affidatario, con com-
piti di mero controllo da parte dell’altro genitore. Al geni-
tore affidatario spettava il diritto di tenere il figlio con sé,
conservando l’esercizio della potestà in via esclusiva; all’al-
tro genitore invece spettava soltanto il diritto di vigilare e di
controllare l’operato del genitore affidatario nonché di con-
51
cordare le decisioni fondamentali per la vita del figlio.
I dati statistici rilevano come la tipologia di affidamento
più diffuso nella prassi sia stata, in ogni caso, l’affidamento
monogenitoriale.
IL NUOVO MODELLO DI AFFIDAMENTO CONDIVISO. Il pro-
filo più innovativo della nuova normativa sta nella centra-
lità riconosciuta al minore ed alla sua esigenza di continua-
re a mantenere immutati i rapporti con i genitori. Sulla
scorta degli orientamenti emersi anche in sede internazio-
nale, infatti, la nuova normativa ha decisamente valorizza-
to il diritto del minore ad un rapporto equilibrato e conti-
nuativo con entrambi i genitori, prevedendo un meccani-
smo che consenta ad entrambi di partecipare attivamente
alla vita del figlio anche dopo la disgregazione del nucleo
familiare, abbandonando la tradizionale distinzione di ruo-
li tra genitore che si occupa del figlio e genitore “del tempo
libero”.
In questa prospettiva, la bigenitorialità non diventa solo
una legittima rivendicazione del genitore ma un diritto sog-
gettivo del minore, da collocare nell’ambito dei diritti del-
la personalità. Nel contempo, viene enfatizzata anche l’im-
portanza dei legami familiari in senso più ampio, ricono-
scendo il diritto del minore di poter continuare a frequen-
tare anche i nonni e in generale i parenti dei genitori.
Nel programma perseguito dal legislatore, dunque, l’affi-
damento condiviso diventa regola generale, mentre l’affi-
damento monogenitoriale viene relegato ad ipotesi resi-
duale, per i soli casi in cui l’affidamento all’altro genitore
sia contrario all’interesse del figlio. Sulla scia di tale princi-
pio, il nuovo art. 155 Codice civile stabilisce che i figli ven-
gano affidati ad entrambi i genitori che su di essi esercitano
la potestà e che le decisioni di maggiore importanza (istru-
zione, educazione e salute) vengano prese congiuntamen-
te. Per le decisioni di ordinaria amministrazione il giudice
può disporre che i genitori esercitino la potestà separata-
mente. Sarà il giudice a determinare per i figli «i tempi e le
modalità della loro presenza presso ciascun genitore», se-
condo una regola necessariamente elastica che, nella pro-
spettiva di una serena gestione del rapporto con i figli, vede
privilegiare gli accordi dei genitori di cui il giudice è infatti
tenuto a prendere atto se non contrari al loro interesse (art.
155, comma 2, Codice civile).
L’AUDIZIONE DEL MINORE. La legge riconosce e valorizza il
diritto del figlio ad essere ascoltato, prevedendone l’audi-
zione obbligatoria se abbia compiuto i 12 anni e anche di
età inferiore, ove capace di discernimento, con ciò recepen-
do un principio già ampiamente espresso in numerose con-
venzioni internazionali, regolamenti comunitari, nonché,
in tempi più recenti, dalla Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea (Carta di Nizza del 2000). Viene in
questo modo colmata una lacuna della precedente discipli-
na che, solo con riguardo al divorzio, e solo se ritenuto ne-
cessario, contemplava la possibilità per il giudice di ascolta-
re il figlio prima di decidere dell’affidamento.
ACCORDI DEI GENITORI IN MERITO ALL’AFFIDAMENTO E
MEDIAZIONE FAMILIARE. Convincente, seppur eccessiva-
mente generico, appare anche il riferimento nell’ambito
della legge alla mediazione familiare, mediante la previsio-
ne della possibilità per il giudice, con il consenso delle par-
ti, qualora ne ravvisi l’opportunità, di rinviare l’adozione
dei provvedimenti sull’affidamento in attesa che i coniugi
stessi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per
raggiungere un accordo circa l’affidamento.
Nella legge si prevede che il giudice prenda atto, se non con-
trari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i ge-
nitori. Tuttavia la formulazione della norma non definisce
con chiarezza quale sia l’efficacia degli accordi presi dai ge-
nitori in merito alle modalità con le quali regolare la gestio-
ne dell’affidamento condiviso: se cioè, il giudice debba ne-
cessariamente attenervisi, constatata la loro conformità al-
l’interesse dei figli, oppure se egli debba considerarli alla
stregua di un elemento di valutazione (magari anche im-
portante) circa la conformità della decisione da adottare al-
l’interesse di quel minore. Nel primo caso, il potere confe-
rito al giudice non sarebbe molto diverso da quello che ora
gli attribuiscono le norme vigenti (art. 155, comma 7, Co-
dice civile art. 6, comma 9, legge 898/1970).
In questo modo i genitori vengono coinvolti direttamente
nella definizione dei rapporti genitoriali conseguenti alla
crisi del matrimonio, assumendo in prima persona una
funzione “disciplinare” che altrimenti sarebbe rimessa
esclusivamente al giudice. Tuttavia, sussiste il rischio che i
genitori deleghino la stipulazione degli accordi agli avvoca-
ti, con la conseguenza che il giudice andrebbe ad omologa-
re, e dunque ad attribuire efficacia, ad accordi non condivi-
si e per ciò stesso meno soddisfacenti e di solito meno ri-
spettati.
L’ASSEGNO DI MANTENIMENTO. Quanto al mantenimento
dei figli, fatti salvi gli accordi assunti dalle parti, ciascuno
dei genitori provvede in misura proporzionale al proprio
reddito; se necessario, nell’ottica di integrare il contributo
diretto, il giudice potrà stabilire la corresponsione di un as-
segno, la cui entità dovrà determinare valutando una serie
di criteri predefiniti che valgono a limitare una sua eccessi-
va discrezionalità; si tratta in larga misura di criteri che la
prassi giurisprudenziale ha in questi anni utilizzato per de-
finire l’entità dell'assegno di mantenimento del figlio, an-
che se da taluni si è sottolineato che si tratterebbe di criteri
talmente generici che difficilmente saranno in grado di as-
solvere all’obiettivo per cui sono stati previsti.
Così come prevedeva la disciplina previdente, il giudice,
ove le informazioni di carattere economico fornite dai ge-
nitori non siano sufficientemente documentate, può di-
sporre accertamenti della polizia tributaria. L’importante
novità introdotta dalla legge di riforma consiste invece nel
fatto che tali indagini possono avere ad oggetto anche beni
intestati a soggetti diversi rispetto ai genitori, al fine di ren-
dere inefficaci intestazioni fittizie.
LA NUOVA DISCIPLINA DELLA CASA FAMILIARE. L’assegna-
zione dell’abitazione familiare è legata all’interesse della
prole a non subire un forzoso allontanamento dalla propria
casa, e che dell’assegnazione il giudice dovrà tener conto ai
fini della regolamentazione dei rapporti economici tra i ge-
nitori, specie nel caso in cui l’immobile assegnato sia di pro-
prietà esclusiva di quello dei due genitori che non lo abita
(in altre parole, occorre tener conto che la disponibilità di
un immobile rileva per l’assegnatario in termini di manca-
ta spesa per la locazione di altro immobile, mentre, per chi
subisce il provvedimento, in termini di costo per un nuovo
alloggio e in termini di mancato introito per l’impossibilità
di trarre dall’immobile un reddito).
52
SCHEDA 32. UNA FAMIGLIA PER OGNI BAMBINO
Per calcolare il dato complessivo dei “minori fuori dalla fa-
miglia” bisogna aggiungere al totale dei minori accolti in
istituto (circa 2.700), la quota di minori accolti nelle co-
munità (familiari ed educative) stimabili tra i 15mila e i
20mila (anche in riferimento ai ricoveri “anomali”) e il nu-
mero dei minorenni in affidamento familiare pari a circa
10.200, di cui 5.280 in affidamento intra familiare e 4.668
in affidamento etero familiare. Il numero è impressionan-
te: sono circa 30mila i minori di cui farsi carico nel nostro
Paese entro il 31 dicembre 2006.
MINORI IN ISTITUTO. Dai dati emerge come gli istituti per
minori ancora in funzione nel nostro Paese ammontino a
215 unità e in totale ospitino 2.633 bambini e adolescenti
(dati aggiornati al 30 giugno 2003). Dai 475 istituti per mi-
nori registrati dall’Istat al 31 dicembre 1999, si è passati nel-
l’anno successivo a 359 unità, con una riduzione di 116
strutture, e dopo tre anni e mezzo, con una ulteriore ridu-
zione di altre 144, si scenda fino a quota 215. Relativa-
mente ai minori ospiti degli istituti, il trend di diminuzio-
ne è anche più marcato: infatti tra il 1999 e il 2000, il nu-
mero di minori diminuisce di 3.051 unità ma se si pren-
desse a riferimento il periodo 2000-2003 la diminuzione
riscontrata sarebbe addirittura di 4.942 unità, che rappre-
senta una contrazione, nel triennio considerato, pari a cir-
ca due terzi dell’universo analizzato. Tre quarti degli istitu-
ti per minori complessivamente censiti si collocano nel Me-
ridione. In assoluto, comunque, la regione che presenta il
maggior numero di strutture è la Sicilia, con 63 istituti per
minori; al contrario, il Friuli Venezia Giulia presenta solo
un istituto all’interno del proprio territorio.
I minori solitamente non sono allontanati dal loro territo-
rio d’origine verso strutture di altre regioni: solo la regione
Abruzzo sposta un numero considerevole (sul totale regio-
nale) pari a 15 ragazzi nella vicina Umbria. La percentuale
dei minori di età compresa tra 0-2 anni accolti dagli istitu-
ti è pari a circa il 10% del totale. Tale andamento cresce via
via che ci si sposta nelle classi di età maggiore, fino a rag-
giungere il picco nella classe 6-8 anni (25,6%); diminuisce
nelle classi successive fino a quella di 18 anni (0,3).
