Argomento: 
Data: 
15 Novembre 2007
Descrizione breve: 
Gli adolescenti moderni sono sostenuti dalle nuove tecnologie e dai nuovi media, e dal processo di integrazione europea; posso più facilmente ampliare le proprie relazioni e amicizie, informarsi, entrare in contatto con organizzazioni di volontariato e movimenti indipendenti. Danno inoltre maggiore peso a problemi immediati (disoccupazione, precariato, inquinamento e tematiche ambientali).
Contenuto nascosto: 
SINTESISINTESI 7° RAPPORTO NAZIONALE SULLA CONDIZIONE DELL’INFANZIA E DELL’ADOLESCENZA Direzione scientifica Ernesto Caffo - Gian Maria Fara Comitato di direzione Italo Saverio Trento - Vittorio Rizzoli - Susy Montante - Barbara Forresi Comitato di coordinamento Nicola Ferrigni - Carla Graziani - Raffaella Saso - Francesca Venuleo Hanno redatto il Rapporto Marta Angelone - Chiara Angioletti - Giovanna Axia - Sara Bianchini - Paola Bisio - Daniela Blasioli - Maurizio Bonati - Giovanni Camerini - Fabia Capello - Francesca Casale - Romano Cataldo Forleo - AnnaPaola Cavalieri - Antonio Clavenna - Vera Cuzzocrea - Caterina D’Ardia - Marisa De Rosa - Marta Di Gennaro - Flavia Di Luzio - Anna Fabrizi - Patrizia Forleo - Francesca Freda - Barbara Ghiringhelli - Valeria Iacch - Francesco Laganà - Bettina Lena - Alessandro Locatelli - Maurizio Lozzi - Fabio Macciardi - Maura Manca - Giulia Marino - Federica Meles - Francesco Meloni - Benedetta Menenti - Laura Michelotto - Francesca Milani - Ughetta Moscardino - Viviana Padelli - Paola Pellegrino - Ilaria Piccioli - Marco Pucci - Antonio Purificato - Manuela Romagnoli - Elisa Rossi - Caterina Sabusco - Anna Schittulli - Sara Scrimin - Nadia Selvaggi - Marco Serra - Francesca Servidio - Luisa Strik Lievers - Stefania Surace - Roberto Tiberi Hanno collaborato : Paola Bianchi - Marianna Carroccia - Irene Delaria - Francesca Fortuna - Gian Luigi Lepri - Edvige Puchala - Aida Sepe 1 Il 7° Rapporto nazionale sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza ancora una volta offre un quadro com- plesso e variegato della realtà dei minori in Italia, ponen- dosi quale strumento di conoscenza dei principali cambia- menti, delle linee di tendenza, delle potenzialità e dei ri- schi che caratterizzano l’età evolutiva nel nostro Paese, an- che alla luce delle sollecitazioni provenienti dal panorama internazionale. Di anno in anno i bambini e gli adole- scenti si trasformano sotto i nostri occhi, sensibili come so- no alle sollecitazioni provenienti dall’ambiente. Se la so- cietà muta - e in questi anni ciò accade in modo rapido e inarrestabile - i bambini e gli adolescenti cambiano e com- paiono nuove forme di disagio e nuove emergenze. Quanto conosciamo i bambini e gli adolescenti di oggi? Non abbastanza. I dati di questo rapporto evidenziano non solo che il mondo adulto e le istituzioni non conoscono adeguatamente i bambini e gli adolescenti, ma anche che le risposte della società al loro disagio non sono sufficienti e che la prevenzione nel nostro Paese è ancora marginale. Resta elevato il numero degli abusi sessuali ai danni di bambini e adolescenti: nel 2005 in Italia sono stati de- nunciati 699 abusi, prevalentemente commessi da perso- ne vicine e note alle vittime. Estremamente diffusa anche la prostituzione minorile femminile, che nel nostro Paese rappresenta ormai un’importante componente del fenome- no prostitutivo e si riscontra soprattutto nei contesti urba- ni e metropolitani. Un fenomeno che riguarda anche i ma- schi, di età compresa tra i 13 e i 17 anni, in particolare ru- meni (spesso di origine rom) e in misura inferiore prove- nienti dal Maghreb, dai Balcani e dall’Albania. Se i minori sfruttati sessualmente nel mondo sono più di tre milioni, l’Italia con i suoi 80mila italiani ogni anno, risulta al primo posto tra i Paesi europei per i viaggi a sfon- do sessuale in Brasile. In tema di sfruttamento, sono decine di migliaia i bambi- ni tra i 7 e i 14 anni che in Italia sono costretti a lavorare: il 50% di questi lavora all’interno delle imprese di fami- glia, il 32% ha un impiego stagionale e il 18% si occupa di attività rischiose. È in crescita, poi, il numero delle denunce a carico di ado- lescenti. Il Rapporto 2005 sullo stato della sicurezza del nostro Paese ci dice che, anche se di poco rispetto al periodo 1997-2001, dal 2001 al 2005 l’incidenza delle denunce riguardanti i minori in rapporto alla totalità dei soggetti denunciati è aumentata, passando dal 2,7% del primo pe- riodo al 3,1% del secondo. Permane, infine, il grave problema della povertà, che con- tinua ad affliggere anche le nazioni europee più avanzate. Recenti stime evidenziano che 17 milioni di bambini eu- ropei sono in stato di povertà e che l’Italia si colloca al se- condo posto: il 16,3% dei bambini nel nostro Paese vive al di sotto della soglia nazionale della povertà e al Sud la per- centuale arriva al 29,1%. Accanto ai problemi dell’abuso, dello sfruttamento sessua- le e lavorativo, della devianza, della povertà, gli ultimi an- ni hanno visto l’affermazione di nuove forme (e fonti) di disagio e di sofferenza: la scomparsa e la sottrazione, le pic- cole e grandi difficoltà di integrazione dei minori stranie- ri, i rischi della Rete e delle nuove tecnologie, anche sotto il profilo della salute mentale. Per questo motivo nel presen- te rapporto è stata assegnata una significativa rilevanza ai temi della sicurezza e della salute, nei bambini italiani e stranieri. Ogni anno, in Italia, le Forze dell’ordine avviano circa tremila ricerche di minori scomparsi. Anche se questa ci- fra, nel giro di un anno, si riduce di oltre l’80%, il feno- meno è socialmente rilevante ed anche difficile da classifi- care. L’analisi dei dati della Direzione centrale della Poli- zia criminale, relativa agli anni dal 2001 al 2006, indi- ca che la fascia più consistente di minori da rintracciare è quella dai 15 ai 18 anni, che per lo più si allontanano vo- lontariamente dal loro domicilio. Ci sono tuttavia rile- vanti differenze tra minori italiani e stranieri: per quanto riguarda questi ultimi si tratta soprattutto di minori di sesso maschile giunti in Italia al seguito di flussi migratori, clandestini e spesso affidati dai Tribunali per i minorenni ad istituti di accoglienza o di assistenza, da cui si allonta- nano volontariamente rendendosi irreperibili. Laddove la scomparsa dei minori non è volontaria - come nel caso de- gli abusi sessuali - la maggior parte degli autori sono in qualche modo conosciuti dai bambini: appartengono alla famiglia, la frequentano o sono presenti in uno dei luoghi frequentati dal bambino (scuola, luoghi del divertimento, luoghi dello sport, etc.). Emerge dunque la necessità di educare i bambini alla si- curezza, ma anche di promuovere il loro benessere e quello dei loro genitori, intervenendo tempestivamente - fin dai primi segnali - in ogni situazione di sofferenza psicopato- logica. Si parla molto di sofferenza mentale dei bambini a livello internazionale, come testimonia l’acceso dibattito degli ultimi mesi intorno al Green Paper, testo della Co- munità Europea che evidenzia le principali linee di indi- PROTAGONISTI DI REALTÀ VIRTUALI, LONTANI DALLA POLITICA rizzo per la prevenzione del disturbo mentale in età evolu- tiva. Le ricerche presenti in questo Rapporto evidenziano la ne- cessità che anche il nostro Paese si impegni nella prevenzio- ne della depressione post partum nelle madri, come pure delle diverse forme di disagio mentale che caratterizzano l’età evolutiva: dai disturbi dell’attenzione al disturbo po- st traumatico da stress, alle nuove recentissime forme di psicopatologia connesse all’utilizzo (e all’abuso) di Inter- net - le Irp, ovvero Internet Related Psychopathologies - che aprono nuovi ed interessanti ambiti di ricerca in relazione alle modificazioni psicologiche, neurocognitive ed affetti- ve prodotte dalle nuove tecnologie sulla prima generazione “figlia della Rete”. Come ogni anno, comunque, la conoscenza dei bambini e degli adolescenti non si esaurisce negli studi e nelle ricerche che li riguardano. Da sempre, infatti, il rapporto intende farsi portavoce della parola dei bambini e degli adolescen- ti: come da tradizione, rinviene il suo presupposto fonda- mentale nell’indagine campionaria realizzata nelle scuole italiane, raccogliendo direttamente dai bambini e dagli adolescenti le chiavi interpretative dei principali fenome- ni e delle tendenze giovanili. L’indagine realizzata su 2.516 giovani (1.242 adolescen- ti appartenenti alla classe di età 12-19 anni e 1.274 bam- bini della fascia 7-11 anni) suggerisce che i bambini e gli adolescenti frequentano sempre più i luoghi in cui possono essere protagonisti e sono sempre più disinteressati ai luo- ghi che non li considerano soggetti attivi. In altre parole, si immergono nell’esplorazione delle nuove tecnologie del- l’informazione e della comunicazione e si allontanano dalla politica. Il telefono cellulare è ormai entrato da tempo nella vita e nell’immaginario degli adolescenti, al punto che solo l’1,3% del campione dichiara di non possedere un cellula- re e che il 10,5% dichiara, invece, di possedere più di un tipo di telefonino. Altrettanto diffusi il computer e Inter- net: il 93% degli adolescenti e l’82% dei bambini inter- vistati utilizza il computer. Sebbene il 49% degli adole- scenti dichiari di non utilizzare Internet tutti i giorni, una percentuale significativa (6%) afferma di trascorrere su Internet più di cinque ore al giorno. Gli adolescenti utilizzano Internet per ricercare informa- zioni di loro interesse (88%) e materiale per lo studio (81%), il che conferma che gli strumenti informatici si stanno affermando in misura crescente come importante strumento di conoscenza; estremamente diffuso anche il download dal web di musica, film, giochi o video (74%). La rilevazione, inoltre, ha evidenziato la diffusione fra i giovani dell’e-commerce, tale che ormai il 24% fa acqui- sti on line. A testimonianza dell’interesse degli adolescenti per le nuo- ve modalità di socializzazione offerte dalla Rete, è estre- mamente diffuso l’utilizzo della posta elettronica (53%) e delle chat (50%) non solo tra gli adolescenti ma perfino tra i bambini di età compresa tra i 7 e gli 11 anni: il 19% di questi ultimi utilizza la posta elettronica e il 16 le chat. In questo senso, Internet sta consolidando sempre più il suo ruolo centrale nella socializzazione dei ragazzi, affian- candosi a pieno titolo alle agenzie tradizionali come la fa- miglia e la scuola: circa un terzo dei ragazzi ha instaurato nuovi rapporti di amicizia tramite Internet (34,2%). Sempre più padroni delle realtà virtuali e delle nuove tec- nologie e sempre più esclusi ed emarginati in ambito poli- tico: non stupisce che gli adolescenti italiani vivano la po- litica con fastidio e disinteresse. I politici sono coloro che suscitano più fastidio nei ragazzi durante i notiziari tele- visivi (24%), tanto da risultare persino più sgraditi delle immagini del dolore, della guerra e della violenza sui bam- bini. La stragrande maggioranza degli adolescenti, il 71% del campione, è poco o per niente interessato alla politica, mentre il 53,7% ammette di capirla poco o per niente: in particolare, più della metà degli adolescenti afferma di comprendere poco o per niente il quadro politico italiano. Il problema riguarda, però, non solo i contenuti, ma anche la comunicazione: più dei due terzi degli intervistati, in- fatti, pensa che i politici siano poco (45%) o per nulla (24%) chiari quando parlano. Di fronte a questi dati, si può ipotizzare che gli adolescen- ti avvertano l’assenza di un messaggio selettivo e differen- ziato, rivolto a loro in maniera esclusiva, una mancata comprensione e rappresentazione da parte della classe po- litica delle loro istanze, dei loro bisogni e dei loro diritti, una scarsa possibilità di partecipare attivamente alla poli- tica del nostro Paese. Al di là di una consueta disaffezione alla politica, sembra emergere qualcosa di più profondamente strutturale, col- legabile sia ai modelli di comunicazione con cui la moder- na élite politica si relaziona ai giovani futuri elettori, sia ai contenuti stessi della professione politica in termini di comprensione dei problemi, ascolto delle istanze prove- nienti dalla società e dai giovani, sollecitazione di aspetta- tive e domande di cambiamento. La politica oggi non è più in grado di proporre progetti, alimentare sogni, indicare prospettive di una società mi- gliore e questa impossibilità della politica di proporsi in termini di progetto e di coinvolgere attivamente è chiara- mente percepita dai giovani. Siamo oggi nel punto di mas- sima distanza rispetto agli anni 60 e 70, quando alla po- litica venivano attribuiti un ruolo salvifico e mitico, non- ché capacità di guarigione dei mali endemici della società. I giovani dunque si raccontano come individui impegna- ti ad esplorare nuovi mondi e nuove realtà - superando barriere linguistiche, comunicative e geografiche - ma an- 2 3 che lontani dalla politica e dalla collettività, tradizional- mente intesa. L’esigenza di un mondo migliore e di una so- cietà più giusta ed equa, che aveva plasmato le esistenze e le idee delle generazioni precedenti, è molto meno avverti- ta dalla attuale componente giovanile: in un certo senso, gli adolescenti sono diventati più conformisti e obbedienti alle regole sociali, non esercitano più la spinta al cambia- mento, forse perché non si sentono protagonisti di cambia- menti sociali. Le giovani generazioni si pongono come obiettivi princi- pali la famiglia e un buon lavoro - due obiettivi “privati” ed individuali - e si dichiarano appagati di ciò che hanno. La maggioranza dei ragazzi intervistati, infatti, si dichia- ra soddisfatta di quello che ha, sia da un punto di vista ma- teriale che affettivo; una percentuale pari al 49% afferma di avere tutto ciò di cui ha bisogno, mentre il 25% ritiene di disporre di più del necessario. La stessa vita quotidiana si caratterizza per la presenza di valori “concreti”: secondo i ragazzi italiani, il successo di un individuo si misura so- prattutto nel grado di ammirazione e rispetto suscitato (25%); a seguire, la possibilità di disporre di tutto ciò che si desidera (19) e al terzo posto «l’avere tanti soldi» (12). Si attestano su percentuali simili la modalità «fare le cose che mi piace fare» (11), la possibilità di avere tanti amici (10), una buona posizione lavorativa (10) e un nucleo fa- miliare sereno (10). E gli adulti? Dall’indagine campionaria emerge che gli adulti troppo spesso non sono in grado di seguire ed accom- pagnare i cambiamenti e le esplorazioni di cui bambini e adolescenti sono protagonisti, sostenendo il rapido ritmo con cui varcano nuove frontiere e si addentrano in nuovi mondi. Piuttosto, la società adulta sembra essere sempre più lontana - per mancanza non solo di tempo, ma anche di conoscenze e di formazione - dal mondo del’'infanzia e dell’adolescenza. Ne è un esempio la difficoltà dei genitori di accompagnare i figli nella scoperta delle nuove tecnologie, che presentano infinite potenzialità ma anche innumerevoli rischi, come testimoniano gli stessi bambini e adolescenti. Il 19% dei ragazzi e il 7% dei bambini dichiarano di utilizzare la Rete per cercare cose proibite. Il 17% dei ragazzi e il 20% dei bambini dichiarano di essere stati infastiditi da un adulto in chat. Il 22% degli adolescenti dichiara di aver incontrato dal vivo e da solo una persona conosciuta tra- mite Internet, definendo l'incontro pericoloso nel 5% dei casi. I ragazzi, però, raramente si confidano su questi aspetti: circa il 30% del campione non ha mai parlato con nessuno di queste esperienze negative vissute in Rete; an- che quando lo fa, raramente si rivolge ad un genitore (13%). A ulteriore conferma della solitudine dei giovani di fronte alle tecnologie - vecchie e nuove - i tre quarti dei ragazzi dichiarano di avere il computer nella propria stan- za (54%) e di navigare da soli (75), prevalentemente il pomeriggio (63) e la sera (29). Lo stesso vale per la televi- sione: il 16% dei bambini tra i 7 e gli 11 anni guarda da solo programmi con il bollino rosso. Le ricerche e i dati presenti in questo Rapporto mostrano che Telefono Azzurro ed Eurispes continuano a credere che la cura dell’infanzia richieda innanzitutto un grande im- pegno sul versante conoscitivo: per poter risolvere un pro- blema è necessario conoscere i bambini, i loro bisogni, le loro difficoltà, gli innumerevoli fattori che incidono sui percorsi di sviluppo. È nell’interesse della comunità - e anche della politica - concedere attenzione e spazi ai bambini e agli adolescenti. Il futuro della nostra società dipende dagli investimenti a lungo termine che saremo in grado di fare per prevenire le difficoltà delle giovani generazioni, per promuoverne la partecipazione attiva e le capacità critiche. Non è più accettabile pensare ai bambini e agli adolescen- ti in modo discontinuo, in occasione dell’ennesima emer- genza che assurge ai clamori delle cronache. Vi sono pro- blemi che attendono risposta da tempo e nuovi problemi (come quello della pedopornografia on line) che sottoli- neano la necessità di riflettere con continuità sull’infan- zia. È indispensabile non solo investire seriamente nella prevenzione dei fattori che possono incidere negativamen- te sul loro sviluppo, ma anche accompagnare bambini e adolescenti nei rapidi cambiamenti della società - di cui sono attenti esploratori e spesso pionieri - offrendo loro gli strumenti cognitivi ed emotivi per capire e per vivere, per difendersi e per decidere. Consegniamo dunque alle istituzioni, agli specialisti del settore, ai genitori, agli educatori questo lavoro, sicuri che possa rappresentare uno strumento utile non solo a scopri- re (e riscoprire) il mondo dell’infanzia e dell’adolescenza, ma anche a promuovere il benessere, la sicurezza e la qua- lità della vita dei bambini e degli adolescenti italiani. Ernesto Caffo presidente Telefono Azzurro Gian Maria Fara presidente Eurispes 4 5 IL FENOMENO IN ITALIA. La raccolta dei dati riferiti all’abu- so sessuale in pregiudizio di minori viene organizzata all’in- terno del data base generale dell’Anticrimine. Tra il 2000 e il 2005, i minori vittime di reati sessuali sono stati 2.891. In 2.406 casi si è trattato di violenza sessuale, in 87 casi di violenza sessuale di gruppo, in 299 casi di atti sessuali con minorenne e in 99 casi di corruzione di minorenne. In par- ticolare, nel 2005 sono stati 699 i bambini e gli adolescen- ti vittime di abuso sessuale, 605 sono state le segnalazioni di reato e 692 le persone denunciate all’autorità giudizia- ria. Rispetto al 2004, si è registrato un aumento delle vitti- me di violenza sessuale di gruppo (da 20 a 28), di quelle re- lative al reato di corruzione di minorenne (da 25 a 31) e di atti sessuali con minorenne (da 74 a 98). In generale, nel quinquennio 2000-2005, i valori più ele- vati si riscontrano costantemente nel Nord Italia. Nel solo 2005 si sono contati a Nord 327 casi di abuso, con in testa tra le regioni la Lombardia (112), l’Emilia Romagna (64) e il Veneto (52); a seguire il Sud e le Isole dove si sono regi- strati 270 casi, concentrati soprattutto in Campania (97); ed infine il Centro 102 casi, di cui 62 in Toscana. Una ten- denza piuttosto stabile in tutti gli anni considerati è la pre- valenza tra le vittime appartenenti alla classe d’età interme- dia 11-14 anni, sebbene il distacco con la classe dei bambi- ni più piccoli sia alquanto marginale. Per quanto riguarda la nazionalità dei bambini e degli adolescenti vittime di rea- ti sessuali si evidenzia un andamento altalenante dei dati relativi ai minori stranieri: partendo infatti dalla percen- tuale più elevata rilevata nell’anno 2002 (13,2%), si regi- stra già una flessione nell’anno successivo (8,6% nel 2003) e quindi un incremento circoscritto nel 2004 (9,4%) e più sostanziale nel 2005 (12,7%). In merito agli abusanti, gli autori presunti o accertati dei reati sessuali sui minori, le segnalazioni di reato, ovvero le comunicazioni trasmesse dagli uffici periferici in merito ai diversi illeciti, si concludono con esito positivo in percen- tuali significativamente elevate. In generale emerge che le indagini si risolvono con l’identificazione e la denuncia dei soggetti presunti responsabili dell’abuso nella quasi totalità dei casi. Prendendo in considerazione il 2004, su 813 per- sone denunciate, il 41,2%, ossia 335 persone, sono state arrestate. Nel 2005 invece sono state 692 le persone de- nunciate, di cui 265, il 38,3%, sono state tratte in arresto. Gli abusanti sono in prevalenza di nazionalità italiana (85,5% nel 2002; 88,6% nel 2003; 88,1% nel 2004; 80% nel 2005). Nonostante questa evidenza, è stato registrato un andamento particolare per quanto riguarda le percen- tuali degli stranieri abusanti negli anni in questione: dal 14,1% registrato nel corso del 2002 assistiamo alla perdita di alcuni punti percentuali negli anni successivi, sino al 19,7% relativo all’ultimo anno esaminato: nel corso del 2005, infatti, su 692 autori di reato complessivamente in- dividuati ben 136 erano di nazionalità straniera. RELAZIONE VITTIMA-AUTORE. Si tratta nella maggior parte dei casi di una relazione intraspecifica che vede sussistere un rapporto di conoscenza tra l’autore e la sua vittima, con un’incidenza percentuale sulla totalità dei casi che va dall’81,9% del 2002, passando per il 90,8% del 2003 e l’82,4% del 2004, fino al 77,7% del 2005. Non si può ignorare il peso percentuale degli abusanti conoscenti che si collocano quasi sempre al primo posto con valori supe- riori al 40%: unica eccezione il 2005 (33,2%) che vede au- mentare, di contro, il valore relativo all’autore extraspecifi- co. Né tanto meno il numero degli abusanti individuati al- l’interno della famiglia che fanno registrare percentuali su- periori al 30% con un picco del 37,3% nel corso del 2005. L’ABUSO SESSUALE: UN FENOMENO ANCORA SOMMERSO.Al di là dei dati statistici, permane comunque la convinzione che in Italia l’abuso sessuale sui minori, proprio per le pe- culiarità di questo reato, sia un fenomeno largamente som- merso ed emerga, e pertanto sia quantificato, solo in parte. Infatti da un lato vi è la convinzione che alcune situazioni di abuso rimangano inespresse, esperienze dimenticate e rimosse che non arrivano alla denuncia; dall’altro, emerge la consapevolezza che l’abuso sessuale non sia riconducibi- le alle sole denunce effettuate, e ne è testimonianza proprio la casistica del Centro nazionale di ascolto di Telefono Az- zurro che attraverso il proprio operato contribuisce a fare emergere una parte di realtà che altrimenti rimarrebbe nel sommerso. Oltre a questo è ragionevole ipotizzare che una capitolo 1 ABUSO, SFRUTTAMENTO E DIRITTI VIOLATI SCHEDA 1. EPIDEMIOLOGIA DELL’ABUSO SESSUALE E MONITORAGGIO DEL FENOMENO IN ITALIA, FRANCIA E INGHILTERRA riduzione delle denunce non corrisponda ad una riduzione del fenomeno, e ciò anche in considerazione del fatto che non esiste necessariamente alcuna corrispondenza crono- logica tra il momento della denuncia e il reato subìto. Una rilevazione esaustiva delle violenze è fortemente ostacolata sia dalla difficoltà, da parte del minore vittima, di chiedere aiuto, sia dall’incapacità delle figure adulte di riferimento di “ascoltare” e cogliere i segnali trasmessi dalle vittime. IL FENOMENO IN FRANCIA. All’interno del diritto naziona- le francese, la lotta contro il maltrattamento dei bambini ha ricevuto nel 1989 un impulso decisivo attraverso la pro- mulgazione della legge n. 89-487 del 10 luglio 1989 relati- va alla prevenzione dei maltrattamenti nei confronti dei minori e alla protezione dell’infanzia. L’articolo 3 della leg- ge, in particolare, ha decretato l’avvio del servizio naziona- le d’accoglienza telefonica per l’infanzia maltrattata, lo Sna- tem - Service National d’Accueil Théléphonique pour l’Enfance Maltraitée, generalmente chiamato «Allô Enfan- ce Maltraitée». Dal marzo 1997, il servizio beneficia di un numero telefonico semplificato a 3 cifre - il 119. Ai sensi dell’articolo 17 della legge del 1989, il ministro della Fami- glia deve presentare ogni tre anni al Parlamento una rela- zione che illustri i risultati delle ricerche condotte sull’in- fanzia maltrattata. È il Gruppo permanente interministe- riale dell’infanzia maltrattata (Gpiem - Groupe Permanent Interministériel pour l’Enfance Maltraitée) che garantisce la redazione di questa relazione. Il Gpiem è composto in particolare dai rappresentanti dei seguenti ministeri: Affari sociali, Interno, Giustizia, Difesa, Istruzione nazionale, Gioventù e sport, Sanità e ministero incaricato delle Co- munità locali. Il monitoraggio dei dati è garantito dall’attività svolta dal- l’Odas - Osservatorio nazionale dell’azione sociale decen- trata, istituito nel 1990, che si occupa di rilevare tutte le se- gnalazioni indirizzate ai consigli generali dei dipartimenti relative a casi di bambini maltrattati e a casi di bambini che vivono una condizione definita a rischio. Il Rapporto Odas 2005 evidenzia dal 1998 al 2004 un aumento costante e consistente di segnalazioni, soprattutto tra il 2003 e il 2004 con un incremento di 6mila bambini. Se l’evoluzione com- plessiva interessa principalmente il numero dei bambini definiti “a rischio”, l’Osservatorio francese invita a non sot- tovalutare la progressione rilevata anche nell’area del mal- trattamento (dal 2003 al 2004 un aumento di mille casi). La rilevazione dell’Odas non è circoscritta al fenomeno del- l’abuso sessuale che rappresenta una tra le fattispecie che concorrono alla definizione dell’infanzia maltrattata, ma se all’interno di questa macro categoria si considerano i dati disaggregati per tipologia di abuso si rileva che nel 2004 i valori più elevati interessano le vittime di abuso fisico (6.600) seguiti da minori vittime di abuso sessuale (5.500). IL RAPPORTO ANNUALE DELL’OND - OBSERVATOIRE NA- TIONAL DE LA DÉLINQUANCE.L’Osservatorio nazionale sul- la delinquenza è un dipartimento dell’Istituto nazionale di alti studi sulla sicurezza. Ogni anno, a partire dal 2005, l’Osservatorio pubblica un Rapporto che propone, tra le altre informazioni, una serie storica dei dati relativi alla vio- lenza sessuale: queste elaborazioni vengono costruite par- tendo dalle informazioni raccolte annualmente dall’État 4001, uno strumento statistico che per esplicita definizio- ne «conta i fatti constatati dai servizi di polizia e dalle unità di gendarmeria». Sono quattro i reati previsti: abuso ses- suale sui minori; molestie sessuali ed altre aggressioni ses- suali contro minori; omicidi commessi contro bambini con meno di 15 anni; violenze, maltrattamenti e abbando- no di bambini. Dalla lettura dei dati (Rapport 2005 e Rap- port 2006) si evince, più in generale, che negli ultimi due anni considerati il numero delle violenze sessuali in Francia è complessivamente diminuito, anche se i fatti constatati nel 2005 hanno subìto un’evoluzione contrastante. Gli abusi sessuali che riguardano gli adulti, infatti, non hanno seguito la tendenza generale poiché tra il 2004 e il 2005 il loro numero è leggermente aumentato (+100 fatti consta- tati, cioè +2,3%), mentre gli abusi in pregiudizio di mino- ri sono diminuiti di circa il 10% in un anno: ciononostan- te rappresentano comunque la categoria più numerosa (5.581 nel 2005 contro 4.412 abusi sessuali sugli adulti). Complessivamente più del 60% delle violenze sessuali ha avuto per vittime bambini e adolescenti, tanto nel 2004 che nel 2005, tuttavia nel corso di un anno il valore si è abbas- sato del 12% circa (da 16.800 a 14.700 fatti rilevati). IL FENOMENO IN INGHILTERRA. L’Inghilterra rappresenta uno dei Paesi europei che dispone di un efficace sistema di monitoraggio e rilevazione del fenomeno; l’utilizzazione di un Registro di protezione del minore (CPR3 - Child Pro- tection Registers), da parte delle autorità locali con respon- sabilità di servizio sociale, permette, infatti, un’efficace ca- talogazione dei dati sul fenomeno nonché un’accurata ana- lisi statistica i cui risultati vengono pubblicati, annualmen- te, dal Department for Education and Skills. Il sistema di tutela dei minori in Inghilterra si è sviluppato negli ultimi trent’anni. L’anno 1989 segna una svolta decisiva grazie al- l’approvazione del Children Act (un compendio di norme giuridiche), che ha subìto nel corso del tempo successivi ag- giornamenti, di cui il primo nel 1991. Ogni autorità locale possiede una Acpc - Area Child Protection Committe che sorveglia localmente il sistema di protezione del minore e dispone di un registro per la protezione del minore, ovvero un elenco dei minori vittime di danni importanti. Il regi- stro è custodito dal Dipartimento dei Servizi sociali e cia- scun registro ha un custode. Vi sono quattro categorie di registrazione: abuso fisico; abuso sessuale; abuso psicologi- 6 7 SCHEDA 2. QUANDO VITTIMA DELL’ABUSO È UN BAMBINO O UN ADOLESCENTE STRANIERO MINORI STRANIERI: IDENTIKIT. Tra il luglio 1999 e il mar- zo 2006 il Centro nazionale di ascolto di Telefono Azzurro ha gestito complessivamente 31.158 casi di bambini e di adolescenti che presentavano problematiche rilevanti. Nel- l’ambito di tali situazioni, il 7,1% dei casi ha riguardato bambini e adolescenti stranieri: per il 53,2% bambine e ra- gazze e per il 46,8% bambini e ragazzi. Nel 42% dei casi si è trattato di bambini tra gli 0 e i 10 anni, mentre nel 38,4% di ragazzi tra gli 11 e i 14 anni e, quindi, di adolescenti (19,6%). In particolare, il 55,3% delle richieste di aiuto è stato indirizzato alla Linea istituzionale e il 44,7 a quella Gratuita. Le chiamate sono pervenute soprattutto dalle re- gioni del Nord Italia (58,3%), seguite da quelle del Centro (24,5). Solo il 13,1% delle richieste d’aiuto è arrivato dal Sud e il 4,1 dalle Isole. Tra le regioni, la Lombardia racco- glie ben il 23,4% delle richieste di aiuto, ovvero più di un quinto del totale; seguono con una certa distanza il Lazio (12,7), l’Emilia Romagna (10) e il Veneto (9,5). Nel Mez- zogiorno, invece, la regione che fa registrare una maggiore percentuale di chiamate è la Campania (4,7), seguita dalla Puglia (4,2) e dalla Sicilia (2,8). Con il 29,3% sul totale del- le chiamate, i problemi relazionali con i genitori rappresen- tano l’elemento più critico. Ma si segnalano anche la tra- scuratezza che si afferma nel 21,5% dei casi, l’abuso fisico con il 19,6, generali difficoltà di natura relazionale (15). Al- tre criticità emerse dall’analisi delle richieste sono: proble- mi causati dalla separazione dei genitori (9,5%), abuso psi- cologico (8,1), sfruttamento del lavoro minorile (7,7), pro- blemi nel rapporto con il gruppo dei pari (7,5), fuga da ca- sa (7), difficoltà scolastiche (5,7), abuso sessuale (3,8). L’ABUSO FISICO.Tra i minori stranieri, le denunce di abuso fisico, il più delle volte, vedono quale abusante uno dei due genitori. Sono per lo più i padri a commettere tale tipo di abuso nei confronti dei figli anche se, nelle situazioni di nu- clei monoparentali in cui il genitore presente è la madre, ta- li atti possono essere agiti dalla madre stessa. In caso di fa- miglie di tradizione gerarchico patriarcale (in particolare Paesi arabo-islamici e Albania), in assenza del padre tale azione “correttiva” o “punitiva” può invece fare parte dei compiti del fratello maggiore, che assume il ruolo di capo famiglia. Le principali cause scatenanti le situazioni di abu- so fisico a danno di un minore straniero sono diverse: tra queste, la messa in atto da parte del figlio di comportamen- co; trascuratezza. Quando un minore è segnalato sul regi- stro, viene delineato uno specifico piano di protezione che prevede il coinvolgimento di un gruppo centrale di opera- tori che ha il compito di supportare e riabilitare il nucleo fa- miliare e seguire la successiva messa in atto del piano di pro- tezione, che viene garantito da uno specifico operatore. In- fine, i risultati raggiunti attraverso l’applicazione del piano di protezione sono oggetto di verifica di un apposito orga- nismo che si riunisce periodicamente: il Collegio per la pro- tezione del minore. Qualora il minore non risulti essere esposto a ipotetico rischio di danno, viene depennato dal registro di protezione, pur continuando comunque ad es- sere considerato un «minore in stato di bisogno». CPR3: RISULTATI PRINCIPALI AL 31 MARZO 2005. Delle complessive 552mila segnalazioni rivolte ai Dipartimenti con responsabilità di Servizio sociale al 31 marzo 2005, il 22% (pari a 121.800) risultano segnalazioni ripetute, ov- vero già effettuate nel corso dell’anno precedente; anche al 31 marzo 2004, a fronte di 572.700 segnalazioni comples- sive, nel 22% dei casi (pari a 127.400) si trattava di segna- lazioni ripetute. L’anno 2005, pertanto, risulta caratteriz- zato da un calo delle segnalazioni, mentre negli anni prece- denti le segnalazioni annue si aggiravano, in media, attor- no alle 570mila. Tra i minori iscritti nel registro al 31 mar- zo 2005, circa 3mila (12%) sono stati presi in carico anche dalle autorità locali; nel 2004 questa situazione ha interes- sato 3.400 bambini (13%), mentre nel 2000 i minori coin- volti risultavano 5.400 (20%). Il 6% dei minori de-regi- strati al 2005, sono rimasti inseriti nelle liste per un perio- do di due anni o più; nell’anno precedente la percentuale si aggirava intorno al 7%, mentre nel 1995 era pari al 17%. Analizzando i dati emerge che i valori più consistenti inte- ressano le seguenti classi di età: 1-4 anni (7.400), 5-9 anni (7.400) e 10-15 anni (7.300). Il numero dei bambini inse- riti nei registri con un’età inferiore a un anno è pari a 3mila (il 12% del totale), mentre sono 490 (il 2%) i ragazzi di 16 anni e oltre. In Inghilterra, nell’arco temporale 2001-2005, i valori di abuso più elevati sono riferiti sempre alla catego- ria della trascuratezza (11.400 casi nel 2005). Nell’ultimo anno in esame, il 2005, l’abuso sessuale presenta il valore più basso (2.400 casi), preceduto da abuso psicologico (5.200) e da abuso fisico (3.900). Tra i minori vittime di abuso sessuale, prevalgono le femmine. Prendendo in con- siderazione l’abuso sessuale in relazione sia al sesso che alla classe di età è possibile osservare un’unica tendenza: sia tra i maschi che tra le femmine la fascia di età più colpita è quel- la compresa tra i 10 e i 15 anni. ti e di “stili” relazionali tipici della cultura occidentale nella relazione genitore-figlio; la presenza nel minore di richieste quali: uscire la sera o frequentare un/a ragazzo/a (per lo più italiano/a o di altra nazionalità rispetto alla sua); l’esistente disparità tra genitori e figli nell’integrazione; lo scarso o in- sufficiente impegno scolastico; la distanza presa dal figlio/a dalla dimensione religiosa familiare; la presenza di even- tuali problemi psico-fisici di uno dei coniugi (depressione, alcolismo) che possono sfociare in episodi di violenza. L’ABUSO SESSUALE. I casi di abuso sessuale registrati in Italia a danno di minori stranieri sono sia intrafamiliari che ex- trafamiliari. Nella maggioranza dei casi, il presunto abu- sante è una persona vicina al nucleo familiare, una persona di cui i genitori si fidano. Qui si inserisce un problema par- ticolarmente presente nelle famiglie immigrate e cioè la mancata custodia dei figli o il loro affidare i figli a persone, magari connazionali, poco conosciute. Per lo più impegna- ti tutto il giorno nel lavoro fuori casa, in assenza della rete familiare e sociale di supporto rimasta nel proprio paese, con la difficoltà di inserire i figli piccoli all’asilo nido e alla scuola materna e a “coprire” il tempo che rimane dal ritor- no a scuola alla sera per i figli più grandi, i bambini vengo- no lasciati soli, oppure vengono affidati a persone disponi- bili ma poco conosciute, o ancora vengono lasciati in am- bienti dove c’è un “giro” di adulti non controllabile. A dif- ferenza delle situazioni di abuso sessuale che vedono come vittima minori italiani, ci si può trovare di fronte a casi in cui l’abusante sia un adulto, per lo più maschio, convinto di essere in una posizione legittimata a commettere tali atti in quanto permessi nel proprio Paese. In tali contesti sia “l’abusante” sia i genitori o gli adulti che hanno la tutela non hanno la consapevolezza dell’accaduto in termini di reato e della sua punibilità, poiché fanno riferimento a tra- dizioni e leggi a cui appartengono (es. rapporti sessuali con ragazze di 13 anni già promesse in matrimonio all’uomo). L’ABUSO PSICOLOGICO. La difficoltà a riconoscere l’abuso psicologico è correlata al fatto che per quasi tutte le culture di origine degli immigrati presenti in Italia, tale forma di abuso non è riconosciuta e pertanto risulta molto difficile averne consapevolezza anche in un contesto, come quello italiano, laddove tali comportamenti sono considerati dan- nosi e condannati. Ne è conferma il fatto che spesso tali at- ti vengono compiuti “alla luce del sole”. Le situazioni di abuso psicologico che riguardano i minori stranieri presen- tano il più delle volte un forte legame con la loro condizio- ne di migranti: violenza domestica, abbandono educativo del figlio/a, oppressione dei figli rispetto ai loro impegni e ai loro doveri di riuscita scolastica e/o lavorativa; minacce al rientro in patria o all’isolamento sociale; insufficiente espressione di affetto, di cure e di custodia, sono situazioni che nascono dalla fatica e dalle sfide che l’evento migrazio- ne pone alla famiglia. Altri comportamenti di abuso psico- logico derivano direttamente dall’appartenenza a tradizio- ni culturali, familiari, religiose che si basano su gerarchie generazionali e di genere che non trovano nel Paese di ac- coglienza alcun tipo di riconoscimento. Gli episodi di vio- lenza domestica vengono segnalati in prevalenza da vicini di casa che non conoscono necessariamente il nucleo ma che sentono urla, pianti, litigi, insulti, rumori. LA TRASCURATEZZA. La migrazione può far venire meno la corrispondenza tra quanto acquisito dai genitori in merito ai bisogni di attenzione e di cura dei figli e quanto invece è la regola e l’aspettativa nel contesto di accoglienza, in meri- to ai comportamenti adeguati di cura e di accudimento. Può pertanto accadere che i genitori si ritrovino inadegua- ti, o vengano giudicati tali, nelle loro capacità genitoriali in un contesto che riconosce e richiede comportamenti di cu- ra, custodia e tutela specifici, magari inesistenti nel model- lo dei genitori. Gli episodi di trascuratezza sono i più vari: genitori che lasciano i figli per molto tempo da soli o che la- sciano piangere i figli per ore; bambini lasciati in condizio- ni igieniche precarie, o non seguiti a livello scolastico o che vengono mandati a scuola anche ammalati; bambini ai quali vengono dati compiti di cura dei fratelli più piccoli o ai quali viene richiesta la collaborazione per l’attività lavo- rativa di famiglia. In generale si riscontra una particolare fragilità legata a problemi di cura, custodia ed accudimen- to dei minori da 0 a 3 anni. Per i più grandi emergono, in- vece, situazioni di sovraccarico di responsabilità e di impe- gni di collaborazione domestica o lavorativa extrascolastica e di abbandono in termini di cura e di attenzione. 8 SCHEDA 3. LA VALUTAZIONE DELLE CAPACITÀ GENITORIALI LA VALUTAZIONE IN AMBITO PSICO-SOCIALE: PRINCÌPI E CRITERI GENERALI. Nell’ambito delle indagini stabilite dal Tribunale civile o dal Tribunale per i minorenni, il neuro- psichiatra infantile, lo psicologo o l’assistente sociale ven- gono a volte chiamati ad intervenire nei confronti di nuclei familiari quasi sempre problematici e a fornire valutazioni psico-sociali e pareri in merito a decisioni molto delicate, inerenti la cosiddetta “genitorialità” e le capacità genitoria- li. Si tratta di valutazioni che possono essere richieste sia dal Tribunale ordinario (o dal Tribunale per i minorenni, qua- 9 lora si tratti di una coppia non sposata), alla luce della ne- cessità di assumere decisioni circa l’affidamento della prole nella causa di separazione tra i genitori, sia dal Tribunale per i minorenni, qualora sussistano elementi di pregiudizio per la salute psico-fisica dei figli in un nucleo familiare che presenti forti indici di rischio. Di queste indagini possono essere incaricati i servizi sociali, all’interno di un’azione di accertamento e/o di vigilanza, o un consulente tecnico. La componente di inevitabile soggettività che questo com- porta determina spesso la assunzione, da parte dell’autorità giudiziaria, di provvedimenti che vengono messi in discus- sione nei successivi gradi di giudizio, anche attraverso il ri- corso a nuove indagini che possono giungere a conclusioni diametralmente opposte rispetto alle precedenti. Il sovvertimento di antecedenti provvedimenti, del tutto routinario nei procedimenti penali e in quelli civili, deter- mina spesso danni molto gravi in ambito minorile, poiché viene ad interessare, anche a distanza di anni, bambini la cui vita è stata radicalmente modificata dai provvedimenti adottati. In questo senso basti ad esempio pensare ai danni che possono caratterizzare lo sviluppo psico-affettivo di un bambino per il quale, a seguito di una prima consulenza tecnica che aveva attestato la totale inidoneità educativa dei genitori, era stato dichiarato in età precocissima lo stato di adottabilità, e che, uno o due anni dopo essere stato inseri- to in un nucleo adottivo, a seguito di una consulenza tecni- ca effettuata presso la Corte d’appello, debba essere riaffi- dato ai genitori naturali, o debba quantomeno riprendere i contatti con gli stessi. In realtà, in questo ambito i criteri di riferimento appaiono necessariamente relativistici, poiché debbono tenere conto sia dell’ampiezza e della sostanziale genericità di nozioni come quella di «abbandono» o di «in- teresse del minore», sia del fatto che l’indagine non deve di- scutere la teorica idoneità educativa di una famiglia, ma de- ve mettere in luce quale sia, in quel momento, l’idoneità specifica che quella singola famiglia può realizzare, sul pia- no delle competenze genitoriali, a favore di quel singolo bambino, in relazione al suo stadio di sviluppo ed alle even- tuali problematiche psico-patologiche che presenta. Il la- voro di osservazione e di valutazione tende spesso a riserva- re la proposta dell’adozione solamente per i casi maggior- mente negativi e ormai ingestibili, mentre si prevede per quelli a minor rischio solo la predisposizione di misure di osservazione e di aiuto. LE CAPACITÀ GENITORIALI E LA LORO VALUTAZIONE IN AM- BITO PSICO-SOCIALE E FORENSE NELLE SITUAZIONI DI RI- SCHIO E DI PREGIUDIZIO. Per quanto riguarda i criteri di valutazione, l’osservazione delle capacità genitoriali richie- de una articolazione preliminare delle specifiche funzioni da prendere in esame. Le funzioni di base consistono nel «prendersi cura» e nella «protezione». Il «prendersi cura» si riferisce al complesso processo di socializzazione, reso pos- sibile, facilitato e promosso dall’insegnamento dei genito- ri. La «protezione» dipende dalla possibilità di assicurare gli appropriati confini di sicurezza tra il bambino e l’ambiente esterno. Le procedure di indagine in questo ambito com- prendono: l’intervista diretta ai genitori; l’intervista e l’a- scolto dei figli e la valutazione dei loro pattern di attacca- mento; la valutazione della interazione genitore-figlio at- traverso la osservazione diretta; l’ascolto di altre persone a contatto con i bambini che possono fornire informazioni e ragguagli: pediatra, insegnanti, educatori. SEPARAZIONE DEI GENITORI E CRITERI DI AFFIDAMENTO E DI CUSTODIA DEI FIGLI. Come sancito dall’art. 155 Codice civile, nei casi in cui tra i coniugi in corso di separazione si determini un contrasto o un conflitto variamente orienta- to circa l’affidamento all’uno o all’altro dei figli e che tale si- tuazione non possa essere altrimenti sanabile, il giudice istruttore può disporre una consulenza tecnica d’ufficio. Nel caso di contesa dei figli, l’interesse del minore implica che il consulente fornisca indicazioni sul regime di miglior affidamento, ma soprattutto lavori sulla contesa per aiuta- re le parti attraverso una mediazione per trovare un accor- do capace di garantire il rapporto con entrambi i genitori da parte del minore, a meno che sussista una particolare ini- doneità di uno di essi. Fino alla metà degli anni 80 era teorizzato l’affidamento dei figli minori al «genitore psicologico», cioè al genitore (soli- tamente la madre) maggiormente vicino dal punto di vista affettivo al bambino in quanto più impegnato nelle cure quotidiane e con cui si instaura in modo più specifico il le- game di attaccamento: al genitore affidatario era dato ogni più ampio potere per regolamentare i rapporti tra il/i fi- glio/i e il genitore non affidatario stabilendo liberamente i tempi e le modalità di incontro tra loro o anche opponen- dosi a tali incontri. Si riteneva infatti che soltanto il «geni- tore psicologico» fosse il «vero genitore» in grado di valuta- re le esigenze del/i proprio/i figlio/i anche con riguardo al- l’altro genitore. Tale prospettiva presupponeva tuttavia la buona fede del genitore affidatario, scevro da sentimenti negativi o di rivalsa nei confronti dell’ex partner e comun- que un rapporto collaborativo tra gli ex coniugi. In Italia, nel 2006 è stata approvata la proposta di legge che prevede la applicazione dell’affidamento condiviso. Si con- figurano quindi importanti cambiamenti nelle pratiche di affidamento dei figli in caso di separazione o divorzio dei genitori; al minore viene riconosciuto il diritto, anche in seguito alla separazione dei genitori, di mantenere un «rap- porto equilibrato e continuativo» con loro, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rap- porti significativi con ascendenti e parenti di ciascun ramo genitoriale. Il giudice, salvo contrario avviso, dispone l’affi- 10 damento ad entrambi i genitori avendo come «esclusivo ri- ferimento» l’interesse morale e materiale dei figli. In casi particolari, il giudice può comunque stabilire un affida- mento esclusivo ad un genitore, ad esempio qualora sussi- stano i presupposti per la violazione dei doveri relativi alla potestà da parte di un genitore, per l’abuso dei poteri ine- renti la potestà con grave pregiudizio del figlio, o per una condotta del genitore comunque pregiudizievole ai figli. Quali le modalità di affidamento più idonee per i figli dei genitori separati? Le modalità con cui il bambino è stato esposto al conflitto genitoriale rappresentano il punto cen- trale della questione. Allorché il bambino si trova ad essere confrontato con liti, contrasti, dissidi, ai timori di abban- dono già vissuti al momento della separazione si aggiungo- no altri timori, che alimentano i primi. A partire da queste dinamiche interne, diversi possono essere i comportamen- ti e le reazioni di adattamento. Facilmente, il bambino si difende attraverso una sorta di «accomodamento adattivo» ai diversi contesti che lo sollecitano in maniera opposta, ge- nerando opposti «conflitti di lealtà». Così, il bambino può divenire, in una sorta di trasformismo difensivo, regressivo quando è con la madre e ipermaturo e reattivo con il padre. In taluni casi, il bambino può accomodarsi in maniera esclusiva ad uno dei due genitori, sino a sviluppare reazioni fobico-repulsive nei confronti dell’altro, sulla base di un’i- dentificazione nelle posizioni e nei desiderata del genitore prescelto (e delle tecniche esplicite od esplicite di persua- sione che quest’ultimo ha posto in atto), identificate e de- scritte come Sindrome di alienazione genitoriale, nella qua- le il genitore “alienato” viene allontanato per evitare, anche attraverso questa via, il conflitto tra i due. DISTURBI MENTALI DEI GENITORI E PROBLEMI DI AFFIDA- MENTO E DI TUTELA. Un problema particolare è costituito da quei casi dove occorra procedere a decisioni inerenti l’af- fidamento dei figli in presenza di un genitore affetto da di- sturbi mentali di entità rilevante. Si tratta di una questione complessa ed ampiamente dibattuta, dove spesso si scon- trano due opposti punti di vista: da un lato, sussiste talvol- ta l’indicazione, sostenuta dagli specialisti che hanno in ca- rico il paziente adulto, di mantenere il contatto tra il geni- tore e i suoi figli, allo scopo di stimolare positivamente le ri- sorse e le necessità affettive del loro paziente. Dall’altro, tut- tavia, risulta maggiormente appropriato un approccio ri- volto a privilegiare l’interesse del minore, ovvero fondato su una fondamentale valutazione: in quale misura il distur- bo mentale del genitore è suscettibile di compromettere, e in quale misura, le funzioni e le capacità genitoriali. SCHEDA 4. NON SOLO SEGNALAZIONE: L’INSEGNANTE E L’ISTITUZIONE SCOLASTICA NELLA PREVENZIONE DEL DISAGIO INFANTILE GLI INSEGNANTI CHIAMATI AD UN NUOVO RUOLO. Bambi- ni e adolescenti trascorrono a scuola gran parte del loro tempo, al suo interno vivono relazioni significative con coe- tanei e adulti, sperimentano abilità sociali, costruiscono la propria identità e la propria autostima. La scuola, dunque, costituisce un osservatorio privilegiato per il monitoraggio del loro benessere. Gli insegnanti sono risorse preziose in quanto hanno modo di osservare i bambini, i loro cambia- menti nel corso della crescita, rilevando eventuali situazio- ni di sofferenza e disagio. Accade spesso che gli insegnanti si trovino a gestire non solo i momenti di crisi legati alla cre- scita, ma anche le difficoltà conseguenti a un ritardo men- tale, l’aggressività che deriva da un disturbo della condotta, o la sofferenza che segue al maltrattamento, alla trascura- tezza, ad abusi sessuali vissuti in famiglia. È dunque evi- dente come non si possa più delegare solo ai cosiddetti esperti la promozione della salute mentale: sicuramente ci si può avvalere della loro consulenza, nella consapevolezza però che l’educazione e la promozione del benessere di un bambino partono dalla famiglia e dalla scuola. Ma a quale nuovo ruolo è chiamata la scuola? Si può affer- mare che la scuola è chiamata ad intervenire nell’ambito della prevenzione, ovvero nella promozione del benessere globale del bambino. Prevenire significa, però, non solo li- mitare i fattori di rischio, ossia quei fattori personali, fami- liari o ambientali che sono in grado di incidere sulla proba- bilità che il bambino sviluppi qualche forma di disagio, ma anche e soprattutto potenziare i cosiddetti fattori protetti- vi, che diminuiscono la probabilità che il benessere di un bambino e la sua crescita siano compromessi. L’educazione alla salute nella scuola italiana è prevista dal T.U. 309/90 del ministero della Salute ed è attualmente inserita nel- l’ambito dell’educazione alla convivenza dalla legge 53/2003. La prevenzione si traduce quindi in diritto alla salute, quale prerogativa irrinunciabile di cui la scuola do- vrebbe farsi carico. In sintesi, la scuola può supportare la sa- lute mentale dei bambini su tre livelli: ambientale, creando un clima scolastico supportivo incentrato su cooperazione, autostima e rispetto per gli altri; di programmazione, inse- rendo progetti su tematiche come la prevenzione dell’abu- so, del bullismo o la risoluzione dei conflitti; individuale, offrendo specifico supporto agli alunni che presentano dif- ficoltà di adattamento o veri e propri disturbi. 11 IL NUOVO RUOLO DEGLI INSEGNANTI: LA PREVENZIONE PRIMARIA DELL’ABUSO SESSUALE. Con il termine «preven- zione primaria» si intendono quelle attività di carattere educativo rivolte all’intera popolazione, finalizzate ad evi- tare l’insorgere di fattori di rischio generici. Le principali aree di intervento devono riguardare: senso di appartenen- za, che rappresenta la base per un adattamento positivo, per la costruzione del sé, dell’autostima e del senso di fiducia negli altri; adattamento al cambiamento, che riguarda il compito di accompagnare i bambini ad adattarsi ai cam- biamenti, anche a quelli che possono risultare stressanti dal punto di vista emotivo; riconoscimento: è importante da- re feed-back positivi per rinforzare comportamenti ade- guati piuttosto che affidarsi al sistema delle punizioni; «fa- re la differenza», dare il proprio originale apporto aumenta l’autostima e rinforza la responsabilità individuale; rag- giungere degli obiettivi: bisogna insegnare ai bambini a de- finire degli obiettivi, a identificare strategie utili per conse- guirli mobilitando le proprie risorse personali, ma anche a comprendere quando hanno bisogno di aiuto, identifican- do figure di riferimento che possono dare loro sostegno. LA PREVENZIONE SECONDARIA: RICONOSCERE I SEGNALI. La prevenzione secondaria è da intendersi come il ricono- scimento precoce di eventuali fattori di rischio e segnali di disagio presenti nel bambino e nell’adolescente. Il primo passo che gli insegnanti possono compiere è quello di im- parare a leggere e a riconoscere tutti quei campanelli d’al- larme che possono precedere o accompagnare una situa- zione di abuso. I segnali comportamentali “aspecifici” non sono riconducibili ad un particolare tipo di abuso, ma pos- sono indicare che il bambino sta vivendo una situazione di disagio o sta attraversando un momento particolarmente difficile. Si parla quindi di cautela interpretativa, ricordan- do che nessun segnale preso isolatamente consente la dia- gnosi, ma ogni campanello d’allarme va letto all’interno del contesto di riferimento (Caffo et al., 2002). LA PREVENZIONETERZIARIA: IL RUOLO DELLA SCUOLA NEL- L’ASCOLTO E NELLA CURA. Per «prevenzione terziaria» si in- tende l’insieme di interventi che hanno come obiettivo quello di ridurre i danni e le conseguenze dopo che un even- to negativo si è già verificato, evitando che questo si ripeta. Intervenire tempestivamente in caso di abusi e maltratta- menti permette di contenere possibili conseguenze di na- tura biologica, fisica, psicologica e relazionale (a breve e a lungo termine) che possono arrivare a compromettere la crescita di un bambino causando difficoltà di diversa natu- ra. Qualora un insegnante sia chiamato ad ascoltare il rac- conto di un abuso subìto da un bambino, è necessario che rispetti il suo punto di vista, i suoi vissuti e i suoi pensieri, evitando di esprimere giudizi che potrebbero inibire il rac- conto. L’insegnante non è tenuto ad avere competenze spe- cifiche per l’ascolto del minore; dovrebbe però essere con- sapevole che con il proprio stile relazionale e con le proprie domande, può facilitare o ostacolare il percorso di “raccol- ta della testimonianza” e di indagine. Meglio allora limitar- si ad ascoltare, offrire il proprio sostegno evitando di in- fluenzare il bambino o di sottoporlo a un “interrogatorio” per raccogliere ulteriori elementi. È necessario che la scuo- la si affianchi e sia coinvolta nei progetti di supporto e di so- stegno predisposti dai servizi, contribuendo a rafforzare e promuovere la ripresa del bambino, prevenendo le conse- guenze negative che un abuso può produrre. UN ESEMPIO DI LAVORO IN RETE: IL PROTOCOLLO DI MO- DENA. Firmato nel 2005, il Protocollo d’intesa per le strategie di intervento e prevenzione sull’abuso e la violenza all’infan- zia e all’adolescenza si basa su di un modello multiagency. Infatti in situazioni di abuso e di maltrattamento il bambi- no è posto al centro di una rete di agenzie che, a fronte del- le rispettive competenze, gestiscono i diversi livelli che un abuso presenta: giuridico, medico, psicologico, educativo. La scuola, secondo il Protocollo, è coinvolta nella preven- zione secondaria e terziaria dell’abuso: deve promuovere momenti di ascolto degli alunni; individuare nell’istituto un referente per l’abuso e il maltrattamento; informare le famiglie sulle situazioni di disagio riscontrate, coinvolgen- dole nella risoluzione dei problemi e favorendo un dialogo con i servizi; chiedere la consulenza dei servizi territoriali sulle modalità da adottare per la gestione delle situazioni di abuso e maltrattamento; partecipare agli incontri con gli operatori dei servizi al fine di condividere informazioni e progettare percorsi; predisporre momenti di formazione dei docenti relativi alle modalità di ascolto del minore, rile- vazione dei segnali di disagio e modalità di segnalazione. SCHEDA 5. RAGAZZI SENZA SCUOLA. I MINORI E LA DISPERSIONE SCOLASTICA IL DROP OUT IN EUROPA. Secondo le stime dell’Unicef, so- no circa 140 milioni i bambini nel mondo che non fre- quentano la scuola (2003). L’impegno all’istruzione uni- versale, preso dai Paesi partecipanti al Vertice mondiale per l’infanzia nel 1990, è stato disatteso dalla maggior parte dei Paesi che lo avevano sottoscritto. Il fenomeno dell’abban- 12 dono scolastico (conosciuto a livello internazionale con il termine drop out) è un problema che riguarda molti Paesi europei. Tanto è vero che nel corso della sessione straordi- naria del Consiglio europeo di Lisbona tenuta nel 2000 so- no state tracciate alcune linee guida per cercare di migliora- re significativamente il sistema di istruzione. All’interno di queste linee guida uno degli obiettivi principali è quello del contrasto della dispersione scolastica. Nelle strategie di Li- sbona è stato fissato il tetto del 10% quale percentuale mas- sima di abbandono scolastico. I progressi manifestati nel- l’ambito della formazione e dell’istruzione dai sistemi eu- ropei sono ancora poco soddisfacenti. A sottolineare alcu- ne inadempienze è il Rapporto annuale 2006 della Com- missione Europea. I tassi di abbandono scolastico in Euro- pa sono relativamente elevati, con forti difformità tra i Pae- si membri. In generale i Paesi del Nord e alcuni nuovi Stati membri dell’Est mostrano una migliore performance nel combattere il fenomeno del drop out. I risultati più soddisfacenti si registrano nei Paesi dell’Est, con percentuali molto inferiori alla media dell’Ue a 25 (4,3%): in Slovenia (4,3), Polonia (5,5), Slovacchia (5,8), Repubblica Ceca (6,4). L’Italia non eccelle (21,9): solo Spa- gna (30,8), Portogallo (38,6) e Malta (44,5), fra i 25 Paesi dell'Europa allargata, presentano percentuali più alte di ab- bandono scolastico rispetto al nostro Paese. Altro allar- mante segnale viene dalla capacità di comprensione dei te- sti scritti: dal rapporto emerge che quasi uno studente eu- ropeo su cinque a 15 anni non è in grado di leggere e capi- re un testo. Il tasso di completamento della scuola superio- re è, nell’Ue 25, pari al 77,3%, inferiore all’obiettivo fissa- to per il 2010 (85%). Anche in questo caso si trovano tre Paesi dell’Est tra quelli con i migliori risultati: Slovacchia (91,5%), Slovenia (90,6) e Repubblica Ceca (90,3). L’Ita- lia si colloca fra i nove Stati membri che sono ancora al di sotto della percentuale richiesta: 72,9%, comunque in au- mento rispetto al 2000, anno in cui la percentuale era del 68,8. Anche il Rapporto Ocse 2006 (dati 2005) evidenzia la criticità della situazione italiana: il 22,2% dei giovani tra i 15 e 19 anni non ha una scolarizzazione secondaria. Il dato è particolarmente allarmante se consideriamo che la nostra è un’economia che dovrebbe puntare principalmente sulla “conoscenza” come fattore competitivo. In questo senso, per raggiungere i livelli di spesa degli Stati Uniti, l’Unione Europea dovrebbe raddoppiare la quantità degli investi- menti per gli studenti dell’istruzione superiore (un aumen- to di circa 10mila euro annui per ogni studente). IL CONTESTO ITALIANO. In Italia quasi uno studente su quattro si perde per strada: lascia gli studi o viene respinto. I dati della Commissione Europea mostrano una situazio- ne preoccupante dal momento che l’Italia si classifica agli ultimi posti per il tasso di conseguimento del diploma di scuola superiore. Secondo quanto evidenziato nell’ultimo Rapporto Unla, al 2001 sono quasi 20 milioni gli italiani che non hanno conseguito l’obbligo, di almeno otto anni di scolarità, previsto dalla Costituzione. L’Italia del Sud ap- pare penalizzata, ma i valori sono molto alti anche nel resto d’Italia. Anche in regioni notoriamente sviluppate i rap- porti percentuali sono decisamente alti: Piemonte, Lom- bardia, Veneto, Emilia Romagna e Toscana evidenziano percentuali preoccupanti e, per certi versi, inattese. L’Italia si posiziona terzultima su 26 Paesi, seguita soltanto dalla Turchia e dalla Grecia. L’Italia è, quindi, ancora cenerentola in Europa in termini di istruzione scolastica. L’abbandono assume proporzioni preoccupanti soprattutto nella fase adolescenziale. Nel- l’ambito dell’istruzione superiore il confronto con gli altri Paesi europei indica che solo il 71% dei ragazzi tra i 15 e 19 anni è iscritto a scuola, contro una media europea dell’81% (anno 2002). Secondo gli ultimi dati forniti dal ministero (riferiti all’anno scolastico 2004/05), su circa 2 milioni di studenti delle prime quattro classi delle superiori la disper- sione interessa 460mila ragazzi, oltre il 23%: di questi 289mila non sono stati promossi e 171mila hanno inter- rotto a metà l’anno scolastico. Alcuni rapporti di questi ul- timi anni (in particolare dell’Ires-Cgil, 2004) evidenziano una forte corrispondenza tra condizione del lavoro minori- le ed alto tasso di abbandono scolastico. Sembra esistere uno stretto legame con il reddito familiare, in particolare nelle regioni meridionali: il 36% dei figli di operai non va oltre la terza media. Redditi bassi e scarsa sensibilizzazione alla cultura sembrano procedere di pari passo. I ragazzi con almeno un genitore laureato e reddito intorno ai 28mila euro concludono gli studi nell’84% dei casi, contro il 5,3% dei minori con genitori senza titolo di studio e stipendi molto bassi. Se si focalizza l’attenzione su quella categoria di popolazione maggiormente emarginata (senza titolo di studio), all’interno del quadro delle arretratezze e degli squilibri educativi del sistema Italia, esistono grandi disu- guaglianze tra le diverse aree geografiche della Penisola. Sei regioni meridionali sono a rischio di una deriva educativa che, se non appropriatamente affrontata, può divenire inarrestabile. Basilicata, Calabria, Molise, Sicilia e Puglia, con percentuali superiori al 10%, mostrano le situazioni più preoccupanti. Il problema non riguarda solo le aree ru- rali ma anche le grandi metropoli, soprattutto del Mezzo- giorno, in cui le periferie sono spesso, per i minori, luogo di degrado e incubatrice per situazioni di abbandono scolasti- co e, spesso, di ingresso verso il mondo dell’illegalità. DISPERSIONE ANCHE AL NORD. Il fenomeno della disper- sione scolastica non riguarda unicamente le regioni del Mezzogiorno, ma per certi versi è trasversale e interessa an- che molte regioni del Nord Italia. La Lombardia, ad esem- pio, una delle regioni più ricche del nostro Paese, si distin- gue in questo senso per un fenomeno del tutto particolare dal momento che la dispersione scolastica va attribuita al benessere economico e alla ricchezza. In questa regione il sistema produttivo è talmente vasto da richiedere figure professionali anche con bassa qualifica. Pertanto l’abban- dono da parte degli studenti del primo anno della scuola secondaria superiore è passato da una percentuale del 3,7% nell’anno scolastico 2001/2002 al 4,5% nel 2003/2004. AZIONI PER CONTRASTARE L’ABBANDONO SCOLASTICO. Dal gennaio 2006 è stata istituita in Emilia Romagna un’a- nagrafe per contrastare la dispersione scolastica. Si tratta di uno strumento informatico in grado di individuare i ragaz- zi tra i 14 e i 17 anni, seguendone i percorsi formativi e in- tervenendo con la famiglia per tentare di riportarli all’in- terno del percorso formativo. Particolarmente interessante è l’esperienza al Gratosoglio (periferia milanese), che ha consentito di recuperare allo studio 40 giovani del quartie- re che avevano abbandonato la scuola. Il progetto prevede l’implementazione di due sottoprogetti, denominati Scuo- la Popolare e Scuola Bottega. Il primo si propone di accom- pagnare i ragazzi a rischio di abbandono scolastico fino al conseguimento della licenza media inferiore; il secondo di avviare i giovani, che hanno conseguito il traguardo della scuola dell’obbligo attraverso l’esperienza della Scuola Po- polare, verso effettivi sbocchi formativi e/o professionali. Il Veneto è una delle regioni che hanno mostrato la migliore performance nel contrastare il fenomeno. Ha saputo, in pochi anni, dimezzare la dispersione scolastica (riducendo a 120mila, nell’anno scolastico 2004/2005, il numero di ragazzi che abbandonano il percorso di studi) e passare ad un tasso di scolarizzazione del 77%, superiore sia alla me- dia italiana (71) che a quella europea (76). Il Comune di Roma ha previsto la costituzione di un Osservatorio cittadi- no sul fenomeno della dispersione scolastica (www.osservato- rio-dispersione scolastica.it) che si inserisce in un più am- pio quadro di interventi che l’assessorato e il dipartimento alle Politiche educative stanno portando avanti dal 2001 con le scuole della capitale. Il Comune ha predisposto in- terventi specifici per ridurre il fenomeno della dispersione, tra cui diverse ricerche mirate a far emergere il fenomeno. Tra le varie iniziative intraprese nel Sud in questi anni, si ci- ta il Progetto drop out, esperienza pilota per la sperimenta- zione di un servizio indirizzato a diffondere la cultura dello studio nei territori di Cagliari, Vibo Valentia e Siracusa. Per sconfiggere la “fuga dalla aule” la Regione Campania ha stanziato 2,5 milioni di euro da destinare a 50 istituti che presentano progetti concreti per l’utilizzo delle scuole nelle ore pomeridiane. Il progetto Scuole aperte è partito nel mag- gio 2006 con l’obiettivo di rafforzare sul territorio la pre- senza delle istituzioni e allontanare i giovani dalla crimina- lità. Nella provincia di Salerno sono stati promossi, a parti- re dall’anno didattico 2004-2005, dei corsi tenuti da socio- logi, psicologi e rappresentanti delle Forze dell’ordine in di- versi istituti scolastici per spiegare l’importanza di conse- guire un titolo di studio, di possedere un bagaglio cultura- le e di evitare i percorsi che conducono alla criminalità. La Regione Puglia ha finanziato, nel 2004, 34 progetti per pre- venire la dispersione e l’abbandono scolastico. Tali proget- ti sono stati presentati dagli enti di formazione con il coin- volgimento degli istituti scolastici e riguardano percorsi formativi sperimentali di istruzione e formazione profes- sionale, rivolti ai ragazzi che hanno conseguito la terza me- dia e non hanno intenzione di continuare gli studi o non hanno concluso il ciclo formativo. La Giunta regionale del- la Sardegna ha approvato, nel 2006, il disegno di legge sul- l’istruzione e la formazione e ha stanziato 5 milioni di euro per le borse di studio destinate agli studenti delle scuole me- die e superiori che vivono in famiglie economicamente svantaggiate. Secondo i dati forniti nel gennaio del 2006 dall’Ufficio scolastico regionale, in Sicilia gli sforzi per in- vertire la tendenza hanno portato, negli ultimi anni, ad un primo incoraggiante cambiamento di un trend che si era mantenuto costantemente negativo. La Sicilia è la regione italiana che ha chiesto il maggior numero di fondi alla Co- munità Europea per contrastare il fenomeno dell’abban- dono scolastico (47 milioni di euro). 13 SCHEDA 6. FUORI DAL MONDO LA POVERTÀ DEI PAESI RICCHI. La situazione in Italia è gra- ve, gravissima nel Mezzogiorno, dove vivono i bambini più poveri d’Europa. Secondo le stime della Banca d’Italia, il 20% dei minorenni italiani vive in condizioni di forte disa- gio economico. I più recenti studi sulla condizione dei bambini e degli adolescenti in Italia e nel mondo eviden- ziano come la crescita dei minori poveri sia un fenomeno che riguarda non solo, come ci si potrebbe aspettare, le eco- nomie meno avanzate, ma anche le ricche democrazie oc- cidentali. Nel corso degli anni 90, in ben 17 dei 24 Paesi Ocse per i quali sono disponibili dati comparabili, la pro- porzione di bambini poveri è cresciuta. Il Paese europeo do- ve si registra il più alto tasso di povertà infantile (16,6%) è proprio l’Italia. Le percentuali superano il 20% negli Stati Uniti e nel Messico, mentre a registrare i livelli più bassi so- no i Paesi nordici. Il Regno Unito, che presenta attualmen- 14 te un tasso del 15,4%, ha ridotto notevolmente la percen- tuale di povertà minorile, mentre la Norvegia è l’unico Pae- se nel quale la povertà infantile può essere descritta come molto bassa e in costante diminuzione. IL REDDITO E LE ALTRE MISURE DELLA POVERTÀ. In Italia, secondo i dati forniti dall’Istat per il 2005, sono 2 milioni 585mila le famiglie che vivono in condizione di povertà re- lativa (l’11,1% delle famiglie residenti). Nel 2005 vi sono stati alcuni lievi segnali di miglioramento rispetto al 2004, anno in cui si è stata registrata un’incidenza dell’11,7% di famiglie povere. Tra il 2003 e il 2004, invece, gli unici se- gnali positivi si registravano al Nord, dove l’incidenza della povertà si riduceva dal 5,5% al 4,7, mentre cresceva al Cen- tro (dal 5,8% al 7,3) e, in misura maggiore, al Sud (dal 21,6% al 25). Nel 2005, invece, la situazione migliora leg- germente in tutte le aree geografiche considerate (4,5% al Nord e 6 al Centro); tuttavia si può parlare di una certa sta- bilità del fenomeno. Inoltre, il Mezzogiorno mantiene ele- vati livelli di povertà (24%), confermando ancora una vol- ta l’esistenza di un notevole divario tra il Nord e il Sud del Paese. L’incidenza della povertà tra le famiglie con minori assume connotazioni sempre più marcate man mano che aumenta il numero dei figli. Nelle regioni meridionali, le famiglie povere raggiungono il 42,7% quando si conside- rano i nuclei con tre o più figli. E le famiglie con figli mino- ri hanno una probabilità più elevata rispetto alle altre, non solo di essere povere, ma anche di rimanere in questa con- dizione. Le famiglie monogenitore risultano particolar- mente svantaggiate (13,4% nel 2005 contro il 12,8 del2004) e fanno registrare livelli di povertà superiori alla media. Molte situazioni reali di bambini che crescono in stato di grave privazione non sono rispecchiate dai parame- tri correnti sulla povertà. Si fatica infatti a cercare un con- senso unanime sulle definizioni e sugli indicatori. La mul- tidimensionalità del fenomeno, poi, rende l’operazione particolarmente complessa. È molto importante, in que- st’ottica, l’approccio adottato dall’Unione Europea. In se- de comunitaria, infatti, la lotta alla povertà si inquadra nel più ampio progetto di eliminare l’esclusione sociale dal ter- ritorio dell’Unione. Un progetto politico importante, an- che solo per il fatto di aver individuato un set di parametri comuni a tutti gli Stati membri per la misurazione del fe- nomeno povertà. Pur non essendo in alcun modo esausti- vo, il reddito rimane uno dei principali indicatori di riferi- mento. Quando parliamo di povertà di reddito, inoltre, è importante precisare che le principali statistiche disponibi- li fanno riferimento alla povertà relativa e non a quella as- soluta. Una definizione di povertà che sia utilizzabile sarà sempre relativa a un tempo e a un luogo. Ne deriva che le soglie della povertà basate sul reddito devono essere stabili- te in relazione ai redditi tipici, e devono essere regolarmen- te aggiornate rispetto, ad esempio, ai livelli di inflazione. Quindi, la povertà è definita in base a un determinato di- vario rispetto al reddito mediano della società (nei Paesi del- l’Unione europea il basso reddito è generalmente definito come inferiore al 60% del reddito mediano). TASSO D’OCCUPAZIONE FEMMINILE COME INDICATORE DELLA POVERTÀ. Poiché la quasi totalità dei monogenitori sono donne, e poiché è molto forte il legame esistente tra povertà e partecipazione al mercato del lavoro, il tasso di occupazione femminile risulta essere un altro importante indicatore connesso alla povertà minorile. Poiché tra i due fenomeni esiste una relazione inversa, l’aumento dell’oc- cupazione delle donne risulta di cruciale importanza al fine di ridurre le probabilità per un bambino di vivere in condi- zioni di povertà. L’occupazione femminile ha subìto, nel quarto trimestre 2005, una riduzione di 0,2 punti percen- tuali rispetto allo stesso periodo del 2004 (con riguardo al- la popolazione di età fra i 15 e i 64 anni). Nel primo trime- stre 2006, l’andamento negativo si conferma solo per le donne che rientrano nella fascia d’età 15-24 anni, con un tasso di occupazione del 20,4% e una riduzione di 0,3 pun- ti percentuali rispetto al primo trimestre 2005. DIFFICOLTÀ DI ACCESSO AI SERVIZI PER L’INFANZIA. Da un’indagine realizzata dall’Istat nel 2002 emerge l’esistenza di una quota ancora elevata di famiglie che si dichiarano in difficoltà nell’accedere ai servizi offerti per l’infanzia (16,4%). Al Nord, in particolare, nonostante l’offerta di asili pubblici e privati sia oggettivamente più elevata rispet- to al resto d’Italia, ci sono ancora molte famiglie in diffi- coltà. Ciò si spiega col fatto che le regioni settentrionali so- no anche quelle in cui si registrano i più alti tassi di parteci- pazione femminile al mercato del lavoro. La domanda del servizio, quindi, è maggiore e non riesce ad essere piena- mente soddisfatta malgrado la presenza di un’offerta com- parativamente più elevata. DISPERSIONE SCOLASTICA.Tra i fattori di rischio povertà si annovera anche il tasso di dispersione scolastica. L’Unione Europea ha dimostrato, nel corso degli ultimi anni, una no- tevole sensibilità rispetto a questa tematica alimentando un vivace dibattito e stanziando cospicui fondi per cercare di raggiungere l’obiettivo di dimezzare entro il 2010 il tasso attuale dell’abbandono scolastico (la media europea si atte- sta intorno al 19%). In Italia, ancora una volta, è confer- mata la più intensa concentrazione di situazioni di disagio nelle regioni del Mezzogiorno. Si segnala comunque un da- to positivo: in tutta la Penisola il tasso di dispersione tende generalmente a diminuire. Nelle scuole elementari, inol- tre, la dispersione scolastica ha raggiunto una soglia defini- bile come “fisiologica”, difficilmente migliorabile, poiché 15 vi sono molti casi di abbandono scolastico dovuta a trasfe- rimenti o ritiri di alunni “nomadi”. DALLA POVERTÀ ALLO SFRUTTAMENTO. La “cultura della povertà” è un vero e proprio ecosistema: un’interazione tra individui, famiglie, servizi pubblici, alloggio, trasporti, op- portunità economiche nonché fattori ambientali quali paura, squallore e violenza. Dalla povertà minorile allo sfruttamento, il passo è breve. In molte famiglie povere si riscontra una propensione favorevole al lavoro precoce dei figli (Ires-Cgil, 2005). Le dimensioni del fenomeno sono impressionanti: i minorenni sfruttati nel nostro Paese sa- rebbero numerosissimi. Si inizia, generalmente, fra gli 11 e i 14 anni a sperimentare collaborazioni occasionali, quasi sempre sotto la spinta della famiglia stessa. Si cominciano a delineare le prime difficoltà nel percorso formativo e si co- mincia a convertire la spinta familiare in motivazione per- sonale alla ricerca di un percorso di autonomia individua- le. Infine, le esperienze lavorative si trasformano in lavori alternativi alla formazione scolastica. SCHEDA 7. LAVORO MINORILE LO SCENARIO INTERNAZIONALE. Il Rapporto dell’Organiz- zazione internazionale del lavoro (2006) registra per la pri- ma volta una netta riduzione del lavoro minorile nel mon- do, specie nelle sue forme peggiori. Tanto che, se l’attuale tendenza continuerà e non verrà meno la mobilitazione mondiale per l’abolizione del lavoro minorile, le forme peg- giori di lavoro minorile potrebbero essere eliminate entro dieci anni. Nonostante questi dati positivi ancora oggi nel mondo un minore su sette è coinvolto in qualche forma di lavoro. Tra il 2000 e il 2004 a livello mondiale, il numero di lavoratori minorenni è sceso dell’11%, da 246 milioni a 218 milioni. La diminuzione più importante si registra nei lavori pericolosi con 126 milioni di lavoratori minorenni nel 2004, invece dei 171 milioni stimati nel 2000, con un calo del 26% nella fascia di età 5-17 anni; per la fascia d’età 5-14 anni, invece, la diminuzione nei lavori pericolosi rag- giunge anche il 33%. Nel mondo circa 7 minori su 10 so- no inseriti nel settore agricolo, il 22% lavora nel settore dei servizi, il 9% nell’industria, le miniere o l’edilizia. Il costo stimato per la definitiva abolizione del lavoro minorile è di 760 miliardi di dollari su un periodo di circa 20 anni. I be- nefici in termini di istruzione e di salute si stimano in oltre 4mila miliardi di dollari. I benefici economici dovrebbero essere almeno sei volte superiori ai costi. IL LAVORO MINORILE IN ITALIA. Le stime più recenti dell’I- stat (2000) parlano di 147.285 ragazzi trai 7 e i 14 anni che svolgono qualche attività lavorativa. Il lavoro minorile non è prerogativa del Sud del Paese e lo sfruttamento non assu- me solo la fisionomia della schiavitù e del lavoro forzato. Bambini e ragazzi italiani, infatti, sono impiegati soprat- tutto presso aziende piccole. Nel Centro-Nord il minore lavora in genere all’interno della microimpresa familiare, mentre nel Sud spesso lavora per terzi. Negli ultimi anni il fenomeno ha coinvolto in maniera crescente bambini e adolescenti stranieri spesso vittime delle forme peggiori di sfruttamento. Il lavoro minorile non proviene più solo da famiglie povere, ma anche da famiglie in condizioni eco- nomicamente più vantaggiose, che scoprono nel lavoro mi- norile un moltiplicatore del tenore di vita familiare, feno- meno che accomuna stranieri e italiani. Ne sono esempio le famiglie benestanti del Nord-Est che inseriscono i mino- ri precocemente nelle imprese familiari già avviate ricono- scendo tale esperienza altamente formativa per il figlio, in termini di strutturazione non solo di un’identità professio- nale, ma anche personale. INFORTUNI SUL LAVORO. Nel 2005 gli infortuni sul lavoro denunciati dalle aziende sono stati 844.852, di questi 8.382 hanno riguardato minori fino a 17 anni. Nella mag- gior parte dei casi si è trattato di maschi (6.538). Dagli infortuni indennizzati a tutto il 30 aprile 2006 risulta che, in questa fascia d’età, sono state registrate 5 morti. L’infor- tunio ha causato una inabilità permanente in 83 casi, men- tre in 3.502 casi una inabilità temporanea. MINORI STRANIERI: UN LAVORO SOMMERSO. L’entità del coinvolgimento dei minori stranieri risulta di difficile quantificazione: infatti, nella maggior parte dei casi si trat- ta di lavori svolti all’interno di un’economia informale o del “sommerso”. Il lavoro dei minori stranieri si diversifiche- rebbe anche tra lavori visibili e invisibili. Tra le molteplici attività visibili rientrano, per esempio, la vendita ambulan- te nelle città o sulle spiagge, la pulizia dei vetri ai semafori, che attirano l’attenzione pubblica e avvicinano queste espe- rienze alla realtà quotidiana di ogni cittadino. Mentre le at- tività meno visibili sono le attività domestiche o i lavori svolti all’interno di laboratori. L'attività lavorativa più dif- fusa tra i minori stranieri di età tra i 7-14 anni è quella del- l’aiuto familiare che consiste in: aiuto ai genitori con il pro- prio lavoro, aiuto nelle faccende domestiche e nella cura dei fratelli minori, mediazione-interpretariato per i genitori ri- spetto alla società italiana (attività che non si limita alla so- la presenza in termini di traduttori ma comporta l’assun- 16 zione di compiti da “adulti” negli impegni sociali). Il lavo- ro all’esterno della famiglia prevale, generalmente, per le età superiori, tra i 15 e i 18 anni. In queste situazioni i mi- nori, sia italiani che stranieri, pur continuando a frequen- tare la scuola dell’obbligo, svolgono attività di supporto al- la gestione di esercizi commerciali, spesso legati alla ristora- zione, o di aiuto a lavori di piccola edilizia o manutenzione. LAVORO MINORILE E FAMIGLIA. Esistono alcune caratteri- stiche familiari legate al lavoro minorile: scarsa occupazio- ne delle donne, famiglie mono-reddito, famiglie monoge- nitoriali, famiglie numerose. Nelle famiglie in cui è basso il livello di istruzione dei genitori si riscontra una propensio- ne favorevole al lavoro precoce dei minori ritenendo che per i loro figli sia meglio lavorare che stare in strada e che il lavoro possa risultare più utile della scuola nell’inserimen- to sociale del proprio figlio. UNA REALTÀ RADICATA ANCHE NEL MONDO “AVANZATO”. Il lavoro minorile si colloca all’interno dell’economia infor- male piuttosto che formale, si presenta nella forma di “la- vori” più che di “lavoro”, sia per le diverse attività che i mi- nori si trovano a dover svolgere, sia per le diverse motiva- zioni che conducono ad un inserimento precoce nel mon- do lavorativo. Da una parte, vi è una situazione lavorativa di vero e proprio sfruttamento, il child labour, caratterizza- to da sforzo e fatica notevoli, mansioni rischiose, impossi- bilità di una normale frequenza scolastica e a basso salario e, dall’altra, un lavoro non necessariamente diseducativo o lesivo dello sviluppo psico-fisico del bambino, il child work. Le numerose forme oggi esistenti di lavoro minorile possono essere suddivise in sei tipologie principali, nessuna delle quali risulta confinata in una sola regione del mondo. Si tratta di: lavoro domestico; lavoro forzato o in condizio- ne di schiavitù; sfruttamento sessuale a fini commerciali; lavoro nelle industrie e nelle piantagioni; lavoro di strada; lavoro in famiglia. È inesatto pensare che il lavoro minorile sia esclusivamente un problema delle aree sottosviluppate e/o in via di sviluppo, che esso rappresenti la conseguenza naturale ed inevitabile della povertà, che la maggior parte dei minori lavori presso aziende che producono beni a bas- so costo destinati all’esportazione, che istruzione e lavoro siano antagonisti. Il lavoro minorile è una realtà presente anche nel mondo “avanzato”. SCHEDA 8. LA LEGGE 38: QUALI PROSPETTIVE E QUALI POSSIBILITÀ La legge 6 febbraio 2006, n. 38, contenente «Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bam- bini e la pedopornografia anche a mezzo Internet», ha mo- dificato notevolmente la disciplina dei delitti contro l’inte- grità psico-fisica dei minori, di cui agli artt. 600 bis e ss. del Codice penale. La quasi totalità delle modifiche proposte alla previgente disciplina va nella direzione di una piena at- tuazione degli atti internazionali ed europei in materia e, comunque, di un inasprimento della normativa introdotta dalla legge 3 agosto 1998, n. 269. I DOCUMENTI INTERNAZIONALI ED EUROPEI. Il documen- to internazionale più importante in materia di pedoporno- grafia su Internet è rappresentato dalla Convention on Cy- bercrime del Consiglio d’Europa, aperta alla firma a Buda- pest il 23 novembre 2001 (ratificata ad oggi da 16 Stati membri del Consiglio d’Europa e dagli Usa). L’art. 9 della Convenzione ricomprende espressamente tra le forme di realizzazione dei reati informatici anche la produzione, l’of- ferta o messa a disposizione, la trasmissione o distribuzione e il procurarsi o il detenere materiale pedopornografico al fine della diffusione. Ma la novità più rilevante riguarda l’assimilazione tra le immagini pornografiche di bambini reali e le rappresentazioni pedopornografiche realistiche, cioè quelle di soggetti virtuali o simili che appaiono mino- ri. Un altro atto fondamentale di diritto internazionale è la Convenzione Onu di Palermo sulla criminalità organizza- ta transnazionale, del 2000, in cui viene affermato che, per contrastare efficacemente la tratta degli esseri umani, in tut- te le legislazioni nazionali devono assumere rilevanza pena- le determinate condotte di tratta e riduzione in schiavitù volte allo sfruttamento delle vittime, tra le quali vengono inseriti lo sfruttamento sessuale, lo sfruttamento della pro- stituzione e la pedopornografia. In ambito europeo, il pun- to di riferimento per la riforma dei reati di pornografia mi- norile è la Decisione quadro n. 2004/68/Gai sul contrasto alla pedopornografia, approvata dal Consiglio dei ministri dell’Ue il 22 dicembre 2003. PROSTITUZIONE MINORILE: LA RIFORMA DELL’ART. 600 BIS DEL CODICE PENALE. La legge 38/06 non modifica la fatti- specie prevista dal 1° comma dell’art. 600 bis del Codice penale, che attribuisce rilevanza penale all’induzione, al fa- voreggiamento e allo sfruttamento della prostituzione mi- norile. Quanto al concetto di induzione, esso richiama i comportamenti di persuasione, determinazione o raffor- zamento della decisione altrui di prostituirsi, mentre nel fa- voreggiamento può ricomprendersi ogni condotta che age- vola la prostituzione del minore; lo sfruttamento consiste, invece, nel trarre utilità dalla prostituzione minorile, essen- 17 do sufficiente un solo impiego del minore in questa atti- vità, tale, per propria natura e per la particolare condizione del soggetto passivo, da pregiudicarne lo sviluppo psico-fi- sico. Con l’intervento riformatore del 2006 ha inoltre as- sunto per la prima volta rilevanza penale il comportamen- to del cliente, ossia di colui che compie atti sessuali con un minore di età compresa tra i 14 e i 16 anni, in cambio di de- naro o di altra utilità economica. Nella formulazione at- tuale, innanzitutto, la punibilità del cliente viene estesa al- le ipotesi in cui il soggetto che offre atti sessuali in cambio di denaro o di altra utilità economica ha più di 16 anni e meno di 18. Ne consegue il venir meno della precedente la- cuna di tutela sul piano penale per cui il cliente era punito soltanto se la vittima era infrasedicenne. Ora per i casi di vittima di età inferiore ai 16 anni è prevista una nuova ag- gravante ed è radicalmente mutato il regime sanzionatorio. Se prima il cliente dell’infrasedicenne era punito con la re- clusione da 6 mesi a 3 anni o con la multa, oggi con l’ag- gravante la reclusione va dai 2 ai 5 anni. LE MODIFICHE ALLA DISCIPLINA DELLA PORNOGRAFIA MI- NORILE: ELIMINAZIONE DELLA NOZIONE DI SFRUTTAMEN- TO. Con la novella del 2006 scompare il termine «sfrutta- mento» e la condotta tipizzata è quella di chi realizza esibi- zioni pornografiche o produce materiale pornografico uti- lizzando infradiciottenni oppure induce i medesimi a par- tecipare a esibizioni pornografiche. Per la configurabilità del reato in esame, pertanto, è sufficiente la mera utilizza- zione dei minorenni per realizzare esibizioni pornografiche o produrre materiale pornografico, indipendentemente da qualunque finalità di carattere lucrativo o commerciale. Il legislatore, inoltre, ha previsto al quarto comma la condot- ta di offerta, anche a titolo gratuito, di materiale pornogra- fico, intendendo in tal modo attribuire rilievo penale ad un comportamento prodromico alla concreta cessione di que- sto materiale. Il risultato che ne consegue è quello di un’ul- teriore anticipazione dell’intervento penale in materia. LA NUOVA FATTISPECIE DI DETENZIONE DI MATERIALE POR- NOGRAFICO. Con l’intervento riformatore del 2006, che prevede, anche per il reato di detenzione di materiale por- nografico, l’applicazione congiunta di pena pecuniaria e detentiva, il materiale la cui detenzione è reato non è più quello prodotto attraverso lo sfruttamento sessuale dei mi- nori, quanto quello realizzato utilizzando i minori . LA PEDOPORNOGRAFIA VIRTUALE. La legge 38/06 attribui- sce rilevanza penale alla pornografia virtuale. Il legislatore tenta di fornire una definizione di immagini virtuali, da in- tendersi quali «immagini realizzate con tecniche di elabo- razione grafica non associate in tutto o in parte a situazioni reali, la cui qualità di rappresentazione fa apparire come ve- re situazioni non reali». Saranno, pertanto, ricomprese nel- le immagini virtuali tutte quelle realizzate sovrapponendo ad un corpo adulto che compie atti sessuali il volto di un minore o quei disegni ottenuti mediante l’impiego di mec- canismi informatici tali da rendere non evidente il confine tra realtà e apparenza (es. immagini nei video giochi o nei film di animazione). Non rientreranno nella sfera di appli- cazione della norma quei disegni pornografici prodotti sen- za l’utilizzo di tecniche di elaborazione grafica o che non fanno sembrare vere situazioni non reali. MISURE AMMINISTRATIVE E FINANZIARIE. Con la riforma vengono, innanzitutto, costituiti due organismi, con atti- vità specifica di monitoraggio e contrasto del fenomeno. Si tratta del Centro nazionale per il contrasto della pedopor- nografia sulla rete Internet e dell’Osservatorio per il contra- sto della pedofilia e della pornografia minorile. Istituito presso il ministero dell’Interno, ha «il compito di raccoglie- re tutte le segnalazioni, provenienti anche dagli organi di polizia stranieri e da soggetti pubblici e privati impegnati nella lotta alla pornografia minorile, riguardanti siti che diffondono materiale concernente l’utilizzo sessuale dei minori avvalendosi della rete Internet e di altre reti di co- municazione, nonché i gestori e gli eventuali beneficiari dei relativi pagamenti». Inoltre, provengono al Centro le infor- mazioni trasmesse dall’Ufficio italiano cambi riguardanti operazioni (compiute dai beneficiari) di pagamenti attra- verso moneta elettronica per la commercializzazione di ma- teriale pedopornografico sulla rete. L’Osservatorio, presso la Presidenza del Consiglio dei mi- nistri - Dipartimento per le Pari opportunità, ha invece «il compito di acquisire e monitorare i dati e le informazioni relativi alle attività, svolte da tutte le pubbliche ammini- strazioni, per la prevenzione e la repressione della pedofilia. A tale fine è autorizzata l’istituzione presso l’Osservatorio di una banca dati per raccogliere, con l’apporto dei dati for- niti dalle amministrazioni, tutte le informazioni utili per il monitoraggio del fenomeno». Inoltre, sono previsti obbli- ghi per i fornitori dei servizi resi mediante reti di comuni- cazione elettronica e i fornitori di connettività alla rete In- ternet. I primi, infatti, nel caso in cui ne vengano a cono- scenza, devono segnalare al Centro le imprese o le persone che, a qualunque titolo, diffondono, distribuiscono o fan- no commercio, pure per via telematica, di materiale pedo- pornografico e comunicare tempestivamente ad esso, che ne faccia richiesta, ogni informazione sui contratti con que- ste imprese o persone. I fornitori di connettività ad Inter- net, invece, hanno l’obbligo di utilizzare gli strumenti di filtraggio e le relative soluzioni di tipo tecnologico, rispon- denti ai requisiti previsti da specifico decreto del ministro delle Comunicazioni, allo scopo di impedire l’accesso ai si- ti indicati dal Centro. 