LE MOTIVAZIONI PER LA QUALE I MINORIVENGONO INSERI-
TI IN ISTITUTO. Nel 33% dei casi si tratta di problemi eco-
nomici e abitativi della famiglia di origine, seguono i pro-
blemi di condotta dei genitori (12% del totale delle moti-
vazioni) e le crisi delle relazioni familiari (8,5). Non sono
certo da trascurare, sebbene esibiscano incidenze meno ri-
levanti, alcune motivazioni “pericolose” quali appunto il
maltrattamento e l’incuria (5,1%), la violenza sessuale sul
minore (2,5) e lo stato di abbandono (1,8). Le crisi delle re-
lazioni familiari unitamente ai problemi relazionali del mi-
norenne con la famiglia superano l’8%.
MINORI STRANIERI E MINORI DISABILI. I minori stranieri
ospiti degli istituti rappresentano il 17,2% del totale e in
valore assoluto sono pari a 452; essi sono maggiormente
presenti nel Lazio (un bambino su due), Lombardia (il
46,8% del totale regionale) e Umbria (il 31,1% del totale
regionale). Per quanto riguarda i disabili si registra un dato
assoluto pari a 185 unità, suddivisi principalmente nelle re-
gioni della Sicilia con 46 minori (8,4%), Puglia con 29
(7,6) e Veneto con 26 (19).
53
IDENTIKIT DEL PEDOFILO. Non esiste un’età media cui ri-
condurre il soggetto pedofilo e non è possibile rintracciare
neanche una classe sociale cui un soggetto affetto da tale di-
sturbo appartiene. Il sesso del pedofilo è quasi esclusiva-
mente rappresentato dal genere maschile, ma non è esclusa
la presenza di quello femminile. Il pedofilo è “psicopatolo-
gicamente pedofilo”, perché mosso in modo invasivo e in-
controllabile dalle sue fantasie, impulsi e desideri a tal pun-
to da compromettere una o più aree della sua vita a livello
socio-relazionale o professionale. L’attrazione verso le fem-
mine è descritta come la più frequente e riguardante per lo
più bambine dagli 8 ai 10 anni; quella per i maschi, invece,
sembra coinvolgere minori con un’età leggermente più ele-
vata. Tra i pedofili è possibile, inoltre, osservare soggetti at-
tratti esclusivamente da bambini (tipo esclusivo) e soggetti
attratti da bambini e adulti (tipo non esclusivo).
IL PROFILO CRIMINOLOGICO. Attraverso l’analisi dei fasci-
coli di più di mille soggetti denunciati all’autorità giudizia-
ria dalla Polizia Postale e delle Comunicazioni, emerge che
nel 96% dei casi si tratta di maschi, mentre solo nel restan-
te 4% di donne; nel 44% dei casi gli indagati hanno un’età
che va dai 21 ai 30 anni, nel 27% dai 31 ai 40, nel 14% dai
51 e ai 60 anni. Solo il 3% dei segnalati all’autorità giudi-
ziaria ha un’età inferiore ai 20 anni. Per quanto concerne il
titolo di studio, al primo posto si colloca la licenza liceale
(65%) e a seguire la licenza media (7) e la laurea (5). Nel
67% dei casi i soggetti sono celibi e nel 29 coniugati. Nella
maggior parte dei casi (90%) i soggetti erano incensurati,
nel 2% erano recidivi e nel 5% avevano precedenti, ma ge-
nerici e non legati alla sessualità. Circa il 90% dei soggetti
fermati si sarebbe limitato alla scambio di materiale pedo-
pornografico, mentre nel 10% dei casi sarebbero stati coin-
volti anche minori “dal vivo” ( Strano 2003).
I COLLEZIONISTI. I pedofili spesso collezionano pornogra-
fia infantile e child erotica. Si possono distinguere quattro
tipologie:
• closet: coloro che si limitano a fare uso di materiale pe-
dofilo in segreto e senza mettere in atto molestie sessuali;
• isolated: coloro che fanno uso di materiale pedofilo
condiviso solo con le loro vittime;
• cottage: coloro che scambiano e condividono il proprio
materiale con altri pedofili e abusanti;
• commercial: coloro che fanno del denaro lo scopo pri-
mario della loro collezione.
La pedopornografia on line è un fenomeno vasto e preoc-
cupante, la cui diffusione e divulgazione avviene in preva-
lenza in alvei e dimensioni “pseudo pubbliche” della Rete
nelle quali la relazione pedopornografica tra autore e vitti-
ma viene interrotta da una lunga serie di passaggi e rime-
scolamenti di materiali di portata tale da non rendere pos-
sibile una serie di indagini sulle dinamiche associative di
produttori di pedopornografia.
IL MODUS OPERANDI DEL PEDOPORNOGRAFO ON LINE.Tra
tutti gli utilizzi di Internet le chat line rappresentano il set-
tore dove si manifestano i maggiori rischi per i minori. Co-
me emerge da una ricerca del 2004 a cura dell’Internatio-
nal Crime Analysis Association, il 13% dei bambini tra gli
8 e i 13 anni ha avuto dei contatti in chat con un adulto che
intraprende discorsi su tematiche sessuali; il 29,7% di ado-
lescenti tra i 14 e i 17 anni ha incontrato contenuti indesi-
derati/offensivi; il 51,7% di loro ha incontrato finestre
aperte di pubblicità di altri siti. Uno studio avviato nel 2000
è stato svolto attraverso la sperimentazione sul campo: i ri-
cercatori entrano nelle chat con l’identità virtuale di bam-
bini e partecipano in prima persona all’interazione con il
pedofilo. In tutti i casi il pedofilo, prima di rischiare, si ac-
certa dello stato di solitudine del bambino al momento del-
la conversazione, attraverso domande sulla presenza o me-
no di adulti in casa; è ricorrente la richiesta da parte del pe-
dofilo di descrizioni fisiche che riguardano soprattutto le
componenti genitali e sessuali in genere; laddove il fine è
tentare l’adescamento del bambino, è frequente che il pe-
dofilo, nel corso di conversazioni apparentemente casuali,
raccolga informazioni su gusti, hobbies e interessi del bam-
bino, per offrirgli oggetti o situazioni che rappresentano
per il bambino una fonte di attrazione (Università Cattoli-
ca del Sacro Cuore di Roma).
In base alle caratteristiche di personalità e ai livelli di gra-
vità, si distingue tra:
• pedofili omosessuali, che desiderano avere rapporti con
bambini/e dello stesso sesso, con modalità “d’amore” vici-
ne a quelle fra madre e figlio;
• pedofili compulsivi, che agiscono in modo irrefrenabile
capitolo 5
MEDIA E SOCIETÀ
SCHEDA 33. PEDOFILIA E PORNOGRAFIA MINORILE:
ASPETTI DESCRITTIVI, NESSI E DIFFERENZIAZIONI
INTERNET E LE NUOVETECNOLOGIE IN ITALIA.Nel periodo
compreso tra ottobre-dicembre 2002 e ottobre-dicembre
2005, in Italia la percentuale delle famiglie con accesso In-
ternet da casa è cresciuta di ben 9 punti percentuali passan-
do dal 34 (2002) al 43% (2005), ovvero pari a circa 9,2 mi-
lioni di famiglie on line e a 27,9 milioni di utenti potenzia-
li. Nel corso dell’ultimo trimestre 2005, il 4% dei naviga-
tori è rappresentato da bambini tra i 6 e gli 11 anni, mentre
i giovani di 12-17 anni costituiscono il 9%. A fine 2005 i
bambini che hanno utilizzato Internet sono aumentati sia
per quanto riguarda il numero (+14%), sia per quanto in-
teressa i consumi: tra ottobre e dicembre 2005 si sono col-
legati a Internet in media 12 volte (contro le 8 sessioni del
2004) trascorrendo in Rete 2 ore e mezzo in più rispetto al-
l’anno precedente. Sono maggiormente on line da casa gli
studenti (18%) che occupano il primo posto, seguono i ra-
gazzi con meno di 16 anni (10). Complessivamente il
52,3% dei ragazzi con un’età compresa tra i 14 e i 17 anni
dichiara di collegarsi tutti i giorni (12,1) o almeno una vol-
ta alla settimana (40,2); il 19,1% lo fa almeno una volta al
mese e il 28,5 più raramente ( Nielsen//NetRatings, 2005).
A CHI RIVOLGERSI PER AVERE UN AIUTO: LA POLIZIA PO-
STALE E IL PROGETTO HOT114. Poiché lo sviluppo delle
nuove tecnologie dell’informazione ha sollevato sempre
nuove problematiche legate alla sicurezza dei sistemi di co-
municazione, la Polizia di Stato ha adeguato le proprie
strutture investigative alle mutate esigenze, strutturando
nel corso degli anni unità sempre più specializzate per vigi-
lare sull’uso distorto delle tecnologie ed impedire che esse
divengano veicolo di illegalità. Questo compartimento
della Polizia di Stato effettua costanti monitoraggi della re-
te Internet per verificare la presenza di siti, messaggi, new-
sgroup o conversazioni dai quali si possa presumere la com-
missione di un reato.
L’avvio delle attività investigative può dunque avvenire per
i comportamenti sessuali sui bambini/e in associazione ad
un restringimento dello stato di coscienza, al di fuori del
quale soffrono per tale comportamento;
• pedofili perversi, che non considerano il bambino come
soggetto, ma solo un mezzo per soddisfare un comporta-
mento sessuale, intriso di ritualità violenta;
• pedofili regressivi, che rivolgono il loro interesse sui
bambini, perché sono caratterizzati da una personalità im-
matura e fissata ad un livello infantile di sviluppo psico-ses-
suale;
• pedofili fissati, che presentano un arresto temporaneo o
permanente dello sviluppo psico-sessuale e fin dall’adole-
scenza un atteggiamento di tipo pedofilo. L’interesse ses-
suale primario non è mai evoluto oltre lo stadio prepubere;
raramente intrattengono relazioni sessuali adulte, sono
spesso celibi e tengono a mettere in atto comportamenti
sessuali pedofili verso sconosciuti o vicini di casa;
• pedofili situazionali, che non presentano una originaria
e unica preferenza verso i bambini e sono portati a rivolger-
si al mondo infantile nel momento in cui eventi particolar-
mente stressanti intervengono nella loro vita.
QUALE RAPPORTO TRA FANTASIE, PEDOFILIA E PORNOGRA-
FIA?Avere fantasie sessuali pedofile o provare attrazione per
i bambini non significa necessariamente che azioni pedofi-
le verranno messe in atto. È provato che fantasie pedofile e,
ad esempio, eccitazione per materiale pedofilo sono pre-
senti anche in parte della popolazione cosiddetta “norma-
le”. Come emerge dall’ultimo rapporto Eurispes sulla por-
nografia (2005), il mercato del porno complessivamente è
in crescita: il valore annuo del fatturato passa da 895 milio-
ni di euro nel 2002 a 1.101 milioni di euro nel 2004, ri-
scontrando un calo del fatturato solamente per i siti web
commerciali (da 224 milioni di euro nel 2002 a 181 milio-
ni di euro nel 2004); le aree di affari più forti nel 2004 ri-
sultano le televisioni a pagamento, gli home video e i video
telefonini satellitari con un fatturato, rispettivamente, di
247, 233 e 140 milioni di euro. In Occidente i sette Paesi
leader dell’industria pornografica risultano essere gli Usa,
seguiti da Svezia, Germania, Francia, Spagna, Ungheria e
Repubblica Ceca. L’Italia, che fino agli anni 90 era tra i pri-
mi produttori, attualmente è esclusa dal circolo dei “G7 del
porno”: una delle cause di tale esclusione risiede nell’incer-
tezza e talvolta inefficacia delle leggi che regolano il settore.
L’economia pornografica, infatti, prospera anche in regimi
legali proibizionisti, ma per divenire “industria” necessita,
paradossalmente, o di assenza di regole o di regole chiare. Il
successo di questo mercato oggi è in evidenza per mezzo di
Internet, ma vi è sempre stata molta offerta e molta richie-
sta, anche prima che esistesse tale mezzo di comunicazio-
ne. I fruitori di questo mercato sono ovviamente persone
attratte da ciò che viene loro offerto e non è corretto, sul
piano logico, asserire che tale attrazione sia determinata
dall’offerta, mentre è logicamente desumibile il contrario,
cioè che il successo dell’offerta sia determinato dal fatto che
esiste in tante persone questa attrazione.
54
SCHEDA 34. IL BAMBINO NAVIGATORE, I SUOI GENITORI
E I SUOI INSEGNANTI: IL PROGETTO HOT114
55
propria iniziativa o a partire da segnalazioni di privati citta-
dini. Il progetto Hot114 nasce nell’ambito del programma
Safer Internet promosso dalla Commissione Europea per
favorire l’utilizzo sicuro di Internet e delle nuove tecnolo-
gie e in particolare per combattere i contenuti illegali e po-
tenzialmente pericolosi per bambini e gli adolescenti. Tale
progetto è stato affidato a Telefono Azzurro con il fine di
potenziare l’area della sicurezza in Internet in Italia. Il pro-
getto, della durata di due anni, è stato avviato ufficialmen-
te il 1° aprile 2005, con l’obiettivo di costituire e rendere
operativa in Italia una hotline in servizio 24 ore su 24, che
permetta a chi naviga in Internet di segnalare contenuti pe-
dopornografici o potenzialmente pericolosi per bambini e
adolescenti. Il lavoro di Rete dell’Hot114 è potenziato dal-
l’appartenenza all’associazione internazionale di hotlines
sui Internet Inhope (www.inhope.org), cofinanziata dalla
Commissione Europea, che promuove la cooperazione tra
oltre 25 hotlines di tutto il mondo.
PEDOPORNOGRAFIA ON LINE: DATI. Le azioni di contrasto,
effettuate dalla Polizia Postale dall’entrata in vigore della
legge 269/98 «Normativa contro lo sfruttamento sessuale
dei minori» sino a luglio 2006, hanno portato al monito-
raggio di 225.113 siti; 10.393 segnalazioni ad organismi
investigativi esteri; 3.134 perquisizioni; 3.365 persone sot-
toposte ad indagini; 167 indagati sottoposti a provvedi-
menti restrittivi. Per quanto riguarda le segnalazioni inol-
trate all’hotline Hot114 in merito a contenuti illeciti (ma-
teriale pedopornografico) e pericolosi rinvenuti sulla Rete,
nel periodo compreso tra aprile 2005 e settembre 2006 so-
no state complessivamente accolte 342 segnalazioni. La
percentuale più elevata di segnalazioni (63,5%) ha interes-
sato i siti web; rilevanti anche i valori riconducibili alle e-
mail (16,7) e al file sharing (11,4). I soggetti segnalanti pre-
feriscono nella maggior parte dei casi rimanere anonimi
(60,5). In più del 40% dei casi il Paese che ospita i siti web
segnalati sono gli Stati Uniti; al secondo posto, ma con va-
lori molto più ridimensionati, troviamo l’Italia (11,1).
I PERICOLI DELLA RETE PER I BAMBINI E GLI ADOLESCENTI:
ADESCAMENTO, SITI ILLEGALI E SITI DANNOSI (RAZZISMO,
GUERRA, VIOLENZA). Bambini e adolescenti che navigano
in Internet possono trovarsi di fronte a materiali e conte-
nuti inadeguati per la loro età (ad esempio, contenuti vio-
lenti, con espliciti riferimenti sessuali o che incitano al raz-
zismo) o trovarsi ad interagire con soggetti malintenziona-
ti che possono ingannarli ed invitarli a comportamenti o
azioni pericolose. Secondo quanto documentato dall’espe-
rienza investigativa delle Forze dell’ordine specializzate, le
chat rappresentano il settore di Internet in cui si riscontra-
no i maggiori rischi. All’interno delle chat, infatti, è possi-
bile intrattenere comunicazioni estremamente intime, su-
perando gap generazionali e culturali. Se il pericolo mag-
giore per un bambino o un adolescente può derivare dal-
l’incontro diretto con soggetti malintenzionati conosciuti
in chat, in questo stesso luogo virtuale il giovane navigato-
re può essere vittima di episodi di flaming, una comunica-
zione violenta ed offensiva. Si tratta di un comportamento
tipico dei giovani e degli adolescenti, che sarebbero più pro-
pensi ad accendere “risse digitali”, usando un linguaggio
scurrile all’interno di chat, forum, mailing list.
La stessa ricerca sui motori di ricerca di cartoni animati,
cantanti e attori, può condurre a foto e/o filmati di tipo por-
nografico, dal momento che spesso sono mascherati da file
con nomi ingannevoli. Internet può veicolare anche conte-
nuti pericolosi come l’esaltazione della violenza e della cru-
deltà, l’istigazione all’odio e al razzismo, la pubblicità di ta-
bacco e alcool, la valorizzazione dell’estrema magrezza e il
ricorso a qualsiasi mezzo per raggiungerla, il mito dell’ar-
ricchimento facile e il ricorso a comportamenti illegali per
ottenere un guadagno immediato.
COME AFFRONTARE I PERICOLI DELLA RETE PER UNA NAVI-
GAZIONE SICURA. Al fine di garantire che bambini e adole-
scenti possano beneficiare delle innumerevoli risorse e po-
tenzialità di Internet è necessario provvedere a proteggerli
dai contenuti dannosi: Internet deve diventare un luogo in
cui, con qualche precauzione, i bambini possono crescere
serenamente. Una soluzione tecnica è quella di utilizzare
programmi di filtraggio che, attraverso l’adozione di mo-
delli di blacklisting (che non consentono di aprire certi siti)
oppure di whitelisting (che consentono all’opposto di apri-
re solo siti specificati), evitino spiacevoli incontri in Rete.
Attraverso l’uso di filtri è possibile anche restringere la na-
vigazione solamente a reti private, che contengono solo del-
le pagine adatte ai più piccoli e da cui non si può uscire.
SCHEDA 35. GENERAZIONE EBAY: IL BOOM DEGLI ACQUISTI ON LINE
E-COMMERCE: PICCOLI ACQUIRENTI CRESCONO. Lo svi-
luppo dell’e-commerce è senza dubbio legato alla crescita
dei fruitori di Internet i quali, avendo acquisito maggiore
familiarità con il mezzo, hanno incrementato gli acquisti
on line. Il commercio elettronico sembra non conoscere li-
miti o confini di tipo anagrafico. Lo confermano i risultati
del sondaggio Eurispes-Telefono Azzurro 2006, secondo
cui sin da piccolissimi gli internauti utilizzano la Rete per
56
fare acquisti on line. In particolare l’11,4% dei bambini con
un’età compresa tra 7 e 11 anni sostiene di aver già fatto
compere sul web. E al crescere dell’età aumenta considere-
volmente la quota percentuale dei giovani appassionati di
e-commerce che raggiunge il 29,1% tra i giovani con un’età
compresa tra 16 e 19 anni. Sono i maschi coloro che mag-
giormente usano Internet per i loro acquisti on line. Lo te-
stimoniano i dati che indicano valori più alti riferiti ai bam-
bini (15,1%) e agli adolescenti (34,8) rispetto a quelli che
interessano le bambine (6,7) e le adolescenti (18).
ACQUISTARE CON UN CLICK. Secondo le più recenti analisi
l’e-commerce business to consumer italiano toccherà a fi-
ne 2006 i quattro miliardi di euro con un aumento del 45%
rispetto al 2005 (Osservatorio B2C). Il commercio elettro-
nico si concentra in alcuni settori, e leader indiscusso è il
turismo con un fatturato di oltre 1,7 milioni di euro anche
se nel 2006 non aumenta la sua quota di mercato che com-
plessiva rimane fissa al 43%.