18 SCHEDA 9. I PRIMI ANNI DEL SERVIZIO EMERGENZA INFANZIA 114 LA CASISTICA DEL 114. Dal 1° gennaio 2006 (data in cui il servizio è stato esteso a livello nazionale) il 114 ha accolto mediamente 4mila chiamate al giorno, cui hanno fatto ri- scontro complessivamente 1.026 interventi in emergenza. Dall’inizio del servizio al 19 settembre 2006 il 114 Emer- genza Infanzia ha gestito un totale di 1.959 interventi in emergenza. Il 47,6% dei casi gestiti (933) sono pervenuti dal 26 marzo 2003 al 31 dicembre 2005 - periodo in cui il servizio era attivo in sei regioni italiane - mentre il 52,4% (1.026 casi) è stato gestito nei primi nove mesi del 2006, con una media di 114 casi al mese. La media mensile dei casi è, quindi, quadruplicata rispetto al periodo preceden- te. In quali fasce orarie sono pervenuti i casi? Il 114 riceve il maggior numero di telefonate dalle 9 alle 24. Una percen- tuale significativa di richieste di aiuto, però, perviene al di fuori dell'“orario d'ufficio”, ovvero dalle 18 alle 9 del mat- tino: se nel primo periodo (26 marzo 2003-31 dicembre 2005) è stato gestito in questa fascia oraria il 33% dei casi, nel secondo periodo (1° gennaio-19 settembre 2006) la percentuale è salita al 36,3%. A partire dal 1°gennaio 2006, quasi una chiamata su quattro, il 23,4% del totale degli in- terventi, è pervenuta nei fine settimana. Le regioni da cui sono pervenute più richieste di aiuto, nel secondo periodo, sono le sei in cui il 114 era già attivo (Lombardia 17,2%; Lazio 16,7; Piemonte 10,2; Emilia Romagna 8,4; Sicilia 8,1; Veneto 7,6). L’unica eccezione è costituita dalla Campania, di recente apertura, la cui per- centuale di interventi (9,8) è stata fin da subito molto ele- vata, come per le regioni Puglia e Toscana (rispettivamente 5,6 e 5,2%). CARATTERISTICHE DEL CAMPIONE. Emerge una leggera prevalenza di bambini e adolescenti di sesso maschile (50,9% nel primo periodo e 54,7 nel secondo). La classe di età più rappresentata è quella da 0 a 10 anni (62% nel pri- mo periodo e 67,2 nel secondo). Al crescere dell’età del mi- nore, si rileva dunque una diminuzione delle percentuali di richieste di intervento in emergenza. Se nel primo periodo la percentuale di casi relativi a minori stranieri per cui è sta- to richiesto un intervento era circa un quarto del totale (24,9%), da gennaio questa percentuale è aumentata fino a raggiungere circa un terzo del campione totale (27,6). LE PROBLEMATICHE RIFERITE. Nell’analisi della casistica gestita è stata prevista una distinzione tra due macroaree: le emergenze (es. abuso fisico, abuso sessuale, accattonaggio, lavoro minorile, ecc.); le altre problematiche (es. disagio emotivo/psichico, disturbo fisico, difficoltà relazionali, ecc.). La percentuale relativa ai casi di emergenza ha subito un incremento, anche se lieve, nel secondo periodo (54,9% contro 57), laddove è diminuito il numero delle “altre pro- blematiche” (39,5% contro 33,4). Per quanto riguarda la frequenza delle singole tipologie di emergenza, nel 2006 sono stati rilevati valori leggermente più bassi rispetto all’a- buso fisico (6%) e alla trascuratezza (patologia della cura, 6,8), mentre non subiscono cambiamenti significativi le percentuali relative alle altre forme di violenza di cui il bam- bino è vittima diretta (abusi psicologici, 8,4; abusi sessuali, 4) o situazioni di violenza tra adulti di cui bambini e adole- scenti sono testimoni (violenza domestica, 7,5). È evidente come l’estensione a livello nazionale abbia, al contrario, fatto emergere alcune problematiche: in parti- colare, risalta con forza il tema dell’accattonaggio che ca- ratterizza ben il 14,8% degli interventi realizzati. Si regi- stra, inoltre, un incremento nelle segnalazioni di situazioni di emergenze connesse alla scomparsa di minori (3%) e ai comportamenti a rischio/devianti (2,7’). Sia nel primo (58,6%) sia nel secondo periodo (52,3’) di attività del servizio 114, la maggior parte delle situazioni di emergenza sono avvenute in casa, sono cioè di natura in- trafamiliare. Non sorprende quindi che la tipologia del pre- sunto responsabile sia nel 44,3% dei casi la madre e nel 33,4% il padre. Un’elevata percentuale di situazioni si veri- fica però anche per strada (28,3’) e in particolare si tratta di casi di accattonaggio. Il 6,7% delle situazioni segnalate si verifica invece a scuola; questa percentuale potrebbe essere correlata da una parte all’aumento del fenomeno del bulli- smo e dall’altra al fatto che nel 2,9% dei casi è proprio un coetaneo il responsabile della situazione di emergenza. CHI SI RIVOLGE AL 114? È prevalentemente un adulto (96%) a contattare il Servizio: nel 33,3% dei casi chi chia- ma il 114 è la madre o il padre del minore, nel 16,8 è un estraneo e nel 15,9 un vicino di casa. Il servizio telefonico connesso al codice di pubblica emergenza 114, individua- capitolo 2 DEVIANZA, EMERGENZA E DISAGIO 19 to e definito dal decreto interministeriale 14 ottobre 2002, è accessibile da parte di chiunque intenda segnalare situa- zioni di emergenza e disagio, anche derivanti da immagini, messaggi e dialoghi diffusi attraverso mezzi di comunica- zione di massa, che possano nuocere allo sviluppo psico-fi- sico di bambini e adolescenti. Il servizio è accessibile 24 ore su 24, tutti i giorni dell’anno, senza oneri per il chiamante e con addebito della telefonata a carico del servizio univer- sale. È organizzato nella prospettiva di fornire, a chiunque si trovi sul territorio nazionale, assistenza psicologica non- ché consulenza psico-sociale e gli occorrenti collegamenti con le strutture territoriali competenti in ambito sanitario, sociale e di sicurezza (art. 2, decreto 6 agosto 2003). L’operatività del 114 si fonda sulla consapevolezza che la tutela dei bambini e degli adolescenti necessita di interven- ti integrati e di un lavoro sinergico fra i diversi referenti isti- tuzionali, nel rispetto della diversità di ruolo, di funzione e delle metodologie operative. L’efficacia di questi interventi può essere garantita solo se si evitano duplicazioni e so- vrapposizioni, e si riesce a fornire una chiave di lettura esperta dell’emergenza segnalata nonché una gestione in- tegrata del flusso informativo. In questo quadro, sono stati promossi e costruiti dei piani di coordinamento a livello re- gionale di tutti i servizi preposti alla presa in carico del disa- gio e delle emergenze che coinvolgono bambini e adole- scenti italiani e stranieri, con l’obiettivo di creare un effica- ce raccordo delle procedure di intervento e delle politiche necessarie nel superiore interesse dei fanciulli. IL MODELLO DI INTERVENTO DEL 114. Il servizio di rispo- sta telefonica è attualmente gestito da due call center nazio- nali, il primo a Milano e il secondo a Palermo. In ognuno dei call center sono presenti due responsabili di sala opera- tiva, che fungono da supporto agli operatori specializzati e che, oltre a svolgere la funzione di monitoraggio e supervi- sione della gestione dei casi di emergenza, si occupano di garantire un buon livello di comunicazione tra le due cen- trali operative. Nella gestione dei casi è previsto, inoltre, un supporto specifico e specialistico costituito da esperti in va- rie discipline attinenti la cura e la tutela del bambino. Il modello di intervento in emergenza prevede dunque al- cune fasi principali: valutazione della tipologia di emergen- za; valutazione dei fattori di rischio; valutazione dei fattori protettivi, intesi come risorse interne ed esterne al minore; intervento integrato a livello sanitario e/o sociale e/o giuri- dico; follow up dell’intervento effettuato. Nelle procedure operative sono definite le azioni che l’ope- ratore è tenuto a compiere al fine di tutelare un bambino; in particolare, è indicato il percorso attraverso il quale coin- volgere la rete d’intervento per la risoluzione del caso, sia nella fase di emergenza, sia in quella della post emergenza. La creazione, l’implementazione e l’aggiornamento delle procedure operative prevedono un lavoro di approfondi- mento, ricerca e monitoraggio. Le procedure operative vengono aggiornate in base a: specifici accordi/protocolli di intesa tra il 114 e le agenzie delle diverse realtà territoria- li; novità legislative; nuove scoperte scientifiche in relazio- ne alle tipologie di emergenza e di disagio in età infantile/ adolescenziale e all’efficacia degli interventi. Al fine di ope- rare con maggiore tempestività ed efficacia, il Servizio 114 ha anche sviluppato una banca dati elettronica, contenen- te i riferimenti dei principali servizi pubblici, di emergenza e non. In questi tre anni, grazie al lavoro di consulenti, ope- ratori e volontari del servizio civile sono state mappate 14.147 agenzie, con un copertura quasi totale delle realtà sul territorio. Sono inoltre stati mappati: 5.376 Servizi so- ciali comunali; 3.826 agenzie del Servizio sanitario nazio- nale (tra cui 1.756 consultori familiari e 328 servizi ambu- latoriali per l’età evolutiva). LE AGENZIE ATTIVATE DAL 114. Dal 1° gennaio 2006 è sta- to necessario l’intervento delle Forze dell’ordine nel 46,1% dei casi, quindi in misura maggiore che nel primo periodo (35,4). I Servizi sociali del Comune sono stati coinvolti nel 32% delle situazioni segnalate: anche in questo caso si rile- va un aumento rispetto al primo periodo (24,7). È invece diminuito il numero di casi che ha richiesto il coinvolgi- mento delle Asl (da 12,1 al 5% dei casi). L’autorità giudi- ziaria è stata attivata, nel secondo periodo, nell’8,9% dei casi: si è trattato per lo più di segnalazioni alla Procura pres- so il Tribunale per i minorenni (5%). Anche nel secondo periodo, in un’elevata percentuale di casi (58,8) le agenzie del territorio già conoscevano il minore o il suo nucleo fa- miliare. Erano a conoscenza della situazione di disagio pre- valentemente i Servizi sociali del Comune (26,9%), le For- ze dell’ordine (22) e l’autorità giudiziaria (19,7). SCHEDA 10. EMERGENZA E SOCCORSO ALLA POPOLAZIONE: IL RUOLO DELLA PROTEZIONE CIVILE NEL SOSTEGNO A BAMBINI E ADOLESCENTI Il servizio nazionale di Protezione civile rappresenta un si- stema integrato al quale concorrono diversi attori, sia pub- blici sia privati, che agiscono in base al principio di sussi- diarietà, in modo che la responsabilità degli interventi sia affidata, in relazione alla gravità dell’evento e alle capacità locali di farvi fronte, alle istituzioni più vicine alla popola- 20 zione colpita. Nei casi di maggior gravità e/o estensione del- l’emergenza, quando è necessario disporre di poteri e stru- menti straordinari, interviene direttamente il Dipartimen- to di Protezione civile. È coinvolto nel sistema tutta l’orga- nizzazione dello Stato, dal centro alla periferia, dai ministe- ri al più piccolo Comune; la società civile vi partecipa a pie- no titolo, soprattutto attraverso le organizzazioni di volon- tariato. Il Dipartimento della Protezione civile opera anche a livel- lo internazionale. Gli interventi all’estero sono un chiaro segno della solidarietà italiana e della capacità operativa, tecnica ed umana del sistema Italia. In particolare, il Di- partimento della Protezione civile è intervenuto in questi anni in alcune tra le più critiche emergenze internazionali, coordinando aiuti rapidi ed efficienti, ma anche curando la realizzazione di strutture e infrastrutture (case, ponti, scuo- le, ospedali). Dall’intervento a Beslan all’organizzazione del più recente ponte umanitario in Libano, l’attenzione è sempre stata rivolta alle fasce più deboli della popolazione colpita; in particolare i bambini sono stati sempre benefi- ciari diretti e indiretti di interventi rivolti a salvaguardarne e proteggerne l’incolumità psico-fisica. Per ritornare a una condizione di “normalità” ciò che ri- chiede maggior tempo e fatica è l’impegno necessario a rior- ganizzare la rete sociale di una comunità. In questo ambito il Dipartimento della Protezione civile si è spesso adopera- to in una posizione di primo piano per promuovere attività a carattere psico-sociale. Attraverso l’aiuto e il sostegno for- niti, gli adulti possono riacquistare piena fiducia nelle pro- prie competenze di genitori, insegnanti, medici, così da continuare a svolgere un ruolo fondamentale per la cresci- ta del minore. Per questo il Dipartimento interviene, quan- do è possibile, attraverso la formazione di operatori socio- sanitari originari della località colpita, per offrire loro nuo- ve capacità di intervento a sostegno dei giovani. IL TERREMOTO DI BAM. La prima esperienza significativa di coordinamento dei soccorsi in ambito internazionale è stata realizzata nel 2003 nel Sud dell’Iran, quando il 26 di- cembre un terremoto di magnitudo 6,6 ha colpito la pro- vincia di Kerman, radendo al suolo la storica cittadina di Bam. Il Dipartimento della Protezione civile ha predispo- sto in poche ore la partenza di una squadra italiana per ef- fettuare le prime azioni di “search and rescue” sul territorio iraniano. La drammatica situazione della popolazione so- pravvissuta al sisma ha reso immediatamente evidente la necessità di installare un primo presidio medico; 48 ore do- po l’evento è stato allestito un posto medico/chirurgico i cui operatori sanitari si sono trovati a lavorare incessante- mente, soccorrendo le persone che necessitavano di soste- gno e cure mediche. Sono stati inviati sul luogo della trage- dia medicinali, generi alimentari, tende per la predisposi- zione di un ampio campo di accoglienza. Per la popolazio- ne è stato allestito un accampamento di tende, fornito di elettricità e acqua e dotato anche di una tenda adibita a mo- schea per i momenti di preghiera. La missione italiana si è conclusa il 4 gennaio 2004. Dieci giorni che hanno visto operare senza sosta le 57 unità della missione italiana, con cinque voli speciali per il trasporto del personale e del ma- teriale, per un totale di circa 60 tonnellate. L’ATTENTATO TERRORISTICO DI BESLAN. Il 1° settembre 2004 un gruppo di terroristi occupava una scuola nella città di Beslan, Repubblica dell’Ossezia del Nord-Alania, pren- dendo in ostaggio circa 1.200 tra studenti e personale. Il 3 settembre, dopo due giorni di trattative e di assedio delle Forze dell’ordine e dell’esercito governativo, la situazione degenerava provocando un conflitto a fuoco che ha causa- to circa 340 morti, di cui 170 bambini. A seguito dell’ap- pello urgente del governo russo, il Dipartimento della Pro- tezione civile ha disposto, il 4 e il 5 settembre, un primo in- tervento consistente nell’invio dei farmaci e delle attrezza- ture mediche richieste. In Italia, nel frattempo, i gestori del- la telefonia mobile Tim, Vodafone e Wind hanno promos- so una raccolta fondi tramite sms, che in breve tempo ha raccolto circa un milione di euro, subito messi a disposizio- ne del Dipartimento per interventi a favore delle vittime dell’attentato terroristico. Nel mese di ottobre una squadra di specialisti del Dipartimento, composto da medici spe- cializzati in riabilitazione psico-motoria, ingegneri e tecni- ci della logistica, ha raggiunto nuovamente Beslan. Lo sco- po della missione è stato quello di individuare le strutture sanitarie sulle quali intervenire per realizzare uno o più cen- tri per il recupero psico-fisico dei bambini traumatizzati, strutture che mancavano nel territorio oggetto di interven- to. Fino ad oggi (ottobre 2006) sono stati eseguiti i seguen- ti interventi: realizzazione di un laboratorio di diagnostica nell’ospedale di Beslan; realizzazione di un dipartimento per la riabilitazione motoria nell’ospedale di Vladikavkaz, dotato di 30 posti letto, palestre, laboratori e una ludoteca; ristrutturazione del Centro di riabilitazione psicomotoria dell’ospedale pediatrico di Vladikavkaz con 26 posti letto; allestimento di una sala multimediale presso l’università di Vladikavkaz. LO TSUNAMI. L’onda dello tsunami ha colpito un’area co- stiera vastissima. Il paese maggiormente colpito è stato l’In- donesia, con oltre 200mila morti, poi lo Sri Lanka con cir- ca 30mila, quindi l’India con circa 15mila e la Thailandia con 8mila. Si stima che lo tsunami abbia colpito 2 milioni e 540mila persone, mietendo quasi 300mila vittime di cui un terzo bambini. La comunità internazionale si è mobili- tata in una gara di solidarietà che ha visti coinvolti governi, associazioni di volontariato e organizzazioni specializzate nell'intervento di emergenza. In tale contesto un ruolo ri- levante è stato assunto dal governo italiano e in particolare dal Dipartimento della Protezione civile, che ha operato nella fase acuta dell’emergenza alle Maldive, in Sri Lanka e in Thailandia. Nella prima fase il Dipartimento della Protezione civile ha provveduto ad organizzare e coordinare il rimpatrio dei cit- tadini italiani vittime della catastrofe e a fornire assistenza sanitaria in loco. In un secondo momento i nuclei dei Ca- rabinieri del Racis e della Polizia di Stato per diverse setti- mane hanno collaborato con altre équipe internazionali per l’identificazione delle vittime. Una seconda équipe è giunta in Sri Lanka il 27 dicembre e ha avviato interventi sanitari tramite ospedali da campo, a Unawatuna (sud del- l’isola) e a Trincomalee (settore nord-orientale). A partire dalla metà di gennaio l’intervento si è concentrato unica- mente sullo Sri Lanka. Il numero dei trattamenti effettuati dall’inizio delle attività (dal 30 dicembre 2004) ha rag- giunto un totale di 4.716, con una media di 600 visite/gior- no solo nell’ospedale di Trincomalee, realizzate in collabo- razione con i medici locali; la percentuale di pazienti pedia- trici è stata molto alta, pari a quasi il 50% dei casi trattati. Grazie alle donazioni dei cittadini italiani durante i primi giorni dopo l’evento, sono stati raccolti e affidati al Dipar- timento di Protezione civile circa 50 milioni di euro con i quali sono stati effettuati numerosi interventi di ricostru- zione, sia in forma diretta che attraverso ong italiane già operanti sul territorio al momento della catastrofe. EMERGENZA PAKISTAN. L’8 ottobre 2005 una forte scossa di terremoto di magnitudo 7,6 della scala Richter ha colpi- to la regione del Kashmir, al confine tra Pakistan e India. L’epicentro è stato individuato 95 km a nord di Islamabad, più di 73mila sono risultate le vittime in Pakistan, 1.300 in India, oltre 75mila i feriti, quasi 4 milioni gli sfollati, oltre 3,3 milioni i senzatetto. Secondo le stime dell’Unicef il nu- mero di bambini colpiti direttamente o indirettamente dal- le conseguenze del sisma è stato tra 1,6 e 2,2 milioni. Le aree maggiormente colpite sono state localizzate in zone mon- tuose difficilmente raggiungibili. Su iniziativa del governo italiano, il Dipartimento della Protezione civile ha risposto immediatamente coordinan- do gli aiuti dell’intero sistema nazionale. I primi soccorsi sono giunti 48 ore dopo la scossa, inviati dalle strutture di Protezione civile regionali (Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Lombardia, Emilia Romagna e Mar- che). Oltre 10mila edifici scolastici sono risultati distrutti e più di 17mila studenti hanno perso la vita sotto il crollo del- le macerie. In particolare il team del Dipartimento ha indi- viduato con le autorità pakistane la città di Mansehra (a nord di Islamabad, con circa 200mila abitanti) come pro- prio centro di attività. In questa località, dove le vittime del terremoto sono state circa 10mila, la necessità di soccorsi sanitari è stata aggravata dalla presenza di migliaia di sfolla- ti che sono giunti dai vicini villaggi montani alla ricerca di cure mediche. La maggior parte dei pazienti curati nelle pri- me tre settimane di attività dell'ospedale ha rivelato patolo- gie connesse al terremoto; gli interventi affrontati hanno riguardato per lo più traumi degli arti inferiori, superiori e del cranio. Il 30% dei pazienti assistiti sono stati bambini con casi frequenti di infezioni delle alte e basse vie respira- torie. La seconda fase dell’attività sanitaria (a partire dalla terza settimana) è stata caratterizzata da patologie collegate indirettamente al terremoto, tipiche di una popolazione che ha perso i propri punti di riferimento sanitari e sociali. Le prestazioni mediche effettuate dall'équipe tra il 17 otto- bre e il 21 novembre 2005 sono state in totale 19.538, tra interventi interni ed esterni all’ospedale, per un numero complessivo di 463 ricoveri. EMERGENZA LIBANO. A dieci giorni dall’inizio del conflit- to, in Libano avevano perso la vita circa 330 persone, in grande maggioranza civili. Il 23 luglio 2006 è stato aperto un corridoio umanitario: il Dipartimento della Protezione civile ha organizzato e coordinato la prima missione a Bei- rut con aiuti destinati alla popolazione civile “non combat- tente”. Di conseguenza è sbarcata nel porto della capitale libanese una nave con circa cento tonnellate di aiuti, che comprendevano una cucina da campo, 2 ambulanze, 19 generatori per la produzione di corrente elettrica, 7 tende pneumatiche, 8 tonnellate di medicinali e 28 tonnellate di generi alimentari. Il successivo 14 agosto, alle ore 7 locali è scattato il cessate-il-fuoco. In Libano sono risultati circa un milione gli sfollati fuggiti dai villaggi e città bombardate, il 45% dei quali rappresentato da bambini e ragazzi. Le per- sone uccise sono state più di un migliaio, mentre i feriti so- no stati quasi 4mila. Anche la popolazione di Israele è stata colpita: 150 le vittime e circa il doppio i feriti. È stata quindi organizzata la seconda missione umanitaria che ha visto coinvolti, oltre al Dipartimento della Protezio- ne civile e alla Direzione generale della Cooperazione allo sviluppo del ministero degli Affari esteri, anche, in manie- ra consistente, gli assessorati alla Protezione civile e alla Sa- nità di 15 Regioni, incluse le Province autonome di Trento e Bolzano. Questa seconda missione, realizzata tra il 16 e il 19 agosto 2006, ha avuto l’obiettivo di raccogliere beni e donazioni rispondenti alle reali necessità delle vittime, ve- rificate con il governo libanese e le organizzazioni interna- zionali attive in loco. Lo sforzo congiunto ha consentito di raccogliere circa 500 tonnellate di beni di primo soccorso: farmaci, generi alimentari, prodotti e viveri per l’infanzia, materiale igienico, tende, letti e coperte, attrezzature di pronto intervento medico, ambulanze e un piccolo ospe- dale da campo offerto dalla Regione Toscana. 21 22 SCHEDA 11. LA VIOLENZA INTRAFAMILIARE: ESITI PSICOPATOLOGICI NEI BAMBINI Esistono diverse modalità con cui si può manifestare la vio- lenza domestica. In Italia, si è registrato un aumento del nu- mero dei maltrattamenti in famiglia, passati da 3.003 casi nel 1999 a 4.669 nel 2002, delle violazioni degli obblighi di assistenza familiare, aumentate nello stesso periodo da 4.877 a 7.462 casi. Nel solo 2002 i casi di abbandono di minori o incapaci sono stati 498, le violenze sessuali 4.519, gli atti sessuali con minorenne 784. In tema di abuso e mal- trattamento è interessante considerare i dati rilevati da Te- lefono Azzurro in più di 19 anni, attraverso l’operato del Centro nazionale di Ascolto telefonico che, grazie alle due linee dedicate, rappresenta un osservatorio privilegiato del mondo infantile e adolescenziale. Nel periodo compreso fra luglio 1999 e maggio 2006 sono stati gestiti, rispetto a problematiche considerate rilevanti, 31.508 casi. Dall’a- nalisi dei dati emerge uno scenario serio e preoccupante, quello relativo alle situazioni legate a vere e proprie forme di abuso in pregiudizio di minore: il 12,8% delle consulen- ze, infatti, è intervenuto su problematiche di abuso fisico, il 9 per situazioni di abuso psicologico, l’8,1 per condizioni di trascuratezza e il 5,5 per abuso di tipo sessuale. LA VIOLENZA RIVOLTA AI MINORI. Quando si parla di vio- lenza domestica si intende quella agita contro i soggetti più deboli (in genere donne e bambini), dentro o fuori le mura di casa, da una persona intima, partner o genitore o da altri membri del gruppo familiare. La violenza familiare si può manifestare con differenti modalità, con lo scopo di procu- rare danno alla vittima. I fattori che rendono tale danno ir- reversibile sono: la sistematicità e l’essere perpetrati per lun- go tempo; la vicinanza del legame tra la vittima e l’aggres- sore; l’isolamento sociale. Tra le varie forme di violenza ri- volta ai minori sono da citare: il maltrattamento fisico e psi- cologico, la violenza assistita, la patologia della sommini- strazione delle cure e l’abuso sessuale. MALTRATTAMENTO FISICO E PSICOLOGICO. Secondo le li- nee guida della Sinpia - Società italiana di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, il maltrattamento può es- sere suddiviso in: • abuso fisico, quando i genitori o le persone legalmente responsabili del bambino eseguono o permettono che si producano lesioni fisiche, o mettono i bambini in condi- zioni di rischiare lesioni fisiche; • abuso psicologico, che consiste in comportamenti at- tivi od omissivi che vengono agiti individualmente o col- lettivamente da persone che, per particolari caratteristiche (età, cultura, condizione sociale) sono in posizione di pote- re rispetto al bambino. L’abuso psicologico include: gli atti di rifiuto, di terrorismo psicologico, di sfruttamento, di iso- lamento e allontanamento del bambino dal contesto socia- le. Le modalità con cui è possibile maltrattare un minore ed imporgli una qualche forma di violenza psicologica sono molto numerose, tra le quali il ricorso a punizioni eccessi- vamente dure o eccessivamente frequenti; la costrizione a vivere in un contesto di costante osservazione e giudizio; l’impedimento di esprimere determinate emozioni e com- portamenti, come la rabbia ed il pianto; l’esposizione a con- tinue tensioni familiari, caratterizzate da liti verbali e/o fisi- che (non di rado il minore viene investito direttamente o indirettamente del ruolo di pacificatore o risolutore delle liti coniugali). VIOLENZA ASSISTITA. Tra le svariate forme di violenza psi- cologica si annovera anche la “violenza assistita”: quando il minore assiste a scene di violenza fra i genitori, quando è spettatore di aggressioni fisiche o sessuali fra i genitori o fra questi ultimi e un fratello. Il bambino può fare esperienza diretta della violenza intrafamiliare quando avviene nel suo campo percettivo, o indiretta quando è a conoscenza dei conflitti tra i genitori o quando ne percepisce gli effetti. Vi è ancora violenza assistita quando i genitori amplificano i propri stati ansiosi nei figli, esponendoli a situazioni psico- logiche difficili da affrontare, senza curarsi del carico emo- tivo negativo che provocano nei propri bambini. Un particolare aspetto della violenza assistita corrisponde a quelle situazioni, abbastanza frequenti nelle separazioni conflittuali, nelle quali uno od entrambi i genitori espon- gono direttamente o indirettamente il figlio alle reciproche dispute. Nel periodo susseguente la separazione, ha solita- mente parte predominante la ricerca dei due partner di mo- tivi di conferma della propria validità personale, sia nel con- testo sociale e parentale, sia nello stesso ambito delle rela- zioni familiari. In quest’ambito possono essere quindi ac- centuate quelle manovre di “appropriazione” dei figli, at- traverso la seduzione, il ricatto affettivo o la proposta anche implicita di un patto di alleanza reciproca. Nella famiglia che non riesce a mantenersi unita, già molto tempo prima della separazione il figlio si è dovuto adeguare a relazioni fa- miliari caratterizzate da incomprensioni e litigi, che hanno spesso diminuito l’attenzione di ambedue verso di lui e/o condotto ad una sua strumentalizzazione nella controver- sia tra loro. In questa condizione il bambino può aver “im- parato” a vivere accettando quello che gli veniva dato, ma anche sviluppando atteggiamenti attivi, se pur disfunzio- nali per la sua crescita, come la seduzione, la reticenza, la falsa accondiscendenza - a volte anche il ricatto - spesso di- versificati nei confronti dei due genitori. 23 LA PATOLOGIA DELLA SOMMINISTRAZIONE DELLE CURE. Questa tipologia di violenza riguarda quelle condizioni in cui i genitori o le persone legalmente responsabili del bam- bino non provvedono adeguatamente ai suoi bisogni, fisici e psichici, in rapporto al momento evolutivo e all’età. La patologia della somministrazione delle cure comprende pertanto tre categorie cliniche: l’incuria (le cure sono ca- renti); la discuria (le cure vengono fornite ma in modo di- storto); l’ ipercura (le cure sono somministrate in eccesso) che comprende la sindrome di Munchausen per procura (MPS). Si tratta di un disturbo psicopatologico che com- porta un controllo volontario da parte del soggetto che si- mula la malattia, talora con lucida convinzione delirante. Quando queste persone hanno figli, esse possono spostare la loro convinzione di malattia su questi: le storie dei sinto- mi e delle malattie vengono inventate dai genitori (quasi sempre la madre) riferendole ai propri figli, i quali vengono in tal modo sottoposti ad accertamenti clinici inutili e a cu- re inopportune. Forme di abuso simili alla MPS. Le varianti della sindrome sono: • medical shopping per procura: bambini che hanno sof- ferto nei primi anni di vita di una grave malattia e da allora vengono portati dai genitori da un numero spesso elevatis- simo di medici per disturbi di minima entità, in quanto i genitori sembrano percepire lievi patologie come gravi mi- nacce per la vita del bambino. Il disturbo materno è di tipo ansioso-ipocondriaco; accogliendo le ansie e le preoccupa- zioni che la madre proietta sul figlio, è possibile rassicurar- la sullo stato di salute del figlio; • help seeker: il bambino presenta dei sintomi fittizi in- dotti dalla madre, ma la frequenza degli episodi di abuso è bassa e il confronto con il medico spesso la induce a comu- nicare i suoi problemi quali ansia e depressione e ad accet- tare un sostegno psicoterapeutico • abuso chimico/farmacologico: somministrazione di sostanze farmacologiche o chimiche al bambino per deter- minare la sintomatologia e ottenere il ricovero ospedaliero; • sindrome da indennizzo per procura: il bambino pre- senta i sintomi riferiti dai genitori, in situazioni in cui è pre- visto un indennizzo economico. ABUSO SESSUALE.L’abuso sessuale è per la legge una formu- la generica che definisce un comportamento sessuale vio- lento attuato senza il consenso dell’altra persona. Con il ter- mine abuso sessuale all’infanzia si fa comunemente riferi- mento al coinvolgimento in pratiche sessuali di soggetti minori che, per ragioni di immaturità psico-affettiva e per condizioni di dipendenza verso gli adulti, non sono ritenu- ti in grado di poter compiere scelte consapevoli, o di posse- dere un’adeguata consapevolezza del significato e del valo- re delle attività sessuali in cui vengono da altri coinvolti. FATTORI DI RISCHIO CORRELATI ALLA VIOLENZA DOMESTI- CA. In relazione alle caratteristiche individuali, i fattori di rischio che possono favorire la violenza domestica com- prendono la sfera affettiva, un basso livello di autostima, uno scarso controllo degli impulsi e un’eccessiva risposta allo stress. L’uso, l’abuso e la dipendenza da alcool e dalle droghe rappresentano un elemento predisponente la vio- lenza rivolta verso il proprio partner e verso i figli. I fattori ambientali, invece, riguardano il contesto sociale e le carat- teristiche dell’intero sistema familiare. Gli elementi che giocano un ruolo importante sono: la struttura e la dimen- sione della famiglia, le caratteristiche della comunità in cui la famiglia è collocata, quali la povertà e un livello socio- economico basso. Inoltre, possono influire fattori esterni come, per esempio, la disoccupazione di uno o entrambi i genitori o la perdita del lavoro; abitazioni inadeguate e spa- zi ristretti per il numero di persone che vivono all'interno della casa. Da alcuni recenti studi emerge, inoltre, che le fa- miglie che abusano dei loro figli sono spesso caratterizzate da un maggior numero di eventi stressanti, tra cui la morte di un membro della famiglia o di una persona cara. AGGRESSIVITÀ ETERO-DIRETTA. A lungo termine i minori maltrattati e abusati potranno utilizzare la violenza e l’ag- gressività come modalità relazionale ed è possibile che essi sviluppino pattern di attaccamento e modelli operativi in- terni tali da favorire comportamenti che riprodurranno, in età adulta, l’esperienza maltrattante anche nei confronti del proprio partner o dei propri figli. Uno studio condotto da Windom ( 2000) ha dimostrato che il 70% degli individui adulti ha un passato di violenza intrafamiliare. In un altro studio di Windom ( 1989), effettuato tra soggetti arrestati per reati correlati ad episodi di violenza, è emerso che il 21% di loro aveva alle spalle una storia marcata da abusi fisici e sessuali, il 20 da episodi di trascuratezza e il 16 da entram- be le condizioni. La Baldry (2003) ha condotto uno studio su 1.059 giovani romani di età compresa tra gli 8 e i 15 an- ni, mettendo in evidenza la relazione esistente tra il bulli- smo nelle scuole e l’esposizione in età infantile alla violenza domestica. I dati emersi dalla ricerca evidenziano che il 17,4% dei ragazzi ha subìto violenza psicologica o è stato esposto alla violenza fisica tra i genitori. I dati ottenuti dal- le analisi statistiche indicano come il mettere in atto prepo- tenze sia correlato all’essere stato testimone di violenza in- trafamiliare, soprattutto per quello che concerne le forme di bullismo più dirette; infatti, il 60,8% dei bulli ha assisti- to alla violenza tra i genitori, rispetto al 45,7 che ha vissuto in un contesto tranquillo. AGGRESSIVITÀ AUTO-DIRETTA. Attualmente numerose ri- cerche in ambito clinico hanno rivolto l’attenzione verso le condotte autolesionistiche intenzionali; tale fenomeno è 24 in crescente aumento nella popolazione non clinica e tra gli adolescenti, nonostante le indagini epidemiologiche siano attualmente ancora poco numerose. Una percentuale com- presa tra il 50 e il 90% dei soggetti che mettono in atto con- dotte autolesive ha subìto nell’infanzia maltrattamenti di tipo fisico e sessuale. I bambini che hanno subìto abuso fi- niscono per convincersi che esso è una conseguenza di una colpa, che sono stati loro a chiederlo e di conseguenza pos- sono punire il proprio corpo che li ha “traditi” ( Strong, 1998). SCHEDA 12. BAMBINI E TEMPO LIBERO L’ERA DEI “DIVERTIMENTIFICI”. L’elemento che maggior- mente caratterizza il livello di vita dei bambini è l’iperorga- nizzazione del tempo libero. Attraverso questo meccani- smo iperorganizzativo, il tempo istituzionale, dove gli spa- zi e i ruoli sono fissati, sfora nel tempo personale, dove ogni bambino dovrebbe esprimere senza impedimenti la pro- pria soggettività. Siamo nell’epoca in cui tutto è program- mato, organizzato, informatizzato, iperstrutturato, incate- nato. Ai bambini e alle bambine si offrono praticamente ore, giorni, settimane e addirittura mesi ed anni program- mati nei minimi dettagli. I loro iter giornalieri sono prati- camente predefiniti in toto dagli adulti. Non c’è spazio per l’ozio, l’imprevisto, l’auto-organizzazione infantile. Anche gli stessi spazi di gioco sono preorganizzati. Non c’è, da par- te dei bambini e delle bambine, la possibilità di momenti liberi, creativi, autogestiti. FRENESIA ORGANIZZATA: IL TEMPO LIBERO DELL’INFANZIA. I bambini non hanno proprio la possibilità di organizzarsi per conto loro: ogni ora lasciata libera dalla scuola e dai compiti è occupata da una delle molte e possibili attività extrascolastiche. Dall’indagine Doxa Junior, edizione 2004, condotta su un campione statistico di 2.500 ragazzi rappresentativo della popolazione dei minori italiani tra i 5 e i 13 anni, risulta che ogni bambino ha mediamente 4 ore e 37 minuti da destinare al tempo libero. L’attività alla qua- le dedicano più tempo è guardare la tv (29%, pari a circa 1 ora e 20 minuti), seguono il gioco fuori casa (17%, pari a circa 47 minuti) e le uscite (16%, pari a circa 44 minuti). Allo studio è destinato quotidianamente il 15% del tempo libero, circa 41 minuti, mentre al giocare in casa il 12%. Suddividendo quotidianamente l’ammontare delle ore de- dicate all’attività sportiva, essa è praticata per circa 14 mi- nuti al giorno. Il tempo libero dedicato all’uso di videoga- mes e console è il 3%; il rimanente 3% è rivolto equamen- te all’uso del computer, a leggere libri e giornalini. MOLTOTEMPO…POCO LIBERO. Dopo la scuola, in genere, i bambini svolgono una serie di attività che impegnano una buona parte del loro tempo libero; ma gli scopi perseguiti solo a volte sono puramente ludici e più spesso risultano caratterizzati come vere e proprie “costrizioni”, attività per di più frequentemente pilotate dai genitori, assecondate talvolta da proposte extrascolastiche già pre-definite. ANNOIARSI PER ALLENARE LA CREATIVITÀ. I bambini sem- pre più impegnati crescono sempre meno creativi. La con- seguenza non è da poco perché, presi come sono dalle tan- te attività extrascolastiche, i ragazzi di oggi starebbero di- ventando “intolleranti” verso i cosiddetti “tempi morti” della giornata; e non saprebbero più dare spazio alla loro fantasia. L’allarme è stato lanciato da una ricerca inglese, condotta da Teresa Belton dell’East Anglia University, su un campione di 400 temi di fantasia scritti da bambini tra i 10 e gli 11 anni. Secondo questa ricerca, la nemica più te- muta da tutti i genitori, alla prese con figli da impegnare, sarebbe la noia. I ricercatori inglesi confermano invece che ad essa va il merito di far “aguzzare” l’ingegno dei bambini, rendendoli, in questo modo, più creativi e disponibili ad organizzare autonomamente il tempo libero. MA I RAGAZZI ITALIANI, SONO FELICI? Sulla scia di questo interrogativo l’Unicef ha recentemente resi noti i risultati di una ricerca realizzata su bambini e adolescenti dell’Euro- pa e dell’Asia centrale. I risultati rispecchiano le opinioni di oltre 93 milioni di ragazzi, attraverso sondaggi e interviste approfondite condotte in 35 Paesi. Questa ricerca, dal tito- lo Giovani voci, fornisce tra l’altro un inedito ritratto dei punti di vista, degli interessi, delle speranze e dei sogni di bambini e adolescenti. In particolare, analizzando i dati che si riferiscono all’Italia, l’indagine rivela che la maggioranza si sente quasi sempre felice (79%). Ciò che li rende sereni è principalmente il tempo trascorso con amici e familiari. La loro maggiore preoccupazione è naturalmente la scuola, e il 23% vorrebbe migliorare i metodi di insegnamento e il rapporto tra insegnanti e studenti. Per quanto riguarda il rapporto con la famiglia, in generale i bambini e gli adole- scenti italiani vivono in armonia; però, anche in questo ca- so, non mancano dati illuminanti: per esempio, il 25% vor- rebbe essere più considerato nelle decisioni riguardanti il tempo libero. In sostanza, bambini e bambine reclamano maggiori e più qualificati momenti di relazione, nonché maggiore autonomia nell’organizzare e nel gestire più libe- ramente il proprio tempo. 