Grazie all’ottimo andamento delle vendite su eBay è in co-
stante crescita la categoria “altro” che comprende ad esem-
pio la prevendita di biglietti, le ricariche telefoniche, il col-
lezionismo, preziosi, fiori, ecc. Questo comparto supererà
alla fine del 2006 quota 1.200 milioni di euro, facendo re-
gistrare un incremento percentuale del 30% rispetto allo
scorso anno. In questo settore l’80% circa delle vendite pro-
viene proprio dalle vendite consumer to consumer di eBay,
il sito più famoso al mondo di aste on line. Ottimi inoltre i
profitti realizzati nel settore dell’informatica e dell’elettro-
nica che da sempre registrano risultati positivi: +11% di
vendite nel 2006, con un giro d’affari che entro la fine del-
l’anno supererà i 430 milioni di euro. Confermano quote
percentuali pari al 3% i settori dell’editoria, della musica e
dell’abbigliamento. Perdono invece peso sul mercato com-
plessivo le assicurazioni on line (-3% rispetto al 2005) e il
settore di grocery (1% nel 2006 contro il 2 del 2005).
La fiducia negli acquisti in Rete è cresciuta anche grazie al-
l’adozione di sistemi sicuri e soprattutto in seguito alla dif-
fusione delle carte di credito prepagate che, oltre ad elimi-
nare il timore di incorrere in possibili truffe, consentono di
allargare il target di riferimento permettendo anche ai più
giovani di usufruire di un servizio prima imprescindibile
dal possesso di un conto corrente bancario. La modalità di
pagamento più diffusa per le transazioni on line è la carta di
credito (usata nel 70% dei casi), seguita da Paypal (10), dai
bonifici (9) e contrassegni (8). Non ancora diffusi i finan-
ziamenti (1). eBay è la più grande community al mondo di
compravendita on line senza intermediari. Presente in Ita-
lia dal 2001, conta oggi 203 milioni di utenti registrati nel
mondo di cui 3 milioni italiani. Presente in 33 mercati in-
ternazionali, solo nel secondo trimestre del 2006 ha pro-
dotto un fatturato di 1,41 miliardi di dollari. Se eBay fosse
un Paese, sarebbe la quinta nazione più popolata al mondo
dopo Cina, India, Stati Uniti ed Indonesia. In ogni mo-
mento ci sono più di 104 milioni di oggetti sul sito in tutto
il mondo, con più di 6,5 milioni di nuovi oggetti al giorno.
Solo nel secondo trimestre del 2006 ne sono stati messi in
vendita 596 milioni in tutto il mondo. Nel secondo trime-
stre del 2006 sono stati venduti su scala mondiale oggetti
per un totale di 12,9 miliardi di dollari. eBay nasce come si-
to di aste ma in realtà esiste un’ampia gamma di servizi: uno
di questi è il «compralo subito», che consente ai venditori
di proporre i propri oggetti a un prezzo fisso, e agli acqui-
renti di non attendere il termine dell’asta.
GLI OGGETTI PIÙ RICHIESTI. Primeggiano i telefoni cellu-
lari (ricercati tramite alcune parole chiave come Umts o
Nokia), le scarpe modello Hogan o Nike, le Vespa e le Bmw.
Le categorie merceologiche complessive di eBay Italia sulle
quali si effettua compravendita sono più di 3.500 raggrup-
pate in 24 metacategorie visibili. Le categorie più visitate
sono quelle dei fumetti, della bellezza e salute, dei franco-
bolli, tv ed elettronica ma anche quelle dei vini e della ga-
stronomia. Non sono mancate operazioni che hanno visto
contesi oggetti veramente curiosi come: un allevamento it-
tico (venduto per un milione 615mila euro); un call center
con 76 postazioni telefoniche ed informatiche (venduto
per 500mila euro); quattro sveglie in buono stato ma non
funzionanti, vendute per 12 euro; un ago da pagliaio; bi-
glietti del tram timbrati...
SCHEDA 36. I CANALI TELEVISIVI TEMATICI PER BAMBINI FINO A 2 ANNI
31.500. È questo il numero di spot pubblicitari che media-
mente un bambino guarda in un anno attraverso la televi-
sione. La media è dunque di quasi 90 commercials al gior-
no, un numero superiore, probabilmente, ai gesti di affetto
che ogni genitore potrebbe nel corso della sua giornata ma-
nifestare al proprio figlio.
IL “CLIENTE BAMBINO” OVER 3. Esiste un florido mercato
pubblicitario per il “cliente bambino” tanto che, secondo
l’International Clearinghouse dell’Unesco, soltanto negli
Usa le aziende spendono annualmente 12 miliardi di dol-
lari nel marketing dedicato all’infanzia. Il gioco vale la can-
dela: infatti i bambini americani riescono ad influenzare gli
acquisti dei loro familiari per una cifra che mediamente
57
ogni anno si aggira intorno ai 500 miliardi di dollari. Sul-
l’industria rappresentata poi dalle multinazionali bisogna
porre particolare attenzione, anche perché essa opera al di
fuori di ristrette logiche nazionali, in quanto fortemente
interessata ai circa 2,1 miliardi di bambini che vivono oggi
sul pianeta e che rappresentano il 36% della popolazione
mondiale.
IL “CLIENTE BEBÈ” UNDER 3. Realizzati con caratteristiche
che determinano un’associazione suono/immagine sicura-
mente molto efficace, gli spot televisivi risultano calibrati
in modo da riuscire a determinare ed a orientare il 75% del-
le scelte dei telespettatori bambini. Per il suo ottimismo, la
sua concisione e la sua ripetitività, la pubblicità appare co-
me una sorta di “protesi elettronica” dell’occhio - veri e pro-
pri occhiali capaci di far vedere “luoghi” lontani, in tempi
assolutamente ridotti - creando il codice comunicativo più
influente sul comportamento dei bambini. Si tratta di ele-
menti fortemente condizionanti che ne hanno consentito
l’adozione stilistica da parte di diversi produttori televisivi,
i quali, mutuandone le strutture di racconto, hanno inizia-
to ad utilizzarli per la realizzazione di programmi dedicati
ed addirittura per la creazione di canali televisivi, denomi-
nati pre school television, rivolti persino agli under 3.
BABY FIRST TV. Partendo dalla consapevolezza che anche i
bambini di pochi mesi di vita risultano attratti dalle imma-
gini che si muovono sullo schermo, prima ancora di capire
che cosa esse rappresentino, è stata inaugurata negli Stati
Uniti agli inizi dell’estate la programmazione via cavo di
Baby First tv. Questo canale per la nursery dietro il paga-
mento di soli 9,99 dollari al mese, propone 24 ore su 24 un
palinsesto di ninne nanne, storielline di peluche che gioca-
no al trenino, rubriche di cose da mangiare, un abbeceda-
rio animato, canzoncine, geometria, uno spazio per colo-
rarsi le mani e uno per la ginnastica. La promozione di que-
sto canale nelle grandi città si è avvalsa di slogan e spot che
ne sostenevano la convenienza soprattutto per il costo del-
l’abbonamento nettamente inferiore a quello di un’ora di
baby sitter. Secondo uno studio condotto nel 2005 dalla
Kaiser Family Foundation i bambini americani sotto i due
anni che guardano almeno due ore di televisione o di video
al giorno sono il 68% dell’intera popolazione infantile,
mentre il 26% ha persino il televisore in camera da letto.
TELETUBBIES, LA TV PER CRESCERE. La serie animata dei
Teletubbies è nata undici anni fa grazie ad un’idea della Bbc
che mise a punto un nuovo programma televisivo studiato
su misura per quei bambini che, pur guardando già la tele-
visione, non sapevano né leggere né scrivere. In poco tem-
po i Teletubbies conquistarono il cuore dei bambini di tut-
to il mondo, senza sollevare echi di protesta, ma riuscendo
ben presto ad ottenere il gradimento più alto nei palinsesti
televisivi, tanto che, ancora oggi, la serie viene trasmessa in
113 Paesi, con versioni locali doppiate in ben 45 lingue.
Ma qual è stata la chiave di volta per questa serie? Quali gli
elementi secondo i quali questo programma è stato ritenu-
to il più esemplare e positivo esempio di pre school televi-
sion? La risposta è tutta in una parola: il gioco. Ma la carat-
teristica principale dei personaggi di questa fortunata serie
televisiva è stata sicuramente quella di aver “inventato” un
linguaggio particolare, basato sulle onomatopee, con paro-
le pronunciate in maniera distorta o parziale che ha saputo
ricalcare esattamente quello dei bambini, secondo lo stesso
codice comunicativo condiviso e prezioso per acquisire le
abilità linguistiche fondamentali.
SCHEDA 37. L’APPARIRE: MANIPOLAZIONE DEL CORPO
FRA ARTE, BODY TUNING E CHIRURGIA
È l’epoca del body tuning, tendenza che identifica la possi-
bilità di modificare - letteralmente: accordare - il proprio
corpo in maniera sostanziale, attraverso il ricorso a tatuag-
gi, piercing, scarnificazioni, trasformandolo in un vero e
proprio strumento/contenitore/oggetto di rappresentazio-
ne del sé. Fenomeni quali il tatuaggio e il piercing sono di-
ventati, ben accolti da giovani e meno giovani, parte del co-
stume contemporaneo suscitando l’interesse di sociologi,
antropologi, psicologi e medici. Inoltre, alla possibilità di
ornare il corpo, modificandolo, la chirurgia moderna ag-
giunge l’opzione di modellare, aumentare, armonizzare,
nei limiti consentiti dalla deontologia, addomi e seni, nasi
e glutei. Gli adolescenti e i giovani sono i più numerosi nel-
l’esercito di persone interessate da questi fenomeni perché
costituiscono la porzione sociale più portata all’innovazio-
ne, più globalizzata, meno conformista.
TATUAGGI E PIERCING COME FENOMENI NEOTRIBALI. Se-
condo una ricerca effettuata nel 2003 dalla società HI Eu-
rope, una quota pari al 49% dei giovani americani fra i 18 e
i 29 anni sono tatuati, in Gran Bretagna nella medesima fa-
scia d’età ha fatto la stessa scelta il 21% contro il 16 dei gio-
vani italiani. Sono i più giovani e le donne in particolare ad
essere maggiormente interessati a questa forma di body art.
I significati che i giovani attribuiscono al tatuaggio riguar-
dano la sensualità, l’anticonformismo, la capacità di essere
58
più attrattivi nei confronti del prossimo e una spiccata spi-
ritualità.
PERICOLI CONNESSI ALLE PRATICHE DEL BODY PIERCING E
DEL TATTOO. La scelta di “dotare” il proprio corpo di un
piercing non è un’opzione priva di rischi anche seri per la
salute. Il pericolo principale proveniente da questa pratica
è legato al fatto che, nonostante recenti disposizioni legisla-
tive, tale attività è spesso praticata in maniera artigianale, in
luoghi non conformi al necessario rigore igienico sanitario.
I rischi clinici sono molteplici e sono per lo più associati al-
l’area del corpo nel quale il piercing è collocato: l’inseri-
mento di gioielli, anelli, barrette metalliche nei genitali e
nei capezzoli, ad esempio, può mutilarne irrimediabilmen-
te la funzionalità e, negli adolescenti, costituire un serio
problema per il futuro sviluppo sessuale. Lesioni e tagli del-
la cute sono associati a rischi di dolore, sanguinamento, in-
fezione e cattiva. Rischio importante associato al body pier-
cing è l’infezione da virus a trasmissione ematica quali epa-
titi da Hcv, HBSag e il virus dell’Aids. Costituisce una fon-
te di pericolo la contaminazione da batteri quali lo Staphy-
lococcus spp e gli Streptococcus spp. Anche i tatuaggi tem-
poranei non sono scevri da rischi per la salute. È stato regi-
strato un aumento sensibile di reazioni allergiche ai tatuag-
gi a base di hennè nei bambini e negli adolescenti italiani.
L’ADOLESCENTE FRA DISMORFOFOBIA E CHIRURGIA ESTE-
TICA. La dismorfofobia è la paura di non essere normali, di
non avere un aspetto gradevole o bello. Riguarda soprat-
tutto gli adolescenti di entrambi i sessi ed è strettamente le-
gata alle trasformazioni dell’età puberale. L’adolescente di-
smorfofobico vive il gruppo dei pari come luogo di peren-
ne confronto, riferimento della misura del proprio valore
sviluppando una profonda dipendenza dai giudizi espressi
dai propri coetanei. Un giudizio negativo equivale allo sco-
prirsi inadeguati al proprio gruppo. L’inadeguatezza perce-
pita riguarda i propri tratti fisici, che allo specchio o nel-
l’immaginario dell’adolescente divengono monchi, defor-
mi, inadeguati, sovradimensionati e che spesso invece non
sono poi così devianti così come il soggetto crede o teme.
In Italia, sono oltre 6mila i ragazzi e le ragazze sotto i 18 an-
ni che hanno fatto richiesta di iniezioni di botox, collage-
ne, peeling chimici e dermoabrasioni, mentre in Europa il
dato è almeno dieci volte maggiore. I casi più numerosi ri-
guardano il Nord Europa, ma le richieste sono in sensibile
aumento anche nell’Europa Mediterranea (EADV 2005).
SCHEDA 38. 2005: I GIOVANI E LA CRESCENTE RICHIESTA
DI MOBILITÀ: IL FENOMENO DELLE MICROCAR
Il numero di giovani conducenti under 20 morti in inci-
denti stradali nel solo 2004, è stato pari a 297, di cui la stra-
grande maggioranza alla guida di un mezzo a due ruote,
mentre il numero di feriti per la stessa tipologia e classe d’età
si è attestato su 21.532; a ciò occorre aggiungere come le
categorie di veicoli maggiormente coinvolte in incidenti sia
a veicoli isolati che tra veicoli - se si eccettuano le autovet-
ture private e pubbliche - nello stesso periodo, siano state
proprio quelle dei ciclomotori e motocicli, la cui utenza è
in buona parte giovanile (Aci-Istat). Ben il 65,7% dei ma-
schi e il 46,1 delle femmine tra i 14 e i 19 anni dichiarano
di saper guidare un ciclomotore che, in otto casi su dieci, è
effettivamente reso disponibile dalla famiglia di origine per
l’utilizzo.
DA PRODOTTO DI NICCHIA A FENOMENO DELLE STRADE. È
sufficiente osservare il traffico nelle grandi città per accor-
gersi che a catturare la fantasia degli under 18 non sono più
motorini dal design accattivante e dalle prestazioni eccel-
lenti, ma minicar, vere e proprie automobiline in miniatu-
ra per adolescenti, con il motore di uno scooter. Nonostan-
te la loro comparsa sul mercato italiano sia piuttosto recen-
te, intorno al 1997, le microcar stanno via via conquistan-
do fette sempre più ampie di clientela non solo tra adulti a
caccia di un mezzo col quale aggirare i divieti di accesso in
zone a traffico limitato, i divieti di parcheggio o in cerca di
un mezzo sostitutivo alla macchina dopo il ritiro della pa-
tente, ma anche tra i giovanissimi compresi nella fascia 14-
17 anni.
I quadricicli leggeri attualmente circolanti in Europa supe-
rano le 305mila unità, di cui 49.120 nella sola Italia, prece-
duta esclusivamente da Francia e Spagna (rispettivamente
con 140mila e 50.676 unità). Le microcar immatricolate
nel nostro Paese nel solo 2005 ammontano ad un totale di
4.970, un dato impressionante se si considerano la recente
commercializzazione del mezzo, il rapporto tra prezzo e
prestazioni e la quasi totale assenza di campagne pubblici-
tarie massicce. Il guidatore-tipo di tale veicolo, così come
emerge da uno studio condotto dall’Afquad in Francia su
5mila utenti, è nel 59% dei casi un ultracinquantenne e nel
36% dei casi si tratta di soggetti tra i 25 e i 50 anni; solo un
esiguo 5% ha un’età compresa tra i 16 e i 25.
Il fenomeno sembrerebbe quindi toccare solo marginal-
mente gli adolescenti se non si tenesse conto della mancata
armonizzazione della legislazione in materia a livello co-
munitario. Mentre in Francia, Germania, Austria, Belgio e
59
SCHEDA 39. GIOVANI E IMPEGNO POLITICO
Si assiste a un progressivo allontanamento della popolazio-
ne giovanile italiana dal mondo della politica. Il rapporto
fra nuove generazioni e vita istituzionale è in una crisi che
trova negli ultimi anni il suo apice, sintomatologicamente
registrata dai livelli di disinteresse, via via crescenti, espressi
dai giovani nei confronti del dibattito istituzionale e delle
attività politiche.
Una ricerca promossa dall’Istituto Iard (2004), avente per
oggetto la partecipazione politica dei giovani evidenzia co-
me, fra il 1996 e il 2000, vi sia stato un decremento genera-
lizzato degli indici di fiducia istituzionale, di civismo e una
diminuzione dell’indice di associazionismo, salvo poche e
isolate eccezioni.
Nel corso del quadriennio considerato, l’indice di “fiducia
istituzionale” mostra un decremento in tutte le zone d’Ita-
lia, soprattutto nel Nord-Ovest. Nel 1996 era il Nord-Est
la zona d’Italia che dichiarava una maggiore fiducia nelle
istituzioni; quattro anni più tardi, è il Sud a credere mag-
giormente nelle istituzioni al netto tuttavia di una flessione
rispetto al dato del primo anno di rilevazione.
L’indice di associazionismo appare in forte flessione, tutta-
via il dato rappresentato è da leggere tenendo in considera-
zione che nel primo periodo considerato lo strumento as-
sociativo appariva particolarmente abusato rappresentan-
do una forma di aggregazione che spesso rientrava in una
logica di elusione/evasione fiscale dissimulando scopi
commerciali. L’indice di partecipazione politica dei giova-
ni infine soffre anch’esso di una seppur modesta flessione
generalizzata. Nel 2000 sono le regioni del Nord-Est quel-
le ad esercitare una partecipazione maggiore, mentre è il
Centro ad aver registrato una maggior flessione dell’indice.
INTRODURRE LE QUOTE ARANCIONE? Il diminuire del nu-
mero di giovani fra le fila dei partiti indica una crisi della
politica tradizionale e necessariamente una crisi della rap-
presentanza per una porzione importante della società. Di
questa crisi è sintomo e concausa il modesto numero di gio-
vani che abitano le istituzioni: ad esempio nei banchi della
Camera dei Deputati siedono solo tre deputati (fra i quali
due uomini) che hanno una età fra i 25 e i 29 anni; anche la
fascia fra i 30 e i 39 anni è rappresentata esiguamente (63
deputati) rispetto a quelle più anziane.
GIOVANI EUROPEI E PARTECIPAZIONE POLITICA. Nuove for-
me di partecipazione alla vita pubblica passano attraverso
l’adesione a nuovi movimenti sociali su base internaziona-
le, attraverso l’adesione a stili di vita alternativi e di com-
portamenti dai contenuti altamente ideali. Circa il 35%
dei giovani europei riferisce di essere interessato alla politi-
ca tradizionale, mentre la quota più elevata appare disinte-
ressata. Il 56% dichiara di parlare occasionalmente di poli-
tica con i propri amici, solo il 10% lo fa frequentemente. Il
25% intravede nell’attività politica una dimensione im-
portante per il proprio destino mentre per il rimanente
75% la politica tradizionale appare un asset distante e inca-
pace di influenzare direttamente e positivamente la propria
esistenza.
LA PARTECIPAZIONE IN ITALIA.Fra i giovani dai 14 ai 17 an-
ni solo il 15,1% riferisce di assistere ai dibattiti pubblici fra
politici qualche volta a settimana, mentre ben il 48,9% è
totalmente disinteressato ad essi. L’interesse per la politica è
maggiore nella classe 20-24 anni (19,5%).
I media preferiti per informarsi e assistere al pubblico di-
battito sono soprattutto la tv, poi i quotidiani e in terzo luo-
go, a notevole distanza, la radio.Chi non si informa lo fa so-
prattutto perché dichiara che l’argomento non è di suo in-
teresse (82% fra i 14-17 anni), in secondo luogo perché gli
Portogallo l’età minima prevista per guidare un quadrici-
clo leggero è di 16 anni, in Italia questa scende a 14 anni,
previo conseguimento di un patentino che accerta esclusi-
vamente conoscenze teoriche circa il Codice della strada.