25 SCHEDA 13. LA SECONDA GENERAZIONE: GIOVANI STRANIERI PROTAGONISTI DI NUOVE IDENTITÀ La popolazione straniera residente in Italia al 31 dicembre 2005 è pari a 2.670.514 con un aumento percentuale ri- spetto all’inizio del 2005 dell’11%. Nell’anno scolastico 2005/2006 sono stati 424.683 gli alunni stranieri presenti nelle scuole italiane, con un’incidenza del 4,8% sul totale degli alunni. Per quanto riguarda i Paesi di origine, ai primi posti si trovano Albania (16,3% degli alunni), Marocco (14), Romania (12,4) e Cina (5,2). COSTRUIRE PONTI O ERIGERE MURI? I giovani stranieri si trovano a vivere immersi in continue ambivalenze attraver- sando ogni giorno una pluralità di dimensioni e di riferi- menti culturali. Il discorso del loro benessere/malessere, si concentra molto su quelle che sono le dinamiche identita- rie e di appartenenza che li vede protagonisti nell'essere co- struttori di ponti o di muri. Ponti tra due culture, tra due tradizioni, tra due religioni, oppure barricate difensive o protettive della propria appartenenza reale o immaginaria, in quanto costruita ad hoc per ritrovare saldi ancoraggi identitari e punti di riferimento. Ecco allora il misurarsi con la tradizione, in termini di scel- ta di appartenenza e di identità, nei due fondamentali am- bienti di vita: la famiglia e la società. Ecco che i giovani si incontrano/scontrano con gli adulti e con i coetanei e il rag- giungimento di un equilibrio, cioè quella dimensione che può garantire al ragazzo/a un riconoscimento in famiglia e nella società, non è affatto scontato e soprattutto indolore. Il rapporto con i genitori è un elemento importante per ca- pire la singolarità di questa generazione di giovani figli di migranti, poiché è proprio in famiglia che la gestione plu- rale dei processi di identificazione comincia ad essere mes- sa in atto, ed è sempre in famiglia che questi tentativi pos- sono essere appoggiati o frustrati. Le tradizioni culturali e familiari possono subire interpre- tazioni inedite, in cui i giovani cercano di risolvere le in- compatibilità tra il rispetto di tradizioni antiche e il loro bi- sogno di libertà, un’operazione che per certi versi può esse- re facilitata dal contesto sempre più transnazionale in cui si trovano a vivere. Tutto questo porta a una trasformazione dello scenario delle relazioni familiari che da sempre sono un ambito centrale per la formazione dei processi di identi- ficazione degli adolescenti. Generalmente i giovani cerca- no di recuperare le tradizioni e le appartenenze della cultu- ra di origine reinterpretandole e ricostruendo in esse un senso capace di farli riappropriare delle loro origini, par- tendo però dal contesto in cui vivono ora. LE PROBLEMATICHE LEGATE AL GENERE. Il percepire diver- samente - genitori e figli - non solo la cultura in cui oggi la famiglia è immersa ma anche la cultura di origine, essendo i figli spesso orientati e capaci di una elasticità interpretati- va che non contraddistingue la generazione dei padri, fan- no sì che tra genitori e figli vi sia oltre alla classica distanza generazionale una certa distanza culturale capace di mette- re in crisi i rapporti stessi. Per i figli la negoziazione della li- bertà rimane uno degli aspetti più problematici della con- vivenza con i genitori. L’appartenere o il sentire di apparte- nere alla stessa tradizione culturale non porta infatti neces- sariamente a una condivisione rispetto a ciò che è giusto o sbagliato rispetto al tema della libertà individuale, della li- bertà e uguaglianza di genere, delle regole dell’affettività e della scelta del partner. Tutto questo si evidenzia bene oggi nella vita della seconda generazione che vive in Italia e che sente la necessità di presentare le tradizioni della cultura d’origine attraverso un discorso che le renda utili e compa- tibili con l’autonomia individuale. Le situazioni di conflitto e di tensione sembrano essere maggiormente frequenti tra genitori e figlie, riuscendo me- glio i figli a combinare più facilmente il loro bisogno di li- bertà di adolescenti con il rispetto dei precetti, di volta in volta religiosi, o morali, o con le regole e prescrizioni cultu- rali richieste dai genitori. I rapporti con le figlie adolescen- ti, infatti, sarebbero quelli più a rischio, poiché su di esse si concentrerebbero le maggiori tensioni e i maggiori contra- sti legati alle aspettative sociali e culturali della famiglia, in termini di mantenimento dei ruoli tradizionali. Le princi- pali aree critiche su cui verte il conflitto tra genitori e figli sono: le amicizie; le prime relazioni sentimentali; le diverse concezioni rispetto alle differenza di genere; i gradi di auto- nomia e di libertà che gli uni e gli altri ritengono legittimi avere rispetto all’età; la gestione del tempo extrascolastico; le strategie e i percorsi di inserimento nel nuovo Paese in termini di avvicinamento a valori, comportamenti, prati- che e consumi. LA FUGA DA CASA COME REAZIONE A SOFFERENZE, DISAGI EMOTIVI E ABUSI. Le motivazioni che direttamente spingo- no o indirettamente costringono un minore a fuggire da casa sono generalmente legate a condizioni di disagio so- cio-educativo, a situazioni affettive conflittuali, a condizio- ni familiari conflittuali, a un desiderio di affermazione del- la propria identità. Le fughe da casa da parte di adolescen- ti, pur trattandosi spesso di fughe dimostrative o comun- que temporanee, rappresentano un fenomeno rilevante e in crescita all’interno delle problematicità dell’età evoluti- va. La fuga da casa risulta essere un gesto frequente tra i mi- nori stranieri, generalmente sono adolescenti maschi (per lo più del Nord-Africa) e femmine (in prevalenza dell’Afri- 26 ca subsahariana, del Sud America, della Romania, vi sono però anche casi che riguardano ragazze del Marocco) che utilizzano la fuga come ultimo mezzo a loro disposizione per esprimere una sofferenza, un disagio relazionale vissuto in ambito familiare. Le principali motivazioni riportate dai minori stranieri co- me scatenanti la fuga da casa sono: paura della reazione ge- nitoriale rispetto ad un esito scolastico negativo; ribellione rispetto a differenze educative in riferimento al genere; rea- zione ad atti di abuso fisico (percosse) o psicologico (urla, minacce verbali) perpetrati da uno o entrambi i genitori; imposizione di vincoli e di pratiche legate alla religione e al- la cultura di appartenenza non condivise dai figli; reazioni a proibizioni legate alla frequentazione di giovani fidanza- ti/e italiani/e; reazione alla minaccia di essere riportati nel Paese d’origine rispetto al quale il minore sente un senso di appartenenza inferiore in rapporto a quello sperimentato nei confronti del contesto culturale in cui vive e si è inseri- to. Nella grande maggioranza dei casi i genitori risultano avere scarsa consapevolezza del disagio e della sofferenza che hanno spinto i loro figli alla fuga. In queste situazioni si evidenzia la difficoltà dei genitori a immedesimarsi nei figli in relazione alle loro essere “tra due mondi”. IL GRUPPO DEI PARI. I bambini e i giovani stranieri possono vivere con maggiore difficoltà la relazione con i coetanei, l’inserimento all’interno del gruppo dei pari può essere più complicato a causa di un bagaglio di tradizioni, abitudini, giochi, gesti, espressioni linguistiche diverse. In tali situa- zioni, in cui la difficoltà relazionale si basa su una diversità somatica, etnica, religiosa, culturale, linguistica, ecc., rara- mente i minori riescono a individuare la famiglia e i geni- tori come risorsa, per diverse ragioni. Alcuni ragazzi tendo- no a non coinvolgere le famiglie d’origine per evitare di preoccupare o di far soffrire i genitori, già gravati da un dif- ficile percorso di inserimento nel Paese di accoglienza; o perché sono proprio loro “la diversità” che li separa dai compagni; altri ancora non comunicano ai genitori la si- tuazione per una ragione molto diversa, poiché attribui- scono proprio a loro la colpa delle difficoltà e delle soffe- renze. Vi possano essere un rifiuto e una negazione totale della propria origine o, al contrario, un recupero e una va- lorizzazione della propria appartenenza decidendo però di vivere esclusivamente nell’ambito della comunità di origi- ne. Un’altra decisione “drastica” è quella di fare parte del- l’universo dei “diversi”, decidendo di legarsi esclusivamen- te a ragazzi/e stranieri, non necessariamente della propria origine, dove il legame non è dato dall’appartenere a una determinata cultura ma piuttosto il non appartenere alla cultura di maggioranza. A volte vi è, invece, l’avvicinamen- to a ragazzi italiani o stranieri che condividono l’essere ai margini o l’essere diversi dagli altri: tale vicinanza dà ai ra- gazzi la possibilità di condividere gli stessi vissuti di isola- mento e di sostenersi reciprocamente, aumentando, però, la distanza che li separa dal resto del gruppo, esasperando così la situazione di emarginazione. QUANTI BAMBINI… Due miliardi e 181 milioni (il 36% della popolazione) sono i bambini che popolano il nostro pianeta; ogni anno ne nascono 132 milioni. Su 100 bam- bini, 53 sono nati in Asia e di essi 19 in India e in Cina, 19 in Africa, 9 in America Latina, 7 in Medio Oriente e Nord- Africa, 5 nell’Europa dell’Est, 7 nei Paesi industrializzati. Ed ancora, su 100 bambini nati, 40 non saranno registrati alla nascita, 19 non avranno mai accesso all’acqua potabile, 30 soffriranno di malnutrizione, 20 non saranno mai vac- cinati, 17 non andranno mai a scuola, e 1 bambino su 5 sarà costretto a lavorare (Unicef, 2006). IL TRAFFICO DEI MINORI - VERSO LA PREVENZIONE. Secon- do lo United States Federal Bureau of Investigation, il traf- fico di esseri umani genera un profitto di circa 9,5 miliardi di dollari l’anno. Il numero stimato delle vittime in tutto il mondo va, a seconda delle fonti e delle definizioni, dai 700mila ai quasi tre milioni. La Commissione Europea ri- tiene che 120mila persone vittime della tratta siano intro- dotte illegalmente in Europa occidentale ogni anno, men- tre 170mila sono trafficate dall’ex Unione Sovietica e dal- l’Europa orientale e centrale. Nel nostro Paese si calcolano 2.500 nuove vittime del traf- fico di esseri umani nel 2005. L’Italia, Paese di destinazione e di transito per uomini, donne e bambini comprati e ven- duti a scopo di sfruttamento sessuale e lavorativo, ha una numero di vittime originarie dell’Albania e della Nigeria che è diminuito nel 2005, mentre è aumentato il numero di vittime provenienti dalla Romania, dalla Bulgaria, dal- l’Ucraina e dalla Moldavia. Tra le altre zone di origine delle vittime figurano la Russia, l’Africa orientale e settentriona- le, la Cina e l’America del Sud. SFRUTTAMENTO DEL LAVORO. Il rapporto The end of child labour 2006: within reach (ILO) sostiene che siamo di fron- te ad una considerevole riduzione del lavoro minorile in di- verse parti del mondo.Le stime sono presentate nei termini di tre categorie: bambini economicamente attivi, lavoro SCHEDA 14. LO SFRUTTAMENTO E LA TRATTA DEI MINORI 27 minorile, lavoro minorile pericoloso. Sono circa 317 mi- lioni i bambini economicamente attivi con un’età compre- sa tra 5 e 17 anni nel 2004, di cui 217,7 milioni sono lavo- ratori coinvolti nel lavoro minorile nel mondo. Di questi 126,3 milioni lavorano nelle peggiori forme di lavoro mi- norile. Tra i minori di età compresa tra 5 e 14 anni i bambi- ni economicamente attivi sono circa 191 milioni, 166 mi- lioni i lavoratori minori, e 74 milioni coloro che hanno im- pieghi pericolosi. Il numero di lavoratori minori in ambe- due le classi di età 5-14 e 5-17 scende dell’11% negli ultimi quattro anni (2000-2004). Il calo maggiore riguarda i la- vori minorili pericolosi: il 26% per la classe di età 5-17 e il 33% per la classe di età 5-14. I progressi più evidenti sono stati registrati in America Latina e Caraibi, Paesi che negli ultimi quattro anni hanno ridotto di due terzi il numero di giovani lavoratori (i minori economicamente attivi sono passati da 17,4 a 5,7 milioni). In Brasile sono 2,2 milioni i minori lavoratori che hanno un’età compresa tra 5 e 14 anni (6,8%). Le differenze sono tuttavia importanti tra maschi e femmine. Mentre i maschi sono maggiormente inseriti nel settore agricolo (63,6%), le femmine sono più presenti nei settori dei servizi (43). In diversi paesi dell’America Latina il tempo dedicato ai lavo- ri domestici è molto significativo nell’orario giornaliero dei minori. Con 122,3 milioni di minori in età compresa tra i 5 e i 14 anni, economicamente attivi, l’Asia e il Pacifico rappresen- tano le aree geografiche con il più alto numero di minori la- voratori nel mondo; nonostante la diminuzione registrata nell’arco temporale che va dal 2000 al 2004, la presenza delle varie forme peggiori di sfruttamento minorile (il traf- fico di minori, lo sfruttamento nel commercio sessuale, la schiavitù per debiti, il lavoro minorile domestico, il lavoro minorile pericoloso ed il reclutamento e l’utilizzo di mino- ri per i conflitti armati e il traffico di droga) rende più grave la situazione. L’Africa subsahariana con 49,3 milioni di minori econo- micamente attivi ha la più grande proporzione di minori lavoratori in generale, con 26 minori lavoratori ogni 100; la situazione economica è disastrosa (il 44% dei residenti vive con meno di un euro al giorno). Il lavoro minorile è considerato la norma, e i conflitti armati, che vedono la par- tecipazione dei bambini-soldato, sono ritenuti fonte di so- stentamento. L’Hiv, diffuso in percentuali sconcertanti, ha creato milioni di orfani costretti a lavorare per sopravvive- re, e ha obbligato milioni di altri bambini a lavorare per mantenere i genitori in fin di vita. Solo nello Zambia, uno studio condotto nel 2002 da ricercatori indipendenti, è giunto alla conclusione che l’Aids ha fatto crescere il lavoro minorile del 30%. Il gruppo di regioni che comprende i Paesi industrializzati e i Paesi con economie in transizione, il Medio Oriente e l’Africa del Nord, raggiunge 13,4 milio- ni di minori economicamente attivi. In Italia i minori tra i 7 e i 14 anni che sono sfruttati sul posto di lavoro sono 31.500 (Istat, 2002): di questi, il 50% lavora al’'interno del- le imprese di famiglia, il 32% ha un impiego stagionale e il 18% si occupa di attività più rischiose. ACCATTONAGGIO. È difficile produrre una stima sul nume- ro di minorenni nomadi coinvolti nell’accattonaggio. Se- condo alcuni autori, dei circa 15mila minori rom presenti in Italia gran parte sperimenta (o ha sperimentato in passa- to) questo tipo di attività (Caritas 2003). IL TRAFFICO DEI MINORI MIGRANTI A SCOPO DI SFRUTTA- MENTO SESSUALE. Il fenomeno, che ha visto nei primi anni 90 la presenza prevalente di giovani e giovanissime donne albanesi e nigeriane, è stato successivamente caratterizzato dai flussi provenienti dalla Russia e dall’Ucraina nella se- conda metà degli anni 90, dalla Moldavia negli anni 2000 e 2001, dalla Romania negli ultimi anni. La prostituzione minorile femminile rappresenta una componente impor- tante del fenomeno prostituivo (circa il 10%). La prostitu- zione minorile maschile è un fenomeno diffuso, ma spesso ignorato. Si riscontra soprattutto nelle aree urbane di città grandi e medie. La fascia di età più interessata è quella dai 13 ai 17 anni, e si tratta in particolare di ragazzi rumeni, spesso di origine rom, e in misura minore provenienti dal Maghreb, dai Balcani e dall’Albania. Sono state riscontra- te, inoltre, correlazioni della prostituzione esercitata da mi- nori maschi con attività di accattonaggio e di microcrimi- nalità (Unicef-Caritas, 2006). TURISMO SESSUALE. Sono più di 3 milioni i minori sfrut- tati sessualmente nel mondo. In alcuni Paesi, la prostitu- zione minorile rientra in quell’attività nota come turismo sessuale. L’Italia è al primo posto in Brasile (80mila italiani ogni anno) tra i Paesi europei, nel praticare turismo sessua- le (Segreteria del Turismo del Rio Grande do Norte, 2006). Sono oltre 500mila i minori coinvolti - la maggior parte di sesso femminile - nel turismo sessuale in Brasile, e sono cir- ca 700mila i turisti europei che ogni anno sbarcano nel pae- se (Centro documentazione dell’Eurispes, 2005). Negli ultimi anni le donne italiane rappresentano dal 3 al 5% dei turisti in cerca di sesso ( Eurispes, 2005). Per lo più single e neodivorziate, scelgono mete come Gambia, Sene- gal, Marocco, Kenya, oltre a Cuba e Giamaica. Anche l’età media del turista sessuale, che fino a qualche anno fa si ag- girava attorno ai 40 anni, oggi si sta abbassando molto gra- zie soprattutto ai voli low cost che consentono ai più giova- ni di raggiungere facilmente mete esotiche dove l’offerta è altissima. Il turismo sessuale è un fenomeno che sta assu- mendo caratteristiche e proporzioni che vanno ben oltre le relazioni, seppur a pagamento, tra gli avventurieri occiden- 28 tali e le bellezze del posto. Quello con cui dobbiamo con- frontarci è un vero e proprio sistema di sfruttamento della prostituzione, che spesso ha anche qualche legittimazione para-legale. Un fenomeno che assume connotati ancora più gravi quando le vittime di questa nuova schiavitù sono minori, che spesso sono venduti dalle famiglie più indigen- ti, con il beneplacito delle autorità che chiudono un occhio pur di veder triplicare il numero di turisti che raggiungono il proprio Paese. È il caso della Thailandia, che insieme ad altri Paesi partecipa a un sistema di criminalità organizzata che ha un fatturato di 5 miliardi di dollari l’anno e che coin- volge milioni di donne e bambini in tutto il mondo. E che grazie alle nuove tecnologie alimenta un giro d’affari che va ben oltre il luogo fisico dove la violenza è commessa, ma si riproduce in maniera esponenziale, attraverso siti Internet, filmati, fotografie. In India, grazie alla mancata applicazione della legge che reprime il turismo sessuale, si assiste all’aumento del turi- smo pedofilo. A denunciarlo è un rapporto dell’Istituto di Scienze sociali indiano che rivela che ogni anno sono oltre 44mila le denunce di scomparsa di minori (solo di 11mila si torna ad avere notizie). La città di Goa, che ha avuto un particolare sviluppo dopo la demolizione del quartiere a lu- ci rosse, è un mercato del sesso con minori che rispondono al mito popolare che avere rapporti con “vergini” curereb- be l’Hiv e altre malattie a trasmissione sessuale. Ogni bam- bino (“lamani”) con un’età tra gli 8 e i 12 anni viene acqui- stato dai trafficanti a 30mila rupie (500 euro), e poi viene affittato per mille/duemila dollari al mese. Il mercato della prostituzione in India supera i 370 miliardi di rupie l’anno. IL PARTITO DEI PEDOFILI. Nato recentemente in Olanda, si chiama Nvd - Charity, Freedom and Diversity (Amore del prossimo, libertà e diversità) ed è la prima organizzazio- ne politica con un programma di «liberazione pornopedo- fila» che si presenta sul panorama europeo. Sebbene siano numerose le organizzazioni più o meno note che promuo- vono in varie forme, anche in rete, «il diritto del minore a scegliere la propria sessualità», quella olandese appare co- me la prima organizzazione politica che, stando alle dichia- razioni rilasciate dai suoi leaders, intende fare della rivendi- cazione pedofila un’attività a largo raggio. Il movimento chiede: l’abbassamento della soglia dell’età del consenso (il limite per la liceità dei rapporti sessuali tra adulti e adole- scenti dovrebbe essere abbassato dai 16 anni ai 12 anni), e poi gradualmente l’abolizione; la depenalizzazione per la diffusione e il possesso di materiale pedopornografico; con- sentire la partecipazione dei giovanissimi ai film ad alto contenuto erotico. Il tribunale de L’Aja (luglio 2006) ha respinto il ricorso di alcune associazioni che chiedevano la chiusura immediata del partito Nvd. Secondo la Corte, il partito ha la possibi- lità di esistere in virtù del diritto di parola e di associazione, universalmente riconosciuti e garantiti. PROSTITUZIONE SACRA.Nella regione del lago Volta esisto- no le trokosi, donne, ma più spesso bambine di 4 o 5 anni che vengono portate ai santuari del dio Tro, una delle divi- nità del sistema religioso vudù, per espiare colpe commes- se dalla famiglia, anche in un lontano passato: debiti, omi- cidi, furti, etc. Le trokosi passano tutta la loro vita nei san- tuari, a lavorare i campi dei sacerdoti del dio Tro e quando diventano più grandi ne diventano le concubine. La vita delle trokosi è un’esistenza di stenti: non possono cibarsi di quello che coltivano, vengono picchiate e possono ricon- quistare la libertà solo in tarda età. Si conta che siano circa 10/20mila le trokosi in Ghana, ma ve ne sono anche in To- go e in Benin. In Nepal invece è diffusa la deukis; in questo caso per espiare le colpe dei propri membri, le famiglie ric- che possono comprare le ragazze povere da offrire al tem- pio. Queste ragazze diventano mogli delle divinità o ven- gono avviate alla prostituzione. Secondo le Nazioni Unite, nel 1992 c’erano circa 17mila deukis in Nepal. LA “BANCA DEGLI ORGANI”. Le storie di rapimenti si susse- guono da anni. I trapianti ormai sono sempre più sicuri, grazie anche al farmaco cyclosporina. Il governo cinese dal 1984, immediatamente dopo che la cyclosporina era di- sponibile, ha preparato un documento intitolato Regole concernenti l’utilizzazione del cadavere o degli organi dei con- dannati a morte. Questa legge stabiliva che gli organi dei condannati a morte potevano essere usati per il trapianto se il prigioniero era d’accordo, se la famiglia era d’accordo e se nessuno reclamava il corpo; e il tutto doveva essere condot- to nella totale segretezza; in tal modo non sarebbe stata no- ta né la destinazione dell’organo, né i nomi dei chirurghi che partecipavano all’operazione. Nel 2006 il timore che le condanne capitali venissero eseguite solo quando si mani- festava la richiesta di organi è diventata una realtà. Questa è la denuncia della Bts, la Società britannica per i trapianti. Sui siti web dei centri di trapianto cinese viene garantito il rapido reperimento di organi. «Fornitori di visceri possono essere trovati subito!», questa è la promessa del sito. Il costo per un trapianto di un rene è di 62mila dollari Usa, per uno di cuore 140mila. «La rapidità con cui vengono trovati i do- natori fa pensare che i detenuti siano selezionati per l’ese- cuzione» ( Centro documentazione dell'Eurispes, 2005). Recentemente l’inchiesta Ladri di bambini a Baghdad (set- tembre 2006), per il canale news della Rai, ha portato alla luce il commercio di organi soprattutto nella capitale ira- chena; secondo le ong locali, sono almeno 5 i bambini che spariscono ogni settimana. «A due ragazzi iracheni, di soli 10 e 11 anni, sono stati prelevati i reni. (…) Ad un bambi- no sono stati prelevati gli occhi, (…) per far andare in por- 29 to un’operazione del genere necessariamente vi è coinvolto uno specialista (…)» ( A. Tarik, Indipendent Iraqi Women Organization). Secondo alcuni ricercatori locali, i bambini iracheni sono venduti anche in Europa, in particolare in Olanda e in Gran Bretagna, attraverso i Paesi limitrofi ed esistono organizzazioni internazionali che operano in col- laborazione con basisti locali. MATRIMONIO PRECOCE O FORZATO. “L’acquisto della spo- sa” è una pratica tradizionale in alcuni Paesi. Spesso troppo giovane per opporsi al matrimonio combinato, la ragazza diviene proprietà della famiglia del marito. Se diventa ve- dova, viene ereditata come qualsiasi altra proprietà (“levi- rato”) dal più vicino parente maschio della famiglia ed è co- stretta ad un nuovo matrimonio. BAMBINISOLDATO.Sono almeno 300mila (Ilo, Oim, 2006) i bambini e i ragazzi che combattono nelle tante guerre del mondo. Centinaia di migliaia sono invece quelli che pos- sono essere arruolati in ogni momento negli eserciti regola- ri o nelle file di qualche gruppo armato. La maggior parte di questi soldati bambini ha tra i 15 e i 18 anni, ma nume- rosi sono quelli di età inferiore (10-14 anni). In alcuni casi i ragazzi aderiscono come volontari ai conflitti: la maggior parte lo fa per sopravvivenza. Nella Repubblica democrati- ca del Congo, nel 1997, tra i 4mila e i 5mila adolescenti hanno aderito all'invito di arruolarsi, pubblicizzato attra- verso la radio. La fine della guerra in Afghanistan, Angola e Sierra Leone ha portato alla smobilitazione di 40mila bam- bini, ma oltre 25mila sono stati coinvolti nei conflitti in Costa D’Avorio e Sudan. In Colombia il reclutamento dei minori di 18 anni nell’esercito nazionale è terminato nel 1999 ed è proibito per legge. Ma l’arruolamento da parte dei gruppi armati illegali continua; sono circa 7mila i bam- bini soldato colombiani, la maggior parte ha tra i 15 e i 17 anni. Altri 7mila, invece, fanno parte delle milizie urbane legate ai diversi gruppi e operano in clandestinità. I conflit- ti armati hanno un impatto anche sullo sfruttamento ses- suale dei bambini. Le ragazze non accompagnate sono spes- so catturate da militari che le utilizzano come lavoratrici coatte o come soldati o “mogli”. Le aggressioni sessuali, usa- te come arma di guerra contro donne e bambini, sono sta- te 25mila nel Congo Orientale. Si ritiene che in Sierra Leo- ne circa 10mila ragazze siano state rapite, per lo più in aree rurali, per servire il Fronte Unito Rivoluzionario (Unicef, 2003). In Liberia uno studio recente ha scoperto che bam- bine di soli 10 anni venivano sfruttate sessualmente dai sol- dati nelle basi militari. TRE VULNERABILITÀ: MINORI, MIGRANTI, NON ACCOMPA- GNATI. L'Italia è il Paese europeo che ha il maggior numero di minori non accompagnati: alla fine del 2005 erano 6.500. Un dato che, secondo la denuncia delle associazio- ni, sottostima il reale numero delle presenze, perché la mag- giore rigidità della legge Bossi-Fini induce a permanere in uno stato di clandestinità. La regione con il maggior nu- mero di presenze è la Lombardia (1.347), seguita dal Lazio (913). La maggior parte dei minori (80%) registrati è di ses- so maschile. Quanto all’età, da una rilevazione del 2004 ri- sultava la prevalenza di adolescenti tra i 15 e i 17 anni ri- spetto a quelli della fascia di età tra gli 11 e i 14 anni (circa un quinto). La Romania è il primo Paese di provenienza (37,2%), seguono il Marocco (20,1) e l’Albania (16,8) (Rapporto Unicef-Caritas 2006 ). SCHEDA 15. QUANDO UN MINORE SCOMPARE: PREVENZIONE ED EDUCAZIONE ALLA SICUREZZA LE DIMENSIONI DEL FENOMENO. Dai dati del Department of Justice’s Office of Juvenile Justice and Delinquency Pre- vention degli Stati Uniti emerge che nel solo 1999 è stata segnalata la scomparsa di 797.500 bambini: di questi 203.900 sono stati sottratti da un familiare e 58.200 da un soggetto estraneo alla famiglia; 115 i bambini vittime di ra- pimenti protratti nel tempo, che hanno subito violenze o non sono sopravvissuti. Secondo il Centro europeo per i bambini scomparsi e sfrut- tati a scopo sessuale, nel 2005 sono stati 2.438 i nuovi casi di bambini scomparsi o sfruttati sessualmente; il 7% in più rispetto al 2004. Più della metà dei nuovi casi erano ancora irrisolti al 31 dicembre dello scorso anno. Infatti, il 42,4% dei dossier aperti riguarda bambini scomparsi, ben il 36,4% bambini scappati volontariamente da casa. Nel 12,8% dei casi, poi, i piccoli scomparsi sono rapiti da un familiare, mentre nel 7,1% si tratta di rapimenti a scopo di sfruttamento sessuale. Solo nello 0,9% dei casi a rapire il piccolo è una “terza persona”, estranea all’ambiente dome- stico. MINORI SCOMPARSI IN ITALIA. Ogni anno, in Italia, le For- ze dell’ordine avviano circa 3mila ricerche di minori scom- parsi. Anche se questa cifra, nel giro di un anno, si riduce di oltre l’80%, il fenomeno è socialmente rilevante ed anche difficile da classificare. Un minore, infatti, può “scompari- re” per tutta una serie di motivi: dal rapimento vero e pro- prio (stranger kidnapping/non family abduction), alla sot- trazione attuata da un familiare (parental abduction), alla fuga volontaria (runaway).Così, il concetto di “scomparsa” comprende tutte quelle situazioni in cui si perdono le trac- ce di un minore, indipendentemente dalle cause, volonta- rie o meno, del suo allontanamento. La fascia più consistente di minori da rintracciare è quella dai 15 ai 18 anni, che per lo più si allontanano volontaria- mente dal loro domicilio. Nel 2004 se ne contavano 843 stranieri e 147 italiani; nel 2005 il loro numero è aumenta- to a 957 per i primi e 208 per i secondi. Al 10 aprile 2006 i minori scomparsi sono 292 (203 stranieri, 89 italiani). Ci sono tuttavia rilevanti differenze quantitative e di moti- vazioni della scomparsa tra i minori stranieri e quelli italia- ni. Per quanto riguarda i minori stranieri si tratta soprat- tutto di minori di sesso maschile giunti in Italia al seguito di flussi migratori clandestini e spesso affidati dai Tribuna- li per i minorenni ad istituti di accoglienza o di assistenza, da cui si allontanano volontariamente rendendosi irreperi- bili. Per quel che riguarda i minori italiani, invece, nella maggior parte dei casi si tratta di minori di sesso femmini- le che si allontanano volontariamente dal proprio domici- lio per seri motivi di disadattamento all’ambiente o per gra- vi dissidi con i familiari. Tra gli 11 e i 14 anni i minori scomparsi sono stati 413 nel 2004 (330 stranieri e 83 italiani); 430 nel 2005 (341 stra- nieri e 89 italiani) e 143 al 10 aprile 2006, di cui 114 stra- nieri e 29 italiani. La classe d’età più a rischio, quella fino ai 10 anni, ha fatto registrare la scomparsa nel 2004 di 94 stra- nieri e 61 italiani; nel 2005 178 stranieri e 80 italiani, men- tre al 10 aprile del 2006, 68 stranieri e 26 italiani. Molto spesso però la sottrazione di minori avviene da parte di uno dei coniugi (separato o in via di separazione conflittuale) ai danni del genitore affidatario o si verificano casi in cui en- trambi i genitori si rendono irreperibili con il minore che il Tribunale per i minorenni aveva affidato ad appositi istitu- ti di accoglienza o ad altre famiglie. KIDNAPPINGS: FALSI MITI E LUOGO COMUNE DELLO “STRANGER DANGER”. Quando si pensa al “rapimento di un bambino”, solitamente ci si immagina un soggetto lo- sco che in un luogo isolato della città afferra un bambino e lo porta via. In realtà, questa forma di sottrazione risulta es- sere la meno frequente: la maggior parte delle scomparse, infatti, avvengono ad opera di persone che, in qualche mo- do, sono già conosciute dai bambini. Lo dimostrano i dati diffusi dalla Direzione centrale della Polizia criminale: lo sconosciuto che rapisce un bambino rappresenta solo il 17,5% dei casi (www.bambini scom- parsi.it), ovvero una minima percentuale del fenomeno. La medesima tendenza si riscontra nei dati, relativi al 2005, del Centro europeo per i bambini scomparsi e abusati ses- sualmente secondo i quali solo nello 0,9% dei casi a rapire il bambino è una persona estranea alla famiglia. Anche i da- ti statunitensi confermano questo trend: secondo le analisi del National Incident-Based Reporting System (Federal Bureau of Investigation, 1997), all’interno di un campione di 1.214 minori scomparsi, le sottrazioni da parte di uno dei due genitori (parental abduction) riguardavano il 49% dei casi, quelle ad opera di soggetti non appartenenti alla famiglia ma conosciuti (non family abduction) rappresen- tavano il 27% dei casi, mentre solo nel 24% dei casi i rapi- tori erano sconosciuti (stranger kidnappings). Come nel caso degli abusi sessuali, anche in quello della scomparsa la maggior parte degli autori sono in qualche modo conosciuti dai bambini: appartengono alla famiglia, la frequentano o sono presenti in uno dei luoghi frequenta- ti dal bambino (scuola, luoghi del divertimento, luoghi del- lo sport, etc.). Anche per quanto riguarda i motivi della scomparsa è necessario sgomberare il campo da alcuni luo- ghi comuni. Secondo quanto riferito dalla Polizia criminale, infatti, è da escludere che i bambini italiani siano vittime di organizza- zioni che trafficano organi. Allo stesso modo, sempre la Po- lizia criminale esclude che minorenni italiani siano vittime di tratta, essendo l’Italia solo un Paese di transito. LE LINEE TELEFONICHE: UN AIUTO NELLA PREVENZIONE E NELL’INTERVENTO. Le ricerche di un bambino scomparso prendono il via con l’inserimento del nominativo del mi- nore nello schedario «Fatti e denunce» della Banca dati In- terforze e sono estese a tutti i Paesi aderenti all’accordo di Schengen. Qualora ci siano fondati motivi di ritenere che il minore possa trovarsi in altri Paesi, viene allertata l’Inter- pol. Contemporaneamente sono avvertiti tutti gli uffici delle Forze di polizia territoriali. L’intera procedura è inte- grata dall’attività investigativa, svolta sotto la direzione del- l’autorità giudiziaria. Data l’importanza di questi obiettivi, in molte realtà euro- pee si sono diffuse organizzazioni e helplines. Un numero breve, gratuito, disponibile 24 ore su 24, 7 giorni su 7 può essere utile per raccogliere le segnalazioni relative alla scom- parsa di un minore e attivare tempestivamente tutti gli at- tori utili alla risoluzione del caso, a cominciare dalle Forze dell’ordine e dall’autorità giudiziaria, per arrivare ai media, ai servizi sul territorio, alle associazioni che operano per la tutela dei diritti dei bambini. Attraverso una linea telefoni- ca, poi, è possibile offrire consulenza legale o psicologica, a seconda del caso, sostenendo le famiglie in difficoltà. Una helpline può anche sollecitare la collaborazione degli orga- ni mediatici (attraverso spot televisivi, on line e su carta stampata) o distribuire volantini con dati e foto del minore scomparso. Al fine di valorizzare il tema dei minori scomparsi e favori- re un maggior coordinamento - e dunque una maggiore 30 31 I minori autori di reato segnalati all’autorità giudiziaria, nell’Italia del 2005, sono più di 20mila, per la maggioran- za maschi ed italiani. Il Rapporto 2005 sullo stato della sicu- rezza del nostro Paese segnala che, anche se di poco, la pre- senza dei minori fra i denunciati totali, in questi ultimi an- ni è in crescita. Infatti, se si confronta l’arco temporale lu- glio 1997-giugno 2001 con il successivo arco temporale lu- glio 2001-giugno 2005, l’incidenza dei minori denunciati in rapporto alla totalità dei soggetti denunciati è aumenta- ta dal 2,7% del primo periodo (82.176 minori) al 3,1% del secondo (84.283 minori). I reati predatori, cioè gli scippi, i borseggi, le rapine, i furti in abitazione o di autovetture e motocicli, che in media co- stituiscono il 43% dei reati totali, hanno registrato un’inci- denza, nel periodo 2001-2005, di autori minorenni del 10,8%, con un aumento del 2% rispetto al quadriennio precedente. In particolare nei due quadrienni considerati risultano in aumento i furti e le rapine, rispettivamente +1,4 e +41,6%. Per ciò che invece riguarda i minori de- nunciati alle Forze dell'ordine per reati connessi all’uso o allo spaccio di droga, questi riguardano il 7% del totale dei denunciati nel quadriennio 2001-2005 per un totale di 6.375 giovani, con una diminuzione dell’8,1% (562 unità) rispetto ai quattro anni precedenti. La percentuale di mi- nori denunciati per reati di estorsione rimane invece stabi- le al 3,5% delle denunce totali. La percentuale dei minori denunciati per omicidio non risulta incidere in maniera consistente sul totale delle denunce: 65 casi su 84.283, ma si segnala una crescita del 3% degli omicidi volontari nel- l’ultimo quadriennio. Un aumento percentuale consistente riguarda invece le de- nunce di minori autori di lesioni dolose. Tra il 2001 e il 2005, questo delitto riguarda il 4,9% del totale delle de- nunce a carico di minorenni, ma la percentuale di aumen- to nei confronti del quadriennio precedente è notevole: il 60,4%, passando quindi da 2.584 a 4.146 minori denun- ciati. LA SITUAZIONE EUROPEA. Nel 2001 nel nostro Paese è sta- to registrato un numero elevato di persone denunciate, ter- za al di sotto di Germania e Francia, seguita da vicino da Finlandia e Regno Unito. Per quel che riguarda i minori de- nunciati, la percentuale di incidenza sul totale, posiziona l’Italia quasi ultima nella graduatoria con una percentuale del 2,5%, seconda solo al Portogallo. I Paesi europei con la più forte incidenza percentuale dei minori sul totale delle denunce sono la Svezia, con un pesantissimo 28%, insie- me al Regno Unito e alla Francia, rispettivamente a quota 24 e 21%, per cui quasi un denunciato ogni quattro risulta essere un minore. L’Italia comunque sta seguendo un trend di crescita, seppur lieve, che vede dei cambiamenti nello specifico ambito della tipologia di crimine, per cui i delitti commessi dai giovani vanno assumendo le caratteristiche dei crimini commessi dagli adulti. INGRESSI NEI CENTRI DI PRIMA ACCOGLIENZA. Negli ulti- mi dieci anni si evidenzia una diminuzione degli ingressi di soggetti minori (-520) con una diminuzione percentuale di ragazzi italiani, dal 46% del 1995 al 42 del 2005, ed un relativo aumento degli stranieri, dal 54% al 58. Analizzan- do gli ultimi due anni, il 2005 vede una diminuzione, per quanto riguarda gli ingressi di minori italiani, del 3% circa rispetto al 2004, mentre la componente degli stranieri ha fatto registrare una riduzione più marcata, intorno al 7. Rispetto al genere, vi è una netta differenza che vede per i minori italiani la quasi totalità dei casi al maschile (95% dei maschi contro il 5 delle femmine), mentre per gli stranieri c’è un distacco minore: 67% maschi e 33% femmine. Nel complesso vi è una netta maggioranza di maschi sulle fem- mine (79% per i primi, 21 per le seconde), con il 91% di straniere sul totale delle femmine minori che hanno fatto ingresso nei Cpa. La variante età vede al 2005 la prevalenza di ingressi a carico di diciassettenni (34%), seguiti dai sedi- cenni (26). Rimane comunque difficile il controllo dell’età dei minori stranieri poiché non possiedono documenti che ne certificano l’età e non sono accompagnati da adulti. Ele- vata è la percentuale delle minori straniere che ha o che di- chiara meno di 14 anni, quindi non imputabili, unico ran- ge di età nel quale prevalgono le femmine (239 contro 142 maschi). Nel 2005, il 93% (3.406 soggetti) dei minori che ha fatto ingresso in un Cpa è stato sottoposto ad arresto; 167 mino- ri sono stati fermati (5%) e 82 accompagnati (2%). È a Ro- ma che si è registrato nel 2005 il maggior numero di in- gressi con il 31% del totale complessivo (1.124 ingressi). Seguono Milano e Napoli con rispettivamente 366 e 363 SCHEDA 16. MINORI AUTORI DI REATO condivisione di pratiche, strategie d’azione e dati - fra i Pae- si dell’Unione europea, la stessa Commissione europea ha accolto positivamente la proposta (avanzata da diverse as- sociazioni tra le quali Telefono Azzurro) di istituire un nu- mero unico di Emergenza infanzia a livello europeo che, al- meno inizialmente, recepirà solo le segnalazioni di casi di bambini scomparsi e vittime di abuso/sfruttamento ses- suale. 