IL NUOVO TARGET DELLE MICROCAR: GLI ADOLESCENTI.
Da un sondaggio condotto sul sito www.quadricicli.it su
un campione di utenti con età inferiore ai 18 anni, emerge
come ben il 72,3% degli interpellati sia favorevole all’uti-
lizzo del quadriciclo a 14 anni col patentino, e il 21,8% a
16 anni con patente A; solo un esiguo 5,9% ritiene preferi-
bile attendere la maggiore età per potersi mettere alla guida
di una vera automobile (2) od optare per il tradizionale
scooter (3,9). Nonostante molti giovani desiderino potersi
mettere alla guida di una microcar, pochi si identificano
con i prodotti attualmente in commercio. Il 60% degli in-
tervistati auspica una diminuzione del prezzo di tali veico-
li, il 19,3 un motore più silenzioso e performante ed un ri-
levante 18 un design innovativo e accattivante. La como-
dità e la possibilità di utilizzo in qualsiasi condizione clima-
tica rendono appetibile questo prodotto (41% del campio-
ne); seguono poi considerazioni legate alla sicurezza quali
la constatazione che «4 ruote sono meglio di 2» (28) e la ga-
ranzia di una maggiore affidabilità (18); infine solo il 13%
dei giovani ritiene che le microcar siano convenienti in ter-
mini economici.
60
argomenti dibattuti risultano complicati ed ostici; una
quota pari al 5,2% dichiara di aver (già) maturato una sfi-
ducia nei confronti della politica (Istat 2005).
LA DEMOCRAZIA TELEMATICA: SCENARI PROSSIMI VENTU-
RI. Lo sviluppo di Internet, la sua diffusione e l’approfon-
dimento degli usi non potevano lasciare indifferente la po-
litica. L’idea di agorà virtuale accessibile a tutti è compati-
bile con la progettazione di sistemi di partecipazione diffu-
sa che non hanno precedenti nella storia dell’uomo. E già
oggi Internet costituisce un canale privilegiato per cattura-
re il consenso, per diffondere notizie o attivare processi di
controinformazione che in parte hanno dato un contribu-
to alla democratizzazione della comunicazione, per esem-
pio, in quei Paesi dove non c’è democrazia reale (seppur con
problemi legati alla censura e al controllo come accade in
Cina). Forum, blog, siti Internet e portali di informazione
contribuiscono a costruire l’opinione di una quota impor-
tante di popolazione per lo più giovanile, che ha maggior
dimestichezza con la rete.
Internet inoltre è diventata l’autostrada privilegiata dove
far correre il dissenso: lo usano dai movimenti no global fi-
no ai partiti politici più piccoli e con minori risorse econo-
miche da poter utilizzare nelle campagne elettorali,
SCHEDA 40. BAMBINI E ANIMALI
Le case degli italiani sono sempre più popolate dai tradizio-
nali animali domestici e di compagnia, ma spesso anche da
specie esotiche e lontane. L’Eurispes ha calcolato che sono
ormai 45 milioni gli animali che convivono con le famiglie
italiane (Rapporto Italia, 2006). Attraverso il rapporto con
gli animali il bambino soddisfa il suo bisogno di dare e ri-
cevere affetto, sviluppa atteggiamenti di cura e protezione
nei riguardi degli individui più deboli ma soprattutto com-
prende che esistono esigenze diverse dalle proprie alle qua-
li dovrà adattarsi. Oltre a migliorare lo sviluppo cognitivo,
sociale e motorio dei bambini, molte ricerche dimostrano
come la presenza di un animale migliori la vita dell’uomo
anche da un punto di vista psicologico combattendo de-
pressione, ansia, aggressività e stress. Il termine Pet therapy
(terapia con gli animali) consiste appunto nell’utilizzare un
animale domestico per la cura e il benessere dell’uomo.
Questa terapia viene utilizzata per intervenire su problemi
cognitivi, comportamentali e psico-sociali e si basa sul rap-
porto tra uomo e animale mediato dai pet-partners, tecni-
ci competenti del comportamento umano ed animale.
Molto diffuse sono l’ippoterapia e la delfinoterapia, forme
particolari di Pet therapy, la prima usata nel campo del-
l’handicap fisico, la seconda per intervenire su disturbi del-
la comunicazione, autismo e depressione.
LA RICERCA EURISPES E TELEFONO AZZURRO. Dopo l’in-
dagine del 2000, Eurispes e Telefono Azzurro sono tornati
ad interrogarsi sul tema «bambini e animali» con un sezio-
ne dedicata nell’indagine all’interno di questo 7°Rapporto.
L’indagine ha coinvolto bambini tra i 7 e gli 11 anni di di-
verse scuole elementari e medie dislocate su tutto il territo-
rio nazionale.
PIÙ DEL 60% DEI BAMBINI HA UN ANIMALE DOMESTICO IN
CASA. La distribuzione dei dati per aree geografiche dimo-
stra che la presenza di un animale in casa è più diffusa al
Centro e al Nord-Est (rispettivamente 64,9 e 62,4%) do-
ve, per di più, si trovano molti studenti che vivono con più
di un animale (in entrambi i casi, 34,4). Al contrario i ra-
gazzi che hanno un solo animale domestico predominano
al Nord-Ovest e al Sud (rispettivamente 38,8 e 34,8% con-
tro il valore minimo del 28 al Nord-Est). Nelle Isole, infi-
ne, si riscontra la percentuale più alta di assenza di animali
nelle case (37,4% contro i valori minimi del 26,2 al Sud e
29,5 al Centro).
Per il 20,5% dei bambini il proprio animale domestico rap-
presenta un amico, per l’11,9 un compagno di giochi e per
il 13,3 qualcuno di cui prendersi cura. Solo una minima
parte dei piccoli vede nel proprio animale un gioco (1,5) o
qualcuno che deve obbedire loro (0,5).
QUALI SONO GLI ANIMALI PIÙ PRESENTI NELLE CASE? Co-
me era facilmente prevedibile, il cane si conferma leader in-
discusso di questa graduatoria conquistando la qualifica di
coinquilino nel 42% dei casi. Al secondo posto si colloca il
gatto (21,3) seguito da tartarughe e pesci (rispettivamente
11,6 e 10,6). Molto diffusi tra le mura domestiche sono gli
uccelli (7,5) e i roditori (il 3,9% dei ragazzi ha un criceto e
il 2,6 un coniglio).
I LEGAMI TRA BAMBINI E ANIMALI. Il 72,8% dei bambini
prova soprattutto affetto e simpatia (15,3) nei confronti de-
gli animali; seguono la paura (4) e in minima parte l’indif-
ferenza (0,8) e la repulsione (0,4). Le bambine sono porta-
te a stabilire legami più stretti con gli animali: infatti indi-
cano maggiormente di provare affetto nei loro confronti
(78,4% contro il 69,7 dei maschi). I ragazzi, invece, fanno
registrare frequenze più alte in corrispondenza della simpa-
tia (18,4% contro il 12,4 delle femmine; inoltre, rispetto
alle loro coetanee femmine, provano più paura (4,6% con-
61
tro il 3,5 delle femmine) e indifferenza (1,2% contro lo 0,3
delle femmine).
Contrariamente a quanto si sarebbe portati a credere, i ra-
gazzi dai 10 agli 11 anni manifestano verso il mondo ani-
male un coinvolgimento emotivamente più intenso rispet-
to ai bambini che hanno un’età compresa tra i 7 e i 9 anni.
Per i primi, infatti, a caratterizzare il rapporto con gli ani-
mali è l’affetto (77,1% contro il 70,2 della classe d’età tra i
7 e i 9 anni), mentre i più piccoli indicano in misura mag-
giore la simpatia seppur con uno scarto di pochi punti per-
centuali rispetto ai ragazzi più grandi (16,3% contro il
13,7della classe d’età tra i 10 e 11 anni).
Il 78,7% dei bambini non abbandonerebbe mai il proprio
animale per andare in vacanza, il 73,4 non indosserebbe
una pelliccia o qualsiasi indumento con interno di pellic-
cia, il 72,9 non ama la caccia e il 69,7 non assisterebbe mai
ad un combattimento tra animali. Il 51,1% dei ragazzi, in-
fine, praticherebbe la pesca che viene percepita come meno
invasiva rispetto alla caccia molto probabilmente perché
non presuppone l’utilizzo di un’arma.
Dalle risposte emerge un’estrema sensibilità dei bambini
verso i diritti degli animali e un forte senso di rispetto, que-
sto anche grazie alla campagna di sensibilizzazione condot-
ta dai mass media e dalle scuole. Occorre sottolineare, però,
l’alta percentuale di mancate risposte soprattutto in corri-
spondenza dell’item «Abbandonare un animale per andare
in vacanza» (16,5%).
L’età influisce sui comportamenti dei ragazzi nei confronti
degli animali: i più grandi indicano con maggior frequenza
che non indosserebbero mai una pelliccia (80,2% contro il
69,2 dei ragazzi tra 7 e 9 anni), non assisterebbero mai ad
un combattimento tra animali (74,8% contro il 66,5 per la
classe 7-9 anni) e non abbandonerebbero mai un animale
per andare in vacanza (82% contro il 77,9 dei più piccoli).
62
S.O.S. Telefono Azzurro onlus è nato nel 1987 come pri-
ma Linea nazionale di prevenzione dell’abuso all’infanzia.
Oggi l’ascolto e la consulenza telefonica rimangono atti-
vità centrali, al fianco dei tanti progetti innovativi intrapre-
si, anche grazie al forte contributo del volontariato tradi-
zionale e del Servizio civile nazionale.
CONSULENZA TELEFONICA
Due le linee: 1.96.96, per i bambini fino a 14 anni e
199.15.15.15, dedicata ad adolescenti e adulti. Il Call cen-
ter è attivo 24 ore su 24 tutti i giorni, per un’attività di ascol-
to e di accoglienza delle difficoltà dei bambini e degli ado-
lescenti italiani e stranieri per sostenere e offrire un aiuto
competente nelle situazioni di disagio, solitudine, difficoltà
relazionali, problemi affettivi, maltrattamento e abuso.