32 ingressi e i Centri di prima accoglienza di Torino (249), Fi- renze (223), Catania (199), Genova e Treviso (entrambe 149) e Bologna (118). Il Cpa di Potenza è all’ultimo posto con soli 6 ingressi (di cui 3 ragazzi italiani e 3 stranieri). In particolare, nei Cpa del Sud e delle Isole hanno una netta prevalenza le presenze di minori italiani, mentre al Centro e soprattutto al Nord prevalgono in buona misura gli stra- nieri. I reati commessi dai minori in ingresso ai Centri di Prima Accoglienza sono per la maggior parte reati contro il patrimonio - furto, rapina, estorsione, danneggiamento e ricettazione - (70,6%); in seconda misura vi entrano per violazione della legge sugli stupefacenti (18,7), per reati contro la persona (4) e, in pochi casi, per reati contro la fa- miglia (0,2). Nel 69% dei casi i minori autori di reato che escono dai Cpa dovranno seguire delle misure cautelari. Questa misura vie- ne applicata più per gli italiani che per gli stranieri, rispetti- vamente per l’83% dei primi contro il 60 dei secondi. Al- l’interno delle misure cautelari il metodo più utilizzato è quello della custodia, seguono l’inserimento in comunità e la permanenza a casa. Per gli stranieri viene maggiormente applicata la custodia cautelare (44% dei casi), mentre per i minori del nostro Paese vengono applicate il più delle volte (31%) misure non detentive, come la permanenza a casa. Gli Istituti penali per minori. In Italia, le carceri minorili sono 17 e le più popolate sono quelle di Roma e Milano, seguite da Torino, Nisida (Na), Bologna, Bari e Catania. La presenza media giornaliera dei giovani negli istituti è dimi- nuita nel 2005 del 4% rispetto all’anno precedente. Nel- l’arco di dieci anni (1995-2005) si è verificata una sostan- ziale inversione di tendenza: mentre è nettamente dimi- nuita la presenza media giornaliera dei minori italiani negli Ipm, quella degli stranieri ha registrato un aumento co- stante negli anni. Le ragazze detenute sono l’11% dei dete- nuti complessivi nel 2005, con una presenza media giorna- liera negli istituti di 54,1 giorni, contro i 422,8 giorni dei ragazzi. Inoltre, si registra una diminuzione dei detenuti provenienti da Serbia, Montenegro, Albania e Croazia, mentre aumentano quelli provenienti dalla Romania. La maggior parte dei ragazzi detenuti (il 55%) è in attesa di giudizio, mentre il 32% ha ricevuto una condanna ed è in esecuzione di pena. Il restante 13% è rappresentato da ap- pellanti e ricorrenti. Tra coloro che sono in attesa di giudi- zio, si trova un maggior numero di italiani rispetto agli stra- nieri, con una presenza media giornaliera di 92,3 giorni per i primi e 59,9 per i secondi. Per gli italiani l’età media degli utenti è pari a 17,9 anni, ma occorre considerare che nel 53% dei casi si tratta di “giova- ni adulti”, soggetti, cioè, autori di reato da minorenni, che sconteranno la pena in istituto fino ai 21 anni di età. Per gli stranieri invece l’età media di utenza si abbassa ai 17 anni. I tipi di reato per cui questi minori si trovano nel carcere so- no soprattutto quelli contro il patrimonio. Nel 2005 erano detenuti 57 ragazzi, di cui 40 italiani e 17 stranieri, per rea- ti contro la persona (omicidi, violenze sessuali, tratta di per- sone e prostituzione); 270 per reati contro il patrimonio, di cui 105 italiani e 165 stranieri; 97 per violazione della leg- ge sugli stupefacenti, di cui 58 stranieri e 39 italiani. GLI UFFICI DI SERVIZIO SOCIALE PER I MINORENNI. A diffe- renza delle altre istituzioni, dove la presenza degli immigra- ti e quella degli italiani è abbastanza simile, per gli Ussm si nota una netta prevalenza dell’utenza di minori italiani, sia per coloro che sono segnalati da parte dell’autorità giudi- ziaria, sia per quelli presi in carico dall’ufficio. Nel 2005 i minori italiani segnalati sono il 67%, con una diminuzio- ne del 6% rispetto al 2004, gli stranieri il 19% e i nomadi il 14. Similmente vi è una netta prevalenza dei minori italia- ni presi in carico dall’ufficio, dove il 75% è popolato da ra- gazzi del nostro Paese, il 17 da stranieri e l’8 da nomadi. LE COMUNITÀ. Qui vengono accolti i giovani che hanno in corso un procedimento penale. Gli ingressi in questi ul- timi anni sono cresciuti vistosamente: dagli 834 ragazzi del 1998 (di cui 630 italiani) si è passati ai 1.926 del 2005. La presenza media giornaliera è aumentata dai 173 giorni del 1998 ai 470 giorni del 2005. La classe di età che maggior- mente usufruisce di questa sistemazione sono i ragazzi dai 16 ai 17 anni, con 1.214 collocamenti al 2005. Di questi 653 sono italiani, 488 stranieri e 73 nomadi, con una net- ta prevalenza di maschi. La maggior parte dei minori italia- ni che si trovano in Comunità hanno commesso reati con- tro il patrimonio (663 ragazzi su un totale di 1.335 nel 2005), insieme ai minori stranieri, confermando i trend già individuati dai dati degli altri istituti. Per i reati perpetrati contro la persona sono in comunità 216 ragazzi e 448 per aver violato la legge sugli stupefacenti. È interessante notare che, pur non essendo la Comunità un luogo chiuso e restrittivo, i movimenti di uscita arbitraria sono significativi. Nel 2005, infatti, per ogni 100 colloca- menti sono stati calcolati 35 allontanamenti arbitrari, i quali nella maggior parte dei casi hanno riguardato noma- di e stranieri; allo stesso tempo gli italiani sono coloro che in misura maggiore rientrano spontaneamente. I nomadi e gli stranieri popolano maggiormente le Comu- nità del Centro e del Nord Italia, e i minori italiani per lo più quelle del Sud del nostro Paese. Infatti, nel 2005 sul to- tale di 1.135 ingressi nelle Comunità del Centro e del Nord, 871 sono stati di stranieri e di nomadi, 264 di italia- ni; valori che si ribaltano se si considera la situazione degli ingressi nelle Comunità del Sud Italia e delle Isole: sul tota- le di 791 solo 87 ingressi hanno riguardato stranieri e no- madi. 33 QUALI MINORI E QUALI REATI. All’interno del mondo dei minori autori di reato si muovono differenti realtà: ad esempio, i gruppi di ragazzi organizzati per colpire i propri coetanei con lo scopo di scipparli dei cellulari, ed i capan- nelli di ragazzi che eseguono furti ai turisti nei centri storici delle città, sotto il comando e il controllo di adulti, non so- no evidentemente la stessa cosa. Nel primo caso, infatti, i soggetti sono autori coscienti delle loro azioni, intenziona- ti a compiere un danno a persone o cose, e il fenomeno è definito come bullismo o delle baby-gang. Nel secondo ca- so, invece, sono ragazzi indotti a compiere reato, spesso co- stretti a dover consegnare al proprio capo una somma di denaro o un bottino stabiliti. BULLISMO. Quando le azioni intenzionali di prepotenza e prevaricazione, di vessazioni e di maltrattamenti hanno co- me scenario la scuola, il fenomeno prende il nome di bulli- smo, dall’inglese bullying. L’associazione Telefono Azzurro è stata fra le prime nel nostro Paese ad occuparsi del mondo dell’infanzia e dei minori, e su questo fenomeno in partico- lare ha redatto un quaderno da diffondere nelle scuole al fi- ne di informare i giovani alunni, i loro insegnanti e le fami- glie sul fenomeno del bullismo, per combatterlo e preve- nirlo. Una caratteristica fondamentale del bullismo è il suo inscenarsi durante un lungo spazio di tempo, cioè non es- sere un singolo episodio di violenza, fisica o verbale, ma un’azione che si protrae con frequenza lungo il periodo sco- lastico. Da qui la definizione del bullismo come mobbing in età evolutiva. L’azione di bullismo è intenzionale, cioè messa in atto ap- positamente dal bullo per provocare sofferenza e disagio al- la vittima, la quale non riesce a difendersi e subisce le an- gherie del dominante. In questo rapporto asimmetrico di prevaricazione del forte sul debole si innesca anche il grup- po che spesso fa da spalla al bullo, contribuisce alla forma- zione e al mantenimento dei ruoli delle due figure e spesso partecipa ad azioni di violenza, anche solo con il silenzio. In particolare, il bullismo può essere: • diretto verbale quando consiste nell’insultare e scher- nire le vittime, offenderle con prese in giro umilianti o raz- ziste; • diretto fisico se si passa alle mani, con schiaffi, calci, ti- rate di capelli e graffi, appropriazione o danneggiamento di oggetti • indiretto quando assume modalità meno palesi, agen- do sul piano psicologico e manifestandosi nell’escludere le vittime dal gruppo amicale, isolandole, emarginandole e colpendole nella dignità, ad esempio, mettendo in circolo voci false su di esse. Il primo e il secondo tipo di bullismo, quello delle prepo- tenze dirette, fisiche e verbali, appartiene soprattutto ai ma- schi e si rivolge indifferentemente ai ragazzi o alle ragazze; mentre gli episodi di violenza psicologici, subdoli, meno palesi, propri del bullismo indiretto, sono messi in atto con maggiore frequenza dalle femmine verso le stesse coetanee. BABY-GANG. Quando il bullismo esce dalle pareti scolasti- che e si organizza in bande giovanili dove il bullo diviene un capo, un leader seguito da compagni che lo appoggiano in scorribande di quartiere e vere e proprie azioni crimina- li, si è di fronte a quelle che sono definite la baby-gang, sem- pre più numerose nelle grandi metropoli e nelle loro peri- ferie. I reati sono generalmente lo scippo, la rapina, il con- sumo e lo spaccio di sostanze stupefacenti, atti di pestaggio contro bande rivali per difendere il controllo della propria zona di azione generalmente un quartiere , violenze verso i più deboli e stupri. Il fenomeno si è affermato inizialmente nel Centro-Nord dell’Italia, dove ad essere implicati sono maggiormente ra- gazzi stranieri e nomadi, che compiono per lo più reati co- me il consumo e lo spaccio di droga e furti. Diffusosi poi rapidamente anche nel Meridione, il fenomeno ha coin- volto in larga maggioranza giovani residenti nei quartieri “difficili” dei centri urbani, già sfruttati dalla malavita orga- nizzata locale. In confronto ai compagni delle baby-gang del Nord, i giovani criminali del Sud si macchiano di reati spesso più gravi, fra cui violenze sessuali sulle ragazze di bande rivali e omicidi a scopo di rapina e di estorsione. 34 capitolo 3 LA SALUTE SCHEDA 17. BIOETICA DELL’ASSISTENZA ALLA NASCITA Il comportamento del bambino dipende molto da come viene accolto e “allevato” fino dai primi attimi della sua esi- stenza embrionaria. Gravidanza, parto, post partum e puerperio divengono così un tutto unitario guidato dalla équipe ginecologo-pediatrica durante tutto questo perio- do. Équipe medica unitaria, che si serve di altre figure pro- fessionali: dalla/o psicologa/o alla/o psichiatra, dalla oste- trica all’anestesista per affrontare il problema dal punto di vista bioetica, che considera la persona umana in senso “so- listico”, in cui natura e cultura si fondono. Questo in linea con la prima definizione di “bioetica”, termine usato per la prima volta da Van Resselaur Potter (1970): «Ho scelto la radice “bio” per rappresentare la conoscenza biologica; la scienza del sistema dei viventi (“bios” come “vita” nell’anti- co greco), ed “etica” per rappresentare la conoscenza del “si- stema dei valori umani”». Medici, quotidianamente impegnati ad accogliere la vita nascente e a promuoverne la qualità in questa fase così de- licata, aiutando nello stesso tempo la madre e la coppia a superare i rischi fisici e psichici legati ancor oggi a questo evento, si trovano spesso a dover scegliere, tra diverse possi- bili azioni mediche, quella che, rispetto alle altre, possa pro- durre maggiori conseguenze positive e a dare quindi con- creti giudizi etici. Azioni che dovrebbero anche essere (pro- prio per il “principio di autonomia”) ritenute le più idonee anche dalla gestante, sempre più spesso chiamata a dare un consenso sulle scelte operate dai medici. La tentazione però è che ci si limiti alla pura deontologia, o peggio, non si sviluppi la riflessione etica attraverso conce- zioni antropologiche che tengano conto del valore della persona, limitando tutto ad una visione tecnico-sperimen- tale dell’arte medica. La scelta del ginecologo consiste per- ciò spesso, non solo nel cercare la “soluzione migliore”, ma quella del “minor male”, quella che produca minori danni (secondo il principio della “non maleficenza”). La caratteristica di questa professione è poi tale che decisio- ni di questo genere non sono limitate a rare occasioni, ma presenti nella prassi quotidiana; decisioni che spesso vanno prese in pochi istanti, richiedendo immediate soluzioni. Forse per questa ragione scattano spesso, ed in maniera cre- scente, problematiche legali in sala parto. L’eccessivo ricor- so alla legge ha inoltre determinato l’insorgere di criteri di “medicina difensiva”, che fanno porre al medico non la do- manda «qual è la migliore decisione da assumere secondo la mia scienza e coscienza?», ma piuttosto «qual è la decisio- ne che apparirà migliore a chi giudicherà il mio operato?». La spesa per l’assicurazione contro possibili danni profes- sionali in ostetricia ha, infatti, oggi raggiunto cifre tali da provocare in molti Paesi la caduta delle iscrizioni alla spe- cialità. Il fenomeno è già evidente negli Stati Uniti (per eser- citare la professione di ginecologo a Miami si pagano 147mila dollari all’anno di assicurazione), ma anche in Eu- ropa si assiste oggi ad un allontanamento dei ginecologi dalla sala parto. Si comprende quanto alta sia quindi l’esigenza da parte del- l’ostetricia moderna di approfondire criteri etici generali da applicare alle scelte quotidiane, che non è più possibile basare solo sulle sole proprie “virtù”, ma su “principi” il più universalmente accettabili. In mancanza di criteri univoci, infatti, le scelte etiche sono spesso guidate da valutazioni medico-legali e non dal criterio della responsabilità. La caduta del “paternalismo medico” ha inoltre determina- to in molti ginecologi la convinzione che non sia più loro la responsabilità di dover decidere quale sia “il bene del pa- ziente” (ritenendo che ciò non rientri nelle proprie “virtù” e “funzioni”), fino a non ritenere che sia un ruolo essenzia- le del medico acquisire le competenze necessarie per com- prendere i reali bisogni della gestante. Il rispetto della “au- tonomia” della gestante e la promozione del “protagoni- smo della coppia”, pur essendo principi su cui dovrebbe ba- sarsi una moderna assistenza alla nascita tesa all’“umaniz- zazione” dell’evento parto non escludono il dovere di pren- dere decisioni responsabili “secondo scienza e coscienza” . La persuasione occulta, dettata da “mercato e moda” attra- verso i mass media, che spesso riflettono ideologie e cultu- re dominanti, influenza poi notevolmente sia paziente che medico, il quale deve però avere la capacità di applicare alle proprie scelte rigorosi criteri di una medicina “basata sul- l’evidenza”. Il principio utilitarista che ritiene unico fine del vivere «pro- var piacere ed evitare il dolore», con il conseguente invito a scegliere da parte del medico quella azione «che, rispetto ad altre, produce il maggior numero di conseguenze positive, o meglio, che produce rispetto ad altre la maggior felicità complessiva» ( Sala, 2003), non è forse di difficile applica- zione alle scelte da effettuarsi in sala parto? Anche quando però non vi sia conflittualità fra diverse istanze etiche, esiste il pericolo che il pluralismo culturale porti ad un relativi- 35 smo etico, che neghi l’esistenza di universali valori di riferi- mento. Il riferimento ad un’antropologia basata sul perso- nalismo, che veda l’unità natura-cultura, corpo-spirito, può però essere di grande aiuto nelle scelte di queste figure professionali. Ma non tutti condividono questa istanza. Prendendo in considerazione il discusso problema dell’ec- cessivo ricorso al taglio cesareo, in particolare nel nostro Paese, emerge come vi sia un’indicazione in rapida crescita, quella del cesareo per scelta della paziente. Le ricerche su questo tema si sono moltiplicate, ma soprat- tutto è aumentato in tutto il mondo il ricorso al taglio cesa- reo per esplicita volontà della paziente e senza indicazioni mediche. Ancora una volta una prassi basata su scelte di ti- po utilitaristico, talora guidata dal mercato, supera il rigore scientifico della “evidence based medicine”, dando più spa- zio alla “narrative based medicine”, che cerca di compren- dere in modo empatico i bisogni di salute del singolo pa- ziente, interrogandosi non solo sui fatti fisiologici e patolo- gici della sua esistenza, ma su come la gestante li ha vissuti e li vive. Il punto è che molto spesso il medico, su tale argomento, agisce secondo criteri basati su opinioni personali piuttosto che sull’evidenza scientifica. Un dato su cui riflettere è che nel Regno Unito la maggior parte dei ginecologi sceglie per sé o per la propria compagna il taglio cesareo elettivo, senza altra indicazione (Barret, 2005), mentre per la paziente in- siste nel consigliare il parto per via vaginale, ricorrendo spesso all’uso di ossitocici e di forcipe o vacuum. Al di là quindi delle linee guida, è la scelta etica basata su un colloquio profondo ed esauriente che guida la decisione cli- nica. Questa sarà possibile se gravidanza, parto, post par- tum e puerperio saranno sotto la responsabilità di una stes- sa équipe ostetrica e si cessi presto di “piombare nei centri nascita”, avendo fatto altrove la preparazione alla nascita e alla genitorialità ed essendo state seguite in gravidanza se- condo linee guida diverse da quelle usate dalla équipe che segue il parto. Mai come oggi un’etica basata sulla compe- tenza esige in bioetica non solo una aggiornata conoscenza di tecniche e un rinnovato patrimonio culturale sulla fisio- patologia e sulla clinica, ma anche una capacità pedagogica di organizzare il proprio progetto di educazione perma- nente. Per il docente, o il tutor (mentor) è poi necessaria una specifica competenza per aiutare a “crescere e cambia- re” le persone affidategli. Esiste quindi un “principio di competenza”, che obbliga ciascun medico non solo a cono- scere (saper fare), ma anche a saper imparare ad agire e a sce- gliere quale sia il miglior atto medico. La “bioetica dell’assi- stenza alla nascita” deve affrontare il tema delle strutture operative e della formazione e ruolo del personale. Il medi- co tende a fuggire dal lungo e gravoso impegno di seguire travaglio e parto, in cui ha il difficile compito non solo di fare diagnosi precoce di qualsiasi distocia, ma anche di pre- vedere un aumentato rischio materno o fetale che giustifi- chi un suo pronto intervento. Ne è derivato che l’assistenza a gravidanza, parto e puerperio fisiologico finisce per essere trascurata. Questo è uno dei più gravi problemi della moderna ostetri- cia, soprattutto in Italia. Non è possibile infatti che uno spe- cialista in ostetricia sia incapace di counselling nei corsi di preparazione al parto, ma soprattutto che non sia capace di seguire autonomamente un travaglio e un parto fisiologi- co. Oggi si deve essere medici della persona, profondi co- noscitori della fisiologia e della psicologia umana, atti a pre- venire e “prendersi cura” (to care) oltre che “curare” (to cu- re). Si può discutere fino a che punto il medico debba esse- re il solo “regista” responsabile del parto, oppure “attore” nella sua assistenza. Certamente è responsabile della presa in carico della gestante dalla visita preconfezionale fino al puerperio. Il medico deve preparare la donna al protagoni- smo della coppia, facendo fede al principio dell’autonomia. SCHEDA 18. BAMBINI E ADOLESCENTI IN SITUAZIONI DI DISASTRO: SONO EFFICACI GLI INTERVENTI DI SALUTE MENTALE? LA METODOLOGIA DELLA RICERCA IN SITUAZIONI DI DISA- STRO. La ricerca nell’ambito dei disastri si caratterizza per una prevalenza di studi sui disastri naturali (55%), realizza- ti per lo più negli Stati Uniti (52%), su campioni di sogget- ti adulti (70%), sebbene la maggior parte dei disastri av- vengano proprio nei Paesi in via di sviluppo. I campioni di bambini appaiono sottorappresentati: solo il 18% dei cam- pioni in caso di disastri naturali, l’11% in caso di disastri tecnologici e il 15% degli studi sulla violenza di massa. Per quanto concerne la metodologia della ricerca, solo in uno studio su cinque il campionamento è stato condotto con la tecnica dell’assegnazione casuale: nel 31% dei casi, ovvero la moda, il campionamento è stato di convenienza (conve- nience sample). La numerosità campionaria mostra una notevole variabilità: approssimativamente un campione su tre è composto da meno di 100 soggetti, uno su quattro da più di 400. Gli studi che coinvolgono bambini e adole- scenti, forse perché condotti nelle scuole, presentano gene- ralmente campioni molto numerosi (mille). Il 72% degli studi presenta un disegno cross-sectional, os- sia dispone di un solo assessment successivo al disastro. So- lo nel 28% dei casi sono stati effettuati due o più assessment (longitudinal design) e solo nel 4,4% dei casi sono disponi- bili valutazioni precedenti al disastro (pre-post design): po- chissimi studi longitudinali e pre-post sono stati condotti nei Paesi in via di sviluppo. Gli studi pre-post, rispetto a quelli solo post, sembrano inoltre caratterizzati da una mi- nore severità negli effetti riscontrati sulla popolazione. Nel 61% dei casi, il primo assessment è stato realizzato entro sei mesi dal disastro: il timing di questa prima valutazione, tut- tavia, non sembra influenzare la severità degli effetti osser- vati. Quando si analizzano le conseguenze di un evento trauma- tico su una popolazione è evidente l’interazione di un ele- vato numero di variabili, di ordine biologico, psicologico e ambientale. Soggetti esposti ad un medesimo evento pos- sono rispondere in modi del tutto differenti: se alcuni mo- strano una straordinaria capacità di resistere alle avversità, altri testimoniano come un evento traumatico possa in- fluenzare profondamente la vita di un essere umano, con- dizionandone lo sviluppo, la strutturazione della persona- lità, l’acquisizione delle competenze cognitive ed emozio- nali, il funzionamento relazionale, l’adattamento e la salu- te mentale più generalmente intesi. In alcuni Paesi occidentali, come gli Stati Uniti, vi è un si- gnificativo investimento nella ricerca: non solo è ricono- sciuta la necessità di interventi di salute mentale in contesti caratterizzati da grandi emergenze, ma si promuovono una specifica formazione e uno specifico addestramento su questi aspetti, nella consapevolezza dei molti risvolti etici e metodologici. Purtroppo, non si può dire lo stesso per l’I- talia che, nonostante una diffusa attrazione per il concetto di trauma e per le sue ripercussioni sulla salute mentale de- gli individui, manca ancora di un serio impegno nella ri- cerca e nel confronto a livello internazionale. Negli ultimi anni abbiamo assistito al fiorire di iniziative e congressi, al- la nascita di scuole e corsi di perfezionamento, alla costitu- zione di innumerevoli gruppi e associazioni di psichiatri e psicologi esperti dell'emergenza. Il terremoto che nel 1998 ha colpito le Marche e l’Umbria, l’incidente nell’aeroporto di Linate nel 2001, il terremoto del Molise nel 2002, gli in- terventi realizzati in Italia e all’estero sulle vittime dello tsu- nami nel 2004, testimoniano l’interesse per il tema e per gli interventi in questo settore, ma anche - troppo spesso - il persistere di approcci pionieristici e per lo più privi di un fondamento scientifico. STUDI CONTROLLATI. Uno dei primi studi controllati in quest’ambito è stato realizzato da Galante & Foa ( 1986), in una popolazione di bambini esposti al terremoto che ha colpito il Sud dell’Italia nel 1984. I ricercatori hanno ana- lizzato la sintomatologia presente in 300 vittime del terre- moto, residenti in sei diversi paesi e dimostrato l’efficacia di interventi di gruppo realizzati nelle scuole. Grazie ad un gruppo di controllo composto da bambini che non erano stati sottoposti al trattamento, è stata verificata l’ipotesi che un trattamento cognitivo comportamentale di sette incon- tri mensili fosse efficace nel ridurre le paure nella popola- zione infantile: il paese nel quale venne realizzato il tratta- mento presentò, infatti, significative riduzioni nella sinto- matologia. In un altro studio, Goenjian e collaboratori ( 2005, 1997) hanno valutato l’efficacia di un intervento di psicoterapia focalizzata sul trauma e sul lutto (trauma/grief-focused psy- chotherapy) in un campione di adolescenti che a seguito al terremoto armeno del 1988 avevano sviluppato sintomi di Ptsd e depressione. Diciotto mesi dopo il disastro, 64 prea- dolescenti (età media, 11-12 anni) avevano preso parte al- l’intervento: 35 erano stati sottoposti al trattamento e 29 avevano costituito il gruppo di controllo, non sottoposto al trattamento. Dopo altri 18 mesi (tre anni dopo il disastro) gli adolescenti erano stati rivalutati sulla sintomatologia del Ptsd e della depressione. La psicoterapia focalizzata sul trau- ma e sul lutto includeva: ricostruzione e rielaborazione del- l’evento traumatico, con una particolare attenzione ai sin- tomi di evitamento e maladattivi, conseguenza di distor- sioni e attribuzioni errate; identificazione dei reminders traumatici, promozione nei giovani di capacità di tolleran- za e ricerca di supporto sociale durante e dopo la loro com- parsa; capacità di far fronte allo stress e alle avversità, inco- raggiando l’utilizzo di comportamenti pro-attivi nella ge- stione dei cambiamenti e delle perdite causati dal disastro; gestione del lutto; valutazione dell’impatto evolutivo del disastro e promozione dei normali compiti evolutivi. Un terzo studio controllato è stato realizzato da Laor e col- laboratori (Wolmer et al., 2005; Laor et al., 2002) su un campione di bambini vittime del terremoto in Turchia del 1999, che aveva causato 18mila morti. Tre anni dopo il ter- remoto un gruppo di bambini sopravvissuti ha preso parte ad un programma di intervento realizzato nelle scuole da- gli insegnanti, opportunamente formati da un gruppo di esperti di salute mentale. Dopo l’intervento di Class Reac- tivation Program, la severità della sintomatologia si era si- gnificativamente ridotta, mentre erano aumentate le com- petenze relazionali osservate dagli insegnanti. STUDI CONTROLLATI RANDOMIZZATI.Al momento attuale in letteratura sono presenti solo tre studi randomizzati con- trollati di interventi rivolti a popolazioni di bambini e ado- lescenti esposti a disastri. Nel primo, Chemtob, Nakashima & Hamada ( 1996) due anni dopo l’uragano Iniki hanno analizzato gli effetti di un trattamento psico-sociale sulla sintomatologia post trau- matica in un campione di bambini delle scuole elementari dell’isola di Kauai. Nel secondo studio clinico randomizza- to (Chemtob, Nakashima & Carlson, 2002) sono stati ana- 36 37 SCHEDA 19. DISTURBI DELL’ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ IN EPOCA PRECOCE IL DDAI - DISTURBO DA DEFICIT DI ATTENZIONE E IPERAT- TIVITÀ. Il Ddai è una condizione che si caratterizza per la presenza di iperattività e/o impulsività e/o persistenti diffi- coltà di attenzione; per poter parlare di Ddai è necessario che i sintomi si manifestino prima dei sette anni di vita e siano presenti in diversi contesti. I sintomi di disattenzio- ne, iperattività e impulsività devono essere presenti da al- meno sei mesi e non devono essere la conseguenza di altri disturbi, quali quelli dell’umore, l’ansia, etc. I bambini con Ddai non sono semplicemente vivaci o po- co interessati alla scuola, ma la sintomatologia influisce in modo importante nella vita quotidiana del bambino, nella possibilità di apprendere e nelle relazioni sociali con coeta- nei e non. I gravi disordini dell’attenzione possono avere conseguenze piuttosto serie per i bambini, le loro famiglie e la società. I bambini potrebbero sviluppare un’autostima limitata, problemi emotivi e sociali e il loro rendimento scolastico potrebbe essere seriamente pregiudicato. Diversi autori sono concordi nell’affermare l’esistenza di una di- stribuzione continuativa del disturbo dalla prima infanzia all’età adulta, anche se il rapporto tra i tre sintomi basilari (inattenzione, impulsività, iperattività) cambia significati- vamente nel tempo e cambia la correlazione con i disturbi associati. I sintomi necessari per formulare una diagnosi di Ddai so- no estremamente aspecifici e comuni a molti disturbi psi- copatologici in età evolutiva e questo è motivo di qualche confusione diagnostica, confusione che porta ad una non sempre facile distinzione tra reale comorbilità (fino al 60% dei casi) e “semplice” sovrapposizione di sintomi. È noto che il Ddai è un disturbo che, generalmente, si manifesta in età evolutiva, ma è meno noto a che età si possa formulare una diagnosi e, soprattutto, quali siano i precursori clinici di questo disturbo. Le influenze genetiche nel Ddai sono considerate forti: vie- ne infatti riportata una ereditarietà tra il 70 e il 90%. Valo- ri così elevati di ereditarietà sono da attribuire alla estrema variabilità di presentazione del disturbo e, di conseguenza, alla forte eterogeneità delle popolazioni esaminate. Allo sta- to attuale delle conoscenze sembrerebbe che la genetica in- fluenzi il tratto e non la malattia. Sono stati ipotizzati più fattori genetici (recettori della dopamina, trasporto mole- colare della dopamina, proteina sinaptica), riscontrati o meno da gruppi di ricerca diversi per forte eterogeneità del- le popolazioni investigate. Fattori prenatali (abuso sostan- ze in gravidanza), neonatali (basso peso, sofferenza fetale) e postnatali (tossici, dietetici, interattivi) sono considerati fattori di rischio determinanti. SINTOMI DI DISATTENZIONE. I bambini possono avere dif- ficoltà nel mantenere l’attenzione nelle attività di gioco o nei compiti, commettendo frequenti errori di distrazione, non prestando attenzione ai particolari o alle spiegazioni. Questi bambini non sembrano ascoltare quando si parla loro direttamente, non portano a termine un compito, hanno difficoltà ad organizzarsi e spesso tendono ad evita- re tutti quei compiti in cui è necessaria una concentrazione prolungata; sono bambini che si distraggono con estrema facilità per la presenza di stimoli esterni, anche di lieve en- tità. SINTOMI DI IMPULSIVITÀ E IPERATTIVITÀ. I sintomi del- l’impulsività si manifestano attraverso una difficoltà ad at- tendere il proprio turno e/o il termine di una domanda pri- ma di rispondere (interrompendo le conversazioni altrui, intromettendosi nei giochi, etc.) e sono frequentemente as- sociati ai sintomi dell’iperattività. Nello specifico, si tratta di bambini che hanno difficoltà a rimanere tranquilli in tut- te quelle situazioni in cui ci si aspetta che rimangano sedu- ti; vengono descritti come in continuo movimento come se fossero guidati da un “motorino” e, anche quando sono fermi, lo sono in modo apparente perché tamburellano con le dita, si muovono in continuazione sulla sedia, toccano tutto quello che hanno di fronte. Infine, hanno difficoltà a giocare in modo tranquillo e preferiscono dedicarsi soprat- tutto ad attività di movimento. INTERVENTO. La sindrome da Deficit di attenzione è una condizione molto complessa e variabile dal punto di vista sintomatologico. Il suo trattamento necessita dell’inter- vento multidisciplinare di specialisti, con la collaborazione tra pediatra, genitori e insegnanti guidati da neuropsichia- lizzati gli effetti dell’Emrd sul Ptsd. Al follow up realizzato l’anno dopo il precedente intervento sulle piccole vittime dell’uragano Iniki (Chemtob et al., 1996), infatti, alcuni bambini presentavano ancora una significativa sintomato- logia clinica. Il terzo studio clinico randomizzato control- lato (Hardin et al., 2002) è stato realizzato dopo l’uragano Hugo che ha colpito il Sud della Carolina. Questa ricerca ha valutato l’efficacia di un intervento psico-sociale di cura a lungo termine finalizzato a ridurre la sintomatologia in un gruppo di adolescenti esposti al disastro. 38 SCHEDA 20. GENETICA DEI DISTURBI MENTALI IN ETÀ EVOLUTIVA tri, psicologi e terapisti della neuropsicomotricità dell’età evolutiva esperti. Allo stato attuale, sono pochi gli studi che hanno affrontato in modo esaustivo il discorso di un inter- vento terapeutico precoce nei bambini con Ddai. Nella maggior parte dei casi, viene proposto un lavoro di tipo psi- co-educativo che deve tenere in dovuta considerazione le caratteristiche neurocognitive e neuropsicologiche del Ddai e dei disturbi dello sviluppo associati. Il bambino si inserisce, dalla nascita ed ancor prima della nascita, in un complesso sistema di interazioni ed equilibri che comprendono le dinamiche familiari, il contesto socia- le e relazionale, gli eventi di vita. Ciascuno di questi fattori può avere un ruolo nel determinare suscettibilità ovvero protezione rispetto allo sviluppo di una psicopatologia. Negli ultimi decenni si è assistito a un importante sviluppo della ricerca nell’ambito del ruolo della genetica in psichia- tria infantile. Quanto ne sta emergendo è un quadro com- plesso, in cui si spazia da patologie a predominante com- ponente genetica ad altre in cui agiscono in modo preva- lente fattori per contrasto definiti “ambientali”. Fra i due estremi, vi è un ampio spettro intermedio di di- sturbi per cui il meccanismo causale si ritiene derivi dall’in- terazione fra geni definiti di “suscettibilità” e l’ambiente. In questi casi, nessun fattore è di per sé sufficiente per deter- minare lo sviluppo della sindrome clinica, la quale emerge invece proprio dall’interazione fra fattori di suscettibilità e di resistenza presenti nel patrimonio genetico come nel- l’ambiente. Si parla in questi casi di patologie “multifatto- riali”. Gli studi recenti hanno dimostrato l’estensione del- l’influenza della genetica sull’intero spettro del comporta- mento umano, e non solo sulla patologia. Effetti genetici importanti sono stati dimostrati ad esempio per alcuni aspetti della personalità, attitudini, valori. Esistono perfi- no differenze nella tendenza all’esposizione al rischio am- bientale. Fra le patologie psichiatriche del bambino e dell’adolescen- te classificate dal DSM IV (1994), alcune riconoscono più consistenti evidenze del ruolo di fattori genetici. Fra queste l’autismo, i disturbi dell’umore (disturbo bipolare più che depressione maggiore), la schizofrenia, il disturbo da defi- cit dell’attenzione-iperattività, il disturbo della condotta e il disturbo oppositivo-provocatorio, il disturbo da abuso di sostanze ed infine il disturbo da tics e la sindrome di Tou- rette. A queste vanno aggiunte tutte quelle patologie gene- tiche (sindromi dismorfiche, malattie degenerative) per cui si riconosce, all’interno di una sintomatologia ampia ed eminentemente organica, anche una componente com- portamentale. LO STATO DELLA RICERCA GENETICA NEL CASO DEI DI- STURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO.L’autismo è classificato come un disturbo pervasivo dello sviluppo, che esordisce entro i 3 anni di età. Clinicamente, è definito dalla presen- za della triade sintomatologica: difficoltà nella sfera sociale, difficoltà nella comunicazione verbale e non verbale e com- portamenti ed interessi ristretti, ripetitivi e stereotipati. Il disturbo è interessante da un prospettiva genetica perché, a differenza di molte patologie complesse, è relativamente raro e si presenta con un alto grado di aggregazione all'in- terno delle famiglie. Pur essendo la prevalenza stimata nella popolazione gene- rale fra lo 0,1 e il 0,3%, si calcola che il rischio di ricorrenza della malattia nei fratelli (che condividono metà del patri- monio genetico) sia molto maggiore, del 4,5%. Se si ana- lizza il rischio di ricorrenza nei gemelli monozigoti, i valori oscillano fra il 60 e il 91%. L’ipotesi che vi possa essere un singolo gene alla base del disturbo (come accade, ad esem- pio, nella fibrosi cistica) non è compatibile con una serie di evidenze. Dati epidemiologici, innanzitutto. Le percentuali di ricor- renza della malattia nelle famiglie non corrispondono a quelle che si osservano nelle patologie trasmesse con un unico gene. Lo stesso dicasi per l’inusuale distribuzione fra i sessi: il rapporto maschi/femmine è di 4 a 1. Secondaria- mente, evidenza importante è rappresentata dalla peculia- re presentazione clinica di questo disturbo. Vi è infatti am- pia variabilità interindividuale nel tipo, intensità e caratte- ristiche dei sintomi presentati. Questa variabilità ha indot- to i ricercatori e i clinici nell’ultimo decennio a parlare, più che di autismo, di disturbi dello spettro autistico, a sottoli- neare l’esistenza di un range sintomatologico. Anche in una stessa famiglia, quando sono presenti più soggetti affetti, è usuale che ciascuno presenti caratteristiche cliniche del di- sturbo peculiari. Non ultimo, nel 20% dei fratelli sani di bambini autistici, sono stati riscontrati tratti “sotto soglia” (ovvero di gravità non sufficiente a porre diagnosi di pato- logia) di difficoltà di comunicazione, relazione o di interes- si peculiari e stereotipati. Non appare possibile che un tratto così variabile sia causa- to da un singolo gene su un modello lineare causa-effetto. L’ipotesi che è stata formulata è quella di un’eziologia com- plessa, che prevede il coinvolgimento di diversi geni, situa- ti su diversi cromosomi, che interagiscono secondo un mo- dello articolato fra loro e con i fattori ambientali. 39 SCHEDA 21. I RISCHI DELLA RETE: RELAZIONE TRA INTERNET E PSICOPATOLOGIA Nel solo 2005 in Giappone si sono registrati 34 casi di sui- cidio collettivo organizzato via Internet, con 91 vittime; nel 2004 erano stati 19 con 55 vittime e il numero si è pratica- mente triplicato dal 2003, anno in cui il fenomeno ha ini- ziato a dilagare. Questi giovani aspiranti suicidi decidono di attuare il loro progetto dopo essersi ritrovati a condivi- dere angosce, paure e il desiderio di morire con i propri coe- tanei su qualche sito che tratta di suicidio e che spesso spin- ge, motiva, rende reale quello che spesso è solo un dispera- to pensiero in cerca di una soluzione. Ma c’è di più: qual- cuno decide di uccidere il proprio sé reale lasciando in vita il sé virtuale, quella parte di sé che solo in Internet ha trova- to un posto per vivere, lontano dalla frustrazione, vicina al- l’onnipotenza. DIPENDENZETECNOLOGICHE.Sono molte le domande che il mondo scientifico si pone rispetto all’uso rivoluzionario della Rete e che soprattutto riguardano i bambini, gli ado- lescenti e i giovani adulti, per i quali tutta da verificare è l’in- fluenza del nuovo mondo telematico sui processi di cresci- ta psicologica, neurocognitiva e relazionale. L’esistenza di patologie legate all’uso di Internet è ormai una realtà in tutto il mondo, si tratta di condizioni psicologiche genericamente indicate con il termine di Internet addic- tion e che includono una grande varietà di usi patologici della Rete a loro volta legati alle caratteristiche di persona- lità e quindi ai canali di soddisfazione e rinforzo che l’uten- te sperimenta. Saranno perciò di volta in volta i Mud, le chat, l’informazione, il gioco d’azzardo, il cybersesso a coin- volgere in modo patologico alcuni utenti potendo condur- re a due fenomeni principali: la dipendenza e la perdita del contatto con la realtà, fino a fenomeni dissociativi più o me- no gravi. Secondo la Canadian Medical Association la Iad è attual- mente considerata una forma di abuso-dipendenza rispet- to ad Internet, reale come l’alcolismo e la tossicodipenden- za e come queste provoca assuefazione, problemi sociali, sintomi astinenziali, isolamento e ritiro, problemi presta- zionali, economici e lavorativi. I soggetti più a rischio sarebbero individui tra i 15 e i 40 an- ni con difficoltà socio-comunicative legate a problemi psi- cologici e psichiatrici, sia familiari che relazionali. In parti- colare sarebbero maggiormente esposte personalità carat- terizzate da tratti ossessivo-compulsivi, tendenti al ritiro so- ciale e con aspetti comportamentali di evitamento. Cantel- mi e Talli (1998) hanno proposto l’individuazione di livel- li progressivi di dipendenza da Internet che segnano anche una sorta di “percorso virtuale” dell’utente verso la Rete-di- pendenza: una fase iniziale caratterizzata da attenzione os- sessiva per la mail-box e polarizzazione ideo-affettiva per i contenuti della Rete; una fase tossicofilica con progressivo incremento della permanenza in Rete e sensazione di ma- lessere quando si è off line, collegamenti in ore notturne con perdita di sonno; e infine una fase tossicomanica carat- terizzata da collegamenti così prolungati da compromette- re la vita personale, sociale e lavorativa. Con il supporto di una casistica clinica è stato possibile distinguere all’interno delle cyber-addiction i seguenti sottogruppi di Internet-di- pendenze: compulsive on line gambling (gioco d’azzardo on line), cybersexual addiction (dipendenza dal sesso virtuale), cyber-relationship addiction (dipendenza da relazioni in Re- te), Mud addiction (dipendenza da giochi di ruolo on line) e Information overload addicion (dipendenza dall’informa- zione eccessiva), osservando che spesso l’utente trova un ti- po di servizio verso il quale sviluppa una modalità compul- siva, ossessiva e dipendente di rapporto, mentre di rado si osserva un rapporto di generico abuso della Rete. SCHEDA 22. DEPRESSIONE POST PARTUM: CAUSE DEL DISTURBO, CONSEGUENZE SULLA RELAZIONE MADRE-BAMBINO, PREVENZIONE MATERNITÀ E FALSI MITI. I dati indicano che circa il 10- 15% di madri si ammala di depressione post partum. Si cre- de comunemente che l’amore materno sia un istinto; che la donna, in quanto femmina, abbia nel proprio patrimonio genetico una predisposizione alla maternità. Se l’amore materno, infatti, fosse realmente un istinto naturale, inna- to e universale, come spiegare tutte quelle forme di trascu- ratezza e rifiuto, che possono caratterizzare la relazione ma- dre-bambino? L’evoluzione del comportamento materno nella storia, di- mostra che la maternità può esprimersi in modi molto di- versi. L’interesse, la dedizione, la tenerezza nei confronti del bambino possono essere carenti o anche del tutto assenti. E non sorprende che molto spesso i sintomi di questa malat- tia - il silenzio, la stanchezza, le lacrime - vengano sottova- lutati, addirittura negati, per paura di mostrarsi inadeguati rispetto al modello di “madre perfetta”. Così, molte situa- zioni a rischio restano nell’ombra e la luce mediatica cade 40 solo su quei casi estremi in cui il disturbo si concretizza nel gesto più drammatico, il figlicidio. UNA MISCELA DI FATTORI. La gravidanza e il post partum rappresentano due periodi in cui si verifica un aumento del- la vulnerabilità femminile all’insorgenza di episodi depres- sivi. All’origine delle depressioni post partum ci sono non solo fattori individuali, sia biologici sia psicologici, ma an- che fattori che coinvolgono il contesto familiare ed am- bientale. Tra i fattori di rischio compaiono la povertà, uno scarso sostegno sociale da parte della famiglia e dei servizi socio-sanitari, elevata conflittualità familiare, scarsa auto- stima, presenza di umore depresso già in gravidanza, e pro- blemi sanitari nel neonato. POST PARTUM BLUES O MATERNITY BLUES. In questi casi la labilità emotiva della donna è particolarmente accentuata, manifestandosi come irritabilità e pianto frequente. Que- sto disturbo, che ha un’incidenza del 50-70%, ha il suo api- ce dal terzo al quinto giorno dopo il parto, solitamente in coincidenza con la montata lattea e può continuare anche per settimane. In certi casi può essere la premessa per una depressione maggiore. In tale stato risulta estremamente faticoso occuparsi del bambino. Sono frequenti ansie ri- spetto al suo stato di salute e, in taluni casi, emerge sponta- neamente nella donna la richiesta di aiuto. DEPRESSIONE NON PSICOTICA POST PARTUM. Riguarda i primi sei mesi dal parto. I fattori di rischio includono pre- gressi episodi depressivi, una storia di sindrome disforica premestruale, una particolare vulnerabilità sul versante so- ciale ed emotivo. Tra i sintomi: sentimenti di inadeguatez- za, d’incompetenza e di disperazione, collera, odio verso se stesse, ipersensibilità, ansia, vergogna, trasandatezza, di- sturbi del sonno e dell’appetito, difficoltà di concentrazio- ne, calo del desiderio e persino pensieri suicidi. DEPRESSIONE PSICOTICA POST PARTUM (PSICOSI PUERPE- RALE). In questo caso possono verificarsi episodi a carattere depressivo o maniacale, stati mentali confusionali segnati da un’alterazione della percezione della realtà con il rischio che i pensieri negativi o il timore di poter danneggiare il bambino possano tradursi in azioni. Questo disturbo può manifestarsi entro tre settimane dal parto. L’ASSISTENZA ALLE NEO MAMME. Un’assistenza continua viene offerta alle donne dalle strutture sanitarie per tutto ciò che riguarda gli aspetti fisici della nascita di un figlio: gravidanza-parto-puerperio. Non sempre però le neo mamme ricevono tutte le informazioni di cui necessitano. Ne è un esempio la sensibilizzazione sul tema dell’allatta- mento, che pur costituendo una condizione importante per la crescita del bambini, continua ad essere oggetto di una diffusa disinformazione. Lo confermano i dati raccolti dall’Istituto