PROGETTI PER L’INTERVENTO IN EMERGENZA
E IL 114 EMERGENZA INFANZIA
Relativamente alle situazioni di emergenza che coinvolgo-
no i più piccoli, dall’esperienza pluriennale di Telefono Az-
zurro sono nati alcuni progetti specifici. Il primo è il Team
Emergenza, progettato e realizzato nel 1999 in collabora-
zione con il ministero degli Interni e l’università di Yale, ed
è costituito da una équipe di psicologi. Il Team garantisce
l’intervento sul territorio, 24 ore su 24, in quelle situazioni
di crisi che coinvolgono bambini e adolescenti vittime o te-
stimoni di eventi traumatici e stressanti: ad esempio nei ca-
si di abusi e violenze, atti devianti e autolesivi, eventi cata-
strofici. In questi casi l’operatore accoglie le segnalazioni da
parte di cittadini, Forze dell’ordine e di Pubblica sicurezza
o altre agenzie del territorio; valuta l’emergenza e, a secon-
da del caso, attiva immediatamente il percorso dell’inter-
vento in rete con le agenzie coinvolte, seguendo anche la
successiva presa in carico del caso. In occasione dell’inon-
dazione di Quindici e Sarno, in Campania, e del terremo-
to in Molise, gli operatori del Team Emergenza sono accor-
si per prestare aiuto ai bambini e alle famiglie delle zone col-
pite e per ridurre eventuali effetti post traumatici nei mino-
ri. Oggi Telefono Azzurro è impegnato, con le altre agenzie
che lavorano nell’emergenza, nella costruzione di un mo-
dello di intervento congiunto per quegli scenari di rischio
(sismico, idrogeologico, industriale, terroristico) e per tut-
ti quegli eventi catastrofici in cui la comunità colpita e i suoi
bambini abbiano bisogno di sostegno e di aiuto.
Le competenze maturate, anche mediante un costante la-
voro di ricerca e di scambio a livello internazionale nell’area
dell’emergenza, sono poi alla base del modello elaborato
per il 114 Emergenza Infanzia, il servizio voluto dai tre mi-
nisteri delle Comunicazioni, Lavoro e delle Politiche socia-
li e per le Pari opportunità e affidato in gestione a Telefono
Azzurro. È un servizio nazionale di emergenza gratuito, at-
tivo 24 ore su 24, accessibile da parte di chiunque intenda
segnalare situazioni di emergenza e pericolo per l’incolu-
mità psico-fisica di bambini e di adolescenti italiani e stra-
nieri dove sia necessario un intervento immediato col coin-
volgimento di specifici Servizi e istituzioni del territorio.
CENTRI TERRITORIALI
Sulla base della lunga esperienza nella gestione e nella pre-
venzione del disagio, Telefono Azzurro ha attivato dei Cen-
tri Territoriali, con l’obiettivo di garantire una presenza e
un intervento più capillari per agire in maniera sempre più
efficace e puntuale a tutela dei bambini e degli adolescenti
italiani e stranieri, tenendo presente le caratteristiche e i bi-
sogni specifici del territorio. Gli operatori dei Centri Terri-
toriali, presenti a Bologna, Milano, Modena, Palermo, Ro-
ma e Treviso gestiscono i casi locali segnalati dal call center
e dalle agenzie del territorio, individuando le strategie più
adeguate in sinergia con la rete dei servizi. In molti di que-
sti Centri sono inoltre presenti Spazi Neutri, dove è possi-
bile effettuare audizioni protette, per un ascolto del bambi-
no in sede processuale che rispetti i suoi tempi e i suoi biso-
gni, senza passare per l’esperienza traumatica di un’aula di
tribunale. Ecco perché l’associazione intende potenziare i
Centri esistenti e aprirne di nuovi: nei prossimi mesi ne sor-
geranno altri nelle città di Padova, Bari, Firenze e Napoli
con l’obiettivo nel medio-lungo termine di essere presenti
in ogni regione; un passo cui seguirà anche la regionalizza-
zione delle linee di ascolto e di consulenza telefonica.
CENTRI PER LA PREVENZIONE E GESTIONE DELL’ABUSO
E MALTRATTAMENTO TETTO AZZURRO
I Centri Tetto Azzurro sono centri per l’accoglienza, la dia-
gnosi e la cura di bambini e adolescenti italiani e stranieri
vittime di abuso e maltrattamento; strutture che garanti-
scono e ascoltano il minore. Questi Centri si trovano a Ro-
ma, dove Tetto Azzurro è nato nel 1999 grazie alla collabo-
razione con la Provincia, e a Treviso, dove Tetto Azzurro,
avente carattere interprovinciale, si è costituito dal 1° no-
vembre 2005, quale progetto affidato alla gestione di Te-
lefono Azzurro dalla Regione Veneto, nell’ambito di un
progetto regionale per la tutela dell’infanzia e dell’adole-
scenza da abusi e maltrattamenti. I servizi attivati presso i
Centri Tetto Azzurro hanno diversi obiettivi: consulenza
psicosociale a privati e servizi per la prevenzione e gestione
del fenomeno; diagnosi e trattamento individuale e fami-
liare per situazioni di abuso sessuale, maltrattamento fisico
e abuso psicologico di soggetti in età evolutiva; ascolto a fi-
ni giudiziari; incontri protetti tra bambini e genitori; pron-
ta accoglienza residenziale; consulenza legale specialistica
TELEFONO AZZURRO
per gli operatori, monitoraggio del fenomeno. Agli opera-
tori psico-socio-sanitari dei territori di riferimento, i Cen-
tri Tetto Azzurro offrono corsi di formazione.
VOLONTARIATO
Il volontariato di Telefono Azzurro è particolarmente atti-
vo nelle carceri e nelle scuole. Per difendere i diritti dell’in-
fanzia anche nel contesto carcerario, i volontari, dopo un’a-
deguata formazione, creano e gestiscono gli spazi Ludote-
ca e i Nidi. I primi, rivolti ai bambini e agli adolescenti in
visita al genitore-detenuto, sono ambienti strutturati e at-
trezzati per sdrammatizzare almeno in parte l'impatto con
la struttura penitenziaria e sostenere la relazione genitori-
figli. I Nidi sono invece dedicati ai bambini che fino ai 3
anni possono vivere all’interno del carcere con la mamma
detenuta: i volontari aiutano le mamme ad accudirli, gio-
cano con loro, li accompagnano all’esterno presso parchi e
spazi gioco e agevolano ‘'inserimento in asili nido comuna-
li. Coinvolge invece le scuole il progetto Uno a Uno, per
sostenere quegli alunni di elementari e medie inferiori che
presentano difficoltà di tipo scolastico e relazionale.
SETTORE EDUCAZIONE
Il rapporto di reciproca collaborazione tra Telefono Azzur-
ro e il mondo della scuola è attivo fin dalla nascita dell’asso-
ciazione. Tale collaborazione si è evoluta nel tempo e si è ar-
ricchita nel corso degli anni. Recentemente Telefono Az-
zurro ha creato un’area innovativa, interamente dedicata
alle attività educative che comprende sia l’ambito scolasti-
co sia quello extrascolastico. Il Settore Educazione di Te-
lefono Azzurro si avvale di uno staff dinamico e multidisci-
plinare che include psicologi, psichiatri infantili, sociologi,
assistenti sociali, pedagogisti, avvocati e altre figure profes-
sionali con una significativa esperienza nel mondo dell’in-
fanzia. Lo staff si avvale anche della collaborazione di ani-
matori, attori e di volontari del Servizio civile nazionale.
Ciò permette a Telefono Azzurro di lavorare attivamente
sull’intero territorio nazionale. Al momento, gli interventi
educativi sono attivi, soprattutto, a Palermo, Roma, Bolo-
gna, Treviso e Milano. Telefono Azzurro propone nei suoi
percorsi, attività educative, formative e di didattica assistita
una metodologia ludico-didattica rivolta ai bambini, agli
adolescenti e alle famiglie. Attraverso la didattica assistita,
Telefono Azzurro offre un percorso applicativo che preve-
de momenti di progettazione, di confronto e di verifica tra
docenti ed esperti di Telefono Azzurro supportando gli in-
segnanti nella ideazione e preparazione dell’intervento, du-
rante lo svolgimento dell’esperienza in classe e al termine .
FORMAZIONE
Le conoscenze e le competenze sviluppate in tanti anni di
attività di Telefono Azzurro nella prevenzione, cura e trat-
tamento dell’abuso all’infanzia e all’adolescenza italiana e
straniera, anche relativamente a situazioni di emergenza,
sono state tradotte in numerosi documenti e opuscoli di-
vulgativi, pubblicazioni, moduli di formazione e strumen-
ti didattici. In particolare gli operatori di Telefono Azzurro
offrono percorsi di formazione specifica agli operatori so-
cio-sanitari, alle Forze dell’ordine, a vigili di quartiere e li-
beri professionisti, per contribuire alla creazione di reti in-
tegrate di servizi. Nell’ambito della formazione specialisti-
ca è attiva una collaborazione con l’università degli Studi di
Modena e Reggio Emilia per la realizzazione di due master
di II livello: Esperto nella valutazione, nella diagnosi e nel-
l’intervento in situazioni di abuso all’infanzia e all’adolescen-
za ed Esperto in psichiatria e psicologia giuridica.
Oggi Telefono Azzurro è un’associazione che lavora con le
istituzioni per garantire il rispetto dei diritti dei bambini e
degli adolescenti italiani e stranieri affrontando i loro pro-
blemi in un’ottica nazionale, europea e internazionale.
PER AIUTARE SOS TELEFONO AZZURRO ONLUS
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EURISPES
L’Eurispes, Ispes fino al gennaio 1993, è un istituto di stu-
di sociali senza fini di lucro e opera dal 1982 nel campo del-
la ricerca politica, economica, sociale e della formazione.