superiore della sanità nell’ambito di un’indagine campionaria condotta nel corso del 2001. In particolare, il 33,2% delle mamme intervistate (20,7% al Nord, 40,3 al Centro e 42,6 al Sud), ha riferito di non aver ricevuto informazioni riguardo al- l’allattamento durante la gestazione. La carenza di infor- mazione risulta evidente anche dai dati relativi alla consa- pevolezza dell’opportunità di iniziare l’allattamento al se- no entro la prima ora dal parto. Tale consapevolezza risulta presente nel 77,9% delle intervistate al Nord, nel 57,2 al Centro e solo nel 39,1 delle intervistate nel Meridione. L’in- dagine rivela, inoltre, come l’assistenza ricevuta dalle neo mamme nel punto nascita abbia riguardato prevalente- mente l’aspetto fisico (31,8%). SCHEDA 23. TRAUMA E LUTTI NEI BAMBINI: IL CASO BESLAN Gli eventi drammatici degli ultimi anni hanno fatto entra- re prepotentemente la parola “terrorismo” nel linguaggio comune, portando nazioni e singoli individui a mobilitar- si concretamente per prevenire azioni terroristiche, garan- tire sicurezza e mettere in atto interventi tempestivi per fronteggiare le conseguenze di eventuali attacchi. Questi episodi di violenza di massa colpiscono più o meno diretta- mente anche i bambini, che diventano vittime di maltrat- tamento su scala mondiale. A Beslan in Nord Ossezia (Fe- derazione Russa), nel settembre 2004, un gruppo di 32 ter- roristi (ceceni ed ingusceti) ha fatto irruzione nella scuola numero 1, dove circa 1.300 persone tra bambini e adulti stavano partecipando alla festa di apertura dell’anno scola- stico. Centinaia di bambini sono stati tenuti in ostaggio nella palestra della scuola per 53 ore senza acqua né cibo, circondati da esplosivi. I bambini hanno assistito a feroci pestaggi e all’uccisione di parenti, amici e insegnanti. Se- condo dati ufficiali, sono deceduti 344 civili, di cui 186 bambini, mentre i feriti ammontano a più di 700. La tra- gedia di Beslan può essere considerata una delle peggiori atrocità commesse su una popolazione civile in Europa nel- la storia recente, con un impatto estremamente negativo sulla salute dei bambini, delle famiglie e dell’intera comu- nità. Il gruppo di lavoro del Telefono Azzurro si è avvicina- to alla realtà di Beslan a circa tre mesi dall’attacco terroristi- co e ha sviluppato una ricerca-intervento, tuttora in corso, 41 con l’obiettivo di condurre un’accurata valutazione delle condizioni psicologiche di bambini, famiglie e insegnanti sopravvissuti e di offrire un intervento mirato di supporto psicologico e psico-educativo a breve e a lungo termine. TRAUMA E DPTS. Vivere un evento non solo stressante, ma anche traumatico porta ad uno squilibrio emozionale così forte ed intenso da mettere in difficoltà la persona che lo subisce. Questo può causare lo sviluppo di una serie di spe- cifiche reazioni psicologiche intense di tipo comportamen- tale, emotivo, fisiologico, sociale. Un attacco terroristico rappresenta un evento traumatico vissuto come esperienza diretta così come altri eventi specifici, quali ad esempio i combattimenti in guerra, gli attacchi personali (stupro, violenza, furto, rapina), i rapimenti, l’essere presi in ostag- gio, le torture, l’essere prigionieri di guerra o nei campi di concentramento, le catastrofi naturali o dovute all’uomo, i gravi incidenti d’auto, l’avere ricevuto una diagnosi di ma- lattia potenzialmente mortale, e nello specifico nei bambi- ni il caso della pedofilia, anche senza violenza. Se si fa riferi- mento al disturbo acuto da stress, esso implica lo sviluppo di sintomi ansiosi, di sintomi dissociativi e di altro tipo, che si manifestano entro un mese dall’esposizione ad un even- to traumatico estremo, durano al minimo due giorni e al massimo quattro settimane. Quello che accade è che chi presenta le caratteristiche diagnostiche che vanno a soddi- sfare un disturbo acuto da stress sarà a rischio per lo svilup- po conseguente anche di un Dpts. Il Dpts ha una durata superiore alle quattro settimane e di solito insorge nei pri- mi tre mesi dopo il trauma e viene definito acuto se dura meno di tre mesi, cronico se dura più di tre mesi o ritarda- to se si manifesta almeno sei mesi dopo l’evento. Un altro aspetto importante riguarda la psicobiologia del trauma: infatti si può rilevare che esso è associato ad alterazioni nel- l’attività elettrica cerebrale, alterazioni nel funzionamento e nel volume dell’ippocampo, attivazione anomala dell’a- migdala, iperattivazione del sistema simpatico, aumento del riflesso di startle e alterazione del sonno. LUTTO, PERDITA E DPTS.La durata e l’espressione del lutto normale variano a seconda della cultura. La diagnosi di di- sturbo depressivo maggiore generalmente non viene fatta se i sintomi non persistono per oltre due mesi dopo la per- dita. Il clinico può differenziare il lutto normale da un epi- sodio depressivo maggiore, che prevede svariati sintomi, quali: senso di colpa riguardante cose diverse dalle circo- stanze della morte, pensieri eccessivi riguardo alla propria inutilità, ritardo psicomotorio grave, prolungata e grave compromissione del funzionamento, allucinazioni diverse da esperienze transitorie di sentire la voce o vedere l’imma- gine della persona deceduta. Poiché eventi traumatici, qua- li atti di terrorismo, possono provocare anche la perdita di persone care, diversi studi hanno rilevato la presenza di sin- tomi depressivi e lutto in bambini e adolescenti. Nono- stante siano pochi gli studi che hanno operato una diffe- renziazione tra i sintomi post traumatici e quelli relativi ai processi di elaborazione del lutto, è importante evidenziare che, in questi casi, la depressione si configura come un di- sturbo secondario provocato dalla perdita e va quindi di- stinto dal Dpts. In uno studio sul terremoto in Turchia del 1999, Laor e Wolmer ( 2002) hanno osservato un alto nu- mero di sintomi depressivi e di lutto nei bambini che ave- vano visto persone severamente ferite o morte; tali sintomi erano stati rilevati anche tra i bambini sopravvissuti al ter- remoto in Armenia del 1988 a distanza di 18 mesi dall’e- vento. Secondo Gurwitch et al. ( 2002) lo stress post trau- matico può costituire un fattore di complicazione nel pro- cesso di elaborazione del lutto e interferire sia con gli sforzi del bambino di affrontare la perdita, sia con la sua capacità di tornare alla normalità dopo l’evento traumatico (Castel- li e Sbattella, 2003). FAMIGLIE, BAMBINI ETERRORISMO.Almeno il 28-35% de- gli adulti vittime di terrorismo sviluppa il Dpts e altri sin- tomi psicologici, quali ansia e depressione. Le risposte dei genitori ad atti terroristici hanno un effetto significativo sui livelli di distress dei bambini e sulla loro capacità di far fron- te a questi eventi traumatici. Tra i fattori che influiscono sulla reazione degli adulti ad atti terroristici, il significato di questi eventi per l’individuo gioca un ruolo più importan- te della quantità effettiva di violenza subita. Portnova (2005) ha esaminato 92 bambini e adolescenti tenuti in ostaggio dai terroristi nella scuola n. 1 di Beslan, trovando degli elevati livelli di trauma in questo gruppo di vittime, con segni evidenti di disturbo acuto da stress (Das). Analo- gamente, Scrimin et al. (2006) hanno rilevato un’alta inci- denza del disturbo post traumatico da stress (Dpts) in un gruppo di 22 bambini e dei loro caregiver a tre mesi di di- stanza dall’attacco. IL CASO DI BESLAN: UN MODELLO DI RICERCA-INTERVEN- TO DI TELEFONO AZZURRO. La ricerca-intervento è stata sviluppata in tre fasi: la prima ha coinvolto il gruppo chia- mato ad intervenire, in qualità di psicologi esperti in psico- traumatologia, dall’associazione Aiutateci a salvare i bam- bini onlus, in occasione di un soggiorno riabilitativo di un gruppo di 19 famiglie, coinvolte nell’attacco terroristico, a Trento (novembre 2004-gennaio 2005); la seconda ha pre- visto il lavoro di progettazione della ricerca-intervento in loco, svolta presso il Dipartimento di Psicologia dello svi- luppo e della socializzazione, a Padova (febbraio 2005- aprile 2006); la terza ha infine visto la realizzazione della ri- cerca-intervento nella nuova scuola n. 1, durante la perma- nenza a Beslan, Ossezia del Nord (9-26 maggio 2006). 42 SCHEDA 24. NUOVI FARMACI E LORO UTILIZZO CON PICCOLI PAZIENTI PSICOFARMACI E BAMBINI. È possibile stimare che circa 30mila bambini e adolescenti italiani ricevano prescrizioni di psicofarmaci; 24mila di antidepressivi. Questo dato è ve- rosimilmente sottostimato, poiché non ricomprende i far- maci ansiolitici, oltre a tutti i farmaci prescritti su “ricetta bianca”. La prescrizione di psicofarmaci è aumentata nel corso degli ultimi anni. Considerando gli antidepressivi, la prevalenza più elevata è riportata negli Stati Uniti (24 per mille) e Canada (16), mentre in Europa varia tra il 3,4 del- la Germania e il 5,7 del Regno Unito. In Italia la prevalenza stimata in Lombardia e in un cam- pione di Asl di Veneto, Liguria e Toscana nel 2001 e 2002 è risultata di 2,8 per mille. Nonostante le differenze nei tassi di prevalenza, un aumento nella prescrizione di antidepres- sivi del 150% negli Stati Uniti e del 280% in Italia è stato osservato tra il 1997 e il 2002. Una valutazione del profilo prescrittivo degli psicofarmaci è stata effettuata analizzando i dati raccolti dall’Osservato- rio Arno. Nel corso del 2004 a 4.316 (2,9 per mille) bam- bini e adolescenti sono stati prescritti psicofarmaci (antide- pressivi e/o antipsicotici); la prevalenza di prescrizione nel- le 27 Asl monitorate variava da 0,8 a 6 per mille. Gli anti- depressivi sono stati prescritti al 2,4 per mille dei bambini e gli antipsicotici allo 0,7 per mille. Al 6% dei bambini e ado- lescenti trattati con psicofarmaci sono stati prescritti sia an- tidepressivi che antipsicotici. La prevalenza aumenta con l’età raggiungendo il massimo tra le adolescenti: 8 ragazze su mille tra 14 e 17 anni hanno ricevuto almeno una pre- scrizione di psicofarmaci. Gli Ssri sono risultati la classe di antidepressivi maggiormente impiegata e sono stati pre- scritti al 75% dei pazienti in terapia con questi farmaci; il 16% ha ricevuto triciclici e il 16% antidepressivi atipici. Il 2% ha ricevuto antidepressivi appartenenti a due classi di- verse. Sono stati prescritti un totale di 16 antidepressivi e 20 antipsicotici. Sertralina e paroxetina sono gli antide- pressivi più prescritti (0,5 per mille), seguiti dal citalopram (0,4), mentre tra gli antipsicotici i più prescritti sono il ri- speridone (0,25) e l’olanzapina (0,11). La prevalenza della prescrizione di psicofarmaci, valutata su un campione di 580mila bambini e adolescenti seguiti nell’arco di sei anni, è aumentata nel periodo 1998-2004 raggiungendo il picco nel 2002 (3,1 per mille). L’incremento della prescrizione di antidepressivi è dovuto soprattutto agli Ssri, la cui prevalenza è aumentata di 4,5 volte tra il 2000 e il 2002. Inoltre, stando al profilo pre- scrittivo, il trattamento con antidepressivi appare nella maggior parte dei casi poco appropriato: malgrado la tera- pia necessiti, infatti, di almeno due mesi prima che siano valutabili gli effetti, il 60% dei bambini e adolescenti trat- tati con antidepressivi ha ricevuto una sola prescrizione, quasi che l’uso di questi farmaci sia occasionale, al bisogno, per far fronte ad eventi stressanti acuti. Utilizzando il far- maco come indicatore di bisogno/patologia è, inoltre, pos- sibile stimare la prevalenza di cronicità. A questo riguardo, l’8% dei trattati con psicofarmaci nel 2004 era in terapia da almeno tre anni. In base a questi dati si può stimare che 2 minori per 10mila ricevano un trattamento cronico per di- sagio psichico (con un tasso di 6 per 10mila tra gli adole- scenti), un dato, comunque, verosimilmente sottostimato. Tra i pazienti in terapia cronica, il risperidone è il farmaco più utilizzato: è stato prescritto al 27% dei pazienti “croni- ci”. Il risperidone è un antipsicotico atipico che ha come indicazione terapeutica il trattamento della schizofrenia nei soggetti di età maggiore di 15 anni. All’8% dei bambini mi- nori di 15 anni è stato somministrato almeno una volta un ansiolitico durante l’anno; un bambino su mille assumeva questi farmaci con frequenza giornaliera. Nella fascia d’età 15-24 anni il consumo almeno una volta in un anno di an- siolitici è riportato dal 4% degli intervistati (6% tra le fem- mine) (Istat 2002). Ancora oggi sono pochi i farmaci per cui sono disponibili informazioni sull’uso in pediatria. Solo un terzo dei farma- ci registrati dall’Emea nel periodo 1995-2005 ha indica- zione all’uso nei bambini. 43 LE FAMIGLIE CAMBIANO VOLTO E SI DIVERSIFICANO. In po- co più di trent’anni il numero delle famiglie italiane è pas- sato da 15.981.177 (dati del censimento del 1971) a 19.872.000 del 1988 fino a 22.361.000 del 2003. Secon- do i dati Istat relativi al 2003, la tipologia familiare più dif- fusa in Italia è rappresentata dalle famiglie con un nucleo, pari a 15.957.000 unità (il 71,4% del totale delle famiglie residenti). Le famiglie senza nucleo, invece, ammontano a 6.135.000 (27,4%) e sono quasi tutte costituite da singoli (5.768.000); infine, le famiglie con due o più nuclei sono 269mila (1,2%). Le coppie con figli (pari a 8.947.000, più della metà del totale delle coppie) rappresentano la tipolo- gia di nucleo famigliare quantitativamente più rilevante, anche se in diminuzione. Le coppie senza figli (4.404.000) sono in crescita, soprattutto nell’ultimo decennio, e rap- presentano il 19,7% delle famiglie. Le coppie conviventi sono costantemente in crescita: se nel biennio 1994/1995 la loro incidenza era pari all’1,8%, al censimento del 2001 risultavano essere 510.251, cioè il 3,6% del totale delle coppie, mentre nel biennio 2002-2003 le cosiddette libere unioni risultano ulteriormente aumentate, raggiungendo quota 564.000. Il 46,7% di queste coppie è costituito da almeno un componente reduce da un’esperienza coniuga- le conclusasi con una separazione o con un divorzio. Infi- ne, le famiglie unipersonali e i single: nel 2003 il loro nu- mero è salito a 5.768.000, pari a ben un quarto del nume- ro complessivo delle famiglie italiane (25,8%). Nella quasi totalità dei casi, si tratta di soggetti che non sono in coabi- tazione con altri. Tra gli uomini, soprattutto quelli di età inferiore ai 45 anni, la quota dei singoli è più elevata rispet- to alla quota di donne singole sul totale delle donne. Le donne singole anziane sono la netta maggioranza delle sin- gole. In totale gli anziani costituiscono più della metà di tutti i singoli. STRADA FACENDO, DALLA FAMIGLIA “SINGOLARE”A QUEL- LA “PLURALE”. La famiglia di oggi è connotata da elementi che la rendono molto diversa dalla famiglia tradizionale, in particolare per il passaggio da un modello unico di famiglia a una pluralità di forme e tipologie aggregative. In riferi- mento alle emergenti e nuove tipologie aggregative e di convivenze socio/familiari, sono stati progressivamente elaborati, avvalorati e distinti quattro gruppi/categorie strutturali di base: i gruppi domestici senza struttura, cioè senza chiari rapporti né di sesso né di generazione. In essi vengono comprese sia le convivenze di fratelli e sorelle, sia coloro che vivono da soli; gruppi domestici semplici, com- posti dai genitori con figli, da un solo genitore con figli, da coppie senza figli; gruppi domestici estesi, composti, oltre che dai membri della famiglia semplice, da parenti ascen- denti (nonno/a), discendenti (nipoti) o collaterali (fratel- lo/sorella del marito o della moglie); gruppi domestici mul- tipli, ove sono presenti più nuclei coniugali, più coppie con i loro figli. E così oltre alla famiglia nucleare tradizionale ed alla fami- glia allargata, si parla di famiglie di fatto (fondate su un’u- nione libera), di famiglie monogenitoriali (con un solo ge- nitore - vedovi, separati o divorziati - e da figli conviventi), di famiglie unipersonali o monopersonali (composte da una sola persona), di famiglie ricostituite (quelle che si for- mano fra separati/divorziati e in cui almeno uno dei part- ner proviene da una precedente esperienza di scissione fa- miliare). Queste ultime, per molti aspetti ed assieme alle li- bere convivenze e alle unioni di fatto, sembrano rappresen- tare le nuove e intriganti forme familiari per eccellenza, più diffuse al Nord e al Centro Italia, cioè nelle aree con più al- ti tassi di conflittualità coniugale. LE DIMENSIONI DELLE FAMIGLIE ITALIANE SI RIDUCONO. Esaminando le famiglie per numero di componenti si rile- va che continuano ad aumentare quelle con un solo com- ponente: erano il 19,3% del totale nel 1988, il 21,1% nel biennio 1993-1994, il 21,7% nel 1998 e ben il 25,8% nel 2003. Crescita analoga per le famiglie con due componen- ti: dal 23,6% del 1988 al 26,4% del 2003. In lieve calo le famiglie con tre componenti (dal 23,1% del 1988 al 21,7% del 2003); in calo più significativo quelle con quattro (dal 23,3% del 1988 al 19,6% del 2003), ma anche quelle con cinque o sei e più componenti. SEPARAZIONI E DIVORZI. Nel 2002 le separazioni in Italia sono state 79.642 e i divorzi 41.835, con una variazione positiva rispetto all’anno precedente, rispettivamente, del 4,9% e del 4,4%. Italia in 10 anni i divorzi sono aumenta- ti del 62%. Il 69,5% delle separazioni e il 60,4% dei divor- zi riguardano coppie con figli. capitolo 4 FAMIGLIA SCHEDA 25. LE NUOVE FAMIGLIE: NUCLEI MONOGENITORIALI E COPPIE OMOSESSUALI 44 Dopo una separazione o un divorzio, i dati indicano che sono la minoranza (il 27,9% degli uomini e il 20,3% delle donne) i separati/divorziati che, nel biennio 2001-2002, sono riusciti a “rifarsi una famiglia”. Ai primi capita (più fa- cilmente che alle donne) di portare la prole a far parte del nuovo nucleo familiare (16,6 contro 13,1%); Il ritorno alla famiglia d’origine dopo separazioni e divorzi è di dimensioni assai minori di quanto ci si potrebbe aspet- tare, considerando il costo economico, affettivo e sociale delle rotture matrimoniali: è la scelta del 9,3% degli uomi- ni e del 5,5% delle donne. Altrettanto scarse (ma numeri- camente paritarie tra uomini e donne) sono le aggregazio- ni ad altri tipi di famiglie o ad altri singoli (parenti o amici) che in genere costituiscono sistemazioni informali e il più delle volte provvisorie e transitorie. In sintesi: continuano ad aumentare i single; le dimensioni della famiglia si rim- piccioliscono (quelle numerose sopravvivono più al Sud che al Nord); aumentano le separazioni ed i divorzi; au- mentano i matrimoni civili, le convivenze, le famiglie rico- stituite, i nuclei monogenitoriali (in cui spesso l’adulto è una donna separata o divorziata); sono in costante aumen- to le coppie senza figli. La famiglia, che nell’ultimo trentennio ha attraversato una profonda destrutturazione, sta scontando oggi gli effetti della crisi economica (esplosione del precariato, processi inflazionistici, declino produttivo) che di fatto hanno ral- lentato i processi di disgregazione e di disunità familiare. In particolare, l’impossibilità materiale, per diversi giovani, di abbandonare la famiglia di origine, la difficoltà di alcuni a recidere il legame matrimoniale per via dei costi economi- ci e sociali del divorzio o della separazione, stanno origi- nando un familismo di tipo utilitaristico, ossia un modello relazionale-familiare basato soprattutto sui benefici econo- mici e sociali derivanti dalla coabitazione in qualche modo “forzata”. Percossa dai processi di disgregazione, comincia- ti con l’introduzione del divorzio e con l’ingresso della don- na nel mondo del lavoro, la famiglia resiste come soggetto economico e come aggregazione relazionale perché in gra- do di fornire ai suoi membri un riparo dall’inospitalità del mondo. (Eurispes - Osservatorio sulla Famiglia, Verso un fa- milismo utilitaristico, maggio 2005). MATRIMONI MISTI. Oggi in Italia dieci matrimoni su cen- to sono misti; il numero delle unioni miste è raddoppiato negli ultimi dieci anni (dai 12.329 del 1995 ai 27.216 del 2003). Sono però soprattutto gli uomini italiani a sposare donne di nazionalità straniera, piuttosto che le donne ita- liane a sposare uomini stranieri: 16mila contro 4.295 (ben il quadruplo). LE FAMIGLIE OMOSESSUALI. Per molto tempo, e in una cer- ta misura anche oggi, tutte le forme famigliari considerate “devianti” rispetto alla famiglia tradizionale - le coppie omosessuali, ma anche le famiglie ricostituite e quelle mo- nogenitoriali - sono state ritenute in qualche modo defici- tarie. Nel caso delle coppie omosessuali i pregiudizi si pre- sentano particolarmente difficili da sradicare. Benché lo stereotipo diffuso voglia le persone omosessuali promiscue e i loro legami altamente instabili, sono molte le coppie del- lo stesso sesso che desiderano unioni stabili nel tempo e che rivendicano per esse riconoscimento sociale e diritti equi- valenti a quelli delle coppie eterosessuali. Molte persone omosessuali, inoltre, sentono di non voler rinunciare alla maternità ed alla paternità, e su questo tema si è aperta la parte più accesa del dibattito sociale. I ricercatori dell’University College e della scuola di medi- cina dell’ospedale di Saint George hanno riscontrato che i matrimoni omosessuali determinano un concreto benefi- cio per la salute fisica e il benessere psicologico per le perso- ne che si sposano poiché il riconoscimento sociale tutela dalla discriminazione, garantisce maggiore autostima, dà stabilità alle relazioni e permette di viverle con trasparenza. In Italia il matrimonio è tuttora l’unica forma di conviven- za regolamentata ed è consentito esclusivamente a persone di sesso opposto. Alcune Regioni italiane - Emilia Roma- gna, Toscana, Umbria, Calabria - hanno approvato dal 2004 statuti che aprono alle unioni civili anche omoses- suali. Esistono poi in alcuni Comuni italiani registri ana- grafici delle unioni civili, il cui valore è però soltanto sim- bolico. Diversa la situazione in molti altri Paesi occidenta- li. In Danimarca (dal 1989), Svezia (1994), Olanda (2001), Belgio (2003), Germania (2002), Spagna (2005), Austra- lia e Canada alle coppie omosessuali è permesso di sposar- si. In Francia dal 1999 esistono i Pacs - Patti civili di solida- rietà, in Gran Bretagna dal 2004 le coppie gay hanno gli stessi diritti delle coppie sposate. Le adozioni da parte di coppie omosessuali sono possibili in Danimarca, Svezia, Olanda, Spagna, Inghilterra, Galles, Scozia, Belgio, Israele, in alcune regioni del Canada e dell’Australia, in alcuni de- gli Stati Uniti. In Islanda, Norvegia, Danimarca e Germa- nia è possibile la “stepchild-adoption” (letteralmente “ado- zione del figliastro”), che consente ai partner di una unione civile di adottare i figli naturali (o adottati) che il partner ha avuto da precedente unione. In Irlanda i single, sia omoses- suali che eterosessuali, possono richiedere l’adozione. Secondo gli ultimi dati dell’Istat (2003) le convivenze in Italia sarebbero 564mila, su 22 milioni di famiglie (com- prese le persone sole), di cui 16 milioni di nuclei famigliari (composti da coppie con o senza figli). È però evidente che le statistiche ufficiali non rendono davvero conto del feno- meno, che è in realtà molto più diffuso. Le convivenze so- no sottostimate in quanto spesso non registrate. Sono nu- merose le persone omosessuali, ma anche i single eteroses- suali, che si battono per ottenere il diritto di ricorrere alla 45 SCHEDA 26. FAMIGLIE RICOSTITUITE E NUOVE FORME DI “LIVING ARRANGEMENT” Le trasformazioni delle strutture familiari e sociali hanno scalfito il primato del modello di coppia coniugata con fi- gli, a favore di una crescita esponenziale di nuove forme di living arrangement, come libere convivenze e coppie/unio- ni di fatto (più che raddoppiate in un solo decennio, pas- sando da 227mila nel 1993 a 555mila nel 2003). L’Euri- spes stima che nel 2006 il numero delle coppie di fatto si possa attestare a quasi 700mila, con un incremento per- centuale del 24,3%. Più in generale, in Italia si è verificato un netto calo delle unioni matrimoniali: ben 146.697 in meno in poco più di 40 anni. Inoltre, si è quasi dimezzato il numero di matri- moni per mille abitanti (tasso di nuzialità), che è sceso da 8 a 4,3. Nel nostro Paese ci si sposa meno che nel resto d’Eu- ropa e, infatti, il tasso di nuzialità nostrano è fra i più bassi (4,5), al di sotto della media Ue (4,7) e ben lontano da Pae- si quali Grecia (5,3), Portogallo (5,1) e Spagna (5). Nel 2003 i divorzi e le separazioni sono stati più di 124mi- la. Quasi un matrimonio su due è destinato a “rompersi” nel giro di pochi anni, una media impressionante, che te- stimonia la profonda crisi di questa istituzione. Nel 2001, 12.888 divorziate si sono risposate: il numero delle donne sposate è in crescita dal 1995 e aumenta quasi allo stesso modo anche quello degli uomini risposati, a testimonianza del fatto che molte dopo il divorzio riescono a ricostruirsi una nuova vita familiare. Sempre nel 2003 le famiglie rico- stituite (quelle in cui almeno uno dei partner proviene da un precedente matrimonio) sono state 724mila. LE FAMIGLIE RICOSTITUITE: DALL’ALBERO AL CESPUGLIO. L’espressione “famiglia ricostituita” indica la famiglia che, spezzatasi a seguito di separazione e/o divorzio, si è rifor- mata, ricostituita, dando luogo ad una nuova relazione sen- timentale/affettiva e aggregativa. Ma se si guarda alla ri- composizione della vita affettiva e familiare di una coppia adulta, indipendentemente dall’esistenza dei figli, la defi- nizione può assumere altre valenze: per famiglia ricostitui- ta si può anche intendere una coppia sposata o non sposa- ta, con o senza figli, in cui almeno uno dei due partner pro- viene da un precedente matrimonio o da una precedente unione di fatto.Le nuove famiglie hanno due importanti caratteristiche: sono sparse in più di una casa, hanno alme- no due luoghi fisici che i figli possono sentire come casa; in ognuno di questi “luoghi” affettivi e aggregativi convivono persone diverse. In sostanza, non sarebbe il divorzio a ge- nerare individui “infelici”, ma sarebbero le famiglie infelici a reclamare la possibilità e l’eventualità della separazione e del divorzio. E quindi della “ricostituzione” familiare. FAMIGLIA CON BAMBINI, FIGLI CON PIÙ FAMIGLIE. Dal 1994 al 2003 l’incremento delle separazioni e dei divorzi è stato continuo: da 51.445 separazioni nel 1994 a 81.744 nel 2003, con un aumento del 59% in 10 anni e un incre- mento del 2,6% delle separazioni e del 4,8% dei divorzi ri- spetto al 2002. Questo incremento è coinciso con un au- mento del numero di figli coinvolti/affidati a seguito di se- parazioni e divorzi. Globalmente il numero totale di figli affidati nelle separazioni è di 62.050. I figli affidati a segui- to di scioglimento del matrimonio (rito civile) e per cessa- zione degli effetti civili (rito religioso) sono 20.627. Su un totale di 43.856 divorzi, 8.931 sono procedimenti di scio- glimento del matrimonio (rito civile) e 34.925 sono proce- dimenti di cessazione degli effetti civili (rito religioso). FAMIGLIE RICOSTITUITE E GENITORIALITÀ. Nelle famiglie ricostituite di oggi, dove la struttura è complessa e i confini sono incerti, dove i genitori biologici e gli adulti di riferi- mento “acquisiti” (detti anche “sociali”) hanno, molte vol- te, impegni extradomiciliari, essere genitori è sempre più difficile. Si devono ridefinire i rapporti interpersonali e si deve imparare a dividere tra più persone il ruolo di genito- ri tradizionalmente svolto soltanto dalla madre e dal padre “biologici”. Gli adulti di riferimento coinvolti sono quindi biologici e sociali, perciò il numero può raddoppiare (dop- pi genitori, doppi nonni, ecc.) con una dilatazione signifi- cativa della complessità relazionale (le cosiddette “fratrie”). Ne consegue che agli adulti si richiede, per evitare blocchi evolutivi ai figli, di portare a termine, con sufficiente equi- librio psichico, la rottura del legame precedente, la separa- zione/divorzio, il sapersi relazionare e confrontare con le diverse e nuove figure della famiglia ricostituita: elementi indispensabili per comprendere e gestire le differenze emer- genti, in direzione di una funzione genitoriale allargata e continuativa nel tempo. fecondazione assistita. La fecondazione assistita eterologa per le donne singole è ammessa in Inghilterra (fu il primo Paese, quindici anni fa), Olanda, Belgio, Spagna, Slovenia, Danimarca. Nel giugno del 2006 la Danimarca ha dato il via libera all’inseminazione artificiale gratuita in strutture pubbliche per donne single ed omosessuali, completando la legge sulla fecondazione assistita (anche eterologa) esi- stente dal 1997. 46 VERSO IL 2010: QUANTO È LONTANA LISBONA? Fallito cla- morosamente l’obiettivo intermedio di alzare il tasso di oc- cupazione femminile al 57% entro il 2005, l’Italia, ferma poco sopra il 45%, è insieme alla Grecia il Paese più lonta- no dal traguardo indicato da Lisbona di raggiungere, entro il 2010, un tasso di occupazione femminile del 60%. Con un gender gap per questo indicatore pari a quasi 25 punti percentuali (ma superiore al 30% al Sud e nelle Isole), l’Ita- lia appartiene a quel gruppo di Paesi - come Grecia, Spagna e Lussemburgo - che associano a bassi livelli di occupazio- ne femminile differenziali di genere superiori al 20%. In Italia, il gap di genere nei tassi di occupazione e di attività maschili e femminili è più elevato tra i 35 e i 54 anni, in cor- rispondenza delle classi centrali di età. In particolare, il tas- so di attività femminile, pari al 67,5% tra i 25 e i 34 anni, scende al 66,5 tra i 35 e i 44 anni, per poi crollare letteral- mente (-10,6 punti percentuali) al 55,9 tra i 45 e i 54 anni. Anche il tasso di occupazione femminile subisce, in corri- spondenza di questa classe di età, un forte decremento (- 8,1%), scendendo dal 61 al 52,9%. La partecipazione e la presenza degli uomini al mercato del lavoro mostra un an- damento diverso: tra i 25-34 anni e i 35-44 anni anziché a una contrazione, si assiste a un innalzamento dei tassi di at- tività e di occupazione maschili che salgono, rispettiva- mente, dall’88,3 al 95,3% e dall’80,9 al 91,4%; la diminu- zione avviene solo in corrispondenza della classe 45-54 an- ni ed è comunque notevolmente inferiore a quella femmi- nile. Il tasso di attività scende di 5,4 punti percentuali, dal 95,3 all’89,9%, quello di occupazione del 4,5, dal 91,4 all’86,9%. È dunque nella classi centrali di età, quando più pressante è la necessità di conciliare vita personale e profes- sionale, che il fattore genere appare particolarmente discri- minante nell’accesso e permanenza nel mercato del lavoro. In quella fase - che è anche la fase delle grandi scelte (com- prare casa, fare un figlio, ecc.), e delle maggiori e più nume- rose responsabilità (nei confronti di bambini e genitori e parenti anziani) - la distribuzione storico-culturale tra ge- neri delle funzioni di care-giver e bread-winner, continua a considerare le donne innanzitutto donatrici di cure e a con- cedere loro sempre con riserva lo status, comunque secon- dario, di procuratrici di reddito. Questo status, rendendo le esigenze di conciliazione un problema tutto femminile, si mostra particolarmente discriminante e acuisce i diffe- renziali di genere nel mercato del lavoro. L’IMPATTO DEL GENERE SULLA RELAZIONE ESISTENTE TRA STATO CIVILE, PRESENZA DI FIGLI E TASSI DI ATTIVITÀ. Tra gli uomini esiste una relazione positiva tra lo status di co- niugato/convivente e partecipazione al mercato del lavoro, mentre, al contrario, tra le donne, la presenza di un com- pagno sembra intervenire negativamente, incrementando i rischi di uscita dal mercato del lavoro. Lo stato civile condiziona la partecipazione al mercato del lavoro delle madri. Tra le nubili, infatti, il tasso di attività delle donne tra i 25 e i 44 anni è condizionato negativa- mente dalla presenza di prole solo a partire dal secondo fi- glio; tra le coniugate, diversamente, la partecipazione al mercato del lavoro registra un vero e proprio crollo già con la prima maternità. Tra le coniugate/conviventi il tasso di attività, pari al 78% in assenza di figli, scende al 65,7 in pre- senza di un figlio, per poi crollare al 52,6 in presenza di due figli e al 37,5 tra quante ne hanno almeno tre. Tra le single, diversamente, l’arrivo del primo figlio spinge verso una maggiore partecipazione al mercato del lavoro, che sale an- zi dal 78,1 all’81%; il tasso di attività subisce un forte de- cremento solo con la seconda maternità, ma si mantiene comunque ad un livello sensibilmente più elevato rispetto a quello delle coniugate: 71,8%, vale a dire 19,2 punti per- centuali in più. La presenza di un terzo figlio accentua poi ulteriormente le differenze tra nubili e coniugate: il tasso di attività delle prime subisce infatti sì un forte ulteriore de- cremento (-12%), ma di proporzioni comunque inferiori a quello registrato tra le sposate (15,1%); il 59,8% delle sin- gle, ovvero ben il 22,2% in più rispetto alle coniugate, con- tinua a partecipare al mercato del lavoro. L’OFFERTA DI SERVIZI ALL’INFANZIA. Il Consiglio europeo di Barcellona aveva indicato come traguardo per il 2010 uno sviluppo della rete dei servizi per la prima infanzia tale da soddisfare la domanda per almeno il 33% dei bambini. Da questo punto di vista l’Italia non sembra essere più vici- na a Barcellona che a Lisbona. È quanto emerge dal recen- te rapporto realizzato dall’Istituto degli Innocenti per il mi- nistero del Lavoro. Il numero dei nidi ha registrato un im- portante incremento, passando dai 3.008 del settembre 2000 agli attuali 4.885, ovvero il 62,4% in più. La poten- zialità ricettiva della rete, che ha visto salire i posti disponi- bili dai 118.517 del 2000 agli attuali 163.527, ha così regi- strato un pur timido sviluppo, che ha portato il grado di copertura dell’utenza potenziale (ovvero il milione e 643.826 bambini da 0 ai 2 anni residenti in Italia nel 2004) dal 7,4 al 9,9%. L’incremento non è riuscito a riequilibrare la distribuzione dei nidi d’infanzia sul territorio nazionale. L’aumento ha riguardato in netta prevalenza le strutture di tipo privato, mentre ha interessato in misura decisamente inferiore quelle a titolarità pubblica: i nidi privati sono cre- sciuti, infatti, del 206,3%, passando da 604 a 2.905 unità; quelli pubblici hanno registrato un ben più modesto incre- SCHEDA 27. DIRITTO ALLA MATERNITÀ E AL LAVORO. TRA FORMA E SOSTANZA NELL’ANNO EUROPEO DELLE PARI OPPORTUNITÀ 47 mento (+20,1%), passando da 2.404 a 2.905 unità. Il peso delle strutture private, negli ultimi anni è quasi raddoppia- to, arrivando a rappresentare una quota prossima al 40% dell’offerta. La capacità di rispondere alla domanda poten- ziale di servizi è cresciuta, rispetto al 2000, di 3,7 punti per- centuali al Nord e di 1,4 al Centro; al Sud e nelle Isole il gra- do di copertura di posti nido sulla popolazione 0-2 anni, già nettamente più basso, è ulteriormente diminuito (-0,3), scendendo al 3,5%, contro il 12,1 del Centro e il 13,8 del Nord. In questo senso, il ruolo, del tutto predominante, giocato dal privato nell’aumento delle strutture ricettive nel Meridione - dove la componente privata dell’offerta è cre- sciuta del 341,1% mentre la pubblica di appena il 10,1 - non è riuscito a compensare la carenza cronica di strutture pubbliche. L’indagine Isfol Plus, interrogando 25mila don- ne su tutto il territorio nazionale, ha consentito di misura- re l’impatto della maternità sulla partecipazione femmini- le al mercato del lavoro. L’analisi dei dati mostra come pri- ma della nascita del figlio lavori il 61,4% delle donne, men- tre dopo la maternità appena il 50,4. A fronte, infatti, di un 2,5% di donne non occupate che hanno trovato lavoro do- po la nascita del figlio, ben il 13,5% delle donne che al con- trario risultavano occupate non lavorano più. Più che al Sud, dove è l’inattività a contraddistinguere la (mancata) partecipazione delle donne al mercato del lavoro, quale condizione cronica derivante dalla mancanza di una do- manda sufficiente di forza-lavoro, è al Centro e al Nord che dunque si assiste a fenomeni di discontinuità occupaziona- le e di interruzione di carriera. È qui, dove il mercato occu- pazionale vede una maggiore partecipazione e presenza femminile, che la maternità si configura più spesso come un evento in grado di provocare un’uscita definitiva o tem- poranea dal lavoro: la percentuale di lavoratrici che transi- tano nella condizione di inoccupata dopo la nascita del fi- glio, pari al 9,3% al Sud, sale al 12,9 al Centro e raggiunge il 15,6 al Nord. SCHEDA 28. LA RESPONSABILITÀ SOCIALE DELL’IMPRESA E LA PROMOZIONE DELLA CONCILIAZIONE IL CONCETTO DI CONCILIAZIONE E LA SUA DECLINAZIONE AL FEMMINILE. Quando si parla di politiche di conciliazio- ne dei tempi, si vuole indicare un complesso di azioni e provvedimenti finalizzati a rendere il più possibile armoni- co ed equilibrato il rapporto tra i tempi della vita familiare e i tempi della vita lavorativa. La nascita e lo sviluppo del concetto di conciliazione hanno a che vedere da un lato con i fenomeni di trasformazione del mercato del lavoro, dal- l’altro con la mutazione della struttura familiare nelle so- cietà industrializzate. Nelle moderne società, il compito delle politiche di conciliazione è pertanto quello di ricon- giungere il bivio “lavoro o famiglia” nella strada del “lavoro e famiglia”. Allo stato attuale delle cose, l’universo femmi- nile rappresenta il principale beneficiario di qualsivoglia politica di conciliazione. Come scrivono Catani e Morini (2002), la contrazione degli ammortizzatori sociali e priva- ti ha contribuito a rendere ancor più problematica la ge- stione del lavoro di cura familiare e domestico: il venir me- no delle reti parentali forti, la mancanza di assunzioni nel terziario pubblico (che, come affermano gli autori, ha rap- presentato per anni «un serbatoio di lavoro meno stressan- te»), i tagli al welfare. Infine, come afferma Piazza ( 2000, 2002), non va dimenticato come oggi - a fronte di una pro- gressiva posticipazione del momento dell’uscita dei figli dal nido domestico - alle madri venga richiesto di fornire un surplus di cura verso i propri figli, anche in termini di mag- giore educazione. A tutto ciò si aggiunge la decisiva que- stione della “complessità” della relazione maternità-lavoro. Inoltre, va segnalata la forte sperequazione tra il numero di congedi di maternità e quelli di paternità (anche in conse- guenza del diverso trattamento retributivo tra i due sessi). UNA BREVE RASSEGNA LEGISLATIVA SULLA CONCILIAZIONE. La legge n. 125 del 1991 «Azioni positive per la realizzazio- ne della parità uomo-donna nel lavoro», oltre a proporre una definizione del concetto di “discriminazione”, intro- duce le “azioni positive” in termini di misure concrete atte ad assicurare alle donne pari opportunità in tutti i campi della loro vita, nonché finalizzate a contrastare tutte le for- me di discriminazione dirette ed indirette di cui sono vitti- me. La legge predispone finanziamenti e rimborsi per aziende, enti e associazioni protagoniste di azioni positive. Con la legge n. 285 del 1997 «Disposizioni per la promo- zione dei diritti e le opportunità per l’infanzia e l’adole- scenza» viene riconosciuto il ruolo centrale della famiglia nella tutela e nello sviluppo dell’infanzia e dell’adolescenza, prevedendo interventi a livello centrale e locale (con la par- tecipazione dei soggetti territoriali), sostenendo finanzia- riamente nuove iniziative e incentivando tipologie innova- tive di servizi. La legge n. 53 del 2000 «Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi del- le città», oltre ad introdurre nuove forme di flessibilità per la donna nella fruizione del periodo di congedo per mater- nità, estende anche ai padri i diritti prima riconosciuti alle sole madri. Diversi sono gli strumenti proposti dalla legge 48 SCHEDA 29. I SERVIZI PER L’INFANZIA: L’ITALIA NEL CONTESTO EUROPEO per favorire la conciliazione lavoro-famiglia (part time re- versibile, telelavoro, lavoro a domicilio, flessibilità di turni e orario, banca delle ore, orario concentrato, etc.). BUONE PRATICHE ITALIANE. Si riportano alcune delle più articolate e originali iniziative di conciliazione realizzate dai soggetti imprenditoriali. GRUPPO BOEHRINGER INGELHEIM. A partire dal biennio 2001/2002 il Gruppo ha attivato una serie di interventi fi- nalizzati alla promozione della conciliazione lavoro-fami- glia: flessibilità nell’orario di entrata e di uscita dal posto di lavoro; attivazione della banca delle ore individuale; part ti- me orizzontale, verticale e misto; il telelavoro e la possibi- lità del telelavoro part time. Nel settembre 2002, poi, l’a- zienda, in collaborazione con il Comune di Milano, ha inaugurato il proprio nido aziendale, in grado di ospitare una trentina di bambini figli di dipendenti e collaboratori; il 15% dei posti a disposizione è riservato ai figli dei resi- denti presenti nelle liste di attesa degli asili nido comunali. IKEA ITALIA. Con il Progetto Maternità l’azienda ha cercato di mantenere uno stretto collegamento con le proprie di- pendenti in congedo di maternità, utilizzando due leve: quella della “informazione” (garantita da un referente, det- to “contatto”, che informa l’interessata dei cambiamenti e delle novità intervenute) e quella della “formazione” (rivol- ta alle neo madri che scelgono di prolungare il congedo per maternità oltre i cinque mesi obbligatori). Una seconda ini- ziativa è il Progetto Telelavoro, finalizzato a consentire ai pro- pri lavoratori la migliore conciliazione lavoro-famiglia. ELECTROLUX ZANUSSI. Con il progetto Rosa al lavoro si è permesso ai propri dipendenti di organizzare liberamente tra loro i turni di lavoro nello stabilimento. Un secondo progetto ha visto la costituzione della banca delle ore, con un monte ore illimitato che permette al lavoratore periodi di astensione anche molto elevati. Infine, il progetto del te- lelavoro è stato realizzato con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo professionale e l’avanzamento di carriera delle ge- stanti e delle neo madri: con questo strumento possono evi- tare di ricorrere alla sospensione del rapporto di lavoro, mantenendo pari opportunità di crescita professionale. COOPTOSCANA LAZIO. Nel 1995 viene avviato il progetto Coop Donna, in base al quale è stato costituito uno sportel- lo aziendale di Maternità e Paternità al lavoro e creata la fi- gura di un tutor con il compito di gestire gli aspetti orga- nizzativi connessi alla maternità/paternità. Una seconda versione dello stesso progetto ha incluso anche la realizza- zione di una banca delle ore, lo sviluppo di un piano di fles- sibilizzazione personalizzata dell’orario di lavoro per le neo madri e l’ampliamento dei servizi alla famiglia (riparazioni, pulizie, manutenzione, baby-sitter, assistenza agli anziani). GRUPPO TELECOM ITALIA. Un primo strumento di conci- liazione adottato dall’azienda è quello del telelavoro, che concede l’opportunità a molti dei suoi dipendenti di svol- gere il proprio compito professionale direttamente da casa. Il progetto Tim Mamma, si basa sulla creazione della banca delle ore dove ogni madre riceve un regolare conto corren- te e un libretto assegni-tempo dove sono messe a disposi- zione 150 ore usufruibili in base alle proprie esigenze; il de- bito ore deve poi essere restituito entro il trimestre di com- petenza mediante prestazioni aggiuntive della durata mas- sima di un’ora e mezza ciascuna. È stata inoltre attivata una newsletter bimestrale che informa le madri sugli adempi- menti amministrativi legati alla maternità. Con il progetto Tim Valore Donna l’azienda si è proposta di inserire nel pro- prio organico 80 donne di oltre 40 anni con contratto di la- voro part time CONSER SCCPA DI PRATO. Ha dato il via alla realizzazione di un modello integrato di asilo nido interaziendale e di ser- vizi all’infanzia (Il Bosco Incantato) destinato a rispondere ai bisogni di un intero distretto industriale. I beneficiari di tale iniziativa, realizzata grazie alla fattiva collaborazione del Comune, saranno imprenditori/trici e lavoratori/trici provenienti dalle province di Prato, Firenze e Pistoia, non- ché i residenti della circoscrizione in cui sorgerà l’impianto. LA PROPOSTA DEL MARCHIO DI QUALITÀ DEL LAVORO FEM- MINILE. Nell’ambito del progetto IQ Donna - Imprese e Qualità del lavoro femminile, finanziato dalla Regione Emi- lia Romagna e promosso da Cofimp, è stata proposta l’in- troduzione di un marchio di qualità che certifichi le impre- se “a misura di donna” o che operino attivamente per la con- ciliazione. Questa formalizzazione consentirebbe ai temi del lavoro femminile e della conciliazione di divenire crite- ri di valutazione nella redazione del giudizio complessivo di qualità dell’azienda e della sua aderenza ai principi della responsabilità sociale d’impresa. IL CONTESTO EUROPEO. Una caratteristica che contraddi- stingue i servizi destinati ai bambini in età prescolare in Eu- ropa è la loro eterogeneità: 136 tipi di servizio differenti, che variano da un numero minimo di 4 in Grecia e un mas- simo di 14 in Gran Bretagna (Eurostat, 2005). Inoltre, in alcuni dei 10 nuovi Stati membri, il sistema di childcare è 49 relativamente immaturo e poco sviluppato sia a livello quantitativo di copertura territoriale, sia a livello qualitati- vo. Il Consiglio Europeo di Barcellona ha precisato che gli obiettivi strategici da raggiungere entro il 2010 riguardano l’offerta di servizi per l’infanzia per il 90% dei bambini dai tre anni fino all’età dell’obbligo scolastico, e per il 33% dei bambini sotto i tre anni. La frequenza degli istituti di istru- zione aumenta con l’età dei bambini: se in molti Paesi si può notare una consistente frequenza già dai 3 o dai 4 anni di età, in quasi tutti gli Stati europei un anno prima dell’i- nizio dell’istruzione primaria si arriva ad una percentuale dell’80%; in generale si assiste in tutta Europa ad una ten- denza all’aumento del numero di bambini di 4 anni iscritti in una struttura prescolare. Il passaggio all’istruzione pri- maria obbligatoria avviene a 6 anni in tutti i Paesi, tranne in Danimarca, Finlandia e Svezia in cui avviene a 7 anni; nei Paesi Bassi e in Irlanda, dove non esiste un livello di edu- cazione preprimario a sé stante e organizzato, l’istruzione primaria inizia a 4 anni, mentre nel Regno Unito l’istruzio- ne primaria comincia a 5 anni. La disponibilità di asili nido incide in modo cruciale sui tassi di occupazione delle don- ne, esiste una relazione diretta tra le due variabili: nei Paesi in cui vi è un tasso di iscrizione basso è presente un basso tasso di occupazione e viceversa. Laddove si registra una spiccata tendenza a sviluppare, ac- canto ad un welfare di matrice assicurativa, un welfare di prossimità orizzontale e locale, in grado di soddisfare le esi- genze di sostegno sociale dei cittadini, si registra anche un incremento della ricchezza complessiva del Paese insieme a quella dell’occupazione. Nello scenario dei Paesi dell’Euro- pa settentrionale, dove questi processi sono reali, si assiste allo sviluppo rilevante dei servizi per la prima infanzia I SERVIZI PER L’INFANZIA. Negli ultimi anni in Italia l’offer- ta di servizi per la prima infanzia è aumentata e diversifica- ta; risulta, tuttavia, ancora assolutamente insufficiente a ri- spondere adeguatamente ai bisogni percepiti ed espressi dalle famiglie. La copertura territoriale è ineguale e la pre- senza di servizi è particolarmente carente nelle città. Ad una generale copertura garantita al Centro-Nord, fa da contra- sto un’assenza significativa di servizi al Sud. Si segnalano in positivo regioni come la Lombardia, l’Emilia Romagna, il Veneto, la Toscana, in negativo regioni quali il Molise, la Basilicata, la Calabria. LE DIFFERENTITIPOLOGIE.I servizi educativi integrativi so- no quelle tipologie di istituti per l’infanzia che si specializ- zano soprattutto come spazi che funzionano con un orario ridotto, con la possibilità di avere più attività durante l’arco della giornata e non erogano né il servizio di mensa, né vie- ne previsto il momento del riposo. Stando agli ultimi dati disponibili, i servizi integrativi pubblici e privati ammon- tano in totale a 2.500 unità. Le regioni del Centro-Nord sono quelle con più servizi; al contrario, essi sono quasi del tutto assenti nel Mezzogiorno ad esclusione delle Isole do- ve si registra una presenza cospicua. SERVIZI PER L’INFANZIA E IMMIGRAZIONE. Nell’anno scola- stico 2005/2006, sono circa 430mila gli alunni stranieri e rappresentano il 4,8% della popolazione scolastica com- plessiva. Per quel che riguarda la scuola dell’infanzia, la per- centuale di alunni è cresciuta dell’11,6%, passando da 73.106 presenze nel 2004/2005 a 81.577 nell’ultimo an- no scolastico. SERVIZI PER L’INFANZIA E DISABILITÀ. Secondo Informa- scuola, nell’anno scolastico 2004/05 nella scuola dell’infan- zia gli alunni con esigenze educative speciali ammontano a 10.084 unità, pari all’1,04% degli iscritti. Negli ultimi an- ni si è registrato un aumento dei bambini disabili iscritti, la cui incidenza è superiore nelle scuole statali piuttosto che in quelle non statali. Nella stragrande maggioranza delle scuole permangono barriere architettoniche; secondo i da- ti dell’Istituto degli Innocenti relativi al 2000, solo il 24,8% delle scuole ha porte adatte all’accoglienza di minori disa- bili; solo il 23,7% sono dotate di specifici servizi igienici e solo il 22,7% ha ascensori e scale che permettono un acces- so facilitato alla scuola. SCHEDA 30. LA SINDROME DI PETER PAN OVVERO LA PAURA DI CRESCERE LA SINDROME DI PETER PAN. La vita “da giovane” dell’ita- liano si è mediamente allungata. Fino a qualche decennio fa, il passaggio all’età adulta, contraddistinta dall’emanci- pazione dal nucleo familiare d’origine, si verificava appena raggiunta la maggiore età o appena dopo; oggi la perma- nenza degli “adolescenti-cresciuti” o “pre-adulti” si protrae fino ai 35-38 anni. In Italia, i giovani si laureano sempre più tardi, intorno ai 28-29 anni, con una tendenza generalizzata al fuori corso e dopo la laurea più del 50% vorrebbe continuare a formar- si. Questa ansia di formazione che fornisce profili ad alto contenuto di specializzazione sarebbe effetto della sindro- me di Peter Pan. Quasi il 50% dei giovani che vivono in fa- miglia risultano occupati, ma la loro struttura professiona- 50 le ha caratteristiche nuove ed è contraddistinta da contrat- ti a tempo determinato, stages, che conferiscono precarietà e una mancanza di autonomia economica. Anche l’elevato prezzo d'acquisto o d’affitto non facilita, anzi ostacola l’u- scita dalla casa d’origine. LA SITUAZIONE ITALIANA.Negli anni 1993 e 1994 i giovani tra i 18 e i 34 anni che vivevano in famiglia rappresentava- no il 56,5%, nel 1998 la percentuale è salita al 59,1 e si man- tiene pressoché stabile nel 2003 (60,9) ( Indagine Multisco- po sulle famiglie - Istat 2003). La percentuale dei giovani che permangono in famiglia si mantiene pressoché stabile ed elevata negli ultimi dieci anni fino ai 24 anni, mentre si evi- denzia una crescita di oltre dieci punti percentuali nelle fa- sce di età dai 25 ai 34 anni. Dall’analisi della condizione lavorativa dei giovani che vi- vono con i loro genitori emerge che poco meno della metà (46,4%) risulta occupato. In dieci anni (1993-2003) la per- centuale dei giovani occupati aumenta di 4,4 punti per- centuali, mentre la percentuali dei giovani che vivono in fa- miglia e sono in cerca di occupazione diminuisce di cinque punti. Il 60,9% dei giovani italiani vive ancora presso la fa- miglia di origine. Considerando la ripartizione geografica, il Sud e le Isole presentano la percentuale più alta di giova- ni residenti presso la famiglia d’origine (65,8). Nel Mezzo- giorno risulta maggiore rispetto al resto d’Italia la percen- tuale di coloro che sono in cerca di un’occupazione: 26,2 nel Sud e 28,1 nelle Isole. Il Sud in particolare evidenzia la più alta percentuale dei giovani maschi studenti che risie- dono presso la famiglia d’origine, 33, e la più alta percen- tuale, 7, delle giovani femmine casalinghe che vivono con almeno un genitore. LE MOTIVAZIONI. Il 40,6% dei giovani italiani che vive an- cora con i genitori sostiene di star bene e di avere la propria libertà. Maggiormente sono i maschi ad asserire ciò, il 44,3%, contro il 36 delle donne. Il 32,1 motiva la perma- nenza nella famiglia d’origine a causa dello studio, mentre il 24,1 non può andare a vivere fuori dalla famiglia d’origi- ne perché non è in grado di sostenere le spese d’affitto e d’ac- quisto di una casa e solo il 16% permane nella famiglia d’o- rigine per mancanza di un lavoro o di un lavoro stabile. UNO SGUARDO AL FUTURO. Tra i giovani italiani che nel 2003 vivono ancora con i genitori, oltre la metà (il 55,2%) non ha intenzione di uscire dalla famiglia d’origine. Solo l’8,9% asserisce di aver la certezza di rendersi indipendente dal punto di vista abitativo nei prossimi tre anni e il 36 che lo farà probabilmente. Nella classe d’età 18-29 circa un ter- zo dei giovani intervistati ha l’intenzione di uscire dalla fa- miglia di origine, nella classe d’età 30-34 anni più della metà e nella classe successiva, 35-39 anni, circa il 40%. SCHEDA 31. LA NUOVA LEGGE SULL’AFFIDAMENTO CONDIVISO DALL’AFFIDO MONOGENITORIALE A QUELLO CONDIVISO. L’instabilità coniugale è un fenomeno in costante crescita nel nostro Paese e lo dimostrano anche i dati più recenti. Negli ultimi dieci anni il numero di separazioni e divorzi è cresciuto gradualmente. In termini assoluti, le separazioni che erano 51.445 nel 1994 sono diventate 81.744 nel 2003. Allo stesso modo, i divorzi che, partiti dalla cifra di 27.510 nel 1994 hanno toccato nel 2003 la cifra comples- siva di 43.856. Il numero delle separazioni peraltro è quasi il doppio ri- spetto a quello dei divorzi, a dimostrazione del fatto che l’effettiva dissoluzione della coppia coniugale avviene nel momento della separazione e che molte coppie dopo aver ottenuto una regolamentazione giuridica della loro nuova situazione rinunciano, forse anche per gli eccessivi costi che debbono affrontare, ad avviare le successive pratiche per il divorzio. In una simile instabilità spesso sono coinvolti i figli, vittime incolpevoli della crisi tra i propri genitori. La legge 8 feb- braio 2006, n.54, recante «Disposizioni in materia di sepa- razione dei genitori e affidamento condiviso dei figli», ha drasticamente modificato la materia relativa ai provvedi- menti riguardanti i figli in caso di crisi tra i genitori, sfor- zandosi di offrire loro una tutela uniforme a prescindere dalla natura dell’unione dei genitori e dalle sue possibili vi- cende. Il testo legislativo contiene una disciplina unitaria dei provvedimenti destinati a regolamentare i rapporti tra genitori e figli in caso di crisi familiare, senza distinguere tra genitori coniugati e non coniugati, tra separazione, divor- zio e annullamento del matrimonio, sul presupposto della necessità di tutelare l’interesse dei figli a ricevere il minor danno possibile dalla disgregazione del proprio nucleo fa- miliare, utilizzando il medesimo principio, quello dell’e- sclusivo interesse morale e materiale del figlio. Prima della riforma, il modello prevalente di affidamento risultava improntato all’ottica di una delega delle responsa- bilità relative ai figli in toto al genitore affidatario, con com- piti di mero controllo da parte dell’altro genitore. Al geni- tore affidatario spettava il diritto di tenere il figlio con sé, conservando l’esercizio della potestà in via esclusiva; all’al- tro genitore invece spettava soltanto il diritto di vigilare e di controllare l’operato del genitore affidatario nonché di con- 51 cordare le decisioni fondamentali per la vita del figlio. I dati statistici rilevano come la tipologia di affidamento più diffuso nella prassi sia stata, in ogni caso, l’affidamento monogenitoriale. IL NUOVO MODELLO DI AFFIDAMENTO CONDIVISO. Il pro- filo più innovativo della nuova normativa sta nella centra- lità riconosciuta al minore ed alla sua esigenza di continua- re a mantenere immutati i rapporti con i genitori. Sulla scorta degli orientamenti emersi anche in sede internazio- nale, infatti, la nuova normativa ha decisamente valorizza- to il diritto del minore ad un rapporto equilibrato e conti- nuativo con entrambi i genitori, prevedendo un meccani- smo che consenta ad entrambi di partecipare attivamente alla vita del figlio anche dopo la disgregazione del nucleo familiare, abbandonando la tradizionale distinzione di ruo- li tra genitore che si occupa del figlio e genitore “del tempo libero”. In questa prospettiva, la bigenitorialità non diventa solo una legittima rivendicazione del genitore ma un diritto sog- gettivo del minore, da collocare nell’ambito dei diritti del- la personalità. Nel contempo, viene enfatizzata anche l’im- portanza dei legami familiari in senso più ampio, ricono- scendo il diritto del minore di poter continuare a frequen- tare anche i nonni e in generale i parenti dei genitori. Nel programma perseguito dal legislatore, dunque, l’affi- damento condiviso diventa regola generale, mentre l’affi- damento monogenitoriale viene relegato ad ipotesi resi- duale, per i soli casi in cui l’affidamento all’altro genitore sia contrario all’interesse del figlio. Sulla scia di tale princi- pio, il nuovo art. 155 Codice civile stabilisce che i figli ven- gano affidati ad entrambi i genitori che su di essi esercitano la potestà e che le decisioni di maggiore importanza (istru- zione, educazione e salute) vengano prese congiuntamen- te. Per le decisioni di ordinaria amministrazione il giudice può disporre che i genitori esercitino la potestà separata- mente. Sarà il giudice a determinare per i figli «i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore», se- condo una regola necessariamente elastica che, nella pro- spettiva di una serena gestione del rapporto con i figli, vede privilegiare gli accordi dei genitori di cui il giudice è infatti tenuto a prendere atto se non contrari al loro interesse (art. 155, comma 2, Codice civile). L’AUDIZIONE DEL MINORE. La legge riconosce e valorizza il diritto del figlio ad essere ascoltato, prevedendone l’audi- zione obbligatoria se abbia compiuto i 12 anni e anche di età inferiore, ove capace di discernimento, con ciò recepen- do un principio già ampiamente espresso in numerose con- venzioni internazionali, regolamenti comunitari, nonché, in tempi più recenti, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Carta di Nizza del 2000). Viene in questo modo colmata una lacuna della precedente discipli- na che, solo con riguardo al divorzio, e solo se ritenuto ne- cessario, contemplava la possibilità per il giudice di ascolta- re il figlio prima di decidere dell’affidamento. ACCORDI DEI GENITORI IN MERITO ALL’AFFIDAMENTO E MEDIAZIONE FAMILIARE. Convincente, seppur eccessiva- mente generico, appare anche il riferimento nell’ambito della legge alla mediazione familiare, mediante la previsio- ne della possibilità per il giudice, con il consenso delle par- ti, qualora ne ravvisi l’opportunità, di rinviare l’adozione dei provvedimenti sull’affidamento in attesa che i coniugi stessi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo circa l’affidamento. Nella legge si prevede che il giudice prenda atto, se non con- trari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i ge- nitori. Tuttavia la formulazione della norma non definisce con chiarezza quale sia l’efficacia degli accordi presi dai ge- nitori in merito alle modalità con le quali regolare la gestio- ne dell’affidamento condiviso: se cioè, il giudice debba ne- cessariamente attenervisi, constatata la loro conformità al- l’interesse dei figli, oppure se egli debba considerarli alla stregua di un elemento di valutazione (magari anche im- portante) circa la conformità della decisione da adottare al- l’interesse di quel minore. Nel primo caso, il potere confe- rito al giudice non sarebbe molto diverso da quello che ora gli attribuiscono le norme vigenti (art. 155, comma 7, Co- dice civile art. 6, comma 9, legge 898/1970). In questo modo i genitori vengono coinvolti direttamente nella definizione dei rapporti genitoriali conseguenti alla crisi del matrimonio, assumendo in prima persona una funzione “disciplinare” che altrimenti sarebbe rimessa esclusivamente al giudice. Tuttavia, sussiste il rischio che i genitori deleghino la stipulazione degli accordi agli avvoca- ti, con la conseguenza che il giudice andrebbe ad omologa- re, e dunque ad attribuire efficacia, ad accordi non condivi- si e per ciò stesso meno soddisfacenti e di solito meno ri- spettati. L’ASSEGNO DI MANTENIMENTO. Quanto al mantenimento dei figli, fatti salvi gli accordi assunti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede in misura proporzionale al proprio reddito; se necessario, nell’ottica di integrare il contributo diretto, il giudice potrà stabilire la corresponsione di un as- segno, la cui entità dovrà determinare valutando una serie di criteri predefiniti che valgono a limitare una sua eccessi- va discrezionalità; si tratta in larga misura di criteri che la prassi giurisprudenziale ha in questi anni utilizzato per de- finire l’entità dell'assegno di mantenimento del figlio, an- che se da taluni si è sottolineato che si tratterebbe di criteri talmente generici che difficilmente saranno in grado di as- solvere all’obiettivo per cui sono stati previsti. Così come prevedeva la disciplina previdente, il giudice, ove le informazioni di carattere economico fornite dai ge- nitori non siano sufficientemente documentate, può di- sporre accertamenti della polizia tributaria. L’importante novità introdotta dalla legge di riforma consiste invece nel fatto che tali indagini possono avere ad oggetto anche beni intestati a soggetti diversi rispetto ai genitori, al fine di ren- dere inefficaci intestazioni fittizie. LA NUOVA DISCIPLINA DELLA CASA FAMILIARE. L’assegna- zione dell’abitazione familiare è legata all’interesse della prole a non subire un forzoso allontanamento dalla propria casa, e che dell’assegnazione il giudice dovrà tener conto ai fini della regolamentazione dei rapporti economici tra i ge- nitori, specie nel caso in cui l’immobile assegnato sia di pro- prietà esclusiva di quello dei due genitori che non lo abita (in altre parole, occorre tener conto che la disponibilità di un immobile rileva per l’assegnatario in termini di manca- ta spesa per la locazione di altro immobile, mentre, per chi subisce il provvedimento, in termini di costo per un nuovo alloggio e in termini di mancato introito per l’impossibilità di trarre dall’immobile un reddito). 52 SCHEDA 32. UNA FAMIGLIA PER OGNI BAMBINO Per calcolare il dato complessivo dei “minori fuori dalla fa- miglia” bisogna aggiungere al totale dei minori accolti in istituto (circa 2.700), la quota di minori accolti nelle co- munità (familiari ed educative) stimabili tra i 15mila e i 20mila (anche in riferimento ai ricoveri “anomali”) e il nu- mero dei minorenni in affidamento familiare pari a circa 10.200, di cui 5.280 in affidamento intra familiare e 4.668 in affidamento etero familiare. Il numero è impressionan- te: sono circa 30mila i minori di cui farsi carico nel nostro Paese entro il 31 dicembre 2006. MINORI IN ISTITUTO. Dai dati emerge come gli istituti per minori ancora in funzione nel nostro Paese ammontino a 215 unità e in totale ospitino 2.633 bambini e adolescenti (dati aggiornati al 30 giugno 2003). Dai 475 istituti per mi- nori registrati dall’Istat al 31 dicembre 1999, si è passati nel- l’anno successivo a 359 unità, con una riduzione di 116 strutture, e dopo tre anni e mezzo, con una ulteriore ridu- zione di altre 144, si scenda fino a quota 215. Relativa- mente ai minori ospiti degli istituti, il trend di diminuzio- ne è anche più marcato: infatti tra il 1999 e il 2000, il nu- mero di minori diminuisce di 3.051 unità ma se si pren- desse a riferimento il periodo 2000-2003 la diminuzione riscontrata sarebbe addirittura di 4.942 unità, che rappre- senta una contrazione, nel triennio considerato, pari a cir- ca due terzi dell’universo analizzato. Tre quarti degli istitu- ti per minori complessivamente censiti si collocano nel Me- ridione. In assoluto, comunque, la regione che presenta il maggior numero di strutture è la Sicilia, con 63 istituti per minori; al contrario, il Friuli Venezia Giulia presenta solo un istituto all’interno del proprio territorio. I minori solitamente non sono allontanati dal loro territo- rio d’origine verso strutture di altre regioni: solo la regione Abruzzo sposta un numero considerevole (sul totale regio- nale) pari a 15 ragazzi nella vicina Umbria. La percentuale dei minori di età compresa tra 0-2 anni accolti dagli istitu- ti è pari a circa il 10% del totale. Tale andamento cresce via via che ci si sposta nelle classi di età maggiore, fino a rag- giungere il picco nella classe 6-8 anni (25,6%); diminuisce nelle classi successive fino a quella di 18 anni (0,3). LE MOTIVAZIONI PER LA QUALE I MINORIVENGONO INSERI- TI IN ISTITUTO. Nel 33% dei casi si tratta di problemi eco- nomici e abitativi della famiglia di origine, seguono i pro- blemi di condotta dei genitori (12% del totale delle moti- vazioni) e le crisi delle relazioni familiari (8,5). Non sono certo da trascurare, sebbene esibiscano incidenze meno ri- levanti, alcune motivazioni “pericolose” quali appunto il maltrattamento e l’incuria (5,1%), la violenza sessuale sul minore (2,5) e lo stato di abbandono (1,8). Le crisi delle re- lazioni familiari unitamente ai problemi relazionali del mi- norenne con la famiglia superano l’8%. MINORI STRANIERI E MINORI DISABILI. I minori stranieri ospiti degli istituti rappresentano il 17,2% del totale e in valore assoluto sono pari a 452; essi sono maggiormente presenti nel Lazio (un bambino su due), Lombardia (il 46,8% del totale regionale) e Umbria (il 31,1% del totale regionale). Per quanto riguarda i disabili si registra un dato assoluto pari a 185 unità, suddivisi principalmente nelle re- gioni della Sicilia con 46 minori (8,4%), Puglia con 29 (7,6) e Veneto con 26 (19). 53 IDENTIKIT DEL PEDOFILO. Non esiste un’età media cui ri- condurre il soggetto pedofilo e non è possibile rintracciare neanche una classe sociale cui un soggetto affetto da tale di- sturbo appartiene. Il sesso del pedofilo è quasi esclusiva- mente rappresentato dal genere maschile, ma non è esclusa la presenza di quello femminile. Il pedofilo è “psicopatolo- gicamente pedofilo”, perché mosso in modo invasivo e in- controllabile dalle sue fantasie, impulsi e desideri a tal pun- to da compromettere una o più aree della sua vita a livello socio-relazionale o professionale. L’attrazione verso le fem- mine è descritta come la più frequente e riguardante per lo più bambine dagli 8 ai 10 anni; quella per i maschi, invece, sembra coinvolgere minori con un’età leggermente più ele- vata. Tra i pedofili è possibile, inoltre, osservare soggetti at- tratti esclusivamente da bambini (tipo esclusivo) e soggetti attratti da bambini e adulti (tipo non esclusivo). IL PROFILO CRIMINOLOGICO. Attraverso l’analisi dei fasci- coli di più di mille soggetti denunciati all’autorità giudizia- ria dalla Polizia Postale e delle Comunicazioni, emerge che nel 96% dei casi si tratta di maschi, mentre solo nel restan- te 4% di donne; nel 44% dei casi gli indagati hanno un’età che va dai 21 ai 30 anni, nel 27% dai 31 ai 40, nel 14% dai 51 e ai 60 anni. Solo il 3% dei segnalati all’autorità giudi- ziaria ha un’età inferiore ai 20 anni. Per quanto concerne il titolo di studio, al primo posto si colloca la licenza liceale (65%) e a seguire la licenza media (7) e la laurea (5). Nel 67% dei casi i soggetti sono celibi e nel 29 coniugati. Nella maggior parte dei casi (90%) i soggetti erano incensurati, nel 2% erano recidivi e nel 5% avevano precedenti, ma ge- nerici e non legati alla sessualità. Circa il 90% dei soggetti fermati si sarebbe limitato alla scambio di materiale pedo- pornografico, mentre nel 10% dei casi sarebbero stati coin- volti anche minori “dal vivo” ( Strano 2003). I COLLEZIONISTI. I pedofili spesso collezionano pornogra- fia infantile e child erotica. Si possono distinguere quattro tipologie: • closet: coloro che si limitano a fare uso di materiale pe- dofilo in segreto e senza mettere in atto molestie sessuali; • isolated: coloro che fanno uso di materiale pedofilo condiviso solo con le loro vittime; • cottage: coloro che scambiano e condividono il proprio materiale con altri pedofili e abusanti; • commercial: coloro che fanno del denaro lo scopo pri- mario della loro collezione. La pedopornografia on line è un fenomeno vasto e preoc- cupante, la cui diffusione e divulgazione avviene in preva- lenza in alvei e dimensioni “pseudo pubbliche” della Rete nelle quali la relazione pedopornografica tra autore e vitti- ma viene interrotta da una lunga serie di passaggi e rime- scolamenti di materiali di portata tale da non rendere pos- sibile una serie di indagini sulle dinamiche associative di produttori di pedopornografia. IL MODUS OPERANDI DEL PEDOPORNOGRAFO ON LINE.Tra tutti gli utilizzi di Internet le chat line rappresentano il set- tore dove si manifestano i maggiori rischi per i minori. Co- me emerge da una ricerca del 2004 a cura dell’Internatio- nal Crime Analysis Association, il 13% dei bambini tra gli 8 e i 13 anni ha avuto dei contatti in chat con un adulto che intraprende discorsi su tematiche sessuali; il 29,7% di ado- lescenti tra i 14 e i 17 anni ha incontrato contenuti indesi- derati/offensivi; il 51,7% di loro ha incontrato finestre aperte di pubblicità di altri siti. Uno studio avviato nel 2000 è stato svolto attraverso la sperimentazione sul campo: i ri- cercatori entrano nelle chat con l’identità virtuale di bam- bini e partecipano in prima persona all’interazione con il pedofilo. In tutti i casi il pedofilo, prima di rischiare, si ac- certa dello stato di solitudine del bambino al momento del- la conversazione, attraverso domande sulla presenza o me- no di adulti in casa; è ricorrente la richiesta da parte del pe- dofilo di descrizioni fisiche che riguardano soprattutto le componenti genitali e sessuali in genere; laddove il fine è tentare l’adescamento del bambino, è frequente che il pe- dofilo, nel corso di conversazioni apparentemente casuali, raccolga informazioni su gusti, hobbies e interessi del bam- bino, per offrirgli oggetti o situazioni che rappresentano per il bambino una fonte di attrazione (Università Cattoli- ca del Sacro Cuore di Roma). In base alle caratteristiche di personalità e ai livelli di gra- vità, si distingue tra: • pedofili omosessuali, che desiderano avere rapporti con bambini/e dello stesso sesso, con modalità “d’amore” vici- ne a quelle fra madre e figlio; • pedofili compulsivi, che agiscono in modo irrefrenabile capitolo 5 MEDIA E SOCIETÀ SCHEDA 33. PEDOFILIA E PORNOGRAFIA MINORILE: ASPETTI DESCRITTIVI, NESSI E DIFFERENZIAZIONI INTERNET E LE NUOVETECNOLOGIE IN ITALIA.Nel periodo compreso tra ottobre-dicembre 2002 e ottobre-dicembre 2005, in Italia la percentuale delle famiglie con accesso In- ternet da casa è cresciuta di ben 9 punti percentuali passan- do dal 34 (2002) al 43% (2005), ovvero pari a circa 9,2 mi- lioni di famiglie on line e a 27,9 milioni di utenti potenzia- li. Nel corso dell’ultimo trimestre 2005, il 4% dei naviga- tori è rappresentato da bambini tra i 6 e gli 11 anni, mentre i giovani di 12-17 anni costituiscono il 9%. A fine 2005 i bambini che hanno utilizzato Internet sono aumentati sia per quanto riguarda il numero (+14%), sia per quanto in- teressa i consumi: tra ottobre e dicembre 2005 si sono col- legati a Internet in media 12 volte (contro le 8 sessioni del 2004) trascorrendo in Rete 2 ore e mezzo in più rispetto al- l’anno precedente. Sono maggiormente on line da casa gli studenti (18%) che occupano il primo posto, seguono i ra- gazzi con meno di 16 anni (10). Complessivamente il 52,3% dei ragazzi con un’età compresa tra i 14 e i 17 anni dichiara di collegarsi tutti i giorni (12,1) o almeno una vol- ta alla settimana (40,2); il 19,1% lo fa almeno una volta al mese e il 28,5 più raramente ( Nielsen//NetRatings, 2005). A CHI RIVOLGERSI PER AVERE UN AIUTO: LA POLIZIA PO- STALE E IL PROGETTO HOT114. Poiché lo sviluppo delle nuove tecnologie dell’informazione ha sollevato sempre nuove problematiche legate alla sicurezza dei sistemi di co- municazione, la Polizia di Stato ha adeguato le proprie strutture investigative alle mutate esigenze, strutturando nel corso degli anni unità sempre più specializzate per vigi- lare sull’uso distorto delle tecnologie ed impedire che esse divengano veicolo di illegalità. Questo compartimento della Polizia di Stato effettua costanti monitoraggi della re- te Internet per verificare la presenza di siti, messaggi, new- sgroup o conversazioni dai quali si possa presumere la com- missione di un reato. L’avvio delle attività investigative può dunque avvenire per i comportamenti sessuali sui bambini/e in associazione ad un restringimento dello stato di coscienza, al di fuori del quale soffrono per tale comportamento; • pedofili perversi, che non considerano il bambino come soggetto, ma solo un mezzo per soddisfare un comporta- mento sessuale, intriso di ritualità violenta; • pedofili regressivi, che rivolgono il loro interesse sui bambini, perché sono caratterizzati da una personalità im- matura e fissata ad un livello infantile di sviluppo psico-ses- suale; • pedofili fissati, che presentano un arresto temporaneo o permanente dello sviluppo psico-sessuale e fin dall’adole- scenza un atteggiamento di tipo pedofilo. L’interesse ses- suale primario non è mai evoluto oltre lo stadio prepubere; raramente intrattengono relazioni sessuali adulte, sono spesso celibi e tengono a mettere in atto comportamenti sessuali pedofili verso sconosciuti o vicini di casa; • pedofili situazionali, che non presentano una originaria e unica preferenza verso i bambini e sono portati a rivolger- si al mondo infantile nel momento in cui eventi particolar- mente stressanti intervengono nella loro vita. QUALE RAPPORTO TRA FANTASIE, PEDOFILIA E PORNOGRA- FIA?Avere fantasie sessuali pedofile o provare attrazione per i bambini non significa necessariamente che azioni pedofi- le verranno messe in atto. È provato che fantasie pedofile e, ad esempio, eccitazione per materiale pedofilo sono pre- senti anche in parte della popolazione cosiddetta “norma- le”. Come emerge dall’ultimo rapporto Eurispes sulla por- nografia (2005), il mercato del porno complessivamente è in crescita: il valore annuo del fatturato passa da 895 milio- ni di euro nel 2002 a 1.101 milioni di euro nel 2004, ri- scontrando un calo del fatturato solamente per i siti web commerciali (da 224 milioni di euro nel 2002 a 181 milio- ni di euro nel 2004); le aree di affari più forti nel 2004 ri- sultano le televisioni a pagamento, gli home video e i video telefonini satellitari con un fatturato, rispettivamente, di 247, 233 e 140 milioni di euro. In Occidente i sette Paesi leader dell’industria pornografica risultano essere gli Usa, seguiti da Svezia, Germania, Francia, Spagna, Ungheria e Repubblica Ceca. L’Italia, che fino agli anni 90 era tra i pri- mi produttori, attualmente è esclusa dal circolo dei “G7 del porno”: una delle cause di tale esclusione risiede nell’incer- tezza e talvolta inefficacia delle leggi che regolano il settore. L’economia pornografica, infatti, prospera anche in regimi legali proibizionisti, ma per divenire “industria” necessita, paradossalmente, o di assenza di regole o di regole chiare. Il successo di questo mercato oggi è in evidenza per mezzo di Internet, ma vi è sempre stata molta offerta e molta richie- sta, anche prima che esistesse tale mezzo di comunicazio- ne. I fruitori di questo mercato sono ovviamente persone attratte da ciò che viene loro offerto e non è corretto, sul piano logico, asserire che tale attrazione sia determinata dall’offerta, mentre è logicamente desumibile il contrario, cioè che il successo dell’offerta sia determinato dal fatto che esiste in tante persone questa attrazione. 54 SCHEDA 34. IL BAMBINO NAVIGATORE, I SUOI GENITORI E I SUOI INSEGNANTI: IL PROGETTO HOT114 55 propria iniziativa o a partire da segnalazioni di privati citta- dini. Il progetto Hot114 nasce nell’ambito del programma Safer Internet promosso dalla Commissione Europea per favorire l’utilizzo sicuro di Internet e delle nuove tecnolo- gie e in particolare per combattere i contenuti illegali e po- tenzialmente pericolosi per bambini e gli adolescenti. Tale progetto è stato affidato a Telefono Azzurro con il fine di potenziare l’area della sicurezza in Internet in Italia. Il pro- getto, della durata di due anni, è stato avviato ufficialmen- te il 1° aprile 2005, con l’obiettivo di costituire e rendere operativa in Italia una hotline in servizio 24 ore su 24, che permetta a chi naviga in Internet di segnalare contenuti pe- dopornografici o potenzialmente pericolosi per bambini e adolescenti. Il lavoro di Rete dell’Hot114 è potenziato dal- l’appartenenza all’associazione internazionale di hotlines sui Internet Inhope (www.inhope.org), cofinanziata dalla Commissione Europea, che promuove la cooperazione tra oltre 25 hotlines di tutto il mondo. PEDOPORNOGRAFIA ON LINE: DATI. Le azioni di contrasto, effettuate dalla Polizia Postale dall’entrata in vigore della legge 269/98 «Normativa contro lo sfruttamento sessuale dei minori» sino a luglio 2006, hanno portato al monito- raggio di 225.113 siti; 10.393 segnalazioni ad organismi investigativi esteri; 3.134 perquisizioni; 3.365 persone sot- toposte ad indagini; 167 indagati sottoposti a provvedi- menti restrittivi. Per quanto riguarda le segnalazioni inol- trate all’hotline Hot114 in merito a contenuti illeciti (ma- teriale pedopornografico) e pericolosi rinvenuti sulla Rete, nel periodo compreso tra aprile 2005 e settembre 2006 so- no state complessivamente accolte 342 segnalazioni. La percentuale più elevata di segnalazioni (63,5%) ha interes- sato i siti web; rilevanti anche i valori riconducibili alle e- mail (16,7) e al file sharing (11,4). I soggetti segnalanti pre- feriscono nella maggior parte dei casi rimanere anonimi (60,5). In più del 40% dei casi il Paese che ospita i siti web segnalati sono gli Stati Uniti; al secondo posto, ma con va- lori molto più ridimensionati, troviamo l’Italia (11,1). I PERICOLI DELLA RETE PER I BAMBINI E GLI ADOLESCENTI: ADESCAMENTO, SITI ILLEGALI E SITI DANNOSI (RAZZISMO, GUERRA, VIOLENZA). Bambini e adolescenti che navigano in Internet possono trovarsi di fronte a materiali e conte- nuti inadeguati per la loro età (ad esempio, contenuti vio- lenti, con espliciti riferimenti sessuali o che incitano al raz- zismo) o trovarsi ad interagire con soggetti malintenziona- ti che possono ingannarli ed invitarli a comportamenti o azioni pericolose. Secondo quanto documentato dall’espe- rienza investigativa delle Forze dell’ordine specializzate, le chat rappresentano il settore di Internet in cui si riscontra- no i maggiori rischi. All’interno delle chat, infatti, è possi- bile intrattenere comunicazioni estremamente intime, su- perando gap generazionali e culturali. Se il pericolo mag- giore per un bambino o un adolescente può derivare dal- l’incontro diretto con soggetti malintenzionati conosciuti in chat, in questo stesso luogo virtuale il giovane navigato- re può essere vittima di episodi di flaming, una comunica- zione violenta ed offensiva. Si tratta di un comportamento tipico dei giovani e degli adolescenti, che sarebbero più pro- pensi ad accendere “risse digitali”, usando un linguaggio scurrile all’interno di chat, forum, mailing list. La stessa ricerca sui motori di ricerca di cartoni animati, cantanti e attori, può condurre a foto e/o filmati di tipo por- nografico, dal momento che spesso sono mascherati da file con nomi ingannevoli. Internet può veicolare anche conte- nuti pericolosi come l’esaltazione della violenza e della cru- deltà, l’istigazione all’odio e al razzismo, la pubblicità di ta- bacco e alcool, la valorizzazione dell’estrema magrezza e il ricorso a qualsiasi mezzo per raggiungerla, il mito dell’ar- ricchimento facile e il ricorso a comportamenti illegali per ottenere un guadagno immediato. COME AFFRONTARE I PERICOLI DELLA RETE PER UNA NAVI- GAZIONE SICURA. Al fine di garantire che bambini e adole- scenti possano beneficiare delle innumerevoli risorse e po- tenzialità di Internet è necessario provvedere a proteggerli dai contenuti dannosi: Internet deve diventare un luogo in cui, con qualche precauzione, i bambini possono crescere serenamente. Una soluzione tecnica è quella di utilizzare programmi di filtraggio che, attraverso l’adozione di mo- delli di blacklisting (che non consentono di aprire certi siti) oppure di whitelisting (che consentono all’opposto di apri- re solo siti specificati), evitino spiacevoli incontri in Rete. Attraverso l’uso di filtri è possibile anche restringere la na- vigazione solamente a reti private, che contengono solo del- le pagine adatte ai più piccoli e da cui non si può uscire. SCHEDA 35. GENERAZIONE EBAY: IL BOOM DEGLI ACQUISTI ON LINE E-COMMERCE: PICCOLI ACQUIRENTI CRESCONO. Lo svi- luppo dell’e-commerce è senza dubbio legato alla crescita dei fruitori di Internet i quali, avendo acquisito maggiore familiarità con il mezzo, hanno incrementato gli acquisti on line. Il commercio elettronico sembra non conoscere li- miti o confini di tipo anagrafico. Lo confermano i risultati del sondaggio Eurispes-Telefono Azzurro 2006, secondo cui sin da piccolissimi gli internauti utilizzano la Rete per 56 fare acquisti on line. In particolare l’11,4% dei bambini con un’età compresa tra 7 e 11 anni sostiene di aver già fatto compere sul web. E al crescere dell’età aumenta considere- volmente la quota percentuale dei giovani appassionati di e-commerce che raggiunge il 29,1% tra i giovani con un’età compresa tra 16 e 19 anni. Sono i maschi coloro che mag- giormente usano Internet per i loro acquisti on line. Lo te- stimoniano i dati che indicano valori più alti riferiti ai bam- bini (15,1%) e agli adolescenti (34,8) rispetto a quelli che interessano le bambine (6,7) e le adolescenti (18). ACQUISTARE CON UN CLICK. Secondo le più recenti analisi l’e-commerce business to consumer italiano toccherà a fi- ne 2006 i quattro miliardi di euro con un aumento del 45% rispetto al 2005 (Osservatorio B2C). Il commercio elettro- nico si concentra in alcuni settori, e leader indiscusso è il turismo con un fatturato di oltre 1,7 milioni di euro anche se nel 2006 non aumenta la sua quota di mercato che com- plessiva rimane fissa al 43%. Grazie all’ottimo andamento delle vendite su eBay è in co- stante crescita la categoria “altro” che comprende ad esem- pio la prevendita di biglietti, le ricariche telefoniche, il col- lezionismo, preziosi, fiori, ecc. Questo comparto supererà alla fine del 2006 quota 1.200 milioni di euro, facendo re- gistrare un incremento percentuale del 30% rispetto allo scorso anno. In questo settore l’80% circa delle vendite pro- viene proprio dalle vendite consumer to consumer di eBay, il sito più famoso al mondo di aste on line. Ottimi inoltre i profitti realizzati nel settore dell’informatica e dell’elettro- nica che da sempre registrano risultati positivi: +11% di vendite nel 2006, con un giro d’affari che entro la fine del- l’anno supererà i 430 milioni di euro. Confermano quote percentuali pari al 3% i settori dell’editoria, della musica e dell’abbigliamento. Perdono invece peso sul mercato com- plessivo le assicurazioni on line (-3% rispetto al 2005) e il settore di grocery (1% nel 2006 contro il 2 del 2005). La fiducia negli acquisti in Rete è cresciuta anche grazie al- l’adozione di sistemi sicuri e soprattutto in seguito alla dif- fusione delle carte di credito prepagate che, oltre ad elimi- nare il timore di incorrere in possibili truffe, consentono di allargare il target di riferimento permettendo anche ai più giovani di usufruire di un servizio prima imprescindibile dal possesso di un conto corrente bancario. La modalità di pagamento più diffusa per le transazioni on line è la carta di credito (usata nel 70% dei casi), seguita da Paypal (10), dai bonifici (9) e contrassegni (8). Non ancora diffusi i finan- ziamenti (1). eBay è la più grande community al mondo di compravendita on line senza intermediari. Presente in Ita- lia dal 2001, conta oggi 203 milioni di utenti registrati nel mondo di cui 3 milioni italiani. Presente in 33 mercati in- ternazionali, solo nel secondo trimestre del 2006 ha pro- dotto un fatturato di 1,41 miliardi di dollari. Se eBay fosse un Paese, sarebbe la quinta nazione più popolata al mondo dopo Cina, India, Stati Uniti ed Indonesia. In ogni mo- mento ci sono più di 104 milioni di oggetti sul sito in tutto il mondo, con più di 6,5 milioni di nuovi oggetti al giorno. Solo nel secondo trimestre del 2006 ne sono stati messi in vendita 596 milioni in tutto il mondo. Nel secondo trime- stre del 2006 sono stati venduti su scala mondiale oggetti per un totale di 12,9 miliardi di dollari. eBay nasce come si- to di aste ma in realtà esiste un’ampia gamma di servizi: uno di questi è il «compralo subito», che consente ai venditori di proporre i propri oggetti a un prezzo fisso, e agli acqui- renti di non attendere il termine dell’asta. GLI OGGETTI PIÙ RICHIESTI. Primeggiano i telefoni cellu- lari (ricercati tramite alcune parole chiave come Umts o Nokia), le scarpe modello Hogan o Nike, le Vespa