L’istituto realizza studi e ricerche per conto di imprese, en-
ti pubblici e privati, istituzioni nazionali e internazionali.
Nello stesso tempo, promuove e finanzia autonomamente
indagini su temi di grande interesse sociale, attività cultu-
rali, iniziative editoriali, proponendosi come centro auto-
nomo di informazione e orientamento dell’opinione pub-
blica e delle grandi aree decisionali che operano nel nostro
Paese. La scelta operativa dell’Eurispes deriva dalla convin-
zione che una adeguata politica di governo della situazione
socio-economica pretenda una conoscenza dei fatti sem-
pre più aggiornata e integrata. Nel perseguire questi suoi
obiettivi, l’Eurispes è particolarmente avvantaggiato dalla
propria composizione: al suo interno confluiscono, infatti,
più “culture” di diverso orientamento che si ricompongo-
no in un’unità omogenea e originale.
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INTRODUZIONE
Protagonisti di realtà virtuali, lontani dalla politica 1
CAPITOLO 1
ABUSO, SFRUTTAMENTO
E DIRITTI VIOLATI
SCHEDA 1. Epidemiologia dell’abuso sessuale e monito-
raggio del fenomeno in Italia, Francia e Inghilterra 5
SCHEDA 2. Quando vittima dell’abuso è un bambino
o un adolescente straniero 7
SCHEDA 3. La valutazione delle capacità genitoriali 8
SCHEDA 4. Non solo segnalazione: l’insegnante e l’istitu-
zione scolastica nella prevenzione del disagio infantile 10
SCHEDA 5. Ragazzi senza scuola.
I minori e la dispersione scolastica 11
SCHEDA 6. Fuori dal mondo 13
SCHEDA 7. Lavoro minorile 15
SCHEDA 8. La legge 38:
quali prospettive e quali possibilità 16
CAPITOLO 2
DEVIANZA, EMERGENZA E DISAGIO
SCHEDA 9. I primi tre anni
del Servizio 114 Emergenza infanzia 18
SCHEDA 10. Emergenza e soccorso alla popolazione:
il ruolo della Protezione civile
nel sostegno ai bambini e agli adolescenti 19
SCHEDA 11. La violenza intrafamiliare:
esiti psicopatologici nei bambini 22
SCHEDA 12. Bambini e tempo libero 24
SCHEDA 13. La seconda generazione:
giovani stranieri protagonisti di nuove identità 25
SCHEDA 14. Lo sfruttamento e la tratta dei minori 26
SCHEDA 15. Quando un minore scompare:
prevenzione ed educazione alla sicurezza 29
SCHEDA 16. Minori autori di reato 31
CAPITOLO 3
SALUTE
SCHEDA 17. Bioetica dell’assistenza alla nascita. 34
SCHEDA 18. Bambini e adolescenti in situazioni di
disastro: sono efficaci gli interventi di salute mentale? 35
SCHEDA 19. Disturbi dell’attenzione
e iperattività in epoca precoce 37
SCHEDA 20. Genetica dei disturbi mentali
in età evolutiva 38
SCHEDA 21. I rischi della Rete:
relazione tra Internet e psicopatologia 39
SCHEDA 22. Depressione post partum:
cause del disturbo, conseguenze sulla relazione
madre-bambino, prevenzione 39
SCHEDA 23.Trauma e lutto nei bambini:
il caso di Beslan 40
SCHEDA 24. Nuovi farmaci e loro utilizzo
con piccoli pazienti 42
CAPITOLO 4
FAMIGLIA
SCHEDA 25. Le nuove famiglie:
nuclei monogenitoriali e coppie omosessuali 43
SCHEDA 26. Famiglie ricostituite
e nuove forme di “living arrangement” 45
SCHEDA 27. Diritto alla maternità e al lavoro.
Tra forma e sostanza
nell’Anno europeo delle pari opportunità 46
SCHEDA 28. La responsabilità sociale dell’impresa
e la promozione della conciliazione 47
SCHEDA 29. I servizi per l’infanzia:
l’Italia nel contesto europeo 48
SCHEDA 30. La sindrome di Peter Pan
ovvero la paura di crescere 49
SCHEDA 31. La nuova legge
sull’affidamento condiviso 50
SCHEDA 32. Una famiglia per ogni bambino 52
CAPITOLO 5
MEDIA E SOCIETÀ
SCHEDA 33. Pedofilia e pornografia minorile:
aspetti descrittivi, nessi e differenziazioni 53
SCHEDA 34. Il bambino navigatore, i suoi genitori
e i suoi insegnanti: il progetto Hot114 54
SCHEDA 35. Generazione eBay:
il boom degli acquisti on line 55
SCHEDA 36. I canali televisivi tematici
per bambini fino a 2 anni 56
SCHEDA 37. L’apparire: manipolazione del corpo
fra arte, body tuning e chirurgia estetica 57
SCHEDA 38. I giovani e la crescente richiesta
di mobilità: il fenomeno delle microcar 58
SCHEDA 39. Giovani e impegno politico 59
SCHEDA 40. Bambini e animali 60
CHI È
Telefono Azzurro 62
Eurispes 63
INDICE
Stampato nel mese di dicembre 2006
Allegato redazionale al numero di VITA di questa settimana
Registrazione del Tribunale di Milano n. 397 dell’8 luglio 1994
Direttore editoriale: Riccardo Bonacina
Direttore responsabile: Giuseppe Frangi
Edizione a cura di Daniela Romanello
Progetto grafico di Antonio Mola
Ha collaborato Claudio Madella
Stampa: Arti Grafiche Fiorin - via del Tecchione, 36 - 20098 Sesto Ulteriano (MI)
Poste italiane Spa - sped. abb. post. - D.L.353/03 (conv. L.46/04)
Art.1 Comma 1 DCB - Milano
ringraziano per la gentile collaborazione prestata
ADS (Accertamento Diffusione Stampa), AFQUAD, AIED, Amnesty International, APA, Arma dei
Carabinieri, Associazione Cibo e Benessere, Associazione Ex, Associazione Italiana Editori, Audiradio, Auditel,
Audiweb, Banca d’Italia, Banca Mondiale, Camera dei Deputati, Caritas, Cassa di Risparmio di Bologna,
CED, Centro per la Prevenzione Disturbi Depressivi Ospedale M. Melloni, Centro Nazionale di
Documentazione per l’Infanzia e l’Adolescenza, CIA, CIRMES, Cisf, Cisis, CNR, COA, Comitato per il
Telefono Azzurro, Comitato per i minori stranieri, Commissione Bicamerale per l’Infanzia, Consiglio d’Europa,
Consiglio Nazionale delle Ricerche, Corte dei Conti, Criminalpol, Dipartimento dell’Amministrazione
Penitenziaria, Department of Health and Human Services, Dipartimento Giustizia Minorile, Dipartimento
per gli Affari Sociali, Dipartimento della Protezione Civile, Direzione Centrale della Polizia Criminale, DNA
(Direzione Nazionale Antimafia), Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato, Direzione Centrale
della Polizia Criminale, E-bay, ECPAT, ENACT (European Network Against Child Trafficking), Espad,
Eurisko, Euronet, Eurostat, FAO, Federazione Italiana Medici Pediatri, Federcomin, Fondazione Monte dei
Paschi di Siena, Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia, Food and Drug Administration, Gruppo di Lavoro
Nazionale per il Bambino Immigrato, Hi Europe, HRW, IARD, IEA, ILO, IMMS, Inail, Indipendent Human
Rights Commission, Inhes, Inps, Interpol, International Center for Missing and Exploited Children, Iom, Ires-
Cgil, Isfol Plus, Istat, Istituto Cattaneo, Istituto degli Innocenti di Firenze, Istituto di Fisiologia Clinica, Istituto
Psicoanalitico per le Ricerche Sociali, Istituto Superiore della Sanità, Kaiser Family Foundation Analysis of U.S.
Census Bureau Data, Ministero della Comunicazione, Ministero dell’Interno, Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca, Ministero della Giustizia, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali,
Ministero della Salute, Moige, National Institute of Mental Health, NCCP, Nielsen Net//Rating, Ocse, Odas,
Oecd, OIM (Organizzazione Internazionale Migrazioni), Oms, Onu, Osservatorio Nazionale per l’Infanzia,
Osservatorio B2C Netcomm-School of Management del Politecnico di Milano, Parsec, Polizia di Stato, Polizia
Postale, Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, Presidenza del Consiglio dei Ministri, RAI, Servizio
Civile Centro Studi Telefono Azzurro di Roma, Siae, Sibert, SIMPOC, Sistema Informativo Interforze,
SNALS, Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Società Italiana di Pediatria,
Ufficio centrale per la Giustizia Minorile, UNAids, Unicef, UnionCamere-ISVA, Università degli Studi di
Cassino, UNLA-UCSA, Unodc.
TELEFONO AZZURRO E L’EURISPES
Giunto alla sua settima edizione, il Rapporto
nazionale sulla condizione dell’infanzia e del-
l’adolescenza curato da Telefono Azzurro ed
Eurispes propone come di consueto una rico-
gnizione dettagliata nell’universo, così tanto
eterogeneo ed articolato, dei bambini e degli
adolescenti.
Varie e complesse le tematiche affrontate
anche in questa edizione, a cominciare dai
problemi che affliggono l’infanzia e l’ado-
lescenza nel nostro Paese; dal fenomeno
dei bambini scomparsi, agli abusi e maltrat-
tamenti, al lavoro minorile. Quindi gli stili di
vita, le tendenze, le nuove modalità di
relazionarsi a se stessi e agli altri: tutte
questioni che si evolvono molto veloce-
mente - di pari passo con i cambiamenti
della società - e di cui il rapporto intende
farsi portavoce.
Tra gli obiettivi prioritari della pubblicazione
vi è proprio quello di offrire spunti di rifles-
sione, approfondimenti e analisi socio-statis-
tiche funzionali all’individuazione degli
attuali ambiti problematici così come dei set-
tori di crescita e di opportunità, nonché
favorire la promozione e un’affermazione
sempre più radicata della cultura dell’in-
fanzia nel nostro Paese.