e le Bmw. Le categorie merceologiche complessive di eBay Italia sulle quali si effettua compravendita sono più di 3.500 raggrup- pate in 24 metacategorie visibili. Le categorie più visitate sono quelle dei fumetti, della bellezza e salute, dei franco- bolli, tv ed elettronica ma anche quelle dei vini e della ga- stronomia. Non sono mancate operazioni che hanno visto contesi oggetti veramente curiosi come: un allevamento it- tico (venduto per un milione 615mila euro); un call center con 76 postazioni telefoniche ed informatiche (venduto per 500mila euro); quattro sveglie in buono stato ma non funzionanti, vendute per 12 euro; un ago da pagliaio; bi- glietti del tram timbrati... SCHEDA 36. I CANALI TELEVISIVI TEMATICI PER BAMBINI FINO A 2 ANNI 31.500. È questo il numero di spot pubblicitari che media- mente un bambino guarda in un anno attraverso la televi- sione. La media è dunque di quasi 90 commercials al gior- no, un numero superiore, probabilmente, ai gesti di affetto che ogni genitore potrebbe nel corso della sua giornata ma- nifestare al proprio figlio. IL “CLIENTE BAMBINO” OVER 3. Esiste un florido mercato pubblicitario per il “cliente bambino” tanto che, secondo l’International Clearinghouse dell’Unesco, soltanto negli Usa le aziende spendono annualmente 12 miliardi di dol- lari nel marketing dedicato all’infanzia. Il gioco vale la can- dela: infatti i bambini americani riescono ad influenzare gli acquisti dei loro familiari per una cifra che mediamente 57 ogni anno si aggira intorno ai 500 miliardi di dollari. Sul- l’industria rappresentata poi dalle multinazionali bisogna porre particolare attenzione, anche perché essa opera al di fuori di ristrette logiche nazionali, in quanto fortemente interessata ai circa 2,1 miliardi di bambini che vivono oggi sul pianeta e che rappresentano il 36% della popolazione mondiale. IL “CLIENTE BEBÈ” UNDER 3. Realizzati con caratteristiche che determinano un’associazione suono/immagine sicura- mente molto efficace, gli spot televisivi risultano calibrati in modo da riuscire a determinare ed a orientare il 75% del- le scelte dei telespettatori bambini. Per il suo ottimismo, la sua concisione e la sua ripetitività, la pubblicità appare co- me una sorta di “protesi elettronica” dell’occhio - veri e pro- pri occhiali capaci di far vedere “luoghi” lontani, in tempi assolutamente ridotti - creando il codice comunicativo più influente sul comportamento dei bambini. Si tratta di ele- menti fortemente condizionanti che ne hanno consentito l’adozione stilistica da parte di diversi produttori televisivi, i quali, mutuandone le strutture di racconto, hanno inizia- to ad utilizzarli per la realizzazione di programmi dedicati ed addirittura per la creazione di canali televisivi, denomi- nati pre school television, rivolti persino agli under 3. BABY FIRST TV. Partendo dalla consapevolezza che anche i bambini di pochi mesi di vita risultano attratti dalle imma- gini che si muovono sullo schermo, prima ancora di capire che cosa esse rappresentino, è stata inaugurata negli Stati Uniti agli inizi dell’estate la programmazione via cavo di Baby First tv. Questo canale per la nursery dietro il paga- mento di soli 9,99 dollari al mese, propone 24 ore su 24 un palinsesto di ninne nanne, storielline di peluche che gioca- no al trenino, rubriche di cose da mangiare, un abbeceda- rio animato, canzoncine, geometria, uno spazio per colo- rarsi le mani e uno per la ginnastica. La promozione di que- sto canale nelle grandi città si è avvalsa di slogan e spot che ne sostenevano la convenienza soprattutto per il costo del- l’abbonamento nettamente inferiore a quello di un’ora di baby sitter. Secondo uno studio condotto nel 2005 dalla Kaiser Family Foundation i bambini americani sotto i due anni che guardano almeno due ore di televisione o di video al giorno sono il 68% dell’intera popolazione infantile, mentre il 26% ha persino il televisore in camera da letto. TELETUBBIES, LA TV PER CRESCERE. La serie animata dei Teletubbies è nata undici anni fa grazie ad un’idea della Bbc che mise a punto un nuovo programma televisivo studiato su misura per quei bambini che, pur guardando già la tele- visione, non sapevano né leggere né scrivere. In poco tem- po i Teletubbies conquistarono il cuore dei bambini di tut- to il mondo, senza sollevare echi di protesta, ma riuscendo ben presto ad ottenere il gradimento più alto nei palinsesti televisivi, tanto che, ancora oggi, la serie viene trasmessa in 113 Paesi, con versioni locali doppiate in ben 45 lingue. Ma qual è stata la chiave di volta per questa serie? Quali gli elementi secondo i quali questo programma è stato ritenu- to il più esemplare e positivo esempio di pre school televi- sion? La risposta è tutta in una parola: il gioco. Ma la carat- teristica principale dei personaggi di questa fortunata serie televisiva è stata sicuramente quella di aver “inventato” un linguaggio particolare, basato sulle onomatopee, con paro- le pronunciate in maniera distorta o parziale che ha saputo ricalcare esattamente quello dei bambini, secondo lo stesso codice comunicativo condiviso e prezioso per acquisire le abilità linguistiche fondamentali. SCHEDA 37. L’APPARIRE: MANIPOLAZIONE DEL CORPO FRA ARTE, BODY TUNING E CHIRURGIA È l’epoca del body tuning, tendenza che identifica la possi- bilità di modificare - letteralmente: accordare - il proprio corpo in maniera sostanziale, attraverso il ricorso a tatuag- gi, piercing, scarnificazioni, trasformandolo in un vero e proprio strumento/contenitore/oggetto di rappresentazio- ne del sé. Fenomeni quali il tatuaggio e il piercing sono di- ventati, ben accolti da giovani e meno giovani, parte del co- stume contemporaneo suscitando l’interesse di sociologi, antropologi, psicologi e medici. Inoltre, alla possibilità di ornare il corpo, modificandolo, la chirurgia moderna ag- giunge l’opzione di modellare, aumentare, armonizzare, nei limiti consentiti dalla deontologia, addomi e seni, nasi e glutei. Gli adolescenti e i giovani sono i più numerosi nel- l’esercito di persone interessate da questi fenomeni perché costituiscono la porzione sociale più portata all’innovazio- ne, più globalizzata, meno conformista. TATUAGGI E PIERCING COME FENOMENI NEOTRIBALI. Se- condo una ricerca effettuata nel 2003 dalla società HI Eu- rope, una quota pari al 49% dei giovani americani fra i 18 e i 29 anni sono tatuati, in Gran Bretagna nella medesima fa- scia d’età ha fatto la stessa scelta il 21% contro il 16 dei gio- vani italiani. Sono i più giovani e le donne in particolare ad essere maggiormente interessati a questa forma di body art. I significati che i giovani attribuiscono al tatuaggio riguar- dano la sensualità, l’anticonformismo, la capacità di essere 58 più attrattivi nei confronti del prossimo e una spiccata spi- ritualità. PERICOLI CONNESSI ALLE PRATICHE DEL BODY PIERCING E DEL TATTOO. La scelta di “dotare” il proprio corpo di un piercing non è un’opzione priva di rischi anche seri per la salute. Il pericolo principale proveniente da questa pratica è legato al fatto che, nonostante recenti disposizioni legisla- tive, tale attività è spesso praticata in maniera artigianale, in luoghi non conformi al necessario rigore igienico sanitario. I rischi clinici sono molteplici e sono per lo più associati al- l’area del corpo nel quale il piercing è collocato: l’inseri- mento di gioielli, anelli, barrette metalliche nei genitali e nei capezzoli, ad esempio, può mutilarne irrimediabilmen- te la funzionalità e, negli adolescenti, costituire un serio problema per il futuro sviluppo sessuale. Lesioni e tagli del- la cute sono associati a rischi di dolore, sanguinamento, in- fezione e cattiva. Rischio importante associato al body pier- cing è l’infezione da virus a trasmissione ematica quali epa- titi da Hcv, HBSag e il virus dell’Aids. Costituisce una fon- te di pericolo la contaminazione da batteri quali lo Staphy- lococcus spp e gli Streptococcus spp. Anche i tatuaggi tem- poranei non sono scevri da rischi per la salute. È stato regi- strato un aumento sensibile di reazioni allergiche ai tatuag- gi a base di hennè nei bambini e negli adolescenti italiani. L’ADOLESCENTE FRA DISMORFOFOBIA E CHIRURGIA ESTE- TICA. La dismorfofobia è la paura di non essere normali, di non avere un aspetto gradevole o bello. Riguarda soprat- tutto gli adolescenti di entrambi i sessi ed è strettamente le- gata alle trasformazioni dell’età puberale. L’adolescente di- smorfofobico vive il gruppo dei pari come luogo di peren- ne confronto, riferimento della misura del proprio valore sviluppando una profonda dipendenza dai giudizi espressi dai propri coetanei. Un giudizio negativo equivale allo sco- prirsi inadeguati al proprio gruppo. L’inadeguatezza perce- pita riguarda i propri tratti fisici, che allo specchio o nel- l’immaginario dell’adolescente divengono monchi, defor- mi, inadeguati, sovradimensionati e che spesso invece non sono poi così devianti così come il soggetto crede o teme. In Italia, sono oltre 6mila i ragazzi e le ragazze sotto i 18 an- ni che hanno fatto richiesta di iniezioni di botox, collage- ne, peeling chimici e dermoabrasioni, mentre in Europa il dato è almeno dieci volte maggiore. I casi più numerosi ri- guardano il Nord Europa, ma le richieste sono in sensibile aumento anche nell’Europa Mediterranea (EADV 2005). SCHEDA 38. 2005: I GIOVANI E LA CRESCENTE RICHIESTA DI MOBILITÀ: IL FENOMENO DELLE MICROCAR Il numero di giovani conducenti under 20 morti in inci- denti stradali nel solo 2004, è stato pari a 297, di cui la stra- grande maggioranza alla guida di un mezzo a due ruote, mentre il numero di feriti per la stessa tipologia e classe d’età si è attestato su 21.532; a ciò occorre aggiungere come le categorie di veicoli maggiormente coinvolte in incidenti sia a veicoli isolati che tra veicoli - se si eccettuano le autovet- ture private e pubbliche - nello stesso periodo, siano state proprio quelle dei ciclomotori e motocicli, la cui utenza è in buona parte giovanile (Aci-Istat). Ben il 65,7% dei ma- schi e il 46,1 delle femmine tra i 14 e i 19 anni dichiarano di saper guidare un ciclomotore che, in otto casi su dieci, è effettivamente reso disponibile dalla famiglia di origine per l’utilizzo. DA PRODOTTO DI NICCHIA A FENOMENO DELLE STRADE. È sufficiente osservare il traffico nelle grandi città per accor- gersi che a catturare la fantasia degli under 18 non sono più motorini dal design accattivante e dalle prestazioni eccel- lenti, ma minicar, vere e proprie automobiline in miniatu- ra per adolescenti, con il motore di uno scooter. Nonostan- te la loro comparsa sul mercato italiano sia piuttosto recen- te, intorno al 1997, le microcar stanno via via conquistan- do fette sempre più ampie di clientela non solo tra adulti a caccia di un mezzo col quale aggirare i divieti di accesso in zone a traffico limitato, i divieti di parcheggio o in cerca di un mezzo sostitutivo alla macchina dopo il ritiro della pa- tente, ma anche tra i giovanissimi compresi nella fascia 14- 17 anni. I quadricicli leggeri attualmente circolanti in Europa supe- rano le 305mila unità, di cui 49.120 nella sola Italia, prece- duta esclusivamente da Francia e Spagna (rispettivamente con 140mila e 50.676 unità). Le microcar immatricolate nel nostro Paese nel solo 2005 ammontano ad un totale di 4.970, un dato impressionante se si considerano la recente commercializzazione del mezzo, il rapporto tra prezzo e prestazioni e la quasi totale assenza di campagne pubblici- tarie massicce. Il guidatore-tipo di tale veicolo, così come emerge da uno studio condotto dall’Afquad in Francia su 5mila utenti, è nel 59% dei casi un ultracinquantenne e nel 36% dei casi si tratta di soggetti tra i 25 e i 50 anni; solo un esiguo 5% ha un’età compresa tra i 16 e i 25. Il fenomeno sembrerebbe quindi toccare solo marginal- mente gli adolescenti se non si tenesse conto della mancata armonizzazione della legislazione in materia a livello co- munitario. Mentre in Francia, Germania, Austria, Belgio e 59 SCHEDA 39. GIOVANI E IMPEGNO POLITICO Si assiste a un progressivo allontanamento della popolazio- ne giovanile italiana dal mondo della politica. Il rapporto fra nuove generazioni e vita istituzionale è in una crisi che trova negli ultimi anni il suo apice, sintomatologicamente registrata dai livelli di disinteresse, via via crescenti, espressi dai giovani nei confronti del dibattito istituzionale e delle attività politiche. Una ricerca promossa dall’Istituto Iard (2004), avente per oggetto la partecipazione politica dei giovani evidenzia co- me, fra il 1996 e il 2000, vi sia stato un decremento genera- lizzato degli indici di fiducia istituzionale, di civismo e una diminuzione dell’indice di associazionismo, salvo poche e isolate eccezioni. Nel corso del quadriennio considerato, l’indice di “fiducia istituzionale” mostra un decremento in tutte le zone d’Ita- lia, soprattutto nel Nord-Ovest. Nel 1996 era il Nord-Est la zona d’Italia che dichiarava una maggiore fiducia nelle istituzioni; quattro anni più tardi, è il Sud a credere mag- giormente nelle istituzioni al netto tuttavia di una flessione rispetto al dato del primo anno di rilevazione. L’indice di associazionismo appare in forte flessione, tutta- via il dato rappresentato è da leggere tenendo in considera- zione che nel primo periodo considerato lo strumento as- sociativo appariva particolarmente abusato rappresentan- do una forma di aggregazione che spesso rientrava in una logica di elusione/evasione fiscale dissimulando scopi commerciali. L’indice di partecipazione politica dei giova- ni infine soffre anch’esso di una seppur modesta flessione generalizzata. Nel 2000 sono le regioni del Nord-Est quel- le ad esercitare una partecipazione maggiore, mentre è il Centro ad aver registrato una maggior flessione dell’indice. INTRODURRE LE QUOTE ARANCIONE? Il diminuire del nu- mero di giovani fra le fila dei partiti indica una crisi della politica tradizionale e necessariamente una crisi della rap- presentanza per una porzione importante della società. Di questa crisi è sintomo e concausa il modesto numero di gio- vani che abitano le istituzioni: ad esempio nei banchi della Camera dei Deputati siedono solo tre deputati (fra i quali due uomini) che hanno una età fra i 25 e i 29 anni; anche la fascia fra i 30 e i 39 anni è rappresentata esiguamente (63 deputati) rispetto a quelle più anziane. GIOVANI EUROPEI E PARTECIPAZIONE POLITICA. Nuove for- me di partecipazione alla vita pubblica passano attraverso l’adesione a nuovi movimenti sociali su base internaziona- le, attraverso l’adesione a stili di vita alternativi e di com- portamenti dai contenuti altamente ideali. Circa il 35% dei giovani europei riferisce di essere interessato alla politi- ca tradizionale, mentre la quota più elevata appare disinte- ressata. Il 56% dichiara di parlare occasionalmente di poli- tica con i propri amici, solo il 10% lo fa frequentemente. Il 25% intravede nell’attività politica una dimensione im- portante per il proprio destino mentre per il rimanente 75% la politica tradizionale appare un asset distante e inca- pace di influenzare direttamente e positivamente la propria esistenza. LA PARTECIPAZIONE IN ITALIA.Fra i giovani dai 14 ai 17 an- ni solo il 15,1% riferisce di assistere ai dibattiti pubblici fra politici qualche volta a settimana, mentre ben il 48,9% è totalmente disinteressato ad essi. L’interesse per la politica è maggiore nella classe 20-24 anni (19,5%). I media preferiti per informarsi e assistere al pubblico di- battito sono soprattutto la tv, poi i quotidiani e in terzo luo- go, a notevole distanza, la radio.Chi non si informa lo fa so- prattutto perché dichiara che l’argomento non è di suo in- teresse (82% fra i 14-17 anni), in secondo luogo perché gli Portogallo l’età minima prevista per guidare un quadrici- clo leggero è di 16 anni, in Italia questa scende a 14 anni, previo conseguimento di un patentino che accerta esclusi- vamente conoscenze teoriche circa il Codice della strada. IL NUOVO TARGET DELLE MICROCAR: GLI ADOLESCENTI. Da un sondaggio condotto sul sito www.quadricicli.it su un campione di utenti con età inferiore ai 18 anni, emerge come ben il 72,3% degli interpellati sia favorevole all’uti- lizzo del quadriciclo a 14 anni col patentino, e il 21,8% a 16 anni con patente A; solo un esiguo 5,9% ritiene preferi- bile attendere la maggiore età per potersi mettere alla guida di una vera automobile (2) od optare per il tradizionale scooter (3,9). Nonostante molti giovani desiderino potersi mettere alla guida di una microcar, pochi si identificano con i prodotti attualmente in commercio. Il 60% degli in- tervistati auspica una diminuzione del prezzo di tali veico- li, il 19,3 un motore più silenzioso e performante ed un ri- levante 18 un design innovativo e accattivante. La como- dità e la possibilità di utilizzo in qualsiasi condizione clima- tica rendono appetibile questo prodotto (41% del campio- ne); seguono poi considerazioni legate alla sicurezza quali la constatazione che «4 ruote sono meglio di 2» (28) e la ga- ranzia di una maggiore affidabilità (18); infine solo il 13% dei giovani ritiene che le microcar siano convenienti in ter- mini economici. 60 argomenti dibattuti risultano complicati ed ostici; una quota pari al 5,2% dichiara di aver (già) maturato una sfi- ducia nei confronti della politica (Istat 2005). LA DEMOCRAZIA TELEMATICA: SCENARI PROSSIMI VENTU- RI. Lo sviluppo di Internet, la sua diffusione e l’approfon- dimento degli usi non potevano lasciare indifferente la po- litica. L’idea di agorà virtuale accessibile a tutti è compati- bile con la progettazione di sistemi di partecipazione diffu- sa che non hanno precedenti nella storia dell’uomo. E già oggi Internet costituisce un canale privilegiato per cattura- re il consenso, per diffondere notizie o attivare processi di controinformazione che in parte hanno dato un contribu- to alla democratizzazione della comunicazione, per esem- pio, in quei Paesi dove non c’è democrazia reale (seppur con problemi legati alla censura e al controllo come accade in Cina). Forum, blog, siti Internet e portali di informazione contribuiscono a costruire l’opinione di una quota impor- tante di popolazione per lo più giovanile, che ha maggior dimestichezza con la rete. Internet inoltre è diventata l’autostrada privilegiata dove far correre il dissenso: lo usano dai movimenti no global fi- no ai partiti politici più piccoli e con minori risorse econo- miche da poter utilizzare nelle campagne elettorali, SCHEDA 40. BAMBINI E ANIMALI Le case degli italiani sono sempre più popolate dai tradizio- nali animali domestici e di compagnia, ma spesso anche da specie esotiche e lontane. L’Eurispes ha calcolato che sono ormai 45 milioni gli animali che convivono con le famiglie italiane (Rapporto Italia, 2006). Attraverso il rapporto con gli animali il bambino soddisfa il suo bisogno di dare e ri- cevere affetto, sviluppa atteggiamenti di cura e protezione nei riguardi degli individui più deboli ma soprattutto com- prende che esistono esigenze diverse dalle proprie alle qua- li dovrà adattarsi. Oltre a migliorare lo sviluppo cognitivo, sociale e motorio dei bambini, molte ricerche dimostrano come la presenza di un animale migliori la vita dell’uomo anche da un punto di vista psicologico combattendo de- pressione, ansia, aggressività e stress. Il termine Pet therapy (terapia con gli animali) consiste appunto nell’utilizzare un animale domestico per la cura e il benessere dell’uomo. Questa terapia viene utilizzata per intervenire su problemi cognitivi, comportamentali e psico-sociali e si basa sul rap- porto tra uomo e animale mediato dai pet-partners, tecni- ci competenti del comportamento umano ed animale. Molto diffuse sono l’ippoterapia e la delfinoterapia, forme particolari di Pet therapy, la prima usata nel campo del- l’handicap fisico, la seconda per intervenire su disturbi del- la comunicazione, autismo e depressione. LA RICERCA EURISPES E TELEFONO AZZURRO. Dopo l’in- dagine del 2000, Eurispes e Telefono Azzurro sono tornati ad interrogarsi sul tema «bambini e animali» con un sezio- ne dedicata nell’indagine all’interno di questo 7°Rapporto. L’indagine ha coinvolto bambini tra i 7 e gli 11 anni di di- verse scuole elementari e medie dislocate su tutto il territo- rio nazionale. PIÙ DEL 60% DEI BAMBINI HA UN ANIMALE DOMESTICO IN CASA. La distribuzione dei dati per aree geografiche dimo- stra che la presenza di un animale in casa è più diffusa al Centro e al Nord-Est (rispettivamente 64,9 e 62,4%) do- ve, per di più, si trovano molti studenti che vivono con più di un animale (in entrambi i casi, 34,4). Al contrario i ra- gazzi che hanno un solo animale domestico predominano al Nord-Ovest e al Sud (rispettivamente 38,8 e 34,8% con- tro il valore minimo del 28 al Nord-Est). Nelle Isole, infi- ne, si riscontra la percentuale più alta di assenza di animali nelle case (37,4% contro i valori minimi del 26,2 al Sud e 29,5 al Centro). Per il 20,5% dei bambini il proprio animale domestico rap- presenta un amico, per l’11,9 un compagno di giochi e per il 13,3 qualcuno di cui prendersi cura. Solo una minima parte dei piccoli vede nel proprio animale un gioco (1,5) o qualcuno che deve obbedire loro (0,5). QUALI SONO GLI ANIMALI PIÙ PRESENTI NELLE CASE? Co- me era facilmente prevedibile, il cane si conferma leader in- discusso di questa graduatoria conquistando la qualifica di coinquilino nel 42% dei casi. Al secondo posto si colloca il gatto (21,3) seguito da tartarughe e pesci (rispettivamente 11,6 e 10,6). Molto diffusi tra le mura domestiche sono gli uccelli (7,5) e i roditori (il 3,9% dei ragazzi ha un criceto e il 2,6 un coniglio). I LEGAMI TRA BAMBINI E ANIMALI. Il 72,8% dei bambini prova soprattutto affetto e simpatia (15,3) nei confronti de- gli animali; seguono la paura (4) e in minima parte l’indif- ferenza (0,8) e la repulsione (0,4). Le bambine sono porta- te a stabilire legami più stretti con gli animali: infatti indi- cano maggiormente di provare affetto nei loro confronti (78,4% contro il 69,7 dei maschi). I ragazzi, invece, fanno registrare frequenze più alte in corrispondenza della simpa- tia (18,4% contro il 12,4 delle femmine; inoltre, rispetto alle loro coetanee femmine, provano più paura (4,6% con- 61 tro il 3,5 delle femmine) e indifferenza (1,2% contro lo 0,3 delle femmine). Contrariamente a quanto si sarebbe portati a credere, i ra- gazzi dai 10 agli 11 anni manifestano verso il mondo ani- male un coinvolgimento emotivamente più intenso rispet- to ai bambini che hanno un’età compresa tra i 7 e i 9 anni. Per i primi, infatti, a caratterizzare il rapporto con gli ani- mali è l’affetto (77,1% contro il 70,2 della classe d’età tra i 7 e i 9 anni), mentre i più piccoli indicano in misura mag- giore la simpatia seppur con uno scarto di pochi punti per- centuali rispetto ai ragazzi più grandi (16,3% contro il 13,7della classe d’età tra i 10 e 11 anni). Il 78,7% dei bambini non abbandonerebbe mai il proprio animale per andare in vacanza, il 73,4 non indosserebbe una pelliccia o qualsiasi indumento con interno di pellic- cia, il 72,9 non ama la caccia e il 69,7 non assisterebbe mai ad un combattimento tra animali. Il 51,1% dei ragazzi, in- fine, praticherebbe la pesca che viene percepita come meno invasiva rispetto alla caccia molto probabilmente perché non presuppone l’utilizzo di un’arma. Dalle risposte emerge un’estrema sensibilità dei bambini verso i diritti degli animali e un forte senso di rispetto, que- sto anche grazie alla campagna di sensibilizzazione condot- ta dai mass media e dalle scuole. Occorre sottolineare, però, l’alta percentuale di mancate risposte soprattutto in corri- spondenza dell’item «Abbandonare un animale per andare in vacanza» (16,5%). L’età influisce sui comportamenti dei ragazzi nei confronti degli animali: i più grandi indicano con maggior frequenza che non indosserebbero mai una pelliccia (80,2% contro il 69,2 dei ragazzi tra 7 e 9 anni), non assisterebbero mai ad un combattimento tra animali (74,8% contro il 66,5 per la classe 7-9 anni) e non abbandonerebbero mai un animale per andare in vacanza (82% contro il 77,9 dei più piccoli). 62 S.O.S. Telefono Azzurro onlus è nato nel 1987 come pri- ma Linea nazionale di prevenzione dell’abuso all’infanzia. Oggi l’ascolto e la consulenza telefonica rimangono atti- vità centrali, al fianco dei tanti progetti innovativi intrapre- si, anche grazie al forte contributo del volontariato tradi- zionale e del Servizio civile nazionale. CONSULENZA TELEFONICA Due le linee: 1.96.96, per i bambini fino a 14 anni e 199.15.15.15, dedicata ad adolescenti e adulti. Il Call cen- ter è attivo 24 ore su 24 tutti i giorni, per un’attività di ascol- to e di accoglienza delle difficoltà dei bambini e degli ado- lescenti italiani e stranieri per sostenere e offrire un aiuto competente nelle situazioni di disagio, solitudine, difficoltà relazionali, problemi affettivi, maltrattamento e abuso. PROGETTI PER L’INTERVENTO IN EMERGENZA E IL 114 EMERGENZA INFANZIA Relativamente alle situazioni di emergenza che coinvolgo- no i più piccoli, dall’esperienza pluriennale di Telefono Az- zurro sono nati alcuni progetti specifici. Il primo è il Team Emergenza, progettato e realizzato nel 1999 in collabora- zione con il ministero degli Interni e l’università di Yale, ed è costituito da una équipe di psicologi. Il Team garantisce l’intervento sul territorio, 24 ore su 24, in quelle situazioni di crisi che coinvolgono bambini e adolescenti vittime o te- stimoni di eventi traumatici e stressanti: ad esempio nei ca- si di abusi e violenze, atti devianti e autolesivi, eventi cata- strofici. In questi casi l’operatore accoglie le segnalazioni da parte di cittadini, Forze dell’ordine e di Pubblica sicurezza o altre agenzie del territorio; valuta l’emergenza e, a secon- da del caso, attiva immediatamente il percorso dell’inter- vento in rete con le agenzie coinvolte, seguendo anche la successiva presa in carico del caso. In occasione dell’inon- dazione di Quindici e Sarno, in Campania, e del terremo- to in Molise, gli operatori del Team Emergenza sono accor- si per prestare aiuto ai bambini e alle famiglie delle zone col- pite e per ridurre eventuali effetti post traumatici nei mino- ri. Oggi Telefono Azzurro è impegnato, con le altre agenzie che lavorano nell’emergenza, nella costruzione di un mo- dello di intervento congiunto per quegli scenari di rischio (sismico, idrogeologico, industriale, terroristico) e per tut- ti quegli eventi catastrofici in cui la comunità colpita e i suoi bambini abbiano bisogno di sostegno e di aiuto. Le competenze maturate, anche mediante un costante la- voro di ricerca e di scambio a livello internazionale nell’area dell’emergenza, sono poi alla base del modello elaborato per il 114 Emergenza Infanzia, il servizio voluto dai tre mi- nisteri delle Comunicazioni, Lavoro e delle Politiche socia- li e per le Pari opportunità e affidato in gestione a Telefono Azzurro. È un servizio nazionale di emergenza gratuito, at- tivo 24 ore su 24, accessibile da parte di chiunque intenda segnalare situazioni di emergenza e pericolo per l’incolu- mità psico-fisica di bambini e di adolescenti italiani e stra- nieri dove sia necessario un intervento immediato col coin- volgimento di specifici Servizi e istituzioni del territorio. CENTRI TERRITORIALI Sulla base della lunga esperienza nella gestione e nella pre- venzione del disagio, Telefono Azzurro ha attivato dei Cen- tri Territoriali, con l’obiettivo di garantire una presenza e un intervento più capillari per agire in maniera sempre più efficace e puntuale a tutela dei bambini e degli adolescenti italiani e stranieri, tenendo presente le caratteristiche e i bi- sogni specifici del territorio. Gli operatori dei Centri Terri- toriali, presenti a Bologna, Milano, Modena, Palermo, Ro- ma e Treviso gestiscono i casi locali segnalati dal call center e dalle agenzie del territorio, individuando le strategie più adeguate in sinergia con la rete dei servizi. In molti di que- sti Centri sono inoltre presenti Spazi Neutri, dove è possi- bile effettuare audizioni protette, per un ascolto del bambi- no in sede processuale che rispetti i suoi tempi e i suoi biso- gni, senza passare per l’esperienza traumatica di un’aula di tribunale. Ecco perché l’associazione intende potenziare i Centri esistenti e aprirne di nuovi: nei prossimi mesi ne sor- geranno altri nelle città di Padova, Bari, Firenze e Napoli con l’obiettivo nel medio-lungo termine di essere presenti in ogni regione; un passo cui seguirà anche la regionalizza- zione delle linee di ascolto e di consulenza telefonica. CENTRI PER LA PREVENZIONE E GESTIONE DELL’ABUSO E MALTRATTAMENTO TETTO AZZURRO I Centri Tetto Azzurro sono centri per l’accoglienza, la dia- gnosi e la cura di bambini e adolescenti italiani e stranieri vittime di abuso e maltrattamento; strutture che garanti- scono e ascoltano il minore. Questi Centri si trovano a Ro- ma, dove Tetto Azzurro è nato nel 1999 grazie alla collabo- razione con la Provincia, e a Treviso, dove Tetto Azzurro, avente carattere interprovinciale, si è costituito dal 1° no- vembre 2005, quale progetto affidato alla gestione di Te- lefono Azzurro dalla Regione Veneto, nell’ambito di un progetto regionale per la tutela dell’infanzia e dell’adole- scenza da abusi e maltrattamenti. I servizi attivati presso i Centri Tetto Azzurro hanno diversi obiettivi: consulenza psicosociale a privati e servizi per la prevenzione e gestione del fenomeno; diagnosi e trattamento individuale e fami- liare per situazioni di abuso sessuale, maltrattamento fisico e abuso psicologico di soggetti in età evolutiva; ascolto a fi- ni giudiziari; incontri protetti tra bambini e genitori; pron- ta accoglienza residenziale; consulenza legale specialistica TELEFONO AZZURRO per gli operatori, monitoraggio del fenomeno. Agli opera- tori psico-socio-sanitari dei territori di riferimento, i Cen- tri Tetto Azzurro offrono corsi di formazione. VOLONTARIATO Il volontariato di Telefono Azzurro è particolarmente atti- vo nelle carceri e nelle scuole. Per difendere i diritti dell’in- fanzia anche nel contesto carcerario, i volontari, dopo un’a- deguata formazione, creano e gestiscono gli spazi Ludote- ca e i Nidi. I primi, rivolti ai bambini e agli adolescenti in visita al genitore-detenuto, sono ambienti strutturati e at- trezzati per sdrammatizzare almeno in parte l'impatto con la struttura penitenziaria e sostenere la relazione genitori- figli. I Nidi sono invece dedicati ai bambini che fino ai 3 anni possono vivere all’interno del carcere con la mamma detenuta: i volontari aiutano le mamme ad accudirli, gio- cano con loro, li accompagnano all’esterno presso parchi e spazi gioco e agevolano ‘'inserimento in asili nido comuna- li. Coinvolge invece le scuole il progetto Uno a Uno, per sostenere quegli alunni di elementari e medie inferiori che presentano difficoltà di tipo scolastico e relazionale. SETTORE EDUCAZIONE Il rapporto di reciproca collaborazione tra Telefono Azzur- ro e il mondo della scuola è attivo fin dalla nascita dell’asso- ciazione. Tale collaborazione si è evoluta nel tempo e si è ar- ricchita nel corso degli anni. Recentemente Telefono Az- zurro ha creato un’area innovativa, interamente dedicata alle attività educative che comprende sia l’ambito scolasti- co sia quello extrascolastico. Il Settore Educazione di Te- lefono Azzurro si avvale di uno staff dinamico e multidisci- plinare che include psicologi, psichiatri infantili, sociologi, assistenti sociali, pedagogisti, avvocati e altre figure profes- sionali con una significativa esperienza nel mondo dell’in- fanzia. Lo staff si avvale anche della collaborazione di ani- matori, attori e di volontari del Servizio civile nazionale. Ciò permette a Telefono Azzurro di lavorare attivamente sull’intero territorio nazionale. Al momento, gli interventi educativi sono attivi, soprattutto, a Palermo, Roma, Bolo- gna, Treviso e Milano. Telefono Azzurro propone nei suoi percorsi, attività educative, formative e di didattica assistita una metodologia ludico-didattica rivolta ai bambini, agli adolescenti e alle famiglie. Attraverso la didattica assistita, Telefono Azzurro offre un percorso applicativo che preve- de momenti di progettazione, di confronto e di verifica tra docenti ed esperti di Telefono Azzurro supportando gli in- segnanti nella ideazione e preparazione dell’intervento, du- rante lo svolgimento dell’esperienza in classe e al termine . FORMAZIONE Le conoscenze e le competenze sviluppate in tanti anni di attività di Telefono Azzurro nella prevenzione, cura e trat- tamento dell’abuso all’infanzia e all’adolescenza italiana e straniera, anche relativamente a situazioni di emergenza, sono state tradotte in numerosi documenti e opuscoli di- vulgativi, pubblicazioni, moduli di formazione e strumen- ti didattici. In particolare gli operatori di Telefono Azzurro offrono percorsi di formazione specifica agli operatori so- cio-sanitari, alle Forze dell’ordine, a vigili di quartiere e li- beri professionisti, per contribuire alla creazione di reti in- tegrate di servizi. Nell’ambito della formazione specialisti- ca è attiva una collaborazione con l’università degli Studi di Modena e Reggio Emilia per la realizzazione di due master di II livello: Esperto nella valutazione, nella diagnosi e nel- l’intervento in situazioni di abuso all’infanzia e all’adolescen- za ed Esperto in psichiatria e psicologia giuridica. Oggi Telefono Azzurro è un’associazione che lavora con le istituzioni per garantire il rispetto dei diritti dei bambini e degli adolescenti italiani e stranieri affrontando i loro pro- blemi in un’ottica nazionale, europea e internazionale. PER AIUTARE SOS TELEFONO AZZURRO ONLUS BANCA POPOLARE EMILIA ROMAGNA: c/c 73154, ABI 05387, CAB 02400, CIN G CARTA DI CREDITO: Numero Verde 800.410.410 oppure online su www.azzurro.it CONTO CORRENTE POSTALE: n. 550400 SHOPPING SOLIDALE: www.azzurroshopping.it Info: tel. 800.090.335, www.azzurro.it - telefonoazzurro@azzurro.it EURISPES L’Eurispes, Ispes fino al gennaio 1993, è un istituto di stu- di sociali senza fini di lucro e opera dal 1982 nel campo del- la ricerca politica, economica, sociale e della formazione. L’istituto realizza studi e ricerche per conto di imprese, en- ti pubblici e privati, istituzioni nazionali e internazionali. Nello stesso tempo, promuove e finanzia autonomamente indagini su temi di grande interesse sociale, attività cultu- rali, iniziative editoriali, proponendosi come centro auto- nomo di informazione e orientamento dell’opinione pub- blica e delle grandi aree decisionali che operano nel nostro Paese. La scelta operativa dell’Eurispes deriva dalla convin- zione che una adeguata politica di governo della situazione socio-economica pretenda una conoscenza dei fatti sem- pre più aggiornata e integrata. Nel perseguire questi suoi obiettivi, l’Eurispes è particolarmente avvantaggiato dalla propria composizione: al suo interno confluiscono, infatti, più “culture” di diverso orientamento che si ricompongo- no in un’unità omogenea e originale. 63 64 INTRODUZIONE Protagonisti di realtà virtuali, lontani dalla politica 1 CAPITOLO 1 ABUSO, SFRUTTAMENTO E DIRITTI VIOLATI SCHEDA 1. Epidemiologia dell’abuso sessuale e monito- raggio del fenomeno in Italia, Francia e Inghilterra 5 SCHEDA 2. Quando vittima dell’abuso è un bambino o un adolescente straniero 7 SCHEDA 3. La valutazione delle capacità genitoriali 8 SCHEDA 4. Non solo segnalazione: l’insegnante e l’istitu- zione scolastica nella prevenzione del disagio infantile 10 SCHEDA 5. Ragazzi senza scuola. I minori e la dispersione scolastica 11 SCHEDA 6. Fuori dal mondo 13 SCHEDA 7. Lavoro minorile 15 SCHEDA 8. La legge 38: quali prospettive e quali possibilità 16 CAPITOLO 2 DEVIANZA, EMERGENZA E DISAGIO SCHEDA 9. I primi tre anni del Servizio 114 Emergenza infanzia 18 SCHEDA 10. Emergenza e soccorso alla popolazione: il ruolo della Protezione civile nel sostegno ai bambini e agli adolescenti 19 SCHEDA 11. La violenza intrafamiliare: esiti psicopatologici nei bambini 22 SCHEDA 12. Bambini e tempo libero 24 SCHEDA 13. La seconda generazione: giovani stranieri protagonisti di nuove identità 25 SCHEDA 14. Lo sfruttamento e la tratta dei minori 26 SCHEDA 15. Quando un minore scompare: prevenzione ed educazione alla sicurezza 29 SCHEDA 16. Minori autori di reato 31 CAPITOLO 3 SALUTE SCHEDA 17. Bioetica dell’assistenza alla nascita. 34 SCHEDA 18. Bambini e adolescenti in situazioni di disastro: sono efficaci gli interventi di salute mentale? 35 SCHEDA 19. Disturbi dell’attenzione e iperattività in epoca precoce 37 SCHEDA 20. Genetica dei disturbi mentali in età evolutiva 38 SCHEDA 21. I rischi della Rete: relazione tra Internet e psicopatologia 39 SCHEDA 22. Depressione post partum: cause del disturbo, conseguenze sulla relazione madre-bambino, prevenzione 39 SCHEDA 23.Trauma e lutto nei bambini: il caso di Beslan 40 SCHEDA 24. Nuovi farmaci e loro utilizzo con piccoli pazienti 42 CAPITOLO 4 FAMIGLIA SCHEDA 25. Le nuove famiglie: nuclei monogenitoriali e coppie omosessuali 43 SCHEDA 26. Famiglie ricostituite e nuove forme di “living arrangement” 45 SCHEDA 27. Diritto alla maternità e al lavoro. Tra forma e sostanza nell’Anno europeo delle pari opportunità 46 SCHEDA 28. La responsabilità sociale dell’impresa e la promozione della conciliazione 47 SCHEDA 29. I servizi per l’infanzia: l’Italia nel contesto europeo 48 SCHEDA 30. La sindrome di Peter Pan ovvero la paura di crescere 49 SCHEDA 31. La nuova legge sull’affidamento condiviso 50 SCHEDA 32. Una famiglia per ogni bambino 52 CAPITOLO 5 MEDIA E SOCIETÀ SCHEDA 33. Pedofilia e pornografia minorile: aspetti descrittivi, nessi e differenziazioni 53 SCHEDA 34. Il bambino navigatore, i suoi genitori e i suoi insegnanti: il progetto Hot114 54 SCHEDA 35. Generazione eBay: il boom degli acquisti on line 55 SCHEDA 36. I canali televisivi tematici per bambini fino a 2 anni 56 SCHEDA 37. L’apparire: manipolazione del corpo fra arte, body tuning e chirurgia estetica 57 SCHEDA 38. I giovani e la crescente richiesta di mobilità: il fenomeno delle microcar 58 SCHEDA 39. Giovani e impegno politico 59 SCHEDA 40. Bambini e animali 60 CHI È Telefono Azzurro 62 Eurispes 63 INDICE Stampato nel mese di dicembre 2006 Allegato redazionale al numero di VITA di questa settimana Registrazione del Tribunale di Milano n. 397 dell’8 luglio 1994 Direttore editoriale: Riccardo Bonacina Direttore responsabile: Giuseppe Frangi Edizione a cura di Daniela Romanello Progetto grafico di Antonio Mola Ha collaborato Claudio Madella Stampa: Arti Grafiche Fiorin - via del Tecchione, 36 - 20098 Sesto Ulteriano (MI) Poste italiane Spa - sped. abb. post. - D.L.353/03 (conv. L.46/04) Art.1 Comma 1 DCB - Milano ringraziano per la gentile collaborazione prestata ADS (Accertamento Diffusione Stampa), AFQUAD, AIED, Amnesty International, APA, Arma dei Carabinieri, Associazione Cibo e Benessere, Associazione Ex, Associazione Italiana Editori, Audiradio, Auditel, Audiweb, Banca d’Italia, Banca Mondiale, Camera dei Deputati, Caritas, Cassa di Risparmio di Bologna, CED, Centro per la Prevenzione Disturbi Depressivi Ospedale M. Melloni, Centro Nazionale di Documentazione per l’Infanzia e l’Adolescenza, CIA, CIRMES, Cisf, Cisis, CNR, COA, Comitato per il Telefono Azzurro, Comitato per i minori stranieri, Commissione Bicamerale per l’Infanzia, Consiglio d’Europa, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Corte dei Conti, Criminalpol, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Department of Health and Human Services, Dipartimento Giustizia Minorile, Dipartimento per gli Affari Sociali, Dipartimento della Protezione Civile, Direzione Centrale della Polizia Criminale, DNA (Direzione Nazionale Antimafia), Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato, Direzione Centrale della Polizia Criminale, E-bay, ECPAT, ENACT (European Network Against Child Trafficking), Espad, Eurisko, Euronet, Eurostat, FAO, Federazione Italiana Medici Pediatri, Federcomin, Fondazione Monte dei Paschi di Siena, Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia, Food and Drug Administration, Gruppo di Lavoro Nazionale per il Bambino Immigrato, Hi Europe, HRW, IARD, IEA, ILO, IMMS, Inail, Indipendent Human Rights Commission, Inhes, Inps, Interpol, International Center for Missing and Exploited Children, Iom, Ires- Cgil, Isfol Plus, Istat, Istituto Cattaneo, Istituto degli Innocenti di Firenze, Istituto di Fisiologia Clinica, Istituto Psicoanalitico per le Ricerche Sociali, Istituto Superiore della Sanità, Kaiser Family Foundation Analysis of U.S. Census Bureau Data, Ministero della Comunicazione, Ministero dell’Interno, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Ministero della Giustizia, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Ministero della Salute, Moige, National Institute of Mental Health, NCCP, Nielsen Net//Rating, Ocse, Odas, Oecd, OIM (Organizzazione Internazionale Migrazioni), Oms, Onu, Osservatorio Nazionale per l’Infanzia, Osservatorio B2C Netcomm-School of Management del Politecnico di Milano, Parsec, Polizia di Stato, Polizia Postale, Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, Presidenza del Consiglio dei Ministri, RAI, Servizio Civile Centro Studi Telefono Azzurro di Roma, Siae, Sibert, SIMPOC, Sistema Informativo Interforze, SNALS, Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Società Italiana di Pediatria, Ufficio centrale per la Giustizia Minorile, UNAids, Unicef, UnionCamere-ISVA, Università degli Studi di Cassino, UNLA-UCSA, Unodc. TELEFONO AZZURRO E L’EURISPES Giunto alla sua settima edizione, il Rapporto nazionale sulla condizione dell’infanzia e del- l’adolescenza curato da Telefono Azzurro ed Eurispes propone come di consueto una rico- gnizione dettagliata nell’universo, così tanto eterogeneo ed articolato, dei bambini e degli adolescenti. Varie e complesse le tematiche affrontate anche in questa edizione, a cominciare dai problemi che affliggono l’infanzia e l’ado- lescenza nel nostro Paese; dal fenomeno dei bambini scomparsi, agli abusi e maltrat- tamenti, al lavoro minorile. Quindi gli stili di vita, le tendenze, le nuove modalità di relazionarsi a se stessi e agli altri: tutte questioni che si evolvono molto veloce- mente - di pari passo con i cambiamenti della società - e di cui il rapporto intende farsi portavoce. Tra gli obiettivi prioritari della pubblicazione vi è proprio quello di offrire spunti di rifles- sione, approfondimenti e analisi socio-statis- tiche funzionali all’individuazione degli attuali ambiti problematici così come dei set- tori di crescita e di opportunità, nonché favorire la promozione e un’affermazione sempre più radicata della cultura dell’in- fanzia nel nostro Paese.